Se io fossi in te... (Sage)

di Rubysage
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


SE IO FOSSI IN TE

SE IO FOSSI IN TE...

 

“Fai attenzione a quello che desideri, perché potresti ottenerlo...”

Oscar Wilde

Capitolo 1

 

Faceva molto caldo a Tokyo, quel pomeriggio di Luglio, quando Peter Colby decise di concludere gli allenamenti.

- Okay, ragazzi, possiamo finire qui. Filate a cambiarvi e sparite dalla mia vista ! Non voglio più saperne di voi fino alla fine del mese ! - disse scherzosamente.

I componenti della nazionale giovanile giapponese tirarono un sospiro di sollievo. Quell’anno la Federazione Calcio aveva stabilito di dividere il consueto mese di ritiro estivo in due mini-ritiri intervallati da due settimane di riposo a causa dei numerosi impegni dello stesso allenatore Colby, il quale faceva parte della commissione deputata al reclutamento di nuovi talenti. Di questo i ragazzi erano tutt’altro che infelici, dal momento che una vacanza in quella che loro consideravano già una vacanza era quanto di meglio potessero aspettarsi.

- Aaargh ! Non è possibile ! - strillò Philip Callaghan dopo essere entrato nello spogliatoio.

- Che hai da urlare, Phil ? - domandò Paul Diamond, leggermente allarmato.

- Non c’è una doccia libera ! E io sono di frettissima, maledizione ! -

- Tutto qua ? E io chissà cosa pensavo... - disse Paul sfilandosi la maglietta.

- Chi tardi arriva male alloggia, Callaghan, dovresti saperlo ! - disse ridendo Ed Warner tirando la spugna addosso al ragazzo.

- Tom, passami lo shampoo. -

- Al volo, Benji ! - disse Tom Baker lanciando la boccetta che atterrò direttamente in testa al Super Great Goal Keeper.

- Ahia ! Imbecille ! -

Tutti risero, tranne Philip che, con voce piagnucolosa, disse :

- Ragazzi, vi prego...ho l’aereo per Sapporo tra meno di due ore e di questo passo non ce la farò mai ad arrivare in tempo ! -

- Va beh, visto che hai tanta fretta ti cedo il mio posto... - disse Patrick Everett uscendo dalla doccia avvolto in un orribile accappatoio arancio a pois verdi.

- Bella forza, tu hai già finito ! - esclamò Philip liberandosi della biancheria.

- Di’ un po’, com’è che hai tanta fretta, Philip ? - domandò Oliver Hutton uscendo dalla sua doccia mentre l’amico si fiondava alla velocità della luce in quella lasciata libera da Patrick.

- Domanda idiota come al solito, Hutton - rispose Ralph Peterson - Quello non vede l’ora di tornarsene dalla sua bella, vero Callaghan ? -

- Va beh, potevi anche dirlo in un altro modo, Peterson... A parte il fatto che se perdo questo volo mi tocca restare in aeroporto fino a domani mattina, stasera sono invitato a cena dai nonni di Jenny... -

- Un momento, Ralph, che significa “come al solito” ? - intervenne Oliver.

- Già mi pregusto una mega cena...e poi lei riparte per New York tra una settimana, quindi... - continuò Philip ignorando completamente il povero Hutton.

- Beato te che almeno hai un buon motivo per tornartene a casa, Phil ! - disse Mark Landers infilandosi una maglietta pulita - Io appena torno devo filare a lavorare...altro che break, per me è stata questa la vera vacanza ! -

- Pensate che a me, invece, tocca andare una settimana in Thailandia... - disse Benjamin con aria strafottente.

- Vaffanculo, Price ! - esclamò Ed - Questo è un vero insulto alla miseria ! -

- ...Con Freddie Marshall ! Quello mi sorveglia qualsiasi cosa faccia, forse ha paura che scappi con qualche bella polinesiana ! -

Stupido sbruffone, si disse Mark.

Ad un tratto, Peter Colby fece capolino dalla porta.

- Il tuo autista è arrivato, Julian. - disse.

Julian Ross, finendo di allacciarsi le scarpe, alzò gli occhi al cielo e sospirò.

- Arrivo - disse con un tono che in realtà voleva dire “Che palle !”.

- Oh ! Il signorino non gradisce la sua Limousine con sedili in pelle umana con TV e stereo incorporati ? - disse Mark con ironia - Oppure non ha voglia di tornare nella sua mega villa a soli dieci minuti da qui, dove lo attende schierata la servitù al gran completo, mentre un povero sfigato di cui non faccio il nome deve sorbirsi due ore d’autobus e quaranta minuti di traghetto per tornarsene a casa ? -

Julian non rispose, ma lanciò al capitano della Toho uno sguardo abbastanza significativo.

- Andiamo, Ross ! - esclamò Mark allargando le braccia - Hai solo 17 anni, navighi nel denaro, hai una ragazza stupenda che vive per te, tutte le pischelle di questa nazione ti adorano e, a quanto mi risulta, sei anche un mezzo genio ! Hai praticamente avuto tutto dalla vita ! -

- Tranne la salute - disse Julian con una risatina sarcastica.

- Fatti compatire da qualcun altro, Ross - ribattè Mark - Io non ho rispetto per chi non sa mantenere un briciolo di dignità. -

- Mark ! - esclamò Tom corrugando la fronte.

- Non devo prendere lezioni di dignità da nessuno, Mark - rispose secco Julian chiudendo la borsa - Tantomeno da te. Se proprio hai voglia di dare aria alla bocca, fallo quando io non ci sono. Phil, se ti va posso darti un passaggio fino all’aeroporto. E’ proprio sulla mia strada. -

- Fantastico ! Grazie, Julian ! -

Dopo essersi issati le borse in spalla, i due salutarono la combriccola e uscirono dallo spogliatoio.

- Un’ultima cosa, Mark...lascia Amy fuori dai tuoi sproloqui. - Detto questo, Julian si chiuse la porta alle spalle.

- Stupido figlio di papà... - disse Mark a denti stretti.

- Adesso stai esagerando, Mark. Lo sai che Julian è particolarmente suscettibile su certi argomenti... - disse uno dei gemelli Derrick.

- E chi se ne frega, James ! -

- Veramente sono Jason... -

- E io che ho detto ? Comunque, io quello non lo reggo proprio ! Vive con il culo nel burro e ha anche il coraggio di lamentarsi ! Che diavolo ne sa lui di quali sono i problemi della vita ? -

- Lui ne ha uno molto grosso, Mark - intervenne Ed alludendo alla cardiopatia che affliggeva Julian da anni - E credo che scambierebbe volentieri tutto quello che ha con una vita meno agiata ma fuori dalla “campana di vetro”. -

- Tzè ! Almeno si può permettere un’intera équipe di cardiologi che gli dicono anche quando respirare ! Vorrei vedere cosa farebbe se fosse al mio posto ! -

- E comunque tu saresti felice di avere i soldi che ti escono dalle orecchie quando sai che rischi di crepare da un momento all’altro ? - disse Benjamin sfregandosi i capelli con l’asciugamano.

- Tu sei sulla stessa barca di Julian, Price, quindi ti conviene tacere. Ma cosa credi di capire ? Tu non hai bisogno di inventarti ogni giorno come sbarcare il lunario. -

- Adesso sei tu che ti stai compatendo, Landers. - ribattè Benjamin sogghignando.

I ragazzi si zittirono, temendo una spropositata reazione da parte del centravanti, il quale, invece, si limitò a lanciare uno sguardo carico di disprezzo al SGGK.

- Ne ho abbastanza dei vostri ridicoli moralismi. - disse poi Mark uscendo - Ho cose molto più importanti a cui pensare. Ci vediamo. -

- Mark, aspetta ! - disse Ed seguendo l’amico. Mark lo ignorò e continuò a percorrere il corridoio a grandi passi.

- Si può sapere che accidenti hai oggi ? E’ la prima volta che te la prendi con Julian ! Che ti ha fatto di male ? - disse Ed dopo aver raggiunto il ragazzo.

- Niente - rispose Mark senza spostare lo sguardo su Ed - Non mi ha fatto niente di male. Non ha mai fatto niente in vita sua, è questo il punto ! Non hai idea di quanto mi dia fastidio sentire certi discorsi da uno che non sa neanche cosa voglia dire muovere un dito...ma almeno non se la tira come quello sbruffone di Price ! -

- Beh, non mi sembra un buon motivo per aggredirlo così ! - rispose Ed - Price lo posso capire, non lo sopporto nemmeno io, ma Ross...quello è un pezzo di pane, lo sanno tutti ! -

- Ah, il pane ! - esclamò Mark con voce irritata alzando gli occhi al soffitto - Lo conosci il proverbio, Ed ? Chi ha il pane non ha i denti, chi ha i denti non ha il pane ! Niente di più vero, porco mondo, niente di più vero ! - Arrivato all’uscita, il ragazzo spalancò il portone a vetri con rabbia.

- Senti, Mark, dimmi la verità. - disse Ed spazientito - Cosa c’è che non va davvero ? -

Il capitano della Toho si fermò di colpo, facendo cadere a terra il borsone e appoggiandosi al muretto di cinta, sbuffando.

- Sono preoccupato, ecco cos’ho. Sono semplicemente molto preoccupato. - disse Mark con voce stanca, passandosi le mani prima sugli occhi, poi sulle guance, infine sul collo. Ed gli si sedette accanto, senza parlare. - Siamo a Luglio, fa un caldo cane e mia madre e i miei fratellini dovrebbero andarsene in vacanza. Invece mamma non può prendere ferie perché non ci sono nemmeno i soldi per mandare i ragazzi in colonia, quindi io mi ero detto che avrei lavorato a tempo pieno per queste due settimane, così magari qualche giorno al mare avrebbero potuto farselo...tanto ci sono abituato, anzi, a volte mi diverto anche...e invece, siccome mamma deve stare in fabbrica mezza giornata, io devo badare alla casa, così posso lavorare solo part-time e beccarmi mezzo stipendio. Oltre tutto dovrei anche studiare per l’esame di riparazione in matematica, altrimenti, se mi bocciano, ti saluto la borsa di studio ! Se poi conti anche gli allenamenti... -

- Puoi sempre farti esonerare per un po’ ! In fin dei conti abbiamo appena finito il ritiro, sono sicuro che Turner capirà ! -

- Bah, quello è il meno ! Il punto è che dovrei avere giornate di 35 ore per riuscire a fare tutto senza impazzire !  Poi c’è anche questo dannatissimo ritiro da finire...non che non ne sia contento, ma mi sento così inutile quando sono qui... -

- Sei tu quello che ha bisogno di una vacanza, altro che storie ! - esclamò Ed rialzandosi - Andiamo, vah, altrimenti perdiamo l’autobus ! -

I due stavano per rimettersi in cammino quando una ragazza gli corse incontro, trafelata.

- Mark, Ed ! Sapete se Holly è già uscito ? -

- Oh, ciao, Patty ! - disse Mark sorridendo (finalmente !) - No, credo che il tuo adorato rimbambito sia ancora dentro...si starà facendo bello per te ! -

- Evita certe battute, per cortesia...sono del tutto fuori luogo ! - rispose Patty con aria amareggiata.

- Patty, Patty...quand’è che manderai al diavolo quel protozoo e comincerai ad interessarti ad un vero fustacchione...come me, per esempio ? - Patty rise.

- Credimi, Mark, certe cose non si possono cancellare tanto facilmente... -

- Ma certo che lo so ! E’ solo che...

- ...che non puoi capire, tutto qui. Io non vedo Holly come lo vedete voi. Per me è una persona stupenda e sensibile, solo un po’... -

- Un po’ gnucca, direi ! -

- Mark ! La vuoi piantare ? ! -

- Ma io sto solo cercando di dirti la verità ! Quello non capisce le cose nemmeno se ci sbatte contro venti volte ! Da quanti anni gli muori dietro ? Cinque ? Sei ? -

- Sette - lo corresse Patty, sospirando.

- Sette anni ! E ancora non si è accorto di te ! Perché... -

- Mark, per favore... - disse Ed notando il cambiamento di espressione di Patty.

- ...perché è un babbeo ! Scusami, Patty, ma è solo la verità. Sinceramente non so come tu abbia fatto a resistere. -

- Perché sono una maledetta idiota, va bene ? - sbottò la ragazza - Perché ho il pessimo vizio di rimanere fedele all’idea e non voglio arrendermi al fatto che a lui non... - Patty abbassò lo sguardo e la voce, triste come non mai. - ...non glie ne freghi nulla di me. Non sto facendo niente di male a nessuno. E’ così sbagliato ? -

- Stai facendo del male a te stessa, invece. Se continui a comportarti così, se non ti metti in gioco un po’ più seriamente invece di fargli da dama di compagnia, lui non capirà mai quello che provi. E’ fatto così, dovresti saperlo. Ha in testa solo il pallone. Dovrebbe prendere ripetizioni da quel dannato Price, lui ci sa fare anche troppo con le donne ! Sono convinto che se fosse al suo posto, ti avrebbe già portato all’altare ! -

- Ma purtroppo non lo è. Mi spiace, Mark, so che lo dici per il mio bene ma ora non ho proprio voglia di parlare di queste cose. -

Mark si sentì un po’ in imbarazzo. - Scusami tu. A volte dovrei frenare un po’ la lingua, lo so. Il fatto è che non mi va che quello continui a trattarti così. Lui non si merita affatto una come te ! -

- Accidenti se lo so ! - rispose Patty sospirando - Grazie comunque, sei un tesoro. Ogni tanto fa piacere sentirsi dire certe cose ! - La ragazza si alzò sulle punte dei piedi per depositare un leggero bacio sulla guancia di Mark.

- Oh ! Eccolo che esce ! Holly !  Holly ! - disse poi Patty correndo via in direzione dell’amore della sua vita, che, borsone in spalla, stava chiacchierando amabilmente con Benji.

Ed e Mark si guardarono e scossero la testa. Mentre si incamminavano verso la fermata dell’autobus, Ed disse : - Quella ragazza ha decisamente un bel problema. -

- Quello non è un problema...è un dramma ! - ribattè Mark - Tra tutti i deficienti che ci sono in questo mondo si è scelta proprio il peggiore ! Sai, Ed, mi spiace un sacco per lei...se solo quel cretino di Hutton fosse un po’ diverso... -

- Beh, visto che ci tieni tanto a Patty, potresti...consolarla un po’ ! - disse Ed con aria maliziosa.

- Ma sei scemo ? - sbottò Mark - Non mi passa neanche per l’anticamera del cervello ! Già c’è Maki, di donna me ne basta una, e avanza anche...oh, cavolo ! - disse all’improvviso Mark dandosi una manata contro la fronte.

- Che c’è adesso ? -

- Mi stavo dimenticando che fra tre giorni è il nostro anniversario...Cavolo, CAVOLO ! Ecco un’altra stramaledettissima cosa a cui non avevo pensato ! -

- Uhm...questo è un bel guaio, direi ! - disse Ed, sornione - Si può far fronte a tutto ma non all’ira funesta di una fidanzata quando ci si dimentica l’anniversario ! -

- Hai poco da fare lo spiritoso, Ed - ribattè Mark - Se con Maki va tutto a rotoli per colpa di una stronzata del genere, nei prossimi giorni sarò veramente di pessimo umore...soprattutto durante gli allenamenti ! -

- Ahi, ahi ! Apriti cielo ! - disse ridendo il portiere della Toho.

- Ridi, ridi...ma non sai quanto vorrei essere in un altro posto ! -

Tra le risate di uno e i mugugni dell’altro, i due amici continuarono ad avanzare imperterriti verso la fermata dell’autobus, senza accorgersi che uno strano omino con una bombetta in testa aveva ascoltato tutti i loro discorsi e li stava seguendo...

 

Intanto, sulla lussuosa auto di servizio della famiglia Ross, Julian non aveva ancora aperto bocca e teneva gli occhi bassi.

- Dai, Julian...lascialo perdere ! - disse Philip dando all’amico una pacca sulla schiena - Lo sai che Mark ha un caratteraccio e se non se la prende con qualcuno non è contento ! Sappiamo tutti come stanno le cose, non ti devi preoccupare ! -

- Io non mi preoccupo affatto, Philip - rispose Julian - Mi dà solo fastidio che quell’idiota pensi di essere l’unico al mondo ad avere dei problemi... -

- Già. Tutti abbiamo dei problemi. Holly, per esempio, è gay ma non lo sa ! - disse Philip ridacchiando.

- Phil, non fare il cretino...insomma, conosco benissimo la situazione di Mark, e mi levo tanto di cappello per quello che sta facendo per la sua famiglia. Ma tutto questo non gli dà il diritto di farla pesare o di arrabbiarsi con chiunque gli capiti a tiro, soprattutto se continua a rifiutare qualsiasi aiuto gli venga offerto e si ostina a voler far tutto da solo ! -

- Più che altro, se la prende regolarmente con le persone sbagliate. -

- Sì, c’è anche questo...vedi, Philip, non sopporto quando mi si dà del Piccolo Principe che vive nel suo splendido castello senza curarsi di nessuno ! Al di là della mia malattia, il signor Landers dovrebbe provare a passare qualche giorno a casa mia, al mio posto, prima di sparare a zero sul sottoscritto ! Non fraintendermi, so benissimo di essere fortunato ad avere tutto quello che ho, e non mi è mai passato per la testa di farmi compatire, ma vorrei che Mark capisse che non è tutto oro quello che luccica. -

- Neanche Amy ? - domandò Philip sorridendo.

- Oh, lei è l’unica cosa davvero bella che ho...mi domando spesso se riuscirò a non farla scappare ! -

L’auto accostò al marciapiede e si fermò.

- Siamo a Narita, signore. - disse l’autista rivolgendosi a Philip.

Il ragazzo si apprestò a scendere.

- Non è vero, non è l’unica, Julian - disse Philip mentre l’autista tirava la sua borsa fuori dal bagagliaio - Hai un sacco di talento ed un ottimo carattere. E non te lo dico per fare il lecchino, visto che mi hai accompagnato all’aeroporto con una macchina extra-lusso facendomi passare per un riccone davanti a quelle stupende ragazze che ci stanno guardando... -

Julian rise, notando che, in effetti, due ragazze molto carine stavano lanciando sguardi curiosi e interessati ai due.

- ...ma perché lo sappiamo tutti che sei così, credimi ! - continuò Philip con sincerità.

- Grazie, Phil, sei un amico. -

Il ragazzo si issò il borsone in spalla e sorrise, facendo un cenno di saluto con la mano a Julian.

- Fai buon viaggio e salutami Jenny ! -

Julian restò ancora un attimo a guardare l’amico che scompariva dietro la porta a vetri del terminal di Narita.

- La porto a casa, signorino ? Sua madre la sta aspettando. - disse l’autista in modo molto freddo e professionale.

Nel sentire queste parole, Julian trasse un profondo sospiro.

- Sì, Theodore - disse con voce spenta - Andiamo a casa. -

 

Dopo un interminabile viaggio, allungato di mezz’ora per un ritardo del traghetto, Mark scese finalmente dall’autobus e, dalla stazione di Fukuoka, si incamminò stancamente verso casa.

Mondo cane...ci mancava anche il traghetto, si disse. Oggi è veramente una giornata no. Non solo quel damerino di Julian Ross mi ha fatto uscire dai gangheri, ma ora devo pure pensare a come riorganizzarmi la settimana...e ci si metterà pure Maki con la storia dell’anniversario ! Se non fosse perché devo badare a mamma e ai ragazzi, avrei fatto carte false per restarmene in ritiro fino all’anno prossimo... Va beh, almeno non dovrò più subire la vista dell’orrendo accappatoio di Everett...bah, devo proprio essere agli sgoccioli per cercarmi una consolazione del genere !

Il ragazzo tirò un calcio ad una lattina, facendola volare lontano.

Dio, Dio mio, quanto vorrei che per una volta ci fosse qualcun altro al mio posto, a sbrogliarsi la matassa !

- Scusi tanto, signore. -

Mark si girò di scatto e, sorpreso, vide dietro di sé uno strano tizio grassoccio e sorridente, che indossava, nonostante il caldo, un lungo cappotto marrone con il bavero sollevato e una bombetta nera.

- E lei cosa vuole ? - disse il ragazzo.

- Mi spiace disturbarla, ma non ho potuto fare a meno di sentire ciò che stava dicendo al suo amico, a Tokyo, a proposito dell’essere nei panni di qualcun altro... -

- Lei mi sta seguendo da Tokyo ? ! - sbottò Mark, pronto a ribaltare quello che doveva essere una specie di maniaco.

- Dev’essere davvero in un brutto guaio per cercare una soluzione del genere ! - continuò l’altro, ignorando la reazione di Mark.

- Io non ho mai detto che vorrei essere nei panni di qualcun altro. E ora se ne vada. -

- Bugia, bugia ! - disse l’omino ridacchiando e agitando un dito verso il ragazzo - Ma se l’ha appena pensato ! “Dio mio, quanto vorrei che per una volta ci fosse qualcun altro al mio posto” ! Era pressappoco così, vero ? -

Mark era esterrefatto. - Ma come diavolo ha fatto a leggermi nel pensiero ? ! Cos’è, una specie di telepate ? ! -

- Beh, diciamo che ho i miei metodi. Comunque credo di poter fare al caso suo... -

- Lei si chiama Dio ? -

- No. -

- E allora mi lasci in pace. Nessuno potrebbe mai fare una cosa del genere. -

- Lei non mi crede, vero ? - disse il tizio con un inquietante sorriso sulle labbra.

- Ma insomma, a cosa diavolo dovrei credere ? ! - disse Mark, spazientito.

- Ma alla trasposizione, no ? - rispose l’omino allargando le braccia - Provi ad immaginare di vivere la vita di un altro : una vita così diversa dalla sua, tutto roseo e perfetto, denaro a fiumi, una bella casa, belle ragazze... -

Julian Ross, pensò istantaneamente Mark.

- Esatto, proprio lui ! Provi ad immaginarsi nei suoi panni, o in quelli di qualcun altro...non sarebbe meraviglioso ? Non le piacerebbe ? - disse il tizio saltellando intorno a Mark. Non posso crederci, pensò il ragazzo, l’ha fatto di nuovo !

- Certo che mi piacerebbe - rispose Mark, sempre restando sulla difensiva - Quello che non capisco è dove vuole arrivare. -

- Ma come, mi sembrava di essere stato chiaro ! Io posso metterla al posto di qualsiasi persona lei voglia ! -

- Ma certo...e tutto questo in cambio della mia anima, immagino... - disse Mark con un risatina sarcastica.

- Oh, no, io non chiedo mai nulla in cambio...i miei scopi sono come dire...filantropici. -

- Che intende dire ? -

- Oh, se ne renderà conto molto presto...allora che fa, accetta ? -

Mark sospirò e scosse la testa. - Senta, non ho tempo da perdere con i matti. La saluto. - disse, rimettendosi in cammino.

- Guardi che non sto affatto scherzando. - Mark si bloccò, gelato dal tono di voce che aveva usato quello strano tizio.

- Insomma, non vedo perché questa cosa debba interessare solo me ! A moltissima altra gente farebbe bene mettersi un po’ nei panni di qualcun altro, certe volte ! -

- Oh, lo so benissimo ! - rispose l’omino sogghignando in modo sempre meno rassicurante - Le assicuro che penserò anche a questo... Allora, che mi dice ? Accetta o no ? -

- E va bene, accetto ! - disse Mark alzando gli occhi al cielo, sperando così di levarsi dai piedi quel matto furioso, che però non lo rendeva affatto tranquillo - Però...insomma, lei chi è ? E come diavolo fa a resistere a metà Luglio con quella palandrana addosso ? -

L’omino sorrise di nuovo, si levò la bombetta e fece un ossequioso inchino.

- Io sono Evsebius, genio degli scherzetti e delle amare lezioni ! E se porto questo cappotto è solo perché... - Evsebius spalancò le falde del pesante pastrano. - ...perché sotto non ho niente ! ! Ha, ha ! ! -

Mark, il quale temeva la classica mossa del maniaco che abborda le baby-sitter ai giardini pubblici, spalancò la bocca nel vedere che, effettivamente, sotto il cappotto non c’era proprio nulla, nemmeno il corpo.

- A presto, signor Landers ! Ormai ha fatto la sua scelta ! -

Detto questo, il fantomatico Evsebius sparì del tutto.

Mark scosse la testa, sconvolto. Ma perché li trovo tutti io, i pazzi ? si disse.

Senza voltarsi indietro, affrettò il passo, sperando di arrivare a casa il più presto possibile.

 

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Capitolo 2

 

 

Il mattino successivo, quando aprì gli occhi, Mark tirò un profondo sospiro.

Forza, si disse, iniziamo un’altra splendida giornata di merda.

Nella sua stanza regnava uno strano silenzio, quasi innaturale : possibile che sua madre fosse già uscita e i suoi fratellini non facessero casino come al solito ? Forse cercavano di non far rumore per non svegliarlo. Il ragazzo richiuse per un attimo gli occhi, sbuffando ; vi prego, ancora cinque minuti...

Era veramente distrutto. La sera prima, appena rientrato in casa, aveva appena salutato i famigliari e, ancora sconvolto per l’incontro con il misterioso Evsebius, aveva deciso di andare subito a letto senza cenare, nonostante la mamma, per festeggiare il suo ritorno, gli avesse preparato una deliziosa cenetta.

E non l’ho neanche ringraziata...sono stato veramente una carogna. Va beh, almeno per oggi avremo il pranzo già pronto...hey, ma cosa diavolo è quella luce ? pensò, riparandosi gli occhi da un raggio di sole che filtrava attraverso le fessure delle tapparelle. La luce negli occhi di prima mattina gli aveva sempre dato fastidio. Ho capito, è ora di alzarsi...strano, però, non sento nemmeno il profumo del tè...probabilmente sarà finito. Devo ricordarmi di prenderlo oggi, quando vado a fare la spesa.

A tentoni, Mark raggiunse il fondo del letto.

- Hey, chi mi ha fregato la scaletta ? ! - esclamò il ragazzo, il quale, da sempre, dormiva al piano superiore di un letto a castello - Dev’essere stato quella piccola peste di Justin...appena lo becco gli do una bella lezione ! E adesso ? Qua rischio di rompermi l’osso del collo...Justin, riportami subito la scaletta ! -

Nessuno rispose.

- Justin ? - chiamò di nuovo Mark, con un filo d’inquietudine.

Può...può darsi che per sbaglio mi sia addormentato sul letto di sotto, ieri sera...ero talmente stanco...forse Kathy non voleva svegliarmi...

Mark allungò lentamente una mano giù dal letto e toccò il pavimento. Sì, sono proprio al piano di sotto. Ma...cos’è questa roba ? Il ragazzo si sfregò gli occhi. Da quando in qua c’è un comodino in questa stanza ? ! E la finestra...non è mai stata su quella parete ! Oddio, forse non era nemmeno il letto di Katherine ma quello di Robert...oppure...oppure sto ancora dormendo...e sto sognando...

Mark scese dal letto con il cuore che gli batteva all’impazzata.

- Kathy ? Bob ? Justin ? ... Mamma ? - chiamò con voce tremante dirigendosi a grandi passi verso la finestra. Con impeto, alzò la tapparella.

Quello che vide lo lasciò senza fiato. I due letti a castello, l’armadio in truciolato bianco, le due scrivanie, piene di libri e quaderni, con le rispettive sedie e la piccola libreria, cioè tutto ciò che costituiva l’arredamento della camera che Mark divideva con i suoi tre fratelli era scomparso. Ora Mark si trovava in una stanza grande il doppio e arredata in modo molto raffinato. Dando uno sguardo affrettato fuori dalla finestra, vide che la casa era circondata da un enorme parco.

- Ma dove diavolo sono finito ? ! - esclamò. Subito dopo si portò una mano alla gola, terrorizzato.

- La...la mia voce ! ! ! -

Istintivamente, Mark corse verso l’armadio e ne spalancò tutte le ante finchè non trovò quello che sperava, cioè uno specchio grande abbastanza da riflettere la sua immagine per intero.

- Oh, cazzo ! ! - disse, rendendosi conto che la figura che stava osservando e che lo guardava dallo specchio con espressione sgomenta, così come la sua voce, in realtà apparteneva a Julian Ross.

 

 

Quando Julian si svegliò, era ancora buio. Si girò sulla schiena e si mise ad aspettare che, da un momento all’altro, Deborah bussasse alla sua porta per annunciargli che la colazione era pronta.

Non aveva assolutamente fame, ed era ancora infuriato per la scenata che aveva dovuto subire la sera prima da sua madre.

- Pensavo di andare a trovare Amy, dopo cena. - aveva detto lui.

- Stai scherzando ? Sei appena tornato dal ritiro, sarai stanchissimo, l’ultima cosa di cui hai bisogno è fare sforzi inutili ! - aveva risposto la mamma con aria angosciatissima.

- Non mi sembra che attraversare la strada per andare a casa di Amy sia così faticoso ! - aveva ribattuto Julian - E poi non la vedo da due settimane, ho un sacco di cose da raccontarle... -

- E ai tuoi genitori non vuoi raccontare nulla ? - aveva risposto sua madre in tono lagnoso, parlando anche per suo padre che, come al solito, era fuori città per lavoro - D’accordo, Amy è una tua cara amica, ma devi considerare che anche noi siamo stati senza di te per tutto quel tempo...non abbiamo forse il diritto di goderci un po’ il nostro splendido ragazzo ? -

- Mamma... - aveva replicato lui sospirando e facendo cadere le braccia.

- E poi guardati, sei pallido come uno straccio...sei sicuro di non aver esagerato durante gli allenamenti ? Lo so che vuoi sempre strafare ! No, no, hai proprio bisogno di riposo. Cosa dici se ci guardiamo un film, eh ? Posso mandare Theodore in videoteca a prendere, che so, “Guerre stellari”...o l’altro, come si chiama, “Il ritorno dello Yeti” ! -

- “Il ritorno dello Jedi”, mamma...li ho già visti tutti e due almeno trenta volte ! Non ho voglia di guardare la tivù, voglio vedere Amy ! - Era troppo, gli sembrava di essere un bambino dell’asilo.

- La vedrai domani, tesoro, che fretta hai ? Dai retta a me, è meglio che tu stasera non esca. -

Ma quando mai esco la sera ? ! avrebbe voluto risponderle Julian.

Alla fine, dopo aver tentato di insistere ancora un po’, il ragazzo aveva dovuto cedere come al solito. Allora si era detto che, comunque, una telefonata ad Amy, almeno, poteva farla, ma aveva scoperto, con suo ulteriore sconforto, che la ragazza era in visita da alcuni parenti e sarebbe tornata il fine settimana.

Julian, quindi, dovette rassegnarsi a passare una noiosissima serata chiuso in camera sua, dopo aver detto a sua madre che era effettivamente molto stanco. Il che era una frottola, naturalmente, e il ragazzo non ebbe il minimo senso di colpa per aver fatto preoccupare la mamma, anzi, visto che lui non aveva fatto altro che dar corda alle sue fisime, forse lei sarebbe stata anche contenta di aver ragione.

Almeno Amy torna tra due giorni, si era detto.

Scacciando dalla mente il ricordo della sera prima, Julian si mise a sedere sul letto. Chissà che ore sono ? si disse. Tanto vale che mi alzi.

Allungò una mano per afferrare la sveglia che teneva sul comodino, ma non trovò nulla.

Dove diavolo è finito il comodino ? pensò.

Sbuffando, scostò velocemente le lenzuola e balzò giù dal letto.

- Aaargh ! - urlò Julian atterrando rumorosamente sul pavimento dopo un volo di circa un metro e venti. - Ahi, ahi...ma cosa... -

- Mark, cos’è successo ? ! - esclamò una donna spalancando la porta.

MARK ? ! ?

- Ti sei fatto male, fratellone ? - disse una voce di bambina avvicinandosi al povero Julian che si sentiva ancora scuotere tutte le ossa.

- Io...OOUFF ! - Un ragazzino di circa sette anni era saltato ridendo sul petto del ragazzo che, sdraiato di schiena, era ormai incollato alle mattonelle.

- Fratellone, fratellone, sei caduto dal lettone ! - cantò un altro bambino tra le risate dei fratellini.

- Ti sei fatto male, tesoro ? Ma come hai fatto a... - disse la donna aiutando Julian a rimettersi in piedi dopo aver alzato la tapparella.

- Veramente...non lo so...io... - Il ragazzo era sconvolto. Ma chi sono questi ? si domandò tastandosi ogni parte del corpo per sentire se era ancora tutto intero. Oddio, se non mi becco un infarto questa volta...MA...

Julian si bloccò all’istante dopo essersi toccato la nuca ; là dove avrebbe dovuto esserci solo il suo collo, il ragazzo sentì invece una massa fluente di lunghi capelli.

Restando un attimo senza respirare, Julian osservò le facce che lo circondavano, e che non aveva mai visto prima ; poi si guardò le mani.

- No...no... - disse con voce tremante mentre ricominciava a respirare sempre più profondamente, sempre più in fretta...

- Mark, che cos’hai ? - disse la donna, sempre più preoccupata.

Julian, disorientato, scappò fuori dalla stanza e si guardò in giro finchè non intravide il bagno, grazie alla porta semiaperta. Dopo esservisi fiondato dentro, sbattè la porta e, sconvolto, si aggrappò al lavandino, ansimando, senza avere il coraggio di alzare la testa per guardarsi allo specchio.

Poi, raccogliendo le forze, sollevò lo sguardo ; quando capì di stare osservando la faccia di Mark Landers, anziché la sua, si accasciò sul pavimento tremando, stringendosi l’addome con le braccia.

- Mark ? Mark ! Stai bene ? -

Perché quella donna continuava a chiamare Mark ? Perché lui era lì ? Cos’era successo ? Devo pensare, pensare, pensare...

- Va tutto bene... - disse, quasi senza rendersene conto - Tutto bene...tutto bene... -

Poi si alzò di scatto, si chinò sul water e vomitò.

 

 

Quella stessa notte, a Hokkaido, Philip e Jenny erano seduti sul prato della villetta di lui, teneramente abbracciati, a vedere le stelle.

- Non poteva esserci una serata più bella per il tuo ritorno - disse Jenny sollevando leggermente la testa verso il suo ragazzo.

- Mai bella quanto te - disse lui baciandole il collo.

- Mmm...scommetto che lo dici a tutte... -

- Tutte chi ? -

- Tutte le donne con cui mi tradisci durante la mia assenza...ma perché mi sono trovata un ragazzo tanto irresistibile ? - rispose lei abbracciando Philip ancora più forte.

- Oooh...sono cavoli tuoi, amore...mi hai voluto tu...e adesso ti cucchi anche gli inconvenienti ! - disse Philip continuando a baciarla - Comunque puoi stare tranquilla... -

- Non mi tradisci ? - disse lei ridendo.

- Certo che sì, ma sono serio solo con te ! -

Jenny scoppiò in una risata cristallina. - Sei stupido come una capra...ma ti amo lo stesso ! -

- Anch’io ti adoro da morire - rispose lui, e, lentamente, avvicinò le sue labbra verso quelle di lei.

All’improvviso, l’espressione di Jenny cambiò radicalmente.

- Che cazzo stai facendo ? ! ? - esclamò dando a Philip un forte spintone che lo fece cadere all’indietro.

- Ma...Jenny ! Cosa... ? -

- Jenny un cazzo, brutto maiale che non sei altro! Lo sapevo che eri un pervertito ! - disse poi la ragazza alzandosi in piedi di scatto, guardandosi intorno spaventata.

- Dio mio...ma cosa ti sta succedendo ? ! - esclamò Philip, sgomento, tentando di rialzarsi.

- Stammi bene a sentire, figlio di puttana ! Prima che ti ammazzi devi dirmi : primo, dove cazzo siamo ; secondo, perché sono conciato cosìììììì ! Ahia ! - Jenny (o quella che doveva essere lei) cadde rovinosamente al suolo sotto lo sguardo basito di Philip.

- Vaffanculo ! Cosa cazzo ci faccio con i tacchi ? ! Fa parte del gioco ? ! Ma che razza di droga mi hai propinato, maledetto stronzo ? ! - La ragazza girò zoppicando per il giardino, con una mano alla fronte e l’altra al fianco.

- Ma di cosa cavolo stai parlando, Jenny ? ! Per favore, cerca di calmarti ! ! - Philip era davvero sconvolto. - Non...non ti ho mai sentito dire una parolaccia da quando ti conosco, e ora hai detto “cazzo” almeno cinque volte di fila ! -

- E chi cazzo se ne frega di quante volte ho detto “cazzo”, cazzo ! Questa sarà la sesta ! E allora ? -

Philip scosse la testa, incredulo. - Tu non puoi essere Jenny - disse

- Ma noo...sono Britney Spears ! Certo che non sono Jenny, porca puttana ! Sono Benji Price, idiota ! - La ragazza afferrò Philip, che credeva di svenire, per il collo della camicia e lo avvicinò bruscamente al suo viso. - E adesso ti conviene dirmi perché sono qui, altrimenti ti spacco il culo, Callaghan ! -

 

 

La notte, in Thailandia, era decisamente caldissima. Benji, sulla sua sdraio, ridacchiò pensando che, mentre i suoi sfigatissimi compagni di squadra stavano boccheggiando nelle loro case, lui si trovava sulla terrazza di uno dei più lussuosi alberghi di Bangkok a sorseggiare un favoloso cocktail. Era partito subito dopo gli allenamenti, quello stesso pomeriggio. Il viaggio era stato lungo e stancante, ma ne era valsa la pena... Nonostante Freddie lo piantonasse, sicuramente avrebbe trovato il modo di divertirsi un mondo ; in fin dei conti, non era forse Benjamin Price, il mitico Super Great Goal Keeper, noto in (quasi) tutto l’universo ?

Ad un tratto, Benji si sentì molto, molto strano. Scosse un attimo la testa e si guardò attorno, come se non riconoscesse il posto in cui si trovava. Quindi, sempre con uno sguardo interrogativo sul volto, rientrò in camera e si sedette sul letto. Dopo un attimo, Freddie Marshall fece capolino dalla porta.

- Benji, vai a letto e spegni quella maledetta luce. - disse - Domani devi alzarti alle sette per gli allenamenti ! -

Benji guardò con aria incredula il suo preparatore atletico.

- Si può sapere che cos’hai ? - domandò Marshall incuriosito e un po’ seccato.

- Benji ? Io non sono Benji ! - rispose il ragazzo con uno sguardo ebete - Io sono Oliver Hutton, signor Marshall ! Mi potrebbe dire dove sono ? -

 

 

Detto questo, cari lettori, provate ad immaginare quale fu la reazione di Jenny quando, quella mattina, si svegliò in una camera completamente tappezzata da poster di calciatori, a Fujisawa...

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Capitolo 3

 

 

- Guardami, maledizione, guardami ! ! ! - urlò Benji, ormai ospite del corpo di Jenny, scuotendo Philip avanti e indietro - Spiegami come cazzo è potuta succedere una cosa del genere ! -

- Adesso, basta, diamoci una calmata, accidenti ! ! ! - rispose Philip liberandosi con uno strattone.

Benji, ormai con il fiatone, si portò le mani al volto e si sedette pesantemente sull’erba.

- Allora, cerchiamo di ricapitolare - disse Philip cercando di mantenere la calma e sedendosi accanto al ragazzo (ragazzo ? NdS) - Innanzi tutto, dammi solo una dimostrazione del fatto che sei davvero Benji Price e non è uno scherzo di pessimo gusto. - Il che vale a dire che non sei matta da legare, pensò Philip.

- Senti, amico...se vuoi ti snocciolo tutta la formazione dell’Amburgo... -

- No, meglio ancora ! Dimmi quanti gol da fuori area ti sei fatto segnare da Mark Landers durante l’ultimo campionato ! -

- Stai cercando di fottermi ? A parte il fatto che la Toho è stata sbattuta fuori alle semifinali e le nostre squadre non si sono mai incontrate direttamente, vuoi che quella mezza sega di Landers riesca a farmi gol da fuori area ? Quello, con me in porta, non segnerebbe nemmeno se avessi le mani legate ! Da fuori area, poi ! HA ! ! !  Ma non farmi ridere ! ! ! Sono il Super Great Goal Keeper, io ! ! ! -

- Eri il Super Great Goal Keeper... - disse Philip con una smorfia di disgusto - Adesso, Dio solo sa come, ti sei incarnato nella mia ragazza...e la cosa mi fa particolarmente incazzare perché VORREI TANTO SAPERE CHE ACCIDENTI DI FINE HA FATTO JENNY ! ! ! - sbottò poi il ragazzo, ormai sull’orlo della crisi di nervi.

- Mio Dio, non ci posso credere... Se penso che fino a cinque minuti fa ero stravaccato sulla terrazza dello Star Hotel di Bangkok con un favoloso Manhattan  che mi bagnava il gargarozzo... - continuò Benji, quasi in lacrime, ignorando la protesta del povero Philip.

- CHI SE NE FREGA DEL TUO FOTTUTISSIMO MANHATTAN ! ! ! DIMMI DOV’E’ JENNY, STRONZO ! ! ! -

- Ma cosa vuoi che ne sappia ? ! ? Sarà finita...oddio...ti prego, fa che non sia così... - disse Benji tremando mentre Philip, che aveva preso il sopravvento su di lui, lo stava scuotendo per le spalle.

- Così come ? ! ? -

- Devo chiamare subito Freddie - disse Benji alzandosi di scatto e correndo verso la casa di Philip - Phil, dov’è il telefono ? -

- Tu non chiami proprio nessuno, bello mio ! Prima mi dici dov’è la mia ragazza ! ! - replicò Philip trattenendo Benji per un braccio.

- MA NEL MIO CORPO, IMBECILLE ! ! ! - sbottò Benji - Sai fare due più due, porca miseria ? ! ? Per questo devo parlare con Freddie ! Lui saprà sicuramente dire se in questo momento sto dando segni di squilibrio...il mio corpo, volevo dire... Dannazione, è tutto così complicato ! ! ! -

- Bravo, bella idea ! - aggiunse Philip - E tu pensi che riuscirai a convincere Freddie che sta parlando con te ? Ma smettila ! -

- Allora chiamalo tu ! Inventati una scusa, che so, fingi di voler parlare con me... -

- Uhm...questo si può fare ! Però poi la telefonata me la paghi tu, eh ! -

- D’accordo, dannato spilorcio...ti farò un assegno non trasferibile ! Dammi il telefono, svelto ! -

Una volta in casa, Benji non ci impiegò molto a recuperare il numero dell’albergo, e altrettanto facilmente riuscì ad aver quello della camera di Marshall.

- Rispondi...ti prego...rispondi... - disse Benji.

Ad un tratto, qualcuno sollevò la cornetta.

- Pronto ? - disse la profonda voce di Freddie Marshall.

- E vai ! ! ! - esclamò Benji, che teneva l’orecchio incollato a quello di Philip.

- Taci, deficiente ! - sibilò il ragazzo - Pronto, signor Marshall ? Sono Philip Callaghan ! -

- Callaghan ? Ah, sì, quel Callaghan...che vuoi ? - rispose l’uomo in modo abbastanza brusco.

- Ecco...mi dispiace per l’ora, ma avrei bisogno di parlare con Benji...è piuttosto urgente ! -

- Molto urgente ! - urlò Benji nella cornetta. Philip gli diede uno spintone facendolo scostare dal telefono.

- Guarda, Callaghan...io Benji te lo posso anche passare, però... -

- Però cosa ? - disse Philip.

- ...però in questo momento non c’è molto con la testa, se mi concedi l’espressione... Ho paura che non si senta bene, forse ha preso una malattia del posto...penso che chiamerò un medico, sembra quasi che deliri... -

- Non importa, me lo passi lo stesso ! - Lei è lì, non c’è dubbio, si disse Philip.

- Se proprio ci tieni... Benji, vieni, c’è Philip Callaghan che ti vuole ! -

Philip e Benji fremevano dall’impazienza.

- Ehilà, Philip ! Come butta ? - I due ragazzi ebbero un tuffo al cuore.

- Je...Jenny ? - disse Philip dubbioso.

- Jenny ? Quale Jenny ? Ah, stai parlando della tua ragazza ? Ma no, non sono Jenny ! - rispose ridendo la voce di Benji, in un tono stranamente svanito - A dir la verità se non fossi sicuro di sapere chi sono comincerei a dubitarne...ma tu lo sapevi di questo ritiro a Bangkok ? Io mica me lo ricordavo ! Quando venite tu e gli altri ? -

- MA CHE DIAVOLO STAI DICENDO, RAZZA DI...OUCH ! - Benji, che aveva temporaneamente preso possesso della cornetta, ricevette una tremenda gomitata nelle costole da Philip.

- Hey, Phil, ma non era la voce di Jenny ? Perché la cercavi se è lì con te ? -

- Senti, ma...sei sicuro di essere proprio tu ? - borbottò Philip.

- Mah...a dir la verità stasera mi sento un po’ confuso...sarà stato il viaggio... Comunque c’è il signor Marshall che si comporta in modo piuttosto strano...non dirlo a nessuno, ma... - La voce di Benji si abbassò fino a diventare un sussurro. - ...credo che ci sia in ballo un’ amichevole con la Thailandia ! Però non dirlo agli altri, penso sia una sorpresa ! Allora, quando venite ?...Philip ? Pronto ? -

Philip aveva riagganciato e si era buttato su una sedia, sconvolto.

- Non è lei di certo...cavolo, ma dove sarà finita ? ! ? -

- Vorrei tanto saperlo anch’io... - disse Benji massaggiandosi il torace ancora dolorante - Anche perché, se non si tratta di Jenny, allora chi c’è nel mio corpo ? -

- Che ne so ? Eppure quel tono di voce...e quel modo di parlare...mi sono stranamente famigliari ! -

- Chiunque sia è un idiota - disse Benji, secco - Come si fa ad essere così tranquilli in una situazione del genere ? ! -

- Appunto...e adesso che facciamo ? -

- Cosa facciamo ? ! IO cosa faccio, piuttosto ! Guarda come sono conciato ! Non posso di certo tornare a casa così ! -

- No di certo...oh, oh ! Mi ero dimenticato di un piccolo particolare... -

- Spara - disse Benji, preoccupato.

- Tu...Jenny è ospite da me fino alla settimana prossima...poi dovrà tornare a New York ! -

- A NEW YORK ? ! ? IO DOVREI ANDARE IN AMERICA ? ! ? -

- E dovresti anche restarci - disse Philip - Ormai Jenny vive là, pensavo che tu lo sapessi... -

- Non se ne parla. Io resto qui. -

- E allora inventati qualcosa. Comunque è meglio se ci pensiamo domani, sto morendo di sonno. Ah, a proposito... -

- Che c’è ? -

- Tu dormi sul divano, okay ? -

- Alla faccia dell’ospitalità ! - esclamò Benji - Sei sempre così galante con la tua ragazza ? -

- Con la mia ragazza, sì - rispose Philip troncando il discorso.

 

Ma ora torniamo a Tokyo, al mattino successivo...

Mark, ovviamente, non poteva credere ai propri occhi.

Non...non è possibile...io sto sognando...adesso mi sveglio e sono a casa mia, a Fukuoka, con mia madre  e i miei fratellini...

Si toccò ancora il viso, come se cercasse di togliersi una maschera. All’improvviso, gli tornarono in mente le parole di Evsebius :

- Immagini di vivere la vita di un altro... Ormai ha fatto la sua scelta... -

Non poteva essere veramente stato lui...

La trasposizione.

Mio Dio...

Era andata così ?

Mark aveva detto che avrebbe scambiato volentieri la sua vita con quella di Julian Ross ed Evsebius l’aveva preso in parola...

E adesso cosa faccio ?

Improvvisamente qualcuno bussò alla porta, facendo sobbalzare Mark. Il suo cervello lavorava freneticamente.

- Signorino Julian, la colazione è pronta. - disse la voce di una giovane donna.

COSA FACCIO ? ! ?

- Signorino Julian ? -

- Chi...chi è ? -

- Sono Deborah, signorino...si sente bene ? -

Mark non sapeva ancora se aprirle o scappare dalla finestra. Calmo, si disse. Ragiona. Se non apri, capirà che c’è qualcosa di strano, e allora cominceranno i guai...

- Eccomi - rispose Mark, aprendo la porta. La cameriera lo guardò in modo strano.

- E’ tutto a posto ? I signori la stanno aspettando. -

- Sì, sì...scendo subito. Uh, ho una fame da lupi... - disse il ragazzo, simulando indifferenza e richiudendosi la porta alle spalle.

- Ma...scende così ? - domandò Deborah, sempre più perplessa.

- Sì...perché ? -

- Non preferisce una vestaglia? - Mark capì che la cameriera alludeva al fatto che il ragazzo era ancora in pigiama ed aveva un aspetto piuttosto stravolto.

- No, no...ora mi vesto. Scendo tra un attimo. -

- Se lo desidera...ma suo padre deve partire tra poco, e sperava almeno di riuscire a fare colazione insieme a lei e a sua madre. -

- Okay, in questo caso fuori la vestaglia... - disse Mark alzando gli occhi al cielo.

Deborah scosse un attimo la testa. - Come, prego ? -

Oddio, mi sa che devo cambiare linguaggio, pensò Mark mordendosi la lingua.

- Ehm...volevo dire che...le sarei grato se mi porgesse una...una...veste da camera, Miss Deborah. -

Miss Deborah ? ! pensò la cameriera.

- Veramente la vestaglia è dietro di lei...appoggiata alla sedia in fianco al letto, signorino. -

Mark si voltò di scatto. - Uh, grazie ! - disse prendendo la vestaglia e indossandola un po’ maldestramente a causa dell’agitazione.

- Porc...dov’è finita quella manica del... ? ! - borbottò il ragazzo.

- Ehm...ha bisogno di una mano ? - intervenne Deborah aiutando Mark a vestirsi.

- Grazie mille...he, he, queste vestaglie sono sempre un problema...ma dov’è finita la cintura ? -

- All’interno, signorino...l’ha indossata al contrario ! - disse Deborah togliendo la vestaglia al ragazzo - Lasci, ci penso io... - La cameriera si lasciò sfuggire una risatina, ma si ricompose subito quando capì che il suo padrone l’aveva notata e ne stava arrossendo.

- Mi scusi, signorino...non volevo... -

- No, no, non si preoccupi...oggi sono un po’ schizzat...ehm...volevo dire fuori di melon...cioè... -

- Credo sia meglio andare... - lo interruppe Deborah, divertita ma anche un po’ preoccupata dallo strano comportamento del ragazzo.

Che palle, pensò Mark scendendo le scale con Deborah al seguito, quante formalità...e pensare che io, a casa mia, faccio regolarmente colazione in mutande... Va beh, è meglio se ci adeguiamo, almeno finchè la situazione non torna alla normalità...mah, forse sono finito in una specie di dimensione parallela e...

- Julian, finalmente ! - esclamò una donna che camminava avanti e indietro in fondo alle scale - Mi stavo preoccupando... -

Mark la guardò un attimo. Quella dev’essere la madre di Julian, pensò notando che aveva gli stessi tratti delicati del figlio. Okay, facciamo finta di niente e cerchiamo di essere disinvolti.

- Ciao, ma’ ! - esclamò il ragazzo alzando una mano. Ad un tratto, Mark inciampò nella lunga vestaglia e ruzzolò per metà scala.

- Signorino Julian ! - esclamò Deborah.

- Tesoro ! - gridò la donna precipitandosi a soccorrere il figlio - Mio Dio, ti sei fatto male ? Gregory ! Gregory ! -

- No, no, tutto okay...volevo dire, sto bene, mamma, non preoccuparti ! -

La donna lo ignorò. - Deborah, chiama subito un’ambulanza... -

- Cos’è successo ? - esclamò un uomo distinto precipitandosi fuori da una stanza.

- Julian è caduto dalle scale...Mio Dio, Gregory, dobbiamo portarlo subito all’ospedale ! -

- Ma sei matta...cioè no, tranquilla, sto benone, guarda... - disse Mark alzandosi in piedi di scatto e saltellando prima su una gamba, poi sull’altra facendo risatine nervose. La donna era sull’orlo delle lacrime.

- Ne...ne sei sicuro ? Io chiamerei lo stesso il dottor Clarke, non si sa mai, magari hai preso una botta e... -

- Va tutto bene, Ashley, non vedi ? - disse l’uomo tentando di rincuorarla - E’ stata solo una stupida caduta...con tutte le volte che cade giocando a pallone...vero, figliolo ? - L’uomo sorrise, e Mark lo trovò estremamente rassicurante.

- Ma certo, ormai sono una roccia, io ! - disse.

Ancora un po’ agitata, la donna si alzò asciugandosi gli occhi.

- E’ che...mi ero un po’ preoccupata non vedendoti scendere... -

- Ti preoccupi sempre troppo, cara. Avrà dormito un po’ più del solito, non è il caso di agitarsi così...ora, però, andiamo a tavola. Devo prendere un taxi tra un quarto d’ora. -

Mark seguì i genitori di Julian in una grande sala dall’arredamento molto elegante, al centro della quale si trovava una tavolo rettangolare apparecchiato di tutto punto. Il ragazzo si sedette in quello che supponeva fosse il suo posto, sul lato lungo ; aveva davvero fame, e il pensiero del ben di Dio che lo aspettava gli fece passare per un po’ l’ansia di risolvere la sua situazione.

- La sua colazione, signorino Julian. - disse Deborah portando un grosso vassoio.

Si mangia ! pensò Mark fregandosi le mani.

Quando la cameriera posò il vassoio accanto al lui, però, la sua espressione passò dal godurioso al deluso.

- Tutto qui ? ! - disse, osservando la tazza di latte con cereali e i tre striminziti biscotti integrali che lo guardavano dal piatto, mentre papà e mammà si stavano sbafando delle splendide fette di pane con il burro e la marmellata dopo averle immerse in un profumatissimo tè bollente.

I due guardarono il figlio con aria perplessa.

- Julian...sono sette anni che fai colazione in questo modo... - disse il padre - Lo sai che devi stare leggero e il tè non ti fa bene... -

- Ah, già... - disse il ragazzo . Dimenticavo che sono malato di cuore. Che culo ! pensò, arrabbiato. Va beh, con la fame che ho...

Mark affondò il cucchiaio nella tazza, e quando lo estrasse lo guardò con disgusto.

- Bleah, muesli ! - esclamò.

- Julian, un po’ di contegno a tavola ! E poi i muesli ti sono sempre piaciuti... - disse la madre - Cos’hai, tesoro ? -

- Nienteee...anzi ! E’ vero, mi sono appena ricordato che adoro i muesli ! Gnam ! Ho proprio una fame da lupi ! - disse Mark cercando di camuffare l’espressione schifata che si dipinse sul suo viso dopo aver ingurgitato una grossa cucchiaiata di cereali. Metto in conto anche questo, Julian Ross !

Nessuno più aprì bocca per tutta la durata della colazione.

- Bene, io devo andare - disse poi Gregory pulendosi la bocca col tovagliolo - Ashley, ricordati di chiamare i Morgan per la festa di dopodomani... - Morgan ? Festa ? pensò Mark preoccupato.

- Non preoccuparti...buon lavoro, caro ! - disse la donna dando un bacio volante la marito.

- E tu goditi il meritato riposo...ieri Theodore ha pulito la piscina, puoi farti un bel bagno, se ti va ! -

Piscina ? pensò Mark iniziando a gongolare.

- Altroché ! - rispose. Gregory guardò suo figlio e gli sorrise di nuovo, dandogli una leggera pacca affettuosa sulla nuca prima di lasciare la stanza. Mark lo seguì con lo sguardo. Aveva gli stessi occhi e la stessa espressione calma di Julian. Per un attimo provò una sensazione strana ; invidiava quasi il ragazzo di cui aveva preso il posto, non per l’agio in cui viveva ma per l’idea...di avere un padre. Mark il suo non se lo ricordava neanche più.

- Comunque oggi sei davvero strano, Julian - disse Ashley facendo tornare in sé il ragazzo - Sei sicuro di stare bene ? -

- Benissimo - rispose Mark alzandosi. Deborah lo guardò come per dire “sicuro ?” . - Sono solo un po’ stanco. Stanotte ho dormito un po’ male. -

- Oh, se è così, puoi prendere un po’ di valeriana ! Deborah, per favore, porta a Julian... -

- Mamma - lo interruppe il ragazzo con voce ferma - Sto bene. Non preoccuparti. Vado in camera mia, devo vestirmi. Buona giornata. - disse poi Mark infilando velocemente il corridoio.

- Julian ! -

- Che c’è ? ! - esclamò il ragazzo voltandosi di scatto.

- Le scale sono dall’altra parte...buona giornata, tesoro ! - disse timidamente Ashley.

Mark arrossì e corse via.

- Io chiamo il medico - disse Ashley appena il figlio fu fuori dalla sua portata acustica.

- Non credo sia il caso, signora - azzardò Deborah - Forse è solo un po’ pensieroso...credo che sia meglio lasciarlo un po’ da solo. -

- Forse hai ragione, Deborah, però oggi è così strano.... -

Una volta in camera, Mark sbattè pesantemente la porta e si buttò sul letto.

Calma, Mark, niente panico, pensò. Forse non si sono accorti di niente. In fin dei conti capita a tutti di avere delle giornate no, giusto ? Quindi non agitarti, respira profondamente e...

Lo sguardo di Mark cadde sull’armadio.

...e magari vestiti. Non puoi stare in pigiama tutto il giorno. Ti dai una lavata (così magari ti svegli) e poi cominci a ragionare.

Il ragazzo si diresse verso l’armadio.

- Allora, vediamo cosa offre la ditta. - disse aprendone due ante.

- Ammazza, che ordine ! - esclamò osservando le maglie e la biancheria perfettamente ripiegate sugli scaffali, e i pantaloni e le camicie appese - Se penso che io scaravento tutto dove mi capita...va beh, però lui ha la cameriera e io no... -

Mark tirò fuori un pacco di magliette e le esaminò una per una.

- Però ! Ralph Lauren, Valentino, Lacoste...si tratta bene il signorino ! - disse ridendo - Beh, vorrà dire che mi tratterò bene anch’io...almeno finchè questa specie di incubo non finisce ! -

 Il ragazzo andò verso la finestra e osservò il grande parco che circondava la villa. Dietro gli alberi, riusciva a distinguere il rettangolo azzurro della piscina. Poi gettò ancora uno sguardo alla lussuosa stanza, esaminandone la grande e ordinatissima libreria, il computer sulla scrivania, lo stereo...

- Che pacchia ! ! ! - esclamò gettandosi di nuovo sul letto - Adesso voglio proprio vedere di cosa ha il coraggio di lamentarsi, quel fighetto ! -

- Julian, sei lì ? - disse Ashley bussando delicatamente alla porta. Mark si alzò di scatto.

- Sì, un attimo...che c’è ? -

- Niente, tesoro...volevo solo ricordarti di prendere la digossina ! -

Digossina ? pensò Mark. Ah, forse è la medicina per il cuore...

- Sì, la prendo subito, mamma ! - rispose.

- Bravo...io adesso esco con Theodore a fare un po’ di shopping. Tu riposati, mi raccomando ! -

- Okay, ciao ciao... -

Quando fu certo che la donna se ne fosse andata, Mark si precipitò alla ricerca del farmaco.

- Ma dove diavolo le tiene, le medicine ? Accidenti, ecco una cosa a cui devo stare attento...se mi tocca vivere nel corpo di Julian, devo tenermi anche gli inconvenienti... proviamo a vedere qui... - disse poi Mark aprendo il cassetto del comodino - Bingo ! Eccole qua ! -

Il ragazzo rimase un po’ perplesso nel vedere il caos che regnava in quel cassetto, con confezioni di pastiglie e gocce messe alle rinfusa e blister mezzi vuoti fuori dalle rispettive scatole. Ne tirò fuori alcune, leggendone i principi attivi.

- Certo che Julian non deve avere un buon rapporto con questa roba, visto come la tiene...ma dove diavolo è quella benedetta digossina ? Ah, trovata. E adesso quanta ne prendo ? Non vorrei sbagliare la dose, chissà che cavolo di effetto fa... -

Mark andò verso la porta con la scatola in mano. - Magari Deborah me lo può dire...certo che però potrebbe insospettirsi...ormai Julian prende questa robaccia da anni, ne conoscerà vita, morte e miracoli... -

Ad un tratto il telefono suonò. Solo due squilli, ma furono sufficienti a far sobbalzare il ragazzo. Dopo qualche istante, Deborah bussò di nuovo alla porta.

- Signorino Julian, è per lei - disse la ragazza porgendo il cordless a Mark, che le aveva aperto la porta tremando. Oh, oh...

- Chi è ? - chiese il ragazzo.

- Un certo Mark Landers. Dice che è importante. -

 

Poco prima, a Fukuoka...

- Mamma, Mark non vuole uscire dal bagno ! - esclamò il piccolo Justin.

- Mark ! Mark ! Per favore, apri la porta ! - gridò la donna, sempre più spaventata - Oddio, lo sapevo che dovevo chiamare un’ambulanza... -

Julian era ancora seduto in un angolo del piccolo bagno, ansimante. Le aveva provate tutte, si era dato un pizzicotto, si era preso a sberle, aveva perfino provato a strapparsi la pelle della faccia, pensando che qualcuno gli avesse appiccicato addosso una specie di maschera per fargli uno scherzo...uno scherzo di pessimo gusto, in verità...ma non c’era stato niente da fare. Dio solo sapeva come, si era trasformato in Mark Landers, e ora si trovava perfino a casa sua...

Tirando un profondo respiro, si alzò. Sentì la madre di Mark che lo chiamava, disperata, e capì che non era il momento di creare ulteriori casini.

- E’ tutto a posto...mamma - disse con voce tremolante - Sto meglio. Adesso esco. -

Aprì piano la porta, sperando che le persone che si trovavano dall’altra parte si fossero volatilizzate e tutto fosse tornato a posto. Invece, appena socchiuse l’uscio, fu travolto dagli abbracci di tre ragazzini che gli erano saltati addosso ridendo.

- Stai bene, fratellone ? - disse il più piccolo saltandogli sulla schiena.

- Justin, scendi subito da lì ! - esclamò la donna - Katherine, porta via tuo fratello...Robert, tu vai a prendere un bicchiere d’acqua ! - disse poi rivolgendosi al più grandicello.

I tre bambini corsero via. - Caro, sei sicuro di stare bene ? Io chiamerei un dottore...hai preso un brutta  botta con quella caduta... -

Katherine, Justin, Robert, pensò Julian ignorando le parole della donna.

- Mark... - disse lei, sempre con voce preoccupata, accarezzando la testa del figlio.

- Scusa ? - disse il ragazzo scuotendosi.

- Ti ho chiesto se va tutto bene...forse è meglio che tu vada a stenderti un momento... -

- Sì...credo di sì... - rispose Julian massaggiandosi la schiena - Comunque sto bene, davvero, non ti devi preoccupare. Mi sono solo spaventato un po’. - E lo sono ancora, eccome, pensò.

Robert gli porse un bicchier d’acqua. - Grazie, Justin - disse Julian.

- Ma io sono Bob ! - rispose il bambino, un po’ offeso.

- Scusa, Bob...oggi il tuo fratellone è un po’...confuso, he, he ! - disse Julian sforzandosi di ridere, anche se, chiaramente, era l’ultima cosa che aveva intenzione di fare.

- Ascolta, Mark - disse la madre scostando i ragazzini e conducendo il figlio in salotto - Ora devo andare al lavoro. Porto i ragazzi da zia Dolly, così potrai stare un po’ tranquillo. Per oggi non preoccuparti, vado io ad avvertire il signor Johnson. -

Julian si stese sul divano, ancora indolenzito, senza prestare attenzione alle parole della donna.

- Allora, hai capito ? Adesso devo proprio scappare. Se hai fame puoi scaldare la cena di ieri sera, è in frigo. Ci vediamo più tardi. - disse lei depositando un bacio sulla fronte di Mark - Bambini ! Andiamo, svelti ! -

I tre piccoli salutarono il fratello e seguirono la madre ridendo.

Julian, accelerando il respiro per l’ansia, aspettò di sentire la porta di casa chiudersi ; quindi si alzò di scatto e si guardò in giro finchè non vide il telefono su un mobiletto accanto all’ingresso. Il ragazzo ci si fiondò sopra e, con il cuore in fibrillazione, compose il numero di casa propria.

Dopo due squilli, una giovane donna rispose.

- Casa Ross. -

- Deborah, sono io, Julian ! ! ! - esclamò il ragazzo.

La cameriera sbuffò. - Senta, spiritosone - disse - Il signorino Julian è appena salito in camera sua e io non sono proprio in vena di scherzi. -

In un lampo, Julian ebbe chiara tutta la situazione.

- Scusi, signorina...volevo dire...c’è Julian, per favore ? E’ molto importante. Sono... - Il ragazzo tentennò un momento. - ...Sono Mark Landers. -

- Attenda un attimo. -

Julian trattenne il respiro.

- Pronto ? - rispose una voce tremante dall’altro capo del filo.

- Mark -

- Julian -

I due rimasero un momento senza parlare, sconvolti, dopo essersi vicendevolmente riconosciuti.

- Oddio, ma allora...anche tu...è tutto vero... - disse Mark.

- Pare di sì. - rispose Julian. Poi, scuotendosi un attimo, disse : - Hey, è tutto vero cosa ? ! -

Mark non gli fece caso. - Dove sei ? - chiese.

- A casa tua, dove vuoi che sia ? -

- Un momento, mi stai chiamando da casa mia ? -

- Beh, certo, se ti ho appena... -

- Ma sei matto ? ! E’ un’interurbana ! Costerà un capitale ! Riattacca subito ! ! -

- Uff, allora chiamami tu, ma fa’ in fretta. -

- D’accordo. -

Julian riagganciò asciugandosi la fronte dal sudore. Ma come si fa a pensare ai soldi in questo momento ? ! Certo che però fa una certa impressione sentire la propria voce al telefono...

Dopo pochi secondi il telefono squillò.

- Mark - disse Julian sollevando velocemente la cornetta.

- Lo so che sei Mark, ti ho riconosciuto ! Come stai, figliolo ? - rispose una voce d’uomo.

Oh, cavolo, pensò Julian.

- Ehm...chi parla ? - disse tentennando.

- Come chi parla ! Sono Johnson, il tuo “principale” ! Devi aver preso proprio una bella zuccata, ragazzo... -

Julian si diede una manata sulla fronte, ricordandosi che Mark lavorava.

- No, sto bene, signor Johnson...è che la linea è un po’ disturbata... - mentì il ragazzo.

- Davvero ? Strano, io ti sento benone...Volevo dirti che è appena passata tua madre all’edicola. Mi ha detto che sei caduto dal letto... - Rise. - Spero che non ti sia fatto troppo male. Comunque non preoccuparti, oggi puoi rimanere a casa, può benissimo sostituirti Billy nella consegna dei giornali. Cerca di riprenderti alla svelta, mi raccomando ! -

- Gra...grazie, signor Johnson, è stato molto gentile. -

- A domani, allora ! -

- Sì...a domani. - disse Julian riagganciando.

Il telefono suonò di nuovo.

- Pronto ? - disse Julian.

- Con chi diavolo eri al telefono ? ! ? - sbraitò Mark.

- Con il tuo capo, maledizione ! Per fortuna mi...ti ha dato una giornata di riposo, per oggi ! -

- Mamma mia, mi stavo dimenticando di tutto... - disse Mark portandosi una mano alla fronte.

- Mark, vuoi spiegarmi cosa diavolo è successo ? ! -

Il ragazzo sospirò. - Ti conviene metterti seduto...ho qualcosa di incredibile da raccontarti ! -

 

- Mi stai dicendo che hai detto ad una specie di genio di scambiare le nostre vite ? ! ? - disse Julian incredulo, dopo aver ascoltato il racconto di Mark.

- Piano, piano... - rispose Mark - Io non gli ho detto proprio niente, ha fatto tutto da solo ! Cioè...non che mi sarebbe dispiaciuto essere nei tuoi panni per un po’, ma... -

- Ma...? ! -

- Ma non immaginavo che mi avrebbe preso sul serio ! Credimi, Julian, io sono sconvolto quanto te ! -

- Mark, ti rendi conto di quello che hai fatto ? !  A parte che non so ancora se crederti  o no (ma mi sa che lo dovrò fare, vista la situazione), cosa pensi che succederà, adesso ? Io sono te e tu sei me. Come ne usciamo ? -

- Senti, aspetto che tua madre torni, poi le sequestro l’autista e vengo lì. -

- Sì, e tu credi che mia madre ti...mi lasci andare a Fukuoka così, senza batter ciglio ? Ma l’hai vista ? Le hai parlato ? -

- In effetti mi è sembrata un po’ apprensiva... -

- Apprensiva ? - esclamò Julian - No, è meglio se vengo io. -

- E con quali soldi ? - rispose Mark - Hai idea di quanto costi un viaggio in autobus da Fukuoka a Tokyo ? Per fortuna quello per andare al ritiro me l’ha pagato la Federazione, altrimenti non so come avrei fatto... -

Julian sospirò profondamente. - Stupendo...siamo in un mare di guai. -

- No, io sono in un mare di guai ! Devo lasciare mia madre e i miei fratelli in mano tua, mentre io sono qui e non posso fare un accidente ! -

- Che vuoi dire ? - disse Julian, seccato.

- Voglio dire che tu non sai fare un passo senza che la tua Deborah o il tuo Thaddeus... -

- Theodore -

- ...il tuo Theodore ti metta un piede davanti all’altro ! Non puoi renderti conto di quanto sia duro mandare avanti una famiglia ! -

Julian sbuffò. - Senti, Mark, vedi di piantarla con questa lagna. Non sono così impedito come credi. Me la caverò benissimo finchè la situazione si risolverà... -

- Seee...ti ci vedo, con il tuo fisico sano e robusto, a consegnare i giornali, Piccolo Lord delle mie ghette ! -

- Non pensare che la mia vita sia tutta rose e fiori, amico...non sarò di certo io quello che crollerà per primo, puoi scommetterci ! -

- Eh, sì...dimenticavo che è terribilmente faticoso girarsi i pollici tutto il giorno...mi sta già venendo un crampo alle dita... -

- Ma la pianti di sfottere ? ! - sbottò Julian - Se proprio la metti su questo piano, ti dimostrerò io cosa sono capace di fare, vedrai. Tu, piuttosto, pensa a ritrovare quel dannatissimo Evsebius e a risolvere la situazione. E poi... -

- Cosa ? -

- ...Poi spiegami cosa diavolo devo fare con il signor Johnson e...tutto il resto ! -

- Ma non eri tu quello che se la doveva cavare egregiamente ? - disse Mark sghignazzando.

- MARK ! ! ! -

- Va bene, va bene, scusa. Tu però devi dirmi cosa devo fare con quell’accidente di digossina e tutta l’altra robaccia tritafegato che devo prendere... -

- Non preoccuparti ! Ci tengo che il mio corpo campi il più a lungo possibile ! -

- Anch’io. Ora rimettiti comodo, dobbiamo fare una lunga chiacchierata. -

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

Capitolo 4

 

 

Quella stessa mattina, Patty era più che decisa a chiarire la situazione. Mentre si dirigeva verso la casa di Holly, ripensò alle parole di Mark ; in effetti lui non aveva tutti i torti, era inutile continuare a struggersi per un ragazzo che, forse, non la teneva minimamente in considerazione. Quindi quel giorno avrebbe certamente significato un’importante svolta per la sua vita, nel bene o nel male.

E’ ora di piantarla di fare la bella statuina, si disse. Bisogna passare all’azione.

Giunta davanti alla porta di casa Hutton, però, la ragazza ebbe un momento di esitazione. Dentro di sé, ripetè nuovamente il discorso che si era preparata durante tutta la notte, trovandolo per l’ennesima volta ridicolo e infantile. Tremando per l’agitazione, suonò il campanello.

Sta’ calma, sta’ calma, sta’ calma, si disse innervosendosi sempre di più.

Un istante dopo, la signora Hutton spalancò la porta senza nemmeno chiedere chi era, e ciò che Patty vide negli occhi della donna non le piacque per niente.

- Oh, Patty ! Speravo proprio che fossi tu ! Giuro, stavo per chiamarti ! - disse la madre di Holly trascinando la ragazza in casa dopo averla afferrata per un braccio.

- Ma...Maggie, cosa c’è ? E’ successo qualcosa a Holly ? - domandò Patty spaventata dal comportamento della donna che ora la stava spingendo su per le scale.

- Guarda, io non so più che cosa fare. Forse tu che sei una sua buona amica riesci a farlo ragionare un po’... Oddio, questa volta è davvero troppo ! -

- Cosa è troppo ? ! - disse Patty notando che Maggie Hutton non l’aveva minimamente ascoltata.

- Stamattina sono andata a chiamarlo per la colazione - disse la donna passandosi una mano sulla faccia - E lui non mi ha nemmeno aperto...gridava, piangeva, sembrava isterico...diceva che non voleva vedere nessuno... Insomma, non aveva fatto una crisi del genere nemmeno dopo la partenza di Roberto ! Non riesco proprio ad immaginare cosa possa essergli successo stavolta ! Se almeno mio marito fosse qui... -

Iniziamo bene la giornata, pensò Patty sbuffando. Maggie bussò alla porta della camera di Holly.

- Oliver, tesoro, apri ! C’è qui Patty ! Per favore, vuoi vedere almeno lei ? -

Lentamente, la porta si socchiuse giusto per uno spiraglio.

- Falla entrare e vattene. - disse una voce rotta dopo qualche istante.

Patty guardò Maggie, che si torceva le mani, con aria interrogativa. Poi, dopo che la donna ebbe dato il suo assenso con un cenno del capo, la ragazza entrò nella camera chiudendosi la porta alle spalle.

La stanza era completamente buia. Holly aveva abbassato le tapparelle in modo che la luce non potesse nemmeno filtrare. L’unico suono che si sentiva era un singhiozzo soffocato.

- Holly... ? Dove sei ? - disse Patty titubante, guardandosi intorno e cercando la sagoma del ragazzo.

All’improvviso, qualcuno balzò addosso a Patty stringendola in un abbraccio e facendola urlare dalla paura.

- Oddio, Patty ! - esclamò Holly scoppiando in lacrime - Aiutami, ti prego ! -

- Patty, cos’è successo ? ! - disse Maggie dal corridoio, con voce sgomenta.

- Tutto a posto, non si preoccupi... - disse Patty con il cuore che le stava saltando fuori dal petto mentre Holly la stringeva tra le braccia piangendo a dirotto. La ragazza era un po’ imbarazzata, ma trovava la situazione tutt’altro che spiacevole.

- Su, andiamo...cosa può essere successo di tanto terribile ? - domandò lei battendogli una mano sulla spalla per consolarlo.

- Tu...tu non puoi capire...è semplicemente assurdo ! -  continuò Holly sciogliendosi dall’abbraccio di Patty e lasciandosi cadere sul letto.

- Senti - disse Patty - Ora calmati e parliamone. Ma prima fammi alzare le tapparelle, non vedo un accidente con questo buio ! -

- NO ! ! ! - esclamò Holly afferrando la ragazza per il polso.

Patty era sconvolta. Non avrebbe mai immaginato di vedere quel ragazzo, sempre tranquillo e perso nel suo mondo di palloni da calcio, ridotto in uno stato del genere.

- Ma...c’è qualcosa che non vuoi che io veda ? - domandò con voce calma - Guarda che con me non devi vergognarti di nulla... -

- No...non è per qualcosa che non voglio che tu veda... - rispose Holly con un filo di voce - E’ qualcosa che io non voglio vedere... La mia faccia, le mie mani, il mio corpo...NON SONO MIEI ! ! ! -

Il ragazzo si alzò di scatto e, di colpo, sollevò la tapparella facendo un gran baccano.

- IO NON SONO IO ! ! ! QUESTO CORPO NON MI APPARTIENE ! ! ! IO SONO...SONO UN’ALTRA PERSONA, CAPISCI ? ! -

Patty era rimasta a bocca aperta nel vedere Holly con il volto rigato di lacrime. Pazzesco, è in piena crisi isterica, si disse. Sembra una...

La ragazza raddrizzò la schiena percorsa da un brivido. Mio Dio, pensò. Ora capisco tutto...

- Senti - disse in tono sommesso andando verso il ragazzo che si era accucciato sotto la finestra e si era di nuovo messo a piangere - Per me non è davvero un problema, te l’assicuro...e vedrai che anche gli altri capiranno, non preoccuparti. -

- Allora...allora tu sai... - disse Holly alzando lo sguardo carico di speranza verso di lei.

- Sì...credo di sì. - rispose Patty con un sorriso amaro, accarezzandogli la testa.

Holly alzò gli occhi al cielo. - Mio Dio...cosa dirò a Philip ? -

Philip, pensò Patty storcendo il naso. Fantastico. Ora so anche chi è il mio rivale.

- Ti prego, devi aiutarmi ! - disse poi il ragazzo stringendole le mani. In quel momento, però, quel gesto che fino a pochi minuti prima avrebbe riempito Patty di gioia le provocò un moto di disgusto.

- Ma certo che ti aiuterò, Holly - disse liberandosi dalla stretta e andando verso la porta senza guardare in faccia il ragazzo - Devo andare, chiamami quando vuoi. Ci vediamo. -

- Tu...tu non hai capito... -

- Certo che ho capito. Ti aiuterò, non preoccuparti. Ciao. - Detto questo, Patty uscì dalla stanza sbattendo la porta.

- Non hai capito...non puoi aver capito... - continuò Holly con lo sguardo perso nel vuoto - Io sono...Jenny...Jenny... - E si rimise a singhiozzare, con il viso affondato nelle ginocchia.

 

- Allora, Patty, che cos’ha ? - domandò la madre di Holly, preoccupata, mentre Patty guadagnava l’uscita a passi decisi.

- Niente, Maggie, non si preoccupi. E’ solo stressato. Gli passerà. - mentì la ragazza - Le consiglio solo di lasciarlo perdere per un po’. -

- Mah, speriamo... -

- Davvero, va tutto bene. Arrivederci, Maggie. - disse poi Patty percorrendo il vialetto.

Voltato l’angolo, si accucciò contro il muretto e si prese il viso tra le mani.

- Oh, Holly, Holly... - disse sospirando - Possibile che le cose stiano così ? Allora...allora è proprio vero  che per noi...non ci sarà mai...un futuro...mai...in nessun modo ! ! ! - e scoppiò nel pianto dirotto che aveva a stento trattenuto di fronte alla signora Hutton.

 

Il povero Freddie Marshall passò una notte infame in preda alle più atroci preoccupazioni per la salute mentale di Benji, mentre questo, nella stanza accanto, dormiva saporitamente. La sera prima aveva ascoltato quanto aveva detto a Philip Callaghan e tutto ciò che aveva ottenuto era stata la conferma al suo terribile dubbio, cioè che il suo pupillo si era del tutto rimbecillito. Forse era stata colpa dei pesanti allenamenti, dello stress per il ritiro...in fin dei conti era stato proprio per quello che aveva deciso di portarlo a Bangkok quella settimana...almeno avrebbe potuto spassarsela in un ambiente più piacevole senza comunque trascurare il calcio.

Il mattino successivo, quindi, con le palpebre a mezz’asta, la barba ispida e due borse sotto gli occhi grandi abbastanza per metterci dentro la spesa, Freddie ciabattò stancamente fino alla porta di Benji. Pensò che il ragazzo doveva aver dormito abbastanza e sicuramente si sentiva già meglio ; decise comunque di concedergli una giornata di riposo per rimetterlo definitivamente in sesto.

- Benji ? Svegliati, è ora di fare colazione ! - disse Freddie bussando alla porta, ma non ebbe nessuna risposta.

- Benji, sono Freddie ! Alzati e apri questa maledetta porta ! ! - gridò poi, stanco e spazientito.

Un rumore di passi rapidi risuonò dall’interno e, quando la porta si aprì, Freddie si trovò di fronte un’anziana cameriera che lo fissava seccata brandendo uno spazzettone.

- Oh, mi...mi scusi...devo avere sbagliato stanza. Credevo fosse la 414... - farfugliò Freddie imbarazzato.

- Questa è la 414. Se sta cercando il ragazzo che dorme qui, è uscito prestissimo, stamattina. - rispose la donna indicando la sveglia, sul comodino, il cui timer era regolato sulle sette - Quando lo vede, per favore, gli dica che, anche se non è scritto nel regolamento, è proibito giocare a pallone nei corridoi. Ha svegliato mezzo albergo. - Detto ciò, sbattè poco gentilmente la porta in faccia allo sbalordito Freddie, il quale, proferendo a denti stretti una serie di pesanti insulti rivolti al suo pupillo, tornò di corsa in camera, si vestì in quattro e quattr’otto e si precipitò nella hall dell’albergo.

- Dove accidenti sarà finito quel deficiente ? ! - borbottò tra sé e sé andando dritto verso il bancone della reception.

- Scusate...sto cercando Benjamin Price, della stanza 414...è un ragazzo moro, alto poco meno di me...è uscito stamattina molto presto, per caso ha lasciato detto dove andava ? -

- E’ seduto a quel tavolo da circa mezz’ora, signore. - rispose l’impiegato indicando un punto imprecisato alle spalle di Freddie.

L’uomo si voltò e vide Benji ad un tavolino vicino all’ingresso. Il ragazzo si guardava intorno con aria assente, piantonato da una specie di armadio in giacca, cravatta, auricolare e distintivo della security che teneva sotto il braccio un pallone da calcio. Freddie impallidì.

- Benji ! ! ! - esclamò dirigendosi a grandi passi verso il ragazzo.

- Oh, salve ! Sta dicendo a me, signor Marshall ! - disse allegramente il ragazzo notando solo allora la presenza del preparatore atletico.

- NON CHIAMARMI “SIGNOR MARSHALL”, PER LA MISERIA ! ! ! - sbottò Freddie facendo voltare tutti i presenti verso di lui - Si può sapere cosa diavolo hai combinato ? ! ? -

- Glie lo dico io, mister Marshall - disse l’armadio della security - E’ andato in giardino e ha cominciato a palleggiare in mezzo ai tavolini urtando i camerieri e rovesciando tre vassoi, uno dei quali addosso al signor Bill Gates (che, per fortuna, ha preso la cosa piuttosto sportivamente). Poi è corso in spiaggia e si è messo a dribblare fra le sdraio finchè, a quanto mi hanno riferito, è stato cacciato da un gruppetto di bagnanti insabbiati ed inferociti. L’abbiamo preso mentre cercava di abbattere una palma da datteri a pallonate. -

Freddie incenerì con lo sguardo Benji (che non era più Benji dalla sera precedente), il quale fece spallucce sorridendo come un bambino.

- MA CHE CAZZO HAI DA SORRIDERE, IMBECILLE ? ! ? - urlò nuovamente l’uomo facendo sobbalzare l’ignaro portiere.

- Spero che abbia una buona assicurazione, se il ragazzo è sotto la sua tutela, mister Marshall. - disse poi il gorilla in giacca.

- Non si preoccupi...metterò tutto in conto ai suoi genitori ! - ringhiò Freddie dopo aver preso il pallone che l’uomo gli tendeva e trascinando via Benji per un orecchio.

- Ahia ! Ma...signor Marshall... -

- Signor Marshall tua nonna, idiota ! Ti ha dato volta il cervello ? Adesso mi spieghi cosa ti sei messo in testa ! ! ! - disse Freddie entrando in ascensore.

- Mi stavo solo allenando come al solito...non credevo di dare fastidio a qualcuno ! -

- Senti, vedi di non fare il furbo con me ! - sbottò Freddie agitando l’indice contro il ragazzo - Ti conosco abbastanza da sapere che sei un esibizionista, ma non al punto da fare stronzate del genere ! Ci tieni così tanto ad esser buttato fuori a calci da questo posto ? ! -

Il ragazzo non riuscì a fare altro che scrollare le spalle, mentre le porte dell’ascensore si aprivano e Freddie ne usciva di corsa, infuriato. Il ragazzo lo seguì.

- Signor Mar...ehm...Freddie...mi dispiace. Le prometto che non ci saranno altri incidenti. Però... -

- Ti ho già detto... - lo interruppe Freddie, sull’orlo della crisi di nervi, appoggiando la fronte alla porta della sua stanza - ...di non darmi del lei... -

- Va bene, va bene ! Però io ho comunque bisogno di allenarmi tutti i giorni, soprattutto adesso, in vista dell’amichevole... -

- Mi stai prendendo in giro ? - disse Freddie voltandosi di scatto.

- Ci mancherebbe altro ! Non scherzo mai su certi argomenti, lei...tu lo sai bene...anzi, non vedo l’ora che arrivino gli altri per allenarci tutti insieme ! -

- Scusa...allenarsi per cosa ? - chiese Freddie con voce tremante.

- Per l’amichevole, te l’ho già detto ! -

- MA QUALE AMICHEVOLE ? ! ? - sbottò Freddie mettendosi le mai nei capelli.

- Quella con la Thailandia, no ? Perché saremmo qui, altrimenti ? -

- NON C’E’ NESSUNISSIMA AMICHEVOLE, PORCA DI QUELLA PUTTANA ! ! ! SI PUO’ SAPERE CHI TI HA DETTO UNA COSA DEL GENERE ? ! ? -

- Ma scusa, allora questo ritiro... -

- Benji...in che lingua te lo devo dire...NOI NON SIAMO IN RITIROOOOO ! ! ! -

- Ah, davvero ? -

- Benji...io sto uscendo pazzo... -

- Ma si può sapere perché continui a chiamarmi Benji ? Io sono Oliver, Oliver Hutton ! Hai dei problemi, Freddie ? Possiamo parlarne, se vuoi... -

- No, tu hai dei problemi, caro mio...e tra poco ne avrai uno molto, molto grosso... - disse Freddie scrocchiandosi le dita con aria minacciosa.

Per fortuna dell’ex-SGGK, l’uomo non riuscì ad attuare il suo proposito a causa dell’intervento di altri due agenti del servizio di sicurezza dell’albergo, i quali lo presero per le braccia e lo trascinarono via.

- Spiacenti, mister Marshall - disse uno di loro - Ma questo albergo ha delle regole ben precise e noi siamo tenuti a tutelare i nostri ospiti. -

- Ma...ma... - farfugliò Freddie, ormai completamente incapace di intendere e di volere.

- Non si preoccupi per i suoi bagagli, le verranno consegnati una volta che ci avrà comunicato l’indirizzo del suo prossimo albergo. -

- VOI NON POTETE FARMI QUESTOOO ! ! ! BENJI, DANNAZIONE, FA’ QUALCOSAAA ! ! ! -

La voce del povero Freddie Marshall si spense mentre questo veniva gentilmente sbattuto fuori dall’hotel. Holly, con gli occhi di Benji, lo osservava stupito e incuriosito dallo strano comportamento del preparatore atletico.

Sarà bene che dica a Benji di stare attento...quell’uomo è davvero strano, pensò.

Poi, facendo spallucce come al solito, si disse : - Beh, ho perso anche troppo tempo ! E’ ora di tornare ad allenarsi ! La nazionale thailandese non scherza ! -

E, recuperato il pallone lasciato da Freddie Marshall, corse via, senza nemmeno farsi passare per l’anticamera del cervello l’idea di guardarsi allo specchio o di ascoltare la sua voce...beh, non sarebbe stato Holly, altrimenti !

 

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

Capitolo 5

 

- Philip ! Phil ! Svegliati, accidenti a te ! - disse Benji/Jenny il mattino successivo scuotendo poco gentilmente il povero capitano della Flynet che dormiva piuttosto scompostamente nel suo letto.

- Jenny, amore...ho fatto un sogno stranissimo... - disse il ragazzo stiracchiandosi e allungando le braccia verso quella che credeva la sua ragazza e porgendole le labbra per ricevere il solito bacio del buon risveglio. Benji, con un sonoro sganassone, lo riportò alla dura realtà.

- Vuoi piantarla di provarci, imbecille ? ! ? Dannazione, non hai ancora capito chi sono ? ! ? -

- Oh, cacchio...altro che incubo...e io che speravo di essermi sognato tutto... -  disse Philip massaggiandosi la faccia stravolta.

- Mi spiace per te, tesoro, ma devo ricordarti che la situazione è maledettamente grama e dobbiamo trovare una soluzione ! Ma si può sapere come accidenti fai a dormire così tranquillamente ? Non ti svegli neanche con le cannonate, cazzo ! Prima, però, dimmi dove diavolo è il cesso, tra un po’ me la faccio addosso ! -

- Prima di tutto modera i termini - disse Philip mettendosi faticosamente a sedere sul letto. Benji alzò gli occhi al cielo, sbuffando. - Secondo, potevi anche evitare di sfondarmi la mascella, visto che ormai ero sveglio...terzo, il bagno è in fondo al corridoio. -

Senza aggiungere una parola, Benji corse fuori dalla stanza e si chiuse nel gabinetto.

- Hey, Phil ! - disse poi il ragazzo in tono sarcastico - Lo sapevi che la tua pupa usa biancheria intima di pizzo nero ? -

- NO CHE NON LO SAPEVO ! ! ! - urlò Philip, seccatissimo, dalla porta di camera sua - Se vuoi, urla ancora un po’ più forte, così svegli anche i genitori di Jenny, a New York ! ! -

- Oh, cacchio, ecco un’altra cosa a cui non avevo pensato...che accidenti devo fare con i tuoi ? - disse poi Benji tirando lo sciacquone e uscendo dal bagno.

- Per ora niente...sono in vacanza a Furano, non torneranno prima del prossimo fine settimana. -

- Ah, così tu e Jenny avreste dovuto avere la casa libera, eh ? - disse Benji ammiccando e dando di gomito a Philip.

- Ma la pianti ? ! - sbottò il ragazzo - Giuro che se tu non fossi nel corpo di Jenny ti avrei già riempito di botte...comincio a non sopportarti più ! -

- Stammi bene a sentire - disse Benji mettendosi le mani sui fianchi - Se qui c’è qualcuno che non sopporta più la situazione, quello sono io. Credi che sia così divertente per uno come me ritrovarsi nel corpo di una ragazza ? ! Un corpo niente male, devo ammetterlo, ma pur sempre di una ragazza... -

- Senti un po’, Casanova delle mie ciabatte, vedi di evitare i commenti su Jenny, okay ? ! -

- Che c’è, sei geloso ? -

Philip emise uno strano verso, che a Benji sembrò una via di mezzo tra una grugnito e un ringhio, e si portò le mani al viso.

- Ascolta, Benji - disse il ragazzo con la voce ancora tremante dalla rabbia - Tu non piaci a me e io non piaccio a te. Ora, però, siamo costretti a convivere finchè non troviamo una maledetta via d’uscita, per cui cerchiamo almeno di farlo in maniera civile, okay ? -

- Va bene, va bene. - disse Benji alzando le mani e lo sguardo al soffitto - Cercavo solo di sdrammatizzare un po’... Allora, che facciamo ? -

- Prima di tutto laviamoci e vestiamoci, poi facciamo colazione (visto che a stomaco pieno si ragiona sempre meglio) e vedrai che ci verrà in mente qualcosa di sensato. Visto che sono cavaliere ti cedo il bagno. Io sono al piano di sotto, in cucina. Oddio, ho la testa che mi scoppia... -

 

Mentre preparava il tè, Philip pensò a tutte le possibili spiegazioni per quello che era successo. Era semplicemente assurdo ; oltretutto lui non aveva mai creduto nei fenomeni paranormali, e ora si trovava direttamente coinvolto in qualcosa che mai e poi mai sarebbe riuscito a spiegarsi. A meno che non siamo su Candid Camera, si disse.

- Philip. -

Il ragazzo si girò e, per poco, non fece cadere a terra l’intero servizio da colazione.

- Benji, ma come diavolo ti sei conciato ? ! ? -

Il ragazzo (ragazza...che casino ! NdS) indossava una maglietta e un paio di pantaloni di Philip, di almeno quattro taglie più grandi del necessario, e le scarpine con il tacco a spillo che aveva addosso la sera precedente.

- Dove sono le scarpe, Phil ? Queste sono una tortura...mi romperò tutte e due le caviglie prima di sera, me lo sento ! -

- Ma porca miseria, potevi anche darti un’occhiata prima di scendere ! Non hai trovato i vestiti di Jenny ? -

- Ecco...sì, ma.. - disse Benji guardando in basso e torcendosi le dita.

 - Ma... ? -

- Phil, non ce la faccio ! ! ! - sbottò il ragazzo, con le lacrime agli occhi - Ho provato a mettermi una gonna, un vestitino, una camicetta...ma non riesco a guardarmi allo specchio ! ! ! Mi vergogno troppo, non riesco a credere di essere costretto a...a vestirmi da donna ! Io... -

Philip lo stava guardando con le braccia conserte, un piede che tamburellava nervosamente sul pavimento e un leggero filo di fumo che gli usciva dalle narici.

- Ecco...non avresti magari una tuta da ginnastica ? Qualcosa di neutro, insomma...credo che mi sentirei un po’ più a mio agio... -

- Vieni con me - disse Philip tirando l’amico per un braccio - Adesso ti vesti in maniera decente, poi usciamo. Mi è venuta un’idea. -

 

- Sarebbe questa la tua idea ? - disse Benji, estremamente dubbioso.

L’insegna sul portone diceva :

MAGO ZORBO

RISOLVE OGNI PROBLEMA

AMORE-BRUFOLI-NUMERI DEL LOTTO

PREZZI MODICI

3 SEDUTE SPIRITICHE AL PREZZO DI 2

 

- Come fai a fidarti di questi ciarlatani ? -

- Non è un ciarlatano - ribattè Philip suonando il campanello. La porta si aprì senza che nessuno rispondesse. - Mia nonna viene qui da anni a farsi curare i calli. E poi è l’unica possibilità che mi viene in mente. -

- Fantastico, siamo nelle mani di un pedicure ! - disse Benji con voce sarcastica, varcando la soglia.

I due ragazzi si guardarono intorno ; la sala d’attesa, senza finestre, era completamente tappezzata da pesanti tendoni rossi, a cui erano attaccati talismani di ogni genere e forma. Le poltroncine sembravano essere state rubate da una sagrestia. Appesa alla porta dello studio, troneggiava una gigantografia del mago in questione, con lunghi baffi, la testa avvolta in un turbante dorato e un’espressione piuttosto losca.

- Un campione del buon gusto, non c’è che dire ! - commentò nuovamente Benji.

Dopo pochi istanti, la porta dello studio si aprì e ne uscì una ragazza magrissima con capelli rosso fuoco, un paio di occhiali dorati e un abito piuttosto stravagante, di foggia mista tra un sari e un kimono, a colori sgargianti.

- Che la forza sia con voi, fratelli - disse dopo aver fatto un ossequioso inchino ai due - Cosa desiderate ? -

- Mah, io vorrei un cappuccino con una brioche, tu cosa prendi, Philip ? -

Philip diede una forte gomitata a Benji. - Vorremmo parlare con il mago Zorbo, per favore. Abbiamo un grosso problema. - disse il ragazzo.

- A dire la verità il Divino Zorbo è piuttosto impegnato, ma se il vostro turbamento è così grave, penso che vi riceverà all’istante. Seguitemi. - disse la ragazza facendo un cenno ai due e aprendo la porta dello studio.

- Adesso ci porta da Obi-Wan Kenobi ! Non vedo l’ora ! - disse sottovoce Benji ridacchiando.

- Piantala di fare l’imbecille ! - rispose Philip a denti stretti seguendo la ragazza.

- Maestro...due anime in difficoltà hanno bisogno del vostro operato... - disse la ragazza con deferenza facendo capolino dalla porta. Dando un’occhiata da dietro sue spalle, Benji e Philip notarono che il Divino Zorbo era seduto alla scrivania e stava russando saporitamente con le mani intrecciate sul pancione.

- Maestro ? - ripetè la ragazza, arrossendo fino alla radice dei capelli.

Il mago si scosse un attimo. - Che vuoi, Jackie ? - grugnì - Lo sai che non mi devi disturbare mentre...Oh ! - Il Divino Zorbo si accorse che i due ragazzi e la segretaria lo stavano osservando, chi con disappunto, chi con divertimento.

- Entrate pure, fratelli ! E che la forza sia con voi (e dagli...questo è proprio fissato con Guerre Stellari ! si disse Benji) ! Stavamo giusto...ehm...meditando su chi avrebbe potuto proprio oggi giungere al nostro cospetto a chiedere soccorso e...guarda a caso, avevamo avuto una visione...due giovani anime in pena che... -

- Senta, la faccia finita ! - disse Benji scostando la ragazza ed entrando nello studio seguito da Philip - Il mio amico, qui, dice che lei ci può aiutare. Io, sinceramente, non vedo come, ma tentare non nuoce. Allora, da dove cominciamo ? -

- Ehm...scusi il...cioè...la mia amica, signor Zorbo, ma siamo veramente nei guai...abbiamo davvero bisogno d’aiuto ! - intervenne Philip.

- Lo immaginiamo, se vi siete rivolti a noi. -

- Scusi, noi chi ? - domandò Benji - E’ da mezz’ora che sta parlando al plurale, ma qui io vedo solo lei e quell’altra tizia con i capelli radioattivi ! -

- Noi Divino Zorbo, chi altri ? - rispose il mago, leggermente seccato.

- Ah, plurale majestatis...evidentemente c’è ancora qualcuno che lo usa... -

- Ben...Jenny, smettila ! Allora, signor mago, lei deve sapere che... -

- Già so ! - esclamò Zorbo chiudendo gli occhi e portandosi due dita alle tempie, con la massima concentrazione - Già so ! Voi siete qui per un problema sentimentale, nevvero ? -

- Veramente noi... -

- La vostra relazione vacilla e non volete che crolli ! -

- Ma no, noi... -

- Avete provato tutto, ma non trovate una via d’uscita al disastro ! -

- Senta... -

- Ebbene, vi siete rivolti alla persona giusta ! - esclamò il mago aprendo un cassetto della scrivania ed estraendone un orrendo ciondolo a forma di testa d’aglio - Ecco quello che fa per voi ! -

- Phil, se non tace lo ammazzo... -

Zorbo saltò in piedi e girò intorno alla scrivania. - Per la modicissima cifra di ottocento yen, ecco a voi l’unico, miracoloso amuleto del Divino Zorbo ! -

- Maestro, le sta cadendo un baffo ! -

- Oh, grazie Jackie ! - disse l’uomo aggiustandosi il lunghissimo baffo finto che gli pendeva sul labbro superiore. - Dicevo che quest’amuleto guarisce da tutti i mali d’amore, ansia e cervicale ! Badate, basta appenderlo al collo di questa splendida signorina... -

Il mago scostò i capelli della ragazza/ragazzo con le sue mani sudaticce e le accarezzò il collo in un modo che a Benji fece accapponare la pelle dal disgusto.

- Amico, prova a mettermi di nuovo le mani addosso e ti faccio ingoiare le palle per via retrograda ! - disse Benji senza muovere un muscolo. Il mago si ritrasse all’istante.

- Il vostro problema è più grave di quanto noi immaginassimo - disse - Allora avete bisogno della magica pozione di Zorbo, che, per la modica cifra di millecinquecento yen... -

- Oh, ma vuole lasciarci parlare o no ? ! ? - sbottò ad un tratto Philip, spazientito. Il mago si fece piccolo piccolo e tornò dietro la sua scrivania.

Philip raccontò per filo e per segno al mago quanto era successo, senza tralasciare nessun particolare. Al termine del racconto, Zorbo chiuse gli occhi, sospirò...e tacque.

Dopo cinque minuti, Philip e Benji persero la pazienza.

- Maestro ? ! ? - dissero, scuotendo il mago.

- Eh ? Ah, salve, fratelli ! Che la forza... -

- Ma se siamo ancora noi ! ! Non posso crederci, si è addormentato ! ! - sbottò Philip.

- No, stavamo solo riflettendo sulla vostra storia... - disse Zorbo, sbadigliando - Ricapitolando, la signorina avrebbe dentro di sé l’anima di una ragazzo, e volete che torni nel suo corpo, giusto ? -

- Giusto - annuirono Benji e Philip.

- Beh, portatemi il corpo del ragazzo e vediamo quello che si può fare ! -

- Forse non ha ben capito - disse Benji - A parte il fatto che il mio corpo ora si trova in Thailandia, il problema è che non abbiamo la più pallida idea di dove possa essere finita l’anima di Jenny ! -

- E chi sarebbe questa Jenny ? -

- Sono io, maledizione ! - sbraitò Benji indicando se stesso.

- Ma lei non era un... -

- Phil, andiamocene, stiamo solo perdendo tempo. - disse Benji avviandosi verso l’uscita.

- Aspettate, aspettate ! Forse ho un’idea, tornate indietro ! -

I due, completamente spazientiti, si voltarono di nuovo a guardare il mago che aveva sfoderato un sorriso smagliante.

- Facciamo una bella seduta spiritica e richiamiamo qui l’anima della ragazza ! -

- Sta scherzando ? Jenny non è mica morta ! - esclamò Philip.

- In tal caso, l’unico rimedio sono le orazioni speciali di Zorbo. Successo garantito al 100%. -

- Faranno tornare me e Jenny nei nostri corpi ? - domandò Benji, speranzoso.

- Non lo so, ma sono infallibili contro il mal di testa. Sono trecento yen per il consulto, prego. -

 

 

Seduto sul letto in quella che ormai era la sua nuova camera, Mark stava facendo il punto della situazione, e la conclusione a cui era arrivato era che tutto quello che Julian gli aveva detto e raccomandato per telefono gli aveva solo creato una gran confusione in testa. Per sua fortuna, Julian era ben organizzato, e attaccato ad un’anta dell’armadio aveva lasciato una specie di promemoria di tutti i farmaci che doveva prendere e le associazioni da evitare. Hai voglia di impararle a memoria, pensò Mark. Un problema risolto, dunque. Di tutto il resto poco gli importava, ora l’unica cosa da fare era trovare il modo di tornare nel suo corpo, e per questo doveva assolutamente ritrovare Evsebius. Il ragazzo sforzò un po’ la memoria ; sì, quando se n’era andato, scomparendo nel nulla, il genietto gli aveva detto “A presto” ; il che significava che, prima o poi, si sarebbe rifatto vivo...a meno che, magari, non ci provasse prima lui.

- Mah, sarà anche un’idea scema ma magari funziona... - si disse il ragazzo dopo aver rimuginato un po’.

Saltò giù dal letto e uscì dalla stanza guardandosi in giro con circospezione. Dopodichè scese furtivamente le scale e, passando davanti alla porta della cucina, vide che Deborah ed un’altra donna (presumibilmente la cuoca) erano indaffarate a chiacchierare tra loro e a guardare una vecchia telenovela, e non si accorsero del ragazzo che, in punta di piedi, sgattaiolò fuori di casa inoltrandosi nel grande parco.

Okay. Papà, mamma e l’autista sono fuori, e le cameriere non mi hanno neanche visto. Ho il campo libero.

Sempre guardandosi intorno, Mark si incamminò verso il centro del grande parco, lasciando il vialetto e addentrandosi tra gli alberi. Quando pensò di essere abbastanza lontano dalla casa, diede un’ultima occhiata in giro ; il silenzio era quasi totale, si sentiva solo il cinguettare degli uccellini. Un lieve refolo di vento gli passò tra i capelli. Mark appoggiò la mano al tronco di un tiglio, alzò il capo e, con tutto il fiato che aveva in gola, urlò :

- EVSEBIUS ! EVSEBIUS ! DOVE SEI, DANNATO DEMONIO ? ! FAMMI USCIRE DA QUESTO INCUBO ! VOGLIO TORNARE IN ME ! -

Poi, il ragazzo trattenne il respiro e tese le orecchie per sentire anche il minimo rumore, sperando ardentemente in una risposta, ma non udì nulla che non fosse il rumore del vento tra le foglie.

- Idiota, idiota e ancora idiota ! - si disse Mark - Queste stronzate funzionano solo nelle favole ! -

Dopo aver detto queste parole, Mark si bloccò di colpo e rimase nuovamente in ascolto ; ora percepiva un nuovo suono, come dei passi rapidi sull’erba. Qualcuno gli stava correndo incontro.

- Accidenti, che culo ! Ha funzionato sul serio, e al primo colpo ! - esclamò felice il ragazzo facendo un passo avanti. Il suo sorriso, però, si trasformò in espressione sgomenta quando si accorse che chi stava correndo verso di lui non era un essere umano, ma due ferocissimi Rottweiler che, appena ebbero Mark nel loro campo visivo, cominciarono ad abbaiare a più non posso.

- Oh, no...NO ! ! ! - urlò il ragazzo fuggendo a gambe levate. Da quando, molti anni prima, un Chow-Chow dallo sguardo tenerissimo gli aveva assaggiato l’avambraccio mentre lui lo stava accarezzando, lasciandogli una bella cicatrice, Mark era terrorizzato da tutti i cani, grandi o piccoli che fossero. L’aveva sempre considerata la sua unica debolezza.

Corredo verso casa come se avesse le ali ai piedi, il ragazzo ebbe la pessima idea di voltarsi a guardare le due belve assatanate che lo stavano inseguendo, inciampando così in una radice che sporgeva dal terreno e finendo lungo disteso per terra.

- AIUTO ! - gridò, terrorizzato, mentre i due cani gli erano quasi addosso. Con il cuore che gli batteva all’impazzata, Mark si raggomitolò su se stesso, coprendosi la faccia con le mani e temendo il peggio. Ma il peggio non avvenne.

- Beckenbauer ! Rumenigge ! A cuccia ! -

Nel sentire quella voce ferma, i Rottweiler si fermarono di colpo. Mark, senza rialzarsi, vide attraverso uno spiraglio tra le sue dita un uomo anziano correre in suo soccorso ; al ragazzo parve quasi uno spaventapasseri, con quella maglietta gialla sotto la salopette sporca di terra e un vecchio cappello di paglia calcato in testa che lasciava intravedere a malapena i suoi occhi. Una lunga barba grigia gli incorniciava il mento. Nel vedere quella figura per nulla minacciosa ma comunque autoritaria, i cani si ritirarono con la coda tra le gambe.

- Signorino Julian, va tutto bene ? - domandò il vecchio aiutando il ragazzo a rialzarsi.

- Sì...tutto a posto, grazie. Mio Dio, se non ci fosse stato lei... -

- Albert ! Albert ! Cos’è stato ? - gridò Deborah correndo fuori di casa.

- Niente di grave, per fortuna. Questi due cagnacci hanno preso il signorino Julian per chissà chi...L’ho sempre detto che non gli hanno insegnato molto bene il loro mestiere, visto che non sanno nemmeno distinguere gli amici dai nemici ! - disse Albert esortando i cani ad andarsene.

Deborah aiutò Mark a pulirsi i vestiti dalla terra. - Buon Dio, signorino, chissà che spavento ha preso... -

In effetti, pensò Mark, me la stavo quasi facendo sotto...

- Si sente bene ? - domandò di nuovo Deborah, preoccupata - Vuole una camomilla ? -

Mark, sospirando, stava quasi per rispondere che quella era la novantesima volta che gli chiedevano se si sentiva bene, quel giorno, ma non riuscì ad aprire bocca. Il suo cuore stava battendo in un modo stranissimo. Gli faceva quasi male. Anzi, gli faceva malissimo, tanto da togliergli il fiato. Il ragazzo impallidì e si portò una mano al petto. Poi, all’improvviso, così com’era venuto, il malore scomparve.

- Signorino Julian, vuole che chiami il medico ? -

- No, no, Deborah...ora sto bene. Forse è meglio che torni in camera. -

- La accompagno. -

Tornando verso l’ingresso, con la cameriera che gli teneva il braccio, Mark, ancora spaventato, si disse che forse l’apprensione della madre di Julian doveva avere qualche fondamento. E la cosa non gli piaceva per niente, visto che ora Julian era lui.

 

A Mark bastò rimanere dieci minuti sdraiato sul letto per fargli passare tutta la paura e farlo tornare spavaldo e irrequieto come prima. Beh,  si disse, visto che il mio tentativo di contattare Evsebius non ha avuto successo, tanto vale che mi trovi qualcosa da fare.

Il ragazzo si alzò e, sbadigliando per la noia, diede un’altra occhiata fuori dalla finestra.

Allora, vediamo ; i due Cerbero là fuori escludono la passeggiatina salutare nel parco. Idem per la nuotata in piscina, maledizione ! Potrei fare un giretto in città, ma rischio di beccare la superpreoccupata mammina...vabbè, vorrà dire che sfrutterò un po’ le risorse di questa casetta !

Mark si avvicinò all’ordinatissima libreria.

- E ora vediamo di conoscere un po’ i gusti di Julian ! -

Il ragazzo iniziò ad esaminare i libri. - Allora... “Orgoglio e pregiudizio”... “Frankenstein” (mica male !)...”Jane Eyre”...e questo ? “Alla ricerca del tempo perduto” ! Questo qua ha diciassette anni e legge Proust ! Adesso capisco perché poi si tira le paranoie...ma è tutto qui quello che legge ? Non c’è manco un bel fumetto...Oddio ! - Mark spalancò la bocca prendendo tra le mani un volume di più di mille pagine. - “Il Signore degli anelli”...ma questa è un’enciclopedia ! E io che mi ero anche promesso di leggerlo...beh, diamogli un’occhiata... - Il ragazzo sfogliò un po’ il libro e ne lesse qualche stralcio :

- Un anello per domarli, un anello per trovarli

Un anello per ghermirli e nell’oscurità incatenarli

Nella terra di Mordor, ove l’ombra cupa scende...

...Però ! Mi sa che me lo devo davvero leggere... vabbè, che altro c’è qui ? Oh ! Cd ! Finalmente ! -

Mark si chinò verso il piano inferiore del mobile e, dopo aver afferrato un pacchetto di compact disc, li esaminò uno per uno, sperando di trovare qualcosa di suo gradimento.

- Ma non ci posso credere ! Bach, Beethoven, Chopin...che palle ! - esclamò ributtando i dischi sullo scaffale - Julian Ross, sei un vero mortorio ! -

Sbuffando, Mark si diresse verso il telefono e compose il numero di casa propria. La sua voce rispose immediatamente.

- Pronto ? -

- Sono io. Che stai facendo ? -

- Pulizie. La tua camera è un vero casino. Lo sai che hai un barattolo di vermi da pesca morti nell’armadio ? -

- Oh cacchio ! Ecco dov’erano finiti ! Ehi, comunque vedi di non ribaltare troppo la mia roba, capito ? Ci tengo alle mie cianfrusaglie ! -

- E anch’io tengo alle mie. Per cui vedi di non ridurre la mia stanza ad un porcile, okay ? -

- No, signorino, non si preoccupi...tanto poi ci pensa Deborah a riordinare ! A proposito, dimmi un po’, di solito cosa fai quando ti annoi ? Oltre a grattarti le chiappe, intendo. -

Julian sbuffò. - Che stronzo che sei...beh, comunque leggo, guardo la tivù, ascolto la musica...quello che fanno le persone normali, di solito ! -

- Le persone normali, di solito, leggono o ascoltano roba normale ! Vabbè, per i libri passi, ma la musica... -

- Hey ! Giù le zampe dai miei cd ! ! ! -

- Per carità ! Te li lascio pure i tuoi Mozart, Haendel e compagnia bella ! -

- Ah, stavi parlando di quelli... -

A Mark si drizzarono le antenne in testa. - Un momento, stai dicendo che ci sono altri cd da qualche parte ? -

- Mark, se ti azzardi a mettere le mani sui miei dischi ti... -

- Grazie, fratello ! Divertiti a fare la colf e salutami mamma e i ragazzi ! -

Mark riagganciò senza dare a Julian il tempo di fiatare. Il ragazzo rimase per qualche istante a fissare la cornetta del telefono.

- Se mi combina qualche casino lo ammazzo sul serio ! - disse.

 

- Allora, vediamo un po’... - disse Mark fregandosi le mani - Dove diavolo saranno i dischi giusti ? -

Il ragazzo rifletté un attimo, poi spostò tutta la fila dei cd di musica classica dallo scaffale. Dietro, ben nascosta, trovò una voluminosa pila di dischi in perfetto ordine.

- Lo sapevo ! Eccoli qua ! Allora, da dove cominciamo ? - disse Mark gongolando dopo aver appoggiato per terra tutti i cd che si trovavano nel mobile. - Guarda guarda...il “White Album” dei Beatles...Sting, Tori Amos...”Astral Weeks” di Van Morrison (ma che roba è ?), Radiohead...fantastico, la collezione completa dei Queen ! Altro che nonno, questo signorino è un vero rockettaro ! E questo cos’è ? Mio Dio ! ! ! - esclamò Mark rigirandosi tra le mani un cd dalla copertina bianca - “461 Ocean Boulevard” di Eric Clapton... rimasterizzato ! Non ci posso credere ! ! -

Mark era felice come una Pasqua.

- Julian Ross, complimenti...hai guadagnato dieci posizioni nella classifica dei tipi più tosti del pianeta...dopo di me, naturalmente ! Hey, hey, un attimo...e questi ? -

Mark balzò in piedi urlando di gioia e si mise a saltellare per tutta la stanza come un bambino.

- SIIIIIII’ ! ! ! I CD DELLA PLAYSTATIOOOOON ! ! ! JULIAN, TI ADOROOOO ! ! ! -

Il suo pomeriggio era salvo.

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

Capitolo 6

 

 

 

- Merda, merda, MERDA ! ! ! -

Quella era la seconda volta in cui Julian aveva detto una parolaccia nell’arco della sua vita. La prima era stata quando, sei anni prima, la sua squadra aveva perso la semifinale di campionato contro la New Team, mentre lui era bloccato in un letto d’ospedale. L’esclamazione (peraltro irripetibile) che gli era sfuggita aveva scandalizzato sua madre, Amy e l’infermiera di turno, e quella volta il ragazzo si era reso conto di aver quasi toccato il fondo.

Quasi.

Perché, se le cose fossero andate avanti in quel modo, l’avrebbe toccato veramente, il fondo, e anche molto presto.

Aveva cominciato a pulire la sua stanza (anzi, la stanza di Mark e dei suoi fratelli) da meno di mezz’ora, ed era già stanco e disgustato, oltre che imbufalito.

- Questa non è una camera da letto, è una fogna a cielo aperto ! ! - esclamò dopo aver trovato due paia di mutande sporche sotto la scrivania - Peggio, è una discarica abusiva ! ! -

Con due dita e un’espressione schifata afferrò una penna masticata che si trovava lì accanto, sollevò gli slip e li sbattè direttamente nel cestino della carta straccia, che aveva stabilito essere l’ultima destinazione per i vermi da pesca morti, una buccia di banana, innumerevoli cartacce, un tubetto di lucido da scarpe vuoto e un pacchetto mezzo pieno di gomme da masticare che era stato calpestato da scarpe di almeno tre misure diverse.

- Se quel fetente non avesse la mia faccia glie la spaccherei io appena mi capita a tiro... - ringhiò Julian tendendo un braccio sotto il letto cercando di raggiungere invano un calzino.

- A chi spaccherai la faccia ? - pigolò una vocina.

Julian girò la testa e vide uno dei fratellini di Mark che lo guardava, accanto alla porta. Imbarazzato, si alzò scuotendosi i vestiti.

- Oh, ciao... - Robert ? Justin ? Incrociando le dita, Julian tirò ad indovinare. - ...Justin ! -

Il bambino rimase per un istante in silenzio, facendo gelare il sangue nelle vene di Julian.

- Sai che giorno è oggi ? -

Julian tirò un sospiro di sollievo. Azzeccato per miracolo, si disse.

- Allora ? - lo incalzò il bambino.

- Allora cosa ? -

- Non sai che giorno è oggi ? -

- Ehm...sabato ? -

Al piccolo Justin si riempirono gli occhi di lacrime. - Ecco...lo sapevo che te l’eri dimenticato ! ! -

Julian si sentì perduto. - No, no, aspetta ! Ehm...scusa, ma il tuo fratellone ha la memoria un po’ corta...poi, la botta in testa...insomma, capisci... - disse Julian. Poi si riprese e cercò di darsi un po’ di contegno. - Ma non dovevi essere da zia...ehm...insomma...dalla zia ? - Quale zia fosse, non ne aveva la minima idea.

- Mi ha riaccompagnato qui perché volevo ricordarti quella cosa che sai. -

- Appunto. - disse Julian - Cosa ? -

- Stasera. -

- Ti sei fatto riportare qui adesso per ricordarmi quello che devo fare stasera ? - Forse è meglio, però, si disse Julian.

Justin incrociò le braccia. - Certo ! - esclamò - Perché sapevo che te ne saresti dimenticato ! Se ti avessi detto stasera che dovevi portarmi al cinema, mi avresti sicuramente detto “non ho tempo”, “devo uscire con Maki”, “non rompermi le p...” -

- Justin ! ! - lo interruppe bruscamente Julian - Se solo ti sento dire una parolaccia lo dico alla mamma ! ! -

- Tanto le dici sempre anche tu. -

- Non è un buon motivo per...oh, lasciamo perdere ! -

- Allora ? -

- Allora cosa ? Certo che ti porto al cinema, stasera ! -

- Davvero ? - disse Justin sgranando gli occhi.

- Eccome ! Figurati se... - Se me lo dimenticavo ? Naaa... - ...cosa andiamo a vedere ? -

- “Pokemon 2”. -

Stavolta fu Julian a spalancare gli occhi, ma non per la gioia.

- Pokemon 2 ? ! -

- Sì ! - confermò il bambino, gongolando.

- Pokemon 2. -

- Mark ? -

- Eh ? -

- Non ti va ? -

Se fosse stato nella sua città, a casa sua, ma soprattutto nel suo corpo, Julian avrebbe risposto che avrebbero dovuto pagarlo oro per vedere un film del genere, che, oltre a non meritare nemmeno il titolo di film, era altamente diseducativo. Invece ingoiò il rospo e tutto ciò che disse, con l’entusiasmo di un nano da giardino, fu :

- Ceeerto che mi va...mi va eccome...anzi, non...non vedo l’ora ! -

 

 

- Mi raccomando, non parlate con gli sconosciuti. -

- No, mamma. -

- Non perderlo di vista un momento. -

- No, mamma. -

- E non comprargli i pop-corn, altrimenti gli si gonfia lo stomaco. -

- No, mamma. -

- E le caramelle ? ! - protestò Justin.

- Solo alla liquirizia. -

- Okay. -

- Sì, mamma. -

Il cervello di Julian aveva preso il largo già dopo la seconda raccomandazione.

- E tornate subito a casa. Ricordati, Mark, che domani devi lavorare. -

- Sì mamma. -

- Ciao, mamma ! - 

- Ciao, mamma. - ripetè meccanicamente Julian trascinando il piccolo Justin fuori dal cancello, lungo il marciapiede.

Il bambino gli trotterellava allegramente accanto, stringendogli la mano. Julian lo guardò distrattamente e lo vide rivolgergli un largo sorriso.

- Il mio fratellone - disse il piccolo gonfiando il petto - Vado al cinema con il mio fratellone ! -

Quella frase fece scattare uno strano meccanismo nella mente di Julian. Gli venne in mente che quella era la prima volta in cui qualcuno era sotto la sua responsabilità. Di solito era lui ad essere sotto la responsabilità di qualcun altro. Perfino la prima ed unica volta in cui aveva invitato Amy al cinema erano stati scortati da Theodore che si era seduto nella fila dietro di loro e aveva russato per quasi tutto il tempo. Dopo allora, Julian aveva rinunciato per sempre a cercare un qualsiasi momento di intimità con Amy. E perfino a farsi gli affari propri, fuori da casa, dato che il suo inappuntabile chauffeur lo seguiva ovunque come un cane pastore.

Ora, invece, il compito di guardia del corpo spettava a lui...e il bimbetto che teneva per mano sembrava essere molto fiero di ciò. Julian non aveva fratelli, e ora se ne trovava due più piccoli. In un altro momento, l’idea lo avrebbe fatto impazzire ; e invece ora si sentiva a dieci metri da terra.

Ricambiò il bambino con un sorriso a trentadue denti e guardò dritto davanti a sé, camminando con passo sicuro e spedito, come se avesse dovuto guidare una spedizione in un territorio ostile...

- Mark - disse ad un tratto Justin.

- Eh ? -

- Dove stiamo andando ? -

- Al cinema, dove vuoi che... - Improvvisamente si ricordò che non sapeva affatto dove fosse il cinema. Justin lo prese in contropiede.

- Dovevamo girare a destra almeno due strade fa. - disse.

- Certo. Mi sono distratto un attimo. Vieni, torniamo indietro. - disse Julian, cercando di mantenere la calma e tirandosi dietro il bambino che lo guardava perplesso.

Il ragazzo cominciò a sudare freddo.

Calma, Julian, ragiona, si disse. Non sei a Tokyo, ma in una città più piccola dei buchi nelle tue tasche, e non devi permetterti mosse false con il bambino. Non puoi perderti, capito ? Non puoi perderti ! !

 

 

Julian e Justin girarono a vuoto per altri dieci minuti.

- Deve essere qui ! - sbottò Julian mettendosi le mani nei capelli - Abbiamo praticamente attraversato tutta la città ! Non possiamo averlo perso ! ! -

- Mark.... -

- Né il cinema avrà cacciato fuori le zampette e si sarà spostato da solo, giusto ? -

- Guarda che... -

- E allora dov’è ? ! - esplose Julian - Dove cazzo è questo fottutissimo cinema di merda ? ! ? -

- Mark, hai detto tre parolacce. -

- Lo so ! - E ci aveva pure provato gusto...

- Hai detto “cazzo”, fottutissimo” e “merda”. -

- E tu non ripeterle, no ? Aspetta ! - Lo sguardo del ragazzo si illuminò, vedendo un chiosco di giornali ancora aperto. - Vado a chiedere informazioni ! Tu non muoverti da qui, capito ? -

- Ma Mark.... -

- Stai fermo lì e aspettami ! -

Julian raggiunse di corsa il chiosco, accanto al quale un uomo stava sistemando alcuni scatoloni.

- Il cinema ! - disse, con il fiatone - Per l’amor del cielo, mi dica dov’è il cinema ! ! -

L’uomo si voltò e lo guardò, stupito.

- Stai scherzando ? - disse.

- Prego ? ! -

- Mark, ma cos’hai oggi ? Il colpo dev’essere stato più grave del previsto... -

Istantaneamente, Julian collegò la voce alla frase, e capì.

- Signor Johnson ! - esclamò, facendo il finto tonto, ma con la voce tremante - Ma certo che sto scherzando, he, he...passavo di qua... - Ma che gran culo mi ritrovo, si disse.

- Sei venuto al primo spettacolo ? Se non vi muovete vi perdete l’inizio ! - disse il signor Johnson puntando il pollice alle sue spalle. Julian guardò oltre l’uomo e si diede dell’imbecille al quadrato.

 

CINEMA LUXOR

Stasera “POKEMON 2”

Spettacoli ore 20.30 - 22.00

 

- Stavo per dirtelo, ma sei scappato via... - cinguettò Justin in parte a lui.

Julian sospirò. - Ci vediamo domani, signor Johnson ! Vieni, Justin, muoviti ! -

- Alle sei ! - esclamò il signor Johnson, mentre il ragazzo spariva, con il fratellino, nella hall del cinema.

D’oh ! esclamò Julian tra sé e sé, come se avesse ricevuto una martellata sul cranio.

Stringendo i denti, pagò i biglietti ed entrò nella sala, sperando che la tortura-Pokemon durasse il meno possibile.

 

 

Invece, quella sera, Julian si divertì un sacco e, all’uscita, comprò al piccolo Justin un palloncino a forma di Bulbasaur.

Alla faccia del cinema d’essai.

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

Capitolo 7

 

 

- Crepa, bastardo ! - esclamò Mark pigiando a più non posso i tasti della Playstation di Julian, mentre la musica dei Queen a massimo volume inondava la camera da letto.

- UAHA ! ! Livello otto ! ! -

Con un selvaggio urlo di gioia, il ragazzo saltò sul letto e si mise a cantare insieme a Freddie Mercury fingendo in contemporanea di suonare la chitarra alla maniera di Brian May.

Per tutta la giornata precedente era rimasto rintanato in camera ad ascoltare cd e giocare ai più disparati videogames, e tutto lasciava intuire che anche quel giorno le cose non si sarebbero svolte in modo molto diverso.

- Death on two leeeeeeegs...you’re tearin’ me apaaaaAHIA ! ! - stonò Mark balzando dal letto e atterrando sul pavimento con le ginocchia. Il ragazzo imprecò un nanosecondo dentro di sé, poi si rialzò e, senza smettere di cantare, diede un calcio ad una pantofola, spedendola in cima alla libreria.

In quel preciso istante bussarono alla porta.

- Heilà, Amy ! -

- Ciao Jul... - Amy non riuscì a terminare la frase perché Mark l’aveva trascinata in un vorticoso giro di danza.

- But now you can kiss... - Il ragazzo fece roteare Amy per poi riprenderla in un caskè quasi perfetto. - ...my ass, goodbye... -

- Julian ! - esclamò la ragazza. Mark la lasciò andare e abbassò il volume dello stereo.

- Di’ un po’, Amy, ti piacciono i Queen ? -

- Certo che mi piacciono ! - disse Amy - Quel cd te l’ho regalato io ! -

- Aha ! Era una domanda trabocchetto ! - disse Mark arrossendo, ma senza perdere il sorriso.

- E ti ho regalato anche queste, se non sbaglio... - Amy si avvicinò alla libreria e, alzandosi sulle punte dei piedi, cercò di raggiungere l’elegante pantofola imbottita che Mark vi aveva lanciato un minuto prima.

Sempre più imbarazzato, Mark raggiunse la pantofola prima di Amy, che glie la prese dalle mani.

- Scusa - disse - E’ stato un momento di euforia... -

Amy sorrise e andò a sedersi sul letto, guardandosi un po’ intorno. - Deborah è in sciopero, per caso ? Questa stanza non è mai stata così disordinata ! - disse poi sollevando una maglietta firmata che giaceva abbandonata sul pavimento assieme  a diverse copertine di cd.

Mark la prese e la lanciò dritta nell’armadio, centrando lo scaffale giusto.

- Adesso è a posto ! - disse allegramente, facendo spallucce e sedendosi accanto alla ragazza.

- E’ bello vederti così allegro, ogni tanto ! - disse Amy.

- Ridere fa bene al cuore, non lo sai ? -

Amy si lasciò sfuggire una risatina, e i suoi occhi brillarono. Era davvero contenta.

- Allora, non mi dici niente ? - disse la ragazza.

Il sorriso di Mark lasciò piano piano il posto ad un’espressione piuttosto perplessa.

- Ehm...hai tagliato i capelli ? -

- Julian ! -

- Hai messo il rossetto. -

- Ma no ! -

- Allora hai un vestito nuovo. -

- Julian... -

- Accidenti, dammi almeno un indizio ! - esclamò Mark allargando le braccia.

Amy scosse la testa, ridendo. - Non ti chiedi perché sono tornata con due giorni di anticipo ? -

- Ah...aaaah, già, infatti, stavo per chiedertelo... - E da dove ? si chiese Mark.

- Beh, a parte il fatto che mi stavo annoiando tremendamente dai Saunders, domani c’è la festa dei Morgan... -

- Ah, sì, me l’ha detto papà proprio ieri. - disse Mark, ricordandosi improvvisamente di quella gran seccatura.

- Ieri ? Ma se te l’ho detto io almeno un mese fa ! -

Colto in fallo, Mark cercò di rigirare il discorso.

- Ehm...lo sai, ultimamente la mia testa funziona poco ! Con la storia del ritiro, poi... -

- Julian... -

- Eh ? -

- Guarda che so benissimo che non hai la minima voglia di venire alla festa... -

- Nooo ! Ma cosa dici ? Ci mancherebbe altro ! Fammi solo controllare la mia agenda... - disse Mark in tono da finto snob.

Amy sorrise mentre il ragazzo consultava il calendario.

Improvvisamente, Mark sbiancò.

- Un momento...hai detto domani ? -

- Esatto. - rispose Amy, un po’ seccata, incrociando le braccia - Non dirmi che avevi già preso un altro impegno ! -

- Ehm...ma figurati ! Sarò puntualissimo ! - balbettò il ragazzo abbozzando un sorriso ebete.

- Molto bene ! - Amy si alzò e andò verso la porta. - Anche perché se non ci fossi tu mi annoierei a morte, in mezzo a tutte quelle cariatidi ! Ci vediamo ! -

Appena la ragazza fu uscita, Mark fece sparire il sorriso dalla sua faccia e si precipitò al telefono.

- Certo che ce l’ho un altro impegno, maledizione ! - disse – Ce l’avrò con il becchino, domani, se mi dimentico dell’anniversario! Forza, Julian, rispondi...altrimenti Maki mi ammazza! Anzi, ci ammazza tutti e due… -

 

 

 

Quel pomeriggio, Julian era rientrato dal lavoro strisciando e si era direttamente buttato sul letto senza mangiare.

Giornata piuttosto pesante per uno che non aveva mai mosso un dito, ammise a se stesso.

Terrorizzato all’idea di perdersi di nuovo si era alzato alle cinque, era arrivato all’edicola con mezz’ora di anticipo e si era addormentato contro la serranda fino a quando erano arrivati il signor Johnson e Billy, il ragazzo che l’aveva sostituito il giorno prima.

Distruttivo.

Nonostante si fosse premunito di stradario aveva rischiato di perdersi almeno quattro volte, e aveva impiegato il triplo del tempo che ci avrebbe messo il vero Mark. Quando era tornato all’edicola, dopo aver finito le consegne, Johnson e Billy lo avevano guardato in modo molto strano e gli avevano di nuovo chiesto se si sentiva davvero bene.

No che non si sentiva bene, accidenti ! !

Ogni secondo che passava correva il rischio di essere scoperto. Ma, a pensarci bene, anche se lo avessero scoperto, che avrebbe potuto succedere ? Nella migliore delle ipotesi lo avrebbero spedito in manicomio, nella peggiore sarebbe finito nelle grinfie di qualche studioso di fenomeni paranormali...

Sospirò e si mise un braccio sugli occhi, sperando di addormentarsi in fretta ed essere di nuovo normale al suo risveglio.

Ma proprio mentre stava per addormentarsi, avvertì, nel dormiveglia, una strana presenza incombere su di lui, e depositare un leggero bacio sulle sue labbra.

Julian si svegliò di colpo, gridando e alzandosi di scatto.

- Mark, sono io ! -

Ancora ansimante per lo spavento, Julian guardò la ragazza dalla pelle abbronzata e i corti capelli rossi che lo stava fissando con aria confusa, e ricordò di averla già vista da qualche parte.

- Maki... - Ora sì che sono nei guai, pensò.

La ragazza tese una mano verso di lui per accarezzargli i capelli ; istintivamente, Julian si retrasse.

- Ma cosa ti prende... ? - disse Maki.

Julian si guardò attorno, senza sapere cosa fare, cercando disperatamente la cosa giusta da dire...

- Ehm...Maki, cosa ci fai qui ? -

La ragazza strabuzzò gli occhi.

No, decisamente non era quella la cosa giusta.

Julian abbozzò un sorriso per cercare di sistemare la situazione. Dio, com’era imbranato...

- Cosa ci faccio qui ? - disse Maki, diventando tutta rossa per la rabbia. Accidenti, perché Mark non gli aveva detto che era un tipo permaloso ? - Cosa ci faccio qui ? ! Sono due giorni che sei a casa e non mi hai fatto nemmeno una telefonata ! Ecco cosa ci faccio qui ! Ero preoccupata, stupido ! -

Julian cominciò a sudare freddo, e tutto quello che riuscì a fare fu continuare a guardare Maki con un’espressione sempre più ebete.

- ...ma stai bene ? -

- Credo proprio di no... - rispose istintivamente Julian.

Maki si alzò e fissò il ragazzo negli occhi.

- C’è forse qualcosa che dovrei sapere, Mark...o che non dovrei sapere ? - disse freddamente.

- Ma no, figurati, ci mancherebbe altro... -

- Sicuro ? -

- Sicurissimo ! - disse Julian alzando le mani e pregando che Maki non lo picchiasse.

- Giuramelo. - continuò Maki con aria torva - Giurami che non mi stai raccontando una frottola. -

- E perché diavolo dovrei ? ! ? - esclamò Julian, esasperato.

Maki tacque per un momento. - Te ne sei dimenticato, vero ? - disse.

C’erano due frasi che Julian, nella pelle di Mark, non avrebbe mai dovuto dire: una era andata, e anche la seconda non tardò ad arrivare.

- Dimenticato…cosa? -

Gli occhi di Maki fiammeggiarono, ma la ragazza non fece in tempo a dire a Mark che era il più grande, fottutissimo stronzo che esistesse sulla faccia della terra perché suonò provvidenzialmente il telefono.

- Pronto?- disse Julian dopo essersi precipitato sull’apparecchio.

- Juliansonoiooggièlanniversariodimakichepoièancheilmoisemidimenticociammazzatuttiedue… -

- Eh?! - Le uniche parole che aveva capito erano “sono io”, ed erano state sufficienti.

- Scusa, tesoro - disse con una voce tanto dolce che Maki rischiò un attacco di diabete - La linea dev’essere un po’ disturbata…vado all’altro apparecchio. -

Ciò detto, sbattè la cornetta in faccia a Mark e corse a rialzarla nell’ingresso.

- Un cordless no?! - disse Julian ansimando, dopo aver ripreso la conversazione.

- Senti, signor Paul Getty, è già tanto se c’è quello che hai in mano… -

- Lasciamo perdere. Mark, sono nei guai. C’è qui Maki ed è incazzata come un bisonte. Credo che ci sia qualcosa che dovrei sapere… - 

- Oddio! - esclamò Mark – Che ti ha detto? -

Julian gli riferì la breve conversazione con la ragazza.

- Senti, Julian – disse – Oggi è il nostro anniversario… -

- Auguri. – disse gelidamente Julian – Quanti? -

- Quanti cosa? -

- Quanti anni, imbecille! -

- Ah…boh, e che ne so? Due, tre…ho perso il conto. Senti… -

- Credevo che almeno fino a dieci sapessi contare… -

- Non è il momento di fare dello spirito del cazzo!! – tagliò corto Mark – Allora, adesso tu vai di là, fai finta di niente, ti inventi qualcosa, tiri fuori l’argomento e la sbatti fuori. Poi mi richiami. -

- Non credo sia una buona idea. La cosa potrebbe essere lunga. -

- In che senso, scusa? -

Julian sbuffò nervosamente. - Mark - disse - Maki è la tua ragazza, giusto? Penso che si aspetterà un segno da te… -

- Parla chiaro. -

- Insomma…è la tua ragazza, non la mia, ma io ora sono te, quindi… -

- Julian…-

- Fuori dai denti, Mark. Se vuole baciarmi che faccio? -

- Baciarti? - disse Mark - Sarà già tanto se non ti cava gli occhi. Ora vai, muoviti, ci sentiamo dopo. -

Julian restò un secondo a fissare la cornetta, rivolgendo al compagno di squadra la peggior serie di improperi mai proferita.

E adesso che faccio? si disse.

Il ragazzo inspirò profondamente e si incamminò con il cuore nelle mutande fino alla porta del soggiorno; quindi inspirò di nuovo, si schiarì la voce e, con la peggior faccia di bronzo che poteva mostrare e la spontaneità di un nano di gesso esclamò:

- Tanti auguri, amooore! -

Ma quando si guardò intorno vide che Maki aveva levato le tende.

- CAZZO!!! – disse tra sé e sé Julian, mentre correva alla porta di ingresso.

Maki era già a metà del vialetto di casa quando lo sentì chiamarla.

- Maki, tesoro, aspetta! – gridò, correndole incontro.

La ragazza si voltò un attimo, gli rivolse uno sguardo gelido e continuò a camminare.

- Maki! Ehm…cara, dove stai andando? -

- Al diavolo. - replicò, secca.

- Per favore, lasciami spiegare… - disse Julian ansimando, dopo averla raggiunta.

- Non c’è niente da spiegare, Mark. - disse lei - Sei semplicemente un colossale pezzo di merda. -

- Non me lo sono dimenticato, te lo giuro! -

- Certo…guardati allo specchio, tesoro, il naso ti si è allungato di un chilometro. -

- Insomma! – sbottò Julian – Come puoi credere che mi sia davvero dimenticato del nostro anniversario? -

Maki si fermò un momento, tentennando. – Devo crederti? – disse.

- Credimi…è stata una giornataccia, e non mi sento per niente bene. – rispose Julian avvicinandosi a lei e guardandola negli occhi.

Sperando di intenerirla, le raccontò varie disgrazie, inclusa la tremenda caduta dal letto del giorno prima. Sapendo che non erano balle, Julian le raccontò con una certa scioltezza.

- Davvero, sono a pezzi. -

Maki tacque per un momento, poi voltò lo sguardo altrove.

- D’accordo, fingiamo che vada tutto bene. -

- Cosa?!? – disse Julian allibito – Sei impazzita?! -

- No, Mark, non sono impazzita. In qualche modo ti sento cambiato. Siamo cambiati, forse. Non mi sei più vicino come una volta. -

- Maki… -

- Capisco che tu abbia i tuoi problemi da risolvere, con tua madre e i tuoi fratelli, il lavoro, il calcio…ma mi sento messa da parte, capisci? Sei tornato due giorni fa e non mi hai nemmeno chiamata. Non chiedevo chissà cosa, ma almeno una telefonata…niente, come se non esistessi. Una volta non avresti fatto in tempo a scendere dal traghetto che ti saresti fiondato da me… -

Julian sospirò. Sono cambiato eccome, ragazza…e non sai quanto! si disse.

I due restarono un secondo in silenzio, Maki ad aspettare una qualsiasi replica da parte del ragazzo, Julian a cercare le parole adatte per tirare fuori Mark (e anche se stesso) da quel tremendo casino.

Se lei fosse Amy, si disse, cosa farei?

Ma Maki non era Amy, così come lui non era Mark…e anche la situazione tra lui e Amy era decisamente diversa.

Julian sospirò di nuovo.

Vaffanculo, si disse, stavolta si fa a modo mio.

- Mettiti elegante, Maki. Stasera ti porto fuori. -

Maki lo guardò incredula e perplessa, e non rispose. Julian si sentì gelare le budella; cosa gli avrebbe detto Mark se avesse combinato qualche casino con la sua ragazza?

- Stasera no. – disse Maki dopo un lungo istante di silenzio. Julian la guardò allibito.

- Ma…perché? -

- Ho…ho un altro impegno. – rispose lei guardando altrove – E poi mi pare di aver capito che nemmeno tu sei in vena di festeggiare. -

Oh, cacchio.

- Domani sera va bene lo stesso? -

Julian capì la domanda a scoppio ritardato. – Eh? Certo! Certo…va benissimo, ci mancherebbe altro! -

- Bene. – disse Maki.

La ragazza rimase ferma a guardare il suo fidanzato (o almeno quello che lei credeva fosse il suo fidanzato) ma non si mosse, come se si aspettasse qualcosa da parte sua. Ma Julian non poteva certo darle quello che si aspettava…

- Allora ciao. – disse poi.

- Ciao – rispose Julian, che stava ancora pensando freneticamente a come sistemare la faccenda. Non si era certamente accorto che Maki aveva iniziato a piangere sommessamente dopo avergli voltato le spalle, e continuò a piangere maledicendosi tra sé e sé fino a quando non fu arrivata a casa.

 

 

Appena tornato in casa, Julian si riattaccò al telefono.

- Pronto? -

- Richiamami. – Così finì la prima conversazione tra Julian e Mark. Quella che seguì fu un po’ più lunga.

- Allora? -

- Siamo in un tremendo casino, Mark. – disse Julian. Poi spiegò la situazione al ragazzo.

- Aspetta, aspetta. – lo interruppe ad un tratto Mark – Hai promesso a Maki che l’avresti portata fuori a cena? -

- Beh, no, non proprio a cena…pensavo ad un localino intimo, sai, a lume di candela… -

- Bravo, e con quali soldi? -

- Come quali? I tuoi, no? – rispose candido Julian.

- Forse non mi sono spiegato – continuò Mark – Io sono in bolletta cronica. Speravo di cavarmela momentaneamente con un mazzo di fiori, e poi di fare qualcosa un po’ più in grande all’arrivo dello stipendio… -

Julian tacque per un momento.

- Mi spiace – continuò – Ti ho cacciato davvero in un bel pasticcio. -

- Non importa – sospirò Mark – Dopotutto è colpa mia. -

- Senti, io ho un discreto gruzzoletto da parte, che dici di mandarmi un po’ di contante che… -

- Non se ne parla neanche!! – sbottò Mark – Io che mi faccio prestare i soldi da te…ma quando mai! No, no, non se ne parla proprio. -

- Guarda che nei casini ci sono anch’io. E poi un po’ di grana in più mi farebbe comodo… -

- Scordatelo. Discorso chiuso. -

- Okay, grand’uomo. Allora come la mettiamo? -

- Mark, con chi stai parlando? -

Julian sobbalzò.

- Ehm…con Julian, mamma! -

- Attacca, svelto! – incalzò Mark dall’altra parte del filo.

- Julian…non sarà quel tuo amico che sta a Tokyo? -

Amico? si disse Julian. Questa è nuova…

- Sì…sì, ha chiamato lui. -

- Ah…bene. -  Detto questo, la signora Landers si ritirò in cucina.

- Senti, Mark, adesso non posso parlare – sussurrò Julian nella cornetta – E il tempo stringe. Pensa a qualcosa prima che ci pensi io. -

- Ah, Julian… -

- Che vuoi? -

- Maki…non…non l’hai baciata, vero? -

- Ma vaffanculo! -

E riattaccò, lasciando Mark allibito.

Adesso basta, mi sono rotto, si disse Julian camminando con passo deciso verso la porta.

- Esco un attimo, mamma. -

- Va bene, ma cerca di tornare in tempo per la cena. -

Va bene…che frase da sogno!

Julian era quasi commosso. Se fosse stato a casa, sua madre avrebbe mosso mari e monti per tenercelo…

Ma ora non doveva pensare a quello. Cercando di memorizzare il percorso, battè tutte le zone più rispettabili di Fukuoka alla ricerca del locale più adatto a festeggiare un anniversario di fidanzamento.

Disgraziatamente, il panorama non offriva granchè; si passava da locali rumorosi e affollati in cui non c’era la possibilità di fare quattro chiacchiere in pace se non usando un megafono a night club esclusivi in cui avrebbero sbattuto fuori chiunque non si presentasse con scarpe che non fossero di Prada, figurarsi uno come Mark.

Passando davanti ad uno di questi, il ragazzo si beccò un’occhiata assassina dal buttafuori, centoventi chili di muscoli contro un grammo scarso di neuroni.

- Me ne vado, me ne vado. – disse Julian levando le ancore.

- Sarà meglio – ribattè l’armadio.

Maledetto stronzo, pensò Julian.

Arrivato in fondo alla strada, il ragazzo, disperato, si sedette sul marciapiede sospirando.

- E adesso che cavolo faccio?! – disse. Si sarebbe messo volentieri a piangere. – Signore, se puoi sentirmi dammi un segno, ti prego… -

Il segno arrivò con una tremenda folata di gasolio che un camion, passando davanti a lui, gli sfiatò in faccia.

Tossendo convulsamente, Julian si girò per vedere, alle sue spalle, una vetrina con una discreta insegna al neon che annunciava:

 

RED ROSE SPEEDWAY

 

 

- Gran disco – disse distrattamente il ragazzo, alludendo all’omonimo LP di Paul McCartney. Stava per andarsene quando gli scappò l’occhio su una lavagna inchiodata accanto all’ingresso e che portava scritto:

 

Domani sera Piano Bar

 

Per Julian fu la folgorazione.

Senza pensarci due volte, entrò nel locale e si precipitò al bancone. Il locale era carino, semplice e pulito, e l’atmosfera era molto calda.

- Vorrei parlare con il direttore, per favore. -

Il barman, un tipo brizzolato dall’aria rassicurante, smise per un momento di sistemare le bottiglie.

- Sono io. Di che mi vuoi parlare, ragazzo? – disse sorridendo.

Julian si sentì incoraggiato.

- Di affari. – disse, sorridendo a sua volta.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Patty non ce la faceva più

Patty non ce la faceva più.

Non riusciva a non pensarci: per anni era stata innamorata di un ragazzo che non avrebbe mai e poi mai potuto ricambiarla e non se n’era mai accorta...ma la cosa peggiore era che non sarebbe mai riuscita a dimenticarlo. Non ce la faceva, punto e basta.

Dal pomeriggio precedente era rimasta chiusa in camera sua, scendendo solo per mangiare, e trascorrendo il resto del tempo in una nuvola grigia di pensieri.

Non poteva essere vero…doveva esserci un’altra spiegazione.

Forse le parole di Holly significavano qualcos’altro…ma cosa? E poi il suo tono di voce, il suo sguardo, il suo modo di comportarsi…

Idiota, idiota, IDIOTA!!!

Scoppiò di nuovo a piangere.

Aveva una voglia disperata di parlare con qualcuno, ma chi? Forse Mark sarebbe stato a sentirla, ma visto che non aveva mai preso Holly in particolare simpatia rivelargli la verità sul ragazzo non sarebbe stato per niente costruttivo…per Holly, soprattutto.

In fin dei conti non c’era niente di male.

Se lui era felice in quel modo, buon per lui, e buon per Philip…

Ma lui non era affatto felice, ed ara anche questo che preoccupava Patty.

Nonostante tutto non riusciva a smettere di voler bene a quel ragazzo, e sentiva di dover fare qualcosa per lui.

Sì, ma prima doveva trovare il coraggio per guardarlo d nuovo in faccia…

- Maledizione, possibile che non ci sia nessuno che possa aiutarmi?! – esclamò, buttandosi a faccia in giù sul letto.

All’improvviso, rialzò di scatto la testa.

- Invece no…qualcuno c’è… - disse tra sé e sé alzando la cornetta del telefono.

 

 

 

Qualche istante prima, a Hokkaido, Benji e Philip stavano di nuovo litigando.

- Dimmi che sto sognando!! – esclamò Benji – Ti prego, dimmi che è tutto un dannatissimo incubo!! -

- Benji, ti prego, piantala e mettiti calmo…ho la testa che mi scoppia… - disse Philip.

- Calmo? Devo mettermi calmo? Spiegami come diavolo faccio a stare calmo!! Io sono una ragazza, e non una qualunque, la tua ragazza, tra meno di una settimana mi porteranno a forza negli Stati Uniti e l’unica cosa che ti viene in mente è portarmi da uno schifoso truffatore che non è riuscito a fare altro che alleggerirci le tasche!! -

- Vuoi dire alleggerirMI le tasche, ciccio bello…ti faccio notare che il conto l’ho pagato io! E poi senti un po’, si può sapere perché dev’essere solo il sottoscritto a scervellarsi per trovare una soluzione a questo…questo…incubo?! Guarda che se fosse per me, potresti rimanere una ragazza per tutta la tua miserabile vita, e chissà che l’esperienza non sia costruttiva! Non me ne potrebbe fregare di meno, se solo non… -

- …se solo io non fossi imprigionato nel corpo di Jenny…questo complica un pochino le cose, non credi? -

- Non farmici pensare… - rispose Philip coprendosi la faccia con le mani – Ti prego, non farmici pensare… -

- E invece direi che è proprio il caso di farci un pensierino, caro il mio Phil…perché la situazione è grama e io non posso fare molto conciato in questo modo… -

- No, sai cosa puoi fare, invece? Tenere chiusa quella fogna che ti ritrovi al posto della bocca!!! -

- Ehm…scusate, credo di essere arrivata al momento sbagliato… -

Benjamin e Philip si voltarono contemporaneamente e videro, in piedi sulla porta, una ragazza dall’aspetto imbarazzato.

Porca miseria! esclamò Benji dentro di sé. Ma non era un’esclamazione di disappunto.

Porca miseria! esclamò Philip dentro di sé. La sua, invece, lo era…

La ragazza che i due si trovarono davanti era tremendamente carina; alta e slanciata, aveva un fisico atletico e lunghi boccoli castani che le incorniciavano il viso dalla pelle liscia e chiara, e due occhi nocciola da cerbiatta che scatenarono una tempesta ormonale nel povero Benji…

- Ehm…ciao Julia! Accidenti, mi stavo dimenticando del tuo arrivo! – disse Philip andando incontro alla ragazza e baciandole le guance – Dove hai messo le valigie? -

- Le ho lasciate nell’ingresso…ma sei proprio un cafone, Phil! Non mi presenti nemmeno la tua fidanzata? -

Philip sospirò. – Già, sono davvero un cafone…Jenny, questa è mia cugina Julia. Resterà da noi per un mese. –

- Piacere di fare la tua conoscenza, Julia! – esclamò Benji sfoderando un sorrisone a novanta denti e precipitandosi a stringere la mano che la ragazza gli tendeva- Davvero molto, molto piacere! -

- Anch’io sono felice di conoscerti, Jenny! Philip mi ha parlato tanto di te…ma…spero di non avere interrotto nulla… -

- NOOOO! – esclamarono i due ragazzi all’unisono.

- Figurati! Solo…solo una piccola scaramuccia tra innamorati…ma è tutto a posto, non preoccuparti! – mentì Philip.

- Oh, bene! Mi raccomando, non dovrete assolutamente sentirvi in imbarazzo quando sarò con voi, fate come se non ci fossi…anzi, visto che avete fatto pace, cosa aspettate a darvi il bacino del perdono? -

Benji e Philip si guardarono, allibiti.

- Eh?! -

- Ma sì, il bacino del perdono…su, fate definitivamente la pace e promettete di stare buoni. Avanti, cosa aspettate? -

- Il bacino del perdono… - disse Benji.

- Senti, Julia…vuoi che ti dia una mano con le valigie? – disse Philip cercando di sviare il discorso.

Julia sorrise e fece spallucce. – Va bene, ho capito…meglio che vi lasci chiarire le cose tra voi! Alle valigie ci penso io, Phil, ma esigo che al mio ritorno siate tutti e due felici e sorridenti… - Strizzò un occhio a Benji, che faticò a contenersi. – D’accordo? – E sparì nel corridoio.

Appena Julia fu fuori portata, Benji lanciò a Philip uno sguardo abbastanza significativo.

- Penso proprio che passerò un po’ di tempo con la tua cuginetta… -

- Levatela dalla testa! – esclamò Philip – Se solo ci provi ti taglio le mani! -

- Spiegami come faccio a provarci con lei ridotto in questo stato! -

- Ci proveresti comunque – tagliò corto Philip – Ti conosco, Benji Price…e Julia non è il tuo tipo, chiaro?

 - Non penso proprio che debba essere tu a decidere… - disse Benji sporgendosi oltre la porta per osservare il fondoschiena di Julia mentre si chinava per raccogliere i suoi bagagli – Accidenti, quant’è carina… Sai, Phil, penso che potrei esserle di grande compagnia…che so, quando va a provarsi i costumi da bagno…e poi, insomma, questa situazione non durerà per sempre, no? -

Philip scosse la testa, esterrefatto. – Benji…Benji, ascoltami…Julia non fa proprio per te, credimi! –

- Motivo? -

- Beh…insomma…ha un pessimo carattere! – inventò Philip su due piedi.

- Per certe cose non è necessario parlare, Phil… -

- E poi…ha cinque incisivi, ecco! Se ne vergogna da morire… -

- Potrebbe averne anche venticinque di incisivi, non me ne fregherebbe niente lo stesso…cacchio, guarda che davanzale! -

- …e…e la milza accessoria! -

- Si vede? –

- Certo che no, imbecille! -

- E allora dov’è il problema? -

- Benji… - disse Philip esasperato – Ti prego…siamo già in un mare di merda, almeno cerca di non fare l’onda… - 

Benji stava per rispondere quando, all’improvviso, lo squillo del telefono li fece sobbalzare entrambi.

- Pronto? – disse Philip rispondendo all’apparecchio.

- Ciao Philip, sono Patty…tutto bene? -

- Ehm…ciao, Patty! Che sorpresa…sì qui tutto a posto… - Benji guardò il ragazzo e fece un’espressione e un gesto con la mano che significavano tutto tranne che le cose andavano bene. – E a te come va? -

- In questo momento le cose non potrebbero andare peggio, grazie…senti, Jenny è lì con te? -

- Certo che è qui…vuoi parlarle? -

- Sì, grazie, ho proprio bisogno di lei. -

Philip si staccò la cornetta dall’orecchio e guardò Benji sogghignando.

- E’ Patty, cara. Vuole parlare con te. – Poi coprì con una mano il ricevitore. – E adesso sono cazzi tuoi, tesoro! – sussurrò.

- Sei un grandissimo bastardo, lo sai? – disse Benji strappandogli di mano la cornetta.

- Ciao Patty…come va? -

Dall’altro capo del filo, la ragazza scoppiò in singhiozzi.

- Pa…Patty…che hai? – disse Benji,confuso e sinceramente dispiaciuto.

- E’…è per Holly…Jenny, c’è un grosso problema e io non so cosa fare… -

- Fai quello che ti ho sempre detto – tagliò corto Benji – Mandalo a cag…ehm…al diavolo! -

Patty si riprese all’istante.  – Jenny! – esclamò – Ma tu mi hai sempre detto di tenere duro… -

- Le cose cambiano, tesoro – rispose Benji sogghignando.

- Oh, mio Dio…credo che stavolta seguirò il tuo consiglio, sai? Penso di avere toccato il fondo…piuttosto, con Philip come va? -

- Alti e bassi – rispose Benji alzando gli occhi al cielo – Perché? -

- Io…credo che quello stronzetto di Benji avesse ragione, sai? Su Holly, intendo. E sulle sue… “tendenze”, non so se mi spiego. -

- Un momento, Benji non è uno stronzo! – esclamò il ragazzo con disappunto – E’ uno che ci vede lontano, capito? -

- Comunque sia, temo che stavolta l’abbia azzeccata… -

- Racconta, racconta… - disse Benji ridacchiando tra sé e sé, contento di avere qualcosa in più su cui malignare.

- Insomma…ieri sono andata da lui per…per chiarire le cose, no? E non hai idea dello stato in cui l’ho trovato…era isterico, diceva delle frasi assurde…cose che non avrei mai immaginato di sentir dire da Holly, oddio, non hai idea di come mi sono sentita… -

- Cioè? -

- Roba tipo “non sono nel mio corpo”, “io sono un’altra persona”, cose del genere. E pensare che fino al giorno prima era assolutamente normale…ti giuro, se non l’avessi visto con i miei occhi avrei pensato di stare parlando con una ragazza… -

A Benji si drizzarono le orecchie. – Ha…ha detto che si sentiva un’altra persona? –

- No, non che si sentiva…che lo era. Poi…oddio, Jenny, non so se te lo dovrei dire, ma…ha parlato di Philip… -

- Di Philip?!? -

- Sì, diceva “che cosa dirò a Philip” e via discorrendo…Jenny, ti assicuro che… -

- Patty – la interruppe il ragazzo – Scusa, ma devo lasciarti un momento. Credimi, hai fatto benissimo a parlarmene. Ti richiamo tra pochissimo, okay? –

- Ma… -

- Tranquilla, risolveremo anche questo problema. Non preoccuparti, ti chiamo tra poco. Ciao… -

Benji agganciò il ricevitore e guardò Philip con un’espressione mista tra l’eccitato e il perplesso.

- Che è successo? -

- Buone notizie, Phil – disse – Credo di aver capito dov’è finita Jenny! -

 

 

Quella sera, Julian rincasò fischiettando, tranquillo come non mai.

- Faccio una telefonata, mamma – disse alla signora Landers. E, come di consueto, si fece richiamare da Mark.

- Allora? – disse il ragazzo.

- Senti un po’, tu e Maki bevete? -

- Che vuoi dire? -

- Voglio dire che, se domani sera le devo offrire da bere, non voglio fare gaffes. Alcolici o analcolici? -

- Prima dimmi cos’hai combinato! -

- Ho trovato un localino niente male poco lontano da casa tua, si chiama “Red Rose Spee…” -

- No! – esclamò Mark assordando Julian – Il “Red Rose Speedway” no! E’ un locale da fighetti! -

- Sarà anche da fighetti ma è il locale più presentabile che sono riuscito a trovare… -

- Bravo, e con cosa lo paghi il conto? In natura? -

- Non dire stronzate e fidati di me. Allora, alcolici per tutti e due? -

Mark sospirò. – D’accordo…e poi non ci sono molte altre possibilità, giusto? Okay, vada per gli alcolici. –

- Bene. Ti chiamo dopodomani per il resoconto. Cerca di non restare troppo in fibrillazione, okay? -

- Puoi giurarci, anche perché mentre tu sarai fuori con Maki, io sarò fuori con Amy… -

- COSA?!?!?!? -

- Mark, tutto bene? – intervenne timidamente la signora Landers.

- Sì, mamma, tutto a posto…dov’è che andresti con Amy?! -

- Alla festa dei Morgan. Non ho la minima idea di chi siano, ma mi sa di un mortorio spaventoso… -

- Porca vacca, me n’ero dimenticato… -

- Senti, come stanno mamma e i ragazzi? -

- Uh? Bene, bene… - rispose Julian soprappensiero.

- Mi fa piacere. Mi mancano, sai? -

- Senti – disse Julian cambiando discorso – Cerca di non fare stronzate con Amy, okay? E una cosa importante…io NON bevo…non posso bere, altrimenti mamma mi ammazza, okay? -

- Scusa, ma tu non bevi per ordine di tua madre o del tuo medico? -

Julian lo ignorò. – Non ho finito…c’è un’altra cosa molto, MOLTO importante… -

- Spara. -

- Tieni giù le zampe da Amy, chiaro? -

Mark tacque per un istante, leggermente interdetto. – Senti, Julian – disse poi – Io posso anche provarci, ma chi mi assicura che non sia lei a saltarmi addosso? –

- Non lo farà, te lo garantisco. -

- Aha. Tiene all’etichetta, giusto? -

- Non è una questione di etichetta. -

- … -

- Chiariamo subito la cosa, Mark – tagliò corto Julian davanti ai tentennamenti telefonici dell’amico – Io  e Amy non stiamo insieme. -

- COSA?!? – esclamò Mark allibito.

Julian sbuffò. – Mio Dio, Mark! Non credevo che per te fosse la fine del mondo! –

- Non puoi dirmi questo, Julian. Mi sta crollando un mito… -

- Mark… -

- Senti ma…non è che sei un po’ dell’altra sponda, vero? -

- Ma che cavolo hai capito, imbecille?! -

- Ho capito che devi essere messo peggio di quanto immaginassi… -

- Mark – lo interruppe Julian – Te lo chiedo per favore. PIANTALA! -

- D’accordo, d’accordo. Sono affari tuoi. Però cerca di capire, tutti noi immaginavamo che…insomma, voi due siete sempre…cioè… -

- Diciamo così – disse Julian – Io e lei non siamo mai riusciti a chiarirci, d’accordo? -

- Okay, fin qui ci sono. Però…insomma, tu… -

- Io le voglio molto bene. Forse sono anche innamorato di lei. -

- Togli quel “forse”. -

- Io tolgo quello che mi pare. – rispose, seccato, Julian, che, però, cambiò immediatamente tono. – Sì, hai ragione, lo ammetto. Sono innamorato di lei e Dio solo sa quanto vorrei che diventasse la mia ragazza. Ma non mi va di legarla a me, con i problemi che mi ritrovo, capito? -

Mark sorrise amaramente, ma Julian, ovviamente, non potè vederlo.

- Insomma, Amy merita il massimo, e io quel massimo non glie lo posso dare. -

- Forse le basterebbe anche qualcosa di meno. -

- No, non credo. E poi non voglio che si sacrifichi. Lei non merita uno come me. -

Mark tacque per un attimo. – E’ vero – continuò poi – Non merita uno che decide al posto suo. -

- Che vuoi dire? – disse Julian mettendosi sulla difensiva.

- Chi ti credi di essere per leggere nei cuori della gente, Dio? Credi di agire per il bene di Amy, ma cosa ne sai di qual è il suo bene? Tu la ami, lei pure; lascia che le cose seguano il loro corso, dannazione! Lascia che sia lei a scegliere cosa è meglio per lei… -

Julian non rispose, turbato da quelle parole.

- Julian, sei ancora lì? -

- Non sono abituato alle tue perle di saggezza, Mark… -

- Beh, comincia adesso. -

- Mark, ti prego…non crearmi casini… -

- Non ho intenzione di creare un bel niente, non sono così idiota. Ma anche se sono nei tuoi panni, non sono te. Quindi non aspettarti che mi comporti come faresti tu. -

- D’accordo. Ma allora non aspettartelo nemmeno da me. -

- Non me lo aspetto, infatti. E’ questo che mi fa paura… -

Julian rise.

- Comunque se domani sera ti dovesse capitare di ruttare in faccia agli invitati, sappi che non mi offenderò… -

- Ma per chi mi hai preso?! -

- Sto scherzando. In bocca al lupo, ne avrai bisogno. A proposito…grazie. -

- E di cosa?! -

- Di tutto. -

Mark tacque un istante. – No, mi sa che sono io che devo ringraziare te. -

- E di cosa? -

- Julian, così non la finiamo più… -

Il ragazzo rise. – Va bene. Ci sentiamo. -

Julian riagganciò sospirando, e riflettè sulle parole dell’amico.

Perché Mark, parlando in quel modo, si stava comportando davvero come un amico. E questo Julian non se lo aspettava.

 

 

Holly camminava senza una meta per le strade di Bangkok, il solito pallone tra i piedi, pensando a Freddie Marshall.

A dire la verità era un po’ preoccupato: il preparatore atletico era stato cacciato dall’albergo il giorno precedente e lui non ne aveva avuto più notizie.

Ma ciò che preoccupava maggiormente Holly era la salute mentale di quell’uomo, e soprattutto il fatto che continuasse a chiamarlo Benji… lui non era Benji, accidenti! E sì che Marshall portava anche gli occhiali, avrebbe dovuto ben riconoscerlo!

Ad un tratto, il ragazzo si fermò davanti ad una vetrina, guardando, ma senza vederla, la sua immagine riflessa. In tutta sincerità era un pochino in pensiero anche per la sua salute mentale; in quei giorni gli sembrava di non ricordare più nulla, si sentiva strano, spaesato, come se…

Come se…

Si passò una mano sui capelli, senza distogliere lo sguardo dal vetro.

Buffo, non ricordava di essere passato dal barbiere. E poi quella non era nemmeno la sua solita pettinatura.

Pensandoci, quella non sembrava nemmeno la sua solita faccia.

Ma certo! Quello era…

- Benji! Sei tu? – esclamò voltandosi di colpo. Ma rimase deluso nel vedere che, alle sue spalle, c’era solo un bimbetto alto come un soldo di cacio che lo guardava perplesso.

Holly sorrise. – Ciao, piccolo! – disse, chinandosi verso di lui.

Come risposta il bambino gli mollò un calcio negli stinchi e gli fregò il pallone.

- Ehi! Ridammelo subito!! – esclamò Holly con disappunto mentre il piccolo sfrecciava per la strada con la palla sottobraccio.

Senza perdere tempo, il ragazzo si precipitò all’inseguimento del ladruncolo, facendosi largo tra la folla a gomitate.

- Fermati! – gridò – Se ti prendo ti do una bella lezione! -

- No, sono io che do una bella lezione a te!! – esclamò una voce mentre una mano robusta afferrava Holly per la collottola – Finalmente ti ho trovato, brutto deficiente!! -

Il ragazzo fu costretto a girarsi. – Signor Marshall! – disse divincolandosi dalla pressa dell’uomo, quasi irriconoscibile per via della barba sempre più sfatta, i capelli spettinati e gli occhi iniettati di sangue – Che piacere rivederla! Mi dispiace ma non posso perdere tempo, devo ritrovare quel ladro di palloni! -

- AAAAAAAAARGH!!! – ruggì Freddie lasciando la presa e mettendosi le mani nei capelli – Ti ho già detto di non darmi del leiiiiiiiiiiiii!!!!! -

Holly approfittò di quel momento di distrazione e corse via.

- Benji! Fermati! Benji!! – gridò l’uomo inseguendo il suo pupillo – Torna qui e fatti scotennare!! -

Holly non si curò di quelle parole e inseguì il bambino in un vicolo buio. Dietro di lui Freddie continuava a berciare.

- Ti stacco la testa dal collo, mi hai sentito?! E siccome è completamente vuota non farò nessuna fatica!! – gridò – Gettato senza un soldo per le strade di Bangkok! Io, Freddie Marshall!!! Ma te le faccio pagare tutte, quant’è vero Dioooooooo!!! -

Giunto a metà vicolo, Holly si fermò e si guardò intorno.

Il bambino era sparito.

E Freddie Marshall era sempre più vicino…

- Benji!! Mi senti? E’ inutile che scappi!! Per te è finitaaaa!! -

- E adesso cosa faccio?! – disse tra sé e sé il ragazzo in preda al panico, senza smettere di guardarsi intorno alla ricerca del piccolo ladro.

Ritrovare l’amico di gomma o farsi sbudellare da Freddie? Avere o essere?

Un dilemma troppo grande per il suo minuscolo cervello…

- Ehi! Di qua, presto! -

Holly si girò e vide una ragazza dai lunghi capelli neri acquattata dietro un portone alle sue spalle. E gli faceva segno di avvicinarsi.

- Muoviti, sennò quello ti ammazza sul serio! -

- E il mio pallone? -

- Tieni di più al tuo pallone o alla tua testa? -

Holly ci pensò su qualche istante.

- Fammi strada – disse, infine.

 

 

Holly fu condotto per una scala buia, in cima alla quale si affacciava una porta scrostata. La ragazza la aprì con uno spintone, fece entrare Holly e poi la richiuse alle sue spalle ; i due si ritrovarono in una stanza molto piccola, con le finestre oscurate da pesanti tendoni rossi. In mezzo alla stanza, tanto grande da sembrava quasi fuori posto, si trovava un alto letto a due piazze, affiancato da un vecchio comodino.

Tutto, lì dentro, puzzava di muffa, ma almeno era un rifugio sicuro…

- Carino, qui – azzardò Holly.

- Non dire stronzate e siediti! – sbuffò la ragazza buttandosi sul letto a pancia in giù – Qui sei al sicuro. Ma si può sapere che cavolo voleva quel pazzo? -

- Non ne ho idea – non mentì Holly, piuttosto imbarazzato – Ad ogni modo…beh, non so proprio come ringraziarti per avermi salvato! -

- Un paio di idee le avrei… - rispose la ragazza con fare malizioso. Holly, investito da quegli occhi nerissimi che splendevano sulla pelle abbronzata, arrossì violentemente, e lei se ne accorse.

- Beh, puoi anche cominciare da qui – disse quindi, porgendo a Holly un foglietto di carta e una penna – A proposito…mi chiamo Jasmina – aggiunse poi, indicando il foglio.

Holly guardò prima il foglietto, poi la ragazza.

- Eh? -

Lei sbuffò di nuovo, con disappunto.

- Per l’autografo, no? – Imbecille, dimenticò di aggiungere.

- Oh, già! – disse Holly sorridendo. Scarabocchiò qualcosa sul pezzo di carta e lo porse gongolando a Jasmina, che però, dopo avergli dato un’occhiata, si mise in ginocchio sul letto e tornò a puntare i suoi fanali neri in quelli del ragazzo.

- Mi prendi per il culo? – disse Jasmina.

- Cosa?! -

- Qui c’è scritto “A Jasmina con simpatia, Oliver Hutton”. -

- Scusami, ho sbagliato a scrivere il nome? -

- Il tuo di sicuro! – esclamò la ragazza – Fino a prova contraria io ci vedo benone, e tu sei Benjamin Price, quant’è vero che esisto! -

Holly alzò gli occhi al cielo.

- Ma cos’è, un complotto?! Prima Freddie Marshall, ora ti ci metti anche tu! Come ve lo devo dire?! IO-NON-SO-NO-BEN-JI-PRI-CE!! – sbottò.

- Ma davvero? – continuò Jasmina, imperturbabile.

- Davvero. – rispose Holly imbronciato.

Jasmina sospirò. – Senti – disse – Se non sei Benji Price, allora sei il suo fratello gemello. -

- Impossibile. Io e Benji non ci assomigliamo così tanto. -

- D’accordo. Dai un’occhiata qui, allora. – disse la ragazza prendendo uno specchietto dal comodino e porgendolo ad Oliver.

Il ragazzo afferrò lo specchietto e osservò, stavolta attentamente, la su immagine. Dopo pochi istanti il broncio sparì dal suo viso, lasciando posto non allo sgomento ma alla sorpresa. Iniziò a toccarsi tutta la faccia, come per assicurarsi che il volto riflesso nello specchio fosse veramente il suo.

- Ehi, allora è proprio vero…cavolo, sono Benji!! -

- Dì un po’, chi era il tizio che ti stava inseguendo? -

- L’allenatore di Benji…cioè…dovrei dire il mio… - rispose Holly, confuso, lasciandosi cadere pesantemente sul letto.

- Ci credo che è furioso. Chissà cosa ti sei fumato per ridurti così… -

Holly non rispose, lo sguardo fisso nel vuoto.

- Credo che ti convenga raccontarmi tutto. Con calma. – disse Jasmina, posandogli una  mano sulla spalla.

 

 

- Io non capisco…non riesco a ricordare niente di quello che è successo prima di ieri…o quello che credevo fosse ieri. Ero a casa mia, a Fujisawa, nella mia stanza…ed ora sono qui a Bangkok, nel corpo di Benji…mi sento un pochino confuso. -

- Credo sia abbastanza normale – intervenne Jasmina – Non capita a tutti di trovarsi nel corpo di un altro, figuriamoci in quello del proprio peggior rivale… -

- Rivale? – disse Holly – Io e Benji giochiamo nella stessa squadra da anni e andiamo d’accordissimo! -

- Non direi – ribattè Jasmina – Altrimenti non credo che Price avrebbe detto “Oliver Hutton è un coglione” in conferenza stampa… -

- Erano altri tempi – disse Holly arrossendo.

- Già…in tre mesi può succedere di tutto… - disse Jasmina porgendo a Holly la copia di un vecchio giornale sportivo.

Holly cercò di sviare il discorso. – E adesso cosa faccio? Se Freddie mi trova mi fa saltare il cervello! – disse.

Grave perdita per la scienza, pensò Jasmina, ma non lo disse.

- Io credo che invece dovresti ritrovare quel tizio. Cerca di essere accomodante, lascialo sbollire, offrigli una birra e poi cerca di dargli qualche spiegazione. Sono certa che ti sarà d’aiuto, vedrai. Al massimo…sai dove rifugiarti! -

Holly sorrise . – Dici davvero? -

- Dico davvero. -

- Allora…forse è meglio che vada. -

- Se proprio devi… - disse Jasmina quasi a malincuore.

Holly si alzò dal letto e si guardò intorno.

- Comunque casa tua non è tanto male. Beh, è un po’ piccola, ma mi sembra davvero accogliente… -

Jasmina sogghignò. – Sai, ricevo spesso visite maschili…ma nessuno ha mai badato all’arredamento…mi spiego? -

- No – disse Holly scuotendo la testa.

Jasmina sospirò. – Insomma, di solito non me ne sto sdraiata qui a chiacchierare con i clienti… -

- E allora che fai? -

- Uhm…massaggi? -

Stavolta Holly annuì, con l’espressione di uno che crede di aver capito tutto ma non ha capito un accidente.

- Ah, sì…massaggio shi-tzu, shiatzu, come si chiama… -

Jasmina sospirò di nuovo. Le stava venendo mal di testa.

- Sì, quella cosa lì. –

Holly sorrise, avvicinandosi alla porta. – Allora se riesco a sistemare questa faccenda ripasso…sai, a volte ho una cervicale che mi ammazza… -

- Certo, certo. Torna quando vuoi. -

- Allora ciao! -

- Sì, sì…ciao. -

Dopo che il sorrisone di Holly fu scomparso dietro la porta, Jasmina si buttò di schiena sul letto, lo sguardo fisso sul soffitto.

Chiunque fosse veramente, quel tipo sbiellato era sì un campione, ma di certo non una gran cima…

 

 

 

Holly tornò di filato in albergo e si mise a sedere nella hall, riflettendo nuovamente sul da farsi.

Aveva perso il pallone, Freddie Marshall e la sua faccia (quest’ultima non in senso figurato): quale delle tre cose era la più grave?

Tutto ciò che gli restava era il consiglio di quella strana ragazza, consiglio che però metteva a repentaglio la sua vita, e una camera in quello splendido albergo…

Ad un tratto, dentro la zucca di Oliver si accese una minuscola lampadina. Il ragazzo si alzò e si diresse la bancone della reception.

- Mi scusi – domandò all’impiegata – Fino a quando è stato pagato il mio soggiorno, qui? -

- Fino a dopodomani, signore. – rispose cortesemente la ragazza.

- Ah…grazie. -

Holly rimase interdetto per qualche secondo.

Forse era meglio recuperare Freddie.

 

 

Dopo aver vagato per mezza Bangkok, Holly ritrovò Freddie Marshall seduto al bancone di una delle peggiori bettole della città, quasi ubriaco.

- Eccolo qua!! – esclamò l’uomo alla vista del ragazzo – Eccolo qua, l’infame!! -

- Signor Mar…Freddie! – si corresse Holly – Ti stavo giusto cercando! -

- Come no! E io stavo facendo due chiacchiere con Maradona!! -

- Maradona è qui? – esclamò Holly stupefatto.

Freddie non ci poteva credere. – Benji…io ti ho sempre considerato un figlio…ti prego, dimmi cos’ho fatto di male per meritarmi tutto questo! -

-Tutto questo cosa? -

- Essere preso così brutalmente per il culo, brutto stronzo che non sei altro!! – sbottò Freddie.

- Calmati, Freddie, ci stanno guardando tutti! -

- E lasciali guardare!! -

- Freddie, per favore, non fare così… - disse Holly mettendo le mani avanti – E’ difficile anche per me credere a…a quello che sta succedendo! -

- Perché, cosa starebbe succedendo, a parte il fatto che sto per strangolarti? – disse Freddie scrocchiandosi le nocche.

Holly, naturalmente, non gli fece caso e gli si sedette accanto. – Insomma…l’altra sera mi sono addormentato nel mio letto, a Fujisawa…e quando mi sono svegliato ero qui, nel corpo di Benji! Ma io non sono Benji!! Non saprei parare un rigore nemmeno se lo tirasse mio cugino di tre anni! –

Freddie lo guardò, perplesso.

- Quindi insisti ancora nel dire che sei Oliver Hutton? –

- Ma io sono Oliver Hutton…ugh! – esclamò il ragazzo colpendosi il petto e provocandosi un colpo di tosse.

Freddie inarcò un sopracciglio e sorrise.

- Benissimo! – esclamò – Sai cosa  facciamo, adesso? Un bel colpo di telefono al tuo amichetto Holly! E poi vedremo chi se la riderà, caro il mio buffone! -

Freddie estrasse rapidamente dalla tasca il suo cellulare, pensando che Oliver non poteva essere così sveglio da reggere il gioco a Benji, quindi cercò rapidamente il numero del ragazzo.

Uno squillo fu sufficiente.

- Pronto? Buonasera, signora, sono Freddie Marshall. Vorrei parlare con Oliver… Come dice? - L’espressione di Freddie cambiò improvvisamente. – Che significa “non vuole parlare con nessuno”?! Io non sono nessuno, sono uno dei preparatori atletici della nazionale giov…insomma, mi passi subito Oliver, perdiana!! -

- Ehi, non parlare in questo modo con mia madre!! – sbottò Holly, seccato. Freddie lo zittì con un cenno della mano.

- Pronto, Oliver? Sono Freddie Marshall. C’è qui il tuo amico Benji che…Oliver? –L’espressione di Freddie peggiorò ulteriormente. – Su, smettila di piangere…come sarebbe a dire che non sei Oliver?! Non mi starai mica prendendo per il culo anche tu?! Guarda che sono già incazzato come una biscia, ci manca solo che…Oliver, per la miseria, finiscila di piangere!!! -

Prima che a Freddie venisse un colpo apoplettico, Holly gli strappò di mano il telefono.

- Benji, sono Holly. Senti...certo che lo so, Holly sono io. No, aspetta…se io sono Holly tu devi essere Benji, perché altrimenti…insomma, cosa sta succedendo?! -

Holly si staccò il cellulare dall’orecchio e lo fissò, basito. Poi guardò Freddie.

- Ha riattaccato… -

- E che volevi che facesse, che ballasse la tarantella?! – disse Freddie riprendendosi il telefono.

- Freddie, quello non ero io…ma la voce era la mia…insomma… - Il ragazzo si alzò di scatto, gli occhi spalancati dal panico. - …se io sono qui, chi diavolo c’è a casa mia?! -

Freddie sospirò e si fece scorrere le mani sulla faccia. – Senti…escludiamo che questo sia uno scherzo di pessimo gusto che tu e Hutton state tramando alle mie spalle…cosa poco probabile, dato che quel ragazzo ha un carciofo al posto del cervello… -

- Di chi stai parlando, Freddie? -

- Niente, niente, lascia perdere…piuttosto, qui resta una cosa sola da fare. -

- Cioè? -

Freddie si alzò e si spolverò i calzoni. – Andiamo in albergo, sperando che non mi arrestino prima, facciamo i bagagli e ce ne torniamo a Fujisawa. Innanzitutto ho bisogno di fare una chiacchierata a tu per tu con Oliver Hutton, o chi per lui…dopodiché chiamerò un buon psichiatra… -

- Pensi che possa risolvere il nostro problema? – disse Holly, speranzoso, trotterellando accanto a Freddie.

- Il tuo non so – rispose l’uomo – Ma il mio sì. E ora fammi un altro favore… -

Freddie si piantò davanti a Holly, lo prese per le spalle e lo fissò negli occhi.

- Forse posso anche arrivare a credere che tu non sia davvero Benji…considerando lo stato attuale dei miei nervi potrei anche credere di vedere Babbo Natale arrampicarsi nudo su un palo del telefono…per cui ti chiedo: chiunque tu sia, per l’amor del cielo, risparmiami ulteriori sofferenze e comportati come Benji!!! -

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Premessa: questo capitolo non fa ridere (per lo meno la prima parte, per la seconda decidete voi)

Premessa: questo capitolo non fa ridere (per lo meno la prima parte, per la seconda decidete voi). Non fa ridere perché è romantico. Ora voi vi chiederete: come fa a starci un capitolo romantico in una storia demenzial-idiota? La risposta è: che ne so? Però ho voluto farcelo stare, perché contiene una delle mie canzoni preferite, cioè “Must I paint you a picture” di Billy Bragg, che come colonna sonora ci sta alla grande. Ascoltatela, perché (al contrario di questa storia) è veramente bella!

Bacioni Sage

 

 

 

Erano circa le sette di sera, per strada non passava un’anima e faceva ancora un caldo cane.

Julian si guardava allo specchio fischiettando Neil Young mentre si tirava a lucido per la serata. Frugando nell’armadio di Mark aveva trovato un paio di pantaloni beige ed una polo blu che gli donavano decisamente un aspetto sportivo ed elegante, anche se forse non rientravano tra i capi prediletti da Mark, visto che puzzavano tremendamente di naftalina.

- See the lonely boy out on the weekend…du-dudumdum-dum… -

Niente male, niente male davvero. Una bella arieggiata, uno spruzzo di profumo ed era fatta. Ora sì che Mark Landers era un figurino!

- Okay, figaccione – si disse Julian sistemandosi i capelli con un rapido colpo di mano – Pronto a far sciogliere in lacrime la tua donna? -

Ma che cacchio sto dicendo? Pensò poi, scuotendo la testa.

Continuando a fischiettare, chiuse la porta della camera.

- Ciao mamma, ci vediamo più tardi! – disse, facendo capolino nella cucina. Ogni volta che pronunciava quella frase entrava in visibilio.

La signora Landers, in compenso, non lo considerò più di tanto e lo salutò distrattamente, china a scartabellare tra una miriade di fogli sparsi sul tavolo.

Julian non ci fece caso e uscì.

Vedrai, Mark, di cosa è capace Julian Ross!

Mentre imboccava il vialetto d’ingresso incrociò Robert, il maggiore dei tre fratellini di Mark. Julian lo salutò scompigliandogli i capelli.

- Puzzi di pesce! – disse Robert.

- E’ dopobarba, stupido! – esclamò Julian arrossendo. Era l’unico articolo di un certo stile che aveva trovato in camera di Mark, sepolto in un cassetto. Con ancora attaccato il biglietto d’auguri di Maki. Quel cafone di Mark non l’aveva praticamente mai usato; in compenso ci aveva pensato Julian a dargli fondo.

Arrivò all’edicola, il luogo in cui aveva dato appuntamento a Maki, con cinque minuti d’anticipo e la ragazza era già lì ad aspettarlo.

Cominciamo bene…

- Scusami per il ritardo! – disse Julian affrettandosi.

- Non sei in ritardo – rispose Maki – Sono io che sono in anticipo. Dove si va? -

Sfoderando un sorriso a novanta denti, Julian pose un braccio attorno alle spalle di Maki e si mise in cammino insieme a lei.

- Ti dice niente “Red Rose Speedway”? -

Maki si bloccò. – Andiamo al “Red Rose Speedway”? – disse, poco convinta.

Julian ritirò il sorriso. – Non…non ti piace? –

- Eccome se mi piace! Solo che: primo, è praticamente davanti a casa mia, per cui mi domando perché diavolo mi hai fatto venire fin qui, a meno che tu non volessi confondermi le idee… -

- Infatti – farfugliò Julian.

- Secondo: a te quel locale ha sempre fatto schifo… -

- La gente cambia – disse Julian arrossendo paurosamente – Beh, preparati, tesoro…ho in serbo una bella sorpresa per te! -

 

 

Nel locale c’era parecchia gente, eppure non c’era affatto fracasso. Un leggero profumo d’arancia si diffondeva tra le pareti tinte di giallo da una lieve soffusione di luce.

- Era questa la tua sorpresa? – disse Maki accomodandosi al tavolo che Mark aveva riservato.

Julian sorrise mentre il cameriere serviva ai ragazzi due Martini con tanto di olive e ombrellini di carta.

Cercando di assumere l’espressione più intrigante che conoscesse, il ragazzo sorseggiò il suo aperitivo.

- Beh, non è così…BAH! – sputacchiò Julian ricordando la sua avversione per tutto ciò che fosse alcolico e/o amaro. Insomma, aveva il corpo di Mark, ma i suoi gusti restavano sempre quelli…

- Come? – disse Maki che,per fortuna, in quel momento si era distratta osservando il locale.

Julian cercò di ricomporsi e spostò il bicchiere mentre la sua faccia si contorceva in una buffa smorfia di disgusto.

- Dicevo…puah!…che non è così banale… -

- Tutto bene, Mark? -

- Sì, sì, bevi, bevi… -

La ragazza ridacchiò.

- Sei strano stasera, Mark Landers… -

- Quando sono con te mi sento sempre strano, baby… - disse Julian facendo disperatamente appello a tutti i filmacci d’amore che sua madre divorava uno dietro l’altro, alla ricerca di qualche frase melensa da snocciolare per l’occasione.

- Non direi – replicò Maki – Certe stronzate non me le hai mai dette… -

- Difatti era una battuta, non mi avrai mica preso sul serio? -

Okay, niente frasi melense.

Maki lo guardò, perplessa.

- Cosa c’è sotto, Mark? Prima ti dimentichi della mia esistenza e quando ti vengo a cercare sembra che tu non mi abbia mai visto prima. Poi mi dai appuntamento in culo al mondo per andare a finire sotto casa mia, ti fai il bagno nel dopobarba che ti ho regalato l’anno scorso e che non hai mai messo e prenoti un tavolo nel locale che odi di più al mondo. Se devo perdonarti qualcosa dev’essere certamente una cosa molto ma molto grossa… -

Julian, colto alla sprovvista, tacque e abbassò gli occhi, mentre quelli di Maki continuavano a fissarlo, indagatori. Il ragazzo stava decisamente perdendo la pazienza.

Guarda, Maki, io non sono Mark, avrebbe voluto dirle, sono Julian Ross non si sa come trapiantato nel corpo di Mark. Penso che sia un pochino normale che io sembri strano, non credi?

Ovviamente no, non poteva parlarle in quel modo. Ma ne aveva tanta, tanta voglia…

Ad ogni modo ci pensò Maki a trarre le sue conclusioni.

- Sai…io credo che stasera abbiamo un’occasione per…per parlare un po’. Di noi, intendo. E’ un bel po’ che non lo facciamo,e  credo che ne avremmo bisogno entrambi. -

- In…in che senso? -

- Nel senso che le cose non stanno andando esattamente come dovrebbero, Mark. Da parecchio tempo. -

Julian strabuzzò gli occhi e pensò a tutte le più terribili torture e cui l’avrebbe sottoposto Mark se fosse riuscito a farsi piantare da Maki in meno di una settimana. Poi pensò brevemente alle parole della ragazza e capì che il problema doveva davvero essere un po’ più vecchio del previsto.

Alzò lo sguardo verso Maki e vide nei suoi occhi non la stizza e l’irritazione dipinte da una lite tra innamorati, ma una profonda tristezza. Eppure doveva esserci ancora qualcosa a cui aggrapparsi…

Julian doveva fare qualcosa. Doveva farlo per Mark.

Qua ci vuole un piccolo cambiamento nel programma. Quella non va più bene. Meglio usare l’altra…

- Forse hai ragione – disse Julian, serio – Forse dobbiamo davvero parlare. Credo che stasera ti dirò qualcosa che il vecchio Mark non ti avrebbe mai detto; e probabilmente dopo capirai… -

Guardò l’orologio e si alzò. – Scusa ma devo lasciarti un momento. –

Maki non lo guardò mentre se ne andava. Rimase lì da sola con il suo Martini, senza nemmeno riuscire a sperare che un aitante sconosciuto le si avvicinasse e le offrisse la sua compagnia.

Con gli occhi fissi nel bicchiere pensò al gelo che, da un po’ di tempo a quella parte, stava scendendo tra lei e il suo fidanzato.

Era facile ammettere che le cose non erano più come prima. Ammettere che tornare indietro sarebbe stata un’impresa era molto più difficile.

Mark non cera più, punto e basta. Se n’era andato, disperso tra il mondo rosa del suo sport preferito e i suoi problemi famigliari che lo tenevano ancorato a terra. E lei non era altro che una nuvola passeggera che, forse, gli aveva dato un po’ di freschezza.

“Il mio piccolo temporale personale”, la chiamava Mark, in ricordo dell’irruenza del suo carattere. Quelli sì che erano bei tempi…

- Questa canzone è dedicata ad una persona che per me è molto importante, anche se forse non glie l’ho mai dimostrato. -

Maki spalancò gli occhi nel riconoscere quella voce, e quando vide da dove proveniva arrossì come un pomodoro e il cuore le balzò in gola.

Non poteva essere lui.

Quel ragazzo seduto al pianoforte in fondo alla sala, con la voce di Mark, vestito come Mark, non poteva essere Mark.

Per quanto ne sapeva lei, Mark non sapeva suonare il pianoforte ed era stonato come una campana. E mai e poi mai avrebbe fatto una cosa del genere…

Mentre le dita del ragazzo scorrevano leggere sulla tastiera, creando una melodia lenta e dolce, Maki, infuriata, ebbe la tentazione di alzarsi e piantarlo lì come un salame.

Che razza di figura le stava facendo fare? Intortarla davanti a tutti con una stupida canzone da piano bar?!

Eppure la ragazza non sapeva, e non l’avrebbe mai saputo, cosa la stesse trattenendo a quel tavolo. Non aveva mai sentito quella canzone prima di allora, e in effetti non era per niente mielosa…al contrario, la trovava di una semplicità quasi disarmante.

 

“It’s bad timing and me

we find a lot of things out this way…”

                  

Maki riuscì ad afferrare un po’ il testo di quella canzone, anche se il suo (e anche il mio, NdSage) inglese era piuttosto arrugginito.

Sono brutti tempi…e stiamo scoprendo un sacco di cose…

 
“And there’s you

a little black cloud in a dress…”

 

Questo lo capì senza problemi. Parlava di lei. Una nuvoletta nera in un vestito…

Sorrise, mentre un piccolo nodo le saliva alla gola. Sì, era proprio lei. Una piccola nuvoletta che gli aveva sconvolto la vita…

Il mio piccolo temporale personale…
 
“The temptation

 to take the precious things we have apart to see how they work

must be resisted for they never fit together again…”

 

Non era una canzone allegra. Pensandoci, forse parlava di un fallimento.

Era questo che Mark voleva dirle quella sera?

Il cuore di Maki battè ancora più forte mentre lei cominciava ad avere paura. Aveva paura di quel ragazzo che stentava a riconoscere e che, seduto al pianoforte, metteva tutto se stesso in quella strana canzone.

Ma che cosa le stava dicendo?…

 

“If this is rain let it fall on me and drown me…”

 

…Che cosa le stava urlando?

 

“If these are tears let them fall…”

 

La voce di Julian si fece più forte e intensa, espressiva.

 

“Must I paint you a picture

about the way that I feel?”

 

Devo dipingerti un quadro per dirti come mi sento?

 

“You know that my love for you is strong…”

 

Tu sai che il mio amore per te è forte…

 

“You know my love for you is real…”

 

Tu sai che il mio amore per te è vero…

 

Era questo che voleva dire Mark, e che non le aveva mai detto?

Era veramente questo?

 

“Must I paint you a picture…?”

 

Maki si alzò e scappò fuori dal locale, piangendo.

Nel frattempo Julian continuava a cantare.

 

“It took a short walk and talk

to change the rules of engagement…”

 

Era la prima volta in tutta la sua vita che, pur trovandosi in panni non suoi, si sentiva veramente se stesso.

Mark non sapeva suonare?

Mark non sapeva nemmeno che quella canzone esistesse?

Beh, chi se ne fregava. Lui non era Mark, questo lo sapeva benissimo. Ci avrebbe pensato più tardi sistemare certi…dettagli.

E poi Julian su certe cose non riusciva a mentire.

O no?

Nascondendo i suoi sentimenti ad Amy, non aveva sempre mentito a se stesso?

Ma Julian, almeno per quella sera, non trovò la risposta a questa domanda. Perché, quando la canzone finì tra gli applausi del pubblico, si accorse che Maki era sparita e gli si gelò il sangue nelle vene.

 

 

Maki piangeva sommessamente, seduta sul marciapiede fuori dal Red Rose Speedway, quando Julian la raggiunse. L’unico rumore che risuonava sulla strada deserta era quello dei suoi passi.

Tirò un profondo respiro, raccogliendo le idee e cercando le cose giuste da dire. O meglio, le cose che Mark avrebbe trovato giusto dirle; ma il vero Mark non avrebbe mai e poi mai montato tutta quella sceneggiata, e ormai toccava a lui portarla avanti fino alla fine.

Ma a modo suo.

- Sono qui, Maki. Puoi insultarmi, se vuoi. Picchiarmi, sputarmi addosso, dirmi quello che ti pare. Ma non me ne andrò fino a quando non avrai aperto bocca. -

La ragazza si voltò verso di lui tirando su col naso.

- Non mi avevi mai detto che sapevi suonare il pianoforte. -

Julian arrossì e sorrise. – Me l’ha insegnato un amico – disse.

- Anche questo faceva parte della sorpresa? -

Julian sospirò e fece due passi sul marciapiede, guardando la luna.

- Volevo cantare un’altra canzone, sai? All’inizio. – disse – “Good old-fashioned loverboy” dei Queen. La conosci? -

Maki tacque.

- E’ carina – continuò Julian – A dire il vero è una delle mie preferite. Ma non significa un accidente. Questa, invece, dice tutto quello che avevo intenzione di dirti. E’ vero, in questi ultimi tempi sono stato lontano da casa  e troppo occupato a far girare le cose per il verso giusto per ricordarmi di dedicare un po’ di attenzioni anche a te. Ma questo non cambia il fatto che sono qui, Maki. -

La ragazza sentì un enorme nodo serrarle la gola.

- Dimenticherò un sacco di volte di telefonarti e magari non metterò mai più il tuo dopobarba,che fra l’altro… - Julian si annusò la maglia con fare poco elegante. - …mi piace un sacco… -

Maki sorrise debolmente, gli occhi ancora lucidi.

- …ma ci sarò sempre, capisci? Comunque vadano le cose, sai perfettamente quello che provo per te. -

Beh, insomma, andasse come andasse, era quello che avrebbe detto anche Mark, pensò Julian.

O, per lo meno, il senso della canzone era quello.

Forse.

Boh…

Julian si disse che forse era il caso di condire il tutto con qualche buona frase ad effetto. E forse aveva quelle giuste…

- Ci saranno ancora attriti fra noi, ma non saranno altro che impalcature che cadono. E noi le lasceremo cadere, perché sappiamo che, sotto di loro, abbiamo costruito il nostro muro... -

- Questa l’hai inventata tu? – disse Maki.

Affondato…

- No. E’ di un poeta irlandese che si chiama Seamus Heaney. -

- Te l’ha insegnata quel tuo famoso amico…? -

- Sì, sempre lui. – rispose Julian sorridendo.

Maki si asciugò gli occhi con il dorso della mano.

- Quando sono venuta qui stasera…credevo fosse l’inizio della fine. E’ da quando sei partito che ho una paura folle di perderti…e per questo, forse, ti stavo perdendo… Ero sicura che parlarne non avrebbe reso le cose più semplici, non sapevo nemmeno da che parte cominciare, ma dovevo fare un tentativo…e alla fine hai pensato tu a tutto. Tutto quello che c’era da dire, l’hai detto tu in cinque minuti. -

Julian deglutì quando si ritrovò gli occhi di Maki puntati nei suoi.

- …quindi?… -

- Mark Landers – continuò la ragazza, decisa – Sapevo che eri un presuntuoso, burbero, rompiscatole testa di legno…ma che fossi anche così…dannatamente sensibile…non me lo aspettavo proprio. -

- E’…è un lato di me che non conoscevo nemmeno io – balbettò Julian, incapace di muoversi mentre Maki lo abbracciava e lo stringeva a sé.

Missione compiuta! Mark è salvo!

Sì, però adesso chi avrebbe salvato lui dalle labbra di Maki?

Oddio, pensò Julian ben sapendo che non c’era una via d’uscita.

Chiuse gli occhi, concentrandosi su tutt’altro.

Amy, Amy, Amy…

Ma a salvarlo, quando ormai il danno stava per essere fatto, ci pensò il destino, sotto forma del signor Olson, proprietario del Red Rose Speedway.

- Mark, il pubblico aspetta – disse facendo capolino dalla porta – Ricorda che mi devo ancora quattro canzoni. -

Maki guardò prima l’uomo, poi Julian, che arrossì imbarazzato.

- Perdonami, Maki – disse – E’ il lavoro che mi sono trovato per pagare il tavolo per stasera. Non avevo un soldo. Mi dispiace, non volevo dirtelo. Temo che farò un po’ tardi. -

La ragazza sorrise e gli accarezzò una guancia.

- Vai pure, Mark. Non vedo l’ora di sentirti cantare di nuovo. -

 

 

Per quella sera, Julian diede il meglio di sé, strabiliando Maki con i migliori brani del suo repertorio.

Julian amava suonare il piano, era l’unica cosa che lo rendeva davvero libero, libero di immergersi in un mondo che solo lui conosceva e da cui nessuno avrebbe potuto strapparlo, riportandolo nella sua maledetta gabbia dorata. Soprattutto quando suonava quello che voleva lui, non quello che diceva sua madre…

Gli applausi del pubblico e, più forti di tutti, quelli di Maki, lo fecero sentire un altro e, per un istante, il ragazzo dimenticò chi era in realtà.

Non era più il vecchio, remissivo, rassegnato Julian Ross. Era un ragazzo che sapeva prendere l’iniziativa, era vivo e indipendente. E, soprattutto, era il ragazzo che aveva salvato il culo a Mark…

Chissà se Amy l’avrebbe riconosciuto?

Dio, quanto gli mancava…

- Bravo! -

- Complimenti, ragazzo! -

- A quando la prossima? -

Al pubblico era piaciuto. Qualcuno gli aveva perfino allungato una bella mancia.

- E’ stata la serata più bella della mia vita! – disse Maki mentre usciva dal locale sottobraccio a Julian.

Il ragazzo sorrise, e avrebbe voluto dirle che, anche se non per lo stesso motivo, anche per lui era stato così, quando una mano gli battè due volte sulla spalla, costringendolo a voltarsi. Era il signor Olson.

- Mi sembra che tu abbia cantato bene, stasera – disse, serio.

- Grazie, signore – rispose Julian.

- Oh, smettila di chiamarmi “signore”, non sono il tuo generale! Dammi pure del tu. -

Il ragazzo si mise sul chi vive. Quando ti dicono “dammi pure del tu”,si disse, c’è sempre una fregatura in arrivo.

Ma non quella volta.

- Dimmi un po’, che altro sai suonare? Oltre a quello che hai fatto stasera, intendo. -

Julian ci pensò su un momento.

 - Beh, su due piedi non saprei…Tom Waits, Joan Armatrading, Carole King…qualche pezzo blues…roba vecchia, insomma. -

- Vecchia sì – disse Olson alzando l’indice – Ma d’atmosfera. E quello che conta di più in un buon piano bar è l’atmosfera. -

Battè nuovamente una mano sulla spalla di Julian. – Allora, ti va di tornare qui a suonare? Quattromila yen a serata, non posso offrirti di più, tre volte alla settimana a partire da dopodomani sera. -

Julian gli avrebbe risposto che sarebbe tornato anche gratis, tanto era felice, ma non gli sembrava decisamente il caso.

- Per…per quanto tempo? – balbettò, lo sguardo trasognato.

- Dipende. -

- Da cosa? -

- Da quanto è vasto il tuo repertorio. -

Le labbra di Julian si aprirono in un sorriso enorme.

- Non…non so come ringraziarla, signore! -

- Niente “signore”. Sei tu che fai un favore a me. Allora siamo d’accordo; a dopodomani. -

Olson sorrise e rientrò nel locale.

Julian non era mai stato così felice in vita sua.

Quell’uomo gli piaceva. Quel lavoro gli piaceva. Ed era libero!

Che altro poteva desiderare di più?

- Sai cos’ho scoperto, Maki? – disse, circondando con un braccio le spalle della ragazza e dirigendosi verso casa – Che ho davvero una gran bella voce! -

Maki rise.

 

 

Julian camminava a dieci metri da terra.

Lavorava, suonava, usciva con una ragazza (che non era la sua, ma l’idea era quella), mangiava quello che gli pareva, poteva bere alcolici anche se non gli piacevano e stava facendo un corso di recupero di parolacce. E avrebbe pure potuto continuare a giocare a calcio.

Insomma, non aveva più un soldo ma eravivo!

In culo i soldi, si disse. Mi sono usciti dalle orecchie per diciassette anni e non sono mai stato tanto felice come ora!

L’evento andava assolutamente festeggiato.

La prima cosa che fece dopo essere rincasato fu quindi fiondarsi in camera, accendere l’abat-jour e frugare tra i cd di Mark.

Doveva averla, qualsiasi persona dotata di gusti musicali normali l’aveva e Mark, per quel poco che aveva visto, non era da meno.

- Bingo! Eccola qua! Aretha Franklin! -

Pochi secondi dopo, Julian ballava felicemente sulle note di una delle più belle canzoni soul mai scritte, cantando a squarciagola.

“Freedom…” gorgheggiò Aretha.

- Freedoooom… - fece eco Julian.

“Freedom…” ripetè Aretha.

- FREEDOOOOM… - ripetè Julian.

Peccato che al terzo “Freedom” Justin si mise a piangere, Robert tirò un cuscino in testa al fratello e Katherine corse a chiamare la mamma, ma inutilmente perché la signora Landers era già lì, sulla soglia della stanza, pronta a massacrare il buon Julian, il quale arrossì fino alla punta dei capelli.

Eh, già. Cantare Aretha Franklin alle due di notte in camera da letto con tre bambini piccoli non era certo una grande idea.

- Scusascusascusa! – disse Julian correndo a spegnere lo stereo. Poi, esibendosi in un roteante passo di danza, baciò velocemente su una guancia la madre di Mark, che non potè fare a meno di sorridere, e volò in soggiorno, buttandosi a pancia in giù sul divano.

Per un brevissimo istante ringraziò quasi l’operatore dello scambio tra lui e Mark, chiunque fosse. Il vero Julian non avrebbe mai potuto comportarsi in quel modo.

Ma il vero Julian non aveva la minima idea di cosa fosse la felicità, se non quando tirava due calci ad uno stupido pallone, l’unica cosa che gli riusciva bene.

Ma no, non era più l’unica! In quei pochi giorni aveva fatto cose che non si sarebbe mai sognato di fare. Figuriamoci dopo!

Se Amy l’avesse visto…sarebbe stata fiera di lui.

Julian si girò di schiena e rimase un momento a fissare il soffitto, le braccia incrociate dietro la testa, pensando di nuovo alla ragazza.

Amy era l’unica cosa che gli mancava veramente. Cosa non avrebbe dato pur di rivederla…

- Oh, ‘fanculo! – esclamò Julian afferrando il telefono e componendo un numero a lui molto famigliare…

 

 

 

Mentre Julian chiedeva a Maki se era il caso di dipingerle un quadro per dirle quanto Mark l’amasse, il vero Mark era intrappolato nell’evento mondano più noioso della sua vita.

E non c’erano vie d’uscita!

Fino ad allora non aveva fatto altro che girare tra gli invitati incollato come una piattola ad Amy, per cercare di capire chi doveva fingere di conoscere e chi no, ma non era affatto facile…al terribile barbecue annuale nell’immenso parco della famiglia Morgan, da sempre amici dei Ross, non era ancora nemmeno riuscito a capire chi  fossero i Morgan…figuriamoci gli altri!

Aveva quindi deciso di scollarsi da Amy e perlustrare la zona per conto proprio, un bicchiere di aranciata in mano.

Erano due le cose che Mark odiava a morte: i barbecue da teleromanzo e il karaoke. Ad un barbecue da teleromanzo non c’erano meno di cinquanta invitati che conoscevano a malapena i padroni di casa, per cui qualsiasi passante avrebbe potuto imbucarsi e mangiare a sbafo per tutta la serata senza che nessuno avesse il coraggio di chiedergli chi fosse. La regola generale di un barbecue era annoiarsi a morte e fingere di divertirsi, regola che Mark decise di infrangere mostrando apertamente la sua noia sbuffando come un mantice mentre pensava a qualche diversivo, come quelli suggeriti da Julian.

- Bella festa, eh? – gli disse un ragazzo abbronzato e con tanto di quel gel che nemmeno un tornado avrebbe potuto spostargli un capello.

- Eccome – rispose Mark cercando di autoconvincersi di quello che stava dicendo.

Il tizio fece un cenno con la testa ad un gruppo di ragazze poco distanti. - Certo che Marlene se la tira un sacco da quando si è rifatta le tette… - disse.

- Chi, la rossa col vestito da baldracca? – disse distrattamente Mark.

- La rossa col vestito da baldracca è la mia ragazza – rispose il tizio, piuttosto contrariato.

Mark si sentì sprofondare. – No, intendevo quell’altra, laggiù… -

Il tipo non fece in tempo a dire: - Quell’altra chi? – che Mark si era già defilato.

Sperando che quello non fosse un carissimo amico di Julian, pensò che forse era meglio tacere sull’accaduto…

- Che palle!! – mugugnò Mark tra sé e sé guardando l’orologio. Era lì da un’ora e gli sembravano dieci anni. E aveva già fatto un’orrida gaffe.

In quel momento rimpianse amaramente di non essere a casa sua a Fukuoka. Di sicuro non c’erano, né ci sarebbero mai stati, altri terribili barbecue da teleromanzo, ma almeno non doveva destreggiarsi tra simpatici serpenti velenosi che sparlavano a tutto andare della persona con cui avevano chiacchierato fino a cinque minuti prima.

Povero Julian…ecco perché aveva sempre una faccia triste! Mark era certo che gli avrebbero abbuonato dieci anni di purgatorio per ogni festa del genere.

Però, pensandoci bene, anche i barbecue da teleromanzo avevano i loro lati positivi. Ad esempio, si poteva mangiare e bere quanto si voleva.

Almeno, Mark avrebbe potuto mangiare e bere quanto voleva, ma Julian…

Fino ad allora aveva dovuto accontentarsi di una striminzita tartina con un cetriolino sottaceto che lo guardava dicendogli chiaramente “preparati a ruttarmi per tutta la notte, amico!” e qualche crostino al salmone sgraffignato di nascosto dall’onnipresente mamma Ross. Con che occhi Mark osservava le salsicce e gli spiedini che sfrigolavano sulla griglia…

Ma il colpo al cuore gli arrivò quando, gironzolando attorno al buffet, si trovò davanti il paiolo della sangria.

Mark a-do-ra-va la sangria! Ma Julian non poteva bere alcolici…

- No…Signore, non puoi farmi questo! Cos’ho fatto perché tu mi punisca così?! -

Un bicchierino di sangria…uno solo…che male avrebbe potuto fargli?

Con l’acquolina in bocca si guardò intorno. Neanche a farlo apposta, il paiolo era in un angolo del giardino seminascosto da voluminosi cespugli di rose. Nessuno avrebbe potuto vederlo versarsi una minuscola mestolata di aperitivo…porca miseria, si sentiva un adolescente idiota che vuole sfidare il senso del proibito!

Ma le mani di Mark non fecero in tempo ad afferrare un bicchiere perchè uno scappellotto ben assestato sulla nuca gli fece cambiare idea.

- Eccheccazz…ehm…mamma! – esclamò il ragazzo, mentre la signora Ross gli lanciava un’occhiata rovente.

- Non provarci nemmeno! Questo non me lo sarei mai aspettato da te, Julian! -

Mark non sapeva più da che parte guardare. In compenso gli altri ospiti lo sapevano benissimo, dato che non gli levavano gli occhi di dosso.

- Oh, mamma…per favore…ci stanno guardando tutti… - disse il ragazzo, imbarazzatissimo.

- Per favore un corno!! – strillò la signora Ross con le lacrime agli occhi – Se pensi che io e tuo padre ci divertiamo a vederti giocare con la tua salute ti sbagli di grosso! Ti abbiamo sempre detto che devi controllarti e tu cosa fai? Bevi! Oh, mio Dio… -

- Cara, per favore, calmati… - intervenne il signor Ross.

- …non immagino cosa combini mentre sei in ritiro! Tu vuoi farci morire di paura, Julian! -

- Adesso basta. Non esagerare. – continuò il padre di Julian con voce ferma – Julian è abbastanza grande per capire cosa è meglio per lui. E poi è un ragazzo…se per una volta sgarra un po’ dal solito regime, cosa vuoi che succeda? Lascia che si sfoghi un po’ anche lui… E adesso vieni, voglio presentarti i Madison. Ti ricordi Frank Madison? E’ quello che… - 

Il signor Ross riuscì a distrarre la moglie, che però non perse più di vista Mark per tutto il resto della serata.

Il ragazzo si guardò intorno, sperando di trovare Amy e di ricevere un po’ di comprensione almeno da lei. Ma Amy non era in zona.

In compenso, gli occhi di Mark incrociarono quelli di un ragazzo poco distante. Era un biondino con gli occhiali da sole modello mosca umana sulla testa e l’aria strafottente che lo guardava sghignazzando tra sé e sé. Cercando di ignorarlo, continuò a cercare Amy con lo sguardo, sperando però che non avesse assistito alla pietosa scena.

Ad un tratto un terribile urlo attraversò le sue orecchie.

- Wahuuuuu… wawawawaaaaahuuu… sciubauuuuUUUUSCIUGARBEEEEEBILOOOOOOV… uacciuariuari… uacciuariuari… -

Gli caddero le braccia. La seconda cosa più detestata da Mark si stava manifestando sotto forma di un attempato signore in bermuda e camicia hawaiana che si sgolava davanti ad un maxischermo piazzato a bella posta dietro al chilometrico buffet. Veramente pietoso.

- Mio Dio… - disse Mark osservando il cantante fai-da-te – Credo di stare per vomitare… -

- Bevuto troppo, Julian? -

Mark si girò e non appena si trovò di fronte il biondino che lo stava guardando di sottecchi poco prima decise istantaneamente che, chiunque fosse, gli stava sui coglioni.

- Devo ridere? – disse in tono glaciale.

- Come credi…prima abbiamo riso noi, ora tocca a te… -

Simpatico come un ananas nel culo, pensò Mark lanciandogli un’occhiataccia, ma si trattenne dal parlare.

Il ragazzo si lasciò sfuggire una risatina e diede una leggera pacca sulla spalla a Mark.

- Scherzavo, naturalmente…almeno la ramanzina di tua madre è stata un piacevole diversivo… -

- Un diversivo. -

- …visto che qui tutti si stanno annoiando a morte. -

- Tu invece ti stai divertendo, vedo. – disse secco Mark.

- Faccio quello che posso – continuò il ragazzo versandosi un bicchiere di sangria e sorbendoselo con evidente godimento davanti alla faccia nera di rabbia di Mark – Sai, questa sangria è favolosa. L’ha preparata un barman che viene direttamente dalla Spagna… -

- Dev’essere costato caro farlo venire qui solo per preparare da bere ad una stupida festa…fammi fare due conti…forse come vaccinare un migliaio di bambini africani ? -

- Croce Rossa Internazionale ? -

- Buon senso. – rispose Mark con un cattivissimo sorriso. Il ragazzo, irritato, finse di ignorarlo.

- In effetti il prezzo è stato parecchio alto. Ma vedi, purtroppo, come sai bene, al mondo c’è chi può… - Il biondino trangugiò avidamente tutto il bicchiere di sangria, senza staccare gli occhi da quelli di Mark, con aria sarcastica – …e chi non può. Uh, terribile ! Sai, a volte non poter bere può essere un vantaggio…non hai idea di quanto questa roba sia dannosa per il fegato. – Il ragazzo si riempì un altro bicchiere. – Comunque mi dispiace davvero che tu sia dovuto rimanere a dieta, stasera… -

Eh, no. Mark non poteva più restarsene lì a farsi prendere a pesci in faccia.

- Ognuno ha la sua croce – disse quindi afferrando al volo dal vassoio di un cameriere un bicchiere di Cuba Libre – La tua, purtroppo, è di avere il culo al posto della faccia. Forse è per questo che ti puzza il fiato… -

Sorrise di gusto, osservando lo sguardo allibito del ragazzo, che di certo non si aspettava una reazione del genere da Julian.

- Salute – disse poi alzando il bicchiere e bevendosi tutto lo cocktail alla goccia. Il ragazzo lo fulminò con lo sguardo e girò i tacchi.

- Julian…? -

Mark si voltò e vide Amy che lo guardava, esterrefatta.

- Oh, Amy! – esclamò posando il bicchiere – Bella festa, vero? Che dici di allontanarci un attimo? Questo ciccione in mutande mi sta facendo venire mal di testa… -

- Julian, sei sicuro di sentirti bene? –

- Mai stato meglio! Ho avuto un divertente scambio di opinioni con… -

- George ha disseppellito l’ascia di guerra, puoi scommetterci! – lo interruppe Amy ridendo – Non avrei mai creduto che saresti stato capace di rispondergli in quel modo! -

- Neanch’io – disse Mark. Così il coglioncello si chiama George, si disse,buono a sapersi.

- Julian! Tesoro! -

Mark impallidì mentre la signora Ross gli correva incontro con un sorriso che le andava da un orecchio all’altro. La musica cessò e il “cantante” scese dal palco, avvicinandosi ad una donna magra e rugosa come una prugna.

- Vieni qui, caro! Jennifer Morgan ti vuole parlare! -

La prugna secca sorrise. – Il mio George mi ha detto che sei un bravissimo pianista…perché non ci suoni qualcosa? Gli ospiti saranno ben contenti di ascoltare della buona musica al posto delle performance di mio marito con il karaoke! –

- Ma a me piaceva! – protestò il ciccione, ma la moglie lo ignorò.

Mark spalancò gli occhi. Jennifer Morgan…il mio George…mio marito…?

Cazzo, ho mandato a fare in culo i padroni di casa!!

- Mah…non saprei… -

- Coraggio, Julian – insisté Jennifer tirando Julian in casa, seguita da tutti gli invitati, Ashley Ross in testa – Non vediamo l’ora di sentirti suonare! -

- Sì – disse George con cattiveria – Non vediamo proprio l’ora… -

Il cervello di Mark si rimise a funzionare quando si ritrovò in un lussuosissimo salone rotondo, in cui si trovavano solamente un enorme lampadario di cristallo e un pianoforte a coda chilometrico.

Si guardò intorno, nel silenzio generale.

Fregato.

L’avrebbe ammazzato, quel bastardo di George Morgan.

Mark non sapeva nemmeno com’era fatto un pianoforte; come se la sarebbe cavata di fronte a tutta quella gente che si aspettava di sentire Vivaldi uscire dalle sue dita?

E cos’avrebbero detto i genitori di Julian?

E Amy?

CAZZO!!!

Intanto George Morgan continuava a sorridere, ma non avrebbe sorriso ancora per molto perché il suo atteggiamento arrogante e strafottente ebbe esattamente l’effetto opposto a quello che voleva ottenere. Nella fattispecie, fece imbufalire ancora di più Mark, spingendolo a reagire.

Eh, no, si disse, questa non te la faccio passare liscia.

Il ragazzo alzò la testa, si scrocchiò le dita  e si sedette al piano.

- Eseguirò per voi la sonata “Sturmundkartoffel 4/bis” del grande Manfred Von Richtoefen, notissimo compositore dodecafonico.  -

Mark restò un attimo a guardare la tastiera; quindi le sue mani piombarono giù scorrendo a casaccio su tutti gli 88 tasti e producendo un’improvvisazione dodecacofonica più che dodecafonica, ben condita, a dire il vero, dall’espressione ispirata del ragazzo.

Al termine dell’esecuzione, Mark fece una faccia sofferente e si asciugò la fronte con il dorso della mano.

- Un brano piuttosto difficile, devo dire. Devo ancora perfezionarlo. – Poi si alzò dallo sgabello e si pose una mano sul petto. – Chiedo scusa, ma vorrei ritirarmi. Mi sento piuttosto affaticato. -

Ashley Ross spalancò gli occhi, mentre suo marito si sforzava di non scoppiare a ridere. I Morgan e gli altri spettatori, invece si guardarono l’un l’altro dubbiosi e, pur di non ammettere la propria ignoranza in materia, applaudirono.

Mark si guardò in giro, trionfante, fino a quando si accorse che Amy lo stava fissando, e la sua espressione non gli piacque per niente.

Facendosi largo tra gli ospiti che discutevano sulle doti del grande compositore inesistente, raggiunse la ragazza mentre usciva dalla stanza per tornare nel parco.

- Allora, che ne dici? – disse Mark affiancando Amy che continuava a camminare senza guardarlo in faccia – Piaciuta la mia performance? -

- Eccellente! – esclamò irritata la ragazza – Solo non immaginavo che il Barone Rosso avesse anche composto sinfonie, oltre a sparare addosso agli aerei inglesi! -

- Beh, lui era il Barone Rosso…io sono il Barone Ross! –

Amy si voltò di scatto e fulminò il ragazzo con lo sguardo.

- Naaaa…pessima battuta, lo so. Scusa. – disse Mark arrossendo.

- Julian – disse Amy – Guarda che “Green Card” l’abbiamo visto tutti. -

- Ah, sì? Bel film, vero? -

Amy sbuffò e allargò le braccia. – Insomma, si può sapere che diavolo stai combinando? Prima George Morgan e il Cuba Libre, poi… -

- George è un imbecille. -

- Lo so benissimo – disse Amy notando il tono di Mark – Secondo te perché gli do sempre buca? -

- Beh, aveva bisogno che qualcuno glie lo dicesse! -

Amy tacque e si guardò in giro, senza sapere più cosa dire.

- Non ti riconosco più, Julian. Non ti saresti mai comportato in questo modo. E il fraseggio, poi… -

Mark arrossì. In effetti doveva avere esagerato.

- Mi dispiace. Preferisci il solito Julian? – disse in tono sommesso.

- Io non preferisco niente! Se devo dirti la verità, mi è perfino piaciuto come ti sei comportato. Ma non capisco cosa ti sia successo per cambiare atteggiamento in questo modo…così, all’improvviso… -

Mark si portò una mano alla tempia, sinceramente frastornato.

- Non lo so nemmeno io – rispose – Ultimamente sto…sto scoprendo un sacco di cose su di me. E non mi piacciono affatto. Credo che il vecchio Julian abbia bisogno di “cambiare aria” per un po’, non so se mi spiego. -

- Ti sei spiegato perfettamente – disse Amy annuendo amaramente.

Mark sorrise, mentre un’ideuzza gli attraversava il cervello.

- Benone! – disse – Allora che ne dici di cominciare subito? -

- A fare cosa?! – disse Amy ridendo.

- A cambiare aria, no? – disse Mark prendendola per mano e correndo verso il cancello – Chi vuoi che veda se ci sono due invitati in meno? Presto, prima che mi scoppino le palle! -

 

 

 

- Julian, se tua madre scopre che siamo scappati dalla festa le viene un infarto… - disse Amy mentre i due ragazzi, svicolati dall’uscita posteriore, ora passeggiavano tranquillamente in pieno centro di Tokyo.

- Il cardiopatico sono io, non lei – rispose Mark – E poi non so tu, ma io stavo rischiando l’ulcera…non avrei potuto rimanere un solo secondo di più in mezzo a quei coglionazzi! –

- Julian!! -

- Scusa – disse Mark arrossendo e pensando al fraseggio da scaricatore di porto che aveva usato per tutta la sera e che non era proprio idoneo al personaggio di cui vestiva i panni – Avevi cari amici, là dentro? –

- Assolutamente no – rispose Amy.

- Allora tutto è a posto! Beh, dove si va adesso? –

- E lo chiedi a me? Sei tu l’artefice della fuga, avrai pure qualche idea! –

Mark ci tacque per un istante, incerto sulla risposta da dare.

- Gelato! – esclamò all’improvviso.

- Gelato? Da quando ti piace il gelato? –

- Da questo preciso istante – rispose Mark appiccicandosi ad una vetrina e sbavando copiosamente mentre osservava, seduti ad un tavolino, una giovane coppia intenta a sbafarsi due gigantesche coppe tuttigusti.

Il ragazzo prese Amy per mano e la trascinò all’interno della gelateria.

- Strafogati, Amy, offro io! – disse.

- Julian, andiamo via. –

Mark si bloccò e si voltò a guardare la ragazza, che aveva un’espressione  piuttosto imbarazzata.

- Che ti prende, Amy? – domandò Mark senza capire.

- Non ho voglia di restare qui. E non ho nemmeno voglia di gelato. Andiamo via. –

Mark non disse nulla, ma restò per un momento a guardarla.

- Non è questione di gelato. Cosa c’è che non va? – disse, preoccupato. Ma ad un tratto drizzò le orecchie e capì.

- …e poi è uno strazio, non sa parlare d’altro che di calcio…d’accordo, è bravissimo, ma sembra un robot! –

- Non lamentarti troppo, Felix! In fin dei conti se siamo nelle teste di serie del campionato giovanile lo dobbiamo a lui. –

- Sei diventato lo scudiero del Capitano, Stephen? –

Risate. Mark non riconobbe tutti i nomi, ma le voci se le ricordava benissimo. Le aveva sentite tante volte in campo, durante le partite; erano i ragazzi della Mambo, compagni di squadra di Julian. E, ovviamente, stavano parlando di lui.

- Ma no, dico solo che…insomma, ha pure lui qualche pregio… -

- Per esempio? –

- Beh, per esempio…uhm…è un buon capitano…ha ottime doti strategiche e tattiche… -

- Si parlava di doti umane, Steve. –

Breve attimo di silenzio. – D’accordo, è uno strazio. E’ una noia mortale, non parla mai, non esce mai con nessuno…D’altronde, poveraccio, con tutto quello che gli è capitato… -

- Potrebbe cercare di darsi una mossa, comunque. –

- Anche con Amy? –

- Con lei mi ci darei io una mossa, Ken! Ma si sa, quella stravede per lui…si vede che ha l’istinto della crocerossina! –

Altre risate. Gli unici che non ridevano erano Mark e Amy, che si guardava intorno più triste e infastidita che imbarazzata. L’unica cosa che importava a Mark in quel momento era portare fuori Amy dal locale, farle fare due risate, farle dimenticare quella situazione tutt’altro che piacevole; la ragazza non doveva essere certamente felice di quello che stava ascoltando.

Una fastidiosa sensazione si impadronì di lui e non fu capace di cacciarla.

Chi se ne frega, si disse, stanno parlando di Julian, mica di me.

Ma la verità era che le parole di quei ragazzi lo avevano ferito molto più di quanto avrebbe mai immaginato, perchè nonostante avesse cominciato ad accorgersene dal momento in cui aveva messo piede in casa sua, Mark si rese del tutto conto che Julian Ross, il bel capitano della Mambo, il baronetto del pallone idolatrato dalle ragazze non aveva un solo vero amico su cui contare.

E la cosa non gli piaceva per niente.

- Julian,ce ne andiamo? – insistette Amy.

Mark non rispose e rimase lì, immobile, a guardare nella direzione da cui aveva sentito venire le voci.

- No, non ce ne andiamo – disse sorridendo, e prendendo per mano la ragazza la condusse verso il tavolo a cui erano seduti i compagni di squadra di Julian.

Questa è la tua riscossa, Julian Ross, pensò.

- Salve, ragazzi! Possiamo sederci? –

I giocatori della Mambo arrossirono in varie tonalità e si guardarono l’un l’altro.

- Ce…certo, capitano! Ciao, Amy! Accomodatevi pure… - balbettò Ken Marshall. Il ragazzo si alzò per prendere due sedie per i nuovi arrivati, ma Mark lo bloccò dandogli una decisa manata sulla spalla.

- Lascia stare, ci penso io! – Quindi, con fare molto cavalleresco, prese una sedia e fece un profondo inchino verso Amy. – Si accomodi, madmuasèll! – disse, prima di prendere una sedia per sé. Amy lo guardò, piacevolmente sorpresa.

- Che fate di bello da queste parti? Oltre a sbafarvi questi gelati da favola, naturalmente…Dio, Stephen, credo che tu sia l’unica persona al mondo capace di mangiare una coppa cioccolato, fragola e pistacchio! –

- C’era anche la panna montata, ma questa fogna l’ha fatta sparire in un secondo! – intervenne Henry Foylers.

- Peccato, ti avrei dato volentieri  una mano! – disse Mark.

I ragazzi risero; almeno una parte del muro di imbarazzo che li divideva dal loro capitano era crollato.

- Bene, che gelato prendi, Amy? – chiese Mark.

- Niente, grazie. Mi è passata la voglia. – rispose Amy lanciando uno sguardo significativo agli altri ragazzi, che recepirono il messaggio e guardarono altrove, sempre più imbarazzati.

- Poco male, mi aiuterai a finire il mio. Cameriera, una coppa menta e tripla liquirizia, per favore. –

- Julian, sei impazzito? – sussurrò Amy – La liquirizia, la pressione… -

- Hai ragione – si corresse Mark alzando l’indice – Doppia liquirizia, per favore! –

Amy alzò gli occhi al cielo e sospirò, rassegnata a sopportare le stramberie dell’amico almeno per quella serata.

- Ehi, Felix, non male la tua ragazza! – disse Mark notando il gioco di sguardi tra lui e la cameriera.

- Non è mica la mia ragazza – rispose Felix arrossendo.

- Beh, solo perché lei non lo sa ancora…ma dall’occhiata che ti ha dato direi che è solo questione di tempo! – ribattè Mark strizzando l’occhio al ragazzo che sorrise, stupito.

- Aaaah! Finalmente un po’ d’aria! – esclamò poi stiracchiandosi – Sono contento di vedervi, ragazzi! Non ne potevo più di quella pallosissima festa! –

- Festa? Siete stati ad una festa? – disse Stephen Mallory.

- Siamo scappati da una festa – lo corresse Mark – Una festa a cui forse non siamo più ospiti graditi…che ne dici, Amy? -

La ragazza sorrise mentre Mark raccontava ai ragazzi tutti i dettagli di quello che gli era capitato durante la serata, inclusa la sua prima gaffe, la discussione con George e la performance musicale che forse gli era costata l’invito ad ogni futuro barbecue della famiglia Morgan. I suoi compagni di squadra risero come pazzi.

- Insomma, aveste visto le loro facce quando… -

L’inquietante suoneria di un telefonino interruppe il racconto. Tutti tacquero e guardarono Mark.

- Beh? Che aspettate a rispondere? – disse infine, senza capire.

- Julian, è il tuo cellulare che sta suonando – disse Amy, sempre più stupita.

- Cellulare? Io non ho un cellulare! – rispose candidamente Mark.

- Certo che ce l’hai, stupido! Non ti muovi mai senza! –

Ecco cos’era quel peso che mi sentivo nella tasca dei pantaloni, si disse Mark cercando disperatamente il telefono, per lo meno per zittire quell’orribile suoneria.

Facendo del suo meglio perché quell’infernale apparecchio, che oltre a suonare  si era messo pure a vibrare, non gli sfuggisse di mano e se ne andasse per conto proprio, il ragazzo diede un’occhiata al display e quando vide il numero che lo stava chiamando gli venne un colpo.

- Ehm…scusate un momento… - balbettò alzandosi e uscendo di corsa dal locale.

 

 

 

- Amy… -

- Che c’è, Felix? –

- Ma…che cos’ha il capitano? –

Amy sospirò. – Vorrei tanto saperlo anch’io…da qualche giorno non sembra lui… -

- Beh, l’abbiamo notato anche noi e la cosa non è poi così male… -

- Che vuoi dire? –

- Insomma, ride, scherza, fa perfino battute sulle ragazze… -

- Felix! – lo rimproverò Ken Marshall lanciando di sfuggita un’occhiata piuttosto significativa in direzione di Amy.

La ragazza colse l’allusione. – Stai dicendo che si è svegliato? -

Il ragazzo arrossì. – Beh, mettiamola così…insomma, non credevo che il capitano potesse… –

- Potesse? – Amy stava cominciando a seccarsi.

- …potesse essere simpatico, ecco! –

- Molto lusinghiero da parte tua. Anzi, da parte vostra, devo dire… - disse Amy con notevole sarcasmo – Non siete stati molto carini con lui, sapete? –

I ragazzi si guardarono l’un l’altro, sempre più imbarazzati. – Ci dispiace, sinceramente. – disse infine Henry Foylers – Ci dispiace di esserci sempre sbagliati sul suo conto. Julian è veramente un figo! –

Sotto tutti i punti di vista, pensò Amy, ma non lo disse.

 

 

- Pronto?! –

- Sono io, Mark. – rispose Julian.

- Grazie al cazzo che sei tu, ho visto il numero, imbecille!! Non mi avevi detto che il tuo cellulare mi si sarebbe materializzato in tasca! –

Julian sospirò. -Te l’avrà messo mia madre di nascosto. Riesce sempre a vanificare i miei tentativi di rendermi irreperibile… Beh, non importa. Passami Amy. –

- Ma sei pazzo?! Cosa ti fa pensare che Amy abbia voglia di parlare con te…cioè, con me…insomma, potrebbe insospettirsi! –

- Non me ne importa niente, ho voglia di sentire la sua voce. Dai, passamela! E’ lì con te? –

Mark sbuffò. – Senti, io te la passo, ma vedi di trovarti una buona scusa. Da che mondo è mondo, Mark Landers non si sognerebbe mai di chiamare Amy al telefono! –

- Ci mancherebbe altro! – esclamò Julian – Beh, come procede la festa? –

- Oh, l’abbiamo abbandonata un’ora fa. –

- Come sarebbe, abbandonata?!? Dove diavolo sei?!? –

- Julian, non alterarti, va tutto bene… - Spero, pensò Mark.

Julian stava sudando freddo. - Mark, non avrai fatto qualche cazzata, spero! –

- Non ho fatto nessuna cazzata – mentì Mark, sapendo di mentire – Sto solo facendo pubbliche relazioni. Sono in gelateria con Amy e i ragazzi della squadra. -

Julian aggrottò le sopracciglia. – Squadra? – disse – La mia squadra? –

- No, la mia… – disse Mark, ironicamente – Certo che è la tua! La Mambo, idiota! –

- Tu sei fuori con i ragazzi della Mambo?! –

- C’è qualcosa di strano? –

- A parte il fatto che a quest’ora mia madre avrà già chiamato la polizia, quando mai io esco con i miei compagni di squadra?! –

- E che ne so? Questo è un problema tuo. Il mio problema è cercare di farti passare per una persona normale. –

- Una persona normale…ti ringrazio davvero per la stima. – disse Julian, per niente contento di quell’aggettivo.

- Non ci trovo niente di strano. Sai, stando a casa tua e parlando con Amy credo di aver capito una cosa di te, Julian. –

- Sarebbe? –

- Che non sei il damerino altezzoso e viziato che conoscevo. Se tu avessi avuto una vita diversa, in condizioni diverse, e forse anche un carattere un pochino diverso, forse non avresti avuto difficoltà a farti apprezzare un po’ di più. Io sto cominciando a farlo, Julian, sinceramente, e credo che sia ora che comincino anche gli altri. –

Il ragazzo rimase un po’ interdetto da quella frase, che non gli dispiacque affatto.

- Non che tu non abbia nessuno che ti stima davvero. – continuò Mark – Amy, per esempio, lo fa. L’ha sempre fatto, credo. Forse la sua è qualcosa in più che semplice stima… –

Julian inspirò profondamente. – E’ la seconda volta che ti ringrazio, Mark. Sto cominciando a preoccuparmi. –

Mark sorrise. – Trova il modo di ricambiare, allora. Come sta andando con Maki? –

- Reggiti forte, Mark…non hai idea di quello che ho combinato! – E gli raccontò della favolosa serata trascorsa, di quanto la ragazza fosse felice e di quanto anche lui stesso lo fosse, infinitamente.

- Stai scherzando? – disse Mark, incredulo – Hai fatto credere a Maki che io so suonare il pianoforte?! Dico, sei impazzito?! –

- Tu non preoccuparti, troveremo il modo di sistemare anche questa faccenda. Quello che conta è che Maki ti ama alla follia, e qualsiasi dubbio sui suoi sentimenti si è dissipato. E poi…beh, ti ho trovato un lavoro! I tempi cupi stanno finendo, Mark! –

- Questo non me lo sarei proprio aspettato da te, Julian. – disse Mark – Non credevo che avessi questo spirito d’iniziativa! Complimenti! E…beh, stavolta tocca a me ringraziarti! –

- Come? –

- Ho detto che stavolta tocca a me ringraziarti! –

- Non ho capito bene… -

- Julian, piantala di fare il cretino! –

Julian rise. – Va bene, d’accordo. Facciamo che ti sei sdebitato partecipando alla festa al mio posto. –

Per un attimo, Mark tentennò. Doveva raccontare a Julian quello che aveva combinato e fargli venire un’ulcera fulminante (cosa poco opportuna, dato che il ragazzo era nel suo corpo) oppure tacere e lasciare che, una volta che le cose fossero tornate alla normalità, lo venisse a scoprire da sé?

- Mark, sei ancora lì? -

- Ehm…Julian, a dire la verità c’è una cosetta che dovresti sapere… - disse Mark, preso dal rimorso.

- Lo sapevo – disse Julian alzando gli occhi al cielo – Spara… -

- E’ solo una sciocchezza, niente di particolare, domani se ne saranno già dimenticati tutti… -

- Tu parla, se è una sciocchezza lo decido io. -

Mark inspirò profondamente. - Ho mandato a cagare George Morgan e ho fatto una sceneggiata degna di Gèrard Depardieu… –

- Cosa?!? –

Julian non disse una parola mentre Mark gli raccontava com’erano andate le cose.

- Tu sei fuori di testa… - disse infine Julian, ancora incredulo.

- Mi spiace, Julian, ho combinato un casino…ma vedi, dopo tutte quelle cattiverie che aveva detto, io… -

- Vuoi scherzare? – lo interruppe Julian scoppiando a ridere – Mark, ti farei un monumento!! Non hai idea delle nottate che ho trascorso pensando a tutti i modi più atroci per liberarmi di quello stronzo! Non sopporto l’idea che continui a ronzare intorno ad Amy… -

- …che oltretutto non lo sopporta… -

- Davvero? – disse Julian gongolando.

- Davvero. Fidati, me l’ha detto lei stessa. –

- Questa sì che è una splendida serata! Forza, passamela! Muoio dalla voglia di sentirla! –

Mark sospirò e sorrise. – D’accordo, Elton John…è giusto che tu abbia la tua ricompensa! –

Rientrò di corsa in gelateria e porse il cellulare ad Amy, che lo guardò con aria interrogativa.

- E’ Mark. Ti vuole salutare. –

-Vuole salutare me? –

Mark annuì, sorridendo,mentre la ragazza rispondeva al telefono.

- Pronto…? –

- Ciao Amy, come va? –

- Bene, grazie! Mi fa piacere sentirti! –

- Anche a me…molto. –

In un secondo, la mente di Julian si affollò di tutte le parole che avrebbe voluto dire ad Amy e per le quali non aveva mai trovato il coraggio; tutte le lettere che le aveva scritto e che aveva archiviato direttamente nel cestino della carta straccia, incapace di confessare i suoi sentimenti perfino a se stesso. Forse avrebbe dovuto dipingerle un quadro, come nella canzone che aveva cantato a Maki. Ma non era il momento adatto. Ora aveva il coraggio, ma non poteva farlo…com’era strano il destino…

- Mi ha detto Julian che siete stati ad una festa. Si è comportato bene o si è ubriacato come al solito? –

Amy rise. – Si è comportato benissimo…anche troppo, forse! I suoi exploit sono stati la parte più divertente della serata! –

- L’ho sempre detto che Julian è un buffone! –

- Mark! Non ho detto che si è comportato come un buffone, ma che è stato divertente! – disse Amy lanciando una fugace occhiata a quello che lei credeva fosse Julian – Sono due concetti molto diversi, sai? –

- Lo so. Scherzavo. – disse Julian sorridendo.

- E tu come stai? –

- Mai stato meglio. Ho trovato un nuovo lavoro, sai? – disse Julian, ma si pentì immediatamente di quelle parole.

- Davvero? Che cosa fai di bello? –

Julian tacque un momento, preso alla sprovvista. Di certo non poteva dire ad Amy che suonava e cantava in un piano bar. Era una cosa troppo inverosimile, per chi conosceva Mark Landers.

Julian mise in moto il cervello.

Aiuto cuoco. Idraulico. Croupier. Scaricatore di porto. Portiere di notte.

Ehi, un momento, non esageriamo…

- Faccio il cameriere in un locale molto carino. Se tu e Julian passate da questa parti, fateci un salto, vi piacerà moltissimo.-

- Contaci. – disse Amy sorridendo.

- C’è…c’è anche un cantante, sai? E’ molto bravo, fa dei pezzi di Van Morrison che neanche lui canta così. –

- Adoro Van Morrison. Piace molto anche a Julian. –

- Ne ero certo. Ora devo salutarti, Amy…divertitevi! –

- Grazie, Mark. Ora ti ripasso Julian. -

- Allora, Mark! – disse il vero Mark allontanandosi con il telefono in mano – Contento, adesso? -

Julian non rispose.

- Oh, Julian…sei ancora lì? –

- Sì…sì, Mark. Scusa, ero soprappensiero. –

- Ti manca molto, vero? –

- Anche troppo… -

- Ti capisco. Anch’io sento moltissimo la mancanza di Maki… -

- Beh, cerca di non consolarti con Amy altrimenti ti spacco la faccia! –

Mark ridacchiò, anche se Julian non stava affatto scherzando…

- Okay, cercherò di resistere alla tentazione! Ora è meglio che torni dentro, altrimenti mi toccherà bere il gelato invece che mangiarlo… -

- Mark –

- Che c’è? –

- Stai davvero cambiando… -

- E perché? –

- Ti ho chiamato da casa tua su un cellulare, stiamo parlando da un buon quarto d’ora e tu non hai ancora battuto ciglio… -

- Brutto stronzo che non sei altro!! Te la faccio mangiare, la prossima bolletta!! -

- Ciao, Mark… -

Julian riattaccò ridendo, mentre Mark rimase un attimo a guardare il telefono, sorpreso e divertito allo stesso tempo.

Sorrise. Sì, forse era davvero cambiato. Ma nemmeno Julian era lo stesso di una volta…

- Julian Ross? –

- Sì…? –

Mark si voltò distrattamente, ma quando si trovò davanti due energumeni in divisa spalancò gli occhi e impallidì.

- Agenti Perkins e Hawkins, polizia. Farebbe meglio a seguirci. –

Quello era veramente il colmo. Mark restò lì inebetito, a bocca aperta, incapace di dire una parola.

- Chiama la centrale e fai avvisare la signora Ross. – disse poi l’agente Perkins all’agente Hawkins - Finalmente l’abbiamo trovato. -

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


- Allora, quando partiamo

- Allora, quando partiamo?-

Patty sospirò e si passò una mano sul viso, stravolta ed esasperata. – Me l’hai già chiesto cinque minuti fa, Jenny…e poi ancora cinque minuti prima, quando abbiamo fatto il check-in,e  ancora prima, quando siamo scese dal taxi…se potessi far anticipare il volo l’avrei già fatto, credimi! Ma siccome: primo, non ho poteri paranormali, secondo, non sono una terrorista e terzo non ho conoscenze tanto in alto, stai buona e goditi gli stramaledetti negozi di questo stramaledettissimo aeroporto invece di rompermi l’anima, accidenti!! –

Insomma, dopo quello che era successo nei giorni precedenti, Patty aveva tutto il diritto di essere un pochino nervosa, ma quando vide l’espressione mortificata di Jenny si sentì mostruosamente in colpa.

Jenny…

Patty stentava ancora a credere che fosse vero. La persona che si trovava nel corpo di Holly, invece, ne sembrava più che convinta. Ma che fosse davvero Jenny…

Morale, dopo la telefonata di Benji si era precipitata a casa Hutton dove aveva rivelato tutto a quello che lei credeva essere Holly ma che in realtà era Jenny, il cui corpo era occupato da Benji, mentre il vero Holly chissà dov’era…beh, non ci aveva ancora capito niente, ma Holly (o meglio Jenny) era stato felicissimo (o  felicissima? Come gli si doveva rivolgere, ora?) nel sentire le notizie che la ragazza aveva portato. Un po’ meno felici erano stati i genitori di Patty e Holly, dal momento che dover sganciare cinquantamila yen per un biglietto aereo per Sapporo per qualche motivo apparentemente urgente ma che puzzava tremendamente di frottola non li riempiva certo di gioia.

Ad ogni modo, ora Patty e Jenny erano all’aeroporto di Tokyo, in fervente attesa del primo aereo che le avrebbe portate a Hokkaido, da Philip e Benji. Il problema, ora, era capire come avrebbe reagito Jenny quando avesse visto il suo corpo occupato da un altro ingombrante inquilino…

Insomma, in quell’immenso casino Patty aveva tutto il diritto a sentirsi un pochino frastornata, no? Chissà come doveva stare Jenny…

- Scusa – dissero le due ragazze all’unisono.

- No, sono io che mi devo scusare… - disse Patty – Cerca di capire…non ho mai vissuto una situazione del genere, sono piuttosto nervosa. –

- Tu? – rispose Jenny – E io che ci sono dentro, allora? Credimi, se tu non avessi fatto quella telefonata, credo proprio che avrei commesso qualche sciocchezza… -

- Per fortuna non l’hai fatto – disse Patty sorridendo – Mi sarebbe seccato parecchio perdere due persone care in un colpo solo! –

Jenny le restituì il sorriso e l’abbracciò. – Grazie per quello che stai facendo, Patty…ti voglio davvero bene. -

La ragazza non rispose, ma pensò che avrebbe pagato oro pur di trovarsi in quella situazione con il vero Holly. E invece…

Le venne da piangere. Per fortuna l’aeroporto era mezzo vuoto…

- Dimmi, Jenny… - disse, tirando su col naso e stringendo a sé il corpo del suo grande amore – E’ possibile essere più sfigati di così? –

ATTENZIONE, ATTENZIONE…SI AVVISANO I SIGNORI PASSEGGERI CHE IL VOLO 139 DELLA JAPAN AIR LINES PER SAPPORO TARDERA’ DI 45 MINUTI. ATTENZIONE, ATTENZIONE… gracchiò una voce dall’altoparlante.

- Ecco, appunto! – disse Patty alzandosi – E’ la volta che ammazzo qualcuno… -

Jenny sospirò. – Senti, a questo punto possiamo anche aspettare a raggiungere il nostro gate. Seguiamo il tuo consiglio e facciamo un giro per i negozi. Ho visto un completino rosa che è la fine del mondo! L’unico inconveniente è che dovresti provarlo tu per me… -

- Questo è l’ultimo dei nostri problemi – rispose Patty – Vieni, andiamo. E speriamo che nel frattempo qualcuno guardi giù dal cielo e…EHI!! –

Prima che potesse accorgersene, la ragazza venne urtata da un passante che finì lungo steso per terra insieme a lei.

- Ma chi diavolo…?!? –

- Santo cielo, perché, perché non guardi dove metti i tuoi stupidi piedi anche fuori dal campo di calcio?! Aspetti, signorina, la aiuto a rialzarsi…e tu cosa aspetti a chiederle scusa, imbecille?! -

- Ehm…scusi tanto, signorina, si è fatta male? –

- Patty, tutto bene? – disse Jenny.

- PATTY?!? -

- Ma…signor Marshall!! – disse Patty, riprendendosi.

- BENJI?!? – disse Jenny.

- Ciao Patty… Ehi, un momento! Ma quello sono io!! – disse Benji. O meglio, chi per lui…

Jenny impallidì. – Io…io sto per svenire… - disse, poco prima di crollare per terra, ma nessuno la considerò minimamente.

Patty, con gli occhi spalancati, guardava Holly, mentre Holly guardava Jenny e il signor Marshall guardava tutti e tre con l’aria di uno che sta per avere una crisi di nervi.

- Patty… - disse Holly – Almeno tu sei tu o sei qualcun altro? –

- No, sono proprio io…ma tu… non dirmi che… -

- Sì, a quanto pare sono io. –

- Ma io chi?!? – intervenne Freddie.

- …Holly?!? –

- Così sembra… – disse il ragazzo, sospirando.

- Scusate… -

Patty era sull’orlo delle lacrime. – Holly…mio Dio, non hai idea di quanto sia felice di vederti! Anche se…beh, è strano vederti così… -

- Per favore, potreste considerarmi un secondo?!? – esclamò Freddie, imbufalito.

I due si voltarono verso di lui.

- Grazie mille!! Sentite, la volete finire di prendermi palesemente per il culo? Se tu sei Holly, quello che è appena svenuto chi cazzo è?!? –

- E’ Jenny, la ragazza di Philip. – disse Patty.

Freddie sogghignò. –Sì, certo, come no…e io sono Elvis…-

- Jenny?! – esclamò Holly senza considerare minimamente l’uomo – Mioddio! Allora Benji dov’è finito?! –

- Prova ad indovinare… - disse Patty.

- E’ inutile che si sforzi, tanto non ce la potrà mai fare – disse Freddie, sarcastico, ma né Patty né Oliver gli fecero caso.

- Santo cielo, che pasticcio… - disse Holly, che a fare due più due, evidentemente, era ancora capace.

- Senti – disse Patty – Io e Jenny andiamo a Hokkaido, da Philip. Benji si trova lì, imprigionato nel corpo di Jenny…so che è un casino pazzesco, io stessa stento a capire e a credere, ma non ci resta nient’altro da fare … -

- Portatelo dietro – disse Freddie, imbronciato, incrociando le braccia – Chissà che la neve non gli rinfreschi un po’ le idee… -

Patty si illuminò. -Bravo, Freddie! Questa sì che è un’ottima idea! –

- Quale idea? –

- Quella di portare Holly con noi! Hai un po’ di soldi? Forse siamo ancora in tempo per comprare un biglietto…-

- Un momento, un momento! – disse Freddie – Io non mi faccio piantare in asso in questo modo, chiaro?! –

- Senta un po’, Freddie, ha forse un’idea migliore? – disse Patty mettendosi le mani sui fianchi.

- Ma che cazzo di idee dovrei avere?! – esclamò Freddie – Portati questo imbecille dove ti pare, fallo sparire dalla mia vista, ma prima esigo delle spiegazioni!! –

- Mi dispiace ma non abbiamo tempo. Forza, Holly, ti accompagno alla biglietteria, poi telefoniamo a Philip e gli diciamo di aggiungere un posto a tavola! Arrivederci, Freddie! -

- Scusate – disse Holly con voce tremante mentre Patty lo trascinava via – Il mio corpo è appena svenuto. Qualcuno potrebbe aiutarmi a farlo rialzare prima che mi metta a  urlare? –

- Oh, già! Dimenticavo la povera Jenny… - Patty si chinò sulla ragazza e le diede qualche schiaffetto per farla rinvenire. – Jenny, tesoro…sbrigati o perderemo l’aereo… -

- …Eh?…Ah…sì, eccomi… - rispose Jenny, ancora parzialmente incosciente. Poi si rialzò e, barcollando, seguì i due amici, scomparendo tra la gente che cominciava a riempire l’aeroporto.

Freddie, palesemente ignorato da tutti, cominciò a strizzare un occhio in maniera incontrollabile; il piccolo tic fu, in breve, seguito dall’arricciamento di un angolo della bocca e dall’emissione di uno strano rumore simile al verso di una foca.

In piena crisi di nervi e ignorato da tutti, dicevamo.

Ma non proprio da tutti, a dire la verità; per esempio, un tizio armato di macchina fotografica che aveva seguito lui e il suo pupillo fin da Bangkok non l’aveva ignorato affatto.

Non li aveva persi di vista nemmeno un momento, da quando erano scesi dall’aereo.

E ora il tizio, che per la cronaca lavorava per un giornale scandalistico, stava armeggiando febbrilmente con un telefono cellulare.

- Dave, sono io! Senti, ho uno scoop pazzesco. Sì, lo so che è tardi, ma stammi bene a sentire; tre colonne in prima pagina, caratteri cubitali: “Crisi d’identità per Price e Hutton: il ritiro influenza i gusti sessuali degli astri nascenti del calcio? La risposta si trova a Hokkaido”. Certo che sì, idiota, ho anche le foto…e che foto! Ferma immediatamente le rotative e aspettami…ah, sì, aggiungi anche “Freddie Marshall fuma pesante”! E’  la volta che triplichiamo la tiratura, cazzo! -

 

 

 

Philip spignattava nervosamente mentre Benji, seduto al tavolo della cucina, leggeva il giornale sbadigliando di tanto in tanto.

- Ha chiamato Patty. Arriva questo pomeriggio. Con te. – disse Philip marcando parecchio quest’ultima parola.

- Hm – rispose Benji.

- Uh, frena l’entusiasmo…-

- Non è che vedere me stesso dall’esterno mi riempia di gioia – rispose Benji.

- Neanche me, se devo essere sincero. Ne ho già abbastanza di uno solo di te, immagina quanto posso essere felice di vederti sdoppiato; la tua testa da una parte, il tuo corpo dall’altra…una persecuzione! –

- Vaffanculo. –

- Altrettanto. –

Philip ricominciò ad armeggiare tra  i fornelli, più arrabbiato di prima.

- Potresti anche sforzarti di aiutarmi a preparare la colazione, invece di cazzeggiare come al solito… – ringhiò.

Benji non fece nemmeno lo sforzo di guardare l’amico in faccia. – No, bello, io ho richiamato Patty e (forse) ho risolto il nostro problema, quindi oggi la colazione tocca a te. Un po’ per uno in braccio alla mamma! –

Philip si girò brandendo minacciosamente una spatola. – Un momento, cocco, tu non hai risolto un accidente! Aspettiamo che Patty arrivi qui con la vera Jenny e il tizio che c’è dentro di te, poi vediamo come sistemare questa maledetta faccenda. Nel frattempo, guai a te se ci provi di nuovo con Julia! –

- Se alludi a ieri sera, avevo solo voglia di fare due chiacchiere. C’è qualcosa di male se intrattengo la tua cuginetta? -

- Non mentre si depila le gambe, porco che non sei altro!! -

- Uffa, e va bene… – sbuffò Benji - Più che altro, stavo pensando ad una cosa: se Jenny torna nel suo corpo, io dove pensi che finirò? –

- Questo è un problema tuo. – rispose Philip, acido – Io voglio solo riavere la mia ragazza tutta intera e nel suo corpo. –

- Eh, già – disse Benji sogghignando – Fino ad allora, però, frena gli ormoni oppure augurati che non ci siano giornalisti in giro… -

Philip rabbrividì, pensando alla sua ragazza intrappolata nel corpo di Oliver Hutton. Gli venne un conato di vomito.

- Piantala di fare lo spiritoso! – rispose, poi, secco – Nemmeno tu sei in una condizione idilliaca. Se vuoi che il cerchio si chiuda, prova ad immaginare chi potrebbe essere finito nel tuo corpo! –

Benji impallidì. – Ho un’ipotesi – disse – Ma se è giusta, ti assicuro che mi sparo... -

- No, carissimo, prima facciamo tornare Jenny normale, dopodiché puoi ammazzarti come ti pare. E ora muoviti e sbatti due uova in quella padella! –

- Odio le uova al tegamino – disse Benji – Non si potrebbe avere una crêpe suzette? -

- Ma vai a cagare – ribattè Philip. In quel momento Julia fece il suo ingresso in cucina.

- Uh, il buon giorno si vede dal mattino… - disse la ragazza, addentando una fetta di pane.

- Ciao, Julia! – disse in tono squillante Benji, notando il cortissimo pigiamino rosa che scopriva abbondantemente le gambe della ragazza.

- ‘ao… – disse Philip dopo aver incenerito Benji con lo sguardo.

Julia rivolse al cugino uno sguardo di disapprovazione e si sedette accanto a Benji, sorridendo e aggiustandosi i capelli. – E’ strano che il clima di Hokkaido non vi abbia giovato! Erano secoli che non dormivo così bene. Sarà l’aria di montagna… Beh, che c’è di buono per colazione? – chiese.

- Tè e uova al tegamino bruciate – rispose Benji in tono ironico.

- Gnè gnè gnè – disse Philip, nero come il fondo della padella.

- Uhm…nient’altro? –

- No – rispose Philip – Ieri il…la signorina qui presente si è fatta fuori mezza scatola di cereali, tre salsicce e un barattolo di marmellata a cucchiaiate. Oltretutto non è rimasto nemmeno un goccio di latte; il tè dovrai berlo liscio, mi spiace. –

Quindi sbatté nel piatto di Benji un uovo dall’inquietante colorito nerastro. – E’ l’inconveniente di vivere con una fogna – sibilò nell’orecchio del ragazzo, stando ben attento a non farsi sentire da Julia.

- Però, che appetito! Mi domando come tu faccia a mantenere quella linea invidiabile! Io ingrasso solo a sentire certi profumini… – disse candidamente Julia – Beh, non importa. Penso che mi preparerò qualche frittella con lo sciroppo d’acero che ti ha portato Jenny… è una vera delizia! Posso, Jenny? –

- Certo che sì! – rispose Benji, zelante. Cavolo, quella ragazza aveva cominciato a piacergli dal primo momento in cui l’aveva vista. Gli piaceva il suo modo di aggiustarsi i riccioli dietro l’orecchio, il suo modo di accavallare le gambe, di ridere gettando la testa all’indietro…ma nelle sue condizioni poteva fare ben poco, oltre a lavorarsela in attesa di tempi migliori…e quella era l’unica cosa da fare in quel momento…

- Senti, Julia, se vuoi ti insegno a preparare i pancakes! Ricetta americana garantita al 100%! – disse. A Philip andò di traverso l’unico boccone d’uovo che era riuscito ad inghiottire.

- Accidenti, sul serio? A-do-ro i pancakes! Sarebbe fantastico, grazie! Philip, che ne dici? –

Philip non disse nulla; era chino sul lavandino a tossire e sputare gli ultimi resti di uovo prima che gli provocassero una polmonite ab ingestis.

- Dice che va bene – rispose sarcasticamente Benji aprendo il frigorifero – Uh, guarda che fortuna! Sono rimaste giusto due uova! –

- Perfetto – disse Philip, con la voce strozzata e gli occhi lucidi per la tosse convulsa – Preparatevi pure le vostre schifezze. Io vado a fare colazione al bar. – E uscì dalla cucina, sbattendo la porta.

- Ma cos’ha? – chiese Julia, sconvolta.

- Niente, non farci caso. E’ solo un po’ nervoso. – rispose Benji, non pensando, però, che lui avrebbe avuto molti più motivi per esserlo, soprattutto in quel momento. Cercando di contenere la sua esuberanza, sbatté le due uova in una terrina.

- Dunque, guarda bene; ora sbatti le uova, poi aggiungi un po’ di farina… -

- Quanta? –

Benji ci pensò su un momento, mentre Julia apriva gli armadietti della cucina alla ricerca del prezioso ingrediente. A dire la verità lui non sapeva affatto come si facevano i pancakes; forse li aveva mangiati un paio di volte quando era a Miami, ma non ricordava nemmeno che forma avessero. O forse li aveva solo annusati e li aveva buttati nel cestino senza che i suoi genitori lo vedessero…cazzo, ne era passato di tempo! O non erano pancakes? Forse erano plumcakes…mah…

- Ho trovato la farina! – disse Julia – Allora, quanta ne serve? –

Benji si scosse dai suoi profondi pensieri culinari. – Uh? Ah, già. La farina. Dunque… -

Prese due pugni di farina e li sbatté nella terrina continuando a mescolare, fino a quando l’impasto si incollò completamente al mestolo.

- Aggiungiamo un pizzico di lievito… -

Lievito? Ma sì…

- Ehm…Jenny…se fossi in te aggiungerei anche un po’ d’acqua... –

- Stavo per dirlo – disse Benji arrossendo. Versò mezzo bicchiere d’acqua nell’impasto e continuò a mescolare.

- Così resterai a Hokkaido per un bel po’… - disse Benji.

- Già! – cinguettò Julia – Un mesetto di vacanza non me lo toglierà nessuno! Solo mi dispiace che Philip sia impegnato nel ritiro…speravo di potermi godere un po’ il mio cuginetto! –

- Per conto mio puoi godertelo quanto ti pare – rispose seccamente Benji. Poi si accorse dell’espressione perplessa di Julia e si corresse piuttosto maldestramente. – Ehm…ovviamente ricordati che io ho il diritto di precedenza! – disse, strizzando un occhio alla ragazza.

- Ovviamente… – ripeté Julia. – Sai, è un peccato che tu debba ripartire così presto. Avremmo potuto fare un po’ di cose insieme, mentre Phil sarà a Tokyo. Qui da sola mi annoierò da morire… -

- Dispiace molto anche a me… - disse Benji. E non sapeva quanto era sincero, accidenti! Ogni minuto che passava accanto a quella ragazza faceva accelerare il battito del suo cuore… Se solo non si fosse trovato in quella fetentissima situazione…

Ma quella situazione si sarebbe risolta molto presto, non aveva dubbi. Doveva solo aspettare Patty.

Già, e poi?

Beh, ci avrebbe pensato a tempo debito! Ora doveva solo cogliere l’attimo…

- E’ veramente un peccato – disse, cercando di liberare il mestolo dal collosissimo e gommosissimo impasto – Philip avrebbe potuto presentarti i suoi compagni di squadra…alcuni di loro sono delle persone veramente interessanti… -

- Lo so… - disse Julia sospirando. Benji drizzò le antenne e, facendo finta di niente, versò il grumo di pasta in una padella, ci sbatté sopra un coperchio e, con il massimo della nonchalance si mise in ascolto.

Julia si guardò intorno, quasi per essere sicura che non ci fossero orecchie indiscrete nei paraggi.

- Jenny – sussurrò – Devi aiutarmi. Visto che conosci i compagni di squadra di Philip… -

- Sìììì… -

- Insomma, uno di loro mi…mi ha fatto perdere la testa! –

Benji allargò le labbra in un sorriso da pubblicità di dentifricio. – Sarebbe? –

- Oh, non ho mai visto nessuno come lui! Ha un fisico da statua greca e quando sorride vedo le stelle! Tutte le mie amiche stravedono per lui, ha un modo di fare così galante e raffinato… –

Era fatta! A meno che non parlasse di quel morto in piedi di Julian Ross, quel superfigo non poteva essere altri che lui…

- …e poi gioca in maniera divina! Credo sia il migliore del mondo nel suo ruolo… -

- Beh, se gli hanno assegnato il titolo di Super Great Goal Keeper un motivo ci sarà… - disse Benji, con baldanzosa sicurezza.

- Cosa? –

Benji rimase un momento spiazzato. – Cosa…cosa? –

- Il…il super coso…che diavolo sarebbe? –

- Il Super Great Goal Keeper…è così che chiamano Benji Price. E’ il miglior portiere del mondo, lo sanno tutti… -

Julia scoppiò a ridere. – Price?! – esclamò – Ma chi parlava di Benji Price? Quello è uno stupido pallone gonfiato! Io mi riferivo a Holly Hutton… -

- COSA?!? –

Julia sospirò e si portò le mani al petto. – Jenny, non hai idea di quello che farei per quel ragazzo…ti prego, devi aiutarmi a conoscerlo! –

Benji era rimasto a bocca aperta, sconvolto per quella rivelazione. Non poteva essere davvero così. Un incubo nell’incubo! Quelli erano i confini della realtà…

Non solo quella splendida ragazza gli aveva dato del pallone gonfiato, ma aveva addirittura confessato di essere follemente innamorata di un pesce lesso…un pesce lesso che sarebbe piombato in quella casa di lì a poche ore…

No, non poteva, non doveva essere vero!

Oltre ad aver subito un durissimo colpo al suo orgoglio di macho, ora Benji si trovava veramente nella merda fino al collo. E puzzava tanto che il ragazzo non si accorse nemmeno dell’odore di pancake bruciato che aleggiava per la cucina…

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11

Capitolo 11

 

 

 

Tre brioches e mezzo litro di cappuccino erano decisamente troppo per Philip, che, già con i nervi a fior di pelle, non era riuscito a trovare pace nemmeno al bancone del bar.

Aveva voglia di tornarsene a casa, ma il solo pensiero di ritrovarci Benji che, nei panni della sua ragazza, flirtava con sua cugina gli provocava un attacco di colite.

Per fortuna, da lì a breve, la vera Jenny sarebbe arrivata…

La vera Jenny?

Con il corpo di Holly Hutton, i vestiti di Holly Hutton e (orrore!) quell’orribile vocetta stridula di Holly Hutton?

Non solo, ma sarebbe arrivato anche qualcun altro nel corpo di Benji, così, oltre a doversi sorbire l’anima di quel rompicoglioni, avrebbe dovuto sopportare anche la vista del suo splendido fisico ben tornito, gioia di tutte le sue fans.

Per un attimo si vide circondato da decine e decine di Benji Price che gli rompevano l’anima con ogni sorta di stronzate, Philip dov’è la marmellata, Philip piantala di cantare sotto la doccia, Philip prestami il dopobarba, Philip la mia maglietta è sudata, Philip datti all’ippica che sei una schiappa, Philip non rompermi le palle e lasciami solo con tua cugina, Philip…

Eh, no, era davvero troppo…

- Un altro cappuccino, per favore -

Il barista guardò Philip, piuttosto preoccupato, notandone il colorito verdognolo.

- Ne hai già bevuti cinque, ragazzo, non ti sembra di esagerare? –

- No. –

- Uhm…problemi sentimentali? –

- Si faccia gli affari suoi e mi porti quel dannato cappuccino.–

- Uh, okay …-

- E un’altra brioche. –

Sbuffando, lanciò uno sguardo ad una rivista che si giaceva abbandonata sul bancone.

- Speriamo che non sia un giornale sportivo – borbottò – Non sopporterei l’idea di rivedere il sorrisetto di quello stronzo di Price in copertina!-

Sfortunatamente, lo vide.

- NOOOO!!! – ruggì Philip sbattendo il giornale per terra e saltandoci sopra più volte – E’ una maledetta persecuzioneeee!!! –

Continuò a saltare e imprecare fino a quando due grosse dita gli picchiettarono la spalla.

- E tu cosa cazzo vuoi?! – sbraitò Philip girandosi di scatto. Ma quando vide a chi appartenevano quelle dita, capì che forse sarebbe stato il caso di rivolgerglisi in modo un pochino diverso.

Il tizio in questione misurava un metro e novantacinque per uno e venti, aveva due badili al posto delle mani e un’espressione da triglia, sebbene piuttosto inferocita (per quanto possa essere inferocita una triglia).

- Scusi – disse Philip, pallido come il cadavere che temeva di diventare, facendosi piccolo piccolo – Non sapevo che questo giornale era suo… -

-Infatti non è mio – disse il bulldozer – Ma quello che hai detto non mi è piaciuto, no no, non mi è piaciuto affatto. –

- Ehm…le chiedo umilmente scusa, non intendevo offenderla, è stato solo un momento di rabbia…vede, questo stronzo… -

- Cos’hai detto?!? – tuonò il tizio, ergendosi ancora di più nella sua possente statura e afferrando Philip per il collo.

- Ghaf…non…non stavo parlando con lei! Non mi permetterei mai…ghaf…di insultarla! –

- Ho capito che non stavi insultando me!-  ribadì il tizio – Ma hai insultato lui!! E questo è ancora più grave!! –

- Lui…lui chi? –

Philip credette di svenire quando il tizio prese dalla tasca un cappellino arancione con il simbolo della New Team, cosa che gli provocò un altro attacco di colite fulminante.

- A…aspetti! – biascicò – Lei non sa chi sono io! –

- Certo che lo so! – disse l’armadio, gonfiando ulteriormente il petto – Ma tu non sai chi sono io! Io sono il presidente del Price Fans Club di Hokkaido! Forza, piccola carogna, abbi il coraggio delle tue azioni e chiedi perdono al Super Great Goal Keeper! –

- Mai! – gridò Philip in un estremo impeto d’orgoglio – Piuttosto la morte! –

- Bof, se proprio insisti… -

Philip riuscì soltanto a dire “Ma io credevo che a Hokkaido tutti tifassero per la Flynet!” dopodiché il tizio gli infilò la rivista in bocca e lo gonfiò come un cotechino.

 

 

-Philip! Santo cielo, cosa ti è successo? – esclamò Julia vedendo il volto tumefatto del cugino, appena rientrato a casa. Il ragazzo non rispose, ma andò direttamente da Benji.

-Cazzo! – esclamò il ragazzo – Ti sei scontrato con un TIR? -

-Ho avuto da ridire con un tuo ammiratore – bofonchiò Philip – Non credevo che aveffi perfino un fanf club da quefte parti… -

-Jenny ha un fans club? – disse Julia, incredula.

-Cuginetta – disse Philip – Avrei bifogno di parlare un attimo con la mia dolce metà…ti fpiacerebbe lafiarci foli? –

-Oh, no, affatto… - disse Julia, confusa.

-E, per favore, portami la borfa del ghiaccio… -

-Sì, certo, Philip. –

-E un paio di afpirine. Anfi, facciamo tre e non penfiamoci più… -

-Okay… - Julia uscì di corsa dalla stanza.

Benji, in fibrillazione, si era precipitato a chiudere la porta per evitare che Julia lo sentisse.

-Phil, devi fare qualcosa. La situazione è peggiore di quanto immaginassi! -

-Fenti, ftronfo – sbottò Philip – Prima di tutto potrefti anche chiedermi come fto, vifto che tra poco vomiterò anche la colafione di un mefe fa. –

-Okay, scusa. Stai bene, Philip? Senti, la situazione è peggiore di quanto immaginassi… -

-Grafie per la comprenfione – borbottò Philip – Comunque lo fo. Da’ un’occhiata qua, fenomeno! -

Philip gli sbatté sotto il naso la rivista (ormai a brandelli) che l’energumeno del bar gli aveva quasi fatto ingoiare.

-Però! – esclamò Benji guardando la sua fotografia – Non sono venuto per niente male! A parte quell’affare bianchiccio sulla mia guancia…è un tuo dente? –

-Ecco dov’era finito! – disse Philip affrettandosi a raccogliere quella piccola parte di sé – Fperiamo che adeffo il conto del mio dentifta fia un po’ meno falato…-

-Beh, sì, bel servizio. Ma ora apri bene le orecchie; tua cugina… -

-Ma fai leggere, tefta di legno?!? – esclamò Philip, esasperato – Anfi, afpetta, cofa c’entra mia cugina? –

-Oh, merda…merda!! – esclamò Benji dopo aver letto il titolo che troneggiava in prima pagina :

 

ASTRI NASCENTI O STELLE CADENTI?

All’aeroporto di Shizuoka Bejnjamin Price e Oliver Hutton si lasciano andare ad atteggiamenti equivoci – si pensa ad un triangolo amoroso che coinvolgerebbe anche la fidanzata di quest’ultimo.

Il misterioso ritiro in Thailandia di Price porta ad ulteriori sospetti sul possibile utilizzo di droghe pesanti da parte del calciatore e del suo allenatore Freddie Marshall.

Callaghan la risposta di tutto?

 

 

Il simpaticissimo articolo era pure corredato da un servizio fotografico completo sugli exploit di Holly/Benji in Thailandia e sullo strano incontro/scontro tra i ragazzi all’aeroporto di Shizuoka.

-VAFFANCULO!!! – sbottò Benji alzandosi di scatto e gettando con rabbia il giornale per terra.

-Attento, io ho fatto lo fteffo e guarda cofa ci ho guadagnato – disse Philip portandosi istintivamente una mano al volto tumefatto. Benji lo ignorò come al solito.

-Chi è quello stronzo merdoso che ha osato scrivere questa porcheria?!? –

-E’ quello che mi fono domandato anch’io appena fono riufito a tirarmi fuori il giornale dalla gola – rispose Philip – Ma non è tanto quefto che mi preoccupa. Benji, qui ne fta andando della nostra reputafione…fe ci va bene pafferemo per una manica di rincoglioniti, fe ci va male per una combriccola di drogati o peggio… -

-Ma guarda…guarda!! Questo imbecille riverso per terra sarei io?! Con quell’espressione da ebete?!? Dio non voglia che in realtà sia chi penso io…e Freddie?! Sembra un pazzo appena scappato dal manicomio!! –

-Non dirmi niente – aggiunse Philip sospirando – Fe penfo che quefto qua che fta per fvenire è Jenny e non Holly mi vene da piangere… -

-Quando cazzo è uscito questo giornale di merda?! –

-Quefto è il bello – rispose Philip – La data è di oggi. Purtroppo quefta fchifeffa la ftampano qui a Fapporo. Viva i fax, le e-mail, il WAP e tutte quelle altre puttanate informatiche che fanno volare le notifie alla velocità della luce. -

-Mio Dio… - sospirò Benji mettendosi pesantemente a sedere – Ci stanno rovinando la carriera e non possiamo farci un accidente di niente… Oh, ma quando torno me stesso giuro che li lascio tutti in mutande, questi imbrattacarte… -

-Fe mai ci tornerai, nel tuo corpo. Penfaci più tardi, al rimborfo fpefe, ora dobbiamo cercare di limitare i danni. –

-Quando arriva Patty? –

-Te l’ho già detto, oggi pomeriggio. –

-Cazzo, cazzo, cazzo… -

-Eh, già – aggiunse Philip – Ora fiamo davvero nella merda fino al collo. Ma dove diavolo è finita mia cugina? Fe non prendo fubito un’analgefico mi efplode quel che refta della mia tefta… -

-Ah, già, a proposito. Aggiungiamo merda su merda. Julia è innamorata di Holly. –

-Ah – disse Philip come se niente fosse – E allora? –

-Come, allora?!? – esclamò Benji – Sveglia Phil, stiamo parlando di Oliver Hutton!! Quello che al posto del cervello ha un neurone che soffre di solitudine!! –

-Fempre meglio di te, che al pofto del cervello hai il …-

Il pietoso campanello risparmiò Benji dalla terribile volgarità in rima che Philip, stufo marcio, stava per vomitargli addosso.

-Chi cacchio farà, adeffo? – disse Philip.

-Vai ad aprire e scoprilo, deficiente! – sbottò Benji scattando in piedi -  Magari è Patty! Forza, muoviti! –

-Ma mi aveva detto che farebbe arrivata nel pom…-

-Forse hanno anticipato il volo! – disse Benji spingendo il tentennante Philip verso la porta.

-Ma lafiami almeno fiftemare un momento! –

-Ma cosa vuoi sistemare? Ormai sei da chirurgia plastica! E muoviti… -

Il campanello squillò una seconda volta.

-E va bene, va bene, eccomi! Chi… -

Il ragazzo non riuscì a terminare la frase perché, appena ebbe aperto la porta, venne accecato dal lampo di un flash.

-Ma porcaputt…-

-Philip Callaghan? – domandò il fotografo, un ometto basso e grasso con una vocetta querula.

-Un momento, un momento…aaaah…PTUAH! Oh, non ne potevo più! Sì, sono io…–

-Ehm…tutto bene? – disse l’uomo cercando, con un saltello, di evitare la scaracchiata che Philip aveva sparato ai suoi piedi.

-Molto meglio, grazie. Potrebbe aiutarmi a trovare il mio dente, per favore? – aggiunse il ragazzo cacciandosi un dito in bocca e tastandosi la gengiva sanguinante - Un p’emola’e, c’edo. –

-Ehm…credo sia rimasto sulla punta della mia scarpa… -

-Me lo dia, svelto! Forse si può riattaccare! –

-Ma per l’amor del cielo, se lo prenda da solo!! –

-Oh, già, scusi – disse Philip, imbarazzato, mettendosi il dente in tasca – Desidera…?-

-Dave Meyers, fotoreporter dell’ “International” di Fukuoka – disse, tendendo una mano a Philip, ma ritraendola all’istante, un po’ per non sporcarsi di sangue e saliva,e  un po’ perché aveva capito al volo che Philip, il quale, nel sentire la parola “fotoreporter” era diventato di ghiaccio, avrebbe preferito mangiarsi un topo morto piuttosto che stringergliela.

-Ehm…posso entrare? –

-No. – rispose Philip, secco.

-Posso almeno chiederle di rispondere ad un paio di dom…-

-No. –

-Credo di capire che lei non ama molto i giornalisti, ma… -

-No!! –

-…probabilmente avrà potuto apprezzare il nostro ultimo servizio sulle promesse del calcio giovanile giapponese che…-

-Assolutamente no!! –

-…ah, allora l’ha letto… - disse il giornalista con voce sempre più tremante, nel vedere che Philip si stava scrocchiando le nocche ed espirava più rumorosamente di un toro infuriato - …ma deve sapere che a voi una pubblicità del genere può fruttare parecchi quattrini, dato che la mia redazione è piuttosto generosa con chi… -

-E questo chi cazzo è, Danny De Vito? – sbottò Benji comparendo sulla soglia alle spalle di Philip.

Nel vedere la ragazza, Meyers esibì un sorriso a novanta denti. – Oh, la sua fidanzata! Carissima signorina, almeno lei sia comprensiva… -

-Dagli un calcio nel culo e levatelo dai piedi – disse Benji mostrandosi molto, ma molto poco comprensivo – Odio gli accattoni. -

-Non è un accattone – disse Philip lanciando al malcapitato Meyers un altro sguardo rovente – E’ molto peggio: un giornalista. –

-Allora faccio io – disse Benji prendendo la rincorsa. Philip lo fermò.

-Non farlo, cara…se proprio vuoi pulirti le scarpe, almeno usa uno straccio pulito… -

-Sentite ragazzi, sappiamo tutti come funzionano le cose – disse Meyers allargando le braccia – Io scrivo un articolo, voi mi denunciate e vi beccate un cospicuo risarcimento. Le casalinghe sono felici perché hanno qualcosa di cui sparlare per un po’, poi si dimenticano di tutto, voi ne uscite di nuovo puliti come il culetto del mio nipotino e nel frattempo la mia testata ha avuto tirature miliardarie. Sto solo facendo il mio lavoro, capite? –

-Te la do sul naso, la testata, se non sparisci immediatamente! – disse Philip sbattendo violentemente la porta in faccia al giornalista.

-Ben fatto, socio – disse Benji.

-“Il mio lavoro”…ma che cazzo! – esclamò Philip pulendosi le mani sui pantaloni – Dare in pasto alla folla delle immense stronzate, false per giunta! Proprio un bel lavoro! –

Il campanello squillò di nuovo.

-Chi è? – disse Philip.

-Scusate – disse Meyers con un filo di voce – Potreste chiamarmi un’ambulanza? Mi sono schiacciato il piede nella porta… -

-Non ci penso nemmeno! Poteva evitare di mettercelo in mezzo! –

-Troppo buono… -

Ridacchiando, il ragazzo si allontanò dall’uscio. – Che soffra un po’ anche questo fetente! –

Per la quarta volta, il campanello suonò, questa volta molto più a lungo.

-Sì?!? – sbottò Philip riaprendo la porta, sempre più furibondo.

Inutile dire che si trattava ancora del povero Meyers, che, saltellando su un piede solo, domandò a Philip con quel che restava della sua voce:

-Almeno mi dice come ha fatto a conciarsi in quel modo? –

-Te lo faccio vedere subito – rispose Philip sganciando al malcapitato giornalista un diretto da pesi medi sul naso.

Meyers cacciò un urlo e si allontanò di corsa, per quanto glie lo poteva permettere la frattura al metatarso che si era appena procurato.

-Avrete notizie dal mio avvocato! – gridò mentre risaliva in macchina.

-E tu dal mio! – gli rispose Philip spolverandosi le mani.

-Mi sa che stavolta hai un po’ esagerato, Phil…non che non condivida, ma quello è capace di metterti nei guai. – disse Benji.

-Guai? Quelli li chiami guai? Questo – disse Philip facendo un evidente cenno con la mano verso l’intera figura di Benji/Jenny – è un guaio! Credi che mi facciano paura le minacce di un giornalista  da quattro soldi? Mi fa più paura l’idea di dover passare il resto della mia vita con te! –

-Ehm…Philip… -

Julia fece capolino dalla porta; in mano teneva un vassoio con due tazze da tè, una scatola di aspirine e un pacchetto di cerotti.

-Cuginetta, sei un tesoro!  - esclamò Philip facendosi incontro alla ragazza a braccia aperte – Sei davvero molto gentile a pensare alla salute del tuo Philip…ma ora mi sento molto, molto meglio! –

-Già, davvero un tesoro di ragazza! – aggiunse Benji calcandoci la mano – Proprio da sposare! A questo proposito avrei un amico che… -

L’ennesimo squillo del campanello interruppe lo sproloquio del ragazzo.

-Dov’è il pitale? – disse Philip precipitandosi su per le scale.

-Un pitale? E che te ne fai? Domandò Benji seguendolo.

-Lo vedrai tra poco… -

Benji e Julia si guardarono dubbiosi mentre Philip si chiudeva in bagno, uscendone meno di un minuto dopo con un vaso da notte (pieno) in mano.

-Voilà! Porcellana cinese e urina giapponese! Non c’è niente di meglio per gli scocciatori!–

-Phil, non vorrai… - disse Benji con voce tremante.

Ma non fece in tempo a fermarlo. Philip corse alla finestra e rovesciò il puzzolente contenuto del pitale sulla testa del malcapitato visitatore.

Che, però, non era Dave Meyers.

-Tiè! La prossima volta il regalino sarà solido, brutto…oddio… -

Philip sbiancò di colpo.

Sulla porta di casa Callaghan si trovava Patty, la mano ancora sul campanello, bagnata e puzzolente dalla testa ai piedi e completamente allibita. Dietro di lei, Holly e Jenny, rispettivamente nei corpi di Benji e Holly, non sapevano se ridere, essere imbarazzati o chiamare un domatore per il putiferio che Patty avrebbe fatto scoppiare…

 

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12

Capitolo 12

 

 

 

-Non ho parole, Julian, davvero. –

-Mamma… -

-Forse ti stai divertendo con questo stupido giochetto, ma noi no, te l’assicuro. Questa volta non la passi liscia, oh, no, no, non la passi affatto liscia. –

Mark non sapeva più da che parte guardare. Durante il predicozzo del commissario, alla centrale di polizia, i genitori di Julian non avevano detto una parola; Ashley si era limitata a fissarlo in maniera glaciale, mentre il marito sbrigava le ultime formalità con le guardie. Eh no, questa non glie l’avrebbero perdonata di certo…nemmeno Julian glie l’avrebbe perdonata, forse. Una figuraccia del genere, scortato dalla polizia insieme ad Amy (che non aveva voluto lasciarlo solo nemmeno per un attimo e si era limitata a qualche frase di disappunto più divertita che severa) sotto gli occhi dei compagni di squadra…

Pensando a questo gli scappò quasi da ridere; la breve serata in gelateria era stata un toccasana per la reputazione di Julian, ma adesso? Forse l’avrebbero rispettato ancora di più, chissà…di certo nessuno avrebbe potuto immaginare che sarebbe finita in quel modo!

Non più di dieci minuti dopo il suo ingresso in centrale, Mark, i signori Ross e Amy erano nella lussuosa BMW del padre di Julian, diretti verso casa. Accompagnarono prima Amy, che salutò Mark con un breve cenno della mano; il ragazzo le rispose con un sorriso appena abbozzato. Durante tutto il tragitto aveva ringraziato di essere sul sedile posteriore, almeno aveva evitato di incrociare lo sguardo di Ashley, cosa pericolosissima fino a quando non fosse riuscito a trovare le parole giuste per intortarla, impresa che si profilava comunque ardua.

Arrivati a casa, sempre senza dire una parola, Mark si diresse spontaneamente in soggiorno, e si sedette sul divano mentre il padre di Julian si accendeva la pipa e sua madre si riempiva un bicchiere di whisky. Mentre Gregory Ross sembrava tranquillo come al solito, la moglie era pallida e le mani le tremavano, facendole gocciolare il whisky sul tappeto. Poi si era buttata sul divano e, con la voce sibilante, come se avesse voluto trattenersi dall’urlare, aveva attaccato la ramanzina.

-Voglio sapere cosa ti sta succedendo in questi giorni, Julian! – sbottò – Da quando sei tornato dal ritiro non sei più lo stesso… -

-Non è niente, mamma, te lo assicuro – disse Mark.

-Non è niente?! – fece eco Ashley – Non è niente?! Scomparire nel nulla senza avvertire nessuno lo chiami niente?! –

-Perché non mi hai chiamato? Il cellulare era acceso...–  bluffò Mark.

-L’avrei fatto, se tu non avessi disabilitato alle chiamate il mio numero di cellulare e quello di tuo padre!! – strillò.

Mica scemo l’amico, pensò Mark.

– E quando mi sono fatta prestare il telefono da Jennifer Morgan cos’ho trovato? La linea occupata!! Non te lo perdonerò mai, Julian…duecento persone prese in giro!!  -

Nel sentire quelle parole, Mark si infuriò, ma cercò di non darlo a vedere.

-Cosa dovevo fare, starmene zitto e subire le provocazioni di George? – sbottò Mark – Occhio per occhio fa bene ogni tanto, sai? –

Il ragazzo girò il volto, livido di rabbia e vergogna, verso Gregory, sperando di trovare un appoggio morale, anche solo un segno di comprensione. E invece il padre di Julian era ancora lì, in piedi, con la pipa in mano, lo sguardo fisso fuori dalla finestra. Mark tornò a guardare il tappeto.

-Non cambiare discorso! – disse Ashley - Eri pure ubriaco. Ti ho sorpreso io stessa con la sangria in mano. Per l’amor del cielo, quando ti sei messo a bere?! In ritiro?! –

-Non ero ubriaco! – sbottò Mark –Non l’ho nemmeno assaggiata, la sangria, come avrei potuto farlo? Mi hai cazziato appena ho riempito il bicchiere…-

-Julian, questo turpiloquio!! -

Il ragazzo scosse la testa, le parole che gli morivano in gola. Si rese subito conto che tentare di spiegare qualcosa a quella donna sarebbe stato meno efficace che sbattere la testa contro il muro. Del resto, cosa avrebbe potuto dirle?

-Non ti riconosco più, Julian…se almeno non ti ostinassi a non raccontarmi nulla di quello che fai… - La voce di Ashley si era improvvisamente addolcita, e aveva assunto un tono molto preoccupato. – Hai qualche problema? Qualcosa che ti infastidisce? Sei distratto, nervoso…dimentichi perfino di prendere le medicine… -

Cacchio, pensò Mark alzando di scatto la testa, questo potrebbe essere un problema.

-E questo come lo sai? – disse, facendo lo gnorri.

-Beh, ho controllato i blister nel tuo cassetto. In questi giorni non li hai nemmeno toccati… -

-Tu hai frugato nei cassetti di…nei miei cassetti?! – esplose Mark, alzandosi in piedi – Ma come ti sei permessa?! – Quello era davvero il colmo, non poter avere un po’ di privacy nemmeno a casa propria. Al posto di Julian, Mark avrebbe fatto fagotto da un bel pezzo.

-Non rispondere così a tua madre, Julian. E siediti.– Mark e Ashley si voltarono verso Gregory, che, calmo e impassibile, si era avvicinato al ragazzo e gli aveva posato una mano sulla spalla.

-L’ha fatto solo per te. In questi giorni ci hai fatto davvero preoccupare, cerca di capirci. Sei cambiato all’improvviso, pensavamo che essere stato lontano da casa ti avesse fatto bene ma forse ci siamo sbagliati. Ci siamo sbagliati di nuovo. –

-Abbiamo provato in tutti i modi a capire, ma ci hai chiuso in faccia tutte le porte da anni, Julian… - disse amaramente Ashley – Così io e tuo padre abbiamo preso una decisione. Speravamo di non farlo, ma temo sia davvero necessario per il tuo bene…e per il nostro. –

Ahia, si disse Mark, rogne in vista.

-Cioè…? –

I genitori di Julian si scambiarono un rapido sguardo; poi Gregory sospirò.

-Ti abbiamo fissato un appuntamento con il dottor Appleyard, domani pomeriggio. E’ uno dei migliori psicologi in circolazione, siamo certi che ti sarà di grande aiuto. –

Mark impallidì. – Psicologo?! – esclamò – Voi siete pazzi! Cosa credete che possa risolvere, uno strizzacervelli?! Non ci penso nemmeno! –

-Julian, non bisogna vergognarsi di riconoscere i propri problemi! – esclamò Gregory.

-Problemi? Voi avete dei problemi! Non fate altro che pensare ai miei problemi e l’unico risultato che ottenete è crearmene di nuovi! Lasciatemi in pace, per la miseria, lasciatemi…-

Vivere a modo mio, per una volta, avrebbe voluto dire Mark. Ma non fece in tempo.

-Ora basta, Julian! –

Ashley si era alzata di scatto, livida in viso.

-Ne ho abbastanza della tua schizofrenia! Ripeto, credi che ci divertiamo, io e tuo padre, a lasciarci trattare così da te? Dopo tutto quello che abbiamo fatto per te?! Dopo tutto quello che abbiamo sopportato per te?! Tu domani vedrai il dottor Appleyard, punto e basta!! -

A che sarebbe servito discutere, a quel punto?

Mark si sedette, deluso.

-D’accordo – disse con un filo di voce – Vedrò questo dottor Vineyard… -

-Appleyard – puntualizzò Ashley.

-…domani. Va bene, ok. Posso andare in camera mia, ora? Sono… -

Scrutò Ashley con aria assassina e si portò una mano al petto, immaginando bene le conseguenze di quel gesto.

-…sono molto stanco, ora. –

 

 

 

 

Nel frattempo, a Fukuoka, Julian aveva terminato le consegne dei giornali prima del solito. Stava facendo enormi progressi; ancora pochi giorni e avrebbe potuto abbandonare definitivamente lo stradario senza perdersi nei meandri del suo stesso quartiere.

Fischiettando, varcò il cancello di casa, pensando a quali brani aggiungere al suo repertorio per la sua seconda serata da piano bar.

-When you’re down…and troubled…and you need some loving care dum-dum-dum-DUM! Mamma, sono a casa! –

Piroettando, attraversò il corridoio. – Mamma? Che dici, è meglio Carole King o Carly Simon?-

Nessuno rispose.

-Mamma…? –

-…sì, signor Simmons. Ma ne è proprio sicuro? Diceva che avrebbe ottenuto una proroga… -

Nell’udire la voce tremante della donna, Julian si irrigidì. Senza farsi notare, origliò la conversazione dalla porta del soggiorno.

- Signor Simmons, lei sa che non possiamo pagare. Sì, ho tutte le carte davanti a me. Sono quasi dieci milioni di yen…  -

Cazzo! esclamò Julian tra sé e sé, di qualunque cosa si trattasse.

-Davvero? Non so come ringraziarla…è davvero un angelo. La prego, mi tenga informata. Grazie, grazie mille ancora… -

La donna riagganciò,sospirando profondamente e portandosi le mani al viso.

-Santo cielo, come faremo a trovare tutto quel denaro? –

-Mamma…va tutto bene? – disse Julian, turbato.

La signora Landers si voltò di scatto. –  Oh, Mark. Non…non ti avevo sentito entrare. –

- Chi era al telefono? –

-Oh, niente di importante. – disse la donna. Affrettandosi a gettare in un cassetto tutte le scartoffie che coprivano il tavolo, si lasciò cadere un foglio che Julian raccolse prontamente.

Leggendo ciò che c’era scritto, il ragazzo spalancò gli occhi.

-Dammi qua – disse la madre di Mark, strappandogli il foglio di mano.

-Mamma, che significa? –

-Niente, Mark, non preoccuparti. La cena è nel frigo, io devo andare a prendere i bambini… -

-Niente?! – esclamò Julian – Nove milioni e trecentomila yen di arretrati sull’ipoteca da pagare entro la fine di ottobre non significano niente?! –

-Il signor Simmons è certo che ci concederanno una proroga. Riusciremo a pagare. –

-Ah, sì? E il signor Simmons cosa ne sa dei nostri soldi? – disse Julian, pentendosi istantaneamente delle sue parole. In effetti, non aveva la più pallida idea di chi fosse il signor Simmons; fortunatamente, ci pensò la madre di Mark a rispondere a questa domanda.

-Il signor Simmons è una persona per bene, lo sai. E’ stato l’unico dei soci di tuo padre a rimanerci vicini dopo la sua morte senza chiederci un soldo. Se non si fosse occupato lui della contabilità, della gestione del negozio e di tutto il resto, saremmo finiti sicuramente in mezzo ad una strada.-

Perché, dove credi che finirete, ora? Avrebbe voluto dire Julian, ma non lo disse.

-Si è occupato anche dell’ipoteca sulla casa? –

-Cosa vuoi dire? –

-Niente, era solo una domanda. – mentì Julian.

La madre di Mark non rispose. Abbassando lo sguardo, prese la borsetta e si avviò verso la porta.

-Lui ci aiuterà, Mark – disse – Riusciremo a pagare, vedrai. –

Julian restò a guardarla mentre usciva di casa, senza riuscire a capire come sia lei che suo figlio potessero essere stati tanto ingenui.

Lui non conosceva affatto le reali condizioni dei Landers, né quel fantomatico Simmons, ma sapeva perfettamente che nessuno fa niente per niente, quando c’è di mezzo il denaro, compreso quel buon signore che, a quanto pareva, si stava prodigando per aiutarli. E dieci milioni di yen erano un fottuto mucchio di soldi, per una famiglia come quella di Mark.

Aspettò che la signora Landers fosse scomparsa lungo la strada per correre a prendere le carte dal cassetto, e le lesse tutte.

Dopo aver archiviato l’ultimo foglio, un sorriso arrabbiato comparve sul volto del ragazzo.

- Ne ero sicuro. – disse. Poi prese il telefono, ma non fece in tempo a comporre il numero che sentì squillare l’apparecchio che teneva tra le mani.

 

 

-Pronto? –  rispose Julian.

-Pronto, sono Ma…ma vaffanculo, non mi ci abituerò mai! – esclamò Mark, imbufalito.

-Beh, per fortuna non ha risposto mamma. Non ci crederai ma stavo per chiamarti io. Stammi a sentire… -

-No, stammi a sentire tu. Sarò breve: i tuoi adorati genitori mi hanno fissato un appuntamento dallo psicologo…- Meglio non specificare perché, si disse Mark vergognandosi un po’.

-Di nuovo?! –

-…domani. Ehi, che vuol dire, “di nuovo”?! Non mi avevi mai detto di essere un frequentatore abituale di strizzacervelli! –

-Già, è una cosa di cui vado orgoglioso – disse Julian con voce piatta. – E’ la terza volta che ci provano. Mamma ha detto “Io e tuo padre abbiamo preso una decisione”? –

-Più o meno le stesse parole. Ma sospetto che la decisione l’abbia presa da sola… -

-Risposta quasi esatta. Non so che soddisfazione possa dargli pagare fior si soldini un tizio che mi fa domande a cui non rispondo, ma sono affari loro. –

-Cioè? –

-Cioè, il dottor Harris, Forster, o…come si chiama questo? –

-Vineyard. No, scusa, Appleyard. –

-…o Appleyard di turno mi fa sdraiare su un lettino, mi fa qualche domanda, io taccio e lui si fa le parole crociate. Un lavoro di tutto riposo, e ben remunerato. Ragazzi, con pazienti del genere lo farei anch’io… -

-Mi dispiace, cazzo. Dev’essere umiliante. –

-Oh, lo vedrai – disse Julian sogghignando – Può essere anche molto divertente, però… -

-Non darmi idee malsane! Non vorrei passare il resto della mia vita in qualche lussuosissima clinica psichiatrica… -

-Oh, non succederà, stai tranquillo! Quei tizi non ti ascolterebbero nemmeno se tu giurassi di aver trovato il Santo Graal e di averlo nascosto in cantina. Sii te stesso, fa’ il buffone e vedrai che andrà tutto bene. –

-Mi consola poco. Spero di non combinare qualche casino…Dio, ti conosco da un pezzo ma so talmente poco di te… -

-Meno ne sai, meglio è, credimi. – disse amaramente Julian – Questo, ad esempio, avrei preferito che non lo sapessi. Giurami che non lo racconterai a nessuno, quando le cose si saranno sistemate… -

-Sempre che si sistemino. Piuttosto, che mi dovevi dire? –

-Oh, già. C’è un problema. E anche parecchio grosso, direi. –

Mark impallidì. – E’ successo qualcosa a mamma o ai ragazzi? O a Maki?… -

-No, stanno tutti bene, non preoccuparti. Però…Mark, sapevi di avere un’ipoteca di quasi dieci milioni di yen sulla tua casa? –

Il ragazzo tacque per un attimo, e il suo respiro si fece pesante, angosciato.

-Mark? –

-Sì. –

-Lo sapevi o no? –

-Ti ho detto di sì, sei sordo o rimbambito?! – ribattè Mark, piuttosto seccato. – Comunque sono affari nostri, è inutile che te la prenda. Riusciremo a pagare. –

-Dieci milioni di yen entro la fine di ottobre? Pensate di svaligiare una banca? –

-Smettila di fare lo stronzo, Julian – sbottò Mark, ora decisamente offeso – Tu non hai idea di cosa significhi farsi il culo per tirare fino alla fine del mese, milord! Comunque ti ho detto che ce la faremo, discorso chiuso e fatti i cazzacci tuoi. Se è tutto qui quello che mi dovevi dire, ti saluto.–

-Eh, no, caro mio, finchè io sto nella tua pellaccia mi faccio i cazzacci di chi mi pare e piace, chiaro? Tu non sei qui per togliere le castagne dal fuoco a tua madre, e io non ho intenzione di far finire sul lastrico la mia…la tua famiglia, per cui finiscila di fare il finto duro e rispondi alle mie domande. Chi è il signor Simmons? -

-Sta’ a sentire… - borbottò Mark, sempre più spiazzato dall’intervento deciso di Julian. Se non fosse stato super preoccupato per la questione, gli avrebbe fatto i complimenti per il cambiamento di carattere. O forse era sempre stato così e non l’aveva mai dato a vedere…

-No, sta’ a sentire tu. Tua madre continua a parlare di questo tizio, Simmons di qua, Simmons di là, ci sta aiutando, ci concederanno una proroga e bla bla bla. Voglio sapere che ruolo ha esattamente nella vostra vita e nei vostri affari. Ed è inutile che tu mi sbatta il telefono in faccia, tanto prima o poi finirò per scoprirlo da solo, quindi per favore cerca di semplificarmi le cose e collabora. –

Mark inspirò profondamente e chiuse gli occhi. – E’ un amico di famiglia. –

-Un amico. –

-Sì, uno dei soci di mio padre. –

-Vi teneva i conti? –

-Sì, aveva tutto in mano lui. E ha tutto in mano anche adesso che gli abbiamo venduto le nostre quote del negozio. Ha gestito i nostri conti, ci ha aiutato con la casa… Insomma, Julian, né io né mamma ci capiamo un accidente di economia. Lui ci da’ una mano a far quadrare i conti, ci fidiamo di lui. E’ l’unico che ci sia rimasto vicino dopo che… -

-Lo so, lo so – tagliò corto Julian – ma c’è una cosa che tu non sai: il caro signor Simmons ha gonfiato e non di poco i conti del negozio, quando tuo padre, per ovvi motivi, non poteva più tenerli…e si è offerto di estinguere l’ipoteca nel caso voi non ce la faceste entro i termini stabiliti… Facendo due più due, cosa ti risulta da tutto questo? –

Mark si lasciò cadere seduto sul letto. Il suo cuore, il cuore di Julian, gli batteva all’impazzata, quasi da far male…

-Mark, sei ancora lì? –

-Non è vero. –

-No, Mark, mi dispiace ma lo è. Quello stronzo vi soffierà la casa passando per un benefattore…–

-Balle!! E come diavolo avresti fatto a scoprire tutta questa merda?! – gridò Mark, costringendo Julian a spostare l’orecchio dalla cornetta.

-Ho letto le carte di tua madre, Mark. E’ tutto lì, nero su bianco, basta dargli un’occhiata. –

Mark strinse i denti. Avrebbe voluto piangere dalla rabbia, ma non aveva mai pianto in vita sua e non l’avrebbe di certo fatto ora, anche se non sapeva più cosa pensare, non ci riusciva nemmeno, a pensare…

-Julian Ross, giuro che se scopro che è tutta una bufala ti ammazzo con le mie mani, che tu sia nel mio corpo o no, il modo di ammazzarti lo trovo… -

-Che palle, va bene, ho capito, prepara i ferri roventi!! Per l’amor del cielo, Mark, mi prendi davvero per un idiota?! Non ti direi niente di cui non sono sicuro al cento per cento!! Ma purtroppo me ne intendo abbastanza di queste cose per capire che quel tizio vi sta fregando da un pezzo… -

approfittando della vostra ingenuità, pensò Julian, ma non lo disse.

-…e le prove sono sotto il vostro naso! -

Mark tacque di nuovo. Le sue mani stringevano con rabbia la cornetta, al punto da fargli sbiancare le nocche.

-Quindi cosa dovremmo fare, secondo te? –

-Liquidare Simmons, trovarvi un buon avvocato e venire qui il prima possibile. Voglio mostrarti i documenti e… -

-Non possiamo permetterci un avvocato, Julian. – disse Mark con un tono così rassegnato che fece quasi stringere il cuore all’amico.

Julian restò un attimo senza parlare, con la bocca aperta e le parole in gola. Avrebbe potuto pensarci; non era un dettaglio da poco. Inspirando profondamente, si disse che una soluzione c’era, anche se forse Mark non l’avrebbe mai accettata.

-Neanche gratis? –

-Cosa? –

-Se questo avvocato lavorasse gratis per voi? In fin dei conti, se vincete la causa, sarà Simmons ad accollarsi tutte le spese legali… -

-Julian, nessun avvocato lavora gratis. –

-Non hai capito… -

-Ho capito sì! Riformulo la frase: nessun avvocato accetterebbe il rischio di lavorare gratis… -

-Beh, io ne conosco uno che lo farebbe. –

-Sì, in quale dimensione parallela? –

Julian sospirò. – E’ mio padre, cretino! –

Mark si irrigidì.

-Che cazzo vuoi dire? –

-Che, se io glie lo chiedessi, certamente non si rifiuterebbe di aiutare un mio caro amico in difficoltà… -

-Aspetta, aspetta. Vuoi dire che io dovrei chiedere a tuo padre di lavorare gratis per me?! –

-Esatto. -

-No. –

-No cosa?! –

-Piuttosto mi vendo un rene, ma non voglio coinvolgere tuo padre in questa storia, Julian, scordatelo! –

-Ma di’, sei tutto stupido o…?! –

-Si chiama orgoglio, Julian. Ed è una cosa che non puoi capire. Non puoi capirlo perché non hai qualcuno che ti aspetta a casa, che conta su di te per superare le difficoltà, e sa che se ce la farà sarà solo grazie agli sforzi che tu hai fatto, senza chiedere aiuto a nessuno. Tutta la mia vita è stata così, e lo so che non sono un santo, ho sbagliato, sofferto e pagato, ma la sensazione di fare qualcosa di bello, di grande, di utile con le mie sole capacità…quella non me la toglierà nessuno, Julian. Mi dispiace. Troverò un’altra strada, più difficile, più lunga, ma la troverò per conto mio. Ce l’ho sempre fatta con le mie forze, ce la farò anche adesso, vedrai. –

Julian sospirò.

-Comunque ti ringrazio. Non credo che un altro, al tuo posto, farebbe quello che sai facendo tu. –

-Invece un altro, al tuo posto, accetterebbe una mano, Mark. –

-Io no. Mi dispiace, sono fatto così. Le mie spalle sono abbastanza grandi per reggere tutto quello che hanno retto finora. Continueranno a reggere. –

-Sono parole molto belle, davvero… –

-Grazie. –

-…Ma non vogliono dire un cazzo di niente. Non in questo momento, non in questa situazione. Mettiamola così: la tua famiglia è in un mare di merda, e tu sei l’unico a potercela tirare fuori. Se io fossi in te metterei da parte il mio orgoglio del cazzo e prenderei al volo il salvagente, Mark. –

Aveva vinto. Julian aveva vinto. Era riuscito a lasciare Mark senza la possibilità di ribattere. Qualsiasi parola gli venisse in mente, gli faceva solo scappare da ridere. Oltretutto Mark non si sarebbe mai aspettato di sentire il ragazzo parlare in quel modo. Evidentemente qualcosa gli sfuggiva.

-Quando devo venire? –

-Anche subito, ho già preparato tutte le carte. –

-Ok. –

-Muoviti. –

-Va bene, va bene. Ah, Julian… -

-Eh? –

-I ringraziamenti dopo, ok? Non credo che riuscirei ad articolare una frase sensata, in questo momento… -

Julian ridacchiò. – Un semplice “grazie” può bastare, sai? Ti aspetto. –

Perfetto. La faccenda stava filando per il verso giusto. L’unico problema sarebbe stato dire tutto alla madre di Mark…ma ogni cosa a suo tempo…

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13

Capitolo 13

 

 

 

Mark era frastornato.

Ma per cosa lo era, non l’aveva ancora capito.

Seduto sul letto di Julian, una marea di pensieri gli fluivano nel cervello, pensieri senza forma, senza connessione. In uno di questi, sua madre doveva dieci milioni di yen al padre di Julian, e la cosa gli fece drizzare i peli sulla schiena; ma il capitano della Toho cancellò immediatamente quella follia e, mentre si alzava e si dirigeva verso la porta della camera come uno zombi, pian piano tutto gli fu chiaro.

Gli fu chiaro come, durante tutti quegli anni Simmons aveva fregato lui e la sua famiglia, approfittando del loro disperato bisogno di una spalla che li sostenesse, soprattutto psicologicamente.

Gli fu chiaro quel che rischiavano, e gli fu chiaro anche cosa gli sarebbe successo se non si fossero fidati di Julian.

O meglio, se lui non si fosse fidato di Julian.

E se si fosse sbagliato?

No, Julian aveva ragione e Mark se lo sentiva nelle ossa. Simmons non gli era mai piaciuto, con quel sorriso che tirava fuori dalla tasca e si appiccicava al volto al momento opportuno, con quegli occhietti porcini che luccicavano ogni volta che mostrava a sua madre la lista dei debiti della sua famiglia, e decantava come si stesse prodigando per aiutarli.

Comunque andassero le cose, non c’erano motivi per non fidarsi. Lui avrebbe solo dovuto prendere quelle carte e mostrarle al padre di Julian, il quale avrebbe immediatamente capito se si trattava veramente di una truffa, senza tirare in ballo nessuno.

Se lo era, sarebbero andati fino in fondo alla causa, e di sicuro avrebbero ottenuto dei buoni risultati dato che Gregory Ross era uno degli avvocati più quotati della nazione.

Se non lo era, sarebbero stati acidissimi cavoli, a meno che la pazzesca situazione di Mark e Julian non si fosse sbloccata: o forse era meglio che non si sbloccasse affatto? In fin dei conti, Julian si stava facendo in quattro per aiutare i Landers; se lo scambio non fosse mai avvenuto, forse avrebbero dovuto fare fagotto ben presto senza nemmeno sapere perché.

Sempre immerso in questi pensieri confusi, Mark non si accorse nemmeno di aver sceso la grande scalinata da cui era ruzzolato pochi giorni prima, e si ritrovò in un corridoio fiancheggiato da innumerevoli porte.

A questo punto, il problema numero uno era trovare il padre di Julian in quel labirinto di stanze. Il problema numero due era trovare le parole per chiedergli aiuto (cosa che, nonostante il breve ma incisivo discorso di Julian, sarebbe stata comunque un duro colpo per l’orgoglio del burbero Mark), ma questo al momento era irrilevante; ciò che contava era riuscire a farlo prima della pensione…

Tenendo la destra (visto che così si faceva nei labirinti veri, se si voleva uscirne senza fare la fine di Jack Nicholson in “Shining”) sbirciò oltre tutte le porte che incontrava, ma con sua somma delusione, da alcune di esse si dipartivano nuovi corridoi laterali,  loro volta costeggiati da altre, infinite, dannatissime porte.

Quasi quasi chiedo aiuto, si disse Mark, spazientito.

Poi, all’improvviso, da dietro le sue spalle spuntò Deborah, la cameriera, che, brandendo un piumino, si era messa a spolverare con noncuranza alcuni vasi cinesi (o supposti tali) disseminati qua e là per il corridoio.

-Deborah, per favore, sto cercando mio padre. Per caso sai dov’è? – chiese Mark.

-Nel suo studio, signorino. – rispose distrattamente la ragazza.

Detto niente. E dove diavolo era il suo studio, brutta miseria?!

-Grr…azie… - rispose Mark a denti stretti avventurandosi lungo il suo periglioso sentiero.

Tanto per sfidare la sorte, aprì una porta a caso e si ritrovò in un pianerottolo piuttosto spoglio su cui davano altre tre porte.

Ci si potrebbe giocare a Dungeons & Dragons, in questa casa, pensò Mark alzando gli occhi al cielo. Poi decise che la porta di fronte a lui gli piaceva e la aprì sbuffando.

Si ritrovò in cucina. Una grande cucina, talmente pulita che, se non fosse stato per il profumino d’arrosto proveniente dal forno, sembrava non essere mai nemmeno stata usata per preparare da mangiare. Mark guardò l’orologio.

-Uhm…giusto in tempo per uno spuntino prima di cena! – si disse, leccandosi i baffi. Aprì a caso le ante della lunga credenza, sperando di trovare qualche stuzzichino con cui placare il suo appetito, ma trovò solo porcherie dietetiche, ipocaloriche, ipoproteiche e assolutamente insipide.

-Tutta la robaccia che mi hanno rifilato in questi giorni…strano che Julian non si abbuffi come un porco quando siamo in ritiro; fossi in lui tornerei ogni volta ingrassato di tre chili! – disse Mark, buttando qua e là varie scatole di snack integrali – Speriamo che almeno ci sia del pane in questa casa, altrimenti con cosa faccio le briciole per ritrovare la strada? –

Sbuffando, spostò una sedia dal tavolo a penisola e ci si buttò di peso.

Però dovette rialzarsi subito, perché, emettendo uno strillo che avrebbe fatto accapponare la pelle al diavolo in persona, un enorme gatto persiano rosso schizzò via da sotto il suo sedere.

-Cazzo! – esclamò Mark, spaventato – Scusami tanto, micio! Hai rischiato davvero grosso, sai? Peserò otto volte te… –

Il gatto si sedette ad un metro di distanza da lui, guardandolo storto.

Mark sorrise: i gatti gli piacevano, anche se quello, più che un gatto, sembrava un maialino domestico; almeno otto chili di pelo e ciccia attaccati ad una coda che sbatteva furiosamente contro il pavimento di cotto.

-Beh, se non altro dovresti essere meno problematico delle due belve assatanate che hanno cercato di sbranarmi nel parco… - disse Mark accucciandosi e tendendo una mano verso il gatto.

-Vieni, miciomiciomicio… -

Il gatto non si mosse.

-Miciomiciomicio…forza, fatti accarezzare, ti darò un bel bocconcino…-

Nisba. Il fiero felino si leccò una zampa, ignorando bellamente i richiami del presunto padrone.

-Eddai, non fare lo stronzo…vieni dal tuo Julianino… -

Incautamente, Mark allungò una mano per accarezzare il lungo pelo fulvo dell’animale, che però non era affatto d’accordo sulla mossa. Soffiando, fece scattare una zampa verso la mano del ragazzo, che se non fosse stato altrettanto fulmineo a ritrarla, l’avrebbe avuta ridotta a brandelli sanguinolenti.

-Brutta carogna fetente!!! – esclamò Mark – Ma si può sapere perché tutte le bestie di questa stramaledetta casa ce l’hanno con me?! –

Il gatto, ovviamente, non gli prestò la minima attenzione e, con passo altezzoso e dinoccolato, andò a piazzarsi davanti alla porta, a mo’ di straccio antispifferi.

-Bravo, e io adesso come faccio ad uscire? – Impossibile passare se non saltandolo, e la cosa si prospettava ardua dal momento che appena Mark si avvicinava, seppur con cautela, l’orrenda bestia si metteva a soffiare come un mantice, mostrando dei canini tanto appuntiti da fare invidia ad uno stiletto.

Ci mancava solo questa, come se non avessi abbastanza grane a cui pensare, si disse Mark.

Prenderlo con le buone era un’impresa; nella dispensa non c’era nessuna delizia con cui irretire il satanasso, a meno che non fosse strettamente vegetariano, e l’arrosto che rosolava nel forno, ovviamente, non era contemplato nella lista.

E Mark aveva paura, diamine! Aveva paura e si sentiva pure stupido per questo, la Tigre della Toho costretta ad arretrare di fronte ad un gattaccio rabbioso che le sbarrava la strada.

Il ragazzo si guardò in giro con fare meditabondo, alla ricerca di qualche strumento con cui cacciare il gatto e ottenere al contempo un po’ di giustizia per i danni che stava continuamente subendo dal mondo animale.

Ad un tratto i suoi occhi si posarono su un piccolo aspiratore per briciole che si trovava in carica, agganciato al muro, e nella sua testa si accese una minuscola lampadina.

Guardò per un lungo istante l’aspiratore.

Poi guardò il gatto.

Poi di nuovo l’aspiratore.

Sorrise.

 

I domestici videro il gatto schizzare fuor dalla cucina e fiondarsi dentro il più grande dei famigerati vasi cinesi del corridoio. Non si spiegarono mai perché ci fossero dei ciuffi di pelo rosso nell’aspiratore di briciole, ma questo non importava; Mark aveva ottenuto la sua vendetta.

 

Il tour di Mark per villa Ross continuò ancora per poco. Dopo aver sbirciato dietro un paio di porte e aver scoperto la biblioteca e uno dei mille bagni della casa, sentì della musica classica provenire dal secondo piano.

Era una musica molto tranquilla, quasi malinconica ma estremamente rilassante, e gli piacque subito, anche se di musica classica non ci capiva un accidente. Seguendo la melodia salì le scale in punta di piedi, quasi per non disturbare, e giunto alla porta dalla quale il suono proveniva, bussò piano.

-Avanti – rispose Gregory Ross.

Dopo essersi concesso un sorrisetto di soddisfazione, Mark entrò nello studio del padre di Julian.

Era una stanza piuttosto piccola ma arredata con gran gusto; pareti in stucco veneziano giallo tenue, scaffali in legno con portanti in metallo opaco pieni di libri posti in maniera estremamente ordinata, pochi quadri alle pareti, un tappeto persiano che doveva valere più di tutta la casa di Mark, inclusi i mobili che conteneva.

L’avvocato era seduto ad una scrivania di radica, e stava lavorando con un computer portatile che fece venire a Mark la bava alla bocca.

-Oh, Julian – disse sorridendo, come se la visita del figlio fosse stata una sorpresa gradita.

-Spero di non averti disturbato – disse Mark, quasi con una nota di imbarazzo nella voce.

-Assolutamente no. Lasciami solo un minuto e sono da te. –

Il ragazzo annuì e si guardò in giro, per nascondere il disagio che stava provando. Si avvicinò alla libreria e vide su uno scaffale un gruppetto di fotografie racchiuse in raffinate cornici d’argento. Alcune ritraevano Julian da piccolo; a giudicare dalla sua espressione felice e spensierata, dovevano essere state scattate prima che il ragazzo cominciasse ad avere problemi di salute. Nelle altre, il capitano della Mambo sorrideva in maniera quasi forzata, ed il suo bel viso tondo e pieno era diventato smunto, pallido e triste.

Poi, una foto di famiglia, nella classica posa mamma-e-figliolo-sul-divano-con-babbo-alle-spalle, seminascosta dalle altre. Evidentemente una foto propagandistica, utile alla carriera di Gregory, un mezzobusto della moglie e niente altro.

Mark concesse a queste ultime solo un’occhiata frettolosa, soffermandosi su quelle di Julian. La loro spontaneità era tale da suscitare un’incredibile tenerezza ma anche una grande compassione, e dalla cura con cui erano disposte rivelavano tutto l’amore che quell’uomo doveva provare per il figlio. Gli si strinse il cuore ripensando al suo, di padre, che i suoi fratellini avevano appena conosciuto.

-Eccomi, figliolo! Ti va un succo di frutta? –

Mark si scosse dai suoi pensieri.

-Cosa…? Io…-

-Stai tranquillo, non è contemplato nella lista delle bevande proibite…al contrario della sangria – disse Gregory Ross con un tono di voce ed un sorriso che lasciarono facilmente intendere a Mark da che parte stava – Allora, pera, pesca o albicocca? –

Tropical, pensò Mark, che non amava proprio quel genere di bevande.

-Pesca va bene, grazie. –

Gregory si chinò a prendere due bottigliette dal piccolo frigobar incassato nella libreria, e ne porse una a Mark. Poi si sedette sul bordo della scrivania, di fronte al ragazzo, e trasse un sospiro.

-Senti Julian, mi dispiace per la scena di prima. So che l’hai presa male, ma tua madre era davvero preoccupata e, se devo dirla tutta, anche io. –

Mark abbassò lo sguardo e si dondolò da un piede all’altro, non sapendo cosa dire.

-No, non è a te che deve dispiacere. Lo…lo so, l’avete fatto per me, lo so davvero, ma… - farfugliò, giocherellando con la bottiglietta.

-Bevi quel succo, prima che diventi bollente – disse Gregory cercando di smorzare un po’ la tensione - E’ che tua madre è sempre così apprensiva…sono anni che cerco di farglielo capire, ma non c’è verso. E, piano, piano sta finendo per contagiare anche me. Ma… –

-Senti, lascia stare, non importa, davvero. – tagliò corto Mark. Aveva sempre odiato i giri di parole, e si disse che in questa faccenda non ne avrebbe usati. Era il momento di attaccare con la farsa.

-Domani andrò dal dottor…quello che è, e poi sarà tutto a posto. Ma adesso, papà, ho bisogno di un favore da parte tua. –

-Ma certo, dimmi pure. – Gregory incrociò le braccia e si mise in ascolto.

Mark arrivò subito al punto. – Si tratta di Mark Landers, papà. –

-Mark Landers? Quel Mark Landers? –

-Esatto. Gli devo un favore, e ti sarei molto grato se mi potessi aiutare... – Il che era vero. Cazzo, Julian aveva fatto molto per lui, ma anche Mark si era dato da fare per aiutarlo con Amy e gli altri…certo, non era stato un grande sacrificio, ma…

L’avvocato ridacchiò. – Credevo non lo potessi soffrire… -

Colpito. C’era da immaginarselo, in effetti…

-Lo credevo anch’io, ma mi sbagliavo. Ho avuto modo di…rivalutarlo. Si è comportato da amico, gli devo davvero molto. –

-D’accordo, non indagherò su che razza di favori gli devi… Spero comunque che non si sia cacciato in guai troppo grossi, per aver bisogno di un avvocato! –

-E come diavolo fai a…?! –

-Julian, io sono un avvocato. E questa è la prima volta in vita tua che mi chiedi un favore. Che castagne devo togliergli dal fuoco? –

Mark, pur sentendosi tremendamente stupido, fu piacevolmente sorpreso da quel modo di esprimersi così diretto. Aveva sempre pensato che avvocati e filosofi avessero come unica dote quella di intortare la gente con bellissime frasi che non significavano nulla, e ora si stava ricredendo. Sugli avvocati, ovviamente. Riguardo ai filosofi, non aveva nessuna esperienza in merito, e sperava di non averne mai.

-Lui non ha fatto assolutamente niente – si affrettò a puntualizzare il ragazzo – Ma è convinto che…”qualcuno” stia truffando la sua famiglia. Papà, Mark è orfano di padre, sua madre fa orari massacranti in fabbrica per una miseria. Hanno tre fratellini a carico, lui si arrangia come può con lavoretti di fortuna, ma sta ancora studiando e gioca pure a calcio…non possono farsi gettare in mezzo ad una strada. Non possono permetterselo. La situazione è piuttosto grave. E urgente. -

-Ho capito, non preoccuparti. E come ha fatto a capire che… -

-Ha trovato delle carte. Mi…mi ha letto qualcosa per telefono, sai, qualcosa ci capisco pure io – mentì Mark, con un certo imbarazzo.

-Uhm, bene. –

Il padre di Julian tacque per un attimo e si grattò il meno con pollice e indice, con fare meditabondo.

-Quindi…? – lo incalzò Mark.

-Quindi avrei bisogno di leggere quelle carte. Pensi di riuscire a procurartele prima possibile? –

-Io…? Sicuro, sì…ma… -

-Ma cosa? –

-Forse non hai afferrato il punto della situazione. Mark non ha un soldo. –

Gregory Ross sorrise e mise una mano sulla spalla del figlio.

-Ho afferrato il punto ancora prima che tu me ne parlassi, figliolo. Non ti preoccupare, darò una mano al tuo amico. –

Mark si illuminò.

Miracolo!!!

Gli avvocati, a volte, lavoravano davvero gratis! E non erano nemmeno in un telefilm di Perry Mason!!

-Io…io non so come ringraziarti, papà… -

-Ci penserà Mark. Lui sta a Fukuoka, se non sbaglio…so che da quelle parti fanno degli ottimi dolci di riso… -

-Ottimi? Spaziali! – esclamò Mark, felice, dimenticandosi che forse l’educatissimo Julian Ross non avrebbe mai usato quella terminologia davanti a suo padre, ma anche se se ne fosse accorto, non glie ne sarebbe fregato niente.

-Molto bene. Ora scusami, Julian, ma devo chiosare una tonnellata di atti… -

-Oh, no, certo, scusami tu! Solo un’ultima cosa… -

-Dimmi tutto. –

Mark trasse un profondo respiro. Quello che stava per chiedere a Gregory Ross era la cosa più rischiosa…

-Po…potrei andare a Fukuoka, domani? Non è così lontano, vado e torno in giornata, se mi presti Thaddeus… -

-Theodore –

-Theodore. Così…ehm…recupero le carte e do a Mark la buona notizia… -

Il ragazzo trattene il fiato. Stupido, stupido! Come gli era venuta un’idea del genere? Mai e poi mai l’avrebbero lasciato andare. Ma lui ne aveva bisogno, voleva rivedere la sua famiglia, Maki, i suoi amici…e, anche se sarebbe stato un trauma sicuro, vedere se stesso dal di fuori. Di certo a qualcosa gli sarebbe servito, così come gli sarebbe servita la strana, terribile lezione che stava subendo.

-Fukuoka non è proprio dietro l’angolo, tua madre potrebbe non essere d’accordo. E poi dovresti prendere anche un traghetto; come la mettiamo con il tuo mal di mare? –

-Passato – mentì Mark – E mamma non saprà nulla, se non glie lo diremo! -

-E il dottor Appleyard? L’appuntamento è domani mattina… -

-Meglio, così avrò tutto il resto della giornata! Farò il bravo, me lo leverò di torno alla svelta, vedrai! Tipregotipregotiprego… -

Gregory inarcò un sopracciglio, sempre più stupito dallo strano modo di fare del figlio.

-Odio dirlo, ma mi sembra di conoscerti sempre meno, figliolo! D’accordo, ma se la mamma dovesse scoprirlo tu non mi hai detto niente, d’accordo? Ci penserò io, poi, ad evitarti una sonora punizione. – L’avvocato strinse un occhio a Mark, il quale glie lo rese, felice di quella complicità.

-Anzi, per punizione potrei portarti a pesca con me domani sera, ricordi quel laghetto di trote fuori città… -

-Come no! Volentieri! –

Mark era felice come una pasqua, ma non sapeva bene perché. Oltretutto odiava la pesca. Ma era orgoglioso che esistessero ancora persone del genere al mondo, persone che donavano in cambio di niente. E che quelle persone fossero i Ross, lo meravigliava ancora di più.

-Julian… -

-Eh? – rispose il ragazzo poco prima di infilare la porta.

-Puoi anche berlo, il succo… -

-Oh, già…grazie! –

Sempre sorridendo, Mark si chiuse la porta alle spalle.

Perfetto, era tutto risolto.

Restava solo un piccolo problema: trovare la strada del ritorno verso la camera di Julian…

 

 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14

Capitolo 14

 

Piccola nota introduttiva.

Questo capitolo è brutto.

Veramente brutto, forse uno dei peggiori che io abbia mai scritto; oltre al fatto che, non ho ancora capito perchè, ma ogni volta che vado a capo con OpenOffice mi mette anche lo spazio, misteri della fede, queste paginette fanno proprio schifo, sono scritte male, non hanno capo nè coda.

Ma sono molto importanti.

Non ai fini della storia, se ne poteva benissimo fare anche a meno, ma sono molto importanti per me.

Perchè, finalmente, sono riuscita a sbloccare la situazione.

Finalmente, dopo anni, so esattamente cosa succederà e come finirà la storia.

Non so quando riuscirò a scrivere il prossimo capitolo; ma la porta ormai è aperta, e spero, prima o poi, di farcela. Per cui, se qualche lettore (ammesso che ne siano rimasti) avesse perso la pazienza, può scrivermi; sono dispostissima a vuotare il sacco su tutta la faccenda (che non è affatto complicata, anzi!).

E ora, pessima lettura a tutti!

 

 

Philip, Benji, Holly e Jenny erano seduti intorno al tavolo del soggiorno, senza sapere cos'altro fare se non guardarsi a vicenda, mentre Patty era sotto la doccia a ripulirsi dalla lordura; nessuno aveva ancora spiccicato parola, un po' per l'imbarazzo, un po' per la situazione surreale che si era creata.

Philip, i gomiti sul tavolo e le mani intrecciate davanti alla bocca, spostava in continuazione lo sguardo da Jenny/Holly, seduta con la schiena dritta e lo sguardo fisso sulle mani che si torceva manco volesse annodarsi le dita, a Benji/Jenny, il quale sembrava un monumento all'indifferenza e, stravaccato sulla sedia, si passava le unghie tra i denti con la massima nonchalance. Jenny alzò un attimo lo sguardo su di lui e rimase allibita.

- Per l'amor del cielo, Philip, fallo smettere! E' disgustoso! - esclamò.

- Che palle – bofonchiò Benji sbuffando. Philip lo incenerì con lo sguardo.

Dopo aver visto il suo corpo occupato dal SGGK, Jenny era stata sul punto di svenire. Non l'aveva fatto solo perchè aveva dovuto calmare Patty (possibilmente senza toccarla), la quale, dopo aver ricevuto quella terribile cascata puzzolente, aveva cominciato a strillare come una pazza richiamando l'attenzione di tutti i santi del paradiso. Philip era riuscito a trascinarla in casa e scaraventarla nella doccia (ovviamente con tutti i vestiti addosso) prima che un bellicoso dirimpettaio le tirasse una schioppettata con un fucile da caccia Beretta caricato a sale.

Holly, invece, aveva gli occhi a palla fissi su Jenny, o meglio, su se stesso. Era talmente immobile che quasi non respirava, ma, almeno, sembrava aver preso atto della gravità della situazione.

Una situazione tutt'altro che tranquilla, insomma.

Per fortuna Julia non era in casa: Philip l'aveva spedita in farmacia ad acquistare una confezione di valeriana formato famiglia, immaginando che quella sera (e forse anche le successive) tutti ne avrebbero avuto un gran bisogno.

- Allora – disse Phuilip rompendo il silenzio. Non l'avesse mai fatto.

- Phil, tesoro, io... -

- Allora i miei coglioni! Visto che... -

- Ma davvero quello lì, che sarei io, invece è...- dissero contemporaneamente Jenny, Benji e Holly.

- Oooh! Uno alla volta, cazzo!! - sbraitò Philip. La testa (e anche tutto il resto del corpo, vista la ripassata che aveva subito poche ore prima) gli faceva male da morire.

Benji sbattè le mani sul tavolo e sia alzò dalla sedia.

-Bene, comincio io. - disse – Prima di farci prendere dal panico, cerchiamo di valutare razionalmente la faccenda. Prima di tutto abbiamo finalmente scoperto in quali dannatissimi corpi siamo finiti. -

-Va bene, ma... - azzardò Holly.

-Tu taci o ti ammazzo!!! - lo interruppe (molto bruscamente) Benji.

-Veramente ammazzeresti te stesso, visto che ora io sono te e... -

-AAAAARGH!!!! - urlò Benji avventandosi al collo del povero Oliver – Ti odio, hai capito?! TI ODIO!! Avrei preferito mille volte che il mio splendido corpo venisse invaso da qualla testa di cazzo di Mark Landers piuttosto che da un'ameba come te!! Non lo sopporto! -

-Vuoi darti una calmata, brutta miseria?! - esclamò Philip dividendo i due. Jenny era scoppiata in lacrime.

-E tu smettila di piangere, porca puttana!! - berciò Benji – La sua testa da una parte e il suo corpo dall'altra! Come se non l'avessi abbastanza in mezzo alle palle ai ritiri! Pazzo, esco!! -

-Un momento, non eri tu che dovevi vedere il lato razionale della faccenda? - disse Jenny tra i singhiozzi – Non mi sembra che tu ci stia tornando molto utile! -

-Jenny ha ragione, finiamola qui e ragioniamo un attimo. - disse Philip facendo sedere a forza Benji. - Ora siamo tutti riuniti, il cerchio si chiude. Se qualcuno ci ha lanciato un incantesimo o qualche stronzata del genere, dev'esserci anche il modo per annullarlo. -

-Ho un'idea! - esclamò candidamente Holly. -Facciamo appello al nostro karma! -

Tutti lo guardarono con aria molto perplessa.

-Tu non sai nemmeno cosa sia, il karma – disse Benji. – Anche perchè non ce l'hai. Per tutto il resto della tua esistenza non farai altro che reincarnarti in un imbecille che sa solo tirare due calci ad un pallone! -

-Basta, Benji! - esclamò Philip –  Si può sapere cosa cazzo ti ha fatto Holly di tanto grave?! Non riesco a capire che gusto ci provi a vomitare insulti su di lui! -

Benji sospirò. - Oh, provaci e capirai! E' la prima volta in vita mia che mi posso sfogare, Phil...concedimi almeno questo... -

-Non ti concedo un cazzo di niente, non abbiamo tempo, dannazione! Allora, come prima mossa, e prima che mi esploda il cervello, suggerisco di fare come ha detto Holly, qualsiasi cosa intendesse... -

Il ragazzo sorrise soddisfatto. Benissimo! Tutti intorno al tavolo! - disse, battendo le mani.

-Ci siamo già, idiota – ringhiò Benji, deciso a non fargliene passare una.

Holly lo ignorò. - Forza, più vicini...ecco, ora mettete le mani sulle spalle dei vostri vicini...poi chiudete gli occhi e inspirate profondamente... -

I ragazzi eseguirono gli ordini.

-Ora pensate intensamente ad ogni parte del vostro corpo, dalla punta dei capelli alla punta delle dita... -

-A me pare un'immensa stronzata – ribattè Benji – Solo tu potevi inventartela... -

Philip e Jenny non dissero niente; erano troppo disperati per ammettere che Benji aveva ragione e che Holly non aveva la minima idea di quello che stava facendo.

-Ora concentratevi...massimo silenzio, mi raccomando... -

I quattro non si mossero di un millimetro e lasciarono trascorrere minuti interminabili.

-Non mi sembra che stia succedendo niente – azzardò Jenny.

-Concentratevi di più! - esclamò Holly.

-Ma... -

-Di più!!! -

Nessuno, stavolta, osò contraddirlo. Il silenzio si fece pesante, quasi palpabile. a Philip parve che, tra un respiro e l'altro, passasse un'eternità.

E forse sarebbe passata davvero un'eternità se nel frattempo, Patty non fosse uscita dalla doccia.

-Che diavolo state facendo?! - esclamò, appena ebbe messo piede in soggiorno.

-AAAGH!!! - strillarono tutti.

-Scusate, io... -

-Beh? Ha funzionato? - chiese Holly speranzoso, scuotendosi dal torpore. Poi si guardò intorno e incontrò solo le occhiate torve dei compagni di sventura.

-No, direi proprio di no – aggiunse.

-Patty, trattienimi altrimenti io lo... Ehi... - disse Benji. Aveva cambiato il tono non appena si era accorto che la ragazza indossava solo un asciugamano che le copriva il tronco e le cosce, e i capelli bagnati le incorniciavano il viso in modo piuttosto sensuale. Accortasi dello sguardo del ragazzo, arossì e si portò le braccia al petto.

-Trattienimi, trattienimi pure... - continuò Benji – Anzi, se vuoi ti trattengo io... -

Patty cercò di ignorarlo, imbarazzata. -Jenny, per favore, mi presteresti un vestito? I miei ormai sono da buttare... -

-Prendi quello che vuoi, Patty – rispose Jenny, sconsolata.

La ragazza corse via, seguita dallo sgurado lubrico di Benji.

-Però! - disse il ragazzo – No avrei mai immaginato che Patty potesse essere una sventola del genere! Ma chi glie lo fa fare a sbavare dietro ad uno come te, eh, Holly? -

-Ma che stai dicendo? - disse Holly, arrossendo.

Jenny fissò di nuovo il suo corpo, incredula, e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Per l'ennesima volta si cheise cosa stesse succedendo, come entrasse lei in tutta quella storia. Abbassò la testa e tirò su col naso; se lo sarebbe volentieri soffiato nella maglietta se Philip non le avesse porto un fazzoletto sorridendo dolcemente.

-Dai, lascia perdere quegli idioti. Una soluzione la troviamo. - le disse.

Jenny prese il fazzoletto e guardò il suo ragazzo.

-Phil... - disse, con voce tremante. Cazzo, quanto lo amava. E quanta voglia di stringerlo forte.

Con un singhiozzo Jenny spalancò le braccia e si buttò letteralmente addosso a Philip. O meglio, si sarebbe buttata addosso a Philip, se lui non si fosse scansato per schivarla all'ultimo decimo di secondo.

Lei lo guardò, allibita, il naso che colava; lui fece altrettanto, quasi incredulo per quello che aveva appena fatto.

-Ma...Philip!! - esclamò Jenny, arrabbiatissima.

-Scusa sai, ma non è così facile neanche per me! - sbottò Philip, gli occhi a palla – Tesoro, non sai quanto vorrei riabbracciarti, ma in questo momento accetterei meglio una sberla da parte tua, piuttosto che una carezza... -

Non l'avesse mai detto. Jenny, in lacrime, prese la rincorsa e sganciò un diretto nell'occhio sinistro del suo fidanzato. Considerando la potenza muscolare del corpo di Holly, fu decisamente un bel colpo; Philip volò a terra senza un lamento, e Benji e il vero Holly interruppero all'istante la loro discussione per seguire con lo sguardo la parabola discendente del loro compagno di squadra in direzione del pavimento.

Jenny non si pentì del gesto né allora né mai.

Philip, invece, non  fece in tempo a domandarsi perchè tutti ce l'avessero con lui; per l'ennesima volta suonò il campanello.

-Vado io – disse Jenny, alzandosi e passando in fianco a Philip. Il raagzzo, ancora steso sul pavimento, si rannicchiò su se stesso tremando, riparandosi la testa con  le braccia.

Dopo aver aperto la porta, la ragazza spalancò gli occhi.

-Signor Marshall! - esclamò – Anche lei qui? -

Holly e Benji si precipitarono all'ingresso.

-Freddie! - gridò Benji – Non sai quanto sono felice di ved... -

L'occhiata che l'uomo gli rivolse avrebbe potuto incendiare l'intera foresta amazzonica.

Freddie Marshall era in condizioni ancora più terribili di quelle in cui era stato lasciato all'aeroporto di Shizuoka; barba di tre giorni, occhi da tossicodipendente con tanto di tic nervosi, vestiti sporchi e puzzolenti, teneva con due dita un grosso ammasso di stracci non meglio identificati.

-Non volevano farmi salire sull'aereo perchè non assomigliavo più alla foto sul mio passaporto – disse, con voce tremante. - Così ho stordito un addetto ai bagagli e mi sono intrufolato nella stiva. Ho rischiato di morire congelato e depressurizzato, e credo anche di essere ricercato dalla polizia aeroportuale. Per fortuna il viaggio è stato breve. Per arrivare fin qua ho dovuto pagare in anticipo un taxista che con una mano guidava e con l'altra mi puntava conto una Mauser calibro 38. Credo che non si fidasse di me... - Freddie si lasciò scappare una risatina isterica. - E quando, finalmente, sono arrivato qui, non indovinerete mai chi ho trovato tutto intento a scattare foto di nascosto, attraverso la finestra... -

A fatica, Freddie sollevò il fagotto informe, il quale emise un gemito di dolore.

-Dave Meyers!! - esclamarono i ragazzi, all'unisono.

-Conoscete già questo sacco di merda? - domandò Freddie – Beh, io ho avuto questo dispiacere molti anni fa, e non gli ho mai perdonato di aver scritto che ero l'amante segreto di Jurgen Klinsmann. -

-Per favore... - bofonchiò l'uomo, il quale doveva aver ricevuto una bella ripassata anche da Freddie.

-Credo, quindi – proseguì il tecnico della nazionale giovanile – Che stasera abbiamo di che far passare il tempo, mentre mi spiegate che succede. -

I ragazzi guardarono Freddie con scintillii diabolici nei loro occhi; poi fecero entrare i due e lasciarono che la porta, alle loro spalle, si chiudesse cigolando in maniera sinistra...

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15

Capitolo 15

 

 

Mark non aveva intenzione di perdersi di nuovo in giro per la casa. Con il padre di Julian dalla sua parte di sentiva molto più tranquillo, ma quel labirinto di stanze lo innervosiva terribilmente.

Girò a vuoto per mezz’ora buona, ora pensando a quello che avrebbe dovuto fare per tener nascosta alla signora Ross la gitarella a Fukuoka dell’indomani, e infine, senza accorgersene, si trovò nell’ala della servitù.

Adesso sto davvero fresco, si disse Mark. Di certo non poteva chiedere alle cameriere la strada per la sua stanza; tutto quello che poteva fare era continuare a camminare, imprecando sottovoce e sperando di non fare altri incontri con animali incazzosi.

-Ero passato di qua…sì, sono sicuro – borbottò il ragazzo imboccando l’ennesimo corridoio. Capì di essersi sbagliato di nuovo quando, socchiudendo la porta, si trovò in garage. Richiuse la porta, fece ancora due passi nel corridoio e poi si sedette di colpo a terra, sbuffando.

-Ma dove cazzo sono, a Creta?! – sbottò – Voglio solo tornare in camera mia, voglio!! –

Gli veniva da piangere.

All’improvviso, uno strano rumore simile ad un grugnito lo fece scattare in piedi. Oddio, ecco il Minotauro, pensò. Peggio, i cagnacci assassini. Strisciando lentamente contro il muro si avvicinò alla porta dalla quale aveva sentito provenire quel rumore e vi accostò l’orecchio; ma quando udì quello che udì, il cuore gli sprofondò nello stomaco.

Primo, perché quelle voci appartenevano ad un uomo e una donna in atteggiamento inequivocabile. Secondo, perché Mark conosceva bene quelle voci.

Una era di Theodore, l’autista.

E l’altra era della madre di Julian.

-Rilassati – disse Theodore con un tono languido e viscido al tempo stesso – Sei tesa come un tamburo. –

-Scusa – rispose Ashley Ross – Oggi non  ce la faccio proprio. E poi Gregory è ancora in casa…non vorrei che… -

Theodore scoppiò a ridere. – Tesoro, sono quattro anni che glie la facciamo sotto il naso! Non raccontarmela…non starai ancora pensando a tuo figlio? –

Ashley sospirò. – Sono una stupida, lo so. Eppure non posso fare a meno di sentirmi in colpa per la scenata di prima. Non sono sicura che sia la cosa giusta… -

-Fidati, lo è. E’ un pezzo che te lo dico, ce n’è voluto perché mi dessi ascolto. –

-Ma è la terza volta, Theodore! E se non è ancora servito a niente, non vedo come… -

-Perché non hai mai trovato qualcuno che avesse veramente polso con lui! Tuo marito non esiste come padre, tu sei troppo apprensiva, cosa più che naturale, viste le condizioni di Julian. Non farmelo ripetere un’altra volta; quel ragazzo ha bisogno di essere seguito costantemente da qualche specialista. –

-Ma è già in cura dai migliori cardiologi del… -

-Non sto parlando di qualcuno che si occupi del suo cuore, Ashley – la interruppe bruscamente Theodore – Ma della sua testa. Alla “Città del sole”, per esempio… –

-Basta!! – esclamò Ashley con rabbia – Non rinchiuderò mio figlio in un ospedale psichiatrico! –

Mark deglutì.

Brutto figlio di puttana, pensò.

-Preferisci che rimanga un ragazzino schizofrenico e incapace di relazionarsi con gli altri? E’ questo che vuoi? – sbottò Theodore.

Ashley emise un singhiozzo soffocato.

-Andiamo, tesoro… - disse l’autista con una voce dolce e palesemente falsa – Ci lavorano i migliori psichiatri della nazione ed è praticamente un albergo a cinque stelle. Potrà continuare a studiare e, forse, anche a fare sport. E poi sarà sotto controllo notte e giorno, e potrai vederlo ogni volta che vorrai. Lo rimetteranno a nuovo. Solo… -

Fece una languida pausa. Mark immaginò che stesse baciando la sua amante. Tese ancora di più l’orecchio, praticamente incollato alla porta.

-…solo dovrai portare pazienza. Sono cose piuttosto lunghe, lo sai, ma ne valgono la pena. –

-Julian è la mia vita, Theodore – disse Ashley tra le lacrime – Farei qualsiasi cosa per lui…ma Gregory… -

-Gregory capirà. In fin dei conti sai come convincerlo. Mi prometti che gli parlerai? Fallo per te stessa…non sopporto di vederti soffrire così. –

Mark avrebbe voluto urlare. Ma come fa a credere a quell’ipocrita?, si disse.

-Sì – disse Ashley con voce soffocata – Hai ragione. D’accoro, lo farò. Aspetterò di sentire il dottor Appleyard, domani. Poi deciderò. –

-Ma… -

-Ho detto che deciderò domani – disse Ashley con voce tremante ma decisa. – Tu non puoi capire, Theodore. Non è così facile. Lui non è tuo figlio. –

Per fortuna, pensò Mark, ci sarebbe mancata solo questa.

-D’accordo, ma promettimi che ci penserai. –

No, no, no, digli di no, dannazione! disse Mark a denti stretti.

-Sì, certo. – rispose con voce più dolce – Perdonami, ti prego. Non so proprio cosa farei se non ci fossi tu a sostenermi… -

Theodore la baciò di nuovo, più a lungo.

-Farei qualsiasi cosa per te – le disse – Se solo la mia condizione fosse diversa ti avrei già portato via da qui. Ma tu sei una signora, io sono solo un autista…non meriti uno come me -

Tu invece ti meriteresti una caterva di legnate, pensò Mark.

-Non dire così, ti prego! Se il problema sono i soldi, lo sai, ne ho abbastanza per tutti e due! –

-Tuo marito non ce la farebbe passare liscia. E io non avrei di che mantenerti, se non fosse per il denaro che metti da parte per me ogni mese. Mio Dio, Ashley, è così umiliante… -

Mark ebbe un conato di vomito. Non riuscì ad aspettare la risposta strappalacrime dell’ingenua signora Ross e scappò via, senza nemmeno sapere in che direzione, finchè arrivò, praticamente per caso, nel salone da pranzo.

Non poteva credere a quello che aveva appena sentito. Quel farabutto si faceva la madre di Julian, la mungeva come una vacca da latte e in più stava architettando il modo di liberarsi di lui.

Julian, fratello, adesso siamo veramente nella merda.

E lo erano fino al collo, tutti e due. Il futuro di Julian dipendeva da come Mark si sarebbe comportato l’indomani con il dottor Appleyard; se l’esito fosse stato positivo tutto sarebbe tornato come prima, sempre male ma come prima. Se fosse stato negativo, Julian sarebbe finito in un manicomio di lusso, e in gran parte sarebbe stata colpa sua.

Mark era furibondo. Non poteva farla passare liscia a quello stronzo di Theodore. Bisognava fare qualcosa, cazzo.

Ma cosa?

Parlarne a Julian era fuori discussione. Sarebbe stato un bel trauma per lui scoprire che sua madre se la faceva con quell’autista del cazzo, e scoprirlo da Mark sarebbe stato anche peggio.

Quanto a parlarne a suo padre, idem con patate. Non voleva un divorzio sulla coscienza, anche se forse sarebbe stato meglio così. Dopotutto non erano nemmeno affari suoi, ma doveva farla pagare a Theodore in qualche modo, senza che Julian ci andasse di mezzo.

Meditando sul da farsi, tornò in camera, si buttò sul letto e continuò a rimuginare per un paio d’ore, fino a quando decise che avrebbe fatto la cosa che, da quando si trovava in quella maledetta situazione, gli veniva meglio.

Avrebbe improvvisato.

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***




Capitolo 16





La telefonata di Mark a Julian fu lapidaria.

-Pronto? –

-Arrivo domani. –

E riattaccò, senza lasciare all’amico il tempo di aggiungere alcunché.

Mark era terribilmente imbarazzato; non era bravo a mentire né a nascondere le cose. E Julian era sveglio, avrebbe capito subito che qualcosa non andava.

Cazzo.

A cena non aprì bocca, la notte non chiuse occhio. Quando, finalmente, si rese conto che avrebbe fatto meglio a preoccuparsi un po’ di più della causa che Gregory Ross avrebbe dovuto impugnare, piuttosto che di panni sporchi da lavare in famiglia, riuscì a tranquillizzarsi e prendere sonno.

Sfortunatamente, erano le sei del mattino.

Alle dieci sarebbe scoccata l‘ora della verità.

-Tesoro, io e tuo padre abbiamo un appuntamento fuori città. Ci penserà Theodore ad accompagnarti dal dottor Appleyard – disse candidamente Ashley durante la colazione.

A Mark andò di traverso la cucchiaiata di muesli che aveva appena ingurgitato.

-Spero non ti dispiaccia. Ad ogni modo gli farò una telefonata appena torneremo, per sentire il responso. – continuò la donna apparentemente senza fare caso al figlio che stava tossendo l’anima.

-Coff…coff…non c’è problema – bofonchiò Mark. Gregory gli strizzò l’occhio; evidentemente era stato lui ad organizzare l’appuntamento in modo da lasciargli il tempo di andare a Fukuoka e tornare prima che la madre sospettasse qualcosa.

Questa sì che si chiama complicità, gente!

La notizia però gli aveva fatto passare la fame. Non poteva sopportare l’idea di restare chiuso in auto più di cinque secondi con quel bastardo, figuriamoci per cinque ore, tra l’andata e il ritorno… Però, pensandoci, la cosa aveva anche un lato positivo; senza mammina tra i piedi poteva giocarsi Theodore come voleva. In fin dei conti, anche lui era il “padrone”…

Fece tutto il tragitto in macchina senza aprire bocca, con pensieri assassini di ogni tipo che gli attraversavano il cervello. Arrivati davanti alla palazzina in cui si trovava lo studio dello psicologo, scese dall’auto senza degnare l’autista di uno sguardo.

-Aspettami qui. – disse. Theodore non rispose, e con la massima nonchalance prese una rivista dal cruscotto e iniziò a sfogliarla.

Rilassati, rilassati, stronzo, pensò Mark con rabbia, tanto non ne avrai per molto…

Giunto davanti alla porta d’ingresso, Mark inspirò profondamente. Era nervosissimo; del resto non era mai stato da uno psicologo prima di allora, non aveva la minima idea di cosa aspettarsi.

Dopo essersi raccomandato per l'ennesima volta di non dire fesserie, si fece coraggio ed entrò.

-Buongiorno. Le è il signor…? - chiese una segretaria occhialuta seduta dietro una scrivania all’ingresso.

-Ross. Julian Ross. Ho un appuntamento con… -

-Si accomodi pure, seconda porta a sinistra – lo interruppe la donna.

Mark ringraziò e seguì le indicazioni della segretaria.

-E’ permesso? – domandò timidamente facendo capolino dalla porta in questione.

-Prego, si accomodi. –

Mark entrò e chiuse la porta alle sue spalle, e se ne restò lì come un baccalà, ad aspettare ulteriori istruzioni.

Il dottor Appleyard era giovane, ad occhio e croce aveva poco più di trent’anni, i capelli sottilissimi dritti sulla testa, occhiali rossi, naso adunco e mento completamente glabro. Stava finendo di digitare qualcosa al computer, e teneva gli occhi a palla fissi sul monitor. Mark si chiede se, dalla faccia che aveva, non fosse lui ad aver bisogno di uno psicologo.

-Un attimo e sono da lei. Intanto si sieda pure signor…? –

-Julian Ross – rispose distrattamente Mark, accomodandosi sul lettino di fronte alla scrivania.

Il dottor Appleyard alzò di scatto la testa dal computer e guardò Mark negli occhi, quasi incredulo.

-Come, scusi? –

-Julian Ross – ripetè Mark, seccato – Avevo un appuntamento alle… -

-Quel Julian Ross?! – esclamò lo psicologo balzando in piedi e facendo cadere la sedia alle sue spalle. Mark sobbalzò dallo spavento. – Mio Dio, non ci posso credere!! –

In due secondi netti balzò oltre la scrivania e si piantò davanti a Mark, che non sapeva se scappare o dargli un pugno in faccia. Poi afferrò la mano del ragazzo e la scosse calorosamente, felice come una Pasqua.

-Se solo avessi dato un’occhiata alla lista degli appuntamenti sarei andato a comprare una bottiglia di champagne! Cielo, è incredibile! – disse, senza lasciare andare la mano di Mark.

-Ehm…cosa, scusi? –

L’uomo lo ignorò. – Vincent Appleyard. Puoi chiamarmi Vince. Posso darti del tu, vero? Mamma mia, che emozione… -

Finalmente si decise a lasciare andare Mark e si sedette, col fiatone, sul bordo della scrivania.

-Io ho partecipato per tre anni di fila alle selezioni per entrare nella Mambo, durante le superiori – disse. Gli occhi gli brillavano dalla gioia. – Naturalmente non mi hanno mai preso, altrimenti non sarei qui, he he…ero una schiappa terribile. Ma sono sempre stato un tifoso sfegatato della Mambo, era la mia unica passione! –

Andiamo bene, pensò Mark.

-Ma tu hai letteralmente trasformato la squadra! Julian Ross, il baronetto del pallone, l’aristocratico del campo da calcio! Non mi sono mai perso una partita! Che gioco, che stile! –

-Beh, grazie, ma… -

-E adesso sei qui, nel mio studio, in carne e ossa! –

E anche con qualche problemino, avrebbe voluto dire Mark, anche se non so tra noi due chi sia quello che se la passa peggio…

-Senta, io credo che… -

-Per l’amor del cielo, dammi del tu! – Appleyard lo interruppe per l’ennesima volta – Posso offrirti qualcosa? Vodka? Grappa? Whisky? Sambuca? O una tequila bum bum, eh? – ammiccò e gli diede di gomito.

-Dott...ehm, Vince, io non posso bere… -

Appleyard si irrigidì di colpo e si fece serio. – Oh, certo. Scusami. Che gaffe, dimenticavo…il tuo cuore…cielo, che gaffe. – Poi cominciò ad attorcigliarsi le dita. – Sai, è stato un colpo terribile sapere della tua malattia. Una meravigliosa carriera stroncata in quel modo…Quando ho letto la notizia, quasi ho pianto… -

Forse Julian è stato un po’ peggio, pensò Mark, sempre più seccato.

-…Ma adesso eccoti qua, nelle teste di serie del campionato e centravanti della nazionale giovanile!-

-Riserva – puntualizzò Mark. Subito dopo si morse la lingua, sentendosi un vero stronzo. Questa era un'uscita del vecchio Mark; quello nuovo, che conosceva un po' meglio Julian, non si sarebbe permesso questa libertà.

-Come…? –

Mark sospirò. - Ehm...niente. -

Appleyard battè le mani e sorrise. - Benissimo! - disse – E...senti un po', quella pupa che ti scarrozzi sempre dietro alle partite... -

-Eh?!? -

-Sì, insomma, voi due...su, siamo in confidenza, sai che non tradirei mai il segreto professionale! -

-Ma saranno caz...cioè, affari miei!! - sbottò Mark, allibito.

Il giovane psicologo arrossì e si guardò intorno, imbarazzato.

-Scusami – disse poi – Mi sono lasciato prendere un po' troppo dall'entusiasmo... -

-L'ho notato – replicò Mark, ancora risentito. - Senti, lasciamo perdere e piuttosto, che ne dici di tornare all'argomento? -

Appleyard lo guardò con aria interrogativa. - Quale argomento? -

Mark alzò gli occhi al cielo e sospirò. - Quello per cui sono qui – disse.

-Oh! Già! Scusami, a volte dimentico il mio...ehm...ruolo ingrato. -

-Succede. -

-Allora – disse lo psicologo aggiustandosi gli occhiali e assumendo un'espressione più o meno seria – Qual è il problema? Cioè, il motivo per cui sei venuto da me? -

Mark spalancò gli occhi. - Mia madre non ti ha parlato...? -

-No. Raramente parlo con i clienti. Ci pensa la mia segretaria a fissare gli appuntamenti, ma non chiede mai il motivo della visita. Tanto le cose importanti emergono durante la seduta. -

Mark non disse nulla ma dentro di sé gongolò. Quel fesso non sapeva assolutamente niente di Julian, e, a giudicare dall'entusiasmo con cui l'aveva accolto, sembrava davvero un suo grande ammiratore. E questo significava che avrebbe potuto girarselo come voleva...

Trasse un fintissimo sospiro.

-Il punto, Vince – disse marcando in modo particolare il nomignolo dello psicologo, il quale andò ovviamente in brodo di giuggiole – E' il mio cuore. Questo cuore malato che... -

E cominciò a snocciolare una personalissima versione della biografia di Julian, versione che colava melassa da tutte le parti. Ovviamente Appelyard se la bevve tutta, per di più con le lacrime agli occhi.

-...per cui se tu potessi mettere anche una sola buona parola con mia madre...non fraintendermi, ti chiedo solo di rassicurarla sulle mie condizioni. Un professionista come te avrà sicuramente capito che in questo momento mi trovo in una condizione terribile, e solo il tempo e la comprensione dei miei genitori mi potranno aiutare... -

Appleyard non rispose. Teneva lo sguardo fisso nel vuoto e, di tanto in tanto, tirava su col naso.

-Vince...? -

Lo psicologo prese un fazzzoletto dalla tasca e si asciugò gli occhi, poi si soffiò rumorosamente il naso.

-Julian... - disse in tono grave. Mark trattenne il respiro. Poi Appleyard gli porse un blocco notes e una penna.

-...me lo faresti un autografo? -

Mark annuì, un largo sorriso sulle labbra.





Mark uscì dallo studio con aria estremamente soddisfatta e risalì in macchina sbattendo la portiera posteriore. Theodore, che stava ronfando saporitamente, si destò di soprassalto.

-Sveglia – disse Mark, dandogli una pacchetta sulla spalla – Hai fatto il pieno alla carretta? Dobbiamo farci un bel po' di strada e non ho voglia di rimanere a piedi. -

-Come...? -

-Si va a Fukuoka. L'indirizzo è... -

-Un attimo, un attimo! - lo interruppe Theodore – Noi dobbiamo andare subito a casa! Sua madre... -

-Tu dovresti cominciare a preoccuparti un po' meno di mia madre e un po' più di mio padre, soprattutto quando verrà a sapere che ti sbatti con regolarità sua moglie nel garage – ringhiò Mark. Theodore lo guardò con occhi fiammeggianti e il ragazzo intuì di avere esagerato, ma se ne fregò altamente. - Quanto a me, l'unica cosa che devo fare è andare a Fukuoka. Per cui fa' il tuo lavoro del cazzo e metti immediatamente in moto questa baracca! -

Theodore spalancò gli occhi, sbigottito. - E tu come...?! -

-Di questo non te ne deve fregare niente. Tutti i nodi vengono al pettine, caro il mio Thaddeus...e ricordati di darmi del lei. Sia ben chiaro che non siamo amici. Allora, vogliamo partire o devo fare una telefonata a qualcuno di nostra conoscenza? -

L'uomo non si mosse e fissò Mark per dieci interminabili secondi.

-Non mi sembra che tu sia nella posizione adatta a dettare condizioni, signorino – sibilò infine -Non credo che tua madre, e nemmeno tuo padre, sarebbero contenti di sapere cosa tieni nel capanno degli attrezzi, di cui io ho le chiavi... E se i tuoi genitori lo scoprissero, potresti avere qualche problemino, lo sai?-

Mark lo fissò a sua volta con aria di sfida, cercando di nascondere il suo stupore. Questo poteva essere davvero un punto a sfavore di Julian. Che diavolo ci teneva nel capanno degli attrezzi, quel cretino? E come aveva potuto essere così stupido da farsi beccare da quel serpente velenoso?

Qualunque cosa fosse, Mark era deciso a non darla vinta a quel fottuto autista.

-Può darsi – replicò – Ma ricordati che un figlio non si può licenziare, un autista sì. Io sono molto più importante di te per i miei genitori, anche se ti sei lavorato così bene mia madre da convincerla a spedirmi in mezzo ai matti pur di avere campo libero su tutti i fronti. Ma per tua sfortuna io non sono completamente scemo, quindi se non farai subito quello che ti dico, racconterò del tuo simpatico piano a mio padre in maniera molto, molto convincente. Così convincente che, anche se lui è la persona più buona e placida di questo mondo, ti farà un culo così grosso che per guidare ti servirà un divano al posto del sedile! -

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17



Ma torniamo un attimo al giorno precedente, a Sapporo.

La scena a cui Julia assistette quando rincasò dalla farmacia fu abbastanza sconvolgente.

Holly, Benji, Philip, Jenny e un uomo di mezza età con l'aria da tossico circondavano un ciccione fortemente contuso legato ad una sedia con il nastro adesivo; questi non indossava altro che un paio di collant troppo stretti per le sue gambe e che, evidentemente, gli erano stati infilati a forza, dato l'elevato numero di smagliature che presentavano, un reggiseno bianco, anch'esso troppo piccolo, e un paio di minuscole scarpine di vernice nera con il tacco alto. Il trucco, troppo pesante anche per una baldracca, non serviva a coprire le ecchimosi che aveva sulla faccia.

Oltre a tutto questo, qualcuno (era stato Benji, ma Julia ovviamente non lo seppe mai) gli aveva scritto sulla fronte “Baciami il culo” con il rossetto.

A turno, gli astanti gli sputavano in faccia mentre uno di loro gli scattava polaroid.

- Per l'amor del cielo, cosa state facendo?!? - esclamò Julia, lasciando cadere a terra la borsetta.

Patty, che in tutto questo si era tenuta in disparte, ancora più sconvolta, le lanciò uno sguardo disperato.

- Bentornata, cuginetta! Che ne dici di aggregarti alla festa? - disse Philip allegramente.

- Io non mi aggrego ad un bel niente!! - esclamò Julia, indignata, precipitandosi verso il “povero” giornalista che la guardava con aria supplichevole, ormai incapace di dire una parola. Cercò di slegargli i polsi segando il nastro adesivo con le unghie. - Dio mio, si sente bene? Guardi cosa le hanno fatto, quei disgraziati... -

- Niente che non si meritasse – bofonchiò Holly. Nemmeno lui aveva preso molto bene il servizio che Meyers gli aveva dedicato e che, con il massimo della delicatezza, Benji gli aveva mostrato appena aveva messo piede in casa.

Julia lo fulminò con lo sguardo, poi si voltò a guardare Holly. Le era piombato in casa qualche ora prima e lei non aveva ancora avuto il tempo di dirgli una parola. Appena l'aveva visto, era andata in brodo di giuggiole, e ora eccolo lì il suo idolo. Cosa poteva dire ad uno che era tutto intento a fare la ceretta alle gambe di un povero giornalista? Ovviamente non poteva sapere che in realtà, si trattava di Jenny. Quella ragazza, tra l'altro (o meglio, il suo corpo, momentaneamente occupato da Benji, ma Julia non sapeva nemmeno questo), cominciava a farle paura. A parte il fatto che non si comportava affatto come una ragazza, era un fiume in piena di parolacce, cosa che non si sarebbe mai aspettata. Forse era per quello che la sua relazione con Philip stava prendendo quella strana piega?

Guardò di nuovo Patty, sperando di ottenere delle spiegazioni plausibili dagli accessi di follia dei ragazzi che la circondavano.

-Io non so niente, hanno fatto tutto loro! - esclamò la ragazza, ancora sconvolta – Sono andata un momento a cambiarmi e quando sono tornata lo stavano spogliando e incollando alla sedia!! -

Nel vero senso della parola, dato che, sulla sedia, Philip aveva spalmato mastice in abbondanza, casomai il nastro adesivo non tenesse. La sedia era da buttare, ma il ragazzo pensava che sarebbe stata una grossa soddisfazione quando quel dannato ciccione avrebbe provato ad alzarsi, se e quando lo avessero slegato.

Julia inspirò profondamente e scrutò i volti dei ragazzi e delle ragazze, soffermandosi su quello di Holly/Jenny con somma delusione.

-Basta, io me ne vado – disse, avviandosi verso la sua stanza – Passi per una discussione tra innamorati, ma qui si tratta di sequestro di persona e maltrattamenti! -

Benji e Philip si guardarono preoccupati. O meglio, Benji era preoccupato che Julia levasse le tende prima di averla irretita a dovere.

-Julia, senti, mi dispiace...so che non puoi capire, ma sei arrivata in un momento un po'...complicato – disse Philip raggiungendo la cugina.

-Lo vedo bene, accidenti! Ma se la situazione era davvero così difficile potevi dirmelo! Non sopporto di essere presa in giro e lo sai! - sbottò la ragazza – Quando vi ho visto l'ultima volta tu e Jenny sembravate pronti a sposarvi, adesso non passano cinque minuti senza che vi sbraniate; ti fai ridurre la faccia come un quadro surrealista e non mi spieghi nemmeno perchè; poi arrivano questi altri tizi e di punto in bianco trasformate il tuo soggiorno in una camera di tortura degna del carcere di Guantanamo! Insomma, Philip, io sto diventando matta!! Puoi almeno dirmi chi è quel tipo losco che si sta fumando una canna, prima che gli lanci addosso un secchio d'acqua? Lo sai che non sopporto il fumo, nemmeno quello legale!! -

Tutti si girarono contemporaneamente verso Freddie Marshall, il quale li ricambiò con uno sguardo imbarazzato mentre uno spinello gli pendeva dalle labbra. Benji era allibito.

-E quello dove cazzo l'hai preso?! - sbottò Benji.

-Alla stazione. Avevo bisogno di qualcosa di forte, ma 'sta roba non mi sembra granchè. Mi sa che quel pusher del cazzo mi ha fregato. -

-Dico, è impazzito?! Con questo individuo qui davanti?! Ma ha presente cosa è stato capace di fare?! - disse Philip, sconvolto.

-Uh... - disse Freddie, togliendosi lo spinello dalle labbra. Lo guardò per un istante, pensando a cosa fare, poi lo ficcò in bocca a Dave Meyers. - Problema risolto – disse – Peccato, però. Gli avevo sganciato trecento sacchi a quello stronzetto. -

Meyers aspirò a pieni polmoni.

-Basta!! - strillò Julia – Io me ne vado davvero, anzi, chiamo la polizia! Voglio vedere se a loro non date qualche spiegazione sensata! -

Questa volta fu Jenny a prendere la parola.

-Per favore, aspetta – disse, prendendola per mano. Julia arrossì fino alla radice dei capelli e il cuore le balzò nel petto.

Poi Jenny si voltò verso gli altri.

-Credo che Julia debba sapere qualcosa. Voi che ne dite? – disse.

Philip si mise le mani nelle tasche e guardò prima Benji, poi Holly.

-Ok – disse Benji sospirando – Vuotiamo il sacco. Anche se non so se la cosa ti piacerà, piccola. -

-Non preoccuparti – aggiunse Freddie – Me, non mi hanno cagato per giorni. Se ti raccontassi cos'ho passato in quest'ultimo periodo quel signore sulla sedia ci ricaverebbe un pezzo da premio Pulitzer. -

-A proposito, dov'è finito? - disse Patty.

I ragazzi si guardarono in giro; la porta di casa era aperta.

-Se l'è filata! - esclamò Benji – Quella carogna se l'è filata alla chetichella mentre eravamo distratti!! -

-Non preoccupatevi, non andrà lontano – disse Freddie guardando fuori dalla finestra. Meyers era riuscito a sfilarsi le scarpe e aveva imboccato l'uscita in punta di piedi, con la sedia e tutto il resto.

I ragazzi raggiunsero Freddie alla finestra.

-Oddio, l'autobus! - esclamò Holly vedendo Meyers scansarsi dal centro della strada per evitare il numero 39 che arrivava di gran carriera.

-Peccato – sbuffò Benji. Julia gli lanciò un'occhiata glaciale.

Nel frattempo un vecchietto in bici, che giungeva dal lato opposto, lo centrò in pieno, ribaltandosi. Senza prestare soccorso al povero ciclista, Meyers se la filò zompettando verso il marciapiede e facendosi largo tra i passanti che, guardandolo, non sapeva proprio cosa pensare.

-Ok, adesso possiamo parlare – disse Philip, battendo le mani.



Rimasero in piedi fino alle cinque del mattino successivo, ognuno a snocciolare la propria versione dei fatti. Julia fu letteralmente bombardata dai compagni di sventura, per i quali, più che una confessione, quello fu un vero e proprio sfogo, tra grida, lacrime e qualche risata isterica.

Alla fine di tutto, Julia rimase zitta per un paio di minuti, scrutando i volti di tutti.

-Allora? - disse Benji, impaziente.

Julia ridacchiò.

-Mia madre direbbe che, se è vera, è una gran balla – disse infine – Ma è talmente grossa che devo crederci per forza. A meno che non ci sia sotto qualcosa che non mi volete raccontare. -

Philip sbuffò. - Julia, mi conosci da quando sei nata – disse – E, come hai detto tu prima, hai visto un sacco di volte me e Jenny insieme. Ora, ti pare che io e la mia ragazza ci possiamo comportare tra noi come io e questo...coso – indicò Benji – ci siamo comportati negli ultimi giorni? -

-Eh – aggiunse Benji, con aria da santo.

-Non so come sia potuto capitare, ma ti assicuro che è tutto vero. Jenny, la mia Jenny, è finita nel corpo di Holly, il quale è finito nel corpo di Benji, il quale (Dio me ne liberi) ha preso il posto di Jenny. Chiuso. Io, te e Patty siamo gli unici normali, qui dentro. -

-Ti sei dimenticato di me, figliolo – disse ironicamente Freddie. Holly lo guardò e sembrò voler dissentire, ma ebbe la buona idea di starsene zitto.

-Scusi, signor Marshall. Quello che volevo dire è che... -

Philip si avvicinò a Jenny e le cinse le spalle con un braccio. La ragazza spalancò gli occhi. Non poteva crederci, visto la reazione che Philip aveva avuto poco prima.

-Questa è la persona che amo. So che sto rischiando di passare per l'amante di Holly, ma è così. Io so che qui dentro c'è la mia ragazza, e, credimi, non hai idea di quello che provo a non poterla abbracciare e baciare come vorrei... quindi, perchè dovrei averti raccontato una frottola? -

A Jenny vennero i lucciconi agli occhi, e anche tutti gli altri sembravano commossi. Freddie Marshall tirò su col naso.

Philip guardò Jenny e sorrise. - Ti amo tanto, lo sai? - disse lei. In quel momento, a Philip parve di sentire non la voce di Holly, ma quella di Jenny, la sua Jenny...

-Phil – disse ad un tratto Benji – I tuoi hanno qualche strano impianto d'allarme? -

-No, perchè? –

-Telecamere a circuito chiuso? -

-Neanche – disse Philip senza capire.

-Allora cos'è quell'affare che ci sta guardando dalla finestra? -

Tutti si voltarono verso la finestra del soggiorno: dietro al vetro, in effetti, c'era qualcosa, all'apparenza una microcamera, che stava riprendendo tutta la scena.

Philip impazzì.

-YAAAAAAAAAAAAAARGH!!! -

Con un urlo inumano sfondò la finestra, gettò a terra la microcamera e ci saltò sopra, riducendola in briciole.

-Brutti bastardi – grugnì Benji. Holly, sconvolto, non sapeva più cosa dire.

-E adesso...?! - disse Jenny coprendosi la bocca con le mani. Di certo la scena romantica in cui quello che tutti credevano Holly diceva di amare Philip, il quale non sembrava affatto dispiaciuto, non doveva certo essere passata inosservata a chi stava dietro quella minuscola cinepresa.

-Adesso aspettiamoci la prossima edizione straordinaria – disse Freddie – E poi prepariamoci ad emigrare. Io pensavo di convertirmi al cristianesimo e farmi frate trappista, sapete? Conosco un convento, in Belgio, dove fanno un'ottima birra. -

Nessuno, ovviamente, lo ascoltò. Philip piangeva a dirotto.

-Si può sapere che diavolo ho fatto di male?! - singhiozzò – Non ne posso più!! Mi hanno pestato, portato via la ragazza, messo sui giornali e adesso rischio pure la carriera! Perchè?! Perchè, cazzo?! -

Holly gli si avvicinò. - Siamo davvero in un bel guaio – disse.

-Beh, se fossi in te non mi preoccuperei troppo. In fin dei conti le tue tendenze sessuali erano note da tempo, no? - disse Benji con aria stronzamente sarcastica.

Holly si voltò di scatto. - Se io fossi in te, invece – disse – Mi preoccuperei, eccome. Perchè adesso sto per farti nero!! -

Senza che nessuno se lo aspettasse, si avventò contro Benji, finalmente stufo delle sue provocazioni. Se Jenny e Patty non fossero intervenute trattenendolo, sarebbe sicuramente successo qualcosa di brutto.

-Troppo buono – disse Freddie – Io non l'avrei risparmiato. -

-Ha perfettamente ragione, signor Marshall – disse una strana voce – Ma del resto lei non è al posto di quel ragazzo, no? -

I ragazzi e Marshall spalancarono gli occhi, sbalorditi. Al centro del soggiorno si era materializzato uno strano omino con un lungo cappotto e una bombetta sulla testa.

Evsebius.

-E questo chi è?! - esclamò Benji.

-L'artefice di tutto questo – rispose il terribile genietto facendo un ossequioso inchino al loro cospetto.

-Ma io ti ammazzooooo!! - gridò Philip avventandosi contro di lui. Una forza misteriosa lo trattenne e il ragazzo si trovò, senza sapere come, prima spiaccicato contro il soffitto, poi a faccia in giù sul divano. Gli altri rimasero a bocca spalancata.

-A parte il fatto che non potresti, potrebbe essere un grosso svantaggio per te – disse Evsebius -Io sono l'unico a poter far tornare le cose come prima. Sempre ammesso che voi lo vogliate veramente... -

-Se lo vogliamo?! - esclamò Jenny – Noi non abbiamo nemmeno mai voluto che tutto questo accadesse, signore! La supplico, ci faccia tornare nei nostri corpi... -

-Mai?- disse Evsebius inarcando un sopracciglio – Non è vero. Se io fossi in te, se io fossi al tuo posto...a chi non piacerebbe, almeno una volta nella vita, vestire i panni di un'altra persona? Del peggior nemico, magari...può essere un'esperienza molto istruttiva. -

Holly e Benji si lanciarono un'occhiata dubbiosa.

-Beh... - accennò Benji.

-Noi no! - esclamò di nuovo Jenny – Noi non l'abbiamo mai voluto! Io e Philip stiamo bene come stiamo, non odiamo nessuno, non abbiamo nemici! -

Il genietto guardò fissa la ragazza per un minuto buono, durante il quale lei sostenne perfettamente il suo sguardo.

-Uhm – borbottò infine Evsebius – In effetti a tutti capita di sbagliare. D'accordo, signorina, ha ragione. Rimetterò le cose a posto. -

Per un attimo, a Holly, Benji e Jenny sembrò che la stanza ondeggiasse paurosamente. Poi tutto venne avvolto da una strana nebbia e infine dal buio.

Quando Jenny riaprì gli occhi, la prima cosa che fece fu guardarsi le mani. Piccole, ben curate, sull'anulare un grazioso anello d'argento con un brillantino.

Corse verso lo specchio nel corridoio.

-Oh Dio!! - Si portò le mani alla bocca. – Oh, mio Dio!! -

Si voltò verso Philip, che stava ancora trattenendo il respiro; poi scoppiò in lacrime e gli corse incontro, abbracciandolo.

-Sono io! Sono io! SONO IO!! - gridò felice. Philip, la strinse forte, ancora incredulo.

Di fronte alla gioia dei due innamorati, il viso di Patty si illuminò di speranza. Guardò verso Holly e Benji, i quali non avevano ancora riaperto gli occhi.

-Forza, ragazzi, ora tocca a voi! - disse, prendendoli per le braccia e portandoli davanti allo specchio.

I due aprirono gli occhi più o meno contemporaneamente. Ma la loro reazione fu un po' diversa.

-NOOOOOOOOOOOO!! NON E' POSSIBILEEEEEEE!!!! - sbraitò Benji – TOGLIETEMELO DI DOSSO! TOGLIETEMELO DI DOSSOOOOOO!!!! -

Il ragazzo si mise a correre in giro per la stanza urlando come un forsennato e scorticandosi le braccia. Holly capì perchè dopo essersi guardato allo specchio.

-Ehi! - esclamò con disappunto – Ma non è cambiato un accidente! -

-COME, NON E' CAMBIATO UN ACCIDENTE?!? - riprese Benji – CERTO CHE E' CAMBIATO QUALCOSA, COGLIONE!! ORA IO SONO TE!!! -

Patty guardò Evsebius, incredula. - Ma...aveva detto... -

-Quando dicevo che avrei rimesso le cose a posto – disse il genietto - stavo parlando con la signorina... -

Dopodichè roteò rapidamente su se stesso e scomparve in una nuvoletta di fumo.

Patty e Julia, ancora più sconcertate, si buttarono a sedere sul divano.

-Vediamo il lato buono – disse poi Patty, sempre più sconsolata – Almeno la situazione più spinosa si è risolta. -

-No, Patty, lo sai qual è il lato buono? - disse Holly, che, dopo secoli, stava per scatenare la bestia dentro di sé – E' che posso massacrare di botte questo imbecille!! -

E, finalmente, si buttò contro il SGGK (ovvero contro se stesso), ingaggiando una liberatoria lotta senza esclusione di colpi.

Nessuno ebbe da obiettare, stavolta.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18



Mentre il viaggio in auto fino al porto fu abbastanza tranquillo, dato che Mark e Theodore non si rivolsero la parola (per cercare di colmare quell'imbarazzante silenzio, Theodore accese la radio; Mark glie la spense due secondi dopo, chiarendo definitivamente i ruoli), il tragitto in nave fino a Fukuoka fu un pochino più movimentato.

Mark passò la maggior parte del tempo sul ponte del traghetto che dondolava in mezzo ai flutti, appoggiato alla balaustra, incerto se vomitare o no. Fu una sensazione terribilmente spiacevole, dato che non aveva mai sofferto il mal di mare; ma la cosa peggiore fu vedere quel verme di Theodore godere come un riccio mentre osservava la sua faccia assumere diverse tonalità di verde.

- Si sente male, signorino? Vuole un antiemetico o preferisce un sacchetto di carta? -

Mark decise di vomitargli sui pantaloni, così gli sarebbe toccato guidare in mutande, a quel porco. Cambiò idea solo perchè l'immagine di Julian ne sarebbe potuta uscire danneggiata.

- Crepa – rispose laconicamente tra un conato e l'altro, mentre meditava di scaraventare il caro autista in mare. Si guardò in giro furtivamente; niente da fare, il posto era troppo affollato. Sicuramente qualche imbecille gli avrebbe lanciato un inopportuno salvagente.

L'arrivo del traghetto nel porto di Fukuoka fece desistere Mark dai suoi propositi omicidi; appena vide la costa avvicinarsi trascinò Theodore all'auto e lo costrinse a mettere in moto e fare una pazzesca gimcana purchè uscissero per primi. Dopodichè gli diede l'indirizzo di casa sua e tacque definitivamente.

Anche perchè aveva qualcosa di più complicato a cui pensare, rispetto all'assassinio dell'autista; stava per trovarsi faccia a faccia con se stesso, e in quei giorni non aveva minimamente pensato a come sarebbe potuto essere l'impatto. Ormai si stava abituando alla faccia e alla voce di Julian, ma non aveva dimenticato le proprie; trasse un profondo respiro e pensò che forse sarebbe stato come trovarsi ad una recita, una di quelle buffonate che ogni tanto faceva alle scuole elementari, in cui doveva fare indovinare ai compagni di classe chi stava imitando. Ma lì non stava imitando nessuno, anzi, in quei giorni era stato se stesso come non mai.

Si domandò come avrebbe trovato la sua casa, sua madre e i fratellini; da quello che Julian gli aveva raccontato, sembrava che tutto stesse procedendo per il meglio, e per un brevissimo istante ebbe quasi paura che quel ragazzo si stesse impadronendo della sua vita. Qualcosa sarebbe sicuramente cambiato, ma cosa? E come? Il suo rapporto con gli altri sarebbe stato lo stesso? I suoi parenti, la sua fidanzata, i suoi amici l'avrebbero amato ugualmente, quando le cose sarebbero tornate a posto, o avrebbero preferito la sua nuova versione? Il Mark due-punto-zero?

Chiuse i pugni dalla rabbia, pensando a come Mark Landers si stava trasformando in quel perfettino di Julian Ross, ma, fortunatamente, si ricordò che lui stava facendo esattamente la stessa cosa; aveva trasformato il gentile, educato e compito baronetto del pallone in un guascone sguaiato e volgare, senza peli sulla lingua. E se non gli era ancora venuto in mente che questo poteva non essere un bene per Julian, era solo perchè non se n'era minimamente preoccupato, non aveva mai provato a comportarsi come avrebbe fatto l'amico-rivale.

Si lasciò sprofondare nel sedile con lo sguardo perso nel vuoto, vergognandosi un po' del suo egoismo, e si riscosse solo quando Theodore inchiodò davanti al cancello di casa sua, facendolo sobbalzare in avanti e sbattere contro lo schienale del sedile anteriore.

- Siamo arrivati, signorino – sibilò Theodore.

Mark scese dall'auto. - Non muoverti da qui – disse, sbattendo violentemente la portiera.

Attraversò il vialetto a grandi passi, ma si arrestò davanti al campanello, il dito a mezz'aria. Per un brevissimo istante fu tentato dal darsela a gambe dalla paura, ma gli passò alla svelta. Anche perchè Julian gli aprì la porta prima che potesse farlo.

-Ciao, Mark. -

-Ciao... -

I due ragazzi si fissarono per un interminabile istante, senza sapere cosa dire. Mark si schiarì la voce.

- Ti trovo bene – disse, con un sorriso tirato.

Julian guardò l'amico con aria incredula.

- Ma non dire cazzate! – rispose infine.

Entrambi si lasciarono andare ad una risata liberatrice.

- Non mi avevi detto di avere poteri telepatici – aggiunse Mark, indicando l'auto da cui Theodore lo scrutava con aria arcigna.

- Ho sentito la frenata e ho guardato dalla finestra. Theodore non ha mai avuto una guida delicata... -

- Oh, lascia perdere. Mamma è in casa? -

- Per fortuna no. Abbiamo tutto il tempo che ci serve per sistemare la faccenda. Maki è in ritiro con la squadra di softball, quindi siamo tranquilli. -

- Ottimo – disse Mark – E i ragazzi? -

- Stanno facendo i compiti delle vacanze. Cathy, Robert, Justin, venite un momento! -

- Guarda che non c'è bisogno di... -

- C'è bisogno eccome. Non vorrai lasciarlo da solo? - disse Julian indicando con la testa il suo autista.

Mark lo guardò con aria interrogativa. Possibile che...?

Poi i tre bambini si affacciarono timidamente alla porta, e per un istante il cuore di Mark accelerò il battito. Gli mancavano davvero, accidenti.

Sorrise e si chinò verso di loro. Justin, il più piccino, si strinse alle gambe di Julian che, per tranquillizzarlo, gli aveva posato una mano sulla testolina.

- Ciao, piccoli – disse Mark.

I bambini lo salutarono timidamente. Julian sorrise, quasi con tenerezza.

- Ragazzi – disse – Vedete quella grossa macchina nera là in fondo? Questo signore vi dà il permesso di salirci. -

I tre guardarono increduli Mark, che capì al volo.

- Possiamo davvero? - disse Robert, con gli occhi traboccanti di felicità.

- Certo – rispose Mark – E quell'altro signore col cappello vi lascerà fare un sacco di cose, anche sedervi al posto di guida, cambiare le marce, schiacciare i pedali... Forza, andate! -

Robert partì verso l'auto come un razzo, mentre Catherine guardò Julian, che annuì sorridendo. Poi corse via anche lei. Il piccolo Justin, invece, non seguì gli altri due; si staccò dalle gambe di quello che credeva suo fratello e si piantò davanti a Mark, fissandolo negli occhi.

-Tu sei Julian Ross? - domandò.

-Ehm...sì – rispose Mark.

-Mio fratello dice che sei un fighetto di merda -

-Justin!!! - esclamò Julian, mentre Mark lo guardava sbigottito – Per punizione, stasera doppio giro al salvadanaio delle parolacce! E ora fila!-

Il bambino ridacchiò e corse verso i fratelli, che avevano già cominciato a torturare Theodore.

-Scusa – disse Mark – Roba vecchia... -

-Non preoccuparti – disse Julian sorridendo – Ho sentito di peggio... -

Intanto, tre secondi dopo l'arrivo dei bambini, Theodore aveva già perso la pazienza.

-Ma...volete stare fermi?! No, quello è l'accendisigari!! Insomma, signorino Julian!! - gridò.

Mark sogghignò. - Hanno il mio permesso – disse ad alta voce – E da ora sono sotto la tua responsabilità. Non muoverti da lì e non perderli di vista un attimo, altrimenti ti scuoio vivo! -

Julian rise, sorpreso. - Vedo che ci capiamo al volo, io e te! - disse, precedendo Mark dentro casa.

-Almeno lo terranno occupato per un po'. Piuttosto, cos'è questa storia del salvadanaio delle parolacce? -

-Oh, l'ho istituito l'altro ieri con il benestare di tua madre. Chiunque dica una parolaccia deve mettere un soldino nel salvadanaio in cucina. Quando sarà pieno, deciderete cosa fare. Sai che Robert ha certe uscite che stenderebbero uno scaricatore di porto? -

Mark arrossì. - Va bene, va bene, ammetto di non essere stato un buon esempio. Però Justin non ha nemmeno la paghetta, come fa a... -

-Caramelle – rispose Julian – L'importante è che il concetto valga anche per lui. -

-Oh...certo. - Mark si rabbuiò per un istante e Julian se ne accorse subito.

-Senti – disse, fermandosi davanti alla porta della camera - Non voglio fare la Mary Poppins di turno, anche perchè non ho il physique-du-rôle. - Mark sorrise. - E non voglio nemmeno darti lezioni di pedagogia. Tu vai benone, credimi, hai fatto un ottimo lavoro con quei bambini; sono favolosi e ti adorano. Era solo un'idea, ok? Come quella del pianoforte con Maki, solo un'idea. Per cui non prendertela, sto solo cercando di sopravvivere... -

Mark sospirò. - Scusa – disse – Anch'io sto cercando di fare la stessa cosa. Ma è maledettamente difficile, cazzo. -

-Lo so – tagliò corto Julian con un tono amaro nella voce. Aprì la porta della camera. - Dai, vieni dentro, devo darti un sacco di cartaccia. -

Mark tornò immediatamente con i piedi per terra. Fuori dalla finestra, nel frattempo, sentiva la voce di Theodore implorare pietà.

-Hai detto qualcosa a mia madre? - chiese, serio.

-No - rispose Julian prendendo un enorme pacco di fogli, ordinatamente rilegati, dal cassetto della scrivania – Non credo sarebbe servito a qualcosa. -

-Meglio così. E questi sono... -

-...le copie che ho fatto, ovviamente – lo interruppe Julian – Non crederai che ti dia gli originali? Tua madre non deve nemmeno accorgersi che li ho toccati, chiaro? Allora, tu stasera vai da mio padre e gli dici che la questione è più urgente del previsto. Se si può fare qualcosa (e io sono sicuro di sì) mi farai chiamare da lui, poi ci penserò io a spiegare tutto a tua madre. Avrà bisogno del suo assenso, e anche di un bel po' di firme, per avviare la causa. -

- Guarda che non sarà facile – disse Mark – Mamma ha una testaccia dura, forse peggio di me... -

-Non preoccuparti, io ce l'ho ancora più dura. Qualsiasi cosa lei dica porterò io avanti la faccenda, a costo di falsificare la sua firma e travestirmi da lei per testimoniare in tribunale! Quel bastardo vi restituirà fino all'ultimo centesimo e con gli interessi, parola mia! -

Mark si sedette sul letto, sospirando.

-Dannazione, non so davvero quanto sono fortunato. Stai salvando il culo a me e alla mia famiglia. Non sarai una specie di angelo custode, cazzo? Non vedo proprio che altro potresti fare per noi! - disse, sorridendo amaramente.

-Un tè, per esempio – rispose Julian sorridendo – Dato che sei a casa tua, credo che ti farebbe piacere. Vado a scaldare l'acqua. -

-No, lascia perdere. Ho ancora lo stomaco in gola...se avessi saputo che soffrivi così tanto il mal di mare sarei venuto in aereo! -

-Oh, quello è ancora peggio... - disse Julian alzando gli occhi al soffitto – A proposito, devi assolutamente dirmi com'è andata dallo psicologo! -

-Oh, benone! Quel tizio è un tuo fan scatenato, venderebbe sua nonna per un autografo! L'ho convinto a dire a tua madre che stai passando una banale crisi adolescenziale e che sei sano come un pesce. Di testa, intendo. -

Julian tirò un sospiro di sollievo. - Grazie. La precisazione non era necessaria, comunque grazie davvero. Un problema in meno. -

-Veramente... - disse timidamente Mark. Il problema non era affatto risolto, ma il ragazzo non sapeva ancora come affrontare l'argomento.

-Apri il tettucccio! Apri quel fottuto tettuccio, piccolo teppista, mi sto strangolando!! SIGNORINO JULIAAAAAAN!! - strillò Theodore.

Mark e Julian si guardarono e scoppiarono a ridere.

- Forse è meglio che richiami i miei fratellini prima che ti distruggano l'auto e l'autista – disse Mark.

-Stai scherzando? Lascia che lo torturino pure ancora un po'! -

-Uhm...sbaglio o non è molto simpatico nemmeno a te? - azzardò Mark.

-Vuoi scherzare? - rispose Julian - Quello stronzo si sbatte mia madre da sei anni, vorrei poter fare anche di peggio! -

Mark spalancò gli occhi, basito. - M-ma....tu co-co-come... -

-Andiamo, Mark, non sono né sordo né idiota. Casa mia sarà pure enorme ma anche i muri hanno orecchie... -

Il capitano della Toho era sconvolto.

- E...e in tutti questi anni non hai mai detto niente?! Come hai fatto a sopportare questa situazione? - Doveva dirgli del ricatto di Theodore riguardo al capanno degli attrezzi, ma per il momento decise di tacere e studiare meglio la situazione.

-Cosa volevi che facessi? - disse Julian allargando le braccia – Parlarne con lei? Morirebbe di vergogna. No, io sono la sua sola e unica ragione di vita, nonché la sua sola preoccupazione, non posso farle questo. Mio padre, come avrai notato, è piuttosto assente. Se lei ha bisogno di...sfogarsi ogni tanto, che faccia pure, se questo la rende felice! Però... -

-Però...? - disse Mark tendendo le orecchie. Eh, no, così proprio non andava. Se Julian giustificava il tradimento di sua madre con quel verme era solo perchè non sapeva niente di quello che c'era dietro. Urgevano provvedimenti.

-Però Theodore proprio non lo sopporto. Ogni volta che mi guarda sembra volermi prendere per i fondelli, come se sapesse che io so e che non ci posso fare niente. Il che è anche vero, ma non ti dico che rabbia mi fa... Ad ogni modo, finchè si comporta bene con lei... -

-Beh, bene non è la parola giusta... -

-Che vuoi dire...?! -

Mark non ci stava più dentro. Era l'ora di vuotare il sacco, sperando di riuscire a farlo con delicatezza.

Trasse un profondo sospiro.

-Senti, non volevo dirtelo così, ma... -

-...li hai visti anche tu, vero? Lo sapevo. Aggiungiamolo alla lista delle umiliazioni. Tanto, persona più, persona meno... -

-No. Cioè, sì...imsomma, Julian...a me non me ne frega niente della vita dei tuoi, lo sai, però... -

-Mark, arriva al punto. - disse Julian, che stava cominciando ad innervosirsi.

-Allora. Theodore non è proprio “sincero” con tua madre...cioè...diciamo che...fa un po' il gigolò... -

-Mia madre lo paga?!? - sbottò Julian.

-No! O meglio, non è che lo paga...è lui che...ehm... -

-Non dirmi che la sta ricattando!! -

-Senti, mi lasci parlare o no?! -

-Se ti lascio parlare?! Piantala con i giri di parole, e vieni al sodo, dannazione!! -

-Ok. Diciamo che lui l'ha...irretita. La coccola, la impietosisce e si fa sganciare un sacco di soldi. Ma è falso come Giuda, te l'assicuro, perchè... -

-Avrei dovuto immaginarlo. - lo interruppe Julian, rosso dalla rabbia - Per quanto prenda un buon stipendio, uno chauffeur difficilmente potrebbe permettersi un'intera collezione di orologi Paul Picot...che schifosa carogna, cazzo... -

Mark capì che doveva andare fino in fondo.

-Non finisce qui, amico. C'è dell'altro. -

-Spara. -

-Diciamo che Theodore ha una certa...influenza su...alcune decisioni di tua madre. -

-Sarebbe a dire?! -

Mark cercò di pesare le parole, ma sapeva benissimo che non ci sarebbe riuscito.

-Ti dice niente la “Città del sole”? -

Julian aggrottò la fronte. - E' una clinica per malati mentali, mi pare. Un manicomio di lusso, per dirla breve, ma...oh, no. - Il ragazzo impallidì di colpo. - No. No, Dio, no. Mi stai dicendo che... -

-Che l'idea di mandarti da un plotone di psicologi non è stata partorita direttamente da tua madre. E non solo quella...Il caro chauffeur sta tramando per internarti definitivamente... -

-Figlio di puttana – ringhiò Julian, furibondo – Brutto figlio di puttana... -

-E' la stessa cosa che mi sono detto anch'io. Ma non ti preoccupare. La seduta dal dottor Appleyard ti ha messo al sicuro, almeno per il momento. -

Julian si alzò in piedi di scatto, facendo cadere la sedia sul pavimento. - Per il momento?! PER IL MOMENTO?! - gridò -Ti rendi conto di quello che potrebbe succedere?! Di quello che potrebbe succedere a noi, non solo a me, Mark!! Io quello lo ammazzo. Sì, dobbiamo farlo fuori subito prima che...oh, Gesù! E' allucinante!!. -

-Stai calmo – disse Mark prendendolo per un braccio – Lascia fare a me. Ho già dato una piccola lezione a quel pezzo di merda, se vuoi lo sistemo alla mia maniera... -

Julian lo interruppe, sconvolto. -Tranquillo, hai carta bianca. Strappagli le unghie, annegalo in piscina, fai quello che vuoi... -

-...però prima mi devi dire cosa tieni nel capanno degli attrezzi. -

Julian si bloccò. - Eh?! - disse, quasi senza capire.

Mark sospirò per l'ennesima volta.

-Ho avuto un...pesante scambio di opinioni con lo stronzo in questione. E per fare il gradasso mi ha detto che sa cosa c'è nel capanno degli attrezzi, e sa che i tuoi non lo sanno...insomma, puzza di ricatto, e questo potrebbe essere pericoloso. Se c'è qualcosa di compromettente devo farlo sparire, o per lo meno sapere di cosa si tratta, per agire di conseguenza. -

Julian si coprì il viso con le mani.

-Cazzo, cazzo! Il mio sassofono! Ma come ha fatto...?! -

Mark spalancò gli occhi, sbalordito. - SASSOFONO...? - disse, incredulo.

-L'ho comprato di seconda mano dal cugino di Amy, l'anno scorso. L'unico posto dove posso suonarlo è il capanno degli attrezzi. Maledizione, l'avevo insonorizzato così bene... -

Mark non sembrò nemmeno ascoltarlo. - Nel capanno degli attrezzi ci tieni...un sassofono?! -

-E cosa pensavi che ci tenessi, film porno?! - sbottò Julian - Se mamma lo scopre sarà un guaio, dannazione! Fallo sparire, dallo ad Amy...no, forse è meglio Albert, il giardiniere, lui lo sa. -

Mark ridacchiò.

-Che cazzo ci trovi di divertente?! - disse Julian inarcando un sopracciglio.

-Niente – disse Mark – Solo non capisco che male ci sia a voler suonare il sassofono...mica ti droghi, in fin dei conti! -

Julian si sedette sul letto accanto a Mark.

-Senti – disse – per suonare il sax servono braccia e fiato. Ora, per le braccia non ci sono grandi problemi, per il fiato direi di sì. Per quanto sia piccolo e leggero, rischio la sincope ogni volta che ci soffio dentro. -

-Sax tenore? -

-Soprano. Capisci che se mia madre lo scoprisse potrei passare dei seri guai, oltre al fatto che le verrebbe un esaurimento nervoso a posteriori? -

Mark tacque un momento. - Ma come ti è saltato in mente? - disse, sinceramente stupito – Voglio dire, non potevi fare una scelta un po' meno masochista? Che ne so, flauto, ocarina...non ti basta il pianoforte? -

Julian si sdraiò sul letto, guardando il soffitto.

-Mark, conosci la E-Street Band di Bruce Springsteen? -

-Eccome – rispose il ragazzo – A proposito, temo di averti fuso il cd di “The river”... -

Julian non ci badò. - Ecco, il mio sogno, fin da quando ero piccolo, è di diventare come Clarence Clemons. -

-Grosso e nero? -

Il capitano della Mambo scoppiò a ridere. - Il più grande sassofonista rock del mondo, stupido! -

Mark sorrise. - Ti vedrei meglio come Roy Bittan – disse – Suonare il piano non ti riesce affatto male, da quanto ho capito. -

-Il piano mi piace – disse Julian – Mi piace molto, davvero. Ma hai mai ascoltato davvero un assolo di sassofono nelle canzoni di Springsteen? E' la sensazione più forte che io abbia mai provato in tutta la mia vita. -

-Non lo so – rispose Mark – Il Boss piace un sacco anche a me. Solo non ho mai fatto caso agli strumenti...insomma, non so se mi spiego... -

Julian si alzò sui gomiti e guardò Mark dritto negli occhi. - Prova ad ascoltare bene una canzone qualsiasi. Che ne so, “Mary's place” o “Bobby Jean”. O anche “Jungleland”, che è fantastica. Tutti gli strumenti suonano insieme, non riesci quasi a distinguerli...è lo spirito di una band, giusto? E poi arriva lui, Clarence, e si alza sopra tutti gli altri. Non li copre, è lì con loro, ma è sopra di loro...capisci cosa intendo? -

-No – disse Mark scuotendo la testa. Julian sbuffò.

-Ti tira fuori, Mark. Ti tira fuori da tutto. Tu lo ascolti e non tocchi più nemmeno il pavimento. Sei felice. Gli altri della band ti spingono piano piano e tu sali, sempre più in alto. Poi esplodi. Diavolo, Mark, io non sono mai stato bravo con le parole, ma se non suonasse così male detto da me, ti direi che mi sento quasi scoppiare il petto. Per la gioia, non per l'insufficienza mitralica... -

-Credo di capire – disse Mark – Ti senti libero, è così? -

Julian annuì. Aveva quasi gli occhi lucidi. - Te la ricordi quella battuta di “Billy Elliot”, quando lui racconta come si sente quando balla? “Io sono elettricità”. Elettricità...non riesco a spiegare perchè...lo so che è stupido, ma è così. -

Mark non disse niente. Aveva capito benissimo cosa l'amico intendeva, quanto si sentisse prigioniero della sua condizione, e facesse qualsiasi cosa per tentare una via di fuga, e forse anche la passione che aveva messo nel calcio rientrava in quella categoria. Lo capiva perchè in quei giorni lo stava vivendo sulla sua pelle.

Sorrise debolmente, pensando che quel ragazzo era più forte e testardo di quanto sembrasse. In effetti l'aveva dimostrato durante le partite; Julian era un osso duro, uno che non si arrendeva nemmeno quando sembrava fosse arrivata la fine. Provò quasi un moto d'orgoglio verso di lui.

-Ce l'hai una palla da baseball? - disse.

-No, perchè? - disse Julian senza capire.

-Perchè mi sembri Steve McQueen ne “La grande fuga” - rispose Mark.

-Eh?! -

Mark scosse la testa, sorridendo. - Niente, lascia perdere. Sai che verrà a Tokio a novembre? -

-Chi? -

-Mio nonno. E' da tanto che non lo vedo. Bruce Springsteen, imbecille! -

Julian sgranò gli occhi per la sorpresa. - Ma scusa, spiegati, almeno! Come l'hai saputo? -

-Se tu uscissi un po' più spesso avresti visto i cartelloni. Sono sparsi in giro per tutta la città. “The Rising tour”, E-Street Band al completo con tanto di quella gnocca di Patti Scialfa! -

-Mark, avrà cinquant'anni! -

-E allora? Gallina vecchia fa buon brodo! -

Julian rise e scosse la testa. - Fantastico. Il mio cantante preferito è in città e io sono intrappolato a duecento chilometri di distanza.... -

-E io non posso nemmeno farlo per te; non credo che tua madre approverebbe... - aggiunse Mark.

-Scordatelo. Sarebbe capace di far atterrare un elicottero della polizia sul palco per recuperarmi. -

-Eh, già... - disse Mark sospirando – Che sfiga...morirò senza aver visto nemmeno un concerto del Boss... -

-Già – confermò Julian.

Entrambi tacquero per un momento.

-Però, sai che forza? Se fossi in te mi calerei dalla finestra e lascerei sulla scrivania un biglietto con scritto “Born to run”. Come nei film. - disse Julian.

Mark rise. - Certo, poi finirei sbranato dai tuoi simpatici molossoidi. Abbiamo avuto un incontro ravvicinato, qualche giorno fa. Se non fosse arrivato il tuo giardiniere, gli avrei fatto da stuzzicadenti. Sempre che non arrivi prima il gatto, quello è il diavolo della Tasmania! Non ho un buon rapporto con gli animali di casa tua, sai? -

Julian parve sorpreso. - Ti hanno aggredito? Rumenigge e Beckenbauer? Starai scherzando, spero! Li ho tirati su io quei cani, mi adorano, sono quaranta chili d'affetto puro! Probabilmente hanno capito che tu non sei me; sai, l'istinto... -

-Ah. E il gatto? -

-No, quello è stronzo e basta. -

Mark rise, anche se preferì non raccontare a Julian l'episodio dell'aspiratore di briciole.

-Senti un po' – disse poi – Ma se la musica ti piace così tanto, perchè non ti iscrivi al conservatorio? Pianoforte, magari, così anche tua madre sarebbe contenta... -

-Credi che lei non mi abbia martellato abbastanza su questo argomento? - rispose Julian – No, non se ne parla. Amo la musica, ma se ne dovessi studiare i meccanismi finirei per odiarla. Preferisco rimanere ignorante. No, credo che mi iscriverò a medicina. Tanto sull'argomento sono abbastanza ferrato, purtroppo... -

-Wow, un calciatore medico, come Socrates! -

-Figo, vero? - disse Julian, in tono ironico.

-Fighissimo. Anche perchè è roba tosta. Che vorresti fare, medicina dello sport? -

-Per finire a prescrivere steroidi a quegli stronzi palestrati che vogliono correre i cento metri in meno di dieci secondi? No, grazie! -

Julian si mise a sedere sul letto. - Credimi, Mark, passando da un ambulatorio all'altro ne ho viste di tutti i colori. Io credo che fare il medico non sia una missione, come pensa qualche esaltato, ma qualcosa che deve servire alla gente. Capisco i superspecialisti che emettono superparcelle perchè devono ripagarsi dei sacrifici fatti durante gli studi, la qualità del servizio e tutte le altre stronzate, ma penso che chiunque abbia diritto alla salute. Se io non mi potessi permettere le cure sarei già morto da un pezzo, lo sai? -

-Detto in soldoni – disse Mark – Vuoi fare il dottore dei poveri? Non mi sarai mica diventato comunista? -

-Beh, se questo significa preoccuparsi perchè tutti abbiano le stesse possibilità di curarsi, allora sì, chiamami comunista. C'è qualcosa di male? Le malattie non guardano il portafogli, Mark. Perchè dovrebbe farlo un medico? Ci sono medici che fanno la fame perchè i loro clienti non hanno nemmeno i soldi per mangiare, figurati se li hanno per pagarli.; io ho tanto di quel denaro che non avrei nemmeno bisogno di farmi pagare. E se un giorno finirò sotto un ponte, beh, chi se ne importa. Me la sarò già goduta anche troppo. -

-Abbiamo un buon servizio sanitario, Julian. -

-Ma non basta, Mark. In questo paese c'è gente che non ha un centesimo per pagarsi i farmaci anti-HIV mentre ci sono donne che si rifanno otto volte le tette, magari pure a spese dello stato! Ti sembra giusto? Io posso permettermi un trapianto di cuore, un ragazzino molto povero no. Per non parlare dei paesi del terzo mondo...e io non sono migliore di loro; perchè solo io devo avere il diritto di sopravvivere? -

Mark non sapeva più cosa dire.

Julian si alzò e andò verso la finestra.

-Sai cosa pensavo, un po' di tempo fa? Che, dopo la laurea, me ne sarei andato in Guatemala o in Sudan con Emergency o qualche altra organizzazione del genere. Ma c'è Amy di mezzo. Come farei a lasciarla? -

-Ti preoccupi più di Amy che dei tuoi genitori? -

-Loro se ne farebbero una ragione. Sarei maggiorenne e vaccinato, potrei fare quello che voglio. E non gli chiederei nemmeno un soldo. Ma Amy...non posso stare senza di lei, Mark. E non posso nemmeno coinvolgerla in una cosa così... Accidenti, forse è troppo grande per tutti e due. E poi chissà cosa succederà nel frattempo...magari diventerò il chirurgo plastico della yakuza... -

-Non credo proprio, Julian – disse Mark – Non credo proprio. -

Julian si mise le mani in tasca e sospirò.

-Scusa – disse – Mi sento un bambino scemo quando faccio questi discorsi. Mi sono sentito un parassita per così tanto tempo, adesso vorrei solo essere utile a qualcun altro. Restituire un po' di quello che mi è stato dato, tutto qui. -

-Non sei un bambino, e non sei nemmeno scemo – disse Mark – Sei solo sorprendente. Mi piacerebbe avere degli ideali come i tuoi...o, quanto meno, le idee chiare sul mio futuro. -

-Davvero non hai idea di cosa fare? -

-Beh, tornando al discorso di prima, non è che abbia grandi possibilità. E neanche quella gran voglia di studiare, se devo dirla tutta -

-A proposito... – disse Julian. Si era ricordato una cosa importante, ma non riuscì a finire la frase perchè quello che disse Mark lo lasciò a bocca aperta.

-L'unica cosa che so è che, appena riesco ad avere un buon ingaggio o a trovare un lavoro decente mi sposo, Julian. Sì, prima sistemo mamma e i ragazzi, poi compro un bell'anello per Maki e la sposo. Se lo merita, cazzo. E poi, anche se a volte sono un po' stronzo con lei, credo di amarla davvero. -

Julian sorrise, un po' imbambolato. - Non ti facevo così...romantico – disse – Credevo che per te il calcio fosse più importante di qualsiasi altra cosa al mondo. -

-Credevo la stessa cosa di te, e invece vedo che non è così. E poi non è questione di essere romantici; è semplicemente tutto quello che vorrei. Beh, non è una cosa grandiosa, ma io non sono una persona grandiosa e non ho idee grandiose. Ma amo la mia ragazza e vorrei il meglio per me. Un po' come fai tu con Amy, insomma. -

-Salvo che Amy non è la mia ragazza – intervenne Julian, amaramente.

-Non ancora – lo corresse Mark – Sai, ho solo paura che Maki scappi prima... -

-Fidati, non lo farà. Adesso mi sembra molto felice, sai? -

-E' felice perchè ora sei tu che la fai felice. Ma io sarò capace di fare altrettanto, quando le cose saranno tornate a posto? -

-Senti – disse Julian – Maki non è una persona pretenziosa, e soprattutto ti ama davvero molto. Chiede solo un po' d'attenzione, come tutte le donne, del resto. Non importa come glie la darai; lei vuole solo stare con te, e credo che sarebbe più felice se litigherete ogni tanto piuttosto che se la circonderai di profumi e balocchi ma la lascerai sola tutto il giorno. Un po' come ha fatto mio padre con mia madre, insomma. Non dico che si sia meritato le corna, però... -

-Tuo padre è una brava persona, Julian – disse Mark abbassando la voce – Non avercela con lui. Ti vuole un bene dell'anima, lo sai, e farebbe di tutto per te, perfino aiutare me. E' grazie a lui se sono qui, oggi. -

Julian prese la sedia e si sedette al contrario, incrociando gli avambracci sullo schienale e appoggiandovi sopra pesantemente il mento, lo sguardo peso nel vuoto.

-In diciassette anni non mi ha mai portato a fare una passeggiata. Non mi ha mai letto un libro. Non ha mai giocato con me. Solo delle belle frasi affettuose, come va la scuola, come va il campionato, non ti sforzare troppo. Ha visto una sola partita, quella maledetta partita contro la New Team di sei anni fa. Se è successo quello che è successo, è stato solo perchè volevo dimostrargli che ce la potevo fare. Che poteva davvero essere orgoglioso di me. Ce l'ho fatta? No. Sono solo riuscito a finire in ospedale, e lui non era nemmeno lì quando mi sono svegliato. Mi ha chiamato sul cellulare di mia madre e mi ha chiesto come stavo. Bene, grazie, papà, a parte una piccola crisi cardiaca. Cose che succedono. -

Mark guardò Julian senza dire una parola.

-Non è che non gli voglia bene, anzi. E so benissimo che me ne vuole anche lui, mi ha dato tutto e si caverebbe il sangue dalle vene per me. Ma non c'è mai stato nei momenti in cui ne avevo veramente bisogno, capisci? E forse non se n'è nemmeno mai accorto. E smettila di guardarmi con quella faccia, Mark! -

Il capitano della Toho stava solo sorridendo con aria di comprensione. Neanche una settimana prima avrebbe mandato Julian a quel paese sbattendogli in faccia che nemmeno suo padre c'era stato quando lui ne aveva avuto bisogno, per il semplice motivo che era morto e sepolto da un pezzo, e Mark non avrebbe potuto recuperare il tempo perduto in nessunissimo modo.

Ma quello era il vecchio Mark, quello che non conosceva affatto Julian.

-Mi ha chiesto di andare a pescare con lui, stasera, quando torno – disse, semplicemente.

Julian spalancò gli occhi. - Davvero? -

Mark si fece sfuggire una risata. - Già. E io odio la pesca. -

-E i vermi che ho trovato sotto il letto? -

-Oh, sono di Robert. Insisteva tanto che una volta ce l'ho portato. Una rottura di palle... -

-Immagino. Davvero ti ha chiesto di andare con lui? - ripetè Julian, ancora incredulo.

-Chi, Robert? -

-Mio padre, deficiente! -

-Sì. Cioè, mi ha detto che mi ci avrebbe portato. Ti piace pescare? -

-No, mi fa un po' schifo. Però ci sarei andato volentieri, accidenti. -

Mark sorrise. Julian sembrava un po' risollevato, e gli brillavano gli occhi.

-A proposito – disse, scuotendosi – Cosa mi stavi dicendo riguardo a “The river”? -

-Uh... - Mark mise una mano sulla spalla di Julian e glie la scosse con affetto. - Niente di importante. -

Julian lo guardò con sospetto, ma sorrise a sua volta.









Piccola nota di servizio!

Primo, ho dovuto troncare qui il capitolo perchè stava decisamente diventando troppo lungo; pensavo di scrivere la seconda parte e decidere se unirla o no alla prima, ma credo che non lo farò, anche perchè le idee che ho per la seconda parte non c'entrano nulla con questa, che è un po' più “riflessiva”.

Secondo, come avrete notato, questo capitolo è decisamente noioso. Però ce l'avevo in testa da un pezzo, e mi sembrava abbastanza importante per stringere le fila sulla piega che sta prendendo il rapporto tra Julian e Mark. Tutta la ff, del resto è centrata sulla costruzione di un'amicizia tra persone che proprio amiche non sono, e volevo solo che i nostri due si conoscessero un po' meglio.

Le opinioni di Julian riguardo alla medicina sono solo ed esclusivamente sue. Mi dispiace solo di essere stata confusionaria; quello che volevo descrivere era un Julian con una grande voglia di volare con le proprie ali, che non vive solo per il calcio ma è anche capace di guardare con i suoi occhi il mondo che lo circonda e di preoccuparsi, forse solo come un adolescente non ancora disilluso può fare. Spero di aver reso l'idea; a me il Julian principino non è mai piaciuto, ed è anche per questo che ho scritto questa ff.

Per gli amanti di Springsteen: forse saprete che qualche mese fa Danny Federici, il tastierista della E-Street Band, ci ha lasciato per sempre. Mi è dispiaciuto tanto, ma proprio tanto. Come ha detto Little Steven al Boss, tanti anni fa, “Buon viaggio, mio fratello”.

Infine, a chi non avesse capito il riferimento a Steve McQueen e alla palla da baseball, consiglio vivamente di vedere “La grande fuga”. E' vecchiotto, ma che film, gente!

Ultimissima cosa: temo che per il prossimo capitolo dovrete aspettare ancora un po'. Tra un paio di giorni, finalmente me ne vado in vacanza, e quando tornerò dovrò recuperare un bel po' di lavoro arretrato. Però non disperate; la mia offerta di spoiler è sempre valida!

Baci da Sage

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19



-Oh, sveglia! Sveglia, Theodore!! Lo sapevo, quei tre delinquenti me l'hanno fatto secco... -

L'autista aprì lentamente gli occhi. Non ricordava molto di quello che era successo fino ad allora; stava penzolando fuori dal finestrino, la metà superiore del suo corpo all'interno dell'automobile, e quello che lui credeva fosse Julian lo stava facendo rinvenire a suon di ceffoni, tenendolo per il bavero della giacca. Quando vide, chini su di sé, i visi di Julian, Mark e i fratellini di quest'ultimo cacciò un urlo disumano e si coprì il volto con le braccia.

- AAAAAAAARGH!!! Li tenga lontani! Per l'amor del cielo, tenga lontani quei piccoli mostri!! - gridò.

I tre bambini ridacchiarono; con un cenno del capo, Julian li spedì dentro casa.

- Bene, sei ancora vivo – disse Mark, raccogliendogli il berretto e calcandoglielo in testa - Ora mettiti al posto di guida e guida. -

Il ragazzo mollò il bavero di Theodore, il quale cadde di nuovo riverso a cavallo della portiera, sbattendo il mento contro la maniglia.

- Dammi una mano a toglierlo da lì – disse Mark afferrando l'uomo per la cintura. Julian lo prese per il dorso della giacca, e, con uno strattone, i due lo liberarono dalla morsa del finestrino, incastrato tra i suoi rotoli di ciccia.

- Cazzo, guarda dove gli hanno infilato l'accendisigari! - esclamò Mark, depositando a terra il corpo quasi esanime dell'autista.

Julian si chinò a dare un'occhiata. - Ugh... deve fare veramente male... -

- E hanno anche smontato l'autoradio!! Ma chi gli ha insegnato queste cose, porca miseria?! -

- Lascia perdere – disse Julian – Tanto la ricezione faceva schifo. Aiutami ad aprire la portiera, piuttosto; la cintura di sicurezza dev'esserci rimasta incastrata... -

- Dio, Julian, che figura. Giuro che ti ripago tutto... -

Julian lo zittì con un'occhiataccia. - Sei impazzito?! E' sveglio!! - sibilò, cercando di non farsi sentire dall'autista.

Theodore, comunque, non era nelle condizioni di capire alcunchè. Con le palpebre a mezz'asta e la bocca semiaperta in un'espressione ebete, ritornò con la memoria a mezz'ora prima; mentre Mark e Julian stavano parlando, i fratellini di Mark si erano a stento trattenuti dal distruggere sia lui che l'auto.

- To...torniamo a casa, signorino? - disse, alzandosi in piedi barcollando.

- Sì, sì, torniamo a casa... - borbottò Mark sorreggendolo. Dio solo sa quanto volentieri l'avrebbe mollato lì a crepare, ma si trattenne. Lo squadrò come se dovesse prendergli le misure per la bara.

Mentre Theodore, traballante, si rimetteva sul suo sedile, tirando un sospiro di sollievo, Julian prese in disparte Mark.

- Allora è chiaro? Fallo appena arrivi a casa. - disse, in modo che l'autista non potesse sentirlo – E' nel doppio fondo del baule, a sinistra della porta, sotto... -

Julian si interruppe un attimo.

- Sotto...? - lo incalzò Mark.

Il capitano della Mambo fece un sorriso enigmatico. - Niente – disse – Veditelo da te. A proposito...grazie per la chiacchierata. Mi sa che ne avevo proprio bisogno... -

- Figurati – disse Mark, stringendo la mano che il ragazzo gli porgeva – E' stato un piacere. E poi a che servono gli amici? -

Julian ridacchiò. - Certo che sono proprio uno stronzo, accidenti. Non ti ho nemmeno chiesto come va. -

Mark sorrise e allargò le braccia. - Beh, dammi un'occhiata: come mi trovi? - disse.

- Anche troppo bene! - esclamò Julian ridendo.

- Ci vediamo, socio – disse Mark dando un'affettuosa pacca sulla spalla di Julian – Grazie a te, piuttosto. Di tutto, davvero. -

Il ragazzo risalì in macchina e diede una scoppola, molto meno affettuosa, a Theodore, ancora intontito.

- Allora, ti muovi o facciamo notte?! -

Theodore mise in marcia e l'auto partì sobbalzando. Julian rimase un istante a guardare se stesso andarsene; sorrise, non si era mai sentito così leggero.

- Ehi, Julian! - gridò ad un tratto. Mark guardò fuori dal finestrino.

- Guarda che io e te ci andiamo davvero, a vedere Bruce Springsteen, capito? E' una promessa! -

Mark sorrise e alzò il braccio in segno di saluto. Non aveva capito un accidente di quello che Julian gli aveva detto, ma non importava.


Julian rientrò in casa, soddisfatto. Si diresse in cucina e prese dal frigorifero il vasetto della marmellata di ciliegie; lo svitò e ne annusò a lungo il profumo.

Quel gesto gli ricordò la sua “vecchia” vita; come tutte le cose che gli piacevano, anche la marmellata gli era proibita, ma, grazie alla complicità di Deborah, era riuscito ad avere una piccola riserva personale in un minuscolo barattolo in fondo al frigorifero. La marmellata di ciliegie era la sua preferita; nei sempre più numerosi momenti di sconforto sgattaiolava in cucina e gli dava fondo.

Cercò di non pensare se sarebbe mai tornato a casa, anche perchè non capiva se ne sarebbe stato felice o no, e prese un cucchiaino dal cassetto delle posate. Lo affondò nella confettura e si leccò i baffi; ma non riuscì a gustarne nemmeno una goccia perchè il campanello suonò senza pietà, come al solito nel momento meno opportuno.

Julian rimase un secondo con il cucchiaino a mezz'asta e la bocca spalancata; poi sbattè con rabbia il cucchiaino nel barattolo e, imprecando tra sé e sé, andò ad aprire.

- Ciao capitano... -

Julian restò interdetto per qualche istante.

Era Ed Warner, e aveva l'aria un po' perplessa.

- Ehm...ciao, Ed. Come va? -

Il portiere della Toho non ci fece caso.

- Scusa se mi faccio gli affari tuoi, ma...che ci faceva qui Julian Ross? -

Julian tentennò. - Come? - disse.

- L'ho visto andarsene mentre stavo arrivando. Era lui, sono sicuro; non ho mai visto automobili così grosse, qui a Fukuoka! Tra l'altro, ho notato come tratta il suo autista; accidenti, è davvero una carogna... -

- Oh, no – disse Julian – Quel tipo si merita anche di peggio...credimi... -

Ed inarcò un sopracciglio.

- Quindi..? -

- Quindi cosa? -

- Quindi cosa ci faceva Julian Ross a casa tua? -

- Uh...beh, niente di particolare. Cioè, mi ha dato una mano... -

- Una mano? - disse Ed, incredulo – Fino alla settimana scorsa lo odiavi a morte e adesso ti fai dare una mano da lui?! -

Julian alzò gli occhi al soffitto, sospirando. - Senti, sbagliare è umano. E quello che lui sta facendo per me e la mia famiglia è veramente importante. Per cui non rompere. - disse, mettendo il broncio. Si sentì immediatamente in colpa per come stava trattando Ed; oltretutto il portiere della Toho gli era sempre stato simpatico. Ma quello era il primo contatto che aveva con i suoi compagni di squadra, da quando era nella pelle di Mark; doveva stare attento, molto attento. E cercare di comportarsi come Mark non era affatto facile.

- Scusa – disse poi – Sono un po'...stanco. -

Ed inspirò profondamente, guardandosi intorno con imbarazzo. - No, scusami tu. E' che...avrei bisogno di parlarti, capitano. -

Ahia, si disse Julian, mettendosi sulla difensiva.

- C'è qualche problema...? - disse il ragazzo, sudando freddo.

Ed cominciò a grattarsi nervosamente le braccia.

- No, non c'è nessun problema. Cioè...è solo che... -

- Che...?! - Julian stava cominciando a spazientirsi.

Ed prese coraggio e fissò negli occhi il suo capitano.

- Beh, tanto per cominciare Danny era con la sua ragazza al “Red Rose Speedway”, l'altra sera – disse – Mi ha detto che ti ha sentito cantare e suonare il pianoforte meglio di Miles Davis. -

Uh, oh.

Julian impallidì. Quello poteva essere davvero un problema.

I due si guardarono con reciproco sospetto per un istante interminabile.

- Non hai proprio niente da dirmi? - disse infine Ed.

Julian tacque, pensando a cosa era meglio fare. Mentire e dire a Ed che quel tipo con la sua faccia, il suo fisico e (in caso Danny l'avesse vista) la sua ragazza non era lui? No, con ed Warner, che conosceva Mark da anni, non era decisamente il caso. Era il momento di tirare fuori la faccia tosta.

- Beh, io non l'ho visto. Poteva anche venire a salutarmi, quella carognetta! -

Ed abbassò le spalle di colpo, senza smettere di fissare Julian.

- Mark, per favore – disse – Ti conosco da secoli, e non ho mai visto un pianoforte in casa tua, a meno che tu non lo tenga nascosto sotto il letto. -

- Allora la prossima volta vieni a sentirmi, magari ti dedico una canzone. Ti va bene “Scandal”, visto che qua non si usa più farsi i cazzi propri? - D'accordo, Julian aveva capito l'antifona, ma quando era troppo era troppo. Ad ogni modo Ed percepì il cambiamento d'umore del capitano.

- E dai, Mark, non intendevo... -

- No, intendevi eccome! - sbottò Julian, con sincera rabbia – Va bene, tu non sapevi che io suono il pianoforte, è molto grave? Non sapevi che mi sono...mi sono riconciliato con Julian Ross, è un problema? Io non sapevo nemmeno che Danny avesse una ragazza, è un problema?! Perchè tutti devono sempre sapere tutto di tutti, cazzo?! Non posso avere anch'io la mia vita privata?! -

- Ok, ok, hai ragione, scusa – disse timidamente Ed - Non volevo. E' solo che...è così strano... Perdonami, davvero. Non volevo, hai perfettamente ragione. -

Julian sbollì all'istante, sentendosi anche in colpa con il portiere. Un brivido gli corse per la schiena nel preciso istante in cui si rese conto che si stava comportando esattamente come avrebbe fatto Mark. Probabilmente anche con le stesse parole.

Miseria schifa.

Stava davvero cambiando.

Julian pensò, tra sé e sé, che, in ogni caso, doveva continuare con la pantomima per il bene di tutti.

- Perdonato – disse, facendo l'occhiolino al ragazzo e sbattendogli una mano sulla schiena – Hai qualche altra stronzata da dirmi? -

Ed fece un vago sorriso, senza riuscire a rilassarsi. - Ha chiamato Peter Colby – disse – Abbiamo un'amichevole con la Thailandia a Tokio, fra tre giorni. -

- Fra tre giorni? - disse Julian sorpreso – E ce lo dice solo adesso? -

Ed annuì. - Doveva essere il mese prossimo – disse – Ma ieri ha chiamato l'allenatore dei thailandesi. Problemi burocratici. I passaporti dei giocatori, permessi d'espatrio o cose simili, per cui o sabato o niente. Colby era molto indaffarato, quindi mi ha chiesto di far girare la voce e di scusarsi. Del resto, è come se fosse un'allenamento, sai meglio di me che quelli sono delle grandissime schiappe. -

- Accidenti – disse Julian. Anche quello poteva essere un inconveniente. Ed stava già sospettando che qualcosa non andava; cos'avrebbero pensato gli altri se l'avessero visto giocare come Mark Landers (o peggio, avessero visto Mark giocare come lui)?

- Ma non era quello il punto – disse Ed, interrompendo il flusso dei pensieri di Julian – Prima di passare da te ho provato a chiamare Philip Callaghan. E... -

- E...? -

Ed era visibilmente confuso.

- Philip aveva una voce stranissima, quasi piangeva, non capiva un accidente. Mi ha chiesto di richiamarlo più tardi. -

- Beh, probabilmente stava male – disse Julian.

- No, non credo fosse quello...vedi, Mark, in sottofondo si sentivano delle voci...strane. Insomma, Price e Hutton stavano litigando, ci crederesti? Loro che non si sono mai cagati nemmeno di striscio...-

Julian rimase un momento a bocca aperta.

- Senti – disse infine – Avrai capito male. E poi cosa ci farebbero Holly e Benji a casa di Philip Callaghan? -

- Ti assicuro che erano loro, capitano – disse Ed – Quelle voci le riconoscerei ovunque. E, a giudicare dal poco che ho sentito, stavano facendo scendere tutti i santi dal calendario. Insomma, ho pensato anch'io che poteva essere normale che quei due litigassero, tutti litigano, anche se non ho mai sentito Oliver Hutton arrabbiarsi con qualcuno, ma che diavolo ci facevano a Hokkaido? Poi sono uscito per venire da te e, passando davanti ad un'edicola, ho visto questa. -

Ed porse a Julian la stessa rivista che era stata fatta quasi ingoiare a Philip poco tempo prima.

- Cazzo – esclamò Julian sfogliandola – Ti credo che stavano litigando. Questa robaccia è degna di una causa miliardaria... -

- Non era di quello che stavano litigando, anche se avrebbero avuto tutti i motivi per essere incazzati come bufali – disse Ed scuotendo la testa – Epiteti poco gentili a parte, dicevano cose piuttosto...ehm...strane... -

Ed tacque un momento, dando a Julian l'impressione di stare cercando le parole adatte per continuare la frase. Il capitano della Mambo si chiese se fosse il caso di cominciare a preoccuparsi.

- Sì, decisamente strane, direi. -

Julian si preoccupò davvero.

- Quanto strane? -

Ed, che sembrava non aspettare altro, tirò fuori un cellulare dalla tasca dei pantaloni.

- Vuoi sentirlo da te? - disse.

Julian prese il telefono.



A casa di Philip la situazione era ormai precipitata.

Holly era in bagno da mezz'ora, pazientemente assistito dalla fedele Patty, che gli medicava le ferite e i lividi. Ne aveva prese parecchie, anche perchè ogni volta in cui colpiva Benji, o meglio, il corpo che lo ospitava, si fermava preoccupato chiedendo “Mi sono fatto male?” e poi mettendosi a urlare come un pazzo, temendo di essere diventato schizofrenico. Patty era riuscita a dividerli prima che l'amore della sua vita perdesse quel poco di cervello che gli rimaneva, e anche in quel momento lo sorvegliava attentamente per evitare che prendesse lo specchio a craniate.

Ad ogni modo, se Holly era sconvolto, Benji invece era disperato. Oltre ad avere provocato al suo corpo parecchi danni, cosa che poteva rovinare la sua immagine da fotomodello, la ragazza che prima gli aveva fatto girare la testa ora aveva fatto fagotto e stava infilando la porta.

- Julia, per favore, aspetta un momento...Julia! -

Benji le afferrò un braccio, facendole cadere la valigia.

- Lasciami! Lasciami, dannazione, e va' al diavolo! - gridò Julia, che ne aveva decisamente le tasche piene di tutta quell'assurda faccenda.

- Fammi spiegare, almeno!! - piagnucolò Benji – Ti prego...io non sono quello che sembro... -

- Oh, beh, grazie tante, questo l'avevo capito da sola! - rispose Julia, acida come un limone – E' proprio per questo che me ne vado!! -

- Ma io ti amo, Julia! Per favore, dammi una possibilità! -

Julia strabuzzò gli occhi. - Mi ami? - disse – Mi ami?! Ma crepa, imbecille!! - Ciò detto, mollò a Benji un potente calcio al basso ventre. Il ragazzo si accasciò a terra ululando; Freddie Marshall, che aveva seguito l'azione, mugolò empaticamente di dolore. Dopodichè Julia afferrò la valigia e cercò di dirigersi verso l'uscio di casa Callaghan, ma Benji, che non si era comunque perso d'animo, le si aggrappò ad una gamba con tutte le forze che gli rimanevano, facendola quasi cadere.

- E staccati! - gridò Julia, scuotendo la gamba – Staccati, stronzo! -

- Ma non mi conosci nemmeno! - disse Benij con un filo di voce – Hai un'idea di quello che mi è successo? Non puoi aver visto come sono veramente, in queste condizioni! -

- Oh, direi che ho visto abbastanza, invece! - disse Julia, cercando di pestare le preziose mani del portiere dalla sua caviglia. Benji, stoicamennte, non mollò la presa.

- Mi hai imbrogliato, tanto per cominciare – continuò la ragazza, con voce tremante – Hai finto di essere Jenny per...per tentare di conquistarmi e...oddio, chissà che altro avevi in mente! -

- Ehi, io non avevo in mente proprio niente! - sbottò Benji – E poi cosa cazzo avrei dovuto fare, scusa?! Ero Jenny!! -

- No, non lo eri! - gridò Julia – Non lo eri affatto, e non avresti dovuto fare proprio niente, se solo avessi avuto un briciolo di coscienza! -

- Oh, volete smetterla di urlare?! - intervenne Philip piombando in soggiorno – Sto cercando di richiamare Ed, dannazione! Se continuate con questo casino... -

- VA' A FARTI FOTTERE ANCHE TU!! - esclamarono all'unisono Benji e Julia.

Philip rimase basito, più che altro per il frasario della cugina.

- Dio li fa e poi li accoppia, eh, Callaghan? - disse Freddie (il quale aveva ormai raggiunto definitivamente l'atarassia), mentre, spaparanzato sul divano, faceva zapping da un canale all'altro. - Tra parentesi, che ti ha detto Warner? -

- Eh, avessi capito qualcosa!! - rispose Philip allargando le braccia – Come se non bastasse, quando mi ha chiamato quei due deficienti si stavano menando di brutto, ho dovuto troncare la telefonata prima che Ed cominciasse a sospettare qualcosa... Adesso è la terza volta che riprovo a chiamarlo, ma a casa non mi risponde! -

Philip tornò al telefono, mentre Benji e Julia tornavano alla loro discussione.

- Come se non bastasse, non hai lasciato passare un secondo senza prendertela con quel poveraccio di Holly per...per qualsiasi cosa, maledizione! Va bene, da quanto ho capito non è un genio, ma l'hai trattato in maniera vergognosa! Si può sapere cosa ti ha fatto?! Ti ha fregato la ragazza...no, questo è impossibile, purtroppo. Ti ha avvelenato il cane?! -

- Julia, quella è storia vecchia – disse Benji – Lascia perdere Holly, voglio che parliamo di noi, adesso! -

Lei lo fulminò con lo sguardo. - Noi? - disse – Non c'è mai stato né ci sarà un noi, Benjamin Price. Ho visto benissimo chi c'è dietro quella faccia, qualunque faccia sia. Sei uno sbruffone, arrogante, presuntuoso, egoista, stupido e volgare donnaiolo. Manca qualcosa? -

Benji affondò, colpito nel profondo.

- Sei ingiusta – disse piano – Anch'io ho dei pregi, se solo riuscissi a mostrarteli... -

- Oh, certo che ne hai: non siamo parenti, ad esempio. -

Detto questo, Julia sferrò un colpo di tacco nelle gengive del SGGK.

- E nemmeno amici – concluse, prendendo i suoi bagagli e aprendo la porta di casa.

Il portiere della nazionale giapponese rimase a guardare il soffitto, e per la prima volta dopo anni i suoi occhi si riempirono di lacrime.

- Sei sicura di voler andare? - disse Jenny abbracciando la cugina del suo fidanzato.

- Sì, credimi, è molto meglio così. Bacia Philip per me, credo sia ancora troppo sconvolto per capire cosa sta succedendo. -

- Mi dispiace tanto per quello che è successo. -

Julia diede un'ultimo sguardo amareggiato a Benji, sdraiato sul pavimento, ferito non solo nell'orgoglio.

- Anche a me. Ma non era colpa di nessuno, in fin dei conti. Stammi bene, Jenny, spero di rivederti, prima o poi. -

Appena Julia si fu chiusa la porta alle spalle, arrivò Philip.

- Niente da fare, Ed non risponde. Ehi! Dov'è finita mia cugina? - disse, guardandosi intorno.

- Ha fatto quello che avrebbe dovuto fare molto prima – disse Jenny – E' tornata a casa. -

- Accidenti – disse Philip – Avrei voluto salutarla decentemente, almeno. -

In quel momento Holly entrò in scena barcollando, il volto ricoperto da innumerevoli cerotti. Patty lo seguiva, pronta ad afferrarlo in caso di svenimento.

- Che è successo a Benji? - domandò.

Philip guardò il ragazzo, che non accennava a muoversi dalla sua scomoda posizione, e, di tanto in tanto, tirava su col naso.

- Ha avuto un duro scontro con la realtà – disse Freddie senza staccare gli occhi dalla tv – Toh, erano secoli che non vedevo “George & Mildred”! -

- Più che con la realtà, direi con un bel paio di stivali – buttò lì Philip, immaginando quello che poteva essere capitato.

Holly si chinò lentamente verso il compagno di squadra.

- Tutto a posto? - disse con voce dura ma sinceramente preoccupata.

Benji sospirò e si alzò a fatica, ma rifiutando la mano che Holly gli porgeva.

- Che domanda del cazzo – disse, con voce rotta – Proprio una domanda del cazzo. -

Poi prese armi e bagagli e se ne andò in cucina.

Holly rimase immobile, accucciato sul pavimento, lo sguardo perso nel vuoto.

- Mi odia – disse – Mi odia veramente. Ma cosa gli ho fatto? - disse.

Patty gli pose una mano sulla spalla. - Niente, non preoccuparti. E' fatto così, lo sai. Lo conosci da tanto... -

Il capitano della New Team scosse la testa e guardò la ragazza con occhi tristi.

- Sono davvero così scemo, Patty? Insomma, non è che io e Benji ci siamo mai parlati chissà quanto in questi anni, ma non mi ha mai insultato così... Insomma, che gli ho fatto? Gli ho solo chiesto come stava, era lì per terra, con una faccia che non sembrava gli fosse morto il gatto! Che male c'è a chiedere come stai...? -

Nessuno ebbe il coraggio di dire alcunchè.

- Ehi - intervenne Freddie, che stava guardando un quiz televisivo – o sapete che i Doors non avevano un bassista? -

Patty respirò profondamente e si chinò verso Holly.

- Non sei affatto scemo – disse, anche se, a dire la verità, stava cominciando a pensare il contrario – Sei solo...ingenuo. Privo di malizia, ecco. Come sono le persone buone. -

- Ecco perchè non ti sei mai accorto che la fanciulla qui presente ha un debole per te – disse Freddie, il quale, anche se non sembrava, non si perdeva nulla.

Holly, che stava lentamente portando la sua mano verso quella di Patty, si bloccò all'istante.

- Come...? - disse, guardando Patty con un'aria così candida che più candida non si può neanche col candeggio.

- Appunto – disse Patty, sospirando.

Ci pensò lo squillo del telefono a salvare momentaneamente la situazione.

- Oh, è Ed! - disse Philip afferrando la cornetta – Pronto, Ed? Scusami per prima, ma... -

- Veramente non sono Ed, Philip – disse Mark dall'altro capo del filo.

Philip rimase interdetto per un istante. - Mark...? Sei tu...? -

Julian sorrise tra sé e sè. - Sì, sono io. Come va? -

- Bene. Che sorpresa... Scusami, prima mi aveva chiamato Ed, e... -

- Digli di andare affanculo – gridò Benji, imbufalito, dalla cucina. Philip cercò di tappare la cornetta come meglio poteva, ma inutilmente.

- Come...? -

- Niente! - si affrettò a dire Philip. Senza mollare il telefono, chiuse la porta della cucina con un calcione.

- Phil, per caso c'è Holly lì con te? -

- No! - gridò Philip, diventando paonazzo – Assolutamente no. E'...è il pappagallo che mi ha regalato Jenny. E' molto maleducato... -

- Strano – disse Julian, sospettoso – Mi sembrava... -

- No, no, te l'assicuro. Comunque...perchè mi hai chiamato? -

- Ha telefonato Peter Colby. Questo sabato abbiamo un'amichevole con la Thailandia, mi domandavo se... -

- Sabato?! Con la Thailandia?! - sbottò Philip – Ma è impazzito?! -

Holly dimenticò all'istante i suoi problemi; drizzò le antenne e si attaccò al ricevitore. Philip cercò invano di mandarlo via.

- Lo so, è un po' tardi, ma ci sono stati dei problemi con...insomma, dei problemi. Ma, in fin dei conti, è solo un'amichevole. Io e Ed stiamo facendo girare la voce, ma... -

- Ve l'avevo detto che c'era un'amichevole! - esclamò Holly, trionfante. A Freddie cominciarono a prudere le mani.

Philip riprese il controllo della telefonata allontanando Holly con uno spintone.

- Ma che diavolo...? - disse Julian.

-Ok, Mark, avverto un po' di gente. Se vuoi posso chiamare Julian... -

- No – disse Julian – Lui lo...lo avverto io. - Piuttosto, sai qualcosa di Holly e Benji? -

- Anche troppo – sospirò Philip, involontariamente – Cioè...sì, no...li sento io, d'accordo? Ti saluto, stammi bene. - E riattaccò, lasciando Mark completamente interdetto.

- Cazzo...lo sapevo che non c'era limite al peggio. - disse.

- Su con la vita – disse Freddie, alzandosi dal divano – Quelli là sono delle pippe! -

- Sì – disse Philip – Ma si dà il caso che siamo senza portiere titolare e senza il nostro miglior attaccante. Come la mettiamo?-

- Philip ha ragione – intervenne Holly – Non possiamo giocare in queste condizioni! Già i giornalisti ci hanno distrutto, non vorrei che finissero il lavoro...e poi dovremo dire a Colby che né io né Benji possiamo giocare! -

Freddie si grattò la testa. - Gli diremo che vi siete infortunati durante un allenamento - disse – In fin dei conti, è già capitato che mezza squadra fosse massacrata durante una partita... Ad ogni modo, di punte ne abbiamo anche troppe e Warner in porta sarà più che sufficiente. -

- Sì, ma se prova a fregarmi il posto di titolare gli taglio le palle – intervenne Benji da dietro la porta della cucina, sempre più nero, con la consueta finezza.

Gli altri lo ignorarono.

- E poi, se qualcosa non dovesse funzionare, Colby potrà sempre usare il suo classico schema “tutto avanti-e-eeeh, tutto indietro-o-oooh”! - continuò Freddie con sarcasmo. Non aveva mai apprezzato molto la visione del gioco di Peter Colby, a dire la verità. - E non dimenticate che Landers è in perfetta forma, e abbiamo anche Ross...quello gioca poco, ma quando gioca...Insomma, state tranquilli, siamo in una botte di ferro! -

Peccato che l'ultimo a pronunciare quella frase fosse stato Attilio Regolo. Ma Freddie non sapeva nemmeno chi fosse.



- Allora? - disse Ed, mentre Julian fissava, attonito, la cornetta del telefono.

- Allora c'è qualcosa che non va – rispose il ragazzo.

- Visto che avevo ragione a preoccuparmi? -

Julian ci pensò su un paio di minuti.

Philip evasivo come non mai.

Holly che lo mandava, di punto in bianco, a quel paese (con una volgarità mai sentita, poi).

Benji che...

Benji.

Aveva detto una sola frase e anche piuttosto insignificante, ma il modo in cui l'aveva pronunciata...

- Senti – disse infine – Vai a casa. Ci vediamo sabato e vediamo cosa succede, ok? -

Ed tentennò un momento.

- D'accordo. Volevo solo dirti che...beh, se hai bisogno di una mano per l'esame di matematica te la posso dare io, ok? Non c'è bisogno che tu la chieda a Ross. - disse, con malcelata ironia.

Oh, cacchio, pensò Julian, ecco di cosa dovevo parlare con Mark! Glie l'avrebbe detto quella sera, quando l'avrebbe chiamato per sapere se la missione salvataggio sax era riuscita.

- No...non preoccuparti – disse, sedendosi di peso sul divano – Risolverò anche quest'altra grana. In ogni caso, grazie per l'interesse. -

- Di niente – disse Ed aprendo la porta – A che servono gli amici? -

Julian sorrise. Era la seconda volta che sentiva quella frase nel giro di poco, e, nella sua banalità, non l'aveva mai trovata così bella.

Nessuno era solo, alla fine. Né lui né Mark.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20





-...Theeese songs of freedom...'Cause all I ever haaave... - cantò Mark, stonando come una campana. Di Juolian aveva la voce, ma l'intonazione era rimasta la sua.

- ...Redeeemption songs... Di' un po', fenomeno, ti piace Bob Marley? - disse poi allegramente. Theodore non rispose, gli occhi iniettati di sangue apparentemente fissi sulla strada, in realtà persi nel nulla. Mark si sporse avanti, appoggiandosi con i gomiti ai fianchi dei sedili anteriori.

- Certo che sei un bel cafone. Potresti almeno fare sì o no con la testa... – disse - Chissà, magari a quei due chilometri di guard-rail su cui hai rifatto la fiancata non dispiaceva...e magari anche a quelle vecchiette che stavi per investire sulle strisce pedonali, hm? Che dici se torniamo indietro a chiederglielo, ammesso che siano ancora vive? -

Mark era decisamente su di giri; lungo la strada da Fukuoka a Tokio non aveva fatto altro che ringraziare mentalmente Julian Ross e pensare che tutte le sue opinioni su quel ragazzo erano cazzate. Bel coglione era stato, a non dargli possibilità di diventare amici. Certo che anche Julian non gli aveva dato grandi opportunità; non aveva dato grandi opportunità a nessuno, a dire il vero. Pochi tra i ragazzi della nazionale giovanile potevano dire di essere veramente suoi amici. Philip Callaghan, forse. E anche Holly, ma quello era amico di tutti. Incredibile come facesse a tenere la Mambo unita intorno a sé, nonostante i compagni di squadra non lo amassero, ma gli portassero solo il rispetto che si deve ad un buon capitano...

Ad ogni modo quell'esperienza l'aveva decisamente cambiato.

O no.

No, forse Julian non era affatto cambiato.

Si poteva cambiare un'opinione, ma non la propria personalità.

Mark sorrise, quasi orgoglioso del suo nuovo amico. La gente non cambia, è la situazione in cui si trova a far emergere il vero carattere.

E Julian di carattere ne aveva da vendere. Come lui, del resto.

Le due tigri”...sai che figata!

Mark tornò ad appoggiarsi al suo sedile chiudendo gli occhi e incrociando le mani dietro la testa.

- Beh, ad ogni modo l'autoradio è rotta – continuò - Quindi ti devi accontentare del sottoscritto. Redeeemption...AAAGH!! -

Theodore aveva inchiodato all'improvviso ad un pelo dal cancello di casa Ross. Se Mark non avesse indossato la cintura di sicurezza, si sarebbe infilato tra i sedili anteriori e piantato la leva del cambio nello stomaco.

- Siamo arrivati - disse l'autista con un filo di voce. Poi svenne, crollando a faccia in giù sul volante.

- Ho notato - ribattè Mark spostando la testa dell'autista dal clacson che si era messo a strombazzare senza controllo, richiamando l'attenzione di Albert, il giardiniere.

- Cosa diavolo succede...? Oh, signorino, è lei? - disse, aprendo il pesante cancello di ferro battuto.

Mark scese dall'auto spolverandosi i vestiti.

- Per favore, Albert, porti l'auto in garage. Theodore non mi sembra in grado di guidare, per il momento...E poi chiami il carrozziere. Anzi, meglio, chiami lo sfasciacarrozze, ormai quella carretta è da buttare... -

Il giardiniere girò intorno alla Mercedes, sconvolto.

- Per l'amor del cielo, signorino Julian! – disse, notando con grande preoccupazione i segnacci sulla fiancata – Avete avuto un incidente?! State bene?! -

- Uh, sì, grazie, io sto benissimo. Theodore un po' meno, credo, ma niente di grave - rispose Mark con la massima nonchalance - Piuttosto, avrei bisogno di un grosso favore. Anzi, due. -

- Dica pure – disse Albert spostando il corpo ormai inerte di Theodore sul sedile del passeggero.

- Mi servono le chiavi del capanno degli attrezzi. E poi, per favore, leghi i cani; devo andare subito nel parco e non vorrei...ehm...che si ripetesse la situazione di qualche giorno fa... -

Albert annuì, intuendo il problema. - Il capanno è già aperto, signorino, stavo giusto sistemando il tagliaerbe. E i cani sono nel serraglio, dopo quello che le è successo ho deciso di non lasciarli più liberi quando c'è gente in giro. Non prima di aver sentito l'opinione di un veterinario, per lo meno... Anche se, a dire la verità, un po' mi dispiace per loro. -

- No, no, meglio così – disse Mark, anche se si sentiva piuttosto in colpa per quelle povere bestie. In fin dei conti, intuendo che lui non era affatto il loro padrone, avevano solo compiuto il loro dovere.

Sentendosi comunque più sollevato all'idea di non rischiare di trovarsi faccia a faccia con i loro aguzzissimi canini, Mark ringraziò nuovamente Albert e corse via attraverso il cancello.

Giunto al capanno degli attrezzi, si guardò in giro con fare circospetto, sperando che i genitori di Julian fossero ancora fuori dai piedi e che Theodore rimanesse in stato catatonico ancora per un po'.

Entrò, accese la luce e individuò immediatamente il baule in cui Julian doveva aver nascosto il sassofono. Si guardò intorno, cercando qualcosa in cui avvolgere lo strumento, quanto meno per nasconderlo alla vista, ma non trovò nulla che gli potesse servire. A dire la verità, in quel capanno non c'era proprio nulla. Nulla di particolare, almeno.

Un tavolo, una rastrelliera a muro in cui erano incastrati gli attrezzi da giardino, un tavolo, due sedie e il grosso baule, privo di serratura, che doveva contenere l'oggetto del ricatto.

Nient'altro.

Insomma, qualcosa suonava strano a Mark. Il quale, però, decide di fregarsene.

Si inginocchiò e spalancò il baule, certo di trovarsi davanti agli occhi il lucidissimo strumento musicale, o quanto meno la sua custodia; invece quello che vide gli fece spalancare, per l'ennesima volta, gli occhi dallo stupore.

- E questa roba...santa peppa! - disse, sorridendo sbalordito – E'...è incredibile! -

- Cosa è incredibile, signorino? -

Mark sobbalzò e lasciò andare il coperchio del baule, che si chiuse con un tonfo, e quando vide chi gli stava parlando il suo cuore si fermò un secondo.

Theodore lo stava guardando, appoggiato di peso allo stipite della porta, con gli occhi stralunati, ansimando pesantemente. Era ridotto davvero male; capelli arruffati, uniforme stropicciata, camicia metà fuori e metà dentro i calzoni, cappello storto sulla testa.

Porcadiquellavaccaschifosa, pensò Mark.

Adesso sì che era nei guai.

- Che cazzo ci fai qui? Non dovresti essere in coma? -

Theodore ghignò. - Pensavi veramente di avermi messo al tappeto? - disse - Per tua sfortuna ci vuole ben altro per liberarsi di me... -

- Peccato – disse Mark a denti stretti – Vuoi che chiami i cani? Forse loro ce la possono fare... -

- Non credo proprio; a me girano al largo, i tuoi Goering e Goebbels. Li conoscono bene, i miei metodi educativi... -

- Immagino quali, dal bel pezzo di merda che sei... -

- Continua pure a fare lo spiritoso, non cambierà un solo chiodo alla tua cassa. Mi ci vorranno mesi di analisi per cancellare il trauma che quei piccoli criminali mi hanno provocato...o meglio, che tu hai lasciato che mi provocassero...ma almeno adesso avrò la mia dolcissima vendetta. Ti spedisco dritto in manicomio, ti spedisco...e i tuoi genitori mi ringrazieranno pure. E ora vedi di aprire quel dannato baule. La tua cara mammina arriverà tra poco e credo che le farebbe molto piacere sapere cosa contiene... -

Mark impallidì. - Oh, no... - sussurrò.

- Oh, , invece... -

Mark fissò Theodore negli occhi e non si mosse di un millimetro. Non era la minaccia a fargli paura ma la faccia da pazzo di quell'uomo, e glie ne fece ancora di più la chiave inglese che stringeva nella sua mano tremante. Meglio non scherzare troppo, poteva essere decisamente pericoloso per la sua salute.

Però, una piccola rivincita poteva ancora prendersela.

Strinse gli occhi e fece un sorriso molto, molto ironico.

- Prego, allora - disse il ragazzo, aprendo il coperchio del baule e spostandosi in fianco ad esso – Sai cosa cercare, no? Prenditelo da solo. -

Theodore lo guardò con sospetto, ma si avvicinò al baule a sua volta, senza togliere gli occhi di dosso a Mark.

- Non fare un passo – disse, stringendo la chiave inglese ancora più forte – O giuro che ti ammazzo. E forse per te sarebbe anche meglio, visto il posto in cui finirai tra poco. Nessuno si è mai divertito con me e l'ha fatta franca dopo, sappilo. -

Mark incrociò le braccia e lasciò che Theodore si avvicinasse alla cassa.

- Sai cosa direbbe il mio amico Mark Landers, adesso? -

Theodore lo ignorò, chinandosi a guardare verso il fondo del baule. Ma non fece in tempo a vedere proprio nulla.

- Direbbe che c'è sempre una prima volta. -

Con un rapido movimento, il ragazzo diede una spintarella al coperchio del baule che si chiuse di colpo sulla mano libera di Theodore.

L'autista si alzò di scatto urlando di dolore e lasciando cadere la chiave inglese.

- UAAARGH!! Figlio di puttanaaah!! Mi hai sfracellato le dita!! Mi hai sfracellato le ditaaa!! -

Mark non perse il controllo della situazione, e soprattutto della reazione che Theodore avrebbe potuto avere; senza distogliere lo sguardo dall'autista che saltava e urlava per il capanno, portò lentamente una mano alla rastrelliera, cercando la vanga. Insomma, non si poteva mai sapere...

Fortunatamente non ne ebbe bisogno.

- In nome del cielo, cosa state facendo?! -

Ashley Ross apparve sulla soglia, pallida per lo spavento. Accanto a lei Albert reggeva la grossa colubrina che teneva sempre carica e pronta per ogni evenienza.

- Ashley!! - esclamò Theodore mostrando le mani alla donna – Ashley, tuo figlio è un pazzo schizofrenico!! Guarda cosa mi ha fatto!! -

- Per quel che ti servivano... – disse Mark.

Ashley Ross lanciò uno sguardo sconvolto prima al suo amante, poi a Mark.

- Theodore, voglio sapere immediatamente cosa sta succedendo, come hai fatto a ridurti in questo stato pietoso e, soprattutto, cos'ha a che fare mio figlio con tutto questo! -

Theodore fece un ghigno cattivo, convinto di avere la situazione in pugno, ma non sapeva affatto che Mark aveva un'ottima carta ancora da giocare, ben nascosta nella manica.

- Coraggio, signorino. Mostri a sua madre cosa tiene nascosto in quel baule. -

- Nascosto...? Che storia è questa?! - disse Ashley con notevole disappunto.

Albert impallidì e abbassò la colubrina.

- Signorino Julian... - disse.

Mark guardò il giardiniere, che aveva un'aria davvero mortificata, e sorrise.

- Non si preoccupi, Albert – disse Mark – Prima o poi glie l'avrei detto. Solo, speravo che la situazione fosse diversa. -

Si avvicinò al baule e appoggiò una mano sul coperchio.

- A proposito, Theodore, devo ringraziarti per la solerzia con cui ti preoccupi per la mia salute mentale... – aggiunse Mark con la giusta punta di cattiveria nella voce.

- Poche storie – disse l'autista, perdendo definitivamente le staffe – Non credere di cavartela con qualche frase patetica. Ora, Ashley, vedrai con i tuoi occhi come il tuo amato figliolo si attiene alle prescrizioni del suo medico. -

Spinse Mark di lato e aprì il pesante coperchio del cofano – Prego, a te l'onore. - disse, con aria soddisfatta.

Ashley si chinò, tremante, e non appena ebbe scorto il contenuto del baule spalancò gli occhi.

- Oh, mio Dio... - disse la donna, portandosi le mani alla bocca – Mio Dio... -

Theodore lanciò a Mark uno sguardo che significava “ti ho fregato, bastardo”; ma il sorriso con cui gli rispose il ragazzo voleva dire esattamente la stessa cosa. Restava solo da capire chi dei due avesse fregato l'altro.

- Allora, Ashley, cosa ne pensi? - disse Theodore.

La donna si voltò verso Mark, con le lacrime agli occhi.

- Tesoro... - disse, con voce tremante – E'...è meraviglioso... -

In un attimo a Theodore si cancellò il sorriso dalla faccia.

- Meraviglioso?! - esclamò – Ma che diavolo...? -

Spinse Ashley un po' più in là e si chinò a sua volta verso il baule.

No...non è possibile... - disse, spalancando i suoi occhietti porcini sopra qualcosa che mai e poi mai si sarebbe aspettato di trovare.

Nella fattispecie, un mucchietto di disegni, mescolati disordinatamente con matite colorate, pennelli, acquerelli e svariato materiale artistico.

E i disegni erano proprio belli, avevano colori vivaci e un tratto molto personale. Ognuno di essi portava, in un angolino, un piccolo scarabocchio: Julian Ross.

- Che diavolo è questa roba?! - berciò Theodore, gettando una manciata di fogli in aria.

Albert fece un sospiro di sollievo.

Voilà, ecco svelato l'ultimo segreto di Julian. E Mark sperò che fosse veramente l'ultimo...

Un innocuo segreto di cui, a quanto pareva, nemmeno il diabolico autista era al corrente e che era stato sufficiente a sventare i suoi piani. Se solo Julian l'avesse immaginato...

Mark sorrise e si chinò a raccogliere uno dei disegni che aveva attirato la sua attenzione. Lo guardò a lungo, mentre Ashley Ross sbrodolava lacrime e commenti entusiasti di fronte ai capolavori del figlio.

Mark sorrise e guardò sopra la spalla della donna, che scartabellava tra i disegni di Julian sfregandosi di tanto in tanto gli occhi con la mano. Ashley ne teneva in mano uno che rappresentava semplicemente una spiaggia al tramonto, con una piccolissima figurina indistinta che sembrava allargasse le braccia sulla riva del mare. Mark non ci capiva un accidente di arte, ma quella figurina pareva gridare a squarciagola contro il cielo che sfumava dall'azzurro al giallo e infine al viola.

Forse quella figurina era proprio Julian. Era lui a gridare libertà contro le mura che lo stavano rinchiudendo, e da cui ora, per un incredibile mistero, era riuscito ad evadere. Poteva quasi sentirlo, il suo urlo, più forte di quello di Munch.

Perfino più forte di quello del Boss in “Jungleland”, pensò Mark.

Ashley non riuscì a trattenere un singhiozzo.

- Se solo l'avessi saputo... – disse – Perchè non ci hai detto niente? Sono così...così belli...così vivi... -

- Ehi, guarda che non è questo che... - tentò di dire Theodore, ma Ashley lo interruppe prima che finisse la frase.

- Sta' zitto! - gridò rabbiosamente – E tu che mi avevi quasi convinta che mio figlio fosse malato di mente! Guarda qui! Quale malato di mente potrebbe creare qualcosa di così meraviglioso? -

- Beh, ti ricordo che nemmeno Van Gogh ci stava tutto con la...OUCH! -

Il pestone che Mark aveva rifilato al piede dell'autista non sarebbe stato necessario; Ashley Ross, ancora incantata davanti alle creazioni del figlio, non lo stava affatto ascoltando e probabilmente non l'avrebbe mai più ascoltato.

- Dio mio, guarda questo... -

- E' una crosta tremenda – rispose Theodore imbronciato, senza nemmeno degnare il foglio di uno sguardo.

Ashely sorrise e tirò su col naso. - Oh, tu non ci hai mai capito niente di arte – disse – Che colori caldi...e che tratto, semplice e preciso... -

In effetti Mark concordò che quel disegno non era affatto male; rappresentava i due cani di Julian con un tratto così affettuoso che quelle bestie non parevano affatto due Rottweiler assassini, ma due tenerissimi cuccioloni più tonti della media.

-Julian... - disse Ashley con voce tremante, voltandosi di scatto verso il figlio. Mark pose velocemente sul tavolo il disegno che teneva in mano, ma a faccia in giù, in modo che non fosse visibile. Più tardi gli avrebbe dedicato un po' più d'attenzione.

Ti prego, perdonami. Questi disegni sono semplicemente splendidi. Non...non avrei mai creduto che...oh, mio Dio, quanta sensibilità! -

La donna scoppiò a piangere e Mark, quasi spontaneamente, la abbracciò con affetto.

-Non c'è niente da perdonare – disse – Ognuno si sfoga come può. Non ho mai avuto molte vie d'uscita dalla mia condizione, e questo era l'unico modo che avevo per evadere un po' senza rischiare la salute. Se non avessi avuto la pittura sarei impazzito sul serio, credo. Mi dispiace soltanto di non avervi messo al corrente di questa...passione. Sai, mi vergognavo un po', se devo essere sincero... -

Ad essere veramente sinceri, Mark non si era mai vergognato così tanto in tutta la sua vita. Non era molto bravo nelle sceneggiate melense, anche se in quel momento era la cosa più logica da fare per salvare il culo a Julian. Ma solo vedere la faccia rabbiosa di Theodore, definitivamente fregato, lo faceva gongolare. Decise che sarebbe andato avanti ancora un po' con la pantomima, non prima di aver rivolto il dito medio alzato all'autista, che lo guardava imbestialito da dietro la schiena di Ashley.

-Questi ultimi anni sono stati terribili, mamma – continuò – Non ce la facevo più a vivere appeso ad un filo con l'incubo che qualsiasi cosa facessi mi portasse alla tomba; se ultimamente ti sono parso strano hai capito perchè. Voi mi avete dato tutto, ma a me bastava solo un po' di libertà. Preferisco vivere un po' meno, ma felice, piuttosto che restare avvolto nella bambagia fino ad ottant'anni. -

-Julian... -

-No, non dire niente. So che siete preoccupati per me più che per ogni altra cosa, ma credo che preferiate vedermi felice che vedermi sopravvivere in qualche modo, vero? -

Ashley si staccò lentamente dall'abbraccio di quello che credeva suo figlio.

-Non ti ho mai capito, Julian. Forse non ci ho provato nemmeno. Credo di non essere stata una buona madre per te. -

Mark prese con dolcezza la donna per le spalle. - Non dire sciocchezze! Mi avete dato tutto quello che si può desiderare a questo mondo. Ma ci sono cose che un uomo deve imparare a prendersi da solo, e nessuno glie lo può impedire. Ho bisogno di uscire dalla gabbia e vedere il mondo con i miei occhi; datemi solo la mia libertà, la possibilità di inseguire i miei sogni nei limiti del possibile, e saremo tutti più felici. -

-Patetico – disse Theodore a denti stretti – Non ti rendi conto che questo ragazzino ti sta infinocchiando? -

Ashley lasciò andare Mark e fece due passi verso di lui, incenerendolo con lo sguardo.

-Infinocchiando? - sibilò – Come...come osi?! Se c'è qualcuno che sta “infinocchiando” qualcun'altro, quello sei tu. Per anni mi hai fatto credere che mio figlio fosse un pazzo isterico, impedendomi di vedere la verità! Ma ora ho capito i miei errori...e ne ho anche avuto la conferma dal dottor Appleyard. -

-Il dottor Appleyard? - disse Theodore. Mark gongolò ancora di più.

-Sì, proprio lui. L'ho chiamato appena arrivata a casa, per sapere com'era andata la seduta. Mi ha detto qualcosa che nessun altro psicologo aveva mai fatto prima...e cioè che Julian è semplicemente giovane. Giovane e arrabbiato per la malattia che ha sopportato per tutti questi anni. E che l'unico modo per farlo stare meglio sarebbe solo assecondarlo un po' di più. Capisci, Theodore? Capisci cosa gli ho fatto passare per colpa tua?! -

-Mia?!? - esclamò Theodore – Quello è veramente pazzo furioso! Guarda cos'ha fatto alle mie mani... -

-Oh, cosa vuoi che mi importi delle tue mani, guariranno alla svelta! Non ti rendi conto che stavo per mandare mio figlio in manicomio?! -

-Cielo, mamma – disse Mark fingendosi esterrefatto – Di cosa stai parlando? -

-Di nulla, tesoro, non preoccuparti – gli disse Ashley accarezzandogli una guancia – E' tutto finito. Chiaro? - aggiunse poi, rivolgendo uno sguardo glaciale all'autista.

Theodore spalancò gli occhi, sconvolto.

-Non...non starai dicendo sul serio, vero? -

-Mai stata così seria in vita mia. -

-Ma Ashley! - sbottò Theodore – Dopo tutto quello che c'è stato fra noi...?! -

-Non c'è stato un bel niente fra noi – si affrettò a precisare la donna – E' vero, mi hai sostenuto nei momenti difficili (Mark arrossì immaginando i modi in cui l'autista doveva averla sostenuta...) ma i tuoi consigli hanno rischiato di farmi perdere per sempre il mio meraviglioso figlio. E non ho più intenzione di discutere su questo! - disse, anticipando Theodore che stava aprendo bocca.

Poi accarezzò dolcemente la guancia di Mark. - Io torno in casa, tesoro. Se tu vuoi continuare... -

Mark la guardò senza capire cosa cazzo dovesse continuare.

-Eh? Oh, sì, certo! - disse, comprendendo all'improvviso a cosa si riferisse Ashley – Devo giusto...ehm...finire uno schizzo... -

Ashley sorrise e se ne andò, lasciando Mark estremamente soddisfatto e Theodore completamente sbigottito.

-Visto? - disse Mark facendo spallucce – Saperlo, che bastava così poco... -

Theodore non ci vide più. - Dov'è?! - sbraitò, agitando le braccia – Dove diavolo l'hai nascosto, stronzetto?!-

-Non capisco di cosa tu stia parlando – rispose Mark con fintissima ingenuità.

Theodore lo ignorò. - L'ho visto, ti ho anche sentito strimpellare...deve essere da qualche parte! O l'hai dato alla tua amichetta? Eh? -

-Senti, perchè non ti arrendi? - disse Mark – Ormai ho vinto partita e campionato. Se tu avessi un briciolo di cervello sotto quel berretto da idiota capiresti che è giunto il momento di mollare... -

-Stai attento, ragazzino... -

-No, stai attento tu – intervenne Mark puntandogli contro l'indice – Stai molto attento, perchè potrebbe venirmi improvvisamente voglia di fare quattro chiacchiere con mammina... -

-Non lo faresti mai... -

-Ah, no? - disse Mark con uno sguardo da far gelare il sangue – Ho scoperto di poter fare cose che non immagineresti mai, amico. Come vedi, hai finito di farla da padrone, qui, e vedi di darti una regolata, altrimenti ti farò rimpiangere di non esserti licenziato una vita fa... -

Theodore fissò Mark scuotendo la testa, sconcertato. - Tu sei matto per davvero – disse – Non ti riconosco più... -

-Tu non mi hai mai conosciuto, Thaddeus – disse Mark con disprezzo – E forse non mi conoscevo nemmeno io. Ma certe volte le circostanze obbligano la gente a tirare fuori il vero carattere... E dopo l'ennesima carognata Julian, il vero Julian, si è stufato di ingoiare i bocconi amari e si è svegliato, chiaro? E non è più disposto a sopportare come prima. Per cui o mi tratti con il rispetto che mi devi, o farai meglio a trovarti un altro lavoro. O a prenotarti il funerale, perchè... - All'improvviso Mark afferrò Theodore per il bavero della giacca e gli avvicinò il viso al suo, senza smettere di fissarlo con occhi fiammeggianti. - ...a cortesia io rispondo con cortesia chiaro? E se hai orecchie per intendere, spero tu abbia inteso. Ora sparisci, se stasera ti vedo di nuovo in giro ti farò rimpiangere il trattamento dei m... dei fratelli Landers. -

Mark mollò la giacca dell'autista, che barcollò un istante.

-Se...se credi di farmi paura ti sbagli di grosso... - tentennò Theodore, alzando debolmente una mano tremante.

-Ah, davvero? - replicò Mark, imperturbabile.

-Da-davvero... -

-Occhèi. -

Mark restò immobile ancora qualche secondo a braccia incrociate.

-BUAHAHAHAHAHA!!! - esplose poi agitando le braccia. Theodore sobbalzò e fuggì via urlando a squarciagola.

Mark scosse la testa ridendo.

-Coglione – disse.

Si girò e socchiuse la porta del capanno. Emettendo un sospiro di soddisfazione si mise le mani sui fianchi e osservò il grosso poster che stava attaccato dietro alla porta stessa.

Un piccolissimo uomo con ali da uccello volava, tutto solo, in un cielo al tramonto.

In un angolo, Julian ci aveva aggiunto a penna alcune strofe:


Blackbird singing in the dead of night

take these broken wings and learn to fly

all your life

you were only waiting for this moment to arise


-Il momento è arrivato, fratello – disse Mark ribattendo ai Beatles.

Fischiettando le note di quella canzone, che conosceva bene, si girò verso il tavolo e prese il disegno che ci aveva lasciato poco prima e lo osservò molto, molto attentamente.

Era un mezzobusto a matita di una ragazza, i lunghi capelli castani che le incorniciavano il viso, girato di tre quarti rispetto alla linea del collo, lo sguardo tranquillo che puntava altrove, le labbra estese in un sorriso appena accennato.

Mark vi riconobbe immediatamente Amy, che non gli era mai sembrata così bella come in quel ritratto appena abbozzato.

Julian doveva amarla davvero molto per essere riuscito a fare una cosa del genere; quel disegno trasudava amore da ogni tratto, da ogni cancellatura fatta al punto giusto, da ogni minimo dettaglio, la lunghezza delle ciglia, le piccole rughe intorno al sorriso e la fossetta sul mento, e si dispiacque quasi del fatto che probabilmente sarebbe rimasto incompiuto.

Con un sorriso amaro posò il disegno e si chinò nuovamente sul baule aperto. Tastò lungo i bordi fino a quando riuscì a trovare un appiglio, quindi sollevò lentamente il doppio fondo, scoprendo l'oggetto della disputa, coperto da un panno leggero.

-Wow – disse Mark togliendo il panno e sollevando delicatamente lo strumento.

Il lucidissimo sax soprano di Julian era piccolo ma comunque pesante, e la forma non era esattamente quella che Mark si aspettava; abituato ai canonici sassofoni, grossi e curvi, il trovarsene tra le mani uno completamente diritto gli sembrava una cosa strana.

Guardò l'ancia con aria dubbiosa, incerto se soffiarci dentro o no, e soprattutto come; il problema era che Mark non sapeva suonare manco il campanello di casa sua, figuriamoci uno strumento così complicato. Ma la curiosità ebbe il sopravvento.

-Ah, chi se ne frega. Senti questo, Gato Barbieri! - disse ridendo.

Appoggiò le labbra all'ancia del sassofono e ci soffiò dentro con forza, premendo un paio di tasti a caso.

Non ne uscì un suono.

O meglio, quello che ne uscì non era un suono. Non un suono umano, almeno.

Sembrava una via di mezzo tra un peto e una soffiata di naso.

-Ma che cazzo è?! - disse Mark, guardando lo strumento, sconcertato.

-Sbaglio o sei un po' giù di allenamento? -

Mark sobbalzò e si voltò di scatto.

-Mapporc...Amy! - esclamò.

La ragazza era ferma contro lo stipite della porta, che evidentemente aveva aperto senza che Mark se ne accorgesse. E chissà da quanto era lì...che figura...

-Scusa, Julian, non volevo spaventarti – disse, sinceramente dispiaciuta.

-Scusami tu – rispose Mark, posando il sassofono – Mi hai...preso alla sprovvista! Come sapevi che ero qui? -

-Sono solo passata a trovarti. Ho provato a chiamarti sul cellulare tutto il pomeriggio ma non rispondevi...poi ho telefonato e Deborah mi ha detto che eri appena tornato, così ho pensato di passare a salutarti. E...beh, sentire come stavi. - aggiunse, con un pizzico di imbarazzo.

Mark sorrise. - Mai stato meglio, te l'assicuro! -

-Lo vedo. Hai un aspetto molto più rilassato – disse Amy. A Mark sembrò che si rilassasse a sua volta. - Di' un po', cos'è successo a Theodore? L'ho incrociato venendo qui, mi sembrava sconvolto... -

-Oh, niente di particolare. Voleva solo ammazzarmi con una chiave inglese. -

-Cosa?! -

-Non preoccuparti, avevo la pala sottomano. So difendermi, io! -

-Non lo metto in dubbio - disse Amy, confusa – Non oso immaginare come... -

-Ecco, appunto, non immaginarlo. Per caso hai visto mia madre? -

-No, perchè? -

-Meglio. - Mark sollevò di nuovo il sassofono di Julian e lo porse alla ragazza. - Senti, Amy, capiti proprio a fagiolo. Questo coso non può rimanere qui. Theodore ha scoperto tutto, e c'è mancato poco che lo scoprisse anche mamma. Ti prego, devi aiutarmi a liberarmene... -

-Theodore?! - esclamò Amy – E come ha fatto? -

-Secondo te? Quel bastardo ha mille occhi e orecchie. Tieni, aspetta che cerco qualcosa in cui avvolgerlo... -

-Ma Julian, cosa faccio se i tuoi mi vedono uscire da casa tua con un sassofono?! -

Mark strabuzzò gli occhi. In qualche modo ci sarà entrato, no?, avrebbe voluto dirle, anche in tono poco gentile, ma si frenò in tempo.

-Digli che è per tuo cugino. Dovevi fargli una sorpresa e mi hai chiesto se te lo potevo tenere per un po'. Non credo ti faranno storie... -

Amy sorrise con aria quasi soddisfatta. - Però, non te la cavi affatto male come contafrottole! - disse.

-E' un mestiere che si impara in fretta. Ecco, mettiamolo qui. - disse Mark, riprendendo il sax dalle mani di Amy.

La ragazza gli porse lo strumento e si avvicinò al tavolo. Non appena Mark ebbe capito cos'aveva intenzione di fare gli venne un colpo.

-No, aspetta! - esclamò, rischiando di far cadere il sassofono.

Amy non gli fece assolutamente caso e prese il disegno che Mark aveva nascosto alla madre di Julian.

Fantastico, quello mi spella vivo, si disse, temendo il peggio. Quel disegno era l'equivalente di una dichiarazione d'amore! Cos'avrebbe detto a Julian? E come l'avrebbe presa Amy?

-Beh, non l'hai ancora finito? -

Mark restò lì come un ebete.

-Co-cosa? -

-Questo – disse Amy, sventolandogli il disegno sotto il naso, con un mezzo sorriso furbetto – E' così da almeno due mesi. Comincio ad essere stufa di posare per te, sai? -

No, non lo sapeva. Semplicemente, Mark non sapeva più cosa dire. Troppe sorprese, in quei pochi giorni; il mondo stava cominciando a girare un po' troppo velocemente per lui.

-Ecco...beh, con il ritiro e tutto il resto...non ho avuto molto tempo per... -

-Lo so, lo so – disse Amy, senza perdere il sorriso. Pose il disegno, incrociò le braccia e si appoggiò al tavolo in un modo che avrebbe sicuramente fatto impazzire Julian.

-Ma preferirei sapere perchè, con tutte le cose che sai fare, ti ostini a voler giocare a calcio. - continuò.

Mark si guardò in giro, sempre più confuso. Se fosse stata un'altra persona, e non Amy, le avrebbe risposto semplicemente di farsi gli affari propri, dato che quelli di Julian se li stava facendo un po' troppa gente in quegli ultimi tempi, e Mark cominciava ad averne le scatole piene di ripetere la solita tiritera sulla fuga dalla gabbia dorata e tutto il resto. Ma vedendo Amy con quella faccia rimase interdetto; trovare qualcosa di nuovo da dire sarebbe diventato davvero complicato.

-Insomma, sono...siamo tutti piuttosto preoccupati per te, sai. -

Amy arrossì e guardò altrove.

Mark sorrise a quella timida reazione. - Lo so – disse - e mi dispiace davvero. Ma sai come la penso e quello che significa il calcio per me, vero? -

-Sì, lo so – disse Amy – E credimi, preferisco...preferiamo vederti felice. Ma... -

La ragazza si interruppe, rossa fino alle orecchie. Il suo goffo tentativo di rendere pluralizzare le sue premure non aveva bisogno di spiegazioni. Non per Mark, almeno; per Julian, forse. Fatto sta che dietro ad ogni singola parola si nascondeva tutto quello che Amy avrebbe sempre voluto dire a Julian; pensa bene a quello che fai, sei troppo importante per me, perchè ti perda in un modo così stupido.

Il tutto, però, complicava ulteriormente le cose; Amy non avrebbe potuto scegliere un momento peggiore per dichiarare i suoi sentimenti al ragazzo che, sicuramente, amava da anni. Ma le cose non potevano rimanere bloccate ancora a lungo.

-Amy... -

-Scusami. - lo interruppe la ragazza, sempre più imbarazzata – Scusami, non volevo. Sono una stupida. E' che a volte non posso fare a meno di...insomma...lascia perdere. Dimentica quello che ho detto. Dimentica tutto, ok? - Si voltò sorridendo, ma l'imbarazzo e la tensione le si leggevano negli occhi, e nelle mani che le tremavano. - E cerca di finire quel ritratto, una buona volta! -

Mark sospirò, si avvicinò ad Amy e la guardò negli occhi con tutta la dolcezza di cui era capace.

-Ascoltami bene – disse.

Avrebbe voluto prenderle il viso tra le mani, giusto per vedere se erano davvero lacrime quelle che le rendevano così luminoso lo sguardo, ma non lo fece. Julian non l'avrebbe fatto. Forse.

-Sono davvero lusingato che tu ti preoccupi così tanto per me. Sul serio. Fa molto bene al mio ego, per lo meno. - Amy si lasciò sfuggire una risatina. - Ma dall'altra parte mi spezza il cuore. Oddio, so che è un po' azzardata come metafora... -

-Oh, no, tutt'altro! - esclamò Amy. Entrambi si lasciarono andare ad una risata piuttosto liberatoria.

Poi Mark sollevò con l'indice il mento della ragazza, costringendolo a guardarlo dritto in faccia. Sì, erano davvero lacrime. Di vergogna, forse.

-Io e te dovremo fare un discorsetto, prima o poi. - le disse – Quando sarà il momento giusto. -

Un imbarazzante silenzio calò fra i due. Un silenzio pesante come il piombo.

Ci pensò Deborah a spezzarlo, precipitandosi nel capanno con il cordless in mano.

-Signorino Julian, Mark Landers... -

I due si voltarono di scatto a guardarla. Deborah si fece piccola piccola, come se avesse interrotto qualcosa di importante; senza saperlo, invece, aveva salvato entrambi da una situazione piuttosto difficile.

-...Mark Landers la desidera urgentemente al telefono. -

Mark ringraziò Deborah e prese il telefono. La donna si dileguò all'istante.

-Pronto? - disse, uscendo dal capanno e rassicurando Amy, piuttosto perplessa, con un cenno del capo.

-Ciao. Senti... - disse Julian.

-No, prima senti tu, caro il mio Vincent – lo interruppe Mark, parlando sottovoce in modo da non farsi sentire da Amy.

-Eh?! -

-Non fare lo gnorri perchè sto cominciando a diventare matto davvero. C'è qualcos'altro che dovrei sapere su di te? Fai bungee jumping? Hai cambiato sesso? Balli la samba? Sei il più grande intenditore mondiale di estetica kantiana? -

-Ma che cazzate stai dicendo? -

-No, sai, vivere nei tuoi panni è una sorpresa ogni giorno! Solo oggi ho scoperto che suoni il sassofono e disegni meglio di... -

Mark si interruppe vedendo Amy che faceva capolino dalla porta. - Arrivo tra poco – disse, coprendo il microfono.

-Chi c'è lì con te? -

-Amy – rispose Mark – Ma non preoccuparti, è tutto sotto controllo. Tornando al discorso di prima, comincio a stufarmi, sai? Sei troppo complicato per i miei gusti. -

Julian ridacchiò. - Hai scoperto il mio hobby? -

-Quale dei mille?! - sbottò Mark. Lanciò un'occhiata alla porta socchiusa del capanno, sperando che Amy non sentisse. Ma la ragazza era troppo impegnata ad esaminare i capolavori di Julian per interessarsi della conversazione.

-Seriamente, Julian. Fino alla settimana scorsa credevo che l'unica cosa che ti importasse fosse giocare a calcio. Adesso scopro che hai una marea di cose in testa, e io non riesco a stare dietro a tutto, capisci? Non so tenere in mano una matita, né soffiare dentro ad un sassofono. E' una situazione piuttosto pesante, sai? -

-Beh, puoi sempre imparare – disse ironicamente Julian.

-Fottiti – esclamò Mark, ridacchiando – Comunque Amy vuole che le finisca il ritratto, e temo che anche tua madre, prima o poi, mi chieda di fargliene uno... -

-Mia madre?! -

-Sì, tua madre. Rilassati, non ho potuto fare altrimenti. Magari, se l'avessi saputo anch'io...Ti dirò, ne è stata piacevolmente sorpresa, e questo mi ha dato una grossa mano a liberarti definitivamente dalla minaccia di Theodore. -

-Theodore? L'ha licenziato? - disse Julian gongolando.

-No, ma da oggi avrà molto meno ascendente su di lei, fidati. E, cosa ancora più importante, niente internamento in clinica. Sei salvo, fratello. -

Julian urlò di gioia. - Mark, ti bacerei! Sei grandioso! Dopo mi spiegherai tutto. Senti, ora devo dirti una cosa piuttosto importante. Sapevi nulla dell'amichevole contro la Thailandia che dovremmo giocare questo sabato? -

-Amichevole?! - esclamò Mark - No, non ne sapevo un accidente! -

-Beh, nemmeno io. Pare sia una cosa da nulla, ma la nostra situazione complica parecchio la faccenda. Per cui avrei qualche raccomandazione da farti... -

-Ehi, ehi, frena – lo interruppe Mark – Chi ha avuto questa bella idea? -

-Colby, ovviamente. A quanto pare avremmo dovuto giocare tra un mese, invece i thailandesi hanno avuto problemi con i passaporti, o qualcosa del genere...risultato, o sabato o niente. -

-Avrei preferito niente, cazzo. Che facciamo? -

-Che facciamo? Che fai tu! A me toccherà giocare per l'intera partita, a te, forse, per i soliti dieci minuti, ma potrebbero essere dieci minuti pericolosi, se giocati male...capisci quello che intendo? -

-No – rispose Mark, ancora frastornato – Cioè, sì. Vuoi dire che quel poco che giocherò lo dovrò giocare come fai tu? Cazzo, ci proverò, ma non credere che sia così facile! -

-Appunto – disse Julian – E a questo proposito, apri bene le orecchie. -

-Spara. -

-Non strafare. Scordati di arrivare addosso agli avversari come un bulldozer, o, peggio, di fare il tiro da tigre o qualche altra cazzata. -

-Julian, non sono così imbecille da farmi beccare sul più bello – disse Mark – Tu, piuttosto, come pensi di fare? Il tuo stile è parecchio diverso dal mio, non ti sembra? -

-Mi arrangerò. Simulerò un infortunio, passerò agli altri, dirò che mi voglio risparmiare per gli avversari più pericolosi... -

-Grazie per avermi dato del gradasso... -

-Perchè lo sei – intervenne Julian, ridacchiando tra sé e sé.

-Beh, grazie di nuovo per la stima! Hai altre velate critiche nei miei confronti? -

-Finiscila, stupido! - disse Julian – Quello che voglio dire è che io avrò vita più facile di te. Tra noi due, sei tu quello che si dovrà risparmiare, chiaro? -

Mark tacque, afferrando al volo dove Julian voleva arrivare. - Chiaro – rispose.

-Dieci minuti di finezza, ok? Passa spesso la palla, niente corse a perdifiato, niente azioni personali troppo prolungate. D'accordo che da un po' di tempo va tutto bene, ma non vorrei rischiare. Soprattutto ora che ci sei tu nei miei panni, e non sapresti come affrontare la cosa. -

-Benissimo – disse Mark, toccandosi i gioielli di famiglia per scaramanzia.

-Senti, continui a prendere i farmaci che ti ho detto, vero? -

Cazzo, si disse Mark, deglutendo nervosamente. Da quando era piombato nella vita di Julian aveva toccato sì e no un paio di compresse. - Sì...certo, figurati! - balbettò.

Julian inspirò profondamente e alzò gli occhi al cielo. - Sì, come no... Mark, dannazione, ne va della mia...della nostra pelle, lo capisci o no?! -

-Sì, sì, non arrabbiarti, è tutto sotto controllo. -

-Lo spero. Comunque ricordati la furosemide, cacciati in borsa l'intero flacone...e un paio di siringhe, per sicurezza. Ah, e già che ci sei...-

Mark sbuffò. - Senti, Julian, non sono così idiota da rischiare la vita per una partita, io, chiaro? -

Julian incassò il colpo. - D'accordo, hai ragione, sono un idiota. Però tu non hai idea di cosa significhi... -

-Sì che ce l'ho, maledizione! - sbottò Mark, allontanandosi dal capanno e cercando di tenere la voce più bassa possibile – Ce l'ho dal primo momento in cui sono stato te! Sei tu che non hai idea di quello che significhi veramente! Ma ti conosci, Julian Ross? Hai idea di quello che vali? Se gli altri sapessero di te la metà delle cose che so io se lo chiederebbero tutti! Sei...cazzo, sei la persona più in gamba che io abbia mai conosciuto, chiaro? E mi costa parecchio dirlo. Potresti avere il mondo nelle tue mani, se lo volessi! - Lanciò uno sguardo verso il capanno degli attrezzi – Guarda cos'hai fatto per me. Cosa credi che penserebbero di te Amy, i ragazzi, perfino i tuoi genitori? In tutti questi anni hai solo mostrato agli altri quello che volevi mostrare, ma non era il Julian intraprendente, grintoso, generoso e, cazzo, cocciuto come un mulo che io ho conosciuto! Sei uno di quei tipi che può ottenere tutto quello che vuole, se lo vuole davvero. Credi che l'unico modo per dimostrarlo sia giocare dieci minuti a partita rischiando pure di morire? Hai un mondo incredibile che ti gira intorno, perchè non apri le porte e lo dici anche agli altri? -

-Mark... -

-No, fammi finire. Ne ho le palle piene del tuo desiderio di evasione. Evadi davvero, una buona volta, nessuno te lo impedisce, ma esistono modi diversi dal lasciarci la pelle tirando due calci ad un pallone! Amy sta morendo dalla paura di perderti. Quella ragazza ti ama davvero, lo sai? -

Julian tacque.

-Julian, quello che sto cercando di dirti è che ti stai sprecando, tutto qui. Me l'hai detto anche tu, il calcio non è tutta la tua vita. Hai tutte le carte in regola per essere felice, e te lo meriti. Cerca di capirlo, una buona volta. -

Julian sospirò di nuovo e sorrise. - Mark, ti ringrazio per la ramanzina, ma non ce n'era bisogno. Il vecchio Julian se ne sta andando, sai? -

-Non ne sono del tutto sicuro – rispose Mark – Lo sarò solo quando le cose torneranno alla normalità. Sono confuso anch'io, sai? -

-Si vede. Non hai mai detto tante stronzate tutte in una volta! -

I due risero di sollievo.

-Allora ci vediamo sabato. Cercherò di ricordarmi la futro...fruttos...insomma, quella roba lì. -

-Sarà meglio. Hai portato le carte a mio padre? -

-Dopo, dopo, sono appena arrivato e mi è già successo di tutto, non mettermi ansia! -

-Va bene, scusa. Da' un bacio ad Amy da parte mia...anzi, no, salutamela e basta – farfugliò Julian, imbarazzato.

-Sì, mi sa che è meglio. Ricordati quello che ti ho detto, comunque. -

-Va bene, papà! -

-Vaffanculo! – disse Mark ridendo – Ci si vede sabato. -

-Ah...grazie. -

-No, grazie a te. -

-Senti, non ricominciamo con la tiritera... -

Mark riagganciò ridendo e tornò verso il capanno. Amy lo stava aspettando, fingendo un'aria annoiata, tradita dalla luce che aveva negli occhi.

-Chi era? - disse.

-Mark – rispose Julian – Mi ha dato una notizia inaspettata... -

-Sembra che siate diventati grandi amici voi due, ultimamente! - commentò Amy, piacevolmente sorpresa.

Mark fece lo gnorri. - Abbiamo un'amichevole a sorpresa con la Thailandia. Cosa da nulla, a quanto pare, se non che avrei preferito saperlo prima... Che dici, vieni a fare il tifo per noi? -

Amy impallidì di colpo. - Oh...beh, certo! Quando...quando sarebbe la partita? – disse, fingendo la massima indifferenza. Mark, ovviamente, mangiò la foglia.

-Sabato – rispose.

-Sabato. Sì, certo che vengo! Magari ti preparo la borsa, smemorato come sei...vuoi che passi in farmacia a prendere... -

-Senti, Amy – la interruppe Mark - Non devi aver paura, sul serio. Ultimamente va tutto bene e non sono un incosciente. Fidati di me, eh? -

Amy abbozzò un sorriso che lasciava intravedere ancora più ansia.

-Non ho paura. E' che...insomma, una partita importante, così all'improvviso... -

Senza lasciarti il tempo di prepararti psicologicamente, pensò Mark. Mio Dio, cosa deve passare questa ragazza...

Mark allargò le braccia, cercando di stamparsi in faccia il sorriso più rassicurante di cui fosse capace. - La mia preparazione atletica è perfetta, direi! Sto anche mettendo su una discreta pancetta da panchinaro. Che ne dici, sarà il caso che mi metta a dieta? -

Amy, colta alla sprovvista, spalancò gli occhi. - Cosa...ma..oh, stupido! - E si lasciò andare ad una risata liberatrice. Mark rise a sua volta.

-Cerca di non preoccuparti troppo, ok? Io sto bene e sono tranquillo, e lo sarò anche di più se lo sei anche tu. -

-Scusami, hai ragione. E' che...sei così strano, ultimamente...non so più cosa pensare. -

-Non devi pensare a niente, solo che questo bel fusto che ti trovi davanti è il vero Julian. Se n'è rimasto nascosto per un po', e ora è saltato fuori. Che ne dici, ti piace di più questo o quello vecchio? -

- Mi hai già fatto questa domanda – disse – E credo di averti già risposto. -

Mark sorrise. Non aveva idea di quanto ciò che aveva appena detto ad Amy fosse vicino alla verità. Quello che Mark stava interpretando era molto più vicino a Julian di quanto fosse il vero Julian, nascosto dal mondo.

Sorrise.

-Vai, ora, prima che qualcuno ti becchi con quel coso - disse, alludendo al sassofono – Comunque ricorda: io e te dovremo parlare, prima o poi. -

-Me l'hai già detto. Sto aspettando. -

-Non ora – aggiunse Mark – Quando sarà il momento. -

I due rimasero qualche istante a guardarsi negli occhi, Amy facendo finta di non capire, ma in realtà afferrando benissimo la situazione, e Mark cercando il modo per cavarsela.

Quello non era più compito suo; toccava al vero Julian fare la sua parte.

Ma quando?






Mi scuso innanzi tutto per avervi fatto aspettare così tanto con l'aggiornamento, ma, come avrete notato, questo capitolo mi è uscito particolarmente lungo. Lungo, brutto e ripetitivo, devo dire; non era mia intenzione che fosse così, ma purtroppo mi è sfuggito di mano (ometterò tutti i casini che mi sono successi in questi mesi, incluso un nuovo lavoro che mi sta prosciugando come un limone ma fortunatamente mi lascia qualche momento di vuoto per fare queste cose: questo capitolo lo sto scrivendo in auto, tra un appuntamento e l'altro ^__^).

Molte cose mi sono sfuggite di mano, ultimamente; questa ff sta andando avanti da sei anni (o sette? Mamma mia!) ed è inevitabile che molte cose che si trovavano nella mia testa quando è iniziata siano inevitabilmente cambiate, portandomi sui binari diversi da quelli che avevo previsto all'inizio. Questo capitolo, in cui mi sono trovata impantanata per mesi, fa parte di quei binari, e non vi dico la fatica che ho fatto per uscirne!

Mi scuso con tutti quelli che si stanno chiedendo dove voglio arrivare con questa storia, ma vi garantisco che sta arrivando a destinazione; ancora pochi capitoli e metterò la parola fine ad un'avventura che dura ormai da troppo tempo (anche se lo farò con molta nostalgia perchè alle mie boiate mi affeziono...).

Mi scuso anche con chi mi ha fatto notare di essere un po' troppo OOC; lo scriverò nelle avvertenze. In effetti all'inizio non era previsto che lo fosse in quanto storia comico-demenziale, ma ora si sta un po' allontanando anche da quel genere. Vedrò di sistemare anche questo aspetto.

Tra parentesi, avrete notato da un po' che la vicenda si sta incentrando molto di più su Julian e Mark che sugli altri; fa sempre parte della deviazione... Ad ogni modo non disperate, non ho intenzione di abbandonare gli altri, e questo vale soprattutto per Benji. Ammetto di averlo trattato malissimo, ma avrà anche lui il suo momento. Breve? Lungo? Non ve lo dico. Abbiate solo un po' di pazienza e comprensione, mi picchierete alla fine!

Baciotti

Ruby-Sage

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21



Non era passato molto tempo dall'ultimo allenamento, eppure a Mark il campo da calcio sembrava più grande del solito. Si piazzò all'uscita dello spogliatoio, a torso nudo, pantaloncini e maglietta buttata sulle spalle, una mano davanti agli occhi per ripararli dal sole.

Sorrise ed inspirò profondamente, facendo tesoro dell'aria tiepida di quella mattina di agosto, poi tornò negli spogliatoi canticchiando.

I compagni di squadra si scambiarono uno sguardo interrogativo. Julian (o meglio, quello che loro credevano fosse Julian) era stato tra i primi ad arrivare, ed aveva salutato i pochi presenti dispensando battute e calorose pacche sulle spalle. Sembrava parecchio allegro, un po' troppo allegro per essere il solito Julian Ross.

-Toh, guarda chi c'è qua, i gemelli Barnum! - disse allegramente Mark spettinando i capelli (già spettinati) di James Derrick, appena arrivato insieme al fratello – Come va con la capriola infernale? -

-Catapulta – precisò James.

-E' lo stesso. Quando tornate al tendone, salutatemi la trapezista – tagliò corto Mark, e se ne andò a salutare Clifford Yuma fischiettando Thunder Road.

-...ridnoutnighcassepromisland...ehi, Clifford, secondo te perchè Bruce Springsteen è così incantabile? -

Il gigantesco stopper sorrise, stupefatto. - E che ne so? A me neanche piace, Springsteen! -

-Il solito blasfemo... -

-Sei felice oggi, Julian? - intervenne Paul Diamond, anche lui, come tutti i presenti, piacevolmente sorpreso nel vederlo così frizzante.

-Eccome! - rispose Mark, stiracchiandosi – E' una splendida giornata, mi sento in forma come non mai e tra poco faremo il culo a quelle mezz...ehm... -

Lo sguardo del vero Julian, che aveva appena messo piede nello spogliatoio insieme a Ed Warner e Danny Mellow, lo incenerì.

-...uhm...ehm...glie la faremo vedere noi a quelle mezze calzette dei thailandesi, vero, ragazzi? - continuò Mark. I compagni di squadra, galvanizzati come al solito, esultarono.

-Non ti sembra che Julian sia un po' troppo su di giri? - sussurrò Ted Carter a Patrick Everett.

-Per me si droga - rispose Patrick – Ecco perchè soffre di cuore... -

-Ehi! - sbottò il vero Julian, che aveva sentito tutto – Droga un cacchio, capito? -

I due lo guardarono come se fosse stato un ufo.

Julian cincischiò due parole e tre parolacce, poi si avvicinò a Mark.

-Julian...ehm...come va?- disse, tendendo una mano al ragazzo e tirandolo verso di sé – La pianti di fare il deficiente? - bisbigliò poi.

-Rilassati! - rispose Mark, sempre sottovoce – Non è che perchè sei Julian Ross devi necessariamente avere sempre il muso lungo! -

Julian sbuffò. - Essere più...spigliati, non significa fare il pagliaccio – rispose – Qualcuno ha già notato che qualcosa non va, vedi di essere più posato prima che mi...anzi ti mandino alla neuro! -

-Allora cerca di agitarti di meno e, magari, di ignorarmi. Ci stanno guardando tutti, e da che mondo è mondo io e te non siamo mai stati particolarmente affiatati... -

In effetti gli sguardi dei compagni di squadra erano tutti su di loro.

-Oh, beh...allora, riguardo a quello schema... - bluffò Julian prendendo Mark per un braccio e allontanandolo dal gruppo. Poi, sottovoce: - Senti, Amy viene? - disse.

-Viene? E' già di sopra in tribuna! - disse Mark – Non si perderebbe una tua partita per niente al mondo... -

Lo sguardo di Julian si illuminò d'immenso.

-E Maki...? Com'è andata in questi giorni? - continuò Mark.

-E chi l'ha vista? - rispose Julian alzando le spalle – E' impegnatissima con la squadra di softball, per fortuna...meglio così, dato che ho lavorato come un cane all'edicola, e ieri sera ho pure dovuto suonare fino all'una! Adesso vogliono tre serate a settimana al “Red Rose Speedway”...almeno potessi farmi un pisolino in panchina... -

Mark lo interruppe ridendo. - Vorrà dire che lo farò io per te! Peccato comunque...ho voglia di vederla. -

-Ti capisco, eccome se ti capisco – disse Julian – Ah, hai portato i documenti... -

-Tutto fatto, tranquillo. -

-Ok. - Poi, alzando la voce: - Allora, è tutto chiaro? -

Mark ridacchiò e gli diede una pacca sulla spalla. - Certo, Mark, sta' tranquillo... - rispose.

Quella piccola sceneggiata sembrò confondere ancora di più i ragazzi della squadra, che però vennero provvidenzialmente distratti dall'ingresso nello spogliatoio di Philip, tumefatto ma sereno.

-Salve a tutti! - esclamò il capitano della Flynet esibendo un sorriso sdentato.

-Philip, santo cielo, che diavolo ti è successo?! - esclamò Bruce Harper andando incontro all'amico insieme a tutti gli altri.

-Un piccolo incidente – mentì il ragazzo.

-Incidente?! - esclamò Julian, preoccupato. Istintivamente andò incontro all'amico, ma si bloccò dopo il primo passo, mordendosi un labbro. Chissà se Mark e Philip andavano d'accordo; meglio procedere con cautela.

-Tranquilli – disse Philip – Il peggio è passato. Per me, almeno... - Scrollò le spalle sorridendo e si diresse verso Mark, che lo guardava confuso.

-Allora, Julian, come butta? - disse allegramente dando una pacca sulla spalla del ragazzo.

-Uh...bene... - rispose Mark, un pochino incerto – Accidenti, vorrei poter dire lo stesso di te... -

Philip sospirò. - Lascia perdere, è stato un brutto periodo. Ho intravisto Amy, su in tribuna; salutamela tanto, dille che Jenny ha voglia di rivederla. -

-Ok... - rispose Mark, senza sapere che altro dire. Non era facile; lui e Philip non si erano mai cagati più di tanto, anche se il capitano della Flynet, tutto sommato, gli era quasi simpatico.

Lanciò un'occhiata a Julian, come per chiedergli come diavolo comportarsi, ma il ragazzo stava fissando l'ingresso dello spogliatoio, verso cui i compagni di squadra si erano ammassati.

-Come sarebbe, infortunati?! Tutti e due?! - esclamò Ralph Peterson entrando nello spogliatoio e gettando rabbiosamente la borsa su una panca – E adesso che facciamo? -

-E' solo un'amichevole, Ralph, ce la caveremo anche senza di loro – disse Tom Baker cercando di calmare il compagno.

-Ah, sì? Li hai visti quelli? - ribattè Ralph, indicando con il pollice lo spogliatoio degli avversari – Il piccoletto ha la faccia da serial killer, lucido e glaciale... Per non parlare di quello grosso col codino! Sarà dura senza Holly e Benji! -

Mark e Philip drizzarono le antenne e si guardarono istantaneamente l'un l'altro.

-Un momento, un momento – intervenne Mark – Come sarebbe? Price e Hutton non giocano? -

-Occacchio... - disse Philip - Che diavolo è successo? -

-Chiedilo a loro – ringhiò Ralph. In quel momento, Holly e Benji fecero il loro ingresso in spogliatoio, seguiti da Peter Colby. Ai ragazzi della nazionale fece uno strano effetto vedere Oliver, che era sempre allegro e ottimista, scuro in volto e Benji, il tipo sicuro di sé per antonomasia, con un'aria triste e dimessa.

-Ragazzi, abbiamo un piccolo problema – esordì nervosamente Colby – Oggi Holly e Benji non potranno giocare. -

Seguirono svariati “Cosa?!”, “Com'è possibile?”, “Mio Dio” e “Perchè?”.

-Calma, calma – continuò l'allenatore – Non è niente di grave. Holly è caduto e si è fatto male ad una caviglia, mentre a Benji si è riacutizzato il dolore al polso. Niente di grave, ma non voglio che si sforzino troppo per una partita del genere. La Thailandia è più che abbordabile; gli schemi restano invariati. Julian – disse poi rivolgendosi a Mark, che sobbalzò – Può darsi che oggi abbiamo bisogno anche di te. Te la sentiresti di restare in campo per qualche minuto in più, in caso di necessità? -

Il ragazzo guardò il vero Julian, il quale fece spallucce ed alzò gli occhi al cielo, un po' per rassegnazione, un po' come gesto di preghiera.

-Io...sì, certo che me la sento. Me la sento eccome! - rispose Mark.

-Benissimo. Vi ricordo solo che il risultato di questa partita sarà valevole ai fini della qualificazione al campionato asiatico, per cui dateci dentro e passate la palla a Hol...ehm...a chi vi pare, purchè segni. E ora sbrigatevi, vi voglio pronti per il riscaldamento tra dieci minuti al massimo. -

Ciò detto, Colby se ne uscì dallo spogliatoio.

I ragazzi non spiccicarono parola, ma lo sconforto generale che aleggiava su di loro si sentiva, eccome.

Campionato asiatico?!?

-Ma non doveva essere un'amichevole? - dissero in contemporanea i gemelli Derrick.

-Perchè diavolo dobbiamo essere sempre gli ultimi a sapere le cose?! - sbottò Clifford Yuma – Siamo noi che giochiamo, maledizione!! -

E' terribile...terribile! - esclamò Bruce – Come diavolo faremo?! Senza Holly e Benji quelli ci faranno a pezzi! -

A Mark girarono istantaneamente i coglioni, ma cercò di trattenersi.

-Mi dispiace – esordì Holly in un modo che ai ragazzi suonò un po' troppo umile per provenire da Benji – Questa partita significa molto e io...noi non possiamo aiutarvi in nessun modo... -

Benji annuì sbuffando.

-...ma abbiamo un'enorme fiducia in voi e sappiamo che farete del vostro meglio. Vero, Ben...ehm, Holly? - Dato che Benji faceva lo gnorri, dato anche il suo umore più che nero, Holly gli diede una gomitata nelle costole.

-Mghrr...polso, grunf, vstrmeglio, bravi, eh? - fu tutto quello che il portiere riuscì a mugugnare davanti ai compagni di squadra, sconcertati.

Mark esplose.

-Ma che diavolo credete?! Certo che faremo del nostro meglio, dannazione! -

Tutti si voltarono a guardarlo; va bene che Julian quel giorno era un po' strano, ma quell'uscita da lui proprio non se l'aspettava nessuno. Compreso il vero Julian.

Mark si guardò intorno, capendo di non aver avuto una grande idea.

-Insomma, senza togliere nulla a nessuno – continuò – Holly non è l'unico attaccante della squadra e Benji non è l'unico portiere. Ed è in gran forma, e anche Alan ultimamente se l'è cavata benone, vero? - disse, rivolgendosi al terzo portiere. Ed sorrise, orgoglioso, e Alan Crocker gongolò al pensiero di essere, per una volta, tenuto in considerazione. Insomma, se era in nazionale un motivo ci sarà stato, no?

-E poi Tom dove lo mettiamo? E Ralph, con il suo tiro da rasoio, e Philip, anche se oggi non mi sembra messo un gran bene, senza offesa, amico, eh? - Philip sospirò. - E Patrick, e quell'armadio di Clifford, sono bravissimi ad infilarsi tra gli avversari! Oddio, Clifford magari un po' meno, ma data la stazza... E poi... - Si guardò intorno, quasi imbarazzato. - E anche Mark non se la cava male... -

-Anche tu sei forte, Julian – replicò il vero Julian. Mark abbassò lo sguardo ma gli restituì un sorriso di sottecchi.

-Sì. Me ne stavo dimenticando. Sono tosto anch'io, quando mi ci metto. - Gli altri ragazzi ridacchiarono. - Ma quello che voglio dire è che siamo una squadra. Non giochiamo da soli, giochiamo tutti insieme. Avete presente un aeroplano? Ok, è un grosso coso che vola, ma è composto da tante parti, che sono tutte importanti, e se vola, è grazie a tutte quelle parti. Insomma, avete capito? -

I ragazzi si guardarono con aria interrogativa. Julian si coprì la faccia con le mani, disperato. Quel cretino di Mark era partito bene, ma stava rischiava di finire molto, molto male...

-Vuoi dire che noi siamo le parti dell'aeroplano? - disse Bruce – E che non possiamo farcela senza l'aiuto di tutte le altre parti...cioè di tutti gli altri giocatori? -

-Beh... - tentennò Mark, accorgendosi dell'enorme fesseria che aveva appena sparato.

-Ma se mancano Holly e Benji, che sono due delle parti più importanti, ci schianteremo al suolo! Aaaah! Ci distruggeranno!! - frignò Bruce. Gli altri, ripiombati nello sconforto, cominciarono a borbottare tra loro.

Mark, sbigottito, si chiese se Bruce fosse deficiente di suo o se le troppe parate di faccia non gli avessero danneggiato anche il cervello, oltre ai connotati. Stava per saltargli alla gola quando Julian, per sua fortuna, prese la parola.

-Ehi, aspettate – disse – Julian ha detto una cosa sacrosanta, ma l'ha detta nel modo sbagliato. Quello che intende dire è semplicemente che l'unione fa la forza. Siamo una buona squadra e ce la siamo sempre cavata con il gioco di squadra. E in una squadra gli individui non contano. Credete che Holly e Benji ce la possano fare, senza il nostro aiuto? -

-Beh... -

-Insomma... -

-Ti dirò... -

-La risposta è no, ovviamente – continuò Julian, che cominciava ad innervosirsi – Per quanto siano dei fuoriclasse, da soli in campo non avrebbero scampo, perdonatemi il gioco di parole. Noi, invece, ce la possiamo fare anche senza di loro, se ci aiuteremo a vicenda. Ricordatevi che siamo i migliori giocatori della nazione! Abbiamo avuto avversari decisamente peggiori di questi, pensate che ci faremo spaventare così facilmente? -

Un coro “No!” risuonò per lo spogliatoio. I ragazzi avevano ritrovato un po' di fiducia.

-Forza! - esclamò infine Julian – ce li mangeremo in un sol boccone! -

-Sarà... – disse Ralph, ancora un po' dubbioso. Ma si unì comunque alle grida festose degli altri, uscendo dallo spogliatoio.

Mark si avvicinò a Julian, un po' abbacchiato. - Grazie per avermi tolto dai guai – disse.

-Dovere – rispose Julian dandogli una pacca sulla spalla – La prossima volta sono cazzi tuoi, però. Forza, diamo un'occhiata a questi fenomeni. -

-Sono davvero andato così male? -

-Insomma... - rispose Julian – Non ti avevo mai visto così esaltato, però! -

-Per forza – rispose Mark ridacchiando – Vuoi mettere la soddisfazione di vedere Price e Hutton in panchina? -


-Ehilà...salve... -

-Ti spezzo in due. -

-...bel film, l'ho visto tanto tempo fa...volevo solo augurarti una buona partita e che vin... -

-Ti gonfio come un pallone e ti appendo alla traversa per i piedi, che ne dici? -

Philip ritirò la mano che aveva teso al gigantesco centrocampista thailandese in segno di pace. -Grazie, ho già dato – disse, girando sui tacchi e tornando dai compagni di squadra che stavano terminando il riscaldamento.

-Allora? Com'è la predisposizione d'animo? - chiese Tom.

-La vedo dura, gente – rispose Philip – Comunque una cosa è certa: io quello non lo marco! -

-Non preoccuparti – disse Julian, dandogli una pacca sulla spalla – Più sono grossi, più rumore fanno cadendo! -

-Basta che non cada addosso a me... - disse Bruce.

-Qual'è il problema, ragazzi? - disse Clifford Yuma scrocchiandosi le dita.

-Quello grosso – risposero tutti in coro.

Il centravanti guardò l'avversario. - Quello sarebbe grosso? - disse – Non temete, me lo mangio in un boccone! -


Dieci minuti dopo il fischio d'inizio la nazionale giapponese era già sotto di un gol.

In effetti il grosso centravanti thailandese era veramente grosso, ma, evidentemente, non abbastanza da resistere alla gamba tesa di Ralph Peterson, che aveva tentato di fermare la sua corsa in tutto e per tutto.

-Bravo, imbecille! - ringhiò Patrick Everett all'indirizzo del compagno di squadra.

-Alternative? - replicò Peterson – Avrebbe segnato lo stesso, quel bulldozer! -

-Anche no, magari! - ribattè Ed Warner, spolverandosi la tuta – Oltretutto quello non aspettava altro! Quando ha visto la tua gamba ci si è buttato come un tuffatore olimpionico! Lo sgambetto glie lo potevi fare fuori dall'area di rigore, che ne dici? -

-Su, su, non facciamola così drammatica – intervenne Mark – Sono passati solo dieci minuti. Se ne mancassero dieci sarebbe molto più grave. Abbiamo tutto il tempo per recuperare! -

Julian lo guardò, incrociando le braccia. Non era troppo difficile giocare nei panni di Mark Landers; la tecnica di Julian, snello e scattante, si adattava molto bene al fisico robusto e muscoloso del compagno di squadra, riunendo in lui la forza di Mark e la sua eleganza.

Beh, purchè nessuno gli chiedesse il tiro da tigre.

Quello sarebbe stato davvero un problema. Il ragazzo pensò, comunque, che non ce ne sarebbe stato bisogno; nonostante quel piccolo handicap iniziale, la Thailandia non era decisamente una squadra pericolosa e, anche se Holly e Benji erano fuori dal campo, la nazionale giapponese giocava in modo estremamente compatto, unendosi intorno ai suoi nuovi, momentanei leader.

Julian correva veloce, saltava e dribblava a tutto andare, e ogni tanto passava perfino la palla. Fu su un suo assist che Mark segnò il primo dei gol che avrebbero portato il Giappone ad una vittoria schiacciante.

Mark, invece, si trovava un pochino meno a suo agio, soprattutto perchè, ogni tanto, si dimenticava sia delle condizioni in cui doveva giocare, sia del fatto che la sua tecnica non era per niente adatta al ruolo dell'amico, il cui fisico snello e scattante si prestava poco alle azioni di sfondamento di Mark. Non per niente gli bastarono venti minuti per emulare Ralph, atterrando di nuovo il centravanti thailandese e facendo guadagnare a Julian il primo cartellino giallo della sua carriera e una leggera gastrite (anche perchè l'amico non si stava affatto risparmiando, come il legittimo proprietario del suo corpo gli aveva raccomandato). A dire il vero l'azione non portò a gravi conseguenze; il Giappone rimontò facilmente e verso la fine del primo tempo si trovò in vantaggio schiacciante.

Peter Colby, comunque, non ci avrebbe mai creduto, e nemmeno Julian.

-L'avrei tirato giù anche con i denti, quell'infame – ringhiò ad un esterrefatto Philip.

Ma Philip non era l'unico ad essere esterrefatto dal comportamento in campo di Julian. Nella fattispecie, anche a Holly e Benji, in panchina, discostati da tutti gli altri, qualcosa del comportamento del libero (non solo in campo) quadrava poco.

-Ehi – disse Holly dando di gomito a Benji – Hai notato che Mark e Julian... -

-No – rispose Benji, sgarbato.

Holly sospirò, ma non si diede per vinto. - Volevo solo chiederti se avevi notato anche tu che Mark e Julian sono un po' diversi dal solito...insomma, fino alla settimana scorsa si odiavano, e adesso sono sempre appiccicati...sembrano...ehm, scusami i termini, culo e camicia... -

-Un po' come noi. Solo che a noi tocca restare appiccicati anche se non ci sopportiamo. - ribattè Benji con il suo solito tagliente sarcasmo, di cui Oliver aveva decisamente le tasche piene.

Il capitano della New Team sbuffò e si voltò a fissare se stesso negli occhi.

-Ce l'hai ancora con me per quella storia del gol da fuori area, vero? -

Benji sussultò e ricambiò lo sguardo di Holly, ma non rispose.

Holly scosse la testa. - Lo sapevo – disse, battendosi le mani sulle cosce – Benji, per l'amor d'Iddio, è una storia di sette anni fa, eravamo dei bambini! Sarai anche il miglior portiere under 18 di tutto il Giappone ma resti sempre un essere umano, e gli esseri umani, si sa, non sono perfetti! Si può sapere perchè non riesci a mandarla giù?! -

-Abbassa la voce – disse Benji, notando che le altre riserve li stavano fissando – Mi hai ferito nell'orgoglio. Ancora oggi me lo sogno di notte, non sai quanto ti ho detestato per questo. Perchè tu? Perchè solo tu?! Potevo essere imbattibile, ho sudato sangue per diventare quello che ero, quello che sono, ed è bastato un pivellino a rompermi le uova nel paniere! E quel che è peggio, me lo sono ritrovato pure in squadra!! -

-Potevi essere imbattibile?! Ma cresci, una buona volta!- sbottò Oliver – Credi che basti una sola sconfitta a renderti peggiore di quello che sei? Il migliore non è chi non sbaglia, Benjamin Price. Il migliore è chi sbaglia di meno. E mi sembra che tu rientri nella categoria, o no? -

Benji tremava, ma non sapeva se di rabbia o di imbarazzo.

-Ti ricordi cosa mi hai detto durante la partita contro la Mambo? - continuò Oliver.

-Quella partita? -

-Sì, quella. Sono state le tue parole a spingermi a reagire, Benji. Ci avevano provato tutti, Tom, Roberto, Patty, ma sei stato tu a farmi recuperare la grinta. Tu, che sei stato più duro e cattivo di tutti gli altri. -

-Volevo solo arrivare in finale! - piagnucolò Benji – Non me ne fregava un cazzo di come stavi tu, hai capito? Stavi rovinando tutto!! E la cosa che mi aveva fatto incazzare di brutto, era che... -

Benji si interruppe di colpo.

-Che...? - lo incalzò Holly.

Benji chinò il capo.

-...che eri pure meglio di lui. - continuò. - Ross era una pippa in confronto a quello che potevi fare tu, cazzo, e l'aveva pure capito. E tu stavi buttando tutto all'aria con i tuoi ridicoli sensi di colpa. Non potevo permetterlo. - Alzò la testa e fissò Oliver negli occhi. - Ti odiavo lo stesso, ma pensavo che tu fossi il migliore, ok? L'ho sempre pensato, e lo penso anche adesso. E questo è tutto. Nemici come prima, per favore? -

A questo punto Holly rimase in silenzio a fissare il compagno di squadra per un paio di minuti buoni. E la cosa bella fu che il portiere non riusciva ad abbassare gli occhi.

-Benji – disse Holly – Ti rendi conto di quanto siamo ridicoli? Io non ti ho mai odiato, mi hai costretto tu a farlo in questi giorni; per carità, capisco benissimo perchè ma posso anche tornare indietro... Perchè non ci mettiamo una bella pietra sopra e la facciamo finita? Visto che abbiamo appena scoperto di stimarci, potremmo detestarci un po' più cordialmente... -

Benji si guardò intorno con aria circospetta.

-Ok, ma non dirlo a nessuno. - rispose.

-Tanto ci hanno sentito tutti -

-Preferisco una tregua. -

-Ok, che tregua sia... -

-Non siamo amici. Solo in tregua. -

-Va bene, ho capito!! Mi puoi stringere la mano, adesso? -

Molto lentamente, quasi temendo che i compagni di squadra lo vedessero, Benji tese la mano a Oliver, che la strinse sorridendo.


Alla fine del primo tempo, il clima tra i componenti nazionale giapponese era molto più rilassato, anzi, i ragazzi erano decisamente su di giri.

-UIIII...AR DE CEMPIOOOOONS...ops, scusa!!- stonò Patrick Everett balzando sulle spalle di Julian (credendolo ovviamente Mark), facendogli rovesciare sui calzoncini la bottiglietta d'acqua che stava stappando.

-Che Freddie Mercury ti fulmini, cretino! - lo apostrofò Julian – Chi mi passa un asciugamano? -

Ed Warner glie lo lanciò in faccia ridendo.

-Ehi ehi, non portiamo sfiga! - azzardò Bruce – Non è che dobbiamo cantar vittoria solo perchè siamo sopra di sei gol... -

Mark mise un braccio attorno alle spalle del ragazzo. - Amico, tu hai passato troppo tempo con Holly – gli disse – Queste cazzate le ho sentite dire solo da lui! - Poi si sedette, tossicchiando.

Benji, quello vero, ridacchiò. - Stavolta dobbiamo dargli ragione, eh, Benji? - disse, dando di gomito all' (ormai) amico, che ovviamente non aveva capito.

-Sì, in effetti non erano così pericolosi come sembravano – ammise il non più preoccupatissimo Ralph Peterson.

-Più che altro, non si aspettavano che fossimo noi ad essere pericolosi – disse Paul Diamond.

-Beh, se vogliamo dirla tutta non me l'aspettavo nemmeno io – ammise Tom Baker – Mark, Julian, avreste potuto dirci che avevate deciso di invertire la vostra tecnica di gioco! -

-Beh, abbiamo preferito farvi una sorpresa... - rispose Mark, bevendo ancora per farsi passare quella strana raucedine.

-Io avrei...noi avremmo preferito che risparmiassi un po' le energie, però – disse Julian mentre passava dietro le spalle del ragazzo dirigendosi nello spogliatoio – E che ti ricordassi che non sono un centravanti di sfondamento, io... - gli disse poi, a denti stretti, dandogli uno scappellotto prima di scendere le scale. Mark mandò di traverso l'acqua e si mise di nuovo a tossire come un dannato.

-COFF, COFF...scusa se ho rovinato il tuo record di fair play... COFF! -

-Eh? - disse Clifford Yuma, senza capire.

-COFF...dicevo...che...COFF, COFF...da che pulpito viene la predica! -

Philip guardò il compagno di squadra, un po' preoccupato. - Julian, ti senti bene? - disse.

-Ma sì, ma sì, COFF, COFF...COFF!! -

I ragazzi si guardarono in silenzio, preoccupati.

-Insomma...COFF...non si può nemmeno più tossire in pace?! Adesso mi passa...COFF, COFF!! -

Stavolta era Mark che stava cominciando a preoccuparsi. Quella tosse non era normale, per un piccolo sorso d'acqua andato di traverso, non accennava minimamente a passare.

Anzi, sembrava stesse aumentando.

Benji si avvicinò d'istinto al ragazzo, tra gli sguardi timorosi dei compagni, e cominciò a battergli con la mano sulla schiena.

-Julian, che diavolo ti prende...? - disse.

Mark si teneva una mano sulla gola, e con l'altra sembrava volersi strappare il collo della maglia per incamerare anche un solo filo d'aria in più. Non tossiva più, ma nemmeno riusciva a respirare; boccheggiando, si aggrappò a Benji un attimo prima che le gambe gli cedettero.

-JULIAN!!! - gridò il ragazzo, sorreggendo l'amico e cercando di tenergli dritto il busto.

Tutto il resto accadde alla velocità della luce.

Richiamato dalle grida, Colby, che si era allontanato un attimo per telefonare, accorse immediatamente.

-Santo cielo...Julian!! - esclamò sgomento, chinandosi velocemente verso il ragazzo per tastargli il polso giugulare.

I compagni di squadra, terrorizzati, gli si accalcarono intorno.

-State indietro, non vedete che non respira?! Chiamate un medico, cazzo!! CHIAMATE UN MEDICO!!! - sbraitò Benji angosciato, schiaffeggiando l'amico.

-Volo! – disse Holly, sconvolto, precipitandosi verso l'infermeria. Per poco non investì il vero Julian, che, essendo appena uscito dallo spogliatoio, non capiva cosa stesse succedendo.

Gli bastò un attimo per capire.

Oh, no. No, no, disse tra sé e sé, correndo verso i compagni.

Spinse via Philip e Bruce, sconvolti, e quando vide se stesso a terra, boccheggiante e cianotico, tra le braccia di Benji che cercava disperatamente di fargli aria, gli si gelò il sangue nelle vene.

Per un attimo il cervello gli si svuotò del tutto, poi, quasi d'istinto, si precipitò negli spogliatoi, più veloce che potè.

Il suo incubo peggiore stava prendendo forma.

TI prego, fa' che se ne sia ricordato...

Cercò la borsa di Mark, la sua borsa, e dopo averla trovata ne rovesciò il contenuto sul pavimento e cominciò a frugare alla ricerca disperata di qualcosa che non trovò.

Si rialzò e diede un calcio alla borsa, urlando di rabbia.

-Lo sapevo! Lo sapevo, brutto imbecille!! -

Senza perdere un attimo, imboccò in fretta e furia il corridoio che portava dagli spogliatoi all'infermeria e incrociò Holly e il giovane medico che lo seguiva, fonendoscopio alla mano, senza riuscire a bloccarlo per dirgli cosa avrebbe dovuto fare. Julian lo sapeva bene, cosa fare, ma era nei panni di Mark; e chi avrebbe dato ascolto a Mark in un momento come quello?

Con il cuore che gli martellava nel petto entrò nell'infermeria e si gettò sull'armadietto dei farmaci, una piccola vetrina, chiusa a chiave, in cui scatole e flaconi erano stati messi alla rinfusa, senza nessuna previsione d'utilizzo in emergenza. Cercò di aprirla, in preda alla disperazione, sentendosi sempre più impotente; poi, in preda alla rabbia che gli rigava il viso di lacrime, avvolse la mano nella maglietta, sfondò il vetro e afferrò il flacone della furosemide e una siringa.

Presto, presto, presto.

Doveva essere velocissimo, perchè Mark non ne avrebbe avuto ancora per molto. Corse verso le panchine più in fretta che potè, aprendo la confezione della siringa con la mano sanguinante, e dopo aver fatto un rapido calcolo a mente aspirò il dosaggio del farmaco che gli sembrava corretto.

Giunto al capannello che i ragazzi avevano formato intorno a Mark si bloccò, pallido come uno straccio. Benji, scosso dai singhiozzi, lo stava sorreggendo, mentre il giovane dottore gli asucultava inutilmente il petto. Mark era cianotico e quasi incosciente.

A Julian sembrò di essere sotto vuoto spinto, incapace perfino di respirare; l'unico pensiero che gli rimbalzava in testa era che Mark stava morendo. Chiuse gli occhi, inspirò profondamente senza smettere di tremare e da quel momento la sua concentrazione fu tutta per l'amico. Si fece largo a spintoni tra i compagni di squadra, ignorando chiunque si trovasse tra lui e Mark.

Ignorò Colby, che gridava al telefono allertando le unità coronariche di tutti gli ospedali della zona, in attesa dell'ambulanza.

Ignorò Holly che cercava di far allontanare Benji da Mark, temendo che ostacolasse le inutili manovre del medico, e Benji stesso che non voleva saperne di lasciare il compagno e imprecava contro tutti.

Ignorò i compagni, pallidi e tremanti dal terrore, completamente impreparati di fronte ad un simile evento.

E ignorò perfino Amy, che appena si era accorta di quanto stava succedendo si era precipitata in campo, e ora chiamava Julian piangendo disperatamente e tendendo le braccia verso di lui, mentre Philip, con gli occhi lucidi, cercava di trattenerla...

Giunto davanti al corpo esanime dell'amico, strattonò con forza il medico, allontanandolo da lui.

-Si tolga di mezzo!! - gridò. L'uomo barcollò e cadde a terra imprecando, tra gli sguardi sconvolti e stupefatti dei ragazzi.

Poi, con gesti rapidissimi, quasi meccanici, stappò la siringa con i denti, sollevò il calzoncino dell'amico e gli ficcò l'ago nella coscia.

Mark lanciò un grido strozzato e gorgogliante, poi perse definitivamente conoscenza.






...e anche questa fatica è terminata! Come al solito non ne sono affatto soddisfatta...l'ultima parte, soprattutto, avrei voluto che fosse più drammatica e meno frettolosa. Temo di aver disimparato a scrivere, in tutti questi anni di attività altalenante...

Ad ogni modo, la storia è prossima alla conclusione, che arriverà con il capitolo 23. E che arriverà con moooooolta calma, come al solito! Mi dispiace abusare della vostra pazienza, ma purtroppo il tempo che ho a disposizione anche solo per pensare a cosa scrivere è veramente poco...per cui ringrazio tutti quelli che con infinita pazienza mi hanno aspettato e incoraggiato in questi lunghissimi mesi (in particolare Benji79 e Hilary, fedelissimi e preziosi)! Vi voglio bene!

Al prossimo capitolo

RubySage

PS: Uh, a proposito. Ho ritrovato in un libro un accenno all'idea del medico che, volendo curare tutti indifferentemente dal portafogli è sospettato di essere comunista, più o meno come ha detto Mark a Julian due capitoli fa. Il libro, se non ricordo male, è “Ritratto in seppia” di Isabel Allende. Volevo precisarlo onde non si pensi che si tratta di una scopiazzatura. Il libro l'ho letto da poco, il capitolo è stato pubblicato parecchio tempo prima. Evidentemente la pensiamo alla stessa maniera su certi argomenti ma ovviamente non pensate che abbia voluto mettermi sullo stesso piano di una scrittrice vera ;-)









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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Capitolo 22

 

 

 

Il funerale di Julian era gremito di gente. Mark si guardò intorno, immerso nella folla che aveva letteralmente invaso villa Ross, incontrando solo facce stanche e segnate dal dolore; avanzò nel grande salone in cui era stata approntata la veglia funebre, camminando meccanicamente, con uno strano suono lontano che gli rimbombava in testa annullando ogni suo pensiero e il brusio delle voci dei partecipanti in sottofondo.

Vide Amy, che indossava un kimono bianco in segno di lutto, come la madre di Julian, e piangeva sommessamente pronunciando frasi che Mark non riusciva a capire.

Non riusciva a capire niente, a dire la verità. Sapeva che avrebbe dovuto quantomeno fermarsi, dire qualcosa alla ragazza, ma non poteva. Fisicamente, non ci riusciva proprio, come se delle mani invisibili lo stessero spingendo avanti.

Continuò a camminare verso la bara, passando in mezzo a parenti e amici, tra cui i suoi stessi compagni di squadra che lo scrutavano immobili. Abbassò la testa per non sentire i loro sguardi di rimprovero, in fin dei conti se Julian era morto era anche colpa sua, ma sapeva che quelli non erano sguardi di rimprovero. Sembrava che si stessero chiedendo cosa ci facesse lui lì.

Facendosi largo tra la folla raggiunse la bara in cui era stato composto il cadavere dell'amico, e man mano avanzava il rumore si fece più forte, una specie di musica che da dolce diventava quasi violenta, e la sua testa ronzava e il ronzio non se ne sarebbe andato in caso lui non sapesse che...

Che...?! Che diavolo...

Spinse via le ultime persone che si frapponevano tra lui e la bara, mentre qualcuno gli ricordava che “le nostre ombre sono più grandi delle nostre anime”, e mentre qualcun'altro gli urlava in un orecchio di comprare una scala per il paradiso, si appoggiò ai bordi della bara e vide che lì dentro, disteso, non c'era Julian.

C'era lui.

Poi tutto scomparve.

 

Mark riprese conoscenza molto, molto lentamente.

Non sapeva dove si trovasse, né se fosse vivo o morto. Sentiva solo uno strano, indefinibile ronzio in testa.

La gola gli bruciava, ma si sentiva troppo debole perfino per dire la parola “acqua”.

Così non va, Mark Landers, si disse. Così non va. Sei o non sei la Tigre? Cosa direbbe Jeff Turner di te, adesso?, disse una vocina dentro di lui.

Mark, ancora confuso, ci pensò un attimo, poi disse alla vocina che Jeff Turner poteva anche andarsene affanculo.

Che diavolo era successo? Non era mai stato così male in vita sua.

Cercò di aprire gli occhi, ma la poca luce che filtrava attraverso le palpebre glie li feriva; rimase così, respirando piano, gli occhi a meno di mezz'asta, finchè non vide un'ombra chinarsi su di lui.

Il ronzio sparì.

- Bentornato, imbecille - disse una voce anche troppo nota.

Mark tentò di sollevare una mano per ripararsi gli occhi dalla luce fioca e, lentamente, mise a fuoco il volto che gli stava di fronte.

Il suo, ovviamente.

Julian stava seduto in fianco a lui e lo guardava sorridendo.

Mark girò lentamente la testa e si guardò intorno.

- Ti ho tolto il walkman. Riesci a sentirmi? -

Mark annuì, ancora incapace di parlare.

- Bene – disse Julian – Spero che non ti abbia dato fastidio. L'idea è stata del primario. Un Notturno di Chopin. Secondo le teorie di questo postaccio, la musica classica stimolerebbe non-so-che centri del sistema nervoso e aiuterebbe i pazienti a riprendersi. Sarà anche vero, ma appena l'infermiera se n'è andata ho cambiato il cd e ti ho sparato i Led Zeppelin. A volume moderato, ovviamente. Mi pare che abbiano funzionato meglio, no? -

- Mmmh... - biascicò Mark – Preferivo i...Depeche Mode... -

- Eretico – ridacchiò Julian - Non bestemmiare. Non sei nella posizione migliore per farlo... -

Mark fissò per un breve istante l'amico; nonostante il tono calmo e scherzoso della voce, il suo viso era stanco e tirato in modo poco tranquillizzante. Girò la testa e chiuse di nuovo gli occhi, cercando di sentire il ritmo del suo stesso respiro.

Sono ancora vivo, pensò.

Ma gli ci vollero cinque minuti buoni per riuscire ad articolare una frase.

- Dove...dove sono? - disse infine, con voce roca, dopo aver respirato profondamente.

- All'ospedale Aiiku di Tokyo. Stanza 212, reparto di cardiologia. Sei appena uscito da terapia intensiva, a dire la verità. Come ti senti? - disse Julian.

- Come...come se fossi passato sotto ad uno schiacciasassi – sussurrò Mark, intontito – Mi fa male la gola... -

- E' normale, non preoccuparti. Ti hanno tolto il respiratore un'ora fa. E, prima che tu me lo chieda, sono le tre del mattino. Hai... “dormito” sedici ore di fila, e solo tu potevi risvegliarti a quest'ora, razza di rompiballe! -

Mark strinse gli occhi e schioccò le labbra, in preda ad una leggera nausea.

- Guarda...guarda che lo so -

- Cosa...? - disse Julian, sorpreso.

- Che...sei rimasto ad...ad aspettarmi... -

Julian sorrise. - Non sono mica l'unico, cosa credi? Tutta la squadra è rimasta in giro per l'ospedale finchè ti hanno dichiarato fuori pericolo. Più Amy e i miei genitori, ovviamente, che sono ancora qui. -

Mark inspirò profondamente. Non era ancora abbastanza cosciente per fare all'amico tutte le domande che avrebbe dovuto (e voluto) fare. Tranne la più banale.

- ...Com'è andata la partita? -

- Abbiamo stravinto, anche se nessuno aveva la minima intenzione di tornare in campo dopo che ti avevano portato in ospedale, inclusi i thailandesi. Eravamo tutti un po' sconvolti, sai... -

- Mi dispiace. Mi dispiace tanto. -

- Lascia stare. Quel che conta è che sia andato tutto bene. Ti stai riprendendo alla svelta, mi pare!-

In effetti Mark sembrava migliorare ogni minuto che passava. Forse era riuscito a trasmettere al corpo di Julian un po' della sua tempra...

- I ragazzi se...se ne sono andati tutti? -

Julian scosse la testa. - Holly e Benji hanno voluto rimanere qui fuori a tutti i costi. Non si sono allontanati un secondo... -

 

 

Il portiere e l'attaccante erano davvero rimasti per tutta la notte fuori dalla stanza in cui Mark era stato ricoverato.

Si erano parlati pochissimo, lo stretto necessario, sembravano essersi a malapena accorti della presenza dell'altro, e se ne stavano seduti da ore a guardare nel vuoto, aspettando notizie che andavano e venivano.

Holly guardò Benji con aria stanca. - Vuoi del tè? - domandò.

- Un altro? No, grazie – rispose Benji, stravolto – Piuttosto, com'è che sei ancora qui? -

Holly guardò l'orologio, poi si stirò le braccia. - Uhm, forse ho bevuto troppo tè – disse, con un sorriso tirato sulle labbra – Ma forse sono ancora qui perchè non mi hai mandato a quel paese nemmeno una volta...e ti faccio notare che mi hai pure detto grazie! Se non fosse il momento sbagliato ci sarebbe da festeggiare... -

Benji se ne stette zitto per un paio di minuti, durante i quali nemmeno Holly aprì bocca, entrambi con lo sguardo perso nel vuoto.

- Beh, insomma...pensavo fossi rimasto per Julian... - disse poi Benji, dimesso.

Holly guardò il compagno di squadra, facendo quasi fatica a riconoscerlo. Si chiese dove fosse finito il Benji borioso, attaccabrighe, sicuro di sé che aveva quasi detestato fino a qualche ora prima; non era di sicuro quello che vedeva, stanco e preoccupato, con l'aria di uno a cui era appena mancata la terra sotto i piedi. Non sapeva perchè, ma ebbe quasi un moto di affetto verso di lui; e, pensandoci bene, forse non era davvero solo per Julian che era rimasto in ospedale fino a quell'ora.

- Beh, anche, ovvio. Tu come ti senti? - chiese, aspettandosi una corso di recupero di insulti in risposta.

Invece si sbagliava.

- Non lo so – rispose Benji, scuotendo la testa – Giuro che non lo so. E' stato pazzesco, prima. -

- Perchè non te ne torni in albergo? - disse Holly – Sei stravolto. Ormai va tutto bene, Julian è fuori pericolo. -

- Lo dici tu – rispose Benji – Io non mi muovo finchè non lo vedrò uscire da quella stanza sulle sue gambe. -

- Va bene – ribattè Holly – Allora resto anch'io. -

Benji sgranò gli occhi. - Ma perchè mi devi rimanere appiccicato a tutti i costi?! -

- Perchè potresti aver bisogno di me, non si sa mai... -

- Bisogno di te?! Oh, per l'amor del cielo...sono grande abbastanza per arrangiarmi, sai? -

Holly lo ignorò e inspirò profondamente, stiracchiandosi.

- Sai...non prendertela, ma.... - disse.

- Ma...? -

- Non mi sarei mai aspettato una reazione del genere da parte tua. Per quello che è successo a Julian, voglio dire. -

- E cos'avrei dovuto fare?! - ribattè Benji allargando le braccia – Lasciarlo crepare?! Mi...mi stava morendo tra le braccia, capisci? Dovevo fare qualcosa... -

La voce gli si ruppe.

- ...se solo avessi saputo cosa. Grazie a Dio Mark è arrivato in tempo, altrimenti...cazzo, mi sono sentito un idiota... -

- Nessuno di noi sapeva che fare – disse Holly – Nemmeno il medico, a quanto ho visto. Mark è stato davvero incredibile; è proprio vero che certe persone non si conoscono mai abbastanza... -

Benji strinse gli occhi lanciando a Holly uno sguardo enigmatico. - Ogni riferimento è puramente casuale, vero? -

Holly rise. - Certo che no! Non ti ho mai visto così preoccupato. Non sembri nemmeno tu! -

- Non lo sembro perchè sono te. Forse stare nel tuo corpo mi sta contagiando, chissà. -

- Devo prenderlo come un complimento? -

- Vedi tu... - disse Benji sospirando.

- Ad ogni modo, quando Mark uscirà da lì dovrà rispondere ad un bel po' di domande. -

Benji mise una mano sulla spalla di Holly e lo guardò con occhi molto, molto stanchi.

- Senti – disse – Non credo sia il momento per fare domande di nessun tipo. Mark ha salvato la pelle a Julian mentre noi ce ne stavamo a guardare, e questo mi basta. Per conto mio lo dobbiamo solo ringraziare, quindi guai a te se cominci ad assillarlo con le tue cazzate, ok? Avrà fatto un corso di pronto soccorso per corrispondenza. Fine della storia. Ora mettiti buono e aspetta. -

Holly sorrise tra sé e sé, guardando nel vuoto.

- Sai cosa mi è venuto in mente? - disse – Jessica Rabbit, quando dice “Non sono cattiva, è che mi disegnano così”. -

- Certo, e tu non sei un rimbambito, è che ti disegnano così – ribattè Benji. Stava pensando veramente quello che aveva appena detto, ma era il classico tipo che non ama dare soddisfazione a nessuno.

- Non parlavo di me... – disse Holly, che forse non aveva colto una cippa.

-Certo, e io non avevo capito. Va' avanti, magari mi consolo un po'. -

- ...ho capito benissimo cosa sei. -

- Stronzo – puntualizzò Benji alzando il dito.

- Sì, anche stronzo, forse. Però credo che sotto quella scorza da duro ci sia del buono. Anzi, ne sono convinto. Non capisco perchè continui a recitare la parte della carogna, ma non penso che ti stia divertendo più di tanto. -

- Oddio – replicò Benji, pensieroso – A prenderti per il culo in tutti questi anni mi ci sono divertito parecchio, se devo essere sincero. -

Holly cincischiò con il bordo della maglietta, confuso. - Beh – disse – Mettiamola così: mi sembra di aver capito che sei uno che dice quello che pensa. Se non avessi pensato quello che mi hai detto ieri, in panchina, non me l'avresti detto, giusto? -

Benji ci pensò su un attimo.

- Sì – rispose – Sì, è così. Mi secca ancora ammetterlo ma è così. -

- E se proprio non te ne fregasse niente di Julian non saresti rimasto qui. -

Benji non rispose. Colpito di nuovo.

- E se davvero mi detestassi mi avresti mandato a quel paese qualche ora fa... -

- Ok, ok, affondato – tagliò corto Benji – Hai fatto un'analisi completa della mia personalità schizofrenica. A cosa sei arrivato? -

- Tu non sei cattivo, è che ti disegni così. -

Benji guardò un attimo Holly, poi scoppiò a ridere.

- Altre perle di saggezza? - disse.

- Ma è vero, non prendermi in giro! Tu sei una persona sensibile e dal cuore d'oro, ma preferisci nasconderti dietro ad un mantello di arroganza, cattiveria, egocentrismo... -

- Va bene, grazie tante, ho capito! - sbottò Benji, un tantinello seccato – Quasi quasi mi pento di averti manifestato la mia stima, cazzo! -

- Insomma, anche se ogni tanto fai lo stronzetto in realtà sei un pezzo di pane, ecco. - terminò Oliver – Lo penso davvero. E ora puoi tornare a trattarmi male, tanto lo so che non fai sul serio. -

Benji se ne stette zitto per un attimo, fissando il pavimento con fare meditabondo.

- Sai cosa mi fa incazzare di più di te? Che sei un inguaribile ottimista – disse infine.

Holly non se la prese, perchè l'aveva detto ridendo.

- Cerco solo di vedere i lati migliori delle persone – rispose – E trovare i tuoi non è stato facile, te l'assicuro! In fondo, ma proprio in fondo, sei un bravo ragazzo. E se Julia ti avesse visto solo qualche ora fa, forse... -

- Oh, lascia perdere – lo interruppe Benji, sconsolato – Quel treno l'ho perso da un pezzo. -

Holly si rabbuiò. - Naah, niente è mai peduto... -

- Stavolta sì. Mi dispiace per te, ma di donne non ne capisci abbastanza per immaginare quando una storia è finita ancor prima di iniziare. Julia mi odia perchè mi sono comportato da imbecille, e purtroppo ha ragione. Chiuso. Quindi ti ringrazio, ma smettila di preoccuparti per la mia vita sentimentale. Pensa alla tua, piuttosto! -

- Beh, non è che abbia molto a cui pensare...

- Potresti, se la piantassi di occuparti solo di quel merdoso pallone e ti dessi un'occhiata in giro! -

Holly ci pensò su un momento. - Certo che...insomma, non so come dirlo... -

- Prova a dirlo e poi vediamo se l'hai detto bene – disse Benji con un sorriso amaro. Il compagno di squadra, nel frattempo, era arrossito come un peperone.

- Mi vergogno un po' ad ammetterlo, ma...quando eravamo da Philip e Patty è uscita dal bagno con l'asciugamano...insomma, era carina, no? -

- Carina? Tutto qui? - disse Benji – Era una sventola da far paura! Era la prima volta che la vedevo senza quel cazzo di tuta da manager! Lo vedi che hai tutte le fortune, maledetto? -

Holly cadde dalle nuvole. - Fortune? Ma che stai dicendo? -

Benji sospirò, rassegnato al candore del compagno di squadra. - Sto dicendo che Patty è molto carina e che è follemente innamorata di te. Il che ti concede un certo vantaggio, non credi? -

- Innamorata? Credi davvero che...? -

Benji cominciò a soffiare nuvolette di fumo dalle narici.

- Ok, ok! In effetti, ora che ci penso, potrebbe essere che le piaccia un po'. Quindi, secondo te, dovrei...darmi da fare? -

- Beh, non è che te lo abbia consigliato il dottore. Intanto comincia a capire se Patty ti piace veramente o no. -

Holly arrossì di nuovo e si dondolò da una chiappa all'altra, sulla panca. - Sì, insomma...credo di sì. E poi lei fa tante cose per me...solo...solo vorrei esserne davvero sicuro. -

- Allora dai retta ad un cretino e buttati, carciofo che non sei altro, prima che qualcun'altro te la soffi. Sai che l'amore è eterno finchè dura, vero? -

Holly ignorò quest'ultima frase, o forse fece finta di non averla sentita. Pensava veramente a Patty da qualche giorno, e, cavolo, gli mancava, non solo per le sue attenzioni, ma semplicemente per la sua presenza. E si sentì stupido per non averla degnata di uno sguardo quando ce l'aveva vicina, a casa di Philip. Evidentemente la regola per cui si apprezza qualcosa (o, in questo caso, qualcuno) solo quando lo si perde valeva anche per lui.

- Sai cosa farò, Benji? - disse infine.

- No. Cosa? -

- Quando torneremo nei nostri corpi... -

- Se ci torneremo. -
-
Se ci torneremo, chiederò a Patty di uscire con me. -

- Ecco, questa è una buona idea. -

- Magari a mangiare un gelato. -

- Magari. O al cinema. -

- Credo che sarebbe contenta, no? -

- Certo che sarebbe contenta. Sono sette anni che non aspetta altro! -

- E' che...non so cosa potrebbe piacere a Patty. Magari preferirebbe andare a ballare... -

- Senti - disse Benji – Portala dove ti pare, al ristorante, al cinema, falle vedere uno di quei film melensi che fanno impazzire le ragazze. Basta che non la porti ad una partita di calcio, ok? -

- Uh...dici?

- Dico, dico. -

- Ok, niente partite. Ma...Benji... -

- Che c'è? -

Holly tentennò, temendo quasi di fare quella fatidica domanda. - E...se non ci tornassimo più, nei nostri corpi? Cosa credi che succederebbe? -

Benji tenne lo sguardo basso, cincischiando con l'orlo della maglietta.

- Fino a ieri ti avrei risposto che non ci volevo neanche pensare perchè la sola idea mi metteva i brividi – disse, in tono dimesso – Ora...non lo so. Credo che sarà quel che sarà. Non ho mai smesso di sperare che le cose tornassero come prima, ma mi sto arrendendo all'idea. Per cui, comunque vada, tanti auguri e trattami bene. Quel che conta è che siamo ancora qui... -

- E ci siete anche da troppo. Volete il cambio? -

Holly e Benji si voltarono contemporaneamente, ma mentre Holly arrossì fino alla radice dei capelli, Benji impallidì.

- Ehm...ciao Patty! - balbettò Holly – Che ci fai qui? -

- La stessa cosa che state facendo voi – rispose Patty con un sorriso – Solo che noi siamo riuscite a riposarci un po'. -

Benji non disse nulla e non riuscì nemmeno ad alzare lo sguardo dal pavimento. Accanto a Patty, Julia lo fissava con occhi severi.

- Eravamo in sala d'attesa con Amy, finalmente si è assopita un po' – disse la ragazza – Di là le poltroncine sono un po' più comode. E voi come state? -

- Abbastanza b... -

- E tu, Benji? - disse Julia senza nemmeno aspettare che il povero Holly finisse la frase.

Il portiere della nazionale alzò la testa, tirò su col naso e trovò il coraggio di guardare in faccia la ragazza.

- Guarda che non lo devi chiedere a noi. Io, per conto mio, sto anche troppo bene. – rispose duramente.

- Certo, come no – ribattè Julia con voce tagliente – E stai tremando perchè fa freddo, giusto? -

- Beh, l'aria condizionata è un po' forte, ma... - disse Holly ingenuamente come al solito.

Patty lo interruppe, cercando di salvare la situazione.

- Holly, che ne dici se andiamo a prendere del tè per Benji e Julia? -

- A Benji l'ho chiesto prima e ha detto che non ne vuole... -

- CHE DICI SE ANDIAMO A PRENDERE DEL TE' E MAGARI LI LASCIAMO SOLI PER UN PO'?! -

- Subito – disse Holly terrorizzato, saltando giù dalla panchina a orecchie basse.

Capitano e manager della New Team si allontanarono in direzione del distributore automatico di bevande calde, in fondo al corridoio, lasciando Julia e Benji a fare i conti con i loro rimorsi.

 

 

Intanto, nella sua stanza, Mark inspirò a fondo e cercò, inutilmente, di raddrizzare la schiena, ma crollò sul cuscino.

- Stai fermo e buono – intervenne Julian cercando di aiutare l'amico a mettersi a sedere.

- E'...è stato tremendo – disse Mark - Mi sembrava di annegare, cazzo... -

- Beh, l'idea è quella. Si chiama edema polmonare acuto cardiogeno. In pratica, una valvola del tuo (anzi, del mio) cuore non funziona bene, la pressione a monte aumenta, i polmoni si riempiono di liquido e... -

- Ti prego, risparmiami i particolari, non sono nelle condizioni di seguirti... - lo interruppe Mark – Giuro che se esco da qui non ti prenderò mai più per il culo...Dio mio, che cretino che sono... -

- Eh, non c'è male – ribattè Julian con malcelata ironia.

- Cosa...? -

- Niente, niente... -

Mark schioccò le labbra secche. - Potrei...avere un po' d'acqua? -

- Certo, aspetta. - Julian prese il bicchiere dal comodino e lo riempì per un poco, poi lo avvicinò alle labbra di Mark, che lo afferrò con mano tremante.

- Stai fermo, ci penso io – disse Julian aiutando l'amico a bere – Fai piano, non strozzarti. -

Mark bevve due piccoli sorsi, poi allontanò la testa dal bicchiere e spostò lo sguardo sulla mano fasciata di Julian, che glie lo reggeva.

- Che...che hai fatto? - disse.

Julian si guardò la mano fasciata. L'adrenalina di quel terribile momento gli aveva fatto da anestetico; avrebbe potuto anche morire dissanguato senza accorgersene, se un infermiere dell'equipe che aveva prelevato Mark non gli avesse fatto notare che forse era il caso di medicarsi quei tagli e magari di fare anche un'antitetanica.

- Uh...niente – rispose.

-Non si direbbe...anche quella è colpa mia? -

- Uff, lo sai che parli troppo per essere appena tornato nel mondo dei vivi? - sbuffò Julian ridendo – E poi sono io che mi devo preoccupare per te, non il contrario! -

- Ok - sussurrò Mark chiudendo gli occhi – Vuoi che ti dica come sto...? Mi fa male tutto, la testa, la gola...perfino la gamba...come se mi ci avessero dato una martellata... -

- Quella è colpa mia, scusami. Non ho mai avuto la mano leggera per le iniezioni. -

- Iniezioni? Cosa...cosa diavolo mi hai iniettato? -

- Un diuretico piuttosto potente. Temo di aver esagerato un po' con la dose, ma tutto sommato ha funzionato, per fortuna. -

Mark lo guardò con sospetto, capendo a fatica. - Diuretico? Che...che cacchio c'entra un diuretico con il cuore...? -

- C'entra, c'entra. Il liquido che avevi nei polmoni...doveva pur uscire da qualche parte, no? -

Mark spalancò gli occhi. - Vuoi dire che...oh, no, che figura... - si lasciò cadere sul cuscino coprendosi gli occhi con un braccio. - Che figura, cazzo... -

- Rilassati, che ti si stacca la flebo! E comunque non l'ha notato nessuno. Erano tutti completamente nel pallone. E poi, ti faccio notare, la “figuraccia” l'avrei fatta io, non tu. Ora Mark Landers è praticamente l'eroe del giorno... -

Mark smise di piagnucolare e spostò il braccio, puntando l'occhio scoperto in faccia a Julian.

- Mi...mi stai dicendo che sei stato tu a salvarmi la pelle?! -

- Così pare... - disse Julian con un filo di imbarazzo – A dire la verità io ho fatto ben poco. Questo ospedale ha un'unità coronarica con le contropalle. -

Mark strabuzzò lo sguardo, cercando di rimettere insieme tutti i pezzi. - Un...un diuretico per far uscire il liquido dai polmoni...che si accumula per...ma come cazzo fai a sapere tutte queste cose?! Ti sei laureato in medicina senza dirmelo?! -

- Diciamo che in questi anni mi sono informato parecchio. E poi... - Julian lanciò a Mark uno sguardo degno di un boss di Cosa Nostra. - ...nella mia (e sottolineo mia) situazione, prevenire è meglio che curare... -

Mark emise un gemito e chiuse gli occhi. La testa gli girava come un derviscio. - Perdonami. Cazzo, sono proprio un imbecille. Ti ho quasi mandato all'altro mondo, sono passato per un eroe e tu sei ancora qua a dirmi parole gentili. Se io fossi stato in te, probabilmente ti avrei lasciato lì a crepare... -

- No, sono sicuro che non l'avresti fatto. -

- Lo vedi?! Sei quasi irritante! -

- Non preoccuparti, avrò tutto il tempo per spaccarti la faccia quando sarai uscito da qui! -

Julian rise, e anche Mark l'avrebbe fatto, se non fosse stato sorpreso da un colpo di tosse. Sbarrò gli occhi, ricordando i terribili momenti che aveva vissuto sedici ore prima.

- Calma, calma, il peggio è passato! – disse Julian battendogli una mano sulla coscia sbagliata.

Mark sobbalzò dal dolore. - Non...non lì, ti prego! -

- Scusa – disse Julian ritraendo subito la mano – Devo averti fatto un bel livido, là sopra... -

- Sempre meglio che trovarsi un metro sotto terra. I tuoi genitori...come l'hanno presa? -

- Sconvolti. Mia madre ha avuto una crisi isterica appena ha messo piedi qui dentro. Per fortuna i medici l'hanno tranquillizzata...Non ti ha mollato un attimo fino a quando non ti hanno tolto il respiratore. E' un miracolo che sia riuscito a convincerla a darle il cambio...Credo che lei e mio padre stiano riposando da qualche parte. Non te lo nasconderò, Mark, eravamo tutti molto, molto preoccupati. -

- Immagino. E Amy...? -

Julian si rabbuiò. - Amy...sta bene, adesso. Non è stato facile convincerla che le cose si erano sistemate e tu...io ero fuori pericolo. Anche perchè, fino a qualche ora fa, non lo sapevo nemmeno io. Dannazione, è stato straziante... -

Mark deglutì. La voce di Julian aveva iniziato a tremare in maniera appena percettibile, ma abbastanza perchè Mark, che conosceva decisamente bene la propria voce, se ne accorgesse.

- ...Urlava, piangeva, ti...mi chiamava, e non potevo fare un accidente per calmarla – continuò Julian - E sai qual'è stata la cosa peggiore di tutte? Che non l'ho degnata neanche di uno sguardo fino a quando ti hanno portato via con l'ambulanza. -

Se fino ad allora Mark si era sentito in colpa per quello che aveva combinato, in quel momento si sentì una vera merda. - Julian, non ricominciare con la sindrome del buon samaritano...io, da bravo idiota, ci stavo lasciando le penne, e tu...tu ce le avresti lasciate con me. Solo che io non me ne rendevo conto, tu sì. E dev'essere stato tremendo. Vedersi morire...non farmici neanche pensare. Ci mancava solo di dover pensare agli atri. Credimi, fratello...posso capire come ti sei sentito e non hai idea di quanto mi dispiaccia. Ma non darti colpe che non hai; penso che nessuno abbia mai vissuto una situazione così assurda, e in tutto questo...tu avevi la precedenza...e per conto mio avevi e hai ancora tutto il diritto di essere terribilmente preoccupato per te... -

- Ma io non ero preoccupato per me, imbecille! - sbottò Julian alzandosi in piedi – Ero preoccupato per te!! -

Mark spalancò gli occhi e seguì con lo sguardo Julian, che si era messo a camminare nervosamente su e giù davanti al letto.

- Quando ti ho visto boccheggiare e diventare cianotico...non stavo vedendo me stesso crepare, stavo vedendo te... Non mi è venuto in mente neanche per un istante che il funerale sarebbe stato il mio, né ho pensato alla situazione assurda in cui mi sarei trovato dopo. In quel momento eri tu, solo tu che rischiavi la vita...e io...io dovevo fare qualcosa. Non potevo lasciar morire così il...il migliore amico che avessi mai avuto... -

Inspirò profondamente e si passò una mano sul viso, come se volesse togliersi la maschera che non aveva. Poi tornò a sedersi accanto al letto di Mark che, sbalordito, era incapace di dire una parola.

- In queste ore ho pensato molto alla nostra situazione – disse – E ho pensato anche a tutto quello che mi hai detto in questi giorni. A questo punto, non credo che le cose torneranno come prima, per cui vorrei chiederti una cosa, anche se credo che non servirà a niente. -

- E tu chiedimela lo stesso, non si sa mai – disse Mark.

Julian tacque per un istante, cercando di trovare le parole. - Alla luce di quello che è successo, tu...tu rinunceresti al calcio? Per sempre? Non te lo chiedo per me. Te lo chiedo, prima di tutto, per Amy. Avevi ragione, sono stato un idiota, per giunta cieco. Credo di aver calpestato abbastanza i suoi sentimenti. E poi...e poi per te, diavolo. Devi darti una bella regolata, altrimenti non andrai molto lontano. -

Mark non rispose, e continuò a fissare l'amico.

- So che non ho il diritto di chiedertelo – continuò Julian – In fin dei conti ora la mia vita è tua e viceversa, e non posso pretendere che tu la viva come me... -

- Non l'ho mai fatto, Julian – sussurrò Mark, ma il ragazzo non lo sentì.

- ...ma ti chiedo solo di non far soffrire Amy. Credo di dover rinunciare a lei per sempre, ormai, a meno che non si innamori di Mark Landers... -

- Julian... -

- ...quindi...oh, diavolo, lascia perdere. Sono uno stupido. Non ho davvero il diritto di chiederti niente. Solo...solo stai attento, ecco. In fin dei conti mi hai tolto da un guaio enorme, e ti sarò grato per tutta la vita per questo. Ma te lo ripeto, cerca di non farti del male...e non far soffrire Amy, d'accordo? Altrimenti, amico o non amico, ti faccio un culo così! -

Mark rise debolmente, anche se aveva il magone.

- Che cacchio c'è di divertente, me lo spieghi?! - sbottò Julian, irritato.

Mark si schiarì la gola. -Julian, mentre tu ti sei sbattuto alla grande per me...io ho giocato con la tua vita facendo quello che volevo. E non mi sono reso conto, fino ad ora, di quanto ti ho mancato di rispetto. E tu di rispetto ne meriti molto più di quanto non creda... Sono fiero di te, e sarò fiero di essere Julian Ross per tutto il tempo che ci vorrà. E non me ne frega niente se non potrò più giocare a calcio...ho guadagnato qualcosa di molto più prezioso ed importante. -

Quando Julian alzò la testa, Mark vide che aveva gli occhi lucidi.

- Non che mi riempia di gioia l'idea di lasciare il calcio. Ma la vita è così. Certe cose che si perdono, ma spesso se ne trovano altre migliori. E adesso vieni qua, disgraziato... – disse il capitano della Toho allargando piano le braccia.

Julian si chinò e strinse l'amico nell'abbraccio più caloroso che avesse mai ricevuto in vita sua.

- Piano, che ti si stacca la flebo – disse, tirando su col naso.

- Me l'hai già detto, rompiballe – rispose Mark, con un groppo in gola – Lo sai che ti voglio bene, vero? -

- Mh, mh – mugugnò Julian. Se avesse provato a dire qualcosa di senso compiuto sarebbe sicuramente scoppiato in lacrime, un po' per la tensione e un po' per l'emozione.

- Perdonami – continuò Mark.

- Per cosa? - disse Julian, senza lasciare la stretta.

Mark sospirò. - Ma ci sei o ci fai? -

- Scusa – rispose Julian – Sarà la tensione... -

- Ok, ma se non allenti la tensione sul mio collo finirai il lavoro che ho iniziato io... -

Julian si alzò, ridendo di sollievo insieme all'amico.

Mark tossicchiò e si appoggiò di peso sul cuscino. - Promettimi solo che avrai cura di mamma e dei ragazzi – disse – e anche di Maki. Non è stata troppo fortunata con me, ma tu sei di un'altra pasta. Cerca di renderla più felice di quanto ho fatto io, ok? Oppure mollala. Lascia che si trovi qualcosa di meglio. -

Julian arrossì e si sentì un egoista. Nel suo vortice di pensieri alla fine di quella maledetta attesa non c'era stato il minimo posto per la famiglia di Mark e per la sua ragazza.

- Scusami – disse – Hai ragione, non sono il solo ad avere il diritto di dettare condizioni. Ma non ti preoccupare, comunque andrà farò del mio meglio. -

- Basta che continui come hai fatto finora – aggiunse Mark.

Julian sorrise e strinse forte la mano che l'amico gli tendeva. - So che non ho bisogno di dirtelo, ma...vieni a trovarci quando vuoi – disse, calmo e rassegnato.

- Ovvio che lo farò! E vale anche per te, lo sai... -

Julian si ritrasse e incrociò le braccia.

- Bene – disse – Ora è meglio se cerchiamo di riposare sul serio. Sto crollando anch'io, e oltretutto l'orario di visita è terminato da un pezzo, se mi beccano gli infermieri... -

- Oh, non preoccupatevi! – disse all'improvviso una voce stridula – Ci ho pensato io a metterli a nanna! -

I due ragazzi si voltarono di scatto. Sulla soglia si trovava un omino calvo in camice bianco, che guardava i due con aria sorniona.

- E lei chi diavolo sarebbe?! - esclamò Julian.

- Questa l'ho già sentita un po' di tempo fa, non è vero signor Landers? -

Mark alzò una mano tremante. - Julian! - esclamò con voce strozzata – E'...è lui!! -

- Lui chi...?! -

- Io. Sì, sono proprio io. - L'omino svolazzò verso il letto, sotto lo sguardo attonito dei due ragazzi, calcandosi sulla testa una bombetta estratta da sotto il camice con un movimento rapidissimo.

- Evsebius, per servirvi. Ci siamo rimessi in sesto alla svelta, vedo! -

Julian, la bocca spalancata, era incapace di dire una parola. Mark strinse gli occhi, fumando di rabbia. - Ti...ti dovrei ammazzare, brutto bastardo... - disse – Non puoi immaginare l'inferno che ci hai fatto vivere! -

- Quindi...? - disse Evsebius guardandosi le unghie con la massima nonchalance.

- Quindi cosa?! - rispose Mark.

- Quindi cosa volete? Che il contratto di prova sia esteso a tempo indeterminato? Perchè, sapete, non mi piace l'idea di essermi preso il disturbo di tornare a sistemare le cose se, evidentemente, preferite che rimangano così... -

- Sta dicendo che è qui per far tornare tutto come prima?! - intervenne Julian, in uno slancio di entusiasmo.

- Niente tornerà come prima, signor Ross – rispose Evsebius – Tutto è cambiato, mi pareva fosse chiaro: ma non necessariamente le cose sono cambiate in peggio. E se non ve ne siete accorti, beh...forse è il caso di prolungare ancora un po' la lezione... -

- Per carità!! - esclamarono Mark e Julian all'unisono. I due ragazzi si guardarono, imbarazzati; poi si lasciarono andare ad una risata liberatrice.

- Senza offesa – disse Julian – Ma avremmo parecchie cose da sistemare al ritorno nei nostri corpi. Per cui credo sia meglio mettere la parola “fine” a questa avventura prima possibile, vero Mark? -

- Certo che sì – rispose il capitano della Toho, quasi senza pensarci – Ho imparato la lezione, Evsebius, se quello che volevi quando ho accettato la tua offerta era capire che non è tutto oro quello che luccica... -

- ...e che dai diamanti non nasce niente – intervenne Julian, canticchiando – Dal letame nascono i fior...come diceva qualcuno. -

Mark lo guardò storto. - Mi stai dando del letamaio? - disse, piuttosto contrariato.

- Parlavo in senso metaforico, idiota – sbuffò Julian.

- Beh, comunque sia ne sono lieto. L'unica cosa che mi dispiace è di non essermi fatto qualche grassa risata in più. Ve la siete cavata decisamente bene, ma non siete stati affatto divertenti. E ora, se non avete altro da aggiungere, avrei una certa fretta... -

- Ma come - disse Mark – Hai messo in piedi tutto questo casino...e non ti prendi due minuti per farci la morale? -

- La morale ve la siete già fatta da soli, e mi risulta che ve la stiate facendo da tempo – rispose Evsebius, seccato – Quanto a me, detesto perdere tempo in cose inutili, specialmente quando non mi divertono più. Come ha già detto, signor Ross, l'orario di visita è terminato da un pezzo. Oltretutto devo sistemare altri due poveri disgraziati, quindi, se non vi dispiace, chiudete gli occhi...-

- Ma... -

- Che c'è? Non ditemi che avete cambiato idea! -

- No...però... - tentennò Mark guardando Julian.

Il ragazzo sbuffò. - Perchè devi farla tanto lunga?! -

- Perchè? Ehm... -

- Vuota il sacco. Ma in fretta. -

- Me li presti ancora i tuoi cd? -

Julian volse lo sguardo al cielo. - Ti presto tutto quello che vuoi, ti affitto anche camera mia, se ti va, ma ora fai come ti ha detto quel...quel coso!! -

- Ok. Ah, Evsebius... -

- Che diavolo c'è ancora?! - sbottarono il genietto e Julian, sempre più impaziente.

Mark si fece piccolo piccolo. - Volevo...volevo solo sapere se sentiremo qualcosa... -

- Hai sentito qualcosa quando sei finito nel mio corpo? - disse Julian.

- Beh, no, ma... -

- Allora cosa diavolo vuoi sentire adesso che sei mezzo moribondo?! Chiudi gli occhi, animale!! -

Mark, un po' timoroso, obbedì. Sì, Julian aveva fatto un po' troppi progressi per i suoi gusti.

- Molto bene – disse Evsebius osservando i ragazzi – E' stato un piacere conoscervi. Per voi un po' meno, forse, ma sono sicuro che tutto questo non vi sia dispiaciuto troppo. E ora...buon viaggio. -

Forse chi dei due provò la sensazione peggiore durante il “passaggio” fu Julian. Prima un leggero formicolio alle mani, poi un leggero giramento di testa, infine una sensazione di profonda spossatezza.

Aprì piano gli occhi e tentò di sollevare una mano che gli sembrò pesante come piombo; la guardò, per essere certo che tutto fosse tornato al suo posto, poi guardò Mark che aveva a sua volta aperto gli occhi e sembra va stare osservando ogni centimetro del suo corpo, come se lo vedesse per la prima volta, cono un sorriso incredulo stampato sulle labbra. Poi tentò di sollevarsi un po' dal cuscino, ma ricadde pesantemente sulla schiena. Non si era mai sentito così debole, e si chiese come avesse fatto Mark ad essersi ripreso così alla svelta.

Mark si chinò verso di lui, per cercare di aiutarlo. - Piano – disse, tenendolo per le spalle e sistemandogli il cuscino dietro la schiena. Le mani e la voce gli tremavano per l'emozione.

- Va tutto bene – sussurrò Julian, temendo che il cuore gli balzasse fuori dal petto dalla gioia – Va tutto bene... -

- Sì – disse Mark – Finalmente va tutto bene. -

I due ragazzi si guardarono un attimo, ancora increduli. Julian aveva il fiato corto, la gola che gli bruciava ma non stava più nella pelle. Si guardò in giro per la stanza.

- Se n'è andato? - disse.

- Evsebius? Sembrerebbe di sì... -

- Meglio. Com'è che tu eri già pronto per saltare giù dal letto e tornare a casa? -

- Forse mi ero davvero portato dietro qualcosina di me – rispose Mark – Mi dispiace di non averti lasciato niente... -

- Mi hai lasciato più di quanto immagini... – rispose piano Julian.

I due restarono un istante in silenzio, e ognuno dei due sapeva esattamente quello che l'altro stava pensando.

- Vuoi che vada a chiamare Amy? - disse Mark.

Julian annuì.

 

 

 

- Si capisce già chi comanda tra quei due, eh? - disse Julia facendo cenno a Patty con la testa. Poi si sedette accanto a Benji, che rabbrividì nuovamente.

- Se le cose andranno come dovrebbero andare, Patty dovrà rivalersi di parecchio... - rispose il ragazzo.

Julia sorrise.

- E' stato bello quello che hai fatto per Julian. - disse.

- Bello? Non direi, non ho fatto un accidente. Bah, non importa. Come l'hai saputo? -

- Non l'ho saputo, l'ho visto. - Julia alzò l'indice verso il soffitto. - Ero di sopra, in gradinata, vicino a Patty. -

Benji ci rimase di sasso.

- Ah. Credevo te ne fossi tornata a casa. - rispose.

- Infatti ci sono tornata. Abito qui, a Tokyo. -

- Buono a sapersi. Vorrà dire che eviterò accuratamente di tornarci. -

Julia sbuffò. - Perchè devi recitare sempre la parte dello stronzetto...? -

- Perchè sono così, ok? Mi dispiace. Non sono una persona migliore solo perchè mi hai visto piangere su un compagno di squadra moribondo. Quelli si chiamano nervi fragili. Sono esattamente come tu pensi che sia, uno stronzo. -

- Se fossi veramente uno stronzo non saresti qui. - Benji rimase un po' interdetto da quell'ultima frase.

- Mi stai ripetendo le stesse fesserie che ha detto il tuo amore prima – disse – Non avete molta fantasia, voialtri romanticoni, eh? E poi ti ricordo che sei stata tu la prima a dirmelo. -

- Beh, può darsi che mi sia sbagliata. Almeno in parte. E comunque Oliver non è il mio amore. -

- Ah, no? Cos'è cambiato, adesso? -

- Da quando ho conosciuto voi ho imparato a guardare oltre le persone. E ti devo dire che, beh, lui è un ragazzo squisito, ma non è proprio il mio tipo... -

Benji ridacchiò.

- ...insomma, un'infatuazione capita! -

- Dillo a quella poveretta di Patty! - continuò Benji tra una risata e l'altra.

- Patty ha molta, moltissima pazienza – disse Julia, seriamente. - Ci ha messo degli anni, ma ora credo che abbia capito come prendere i ragazzi come lui. -

- E grazie a Dio non ce ne sono molti... - ironizzò Benji abbozzando un sorriso a cui Julia non rispose.

- Se ce ne fossero di più il mondo sarebbe migliore, credo. -

Benji sbuffò. - Benissimo – disse – Aggiungi pure che se ci fossero meno persone come me sarebbe perfetto, già che ci sei. -

- Ma perchè devi metterla sul personale?! -

- Perchè è quello che intendevi, giusto? Vi conosco, voi donne; non vi piace dire quello che pensate senza giri di parole, così parlate tutto il tempo per sottointesi sperando che il fesso di turno capisca esattamente quello che intendete. Se non succede, e non succede mai, ve la prendete a morte e ci accusate di essere insensibili, di non vedere ad un palmo dal naso e tutte quelle altre cose cretine che vi piacciono tanto...quindi, per favore, visto che non sono in vena, dimmi in faccia quello che vuoi dire e smettila di torturarmi!! -

- Ti stai torturando da solo, idiota!! - sbottò Julia. - E mi sembra di averti detto in faccia tutto quello che pensavo di te giusto pochi giorni fa, a casa di Philip. Se credi che sia qui perchè ho voglia di perdere tempo a ripetertelo ti sbagli di grosso! -

Benji cercò di bofonchiare una frase di senso compiuto, senza riuscirci.

- Quello che avrei voluto dire prima che psicanalizzassi a sproposito l'intero genere femminile, è che spesso le persone si conoscono poco alla volta, e le si scopre nelle situazioni più assurde. -

- Come il trovarsi nel corpo di qualcun altro? -

- Anche. O nell'affrontare un'emergenza improvvisa. -

Benji si strofinò gli occhi stanchi. - Torniamo al discorso di partenza. Avrebbe potuto esserci chiunque al mio posto, io ero lì solo per caso; ma anche se non sono una tale merda da abbandonare un amico in pericolo di vita, questo non fa di me una persona migliore. E' stato l'istinto, va bene? -

- Guarda che non ti devi mica difendere... -

- Non mi sto difendendo!! - sbottò Benji alzandosi in piedi.

Julia non si mosse e non smise di fissarlo. - Abbassa la voce – disse – Siamo in un ospedale. -

Benji si sedette, come per obbedire ad un ordine sottointeso.

- E non parlavo di questo. Parlavo del fatto che non ti sei mosso da qui per tutto il tempo, e accanto a te c'era la persona che detesti di più al mondo. -

Benji avrebbe urlato, se avesse potuto. - Sai che tu e Hutton vi assomigliate più di quanto pensassi?! - disse, esasperato – Mi avete detto le stesse, identiche cose! Perchè non cerchi ancora di farlo innamorare di te, così vi levate dalle palle e mi lasciate una volta per tutte in pace a riflettere su quanto sono cretino?! -

- Non ti prendo a sberle solo perchè sei stanco e sconvolto e non sai quello che dici – disse Julia senza battere ciglio.

Benij si appoggiò allo schienale della panca e sbattè la testa contro il muro, sospirando dolorosamente.

- Perchè non mi lasciate stare? - piagnucolò – Voglio solo meditare su tutte le stronzate che ho fatto. Mi piacerebbe provare ad essere una persona migliore, ma non ce la farò mai se tu e quell'altro angioletto continuate a farmi la morale su quanto di buono io abbia nel profondo del mio animo, perchè, per quanto mi sforzi di cercare nel profondo del mio animo non riesco a trovare niente, capito? Niente. Il buio totale. Non ne valgo la pena, me l'hai anche fatto capire abbastanza chiaramente, quindi...quindi lasciami perdere, ok? -

- Un'altra ragazza lo farebbe. Io no. Anche perchè si capisce lontano un chilometro che non è quello che vuoi. -

- Oh, ti prego, ho avuto anche troppe lezioni di psicologia spicciola per oggi! -

Julia cominciò a spazientirsi. - Non è psicologia; ti sto solo offrendo una seconda possibilità, ma mi sembra di capire che preferisci crogiolarti nell'autocommiserazione. Per cosa, non l'ho ancora capito. - Si alzò e fece per andarsene. - Ci vediamo, Benji. Se ci ripensi, dillo a Philip, ti darà il mio numero di telefono. Cerca di non metterci troppo tempo a decidere, però. Le buone occasioni se ne vanno così come vengono. -

Riuscì a fare due passi, solo due passi prima che Benji la fermasse.

- Aspetta, Julia, per favore! -

Il portiere si era alzato di scatto e aveva afferrato la ragazza per un braccio. L'aveva afferrata, ma aveva mollato subito la presa, come un cane che mordicchia la caviglia del padrone per avere la sua attenzione: e allo stesso modo Benji guardava la ragazza con occhi imploranti.

- Per favore – continuò, in tono più sommesso, ma spaventato, sorreggendosi con una mano alla porta della stanza di Julian – Scusami. Non ci capisco più niente, sono distrutto, vorrei dormire ma ho il terrore di quello che potrebbe accadere dietro questa porta. Senza contare che sono un cretino, lo sai. Ma non fino a questo punto. Se vuoi davvero concedermi una seconda possibilità...io la prenderò al volo e mi leccherò pure le dita. Ma non qui, non adesso. Quando sarà tutto finito e sarò di nuovo in grado di ragionare. Fino ad allora...insultami, scuotimi, prendimi a schiaffi ma non lasciarmi da solo con me stesso. Davvero, non so cosa potrei combinare. Credo che riuscirei anche a picchiarmi. -

Julia gli sorrise dolcemente. - Allora Holly ha fatto bene a rimanere – disse – Avevi bisogno di qualcuno che ti difendesse dalle tue azioni... -

- Forse sono diventato davvero schizofrenico, sì – rispose Benji – ma credo che mi ci abituerò. -

Julia rise. - Io no – disse – Ma conosco un'eccellente terapeuta! -

- Sono nelle tue mani – ribattè Benji ridendo a sua volta.

Più che nelle sue mani, probabilmente sarebbe stato tra le braccia di Julia, se solo Mark non avesse spalancato la porta della stanza a cui il ragazzo era appoggiato. Benji fece un volo di fianco, bestemmiando in aramaico; Mark lo guardò un paio di secondi, poi lo scavalcò è uscì dalla stanza.

- Mark, che succede?! - esclamò Julia.

Il ragazzo, sorpreso, guardò prima la ragazza, poi Benji che si rialzava senza smettere di imprecare, poi di nuovo Julia.

- Ancora qui, voi? - disse, con fintissima nonchalance. - Tutto bene. Il...il bell'addormentato si è svegliato. Dov'è Amy? -

- In sala d'attesa, con i genitori di Julian. Dio, che bella notizia! Come... -

Ma Julia non fece in tempo a finire la domanda che Mark si era già precipitato in fondo al corridoio. La ragazza lo guardò sparire oltre la porta a vetri, poi si voltò verso il povero Benji, massaggiandogli la testa, preoccupata.

- Ti sei fatto male? -

- No...ehm...anzi, un pochino...dov'è andato quel caterpillar? - bofonchiò Benji gongolando sotto il leggero tocco delle dita di Julia.

- A chiamare Amy. Santo cielo, che bernoccolo...vuoi che ti porti una pezza bagnata? -

- No, non ce n'è bisogno... - Benji stava per cominciare a fare le fusa. - Ecco, un pochino più a destra... -

Julia sorrise e il massaggio si trasformò in una delicata carezza.

- Ci stai provando? - disse, sorridendo.

- Cosa te lo fa pensare? -

Ad un tratto il ragazzo sentì un formicolio alle mani, poi un leggero giramento di testa.

- Oddio – disse – Non sarà mica un ematoma cerebrale?! -

- Non fare il deficiente – rispose Julia, allarmata, prendendo il viso pallido di Benji tra le mani – Stai male? -

- Mai stato meglio – disse Benji con una strana espressione ebete dipinta in faccia. Poi chiuse gli occhi, e l'ultima cosa che ricordò fu che Julia lo chiamava per nome, scuotendolo per le spalle.

L'ultima cosa che vide stando nel corpo di Holly, ovviamente.

Perchè quando riaprì gli occhi si trovò al distributore automatico di bevande, con un tè in mano e Patty che lo guardava in maniera strana.

- Holly? Hai capito cosa ti ho detto...? -

- No – rispose Benji, pallido come un cadavere, guardandosi le mani.

- Ho detto che “Shaolin soccer” non mi attira molto, che ne dici di “Notting Hill”...? -

- NoooooooaaaAAARGH!!! - ruggì Benji, dopo aver capito cos'era successo – Perchè proprio adesso?! PERCHE'?! -

Patty spalancò gli occhi, incapace di dire una parola. Poi si portò le mani al viso e scoppiò a piangere e ridere contemporaneamente.

Quel che disse Julia quando Holly, il vero Holly tutto intero, le propose di andare a vedere “Shaolin soccer” (prima di rendersi conto che lei non era Patty) non è riportabile per questioni di decenza.

 

 

Quando Mark fece irruzione in sala d'attesa, i signori Ross e Amy si presero un colpo. La manager della Mambo si alzò di scatto dalla sedia, pallida e spettinata. - Mark, cosa... - disse, con voce tremante.

- Belle notizie – disse Mark con il fiatone – Scusatemi. E' tutto a posto, davvero. Julian si è svegliato... -

Ashely Ross scoppiò in lacrime e si strinse contro il marito, il quale la abbracciò con un calore che la donna non ricordava da tempo.

- ...e vorrebbe vedere Amy. -

La ragazza rimase immobile per qualche secondo, come se non avesse capito le parole di Mark, che la guardava, aspettandosi una reazione di qualsiasi tipo. Che tenerezza gli faceva; piccola, magra e spaventata, quasi riusciva a vederle il cuore martellare nel petto.

Amy si voltò titubante verso i genitori di Julian, aspettando un cenno da parte loro.

- Vai – le disse Gregory sorridendo. Ashley annuì, singhiozzando di gioia, e la ragazza corse via, travolgendo quasi Mark.

Il ragazzo rimase a guardarla con aria assente, sentendosi sempre più leggero, incredulo.

- Mark. Mark Landers. -

Mark si girò verso Gregory Ross.

- Sei Mark Landers, vero? -

Cazzo, sì, eccome, stava per rispondere, ma si trattenne. - Sì...sì, signor Ross, sono io. -

- So che sei un buon amico di Julian – disse Gregory – E quello che hai fatto l'ha dimostrato molto chiaramente. -

- Julian ha fatto molto di più per me, signore – rispose Mark.

Gregory rise. - Non credo...tu gli hai salvato la vita. Io e mia moglie non sappiamo come ringraziarti per quello che hai fatto per nostro figlio. -

- L'avrei...l'avrei fatto in ogni caso. - disse Mark, piuttosto imbarazzato – Non dovete ringraziarmi di nulla, davvero. -

- Invece no. So che sei un bravo ragazzo e che la tua famiglia al momento ha qualche difficoltà, Julian mi aveva anche chiesto di occuparmi di una questione di malafede in cui siete rimasti intrappolati. Te l'avrei detto con calma dopo la partita, se non fosse successo tutto questo. Potete stare tranquilli. Quell'uomo vi restituirà fino all'ultimo centesimo. -

Mark avrebbe voluto piangere.

I genitori di Julian passarono rapidamente oltre, lasciandolo lì con gli occhi persi nel vuoto.

Non poteva credere che l'incubo fosse finito del tutto. Eppure qualcosa gli mancava, in mezzo a tutte quelle assurdità.

- Mark? -

Alzò la testa, convinto di trovarsi in un flashback; Maki lo guardava torcendosi le mani, la faccia stanca e preoccupata ma sorridente.

Ecco cosa gli mancava.

- Sono venuta appena ho potuto – disse – Ed mi ha telefonato appena arrivato in ospedale; sono riuscita per miracolo a prendere l'ultimo traghetto per Ube, ma di Shinkansen neanche l'ombra... -

Mark continuava a guardarla senza dire nulla.

- Stai bene? - disse Maki accarezzandogli il torace con una mano.

Sempre senza dire una parola, il ragazzo la attirò a sé e la strinse forte tra le braccia, tremando. Maki si lasciò andare e ricambiò quell'abbraccio, senza provare nemmeno a capire.

- Il mio piccolo temporale personale – le disse infine Mark.

Maki sorrise. - Ed mi ha raccontato tutto – disse piano – Sei un eroe, Mark Landers...e io sono così fiera di te... -

Mark non fece nemmeno caso a quelle parole. - Mi sei mancata, lo sai? -

- Mark, era solo una settimana... -

- Per me è stato molto di più. Ma non so bene come dirtelo... -

Maki gli si strinse contro lasciandosi cullare. - Beh, potresti dipingermi un quadro... -

- Eh?! - Un quadro?! Che cacchio aveva combinato Julian?!

Maki lo guardò, un pochino contrariata, e si sciolse dal suo abbraccio. - Un quadro. Per mostrarmi come ti senti. Insomma non te la ricordi più?! -

Mark sospirò. Ok, si disse, alle grane ci penserò più tardi.

- No, piccola, non mi ricordo. In questo momento ho altre cose per la testa. -

- Per esempio? -

- Per esempio il tuo anello di fidanzamento. Non ti aspettare sberle in platino tempestate di diamanti, eh? E' il simbolo che conta. -

Maki lo guardò, sbalordita. - Anello?! -

- Beh, ho pensato che stiamo insieme da un po' troppo tempo per non cominciare a mettere in piedi qualcosa di serio. Non è che sappia esattamente da che parte cominciare, ma da qualche parte si dovrà, non credi? -

- Mark, non ho parole... -

- Beh, ce le ho io per tutti e due. Se sei riuscita a resistere fino ad ora insieme a me vuol dire che potrai resistere ancora qualche anno, giusto il tempo di finire gli studi emettere da parte qualche soldino. La ruota ha cominciando a girare per il verso buono, finalmente. Che ne dici? -

Maki fece una strana smorfia, poi si buttò di nuovo tra le braccia del suo fidanzato, singhiozzando rumorosamente.

- Ok, lo prendo per un sì - disse Mark – Allora, come ti piacerebbe l'anello? Ripeto, per favore, niente solitari... -

- Non me ne frega niente – disse Maki tirando su col naso - Anche uno trovato nelle patatine... –

Mark sorrise, finalmente sereno, poi gli venne un dubbio improvviso.

- Maki... -

- Sì? -

- Non è che volevi un quadro, vero? -

La ragazza scoppiò a ridere. - Ma quanto sei stupido! -

- Ehi, io dicevo sul serio... -

- Anch'io. E ora baciami. -

 

 

Amy fece lentamente capolino dalla porta. Guardò Julian, gli occhi chiusi, il volto pallido, il braccio, di traverso sull'addome, da cui spuntava la cannula della flebo. Entrò nella stanza provando una stretta al cuore nel vedere il ragazzo che amava in quelle condizioni, ma contemporaneamente ringraziò il cielo che fosse vivo.

- Amy... – disse piano Julian, socchiudendo gli occhi.

- Sono qui – rispose la ragazza. Si avvicinò al letto e prese la mano che lui, debolmente le tendeva.

Amy sorrise, sentendo quella mano stringere la sua con la poca forza che ancora aveva. Poteva sentire il suo cuore battere in quella stretta, battere piano ma battere.

Non avrebbe perso Julian, lo sapeva fin dall'inizio.

In quelle ora interminabili in sala d'attesa non aveva mai pensato un solo istante a cosa sarebbe successo se lui fosse morto. Consciamente o inconsciamente non voleva nemmeno prendere in considerazione quell'ipotesi.

Julian doveva vivere perchè troppe cose erano rimaste in sospeso, e lei non poteva più aspettare.

Figuriamoci se avrebbe aspettato per sempre...

Julian alzò la testa e la guardò negli occhi.

- Mi dispiace, piccola... – disse piano - Ti ho fatto prendere un bello spavento, vero? -

- Non mi ci abituerò mai – rispose Amy con un sorriso tremante.

- Oh, non lo dovrai fare... - Julian deglutì faticosamente. - Credo che sia ora di finirla con il calcio...e pensare a cose più importanti. -

Amy strinse le labbra e trattenne il respiro; non voleva piangere, o forse non voleva che lui la vedesse piangere.

- Ti amo, lo sai? -

- Sì – disse Amy chinandosi a baciarlo, mentre una lacrima le scivolava furtiva sulla guancia – Lo so. -

Julian, che aspettava quel momento da anni, chiuse gli occhi; il suo debole cuore traboccava di gioia. Ma il suo ultimo pensiero, prima che le labbra di Amy si schiudessero sulle sue, non fu il viso della ragazza con cui, lo sapeva, avrebbe condiviso il resto della sua vita; pensò che quel momento non ci sarebbe stato se non ci fossero stati tutti gli altri, il suo arrivo a casa di Mark, i suoi fratellini, sua madre, Maki, il lavoro all'edicola, il piano bar.

Perchè, in realtà, quello che aveva creduto il peggiore degli incubi era la felicità camuffata.

Mark sarebbe stato orgoglioso d lui, come lui lo era stato di Mark.

Questo era ciò che pensava quando la porta si spalancò.

- Julian!...ops... -

Amy si ritrasse all'istante, arrossendo vistosamente.

A proposito di Mark...

- Che vuoi ancora? - disse Julian sorridendo all'amico che aveva fatto capolino.

- Ehm...l'hai detto tu a Maki che volevi dipingerle un quadro...? -

- Era una canzone, Mark. Una stupidissima canzone. -

- Ah. Una canzone. Perfetto. -

- Poi ti spiego. -

- Ok. Scusate. - sussurrò infine Mark scomparendo di nuovo dietro la porta.

Amy aggrottò la fronte, guardando un po' storto Julian.

- Beh, tutti hanno la loro canzone – disse Julian amiccando alla ragazza.

- Ah sì? E la nostra quale sarebbe? -

- Uhm...”Hungry heart?” -

- Spiritoso – disse Amy baciandolo nuovamente. E stavolta nessuno li avrebbe interrotti.

 

 

 

 

Ok, precisiamo subito che questa storia non è ancora finita, anche se, in pratica, lo è. Ci sarà ancora un breve epilogo e poi potrò mettere la parola fine a qualcosa che è rimasto in sospeso da troppo tempo.

Ufficialmente “Se io fossi in te” è su EFP dal 16 luglio 2003, ma era già presente nel sito quando l'inserimento delle ff non era ancora stato automatizzato. Di sicuro, quindi, da 7 anni, se non di più.

In sette anni cambiano tante cose, e in primis sono cambiata io; le mie storie hanno sempre riflettuto molto i miei stati d'animo e soprattutto, non essendo io assolutamente costante in nulla, le mie passioni del momento. Ho smesso di scrivere per molto tempo, e quando ho ricominciato non ero più quella di prima.

Questo per chiedervi scusa se questo (di fatto) ultimo capitolo vi ha deluso. Ha deluso anche me, perchè non è come avrei voluto che fosse. Forse avrei fatto meglio a cancellare questa storia, ma mi sono sentita in debito verso chi l'ha seguita fedelmente e con pazienza in tutti questi anni. VI dovevo un ultimo capitolo, e vi assicuro che ci ho lavorato parecchio e con molta fatica. Che il risultato non sia buono mi dispiace, ma per me è importante che esista, perchè è un altro passo avanti per portare a termine quello che ho cominciato.

Ma non ne sono orgogliosa: sono convinta che avrei potuto fare di meglio, ma so anche che quel meglio non sarebbe mai arrivato.

E' giunto il tempo di iniziare altre storie, storie più adatte a come sono adesso; non cresciuta, semplicemente un'altra Ruby con altre storie ^_^

Paroloni a parte, adesso mi sento più libera di lavorare ad altre storie: è in cantiere una one-shot (più o meno) comica, e ne ho scritta un'altra decisamente più deprimente, per un contest che finirà a metà gennaio. Poi ho in ballo ancora qualcosa su “Il signore degli anelli” (anche lì una lunga storia da terminare...).

Alla fine di tutto potrete dirmi se preferite la nuova Ruby o quella vecchia!

Comunque sia, grazie a tutti, di cuore. Anzi, no, i ringraziamenti alla fine e questa non è ancora la fine ^_-
Rubysage

(Ah, dimenticavo: la canzone che Mark ascolta in sogno, all'inizio del capitolo, è ovviamente “Stairway to Heaven” dei Led Zeppelin, mentre, nella stanza d'ospedale, Julian canticchia “Via del campo” di Fabrizio De Andrè.)

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Capitolo 23
*** Epilogo ***


Epilogo

 

 

 

Il campanello suonò nel bel mezzo di “Drive all night” e di un complicatissimo problema su tangenti, cotangenti e chi più ne avesse più ne mettesse.

Oh, 'fanculo, pensò Mark sbuffando.

- Mamma, vai tu? -

- No – rispose la signora Landers dalla cucina.

Mugugnando, Mark sbattè il libro sul tavolo e spense la radio. Odiava essere interrotto mentre faceva finta di studiare.

Stiracchiandosi, andò ad aprire la porta.

- Desidera...Julian?! - esclamò, preso alla sprovvista.

- Mark?! - ribattè il ragazzo, anche lui incredulo – Santo cielo, pensavo di aver sbagliato casa! Che diavolo ci fai con gli occhiali? -

Amy si portò una mano alla bocca, per soffocare una risatina.

Mark avrebbe voluto rispondergli con una battuta, ma era troppo sorpreso di trovarsi davanti i due giovani amici, felici e sorridenti e con due grossi zaini sulle spalle. Non si vedevano da due mesi, anche se in quell'arco di tempo si erano sentiti diverse volte; la distanza e l'impegno che i due ragazzi stavano mettendo nel sistemare le loro vite avevano giocato contro il loro reciproco affetto, ma non avevano comunque avuto la meglio su di esso.

- Mi servono solo per leggere – disse infine, togliendosi gli occhialetti tondi dalla montatura dorata e pulendoseli nella maglietta.

- Ti stanno molto bene! - disse Amy – Ti danno un non so che da intellettuale... -

- Più che altro sembri John Lennon! - disse Julian.

Mark rise e abbracciò l'amico.

- Come stai, tigre? - disse Julian.

- Benone – rispose Mark dando una manata sulla spalla del ragazzo e chinandosi verso Amy per baciarla sulle guance.

- Sei sempre splendida, Amy – disse. Guardò ancora un istante Julian. - E tu...beh, ti trovo da Dio! – rise, facendo entrare i due ragazzi.

In effetti quel disgraziato era riuscito a diventare ancora più bello; aveva un'espressione tranquilla e rilassata come non mai, il viso quasi abbronzato e, se l'occhio non ingannava Mark, aveva anche messo su qualche chiletto. Quanto ad Amy, era semplicemente radiosa.

- Sono davvero contento di vedervi! - disse, aiutandoli a sistemare gli zaini nell'ingresso - Che ci fate da queste parti? -

-Siamo in vacanza – disse Julian, che si era già accomodato beatamente sul divano in soggiorno. Il capitano della Mambo incrociò le mani dietro la testa e si lasciò sprofondare tra i cuscini. - La nostra prima vacanza... -

- Abbiamo fatto un giretto per tutto il Giappone – disse Amy sedendosi accanto al suo fidanzato.

- In aereo? - chiese Mark.

Julian scosse la testa. - Treno, tenda e sacco a pelo – disse.

- Sacco a pelo?! -

- E traghetto – lo corresse Amy.

- Alla faccia del mal di mare! - aggiunse Julian, strizzando l'occhio a Mark – Non è stato molto clemente stamattina! -

- Tua madre l'avrà presa benone, immagino... - disse Mark sorridendo all'idea che l'amico si stava finalmente godendo la tanto sospirata libertà con la ragazza di cui era innamorato.

- Beh, dovrà farci l'abitudine! Non ho intenzione di fermarmi qui! - ribattè Julian.

- Figlio degenere... - disse Mark con fintissimo disappunto – Allora, dovete raccontarmi tutto! Ragazzi, davvero non sapete quanto mi fa piacere che siate passati di qua! Aspettate un attimo, dico a mamma di aggiungere un paio di posti a tavola. Quanto vi fermate? -

- Non ci fermiamo – disse Julian – Mi dispiace, Mark. Dobbiamo essere a Tokyo entro stasera. -

- Un momento – disse Mark, deluso – Siete appena arrivati e già ve ne andate? -

Amy sorrise. - Julian ha un...impegno musicale. -

Mark guardò l'amico con gli occhi spalancati dallo stupore. Se avesse potuto, gli avrebbe messo in bocca le parole. - Non mi dirai che... -

- Al gruppo del cugino di Amy manca un tastierista – disse Julian, quasi emozionato – Stasera ho il provino. -

- E'...è grandioso! - disse Mark – E il sassofono? -

- L'ho rivenduto – rispose Julian con una punta di rammarico nella voce – Non faceva per me. -

- Peccato, però. Era un bello strumento. Ma, pensandoci...forse è meglio così. Complimenti! - disse Mark battendo un cinque all'amico.

- Aspetta a dirlo, non mi hanno ancora preso! -

- Lo faranno, fidati! Allora, come avete trovato Kyushu? -

- Veramente siamo appena sbarcati... – rispose Amy.

Mark spalancò gli occhi. - Un momento, come sarebbe “sbarcati”? Non ditemi che vi siete fatti il viaggio in traghetto da Honshu solo per venire a salutarmi e ripartire? -

- Più o meno – disse Julian alzandosi dal divano – Diciamo che oggi era una giornata...come dire...speciale. Non potevamo mancare. -

Il ragazzo aprì lo zaino e ne estrasse un pacchetto piatto e quadrato, accompagnato da una grossa busta bianca, che porse all'amico.

- Buon compleanno, Mark – disse – Lo so che è domani, ma domani non avremmo potuto essere qui. -

Mark arrossì fino alla radice dei capelli rigirandosi il regalo tra le mani, gli occhi lucidi per l'emozione.

- Il...il mio compleanno! - balbettò, felice – E voi siete venuti per questo?! Siete pazzi! Ma come facevate a saperlo? Me ne stavo dimenticando perfino io! -

- So molte più cose di te di quanto tu non creda – disse Julian, lanciando all'amico uno sguardo piuttosto significativo.

Mark ricambiò lo sguardo e rise. - Grazie, ragazzi. Sono davvero emozionato. Ma mi avete preso così alla sprovvista che non so cosa offrirvi...posso farvi almeno un tè? -

Julian guardò Amy e ci pensò un attimo. - Volentieri, grazie. Amy...puoi chiederlo tu alla signora Landers? Tra l'altro, so che fa degli squisiti dolcetti di riso...già che ci sei, che dici di farti spiegare un po' come si preparano? - disse Julian facendo l'occhiolino alla ragazza.

Amy fece un sorriso sornione e si alzò dal divano. - D'accordo...spettegolate quanto vi pare e chiamatemi quando mi rivolete tra voi! - disse prima di uscire dalla stanza.

- E' inutile, non riuscirai mai a fregarla - disse Mark dopo che la ragazza si fu chiusa la porta alle spalle.

Julian rise. - E' meravigliosa, Mark. Sono stato proprio un cretino a sprecare tutto quel tempo senza di lei. -

- Beh, meglio tardi che mai! - esclamò Mark – Comunque siete fuori di testa tutti e due. Sciropparsi una marea di chilometri per... -

- Aspetta. - Julian mise una mano sul braccio di Mark, che stava per scartare il pacchetto. - Aprilo quando ce ne saremo andati, ok? Tanto avrai già immaginato cos'è...-

- Beh, di sicuro non è un pallone! - rise Mark – A proposito, anch'io ho qualcosa per te. -

Tolse il cd dallo stereo, lo mise nella custodia e lo porse a Julian.

- Questo è tuo. Te lo dovevo... -

Julian prese il cd. - “The river”? Ma ce l'ho già... -

- Ce l'avevi – precisò Mark – Te l'ho fuso io a forza di ascoltarlo. Non te l'avevo detto? -

- Grazie a Dio! - esclamò Julian con un sospiro di sollievo – Temevo fosse lo stereo! -

- In questi due mesi hai ascoltato un solo cd?! Con tutta la roba che hai in camera?! -

- Volevo ascoltare quello quando sono uscito dall'ospedale – rispose Julian – Avevo bisogno di sentirmi di nuovo a casa. Almeno, è quello che credevo. In realtà, forse, mi sento più a casa qui che a Tokyo... -

- Lo so – disse Mark – Credo di aver provato la stessa cosa. -

- Beh, comunque poi non ho più avuto molto tempo per ascoltare musica. La mia vita sociale ha subito un'accelerazione piuttosto brusca...insomma, pare che dal momento in cui ci si fidanza non si possa più uscire con amici single... -

Mark ridacchiò. - Tu non uscivi con amici single – disse Mark, sarcastico – Tu non uscivi proprio! -

- Beh, comunque adesso non potrei nemmeno se lo volessi! Sai quante uscite a quattro (se non sei o otto) mi sono dovuto sorbire? Per stare un po' da solo con Amy mi sono dovuto dare malato! -

- Però! E chi sono i fortunati? -

- Beh, pare che Benji stia cominciando ad apprezzare la vita mondana di Tokyo...sarà anche colpa della sua nuova ragazza, ma me lo ritrovo tra i piedi quasi tutti i fine settimana! -

- Benji Price ha una ragazza?! -

- Ti stupisce? - disse Julian ridendo.

- Mi stupisce che ne abbia una sola! - disse Mark, sinceramente incredulo – Chi sarebbe la fortunata? -

- La cugina di Philip, una certa Julia. Una tipa carina, tranquilla ma determinata. Insomma, se lo rigira come un calzino...però mi sembrano davvero innamorati e fanno una bella coppia. E, ti dirò, in compagnia lui è anche piuttosto simpatico! -

- Mah, contento tu... -

- Smettila di fare il cinico. Se tu avessi visto la sua reazione quando...quando siamo stati male quel giorno non l'avresti riconosciuto. Pare abbia perfino cominciato a frequentare Holly! -

Mark strabuzzò gli occhi. - Ok, questa è da “Ai confini della realtà”. Sei sicuro che sia veramente lui e che non abbiano fatto un altro scambio...? -

- No, no, fidati, è lui! Ho visto anche Holly, tra le tante. Sai che sta uscendo piuttosto assiduamente con Patty? E quando dico “assiduamente”... -

- Vuoi dire fuori dai campi di calcio? Era ora! Questa è una notizia da prima pagina! Beh, sono contento per Patty, alla fine chi la dura la vince! -

- Aspetta a dirlo...conosci Holly, no? -

Entrambi risero, poi Mark si lasciò andare ad un sospiro di sollievo e si stravaccò beatamente nella poltrona.

- Sai...mi avevi detto che stavi bene, ma non immaginavo così bene! - disse.

- Mai stato meglio, te l'assicuro. Anche il riposo è stato importante, ma non quanto tutto il resto. Non avrei mai detto che saresti stato tu a farmi dare la svolta! -

- Me l'hai già detto un sacco di volte, lascia perdere. Hai fatto la stessa cosa anche per me, te l'ho già detto. -

- Sì, ma io non sarei mai riuscito a far licenziare Theodore! -

Il pensiero dell'infido autista fece stringere lo stomaco di Mark dal nervoso.

- Quello stronzo...spero che sia finito sotto qualche ponte... -

- Non te l'ho detto? Adesso guida scuolabus! L'ho visto girare nel mio quartiere con una strana espressione beata sulla faccia... -

- Starà sicuramente meditando un infanticidio collettivo fingendo di aver raggiunto la pace dei sensi. Nessuno può sopravvivere ai miei fratellini e continuare ad amare i bambini! Vedrai che un giorno sentiranno gridare “Banzai!” e lo vedranno schiantarsi contro una pompa di benzina... -

- Il solito esagerato! - disse Julian scuotendo il capo – Ma lasciamo perdere Theodore. Dimmi un po' di te. Come va con la matematica? Ed ti dà ancora una mano? -

- Sì, un paio di volte alla settimana. Ha la pazienza di un santo. E io non sono il più facile degli allievi...ma sono lo stesso a buon punto. Credo che me la caverò. -

- E' per questo che hai bisogno degli occhiali? Studi così tanto che ti è calata la vista? - disse con Julian con affettuosa ironia.

- Me li porto dietro dalle elementari – precisò Mark -Anche se, in effetti, in questi ultimi tempi mi sono serviti più del solito. Davvero trovi che mi facciano assomigliare a John Lennon? -

- Uhm...se ti sbianchi un po' la faccia decisamente sì! -

- Beh, allora dev'essere un segno...devo mostrarti una cosa. -

Prese il libro di trigonometria dal tavolo e ne tolse un depliant pubblicitario, ficcato in mezzo alle pagine a mo' di segnalibro.

- Guarda un po' qua...che ne dici? - disse, porgendo il depliant a Julian.

Il ragazzo spiegò il pezzo di carta e, dopo aver letto cosa riportava, spalancò gli occhi, incredulo. Guardò Mark, poi il depliant, poi di nuovo Mark.

- Lezioni di piano?! Stai scherzando?! -

- Mai stato così serio. So che ci vorrà una vita, ma non posso continuare a reggere per sempre la messinscena della mano. -

- Già, dimenticavo... - Julian osservò le cicatrici che solcavano il dorso della mano di Mark, fino al polso. Sapeva che Mark l'aveva usata come scusa sia con Maki che con il proprietario del “Red Rose Speedway” per smettere di suonare (cosa che a tutti gli effetti non aveva mai fatto), azzardando la rottura di un tendine.

- Insomma, Maki sta diventando piuttosto insistente. E anche il tuo amico, il signor Olson, continua a chiamarmi per chiedermi quando potrò tornare al locale. Sembra un tipo simpatico! -

- E' una brava persona – rispose Julian, con un accenno di nostalgia nella voce – E il posto non è così male come credi. A Maki piaceva. Portacela, qualche volta. -

Mark sbuffò. - Ce la porto tutti i venerdì, Julian...c'è un altro tizio che suona, così non sono costretto ad improvvisare niente. Ma ne ho le palle piene di cocktail con gli ombrellini ed Elton John, quindi... -

Julian rise. - Quindi hai deciso di diventare un pianista vero! Non ci avrei mai creduto! Ti avverto, Mark, è una cosa lunga e noiosa... -

- Lo so, ma non posso farne a meno! E poi, finalmente, potrò permettermi le lezioni. Tanto le pagherà quel bastardo del signor Simmons, grazie a tuo padre. Ha sborsato tutto giusto giusto la settimana scorsa. -

- Questa è una grande notizia! - disse Julian – Comunque mi dispiace solo di essere troppo lontano, altrimenti le lezioni avrei potuto dartele io, e gratis. -

- Sarebbe stato più divertente, questo sì – disse Mark – Ma non preoccuparti, ti farò sentire tutti i miei progressi! Lo devo un po' al mio orgoglio, sai...tu ti sei dimostrato capace di fare tutto quello che faccio io. Ora vorrei essere io a poter fare quello che fai tu. Insomma, almeno un po'. Credi che ne sarò capace? -

- Sicuro – rispose Julian dando all'amico un'affettuosa pacca sulla spalla – Sicuro che ne sarai capace. -

- Ti devo tantissimo, Julian. -

- Me l'hai già detto, e io ti ho già detto che anche tu hai fatto molto per me. Facciamo che siamo pari, ok? -

- La prossima volta vi fermate a pranzo, però. -

- Promesso. -

- Altrimenti mi offendo. -

- Non sia mai! E comunque anch'io devo mostrarti una cosa. -

Julian andò ad aprire lo zaino e prese una cartellina di plastica arancione.

- L'ho finito, sai? - disse, togliendo dalla cartellina un foglio che Mark riconobbe al volo – Che ne dici? -

Mark prese il ritratto di Amy e lo guardò con attenzione. Non era troppo diverso da quando l'aveva visto quel giorno, nel capanno degli attrezzi; era rimasto a matita, ma Julian aveva aggiunto i dettagli che mancavano. Qualche capello svolazzante, una piccola ruga di espressione, la sfumatura sulle labbra.

- Allora? - lo incalzò Julian, curioso.

Mark rimirò quel disegno ancora per qualche istante.

Era bellissimo, ma ovviamente non poteva dirglielo così.

- Gli occhi sono un po' troppo vicini. Uhm. E le guance, avresti potuto...riempirle un po' di più, così sono un po' piatte. A parte questo...beh, è stupendo. -

Julian si illuminò. - Lo pensi davvero? -

- Te lo direi, altrimenti? -

- No, conoscendoti, no di sicuro! -

- Glie l'hai mostrato? -

- Non ancora. Ci ho lavorato sopra queste sere, mentre dormiva. Non l'avevo mai vista dormire. Era come se la matita volasse via da sola. Oh, accidenti, non prendermi per un esaltato, ma...era troppo bella! Avrei voluto intrappolare ogni espressione, e invece mi perdevo a guardarla. Così sono riuscito ad aggiungere solo qualche dettaglio...Credi che dovrei aggiungerci qualcosa? -

Mark scosse la testa e porse a Julian il disegno. - Lascialo così. Finiresti solo per rovinarlo. Qui c'è già tutto il tuo amore, non devi aggiungerci proprio un bel niente. -

- Grazie – disse Julian con un sorriso, sistemando con cura il foglio nella cartellina – Avevo...avevo bisogno di un parere sincero! -

Mark sorrise a sua volta. - Se vuoi che ti faccia da critico non hai che da chiederlo! -

Un lampo di malinconia guizzò negli occhi di Julian, che rimase un istante a fissare il vuoto.

- Sai...mi sono sentito perso, quando sono tornato a casa. All'inizio ho pensato che mi stavo abituando troppo a vivere la tua vita, tanto che mi ero dimenticato com'era la mia. Poi invece ho capito. Che mi mancavi tu. Mi mancava quando litigavamo al telefono, mi mancava il non potermi sfogare con te, mi mancavano i tuoi rimproveri, il fatto che non mi dessi corda per quieto vivere come facevano tutti. Mi mancava un vero amico. Dannazione, credi che sarebbe la stessa cosa se fossimo più vicini? -

- No. Altrimenti ci manderemmo a quel paese ogni cinque minuti. - disse Mark sfregandosi il naso. Era commosso, ma non voleva darlo a vedere.

Julian tacque, sospirando. - Già. Forse hai ragione. -

- Però... -

- Però...? - ripetè Julian aggrottando le sopracciglia.

- Però, se dovessi venire a Tokyo per qualsiasi motivo...potrei passare a salutarti? -

Julian sorrise. - Quando vuoi. -

- Magari ti chiamo prima, così leghi i cani. -

Julian annuì e tese una mano all'amico. Mark l'afferrò e la strinse forte, poi tirò Julian verso di sé e lo abbracciò forte, battendogli una mano dietro la schiena.

- Scommetto che ti si stanno appannando gli occhiali – disse Julian asciugandosi una lacrimuccia malandrina.

Mark tirò su col naso. - Certo che no, idiota. Cosa te lo fa pensare? -

I due si separarono e, facendo finta di niente, si soffiarono rumorosamente il naso.

- Cosa c'è, un'epidemia di raffreddore? -

Amy stava sulla soglia del soggiorno, tenendo tra le mani una scatola rettangolare avvolta in un pezzo di tessuto. Accanto a lei c'era la madre di Mark.

- Buongiorno, signora Landers – disse Julian alzandosi in piedi.

Mark guardò le due donne piegando la testa di lato. - E il tè? -

- Niente tè – rispose la madre di Mark – Abbiamo preparato i famosi dolcetti di riso... -

- Non credo che sarò mai in grado di ripeterli, Julian, così la signora me ne ha dati un po' da portare a casa – disse Amy.

Julian ringraziò la signora Landers con un inchino. - Lei è troppo gentile, signora, ma non vorrei averle creato disturbo... -

La donna sorrise e mise una mano sulla spalla di Julian. - Niente è mai troppo per te, figliolo. Per ripagare quello che hai fatto per noi dovrei prepararvi dolcetti di riso per tutta la vita! -

Julian guardò Mark di sottecchi; i due si scambiarono un sorriso furbetto. - In questo caso vorrà dire che me ne ricorderò! - disse in tono scherzoso.

Amy sistemò la scatola nel suo zaino e se lo issò in spalla. - Julian, ora dobbiamo davvero andare, altrimenti perdiamo il traghetto. -

Il ragazzo annuì e si mise lo zaino in spalla, dopo aver abbracciato la madre di Mark. - Non crediate di essere in debito con noi – sussurrò all'orecchio della donna – Io sarò per sempre in debito con suo figlio. E' il cielo che vi ha mandato, signora. -

La signora Landers non disse nulla, ma i suoi occhi si illuminarono.

- Allora...buon viaggio – disse Mark accompagnando i due ragazzi alla porta – E in bocca al lupo per il provino, “professor”*. Chiamami per dirmi com'è andata! -

- Non mancherò – rispose Julian – E tu fammi sapere dell'esame, ok? -

- Ciao Mark, di nuovo grazie di tutto! - disse Amy.

- Grazie a voi per la visita. Spero di vedervi presto! - rispose Mark salutando gli amici che si erano incamminati lungo il vialetto.

- Ah, Mark... - disse Julian voltandosi all'improvviso – Occhio ai biglietti d'auguri. Possono riservare qualche sorpresa! -

Mark fece finta di cogliere la battuta e agitò la mano in segno di saluto. Restò sulla porta fino a quando Amy e Julian furono scomparsi lungo la strada, poi rientrò in casa e tornò a buttarsi sul divano.

Ripensò a quello che Julian gli aveva detto poco prima, e ringraziò il cielo che l'avesse fatto.

Perchè erano esattamente le stesse cose che pensava anche lui. Solo che Mark non avrebbe mai trovato il coraggio di parlare in quel modo.

Sorridendo, guardò il pacchetto quadrato che lo aspettava sul tavolo.

Occhio ai biglietti d'auguri.

A quello ci avrebbe pensato dopo. Non aveva voglia di commuoversi subito.

Lasciata la busta sul tavolo, prese il pacchetto e lo scartò.

- Quel cretino – esclamò con una risata dopo aver visto che dalla carta da regalo era spuntata la copertina del cd di “Born to run”. Ma Mark non si riferiva a quel disco, che peraltro era uno dei suoi preferiti, ma alla copertina vera e propria.

Quell'artista di Julian aveva incollato al posto della faccia di Bruce un disegno della sua faccia, con la stessa espressione divertita del Boss in quella fotografia. Sul retro, aveva fatto la stessa cosa con la faccia di Clarence Clemons, il gigantesco sassofonista nero, che invece portava il viso di Mark, con tanto di sassofono. Pensò che forse sarebbe stato meglio il contrario, viste le aspirazioni musicali di Julian, ma era lo stesso bello così.

Bruce e Clarence erano amici per la pelle.

Loro due anche.

Mark aprì il cd e lo mise nel lettore, selezionando “Jungleland”.

- Questa è per noi, fratello – disse, con la voce piena di nostalgia – Ce la meritiamo, questa meraviglia. -

Mentre il suono leggero del pianoforte riempiva la stanza, Mark si ricordò della busta che aveva lasciato sul tavolo.

Forza, scarichiamo i dotti lacrimali, si disse, immaginando cosa poteva essere scritto su quel dannato biglietto.

E invece Mark non riuscì a credere ai suoi occhi.

Perchè dalla busta scivolarono fuori due pezzi di carta colorata; e quei pezzi di carta colorata non erano altro che due biglietti per il concerto di Bruce Springsteen che si sarebbe tenuto allo stadio di Tokyo di lì a qualche settimana. Zona prato.

Esterrefatto, Mark frugò nella busta alla ricerca di qualche spiegazione e vi trovò una breve lettera che diceva:

 

Pare che, per il sessantesimo compleanno di suo padre, Paul McCartney gli avesse regalato la fotografia, incorniciata, di un cavallo.

Bello” disse il padre dopo aver aperto il pacchetto, ma tra sé e sé pensò: “Che me ne faccio di una foto?”

Allora Paul, intuendo i pensieri del padre, gli disse: “Non preoccuparti, papà, ti ho comprato anche il dannato cavallo”.

Ecco, questa dovrebbe essere una cosa del genere.

Più o meno.

Insomma, i cancelli aprono alle otto. Noi vi aspettiamo lì fuori alle sette.

Del mattino.

Non vorrai mica perderti il posto davanti al palco, pantofolaio che non sei altro?

Ricordati che quelli come noi, baby, sono nati per correre!

Buon compleanno, con affetto

Amy e Julian

 

Con gli occhi lucidi, Mark si immaginò per un attimo sotto il palco, con Julian, Amy e Maki, a cantare a squarciagola, mentre, nelle sue orecchie, esplodeva l'assolo di sax.

Poi si disse che Julian avrebbe fatto meglio a portare con sé una boccettina di quella dannata furosemide, sempre che la security gli avesse fatto passare la siringa senza prenderlo per un drogato.

Insomma, l'emozione poteva giocare brutti scherzi.

Nati per correre, pensò Mark. Sì, per correre in bagno...

A questo pensiero si mise a sghignazzare in modo quasi isterico.

Rilesse la lettera, poi guardò il cd, infine i biglietti. E, in un lampo, quel breve, assurdo periodo in cui lui era stato una persona che odiava e a cui ora voleva un bene dell'anima gli passò davanti agli occhi.
Respirando profondamente diede un'ultima occhiata al biglietto d'auguri, quasi per paura di essersi perso qualcosa di importante.

-Che cazzata – disse, con una risatina – Che immensa cazzata... -

Poi trasse un profondo respiro, si sedette pesantemente sul divano e pianse di gioia.

 

 

 

FINE

 

 

 

 

Adesso piango di gioia anch'io. Un, due, tre, lacrime. E invece niente. Perchè? Eppure sto ascoltando davvero “Jungleland”, e io son una che si commuove con qualsiasi cretinata, figurati con quelle che scrivo.

Avrei tante cose da dire che non so nemmeno da che parte cominciare.

Holly: Se vuoi comincio io...

Ruby: E tu da dove salti fuori?!

H.: Senti, sono sette anni che mi tormenti facendomi fare la figura del deficiente. Speravo di essermi guadagnato un pochino di considerazione in più in queste pagine e invece niente...

R.: Ma se ti ho fatto fare la pace con Benji!

Benji: Appunto. Quando mai avevamo litigato?

R.: Eccone un altro...

H.: Insomma, ammettilo, non ci hai trattati molto bene in questa storia.

R.: (sbuffando) Ammetto solo che non mi siete mai stati molto simpatici.

H.: Ma se all'inizio di tutta la manfrina eri perfino innamorata di questo qua!

R.: Ero alle elementari! Credevo ancora negli eroi, anzi, nei supereroi, visto che è quello che sei. Non amo i perfettini, mi dispiace.

B.: Lo sai che un sacco di lettori ti odiano per questo?

R.: Eh, lo so, mi dispiace...ma doveva essere una storia comica, quindi era ovvio che i personaggi andassero un po' alla deriva.

H.: Di comico, alla fine, c'è stato poco, però.

R.: Vorrei vedere se avessi voglia tu di fare sempre il buffone in sette anni! Lo so, questi ultimi capitoli sono stati delle schifezze...

B.: Pieni di errori, oltreutto.

H.: Pure cronologici. Grossi, eh?

R.: Sigh...ok, quando avrò un po' più di tempo risistemerò tutta la storia, promesso. Ma vi rendete conto che E' FINITA???

H. e B.: Grazie al cielo!

R.: Non mi sembra vero. Non vedevo l'ora, e invece adesso è come se mi mancasse qualcosa...

B.: Sì, il tempo di cazzeggiare!

R.: Sai che sei simpatico proprio come ti immaginavo?

B.: Grazie.

R.: Non era un complimento.

B.: Lo so. Non me ne aspetto, da te...

R.: Va bene, va bene, scusatemi! Prometto che d'ora in poi vi lascerò in pace!

H.: Allora io posso anche andare...

R.:Vai, vai...comunque grazie. E...scusami, dai. Si scherzava. Senza rancore?

B: Ruby...

R.: Eh?

B.: E' già andato via...

R.: Ah, vabbè. Tu, piuttosto, mi servi ancora.

B.: Cosa?!

R.: Non preoccuparti, ti tratterò bene. Ho in mente un'altra ff comica che...

B.:Non dirmelo, non voglio saperlo. Niente più parolacce, però, va bene?

R.: Va bene...ammetti però che non erano del tutto fuori luogo...

B. Beh, nei momenti di rabbia o sconforto ci potevano anche stare...però con me hai esagerato un po'.

R.: Ok, scusa, niente più parolacce. Però ricordati che mi servi ancora.

B.: Va bene, va bene. Posso sapere una cosa, piuttosto?

R.: Spara.

B.: Chi diavolo è Julia??

R.: Julia è una mia cara amica, follemente innamorata di te, che mi aveva chiesto un piccolo cameo nella storia. Spero, se mai la leggerà, che sia contenta del finale...

B.: E' davvero carina come l'hai descritta?

R.: Sì, molto.

B.: Ok, allora va bene.

R.: Altro da aggiungere?

B.: Io no. Dovrebbe essere il momento dei ringraziamenti, credo. Lo so che l'hai tirata per le lunghe apposta per evitarlo, ma è il tuo dovere...

Ok, adesso tocca davvero a me. E, di nuovo, non so da che parte cominciare, così andrò un po' alla rinfusa. Non sono mai stata brava con i ringraziamenti.

Grazie a Erika e a tutta l'amministrazione dell'EFP per aver portato pazienza nei lunghi anni in cui non ho aggiornato niente e per non aver cancellato questa storia come forse avrebbero dovuto.

Grazie a tutti quelli che mi hanno seguito con altrettanta pazienza (nomi? Melanto, 4Haley4, Maki, Benji79 e tutti quelli che ho dimenticato. Voi lo sapete. Grazie.).

Grazie a chi ha lasciato recensioni negative, che mi hanno stimolato a cambiare rotta e a non mollare.

Grazie a mio marito, il mio Julian, che non leggerà mai queste storie ma che tenta sempre di sbirciare sopra la mia spalla mentre scrivo.

Grazie a Giulia, la mia Julia...non ti dimentico!

Grazie a CowgirlSara, compagna di tante avventure sulla carta. Non ho dimenticato nemmeno te!

Grazie a Bruce Springsteen, Billy Bragg, i Queen e tutti i musicisti che mi hanno aiutato a trovare l'ispirazione.

Ma, per la prima e unica volta nella mia vita, dico grazie a me.

Per essere riuscita, dopo 7 anni, malgrado abbia disimparato a scrivere, a buttar giù un finale come lo volevo io.

Con l'assolo di sax di Jungleland. Ascoltatela, mentre leggete, merita (la canzone, non il capitolo), e provate ad immaginarvi Mark e Julian che si sgolano al concerto di Bruce Springsteen.

Grazie di nuovo a tutti, di cuore.

Ruby 8-01-2011

 

*“The Professor” è il soprannome di Roy Bittan, pianista della E-Street Band di Bruce Springsteen.

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