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“Fai attenzione a quello che desideri,
perché potresti ottenerlo...”
Oscar Wilde
Capitolo 1
Faceva molto caldo a Tokyo, quel
pomeriggio di Luglio, quando Peter Colby decise di concludere gli allenamenti.
- Okay, ragazzi, possiamo finire
qui. Filate a cambiarvi e sparite dalla mia vista ! Non voglio più saperne
di voi fino alla fine del mese ! - disse scherzosamente.
I componenti della nazionale
giovanile giapponese tirarono un sospiro di sollievo. Quell’anno la Federazione
Calcio aveva stabilito di dividere il consueto mese di ritiro estivo in due
mini-ritiri intervallati da due settimane di riposo a causa dei numerosi
impegni dello stesso allenatore Colby, il quale faceva parte della commissione
deputata al reclutamento di nuovi talenti. Di questo i ragazzi erano tutt’altro
che infelici, dal momento che una vacanza in quella che loro consideravano già
una vacanza era quanto di meglio potessero aspettarsi.
- Aaargh ! Non è
possibile ! - strillò Philip Callaghan dopo essere entrato nello
spogliatoio.
- Che hai da urlare, Phil ?
- domandò Paul Diamond, leggermente allarmato.
- Non c’è una doccia
libera ! E io sono di frettissima, maledizione ! -
- Tutto qua ? E io chissà
cosa pensavo... - disse Paul sfilandosi la maglietta.
- Chi tardi arriva male alloggia,
Callaghan, dovresti saperlo ! - disse ridendo Ed Warner tirando la spugna
addosso al ragazzo.
- Tom, passami lo shampoo. -
- Al volo, Benji ! - disse
Tom Baker lanciando la boccetta che atterrò direttamente in testa al Super
Great Goal Keeper.
- Ahia ! Imbecille ! -
Tutti risero, tranne Philip che,
con voce piagnucolosa, disse :
- Ragazzi, vi prego...ho l’aereo
per Sapporo tra meno di due ore e di questo passo non ce la farò mai ad
arrivare in tempo ! -
- Va beh, visto che hai tanta
fretta ti cedo il mio posto... - disse Patrick Everett uscendo dalla doccia
avvolto in un orribile accappatoio arancio a pois verdi.
- Bella forza, tu hai già
finito ! - esclamò Philip liberandosi della biancheria.
- Di’ un po’, com’è che hai tanta
fretta, Philip ? - domandò Oliver Hutton uscendo dalla sua doccia mentre
l’amico si fiondava alla velocità della luce in quella lasciata libera da
Patrick.
- Domanda idiota come al solito,
Hutton - rispose Ralph Peterson - Quello non vede l’ora di tornarsene dalla sua
bella, vero Callaghan ? -
- Va beh, potevi anche dirlo in
un altro modo, Peterson... A parte il fatto che se perdo questo volo mi tocca
restare in aeroporto fino a domani mattina, stasera sono invitato a cena dai
nonni di Jenny... -
- Un momento, Ralph, che
significa “come al solito” ? - intervenne Oliver.
- Già mi pregusto una mega
cena...e poi lei riparte per New York tra una settimana, quindi... - continuò
Philip ignorando completamente il povero Hutton.
- Beato te che almeno hai un buon
motivo per tornartene a casa, Phil ! - disse Mark Landers infilandosi una
maglietta pulita - Io appena torno devo filare a lavorare...altro che break,
per me è stata questa la vera vacanza ! -
- Pensate che a me, invece, tocca
andare una settimana in Thailandia... - disse Benjamin con aria strafottente.
- Vaffanculo, Price ! -
esclamò Ed - Questo è un vero insulto alla miseria ! -
- ...Con Freddie Marshall !
Quello mi sorveglia qualsiasi cosa faccia, forse ha paura che scappi con
qualche bella polinesiana ! -
Stupido sbruffone, si disse Mark.
Ad un tratto, Peter Colby fece
capolino dalla porta.
- Il tuo autista è arrivato,
Julian. - disse.
Julian Ross, finendo di
allacciarsi le scarpe, alzò gli occhi al cielo e sospirò.
- Arrivo - disse con un tono che
in realtà voleva dire “Che palle !”.
- Oh ! Il signorino non
gradisce la sua Limousine con sedili in pelle umana con TV e stereo incorporati
? - disse Mark con ironia - Oppure non ha voglia di tornare nella sua mega
villa a soli dieci minuti da qui, dove lo attende schierata la servitù al gran
completo, mentre un povero sfigato di cui non faccio il nome deve sorbirsi due
ore d’autobus e quaranta minuti di traghetto per tornarsene a casa ? -
Julian non rispose, ma lanciò al
capitano della Toho uno sguardo abbastanza significativo.
- Andiamo, Ross ! - esclamò
Mark allargando le braccia - Hai solo 17 anni, navighi nel denaro, hai una
ragazza stupenda che vive per te, tutte le pischelle di questa nazione ti
adorano e, a quanto mi risulta, sei anche un mezzo genio ! Hai praticamente
avuto tutto dalla vita ! -
- Tranne la salute - disse Julian
con una risatina sarcastica.
- Fatti compatire da qualcun
altro, Ross - ribattè Mark - Io non ho rispetto per chi non sa mantenere un
briciolo di dignità. -
- Mark ! - esclamò Tom
corrugando la fronte.
- Non devo prendere lezioni di
dignità da nessuno, Mark - rispose secco Julian chiudendo la borsa - Tantomeno
da te. Se proprio hai voglia di dare aria alla bocca, fallo quando io non ci
sono. Phil, se ti va posso darti un passaggio fino all’aeroporto. E’ proprio
sulla mia strada. -
- Fantastico ! Grazie,
Julian ! -
Dopo essersi issati le borse in
spalla, i due salutarono la combriccola e uscirono dallo spogliatoio.
- Un’ultima cosa, Mark...lascia
Amy fuori dai tuoi sproloqui. - Detto questo, Julian si chiuse la porta alle
spalle.
- Stupido figlio di papà... -
disse Mark a denti stretti.
- Adesso stai esagerando, Mark.
Lo sai che Julian è particolarmente suscettibile su certi argomenti... - disse
uno dei gemelli Derrick.
- E chi se ne frega, James !
-
- Veramente sono Jason... -
- E io che ho detto ?
Comunque, io quello non lo reggo proprio ! Vive con il culo nel burro e ha
anche il coraggio di lamentarsi ! Che diavolo ne sa lui di quali sono i
problemi della vita ? -
- Lui ne ha uno molto grosso, Mark
- intervenne Ed alludendo alla cardiopatia che affliggeva Julian da anni - E
credo che scambierebbe volentieri tutto quello che ha con una vita meno agiata
ma fuori dalla “campana di vetro”. -
- Tzè ! Almeno si può
permettere un’intera équipe di cardiologi che gli dicono anche quando
respirare ! Vorrei vedere cosa farebbe se fosse al mio posto ! -
- E comunque tu saresti felice di
avere i soldi che ti escono dalle orecchie quando sai che rischi di crepare da
un momento all’altro ? - disse Benjamin sfregandosi i capelli con
l’asciugamano.
- Tu sei sulla stessa barca di
Julian, Price, quindi ti conviene tacere. Ma cosa credi di capire ? Tu non
hai bisogno di inventarti ogni giorno come sbarcare il lunario. -
- Adesso sei tu che ti stai
compatendo, Landers. - ribattè Benjamin sogghignando.
I ragazzi si zittirono, temendo
una spropositata reazione da parte del centravanti, il quale, invece, si limitò
a lanciare uno sguardo carico di disprezzo al SGGK.
- Ne ho abbastanza dei vostri
ridicoli moralismi. - disse poi Mark uscendo - Ho cose molto più importanti a
cui pensare. Ci vediamo. -
- Mark, aspetta ! - disse Ed
seguendo l’amico. Mark lo ignorò e continuò a percorrere il corridoio a grandi
passi.
- Si può sapere che accidenti hai
oggi ? E’ la prima volta che te la prendi con Julian ! Che ti ha
fatto di male ? - disse Ed dopo aver raggiunto il ragazzo.
- Niente - rispose Mark
senza spostare lo sguardo su Ed - Non mi ha fatto niente di male. Non ha mai
fatto niente in vita sua, è questo il punto ! Non hai idea di quanto mi
dia fastidio sentire certi discorsi da uno che non sa neanche cosa voglia dire
muovere un dito...ma almeno non se la tira come quello sbruffone di
Price ! -
- Beh, non mi sembra un buon
motivo per aggredirlo così ! - rispose Ed - Price lo posso capire, non lo
sopporto nemmeno io, ma Ross...quello è un pezzo di pane, lo sanno tutti !
-
- Ah, il pane ! - esclamò
Mark con voce irritata alzando gli occhi al soffitto - Lo conosci il proverbio,
Ed ? Chi ha il pane non ha i denti,
chi ha i denti non ha il pane ! Niente di più vero, porco mondo,
niente di più vero ! - Arrivato all’uscita, il ragazzo spalancò il portone
a vetri con rabbia.
- Senti, Mark, dimmi la verità. -
disse Ed spazientito - Cosa c’è che non va davvero ?
-
Il capitano della Toho si fermò
di colpo, facendo cadere a terra il borsone e appoggiandosi al muretto di
cinta, sbuffando.
- Sono preoccupato, ecco cos’ho.
Sono semplicemente molto preoccupato.
- disse Mark con voce stanca, passandosi le mani prima sugli occhi, poi sulle
guance, infine sul collo. Ed gli si sedette accanto, senza parlare. - Siamo a
Luglio, fa un caldo cane e mia madre e i miei fratellini dovrebbero andarsene
in vacanza. Invece mamma non può prendere ferie perché non ci sono nemmeno i
soldi per mandare i ragazzi in colonia, quindi io mi ero detto che avrei
lavorato a tempo pieno per queste due settimane, così magari qualche giorno al
mare avrebbero potuto farselo...tanto ci sono abituato, anzi, a volte mi
diverto anche...e invece, siccome mamma deve stare in fabbrica mezza giornata,
io devo badare alla casa, così posso lavorare solo part-time e beccarmi mezzo
stipendio. Oltre tutto dovrei anche studiare per l’esame di riparazione in
matematica, altrimenti, se mi bocciano, ti saluto la borsa di
studio ! Se poi conti anche gli allenamenti... -
- Puoi sempre farti esonerare per
un po’ ! In fin dei conti abbiamo appena finito il ritiro, sono sicuro che
Turner capirà ! -
- Bah, quello è il meno ! Il
punto è che dovrei avere giornate di 35 ore per riuscire a fare
tutto senza impazzire !Poi
c’è anche questo dannatissimo ritiro da finire...non che non ne sia contento,
ma mi sento così inutile quando sono qui... -
- Sei tu quello che ha bisogno di
una vacanza, altro che storie ! - esclamò Ed rialzandosi - Andiamo, vah,
altrimenti perdiamo l’autobus ! -
I due stavano per rimettersi in
cammino quando una ragazza gli corse incontro, trafelata.
- Mark, Ed ! Sapete se Holly
è già uscito ? -
- Oh, ciao, Patty ! - disse
Mark sorridendo (finalmente !) - No, credo che il tuo adorato rimbambito
sia ancora dentro...si starà facendo bello per te ! -
- Evita certe battute, per
cortesia...sono del tutto fuori luogo ! - rispose Patty con aria
amareggiata.
- Patty, Patty...quand’è che
manderai al diavolo quel protozoo e comincerai ad interessarti ad un vero
fustacchione...come me, per esempio ? - Patty rise.
- Credimi, Mark, certe cose non
si possono cancellare tanto facilmente... -
- Ma certo che lo so ! E’
solo che...
- ...che non puoi capire, tutto
qui. Io non vedo Holly come lo vedete voi. Per me è una persona stupenda e
sensibile, solo un po’... -
- Un po’ gnucca, direi ! -
- Mark ! La vuoi
piantare ? ! -
- Ma io sto solo cercando di
dirti la verità ! Quello non capisce le cose nemmeno se ci sbatte contro
venti volte ! Da quanti anni gli muori dietro ? Cinque ?
Sei ? -
- Sette - lo corresse Patty,
sospirando.
- Sette anni ! E ancora non
si è accorto di te ! Perché... -
- Mark, per favore... - disse Ed
notando il cambiamento di espressione di Patty.
- ...perché è un babbeo !
Scusami, Patty, ma è solo la verità. Sinceramente non so come tu abbia fatto a
resistere. -
- Perché sono una maledetta
idiota, va bene ? - sbottò la ragazza - Perché ho il pessimo vizio di
rimanere fedele all’idea e non voglio arrendermi al fatto che a lui non... -
Patty abbassò lo sguardo e la voce, triste come non mai. - ...non glie ne
freghi nulla di me. Non sto facendo niente di male a nessuno. E’ così
sbagliato ? -
- Stai facendo del male a te
stessa, invece. Se continui a comportarti così, se non ti metti in gioco un po’
più seriamente invece di fargli da dama di compagnia, lui non capirà mai quello
che provi. E’ fatto così, dovresti saperlo. Ha in testa solo il pallone.
Dovrebbe prendere ripetizioni da quel dannato Price, lui ci sa fare anche
troppo con le donne ! Sono convinto che se fosse al suo posto, ti avrebbe
già portato all’altare ! -
- Ma purtroppo non lo è. Mi
spiace, Mark, so che lo dici per il mio bene ma ora non ho proprio voglia di
parlare di queste cose. -
Mark si sentì un po’ in
imbarazzo. - Scusami tu. A volte dovrei frenare un po’ la lingua, lo so. Il
fatto è che non mi va che quello continui a trattarti così. Lui non si merita
affatto una come te ! -
- Accidenti se lo so ! -
rispose Patty sospirando - Grazie comunque, sei un tesoro. Ogni tanto fa
piacere sentirsi dire certe cose ! - La ragazza si alzò sulle punte dei
piedi per depositare un leggero bacio sulla guancia di Mark.
- Oh ! Eccolo che
esce ! Holly ! Holly ! - disse poi Patty correndo via in
direzione dell’amore della sua vita, che, borsone in spalla, stava
chiacchierando amabilmente con Benji.
Ed e Mark si guardarono e
scossero la testa. Mentre si incamminavano verso la fermata dell’autobus, Ed
disse : - Quella ragazza ha decisamente un bel problema. -
- Quello non è un problema...è un
dramma ! - ribattè Mark - Tra tutti i deficienti che ci sono in questo
mondo si è scelta proprio il peggiore ! Sai, Ed, mi spiace un sacco per
lei...se solo quel cretino di Hutton fosse un po’ diverso... -
- Beh, visto che ci tieni tanto a
Patty, potresti...consolarla un po’ ! - disse Ed con aria maliziosa.
- Ma sei scemo ? - sbottò
Mark - Non mi passa neanche per l’anticamera del cervello ! Già c’è Maki,
di donna me ne basta una, e avanza anche...oh, cavolo ! - disse
all’improvviso Mark dandosi una manata contro la fronte.
- Che c’è adesso ? -
- Mi stavo dimenticando che fra
tre giorni è il nostro anniversario...Cavolo, CAVOLO ! Ecco un’altra
stramaledettissima cosa a cui non avevo pensato ! -
- Uhm...questo è un bel guaio,
direi ! - disse Ed, sornione - Si può far fronte a tutto ma non all’ira
funesta di una fidanzata quando ci si dimentica l’anniversario ! -
- Hai poco da fare lo spiritoso,
Ed - ribattè Mark - Se con Maki va tutto a rotoli per colpa di una stronzata
del genere, nei prossimi giorni sarò veramente di pessimo umore...soprattutto durante gli allenamenti ! -
- Ahi, ahi ! Apriti
cielo ! - disse ridendo il portiere della Toho.
- Ridi, ridi...ma non sai quanto
vorrei essere in un altro posto ! -
Tra le risate di uno e i mugugni
dell’altro, i due amici continuarono ad avanzare imperterriti verso la fermata
dell’autobus, senza accorgersi che uno strano omino con una bombetta in testa
aveva ascoltato tutti i loro discorsi e li stava seguendo...
Intanto, sulla lussuosa auto di
servizio della famiglia Ross, Julian non aveva ancora aperto bocca e teneva gli
occhi bassi.
- Dai, Julian...lascialo
perdere ! - disse Philip dando all’amico una pacca sulla schiena - Lo sai
che Mark ha un caratteraccio e se non se la prende con qualcuno non è
contento ! Sappiamo tutti come stanno le cose, non ti devi
preoccupare ! -
- Io non mi preoccupo affatto,
Philip - rispose Julian - Mi dà solo fastidio che quell’idiota pensi di essere
l’unico al mondo ad avere dei problemi... -
- Già. Tutti abbiamo dei
problemi. Holly, per esempio, è gay ma non lo sa ! - disse Philip
ridacchiando.
- Phil, non fare il
cretino...insomma, conosco benissimo la situazione di Mark, e mi levo tanto di
cappello per quello che sta facendo per la sua famiglia. Ma tutto questo non
gli dà il diritto di farla pesare o di arrabbiarsi con chiunque gli capiti a
tiro, soprattutto se continua a rifiutare qualsiasi aiuto gli venga offerto e
si ostina a voler far tutto da solo ! -
- Più che altro, se la prende
regolarmente con le persone sbagliate. -
- Sì, c’è anche questo...vedi,
Philip, non sopporto quando mi si dà del Piccolo Principe che vive nel suo
splendido castello senza curarsi di nessuno ! Al di là della mia malattia,
il signor Landers dovrebbe provare a passare qualche giorno a casa mia, al mio
posto, prima di sparare a zero sul sottoscritto ! Non fraintendermi, so
benissimo di essere fortunato ad avere tutto quello che ho, e non mi è mai
passato per la testa di farmi compatire, ma vorrei che Mark capisse che non è
tutto oro quello che luccica. -
- Neanche Amy ? - domandò
Philip sorridendo.
- Oh, lei è l’unica cosa davvero
bella che ho...mi domando spesso se riuscirò a non farla scappare ! -
L’auto accostò al marciapiede e
si fermò.
- Siamo a Narita, signore. -
disse l’autista rivolgendosi a Philip.
Il ragazzo si apprestò a
scendere.
- Non è vero, non è l’unica,
Julian - disse Philip mentre l’autista tirava la sua borsa fuori dal bagagliaio
- Hai un sacco di talento ed un ottimo carattere. E non te lo dico per fare il
lecchino, visto che mi hai accompagnato all’aeroporto con una macchina
extra-lusso facendomi passare per un riccone davanti a quelle stupende ragazze
che ci stanno guardando... -
Julian rise, notando che, in
effetti, due ragazze molto carine stavano lanciando sguardi curiosi e
interessati ai due.
- ...ma perché lo sappiamo tutti
che sei così, credimi ! - continuò Philip con sincerità.
- Grazie, Phil, sei un amico. -
Il ragazzo si issò il borsone in
spalla e sorrise, facendo un cenno di saluto con la mano a Julian.
- Fai buon viaggio e salutami
Jenny ! -
Julian restò ancora un attimo a
guardare l’amico che scompariva dietro la porta a vetri del terminal di Narita.
- La porto a casa,
signorino ? Sua madre la sta aspettando. - disse l’autista in modo molto
freddo e professionale.
Nel sentire queste parole, Julian
trasse un profondo sospiro.
- Sì, Theodore - disse con voce
spenta - Andiamo a casa. -
Dopo un interminabile viaggio,
allungato di mezz’ora per un ritardo del traghetto, Mark scese finalmente
dall’autobus e, dalla stazione di Fukuoka, si incamminò stancamente verso casa.
Mondo cane...ci mancava anche il traghetto, si
disse. Oggi è veramente una giornata no.
Non solo quel damerino di Julian Ross mi ha fatto uscire dai gangheri, ma ora
devo pure pensare a come riorganizzarmi la settimana...e ci si metterà pure
Maki con la storia dell’anniversario ! Se non fosse perché devo badare a
mamma e ai ragazzi, avrei fatto carte false per restarmene in ritiro fino
all’anno prossimo... Va beh, almeno non dovrò più subire la vista dell’orrendo
accappatoio di Everett...bah, devo proprio essere agli sgoccioli per cercarmi
una consolazione del genere !
Il ragazzo tirò un calcio ad una
lattina, facendola volare lontano.
Dio, Dio mio, quanto vorrei che per una volta ci fosse qualcun altro al
mio posto, a sbrogliarsi la matassa !
- Scusi tanto, signore. -
Mark si girò di scatto e,
sorpreso, vide dietro di sé uno strano tizio grassoccio e sorridente, che
indossava, nonostante il caldo, un lungo cappotto marrone con il bavero
sollevato e una bombetta nera.
- E lei cosa vuole ? - disse
il ragazzo.
- Mi spiace disturbarla, ma non
ho potuto fare a meno di sentire ciò che stava dicendo al suo amico, a Tokyo, a
proposito dell’essere nei panni di qualcun altro... -
- Lei mi sta seguendo da
Tokyo ? ! - sbottò Mark, pronto a ribaltare quello che doveva essere
una specie di maniaco.
- Dev’essere davvero in un brutto
guaio per cercare una soluzione del genere ! - continuò l’altro, ignorando
la reazione di Mark.
- Io non ho mai detto che vorrei
essere nei panni di qualcun altro. E ora se ne vada. -
- Bugia, bugia ! - disse
l’omino ridacchiando e agitando un dito verso il ragazzo - Ma se l’ha appena
pensato ! “Dio mio, quanto vorrei che per una volta ci fosse qualcun altro
al mio posto” ! Era pressappoco così, vero ? -
Mark era esterrefatto. - Ma come
diavolo ha fatto a leggermi nel pensiero ? ! Cos’è, una specie di
telepate ? ! -
- Beh, diciamo che ho i miei
metodi. Comunque credo di poter fare al caso suo... -
- Lei si chiama Dio ? -
- No. -
- E allora mi lasci in pace.
Nessuno potrebbe mai fare una cosa del genere. -
- Lei non mi crede, vero ? -
disse il tizio con un inquietante sorriso sulle labbra.
- Ma insomma, a cosa diavolo
dovrei credere ? ! - disse Mark, spazientito.
- Ma alla trasposizione, no ? - rispose l’omino allargando le braccia
- Provi ad immaginare di vivere la vita di un altro : una vita così
diversa dalla sua, tutto roseo e perfetto, denaro a fiumi, una bella casa,
belle ragazze... -
Julian Ross, pensò istantaneamente Mark.
- Esatto, proprio lui !
Provi ad immaginarsi nei suoi panni, o in quelli di qualcun altro...non sarebbe
meraviglioso ? Non le piacerebbe ? - disse il tizio saltellando
intorno a Mark. Non posso crederci,
pensò il ragazzo, l’ha fatto di
nuovo !
- Certo che mi piacerebbe -
rispose Mark, sempre restando sulla difensiva - Quello che non capisco è dove
vuole arrivare. -
- Ma come, mi sembrava di essere
stato chiaro ! Io posso metterla al posto di qualsiasi persona lei
voglia ! -
- Ma certo...e tutto questo in
cambio della mia anima, immagino... - disse Mark con un risatina sarcastica.
- Oh, no, io non chiedo mai nulla
in cambio...i miei scopi sono come dire...filantropici. -
- Che intende dire ? -
- Oh, se ne renderà conto molto
presto...allora che fa, accetta ? -
Mark sospirò e scosse la testa. -
Senta, non ho tempo da perdere con i matti. La saluto. - disse, rimettendosi in
cammino.
- Guardi che non sto affatto
scherzando. - Mark si bloccò, gelato dal tono di voce che aveva usato quello
strano tizio.
- Insomma, non vedo perché questa
cosa debba interessare solo me ! A moltissima altra gente farebbe bene
mettersi un po’ nei panni di qualcun altro, certe volte ! -
- Oh, lo so benissimo ! -
rispose l’omino sogghignando in modo sempre meno rassicurante - Le assicuro che
penserò anche a questo... Allora, che mi dice ? Accetta o no ? -
- E va bene, accetto ! -
disse Mark alzando gli occhi al cielo, sperando così di levarsi dai piedi quel
matto furioso, che però non lo rendeva affatto tranquillo - Però...insomma, lei
chi è ? E come diavolo fa a resistere a metà Luglio con quella palandrana
addosso ? -
L’omino sorrise di nuovo, si levò
la bombetta e fece un ossequioso inchino.
- Io sono Evsebius, genio degli
scherzetti e delle amare lezioni ! E se porto questo cappotto è solo
perché... - Evsebius spalancò le falde del pesante pastrano. - ...perché sotto
non ho niente ! ! Ha, ha ! ! -
Mark, il quale temeva la classica
mossa del maniaco che abborda le baby-sitter ai giardini pubblici, spalancò la
bocca nel vedere che, effettivamente, sotto il cappotto non c’era proprio nulla,
nemmeno il corpo.
- A presto, signor Landers !
Ormai ha fatto la sua scelta ! -
Detto questo, il fantomatico
Evsebius sparì del tutto.
Mark scosse la testa, sconvolto. Ma perché li trovo tutti io, i pazzi ?
si disse.
Senza voltarsi indietro, affrettò
il passo, sperando di arrivare a casa il più presto possibile.
Il mattino successivo, quando
aprì gli occhi, Mark tirò un profondo sospiro.
Forza, si disse, iniziamo
un’altra splendida giornata di merda.
Nella sua stanza regnava uno strano
silenzio, quasi innaturale : possibile che sua madre fosse già uscita e i
suoi fratellini non facessero casino come al solito ? Forse cercavano di
non far rumore per non svegliarlo. Il ragazzo richiuse per un attimo gli occhi,
sbuffando ; vi prego, ancora cinque
minuti...
Era veramente distrutto. La sera
prima, appena rientrato in casa, aveva appena salutato i famigliari e, ancora
sconvolto per l’incontro con il misterioso Evsebius, aveva deciso di andare
subito a letto senza cenare, nonostante la mamma, per festeggiare il suo
ritorno, gli avesse preparato una deliziosa cenetta.
E non l’ho neanche ringraziata...sono stato veramente una carogna. Va
beh, almeno per oggi avremo il pranzo già pronto...hey, ma cosa diavolo è
quella luce ? pensò, riparandosi gli occhi da un raggio di sole
che filtrava attraverso le fessure delle tapparelle. La luce negli occhi di
prima mattina gli aveva sempre dato fastidio. Ho capito, è ora di alzarsi...strano, però, non sento nemmeno il
profumo del tè...probabilmente sarà finito. Devo ricordarmi di prenderlo oggi,
quando vado a fare la spesa.
A tentoni, Mark raggiunse il
fondo del letto.
- Hey, chi mi ha fregato la
scaletta ? ! - esclamò il ragazzo, il quale, da sempre, dormiva al
piano superiore di un letto a castello - Dev’essere stato quella piccola peste
di Justin...appena lo becco gli do una bella lezione ! E adesso ? Qua
rischio di rompermi l’osso del collo...Justin, riportami subito la
scaletta ! -
Nessuno rispose.
- Justin ? - chiamò di nuovo
Mark, con un filo d’inquietudine.
Può...può darsi che per sbaglio mi sia addormentato sul letto di sotto,
ieri sera...ero talmente stanco...forse Kathy non voleva svegliarmi...
Mark allungò lentamente una mano
giù dal letto e toccò il pavimento. Sì,
sono proprio al piano di sotto. Ma...cos’è questa roba ? Il ragazzo si
sfregò gli occhi. Da quando in qua c’è un
comodino in questa stanza ? ! E la finestra...non è mai stata su
quella parete ! Oddio, forse non era nemmeno il letto di Katherine ma
quello di Robert...oppure...oppure sto ancora dormendo...e sto sognando...
Mark scese dal letto con il cuore
che gli batteva all’impazzata.
- Kathy ? Bob ?
Justin ? ... Mamma ? - chiamò con voce tremante dirigendosi a grandi
passi verso la finestra. Con impeto, alzò la tapparella.
Quello che vide lo lasciò senza
fiato. I due letti a castello, l’armadio in truciolato bianco, le due
scrivanie, piene di libri e quaderni, con le rispettive sedie e la piccola
libreria, cioè tutto ciò che costituiva l’arredamento della camera che Mark
divideva con i suoi tre fratelli era scomparso. Ora Mark si trovava in una
stanza grande il doppio e arredata in modo molto raffinato. Dando uno sguardo
affrettato fuori dalla finestra, vide che la casa era circondata da un enorme
parco.
- Ma dove diavolo sono
finito ? ! - esclamò. Subito dopo si portò una mano alla gola,
terrorizzato.
- La...la mia
voce ! ! ! -
Istintivamente, Mark corse verso
l’armadio e ne spalancò tutte le ante finchè non trovò quello che sperava, cioè
uno specchio grande abbastanza da riflettere la sua immagine per intero.
- Oh, cazzo ! ! -
disse, rendendosi conto che la figura che stava osservando e che lo guardava
dallo specchio con espressione sgomenta, così come la sua voce, in realtà
apparteneva a Julian Ross.
Quando Julian si svegliò, era ancora
buio. Si girò sulla schiena e si mise ad aspettare che, da un momento
all’altro, Deborah bussasse alla sua porta per annunciargli che la colazione
era pronta.
Non aveva assolutamente fame, ed
era ancora infuriato per la scenata che aveva dovuto subire la sera prima da
sua madre.
- Pensavo di andare a trovare Amy, dopo cena. - aveva detto lui.
- Stai scherzando ? Sei appena tornato dal ritiro, sarai
stanchissimo, l’ultima cosa di cui hai bisogno è fare sforzi inutili !
- aveva risposto la mamma con aria angosciatissima.
- Non mi sembra che attraversare la strada per andare a casa di Amy sia
così faticoso ! - aveva ribattuto Julian - E poi non la vedo da due settimane, ho un sacco di cose da
raccontarle... -
- E ai tuoi genitori non vuoi raccontare nulla ? - aveva
risposto sua madre in tono lagnoso, parlando anche per suo padre che, come al
solito, era fuori città per lavoro - D’accordo,
Amy è una tua cara amica, ma devi considerare che anche noi siamo stati senza
di te per tutto quel tempo...non abbiamo forse il diritto di goderci un po’ il
nostro splendido ragazzo ? -
- Mamma... - aveva replicato lui sospirando e facendo cadere le
braccia.
- E poi guardati, sei pallido come uno straccio...sei sicuro di non aver
esagerato durante gli allenamenti ? Lo so che vuoi sempre strafare !
No, no, hai proprio bisogno di riposo. Cosa dici se ci guardiamo un film,
eh ? Posso mandare Theodore in videoteca a prendere, che so, “Guerre
stellari”...o l’altro, come si chiama, “Il ritorno dello Yeti” ! -
- “Il ritorno dello Jedi”, mamma...li ho già visti tutti e due almeno
trenta volte ! Non ho voglia di guardare la tivù, voglio vedere Amy !
- Era troppo, gli sembrava di essere un bambino dell’asilo.
- La vedrai domani, tesoro, che fretta hai ? Dai retta a me, è
meglio che tu stasera non esca. -
Ma quando mai esco la
sera ? ! avrebbe voluto risponderle Julian.
Alla fine, dopo aver tentato di
insistere ancora un po’, il ragazzo aveva dovuto cedere come al solito. Allora
si era detto che, comunque, una telefonata ad Amy, almeno, poteva farla, ma
aveva scoperto, con suo ulteriore sconforto, che la ragazza era in visita da
alcuni parenti e sarebbe tornata il fine settimana.
Julian, quindi, dovette
rassegnarsi a passare una noiosissima serata chiuso in camera sua, dopo aver
detto a sua madre che era effettivamente molto stanco. Il che era una frottola,
naturalmente, e il ragazzo non ebbe il minimo senso di colpa per aver fatto
preoccupare la mamma, anzi, visto che lui non aveva fatto altro che dar corda
alle sue fisime, forse lei sarebbe stata anche contenta di aver ragione.
Almeno Amy torna tra due giorni, si era detto.
Scacciando dalla mente il ricordo
della sera prima, Julian si mise a sedere sul letto. Chissà che oresono ?
si disse. Tanto vale che mi alzi.
Allungò una mano per afferrare la
sveglia che teneva sul comodino, ma non trovò nulla.
Dove diavolo è finito il comodino ? pensò.
Sbuffando, scostò velocemente le
lenzuola e balzò giù dal letto.
- Aaargh ! - urlò Julian
atterrando rumorosamente sul pavimento dopo un volo di circa un metro e venti.
- Ahi, ahi...ma cosa... -
- Mark, cos’è
successo ? ! - esclamò una donna spalancando la porta.
MARK ? ! ?
- Ti sei fatto male,
fratellone ? - disse una voce di bambina avvicinandosi al povero Julian
che si sentiva ancora scuotere tutte le ossa.
- Io...OOUFF ! - Un
ragazzino di circa sette anni era saltato ridendo sul petto del ragazzo che,
sdraiato di schiena, era ormai incollato alle mattonelle.
- Fratellone, fratellone, sei
caduto dal lettone ! - cantò un altro bambino tra le risate dei
fratellini.
- Ti sei fatto male,
tesoro ? Ma come hai fatto a... - disse la donna aiutando Julian a
rimettersi in piedi dopo aver alzato la tapparella.
- Veramente...non lo so...io... -
Il ragazzo era sconvolto. Ma chi sono questi ? si domandò tastandosi ogni
parte del corpo per sentire se era ancora tutto intero. Oddio, se non mi becco
un infarto questa volta...MA...
Julian si bloccò all’istante dopo
essersi toccato la nuca ; là dove avrebbe dovuto esserci solo il suo
collo, il ragazzo sentì invece una massa fluente di lunghi capelli.
Restando un attimo senza
respirare, Julian osservò le facce che lo circondavano, e che non aveva mai
visto prima ; poi si guardò le mani.
- No...no... - disse con voce
tremante mentre ricominciava a respirare sempre più profondamente, sempre più
in fretta...
- Mark, che cos’hai ? -
disse la donna, sempre più preoccupata.
Julian, disorientato, scappò
fuori dalla stanza e si guardò in giro finchè non intravide il bagno, grazie
alla porta semiaperta. Dopo esservisi fiondato dentro, sbattè la porta e,
sconvolto, si aggrappò al lavandino, ansimando, senza avere il coraggio di
alzare la testa per guardarsi allo specchio.
Poi, raccogliendo le forze,
sollevò lo sguardo ; quando capì di stare osservando la faccia di Mark
Landers, anziché la sua, si accasciò sul pavimento tremando, stringendosi
l’addome con le braccia.
-
Mark ? Mark ! Stai bene ? -
Perché quella donna continuava a
chiamare Mark ? Perché lui era lì ? Cos’era successo ? Devo pensare, pensare, pensare...
- Va tutto bene... - disse, quasi
senza rendersene conto - Tutto bene...tutto bene... -
Poi si alzò di scatto, si chinò
sul water e vomitò.
Quella stessa notte, a Hokkaido,
Philip e Jenny erano seduti sul prato della villetta di lui, teneramente
abbracciati, a vedere le stelle.
- Non poteva esserci una serata
più bella per il tuo ritorno - disse Jenny sollevando leggermente la testa
verso il suo ragazzo.
- Mai bella quanto te - disse lui
baciandole il collo.
- Mmm...scommetto che lo dici a
tutte... -
- Tutte chi ? -
- Tutte le donne con cui mi
tradisci durante la mia assenza...ma perché mi sono trovata un ragazzo tanto
irresistibile ? - rispose lei abbracciando Philip ancora più forte.
- Oooh...sono cavoli tuoi,
amore...mi hai voluto tu...e adesso ti cucchi anche gli inconvenienti ! -
disse Philip continuando a baciarla - Comunque puoi stare tranquilla... -
- Non mi tradisci ? - disse
lei ridendo.
- Certo che sì, ma sono serio
solo con te ! -
Jenny scoppiò in una risata
cristallina. - Sei stupido come una capra...ma ti amo lo stesso ! -
- Anch’io ti adoro da morire -
rispose lui, e, lentamente, avvicinò le sue labbra verso quelle di lei.
All’improvviso, l’espressione di
Jenny cambiò radicalmente.
- Che cazzo stai
facendo ? ! ? - esclamò dando a Philip un forte spintone che lo
fece cadere all’indietro.
- Ma...Jenny !
Cosa... ? -
- Jenny un cazzo, brutto maiale
che non sei altro! Lo sapevo che eri un pervertito ! - disse poi la
ragazza alzandosi in piedi di scatto, guardandosi intorno spaventata.
- Dio mio...ma cosa ti sta succedendo ? ! -
esclamò Philip, sgomento, tentando di rialzarsi.
- Stammi bene a sentire, figlio
di puttana ! Prima che ti ammazzi devi dirmi : primo, dove cazzo
siamo ; secondo, perché sono conciato cosìììììì ! Ahia ! - Jenny
(o quella che doveva essere lei) cadde rovinosamente al suolo sotto lo sguardo
basito di Philip.
- Vaffanculo ! Cosa cazzo ci
faccio con i tacchi ? ! Fa parte del gioco ? ! Ma che
razza di droga mi hai propinato, maledetto stronzo ? ! - La
ragazza girò zoppicando per il giardino, con una mano alla fronte e l’altra al
fianco.
- Ma di cosa cavolo stai
parlando, Jenny ? ! Per favore, cerca di
calmarti ! ! - Philip era davvero sconvolto. - Non...non ti ho
mai sentito dire una parolaccia da quando ti conosco, e ora hai detto “cazzo”
almeno cinque volte di fila ! -
- E chi cazzo se ne frega di
quante volte ho detto “cazzo”, cazzo ! Questa sarà la sesta ! E
allora ? -
Philip scosse la testa,
incredulo. - Tu non puoi essere Jenny - disse
- Ma noo...sono Britney Spears ! Certo che
non sono Jenny, porca puttana ! Sono Benji Price, idiota ! - La
ragazza afferrò Philip, che credeva di svenire, per il collo della camicia e lo
avvicinò bruscamente al suo viso. - E adesso ti conviene dirmi perché sono qui,
altrimenti ti spacco il culo, Callaghan ! -
La notte, in Thailandia, era
decisamente caldissima. Benji, sulla sua sdraio, ridacchiò pensando che, mentre
i suoi sfigatissimi compagni di squadra stavano boccheggiando nelle loro case,
lui si trovava sulla terrazza di uno dei più lussuosi alberghi di Bangkok a
sorseggiare un favoloso cocktail. Era partito subito dopo gli allenamenti,
quello stesso pomeriggio. Il viaggio era stato lungo e stancante, ma ne era
valsa la pena... Nonostante Freddie lo piantonasse, sicuramente avrebbe trovato
il modo di divertirsi un mondo ; in fin dei conti, non era forse Benjamin
Price, il mitico Super Great Goal Keeper, noto in (quasi) tutto
l’universo ?
Ad un tratto, Benji si sentì
molto, molto strano. Scosse un attimo la testa e si guardò attorno, come se non
riconoscesse il posto in cui si trovava. Quindi, sempre con uno sguardo
interrogativo sul volto, rientrò in camera e si sedette sul letto. Dopo un
attimo, Freddie Marshall fece capolino dalla porta.
- Benji, vai a letto e spegni
quella maledetta luce. - disse - Domani devi alzarti alle sette per gli
allenamenti ! -
Benji guardò con aria incredula
il suo preparatore atletico.
- Si può sapere che
cos’hai ? - domandò Marshall incuriosito e un po’ seccato.
- Benji ? Io non sono
Benji ! - rispose il ragazzo con uno sguardo ebete - Io sono Oliver
Hutton, signor Marshall ! Mi potrebbe dire dove sono ? -
Detto questo, cari lettori,
provate ad immaginare quale fu la reazione di Jenny quando, quella mattina, si
svegliò in una camera completamente tappezzata da poster di calciatori, a
Fujisawa...
- Guardami, maledizione,
guardami ! ! ! - urlò Benji, ormai ospite del corpo di Jenny,
scuotendo Philip avanti e indietro - Spiegami come cazzo è potuta succedere una
cosa del genere ! -
- Adesso, basta, diamoci una
calmata, accidenti ! ! ! - rispose Philip liberandosi con uno
strattone.
Benji, ormai con il fiatone, si
portò le mani al volto e si sedette pesantemente sull’erba.
- Allora, cerchiamo di
ricapitolare - disse Philip cercando di mantenere la calma e sedendosi accanto
al ragazzo (ragazzo ? NdS) - Innanzi tutto, dammi solo una dimostrazione
del fatto che sei davvero Benji Price e non è uno scherzo di pessimo gusto. - Il che vale a dire che non sei matta da
legare, pensò Philip.
- Senti, amico...se vuoi ti
snocciolo tutta la formazione dell’Amburgo... -
- No, meglio ancora ! Dimmi
quanti gol da fuori area ti sei fatto segnare da Mark Landers durante l’ultimo
campionato ! -
- Stai cercando di
fottermi ? A parte il fatto che la Toho è stata sbattuta fuori alle
semifinali e le nostre squadre non si sono mai incontrate direttamente, vuoi
che quella mezza sega di Landers riesca a farmi gol da fuori area ?
Quello, con me in porta, non segnerebbe nemmeno se avessi le mani legate !
Da fuori area, poi ! HA ! ! !Ma non farmi ridere ! ! ! Sono il Super Great
Goal Keeper, io ! ! ! -
- Eri il Super Great Goal Keeper... - disse Philip con una smorfia di
disgusto - Adesso, Dio solo sa come, ti sei incarnato nella mia ragazza...e la
cosa mi fa particolarmente incazzare perché VORREI TANTO SAPERE CHE ACCIDENTI
DI FINE HA FATTO JENNY ! ! ! - sbottò poi il ragazzo, ormai
sull’orlo della crisi di nervi.
- Mio Dio, non ci posso
credere... Se penso che fino a cinque minuti fa ero stravaccato sulla terrazza
dello Star Hotel di Bangkok con un favoloso Manhattanche mi bagnava il gargarozzo... - continuò Benji, quasi in
lacrime, ignorando la protesta del povero Philip.
- CHI SE NE FREGA DEL TUO
FOTTUTISSIMO MANHATTAN ! ! ! DIMMI DOV’E’ JENNY,
STRONZO ! ! ! -
- Ma cosa vuoi che ne
sappia ? ! ? Sarà finita...oddio...ti prego, fa che non sia
così... - disse Benji tremando mentre Philip, che aveva preso il sopravvento su
di lui, lo stava scuotendo per le spalle.
- Così come ? ! ?
-
- Devo chiamare subito Freddie -
disse Benji alzandosi di scatto e correndo verso la casa di Philip - Phil,
dov’è il telefono ? -
- Tu non chiami proprio nessuno,
bello mio ! Prima mi dici dov’è la mia ragazza ! ! - replicò
Philip trattenendo Benji per un braccio.
- MA NEL MIO CORPO,
IMBECILLE ! ! ! - sbottò Benji - Sai fare due più due, porca
miseria ? ! ? Per questo devo parlare con Freddie ! Lui
saprà sicuramente dire se in questo momento sto dando segni di squilibrio...il
mio corpo, volevo dire... Dannazione, è tutto così complicato ! ! !
-
- Bravo, bella idea ! - aggiunse
Philip - E tu pensi che riuscirai a convincere Freddie che sta parlando con
te ? Ma smettila ! -
- Allora chiamalo tu !
Inventati una scusa, che so, fingi di voler parlare con me... -
- Uhm...questo si può fare !
Però poi la telefonata me la paghi tu, eh ! -
- D’accordo, dannato
spilorcio...ti farò un assegno non trasferibile ! Dammi il telefono,
svelto ! -
Una volta in casa, Benji non ci
impiegò molto a recuperare il numero dell’albergo, e altrettanto facilmente
riuscì ad aver quello della camera di Marshall.
- Rispondi...ti
prego...rispondi... - disse Benji.
Ad un tratto, qualcuno sollevò la
cornetta.
- Pronto ? - disse la
profonda voce di Freddie Marshall.
- E vai ! ! ! -
esclamò Benji, che teneva l’orecchio incollato a quello di Philip.
- Taci, deficiente ! -
sibilò il ragazzo - Pronto, signor Marshall ? Sono Philip Callaghan ! -
- Callaghan ? Ah, sì, quel Callaghan...che vuoi ? - rispose l’uomo in modo
abbastanza brusco.
- Ecco...mi dispiace per l’ora,
ma avrei bisogno di parlare con Benji...è piuttosto urgente ! -
- Molto urgente ! - urlò
Benji nella cornetta. Philip gli diede uno spintone facendolo scostare dal
telefono.
- Guarda, Callaghan...io Benji te
lo posso anche passare, però... -
- Però cosa ? - disse
Philip.
- ...però in questo momento non
c’è molto con la testa, se mi concedi l’espressione... Ho paura che non si
senta bene, forse ha preso una malattia del posto...penso che chiamerò un
medico, sembra quasi che deliri... -
- Non importa, me lo passi lo
stesso ! - Lei è lì, non c’è dubbio,
si disse Philip.
- Se proprio ci tieni... Benji,
vieni, c’è Philip Callaghan che ti vuole ! -
Philip e Benji fremevano
dall’impazienza.
- Ehilà, Philip ! Come
butta ? - I due ragazzi ebbero un tuffo al cuore.
- Je...Jenny ? - disse Philip dubbioso.
- Jenny ? Quale Jenny ? Ah, stai
parlando della tua ragazza ? Ma no, non sono Jenny ! - rispose
ridendo la voce di Benji, in un tono stranamente svanito - A dir la verità se
non fossi sicuro di sapere chi sono comincerei a dubitarne...ma tu lo sapevi di
questo ritiro a Bangkok ? Io mica me lo ricordavo ! Quando venite tu
e gli altri ? -
- MA CHE DIAVOLO STAI DICENDO,
RAZZA DI...OUCH ! - Benji, che aveva temporaneamente preso possesso della
cornetta, ricevette una tremenda gomitata nelle costole da Philip.
- Hey, Phil, ma non era la voce
di Jenny ? Perché la cercavi se è lì con te ? -
- Senti, ma...sei sicuro di
essere proprio tu ? - borbottò Philip.
- Mah...a dir la verità stasera
mi sento un po’ confuso...sarà stato il viaggio... Comunque c’è il signor
Marshall che si comporta in modo piuttosto strano...non dirlo a nessuno, ma...
- La voce di Benji si abbassò fino a diventare un sussurro. - ...credo che ci
sia in ballo un’ amichevole con la Thailandia ! Però non dirlo agli altri,
penso sia una sorpresa ! Allora, quando venite ?...Philip ?
Pronto ? -
Philip aveva riagganciato e si
era buttato su una sedia, sconvolto.
- Non è lei di certo...cavolo, ma
dove sarà finita ? ! ? -
- Vorrei tanto saperlo anch’io...
- disse Benji massaggiandosi il torace ancora dolorante - Anche perché, se non
si tratta di Jenny, allora chi c’è nel mio corpo ? -
- Che ne so ? Eppure quel
tono di voce...e quel modo di parlare...mi sono stranamente famigliari ! -
- Chiunque sia è un idiota -
disse Benji, secco - Come si fa ad essere così tranquilli in una situazione del
genere ? ! -
- Appunto...e adesso che
facciamo ? -
- Cosa facciamo ? ! IO
cosa faccio, piuttosto ! Guarda come sono conciato ! Non posso di
certo tornare a casa così ! -
- No di certo...oh, oh ! Mi
ero dimenticato di un piccolo particolare... -
- Spara - disse Benji,
preoccupato.
- Tu...Jenny è ospite da me fino
alla settimana prossima...poi dovrà tornare a New York ! -
- A NEW YORK ? ! ? IO DOVREI
ANDARE IN AMERICA ? ! ? -
- E dovresti anche restarci -
disse Philip - Ormai Jenny vive là, pensavo che tu lo sapessi... -
- Non se ne parla. Io resto qui.
-
- E allora inventati qualcosa.
Comunque è meglio se ci pensiamo domani, sto morendo di sonno. Ah, a
proposito... -
- Che c’è ? -
- Tu dormi sul divano, okay ? -
- Alla faccia dell’ospitalità !
- esclamò Benji - Sei sempre così galante con la tua ragazza ? -
- Con la mia ragazza, sì - rispose Philip troncando il discorso.
Ma ora torniamo a Tokyo, al
mattino successivo...
Mark, ovviamente, non poteva
credere ai propri occhi.
Non...non è possibile...io sto sognando...adesso mi sveglio e sono a
casa mia, a Fukuoka, con miamadree i miei fratellini...
Si toccò ancora il viso, come se
cercasse di togliersi una maschera. All’improvviso, gli tornarono in mente le
parole di Evsebius :
- Immagini di vivere la vita di un altro... Ormai ha fatto la sua
scelta... -
Non poteva essere veramente stato
lui...
La trasposizione.
Mio Dio...
Era andata così ?
Mark aveva detto che avrebbe
scambiato volentieri la sua vita con quella di Julian Ross ed Evsebius l’aveva
preso in parola...
E adesso cosa faccio ?
Improvvisamente qualcuno bussò
alla porta, facendo sobbalzare Mark. Il suo cervello lavorava freneticamente.
- Signorino Julian, la colazione
è pronta. - disse la voce di una giovane donna.
COSA FACCIO ? ! ?
- Signorino Julian ? -
- Chi...chi è ? -
- Sono Deborah, signorino...si
sente bene ? -
Mark non sapeva ancora se aprirle
o scappare dalla finestra. Calmo, si
disse. Ragiona. Se non apri, capirà che
c’è qualcosa di strano, e allora cominceranno i guai...
- Eccomi - rispose Mark, aprendo
la porta. La cameriera lo guardò in modo strano.
- E’ tutto a posto ? I
signori la stanno aspettando. -
- Sì, sì...scendo subito. Uh, ho
una fame da lupi... - disse il ragazzo, simulando indifferenza e richiudendosi
la porta alle spalle.
- Ma...scende così ? - domandò Deborah, sempre
più perplessa.
- Sì...perché ? -
- Non preferisce una vestaglia? -
Mark capì che la cameriera alludeva al fatto che il ragazzo era ancora in
pigiama ed aveva un aspetto piuttosto stravolto.
- No, no...ora mi vesto. Scendo
tra un attimo. -
- Se lo desidera...ma suo padre
deve partire tra poco, e sperava almeno di riuscire a fare colazione insieme a
lei e a sua madre. -
- Okay, in questo caso fuori la
vestaglia... - disse Mark alzando gli occhi al cielo.
Deborah scosse un attimo la
testa. - Come, prego ? -
Oddio, mi sa che devo cambiare linguaggio, pensò
Mark mordendosi la lingua.
- Ehm...volevo dire che...le
sarei grato se mi porgesse una...una...veste da camera, Miss Deborah. -
Miss Deborah ? ! pensò la cameriera.
- Veramente la vestaglia è dietro
di lei...appoggiata alla sedia in fianco al letto, signorino. -
Mark si voltò di scatto. - Uh,
grazie ! - disse prendendo la vestaglia e indossandola un po’
maldestramente a causa dell’agitazione.
- Porc...dov’è finita quella
manica del... ? ! - borbottò il ragazzo.
- Ehm...ha bisogno di una
mano ? - intervenne Deborah aiutando Mark a vestirsi.
- Grazie mille...he, he, queste
vestaglie sono sempre un problema...ma dov’è finita la cintura ? -
- All’interno, signorino...l’ha
indossata al contrario ! - disse Deborah togliendo la vestaglia al ragazzo
- Lasci, ci penso io... - La cameriera si lasciò sfuggire una risatina, ma si
ricompose subito quando capì che il suo padrone l’aveva notata e ne stava arrossendo.
- Mi scusi, signorino...non
volevo... -
- No, no, non si preoccupi...oggi
sono un po’ schizzat...ehm...volevo dire fuori di melon...cioè... -
- Credo sia meglio andare... - lo
interruppe Deborah, divertita ma anche un po’ preoccupata dallo strano
comportamento del ragazzo.
Che palle, pensò Mark scendendo le scale con Deborah al
seguito, quante formalità...e pensare che
io, a casa mia, faccio regolarmente colazione in mutande... Va beh, è meglio se
ci adeguiamo, almeno finchè la situazione non torna alla normalità...mah, forse
sono finito in una specie di dimensione parallela e...
- Julian, finalmente ! -
esclamò una donna che camminava avanti e indietro in fondo alle scale - Mi
stavo preoccupando... -
Mark la guardò un attimo. Quella dev’essere la madre di Julian,
pensò notando che aveva gli stessi tratti delicati del figlio. Okay, facciamo finta di niente e cerchiamo
di essere disinvolti.
- Ciao, ma’ ! - esclamò il
ragazzo alzando una mano. Ad un tratto, Mark inciampò nella lunga vestaglia e
ruzzolò per metà scala.
- Signorino Julian ! -
esclamò Deborah.
- Tesoro ! - gridò la donna
precipitandosi a soccorrere il figlio - Mio Dio, ti sei fatto male ?
Gregory ! Gregory ! -
- No, no, tutto okay...volevo
dire, sto bene, mamma, non preoccuparti ! -
La donna lo ignorò. - Deborah,
chiama subito un’ambulanza... -
- Cos’è successo ? - esclamò
un uomo distinto precipitandosi fuori da una stanza.
- Julian è caduto dalle
scale...Mio Dio, Gregory, dobbiamo portarlo subito all’ospedale ! -
- Ma sei matta...cioè no,
tranquilla, sto benone, guarda... - disse Mark alzandosi in piedi di scatto e
saltellando prima su una gamba, poi sull’altra facendo risatine nervose. La
donna era sull’orlo delle lacrime.
- Ne...ne sei sicuro ? Io
chiamerei lo stesso il dottor Clarke, non si sa mai, magari hai preso una botta
e... -
- Va tutto bene, Ashley, non
vedi ? - disse l’uomo tentando di rincuorarla - E’ stata solo una stupida
caduta...con tutte le volte che cade giocando a pallone...vero, figliolo ?
- L’uomo sorrise, e Mark lo trovò estremamente rassicurante.
- Ma certo, ormai sono una
roccia, io ! - disse.
Ancora un po’ agitata, la donna
si alzò asciugandosi gli occhi.
- E’ che...mi ero un po’
preoccupata non vedendoti scendere... -
- Ti preoccupi sempre troppo,
cara. Avrà dormito un po’ più del solito, non è il caso di agitarsi così...ora,
però, andiamo a tavola. Devo prendere un taxi tra un quarto d’ora. -
Mark seguì i genitori di Julian
in una grande sala dall’arredamento molto elegante, al centro della quale si
trovava una tavolo rettangolare apparecchiato di tutto punto. Il ragazzo si
sedette in quello che supponeva fosse il suo posto, sul lato lungo ; aveva
davvero fame, e il pensiero del ben di Dio che lo aspettava gli fece passare
per un po’ l’ansia di risolvere la sua situazione.
- La sua colazione, signorino
Julian. - disse Deborah portando un grosso vassoio.
Si mangia ! pensò Mark fregandosi le mani.
Quando la cameriera posò il
vassoio accanto al lui, però, la sua espressione passò dal godurioso al deluso.
- Tutto qui ? ! -
disse, osservando la tazza di latte con cereali e i tre striminziti biscotti
integrali che lo guardavano dal piatto, mentre papà e mammà si stavano sbafando
delle splendide fette di pane con il burro e la marmellata dopo averle immerse
in un profumatissimo tè bollente.
I due guardarono il figlio con
aria perplessa.
- Julian...sono sette anni che
fai colazione in questo modo... - disse il padre - Lo sai che devi stare
leggero e il tè non ti fa bene... -
- Ah, già... - disse il ragazzo . Dimenticavo che sono malato di cuore. Che
culo ! pensò, arrabbiato. Va beh, con la fame che ho...
Mark affondò il cucchiaio nella
tazza, e quando lo estrasse lo guardò con disgusto.
- Bleah, muesli ! - esclamò.
- Julian, un po’ di contegno a
tavola ! E poi i muesli ti sono sempre piaciuti... - disse la madre -
Cos’hai, tesoro ? -
- Nienteee...anzi ! E’ vero,
mi sono appena ricordato che adoro i muesli ! Gnam ! Ho proprio una
fame da lupi ! - disse Mark cercando di camuffare l’espressione schifata
che si dipinse sul suo viso dopo aver ingurgitato una grossa cucchiaiata di
cereali. Metto in conto anche questo,
Julian Ross !
Nessuno più aprì bocca per tutta
la durata della colazione.
- Bene, io devo andare - disse
poi Gregory pulendosi la bocca col tovagliolo - Ashley, ricordati di chiamare i
Morgan per la festa di dopodomani... - Morgan ?
Festa ? pensò Mark preoccupato.
- Non preoccuparti...buon lavoro,
caro ! - disse la donna dando un bacio volante la marito.
- E tu goditi il meritato
riposo...ieri Theodore ha pulito la piscina, puoi farti un bel bagno, se ti
va ! -
Piscina ? pensò Mark iniziando a gongolare.
- Altroché ! - rispose.
Gregory guardò suo figlio e gli sorrise di nuovo, dandogli una leggera pacca
affettuosa sulla nuca prima di lasciare la stanza. Mark lo seguì con lo
sguardo. Aveva gli stessi occhi e la stessa espressione calma di Julian. Per un
attimo provò una sensazione strana ; invidiava quasi il ragazzo di cui
aveva preso il posto, non per l’agio in cui viveva ma per l’idea...di avere un
padre. Mark il suo non se lo ricordava neanche più.
- Comunque oggi sei davvero
strano, Julian - disse Ashley facendo tornare in sé il ragazzo - Sei sicuro di
stare bene ? -
- Benissimo - rispose Mark
alzandosi. Deborah lo guardò come per dire “sicuro ?” . - Sono solo
un po’ stanco. Stanotte ho dormito un po’ male. -
- Oh, se è così, puoi prendere un
po’ di valeriana ! Deborah, per favore, porta a Julian... -
- Mamma - lo interruppe il
ragazzo con voce ferma - Sto bene. Non preoccuparti. Vado in camera mia, devo
vestirmi. Buona giornata. - disse poi Mark infilando velocemente il corridoio.
- Julian ! -
- Che c’è ? ! - esclamò
il ragazzo voltandosi di scatto.
- Le scale sono dall’altra
parte...buona giornata, tesoro ! - disse timidamente Ashley.
Mark arrossì e corse via.
- Io chiamo il medico - disse
Ashley appena il figlio fu fuori dalla sua portata acustica.
- Non credo sia il caso, signora
- azzardò Deborah - Forse è solo un po’ pensieroso...credo che sia meglio
lasciarlo un po’ da solo. -
- Forse hai ragione, Deborah,
però oggi è così strano.... -
Una volta in camera, Mark sbattè
pesantemente la porta e si buttò sul letto.
Calma, Mark, niente panico, pensò. Forse non si sono accorti di niente. In fin dei conti capita a tutti
di avere delle giornate no, giusto ? Quindi non agitarti, respira
profondamente e...
Lo sguardo di Mark cadde
sull’armadio.
...e magari vestiti. Non puoi stare in pigiama tutto il giorno. Ti dai
una lavata (così magari ti svegli) e poi cominci a ragionare.
Il ragazzo si diresse verso
l’armadio.
- Allora, vediamo cosa offre la
ditta. - disse aprendone due ante.
- Ammazza, che ordine ! -
esclamò osservando le maglie e la biancheria perfettamente ripiegate sugli
scaffali, e i pantaloni e le camicie appese - Se penso che io scaravento tutto
dove mi capita...va beh, però lui ha la cameriera e io no... -
Mark tirò fuori un pacco di
magliette e le esaminò una per una.
- Però ! Ralph Lauren,
Valentino, Lacoste...si tratta bene il signorino ! - disse ridendo - Beh,
vorrà dire che mi tratterò bene anch’io...almeno finchè questa specie di incubo
non finisce ! -
Il ragazzo andò verso la finestra e osservò il grande parco che
circondava la villa. Dietro gli alberi, riusciva a distinguere il rettangolo
azzurro della piscina. Poi gettò ancora uno sguardo alla lussuosa stanza,
esaminandone la grande e ordinatissima libreria, il computer sulla scrivania,
lo stereo...
- Che
pacchia ! ! ! - esclamò gettandosi di nuovo sul letto - Adesso
voglio proprio vedere di cosa ha il coraggio di lamentarsi, quel
fighetto ! -
- Julian, sei lì ? - disse
Ashley bussando delicatamente alla porta. Mark si alzò di scatto.
- Sì, un attimo...che c’è ?
-
- Niente, tesoro...volevo solo
ricordarti di prendere la digossina ! -
Digossina ? pensò Mark. Ah,
forse è la medicina per il cuore...
- Sì, la prendo subito,
mamma ! - rispose.
- Bravo...io adesso esco con
Theodore a fare un po’ di shopping. Tu riposati, mi raccomando ! -
- Okay, ciao ciao... -
Quando fu certo che la donna se
ne fosse andata, Mark si precipitò alla ricerca del farmaco.
- Ma dove diavolo le tiene, le
medicine ? Accidenti, ecco una cosa a cui devo stare attento...se mi tocca
vivere nel corpo di Julian, devo tenermi anche gli inconvenienti... proviamo a
vedere qui... - disse poi Mark aprendo il cassetto del comodino - Bingo !
Eccole qua ! -
Il ragazzo rimase un po’
perplesso nel vedere il caos che regnava in quel cassetto, con confezioni di
pastiglie e gocce messe alle rinfusa e blister mezzi vuoti fuori dalle
rispettive scatole. Ne tirò fuori alcune, leggendone i principi attivi.
- Certo che Julian non deve avere
un buon rapporto con questa roba, visto come la tiene...ma dove diavolo è
quella benedetta digossina ? Ah, trovata. E adesso quanta ne prendo ?
Non vorrei sbagliare la dose, chissà che cavolo di effetto fa... -
Mark andò verso la porta con la
scatola in mano. - Magari Deborah me lo può dire...certo che però potrebbe
insospettirsi...ormai Julian prende questa robaccia da anni, ne conoscerà vita,
morte e miracoli... -
Ad un tratto il telefono suonò.
Solo due squilli, ma furono sufficienti a far sobbalzare il ragazzo. Dopo
qualche istante, Deborah bussò di nuovo alla porta.
- Signorino Julian, è per lei -
disse la ragazza porgendo il cordless a Mark, che le aveva aperto la porta
tremando. Oh, oh...
- Chi è ? - chiese il
ragazzo.
- Un certo Mark Landers. Dice che
è importante. -
Poco prima, a Fukuoka...
- Mamma, Mark non vuole uscire
dal bagno ! - esclamò il piccolo Justin.
- Mark ! Mark ! Per
favore, apri la porta ! - gridò la donna, sempre più spaventata - Oddio,
lo sapevo che dovevo chiamare un’ambulanza... -
Julian era ancora seduto in un
angolo del piccolo bagno, ansimante. Le aveva provate tutte, si era dato un
pizzicotto, si era preso a sberle, aveva perfino provato a strapparsi la pelle
della faccia, pensando che qualcuno gli avesse appiccicato addosso una specie
di maschera per fargli uno scherzo...uno scherzo di pessimo gusto, in
verità...ma non c’era stato niente da fare. Dio solo sapeva come, si era
trasformato in Mark Landers, e ora si trovava perfino a casa sua...
Tirando un profondo respiro, si
alzò. Sentì la madre di Mark che lo chiamava, disperata, e capì che non era il
momento di creare ulteriori casini.
- E’ tutto a posto...mamma -
disse con voce tremolante - Sto meglio. Adesso esco. -
Aprì piano la porta, sperando che
le persone che si trovavano dall’altra parte si fossero volatilizzate e tutto
fosse tornato a posto. Invece, appena socchiuse l’uscio, fu travolto dagli
abbracci di tre ragazzini che gli erano saltati addosso ridendo.
- Stai bene, fratellone ? -
disse il più piccolo saltandogli sulla schiena.
- Justin, scendi subito da
lì ! - esclamò la donna - Katherine, porta via tuo fratello...Robert, tu
vai a prendere un bicchiere d’acqua ! - disse poi rivolgendosi al più
grandicello.
I tre bambini corsero via. - Caro,
sei sicuro di stare bene ? Io chiamerei un dottore...hai preso un
bruttabotta con quella caduta... -
Katherine, Justin, Robert, pensò Julian ignorando le
parole della donna.
- Mark... - disse lei, sempre con
voce preoccupata, accarezzando la testa del figlio.
- Scusa ? - disse il ragazzo
scuotendosi.
- Ti ho chiesto se va tutto
bene...forse è meglio che tu vada a stenderti un momento... -
- Sì...credo di sì... - rispose
Julian massaggiandosi la schiena - Comunque sto bene, davvero, non ti devi
preoccupare. Mi sono solo spaventato un po’. - E lo sono ancora, eccome, pensò.
Robert gli porse un bicchier
d’acqua. - Grazie, Justin - disse Julian.
- Ma io sono Bob ! - rispose
il bambino, un po’ offeso.
- Scusa, Bob...oggi il tuo
fratellone è un po’...confuso, he, he ! - disse Julian sforzandosi di
ridere, anche se, chiaramente, era l’ultima cosa che aveva intenzione di fare.
- Ascolta, Mark - disse la madre
scostando i ragazzini e conducendo il figlio in salotto - Ora devo andare al
lavoro. Porto i ragazzi da zia Dolly, così potrai stare un po’ tranquillo. Per
oggi non preoccuparti, vado io ad avvertire il signor Johnson. -
Julian si stese sul divano,
ancora indolenzito, senza prestare attenzione alle parole della donna.
- Allora, hai capito ?
Adesso devo proprio scappare. Se hai fame puoi scaldare la cena di ieri sera, è
in frigo. Ci vediamo più tardi. - disse lei depositando un bacio sulla fronte
di Mark - Bambini ! Andiamo, svelti ! -
I tre piccoli salutarono il
fratello e seguirono la madre ridendo.
Julian, accelerando il respiro
per l’ansia, aspettò di sentire la porta di casa chiudersi ; quindi si
alzò di scatto e si guardò in giro finchè non vide il telefono su un mobiletto
accanto all’ingresso. Il ragazzo ci si fiondò sopra e, con il cuore in fibrillazione,
compose il numero di casa propria.
Dopo due squilli, una giovane
donna rispose.
- Casa Ross. -
- Deborah, sono io,
Julian ! ! ! - esclamò il ragazzo.
La cameriera sbuffò. - Senta,
spiritosone - disse - Il signorino Julian è appena salito in camera sua e io
non sono proprio in vena di scherzi. -
In un lampo, Julian ebbe chiara
tutta la situazione.
- Scusi, signorina...volevo
dire...c’è Julian, per favore ? E’ molto importante. Sono... - Il ragazzo
tentennò un momento. - ...Sono Mark Landers. -
- Attenda un attimo. -
Julian trattenne il respiro.
- Pronto ? - rispose una
voce tremante dall’altro capo del filo.
- Mark -
- Julian -
I due rimasero un momento senza
parlare, sconvolti, dopo essersi vicendevolmente riconosciuti.
- Oddio, ma allora...anche tu...è
tutto vero... - disse Mark.
- Pare di sì. - rispose Julian.
Poi, scuotendosi un attimo, disse : - Hey, è tutto vero cosa ? !
-
Mark non gli fece caso. - Dove
sei ? - chiese.
- A casa tua, dove vuoi che
sia ? -
- Un momento, mi stai chiamando
da casa mia ? -
- Beh, certo, se ti ho appena...
-
- Ma sei matto ? ! E’
un’interurbana ! Costerà un capitale ! Riattacca subito ! !
-
- Uff, allora chiamami tu, ma fa’
in fretta. -
- D’accordo. -
Julian riagganciò asciugandosi la
fronte dal sudore. Ma come si fa a pensare
ai soldi in questo momento ? ! Certo che però fa una certa
impressione sentire la propria voce al telefono...
Dopo pochi secondi il telefono
squillò.
- Mark - disse Julian sollevando
velocemente la cornetta.
- Lo so che sei Mark, ti ho
riconosciuto ! Come stai, figliolo ? - rispose una voce d’uomo.
Oh, cavolo, pensò Julian.
- Ehm...chi parla ? - disse
tentennando.
- Come chi parla ! Sono
Johnson, il tuo “principale” ! Devi aver preso proprio una bella zuccata,
ragazzo... -
Julian si diede una manata sulla
fronte, ricordandosi che Mark lavorava.
- No, sto bene, signor
Johnson...è che la linea è un po’ disturbata... - mentì il ragazzo.
- Davvero ? Strano, io ti
sento benone...Volevo dirti che è appena passata tua madre all’edicola. Mi ha
detto che sei caduto dal letto... - Rise. - Spero che non ti sia fatto troppo
male. Comunque non preoccuparti, oggi puoi rimanere a casa, può benissimo
sostituirti Billy nella consegna dei giornali. Cerca di riprenderti alla
svelta, mi raccomando ! -
- Gra...grazie, signor Johnson, è
stato molto gentile. -
- A domani, allora ! -
- Sì...a domani. - disse Julian
riagganciando.
Il telefono suonò di nuovo.
- Pronto ? - disse Julian.
- Con chi diavolo eri al
telefono ? ! ? - sbraitò Mark.
- Con il tuo capo,
maledizione ! Per fortuna mi...ti ha dato una giornata di riposo, per
oggi ! -
- Mamma mia, mi stavo
dimenticando di tutto... - disse Mark portandosi una mano alla fronte.
- Mark, vuoi spiegarmi cosa
diavolo è successo ? ! -
Il ragazzo sospirò. - Ti conviene
metterti seduto...ho qualcosa di incredibile da raccontarti ! -
- Mi stai dicendo che hai detto
ad una specie di genio di scambiare le nostre vite ? ! ? - disse
Julian incredulo, dopo aver ascoltato il racconto di Mark.
- Piano, piano... - rispose Mark
- Io non gli ho detto proprio niente, ha fatto tutto da solo ! Cioè...non
che mi sarebbe dispiaciuto essere nei tuoi panni per un po’, ma... -
- Ma...? ! -
- Ma non immaginavo che mi
avrebbe preso sul serio ! Credimi, Julian, io sono sconvolto quanto
te ! -
- Mark, ti rendi conto di quello
che hai fatto ? ! A parte che non so ancora se credertio no (ma mi sa che lo dovrò fare, vista la
situazione), cosa pensi che succederà, adesso ? Io sono te e tu sei me.
Come ne usciamo ? -
- Senti, aspetto che tua madre
torni, poi le sequestro l’autista e vengo lì. -
- Sì, e tu credi che mia madre
ti...mi lasci andare a Fukuoka così, senza batter ciglio ? Ma l’hai
vista ? Le hai parlato ? -
- In effetti mi è sembrata un po’
apprensiva... -
- Apprensiva ? - esclamò Julian - No, è meglio se vengo io. -
- E con quali soldi ? -
rispose Mark - Hai idea di quanto costi un viaggio in autobus da Fukuoka a
Tokyo ? Per fortuna quello per andare al ritiro me l’ha pagato la
Federazione, altrimenti non so come avrei fatto... -
Julian sospirò profondamente. -
Stupendo...siamo in un mare di guai. -
- No, io sono in un mare di guai ! Devo lasciare mia madre e i miei
fratelli in mano tua, mentre io sono qui e non posso fare un accidente ! -
- Che vuoi dire ? - disse
Julian, seccato.
- Voglio dire che tu non sai fare
un passo senza che la tua Deborah o il tuo Thaddeus... -
- Theodore -
- ...il tuo Theodore ti metta un
piede davanti all’altro ! Non puoi renderti conto di quanto sia duro
mandare avanti una famiglia ! -
Julian sbuffò. - Senti, Mark,
vedi di piantarla con questa lagna. Non sono così impedito come credi. Me la
caverò benissimo finchè la situazione si risolverà... -
- Seee...ti ci vedo, con il tuo
fisico sano e robusto, a consegnare i giornali, Piccolo Lord delle mie
ghette ! -
- Non pensare che la mia vita sia
tutta rose e fiori, amico...non sarò di certo io quello che crollerà per primo,
puoi scommetterci ! -
- Eh, sì...dimenticavo che è
terribilmente faticoso girarsi i pollici tutto il giorno...mi sta già venendo
un crampo alle dita... -
- Ma la pianti di
sfottere ? ! - sbottò Julian - Se proprio la metti su questo
piano, ti dimostrerò io cosa sono capace di fare, vedrai. Tu, piuttosto, pensa
a ritrovare quel dannatissimo Evsebius e a risolvere la situazione. E poi... -
- Cosa ? -
- ...Poi spiegami cosa diavolo
devo fare con il signor Johnson e...tutto il resto ! -
- Ma non eri tu quello che se la
doveva cavare egregiamente ? - disse Mark sghignazzando.
- MARK ! ! ! -
- Va bene, va bene, scusa. Tu
però devi dirmi cosa devo fare con quell’accidente di digossina e tutta l’altra
robaccia tritafegato che devo prendere... -
- Non preoccuparti ! Ci
tengo che il mio corpo campi il più a lungo possibile ! -
- Anch’io. Ora rimettiti comodo,
dobbiamo fare una lunga chiacchierata. -
Quella stessa mattina, Patty era
più che decisa a chiarire la situazione. Mentre si dirigeva verso la casa di
Holly, ripensò alle parole di Mark ; in effetti lui non aveva tutti i
torti, era inutile continuare a struggersi per un ragazzo che, forse, non la
teneva minimamente in considerazione. Quindi quel giorno avrebbe certamente
significato un’importante svolta per la sua vita, nel bene o nel male.
E’ ora di piantarla di fare la bella statuina, si
disse. Bisogna passare all’azione.
Giunta davanti alla porta di casa
Hutton, però, la ragazza ebbe un momento di esitazione. Dentro di sé, ripetè
nuovamente il discorso che si era preparata durante tutta la notte, trovandolo
per l’ennesima volta ridicolo e infantile. Tremando per l’agitazione, suonò il
campanello.
Sta’ calma, sta’ calma, sta’ calma, si disse innervosendosi
sempre di più.
Un istante dopo, la signora
Hutton spalancò la porta senza nemmeno chiedere chi era, e ciò che Patty vide
negli occhi della donna non le piacque per niente.
- Oh, Patty ! Speravo
proprio che fossi tu ! Giuro, stavo per chiamarti ! - disse la madre
di Holly trascinando la ragazza in casa dopo averla afferrata per un braccio.
- Ma...Maggie, cosa c’è ? E’
successo qualcosa a Holly ? - domandò Patty spaventata dal comportamento
della donna che ora la stava spingendo su per le scale.
- Guarda, io non so più che cosa
fare. Forse tu che sei una sua buona amica riesci a farlo ragionare un po’...
Oddio, questa volta è davvero troppo ! -
- Cosa è
troppo ? ! - disse Patty notando che Maggie Hutton non l’aveva
minimamente ascoltata.
- Stamattina sono andata a
chiamarlo per la colazione - disse la donna passandosi una mano sulla faccia -
E lui non mi ha nemmeno aperto...gridava, piangeva, sembrava isterico...diceva
che non voleva vedere nessuno... Insomma, non aveva fatto una crisi del genere
nemmeno dopo la partenza di Roberto ! Non riesco proprio ad immaginare
cosa possa essergli successo stavolta ! Se almeno mio marito fosse qui...
-
Iniziamo bene la giornata, pensò Patty sbuffando. Maggie
bussò alla porta della camera di Holly.
- Oliver, tesoro, apri ! C’è
qui Patty ! Per favore, vuoi vedere almeno lei ? -
Lentamente, la porta si socchiuse
giusto per uno spiraglio.
- Falla entrare e vattene. -
disse una voce rotta dopo qualche istante.
Patty guardò Maggie, che si
torceva le mani, con aria interrogativa. Poi, dopo che la donna ebbe dato il
suo assenso con un cenno del capo, la ragazza entrò nella camera chiudendosi la
porta alle spalle.
La stanza era completamente buia.
Holly aveva abbassato le tapparelle in modo che la luce non potesse nemmeno
filtrare. L’unico suono che si sentiva era un singhiozzo soffocato.
- Holly... ? Dove sei ?
- disse Patty titubante, guardandosi intorno e cercando la sagoma del ragazzo.
All’improvviso, qualcuno balzò
addosso a Patty stringendola in un abbraccio e facendola urlare dalla paura.
- Oddio, Patty ! - esclamò
Holly scoppiando in lacrime - Aiutami, ti prego ! -
- Patty, cos’è
successo ? ! - disse Maggie dal corridoio, con voce sgomenta.
- Tutto a posto, non si
preoccupi... - disse Patty con il cuore che le stava saltando fuori dal petto
mentre Holly la stringeva tra le braccia piangendo a dirotto. La ragazza era un
po’ imbarazzata, ma trovava la situazione tutt’altro che spiacevole.
- Su, andiamo...cosa può essere
successo di tanto terribile ? - domandò lei battendogli una mano sulla
spalla per consolarlo.
- Tu...tu non puoi capire...è
semplicemente assurdo ! -continuò
Holly sciogliendosi dall’abbraccio di Patty e lasciandosi cadere sul letto.
- Senti - disse Patty - Ora calmati
e parliamone. Ma prima fammi alzare le tapparelle, non vedo un accidente con
questo buio ! -
- NO ! ! ! -
esclamò Holly afferrando la ragazza per il polso.
Patty era sconvolta. Non avrebbe
mai immaginato di vedere quel ragazzo, sempre tranquillo e perso nel suo mondo
di palloni da calcio, ridotto in uno stato del genere.
- Ma...c’è qualcosa che non vuoi
che io veda ? - domandò con voce calma - Guarda che con me non devi
vergognarti di nulla... -
- No...non è per qualcosa che non
voglio che tu veda... - rispose Holly con un filo di voce - E’ qualcosa che io non voglio vedere... La mia faccia,
le mie mani, il mio corpo...NON SONO MIEI ! ! ! -
Il ragazzo si alzò di scatto e,
di colpo, sollevò la tapparella facendo un gran baccano.
- IO NON SONO
IO ! ! ! QUESTO CORPO NON MI APPARTIENE ! ! ! IO
SONO...SONO UN’ALTRA PERSONA, CAPISCI ? ! -
Patty era rimasta a bocca aperta
nel vedere Holly con il volto rigato di lacrime. Pazzesco, è in piena crisi isterica, si disse. Sembra una...
La ragazza raddrizzò la schiena
percorsa da un brivido. Mio Dio,
pensò. Ora capisco tutto...
- Senti - disse in tono sommesso
andando verso il ragazzo che si era accucciato sotto la finestra e si era di
nuovo messo a piangere - Per me non è davvero un problema, te l’assicuro...e
vedrai che anche gli altri capiranno, non preoccuparti. -
- Allora...allora tu sai... -
disse Holly alzando lo sguardo carico di speranza verso di lei.
- Sì...credo di sì. - rispose
Patty con un sorriso amaro, accarezzandogli la testa.
Holly alzò gli occhi al cielo. -
Mio Dio...cosa dirò a Philip ? -
Philip, pensò Patty storcendo il naso. Fantastico. Ora so anche chi è il mio rivale.
- Ti prego, devi aiutarmi !
- disse poi il ragazzo stringendole le mani. In quel momento, però, quel gesto
che fino a pochi minuti prima avrebbe riempito Patty di gioia le provocò un
moto di disgusto.
- Ma certo che ti aiuterò, Holly
- disse liberandosi dalla stretta e andando verso la porta senza guardare in
faccia il ragazzo - Devo andare, chiamami quando vuoi. Ci vediamo. -
- Tu...tu non hai capito... -
- Certo che ho capito. Ti
aiuterò, non preoccuparti. Ciao. - Detto questo, Patty uscì dalla stanza
sbattendo la porta.
- Non hai capito...non puoi aver
capito... - continuò Holly con lo sguardo perso nel vuoto - Io
sono...Jenny...Jenny... - E si rimise a singhiozzare, con il viso affondato
nelle ginocchia.
- Allora, Patty, che
cos’ha ? - domandò la madre di Holly, preoccupata, mentre Patty guadagnava
l’uscita a passi decisi.
- Niente, Maggie, non si
preoccupi. E’ solo stressato. Gli passerà. - mentì la ragazza - Le consiglio
solo di lasciarlo perdere per un po’. -
- Mah, speriamo... -
- Davvero, va tutto bene.
Arrivederci, Maggie. - disse poi Patty percorrendo il vialetto.
Voltato l’angolo, si accucciò
contro il muretto e si prese il viso tra le mani.
- Oh, Holly, Holly... - disse
sospirando - Possibile che le cose stiano così ? Allora...allora è proprio
veroche per noi...non ci sarà mai...un
futuro...mai...in nessun modo ! ! ! - e scoppiò nel pianto
dirotto che aveva a stento trattenuto di fronte alla signora Hutton.
Il povero Freddie Marshall passò
una notte infame in preda alle più atroci preoccupazioni per la salute mentale
di Benji, mentre questo, nella stanza accanto, dormiva saporitamente. La sera
prima aveva ascoltato quanto aveva detto a Philip Callaghan e tutto ciò che
aveva ottenuto era stata la conferma al suo terribile dubbio, cioè che il suo
pupillo si era del tutto rimbecillito. Forse era stata colpa dei pesanti
allenamenti, dello stress per il ritiro...in fin dei conti era stato proprio
per quello che aveva deciso di portarlo a Bangkok quella settimana...almeno
avrebbe potuto spassarsela in un ambiente più piacevole senza comunque
trascurare il calcio.
Il mattino successivo, quindi,
con le palpebre a mezz’asta, la barba ispida e due borse sotto gli occhi grandi
abbastanza per metterci dentro la spesa, Freddie ciabattò stancamente fino alla
porta di Benji. Pensò che il ragazzo doveva aver dormito abbastanza e
sicuramente si sentiva già meglio ; decise comunque di concedergli una
giornata di riposo per rimetterlo definitivamente in sesto.
- Benji ? Svegliati, è ora
di fare colazione ! - disse Freddie bussando alla porta, ma non ebbe
nessuna risposta.
- Benji, sono Freddie !
Alzati e apri questa maledetta porta ! ! - gridò poi, stanco e
spazientito.
Un rumore di passi rapidi risuonò
dall’interno e, quando la porta si aprì, Freddie si trovò di fronte un’anziana
cameriera che lo fissava seccata brandendo uno spazzettone.
- Oh, mi...mi scusi...devo avere
sbagliato stanza. Credevo fosse la 414... - farfugliò Freddie imbarazzato.
- Questa è la 414. Se sta cercando il ragazzo che dorme qui, è uscito
prestissimo, stamattina. - rispose la donna indicando la sveglia, sul comodino,
il cui timer era regolato sulle sette - Quando lo vede, per favore, gli dica
che, anche se non è scritto nel regolamento, è proibito giocare a pallone nei
corridoi. Ha svegliato mezzo albergo. - Detto ciò, sbattè poco gentilmente la
porta in faccia allo sbalordito Freddie, il quale, proferendo a denti stretti
una serie di pesanti insulti rivolti al suo pupillo, tornò di corsa in camera,
si vestì in quattro e quattr’otto e si precipitò nella hall dell’albergo.
- Dove accidenti sarà finito quel
deficiente ? ! - borbottò tra sé e sé andando dritto verso il bancone
della reception.
- Scusate...sto cercando Benjamin
Price, della stanza 414...è un ragazzo moro, alto poco meno di me...è uscito
stamattina molto presto, per caso ha lasciato detto dove andava ? -
- E’ seduto a quel tavolo da
circa mezz’ora, signore. - rispose l’impiegato indicando un punto imprecisato
alle spalle di Freddie.
L’uomo si voltò e vide Benji ad
un tavolino vicino all’ingresso. Il ragazzo si guardava intorno con aria
assente, piantonato da una specie di armadio in giacca, cravatta, auricolare e
distintivo della security che teneva sotto il braccio un pallone da calcio.
Freddie impallidì.
- Benji ! ! ! -
esclamò dirigendosi a grandi passi verso il ragazzo.
- Oh, salve ! Sta dicendo a
me, signor Marshall ! - disse allegramente il ragazzo notando solo allora
la presenza del preparatore atletico.
- NON CHIAMARMI “SIGNOR
MARSHALL”, PER LA MISERIA ! ! ! - sbottò Freddie facendo voltare
tutti i presenti verso di lui - Si può sapere cosa diavolo hai
combinato ? ! ? -
- Glie lo dico io, mister
Marshall - disse l’armadio della security - E’ andato in giardino e ha
cominciato a palleggiare in mezzo ai tavolini urtando i camerieri e rovesciando
tre vassoi, uno dei quali addosso al signor Bill Gates (che, per fortuna, ha
preso la cosa piuttosto sportivamente). Poi è corso in spiaggia e si è messo a
dribblare fra le sdraio finchè, a quanto mi hanno riferito, è stato cacciato da
un gruppetto di bagnanti insabbiati ed inferociti. L’abbiamo preso mentre
cercava di abbattere una palma da datteri a pallonate. -
Freddie incenerì con lo sguardo
Benji (che non era più Benji dalla sera precedente), il quale fece spallucce
sorridendo come un bambino.
- MA CHE CAZZO HAI DA SORRIDERE,
IMBECILLE ? ! ? - urlò nuovamente l’uomo facendo sobbalzare
l’ignaro portiere.
- Spero che abbia una buona
assicurazione, se il ragazzo è sotto la sua tutela, mister Marshall. - disse
poi il gorilla in giacca.
- Non si preoccupi...metterò
tutto in conto ai suoi genitori ! - ringhiò Freddie dopo aver preso il
pallone che l’uomo gli tendeva e trascinando via Benji per un orecchio.
- Ahia ! Ma...signor Marshall... -
- Signor Marshall tua nonna,
idiota ! Ti ha dato volta il cervello ? Adesso mi spieghi cosa ti sei
messo in testa ! ! ! - disse Freddie entrando in ascensore.
- Mi stavo solo allenando come al
solito...non credevo di dare fastidio a qualcuno ! -
- Senti, vedi di non fare il
furbo con me ! - sbottò Freddie agitando l’indice contro il ragazzo - Ti
conosco abbastanza da sapere che sei un esibizionista, ma non al punto da fare
stronzate del genere ! Ci tieni così tanto ad esser buttato fuori a calci
da questo posto ? ! -
Il ragazzo non riuscì a fare
altro che scrollare le spalle, mentre le porte dell’ascensore si aprivano e
Freddie ne usciva di corsa, infuriato. Il ragazzo lo seguì.
- Signor Mar...ehm...Freddie...mi
dispiace. Le prometto che non ci saranno altri incidenti. Però... -
- Ti ho già detto... - lo
interruppe Freddie, sull’orlo della crisi di nervi, appoggiando la fronte alla
porta della sua stanza - ...di non darmi del lei... -
- Va bene, va bene ! Però io
ho comunque bisogno di allenarmi tutti i giorni, soprattutto adesso, in vista
dell’amichevole... -
- Mi stai prendendo in
giro ? - disse Freddie voltandosi di scatto.
- Ci mancherebbe altro ! Non
scherzo mai su certi argomenti, lei...tu lo sai bene...anzi, non vedo l’ora che
arrivino gli altri per allenarci tutti insieme ! -
- Scusa...allenarsi per
cosa ? - chiese Freddie con voce tremante.
- Per l’amichevole, te l’ho già
detto ! -
- MA QUALE
AMICHEVOLE ? ! ? - sbottò Freddie mettendosi le mai nei capelli.
- Quella con la Thailandia,
no ? Perché saremmo qui, altrimenti ? -
- NON C’E’ NESSUNISSIMA
AMICHEVOLE, PORCA DI QUELLA PUTTANA ! ! ! SI PUO’ SAPERE CHI TI
HA DETTO UNA COSA DEL GENERE ? ! ? -
- Ma scusa, allora questo
ritiro... -
- Benji...in che lingua te lo
devo dire...NOI NON SIAMO IN RITIROOOOO ! ! ! -
- Ah, davvero ? -
- Benji...io sto uscendo pazzo...
-
- Ma si può sapere perché
continui a chiamarmi Benji ? Io sono Oliver, Oliver Hutton ! Hai dei
problemi, Freddie ? Possiamo parlarne, se vuoi... -
- No, tu hai dei problemi, caro
mio...e tra poco ne avrai uno molto, molto grosso... - disse Freddie
scrocchiandosi le dita con aria minacciosa.
Per fortuna dell’ex-SGGK, l’uomo
non riuscì ad attuare il suo proposito a causa dell’intervento di altri due
agenti del servizio di sicurezza dell’albergo, i quali lo presero per le
braccia e lo trascinarono via.
- Spiacenti, mister Marshall -
disse uno di loro - Ma questo albergo ha delle regole ben precise e noi siamo
tenuti a tutelare i nostri ospiti. -
- Ma...ma... - farfugliò Freddie,
ormai completamente incapace di intendere e di volere.
- Non si preoccupi per i suoi
bagagli, le verranno consegnati una volta che ci avrà comunicato l’indirizzo
del suo prossimo albergo. -
- VOI NON POTETE FARMI
QUESTOOO ! ! ! BENJI, DANNAZIONE, FA’
QUALCOSAAA ! ! ! -
La voce del povero Freddie
Marshall si spense mentre questo veniva gentilmente sbattuto fuori dall’hotel.
Holly, con gli occhi di Benji, lo osservava stupito e incuriosito dallo strano
comportamento del preparatore atletico.
Sarà bene che dica a Benji di stare attento...quell’uomo è davvero
strano, pensò.
Poi, facendo spallucce come al
solito, si disse : - Beh, ho perso anche troppo tempo ! E’ ora di
tornare ad allenarsi ! La nazionale thailandese non scherza ! -
E, recuperato il pallone lasciato
da Freddie Marshall, corse via, senza nemmeno farsi passare per l’anticamera
del cervello l’idea di guardarsi allo specchio o di ascoltare la sua
voce...beh, non sarebbe stato Holly, altrimenti !
- Philip ! Phil !
Svegliati, accidenti a te ! - disse Benji/Jenny il mattino successivo
scuotendo poco gentilmente il povero capitano della Flynet che dormiva
piuttosto scompostamente nel suo letto.
- Jenny, amore...ho fatto un
sogno stranissimo... - disse il ragazzo stiracchiandosi e allungando le braccia
verso quella che credeva la sua ragazza e porgendole le labbra per ricevere il
solito bacio del buon risveglio. Benji, con un sonoro sganassone, lo riportò
alla dura realtà.
- Vuoi piantarla di provarci,
imbecille ? ! ? Dannazione, non hai ancora capito chi
sono ? ! ? -
- Oh, cacchio...altro che
incubo...e io che speravo di essermi sognato tutto... -disse Philip massaggiandosi la faccia
stravolta.
- Mi spiace per te, tesoro, ma devo ricordarti che la
situazione è maledettamente grama e dobbiamo trovare una soluzione ! Ma si
può sapere come accidenti fai a dormire così tranquillamente ? Non ti
svegli neanche con le cannonate, cazzo ! Prima, però, dimmi dove diavolo è
il cesso, tra un po’ me la faccio addosso ! -
- Prima di tutto modera i termini
- disse Philip mettendosi faticosamente a sedere sul letto. Benji alzò gli
occhi al cielo, sbuffando. - Secondo, potevi anche evitare di sfondarmi la
mascella, visto che ormai ero sveglio...terzo, il bagno è in fondo al
corridoio. -
Senza aggiungere una parola,
Benji corse fuori dalla stanza e si chiuse nel gabinetto.
- Hey, Phil ! - disse poi il
ragazzo in tono sarcastico - Lo sapevi che la tua pupa usa biancheria intima di
pizzo nero ? -
- NO CHE NON LO
SAPEVO ! ! ! - urlò Philip, seccatissimo, dalla porta di camera
sua - Se vuoi, urla ancora un po’ più forte, così svegli anche i genitori di
Jenny, a New York ! ! -
- Oh, cacchio, ecco un’altra cosa
a cui non avevo pensato...che accidenti devo fare con i tuoi ? - disse poi
Benji tirando lo sciacquone e uscendo dal bagno.
- Per ora niente...sono in
vacanza a Furano, non torneranno prima del prossimo fine settimana. -
- Ah, così tu e Jenny avreste
dovuto avere la casa libera, eh ? - disse Benji ammiccando e dando di
gomito a Philip.
- Ma la pianti ? ! -
sbottò il ragazzo - Giuro che se tu non fossi nel corpo di Jenny ti avrei già
riempito di botte...comincio a non sopportarti più ! -
- Stammi bene a sentire - disse
Benji mettendosi le mani sui fianchi - Se qui c’è qualcuno che non sopporta più
la situazione, quello sono io. Credi che sia così divertente per uno come me
ritrovarsi nel corpo di una ragazza ? ! Un corpo niente male, devo
ammetterlo, ma pur sempre di una ragazza... -
- Senti un po’, Casanova delle
mie ciabatte, vedi di evitare i commenti su Jenny, okay ? ! -
- Che c’è, sei geloso ? -
Philip emise uno strano verso,
che a Benji sembrò una via di mezzo tra una grugnito e un ringhio, e si portò
le mani al viso.
- Ascolta, Benji - disse il
ragazzo con la voce ancora tremante dalla rabbia - Tu non piaci a me e io non
piaccio a te. Ora, però, siamo costretti a convivere finchè non troviamo una
maledetta via d’uscita, per cui cerchiamo almeno di farlo in maniera civile,
okay ? -
- Va bene, va bene. - disse Benji
alzando le mani e lo sguardo al soffitto - Cercavo solo di sdrammatizzare un
po’... Allora, che facciamo ? -
- Prima di tutto laviamoci e
vestiamoci, poi facciamo colazione (visto che a stomaco pieno si ragiona sempre
meglio) e vedrai che ci verrà in mente qualcosa di sensato. Visto che sono
cavaliere ti cedo il bagno. Io sono al piano di sotto, in cucina. Oddio, ho la
testa che mi scoppia... -
Mentre preparava il tè, Philip
pensò a tutte le possibili spiegazioni per quello che era successo. Era semplicemente
assurdo ; oltretutto lui non aveva mai creduto nei fenomeni paranormali, e
ora si trovava direttamente coinvolto in qualcosa che mai e poi mai sarebbe
riuscito a spiegarsi. A meno che non
siamo su Candid Camera, si disse.
- Philip. -
Il ragazzo si girò e, per poco,
non fece cadere a terra l’intero servizio da colazione.
- Benji, ma come diavolo ti sei
conciato ? ! ? -
Il ragazzo (ragazza...che
casino ! NdS) indossava una maglietta e un paio di pantaloni di Philip, di
almeno quattro taglie più grandi del necessario, e le scarpine con il tacco a
spillo che aveva addosso la sera precedente.
- Dove sono le scarpe,
Phil ? Queste sono una tortura...mi romperò tutte e due le caviglie prima
di sera, me lo sento ! -
- Ma porca miseria, potevi anche
darti un’occhiata prima di scendere ! Non hai trovato i vestiti di
Jenny ? -
- Ecco...sì, ma.. - disse Benji
guardando in basso e torcendosi le dita.
- Ma... ? -
- Phil, non ce la
faccio ! ! ! - sbottò il ragazzo, con le lacrime agli occhi - Ho
provato a mettermi una gonna, un vestitino, una camicetta...ma non riesco a
guardarmi allo specchio ! ! ! Mi vergogno troppo, non riesco a
credere di essere costretto a...a vestirmi da donna ! Io... -
Philip lo stava guardando con le
braccia conserte, un piede che tamburellava nervosamente sul pavimento e un
leggero filo di fumo che gli usciva dalle narici.
- Ecco...non avresti magari una
tuta da ginnastica ? Qualcosa di neutro, insomma...credo che mi sentirei
un po’ più a mio agio... -
- Vieni con me - disse Philip tirando
l’amico per un braccio - Adesso ti vesti in maniera decente, poi usciamo. Mi è
venuta un’idea. -
- Sarebbe questa la tua
idea ? - disse Benji, estremamente dubbioso.
L’insegna sul portone
diceva :
MAGO
ZORBO
RISOLVE
OGNI PROBLEMA
AMORE-BRUFOLI-NUMERI
DEL LOTTO
PREZZI
MODICI
3 SEDUTE
SPIRITICHE AL PREZZO DI 2
- Come fai a fidarti di questi
ciarlatani ? -
- Non è un ciarlatano - ribattè
Philip suonando il campanello. La porta si aprì senza che nessuno rispondesse.
- Mia nonna viene qui da anni a farsi curare i calli. E poi è l’unica
possibilità che mi viene in mente. -
- Fantastico, siamo nelle mani di
un pedicure ! - disse Benji con voce sarcastica, varcando la soglia.
I due ragazzi si guardarono
intorno ; la sala d’attesa, senza finestre, era completamente tappezzata
da pesanti tendoni rossi, a cui erano attaccati talismani di ogni genere e
forma. Le poltroncine sembravano essere state rubate da una sagrestia. Appesa
alla porta dello studio, troneggiava una gigantografia del mago in questione,
con lunghi baffi, la testa avvolta in un turbante dorato e un’espressione
piuttosto losca.
- Un campione del buon gusto, non
c’è che dire ! - commentò nuovamente Benji.
Dopo pochi istanti, la porta
dello studio si aprì e ne uscì una ragazza magrissima con capelli rosso fuoco,
un paio di occhiali dorati e un abito piuttosto stravagante, di foggia mista
tra un sari e un kimono, a colori sgargianti.
- Che la forza sia con voi,
fratelli - disse dopo aver fatto un ossequioso inchino ai due - Cosa
desiderate ? -
- Mah, io vorrei un cappuccino
con una brioche, tu cosa prendi, Philip ? -
Philip diede una forte gomitata a
Benji. - Vorremmo parlare con il mago Zorbo, per favore. Abbiamo un grosso
problema. - disse il ragazzo.
- A dire la verità il Divino
Zorbo è piuttosto impegnato, ma se il vostro turbamento è così grave, penso che
vi riceverà all’istante. Seguitemi. - disse la ragazza facendo un cenno ai due
e aprendo la porta dello studio.
- Adesso ci porta da Obi-Wan
Kenobi ! Non vedo l’ora ! - disse sottovoce Benji ridacchiando.
- Piantala di fare
l’imbecille ! - rispose Philip a denti stretti seguendo la ragazza.
- Maestro...due anime in
difficoltà hanno bisogno del vostro operato... - disse la ragazza con deferenza
facendo capolino dalla porta. Dando un’occhiata da dietro sue spalle, Benji e
Philip notarono che il Divino Zorbo era seduto alla scrivania e stava russando
saporitamente con le mani intrecciate sul pancione.
- Maestro ? - ripetè la
ragazza, arrossendo fino alla radice dei capelli.
Il mago si scosse un attimo. -
Che vuoi, Jackie ? - grugnì - Lo sai che non mi devi disturbare
mentre...Oh ! - Il Divino Zorbo si accorse che i due ragazzi e la
segretaria lo stavano osservando, chi con disappunto, chi con divertimento.
- Entrate pure, fratelli ! E
che la forza sia con voi (e
dagli...questo è proprio fissato con Guerre Stellari ! si disse
Benji) ! Stavamo giusto...ehm...meditando su chi avrebbe potuto proprio
oggi giungere al nostro cospetto a chiedere soccorso e...guarda a caso, avevamo
avuto una visione...due giovani anime in pena che... -
- Senta, la faccia finita !
- disse Benji scostando la ragazza ed entrando nello studio seguito da Philip -
Il mio amico, qui, dice che lei ci può aiutare. Io, sinceramente, non vedo
come, ma tentare non nuoce. Allora, da dove cominciamo ? -
- Ehm...scusi il...cioè...la mia
amica, signor Zorbo, ma siamo veramente nei guai...abbiamo davvero bisogno
d’aiuto ! - intervenne Philip.
- Lo immaginiamo, se vi siete
rivolti a noi. -
- Scusi, noi chi ? - domandò
Benji - E’ da mezz’ora che sta parlando al plurale, ma qui io vedo solo lei e
quell’altra tizia con i capelli radioattivi ! -
- Noi Divino Zorbo, chi
altri ? - rispose il mago, leggermente seccato.
- Ah, plurale
majestatis...evidentemente c’è ancora qualcuno che lo usa... -
- Ben...Jenny, smettila !
Allora, signor mago, lei deve sapere che... -
- Già so ! - esclamò Zorbo
chiudendo gli occhi e portandosi due dita alle tempie, con la massima
concentrazione - Già so ! Voi siete qui per un problema sentimentale,
nevvero ? -
- Veramente noi... -
- La vostra relazione vacilla e
non volete che crolli ! -
- Ma no, noi... -
- Avete provato tutto, ma non
trovate una via d’uscita al disastro ! -
- Senta... -
- Ebbene, vi siete rivolti alla
persona giusta ! - esclamò il mago aprendo un cassetto della scrivania ed
estraendone un orrendo ciondolo a forma di testa d’aglio - Ecco quello che fa
per voi ! -
- Phil, se non tace lo ammazzo...
-
Zorbo saltò in piedi e girò
intorno alla scrivania. - Per la modicissima cifra di ottocento yen, ecco a voi
l’unico, miracoloso amuleto del Divino Zorbo ! -
- Maestro, le sta cadendo un
baffo ! -
- Oh, grazie Jackie ! -
disse l’uomo aggiustandosi il lunghissimo baffo finto che gli pendeva sul
labbro superiore. - Dicevo che quest’amuleto guarisce da tutti i mali d’amore,
ansia e cervicale ! Badate, basta appenderlo al collo di questa splendida
signorina... -
Il mago scostò i capelli della
ragazza/ragazzo con le sue mani sudaticce e le accarezzò il collo in un modo
che a Benji fece accapponare la pelle dal disgusto.
- Amico, prova a mettermi di
nuovo le mani addosso e ti faccio ingoiare le palle per via retrograda ! -
disse Benji senza muovere un muscolo. Il mago si ritrasse all’istante.
- Il vostro problema è più grave
di quanto noi immaginassimo - disse - Allora avete bisogno della magica pozione
di Zorbo, che, per la modica cifra di millecinquecento yen... -
- Oh, ma vuole lasciarci parlare
o no ? ! ? - sbottò ad un tratto Philip, spazientito. Il mago si
fece piccolo piccolo e tornò dietro la sua scrivania.
Philip raccontò per filo e per
segno al mago quanto era successo, senza tralasciare nessun particolare. Al
termine del racconto, Zorbo chiuse gli occhi, sospirò...e tacque.
Dopo cinque minuti, Philip e
Benji persero la pazienza.
- Maestro ? ! ? -
dissero, scuotendo il mago.
- Eh ? Ah, salve,
fratelli ! Che la forza... -
- Ma se siamo ancora
noi ! ! Non posso crederci, si è addormentato ! ! -
sbottò Philip.
- No, stavamo solo riflettendo
sulla vostra storia... - disse Zorbo, sbadigliando - Ricapitolando, la signorina
avrebbe dentro di sé l’anima di una ragazzo, e volete che torni nel suo corpo,
giusto ? -
- Giusto - annuirono Benji e
Philip.
- Beh, portatemi il corpo del
ragazzo e vediamo quello che si può fare ! -
- Forse non ha ben capito - disse
Benji - A parte il fatto che il mio corpo ora si trova in Thailandia, il
problema è che non abbiamo la più pallida idea di dove possa essere finita
l’anima di Jenny ! -
- E chi sarebbe questa
Jenny ? -
- Sono io, maledizione ! -
sbraitò Benji indicando se stesso.
- Ma lei non era un... -
- Phil, andiamocene, stiamo solo
perdendo tempo. - disse Benji avviandosi verso l’uscita.
I due, completamente spazientiti,
si voltarono di nuovo a guardare il mago che aveva sfoderato un sorriso
smagliante.
- Facciamo una bella seduta
spiritica e richiamiamo qui l’anima della ragazza ! -
- Sta scherzando ? Jenny non
è mica morta ! - esclamò Philip.
- In tal caso, l’unico rimedio
sono le orazioni speciali di Zorbo. Successo garantito al 100%. -
- Faranno tornare me e Jenny nei
nostri corpi ? - domandò Benji, speranzoso.
- Non lo so, ma sono infallibili
contro il mal di testa. Sono trecento yen per il consulto, prego. -
Seduto sul letto in quella che
ormai era la sua nuova camera, Mark stava facendo il punto della situazione, e
la conclusione a cui era arrivato era che tutto quello che Julian gli aveva
detto e raccomandato per telefono gli aveva solo creato una gran confusione in
testa. Per sua fortuna, Julian era ben organizzato, e attaccato ad un’anta
dell’armadio aveva lasciato una specie di promemoria di tutti i farmaci che
doveva prendere e le associazioni da evitare. Hai voglia di impararle a memoria, pensò Mark. Un problema risolto,
dunque. Di tutto il resto poco gli importava, ora l’unica cosa da fare era
trovare il modo di tornare nel suo corpo, e per questo doveva assolutamente
ritrovare Evsebius. Il ragazzo sforzò un po’ la memoria ; sì, quando se
n’era andato, scomparendo nel nulla, il genietto gli aveva detto “A presto” ;
il che significava che, prima o poi, si sarebbe rifatto vivo...a meno che,
magari, non ci provasse prima lui.
- Mah, sarà anche un’idea scema
ma magari funziona... - si disse il ragazzo dopo aver rimuginato un po’.
Saltò giù dal letto e uscì dalla
stanza guardandosi in giro con circospezione. Dopodichè scese furtivamente le
scale e, passando davanti alla porta della cucina, vide che Deborah ed un’altra
donna (presumibilmente la cuoca) erano indaffarate a chiacchierare tra loro e a
guardare una vecchia telenovela, e non si accorsero del ragazzo che, in punta
di piedi, sgattaiolò fuori di casa inoltrandosi nel grande parco.
Okay. Papà, mamma e l’autista sono fuori, e le cameriere non mi hanno
neanche visto. Ho il campo libero.
Sempre guardandosi intorno, Mark
si incamminò verso il centro del grande parco, lasciando il vialetto e
addentrandosi tra gli alberi. Quando pensò di essere abbastanza lontano dalla
casa, diede un’ultima occhiata in giro ; il silenzio era quasi totale, si
sentiva solo il cinguettare degli uccellini. Un lieve refolo di vento gli passò
tra i capelli. Mark appoggiò la mano al tronco di un tiglio, alzò il capo e,
con tutto il fiato che aveva in gola, urlò :
- EVSEBIUS ! EVSEBIUS !
DOVE SEI, DANNATO DEMONIO ? ! FAMMI USCIRE DA QUESTO INCUBO !
VOGLIO TORNARE IN ME ! -
Poi, il ragazzo trattenne il
respiro e tese le orecchie per sentire anche il minimo rumore, sperando
ardentemente in una risposta, ma non udì nulla che non fosse il rumore del
vento tra le foglie.
- Idiota, idiota e ancora idiota !
- si disse Mark - Queste stronzate funzionano solo nelle favole ! -
Dopo aver detto queste parole,
Mark si bloccò di colpo e rimase nuovamente in ascolto ; ora percepiva un
nuovo suono, come dei passi rapidi sull’erba. Qualcuno gli stava correndo incontro.
- Accidenti, che culo ! Ha
funzionato sul serio, e al primo colpo ! - esclamò felice il ragazzo
facendo un passo avanti. Il suo sorriso, però, si trasformò in espressione
sgomenta quando si accorse che chi stava correndo verso di lui non era un essere
umano, ma due ferocissimi Rottweiler che, appena ebbero Mark nel loro campo
visivo, cominciarono ad abbaiare a più non posso.
- Oh,
no...NO ! ! ! - urlò il ragazzo fuggendo a gambe levate. Da
quando, molti anni prima, un Chow-Chow dallo sguardo tenerissimo gli aveva
assaggiato l’avambraccio mentre lui lo stava accarezzando, lasciandogli una
bella cicatrice, Mark era terrorizzato da tutti i cani, grandi o piccoli che
fossero. L’aveva sempre considerata la sua unica debolezza.
Corredo verso casa come se avesse
le ali ai piedi, il ragazzo ebbe la pessima idea di voltarsi a guardare le due
belve assatanate che lo stavano inseguendo, inciampando così in una radice che
sporgeva dal terreno e finendo lungo disteso per terra.
- AIUTO ! - gridò,
terrorizzato, mentre i due cani gli erano quasi addosso. Con il cuore che gli
batteva all’impazzata, Mark si raggomitolò su se stesso, coprendosi la faccia
con le mani e temendo il peggio. Ma il peggio non avvenne.
- Beckenbauer !
Rumenigge ! A cuccia ! -
Nel sentire quella voce ferma, i
Rottweiler si fermarono di colpo. Mark, senza rialzarsi, vide attraverso uno
spiraglio tra le sue dita un uomo anziano correre in suo soccorso ; al
ragazzo parve quasi uno spaventapasseri, con quella maglietta gialla sotto la
salopette sporca di terra e un vecchio cappello di paglia calcato in testa che
lasciava intravedere a malapena i suoi occhi. Una lunga barba grigia gli
incorniciava il mento. Nel vedere quella figura per nulla minacciosa ma
comunque autoritaria, i cani si ritirarono con la coda tra le gambe.
- Signorino Julian, va tutto
bene ? - domandò il vecchio aiutando il ragazzo a rialzarsi.
- Sì...tutto a posto, grazie. Mio
Dio, se non ci fosse stato lei... -
- Albert ! Albert !
Cos’è stato ? - gridò Deborah correndo fuori di casa.
- Niente di grave, per fortuna.
Questi due cagnacci hanno preso il signorino Julian per chissà chi...L’ho
sempre detto che non gli hanno insegnato molto bene il loro mestiere, visto che
non sanno nemmeno distinguere gli amici dai nemici ! - disse Albert esortando
i cani ad andarsene.
Deborah aiutò Mark a pulirsi i
vestiti dalla terra. - Buon Dio, signorino, chissà che spavento ha preso... -
In effetti, pensò Mark, me
la stavo quasi facendo sotto...
- Si sente bene ? - domandò
di nuovo Deborah, preoccupata - Vuole una camomilla ? -
Mark, sospirando, stava quasi per
rispondere che quella era la novantesima volta che gli chiedevano se si sentiva
bene, quel giorno, ma non riuscì ad aprire bocca. Il suo cuore stava battendo
in un modo stranissimo. Gli faceva quasi male. Anzi, gli faceva malissimo,
tanto da togliergli il fiato. Il ragazzo impallidì e si portò una mano al
petto. Poi, all’improvviso, così com’era venuto, il malore scomparve.
- Signorino Julian, vuole che
chiami il medico ? -
- No, no, Deborah...ora sto bene.
Forse è meglio che torni in camera. -
- La accompagno. -
Tornando verso l’ingresso, con la
cameriera che gli teneva il braccio, Mark, ancora spaventato, si disse che
forse l’apprensione della madre di Julian doveva avere qualche fondamento. E la
cosa non gli piaceva per niente, visto che ora Julian era lui.
A Mark bastò rimanere dieci
minuti sdraiato sul letto per fargli passare tutta la paura e farlo tornare
spavaldo e irrequieto come prima. Beh, si disse, visto
che il mio tentativo di contattare Evsebius non ha avuto successo, tanto vale
che mi trovi qualcosa da fare.
Il ragazzo si alzò e,
sbadigliando per la noia, diede un’altra occhiata fuori dalla finestra.
Allora, vediamo ; i due Cerbero là fuori escludono la
passeggiatina salutare nel parco. Idem per la nuotata in piscina,
maledizione ! Potrei fare un giretto in città, ma rischio di beccare la
superpreoccupata mammina...vabbè, vorrà dire che sfrutterò un po’ le risorse di
questa casetta !
Mark si avvicinò
all’ordinatissima libreria.
- E ora vediamo di conoscere un
po’ i gusti di Julian ! -
Il ragazzo iniziò ad esaminare i
libri. - Allora... “Orgoglio e pregiudizio”... “Frankenstein” (mica
male !)...”Jane Eyre”...e questo ? “Alla ricerca del tempo
perduto” ! Questo qua ha diciassette anni e legge Proust ! Adesso
capisco perché poi si tira le paranoie...ma è tutto qui quello che legge ?
Non c’è manco un bel fumetto...Oddio ! - Mark spalancò la bocca prendendo
tra le mani un volume di più di mille pagine. - “Il Signore degli anelli”...ma
questa è un’enciclopedia ! E io che mi ero anche promesso di
leggerlo...beh, diamogli un’occhiata... - Il ragazzo sfogliò un po’ il libro e
ne lesse qualche stralcio :
- Un anello per domarli, un anello per trovarli
Un anello per ghermirli e nell’oscurità incatenarli
Nella terra di Mordor, ove l’ombra cupa scende...
...Però ! Mi sa che me lo
devo davvero leggere... vabbè, che altro c’è qui ? Oh ! Cd !
Finalmente ! -
Mark si chinò verso il piano
inferiore del mobile e, dopo aver afferrato un pacchetto di compact disc, li
esaminò uno per uno, sperando di trovare qualcosa di suo gradimento.
- Ma non ci posso credere !
Bach, Beethoven, Chopin...che palle ! - esclamò ributtando i dischi sullo
scaffale - Julian Ross, sei un vero mortorio ! -
Sbuffando, Mark si diresse verso
il telefono e compose il numero di casa propria. La sua voce rispose
immediatamente.
- Pronto ? -
- Sono io. Che stai
facendo ? -
- Pulizie. La tua camera è un
vero casino. Lo sai che hai un barattolo di vermi da pesca morti
nell’armadio ? -
- Oh cacchio ! Ecco
dov’erano finiti ! Ehi, comunque vedi di non ribaltare troppo la mia roba,
capito ? Ci tengo alle mie cianfrusaglie ! -
- E anch’io tengo alle mie. Per
cui vedi di non ridurre la mia stanza ad un porcile, okay ? -
- No, signorino, non si preoccupi...tanto poi ci pensa Deborah a
riordinare ! A proposito, dimmi un po’, di solito cosa fai quando ti
annoi ? Oltre a grattarti le chiappe, intendo. -
Julian sbuffò. - Che stronzo che
sei...beh, comunque leggo, guardo la tivù, ascolto la musica...quello che fanno
le persone normali, di solito ! -
- Le persone normali, di solito, leggono o ascoltano roba normale ! Vabbè, per i libri passi,
ma la musica... -
- Hey ! Giù le zampe dai
miei cd ! ! ! -
- Per carità ! Te li lascio
pure i tuoi Mozart, Haendel e compagnia bella ! -
- Ah, stavi parlando di quelli... -
A Mark si drizzarono le antenne
in testa. - Un momento, stai dicendo che ci sono altri cd da qualche
parte ? -
- Mark, se ti azzardi a mettere
le mani sui miei dischi ti... -
- Grazie, fratello ! Divertiti
a fare la colf e salutami mamma e i ragazzi ! -
Mark riagganciò senza dare a
Julian il tempo di fiatare. Il ragazzo rimase per qualche istante a fissare la
cornetta del telefono.
- Se mi combina qualche casino lo
ammazzo sul serio ! - disse.
- Allora, vediamo un po’... -
disse Mark fregandosi le mani - Dove diavolo saranno i dischi giusti ? -
Il ragazzo rifletté un attimo,
poi spostò tutta la fila dei cd di musica classica dallo scaffale. Dietro, ben
nascosta, trovò una voluminosa pila di dischi in perfetto ordine.
- Lo sapevo ! Eccoli
qua ! Allora, da dove cominciamo ? - disse Mark gongolando dopo aver
appoggiato per terra tutti i cd che si trovavano nel mobile. - Guarda
guarda...il “White Album” dei Beatles...Sting, Tori Amos...”Astral Weeks” di Van
Morrison (ma che roba è ?), Radiohead...fantastico, la collezione completa
dei Queen ! Altro che nonno, questo signorino è un vero rockettaro !
E questo cos’è ? Mio Dio ! ! ! - esclamò Mark rigirandosi
tra le mani un cd dalla copertina bianca - “461 Ocean Boulevard” di Eric
Clapton... rimasterizzato ! Non ci posso credere ! ! -
Mark era felice come una Pasqua.
- Julian Ross, complimenti...hai
guadagnato dieci posizioni nella classifica dei tipi più tosti del
pianeta...dopo di me, naturalmente ! Hey, hey, un attimo...e questi ?
-
Mark balzò in piedi urlando di
gioia e si mise a saltellare per tutta la stanza come un bambino.
- SIIIIIII’ ! ! !
I CD DELLA PLAYSTATIOOOOON ! ! ! JULIAN, TI
ADOROOOO ! ! ! -
Quella era la seconda volta in
cui Julian aveva detto una parolaccia nell’arco della sua vita. La prima era
stata quando, sei anni prima, la sua squadra aveva perso la semifinale di
campionato contro la New Team, mentre lui era bloccato in un letto d’ospedale.
L’esclamazione (peraltro irripetibile) che gli era sfuggita aveva scandalizzato
sua madre, Amy e l’infermiera di turno, e quella volta il ragazzo si era reso
conto di aver quasi toccato il fondo.
Quasi.
Perché, se le cose fossero andate
avanti in quel modo, l’avrebbe toccato veramente, il fondo, e anche molto
presto.
Aveva cominciato a pulire la sua
stanza (anzi, la stanza di Mark e dei suoi fratelli) da meno di mezz’ora, ed
era già stanco e disgustato, oltre che imbufalito.
- Questa non è una camera da
letto, è una fogna a cielo aperto ! ! - esclamò dopo aver trovato due
paia di mutande sporche sotto la scrivania - Peggio, è una discarica
abusiva ! ! -
Con due dita e un’espressione
schifata afferrò una penna masticata che si trovava lì accanto, sollevò gli
slip e li sbattè direttamente nel cestino della carta straccia, che aveva
stabilito essere l’ultima destinazione per i vermi da pesca morti, una buccia
di banana, innumerevoli cartacce, un tubetto di lucido da scarpe vuoto e un pacchetto
mezzo pieno di gomme da masticare che era stato calpestato da scarpe di almeno
tre misure diverse.
- Se quel fetente non avesse la
mia faccia glie la spaccherei io appena mi capita a tiro... - ringhiò Julian
tendendo un braccio sotto il letto cercando di raggiungere invano un calzino.
- A chi spaccherai la
faccia ? - pigolò una vocina.
Julian girò la testa e vide uno
dei fratellini di Mark che lo guardava, accanto alla porta. Imbarazzato, si
alzò scuotendosi i vestiti.
- Oh, ciao... - Robert ?
Justin ? Incrociando
le dita, Julian tirò ad indovinare. - ...Justin ! -
Il bambino rimase per un istante
in silenzio, facendo gelare il sangue nelle vene di Julian.
- Sai che giorno è oggi ? -
Julian tirò un sospiro di
sollievo. Azzeccato per miracolo, si
disse.
- Allora ? - lo incalzò il
bambino.
- Allora cosa ? -
- Non sai che giorno è
oggi ? -
- Ehm...sabato ? -
Al piccolo Justin si riempirono
gli occhi di lacrime. - Ecco...lo sapevo che te l’eri dimenticato ! !
-
Julian si sentì perduto. - No,
no, aspetta ! Ehm...scusa, ma il tuo fratellone ha la memoria un po’
corta...poi, la botta in testa...insomma, capisci... - disse Julian. Poi si
riprese e cercò di darsi un po’ di contegno. - Ma non dovevi essere da
zia...ehm...insomma...dalla zia ? - Quale zia fosse, non ne aveva la
minima idea.
- Mi ha riaccompagnato qui perché
volevo ricordarti quella cosa che sai. -
- Appunto. - disse Julian -
Cosa ? -
- Stasera. -
- Ti sei fatto riportare qui adesso per ricordarmi quello che devo
fare stasera ? - Forse è meglio, però, si disse Julian.
Justin incrociò le braccia. -
Certo ! - esclamò - Perché sapevo che te ne saresti dimenticato ! Se
ti avessi detto stasera che dovevi
portarmi al cinema, mi avresti sicuramente detto “non ho tempo”, “devo uscire
con Maki”, “non rompermi le p...” -
- Justin ! ! - lo
interruppe bruscamente Julian - Se solo ti sento dire una parolaccia lo dico
alla mamma ! ! -
- Tanto le dici sempre anche tu.
-
- Non è un buon motivo per...oh,
lasciamo perdere ! -
- Allora ? -
- Allora cosa ? Certo che ti
porto al cinema, stasera ! -
- Davvero ? - disse Justin
sgranando gli occhi.
- Eccome ! Figurati se... - Se me lo dimenticavo ? Naaa... -
...cosa andiamo a vedere ? -
- “Pokemon 2”. -
Stavolta fu Julian a spalancare
gli occhi, ma non per la gioia.
- Pokemon 2 ? ! -
- Sì ! - confermò il
bambino, gongolando.
-
Pokemon 2. -
-
Mark ? -
-
Eh ? -
- Non ti va ? -
Se fosse stato nella sua città, a
casa sua, ma soprattutto nel suo corpo, Julian avrebbe risposto che avrebbero
dovuto pagarlo oro per vedere un film del genere, che, oltre a non meritare
nemmeno il titolo di film, era altamente diseducativo. Invece ingoiò il rospo e
tutto ciò che disse, con l’entusiasmo di un nano da giardino, fu :
- Ceeerto che mi va...mi va
eccome...anzi, non...non vedo l’ora ! -
- Mi raccomando, non parlate con
gli sconosciuti. -
- No, mamma. -
- Non perderlo di vista un
momento. -
- No, mamma. -
- E non comprargli i pop-corn,
altrimenti gli si gonfia lo stomaco. -
- No, mamma. -
- E le caramelle ? ! -
protestò Justin.
- Solo alla liquirizia. -
- Okay. -
- Sì, mamma. -
Il cervello di Julian aveva preso
il largo già dopo la seconda raccomandazione.
- E tornate subito a casa.
Ricordati, Mark, che domani devi lavorare. -
- Sì mamma. -
- Ciao, mamma ! -
- Ciao, mamma. - ripetè
meccanicamente Julian trascinando il piccolo Justin fuori dal cancello, lungo
il marciapiede.
Il bambino gli trotterellava
allegramente accanto, stringendogli la mano. Julian lo guardò distrattamente e
lo vide rivolgergli un largo sorriso.
- Il mio fratellone - disse il
piccolo gonfiando il petto - Vado al cinema con il mio fratellone ! -
Quella frase fece scattare uno
strano meccanismo nella mente di Julian. Gli venne in mente che quella era la
prima volta in cui qualcuno era sotto la sua responsabilità. Di solito era lui ad essere sotto la responsabilità di
qualcun altro. Perfino la prima ed unica volta in cui aveva invitato Amy al
cinema erano stati scortati da Theodore che si era seduto nella fila dietro di
loro e aveva russato per quasi tutto il tempo. Dopo allora, Julian aveva
rinunciato per sempre a cercare un qualsiasi momento di intimità con Amy. E
perfino a farsi gli affari propri, fuori da
casa, dato che il suo inappuntabile chauffeur lo seguiva ovunque come un cane
pastore.
Ora, invece, il compito di
guardia del corpo spettava a lui...e il bimbetto che teneva per mano sembrava
essere molto fiero di ciò. Julian non aveva fratelli, e ora se ne trovava due
più piccoli. In un altro momento, l’idea lo avrebbe fatto impazzire ; e invece
ora si sentiva a dieci metri da terra.
Ricambiò il bambino con un
sorriso a trentadue denti e guardò dritto davanti a sé, camminando con passo
sicuro e spedito, come se avesse dovuto guidare una spedizione in un territorio
ostile...
- Mark - disse ad un tratto
Justin.
- Eh ? -
- Dove stiamo andando ? -
- Al cinema, dove vuoi che... -
Improvvisamente si ricordò che non sapeva affatto dove fosse il cinema. Justin
lo prese in contropiede.
- Dovevamo girare a destra almeno
due strade fa. - disse.
- Certo. Mi sono distratto un
attimo. Vieni, torniamo indietro. - disse Julian, cercando di mantenere la
calma e tirandosi dietro il bambino che lo guardava perplesso.
Il ragazzo cominciò a sudare
freddo.
Calma, Julian, ragiona, si disse. Non sei a Tokyo, ma in una città più piccola dei buchi nelle tue
tasche, e non devi permetterti mosse false con il bambino. Non puoi perderti,
capito ? Non puoi perderti ! !
Julian e Justin girarono a vuoto
per altri dieci minuti.
- Deve essere qui ! - sbottò Julian mettendosi le mani nei
capelli - Abbiamo praticamente attraversato tutta la città ! Non possiamo
averlo perso ! ! -
- Mark.... -
- Né il cinema avrà cacciato
fuori le zampette e si sarà spostato da solo, giusto ? -
- Guarda che... -
- E allora dov’è ? ! -
esplose Julian - Dove cazzo è questo
fottutissimo cinema di merda ? ! ? -
- Mark, hai detto tre parolacce.
-
- Lo so ! - E ci aveva pure
provato gusto...
- Hai detto “cazzo”,
fottutissimo” e “merda”. -
- E tu non ripeterle, no ?
Aspetta ! - Lo sguardo del ragazzo si illuminò, vedendo un chiosco di
giornali ancora aperto. - Vado a chiedere informazioni ! Tu non muoverti
da qui, capito ? -
- Ma Mark.... -
- Stai fermo lì e
aspettami ! -
Julian raggiunse di corsa il
chiosco, accanto al quale un uomo stava sistemando alcuni scatoloni.
- Il cinema ! - disse,
con il fiatone - Per l’amor del cielo, mi dica dov’è il cinema ! ! -
L’uomo si voltò e lo guardò,
stupito.
- Stai scherzando ? - disse.
- Prego ? ! -
- Mark, ma cos’hai oggi ? Il
colpo dev’essere stato più grave del previsto... -
Istantaneamente, Julian collegò
la voce alla frase, e capì.
- Signor Johnson ! -
esclamò, facendo il finto tonto, ma con la voce tremante - Ma certo che sto
scherzando, he, he...passavo di qua... - Ma
che gran culo mi ritrovo, si disse.
- Sei venuto al primo
spettacolo ? Se non vi muovete vi perdete l’inizio ! - disse il
signor Johnson puntando il pollice alle sue spalle. Julian guardò oltre l’uomo
e si diede dell’imbecille al quadrato.
CINEMA
LUXOR
Stasera
“POKEMON 2”
Spettacoli
ore 20.30 - 22.00
- Stavo per dirtelo, ma sei
scappato via... - cinguettò Justin in parte a lui.
Julian sospirò. - Ci vediamo
domani, signor Johnson ! Vieni, Justin, muoviti ! -
- Alle sei ! - esclamò il
signor Johnson, mentre il ragazzo spariva, con il fratellino, nella hall del
cinema.
D’oh ! esclamò Julian tra sé e sé, come se avesse ricevuto
una martellata sul cranio.
Stringendo i denti, pagò i
biglietti ed entrò nella sala, sperando che la tortura-Pokemon durasse il meno
possibile.
Invece, quella sera, Julian si
divertì un sacco e, all’uscita, comprò al piccolo Justin un palloncino a forma
di Bulbasaur.
- Crepa, bastardo ! -
esclamò Mark pigiando a più non posso i tasti della Playstation di Julian,
mentre la musica dei Queen a massimo volume inondava la camera da letto.
- UAHA ! ! Livello
otto ! ! -
Con un selvaggio urlo di gioia,
il ragazzo saltò sul letto e si mise a cantare insieme a Freddie Mercury
fingendo in contemporanea di suonare la chitarra alla maniera di Brian May.
Per tutta la giornata precedente
era rimasto rintanato in camera ad ascoltare cd e giocare ai più disparati
videogames, e tutto lasciava intuire che anche quel giorno le cose non si
sarebbero svolte in modo molto diverso.
- Death on two leeeeeeegs...you’re tearin’ me apaaaaAHIA ! !
- stonò Mark balzando dal letto e atterrando sul pavimento con le ginocchia. Il
ragazzo imprecò un nanosecondo dentro di sé, poi si rialzò e, senza smettere di
cantare, diede un calcio ad una pantofola, spedendola in cima alla libreria.
In quel preciso istante bussarono
alla porta.
- Heilà, Amy ! -
- Ciao Jul... - Amy non riuscì a
terminare la frase perché Mark l’aveva trascinata in un vorticoso giro di
danza.
- But now you can kiss... - Il ragazzo fece roteare Amy per poi
riprenderla in un caskè quasi perfetto. - ...my ass, goodbye... -
- Julian ! - esclamò la
ragazza. Mark la lasciò andare e abbassò il volume dello stereo.
- Di’ un po’, Amy, ti piacciono i
Queen ? -
- Certo che mi piacciono ! -
disse Amy - Quel cd te l’ho regalato io ! -
- Aha ! Era una domanda
trabocchetto ! - disse Mark arrossendo, ma senza perdere il sorriso.
- E ti ho regalato anche queste,
se non sbaglio... - Amy si avvicinò alla libreria e, alzandosi sulle punte dei
piedi, cercò di raggiungere l’elegante pantofola imbottita che Mark vi aveva
lanciato un minuto prima.
Sempre più imbarazzato, Mark
raggiunse la pantofola prima di Amy, che glie la prese dalle mani.
- Scusa - disse - E’ stato un
momento di euforia... -
Amy sorrise e andò a sedersi sul
letto, guardandosi un po’ intorno. - Deborah è in sciopero, per caso ?
Questa stanza non è mai stata così disordinata ! - disse poi sollevando
una maglietta firmata che giaceva abbandonata sul pavimento assiemea diverse copertine di cd.
Mark la prese e la lanciò dritta
nell’armadio, centrando lo scaffale giusto.
- Adesso è a posto ! - disse
allegramente, facendo spallucce e sedendosi accanto alla ragazza.
- E’ bello vederti così allegro,
ogni tanto ! - disse Amy.
- Ridere fa bene al cuore, non lo
sai ? -
Amy si lasciò sfuggire una
risatina, e i suoi occhi brillarono. Era davvero contenta.
- Allora, non mi dici
niente ? - disse la ragazza.
Il sorriso di Mark lasciò piano
piano il posto ad un’espressione piuttosto perplessa.
- Ehm...hai tagliato i
capelli ? -
- Julian ! -
- Hai messo il rossetto. -
- Ma no ! -
- Allora hai un vestito nuovo. -
- Julian... -
- Accidenti, dammi almeno un
indizio ! - esclamò Mark allargando le braccia.
Amy scosse la testa, ridendo. -
Non ti chiedi perché sono tornata con due giorni di anticipo ? -
- Ah...aaaah, già, infatti, stavo
per chiedertelo... - E da dove ?
si chiese Mark.
- Beh, a parte il fatto che mi
stavo annoiando tremendamente dai Saunders, domani c’è la festa dei Morgan... -
- Ah, sì, me l’ha detto papà
proprio ieri. - disse Mark, ricordandosi improvvisamente di quella gran
seccatura.
- Ieri ? Ma se te l’ho detto
io almeno un mese fa ! -
Colto in fallo, Mark cercò di
rigirare il discorso.
- Ehm...lo sai, ultimamente la
mia testa funziona poco ! Con la storia del ritiro, poi... -
- Julian... -
- Eh ? -
- Guarda che so benissimo che non
hai la minima voglia di venire alla festa... -
- Nooo ! Ma cosa dici ?
Ci mancherebbe altro ! Fammi solo controllare la mia agenda... - disse
Mark in tono da finto snob.
Amy sorrise mentre il ragazzo
consultava il calendario.
Improvvisamente, Mark sbiancò.
- Un momento...hai detto
domani ? -
- Esatto. - rispose Amy, un po’
seccata, incrociando le braccia - Non dirmi che avevi già preso un altro
impegno ! -
- Ehm...ma figurati ! Sarò
puntualissimo ! - balbettò il ragazzo abbozzando un sorriso ebete.
- Molto bene ! - Amy si alzò
e andò verso la porta. - Anche perché se non ci fossi tu mi annoierei a morte,
in mezzo a tutte quelle cariatidi ! Ci vediamo ! -
Appena la ragazza fu uscita, Mark
fece sparire il sorriso dalla sua faccia e si precipitò al telefono.
- Certo che ce l’ho un altro
impegno, maledizione ! - disse – Ce l’avrò con il becchino, domani, se mi
dimentico dell’anniversario! Forza, Julian, rispondi...altrimenti Maki mi
ammazza! Anzi, ci ammazza tutti e due… -
Quel pomeriggio, Julian era
rientrato dal lavoro strisciando e si era direttamente buttato sul letto senza
mangiare.
Giornata piuttosto pesante per
uno che non aveva mai mosso un dito, ammise a se stesso.
Terrorizzato all’idea di perdersi
di nuovo si era alzato alle cinque, era arrivato all’edicola con mezz’ora di
anticipo e si era addormentato contro la serranda fino a quando erano arrivati
il signor Johnson e Billy, il ragazzo che l’aveva sostituito il giorno prima.
Distruttivo.
Nonostante si fosse premunito di
stradario aveva rischiato di perdersi almeno quattro volte, e aveva impiegato
il triplo del tempo che ci avrebbe messo il vero Mark. Quando era tornato
all’edicola, dopo aver finito le consegne, Johnson e Billy lo avevano guardato
in modo molto strano e gli avevano di nuovo chiesto se si sentiva davvero bene.
No che non si sentiva bene,
accidenti ! !
Ogni secondo che passava correva
il rischio di essere scoperto. Ma, a pensarci bene, anche se lo avessero
scoperto, che avrebbe potuto succedere ? Nella migliore delle ipotesi lo
avrebbero spedito in manicomio, nella peggiore sarebbe finito nelle grinfie di
qualche studioso di fenomeni paranormali...
Sospirò e si mise un braccio
sugli occhi, sperando di addormentarsi in fretta ed essere di nuovo normale al
suo risveglio.
Ma proprio mentre stava per
addormentarsi, avvertì, nel dormiveglia, una strana presenza incombere su di
lui, e depositare un leggero bacio sulle sue labbra.
Julian si svegliò di colpo,
gridando e alzandosi di scatto.
- Mark, sono io ! -
Ancora ansimante per lo spavento,
Julian guardò la ragazza dalla pelle abbronzata e i corti capelli rossi che lo
stava fissando con aria confusa, e ricordò di averla già vista da qualche parte.
- Maki... - Ora sì che sono nei guai, pensò.
La ragazza tese una mano verso di
lui per accarezzargli i capelli ; istintivamente, Julian si retrasse.
- Ma cosa ti prende... ? -
disse Maki.
Julian si guardò attorno, senza
sapere cosa fare, cercando disperatamente la cosa giusta da dire...
- Ehm...Maki, cosa ci fai
qui ? -
La ragazza strabuzzò gli occhi.
No, decisamente non era quella la
cosa giusta.
Julian abbozzò un sorriso per
cercare di sistemare la situazione. Dio, com’era imbranato...
- Cosa ci faccio qui ? -
disse Maki, diventando tutta rossa per la rabbia. Accidenti, perché Mark non
gli aveva detto che era un tipo permaloso ? - Cosa ci faccio
qui ? ! Sono due giorni che sei a casa e non mi hai fatto nemmeno una
telefonata ! Ecco cosa ci faccio qui ! Ero preoccupata,
stupido ! -
Julian cominciò a sudare freddo,
e tutto quello che riuscì a fare fu continuare a guardare Maki con
un’espressione sempre più ebete.
- ...ma stai bene ? -
- Credo proprio di no... -
rispose istintivamente Julian.
Maki si alzò e fissò il ragazzo
negli occhi.
- C’è forse qualcosa che dovrei
sapere, Mark...o che non dovrei
sapere ? - disse freddamente.
- Ma no, figurati, ci mancherebbe
altro... -
- Sicuro ? -
- Sicurissimo ! - disse
Julian alzando le mani e pregando che Maki non lo picchiasse.
- Giuramelo. - continuò Maki con
aria torva - Giurami che non mi stai raccontando una frottola. -
- E perché diavolo
dovrei ? ! ? - esclamò Julian, esasperato.
Maki tacque per un momento. - Te
ne sei dimenticato, vero ? - disse.
C’erano due frasi che Julian,
nella pelle di Mark, non avrebbe mai dovuto dire: una era andata, e anche la
seconda non tardò ad arrivare.
- Dimenticato…cosa? -
Gli occhi di Maki fiammeggiarono,
ma la ragazza non fece in tempo a dire a Mark che era il più grande, fottutissimo
stronzo che esistesse sulla faccia della terra perché suonò provvidenzialmente
il telefono.
- Pronto?- disse Julian dopo
essersi precipitato sull’apparecchio.
- Eh?! - Le uniche parole che
aveva capito erano “sono io”, ed erano state sufficienti.
- Scusa, tesoro - disse con una
voce tanto dolce che Maki rischiò un attacco di diabete - La linea dev’essere
un po’ disturbata…vado all’altro apparecchio. -
Ciò detto, sbattè la cornetta in
faccia a Mark e corse a rialzarla nell’ingresso.
- Un cordless no?! - disse Julian
ansimando, dopo aver ripreso la conversazione.
- Senti, signor Paul Getty, è già
tanto se c’è quello che hai in mano… -
- Lasciamo perdere. Mark, sono
nei guai. C’è qui Maki ed è incazzata come un bisonte. Credo che ci sia
qualcosa che dovrei sapere… -
- Oddio! - esclamò Mark – Che ti
ha detto? -
Julian gli riferì la breve
conversazione con la ragazza.
- Senti, Julian – disse – Oggi è
il nostro anniversario… -
- Auguri. – disse gelidamente
Julian – Quanti? -
- Quanti cosa? -
- Quanti anni, imbecille! -
- Ah…boh, e che ne so? Due,
tre…ho perso il conto. Senti… -
- Credevo che almeno fino a dieci
sapessi contare… -
- Non è il momento di fare dello
spirito del cazzo!! – tagliò corto Mark – Allora, adesso tu vai di là, fai
finta di niente, ti inventi qualcosa, tiri fuori l’argomento e la sbatti fuori.
Poi mi richiami. -
- Non credo sia una buona idea.
La cosa potrebbe essere lunga. -
- In che senso, scusa? -
Julian sbuffò nervosamente. -
Mark - disse - Maki è la tua ragazza, giusto? Penso che si aspetterà un segno
da te… -
- Parla chiaro. -
- Insomma…è la tua ragazza, non
la mia, ma io ora sono te, quindi… -
- Julian…-
- Fuori dai denti, Mark. Se vuole
baciarmi che faccio? -
- Baciarti? - disse Mark - Sarà
già tanto se non ti cava gli occhi. Ora vai, muoviti, ci sentiamo dopo. -
Julian restò un secondo a fissare
la cornetta, rivolgendo al compagno di squadra la peggior serie di improperi mai
proferita.
E adesso che faccio? si
disse.
Il ragazzo inspirò profondamente
e si incamminò con il cuore nelle mutande fino alla porta del soggiorno; quindi
inspirò di nuovo, si schiarì la voce e, con la peggior faccia di bronzo che
poteva mostrare e la spontaneità di un nano di gesso esclamò:
- Tanti auguri, amooore! -
Ma quando si guardò intorno vide
che Maki aveva levato le tende.
- CAZZO!!! – disse tra sé e sé
Julian, mentre correva alla porta di ingresso.
Maki era già a metà del vialetto
di casa quando lo sentì chiamarla.
La ragazza si voltò un attimo,
gli rivolse uno sguardo gelido e continuò a camminare.
- Maki! Ehm…cara, dove stai
andando? -
- Al diavolo. - replicò, secca.
- Per favore, lasciami spiegare…
- disse Julian ansimando, dopo averla raggiunta.
- Non c’è niente da spiegare,
Mark. - disse lei - Sei semplicemente un colossale pezzo di merda. -
- Non me lo sono dimenticato, te
lo giuro! -
- Certo…guardati allo specchio,
tesoro, il naso ti si è allungato di un chilometro. -
- Insomma! – sbottò Julian – Come
puoi credere che mi sia davvero dimenticato del nostro anniversario? -
Maki si fermò un momento,
tentennando. – Devo crederti? – disse.
- Credimi…è stata una
giornataccia, e non mi sento per niente bene. – rispose Julian avvicinandosi a
lei e guardandola negli occhi.
Sperando di intenerirla, le
raccontò varie disgrazie, inclusa la tremenda caduta dal letto del giorno
prima. Sapendo che non erano balle, Julian le raccontò con una certa scioltezza.
- Davvero, sono a pezzi. -
Maki tacque per un momento, poi
voltò lo sguardo altrove.
- D’accordo, fingiamo che vada
tutto bene. -
- Cosa?!? – disse Julian allibito
– Sei impazzita?! -
- No, Mark, non sono impazzita.
In qualche modo ti sento cambiato. Siamo cambiati, forse. Non mi sei più vicino
come una volta. -
- Maki… -
- Capisco che tu abbia i tuoi
problemi da risolvere, con tua madre e i tuoi fratelli, il lavoro, il calcio…ma
mi sento messa da parte, capisci? Sei tornato due giorni fa e non mi hai
nemmeno chiamata. Non chiedevo chissà cosa, ma almeno una telefonata…niente,
come se non esistessi. Una volta non avresti fatto in tempo a scendere dal
traghetto che ti saresti fiondato da me… -
Julian sospirò. Sono cambiato
eccome, ragazza…e non sai quanto! si disse.
I due restarono un secondo in
silenzio, Maki ad aspettare una qualsiasi replica da parte del ragazzo, Julian
a cercare le parole adatte per tirare fuori Mark (e anche se stesso) da quel
tremendo casino.
Se lei fosse Amy, si
disse, cosa farei?
Ma Maki non era Amy, così
come lui non era Mark…e anche la situazione tra lui e Amy era decisamente
diversa.
Julian sospirò di nuovo.
Vaffanculo, si disse, stavolta si fa a modo mio.
- Mettiti elegante, Maki.
Stasera ti porto fuori. -
Maki lo guardò incredula e
perplessa, e non rispose. Julian si sentì gelare le budella; cosa gli avrebbe
detto Mark se avesse combinato qualche casino con la sua ragazza?
- Stasera no. – disse Maki dopo
un lungo istante di silenzio. Julian la guardò allibito.
- Ma…perché? -
- Ho…ho un altro impegno. –
rispose lei guardando altrove – E poi mi pare di aver capito che nemmeno tu sei
in vena di festeggiare. -
Oh, cacchio.
- Domani sera va bene lo stesso?
-
Julian capì la domanda a scoppio
ritardato. – Eh? Certo! Certo…va benissimo, ci mancherebbe altro! -
- Bene. – disse Maki.
La ragazza rimase ferma a
guardare il suo fidanzato (o almeno quello che lei credeva fosse il suo
fidanzato) ma non si mosse, come se si aspettasse qualcosa da parte sua. Ma
Julian non poteva certo darle quello che si aspettava…
- Allora ciao. – disse poi.
- Ciao – rispose Julian, che
stava ancora pensando freneticamente a come sistemare la faccenda. Non si era
certamente accorto che Maki aveva iniziato a piangere sommessamente dopo
avergli voltato le spalle, e continuò a piangere maledicendosi tra sé e sé fino
a quando non fu arrivata a casa.
Appena tornato in casa, Julian si
riattaccò al telefono.
- Pronto? -
- Richiamami. – Così finì la
prima conversazione tra Julian e Mark. Quella che seguì fu un po’ più lunga.
- Allora? -
- Siamo in un tremendo casino,
Mark. – disse Julian. Poi spiegò la situazione al ragazzo.
- Aspetta, aspetta. – lo
interruppe ad un tratto Mark – Hai promesso a Maki che l’avresti portata fuori
a cena? -
- Beh, no, non proprio a
cena…pensavo ad un localino intimo, sai, a lume di candela… -
- Bravo, e con quali soldi? -
- Come quali? I tuoi, no? –
rispose candido Julian.
- Forse non mi sono spiegato –
continuò Mark – Io sono in bolletta cronica. Speravo di cavarmela
momentaneamente con un mazzo di fiori, e poi di fare qualcosa un po’ più in
grande all’arrivo dello stipendio… -
Julian tacque per un momento.
- Mi spiace – continuò – Ti ho
cacciato davvero in un bel pasticcio. -
- Non importa – sospirò Mark –
Dopotutto è colpa mia. -
- Senti, io ho un discreto
gruzzoletto da parte, che dici di mandarmi un po’ di contante che… -
- Non se ne parla neanche!! –
sbottò Mark – Io che mi faccio prestare i soldi da te…ma quando mai! No, no,
non se ne parla proprio. -
- Guarda che nei casini ci sono
anch’io. E poi un po’ di grana in più mi farebbe comodo… -
- Scordatelo. Discorso chiuso. -
- Okay, grand’uomo. Allora come
la mettiamo? -
- Mark, con chi stai parlando? -
Julian
sobbalzò.
-
Ehm…con Julian, mamma! -
- Attacca, svelto! – incalzò Mark
dall’altra parte del filo.
- Julian…non sarà quel tuo amico
che sta a Tokyo? -
Amico? si disse
Julian. Questa è nuova…
- Sì…sì, ha chiamato lui. -
- Ah…bene. -Detto questo, la signora Landers si ritirò
in cucina.
- Senti, Mark, adesso non posso
parlare – sussurrò Julian nella cornetta – E il tempo stringe. Pensa a qualcosa
prima che ci pensi io. -
- Ah, Julian… -
- Che vuoi? -
- Maki…non…non l’hai baciata,
vero? -
- Ma vaffanculo! -
E riattaccò, lasciando Mark
allibito.
Adesso basta, mi sono rotto, si
disse Julian camminando con passo deciso verso la porta.
- Esco un attimo, mamma. -
- Va bene, ma cerca di tornare in
tempo per la cena. -
Va bene…che frase da sogno!
Julian era quasi commosso. Se
fosse stato a casa, sua madre avrebbe mosso mari e monti per tenercelo…
Ma ora non doveva pensare a
quello. Cercando di memorizzare il percorso, battè tutte le zone più
rispettabili di Fukuoka alla ricerca del locale più adatto a festeggiare un
anniversario di fidanzamento.
Disgraziatamente, il panorama non
offriva granchè; si passava da locali rumorosi e affollati in cui non c’era la
possibilità di fare quattro chiacchiere in pace se non usando un megafono a
night club esclusivi in cui avrebbero sbattuto fuori chiunque non si presentasse
con scarpe che non fossero di Prada, figurarsi uno come Mark.
Passando davanti ad uno di
questi, il ragazzo si beccò un’occhiata assassina dal buttafuori, centoventi
chili di muscoli contro un grammo scarso di neuroni.
- Me ne vado, me ne vado. – disse
Julian levando le ancore.
- Sarà meglio – ribattè
l’armadio.
Maledetto stronzo, pensò
Julian.
Arrivato in fondo alla strada, il
ragazzo, disperato, si sedette sul marciapiede sospirando.
- E adesso che cavolo faccio?! –
disse. Si sarebbe messo volentieri a piangere. – Signore, se puoi sentirmi
dammi un segno, ti prego… -
Il segno arrivò con una tremenda
folata di gasolio che un camion, passando davanti a lui, gli sfiatò in faccia.
Tossendo convulsamente, Julian si
girò per vedere, alle sue spalle, una vetrina con una discreta insegna al neon
che annunciava:
RED ROSE
SPEEDWAY
- Gran disco – disse
distrattamente il ragazzo, alludendo all’omonimo LP di Paul McCartney. Stava
per andarsene quando gli scappò l’occhio su una lavagna inchiodata accanto
all’ingresso e che portava scritto:
Domani sera Piano Bar
Per Julian fu la folgorazione.
Senza pensarci due volte, entrò
nel locale e si precipitò al bancone. Il locale era carino, semplice e pulito,
e l’atmosfera era molto calda.
- Vorrei parlare con il
direttore, per favore. -
Il barman, un tipo brizzolato
dall’aria rassicurante, smise per un momento di sistemare le bottiglie.
- Sono io. Di che mi vuoi
parlare, ragazzo? – disse sorridendo.
Non riusciva a non pensarci: per
anni era stata innamorata di un ragazzo che non avrebbe mai e poi mai potuto
ricambiarla e non se n’era mai accorta...ma la cosa peggiore era che non sarebbe
mai riuscita a dimenticarlo. Non ce la faceva, punto e basta.
Dal pomeriggio precedente era
rimasta chiusa in camera sua, scendendo solo per mangiare, e trascorrendo il
resto del tempo in una nuvola grigia di pensieri.
Non poteva essere vero…doveva
esserci un’altra spiegazione.
Forse le parole di Holly
significavano qualcos’altro…ma cosa? E poi il suo tono di voce, il suo sguardo,
il suo modo di comportarsi…
Idiota, idiota, IDIOTA!!!
Scoppiò di nuovo a piangere.
Aveva una voglia disperata di
parlare con qualcuno, ma chi? Forse Mark sarebbe stato a sentirla, ma visto che
non aveva mai preso Holly in particolare simpatia rivelargli la verità sul
ragazzo non sarebbe stato per niente costruttivo…per Holly, soprattutto.
In fin dei conti non c’era niente
di male.
Se lui era felice in quel modo,
buon per lui, e buon per Philip…
Ma lui non era affatto felice, ed
ara anche questo che preoccupava Patty.
Nonostante tutto non riusciva a
smettere di voler bene a quel ragazzo, e sentiva di dover fare qualcosa per lui.
Sì, ma prima doveva trovare il
coraggio per guardarlo d nuovo in faccia…
- Maledizione, possibile che non
ci sia nessuno che possa aiutarmi?! – esclamò, buttandosi a faccia in giù sul
letto.
All’improvviso, rialzò di scatto
la testa.
- Invece no…qualcuno c’è… - disse
tra sé e sé alzando la cornetta del telefono.
Qualche istante prima, a
Hokkaido, Benji e Philip stavano di nuovo litigando.
- Dimmi che sto sognando!! –
esclamò Benji – Ti prego, dimmi che è tutto un dannatissimo incubo!! -
- Benji, ti prego, piantala e
mettiti calmo…ho la testa che mi scoppia… - disse Philip.
- Calmo? Devo mettermi calmo?
Spiegami come diavolo faccio a stare calmo!! Io sono una ragazza, e non una
qualunque, la tua ragazza, tra meno di una settimana mi porteranno a
forza negli Stati Uniti e l’unica cosa che ti viene in mente è portarmi da uno
schifoso truffatore che non è riuscito a fare altro che alleggerirci le
tasche!! -
- Vuoi dire alleggerirMI le
tasche, ciccio bello…ti faccio notare che il conto l’ho pagato io! E poi senti
un po’, si può sapere perché dev’essere solo il sottoscritto a scervellarsi per
trovare una soluzione a questo…questo…incubo?! Guarda che se fosse per me,
potresti rimanere una ragazza per tutta la tua miserabile vita, e chissà che
l’esperienza non sia costruttiva! Non me ne potrebbe fregare di meno, se solo
non… -
- …se solo io non fossi
imprigionato nel corpo di Jenny…questo complica un pochino le cose, non credi?
-
- Non farmici pensare… - rispose
Philip coprendosi la faccia con le mani – Ti prego, non farmici pensare… -
- E invece direi che è proprio il
caso di farci un pensierino, caro il mio Phil…perché la situazione è grama e io
non posso fare molto conciato in questo modo… -
- No, sai cosa puoi fare, invece?
Tenere chiusa quella fogna che ti ritrovi al posto della bocca!!! -
- Ehm…scusate, credo di essere
arrivata al momento sbagliato… -
Benjamin e Philip si voltarono
contemporaneamente e videro, in piedi sulla porta, una ragazza dall’aspetto
imbarazzato.
Porca miseria! esclamò Benji
dentro di sé. Ma non era un’esclamazione di disappunto.
Porca miseria! esclamò
Philip dentro di sé. La sua, invece, lo era…
La ragazza che i due si trovarono
davanti era tremendamente carina; alta e slanciata, aveva un fisico atletico e
lunghi boccoli castani che le incorniciavano il viso dalla pelle liscia e
chiara, e due occhi nocciola da cerbiatta che scatenarono una tempesta ormonale
nel povero Benji…
- Ehm…ciao Julia! Accidenti, mi stavo dimenticando
del tuo arrivo! – disse Philip andando incontro alla ragazza e baciandole le
guance – Dove hai messo le valigie? -
- Le ho lasciate nell’ingresso…ma
sei proprio un cafone, Phil! Non mi presenti nemmeno la tua fidanzata? -
Philip sospirò. – Già, sono
davvero un cafone…Jenny, questa è mia cugina Julia. Resterà da noi per un mese.
–
- Piacere di fare la tua
conoscenza, Julia! – esclamò Benji sfoderando un sorrisone a novanta denti e
precipitandosi a stringere la mano che la ragazza gli tendeva- Davvero molto,
molto piacere! -
- Anch’io sono felice di conoscerti,
Jenny! Philip mi ha parlato tanto di te…ma…spero di non avere interrotto nulla…
-
- NOOOO! – esclamarono i due
ragazzi all’unisono.
- Figurati! Solo…solo una piccola
scaramuccia tra innamorati…ma è tutto a posto, non preoccuparti! – mentì Philip.
- Oh, bene! Mi raccomando, non
dovrete assolutamente sentirvi in imbarazzo quando sarò con voi, fate come se
non ci fossi…anzi, visto che avete fatto pace, cosa aspettate a darvi il bacino
del perdono? -
Benji e Philip si guardarono,
allibiti.
- Eh?! -
- Ma sì, il bacino del
perdono…su, fate definitivamente la pace e promettete di stare buoni. Avanti,
cosa aspettate? -
- Il bacino del perdono… - disse
Benji.
- Senti, Julia…vuoi che ti dia
una mano con le valigie? – disse Philip cercando di sviare il discorso.
Julia sorrise e fece spallucce. –
Va bene, ho capito…meglio che vi lasci chiarire le cose tra voi! Alle valigie
ci penso io, Phil, ma esigo che al mio ritorno siate tutti e due felici e
sorridenti… - Strizzò un occhio a Benji, che faticò a contenersi. – D’accordo?
– E sparì nel corridoio.
Appena Julia fu fuori portata,
Benji lanciò a Philip uno sguardo abbastanza significativo.
- Penso proprio che passerò un
po’ di tempo con la tua cuginetta… -
- Levatela dalla testa! – esclamò
Philip – Se solo ci provi ti taglio le mani! -
- Spiegami come faccio a provarci
con lei ridotto in questo stato! -
- Ci proveresti comunque – tagliò
corto Philip – Ti conosco, Benji Price…e Julia non è il tuo tipo, chiaro?
- Non penso proprio che debba essere tu a decidere… - disse Benji
sporgendosi oltre la porta per osservare il fondoschiena di Julia mentre si
chinava per raccogliere i suoi bagagli – Accidenti, quant’è carina… Sai, Phil,
penso che potrei esserle di grande compagnia…che so, quando va a provarsi i
costumi da bagno…e poi, insomma, questa situazione non durerà per sempre, no? -
Philip scosse la testa,
esterrefatto. – Benji…Benji, ascoltami…Julia non fa proprio per te, credimi! –
- Motivo? -
- Beh…insomma…ha un pessimo
carattere! – inventò Philip su due piedi.
- Per certe cose non è necessario
parlare, Phil… -
- E poi…ha cinque incisivi, ecco!
Se ne vergogna da morire… -
- Potrebbe averne anche
venticinque di incisivi, non me ne fregherebbe niente lo stesso…cacchio, guarda
che davanzale! -
- …e…e la milza accessoria! -
- Si vede? –
- Certo che no, imbecille! -
- E allora dov’è il problema? -
- Benji… - disse Philip
esasperato – Ti prego…siamo già in un mare di merda, almeno cerca di non fare
l’onda… -
Benji stava per rispondere
quando, all’improvviso, lo squillo del telefono li fece sobbalzare entrambi.
- Pronto? – disse Philip
rispondendo all’apparecchio.
- Ciao Philip, sono Patty…tutto
bene? -
- Ehm…ciao, Patty! Che
sorpresa…sì qui tutto a posto… - Benji guardò il ragazzo e fece un’espressione
e un gesto con la mano che significavano tutto tranne che le cose andavano
bene. – E a te come va? -
- In questo momento le cose non
potrebbero andare peggio, grazie…senti, Jenny è lì con te? -
- Certo che è qui…vuoi parlarle?
-
- Sì, grazie, ho proprio bisogno
di lei. -
Philip si staccò la cornetta
dall’orecchio e guardò Benji sogghignando.
- E’ Patty, cara. Vuole
parlare con te. – Poi coprì con una mano il ricevitore. – E adesso sono
cazzi tuoi, tesoro! – sussurrò.
- Sei un grandissimo bastardo, lo
sai? – disse Benji strappandogli di mano la cornetta.
- Ciao Patty…come va? -
Dall’altro capo del filo, la
ragazza scoppiò in singhiozzi.
- Pa…Patty…che hai? – disse
Benji,confuso e sinceramente dispiaciuto.
- E’…è per Holly…Jenny, c’è un
grosso problema e io non so cosa fare… -
- Fai quello che ti ho sempre
detto – tagliò corto Benji – Mandalo a cag…ehm…al diavolo! -
Patty si riprese
all’istante.– Jenny! – esclamò – Ma tu
mi hai sempre detto di tenere duro… -
- Le cose cambiano, tesoro –
rispose Benji sogghignando.
- Oh, mio Dio…credo che stavolta
seguirò il tuo consiglio, sai? Penso di avere toccato il fondo…piuttosto, con
Philip come va? -
- Alti e bassi – rispose Benji
alzando gli occhi al cielo – Perché? -
- Io…credo che quello stronzetto
di Benji avesse ragione, sai? Su Holly, intendo. E sulle sue… “tendenze”, non
so se mi spiego. -
- Un momento, Benji non è uno
stronzo! – esclamò il ragazzo con disappunto – E’ uno che ci vede lontano,
capito? -
- Comunque sia, temo che stavolta
l’abbia azzeccata… -
- Racconta, racconta… - disse
Benji ridacchiando tra sé e sé, contento di avere qualcosa in più su cui
malignare.
- Insomma…ieri sono andata da lui
per…per chiarire le cose, no? E non hai idea dello stato in cui l’ho trovato…era
isterico, diceva delle frasi assurde…cose che non avrei mai immaginato di
sentir dire da Holly, oddio, non hai idea di come mi sono sentita… -
- Cioè? -
- Roba tipo “non sono nel mio
corpo”, “io sono un’altra persona”, cose del genere. E pensare che fino al
giorno prima era assolutamente normale…ti giuro, se non l’avessi visto con i
miei occhi avrei pensato di stare parlando con una ragazza… -
A Benji si drizzarono le
orecchie. – Ha…ha detto che si sentiva un’altra persona? –
- No, non che si sentiva…che lo
era. Poi…oddio, Jenny, non so se te lo dovrei dire, ma…ha parlato di Philip… -
- Di Philip?!? -
- Sì, diceva “che cosa dirò a
Philip” e via discorrendo…Jenny, ti assicuro che… -
- Patty – la interruppe il
ragazzo – Scusa, ma devo lasciarti un momento. Credimi, hai fatto benissimo a
parlarmene. Ti richiamo tra pochissimo, okay? –
- Ma… -
- Tranquilla, risolveremo anche
questo problema. Non preoccuparti, ti chiamo tra poco. Ciao… -
Benji agganciò il ricevitore e
guardò Philip con un’espressione mista tra l’eccitato e il perplesso.
- Che è successo? -
- Buone notizie, Phil – disse –
Credo di aver capito dov’è finita Jenny! -
Quella sera, Julian rincasò
fischiettando, tranquillo come non mai.
- Faccio una telefonata, mamma –
disse alla signora Landers. E, come di consueto, si fece richiamare da Mark.
- Allora? – disse il ragazzo.
- Senti un po’, tu e Maki bevete?
-
- Che vuoi dire? -
- Voglio dire che, se domani sera
le devo offrire da bere, non voglio fare gaffes. Alcolici o analcolici? -
- Prima dimmi cos’hai combinato!
-
- Ho trovato un localino niente
male poco lontano da casa tua, si chiama “Red Rose Spee…” -
- No! – esclamò Mark assordando
Julian – Il “Red Rose Speedway” no! E’ un locale da fighetti! -
- Sarà anche da fighetti ma è il
locale più presentabile che sono riuscito a trovare… -
- Bravo, e con cosa lo paghi il
conto? In natura? -
- Non dire stronzate e fidati di
me. Allora, alcolici per tutti e due? -
Mark sospirò. – D’accordo…e poi
non ci sono molte altre possibilità, giusto? Okay, vada per gli alcolici. –
- Bene. Ti chiamo dopodomani per
il resoconto. Cerca di non restare troppo in fibrillazione, okay? -
- Puoi giurarci, anche perché
mentre tu sarai fuori con Maki, io sarò fuori con Amy… -
- COSA?!?!?!? -
- Mark, tutto bene? – intervenne
timidamente la signora Landers.
- Sì, mamma, tutto a posto…dov’è
che andresti con Amy?! -
- Alla festa dei Morgan. Non ho
la minima idea di chi siano, ma mi sa di un mortorio spaventoso… -
- Senti – disse Julian cambiando
discorso – Cerca di non fare stronzate con Amy, okay? E una cosa importante…io
NON bevo…non posso bere, altrimenti mamma mi ammazza, okay? -
- Scusa, ma tu non bevi per
ordine di tua madre o del tuo medico? -
Julian lo ignorò. – Non ho
finito…c’è un’altra cosa molto, MOLTO importante… -
- Spara. -
- Tieni giù le zampe da Amy,
chiaro? -
Mark tacque per un istante,
leggermente interdetto. – Senti, Julian – disse poi – Io posso anche provarci,
ma chi mi assicura che non sia lei a saltarmi addosso? –
- Non lo farà, te lo garantisco.
-
- Aha. Tiene all’etichetta,
giusto? -
- Non è una questione di
etichetta. -
- … -
- Chiariamo subito la cosa, Mark
– tagliò corto Julian davanti ai tentennamenti telefonici dell’amico – Ioe Amy non stiamo insieme. -
- COSA?!? – esclamò Mark
allibito.
Julian sbuffò. – Mio Dio, Mark!
Non credevo che per te fosse la fine del mondo! –
- Non puoi dirmi questo, Julian.
Mi sta crollando un mito… -
- Mark… -
- Senti ma…non è che sei un po’
dell’altra sponda, vero? -
- Ma che cavolo hai capito,
imbecille?! -
- Ho capito che devi essere messo
peggio di quanto immaginassi… -
- Mark – lo interruppe Julian –
Te lo chiedo per favore. PIANTALA! -
- D’accordo, d’accordo. Sono
affari tuoi. Però cerca di capire, tutti noi immaginavamo che…insomma, voi due
siete sempre…cioè… -
- Diciamo così – disse Julian – Io
e lei non siamo mai riusciti a chiarirci, d’accordo? -
- Okay, fin qui ci sono.
Però…insomma, tu… -
- Io le voglio molto bene. Forse
sono anche innamorato di lei. -
- Togli quel “forse”. -
- Io tolgo quello che mi pare. –
rispose, seccato, Julian, che, però, cambiò immediatamente tono. – Sì, hai
ragione, lo ammetto. Sono innamorato di lei e Dio solo sa quanto vorrei che
diventasse la mia ragazza. Ma non mi va di legarla a me, con i problemi che mi
ritrovo, capito? -
Mark sorrise amaramente, ma
Julian, ovviamente, non potè vederlo.
- Insomma, Amy merita il massimo,
e io quel massimo non glie lo posso dare. -
- Forse le basterebbe anche
qualcosa di meno. -
- No, non credo. E poi non voglio
che si sacrifichi. Lei non merita uno come me. -
Mark tacque per un attimo. – E’
vero – continuò poi – Non merita uno che decide al posto suo. -
- Che vuoi dire? – disse Julian
mettendosi sulla difensiva.
- Chi ti credi di essere per
leggere nei cuori della gente, Dio? Credi di agire per il bene di Amy, ma cosa
ne sai di qual è il suo bene? Tu la ami, lei pure; lascia che le cose seguano
il loro corso, dannazione! Lascia che sia lei a scegliere cosa è meglio per
lei… -
Julian non rispose, turbato da
quelle parole.
- Julian, sei ancora lì? -
- Non sono abituato alle tue perle
di saggezza, Mark… -
- Beh, comincia adesso. -
- Mark, ti prego…non crearmi
casini… -
- Non ho intenzione di creare un
bel niente, non sono così idiota. Ma anche se sono nei tuoi panni, non sono te.
Quindi non aspettarti che mi comporti come faresti tu. -
- D’accordo. Ma allora non
aspettartelo nemmeno da me. -
- Non me lo aspetto, infatti. E’
questo che mi fa paura… -
Julian rise.
- Comunque se domani sera ti
dovesse capitare di ruttare in faccia agli invitati, sappi che non mi
offenderò… -
- Ma per chi mi hai preso?! -
- Sto scherzando. In bocca al
lupo, ne avrai bisogno. A proposito…grazie. -
- E di cosa?! -
- Di tutto. -
Mark tacque un istante. – No, mi
sa che sono io che devo ringraziare te. -
- E di cosa? -
- Julian, così non la finiamo più…
-
Il ragazzo rise. – Va bene. Ci
sentiamo. -
Julian riagganciò sospirando, e
riflettè sulle parole dell’amico.
Perché Mark, parlando in quel
modo, si stava comportando davvero come un amico. E questo Julian non se
lo aspettava.
Holly camminava senza una meta
per le strade di Bangkok, il solito pallone tra i piedi, pensando a Freddie
Marshall.
A dire la verità era un po’
preoccupato: il preparatore atletico era stato cacciato dall’albergo il giorno
precedente e lui non ne aveva avuto più notizie.
Ma ciò che preoccupava
maggiormente Holly era la salute mentale di quell’uomo, e soprattutto il fatto
che continuasse a chiamarlo Benji… lui non era Benji, accidenti! E sì che
Marshall portava anche gli occhiali, avrebbe dovuto ben riconoscerlo!
Ad un tratto, il ragazzo si fermò
davanti ad una vetrina, guardando, ma senza vederla, la sua immagine riflessa.
In tutta sincerità era un pochino in pensiero anche per la sua salute
mentale; in quei giorni gli sembrava di non ricordare più nulla, si sentiva
strano, spaesato, come se…
Come se…
Si passò una mano sui
capelli, senza distogliere lo sguardo dal vetro.
Buffo, non ricordava di essere
passato dal barbiere. E poi quella non era nemmeno la sua solita pettinatura.
Pensandoci, quella non sembrava
nemmeno la sua solita faccia.
Ma certo! Quello era…
- Benji! Sei tu? – esclamò
voltandosi di colpo. Ma rimase deluso nel vedere che, alle sue spalle, c’era
solo un bimbetto alto come un soldo di cacio che lo guardava perplesso.
Holly sorrise. – Ciao, piccolo! –
disse, chinandosi verso di lui.
Come risposta il bambino gli
mollò un calcio negli stinchi e gli fregò il pallone.
- Ehi! Ridammelo subito!! –
esclamò Holly con disappunto mentre il piccolo sfrecciava per la strada con la
palla sottobraccio.
Senza perdere tempo, il ragazzo
si precipitò all’inseguimento del ladruncolo, facendosi largo tra la folla a
gomitate.
- Fermati! – gridò – Se ti prendo
ti do una bella lezione! -
- No, sono io che do una bella
lezione a te!! – esclamò una voce mentre una mano robusta afferrava Holly per
la collottola – Finalmente ti ho trovato, brutto deficiente!! -
Il ragazzo fu costretto a
girarsi. – Signor Marshall! – disse divincolandosi dalla pressa dell’uomo,
quasi irriconoscibile per via della barba sempre più sfatta, i capelli
spettinati e gli occhi iniettati di sangue – Che piacere rivederla! Mi dispiace
ma non posso perdere tempo, devo ritrovare quel ladro di palloni! -
- AAAAAAAAARGH!!! – ruggì Freddie
lasciando la presa e mettendosi le mani nei capelli – Ti ho già detto di non
darmi del leiiiiiiiiiiiii!!!!! -
Holly approfittò di quel momento
di distrazione e corse via.
- Benji! Fermati! Benji!!
– gridò l’uomo inseguendo il suo pupillo – Torna qui e fatti scotennare!! -
Holly non si curò di quelle
parole e inseguì il bambino in un vicolo buio. Dietro di lui Freddie continuava
a berciare.
- Ti stacco la testa dal collo,
mi hai sentito?! E siccome è completamente vuota non farò nessuna fatica!! –
gridò – Gettato senza un soldo per le strade di Bangkok! Io, Freddie Marshall!!!
Ma te le faccio pagare tutte, quant’è vero Dioooooooo!!! -
Giunto a metà vicolo, Holly si
fermò e si guardò intorno.
Il bambino era sparito.
E Freddie Marshall era sempre più
vicino…
- Benji!! Mi senti? E’ inutile
che scappi!! Per te è finitaaaa!! -
- E adesso cosa faccio?! – disse
tra sé e sé il ragazzo in preda al panico, senza smettere di guardarsi intorno
alla ricerca del piccolo ladro.
Ritrovare l’amico di gomma o
farsi sbudellare da Freddie? Avere o essere?
Un dilemma troppo grande per il
suo minuscolo cervello…
- Ehi! Di qua, presto! -
Holly si girò e vide una ragazza
dai lunghi capelli neri acquattata dietro un portone alle sue spalle. E gli
faceva segno di avvicinarsi.
- Muoviti, sennò quello ti
ammazza sul serio! -
- E il mio pallone? -
- Tieni di più al tuo pallone o
alla tua testa? -
Holly ci pensò su qualche
istante.
- Fammi strada – disse, infine.
Holly fu condotto per una scala
buia, in cima alla quale si affacciava una porta scrostata. La ragazza la aprì
con uno spintone, fece entrare Holly e poi la richiuse alle sue spalle ; i due
si ritrovarono in una stanza molto piccola, con le finestre oscurate da pesanti
tendoni rossi. In mezzo alla stanza, tanto grande da sembrava quasi fuori
posto, si trovava un alto letto a due piazze, affiancato da un vecchio
comodino.
Tutto, lì dentro, puzzava di
muffa, ma almeno era un rifugio sicuro…
- Carino, qui – azzardò Holly.
- Non dire stronzate e siediti! –
sbuffò la ragazza buttandosi sul letto a pancia in giù – Qui sei al sicuro. Ma
si può sapere che cavolo voleva quel pazzo? -
- Non ne ho idea – non mentì
Holly, piuttosto imbarazzato – Ad ogni modo…beh, non so proprio come
ringraziarti per avermi salvato! -
- Un paio di idee le avrei… -
rispose la ragazza con fare malizioso. Holly, investito da quegli occhi
nerissimi che splendevano sulla pelle abbronzata, arrossì violentemente, e lei
se ne accorse.
- Beh, puoi anche cominciare da
qui – disse quindi, porgendo a Holly un foglietto di carta e una penna – A
proposito…mi chiamo Jasmina – aggiunse poi, indicando il foglio.
Holly guardò prima il foglietto,
poi la ragazza.
- Eh? -
Lei sbuffò di nuovo, con
disappunto.
- Per l’autografo, no? – Imbecille,
dimenticò di aggiungere.
- Oh, già! – disse Holly
sorridendo. Scarabocchiò qualcosa sul pezzo di carta e lo porse gongolando a
Jasmina, che però, dopo avergli dato un’occhiata, si mise in ginocchio sul
letto e tornò a puntare i suoi fanali neri in quelli del ragazzo.
- Mi prendi per il culo? – disse
Jasmina.
- Cosa?! -
- Qui c’è scritto “A Jasmina con simpatia,
Oliver Hutton”. -
- Scusami, ho sbagliato a
scrivere il nome? -
- Il tuo di sicuro! – esclamò la
ragazza – Fino a prova contraria io ci vedo benone, e tu sei Benjamin Price,
quant’è vero che esisto! -
Holly alzò gli occhi al cielo.
- Ma cos’è, un complotto?! Prima
Freddie Marshall, ora ti ci metti anche tu! Come ve lo devo dire?!
IO-NON-SO-NO-BEN-JI-PRI-CE!! – sbottò.
- Ma davvero? – continuò Jasmina,
imperturbabile.
- Davvero. – rispose Holly
imbronciato.
Jasmina sospirò. – Senti – disse
– Se non sei Benji Price, allora sei il suo fratello gemello. -
- Impossibile. Io e Benji non ci
assomigliamo così tanto. -
- D’accordo. Dai un’occhiata qui,
allora. – disse la ragazza prendendo uno specchietto dal comodino e porgendolo
ad Oliver.
Il ragazzo afferrò lo specchietto
e osservò, stavolta attentamente, la su immagine. Dopo pochi istanti il
broncio sparì dal suo viso, lasciando posto non allo sgomento ma alla sorpresa.
Iniziò a toccarsi tutta la faccia, come per assicurarsi che il volto riflesso
nello specchio fosse veramente il suo.
- Ehi, allora è proprio
vero…cavolo, sono Benji!! -
- Dì un po’, chi era il tizio che
ti stava inseguendo? -
- L’allenatore di
Benji…cioè…dovrei dire il mio… - rispose Holly, confuso, lasciandosi cadere
pesantemente sul letto.
- Ci credo che è furioso. Chissà
cosa ti sei fumato per ridurti così… -
Holly non rispose, lo sguardo
fisso nel vuoto.
- Credo che ti convenga
raccontarmi tutto. Con calma. – disse Jasmina, posandogli unamano sulla spalla.
- Io non capisco…non riesco a
ricordare niente di quello che è successo prima di ieri…o quello che credevo
fosse ieri. Ero a casa mia, a Fujisawa, nella mia stanza…ed ora sono qui a
Bangkok, nel corpo di Benji…mi sento un pochino confuso. -
- Credo sia abbastanza
normale – intervenne Jasmina – Non capita a tutti di trovarsi nel corpo di un
altro, figuriamoci in quello del proprio peggior rivale… -
- Rivale? – disse Holly – Io e
Benji giochiamo nella stessa squadra da anni e andiamo d’accordissimo! -
- Non direi – ribattè Jasmina –
Altrimenti non credo che Price avrebbe detto “Oliver Hutton è un coglione” in
conferenza stampa… -
- Erano altri tempi – disse Holly
arrossendo.
- Già…in tre mesi può succedere
di tutto… - disse Jasmina porgendo a Holly la copia di un vecchio giornale
sportivo.
Holly cercò di sviare il
discorso. – E adesso cosa faccio? Se Freddie mi trova mi fa saltare il
cervello! – disse.
Grave perdita per la scienza, pensò
Jasmina, ma non lo disse.
- Io credo che invece dovresti
ritrovare quel tizio. Cerca di essere accomodante, lascialo sbollire, offrigli
una birra e poi cerca di dargli qualche spiegazione. Sono certa che ti sarà
d’aiuto, vedrai. Al massimo…sai dove rifugiarti! -
Holly sorrise . – Dici davvero? -
- Dico davvero. -
- Allora…forse è meglio che vada.
-
- Se proprio devi… - disse
Jasmina quasi a malincuore.
Holly si alzò dal letto e si
guardò intorno.
- Comunque casa tua non è tanto
male. Beh, è un po’ piccola, ma mi sembra davvero accogliente… -
Jasmina sogghignò. – Sai, ricevo
spesso visite maschili…ma nessuno ha mai badato all’arredamento…mi spiego? -
- No – disse Holly scuotendo la
testa.
Jasmina sospirò. – Insomma, di
solito non me ne sto sdraiata qui a chiacchierare con i clienti… -
- E allora che fai? -
- Uhm…massaggi? -
Stavolta Holly annuì, con
l’espressione di uno che crede di aver capito tutto ma non ha capito un
accidente.
- Ah, sì…massaggio shi-tzu,
shiatzu, come si chiama… -
Jasmina sospirò di nuovo. Le
stava venendo mal di testa.
- Sì, quella cosa lì. –
Holly sorrise, avvicinandosi alla
porta. – Allora se riesco a sistemare questa faccenda ripasso…sai, a volte ho
una cervicale che mi ammazza… -
- Certo, certo. Torna quando
vuoi. -
- Allora ciao! -
- Sì, sì…ciao. -
Dopo che il sorrisone di Holly fu
scomparso dietro la porta, Jasmina si buttò di schiena sul letto, lo sguardo
fisso sul soffitto.
Chiunque fosse veramente, quel
tipo sbiellato era sì un campione, ma di certo non una gran cima…
Holly tornò di filato in albergo
e si mise a sedere nella hall, riflettendo nuovamente sul da farsi.
Aveva perso il pallone, Freddie
Marshall e la sua faccia (quest’ultima non in senso figurato): quale delle tre
cose era la più grave?
Tutto ciò che gli restava era il
consiglio di quella strana ragazza, consiglio che però metteva a repentaglio la
sua vita, e una camera in quello splendido albergo…
Ad un tratto, dentro la zucca di
Oliver si accese una minuscola lampadina. Il ragazzo si alzò e si diresse la
bancone della reception.
- Mi scusi – domandò
all’impiegata – Fino a quando è stato pagato il mio soggiorno, qui? -
- Fino a dopodomani, signore. –
rispose cortesemente la ragazza.
- Ah…grazie. -
Holly rimase interdetto per
qualche secondo.
Forse era meglio recuperare
Freddie.
Dopo aver vagato per mezza Bangkok,
Holly ritrovò Freddie Marshall seduto al bancone di una delle peggiori bettole
della città, quasi ubriaco.
- Eccolo qua!! – esclamò l’uomo
alla vista del ragazzo – Eccolo qua, l’infame!! -
- Signor Mar…Freddie! – si
corresse Holly – Ti stavo giusto cercando! -
- Come no! E io stavo facendo due
chiacchiere con Maradona!! -
- Maradona è qui? – esclamò Holly
stupefatto.
Freddie non ci poteva credere. –
Benji…io ti ho sempre considerato un figlio…ti prego, dimmi cos’ho fatto di
male per meritarmi tutto questo! -
-Tutto questo cosa? -
- Essere preso così brutalmente
per il culo, brutto stronzo che non sei altro!! – sbottò Freddie.
- Calmati, Freddie, ci stanno
guardando tutti! -
- E lasciali guardare!! -
- Freddie, per favore, non fare
così… - disse Holly mettendo le mani avanti – E’ difficile anche per me credere
a…a quello che sta succedendo! -
- Perché, cosa starebbe
succedendo, a parte il fatto che sto per strangolarti? – disse Freddie
scrocchiandosi le nocche.
Holly, naturalmente, non gli fece
caso e gli si sedette accanto. – Insomma…l’altra sera mi sono addormentato nel
mio letto, a Fujisawa…e quando mi sono svegliato ero qui, nel corpo di Benji!
Ma io non sono Benji!! Non saprei parare un rigore nemmeno se lo tirasse mio
cugino di tre anni! –
Freddie lo guardò, perplesso.
- Quindi insisti ancora nel dire
che sei Oliver Hutton? –
- Ma io sono Oliver
Hutton…ugh! – esclamò il ragazzo colpendosi il petto e provocandosi un colpo di
tosse.
Freddie inarcò un sopracciglio e
sorrise.
- Benissimo! – esclamò – Sai
cosafacciamo, adesso? Un bel colpo di
telefono al tuo amichetto Holly! E poi vedremo chi se la riderà, caro il mio
buffone! -
Freddie estrasse rapidamente
dalla tasca il suo cellulare, pensando che Oliver non poteva essere così
sveglio da reggere il gioco a Benji, quindi cercò rapidamente il numero del
ragazzo.
Uno squillo fu sufficiente.
- Pronto? Buonasera, signora,
sono Freddie Marshall. Vorrei parlare con Oliver… Come dice? - L’espressione di
Freddie cambiò improvvisamente. – Che significa “non vuole parlare con
nessuno”?! Io non sono nessuno, sono uno dei preparatori atletici della
nazionale giov…insomma, mi passi subito Oliver, perdiana!! -
- Ehi, non parlare in questo modo
con mia madre!! – sbottò Holly, seccato. Freddie lo zittì con un cenno della
mano.
- Pronto, Oliver? Sono Freddie
Marshall. C’è qui il tuo amico Benji che…Oliver? –L’espressione di Freddie
peggiorò ulteriormente. – Su, smettila di piangere…come sarebbe a dire che non
sei Oliver?! Non mi starai mica prendendo per il culo anche tu?! Guarda che
sono già incazzato come una biscia, ci manca solo che…Oliver, per la miseria,
finiscila di piangere!!! -
Prima che a Freddie venisse un
colpo apoplettico, Holly gli strappò di mano il telefono.
- Benji, sono Holly. Senti...certo
che lo so, Holly sono io. No, aspetta…se io sono Holly tu devi essere
Benji, perché altrimenti…insomma, cosa sta succedendo?! -
Holly si staccò il cellulare
dall’orecchio e lo fissò, basito. Poi guardò Freddie.
- Ha riattaccato… -
- E che volevi che facesse, che
ballasse la tarantella?! – disse Freddie riprendendosi il telefono.
- Freddie, quello non ero io…ma
la voce era la mia…insomma… - Il ragazzo si alzò di scatto, gli occhi
spalancati dal panico. - …se io sono qui, chi diavolo c’è a casa mia?! -
Freddie sospirò e si fece
scorrere le mani sulla faccia. – Senti…escludiamo che questo sia uno scherzo di
pessimo gusto che tu e Hutton state tramando alle mie spalle…cosa poco
probabile, dato che quel ragazzo ha un carciofo al posto del cervello… -
- Di chi stai parlando, Freddie?
-
- Niente, niente, lascia
perdere…piuttosto, qui resta una cosa sola da fare. -
- Cioè? -
Freddie si alzò e si spolverò i
calzoni. – Andiamo in albergo, sperando che non mi arrestino prima, facciamo i
bagagli e ce ne torniamo a Fujisawa. Innanzitutto ho bisogno di fare una
chiacchierata a tu per tu con Oliver Hutton, o chi per lui…dopodiché chiamerò
un buon psichiatra… -
- Pensi che possa risolvere il
nostro problema? – disse Holly, speranzoso, trotterellando accanto a Freddie.
- Il tuo non so – rispose l’uomo
– Ma il mio sì. E ora fammi un altro favore… -
Freddie si piantò davanti a
Holly, lo prese per le spalle e lo fissò negli occhi.
- Forse posso anche arrivare a
credere che tu non sia davvero Benji…considerando lo stato attuale dei miei
nervi potrei anche credere di vedere Babbo Natale arrampicarsi nudo su un palo
del telefono…per cui ti chiedo: chiunque tu sia, per l’amor del cielo,
risparmiami ulteriori sofferenze e comportati come Benji!!! -
Premessa: questo capitolo non fa ridere (per lo meno la prima parte, per
la seconda decidete voi)
Premessa: questo capitolo non fa ridere (per lo meno la
prima parte, per la seconda decidete voi). Non fa ridere perché è romantico.
Ora voi vi chiederete: come fa a starci un capitolo romantico in una storia
demenzial-idiota? La risposta è: che ne so? Però ho voluto farcelo stare,
perché contiene una delle mie canzoni preferite, cioè “Must I paint you a
picture” di Billy Bragg, che come colonna sonora ci sta alla grande.
Ascoltatela, perché (al contrario di questa storia) è veramente bella!
Bacioni
Sage
Erano circa le sette di
sera, per strada non passava un’anima e faceva ancora un caldo cane.
Julian si guardava allo specchio
fischiettando Neil Young mentre si tirava a lucido per la serata. Frugando
nell’armadio di Mark aveva trovato un paio di pantaloni beige ed una polo blu
che gli donavano decisamente un aspetto sportivo ed elegante, anche se forse
non rientravano tra i capi prediletti da Mark, visto che puzzavano
tremendamente di naftalina.
- See the lonely boy out on the weekend…du-dudumdum-dum…
-
Niente male, niente male davvero.
Una bella arieggiata, uno spruzzo di profumo ed era fatta. Ora sì che Mark
Landers era un figurino!
- Okay, figaccione – si disse
Julian sistemandosi i capelli con un rapido colpo di mano – Pronto a far
sciogliere in lacrime la tua donna? -
Ma che cacchio sto dicendo? Pensò
poi, scuotendo la testa.
Continuando a fischiettare,
chiuse la porta della camera.
- Ciao mamma, ci vediamo più
tardi! – disse, facendo capolino nella cucina. Ogni volta che pronunciava
quella frase entrava in visibilio.
La signora Landers, in compenso,
non lo considerò più di tanto e lo salutò distrattamente, china a scartabellare
tra una miriade di fogli sparsi sul tavolo.
Julian non ci fece caso e uscì.
Vedrai, Mark, di cosa è capace Julian Ross!
Mentre imboccava il
vialetto d’ingresso incrociò Robert, il maggiore dei tre fratellini di Mark.
Julian lo salutò scompigliandogli i capelli.
- Puzzi di pesce! – disse Robert.
- E’ dopobarba, stupido! –
esclamò Julian arrossendo. Era l’unico articolo di un certo stile che aveva
trovato in camera di Mark, sepolto in un cassetto. Con ancora attaccato il
biglietto d’auguri di Maki. Quel cafone di Mark non l’aveva praticamente mai
usato; in compenso ci aveva pensato Julian a dargli fondo.
Arrivò all’edicola, il luogo in
cui aveva dato appuntamento a Maki, con cinque minuti d’anticipo e la ragazza
era già lì ad aspettarlo.
Cominciamo bene…
- Scusami per il ritardo!
– disse Julian affrettandosi.
- Non sei in ritardo – rispose
Maki – Sono io che sono in anticipo. Dove si va? -
Sfoderando un sorriso a novanta
denti, Julian pose un braccio attorno alle spalle di Maki e si mise in cammino
insieme a lei.
- Ti dice niente “Red Rose
Speedway”? -
Maki si bloccò. – Andiamo al “Red
Rose Speedway”? – disse, poco convinta.
Julian ritirò il sorriso. –
Non…non ti piace? –
- Eccome se mi piace! Solo che:
primo, è praticamente davanti a casa mia, per cui mi domando perché diavolo mi
hai fatto venire fin qui, a meno che tu non volessi confondermi le idee… -
- Infatti – farfugliò Julian.
- Secondo: a te quel locale ha
sempre fatto schifo… -
- La gente cambia – disse Julian
arrossendo paurosamente – Beh, preparati, tesoro…ho in serbo una bella sorpresa
per te! -
Nel locale c’era parecchia gente,
eppure non c’era affatto fracasso. Un leggero profumo d’arancia si diffondeva
tra le pareti tinte di giallo da una lieve soffusione di luce.
- Era questa la tua sorpresa? –
disse Maki accomodandosi al tavolo che Mark aveva riservato.
Julian sorrise mentre il
cameriere serviva ai ragazzi due Martini con tanto di olive e ombrellini di
carta.
Cercando di assumere
l’espressione più intrigante che conoscesse, il ragazzo sorseggiò il suo
aperitivo.
- Beh, non è così…BAH! –
sputacchiò Julian ricordando la sua avversione per tutto ciò che fosse alcolico
e/o amaro. Insomma, aveva il corpo di Mark, ma i suoi gusti restavano sempre
quelli…
- Come? – disse Maki che,per
fortuna, in quel momento si era distratta osservando il locale.
Julian cercò di ricomporsi e
spostò il bicchiere mentre la sua faccia si contorceva in una buffa smorfia di
disgusto.
- Dicevo…puah!…che non è
così banale… -
- Tutto bene, Mark? -
- Sì, sì, bevi, bevi… -
La ragazza ridacchiò.
- Sei strano stasera, Mark
Landers… -
- Quando sono con te mi sento sempre
strano, baby… - disse Julian facendo disperatamente appello a tutti i
filmacci d’amore che sua madre divorava uno dietro l’altro, alla ricerca di
qualche frase melensa da snocciolare per l’occasione.
- Non direi – replicò Maki –
Certe stronzate non me le hai mai dette… -
- Difatti era una battuta, non mi
avrai mica preso sul serio? -
Okay, niente frasi melense.
Maki lo guardò,
perplessa.
- Cosa c’è sotto, Mark? Prima ti
dimentichi della mia esistenza e quando ti vengo a cercare sembra che tu non mi
abbia mai visto prima. Poi mi dai appuntamento in culo al mondo per andare a
finire sotto casa mia, ti fai il bagno nel dopobarba che ti ho regalato l’anno
scorso e che non hai mai messo e prenoti un tavolo nel locale che odi di
più al mondo. Se devo perdonarti qualcosa dev’essere certamente una cosa molto
ma molto grossa… -
Julian, colto alla sprovvista,
tacque e abbassò gli occhi, mentre quelli di Maki continuavano a fissarlo,
indagatori. Il ragazzo stava decisamente perdendo la pazienza.
Guarda, Maki, io non sono Mark, avrebbe
voluto dirle, sono Julian Ross non si sa come trapiantato nel corpo di Mark.
Penso che sia un pochino normale che io sembri strano, non credi?
Ovviamente no, non poteva
parlarle in quel modo. Ma ne aveva tanta, tanta voglia…
Ad ogni modo ci pensò Maki a
trarre le sue conclusioni.
- Sai…io credo che stasera
abbiamo un’occasione per…per parlare un po’. Di noi, intendo. E’ un bel po’ che
non lo facciamo,ecredo che ne avremmo
bisogno entrambi. -
- In…in che senso? -
- Nel senso che le cose non
stanno andando esattamente come dovrebbero, Mark. Da parecchio tempo. -
Julian strabuzzò gli occhi e
pensò a tutte le più terribili torture e cui l’avrebbe sottoposto Mark se fosse
riuscito a farsi piantare da Maki in meno di una settimana. Poi pensò
brevemente alle parole della ragazza e capì che il problema doveva davvero
essere un po’ più vecchio del previsto.
Alzò lo sguardo verso Maki e vide
nei suoi occhi non la stizza e l’irritazione dipinte da una lite tra innamorati,
ma una profonda tristezza. Eppure doveva esserci ancora qualcosa a cui
aggrapparsi…
Julian doveva fare qualcosa.
Doveva farlo per Mark.
Qua ci vuole un piccolo
cambiamento nel programma. Quella non va più bene. Meglio usare l’altra…
- Forse hai ragione – disse
Julian, serio – Forse dobbiamo davvero parlare. Credo che stasera ti dirò
qualcosa che il vecchio Mark non ti avrebbe mai detto; e probabilmente dopo
capirai… -
Guardò l’orologio e si alzò. –
Scusa ma devo lasciarti un momento. –
Maki non lo guardò mentre se ne
andava. Rimase lì da sola con il suo Martini, senza nemmeno riuscire a sperare
che un aitante sconosciuto le si avvicinasse e le offrisse la sua compagnia.
Con gli occhi fissi nel bicchiere
pensò al gelo che, da un po’ di tempo a quella parte, stava scendendo tra lei e
il suo fidanzato.
Era facile ammettere che le cose
non erano più come prima. Ammettere che tornare indietro sarebbe stata
un’impresa era molto più difficile.
Mark non cera più, punto e basta.
Se n’era andato, disperso tra il mondo rosa del suo sport preferito e i suoi
problemi famigliari che lo tenevano ancorato a terra. E lei non era altro che
una nuvola passeggera che, forse, gli aveva dato un po’ di freschezza.
“Il mio piccolo temporale
personale”, la chiamava Mark, in ricordo dell’irruenza del suo carattere.
Quelli sì che erano bei tempi…
- Questa canzone è dedicata ad
una persona che per me è molto importante, anche se forse non glie l’ho mai
dimostrato. -
Maki spalancò gli occhi nel
riconoscere quella voce, e quando vide da dove proveniva arrossì come un
pomodoro e il cuore le balzò in gola.
Non poteva essere lui.
Quel ragazzo seduto al pianoforte
in fondo alla sala, con la voce di Mark, vestito come Mark, non poteva essere
Mark.
Per quanto ne sapeva lei, Mark
non sapeva suonare il pianoforte ed era stonato come una campana. E mai e poi
mai avrebbe fatto una cosa del genere…
Mentre le dita del ragazzo
scorrevano leggere sulla tastiera, creando una melodia lenta e dolce, Maki,
infuriata, ebbe la tentazione di alzarsi e piantarlo lì come un salame.
Che razza di figura le stava
facendo fare? Intortarla davanti a tutti con una stupida canzone da piano bar?!
Eppure la ragazza non sapeva, e
non l’avrebbe mai saputo, cosa la stesse trattenendo a quel tavolo. Non aveva
mai sentito quella canzone prima di allora, e in effetti non era per niente
mielosa…al contrario, la trovava di una semplicità quasi disarmante.
“It’s bad timing and me
we find a lot of things out this way…”
Maki riuscì ad afferrare un po’ il testo di quella canzone, anche se il
suo (e anche il mio, NdSage) inglese era piuttosto arrugginito.
Sono brutti tempi…e stiamo scoprendo un
sacco di cose…
“And there’s you
a little black cloud in a
dress…”
Questo lo capì senza problemi. Parlava di lei. Una
nuvoletta nera in un vestito…
Sorrise, mentre un piccolo nodo le saliva alla gola. Sì,
era proprio lei. Una piccola nuvoletta che gli aveva sconvolto la vita…
Il mio piccolo temporale personale…
“The temptation
to take the precious things we have apart to see how they work
must be resisted for they
never fit together again…”
Non era una canzone allegra.
Pensandoci, forse parlava di un fallimento.
Era questo che Mark voleva dirle
quella sera?
Il cuore di Maki battè ancora più
forte mentre lei cominciava ad avere paura. Aveva paura di quel ragazzo che
stentava a riconoscere e che, seduto al pianoforte, metteva tutto se stesso in
quella strana canzone.
Ma che cosa le stava dicendo?…
“If this is rain let it
fall on me and drown me…”
…Che cosa le stava urlando?
“If these are tears let them fall…”
La voce di Julian si fece più
forte e intensa, espressiva.
“Must
I paint you a picture
about the way that I feel?”
Devo dipingerti un quadro per dirti come mi
sento?
“You
know that my love for you is strong…”
Tu sai che il mio amore per te è forte…
“You know my love for you is real…”
Tu sai che il mio amore per te è
vero…
Era questo che voleva dire Mark,
e che non le aveva mai detto?
Era veramente questo?
“Must
I paint you a picture…?”
Maki si alzò e scappò fuori dal
locale, piangendo.
Nel frattempo Julian continuava a
cantare.
“It
took a short walk and talk
to change the rules of engagement…”
Era la prima volta in tutta la
sua vita che, pur trovandosi in panni non suoi, si sentiva veramente se stesso.
Mark non sapeva suonare?
Mark non sapeva nemmeno che
quella canzone esistesse?
Beh, chi se ne fregava. Lui non
era Mark, questo lo sapeva benissimo. Ci avrebbe pensato più tardi sistemare
certi…dettagli.
E poi Julian su certe cose non
riusciva a mentire.
O no?
Nascondendo i suoi sentimenti ad
Amy, non aveva sempre mentito a se stesso?
Ma Julian, almeno per quella
sera, non trovò la risposta a questa domanda. Perché, quando la canzone finì
tra gli applausi del pubblico, si accorse che Maki era sparita e gli si gelò il
sangue nelle vene.
Maki piangeva sommessamente,
seduta sul marciapiede fuori dal Red Rose Speedway, quando Julian la raggiunse.
L’unico rumore che risuonava sulla strada deserta era quello dei suoi passi.
Tirò un profondo respiro,
raccogliendo le idee e cercando le cose giuste da dire. O meglio, le cose che Mark
avrebbe trovato giusto dirle; ma il vero Mark non avrebbe mai e poi mai
montato tutta quella sceneggiata, e ormai toccava a lui portarla avanti fino
alla fine.
Ma a modo suo.
- Sono qui, Maki. Puoi insultarmi,
se vuoi. Picchiarmi, sputarmi addosso, dirmi quello che ti pare. Ma non me ne
andrò fino a quando non avrai aperto bocca. -
La ragazza si voltò verso
di lui tirando su col naso.
- Non mi avevi mai detto che
sapevi suonare il pianoforte. -
Julian arrossì e sorrise. – Me l’ha insegnato un amico –
disse.
- Anche questo faceva parte della sorpresa? -
Julian sospirò e fece due
passi sul marciapiede, guardando la luna.
- Volevo cantare un’altra
canzone, sai? All’inizio. – disse – “Good
old-fashioned loverboy” dei Queen. La conosci? -
Maki tacque.
- E’ carina – continuò Julian – A
dire il vero è una delle mie preferite. Ma non significa un accidente. Questa,
invece, dice tutto quello che avevo intenzione di dirti. E’ vero, in questi
ultimi tempi sono stato lontano da casae troppo occupato a far girare le cose per il verso giusto per
ricordarmi di dedicare un po’ di attenzioni anche a te. Ma questo non cambia il
fatto che sono qui, Maki. -
La ragazza sentì un enorme nodo
serrarle la gola.
- Dimenticherò un sacco di volte
di telefonarti e magari non metterò mai più il tuo dopobarba,che fra l’altro… -
Julian si annusò la maglia con fare poco elegante. - …mi piace un sacco… -
Maki sorrise debolmente, gli
occhi ancora lucidi.
- …ma ci sarò sempre, capisci? Comunque
vadano le cose, sai perfettamente quello che provo per te. -
Beh, insomma, andasse come
andasse, era quello che avrebbe detto anche Mark, pensò Julian.
O, per lo meno, il senso della
canzone era quello.
Forse.
Boh…
Julian si disse che forse era il caso
di condire il tutto con qualche buona frase ad effetto. E forse aveva quelle
giuste…
- Ci saranno ancora attriti fra
noi, ma non saranno altro che impalcature che cadono. E noi le lasceremo
cadere, perché sappiamo che, sotto di loro, abbiamo costruito il nostro muro...
-
- Questa l’hai inventata tu? –
disse Maki.
Affondato…
- No. E’ di un poeta irlandese
che si chiama Seamus Heaney. -
- Te l’ha insegnata quel tuo
famoso amico…? -
- Sì, sempre lui. – rispose
Julian sorridendo.
Maki si asciugò gli occhi con il
dorso della mano.
- Quando sono venuta qui
stasera…credevo fosse l’inizio della fine. E’ da quando sei partito che ho una
paura folle di perderti…e per questo, forse, ti stavo perdendo… Ero sicura che
parlarne non avrebbe reso le cose più semplici, non sapevo nemmeno da che parte
cominciare, ma dovevo fare un tentativo…e alla fine hai pensato tu a tutto.
Tutto quello che c’era da dire, l’hai detto tu in cinque minuti. -
Julian deglutì quando si ritrovò
gli occhi di Maki puntati nei suoi.
- …quindi?… -
- Mark Landers – continuò la
ragazza, decisa – Sapevo che eri un presuntuoso, burbero, rompiscatole testa di
legno…ma che fossi anche così…dannatamente sensibile…non me lo aspettavo
proprio. -
- E’…è un lato di me che non
conoscevo nemmeno io – balbettò Julian, incapace di muoversi mentre Maki lo
abbracciava e lo stringeva a sé.
Missione compiuta! Mark è salvo!
Sì, però adesso chi
avrebbe salvato lui dalle labbra di Maki?
Oddio, pensò
Julian ben sapendo che non c’era una via d’uscita.
Chiuse gli occhi, concentrandosi
su tutt’altro.
Amy, Amy, Amy…
Ma a salvarlo, quando ormai il
danno stava per essere fatto, ci pensò il destino, sotto forma del signor
Olson, proprietario del Red Rose Speedway.
- Mark, il pubblico aspetta –
disse facendo capolino dalla porta – Ricorda che mi devo ancora quattro
canzoni. -
Maki guardò prima l’uomo, poi
Julian, che arrossì imbarazzato.
- Perdonami, Maki – disse – E’ il
lavoro che mi sono trovato per pagare il tavolo per stasera. Non avevo un
soldo. Mi dispiace, non volevo dirtelo. Temo che farò un po’ tardi. -
La ragazza sorrise e gli
accarezzò una guancia.
- Vai pure, Mark. Non vedo l’ora
di sentirti cantare di nuovo. -
Per quella sera, Julian diede il
meglio di sé, strabiliando Maki con i migliori brani del suo repertorio.
Julian amava suonare il piano,
era l’unica cosa che lo rendeva davvero libero, libero di immergersi in un
mondo che solo lui conosceva e da cui nessuno avrebbe potuto strapparlo,
riportandolo nella sua maledetta gabbia dorata. Soprattutto quando suonava quello
che voleva lui, non quello che diceva sua madre…
Gli applausi del pubblico e, più
forti di tutti, quelli di Maki, lo fecero sentire un altro e, per un istante,
il ragazzo dimenticò chi era in realtà.
Non era più il vecchio,
remissivo, rassegnato Julian Ross. Era un ragazzo che sapeva prendere
l’iniziativa, era vivo e indipendente. E, soprattutto, era il ragazzo che aveva
salvato il culo a Mark…
Chissà se Amy l’avrebbe
riconosciuto?
Dio, quanto gli mancava…
- Bravo! -
- Complimenti, ragazzo! -
- A quando la prossima? -
Al pubblico era piaciuto.
Qualcuno gli aveva perfino allungato una bella mancia.
- E’ stata la serata più bella
della mia vita! – disse Maki mentre usciva dal locale sottobraccio a Julian.
Il ragazzo sorrise, e avrebbe
voluto dirle che, anche se non per lo stesso motivo, anche per lui era stato
così, quando una mano gli battè due volte sulla spalla, costringendolo a
voltarsi. Era il signor Olson.
- Mi sembra che tu abbia cantato
bene, stasera – disse, serio.
- Grazie, signore – rispose Julian.
- Oh, smettila di chiamarmi
“signore”, non sono il tuo generale! Dammi pure del tu. -
Il ragazzo si mise sul chi vive. Quando
ti dicono “dammi pure del tu”,si disse, c’è sempre una fregatura in
arrivo.
Ma non quella volta.
- Dimmi un po’, che altro sai
suonare? Oltre a quello che hai fatto stasera, intendo. -
Julian ci pensò su un momento.
- Beh, su due piedi non saprei…Tom Waits, Joan Armatrading, Carole
King…qualche pezzo blues…roba vecchia, insomma. -
- Vecchia sì – disse Olson
alzando l’indice – Ma d’atmosfera. E quello che conta di più in un buon piano
bar è l’atmosfera. -
Battè nuovamente una mano sulla
spalla di Julian. – Allora, ti va di tornare qui a suonare? Quattromila yen a
serata, non posso offrirti di più, tre volte alla settimana a partire da
dopodomani sera. -
Julian gli avrebbe risposto che
sarebbe tornato anche gratis, tanto era felice, ma non gli sembrava decisamente
il caso.
- Per…per quanto tempo? –
balbettò, lo sguardo trasognato.
- Dipende. -
- Da cosa? -
- Da quanto è vasto il tuo
repertorio. -
Le labbra di Julian si aprirono
in un sorriso enorme.
- Non…non so come ringraziarla,
signore! -
- Niente “signore”. Sei tu che
fai un favore a me. Allora siamo d’accordo; a dopodomani. -
Olson sorrise e rientrò nel
locale.
Julian non era mai stato così
felice in vita sua.
Quell’uomo gli piaceva. Quel
lavoro gli piaceva. Ed era libero!
Che altro poteva desiderare di
più?
- Sai cos’ho scoperto, Maki? –
disse, circondando con un braccio le spalle della ragazza e dirigendosi verso
casa – Che ho davvero una gran bella voce! -
Maki rise.
Julian camminava a dieci
metri da terra.
Lavorava, suonava, usciva con una ragazza (che non era la
sua, ma l’idea era quella), mangiava quello che gli pareva, poteva bere
alcolici anche se non gli piacevano e stava facendo un corso di recupero di
parolacce. E avrebbe pure potuto continuare a giocare a calcio.
Insomma, non aveva più un soldo ma eravivo!
In culo i soldi, si
disse. Mi sono usciti dalle orecchie per diciassette anni e non sono mai
stato tanto felice come ora!
L’evento andava assolutamente
festeggiato.
La prima cosa che fece dopo
essere rincasato fu quindi fiondarsi in camera, accendere l’abat-jour e frugare
tra i cd di Mark.
Doveva averla,
qualsiasi persona dotata di gusti musicali normali l’aveva e Mark, per quel
poco che aveva visto, non era da meno.
- Bingo! Eccola qua! Aretha
Franklin! -
Pochi secondi dopo, Julian
ballava felicemente sulle note di una delle più belle canzoni soul mai scritte,
cantando a squarciagola.
“Freedom…” gorgheggiò Aretha.
- Freedoooom… - fece eco Julian.
“Freedom…” ripetè Aretha.
- FREEDOOOOM… - ripetè Julian.
Peccato che al terzo “Freedom”
Justin si mise a piangere, Robert tirò un cuscino in testa al fratello e
Katherine corse a chiamare la mamma, ma inutilmente perché la signora Landers
era già lì, sulla soglia della stanza, pronta a massacrare il buon Julian, il
quale arrossì fino alla punta dei capelli.
Eh, già. Cantare Aretha Franklin
alle due di notte in camera da letto con tre bambini piccoli non era certo una
grande idea.
- Scusascusascusa! – disse Julian
correndo a spegnere lo stereo. Poi, esibendosi in un roteante passo di danza,
baciò velocemente su una guancia la madre di Mark, che non potè fare a meno di
sorridere, e volò in soggiorno, buttandosi a pancia in giù sul divano.
Per un brevissimo istante
ringraziò quasi l’operatore dello scambio tra lui e Mark, chiunque fosse. Il
vero Julian non avrebbe mai potuto comportarsi in quel modo.
Ma il vero Julian non aveva la
minima idea di cosa fosse la felicità, se non quando tirava due calci ad uno
stupido pallone, l’unica cosa che gli riusciva bene.
Ma no, non era più l’unica! In
quei pochi giorni aveva fatto cose che non si sarebbe mai sognato di fare.
Figuriamoci dopo!
Se Amy l’avesse visto…sarebbe
stata fiera di lui.
Julian si girò di schiena e
rimase un momento a fissare il soffitto, le braccia incrociate dietro la testa,
pensando di nuovo alla ragazza.
Amy era l’unica cosa che gli
mancava veramente. Cosa non avrebbe dato pur di rivederla…
- Oh, ‘fanculo! – esclamò Julian
afferrando il telefono e componendo un numero a lui molto famigliare…
Mentre Julian chiedeva a Maki se
era il caso di dipingerle un quadro per dirle quanto Mark l’amasse, il vero
Mark era intrappolato nell’evento mondano più noioso della sua vita.
E non c’erano vie d’uscita!
Fino ad allora non aveva fatto
altro che girare tra gli invitati incollato come una piattola ad Amy, per
cercare di capire chi doveva fingere di conoscere e chi no, ma non era affatto
facile…al terribile barbecue annuale nell’immenso parco della famiglia Morgan,
da sempre amici dei Ross, non era ancora nemmeno riuscito a capire chifossero i Morgan…figuriamoci gli altri!
Aveva quindi deciso di scollarsi
da Amy e perlustrare la zona per conto proprio, un bicchiere di aranciata in
mano.
Erano due le cose che Mark odiava
a morte: i barbecue da teleromanzo e il karaoke. Ad un barbecue da teleromanzo
non c’erano meno di cinquanta invitati che conoscevano a malapena i padroni di
casa, per cui qualsiasi passante avrebbe potuto imbucarsi e mangiare a sbafo
per tutta la serata senza che nessuno avesse il coraggio di chiedergli chi
fosse. La regola generale di un barbecue era annoiarsi a morte e fingere di
divertirsi, regola che Mark decise di infrangere mostrando apertamente la sua
noia sbuffando come un mantice mentre pensava a qualche diversivo, come quelli
suggeriti da Julian.
- Bella festa, eh? – gli disse un
ragazzo abbronzato e con tanto di quel gel che nemmeno un tornado avrebbe
potuto spostargli un capello.
- Eccome – rispose Mark cercando
di autoconvincersi di quello che stava dicendo.
Il tizio fece un cenno con la
testa ad un gruppo di ragazze poco distanti. - Certo che Marlene se la tira un
sacco da quando si è rifatta le tette… - disse.
- Chi, la rossa col vestito da
baldracca? – disse distrattamente Mark.
- La rossa col vestito da
baldracca è la mia ragazza – rispose il tizio, piuttosto contrariato.
Mark si sentì sprofondare. – No,
intendevo quell’altra, laggiù… -
Il tipo non fece in tempo a dire:
- Quell’altra chi? – che Mark si era già defilato.
Sperando che quello non fosse un
carissimo amico di Julian, pensò che forse era meglio tacere sull’accaduto…
- Che palle!! – mugugnò Mark tra
sé e sé guardando l’orologio. Era lì da un’ora e gli sembravano dieci anni. E
aveva già fatto un’orrida gaffe.
In quel momento rimpianse
amaramente di non essere a casa sua a Fukuoka. Di sicuro non c’erano, né ci
sarebbero mai stati, altri terribili barbecue da teleromanzo, ma almeno non
doveva destreggiarsi tra simpatici serpenti velenosi che sparlavano a tutto
andare della persona con cui avevano chiacchierato fino a cinque minuti prima.
Povero Julian…ecco perché aveva
sempre una faccia triste! Mark era certo che gli avrebbero abbuonato dieci anni
di purgatorio per ogni festa del genere.
Però, pensandoci bene, anche i
barbecue da teleromanzo avevano i loro lati positivi. Ad esempio, si poteva
mangiare e bere quanto si voleva.
Almeno, Mark avrebbe potuto
mangiare e bere quanto voleva, ma Julian…
Fino ad allora aveva dovuto
accontentarsi di una striminzita tartina con un cetriolino sottaceto che lo
guardava dicendogli chiaramente “preparati a ruttarmi per tutta la notte,
amico!” e qualche crostino al salmone sgraffignato di nascosto
dall’onnipresente mamma Ross. Con che occhi Mark osservava le salsicce e gli
spiedini che sfrigolavano sulla griglia…
Ma il colpo al cuore gli arrivò
quando, gironzolando attorno al buffet, si trovò davanti il paiolo della
sangria.
Mark a-do-ra-va la sangria! Ma
Julian non poteva bere alcolici…
- No…Signore, non puoi farmi
questo! Cos’ho fatto perché tu mi punisca così?! -
Un bicchierino di sangria…uno
solo…che male avrebbe potuto fargli?
Con l’acquolina in bocca si
guardò intorno. Neanche a farlo apposta, il paiolo era in un angolo del
giardino seminascosto da voluminosi cespugli di rose. Nessuno avrebbe potuto
vederlo versarsi una minuscola mestolata di aperitivo…porca miseria, si sentiva
un adolescente idiota che vuole sfidare il senso del proibito!
Ma le mani di Mark non fecero in
tempo ad afferrare un bicchiere perchè uno scappellotto ben assestato sulla
nuca gli fece cambiare idea.
- Eccheccazz…ehm…mamma! – esclamò
il ragazzo, mentre la signora Ross gli lanciava un’occhiata rovente.
- Non provarci nemmeno! Questo
non me lo sarei mai aspettato da te, Julian! -
Mark non sapeva più da che parte
guardare. In compenso gli altri ospiti lo sapevano benissimo, dato che non gli
levavano gli occhi di dosso.
- Oh, mamma…per favore…ci stanno
guardando tutti… - disse il ragazzo, imbarazzatissimo.
- Per favore un corno!! – strillò
la signora Ross con le lacrime agli occhi – Se pensi che io e tuo padre ci
divertiamo a vederti giocare con la tua salute ti sbagli di grosso! Ti abbiamo
sempre detto che devi controllarti e tu cosa fai? Bevi! Oh, mio Dio… -
- Cara, per favore, calmati… -
intervenne il signor Ross.
- …non immagino cosa combini
mentre sei in ritiro! Tu vuoi farci morire di paura, Julian! -
- Adesso basta. Non esagerare. –
continuò il padre di Julian con voce ferma – Julian è abbastanza grande per
capire cosa è meglio per lui. E poi è un ragazzo…se per una volta sgarra un po’
dal solito regime, cosa vuoi che succeda? Lascia che si sfoghi un po’ anche
lui… E adesso vieni, voglio presentarti i Madison. Ti ricordi Frank Madison? E’
quello che… -
Il signor Ross riuscì a distrarre
la moglie, che però non perse più di vista Mark per tutto il resto della
serata.
Il ragazzo si guardò intorno,
sperando di trovare Amy e di ricevere un po’ di comprensione almeno da lei. Ma
Amy non era in zona.
In compenso, gli occhi di Mark
incrociarono quelli di un ragazzo poco distante. Era un biondino con gli
occhiali da sole modello mosca umana sulla testa e l’aria strafottente che lo
guardava sghignazzando tra sé e sé. Cercando di ignorarlo, continuò a cercare
Amy con lo sguardo, sperando però che non avesse assistito alla pietosa scena.
Ad un tratto un terribile urlo
attraversò le sue orecchie.
Gli caddero le braccia. La
seconda cosa più detestata da Mark si stava manifestando sotto forma di un
attempato signore in bermuda e camicia hawaiana che si sgolava davanti ad un
maxischermo piazzato a bella posta dietro al chilometrico buffet. Veramente
pietoso.
- Mio Dio… - disse Mark
osservando il cantante fai-da-te – Credo di stare per vomitare… -
- Bevuto troppo, Julian? -
Mark si girò e non appena si
trovò di fronte il biondino che lo stava guardando di sottecchi poco prima
decise istantaneamente che, chiunque fosse, gli stava sui coglioni.
- Devo ridere? – disse in tono
glaciale.
- Come credi…prima abbiamo riso
noi, ora tocca a te… -
Simpatico come un ananas nel culo, pensò
Mark lanciandogli un’occhiataccia, ma si trattenne dal parlare.
Il ragazzo si lasciò sfuggire una
risatina e diede una leggera pacca sulla spalla a Mark.
- Scherzavo, naturalmente…almeno
la ramanzina di tua madre è stata un piacevole diversivo… -
- Un diversivo. -
- …visto che qui tutti si stanno
annoiando a morte. -
- Tu invece ti stai divertendo,
vedo. – disse secco Mark.
- Faccio quello che posso –
continuò il ragazzo versandosi un bicchiere di sangria e sorbendoselo con
evidente godimento davanti alla faccia nera di rabbia di Mark – Sai, questa
sangria è favolosa. L’ha preparata un barman che viene direttamente dalla
Spagna… -
- Dev’essere costato caro farlo
venire qui solo per preparare da bere ad una stupida festa…fammi fare due
conti…forse come vaccinare un migliaio di bambini africani ? -
- Croce Rossa Internazionale ? -
- Buon senso. – rispose Mark con
un cattivissimo sorriso. Il ragazzo, irritato, finse di ignorarlo.
- In effetti il prezzo è stato
parecchio alto. Ma vedi, purtroppo, come sai bene, al mondo c’è chi può… - Il
biondino trangugiò avidamente tutto il bicchiere di sangria, senza staccare gli
occhi da quelli di Mark, con aria sarcastica – …e chi non può. Uh, terribile !
Sai, a volte non poter bere può essere un vantaggio…non hai idea di quanto
questa roba sia dannosa per il fegato. – Il ragazzo si riempì un altro
bicchiere. – Comunque mi dispiace davvero che tu sia dovuto rimanere a dieta,
stasera… -
Eh, no. Mark non poteva più
restarsene lì a farsi prendere a pesci in faccia.
- Ognuno ha la sua croce – disse
quindi afferrando al volo dal vassoio di un cameriere un bicchiere di Cuba
Libre – La tua, purtroppo, è di avere il culo al posto della faccia. Forse è
per questo che ti puzza il fiato… -
Sorrise di gusto, osservando lo
sguardo allibito del ragazzo, che di certo non si aspettava una reazione del
genere da Julian.
- Salute – disse poi alzando il
bicchiere e bevendosi tutto lo cocktail alla goccia. Il ragazzo lo fulminò con
lo sguardo e girò i tacchi.
- Julian…? -
Mark si voltò e vide Amy che lo
guardava, esterrefatta.
- Oh, Amy! – esclamò posando il
bicchiere – Bella festa, vero? Che dici di allontanarci un attimo? Questo
ciccione in mutande mi sta facendo venire mal di testa… -
- Julian, sei sicuro di sentirti
bene? –
- Mai stato meglio! Ho avuto un
divertente scambio di opinioni con… -
- George ha disseppellito l’ascia
di guerra, puoi scommetterci! – lo interruppe Amy ridendo – Non avrei mai
creduto che saresti stato capace di rispondergli in quel modo! -
- Neanch’io – disse Mark. Così
il coglioncello si chiama George, si disse,buono a sapersi.
- Julian! Tesoro! -
Mark impallidì mentre la signora
Ross gli correva incontro con un sorriso che le andava da un orecchio
all’altro. La musica cessò e il “cantante” scese dal palco, avvicinandosi ad
una donna magra e rugosa come una prugna.
- Vieni qui, caro! Jennifer
Morgan ti vuole parlare! -
La prugna secca sorrise. – Il mio
George mi ha detto che sei un bravissimo pianista…perché non ci suoni qualcosa?
Gli ospiti saranno ben contenti di ascoltare della buona musica al posto delle
performance di mio marito con il karaoke! –
- Ma a me piaceva! – protestò il
ciccione, ma la moglie lo ignorò.
Mark spalancò gli occhi. Jennifer
Morgan…il mio George…mio marito…?
Cazzo, ho mandato a fare in culo i padroni di casa!!
- Mah…non saprei… -
- Coraggio, Julian – insisté
Jennifer tirando Julian in casa, seguita da tutti gli invitati, Ashley Ross in
testa – Non vediamo l’ora di sentirti suonare! -
- Sì – disse George con
cattiveria – Non vediamo proprio l’ora… -
Il cervello di Mark si rimise a
funzionare quando si ritrovò in un lussuosissimo salone rotondo, in cui si
trovavano solamente un enorme lampadario di cristallo e un pianoforte a coda
chilometrico.
Si guardò intorno, nel silenzio
generale.
Fregato.
L’avrebbe ammazzato, quel
bastardo di George Morgan.
Mark non sapeva nemmeno com’era
fatto un pianoforte; come se la sarebbe cavata di fronte a tutta quella gente
che si aspettava di sentire Vivaldi uscire dalle sue dita?
E cos’avrebbero detto i genitori
di Julian?
E Amy?
CAZZO!!!
Intanto George Morgan continuava
a sorridere, ma non avrebbe sorriso ancora per molto perché il suo atteggiamento
arrogante e strafottente ebbe esattamente l’effetto opposto a quello che voleva
ottenere. Nella fattispecie, fece imbufalire ancora di più Mark, spingendolo a
reagire.
Eh, no, si
disse, questa non te la faccio passare liscia.
Il ragazzo alzò la testa, si
scrocchiò le ditae si sedette al
piano.
- Eseguirò per voi la
sonata “Sturmundkartoffel 4/bis” del grande Manfred Von Richtoefen, notissimo
compositore dodecafonico.-
Mark restò un attimo a guardare
la tastiera; quindi le sue mani piombarono giù scorrendo a casaccio su tutti
gli 88 tasti e producendo un’improvvisazione dodecacofonica più che
dodecafonica, ben condita, a dire il vero, dall’espressione ispirata del
ragazzo.
Al termine dell’esecuzione, Mark
fece una faccia sofferente e si asciugò la fronte con il dorso della mano.
- Un brano piuttosto difficile,
devo dire. Devo ancora perfezionarlo. – Poi si alzò dallo sgabello e si pose
una mano sul petto. – Chiedo scusa, ma vorrei ritirarmi. Mi sento piuttosto
affaticato. -
Ashley Ross spalancò gli occhi,
mentre suo marito si sforzava di non scoppiare a ridere. I Morgan e gli altri
spettatori, invece si guardarono l’un l’altro dubbiosi e, pur di non ammettere
la propria ignoranza in materia, applaudirono.
Mark si guardò in giro,
trionfante, fino a quando si accorse che Amy lo stava fissando, e la sua
espressione non gli piacque per niente.
Facendosi largo tra gli ospiti
che discutevano sulle doti del grande compositore inesistente, raggiunse la
ragazza mentre usciva dalla stanza per tornare nel parco.
- Allora, che ne dici? – disse
Mark affiancando Amy che continuava a camminare senza guardarlo in faccia –
Piaciuta la mia performance? -
- Eccellente! – esclamò irritata
la ragazza – Solo non immaginavo che il Barone Rosso avesse anche composto
sinfonie, oltre a sparare addosso agli aerei inglesi! -
- Beh, lui era il Barone Rosso…io
sono il Barone Ross! –
Amy si voltò di scatto e fulminò
il ragazzo con lo sguardo.
- Naaaa…pessima battuta, lo so.
Scusa. – disse Mark arrossendo.
- Julian – disse Amy – Guarda che
“Green Card” l’abbiamo visto tutti. -
- Ah, sì? Bel film, vero? -
Amy sbuffò e allargò le braccia.
– Insomma, si può sapere che diavolo stai combinando? Prima George Morgan e il
Cuba Libre, poi… -
- George è un imbecille. -
- Lo so benissimo – disse Amy
notando il tono di Mark – Secondo te perché gli do sempre buca? -
- Beh, aveva bisogno che qualcuno
glie lo dicesse! -
Amy tacque e si guardò in giro,
senza sapere più cosa dire.
- Non ti riconosco più, Julian.
Non ti saresti mai comportato in questo modo. E il fraseggio, poi… -
Mark arrossì. In effetti doveva
avere esagerato.
- Mi dispiace. Preferisci il
solito Julian? – disse in tono sommesso.
- Io non preferisco niente! Se
devo dirti la verità, mi è perfino piaciuto come ti sei comportato. Ma non capisco
cosa ti sia successo per cambiare atteggiamento in questo modo…così,
all’improvviso… -
Mark si portò una mano alla
tempia, sinceramente frastornato.
- Non lo so nemmeno io – rispose
– Ultimamente sto…sto scoprendo un sacco di cose su di me. E non mi piacciono
affatto. Credo che il vecchio Julian abbia bisogno di “cambiare aria” per un
po’, non so se mi spiego. -
- Ti sei spiegato perfettamente –
disse Amy annuendo amaramente.
Mark sorrise, mentre un’ideuzza
gli attraversava il cervello.
- Benone! – disse – Allora che ne
dici di cominciare subito? -
- A fare cosa?! – disse Amy
ridendo.
- A cambiare aria, no? – disse
Mark prendendola per mano e correndo verso il cancello – Chi vuoi che veda se
ci sono due invitati in meno? Presto, prima che mi scoppino le palle! -
- Julian, se tua madre scopre che
siamo scappati dalla festa le viene un infarto… - disse Amy mentre i due
ragazzi, svicolati dall’uscita posteriore, ora passeggiavano tranquillamente in
pieno centro di Tokyo.
- Il cardiopatico sono io, non
lei – rispose Mark – E poi non so tu, ma io stavo rischiando l’ulcera…non avrei
potuto rimanere un solo secondo di più in mezzo a quei coglionazzi! –
- Julian!! -
- Scusa – disse Mark arrossendo e
pensando al fraseggio da scaricatore di porto che aveva usato per tutta la sera
e che non era proprio idoneo al personaggio di cui vestiva i panni – Avevi cari
amici, là dentro? –
- Assolutamente no – rispose Amy.
- Allora tutto è a posto! Beh,
dove si va adesso? –
- E lo chiedi a me? Sei tu
l’artefice della fuga, avrai pure qualche idea! –
Mark ci tacque per un istante,
incerto sulla risposta da dare.
- Gelato! – esclamò
all’improvviso.
- Gelato? Da quando ti piace il
gelato? –
- Da questo preciso istante –
rispose Mark appiccicandosi ad una vetrina e sbavando copiosamente mentre
osservava, seduti ad un tavolino, una giovane coppia intenta a sbafarsi due
gigantesche coppe tuttigusti.
Il ragazzo prese Amy per mano e
la trascinò all’interno della gelateria.
- Strafogati, Amy, offro io! –
disse.
- Julian, andiamo via. –
Mark si bloccò e si voltò a
guardare la ragazza, che aveva un’espressionepiuttosto imbarazzata.
- Che ti prende, Amy? – domandò
Mark senza capire.
- Non ho voglia di restare qui. E
non ho nemmeno voglia di gelato. Andiamo via. –
Mark non disse nulla, ma restò
per un momento a guardarla.
- Non è questione di gelato. Cosa
c’è che non va? – disse, preoccupato. Ma ad un tratto drizzò le orecchie e
capì.
- …e poi è uno strazio, non sa
parlare d’altro che di calcio…d’accordo, è bravissimo, ma sembra un robot! –
- Non lamentarti troppo, Felix!
In fin dei conti se siamo nelle teste di serie del campionato giovanile lo
dobbiamo a lui. –
- Sei diventato lo scudiero del
Capitano, Stephen? –
Risate. Mark non riconobbe tutti
i nomi, ma le voci se le ricordava benissimo. Le aveva sentite tante volte in
campo, durante le partite; erano i ragazzi della Mambo, compagni di squadra di
Julian. E, ovviamente, stavano parlando di lui.
- Ma no, dico solo che…insomma,
ha pure lui qualche pregio… -
- Per esempio? –
- Beh, per esempio…uhm…è un buon
capitano…ha ottime doti strategiche e tattiche… -
- Si parlava di doti umane,
Steve. –
Breve attimo di silenzio. –
D’accordo, è uno strazio. E’ una noia mortale, non parla mai, non esce mai con
nessuno…D’altronde, poveraccio, con tutto quello che gli è capitato… -
- Potrebbe cercare di darsi una
mossa, comunque. –
- Anche con Amy? –
- Con lei mi ci darei io una
mossa, Ken! Ma si sa, quella stravede per lui…si vede che ha l’istinto della
crocerossina! –
Altre risate. Gli unici che non
ridevano erano Mark e Amy, che si guardava intorno più triste e infastidita che
imbarazzata. L’unica cosa che importava a Mark in quel momento era portare
fuori Amy dal locale, farle fare due risate, farle dimenticare quella
situazione tutt’altro che piacevole; la ragazza non doveva essere certamente
felice di quello che stava ascoltando.
Una fastidiosa sensazione si
impadronì di lui e non fu capace di cacciarla.
Chi se ne frega, si
disse, stanno parlando di Julian, mica di me.
Ma la verità era che le parole di
quei ragazzi lo avevano ferito molto più di quanto avrebbe mai immaginato,
perchè nonostante avesse cominciato ad accorgersene dal momento in cui aveva
messo piede in casa sua, Mark si rese del tutto conto che Julian Ross, il bel
capitano della Mambo, il baronetto del pallone idolatrato dalle ragazze non
aveva un solo vero amico su cui contare.
E la cosa non gli piaceva per
niente.
- Julian,ce ne andiamo? –
insistette Amy.
Mark non rispose e rimase lì,
immobile, a guardare nella direzione da cui aveva sentito venire le voci.
- No, non ce ne andiamo – disse
sorridendo, e prendendo per mano la ragazza la condusse verso il tavolo a cui
erano seduti i compagni di squadra di Julian.
Questa è la tua riscossa, Julian
Ross, pensò.
- Salve, ragazzi! Possiamo
sederci? –
I giocatori della Mambo
arrossirono in varie tonalità e si guardarono l’un l’altro.
- Ce…certo, capitano! Ciao, Amy!
Accomodatevi pure… - balbettò Ken Marshall. Il ragazzo si alzò per prendere due
sedie per i nuovi arrivati, ma Mark lo bloccò dandogli una decisa manata sulla
spalla.
- Lascia stare, ci penso io! –
Quindi, con fare molto cavalleresco, prese una sedia e fece un profondo inchino
verso Amy. – Si accomodi, madmuasèll! – disse, prima di prendere una sedia per
sé. Amy lo guardò, piacevolmente sorpresa.
- Che fate di bello da queste
parti? Oltre a sbafarvi questi gelati da favola, naturalmente…Dio, Stephen,
credo che tu sia l’unica persona al mondo capace di mangiare una coppa
cioccolato, fragola e pistacchio! –
- C’era anche la panna montata,
ma questa fogna l’ha fatta sparire in un secondo! – intervenne Henry Foylers.
- Peccato, ti avrei dato
volentieriuna mano! – disse Mark.
I ragazzi risero; almeno una
parte del muro di imbarazzo che li divideva dal loro capitano era crollato.
- Bene, che gelato prendi, Amy? –
chiese Mark.
- Niente, grazie. Mi è passata la
voglia. – rispose Amy lanciando uno sguardo significativo agli altri ragazzi,
che recepirono il messaggio e guardarono altrove, sempre più imbarazzati.
- Poco male, mi aiuterai a finire
il mio. Cameriera, una coppa menta e tripla liquirizia, per favore. –
- Julian, sei impazzito? –
sussurrò Amy – La liquirizia, la pressione… -
- Hai ragione – si corresse Mark
alzando l’indice – Doppia liquirizia, per favore! –
Amy alzò gli occhi al cielo e
sospirò, rassegnata a sopportare le stramberie dell’amico almeno per quella
serata.
- Ehi, Felix, non male la tua
ragazza! – disse Mark notando il gioco di sguardi tra lui e la cameriera.
- Non è mica la mia ragazza –
rispose Felix arrossendo.
- Beh, solo perché lei non lo sa
ancora…ma dall’occhiata che ti ha dato direi che è solo questione di tempo! –
ribattè Mark strizzando l’occhio al ragazzo che sorrise, stupito.
- Aaaah! Finalmente un po’
d’aria! – esclamò poi stiracchiandosi – Sono contento di vedervi, ragazzi! Non
ne potevo più di quella pallosissima festa! –
- Festa? Siete stati ad una
festa? – disse Stephen Mallory.
- Siamo scappati da una
festa – lo corresse Mark – Una festa a cui forse non siamo più ospiti
graditi…che ne dici, Amy? -
La ragazza sorrise mentre Mark
raccontava ai ragazzi tutti i dettagli di quello che gli era capitato durante
la serata, inclusa la sua prima gaffe, la discussione con George e la
performance musicale che forse gli era costata l’invito ad ogni futuro barbecue
della famiglia Morgan. I suoi compagni di squadra risero come pazzi.
- Insomma, aveste visto le loro
facce quando… -
L’inquietante suoneria di un
telefonino interruppe il racconto. Tutti tacquero e guardarono Mark.
- Beh? Che aspettate a
rispondere? – disse infine, senza capire.
- Julian, è il tuo
cellulare che sta suonando – disse Amy, sempre più stupita.
- Cellulare? Io non ho un
cellulare! – rispose candidamente Mark.
- Certo che ce l’hai, stupido!
Non ti muovi mai senza! –
Ecco cos’era quel peso che mi sentivo
nella tasca dei pantaloni, si disse Mark cercando disperatamente il telefono,
per lo meno per zittire quell’orribile suoneria.
Facendo del suo meglio perché
quell’infernale apparecchio, che oltre a suonaresi era messo pure a vibrare, non gli sfuggisse di mano e se ne
andasse per conto proprio, il ragazzo diede un’occhiata al display e quando
vide il numero che lo stava chiamando gli venne un colpo.
- Ehm…scusate un momento… -
balbettò alzandosi e uscendo di corsa dal locale.
- Amy… -
- Che c’è, Felix? –
- Ma…che cos’ha il capitano? –
Amy sospirò. – Vorrei tanto
saperlo anch’io…da qualche giorno non sembra lui… -
- Beh, l’abbiamo notato anche noi
e la cosa non è poi così male… -
- Che vuoi dire? –
- Insomma, ride, scherza, fa
perfino battute sulle ragazze… -
- Felix! – lo rimproverò Ken
Marshall lanciando di sfuggita un’occhiata piuttosto significativa in direzione
di Amy.
La ragazza colse l’allusione. –
Stai dicendo che si è svegliato? -
Il ragazzo arrossì. – Beh,
mettiamola così…insomma, non credevo che il capitano potesse… –
- Potesse? – Amy stava
cominciando a seccarsi.
- …potesse essere simpatico,
ecco! –
- Molto lusinghiero da parte tua.
Anzi, da parte vostra, devo dire… - disse Amy con notevole sarcasmo –
Non siete stati molto carini con lui, sapete? –
I ragazzi si guardarono l’un
l’altro, sempre più imbarazzati. – Ci dispiace, sinceramente. – disse infine
Henry Foylers – Ci dispiace di esserci sempre sbagliati sul suo conto. Julian è
veramente un figo! –
Sotto tutti i punti di vista, pensò
Amy, ma non lo disse.
- Pronto?! –
- Sono io, Mark. – rispose
Julian.
- Grazie al cazzo che sei tu, ho
visto il numero, imbecille!! Non mi avevi detto che il tuo cellulare mi si
sarebbe materializzato in tasca! –
Julian sospirò. -Te l’avrà messo
mia madre di nascosto. Riesce sempre a vanificare i miei tentativi di rendermi
irreperibile… Beh, non importa. Passami Amy. –
- Ma sei pazzo?! Cosa ti fa
pensare che Amy abbia voglia di parlare con te…cioè, con me…insomma, potrebbe
insospettirsi! –
- Non me ne importa niente, ho
voglia di sentire la sua voce. Dai, passamela! E’ lì con te? –
Mark sbuffò. – Senti, io te la
passo, ma vedi di trovarti una buona scusa. Da che mondo è mondo, Mark Landers
non si sognerebbe mai di chiamare Amy al telefono! –
- Ci mancherebbe altro! – esclamò
Julian – Beh, come procede la festa? –
- Oh, l’abbiamo abbandonata
un’ora fa. –
- Come sarebbe, abbandonata?!?
Dove diavolo sei?!? –
- Julian, non alterarti, va tutto
bene… - Spero, pensò Mark.
Julian stava sudando freddo. -
Mark, non avrai fatto qualche cazzata, spero! –
- Non ho fatto nessuna cazzata –
mentì Mark, sapendo di mentire – Sto solo facendo pubbliche relazioni. Sono in
gelateria con Amy e i ragazzi della squadra. -
Julian aggrottò le sopracciglia.
– Squadra? – disse – La mia squadra? –
- No, la mia… – disse Mark,
ironicamente – Certo che è la tua! La Mambo, idiota! –
- Tu sei fuori con i
ragazzi della Mambo?! –
- C’è qualcosa di strano? –
- A parte il fatto che a
quest’ora mia madre avrà già chiamato la polizia, quando mai io esco con i miei
compagni di squadra?! –
- E che ne so? Questo è un
problema tuo. Il mio problema è cercare di farti passare per una persona
normale. –
- Una persona normale…ti
ringrazio davvero per la stima. – disse Julian, per niente contento di quell’aggettivo.
- Non ci trovo niente di strano.
Sai, stando a casa tua e parlando con Amy credo di aver capito una cosa di te,
Julian. –
- Sarebbe? –
- Che non sei il damerino
altezzoso e viziato che conoscevo. Se tu avessi avuto una vita diversa, in condizioni
diverse, e forse anche un carattere un pochino diverso, forse non avresti avuto
difficoltà a farti apprezzare un po’ di più. Io sto cominciando a farlo,
Julian, sinceramente, e credo che sia ora che comincino anche gli altri. –
Il ragazzo rimase un po’
interdetto da quella frase, che non gli dispiacque affatto.
- Non che tu non abbia nessuno
che ti stima davvero. – continuò Mark – Amy, per esempio, lo fa. L’ha sempre
fatto, credo. Forse la sua è qualcosa in più che semplice stima… –
Julian inspirò profondamente. –
E’ la seconda volta che ti ringrazio, Mark. Sto cominciando a preoccuparmi. –
Mark sorrise. – Trova il modo di
ricambiare, allora. Come sta andando con Maki? –
- Reggiti forte, Mark…non hai
idea di quello che ho combinato! – E gli raccontò della favolosa serata
trascorsa, di quanto la ragazza fosse felice e di quanto anche lui stesso lo
fosse, infinitamente.
- Stai scherzando? – disse Mark,
incredulo – Hai fatto credere a Maki che io so suonare il pianoforte?! Dico,
sei impazzito?! –
- Tu non preoccuparti, troveremo
il modo di sistemare anche questa faccenda. Quello che conta è che Maki ti ama
alla follia, e qualsiasi dubbio sui suoi sentimenti si è dissipato. E poi…beh,
ti ho trovato un lavoro! I tempi cupi stanno finendo, Mark! –
- Questo non me lo sarei proprio
aspettato da te, Julian. – disse Mark – Non credevo che avessi questo spirito
d’iniziativa! Complimenti! E…beh, stavolta tocca a me ringraziarti! –
- Come? –
- Ho detto che stavolta tocca a
me ringraziarti! –
- Non ho capito bene… -
- Julian, piantala di fare il
cretino! –
Julian rise. – Va bene,
d’accordo. Facciamo che ti sei sdebitato partecipando alla festa al mio posto.
–
Per un attimo, Mark tentennò.
Doveva raccontare a Julian quello che aveva combinato e fargli venire un’ulcera
fulminante (cosa poco opportuna, dato che il ragazzo era nel suo corpo) oppure
tacere e lasciare che, una volta che le cose fossero tornate alla normalità, lo
venisse a scoprire da sé?
- Mark, sei ancora lì? -
- Ehm…Julian, a dire la verità
c’è una cosetta che dovresti sapere… - disse Mark, preso dal rimorso.
- Lo sapevo – disse Julian
alzando gli occhi al cielo – Spara… -
- E’ solo una sciocchezza, niente
di particolare, domani se ne saranno già dimenticati tutti… -
- Tu parla, se è una sciocchezza
lo decido io. -
Mark inspirò profondamente. - Ho
mandato a cagare George Morgan e ho fatto una sceneggiata degna di Gèrard
Depardieu… –
- Cosa?!? –
Julian non disse una parola
mentre Mark gli raccontava com’erano andate le cose.
- Tu sei fuori di testa… - disse
infine Julian, ancora incredulo.
- Mi spiace, Julian, ho combinato
un casino…ma vedi, dopo tutte quelle cattiverie che aveva detto, io… -
- Vuoi scherzare? – lo interruppe
Julian scoppiando a ridere – Mark, ti farei un monumento!! Non hai idea delle
nottate che ho trascorso pensando a tutti i modi più atroci per liberarmi di
quello stronzo! Non sopporto l’idea che continui a ronzare intorno ad Amy… -
- …che oltretutto non lo
sopporta… -
- Davvero? – disse Julian
gongolando.
- Davvero. Fidati, me l’ha detto
lei stessa. –
- Questa sì che è una splendida
serata! Forza, passamela! Muoio dalla voglia di sentirla! –
Mark sospirò e sorrise. –
D’accordo, Elton John…è giusto che tu abbia la tua ricompensa! –
Rientrò di corsa in gelateria e
porse il cellulare ad Amy, che lo guardò con aria interrogativa.
- E’ Mark. Ti vuole salutare. –
-Vuole salutare me? –
Mark annuì, sorridendo,mentre la
ragazza rispondeva al telefono.
- Pronto…? –
- Ciao Amy, come va? –
- Bene, grazie! Mi fa piacere
sentirti! –
- Anche a me…molto. –
In un secondo, la mente di Julian
si affollò di tutte le parole che avrebbe voluto dire ad Amy e per le quali non
aveva mai trovato il coraggio; tutte le lettere che le aveva scritto e che
aveva archiviato direttamente nel cestino della carta straccia, incapace di
confessare i suoi sentimenti perfino a se stesso. Forse avrebbe dovuto
dipingerle un quadro, come nella canzone che aveva cantato a Maki. Ma non era
il momento adatto. Ora aveva il coraggio, ma non poteva farlo…com’era strano il
destino…
- Mi ha detto Julian che siete
stati ad una festa. Si è comportato bene o si è ubriacato come al solito? –
Amy rise. – Si è comportato
benissimo…anche troppo, forse! I suoi exploit sono stati la parte più
divertente della serata! –
- L’ho sempre detto che Julian è
un buffone! –
- Mark! Non ho detto che si è
comportato come un buffone, ma che è stato divertente! – disse Amy lanciando
una fugace occhiata a quello che lei credeva fosse Julian – Sono due concetti
molto diversi, sai? –
- Lo so. Scherzavo. – disse
Julian sorridendo.
- E tu come stai? –
- Mai stato meglio. Ho trovato un
nuovo lavoro, sai? – disse Julian, ma si pentì immediatamente di quelle parole.
- Davvero? Che cosa fai di bello?
–
Julian tacque un momento, preso
alla sprovvista. Di certo non poteva dire ad Amy che suonava e cantava in un
piano bar. Era una cosa troppo inverosimile, per chi conosceva Mark Landers.
Julian mise in moto il cervello.
Aiuto cuoco. Idraulico. Croupier.
Scaricatore di porto. Portiere di notte.
Ehi, un momento, non esageriamo…
- Faccio il cameriere in un
locale molto carino. Se tu e Julian passate da questa parti, fateci un salto,
vi piacerà moltissimo.-
- Contaci. – disse Amy
sorridendo.
- C’è…c’è anche un cantante, sai?
E’ molto bravo, fa dei pezzi di Van Morrison che neanche lui canta così. –
- Adoro Van Morrison. Piace molto
anche a Julian. –
- Ne ero certo. Ora devo
salutarti, Amy…divertitevi! –
- Grazie, Mark. Ora ti ripasso
Julian. -
- Allora, Mark! – disse il vero
Mark allontanandosi con il telefono in mano – Contento, adesso? -
Julian non rispose.
- Oh, Julian…sei ancora lì? –
- Sì…sì, Mark. Scusa, ero
soprappensiero. –
- Ti manca molto, vero? –
- Anche troppo… -
- Ti capisco. Anch’io sento
moltissimo la mancanza di Maki… -
- Beh, cerca di non consolarti
con Amy altrimenti ti spacco la faccia! –
Mark ridacchiò, anche se Julian
non stava affatto scherzando…
- Okay, cercherò di resistere
alla tentazione! Ora è meglio che torni dentro, altrimenti mi toccherà bere il
gelato invece che mangiarlo… -
- Mark –
- Che c’è? –
- Stai davvero cambiando… -
- E perché? –
- Ti ho chiamato da casa tua su
un cellulare, stiamo parlando da un buon quarto d’ora e tu non hai ancora
battuto ciglio… -
- Brutto stronzo che non sei
altro!! Te la faccio mangiare, la prossima bolletta!! -
- Ciao, Mark… -
Julian riattaccò ridendo, mentre
Mark rimase un attimo a guardare il telefono, sorpreso e divertito allo stesso
tempo.
Sorrise. Sì, forse era davvero
cambiato. Ma nemmeno Julian era lo stesso di una volta…
- Julian Ross? –
- Sì…? –
Mark si voltò distrattamente, ma
quando si trovò davanti due energumeni in divisa spalancò gli occhi e
impallidì.
- Agenti Perkins e Hawkins,
polizia. Farebbe meglio a seguirci. –
Quello era veramente il colmo.
Mark restò lì inebetito, a bocca aperta, incapace di dire una parola.
- Chiama la centrale e fai
avvisare la signora Ross. – disse poi l’agente Perkins all’agente Hawkins -
Finalmente l’abbiamo trovato. -
Patty sospirò e si passò
una mano sul viso, stravolta ed esasperata. – Me l’hai già chiesto cinque
minuti fa, Jenny…e poi ancora cinque minuti prima, quando abbiamo fatto il
check-in,eancora prima, quando siamo
scese dal taxi…se potessi far anticipare il volo l’avrei già fatto, credimi! Ma
siccome: primo, non ho poteri paranormali, secondo, non sono una terrorista e
terzo non ho conoscenze tanto in alto, stai buona e goditi gli stramaledetti
negozi di questo stramaledettissimo aeroporto invece di rompermi l’anima,
accidenti!! –
Insomma, dopo quello che
era successo nei giorni precedenti, Patty aveva tutto il diritto di essere un
pochino nervosa, ma quando vide l’espressione mortificata di Jenny si sentì
mostruosamente in colpa.
Jenny…
Patty stentava ancora a
credere che fosse vero. La persona che si trovava nel corpo di Holly, invece,
ne sembrava più che convinta. Ma che fosse davvero Jenny…
Morale, dopo la
telefonata di Benji si era precipitata a casa Hutton dove aveva rivelato tutto
a quello che lei credeva essere Holly ma che in realtà era Jenny, il cui corpo
era occupato da Benji, mentre il vero Holly chissà dov’era…beh, non ci aveva
ancora capito niente, ma Holly (o meglio Jenny) era stato felicissimo (ofelicissima? Come gli si doveva rivolgere,
ora?) nel sentire le notizie che la ragazza aveva portato. Un po’ meno felici
erano stati i genitori di Patty e Holly, dal momento che dover sganciare
cinquantamila yen per un biglietto aereo per Sapporo per qualche motivo
apparentemente urgente ma che puzzava tremendamente di frottola non li riempiva
certo di gioia.
Ad ogni modo, ora Patty e
Jenny erano all’aeroporto di Tokyo, in fervente attesa del primo aereo che le
avrebbe portate a Hokkaido, da Philip e Benji. Il problema, ora, era capire
come avrebbe reagito Jenny quando avesse visto il suo corpo occupato da un
altro ingombrante inquilino…
Insomma, in quell’immenso
casino Patty aveva tutto il diritto a sentirsi un pochino frastornata, no?
Chissà come doveva stare Jenny…
- Scusa – dissero le due
ragazze all’unisono.
- No, sono io che mi devo
scusare… - disse Patty – Cerca di capire…non ho mai vissuto una situazione del
genere, sono piuttosto nervosa. –
- Tu? – rispose Jenny – E
io che ci sono dentro, allora? Credimi, se tu non avessi fatto quella
telefonata, credo proprio che avrei commesso qualche sciocchezza… -
- Per fortuna non l’hai
fatto – disse Patty sorridendo – Mi sarebbe seccato parecchio perdere due
persone care in un colpo solo! –
Jenny le restituì il
sorriso e l’abbracciò. – Grazie per quello che stai facendo, Patty…ti voglio
davvero bene. -
La ragazza non rispose,
ma pensò che avrebbe pagato oro pur di trovarsi in quella situazione con il vero
Holly. E invece…
Le venne da piangere. Per
fortuna l’aeroporto era mezzo vuoto…
- Dimmi, Jenny… - disse,
tirando su col naso e stringendo a sé il corpo del suo grande amore – E’
possibile essere più sfigati di così? –
ATTENZIONE,
ATTENZIONE…SI AVVISANO I SIGNORI PASSEGGERI CHE IL VOLO 139 DELLA JAPAN AIR
LINES PER SAPPORO TARDERA’ DI 45 MINUTI. ATTENZIONE, ATTENZIONE… gracchiò una voce dall’altoparlante.
- Ecco, appunto! – disse
Patty alzandosi – E’ la volta che ammazzo qualcuno… -
Jenny sospirò. – Senti, a
questo punto possiamo anche aspettare a raggiungere il nostro gate. Seguiamo il
tuo consiglio e facciamo un giro per i negozi. Ho visto un completino rosa che
è la fine del mondo! L’unico inconveniente è che dovresti provarlo tu per me… -
- Questo è l’ultimo dei
nostri problemi – rispose Patty – Vieni, andiamo. E speriamo che nel frattempo
qualcuno guardi giù dal cielo e…EHI!! –
Prima che potesse
accorgersene, la ragazza venne urtata da un passante che finì lungo steso per
terra insieme a lei.
- Ma chi diavolo…?!? –
- Santo cielo, perché, perché
non guardi dove metti i tuoi stupidi piedi anche fuori dal campo di calcio?!
Aspetti, signorina, la aiuto a rialzarsi…e tu cosa aspetti a chiederle scusa,
imbecille?! -
- Ehm…scusi tanto,
signorina, si è fatta male? –
- Patty, tutto bene? –
disse Jenny.
- PATTY?!? -
- Ma…signor Marshall!! –
disse Patty, riprendendosi.
- BENJI?!? – disse Jenny.
- Ciao Patty… Ehi, un momento!
Ma quello sono io!! – disse Benji. O meglio, chi per lui…
Jenny impallidì. – Io…io
sto per svenire… - disse, poco prima di crollare per terra, ma nessuno la
considerò minimamente.
Patty, con gli occhi
spalancati, guardava Holly, mentre Holly guardava Jenny e il signor Marshall
guardava tutti e tre con l’aria di uno che sta per avere una crisi di nervi.
- Patty… - disse Holly –
Almeno tu sei tu o sei qualcun altro? –
- No, sono proprio io…ma
tu… non dirmi che… -
- Sì, a quanto pare sono
io. –
- Ma io chi?!? –
intervenne Freddie.
- …Holly?!? –
- Così sembra… – disse il
ragazzo, sospirando.
- Scusate… -
Patty era sull’orlo delle
lacrime. – Holly…mio Dio, non hai idea di quanto sia felice di vederti! Anche
se…beh, è strano vederti così… -
- Per favore, potreste
considerarmi un secondo?!? – esclamò Freddie, imbufalito.
I due si voltarono verso
di lui.
- Grazie mille!! Sentite,
la volete finire di prendermi palesemente per il culo? Se tu sei Holly, quello
che è appena svenuto chi cazzo è?!? –
- E’ Jenny, la ragazza di
Philip. – disse Patty.
Freddie sogghignò. –Sì,
certo, come no…e io sono Elvis…-
- Jenny?! – esclamò Holly
senza considerare minimamente l’uomo – Mioddio! Allora Benji dov’è finito?! –
- Prova ad indovinare… -
disse Patty.
- E’ inutile che si
sforzi, tanto non ce la potrà mai fare – disse Freddie, sarcastico, ma né Patty
né Oliver gli fecero caso.
- Santo cielo, che
pasticcio… - disse Holly, che a fare due più due, evidentemente, era ancora
capace.
- Senti – disse Patty –
Io e Jenny andiamo a Hokkaido, da Philip. Benji si trova lì, imprigionato nel
corpo di Jenny…so che è un casino pazzesco, io stessa stento a capire e a
credere, ma non ci resta nient’altro da fare … -
- Portatelo dietro –
disse Freddie, imbronciato, incrociando le braccia – Chissà che la neve non gli
rinfreschi un po’ le idee… -
Patty si illuminò.
-Bravo, Freddie! Questa sì che è un’ottima idea! –
- Quale idea? –
- Quella di portare Holly
con noi! Hai un po’ di soldi? Forse siamo ancora in tempo per comprare un
biglietto…-
- Un momento, un momento!
– disse Freddie – Io non mi faccio piantare in asso in questo modo, chiaro?! –
- Senta un po’, Freddie,
ha forse un’idea migliore? – disse Patty mettendosi le mani sui fianchi.
- Ma che cazzo di idee
dovrei avere?! – esclamò Freddie – Portati questo imbecille dove ti pare, fallo
sparire dalla mia vista, ma prima esigo delle spiegazioni!! –
- Mi dispiace ma non
abbiamo tempo. Forza, Holly, ti accompagno alla biglietteria, poi telefoniamo a
Philip e gli diciamo di aggiungere un posto a tavola! Arrivederci, Freddie! -
- Scusate – disse Holly
con voce tremante mentre Patty lo trascinava via – Il mio corpo è appena
svenuto. Qualcuno potrebbe aiutarmi a farlo rialzare prima che mi metta aurlare? –
- Oh, già! Dimenticavo la
povera Jenny… - Patty si chinò sulla ragazza e le diede qualche schiaffetto per
farla rinvenire. – Jenny, tesoro…sbrigati o perderemo l’aereo… -
- …Eh?…Ah…sì, eccomi… -
rispose Jenny, ancora parzialmente incosciente. Poi si rialzò e, barcollando,
seguì i due amici, scomparendo tra la gente che cominciava a riempire
l’aeroporto.
Freddie, palesemente
ignorato da tutti, cominciò a strizzare un occhio in maniera incontrollabile;
il piccolo tic fu, in breve, seguito dall’arricciamento di un angolo della
bocca e dall’emissione di uno strano rumore simile al verso di una foca.
In piena crisi di nervi e
ignorato da tutti, dicevamo.
Ma non proprio da tutti,
a dire la verità; per esempio, un tizio armato di macchina fotografica che
aveva seguito lui e il suo pupillo fin da Bangkok non l’aveva ignorato affatto.
Non li aveva persi di
vista nemmeno un momento, da quando erano scesi dall’aereo.
E ora il tizio, che per
la cronaca lavorava per un giornale scandalistico, stava armeggiando
febbrilmente con un telefono cellulare.
- Dave, sono io! Senti,
ho uno scoop pazzesco. Sì, lo so che è tardi, ma stammi bene a sentire; tre
colonne in prima pagina, caratteri cubitali: “Crisi d’identità per Price e
Hutton: il ritiro influenza i gusti sessuali degli astri nascenti del calcio?
La risposta si trova a Hokkaido”. Certo che sì, idiota, ho anche le foto…e che
foto! Ferma immediatamente le rotative e aspettami…ah, sì, aggiungi anche
“Freddie Marshall fuma pesante”! E’la
volta che triplichiamo la tiratura, cazzo! -
Philip spignattava
nervosamente mentre Benji, seduto al tavolo della cucina, leggeva il giornale
sbadigliando di tanto in tanto.
- Ha chiamato Patty.
Arriva questo pomeriggio. Con te. – disse Philip marcando parecchio
quest’ultima parola.
- Hm – rispose Benji.
- Uh, frena l’entusiasmo…-
- Non è che vedere me
stesso dall’esterno mi riempia di gioia – rispose Benji.
- Neanche me, se devo
essere sincero. Ne ho già abbastanza di uno solo di te, immagina quanto posso
essere felice di vederti sdoppiato; la tua testa da una parte, il tuo corpo
dall’altra…una persecuzione! –
- Vaffanculo. –
- Altrettanto. –
Philip ricominciò ad
armeggiare trai fornelli, più
arrabbiato di prima.
- Potresti anche sforzarti di
aiutarmi a preparare la colazione, invece di cazzeggiare come al solito… –
ringhiò.
Benji non fece nemmeno lo sforzo
di guardare l’amico in faccia. – No, bello, io ho richiamato Patty e (forse) ho
risolto il nostro problema, quindi oggi la colazione tocca a te. Un po’ per uno
in braccio alla mamma! –
Philip si girò brandendo
minacciosamente una spatola. – Un momento, cocco, tu non hai risolto un
accidente! Aspettiamo che Patty arrivi qui con la vera Jenny e il tizio
che c’è dentro di te, poi vediamo come sistemare questa maledetta faccenda. Nel
frattempo, guai a te se ci provi di nuovo con Julia! –
- Se alludi a ieri sera, avevo
solo voglia di fare due chiacchiere. C’è qualcosa di male se intrattengo la tua
cuginetta? -
- Non mentre si depila le gambe,
porco che non sei altro!! -
- Uffa, e va bene… – sbuffò Benji
- Più che altro, stavo pensando ad una cosa: se Jenny torna nel suo corpo, io
dove pensi che finirò? –
- Questo è un problema tuo. –
rispose Philip, acido – Io voglio solo riavere la mia ragazza tutta intera e
nel suo corpo. –
- Eh, già – disse Benji
sogghignando – Fino ad allora, però, frena gli ormoni oppure augurati che non
ci siano giornalisti in giro… -
Philip rabbrividì, pensando alla
sua ragazza intrappolata nel corpo di Oliver Hutton. Gli venne un conato di
vomito.
- Piantala di fare lo spiritoso!
– rispose, poi, secco – Nemmeno tu sei in una condizione idilliaca. Se vuoi che
il cerchio si chiuda, prova ad immaginare chi potrebbe essere finito nel
tuo corpo! –
Benji impallidì. – Ho un’ipotesi
– disse – Ma se è giusta, ti assicuro che mi sparo... -
- No, carissimo, prima facciamo
tornare Jenny normale, dopodiché puoi ammazzarti come ti pare. E ora muoviti e
sbatti due uova in quella padella! –
- Odio le uova al tegamino –
disse Benji – Non si potrebbe avere una crêpe suzette? -
- Ma vai a cagare – ribattè
Philip. In quel momento Julia fece il suo ingresso in cucina.
- Uh, il buon giorno si vede dal
mattino… - disse la ragazza, addentando una fetta di pane.
- Ciao, Julia! – disse in tono
squillante Benji, notando il cortissimo pigiamino rosa che scopriva
abbondantemente le gambe della ragazza.
- ‘ao… – disse Philip dopo aver
incenerito Benji con lo sguardo.
Julia rivolse al cugino uno
sguardo di disapprovazione e si sedette accanto a Benji, sorridendo e
aggiustandosi i capelli. – E’ strano che il clima di Hokkaido non vi abbia giovato!
Erano secoli che non dormivo così bene. Sarà l’aria di montagna… Beh, che c’è
di buono per colazione? – chiese.
- Tè e uova al tegamino bruciate
– rispose Benji in tono ironico.
- Gnè gnè gnè – disse Philip,
nero come il fondo della padella.
- Uhm…nient’altro? –
- No – rispose Philip – Ieri
il…la signorina qui presente si è fatta fuori mezza scatola di cereali, tre
salsicce e un barattolo di marmellata a cucchiaiate. Oltretutto non è rimasto
nemmeno un goccio di latte; il tè dovrai berlo liscio, mi spiace. –
Quindi sbatté nel piatto di Benji
un uovo dall’inquietante colorito nerastro. – E’ l’inconveniente di vivere con
una fogna – sibilò nell’orecchio del ragazzo, stando ben attento a non farsi
sentire da Julia.
- Però, che appetito! Mi domando
come tu faccia a mantenere quella linea invidiabile! Io ingrasso solo a sentire
certi profumini… – disse candidamente Julia – Beh, non importa. Penso che mi
preparerò qualche frittella con lo sciroppo d’acero che ti ha portato Jenny… è
una vera delizia! Posso, Jenny? –
- Certo che sì! – rispose Benji,
zelante. Cavolo, quella ragazza aveva cominciato a piacergli dal primo momento
in cui l’aveva vista. Gli piaceva il suo modo di aggiustarsi i riccioli dietro
l’orecchio, il suo modo di accavallare le gambe, di ridere gettando la testa
all’indietro…ma nelle sue condizioni poteva fare ben poco, oltre a lavorarsela
in attesa di tempi migliori…e quella era l’unica cosa da fare in quel momento…
- Senti, Julia, se vuoi ti
insegno a preparare i pancakes! Ricetta americana garantita al 100%! – disse. A
Philip andò di traverso l’unico boccone d’uovo che era riuscito ad inghiottire.
- Accidenti, sul serio? A-do-ro i
pancakes! Sarebbe fantastico, grazie! Philip, che ne dici? –
Philip non disse nulla; era chino
sul lavandino a tossire e sputare gli ultimi resti di uovo prima che gli
provocassero una polmonite ab ingestis.
- Dice che va bene – rispose
sarcasticamente Benji aprendo il frigorifero – Uh, guarda che fortuna! Sono
rimaste giusto due uova! –
- Perfetto – disse Philip, con la
voce strozzata e gli occhi lucidi per la tosse convulsa – Preparatevi pure le
vostre schifezze. Io vado a fare colazione al bar. – E uscì dalla cucina,
sbattendo la porta.
- Ma cos’ha? – chiese Julia,
sconvolta.
- Niente, non farci caso. E’ solo
un po’ nervoso. – rispose Benji, non pensando, però, che lui avrebbe avuto
molti più motivi per esserlo, soprattutto in quel momento. Cercando di
contenere la sua esuberanza, sbatté le due uova in una terrina.
- Dunque, guarda bene; ora sbatti
le uova, poi aggiungi un po’ di farina… -
- Quanta? –
Benji ci pensò su un momento,
mentre Julia apriva gli armadietti della cucina alla ricerca del prezioso
ingrediente. A dire la verità lui non sapeva affatto come si facevano i
pancakes; forse li aveva mangiati un paio di volte quando era a Miami, ma non
ricordava nemmeno che forma avessero. O forse li aveva solo annusati e li aveva
buttati nel cestino senza che i suoi genitori lo vedessero…cazzo, ne era
passato di tempo! O non erano pancakes? Forse erano plumcakes…mah…
- Ho trovato la farina! – disse
Julia – Allora, quanta ne serve? –
Benji si scosse dai suoi profondi
pensieri culinari. – Uh? Ah, già. La farina. Dunque… -
Prese due pugni di farina e li
sbatté nella terrina continuando a mescolare, fino a quando l’impasto si
incollò completamente al mestolo.
- Aggiungiamo un pizzico di
lievito… -
Lievito? Ma sì…
- Ehm…Jenny…se fossi in te
aggiungerei anche un po’ d’acqua... –
- Stavo per dirlo – disse Benji
arrossendo. Versò mezzo bicchiere d’acqua nell’impasto e continuò a mescolare.
- Così resterai a Hokkaido per un
bel po’… - disse Benji.
- Già! – cinguettò Julia – Un
mesetto di vacanza non me lo toglierà nessuno! Solo mi dispiace che Philip sia
impegnato nel ritiro…speravo di potermi godere un po’ il mio cuginetto! –
- Per conto mio puoi godertelo
quanto ti pare – rispose seccamente Benji. Poi si accorse dell’espressione
perplessa di Julia e si corresse piuttosto maldestramente. – Ehm…ovviamente
ricordati che io ho il diritto di precedenza! – disse, strizzando un occhio
alla ragazza.
- Ovviamente… – ripeté Julia. –
Sai, è un peccato che tu debba ripartire così presto. Avremmo potuto fare un
po’ di cose insieme, mentre Phil sarà a Tokyo. Qui da sola mi annoierò da
morire… -
- Dispiace molto anche a me… -
disse Benji. E non sapeva quanto era sincero, accidenti! Ogni minuto che
passava accanto a quella ragazza faceva accelerare il battito del suo cuore… Se
solo non si fosse trovato in quella fetentissima situazione…
Ma quella situazione si sarebbe
risolta molto presto, non aveva dubbi. Doveva solo aspettare Patty.
Già, e poi?
Beh, ci avrebbe pensato a tempo
debito! Ora doveva solo cogliere l’attimo…
- E’ veramente un peccato –
disse, cercando di liberare il mestolo dal collosissimo e gommosissimo impasto
– Philip avrebbe potuto presentarti i suoi compagni di squadra…alcuni di loro
sono delle persone veramente interessanti… -
- Lo so… - disse Julia
sospirando. Benji drizzò le antenne e, facendo finta di niente, versò il grumo
di pasta in una padella, ci sbatté sopra un coperchio e, con il massimo della
nonchalance si mise in ascolto.
Julia si guardò intorno, quasi
per essere sicura che non ci fossero orecchie indiscrete nei paraggi.
- Jenny – sussurrò – Devi
aiutarmi. Visto che conosci i compagni di squadra di Philip… -
- Sìììì… -
- Insomma, uno di loro mi…mi ha
fatto perdere la testa! –
Benji allargò le labbra in un
sorriso da pubblicità di dentifricio. – Sarebbe? –
- Oh, non ho mai visto nessuno
come lui! Ha un fisico da statua greca e quando sorride vedo le stelle! Tutte le
mie amiche stravedono per lui, ha un modo di fare così galante e raffinato… –
Era fatta! A meno che non
parlasse di quel morto in piedi di Julian Ross, quel superfigo non poteva
essere altri che lui…
- …e poi gioca in maniera divina!
Credo sia il migliore del mondo nel suo ruolo… -
- Beh, se gli hanno assegnato il
titolo di Super Great Goal Keeper un motivo ci sarà… - disse Benji, con
baldanzosa sicurezza.
- Cosa? –
Benji rimase un momento
spiazzato. – Cosa…cosa? –
- Il…il super coso…che diavolo
sarebbe? –
- Il Super Great Goal Keeper…è
così che chiamano Benji Price. E’ il miglior portiere del mondo, lo sanno
tutti… -
Julia scoppiò a ridere. – Price?!
– esclamò – Ma chi parlava di Benji Price? Quello è uno stupido pallone
gonfiato! Io mi riferivo a Holly Hutton… -
- COSA?!? –
Julia sospirò e si portò le mani
al petto. – Jenny, non hai idea di quello che farei per quel ragazzo…ti prego, devi
aiutarmi a conoscerlo! –
Benji era rimasto a bocca aperta,
sconvolto per quella rivelazione. Non poteva essere davvero così. Un incubo
nell’incubo! Quelli erano i confini della realtà…
Non solo quella splendida ragazza
gli aveva dato del pallone gonfiato, ma aveva addirittura confessato di essere
follemente innamorata di un pesce lesso…un pesce lesso che sarebbe piombato in
quella casa di lì a poche ore…
No, non poteva, non doveva
essere vero!
Oltre ad aver subito un durissimo
colpo al suo orgoglio di macho, ora Benji si trovava veramente nella merda fino
al collo. E puzzava tanto che il ragazzo non si accorse nemmeno dell’odore di
pancake bruciato che aleggiava per la cucina…
Tre brioches e mezzo
litro di cappuccino erano decisamente troppo per Philip, che, già con i nervi a
fior di pelle, non era riuscito a trovare pace nemmeno al bancone del bar.
Aveva voglia di
tornarsene a casa, ma il solo pensiero di ritrovarci Benji che, nei panni della
sua ragazza, flirtava con sua cugina gli provocava un attacco di colite.
Per fortuna, da lì a
breve, la vera Jenny sarebbe arrivata…
La vera Jenny?
Con il corpo di Holly
Hutton, i vestiti di Holly Hutton e (orrore!) quell’orribile vocetta stridula
di Holly Hutton?
Non solo, ma sarebbe
arrivato anche qualcun altro nel corpo di Benji, così, oltre a doversi sorbire
l’anima di quel rompicoglioni, avrebbe dovuto sopportare anche la vista del suo
splendido fisico ben tornito, gioia di tutte le sue fans.
Per un attimo si vide
circondato da decine e decine di Benji Price che gli rompevano l’anima con ogni
sorta di stronzate, Philip dov’è la marmellata, Philip piantala di cantare
sotto la doccia, Philip prestami il dopobarba, Philip la mia maglietta è
sudata, Philip datti all’ippica che sei una schiappa, Philip non rompermi le
palle e lasciami solo con tua cugina, Philip…
Eh, no, era davvero
troppo…
- Un altro cappuccino,
per favore -
Il barista guardò Philip,
piuttosto preoccupato, notandone il colorito verdognolo.
- Ne hai già bevuti
cinque, ragazzo, non ti sembra di esagerare? –
- No. –
- Uhm…problemi
sentimentali? –
- Si faccia gli affari
suoi e mi porti quel dannato cappuccino.–
- Uh, okay …-
- E un’altra brioche. –
Sbuffando, lanciò uno
sguardo ad una rivista che si giaceva abbandonata sul bancone.
- Speriamo che non sia un
giornale sportivo – borbottò – Non sopporterei l’idea di rivedere il sorrisetto
di quello stronzo di Price in copertina!-
Sfortunatamente, lo vide.
- NOOOO!!! – ruggì Philip
sbattendo il giornale per terra e saltandoci sopra più volte – E’ una maledetta
persecuzioneeee!!! –
Continuò a saltare e
imprecare fino a quando due grosse dita gli picchiettarono la spalla.
- E tu cosa cazzo vuoi?!
– sbraitò Philip girandosi di scatto. Ma quando vide a chi appartenevano quelle
dita, capì che forse sarebbe stato il caso di rivolgerglisi in modo un pochino
diverso.
Il tizio in questione
misurava un metro e novantacinque per uno e venti, aveva due badili al posto
delle mani e un’espressione da triglia, sebbene piuttosto inferocita (per
quanto possa essere inferocita una triglia).
- Scusi – disse Philip,
pallido come il cadavere che temeva di diventare, facendosi piccolo piccolo –
Non sapevo che questo giornale era suo… -
-Infatti non è mio –
disse il bulldozer – Ma quello che hai detto non mi è piaciuto, no no, non mi è
piaciuto affatto. –
- Ehm…le chiedo umilmente
scusa, non intendevo offenderla, è stato solo un momento di rabbia…vede, questo
stronzo… -
- Cos’hai detto?!? – tuonò
il tizio, ergendosi ancora di più nella sua possente statura e afferrando
Philip per il collo.
- Ghaf…non…non stavo
parlando con lei! Non mi permetterei mai…ghaf…di insultarla! –
- Ho capito che non stavi
insultando me!-ribadì il tizio – Ma
hai insultato lui!! E questo è ancora più grave!! –
- Lui…lui chi? –
Philip credette di
svenire quando il tizio prese dalla tasca un cappellino arancione con il
simbolo della New Team, cosa che gli provocò un altro attacco di colite
fulminante.
- A…aspetti! – biascicò –
Lei non sa chi sono io! –
- Certo che lo so! –
disse l’armadio, gonfiando ulteriormente il petto – Ma tu non sai chi sono io!
Io sono il presidente del Price Fans Club di Hokkaido! Forza, piccola carogna,
abbi il coraggio delle tue azioni e chiedi perdono al Super Great Goal Keeper!
–
- Mai! – gridò Philip in
un estremo impeto d’orgoglio – Piuttosto la morte! –
- Bof, se proprio
insisti… -
Philip riuscì soltanto a
dire “Ma io credevo che a Hokkaido tutti tifassero per la Flynet!” dopodiché il
tizio gli infilò la rivista in bocca e lo gonfiò come un cotechino.
-Philip! Santo cielo,
cosa ti è successo? – esclamò Julia vedendo il volto tumefatto del cugino,
appena rientrato a casa. Il ragazzo non rispose, ma andò direttamente da Benji.
-Cazzo! – esclamò il
ragazzo – Ti sei scontrato con un TIR? -
-Ho avuto da ridire con
un tuo ammiratore – bofonchiò Philip – Non credevo che aveffi perfino un fanf
club da quefte parti… -
-Jenny ha un fans club? –
disse Julia, incredula.
-Cuginetta – disse Philip
– Avrei bifogno di parlare un attimo con la mia dolce metà…ti fpiacerebbe
lafiarci foli? –
-Oh, no, affatto… - disse
Julia, confusa.
-E, per favore, portami
la borfa del ghiaccio… -
-Sì, certo, Philip. –
-E un paio di afpirine.
Anfi, facciamo tre e non penfiamoci più… -
-Okay… - Julia uscì di
corsa dalla stanza.
Benji, in fibrillazione,
si era precipitato a chiudere la porta per evitare che Julia lo sentisse.
-Phil, devi fare
qualcosa. La situazione è peggiore di quanto immaginassi! -
-Fenti, ftronfo – sbottò
Philip – Prima di tutto potrefti anche chiedermi come fto, vifto che tra poco
vomiterò anche la colafione di un mefe fa. –
-Okay, scusa. Stai bene,
Philip? Senti, la situazione è peggiore di quanto immaginassi… -
-Grafie per la
comprenfione – borbottò Philip – Comunque lo fo. Da’ un’occhiata qua, fenomeno!
-
Philip gli sbatté sotto
il naso la rivista (ormai a brandelli) che l’energumeno del bar gli aveva quasi
fatto ingoiare.
-Però! – esclamò Benji
guardando la sua fotografia – Non sono venuto per niente male! A parte
quell’affare bianchiccio sulla mia guancia…è un tuo dente? –
-Ecco dov’era finito! –
disse Philip affrettandosi a raccogliere quella piccola parte di sé – Fperiamo
che adeffo il conto del mio dentifta fia un po’ meno falato…-
-Beh, sì, bel servizio.
Ma ora apri bene le orecchie; tua cugina… -
-Ma fai leggere, tefta di
legno?!? – esclamò Philip, esasperato – Anfi, afpetta, cofa c’entra mia cugina?
–
-Oh, merda…merda!! –
esclamò Benji dopo aver letto il titolo che troneggiava in prima pagina :
ASTRI NASCENTI O STELLE CADENTI?
All’aeroporto di Shizuoka Bejnjamin Price e Oliver
Hutton si lasciano andare ad atteggiamenti equivoci – si pensa ad un triangolo
amoroso che coinvolgerebbe anche la fidanzata di quest’ultimo.
Il misterioso ritiro in Thailandia di Price porta ad
ulteriori sospetti sul possibile utilizzo di droghe pesanti da parte del
calciatore e del suo allenatore Freddie Marshall.
Callaghan la risposta di tutto?
Il simpaticissimo
articolo era pure corredato da un servizio fotografico completo sugli exploit
di Holly/Benji in Thailandia e sullo strano incontro/scontro tra i ragazzi
all’aeroporto di Shizuoka.
-VAFFANCULO!!! – sbottò
Benji alzandosi di scatto e gettando con rabbia il giornale per terra.
-Attento, io ho fatto lo
fteffo e guarda cofa ci ho guadagnato – disse Philip portandosi istintivamente
una mano al volto tumefatto. Benji lo ignorò come al solito.
-Chi è quello stronzo
merdoso che ha osato scrivere questa porcheria?!? –
-E’ quello che mi fono
domandato anch’io appena fono riufito a tirarmi fuori il giornale dalla gola –
rispose Philip – Ma non è tanto quefto che mi preoccupa. Benji, qui ne fta
andando della nostra reputafione…fe ci va bene pafferemo per una manica di
rincoglioniti, fe ci va male per una combriccola di drogati o peggio… -
-Ma guarda…guarda!!
Questo imbecille riverso per terra sarei io?! Con quell’espressione da ebete?!?
Dio non voglia che in realtà sia chi penso io…e Freddie?! Sembra un pazzo
appena scappato dal manicomio!! –
-Non dirmi niente –
aggiunse Philip sospirando – Fe penfo che quefto qua che fta per fvenire è
Jenny e non Holly mi vene da piangere… -
-Quando cazzo è uscito
questo giornale di merda?! –
-Quefto è il bello –
rispose Philip – La data è di oggi. Purtroppo quefta fchifeffa la ftampano qui
a Fapporo. Viva i fax, le e-mail, il WAP e tutte quelle altre puttanate
informatiche che fanno volare le notifie alla velocità della luce. -
-Mio Dio… - sospirò Benji
mettendosi pesantemente a sedere – Ci stanno rovinando la carriera e non
possiamo farci un accidente di niente… Oh, ma quando torno me stesso giuro che
li lascio tutti in mutande, questi imbrattacarte… -
-Fe mai ci tornerai, nel
tuo corpo. Penfaci più tardi, al rimborfo fpefe, ora dobbiamo cercare di
limitare i danni. –
-Quando arriva Patty? –
-Te l’ho già detto, oggi
pomeriggio. –
-Cazzo, cazzo, cazzo… -
-Eh, già – aggiunse
Philip – Ora fiamo davvero nella merda fino al collo. Ma dove diavolo è finita
mia cugina? Fe non prendo fubito un’analgefico mi efplode quel che refta della
mia tefta… -
-Ah, già, a proposito.
Aggiungiamo merda su merda. Julia è innamorata di Holly. –
-Ah – disse Philip come
se niente fosse – E allora? –
-Come, allora?!? –
esclamò Benji – Sveglia Phil, stiamo parlando di Oliver Hutton!! Quello che al
posto del cervello ha un neurone che soffre di solitudine!! –
-Fempre meglio di te, che
al pofto del cervello hai il …-
Il pietoso campanello
risparmiò Benji dalla terribile volgarità in rima che Philip, stufo marcio,
stava per vomitargli addosso.
-Chi cacchio farà,
adeffo? – disse Philip.
-Vai ad aprire e
scoprilo, deficiente! – sbottò Benji scattando in piedi -Magari è Patty! Forza, muoviti! –
-Ma mi aveva detto che
farebbe arrivata nel pom…-
-Forse hanno anticipato
il volo! – disse Benji spingendo il tentennante Philip verso la porta.
-Ma lafiami almeno
fiftemare un momento! –
-Ma cosa vuoi sistemare?
Ormai sei da chirurgia plastica! E muoviti… -
Il campanello squillò una
seconda volta.
-E va bene, va bene,
eccomi! Chi… -
Il ragazzo non riuscì a
terminare la frase perché, appena ebbe aperto la porta, venne accecato dal
lampo di un flash.
-Ma porcaputt…-
-Philip Callaghan? –
domandò il fotografo, un ometto basso e grasso con una vocetta querula.
-Un momento, un
momento…aaaah…PTUAH! Oh, non ne potevo più! Sì, sono io…–
-Ehm…tutto bene? – disse
l’uomo cercando, con un saltello, di evitare la scaracchiata che Philip aveva
sparato ai suoi piedi.
-Molto meglio, grazie.
Potrebbe aiutarmi a trovare il mio dente, per favore? – aggiunse il ragazzo
cacciandosi un dito in bocca e tastandosi la gengiva sanguinante - Un
p’emola’e, c’edo. –
-Ehm…credo sia rimasto
sulla punta della mia scarpa… -
-Me lo dia, svelto! Forse
si può riattaccare! –
-Ma per l’amor del cielo,
se lo prenda da solo!! –
-Oh, già, scusi – disse
Philip, imbarazzato, mettendosi il dente in tasca – Desidera…?-
-Dave Meyers,
fotoreporter dell’ “International” di Fukuoka – disse, tendendo una mano a
Philip, ma ritraendola all’istante, un po’ per non sporcarsi di sangue e
saliva,eun po’ perché aveva capito al
volo che Philip, il quale, nel sentire la parola “fotoreporter” era diventato
di ghiaccio, avrebbe preferito mangiarsi un topo morto piuttosto che
stringergliela.
-Ehm…posso entrare? –
-No. – rispose Philip,
secco.
-Posso almeno chiederle
di rispondere ad un paio di dom…-
-No. –
-Credo di capire che lei
non ama molto i giornalisti, ma… -
-No!! –
-…probabilmente avrà
potuto apprezzare il nostro ultimo servizio sulle promesse del calcio giovanile
giapponese che…-
-Assolutamente no!! –
-…ah, allora l’ha letto…
- disse il giornalista con voce sempre più tremante, nel vedere che Philip si
stava scrocchiando le nocche ed espirava più rumorosamente di un toro infuriato
- …ma deve sapere che a voi una pubblicità del genere può fruttare parecchi
quattrini, dato che la mia redazione è piuttosto generosa con chi… -
-E questo chi cazzo è,
Danny De Vito? – sbottò Benji comparendo sulla soglia alle spalle di Philip.
Nel vedere la ragazza,
Meyers esibì un sorriso a novanta denti. – Oh, la sua fidanzata! Carissima
signorina, almeno lei sia comprensiva… -
-Dagli un calcio nel culo
e levatelo dai piedi – disse Benji mostrandosi molto, ma molto poco comprensivo
– Odio gli accattoni. -
-Non è un accattone –
disse Philip lanciando al malcapitato Meyers un altro sguardo rovente – E’ molto
peggio: un giornalista. –
-Allora faccio io – disse
Benji prendendo la rincorsa. Philip lo fermò.
-Non farlo, cara…se
proprio vuoi pulirti le scarpe, almeno usa uno straccio pulito… -
-Sentite ragazzi,
sappiamo tutti come funzionano le cose – disse Meyers allargando le braccia –
Io scrivo un articolo, voi mi denunciate e vi beccate un cospicuo risarcimento.
Le casalinghe sono felici perché hanno qualcosa di cui sparlare per un po’, poi
si dimenticano di tutto, voi ne uscite di nuovo puliti come il culetto del mio
nipotino e nel frattempo la mia testata ha avuto tirature miliardarie. Sto solo
facendo il mio lavoro, capite? –
-Te la do sul naso, la
testata, se non sparisci immediatamente! – disse Philip sbattendo violentemente
la porta in faccia al giornalista.
-Ben fatto, socio – disse
Benji.
-“Il mio lavoro”…ma che
cazzo! – esclamò Philip pulendosi le mani sui pantaloni – Dare in pasto alla
folla delle immense stronzate, false per giunta! Proprio un bel lavoro! –
Il campanello squillò di
nuovo.
-Chi è? – disse Philip.
-Scusate – disse Meyers
con un filo di voce – Potreste chiamarmi un’ambulanza? Mi sono schiacciato il
piede nella porta… -
-Non ci penso nemmeno!
Poteva evitare di mettercelo in mezzo! –
-Troppo buono… -
Ridacchiando, il ragazzo
si allontanò dall’uscio. – Che soffra un po’ anche questo fetente! –
Per la quarta volta, il
campanello suonò, questa volta molto più a lungo.
-Sì?!? – sbottò Philip
riaprendo la porta, sempre più furibondo.
Inutile dire che si
trattava ancora del povero Meyers, che, saltellando su un piede solo, domandò a
Philip con quel che restava della sua voce:
-Almeno mi dice come ha
fatto a conciarsi in quel modo? –
-Te lo faccio vedere
subito – rispose Philip sganciando al malcapitato giornalista un diretto da
pesi medi sul naso.
Meyers cacciò un urlo e
si allontanò di corsa, per quanto glie lo poteva permettere la frattura al
metatarso che si era appena procurato.
-Avrete notizie dal mio
avvocato! – gridò mentre risaliva in macchina.
-E tu dal mio! – gli
rispose Philip spolverandosi le mani.
-Mi sa che stavolta hai
un po’ esagerato, Phil…non che non condivida, ma quello è capace di metterti
nei guai. – disse Benji.
-Guai? Quelli li chiami
guai? Questo – disse Philip facendo un evidente cenno con la mano verso
l’intera figura di Benji/Jenny – è un guaio! Credi che mi facciano paura le
minacce di un giornalistada quattro
soldi? Mi fa più paura l’idea di dover passare il resto della mia vita con te!
–
-Ehm…Philip… -
Julia fece capolino dalla
porta; in mano teneva un vassoio con due tazze da tè, una scatola di aspirine e
un pacchetto di cerotti.
-Cuginetta, sei un
tesoro!- esclamò Philip facendosi
incontro alla ragazza a braccia aperte – Sei davvero molto gentile a pensare
alla salute del tuo Philip…ma ora mi sento molto, molto meglio! –
-Già, davvero un tesoro
di ragazza! – aggiunse Benji calcandoci la mano – Proprio da sposare! A questo
proposito avrei un amico che… -
L’ennesimo squillo del
campanello interruppe lo sproloquio del ragazzo.
-Dov’è il pitale? – disse
Philip precipitandosi su per le scale.
-Un pitale? E che te ne
fai? Domandò Benji seguendolo.
-Lo vedrai tra poco… -
Benji e Julia si
guardarono dubbiosi mentre Philip si chiudeva in bagno, uscendone meno di un
minuto dopo con un vaso da notte (pieno) in mano.
-Voilà! Porcellana cinese
e urina giapponese! Non c’è niente di meglio per gli scocciatori!–
-Phil, non vorrai… -
disse Benji con voce tremante.
Ma non fece in tempo a
fermarlo. Philip corse alla finestra e rovesciò il puzzolente contenuto del
pitale sulla testa del malcapitato visitatore.
Che, però, non era Dave
Meyers.
-Tiè! La prossima volta
il regalino sarà solido, brutto…oddio… -
Philip sbiancò di colpo.
Sulla porta di casa
Callaghan si trovava Patty, la mano ancora sul campanello, bagnata e puzzolente
dalla testa ai piedi e completamente allibita. Dietro di lei, Holly e Jenny,
rispettivamente nei corpi di Benji e Holly, non sapevano se ridere, essere
imbarazzati o chiamare un domatore per il putiferio che Patty avrebbe fatto
scoppiare…
-Forse ti stai divertendo
con questo stupido giochetto, ma noi no, te l’assicuro. Questa volta non la
passi liscia, oh, no, no, non la passi affatto liscia. –
Mark non sapeva più da
che parte guardare. Durante il predicozzo del commissario, alla centrale di
polizia, i genitori di Julian non avevano detto una parola; Ashley si era
limitata a fissarlo in maniera glaciale, mentre il marito sbrigava le ultime
formalità con le guardie. Eh no, questa non glie l’avrebbero perdonata di
certo…nemmeno Julian glie l’avrebbe perdonata, forse. Una figuraccia del
genere, scortato dalla polizia insieme ad Amy (che non aveva voluto lasciarlo
solo nemmeno per un attimo e si era limitata a qualche frase di disappunto più
divertita che severa) sotto gli occhi dei compagni di squadra…
Pensando a questo gli
scappò quasi da ridere; la breve serata in gelateria era stata un toccasana per
la reputazione di Julian, ma adesso? Forse l’avrebbero rispettato ancora di
più, chissà…di certo nessuno avrebbe potuto immaginare che sarebbe finita in
quel modo!
Non più di dieci minuti
dopo il suo ingresso in centrale, Mark, i signori Ross e Amy erano nella
lussuosa BMW del padre di Julian, diretti verso casa. Accompagnarono prima Amy,
che salutò Mark con un breve cenno della mano; il ragazzo le rispose con un
sorriso appena abbozzato. Durante tutto il tragitto aveva ringraziato di essere
sul sedile posteriore, almeno aveva evitato di incrociare lo sguardo di Ashley,
cosa pericolosissima fino a quando non fosse riuscito a trovare le parole
giuste per intortarla, impresa che si profilava comunque ardua.
Arrivati a casa, sempre
senza dire una parola, Mark si diresse spontaneamente in soggiorno, e si
sedette sul divano mentre il padre di Julian si accendeva la pipa e sua madre
si riempiva un bicchiere di whisky. Mentre Gregory Ross sembrava tranquillo
come al solito, la moglie era pallida e le mani le tremavano, facendole
gocciolare il whisky sul tappeto. Poi si era buttata sul divano e, con la voce
sibilante, come se avesse voluto trattenersi dall’urlare, aveva attaccato la
ramanzina.
-Voglio sapere cosa ti
sta succedendo in questi giorni, Julian! – sbottò – Da quando sei tornato dal
ritiro non sei più lo stesso… -
-Non è niente, mamma, te lo
assicuro – disse Mark.
-Non è niente?! – fece
eco Ashley – Non è niente?! Scomparire nel nulla senza avvertire nessuno lo
chiami niente?! –
-Perché non mi hai
chiamato? Il cellulare era acceso...–bluffò Mark.
-L’avrei fatto, se tu non
avessi disabilitato alle chiamate il mio numero di cellulare e quello di
tuo padre!! – strillò.
Mica scemo l’amico, pensò Mark.
– E quando mi sono fatta
prestare il telefono da Jennifer Morgan cos’ho trovato? La linea occupata!! Non
te lo perdonerò mai, Julian…duecento persone prese in giro!!-
Nel sentire quelle
parole, Mark si infuriò, ma cercò di non darlo a vedere.
-Cosa dovevo fare,
starmene zitto e subire le provocazioni di George? – sbottò Mark – Occhio per
occhio fa bene ogni tanto, sai? –
Il ragazzo girò il volto,
livido di rabbia e vergogna, verso Gregory, sperando di trovare un appoggio
morale, anche solo un segno di comprensione. E invece il padre di Julian era
ancora lì, in piedi, con la pipa in mano, lo sguardo fisso fuori dalla
finestra. Mark tornò a guardare il tappeto.
-Non cambiare discorso! –
disse Ashley - Eri pure ubriaco. Ti ho sorpreso io stessa con la sangria in
mano. Per l’amor del cielo, quando ti sei messo a bere?! In ritiro?! –
-Non ero ubriaco! –
sbottò Mark –Non l’ho nemmeno assaggiata, la sangria, come avrei potuto farlo?
Mi hai cazziato appena ho riempito il bicchiere…-
-Julian, questo
turpiloquio!! -
Il ragazzo scosse la
testa, le parole che gli morivano in gola. Si rese subito conto che tentare di
spiegare qualcosa a quella donna sarebbe stato meno efficace che sbattere la
testa contro il muro. Del resto, cosa avrebbe potuto dirle?
-Non ti riconosco più,
Julian…se almeno non ti ostinassi a non raccontarmi nulla di quello che fai… -
La voce di Ashley si era improvvisamente addolcita, e aveva assunto un tono
molto preoccupato. – Hai qualche problema? Qualcosa che ti infastidisce? Sei
distratto, nervoso…dimentichi perfino di prendere le medicine… -
Cacchio, pensò Mark alzando di scatto la testa, questo
potrebbe essere un problema.
-E questo come lo sai? –
disse, facendo lo gnorri.
-Beh, ho controllato i
blister nel tuo cassetto. In questi giorni non li hai nemmeno toccati… -
-Tu hai frugato
nei cassetti di…nei miei cassetti?! – esplose Mark, alzandosi in piedi – Ma
come ti sei permessa?! – Quello era davvero il colmo, non poter avere un po’ di
privacy nemmeno a casa propria. Al posto di Julian, Mark avrebbe fatto fagotto
da un bel pezzo.
-Non rispondere così a
tua madre, Julian. E siediti.– Mark e Ashley si voltarono verso Gregory, che,
calmo e impassibile, si era avvicinato al ragazzo e gli aveva posato una mano
sulla spalla.
-L’ha fatto solo per te.
In questi giorni ci hai fatto davvero preoccupare, cerca di capirci. Sei
cambiato all’improvviso, pensavamo che essere stato lontano da casa ti avesse
fatto bene ma forse ci siamo sbagliati. Ci siamo sbagliati di nuovo. –
-Abbiamo provato in tutti
i modi a capire, ma ci hai chiuso in faccia tutte le porte da anni, Julian… -
disse amaramente Ashley – Così io e tuo padre abbiamo preso una decisione. Speravamo
di non farlo, ma temo sia davvero necessario per il tuo bene…e per il nostro. –
Ahia, si disse Mark, rogne in vista.
-Cioè…? –
I genitori di Julian si
scambiarono un rapido sguardo; poi Gregory sospirò.
-Ti abbiamo fissato un
appuntamento con il dottor Appleyard, domani pomeriggio. E’ uno dei migliori
psicologi in circolazione, siamo certi che ti sarà di grande aiuto. –
Mark impallidì. –
Psicologo?! – esclamò – Voi siete pazzi! Cosa credete che possa risolvere, uno
strizzacervelli?! Non ci penso nemmeno! –
-Julian, non bisogna
vergognarsi di riconoscere i propri problemi! – esclamò Gregory.
-Problemi? Voi
avete dei problemi! Non fate altro che pensare ai miei problemi e l’unico
risultato che ottenete è crearmene di nuovi! Lasciatemi in pace, per la miseria,
lasciatemi…-
Vivere a modo mio, per
una volta, avrebbe voluto dire
Mark. Ma non fece in tempo.
-Ora basta, Julian! –
Ashley si era alzata di
scatto, livida in viso.
-Ne ho abbastanza della
tua schizofrenia! Ripeto, credi che ci divertiamo, io e tuo padre, a lasciarci
trattare così da te? Dopo tutto quello che abbiamo fatto per te?! Dopo
tutto quello che abbiamo sopportato per te?! Tu domani vedrai il dottor
Appleyard, punto e basta!! -
A che sarebbe servito
discutere, a quel punto?
Mark si sedette, deluso.
-D’accordo – disse con un
filo di voce – Vedrò questo dottor Vineyard… -
-Appleyard – puntualizzò
Ashley.
-…domani. Va bene, ok.
Posso andare in camera mia, ora? Sono… -
Scrutò Ashley con aria
assassina e si portò una mano al petto, immaginando bene le conseguenze di quel
gesto.
-…sono molto stanco, ora.
–
Nel frattempo, a Fukuoka,
Julian aveva terminato le consegne dei giornali prima del solito. Stava facendo
enormi progressi; ancora pochi giorni e avrebbe potuto abbandonare
definitivamente lo stradario senza perdersi nei meandri del suo stesso
quartiere.
Fischiettando, varcò il
cancello di casa, pensando a quali brani aggiungere al suo repertorio per la
sua seconda serata da piano bar.
-When you’re down…and troubled…and you need some loving care dum-dum-dum-DUM!
Mamma, sono a casa! –
Piroettando, attraversò
il corridoio. – Mamma? Che dici, è meglio Carole King o Carly Simon?-
Nessuno rispose.
-Mamma…? –
-…sì, signor Simmons. Ma
ne è proprio sicuro? Diceva che avrebbe ottenuto una proroga… -
Nell’udire la voce
tremante della donna, Julian si irrigidì. Senza farsi notare, origliò la
conversazione dalla porta del soggiorno.
- Signor Simmons, lei sa
che non possiamo pagare. Sì, ho tutte le carte davanti a me. Sono quasi dieci
milioni di yen…-
Cazzo! esclamò Julian tra sé e sé, di qualunque cosa si
trattasse.
-Davvero? Non so come
ringraziarla…è davvero un angelo. La prego, mi tenga informata. Grazie, grazie
mille ancora… -
La donna
riagganciò,sospirando profondamente e portandosi le mani al viso.
-Santo cielo, come faremo
a trovare tutto quel denaro? –
-Mamma…va tutto bene? –
disse Julian, turbato.
La signora Landers si
voltò di scatto. –Oh, Mark. Non…non ti
avevo sentito entrare. –
- Chi era al telefono? –
-Oh, niente di
importante. – disse la donna. Affrettandosi a gettare in un cassetto tutte le
scartoffie che coprivano il tavolo, si lasciò cadere un foglio che Julian
raccolse prontamente.
Leggendo ciò che c’era
scritto, il ragazzo spalancò gli occhi.
-Dammi qua – disse la
madre di Mark, strappandogli il foglio di mano.
-Mamma, che significa? –
-Niente, Mark, non
preoccuparti. La cena è nel frigo, io devo andare a prendere i bambini… -
-Niente?! – esclamò
Julian – Nove milioni e trecentomila yen di arretrati sull’ipoteca da pagare
entro la fine di ottobre non significano niente?! –
-Il signor Simmons è
certo che ci concederanno una proroga. Riusciremo a pagare. –
-Ah, sì? E il signor
Simmons cosa ne sa dei nostri soldi? – disse Julian, pentendosi istantaneamente
delle sue parole. In effetti, non aveva la più pallida idea di chi fosse il
signor Simmons; fortunatamente, ci pensò la madre di Mark a rispondere a questa
domanda.
-Il signor Simmons è una
persona per bene, lo sai. E’ stato l’unico dei soci di tuo padre a rimanerci
vicini dopo la sua morte senza chiederci un soldo. Se non si fosse occupato lui
della contabilità, della gestione del negozio e di tutto il resto, saremmo
finiti sicuramente in mezzo ad una strada.-
Perché, dove credi che
finirete, ora? Avrebbe voluto dire
Julian, ma non lo disse.
-Si è occupato anche
dell’ipoteca sulla casa? –
-Cosa vuoi dire? –
-Niente, era solo una
domanda. – mentì Julian.
La madre di Mark non
rispose. Abbassando lo sguardo, prese la borsetta e si avviò verso la porta.
-Lui ci aiuterà, Mark –
disse – Riusciremo a pagare, vedrai. –
Julian restò a guardarla
mentre usciva di casa, senza riuscire a capire come sia lei che suo figlio
potessero essere stati tanto ingenui.
Lui non conosceva affatto
le reali condizioni dei Landers, né quel fantomatico Simmons, ma sapeva
perfettamente che nessuno fa niente per niente, quando c’è di mezzo il denaro,
compreso quel buon signore che, a quanto pareva, si stava prodigando per
aiutarli. E dieci milioni di yen erano un fottuto mucchio di soldi, per una
famiglia come quella di Mark.
Aspettò che la signora
Landers fosse scomparsa lungo la strada per correre a prendere le carte dal
cassetto, e le lesse tutte.
Dopo aver archiviato
l’ultimo foglio, un sorriso arrabbiato comparve sul volto del ragazzo.
- Ne ero sicuro. – disse.
Poi prese il telefono, ma non fece in tempo a comporre il numero che sentì
squillare l’apparecchio che teneva tra le mani.
-Pronto? –rispose Julian.
-Pronto, sono Ma…ma
vaffanculo, non mi ci abituerò mai! – esclamò Mark, imbufalito.
-Beh, per fortuna non ha
risposto mamma. Non ci crederai ma stavo per chiamarti io. Stammi a sentire… -
-No, stammi a sentire tu.
Sarò breve: i tuoi adorati genitori mi hanno fissato un appuntamento
dallo psicologo…- Meglio non specificare perché, si disse Mark
vergognandosi un po’.
-Di nuovo?! –
-…domani. Ehi, che vuol
dire, “di nuovo”?! Non mi avevi mai detto di essere un frequentatore abituale
di strizzacervelli! –
-Già, è una cosa di cui
vado orgoglioso – disse Julian con voce piatta. – E’ la terza volta che ci
provano. Mamma ha detto “Io e tuo padre abbiamo preso una decisione”? –
-Più o meno le stesse
parole. Ma sospetto che la decisione l’abbia presa da sola… -
-Risposta quasi esatta.
Non so che soddisfazione possa dargli pagare fior si soldini un tizio che mi fa
domande a cui non rispondo, ma sono affari loro. –
-Cioè? –
-Cioè, il dottor Harris,
Forster, o…come si chiama questo? –
-Vineyard. No, scusa,
Appleyard. –
-…o Appleyard di turno mi
fa sdraiare su un lettino, mi fa qualche domanda, io taccio e lui si fa le
parole crociate. Un lavoro di tutto riposo, e ben remunerato. Ragazzi, con
pazienti del genere lo farei anch’io… -
-Mi dispiace, cazzo.
Dev’essere umiliante. –
-Oh, lo vedrai – disse
Julian sogghignando – Può essere anche molto divertente, però… -
-Non darmi idee malsane!
Non vorrei passare il resto della mia vita in qualche lussuosissima clinica
psichiatrica… -
-Oh, non succederà, stai
tranquillo! Quei tizi non ti ascolterebbero nemmeno se tu giurassi di aver
trovato il Santo Graal e di averlo nascosto in cantina. Sii te stesso, fa’ il
buffone e vedrai che andrà tutto bene. –
-Mi consola poco. Spero
di non combinare qualche casino…Dio, ti conosco da un pezzo ma so talmente poco
di te… -
-Meno ne sai, meglio è,
credimi. – disse amaramente Julian – Questo, ad esempio, avrei preferito che
non lo sapessi. Giurami che non lo racconterai a nessuno, quando le cose si
saranno sistemate… -
-Sempre che si sistemino.
Piuttosto, che mi dovevi dire? –
-Oh, già. C’è un
problema. E anche parecchio grosso, direi. –
Mark impallidì. – E’
successo qualcosa a mamma o ai ragazzi? O a Maki?… -
-No, stanno tutti bene,
non preoccuparti. Però…Mark, sapevi di avere un’ipoteca di quasi dieci milioni
di yen sulla tua casa? –
Il ragazzo tacque per un
attimo, e il suo respiro si fece pesante, angosciato.
-Mark? –
-Sì. –
-Lo sapevi o no? –
-Ti ho detto di sì, sei
sordo o rimbambito?! – ribattè Mark, piuttosto seccato. – Comunque sono affari
nostri, è inutile che te la prenda. Riusciremo a pagare. –
-Dieci milioni di yen
entro la fine di ottobre? Pensate di svaligiare una banca? –
-Smettila di fare lo
stronzo, Julian – sbottò Mark, ora decisamente offeso – Tu non hai idea di cosa
significhi farsi il culo per tirare fino alla fine del mese, milord! Comunque
ti ho detto che ce la faremo, discorso chiuso e fatti i cazzacci tuoi. Se è
tutto qui quello che mi dovevi dire, ti saluto.–
-Eh, no, caro mio, finchè
io sto nella tua pellaccia mi faccio i cazzacci di chi mi pare e piace, chiaro?
Tu non sei qui per togliere le castagne dal fuoco a tua madre, e io non ho
intenzione di far finire sul lastrico la mia…la tua famiglia, per cui finiscila
di fare il finto duro e rispondi alle mie domande. Chi è il signor Simmons? -
-Sta’ a sentire… -
borbottò Mark, sempre più spiazzato dall’intervento deciso di Julian. Se non
fosse stato super preoccupato per la questione, gli avrebbe fatto i complimenti
per il cambiamento di carattere. O forse era sempre stato così e non l’aveva
mai dato a vedere…
-No, sta’ a sentire tu.
Tua madre continua a parlare di questo tizio, Simmons di qua, Simmons di là, ci
sta aiutando, ci concederanno una proroga e bla bla bla. Voglio sapere che
ruolo ha esattamente nella vostra vita e nei vostri affari. Ed è inutile
che tu mi sbatta il telefono in faccia, tanto prima o poi finirò per scoprirlo
da solo, quindi per favore cerca di semplificarmi le cose e collabora. –
Mark inspirò
profondamente e chiuse gli occhi. – E’ un amico di famiglia. –
-Un amico. –
-Sì, uno dei soci di mio
padre. –
-Vi teneva i conti? –
-Sì, aveva tutto in mano
lui. E ha tutto in mano anche adesso che gli abbiamo venduto le nostre quote
del negozio. Ha gestito i nostri conti, ci ha aiutato con la casa… Insomma,
Julian, né io né mamma ci capiamo un accidente di economia. Lui ci da’ una mano
a far quadrare i conti, ci fidiamo di lui. E’ l’unico che ci sia rimasto vicino
dopo che… -
-Lo so, lo so – tagliò
corto Julian – ma c’è una cosa che tu non sai: il caro signor Simmons ha
gonfiato e non di poco i conti del negozio, quando tuo padre, per ovvi motivi, non
poteva più tenerli…e si è offerto di estinguere l’ipoteca nel caso voi non ce
la faceste entro i termini stabiliti… Facendo due più due, cosa ti risulta da
tutto questo? –
Mark si lasciò cadere
seduto sul letto. Il suo cuore, il cuore di Julian, gli batteva all’impazzata,
quasi da far male…
-Mark, sei ancora lì? –
-Non è vero. –
-No, Mark, mi dispiace ma
lo è. Quello stronzo vi soffierà la casa passando per un benefattore…–
-Balle!! E come diavolo
avresti fatto a scoprire tutta questa merda?! – gridò Mark, costringendo Julian
a spostare l’orecchio dalla cornetta.
-Ho letto le carte di tua
madre, Mark. E’ tutto lì, nero su bianco, basta dargli un’occhiata. –
Mark strinse i denti.
Avrebbe voluto piangere dalla rabbia, ma non aveva mai pianto in vita sua e non
l’avrebbe di certo fatto ora, anche se non sapeva più cosa pensare, non ci
riusciva nemmeno, a pensare…
-Julian Ross, giuro che
se scopro che è tutta una bufala ti ammazzo con le mie mani, che tu sia nel mio
corpo o no, il modo di ammazzarti lo trovo… -
-Che palle, va bene, ho
capito, prepara i ferri roventi!! Per l’amor del cielo, Mark, mi prendi davvero
per un idiota?! Non ti direi niente di cui non sono sicuro al cento per cento!!
Ma purtroppo me ne intendo abbastanza di queste cose per capire che quel tizio
vi sta fregando da un pezzo… -
…approfittando della
vostra ingenuità, pensò Julian, ma non lo disse.
-…e le prove sono sotto
il vostro naso! -
Mark tacque di nuovo. Le
sue mani stringevano con rabbia la cornetta, al punto da fargli sbiancare le
nocche.
-Quindi cosa dovremmo
fare, secondo te? –
-Liquidare Simmons,
trovarvi un buon avvocato e venire qui il prima possibile. Voglio mostrarti i
documenti e… -
-Non possiamo permetterci
un avvocato, Julian. – disse Mark con un tono così rassegnato che fece quasi
stringere il cuore all’amico.
Julian restò un attimo
senza parlare, con la bocca aperta e le parole in gola. Avrebbe potuto
pensarci; non era un dettaglio da poco. Inspirando profondamente, si disse che
una soluzione c’era, anche se forse Mark non l’avrebbe mai accettata.
-Neanche gratis? –
-Cosa? –
-Se questo avvocato
lavorasse gratis per voi? In fin dei conti, se vincete la causa, sarà Simmons
ad accollarsi tutte le spese legali… -
-Julian, nessun avvocato
lavora gratis. –
-Non hai capito… -
-Ho capito sì! Riformulo
la frase: nessun avvocato accetterebbe il rischio di lavorare gratis… -
-Beh, io ne conosco uno
che lo farebbe. –
-Sì, in quale dimensione
parallela? –
Julian sospirò. – E’ mio
padre, cretino! –
Mark si irrigidì.
-Che cazzo vuoi dire? –
-Che, se io glie
lo chiedessi, certamente non si rifiuterebbe di aiutare un mio caro
amico in difficoltà… -
-Aspetta, aspetta. Vuoi
dire che io dovrei chiedere a tuo padre di lavorare gratis per
me?! –
-Esatto. -
-No. –
-No cosa?! –
-Piuttosto mi vendo un
rene, ma non voglio coinvolgere tuo padre in questa storia, Julian, scordatelo!
–
-Ma di’, sei tutto
stupido o…?! –
-Si chiama orgoglio,
Julian. Ed è una cosa che non puoi capire. Non puoi capirlo perché non hai
qualcuno che ti aspetta a casa, che conta su di te per superare le difficoltà,
e sa che se ce la farà sarà solo grazie agli sforzi che tu hai fatto, senza
chiedere aiuto a nessuno. Tutta la mia vita è stata così, e lo so che non sono
un santo, ho sbagliato, sofferto e pagato, ma la sensazione di fare qualcosa di
bello, di grande, di utile con le mie sole capacità…quella non me la toglierà
nessuno, Julian. Mi dispiace. Troverò un’altra strada, più difficile, più
lunga, ma la troverò per conto mio. Ce l’ho sempre fatta con le mie forze, ce la
farò anche adesso, vedrai. –
Julian sospirò.
-Comunque ti ringrazio.
Non credo che un altro, al tuo posto, farebbe quello che sai facendo tu. –
-Invece un altro, al tuo
posto, accetterebbe una mano, Mark. –
-Io no. Mi dispiace, sono
fatto così. Le mie spalle sono abbastanza grandi per reggere tutto quello che
hanno retto finora. Continueranno a reggere. –
-Sono parole molto belle,
davvero… –
-Grazie. –
-…Ma non vogliono dire un
cazzo di niente. Non in questo momento, non in questa situazione. Mettiamola
così: la tua famiglia è in un mare di merda, e tu sei l’unico a potercela
tirare fuori. Se io fossi in te metterei da parte il mio orgoglio del cazzo e
prenderei al volo il salvagente, Mark. –
Aveva vinto. Julian aveva
vinto. Era riuscito a lasciare Mark senza la possibilità di ribattere.
Qualsiasi parola gli venisse in mente, gli faceva solo scappare da ridere.
Oltretutto Mark non si sarebbe mai aspettato di sentire il ragazzo parlare in
quel modo. Evidentemente qualcosa gli sfuggiva.
-Quando devo venire? –
-Anche subito, ho già
preparato tutte le carte. –
-Ok. –
-Muoviti. –
-Va bene, va bene. Ah,
Julian… -
-Eh? –
-I ringraziamenti dopo,
ok? Non credo che riuscirei ad articolare una frase sensata, in questo momento…
-
Julian ridacchiò. – Un
semplice “grazie” può bastare, sai? Ti aspetto. –
Perfetto. La faccenda
stava filando per il verso giusto. L’unico problema sarebbe stato dire tutto
alla madre di Mark…ma ogni cosa a suo tempo…
Seduto sul
letto di Julian, una marea di pensieri gli fluivano nel cervello, pensieri
senza forma, senza connessione. In uno di questi, sua madre doveva dieci
milioni di yen al padre di Julian, e la cosa gli fece drizzare i peli sulla
schiena; ma il capitano della Toho cancellò immediatamente quella follia e,
mentre si alzava e si dirigeva verso la porta della camera come uno zombi, pian
piano tutto gli fu chiaro.
Gli fu chiaro
come, durante tutti quegli anni Simmons aveva fregato lui e la sua famiglia,
approfittando del loro disperato bisogno di una spalla che li sostenesse,
soprattutto psicologicamente.
Gli fu chiaro
quel che rischiavano, e gli fu chiaro anche cosa gli sarebbe successo se non si
fossero fidati di Julian.
O meglio, se lui
non si fosse fidato di Julian.
E se si fosse
sbagliato?
No, Julian
aveva ragione e Mark se lo sentiva nelle ossa. Simmons non gli era mai
piaciuto, con quel sorriso che tirava fuori dalla tasca e si appiccicava al
volto al momento opportuno, con quegli occhietti porcini che luccicavano ogni
volta che mostrava a sua madre la lista dei debiti della sua famiglia, e
decantava come si stesse prodigando per aiutarli.
Comunque
andassero le cose, non c’erano motivi per non fidarsi. Lui avrebbe solo dovuto
prendere quelle carte e mostrarle al padre di Julian, il quale avrebbe
immediatamente capito se si trattava veramente di una truffa, senza tirare in
ballo nessuno.
Se lo era,
sarebbero andati fino in fondo alla causa, e di sicuro avrebbero ottenuto dei
buoni risultati dato che Gregory Ross era uno degli avvocati più quotati della
nazione.
Se non lo era,
sarebbero stati acidissimi cavoli, a meno che la pazzesca situazione di Mark e
Julian non si fosse sbloccata: o forse era meglio che non si sbloccasse
affatto? In fin dei conti, Julian si stava facendo in quattro per aiutare i
Landers; se lo scambio non fosse mai avvenuto, forse avrebbero dovuto fare
fagotto ben presto senza nemmeno sapere perché.
Sempre immerso
in questi pensieri confusi, Mark non si accorse nemmeno di aver sceso la grande
scalinata da cui era ruzzolato pochi giorni prima, e si ritrovò in un corridoio
fiancheggiato da innumerevoli porte.
A questo
punto, il problema numero uno era trovare il padre di Julian in quel labirinto
di stanze. Il problema numero due era trovare le parole per chiedergli aiuto
(cosa che, nonostante il breve ma incisivo discorso di Julian, sarebbe stata
comunque un duro colpo per l’orgoglio del burbero Mark), ma questo al momento
era irrilevante; ciò che contava era riuscire a farlo prima della pensione…
Tenendo la
destra (visto che così si faceva nei labirinti veri, se si voleva uscirne senza
fare la fine di Jack Nicholson in “Shining”) sbirciò oltre tutte le porte che
incontrava, ma con sua somma delusione, da alcune di esse si dipartivano nuovi
corridoi laterali,loro volta
costeggiati da altre, infinite, dannatissime porte.
Quasi quasi
chiedo aiuto, si disse
Mark, spazientito.
Poi,
all’improvviso, da dietro le sue spalle spuntò Deborah, la cameriera, che,
brandendo un piumino, si era messa a spolverare con noncuranza alcuni vasi
cinesi (o supposti tali) disseminati qua e là per il corridoio.
-Deborah, per
favore, sto cercando mio padre. Per caso sai dov’è? – chiese Mark.
-Nel suo
studio, signorino. – rispose distrattamente la ragazza.
Detto niente.
E dove diavolo era il suo studio, brutta miseria?!
-Grr…azie… -
rispose Mark a denti stretti avventurandosi lungo il suo periglioso sentiero.
Tanto per
sfidare la sorte, aprì una porta a caso e si ritrovò in un pianerottolo
piuttosto spoglio su cui davano altre tre porte.
Ci si
potrebbe giocare a Dungeons & Dragons, in questa casa, pensò Mark alzando gli occhi al cielo.
Poi decise che la porta di fronte a lui gli piaceva e la aprì sbuffando.
Si ritrovò in
cucina. Una grande cucina, talmente pulita che, se non fosse stato per il
profumino d’arrosto proveniente dal forno, sembrava non essere mai nemmeno
stata usata per preparare da mangiare. Mark guardò l’orologio.
-Uhm…giusto in
tempo per uno spuntino prima di cena! – si disse, leccandosi i baffi. Aprì a
caso le ante della lunga credenza, sperando di trovare qualche stuzzichino con
cui placare il suo appetito, ma trovò solo porcherie dietetiche, ipocaloriche,
ipoproteiche e assolutamente insipide.
-Tutta la
robaccia che mi hanno rifilato in questi giorni…strano che Julian non si
abbuffi come un porco quando siamo in ritiro; fossi in lui tornerei ogni volta
ingrassato di tre chili! – disse Mark, buttando qua e là varie scatole di snack
integrali – Speriamo che almeno ci sia del pane in questa casa, altrimenti con
cosa faccio le briciole per ritrovare la strada? –
Sbuffando,
spostò una sedia dal tavolo a penisola e ci si buttò di peso.
Però dovette
rialzarsi subito, perché, emettendo uno strillo che avrebbe fatto accapponare
la pelle al diavolo in persona, un enorme gatto persiano rosso schizzò via da
sotto il suo sedere.
-Cazzo! –
esclamò Mark, spaventato – Scusami tanto, micio! Hai rischiato davvero grosso,
sai? Peserò otto volte te… –
Il gatto si
sedette ad un metro di distanza da lui, guardandolo storto.
Mark sorrise:
i gatti gli piacevano, anche se quello, più che un gatto, sembrava un maialino
domestico; almeno otto chili di pelo e ciccia attaccati ad una coda che
sbatteva furiosamente contro il pavimento di cotto.
-Beh, se non
altro dovresti essere meno problematico delle due belve assatanate che hanno
cercato di sbranarmi nel parco… - disse Mark accucciandosi e tendendo una mano
verso il gatto.
-Vieni,
miciomiciomicio… -
Il gatto non
si mosse.
-Miciomiciomicio…forza,
fatti accarezzare, ti darò un bel bocconcino…-
Nisba. Il
fiero felino si leccò una zampa, ignorando bellamente i richiami del presunto
padrone.
-Eddai, non
fare lo stronzo…vieni dal tuo Julianino… -
Incautamente,
Mark allungò una mano per accarezzare il lungo pelo fulvo dell’animale, che
però non era affatto d’accordo sulla mossa. Soffiando, fece scattare una zampa
verso la mano del ragazzo, che se non fosse stato altrettanto fulmineo a
ritrarla, l’avrebbe avuta ridotta a brandelli sanguinolenti.
-Brutta
carogna fetente!!! – esclamò Mark – Ma si può sapere perché tutte le bestie di
questa stramaledetta casa ce l’hanno con me?! –
Il gatto,
ovviamente, non gli prestò la minima attenzione e, con passo altezzoso e dinoccolato,
andò a piazzarsi davanti alla porta, a mo’ di straccio antispifferi.
-Bravo, e io
adesso come faccio ad uscire? – Impossibile passare se non saltandolo, e la
cosa si prospettava ardua dal momento che appena Mark si avvicinava, seppur con
cautela, l’orrenda bestia si metteva a soffiare come un mantice, mostrando dei
canini tanto appuntiti da fare invidia ad uno stiletto.
Ci mancava
solo questa, come se non avessi abbastanza grane a cui pensare, si disse Mark.
Prenderlo con
le buone era un’impresa; nella dispensa non c’era nessuna delizia con cui
irretire il satanasso, a meno che non fosse strettamente vegetariano, e
l’arrosto che rosolava nel forno, ovviamente, non era contemplato nella lista.
E Mark aveva
paura, diamine! Aveva paura e si sentiva pure stupido per questo, la Tigre
della Toho costretta ad arretrare di fronte ad un gattaccio rabbioso che le
sbarrava la strada.
Il ragazzo si
guardò in giro con fare meditabondo, alla ricerca di qualche strumento con cui
cacciare il gatto e ottenere al contempo un po’ di giustizia per i danni che
stava continuamente subendo dal mondo animale.
Ad un tratto i
suoi occhi si posarono su un piccolo aspiratore per briciole che si trovava in
carica, agganciato al muro, e nella sua testa si accese una minuscola lampadina.
Guardò per un
lungo istante l’aspiratore.
Poi guardò il
gatto.
Poi di nuovo
l’aspiratore.
Sorrise.
I domestici
videro il gatto schizzare fuor dalla cucina e fiondarsi dentro il più grande
dei famigerati vasi cinesi del corridoio. Non si spiegarono mai perché ci
fossero dei ciuffi di pelo rosso nell’aspiratore di briciole, ma questo non
importava; Mark aveva ottenuto la sua vendetta.
Il tour di
Mark per villa Ross continuò ancora per poco. Dopo aver sbirciato dietro un
paio di porte e aver scoperto la biblioteca e uno dei mille bagni della casa,
sentì della musica classica provenire dal secondo piano.
Era una musica
molto tranquilla, quasi malinconica ma estremamente rilassante, e gli piacque
subito, anche se di musica classica non ci capiva un accidente. Seguendo la
melodia salì le scale in punta di piedi, quasi per non disturbare, e giunto
alla porta dalla quale il suono proveniva, bussò piano.
-Avanti –
rispose Gregory Ross.
Dopo essersi
concesso un sorrisetto di soddisfazione, Mark entrò nello studio del padre di
Julian.
Era una stanza
piuttosto piccola ma arredata con gran gusto; pareti in stucco veneziano giallo
tenue, scaffali in legno con portanti in metallo opaco pieni di libri posti in
maniera estremamente ordinata, pochi quadri alle pareti, un tappeto persiano
che doveva valere più di tutta la casa di Mark, inclusi i mobili che conteneva.
L’avvocato era
seduto ad una scrivania di radica, e stava lavorando con un computer portatile
che fece venire a Mark la bava alla bocca.
-Oh, Julian –
disse sorridendo, come se la visita del figlio fosse stata una sorpresa
gradita.
-Spero di non
averti disturbato – disse Mark, quasi con una nota di imbarazzo nella voce.
-Assolutamente
no. Lasciami solo un minuto e sono da te. –
Il ragazzo
annuì e si guardò in giro, per nascondere il disagio che stava provando. Si
avvicinò alla libreria e vide su uno scaffale un gruppetto di fotografie
racchiuse in raffinate cornici d’argento. Alcune ritraevano Julian da piccolo;
a giudicare dalla sua espressione felice e spensierata, dovevano essere state
scattate prima che il ragazzo cominciasse ad avere problemi di salute. Nelle
altre, il capitano della Mambo sorrideva in maniera quasi forzata, ed il suo
bel viso tondo e pieno era diventato smunto, pallido e triste.
Poi, una foto
di famiglia, nella classica posa
mamma-e-figliolo-sul-divano-con-babbo-alle-spalle, seminascosta dalle altre.
Evidentemente una foto propagandistica, utile alla carriera di Gregory, un
mezzobusto della moglie e niente altro.
Mark concesse
a queste ultime solo un’occhiata frettolosa, soffermandosi su quelle di Julian.
La loro spontaneità era tale da suscitare un’incredibile tenerezza ma anche una
grande compassione, e dalla cura con cui erano disposte rivelavano tutto
l’amore che quell’uomo doveva provare per il figlio. Gli si strinse il cuore
ripensando al suo, di padre, che i suoi fratellini avevano appena conosciuto.
-Eccomi,
figliolo! Ti va un succo di frutta? –
Mark si scosse
dai suoi pensieri.
-Cosa…? Io…-
-Stai
tranquillo, non è contemplato nella lista delle bevande proibite…al contrario
della sangria – disse Gregory Ross con un tono di voce ed un sorriso che
lasciarono facilmente intendere a Mark da che parte stava – Allora, pera, pesca
o albicocca? –
Tropical, pensò Mark, che non amava proprio quel
genere di bevande.
-Pesca va
bene, grazie. –
Gregory si
chinò a prendere due bottigliette dal piccolo frigobar incassato nella
libreria, e ne porse una a Mark. Poi si sedette sul bordo della scrivania, di
fronte al ragazzo, e trasse un sospiro.
-Senti Julian,
mi dispiace per la scena di prima. So che l’hai presa male, ma tua madre era
davvero preoccupata e, se devo dirla tutta, anche io. –
Mark abbassò
lo sguardo e si dondolò da un piede all’altro, non sapendo cosa dire.
-No, non è a
te che deve dispiacere. Lo…lo so, l’avete fatto per me, lo so davvero, ma… -
farfugliò, giocherellando con la bottiglietta.
-Bevi quel
succo, prima che diventi bollente – disse Gregory cercando di smorzare un po’
la tensione - E’ che tua madre è sempre così apprensiva…sono anni che cerco di
farglielo capire, ma non c’è verso. E, piano, piano sta finendo per contagiare
anche me. Ma… –
-Senti, lascia
stare, non importa, davvero. – tagliò corto Mark. Aveva sempre odiato i giri di
parole, e si disse che in questa faccenda non ne avrebbe usati. Era il momento
di attaccare con la farsa.
-Domani andrò
dal dottor…quello che è, e poi sarà tutto a posto. Ma adesso, papà, ho bisogno
di un favore da parte tua. –
-Ma certo,
dimmi pure. – Gregory incrociò le braccia e si mise in ascolto.
Mark arrivò
subito al punto. – Si tratta di Mark Landers, papà. –
-Mark Landers? Quel Mark Landers? –
-Esatto. Gli
devo un favore, e ti sarei molto grato se mi potessi aiutare... – Il che era
vero. Cazzo, Julian aveva fatto molto per lui, ma anche Mark si era dato da
fare per aiutarlo con Amy e gli altri…certo, non era stato un grande
sacrificio, ma…
L’avvocato
ridacchiò. – Credevo non lo potessi soffrire… -
Colpito. C’era
da immaginarselo, in effetti…
-Lo credevo
anch’io, ma mi sbagliavo. Ho avuto modo di…rivalutarlo. Si è comportato da
amico, gli devo davvero molto. –
-D’accordo,
non indagherò su che razza di favori gli devi… Spero comunque che non si sia
cacciato in guai troppo grossi, per aver bisogno di un avvocato! –
-E come
diavolo fai a…?! –
-Julian, io sono
un avvocato. E questa è la prima volta in vita tua che mi chiedi un favore. Che
castagne devo togliergli dal fuoco? –
Mark, pur
sentendosi tremendamente stupido, fu piacevolmente sorpreso da quel modo di
esprimersi così diretto. Aveva sempre pensato che avvocati e filosofi avessero
come unica dote quella di intortare la gente con bellissime frasi che non
significavano nulla, e ora si stava ricredendo. Sugli avvocati, ovviamente.
Riguardo ai filosofi, non aveva nessuna esperienza in merito, e sperava di non
averne mai.
-Lui non ha
fatto assolutamente niente – si affrettò a puntualizzare il ragazzo – Ma è
convinto che…”qualcuno” stia truffando la sua famiglia. Papà, Mark è orfano di
padre, sua madre fa orari massacranti in fabbrica per una miseria. Hanno tre
fratellini a carico, lui si arrangia come può con lavoretti di fortuna, ma sta
ancora studiando e gioca pure a calcio…non possono farsi gettare in mezzo ad
una strada. Non possono permetterselo. La situazione è piuttosto grave.
E urgente. -
-Ho capito,
non preoccuparti. E come ha fatto a capire che… -
-Ha trovato
delle carte. Mi…mi ha letto qualcosa per telefono, sai, qualcosa ci capisco
pure io – mentì Mark, con un certo imbarazzo.
-Uhm, bene. –
Il padre di
Julian tacque per un attimo e si grattò il meno con pollice e indice, con fare
meditabondo.
-Quindi…? – lo
incalzò Mark.
-Quindi avrei
bisogno di leggere quelle carte. Pensi di riuscire a procurartele prima
possibile? –
-Io…? Sicuro,
sì…ma… -
-Ma cosa? –
-Forse non hai
afferrato il punto della situazione. Mark non ha un soldo. –
Gregory Ross
sorrise e mise una mano sulla spalla del figlio.
-Ho afferrato
il punto ancora prima che tu me ne parlassi, figliolo. Non ti preoccupare, darò
una mano al tuo amico. –
Mark si
illuminò.
Miracolo!!!
Gli avvocati,
a volte, lavoravano davvero gratis! E non erano nemmeno in un telefilm di Perry
Mason!!
-Io…io non so
come ringraziarti, papà… -
-Ci penserà
Mark. Lui sta a Fukuoka, se non sbaglio…so che da quelle parti fanno degli
ottimi dolci di riso… -
-Ottimi?
Spaziali! – esclamò Mark, felice, dimenticandosi che forse l’educatissimo
Julian Ross non avrebbe mai usato quella terminologia davanti a suo padre, ma
anche se se ne fosse accorto, non glie ne sarebbe fregato niente.
-Molto bene.
Ora scusami, Julian, ma devo chiosare una tonnellata di atti… -
-Oh, no,
certo, scusami tu! Solo un’ultima cosa… -
-Dimmi tutto.
–
Mark trasse un
profondo respiro. Quello che stava per chiedere a Gregory Ross era la cosa più
rischiosa…
-Po…potrei
andare a Fukuoka, domani? Non è così lontano, vado e torno in giornata, se mi
presti Thaddeus… -
-Theodore –
-Theodore.
Così…ehm…recupero le carte e do a Mark la buona notizia… -
Il ragazzo
trattene il fiato. Stupido, stupido! Come gli era venuta un’idea del
genere? Mai e poi mai l’avrebbero lasciato andare. Ma lui ne aveva bisogno,
voleva rivedere la sua famiglia, Maki, i suoi amici…e, anche se sarebbe stato
un trauma sicuro, vedere se stesso dal di fuori. Di certo a qualcosa gli
sarebbe servito, così come gli sarebbe servita la strana, terribile lezione che
stava subendo.
-Fukuoka non è
proprio dietro l’angolo, tua madre potrebbe non essere d’accordo. E poi
dovresti prendere anche un traghetto; come la mettiamo con il tuo mal di mare?
–
-Passato –
mentì Mark – E mamma non saprà nulla, se non glie lo diremo! -
-E il dottor
Appleyard? L’appuntamento è domani mattina… -
-Meglio, così
avrò tutto il resto della giornata! Farò il bravo, me lo leverò di torno alla
svelta, vedrai! Tipregotipregotiprego… -
Gregory
inarcò un sopracciglio, sempre più stupito dallo strano modo di fare del
figlio.
-Odio
dirlo, ma mi sembra di conoscerti sempre meno, figliolo! D’accordo, ma se la
mamma dovesse scoprirlo tu non mi hai detto niente, d’accordo? Ci penserò io, poi, ad evitarti una
sonora punizione. – L’avvocato strinse un occhio a Mark, il quale glie lo rese,
felice di quella complicità.
-Anzi, per
punizione potrei portarti a pesca con me domani sera, ricordi quel laghetto di
trote fuori città… -
-Come no!
Volentieri! –
Mark era
felice come una pasqua, ma non sapeva bene perché. Oltretutto odiava la pesca.
Ma era orgoglioso che esistessero ancora persone del genere al mondo, persone
che donavano in cambio di niente. E che quelle persone fossero i Ross, lo
meravigliava ancora di più.
-Julian… -
-Eh? – rispose
il ragazzo poco prima di infilare la porta.
-Puoi anche
berlo, il succo… -
-Oh,
già…grazie! –
Sempre
sorridendo, Mark si chiuse la porta alle spalle.
Perfetto, era
tutto risolto.
Restava solo
un piccolo problema: trovare la strada del ritorno verso la camera di Julian…
Veramente brutto, forse uno dei
peggiori che io abbia mai scritto; oltre al fatto che, non ho ancora capito
perchè, ma ogni volta che vado a capo con OpenOffice mi mette anche lo spazio,
misteri della fede, queste paginette fanno proprio schifo, sono scritte male,
non hanno capo nè coda.
Ma sono molto importanti.
Non ai fini della storia, se ne poteva
benissimo fare anche a meno, ma sono molto importanti per me.
Perchè, finalmente, sono riuscita a
sbloccare la situazione.
Finalmente, dopo anni, so esattamente
cosa succederà e come finirà la storia.
Non so quando riuscirò a scrivere il
prossimo capitolo; ma la porta ormai è aperta, e spero, prima o poi, di
farcela. Per cui, se qualche lettore (ammesso che ne siano rimasti) avesse
perso la pazienza, può scrivermi; sono dispostissima a vuotare il sacco su
tutta la faccenda (che non è affatto complicata, anzi!).
E ora, pessima lettura a tutti!
Philip, Benji, Holly e Jenny erano seduti intorno al
tavolo del soggiorno, senza sapere cos'altro fare se non guardarsi a vicenda,
mentre Patty era sotto la doccia a ripulirsi dalla lordura; nessuno aveva
ancora spiccicato parola, un po' per l'imbarazzo, un po' per la situazione surreale
che si era creata.
Philip, i gomiti sul tavolo e le mani intrecciate davanti
alla bocca, spostava in continuazione lo sguardo da Jenny/Holly, seduta con la
schiena dritta e lo sguardo fisso sulle mani che si torceva manco volesse
annodarsi le dita, a Benji/Jenny, il quale sembrava un monumento
all'indifferenza e, stravaccato sulla sedia, si passava le unghie tra i denti
con la massima nonchalance. Jenny alzò un attimo lo sguardo su di lui e rimase
allibita.
- Per l'amor del cielo, Philip, fallo smettere! E'
disgustoso! - esclamò.
- Che palle – bofonchiò Benji sbuffando. Philip lo
incenerì con lo sguardo.
Dopo aver visto il suo corpo occupato dal SGGK, Jenny era
stata sul punto di svenire. Non l'aveva fatto solo perchè aveva dovuto calmare
Patty (possibilmente senza toccarla), la quale, dopo aver ricevuto quella
terribile cascata puzzolente, aveva cominciato a strillare come una pazza
richiamando l'attenzione di tutti i santi del paradiso. Philip era riuscito a
trascinarla in casa e scaraventarla nella doccia (ovviamente con tutti i
vestiti addosso) prima che un bellicoso dirimpettaio le tirasse una
schioppettata con un fucile da caccia Beretta caricato a sale.
Holly, invece, aveva gli occhi a palla fissi su Jenny, o
meglio, su se stesso. Era talmente immobile che quasi non respirava, ma,
almeno, sembrava aver preso atto della gravità della situazione.
Una situazione tutt'altro che tranquilla, insomma.
Per fortuna Julia non era in casa: Philip l'aveva spedita
in farmacia ad acquistare una confezione di valeriana formato famiglia,
immaginando che quella sera (e forse anche le successive) tutti ne avrebbero
avuto un gran bisogno.
- Allora – disse Phuilip rompendo il silenzio. Non
l'avesse mai fatto.
- Phil, tesoro, io... -
- Allora i miei coglioni! Visto che... -
- Ma davvero quello lì, che sarei io, invece è...-
dissero contemporaneamente Jenny, Benji e Holly.
- Oooh! Uno alla volta, cazzo!! - sbraitò Philip. La
testa (e anche tutto il resto del corpo, vista la ripassata che aveva subito
poche ore prima) gli faceva male da morire.
Benji sbattè le mani sul tavolo e sia alzò dalla sedia.
-Bene, comincio io. - disse – Prima di farci prendere dal
panico, cerchiamo di valutare razionalmente la faccenda. Prima di tutto
abbiamo finalmente scoperto in quali dannatissimi corpi siamo finiti. -
-Va bene, ma... - azzardò Holly.
-Tu taci o ti ammazzo!!! - lo interruppe (molto
bruscamente) Benji.
-Veramente ammazzeresti te stesso, visto che ora io sono
te e... -
-AAAAARGH!!!! - urlò Benji avventandosi al collo del
povero Oliver – Ti odio, hai capito?! TI ODIO!! Avrei preferito mille volte che
il mio splendido corpo venisse invaso da qualla testa di cazzo di Mark Landers
piuttosto che da un'ameba come te!! Non lo sopporto! -
-Vuoi darti una calmata, brutta miseria?! - esclamò
Philip dividendo i due. Jenny era scoppiata in lacrime.
-E tu smettila di piangere, porca puttana!! - berciò
Benji – La sua testa da una parte e il suo corpo dall'altra! Come se non
l'avessi abbastanza in mezzo alle palle ai ritiri! Pazzo, esco!! -
-Un momento, non eri tu che dovevi vedere il lato
razionale della faccenda? - disse Jenny tra i singhiozzi – Non mi sembra che tu
ci stia tornando molto utile! -
-Jenny ha ragione, finiamola qui e ragioniamo un attimo.
- disse Philip facendo sedere a forza Benji. - Ora siamo tutti riuniti, il
cerchio si chiude. Se qualcuno ci ha lanciato un incantesimo o qualche
stronzata del genere, dev'esserci anche il modo per annullarlo. -
-Tu non sai nemmeno cosa sia, il karma – disse Benji. –
Anche perchè non ce l'hai. Per tutto il resto della tua esistenza non farai
altro che reincarnarti in un imbecille che sa solo tirare due calci ad un
pallone! -
-Basta, Benji! - esclamò Philip –Si può sapere cosa cazzo ti ha fatto Holly
di tanto grave?! Non riesco a capire che gusto ci provi a vomitare insulti su
di lui! -
Benji sospirò. - Oh, provaci e capirai! E' la prima volta
in vita mia che mi posso sfogare, Phil...concedimi almeno questo... -
-Non ti concedo un cazzo di niente, non abbiamo tempo,
dannazione! Allora, come prima mossa, e prima che mi esploda il cervello,
suggerisco di fare come ha detto Holly, qualsiasi cosa intendesse... -
Il ragazzo sorrise soddisfatto. Benissimo! Tutti intorno
al tavolo! - disse, battendo le mani.
-Ci siamo già, idiota – ringhiò Benji, deciso a non
fargliene passare una.
Holly lo ignorò. - Forza, più vicini...ecco, ora mettete
le mani sulle spalle dei vostri vicini...poi chiudete gli occhi e inspirate
profondamente... -
I ragazzi eseguirono gli ordini.
-Ora pensate intensamente ad ogni parte del vostro corpo,
dalla punta dei capelli alla punta delle dita... -
-A me pare un'immensa stronzata – ribattè Benji – Solo tu
potevi inventartela... -
Philip e Jenny non dissero niente; erano troppo disperati
per ammettere che Benji aveva ragione e che Holly non aveva la minima idea di
quello che stava facendo.
-Ora concentratevi...massimo silenzio, mi raccomando... -
I quattro non si mossero di un millimetro e lasciarono
trascorrere minuti interminabili.
-Non mi sembra che stia succedendo niente – azzardò
Jenny.
-Concentratevi di più! - esclamò Holly.
-Ma... -
-Di più!!! -
Nessuno, stavolta, osò contraddirlo. Il silenzio si fece
pesante, quasi palpabile. a Philip parve che, tra un respiro e l'altro,
passasse un'eternità.
E forse sarebbe passata davvero un'eternità se nel
frattempo, Patty non fosse uscita dalla doccia.
-Che diavolo state facendo?! - esclamò, appena ebbe messo
piede in soggiorno.
-AAAGH!!! - strillarono tutti.
-Scusate, io... -
-Beh? Ha funzionato? - chiese Holly speranzoso,
scuotendosi dal torpore. Poi si guardò intorno e incontrò solo le occhiate
torve dei compagni di sventura.
-No, direi proprio di no – aggiunse.
-Patty, trattienimi altrimenti io lo... Ehi... - disse
Benji. Aveva cambiato il tono non appena si era accorto che la ragazza
indossava solo un asciugamano che le copriva il tronco e le cosce, e i capelli
bagnati le incorniciavano il viso in modo piuttosto sensuale. Accortasi dello
sguardo del ragazzo, arossì e si portò le braccia al petto.
-Trattienimi, trattienimi pure... - continuò Benji –
Anzi, se vuoi ti trattengo io... -
Patty cercò di ignorarlo, imbarazzata. -Jenny, per
favore, mi presteresti un vestito? I miei ormai sono da buttare... -
-Prendi quello che vuoi, Patty – rispose Jenny,
sconsolata.
La ragazza corse via, seguita dallo sgurado lubrico di
Benji.
-Però! - disse il ragazzo – No avrei mai immaginato che
Patty potesse essere una sventola del genere! Ma chi glie lo fa fare a sbavare
dietro ad uno come te, eh, Holly? -
-Ma che stai dicendo? - disse Holly, arrossendo.
Jenny fissò di nuovo il suo corpo, incredula, e i suoi
occhi si riempirono di lacrime. Per l'ennesima volta si cheise cosa stesse
succedendo, come entrasse lei in tutta quella storia. Abbassò la testa e tirò
su col naso; se lo sarebbe volentieri soffiato nella maglietta se Philip non le
avesse porto un fazzoletto sorridendo dolcemente.
-Dai, lascia perdere quegli idioti. Una soluzione la
troviamo. - le disse.
Jenny prese il fazzoletto e guardò il suo ragazzo.
-Phil... - disse, con voce tremante. Cazzo, quanto lo
amava. E quanta voglia di stringerlo forte.
Con un singhiozzo Jenny spalancò le braccia e si buttò
letteralmente addosso a Philip. O meglio, si sarebbe buttata addosso a
Philip, se lui non si fosse scansato per schivarla all'ultimo decimo di
secondo.
Lei lo guardò, allibita, il naso che colava; lui fece
altrettanto, quasi incredulo per quello che aveva appena fatto.
-Ma...Philip!! - esclamò Jenny, arrabbiatissima.
-Scusa sai, ma non è così facile neanche per me! - sbottò
Philip, gli occhi a palla – Tesoro, non sai quanto vorrei riabbracciarti, ma in
questo momento accetterei meglio una sberla da parte tua, piuttosto che una
carezza... -
Non l'avesse mai detto. Jenny, in lacrime, prese la
rincorsa e sganciò un diretto nell'occhio sinistro del suo fidanzato. Considerando
la potenza muscolare del corpo di Holly, fu decisamente un bel colpo; Philip
volò a terra senza un lamento, e Benji e il vero Holly interruppero all'istante
la loro discussione per seguire con lo sguardo la parabola discendente del loro
compagno di squadra in direzione del pavimento.
Jenny non si pentì del gesto né allora né mai.
Philip, invece, nonfece in tempo a domandarsi perchè tutti ce l'avessero con lui; per
l'ennesima volta suonò il campanello.
-Vado io – disse Jenny, alzandosi e passando in fianco a
Philip. Il raagzzo, ancora steso sul pavimento, si rannicchiò su se stesso
tremando, riparandosi la testa conle
braccia.
Dopo aver aperto la porta, la ragazza spalancò gli occhi.
-Signor Marshall! - esclamò – Anche lei qui? -
Holly e Benji si precipitarono all'ingresso.
-Freddie! - gridò Benji – Non sai quanto sono felice di
ved... -
L'occhiata che l'uomo gli rivolse avrebbe potuto
incendiare l'intera foresta amazzonica.
Freddie Marshall era in condizioni ancora più terribili
di quelle in cui era stato lasciato all'aeroporto di Shizuoka; barba di tre
giorni, occhi da tossicodipendente con tanto di tic nervosi, vestiti sporchi e
puzzolenti, teneva con due dita un grosso ammasso di stracci non meglio
identificati.
-Non volevano farmi salire sull'aereo perchè non
assomigliavo più alla foto sul mio passaporto – disse, con voce tremante. -
Così ho stordito un addetto ai bagagli e mi sono intrufolato nella stiva. Ho
rischiato di morire congelato e depressurizzato, e credo anche di essere
ricercato dalla polizia aeroportuale. Per fortuna il viaggio è stato breve. Per
arrivare fin qua ho dovuto pagare in anticipo un taxista che con una mano
guidava e con l'altra mi puntava conto una Mauser calibro 38. Credo che non si
fidasse di me... - Freddie si lasciò scappare una risatina isterica. - E
quando, finalmente, sono arrivato qui, non indovinerete mai chi ho trovato
tutto intento a scattare foto di nascosto, attraverso la finestra... -
A fatica, Freddie sollevò il fagotto informe, il quale
emise un gemito di dolore.
-Dave Meyers!! - esclamarono i ragazzi, all'unisono.
-Conoscete già questo sacco di merda? - domandò Freddie –
Beh, io ho avuto questo dispiacere molti anni fa, e non gli ho mai perdonato di
aver scritto che ero l'amante segreto di Jurgen Klinsmann. -
-Per favore... - bofonchiò l'uomo, il quale doveva aver
ricevuto una bella ripassata anche da Freddie.
-Credo, quindi – proseguì il tecnico della nazionale
giovanile – Che stasera abbiamo di che far passare il tempo, mentre mi spiegate
che succede. -
I ragazzi guardarono Freddie con scintillii diabolici nei
loro occhi; poi fecero entrare i due e lasciarono che la porta, alle loro
spalle, si chiudesse cigolando in maniera sinistra...
Mark
non aveva intenzione di perdersi di nuovo in giro per la casa. Con il padre di
Julian dalla sua parte di sentiva molto più tranquillo, ma quel labirinto di
stanze lo innervosiva terribilmente.
Girò
a vuoto per mezz’ora buona, ora pensando a quello che avrebbe dovuto fare per
tener nascosta alla signora Ross la gitarella a Fukuoka dell’indomani, e
infine, senza accorgersene, si trovò nell’ala della servitù.
Adesso sto davvero fresco, si disse Mark. Di certo non
poteva chiedere alle cameriere la strada per la sua stanza; tutto quello che
poteva fare era continuare a camminare, imprecando sottovoce e sperando di non
fare altri incontri con animali incazzosi.
-Ero
passato di qua…sì, sono sicuro – borbottò il ragazzo imboccando l’ennesimo corridoio.
Capì di essersi sbagliato di nuovo quando, socchiudendo la porta, si trovò in
garage. Richiuse la porta, fece ancora due passi nel corridoio e poi si sedette
di colpo a terra, sbuffando.
-Ma
dove cazzo sono, a Creta?! – sbottò – Voglio solo tornare in camera mia,
voglio!! –
Gli
veniva da piangere.
All’improvviso,
uno strano rumore simile ad un grugnito lo fece scattare in piedi. Oddio,
ecco il Minotauro, pensò. Peggio, i cagnacci assassini. Strisciando
lentamente contro il muro si avvicinò alla porta dalla quale aveva sentito
provenire quel rumore e vi accostò l’orecchio; ma quando udì quello che udì, il
cuore gli sprofondò nello stomaco.
Primo,
perché quelle voci appartenevano ad un uomo e una donna in atteggiamento
inequivocabile. Secondo, perché Mark conosceva bene quelle voci.
Una
era di Theodore, l’autista.
E
l’altra era della madre di Julian.
-Rilassati
– disse Theodore con un tono languido e viscido al tempo stesso – Sei tesa come
un tamburo. –
-Scusa
– rispose Ashley Ross – Oggi nonce la faccio
proprio. E poi Gregory è ancora in casa…non vorrei che… -
Theodore
scoppiò a ridere. – Tesoro, sono quattro anni che glie la facciamo sotto il
naso! Non raccontarmela…non starai ancora pensando a tuo figlio? –
Ashley
sospirò. – Sono una stupida, lo so. Eppure non posso fare a meno di sentirmi in
colpa per la scenata di prima. Non sono sicura che sia la cosa giusta… -
-Fidati,
lo è. E’ un pezzo che te lo dico, ce n’è voluto perché mi dessi ascolto. –
-Ma
è la terza volta, Theodore! E se non è ancora servito a niente, non vedo come…
-
-Perché
non hai mai trovato qualcuno che avesse veramente polso con lui! Tuo marito non
esiste come padre, tu sei troppo apprensiva, cosa più che naturale, viste le
condizioni di Julian. Non farmelo ripetere un’altra volta; quel ragazzo ha
bisogno di essere seguito costantemente da qualche specialista. –
-Ma
è già in cura dai migliori cardiologi del… -
-Non
sto parlando di qualcuno che si occupi del suo cuore, Ashley – la interruppe
bruscamente Theodore – Ma della sua testa. Alla “Città del sole”, per esempio…
–
-Basta!!
– esclamò Ashley con rabbia – Non rinchiuderò mio figlio in un ospedale
psichiatrico! –
Mark
deglutì.
Brutto figlio di puttana, pensò.
-Preferisci
che rimanga un ragazzino schizofrenico e incapace di relazionarsi con gli
altri? E’ questo che vuoi? – sbottò Theodore.
Ashley
emise un singhiozzo soffocato.
-Andiamo,
tesoro… - disse l’autista con una voce dolce e palesemente falsa – Ci lavorano
i migliori psichiatri della nazione ed è praticamente un albergo a cinque
stelle. Potrà continuare a studiare e, forse, anche a fare sport. E poi sarà
sotto controllo notte e giorno, e potrai vederlo ogni volta che vorrai. Lo
rimetteranno a nuovo. Solo… -
Fece
una languida pausa. Mark immaginò che stesse baciando la sua amante. Tese
ancora di più l’orecchio, praticamente incollato alla porta.
-…solo
dovrai portare pazienza. Sono cose piuttosto lunghe, lo sai, ma ne valgono la
pena. –
-Julian
è la mia vita, Theodore – disse Ashley tra le lacrime – Farei qualsiasi cosa per
lui…ma Gregory… -
-Gregory
capirà. In fin dei conti sai come convincerlo. Mi prometti che gli parlerai?
Fallo per te stessa…non sopporto di vederti soffrire così. –
Mark
avrebbe voluto urlare. Ma come fa a credere a quell’ipocrita?, si disse.
-Sì
– disse Ashley con voce soffocata – Hai ragione. D’accoro, lo farò. Aspetterò
di sentire il dottor Appleyard, domani. Poi deciderò. –
-Ma…
-
-Ho
detto che deciderò domani – disse Ashley con voce tremante ma decisa. – Tu non
puoi capire, Theodore. Non è così facile. Lui non è tuo figlio. –
Per fortuna, pensò Mark, ci sarebbe mancata
solo questa.
-D’accordo,
ma promettimi che ci penserai. –
No, no, no, digli di no, dannazione! disse Mark a
denti stretti.
-Sì,
certo. – rispose con voce più dolce – Perdonami, ti prego. Non so proprio cosa
farei se non ci fossi tu a sostenermi… -
Theodore
la baciò di nuovo, più a lungo.
-Farei
qualsiasi cosa per te – le disse – Se solo la mia condizione fosse diversa ti
avrei già portato via da qui. Ma tu sei una signora, io sono solo un
autista…non meriti uno come me -
Tu invece ti meriteresti una caterva di legnate, pensò Mark.
-Non
dire così, ti prego! Se il problema sono i soldi, lo sai, ne ho abbastanza per
tutti e due! –
-Tuo
marito non ce la farebbe passare liscia. E io non avrei di che mantenerti, se
non fosse per il denaro che metti da parte per me ogni mese. Mio Dio, Ashley, è
così umiliante… -
Mark
ebbe un conato di vomito. Non riuscì ad aspettare la risposta strappalacrime
dell’ingenua signora Ross e scappò via, senza nemmeno sapere in che direzione,
finchè arrivò, praticamente per caso, nel salone da pranzo.
Non
poteva credere a quello che aveva appena sentito. Quel farabutto si faceva la
madre di Julian, la mungeva come una vacca da latte e in più stava
architettando il modo di liberarsi di lui.
Julian, fratello, adesso siamo veramente nella merda.
E
lo erano fino al collo, tutti e due. Il futuro di Julian dipendeva da come Mark
si sarebbe comportato l’indomani con il dottor Appleyard; se l’esito fosse
stato positivo tutto sarebbe tornato come prima, sempre male ma come prima. Se
fosse stato negativo, Julian sarebbe finito in un manicomio di lusso, e in gran
parte sarebbe stata colpa sua.
Mark
era furibondo. Non poteva farla passare liscia a quello stronzo di Theodore.
Bisognava fare qualcosa, cazzo.
Ma
cosa?
Parlarne
a Julian era fuori discussione. Sarebbe stato un bel trauma per lui scoprire
che sua madre se la faceva con quell’autista del cazzo, e scoprirlo da Mark
sarebbe stato anche peggio.
Quanto
a parlarne a suo padre, idem con patate. Non voleva un divorzio sulla
coscienza, anche se forse sarebbe stato meglio così. Dopotutto non erano
nemmeno affari suoi, ma doveva farla pagare a Theodore in qualche modo, senza
che Julian ci andasse di mezzo.
Meditando
sul da farsi, tornò in camera, si buttò sul letto e continuò a rimuginare per
un paio d’ore, fino a quando decise che avrebbe fatto la cosa che, da quando si
trovava in quella maledetta situazione, gli veniva meglio.
E
riattaccò, senza lasciare all’amico il tempo di
aggiungere alcunché.
Mark
era terribilmente imbarazzato; non era bravo a mentire né a
nascondere le cose. E Julian era sveglio, avrebbe capito subito che
qualcosa non andava.
Cazzo.
A
cena non aprì bocca, la notte non chiuse occhio. Quando,
finalmente, si rese conto che avrebbe fatto meglio a preoccuparsi un
po’ di più della causa che Gregory Ross avrebbe dovuto
impugnare, piuttosto che di panni sporchi da lavare in famiglia,
riuscì a tranquillizzarsi e prendere sonno.
Sfortunatamente,
erano le sei del mattino.
Alle
dieci sarebbe scoccata l‘ora della verità.
-Tesoro,
io e tuo padre abbiamo un appuntamento fuori città. Ci penserà
Theodore ad accompagnarti dal dottor Appleyard – disse
candidamente Ashley durante la colazione.
A
Mark andò di traverso la cucchiaiata di muesli che aveva
appena ingurgitato.
-Spero
non ti dispiaccia. Ad ogni modo gli farò una telefonata appena
torneremo, per sentire il responso. – continuò la donna
apparentemente senza fare caso al figlio che stava tossendo l’anima.
-Coff…coff…non
c’è problema – bofonchiò Mark. Gregory gli
strizzò l’occhio; evidentemente era stato lui ad
organizzare l’appuntamento in modo da lasciargli il tempo di
andare a Fukuoka e tornare prima che la madre sospettasse qualcosa.
Questa
sì che si chiama complicità, gente!
La
notizia però gli aveva fatto passare la fame. Non poteva
sopportare l’idea di restare chiuso in auto più di
cinque secondi con quel bastardo, figuriamoci per cinque ore, tra
l’andata e il ritorno… Però, pensandoci, la cosa
aveva anche un lato positivo; senza mammina tra i piedi poteva
giocarsi Theodore come voleva. In fin dei conti, anche lui era il
“padrone”…
Fece
tutto il tragitto in macchina senza aprire bocca, con pensieri
assassini di ogni tipo che gli attraversavano il cervello. Arrivati
davanti alla palazzina in cui si trovava lo studio dello psicologo,
scese dall’auto senza degnare l’autista di uno sguardo.
-Aspettami
qui. – disse. Theodore non rispose, e con la massima
nonchalance prese una rivista dal cruscotto e iniziò a
sfogliarla.
Rilassati,
rilassati, stronzo,
pensò Mark con rabbia, tanto
non ne avrai per molto…
Giunto
davanti alla porta d’ingresso, Mark inspirò
profondamente. Era nervosissimo; del resto non era mai stato da uno
psicologo prima di allora, non aveva la minima idea di cosa
aspettarsi.
Dopo
essersi raccomandato per l'ennesima volta di non dire fesserie, si
fece coraggio ed entrò.
-Buongiorno.
Le è il signor…? - chiese una segretaria occhialuta
seduta dietro una scrivania all’ingresso.
-Ross.
Julian Ross. Ho
un appuntamento con… -
-Si
accomodi pure, seconda porta a sinistra – lo interruppe la
donna.
Mark
ringraziò e seguì le indicazioni della segretaria.
-E’
permesso? – domandò timidamente facendo capolino dalla
porta in questione.
-Prego,
si accomodi. –
Mark
entrò e chiuse la porta alle sue spalle, e se ne restò
lì come un baccalà, ad aspettare ulteriori istruzioni.
Il
dottor Appleyard era giovane, ad occhio e croce aveva poco più
di trent’anni, i capelli sottilissimi dritti sulla testa,
occhiali rossi, naso adunco e mento completamente glabro. Stava
finendo di digitare qualcosa al computer, e teneva gli occhi a palla
fissi sul monitor. Mark si chiede se, dalla faccia che aveva, non
fosse lui ad aver bisogno di uno psicologo.
-Un
attimo e sono da lei. Intanto si sieda pure signor…? –
-Julian
Ross – rispose distrattamente Mark, accomodandosi sul lettino
di fronte alla scrivania.
Il
dottor Appleyard alzò di scatto la testa dal computer e guardò
Mark negli occhi, quasi incredulo.
-Come,
scusi? –
-Julian
Ross – ripetè Mark, seccato – Avevo un
appuntamento alle… -
-Quel
Julian
Ross?! – esclamò lo psicologo balzando in piedi e
facendo cadere la sedia alle sue spalle. Mark sobbalzò dallo
spavento. – Mio Dio, non ci posso credere!! –
In
due secondi netti balzò oltre la scrivania e si piantò
davanti a Mark, che non sapeva se scappare o dargli un pugno in
faccia. Poi afferrò la mano del ragazzo e la scosse
calorosamente, felice come una Pasqua.
-Se
solo avessi dato un’occhiata alla lista degli appuntamenti
sarei andato a comprare una bottiglia di champagne! Cielo, è
incredibile! – disse, senza lasciare andare la mano di Mark.
-Ehm…cosa,
scusi? –
L’uomo
lo ignorò. – Vincent Appleyard. Puoi chiamarmi Vince.
Posso darti del tu, vero? Mamma mia, che emozione… -
Finalmente
si decise a lasciare andare Mark e si sedette, col fiatone, sul bordo
della scrivania.
-Io
ho partecipato per tre anni di fila alle selezioni per entrare nella
Mambo, durante le superiori – disse. Gli occhi gli brillavano
dalla gioia. – Naturalmente non mi hanno mai preso, altrimenti
non sarei qui, he he…ero una schiappa terribile. Ma sono
sempre stato un tifoso sfegatato della Mambo, era la mia unica
passione! –
Andiamo
bene,
pensò Mark.
-Ma
tu hai letteralmente trasformato la squadra! Julian Ross, il
baronetto del pallone, l’aristocratico del campo da calcio! Non
mi sono mai perso una partita! Che gioco, che stile! –
-Beh,
grazie, ma… -
-E
adesso sei qui, nel mio studio, in carne e ossa! –
E
anche con qualche problemino,
avrebbe voluto dire Mark, anche
se non so tra noi due chi sia quello che se la passa peggio…
-Senta,
io credo che… -
-Per
l’amor del cielo, dammi del tu! – Appleyard lo interruppe
per l’ennesima volta – Posso offrirti qualcosa? Vodka?
Grappa? Whisky? Sambuca? O
una tequila bum bum, eh? – ammiccò e gli diede di
gomito.
-Dott...ehm,
Vince, io non posso bere… -
Appleyard
si irrigidì di colpo e si fece serio. – Oh, certo.
Scusami. Che gaffe, dimenticavo…il tuo cuore…cielo, che
gaffe. – Poi cominciò ad attorcigliarsi le dita. –
Sai, è stato un colpo terribile sapere della tua malattia. Una
meravigliosa carriera stroncata in quel modo…Quando ho letto
la notizia, quasi ho pianto… -
Forse
Julian è stato un po’ peggio,
pensò Mark, sempre più seccato.
-…Ma
adesso eccoti qua, nelle teste di serie del campionato e centravanti
della nazionale giovanile!-
-Riserva
– puntualizzò Mark. Subito dopo si morse la lingua,
sentendosi un vero stronzo. Questa era un'uscita del vecchio Mark;
quello nuovo, che conosceva un po' meglio Julian, non si sarebbe
permesso questa libertà.
-Come…?
–
Mark
sospirò. - Ehm...niente. -
Appleyard
battè le mani e sorrise. - Benissimo! - disse –
E...senti un po', quella pupa che ti scarrozzi sempre dietro alle
partite... -
-Eh?!?
-
-Sì,
insomma, voi due...su, siamo in confidenza, sai che non tradirei mai
il segreto professionale! -
Il
giovane psicologo arrossì e si guardò intorno,
imbarazzato.
-Scusami
– disse poi – Mi sono lasciato prendere un po' troppo
dall'entusiasmo... -
-L'ho
notato – replicò Mark, ancora risentito. - Senti,
lasciamo perdere e piuttosto, che ne dici di tornare all'argomento? -
Appleyard
lo guardò con aria interrogativa. - Quale argomento? -
Mark
alzò gli occhi al cielo e sospirò. - Quello per cui
sono qui – disse.
-Oh!
Già! Scusami, a volte dimentico il mio...ehm...ruolo ingrato.
-
-Succede.
-
-Allora
– disse lo psicologo aggiustandosi gli occhiali e assumendo
un'espressione più o meno seria – Qual è il
problema? Cioè, il motivo per cui sei venuto da me? -
Mark
spalancò gli occhi. - Mia madre non ti ha parlato...? -
-No.
Raramente parlo con i clienti. Ci pensa la mia segretaria a fissare
gli appuntamenti, ma non chiede mai il motivo della visita. Tanto le
cose importanti emergono durante la seduta. -
Mark
non disse nulla ma dentro di sé gongolò. Quel fesso non
sapeva assolutamente niente di Julian, e, a giudicare dall'entusiasmo
con cui l'aveva accolto, sembrava davvero un suo grande ammiratore. E
questo significava che avrebbe potuto girarselo come voleva...
Trasse
un fintissimo sospiro.
-Il
punto, Vince
– disse marcando in modo particolare il nomignolo dello
psicologo, il quale andò ovviamente in brodo di giuggiole –
E' il mio cuore. Questo cuore malato che... -
E
cominciò a snocciolare una personalissima versione della
biografia di Julian, versione che colava melassa da tutte le parti.
Ovviamente Appelyard se la bevve tutta, per di più con le
lacrime agli occhi.
-...per
cui se tu potessi mettere anche una sola buona parola con mia
madre...non fraintendermi, ti chiedo solo di rassicurarla
sulle mie condizioni. Un professionista come te avrà
sicuramente capito che in questo momento mi trovo in una condizione
terribile, e solo il tempo e la comprensione dei miei genitori mi
potranno aiutare... -
Appleyard
non rispose. Teneva lo sguardo fisso nel vuoto e, di tanto in tanto,
tirava su col naso.
-Vince...?
-
Lo
psicologo prese un fazzzoletto dalla tasca e si asciugò gli
occhi, poi si soffiò rumorosamente il naso.
-Julian...
- disse in tono grave. Mark trattenne il respiro. Poi Appleyard gli
porse un blocco notes e una penna.
-...me
lo faresti un autografo? -
Mark
annuì, un largo sorriso sulle labbra.
Mark
uscì dallo studio con aria estremamente soddisfatta e risalì
in macchina sbattendo la portiera posteriore. Theodore, che stava
ronfando saporitamente, si destò di soprassalto.
-Sveglia
– disse Mark, dandogli una pacchetta sulla spalla – Hai
fatto il pieno alla carretta? Dobbiamo farci un bel po' di strada e
non ho voglia di rimanere a piedi. -
-Come...?
-
-Si
va a Fukuoka. L'indirizzo è... -
-Un
attimo, un attimo! - lo interruppe Theodore – Noi dobbiamo
andare subito a casa! Sua madre... -
-Tu
dovresti cominciare a preoccuparti un po' meno di mia madre e un po'
più di mio padre, soprattutto quando verrà a sapere che
ti sbatti con regolarità sua moglie nel garage – ringhiò
Mark. Theodore lo guardò con occhi fiammeggianti e il ragazzo
intuì di avere esagerato, ma se ne fregò altamente. -
Quanto a me, l'unica cosa che devo fare è andare a Fukuoka.
Per cui fa' il tuo lavoro del cazzo e metti immediatamente
in moto questa baracca! -
Theodore
spalancò gli occhi, sbigottito. - E tu come...?! -
-Di
questo non te ne deve fregare niente. Tutti i nodi vengono al
pettine, caro il mio Thaddeus...e
ricordati di darmi del lei. Sia ben chiaro che non siamo amici.
Allora, vogliamo partire o devo fare una telefonata a qualcuno di
nostra conoscenza? -
L'uomo
non si mosse e fissò Mark per dieci interminabili secondi.
-Non
mi sembra che tu
sia nella posizione adatta a dettare condizioni, signorino –
sibilò infine -Non credo che tua
madre, e nemmeno tuo
padre, sarebbero contenti di sapere cosa
tieni nel capanno degli attrezzi, di cui io
ho
le chiavi... E se i tuoi
genitori lo scoprissero, potresti avere qualche problemino, lo sai?-
Mark
lo fissò a sua volta con aria di sfida, cercando di nascondere
il suo stupore. Questo poteva essere davvero un punto a sfavore di
Julian. Che diavolo ci teneva nel capanno degli attrezzi, quel
cretino? E come aveva potuto essere così stupido da farsi
beccare da quel serpente velenoso?
Qualunque
cosa fosse, Mark era deciso a non darla vinta a quel fottuto autista.
-Può
darsi – replicò – Ma ricordati che un figlio non
si può licenziare, un autista sì. Io sono molto più
importante di te per i miei genitori, anche se ti sei lavorato così
bene mia madre da convincerla a spedirmi in mezzo ai matti pur di
avere campo libero su tutti i fronti. Ma per tua sfortuna io non sono
completamente scemo, quindi se non farai subito quello che ti dico,
racconterò del tuo simpatico piano a mio padre in maniera
molto, molto
convincente. Così convincente che, anche se lui è la
persona più buona e placida di questo mondo, ti farà un
culo così grosso che per guidare ti servirà un divano
al posto del sedile! -
Ma
torniamo un attimo al giorno precedente, a Sapporo.
La
scena a cui Julia assistette quando rincasò dalla farmacia fu
abbastanza sconvolgente.
Holly,
Benji, Philip, Jenny e un uomo di mezza età con l'aria da
tossico circondavano un ciccione fortemente contuso legato ad una
sedia con il nastro adesivo; questi non indossava altro che un paio
di collant troppo stretti per le sue gambe e che, evidentemente, gli
erano stati infilati a forza, dato l'elevato numero di smagliature
che presentavano, un reggiseno bianco, anch'esso troppo piccolo, e un
paio di minuscole scarpine di vernice nera con il tacco alto. Il
trucco, troppo pesante anche per una baldracca, non serviva a coprire
le ecchimosi che aveva sulla faccia.
Oltre
a tutto questo, qualcuno (era stato Benji, ma Julia ovviamente non lo
seppe mai) gli aveva scritto sulla fronte “Baciami il culo”
con il rossetto.
A
turno, gli astanti gli sputavano in faccia mentre uno di loro gli
scattava polaroid.
-
Per l'amor del cielo, cosa
state facendo?!? - esclamò Julia, lasciando cadere a terra la
borsetta.
Patty,
che in tutto questo si era tenuta in disparte, ancora più
sconvolta, le lanciò uno sguardo disperato.
-
Bentornata, cuginetta! Che ne dici di aggregarti alla festa? - disse
Philip allegramente.
-
Io non mi aggrego ad un bel niente!! - esclamò Julia,
indignata, precipitandosi verso il “povero” giornalista
che la guardava con aria supplichevole, ormai incapace di dire una
parola. Cercò di slegargli i polsi segando il nastro adesivo
con le unghie. - Dio mio, si sente bene? Guardi cosa le hanno fatto,
quei disgraziati... -
-
Niente che non si meritasse – bofonchiò Holly. Nemmeno
lui aveva preso molto bene il servizio che Meyers gli aveva dedicato
e che, con il massimo della delicatezza, Benji gli aveva mostrato
appena aveva messo piede in casa.
Julia
lo fulminò con lo sguardo, poi si voltò a guardare
Holly. Le era piombato in casa qualche ora prima e lei non aveva
ancora avuto il tempo di dirgli una parola. Appena l'aveva visto, era
andata in brodo di giuggiole, e ora eccolo lì il suo idolo.
Cosa poteva dire ad uno che era tutto intento a fare la ceretta
alle gambe di un povero giornalista? Ovviamente non poteva sapere che
in realtà, si trattava di Jenny. Quella ragazza, tra l'altro
(o meglio, il suo corpo, momentaneamente occupato da Benji, ma Julia
non sapeva nemmeno questo), cominciava a farle paura. A parte il
fatto che non si comportava affatto come una ragazza, era un fiume in
piena di parolacce, cosa che non si sarebbe mai aspettata. Forse era
per quello che la sua relazione con Philip stava prendendo quella
strana piega?
Guardò
di nuovo Patty, sperando di ottenere delle spiegazioni plausibili
dagli accessi di follia dei ragazzi che la circondavano.
-Io
non so niente, hanno fatto tutto loro! - esclamò la ragazza,
ancora sconvolta – Sono andata un momento a cambiarmi e quando
sono tornata lo stavano spogliando e incollando alla sedia!! -
Nel
vero senso della parola, dato che, sulla sedia, Philip aveva spalmato
mastice in abbondanza, casomai il nastro adesivo non tenesse. La
sedia era da buttare, ma il ragazzo pensava che sarebbe stata una
grossa soddisfazione quando quel dannato ciccione avrebbe provato ad
alzarsi, se e quando lo avessero slegato.
Julia
inspirò profondamente e scrutò i volti dei ragazzi e
delle ragazze, soffermandosi su quello di Holly/Jenny con somma
delusione.
-Basta,
io me ne vado – disse, avviandosi verso la sua stanza –
Passi per una discussione tra innamorati, ma qui si tratta di
sequestro di persona e maltrattamenti! -
Benji
e Philip si guardarono preoccupati. O meglio, Benji era preoccupato
che Julia levasse le tende prima di averla irretita a dovere.
-Julia,
senti, mi dispiace...so che non puoi capire, ma sei arrivata in un
momento un po'...complicato – disse Philip raggiungendo la
cugina.
-Lo
vedo bene, accidenti! Ma se la situazione era davvero così
difficile
potevi dirmelo! Non sopporto di essere presa in giro e lo sai! -
sbottò la ragazza – Quando vi ho visto l'ultima volta tu
e Jenny sembravate pronti a sposarvi, adesso non passano cinque
minuti senza che vi sbraniate; ti fai ridurre la faccia come un
quadro surrealista e non mi spieghi nemmeno perchè; poi
arrivano questi altri tizi e di punto in bianco trasformate il tuo
soggiorno in una camera di tortura degna del carcere di Guantanamo!
Insomma, Philip, io sto diventando matta!! Puoi almeno dirmi chi è
quel tipo losco che si sta fumando una canna, prima che gli lanci
addosso un secchio d'acqua? Lo sai che non sopporto il fumo, nemmeno
quello legale!! -
Tutti
si girarono contemporaneamente verso Freddie Marshall, il quale li
ricambiò con uno sguardo imbarazzato mentre uno spinello gli
pendeva dalle labbra. Benji era allibito.
-E
quello dove cazzo l'hai preso?! - sbottò Benji.
-Alla
stazione. Avevo bisogno di qualcosa di forte, ma 'sta roba non mi
sembra granchè. Mi sa che quel pusher del cazzo mi ha fregato.
-
-Dico,
è impazzito?! Con questo individuo qui davanti?! Ma ha
presente cosa è stato capace di fare?! - disse Philip,
sconvolto.
-Uh...
- disse Freddie, togliendosi lo spinello dalle labbra. Lo guardò
per un istante, pensando a cosa fare, poi lo ficcò in bocca a
Dave Meyers. - Problema risolto – disse – Peccato, però.
Gli avevo sganciato trecento sacchi a quello stronzetto. -
Meyers
aspirò a pieni polmoni.
-Basta!!
- strillò Julia – Io me ne vado davvero, anzi, chiamo la
polizia! Voglio vedere se a loro non date qualche spiegazione
sensata! -
Questa
volta fu Jenny a prendere la parola.
-Per
favore, aspetta – disse, prendendola per mano. Julia arrossì
fino alla radice dei capelli e il cuore le balzò nel petto.
Poi
Jenny si voltò verso gli altri.
-Credo
che Julia debba sapere qualcosa. Voi che ne dite? – disse.
Philip
si mise le mani nelle tasche e guardò prima Benji, poi Holly.
-Ok
– disse Benji sospirando – Vuotiamo il sacco. Anche se
non so se la cosa ti piacerà, piccola. -
-Non
preoccuparti – aggiunse Freddie – Me, non mi hanno cagato
per giorni. Se ti raccontassi cos'ho passato in quest'ultimo periodo
quel signore sulla sedia ci ricaverebbe un pezzo da premio Pulitzer.
-
-A
proposito, dov'è finito? - disse Patty.
I
ragazzi si guardarono in giro; la porta di casa era aperta.
-Se
l'è filata! - esclamò Benji – Quella carogna se
l'è filata alla chetichella mentre eravamo distratti!! -
-Non
preoccupatevi, non andrà lontano – disse Freddie
guardando fuori dalla finestra. Meyers era riuscito a sfilarsi le
scarpe e aveva imboccato l'uscita in punta di piedi, con la sedia e
tutto il resto.
I
ragazzi raggiunsero Freddie alla finestra.
-Oddio,
l'autobus! - esclamò Holly vedendo Meyers scansarsi dal centro
della strada per evitare il numero 39 che arrivava di gran carriera.
-Peccato
– sbuffò Benji. Julia gli lanciò un'occhiata
glaciale.
Nel
frattempo un vecchietto in bici, che giungeva dal lato opposto, lo
centrò in pieno, ribaltandosi. Senza prestare soccorso al
povero ciclista, Meyers se la filò zompettando verso il
marciapiede e facendosi largo tra i passanti che, guardandolo, non
sapeva proprio cosa pensare.
-Ok,
adesso possiamo parlare – disse Philip, battendo le mani.
Rimasero
in piedi fino alle cinque del mattino successivo, ognuno a
snocciolare la propria versione dei fatti. Julia fu letteralmente
bombardata dai compagni di sventura, per i quali, più che una
confessione, quello fu un vero e proprio sfogo, tra grida, lacrime e
qualche risata isterica.
Alla
fine di tutto, Julia rimase zitta per un paio di minuti, scrutando i
volti di tutti.
-Allora?
- disse Benji, impaziente.
Julia
ridacchiò.
-Mia
madre direbbe che, se è vera, è una gran balla –
disse infine – Ma è talmente grossa che devo crederci
per forza. A meno che non ci sia sotto qualcosa che non mi volete
raccontare. -
Philip
sbuffò. - Julia, mi conosci da quando sei nata – disse –
E, come hai detto tu prima, hai visto un sacco di volte me e Jenny
insieme. Ora, ti pare che io e la mia ragazza ci possiamo comportare
tra noi come io e questo...coso – indicò Benji –
ci siamo comportati negli ultimi giorni? -
-Eh
– aggiunse Benji, con aria da santo.
-Non
so come sia potuto capitare, ma ti assicuro che è tutto vero.
Jenny, la mia
Jenny, è finita nel corpo di Holly, il quale è finito
nel corpo di Benji, il quale (Dio me ne liberi) ha preso il posto di
Jenny. Chiuso. Io, te e Patty siamo gli unici normali, qui dentro. -
-Ti
sei dimenticato di me, figliolo – disse ironicamente Freddie.
Holly lo guardò e sembrò voler dissentire, ma ebbe la
buona idea di starsene zitto.
-Scusi,
signor Marshall. Quello che volevo dire è che... -
Philip
si avvicinò a Jenny e le cinse le spalle con un braccio. La
ragazza spalancò gli occhi. Non poteva crederci, visto la
reazione che Philip aveva avuto poco prima.
-Questa
è la persona che amo. So che sto rischiando di passare per
l'amante di Holly, ma è così. Io so
che qui dentro c'è la mia ragazza, e, credimi, non hai idea
di quello che provo a non poterla abbracciare e baciare come
vorrei... quindi, perchè dovrei averti raccontato una
frottola? -
A
Jenny vennero i lucciconi agli occhi, e anche tutti gli altri
sembravano commossi. Freddie Marshall tirò su col naso.
Philip
guardò Jenny e sorrise. - Ti amo tanto, lo sai? - disse lei.
In quel momento, a Philip parve di sentire non la voce di Holly, ma
quella di Jenny, la sua
Jenny...
-Phil
– disse ad un tratto Benji – I tuoi hanno qualche strano
impianto d'allarme? -
-No,
perchè? –
-Telecamere
a circuito chiuso? -
-Neanche
– disse Philip senza capire.
-Allora
cos'è quell'affare che ci sta guardando dalla finestra? -
Tutti
si voltarono verso la finestra del soggiorno: dietro al vetro, in
effetti, c'era qualcosa, all'apparenza una microcamera, che stava
riprendendo tutta la scena.
Philip
impazzì.
-YAAAAAAAAAAAAAARGH!!!
-
Con
un urlo inumano sfondò la finestra, gettò a terra la
microcamera e ci saltò sopra, riducendola in briciole.
-Brutti
bastardi – grugnì Benji. Holly, sconvolto, non sapeva
più cosa dire.
-E
adesso...?! - disse Jenny coprendosi la bocca con le mani. Di certo
la scena romantica in cui quello che tutti credevano Holly diceva di
amare Philip, il quale non sembrava affatto dispiaciuto, non doveva
certo essere passata inosservata a chi stava dietro quella minuscola
cinepresa.
-Adesso
aspettiamoci la prossima edizione straordinaria – disse Freddie
– E poi prepariamoci ad emigrare. Io pensavo di convertirmi al
cristianesimo e farmi frate trappista, sapete? Conosco un convento,
in Belgio, dove fanno un'ottima birra. -
Nessuno,
ovviamente, lo ascoltò. Philip piangeva a dirotto.
-Si
può sapere che diavolo ho fatto di male?! - singhiozzò
– Non ne posso più!! Mi hanno pestato, portato via la
ragazza, messo sui giornali e adesso rischio pure la carriera!
Perchè?! Perchè, cazzo?! -
Holly
gli si avvicinò. - Siamo davvero in un bel guaio –
disse.
-Beh,
se fossi in te non mi preoccuperei troppo. In fin dei conti le tue
tendenze sessuali erano note da tempo, no? - disse Benji con aria
stronzamente sarcastica.
Holly
si voltò di scatto. - Se io fossi in te, invece – disse
– Mi preoccuperei, eccome. Perchè
adesso sto per farti nero!!
-
Senza
che nessuno se lo aspettasse, si avventò contro Benji,
finalmente stufo delle sue provocazioni. Se Jenny e Patty non fossero
intervenute trattenendolo, sarebbe sicuramente successo qualcosa di
brutto.
-Troppo
buono – disse Freddie – Io non l'avrei risparmiato. -
-Ha
perfettamente ragione, signor Marshall – disse una strana voce
– Ma del resto lei non è al posto di quel ragazzo, no? -
I
ragazzi e Marshall spalancarono gli occhi, sbalorditi. Al centro del
soggiorno si era materializzato uno strano omino con un lungo
cappotto e una bombetta sulla testa.
Evsebius.
-E
questo chi è?! - esclamò Benji.
-L'artefice
di tutto questo – rispose il terribile genietto facendo un
ossequioso inchino al loro cospetto.
-Ma
io ti ammazzooooo!! - gridò Philip avventandosi contro di lui.
Una forza misteriosa lo trattenne e il ragazzo si trovò, senza
sapere come, prima spiaccicato contro il soffitto, poi a faccia in
giù sul divano. Gli altri rimasero a bocca spalancata.
-A
parte il fatto che non potresti, potrebbe essere un grosso svantaggio
per te – disse Evsebius -Io sono l'unico a poter far tornare le
cose come prima. Sempre ammesso che voi lo vogliate veramente... -
-Se
lo vogliamo?! - esclamò Jenny – Noi non abbiamo nemmeno
mai voluto che tutto questo accadesse, signore! La supplico, ci
faccia tornare nei nostri corpi... -
-Mai?-
disse Evsebius inarcando un sopracciglio – Non è vero.
Se
io fossi in te, se io fossi al tuo posto...a
chi non piacerebbe, almeno una volta nella vita, vestire i panni di
un'altra persona? Del peggior nemico, magari...può essere
un'esperienza molto istruttiva. -
Holly
e Benji si lanciarono un'occhiata dubbiosa.
-Beh...
- accennò Benji.
-Noi
no! - esclamò di nuovo Jenny – Noi non l'abbiamo mai
voluto! Io e Philip stiamo bene come stiamo, non odiamo nessuno, non
abbiamo nemici!
-
Il
genietto guardò fissa la ragazza per un minuto buono, durante
il quale lei sostenne perfettamente il suo sguardo.
-Uhm
– borbottò infine Evsebius – In effetti a tutti
capita di sbagliare. D'accordo, signorina, ha ragione. Rimetterò
le cose a posto. -
Per
un attimo, a Holly, Benji e Jenny sembrò che la stanza
ondeggiasse paurosamente. Poi tutto venne avvolto da una strana
nebbia e infine dal buio.
Quando
Jenny riaprì gli occhi, la prima cosa che fece fu guardarsi le
mani. Piccole, ben curate, sull'anulare un grazioso anello d'argento
con un brillantino.
Corse
verso lo specchio nel corridoio.
-Oh
Dio!! - Si portò le mani alla bocca. – Oh, mio Dio!! -
Si
voltò verso Philip, che stava ancora trattenendo il respiro;
poi scoppiò in lacrime e gli corse incontro, abbracciandolo.
-Sono
io! Sono io! SONO IO!! - gridò felice. Philip, la strinse
forte, ancora incredulo.
Di
fronte alla gioia dei due innamorati, il viso di Patty si illuminò
di speranza. Guardò verso Holly e Benji, i quali non avevano
ancora riaperto gli occhi.
-Forza,
ragazzi, ora tocca a voi! - disse, prendendoli per le braccia e
portandoli davanti allo specchio.
I
due aprirono gli occhi più o meno contemporaneamente. Ma la
loro reazione fu un po' diversa.
-NOOOOOOOOOOOO!!
NON E' POSSIBILEEEEEEE!!!! - sbraitò Benji –
TOGLIETEMELO DI DOSSO! TOGLIETEMELO DI DOSSOOOOOO!!!! -
Il
ragazzo si mise a correre in giro per la stanza urlando come un
forsennato e scorticandosi le braccia. Holly capì perchè
dopo essersi guardato allo specchio.
-Ehi!
- esclamò con disappunto – Ma non è cambiato un
accidente! -
-COME,
NON E' CAMBIATO UN ACCIDENTE?!? - riprese Benji – CERTO CHE E'
CAMBIATO QUALCOSA, COGLIONE!! ORA IO SONO TE!!! -
-Quando
dicevo che avrei rimesso le cose a posto – disse il genietto -
stavo parlando con la signorina... -
Dopodichè
roteò rapidamente su se stesso e scomparve in una nuvoletta di
fumo.
Patty
e Julia, ancora più sconcertate, si buttarono a sedere sul
divano.
-Vediamo
il lato buono – disse poi Patty, sempre più sconsolata –
Almeno la situazione più spinosa si è risolta. -
-No,
Patty, lo sai qual è il lato buono? - disse Holly, che, dopo
secoli, stava per scatenare la bestia dentro di sé – E'
che posso massacrare di botte questo imbecille!! -
E,
finalmente, si buttò contro il SGGK (ovvero contro se stesso),
ingaggiando una liberatoria lotta senza esclusione di colpi.
Mentre
il viaggio in auto fino al porto fu abbastanza tranquillo, dato che
Mark e Theodore non si rivolsero la parola (per cercare di colmare
quell'imbarazzante silenzio, Theodore accese la radio; Mark glie la
spense due secondi dopo, chiarendo definitivamente i ruoli), il
tragitto in nave fino a Fukuoka fu un pochino più movimentato.
Mark
passò la maggior parte del tempo sul ponte del traghetto che
dondolava in mezzo ai flutti, appoggiato alla balaustra, incerto se
vomitare o no. Fu una sensazione terribilmente spiacevole, dato che
non aveva mai sofferto il mal di mare; ma la cosa peggiore fu vedere
quel verme di Theodore godere come un riccio mentre osservava la sua
faccia assumere diverse tonalità di verde.
-
Si sente male, signorino?
Vuole un antiemetico o preferisce un sacchetto di carta? -
Mark
decise di vomitargli sui pantaloni, così gli sarebbe toccato
guidare in mutande, a quel porco. Cambiò idea solo perchè
l'immagine di Julian ne sarebbe potuta uscire danneggiata.
-
Crepa – rispose laconicamente tra un conato e l'altro, mentre
meditava di scaraventare il caro autista in mare. Si guardò in
giro furtivamente; niente da fare, il posto era troppo affollato.
Sicuramente qualche imbecille gli avrebbe lanciato un inopportuno
salvagente.
L'arrivo
del traghetto nel porto di Fukuoka fece desistere Mark dai suoi
propositi omicidi; appena vide la costa avvicinarsi trascinò
Theodore all'auto e lo costrinse a mettere in moto e fare una
pazzesca gimcana purchè uscissero per primi. Dopodichè
gli diede l'indirizzo di casa sua e tacque definitivamente.
Anche
perchè aveva qualcosa di più complicato a cui pensare,
rispetto all'assassinio dell'autista; stava per trovarsi faccia a
faccia con se stesso, e in quei giorni non aveva minimamente pensato
a come sarebbe potuto essere l'impatto. Ormai si stava abituando alla
faccia e alla voce di Julian, ma non aveva dimenticato le proprie;
trasse un profondo respiro e pensò che forse sarebbe stato
come trovarsi ad una recita, una di quelle buffonate che ogni tanto
faceva alle scuole elementari, in cui doveva fare indovinare ai
compagni di classe chi stava imitando. Ma lì non stava
imitando nessuno, anzi, in quei giorni era stato se stesso come non
mai.
Si
domandò come avrebbe trovato la sua casa, sua madre e i
fratellini; da quello che Julian gli aveva raccontato, sembrava che
tutto stesse procedendo per il meglio, e per un brevissimo istante
ebbe quasi paura che quel ragazzo si stesse impadronendo della sua
vita. Qualcosa sarebbe sicuramente cambiato, ma cosa? E come? Il suo
rapporto con gli altri sarebbe stato lo stesso? I suoi parenti, la
sua fidanzata, i suoi amici l'avrebbero amato ugualmente, quando le
cose sarebbero tornate a posto, o avrebbero preferito la sua nuova
versione? Il Mark due-punto-zero?
Chiuse
i pugni dalla rabbia, pensando a come Mark Landers si stava
trasformando in quel perfettino di Julian Ross, ma, fortunatamente,
si ricordò che lui stava facendo esattamente la stessa cosa;
aveva trasformato il gentile, educato e compito baronetto del pallone
in un guascone sguaiato e volgare, senza peli sulla lingua. E se non
gli era ancora venuto in mente che questo poteva non essere un bene
per Julian, era solo perchè non se n'era minimamente
preoccupato, non aveva mai provato a comportarsi come avrebbe fatto
l'amico-rivale.
Si
lasciò sprofondare nel sedile con lo sguardo perso nel vuoto,
vergognandosi un po' del suo egoismo, e si riscosse solo quando
Theodore inchiodò davanti al cancello di casa sua, facendolo
sobbalzare in avanti e sbattere contro lo schienale del sedile
anteriore.
-
Siamo arrivati, signorino
– sibilò Theodore.
Mark
scese dall'auto. - Non muoverti da qui – disse, sbattendo
violentemente la portiera.
Attraversò
il vialetto a grandi passi, ma si arrestò davanti al
campanello, il dito a mezz'aria. Per un brevissimo istante fu tentato
dal darsela a gambe dalla paura, ma gli passò alla svelta.
Anche perchè Julian gli aprì la porta prima che potesse
farlo.
-Ciao,
Mark. -
-Ciao...
-
I
due ragazzi si fissarono per un interminabile istante, senza sapere
cosa dire. Mark si schiarì la voce.
-
Ti trovo bene – disse, con un sorriso tirato.
Julian
guardò l'amico con aria incredula.
-
Ma non dire cazzate! – rispose infine.
Entrambi
si lasciarono andare ad una risata liberatrice.
-
Non mi avevi detto di avere poteri telepatici – aggiunse Mark,
indicando l'auto da cui Theodore lo scrutava con aria arcigna.
-
Ho sentito la frenata e ho guardato dalla finestra. Theodore non ha
mai avuto una guida delicata... -
-
Oh, lascia perdere. Mamma è in casa? -
-
Per fortuna no. Abbiamo tutto il tempo che ci serve per sistemare la
faccenda. Maki è in ritiro con la squadra di softball, quindi
siamo tranquilli. -
-
Ottimo – disse Mark – E i ragazzi? -
-
Stanno facendo i compiti delle vacanze. Cathy, Robert, Justin, venite
un momento! -
-
Guarda che non c'è bisogno di... -
-
C'è bisogno eccome. Non vorrai lasciarlo da solo? - disse
Julian indicando con la testa il suo autista.
Mark
lo guardò con aria interrogativa. Possibile
che...?
Poi
i tre bambini si affacciarono timidamente alla porta, e per un
istante il cuore di Mark accelerò il battito. Gli mancavano
davvero, accidenti.
Sorrise
e si chinò verso di loro. Justin, il più piccino, si
strinse alle gambe di Julian che, per tranquillizzarlo, gli aveva
posato una mano sulla testolina.
-
Ciao, piccoli – disse Mark.
I
bambini lo salutarono timidamente. Julian sorrise, quasi con
tenerezza.
-
Ragazzi – disse – Vedete quella grossa macchina nera là
in fondo? Questo signore vi dà il permesso di salirci. -
I
tre guardarono increduli Mark, che capì al volo.
-
Possiamo davvero? - disse Robert, con gli occhi traboccanti di
felicità.
-
Certo – rispose Mark – E quell'altro signore col cappello
vi lascerà fare un sacco di cose, anche sedervi al posto di
guida, cambiare le marce, schiacciare i pedali... Forza, andate! -
Robert
partì verso l'auto come un razzo, mentre Catherine guardò
Julian, che annuì sorridendo. Poi corse via anche lei. Il
piccolo Justin, invece, non seguì gli altri due; si staccò
dalle gambe di quello che credeva suo fratello e si piantò
davanti a Mark, fissandolo negli occhi.
-Tu
sei Julian Ross? - domandò.
-Ehm...sì
– rispose Mark.
-Mio
fratello dice che sei un fighetto di merda -
-Justin!!!
-
esclamò Julian, mentre Mark lo guardava sbigottito – Per
punizione, stasera doppio giro al salvadanaio delle parolacce! E ora
fila!-
Il
bambino ridacchiò e corse verso i fratelli, che avevano già
cominciato a torturare Theodore.
-Scusa
– disse Mark – Roba vecchia... -
-Non
preoccuparti – disse Julian sorridendo – Ho sentito di
peggio... -
Intanto,
tre secondi dopo l'arrivo dei bambini, Theodore aveva già
perso la pazienza.
-Ma...volete
stare fermi?! No, quello è l'accendisigari!! Insomma,
signorino Julian!! - gridò.
Mark
sogghignò. - Hanno il mio permesso – disse ad alta voce
– E da ora sono sotto la tua
responsabilità. Non muoverti da lì e non perderli di
vista un attimo, altrimenti ti scuoio vivo! -
Julian
rise, sorpreso. - Vedo che ci capiamo al volo, io e te! - disse,
precedendo Mark dentro casa.
-Almeno
lo terranno occupato per un po'. Piuttosto, cos'è questa
storia del salvadanaio delle parolacce? -
-Oh,
l'ho istituito l'altro ieri con il benestare di tua madre. Chiunque
dica una parolaccia deve mettere un soldino nel salvadanaio in
cucina. Quando sarà pieno, deciderete cosa fare. Sai che
Robert ha certe uscite che stenderebbero uno scaricatore di porto? -
Mark
arrossì. - Va bene, va bene, ammetto di non essere stato un
buon esempio. Però Justin non ha nemmeno la paghetta, come fa
a... -
-Caramelle
– rispose Julian – L'importante è che il concetto
valga anche per lui. -
-Oh...certo.
- Mark si rabbuiò per un istante e Julian se ne accorse
subito.
-Senti
– disse, fermandosi davanti alla porta della camera - Non
voglio fare la Mary Poppins di turno, anche perchè non ho il
physique-du-rôle.
- Mark sorrise. - E non voglio nemmeno darti lezioni di pedagogia. Tu
vai benone, credimi, hai fatto un ottimo lavoro con quei bambini;
sono favolosi e ti adorano. Era solo un'idea, ok? Come quella del
pianoforte con Maki, solo un'idea. Per cui non prendertela, sto solo
cercando di sopravvivere... -
Mark
sospirò. - Scusa – disse – Anch'io sto cercando di
fare la stessa cosa. Ma è maledettamente difficile, cazzo. -
-Lo
so – tagliò corto Julian con un tono amaro nella voce.
Aprì la porta della camera. - Dai, vieni dentro, devo darti un
sacco di cartaccia. -
Mark
tornò immediatamente con i piedi per terra. Fuori dalla
finestra, nel frattempo, sentiva la voce di Theodore implorare pietà.
-Hai
detto qualcosa a mia madre? - chiese, serio.
-No
- rispose Julian prendendo un enorme pacco di fogli, ordinatamente
rilegati, dal cassetto della scrivania – Non credo sarebbe
servito a qualcosa. -
-Meglio
così. E questi sono... -
-...le
copie che ho fatto, ovviamente – lo interruppe Julian –
Non crederai che ti dia gli originali? Tua madre non deve nemmeno
accorgersi che li ho toccati, chiaro? Allora, tu stasera vai da mio
padre e gli dici che la questione è più urgente del
previsto. Se si può fare qualcosa (e io sono sicuro di sì)
mi farai chiamare da lui, poi ci penserò io a spiegare tutto a
tua madre. Avrà bisogno del suo assenso, e anche di un bel po'
di firme, per avviare la causa. -
-
Guarda che non sarà facile – disse Mark – Mamma ha
una testaccia dura, forse peggio di me... -
-Non
preoccuparti, io ce l'ho ancora più dura. Qualsiasi cosa lei
dica porterò io avanti la faccenda, a costo di falsificare la
sua firma e travestirmi da lei per testimoniare in tribunale! Quel
bastardo vi restituirà fino all'ultimo centesimo e con gli
interessi, parola mia! -
Mark
si sedette sul letto, sospirando.
-Dannazione,
non so davvero quanto sono fortunato. Stai salvando il culo a me e
alla mia famiglia. Non sarai una specie di angelo custode, cazzo? Non
vedo proprio che altro potresti fare per noi! - disse, sorridendo
amaramente.
-Un
tè, per esempio – rispose Julian sorridendo – Dato
che sei a casa tua, credo che ti farebbe piacere. Vado a scaldare
l'acqua. -
-No,
lascia perdere. Ho ancora lo stomaco in gola...se avessi saputo che
soffrivi così tanto il mal di mare sarei venuto in aereo! -
-Oh,
quello è ancora peggio... - disse Julian alzando gli occhi al
soffitto – A proposito, devi assolutamente dirmi com'è
andata dallo psicologo! -
-Oh,
benone! Quel tizio è un tuo fan scatenato, venderebbe sua
nonna per un autografo! L'ho convinto a dire a tua madre che stai
passando una banale crisi adolescenziale e che sei sano come un
pesce. Di testa, intendo. -
Julian
tirò un sospiro di sollievo. - Grazie. La precisazione non era
necessaria, comunque grazie davvero. Un problema in meno. -
-Veramente...
- disse timidamente Mark. Il problema non era affatto risolto, ma il
ragazzo non sapeva ancora come affrontare l'argomento.
-Apri
il tettucccio! Apri quel fottuto tettuccio, piccolo teppista, mi sto
strangolando!! SIGNORINO JULIAAAAAAN!! -
strillò Theodore.
Mark
e Julian si guardarono e scoppiarono a ridere.
-
Forse è meglio che richiami i miei fratellini prima che ti
distruggano l'auto e l'autista – disse Mark.
-Stai
scherzando? Lascia che lo torturino pure ancora un po'! -
-Uhm...sbaglio
o non è molto simpatico nemmeno a te? - azzardò Mark.
-Vuoi
scherzare? - rispose Julian - Quello stronzo si sbatte mia madre da
sei anni, vorrei poter fare anche di peggio! -
Mark
spalancò gli occhi, basito. - M-ma....tu co-co-come... -
-Andiamo,
Mark, non sono né sordo né idiota. Casa mia sarà
pure enorme ma anche i muri hanno orecchie... -
Il
capitano della Toho era sconvolto.
-
E...e in tutti questi anni non hai mai detto niente?! Come hai fatto
a sopportare questa situazione? - Doveva dirgli del ricatto di
Theodore riguardo al capanno degli attrezzi, ma per il momento decise
di tacere e studiare meglio la situazione.
-Cosa
volevi che facessi? - disse Julian allargando le braccia –
Parlarne con lei? Morirebbe di vergogna. No, io sono la sua sola e
unica ragione di vita, nonché la sua sola preoccupazione, non
posso farle questo. Mio padre, come avrai notato, è piuttosto
assente. Se lei ha bisogno di...sfogarsi ogni tanto, che faccia pure,
se questo la rende felice! Però... -
-Però...?
- disse Mark tendendo le orecchie. Eh, no, così proprio non
andava. Se Julian giustificava il tradimento di sua madre con quel
verme era solo perchè non sapeva niente di quello che c'era
dietro. Urgevano provvedimenti.
-Però
Theodore proprio non lo sopporto. Ogni volta che mi guarda sembra
volermi prendere per i fondelli, come se sapesse che io so e che non
ci posso fare niente. Il che è anche vero, ma non ti dico che
rabbia mi fa... Ad ogni modo, finchè si comporta bene con
lei... -
-Beh,
bene non è la parola giusta... -
-Che
vuoi dire...?! -
Mark
non ci stava più dentro. Era l'ora di vuotare il sacco,
sperando di riuscire a farlo con delicatezza.
Trasse
un profondo sospiro.
-Senti,
non volevo dirtelo così, ma... -
-...li
hai visti anche tu, vero? Lo sapevo. Aggiungiamolo alla lista delle
umiliazioni. Tanto, persona più, persona meno... -
-No.
Cioè, sì...imsomma, Julian...a me non me ne frega
niente della vita dei tuoi, lo sai, però... -
-Mark,
arriva al punto. - disse Julian, che stava cominciando ad
innervosirsi.
-Allora.
Theodore non è proprio “sincero” con tua
madre...cioè...diciamo che...fa un po' il gigolò... -
-Mia
madre lo paga?!? - sbottò Julian.
-No!
O meglio, non è che lo paga...è lui che...ehm... -
-Non
dirmi che la sta ricattando!! -
-Senti,
mi lasci parlare o no?! -
-Se
ti lascio parlare?! Piantala con i giri di parole, e vieni al sodo,
dannazione!! -
-Ok.
Diciamo che lui l'ha...irretita. La coccola, la impietosisce e si fa
sganciare un sacco di soldi. Ma è falso come Giuda, te
l'assicuro, perchè... -
-Avrei
dovuto immaginarlo. - lo interruppe Julian, rosso dalla rabbia - Per
quanto prenda un buon stipendio, uno chauffeur difficilmente potrebbe
permettersi un'intera collezione di orologi Paul Picot...che schifosa
carogna, cazzo... -
Mark
capì che doveva andare fino in fondo.
-Non
finisce qui, amico. C'è dell'altro. -
-Spara.
-
-Diciamo
che Theodore ha una certa...influenza su...alcune decisioni di tua
madre. -
-Sarebbe
a dire?! -
Mark
cercò di pesare le parole, ma sapeva benissimo che non ci
sarebbe riuscito.
-Ti
dice niente la “Città del sole”? -
Julian
aggrottò la fronte. - E' una clinica per malati mentali, mi
pare. Un manicomio di lusso, per dirla breve, ma...oh, no. - Il
ragazzo impallidì di colpo. - No. No, Dio, no. Mi stai dicendo
che... -
-Che
l'idea di mandarti da un plotone di psicologi non è stata
partorita direttamente da tua madre. E non solo quella...Il caro
chauffeur sta tramando per internarti definitivamente... -
-Figlio
di puttana – ringhiò Julian, furibondo – Brutto
figlio di puttana... -
-E'
la stessa cosa che mi sono detto anch'io. Ma non ti preoccupare. La
seduta dal dottor Appleyard ti ha messo al sicuro, almeno per il
momento. -
Julian
si alzò in piedi di scatto, facendo cadere la sedia sul
pavimento. - Per il momento?! PER
IL MOMENTO?! -
gridò -Ti rendi conto di quello che potrebbe succedere?! Di
quello che potrebbe succedere a noi,
non
solo a me, Mark!! Io quello lo ammazzo. Sì, dobbiamo farlo
fuori subito prima che...oh, Gesù! E' allucinante!!. -
-Stai
calmo – disse Mark prendendolo per un braccio – Lascia
fare a me. Ho già dato una piccola lezione a quel pezzo di
merda, se vuoi lo sistemo alla mia maniera... -
Julian
lo interruppe, sconvolto. -Tranquillo, hai carta bianca. Strappagli
le unghie, annegalo in piscina, fai quello che vuoi... -
-...però
prima mi devi dire cosa tieni nel capanno degli attrezzi. -
Julian
si bloccò. - Eh?! - disse, quasi senza capire.
Mark
sospirò per l'ennesima volta.
-Ho
avuto un...pesante scambio di opinioni con lo stronzo in questione. E
per fare il gradasso mi ha detto che sa cosa c'è nel capanno
degli attrezzi, e sa che i tuoi non lo sanno...insomma, puzza di
ricatto, e questo potrebbe essere pericoloso. Se c'è qualcosa
di compromettente devo farlo sparire, o per lo meno sapere di cosa
si tratta, per agire di conseguenza. -
Julian
si coprì il viso con le mani.
-Cazzo,
cazzo!
Il mio sassofono! Ma come ha fatto...?! -
Mark
spalancò gli occhi, sbalordito. - SASSOFONO...? - disse,
incredulo.
-L'ho
comprato di seconda mano dal cugino di Amy, l'anno scorso. L'unico
posto dove posso suonarlo è il capanno degli attrezzi.
Maledizione, l'avevo insonorizzato così bene... -
Mark
non sembrò nemmeno ascoltarlo. - Nel capanno degli attrezzi ci
tieni...un sassofono?! -
-E
cosa pensavi che ci tenessi, film porno?! - sbottò Julian -
Se mamma lo scopre sarà un guaio, dannazione! Fallo sparire,
dallo ad Amy...no, forse è meglio Albert, il giardiniere, lui
lo sa. -
Mark
ridacchiò.
-Che
cazzo ci trovi di divertente?! - disse Julian inarcando un
sopracciglio.
-Niente
– disse Mark – Solo non capisco che male ci sia a voler
suonare il sassofono...mica ti droghi, in fin dei conti! -
Julian
si sedette sul letto accanto a Mark.
-Senti
– disse – per suonare il sax servono braccia e fiato.
Ora, per le braccia non ci sono grandi problemi, per il fiato direi
di sì. Per quanto sia piccolo e leggero, rischio la sincope
ogni volta che ci soffio dentro. -
-Sax
tenore? -
-Soprano.
Capisci che se mia madre lo scoprisse potrei passare dei seri guai,
oltre al fatto che le verrebbe un esaurimento nervoso a posteriori? -
Mark
tacque un momento. - Ma come ti è saltato in mente? - disse,
sinceramente stupito – Voglio dire, non potevi fare una scelta
un po' meno masochista? Che ne so, flauto, ocarina...non ti basta il
pianoforte? -
Julian
si sdraiò sul letto, guardando il soffitto.
-Mark,
conosci la E-Street Band di Bruce Springsteen? -
-Eccome
– rispose il ragazzo – A proposito, temo di averti fuso
il cd di “The river”... -
Julian
non ci badò. - Ecco, il mio sogno, fin da quando ero piccolo,
è di diventare come Clarence Clemons. -
-Grosso
e nero? -
Il
capitano della Mambo scoppiò a ridere. - Il più grande
sassofonista rock del mondo, stupido! -
Mark
sorrise. - Ti vedrei meglio come Roy Bittan – disse –
Suonare il piano non ti riesce affatto male, da quanto ho capito. -
-Il
piano mi piace – disse Julian – Mi piace molto, davvero.
Ma hai mai ascoltato davvero un assolo di sassofono nelle canzoni di
Springsteen? E' la sensazione più forte che io abbia mai
provato in tutta la mia vita. -
-Non
lo so – rispose Mark – Il Boss piace un sacco anche a me.
Solo non ho mai fatto caso agli strumenti...insomma, non so se mi
spiego... -
Julian
si alzò sui gomiti e guardò Mark dritto negli occhi. -
Prova ad ascoltare bene
una canzone qualsiasi. Che ne so, “Mary's place” o “Bobby
Jean”. O anche “Jungleland”, che è
fantastica. Tutti gli strumenti suonano insieme, non riesci quasi a
distinguerli...è lo spirito di una band, giusto? E poi arriva
lui, Clarence, e si alza sopra tutti gli altri. Non li copre, è
lì con loro, ma è sopra di loro...capisci cosa intendo?
-
-No
– disse Mark scuotendo la testa. Julian sbuffò.
-Ti
tira fuori, Mark. Ti tira fuori da tutto. Tu lo ascolti e non tocchi
più nemmeno il pavimento. Sei felice. Gli altri della band ti
spingono piano piano e tu sali, sempre più in alto. Poi
esplodi. Diavolo, Mark, io non sono mai stato bravo con le parole, ma
se non suonasse così male detto da me, ti direi che mi sento
quasi scoppiare il petto. Per la gioia, non per l'insufficienza
mitralica... -
-Credo
di capire – disse Mark – Ti senti libero, è così?
-
Julian
annuì. Aveva quasi gli occhi lucidi. - Te la ricordi quella
battuta di “Billy Elliot”, quando lui racconta come si
sente quando balla? “Io
sono elettricità”.
Elettricità...non riesco a spiegare perchè...lo so che
è stupido, ma è così. -
Mark
non disse niente. Aveva capito benissimo cosa l'amico intendeva,
quanto si sentisse prigioniero della sua condizione, e facesse
qualsiasi cosa per tentare una via di fuga, e forse anche la
passione che aveva messo nel calcio rientrava in quella categoria. Lo
capiva perchè in quei giorni lo stava vivendo sulla sua pelle.
Sorrise
debolmente, pensando che quel ragazzo era più forte e testardo
di quanto sembrasse. In effetti l'aveva dimostrato durante le
partite; Julian era un osso duro, uno che non si arrendeva nemmeno
quando sembrava fosse arrivata la fine. Provò quasi un moto
d'orgoglio verso di lui.
-Ce
l'hai una palla da baseball? - disse.
-No,
perchè? - disse Julian senza capire.
-Perchè
mi sembri Steve McQueen ne “La grande fuga” - rispose
Mark.
-Eh?!
-
Mark
scosse la testa, sorridendo. - Niente, lascia perdere. Sai che verrà
a Tokio a novembre? -
-Chi?
-
-Mio
nonno. E' da tanto che non lo vedo. Bruce Springsteen, imbecille! -
Julian
sgranò gli occhi per la sorpresa. - Ma scusa, spiegati,
almeno! Come l'hai saputo? -
-Se
tu uscissi un po' più spesso avresti visto i cartelloni. Sono
sparsi in giro per tutta la città. “The Rising tour”,
E-Street Band al completo con tanto di quella gnocca di Patti
Scialfa! -
-Mark,
avrà cinquant'anni! -
-E
allora? Gallina vecchia fa buon brodo! -
Julian
rise e scosse la testa. - Fantastico. Il mio cantante preferito è
in città e io sono intrappolato a duecento chilometri di
distanza.... -
-E
io non posso nemmeno farlo per te; non credo che tua madre
approverebbe... - aggiunse Mark.
-Scordatelo.
Sarebbe capace di far atterrare un elicottero della polizia sul palco
per recuperarmi. -
-Eh,
già... - disse Mark sospirando – Che sfiga...morirò
senza aver visto nemmeno un concerto del Boss... -
-Già
– confermò Julian.
Entrambi
tacquero per un momento.
-Però,
sai che forza? Se fossi in te mi calerei dalla finestra e lascerei
sulla scrivania un biglietto con scritto “Born to run”.
Come nei film. - disse Julian.
Mark
rise. - Certo, poi finirei sbranato dai tuoi simpatici molossoidi.
Abbiamo avuto un incontro ravvicinato, qualche giorno fa. Se non
fosse arrivato il tuo giardiniere, gli avrei fatto da stuzzicadenti.
Sempre che non arrivi prima il gatto, quello è il diavolo
della Tasmania! Non ho un buon rapporto con gli animali di casa tua,
sai? -
Julian
parve sorpreso. - Ti hanno aggredito? Rumenigge e Beckenbauer? Starai
scherzando, spero! Li ho tirati su io quei cani, mi adorano, sono
quaranta chili d'affetto puro! Probabilmente hanno capito che tu non
sei me; sai, l'istinto... -
-Ah.
E il gatto? -
-No,
quello è stronzo e basta. -
Mark
rise, anche se preferì non raccontare a Julian l'episodio
dell'aspiratore di briciole.
-Senti
un po' – disse poi – Ma se la musica ti piace così
tanto, perchè non ti iscrivi al conservatorio? Pianoforte,
magari, così anche tua madre sarebbe contenta... -
-Credi
che lei non mi abbia martellato abbastanza su questo argomento? -
rispose Julian – No, non se ne parla. Amo la musica, ma se ne
dovessi studiare i meccanismi finirei per odiarla. Preferisco
rimanere ignorante. No, credo che mi iscriverò a medicina.
Tanto sull'argomento sono abbastanza ferrato, purtroppo... -
-Wow,
un calciatore medico, come Socrates! -
-Figo,
vero? - disse Julian, in tono ironico.
-Fighissimo.
Anche perchè è roba tosta. Che vorresti fare, medicina
dello sport? -
-Per
finire a prescrivere steroidi a quegli stronzi palestrati che
vogliono correre i cento metri in meno di dieci secondi? No, grazie!
-
Julian
si mise a sedere sul letto. - Credimi, Mark, passando da un
ambulatorio all'altro ne ho viste di tutti i colori. Io credo che
fare il medico non sia una missione, come pensa qualche esaltato, ma
qualcosa che deve servire alla gente. Capisco i superspecialisti che
emettono superparcelle perchè devono ripagarsi dei sacrifici
fatti durante gli studi, la qualità del servizio e tutte le
altre stronzate, ma penso che chiunque abbia diritto alla salute. Se
io non mi potessi permettere le cure sarei già morto da un
pezzo, lo sai? -
-Detto
in soldoni – disse Mark – Vuoi fare il dottore dei
poveri? Non mi sarai mica diventato comunista? -
-Beh,
se questo significa preoccuparsi perchè tutti abbiano le
stesse possibilità di curarsi, allora sì, chiamami
comunista. C'è qualcosa di male? Le malattie non guardano il
portafogli, Mark. Perchè dovrebbe farlo un medico? Ci sono
medici che fanno la fame perchè i loro clienti non hanno
nemmeno i soldi per mangiare, figurati se li hanno per pagarli.; io
ho tanto di quel denaro che non avrei nemmeno bisogno di farmi
pagare. E se un giorno finirò sotto un ponte, beh, chi se ne
importa. Me la sarò già goduta anche troppo. -
-Abbiamo
un buon servizio sanitario, Julian. -
-Ma
non basta, Mark. In questo paese c'è gente che non ha un
centesimo per pagarsi i farmaci anti-HIV mentre ci sono donne che si
rifanno otto volte le tette, magari pure a spese dello stato! Ti
sembra giusto? Io posso permettermi un trapianto di cuore, un
ragazzino molto povero no. Per non parlare dei paesi del terzo
mondo...e io non sono migliore di loro; perchè solo io devo
avere il diritto di sopravvivere? -
Mark
non sapeva più cosa dire.
Julian
si alzò e andò verso la finestra.
-Sai
cosa pensavo, un po' di tempo fa? Che, dopo la laurea, me ne sarei
andato in Guatemala o in Sudan con Emergency o qualche altra
organizzazione del genere. Ma c'è Amy di mezzo. Come farei a
lasciarla? -
-Ti
preoccupi più di Amy che dei tuoi genitori? -
-Loro
se ne farebbero una ragione. Sarei maggiorenne e vaccinato, potrei
fare quello che voglio. E non gli chiederei nemmeno un soldo. Ma
Amy...non posso stare senza di lei, Mark. E non posso nemmeno
coinvolgerla in una cosa così... Accidenti, forse è
troppo grande per tutti e due. E poi chissà cosa succederà
nel frattempo...magari diventerò il chirurgo plastico della
yakuza... -
-Non
credo proprio, Julian – disse Mark – Non credo proprio. -
Julian
si mise le mani in tasca e sospirò.
-Scusa
– disse – Mi sento un bambino scemo quando faccio questi
discorsi. Mi sono sentito un parassita per così tanto tempo,
adesso vorrei solo essere utile a qualcun altro. Restituire un po' di
quello che mi è stato dato, tutto qui. -
-Non
sei un bambino, e non sei nemmeno scemo – disse Mark –
Sei solo sorprendente. Mi piacerebbe avere degli ideali come i
tuoi...o, quanto meno, le idee chiare sul mio futuro. -
-Davvero
non hai idea di cosa fare? -
-Beh,
tornando al discorso di prima, non è che abbia grandi
possibilità. E neanche quella gran voglia di studiare, se devo
dirla tutta -
-A
proposito... – disse Julian. Si era ricordato una cosa
importante, ma non riuscì a finire la frase perchè
quello che disse Mark lo lasciò a bocca aperta.
-L'unica
cosa che so è che, appena riesco ad avere un buon ingaggio o a
trovare un lavoro decente mi sposo, Julian. Sì, prima sistemo
mamma e i ragazzi, poi compro un bell'anello per Maki e la sposo. Se
lo merita, cazzo. E poi, anche se a volte sono un po' stronzo con
lei, credo di amarla davvero. -
Julian
sorrise, un po' imbambolato. - Non ti facevo così...romantico
– disse – Credevo che per te il calcio fosse più
importante di qualsiasi altra cosa al mondo. -
-Credevo
la stessa cosa di te, e invece vedo che non è così. E
poi non è questione di essere romantici; è
semplicemente tutto quello che vorrei. Beh, non è una cosa
grandiosa, ma io non sono una persona grandiosa e non ho idee
grandiose. Ma amo la mia ragazza e vorrei il meglio per me. Un po'
come fai tu con Amy, insomma. -
-Salvo
che Amy non è la mia ragazza – intervenne Julian,
amaramente.
-Non
ancora – lo corresse Mark – Sai, ho solo paura che Maki
scappi prima... -
-Fidati,
non lo farà. Adesso mi sembra molto felice, sai? -
-E'
felice perchè ora sei tu
che la fai felice. Ma io sarò capace di fare altrettanto,
quando le cose saranno tornate a posto? -
-Senti
– disse Julian – Maki non è una persona
pretenziosa, e soprattutto ti ama davvero molto. Chiede solo un po'
d'attenzione, come tutte le donne, del resto. Non importa come glie
la darai; lei vuole solo stare con te, e credo che sarebbe più
felice se litigherete ogni tanto piuttosto che se la circonderai di
profumi e balocchi ma la lascerai sola tutto il giorno. Un po' come
ha fatto mio padre con mia madre, insomma. Non dico che si sia
meritato le corna, però... -
-Tuo
padre è una brava persona, Julian – disse Mark
abbassando la voce – Non avercela con lui. Ti vuole un bene
dell'anima, lo sai, e farebbe di tutto per te, perfino aiutare me. E'
grazie a lui se sono qui, oggi. -
Julian
prese la sedia e si sedette al contrario, incrociando gli avambracci
sullo schienale e appoggiandovi sopra pesantemente il mento, lo
sguardo peso nel vuoto.
-In
diciassette anni non mi ha mai portato a fare una passeggiata. Non mi
ha mai letto un libro. Non ha mai giocato con me. Solo delle belle
frasi affettuose, come va la scuola, come va il campionato, non ti
sforzare troppo. Ha visto una sola partita, quella maledetta partita
contro la New Team di sei anni fa. Se è successo quello che è
successo, è stato solo perchè volevo dimostrargli che
ce la potevo fare. Che poteva davvero essere orgoglioso di me. Ce
l'ho fatta? No. Sono solo riuscito a finire in ospedale, e lui non
era nemmeno lì quando mi sono svegliato. Mi ha chiamato sul
cellulare di mia madre e mi ha chiesto come stavo. Bene, grazie,
papà, a parte una piccola crisi cardiaca. Cose che succedono.
-
Mark
guardò Julian senza dire una parola.
-Non
è che non gli voglia bene, anzi. E so benissimo che me ne
vuole anche lui, mi ha dato tutto e si caverebbe il sangue dalle vene
per me. Ma non c'è mai stato nei momenti in cui ne avevo
veramente
bisogno,
capisci? E forse non se n'è nemmeno mai accorto. E smettila di
guardarmi con quella faccia, Mark! -
Il
capitano della Toho stava solo sorridendo con aria di comprensione.
Neanche una settimana prima avrebbe mandato Julian a quel paese
sbattendogli in faccia che nemmeno suo padre c'era stato quando lui
ne aveva avuto bisogno, per il semplice motivo che era morto e
sepolto da un pezzo, e Mark non avrebbe potuto recuperare il tempo
perduto in nessunissimo modo.
Ma
quello era il vecchio Mark, quello che non conosceva affatto Julian.
-Mi
ha chiesto di andare a pescare con lui, stasera, quando torno –
disse, semplicemente.
Julian
spalancò gli occhi. - Davvero? -
Mark
si fece sfuggire una risata. - Già. E io odio la pesca. -
-E
i vermi che ho trovato sotto il letto? -
-Oh,
sono di Robert. Insisteva tanto che una volta ce l'ho portato. Una
rottura di palle... -
-Immagino.
Davvero ti ha chiesto di andare con lui? - ripetè Julian,
ancora incredulo.
-Chi,
Robert? -
-Mio
padre, deficiente! -
-Sì.
Cioè, mi ha detto che mi ci avrebbe portato. Ti piace pescare?
-
-No,
mi fa un po' schifo. Però ci sarei andato volentieri,
accidenti. -
Mark
sorrise. Julian sembrava un po' risollevato, e gli brillavano gli
occhi.
-A
proposito – disse, scuotendosi – Cosa mi stavi dicendo
riguardo a “The river”? -
-Uh...
- Mark mise una mano sulla spalla di Julian e glie la scosse con
affetto. - Niente di importante. -
Julian
lo guardò con sospetto, ma sorrise a sua volta.
Piccola
nota di servizio!
Primo,
ho dovuto troncare qui il capitolo perchè stava decisamente
diventando troppo lungo; pensavo di scrivere la seconda parte e
decidere se unirla o no alla prima, ma credo che non lo farò,
anche perchè le idee che ho per la seconda parte non c'entrano
nulla con questa, che è un po' più “riflessiva”.
Secondo,
come avrete notato, questo capitolo è decisamente noioso. Però
ce l'avevo in testa da un pezzo, e mi sembrava abbastanza importante
per stringere le fila sulla piega che sta prendendo il rapporto tra
Julian e Mark. Tutta la ff, del resto è centrata sulla
costruzione di un'amicizia tra persone che proprio amiche non sono, e
volevo solo che i nostri due si conoscessero un po' meglio.
Le
opinioni di Julian riguardo alla medicina sono solo ed esclusivamente
sue. Mi dispiace solo di essere stata confusionaria; quello che
volevo descrivere era un Julian con una grande voglia di volare con
le proprie ali, che non vive solo per il calcio ma è anche
capace di guardare con i suoi occhi il mondo che lo circonda e di
preoccuparsi, forse solo come un adolescente non ancora disilluso può
fare. Spero di aver reso l'idea; a me il Julian principino non è
mai piaciuto, ed è anche per questo che ho scritto questa ff.
Per
gli amanti di Springsteen: forse saprete che qualche mese fa Danny
Federici, il tastierista della E-Street Band, ci ha lasciato per
sempre. Mi è dispiaciuto tanto, ma proprio tanto. Come ha
detto Little Steven al Boss, tanti anni fa, “Buon viaggio, mio
fratello”.
Infine,
a chi non avesse capito il riferimento a Steve McQueen e alla palla
da baseball, consiglio vivamente di vedere “La grande fuga”.
E' vecchiotto, ma che film, gente!
Ultimissima
cosa: temo che per il prossimo capitolo dovrete aspettare ancora un
po'. Tra un paio di giorni, finalmente me ne vado in vacanza, e
quando tornerò dovrò recuperare un bel po' di lavoro
arretrato. Però non disperate; la mia offerta di spoiler è
sempre valida!
-Oh,
sveglia! Sveglia, Theodore!! Lo sapevo, quei tre delinquenti me
l'hanno fatto secco... -
L'autista
aprì lentamente gli occhi. Non ricordava molto di quello che
era successo fino ad allora; stava penzolando fuori dal finestrino,
la metà superiore del suo corpo all'interno dell'automobile, e
quello che lui credeva fosse Julian lo stava facendo rinvenire a suon
di ceffoni, tenendolo per il bavero della giacca. Quando vide, chini
su di sé, i visi di Julian, Mark e i fratellini di
quest'ultimo cacciò un urlo disumano e si coprì il
volto con le braccia.
-
AAAAAAAARGH!!! Li tenga lontani! Per l'amor del cielo, tenga lontani
quei piccoli mostri!! - gridò.
I
tre bambini ridacchiarono; con un cenno del capo, Julian li spedì
dentro casa.
-
Bene, sei ancora vivo – disse Mark, raccogliendogli il berretto
e calcandoglielo in testa - Ora mettiti al posto di guida e guida. -
Il
ragazzo mollò il bavero di Theodore, il quale cadde di nuovo
riverso a cavallo della portiera, sbattendo il mento contro la
maniglia.
-
Dammi una mano a toglierlo da lì – disse Mark afferrando
l'uomo per la cintura. Julian lo prese per il dorso della giacca, e,
con uno strattone, i due lo liberarono dalla morsa del finestrino,
incastrato tra i suoi rotoli di ciccia.
-
Cazzo, guarda dove gli hanno infilato l'accendisigari! - esclamò
Mark, depositando a terra il corpo quasi esanime dell'autista.
Julian
si chinò a dare un'occhiata. - Ugh...lì
deve fare veramente
male...
-
-
E hanno anche smontato l'autoradio!! Ma chi gli ha insegnato queste
cose, porca miseria?! -
-
Lascia perdere – disse Julian – Tanto la ricezione faceva
schifo. Aiutami ad aprire la portiera, piuttosto; la cintura di
sicurezza dev'esserci rimasta incastrata... -
-
Dio, Julian, che figura. Giuro che ti ripago tutto... -
Julian
lo zittì con un'occhiataccia. - Sei impazzito?! E' sveglio!! -
sibilò, cercando di non farsi sentire dall'autista.
Theodore,
comunque, non era nelle condizioni di capire alcunchè. Con le
palpebre a mezz'asta e la bocca semiaperta in un'espressione ebete,
ritornò con la memoria a mezz'ora prima; mentre Mark e Julian
stavano parlando, i fratellini di Mark si erano a stento trattenuti
dal distruggere sia lui che l'auto.
-
To...torniamo a casa, signorino? - disse, alzandosi in piedi
barcollando.
-
Sì, sì, torniamo a casa... - borbottò Mark
sorreggendolo. Dio solo sa quanto volentieri l'avrebbe mollato lì
a crepare, ma si trattenne. Lo squadrò come se dovesse
prendergli le misure per la bara.
Mentre
Theodore, traballante, si rimetteva sul suo sedile, tirando un
sospiro di sollievo, Julian prese in disparte Mark.
-
Allora è chiaro? Fallo appena arrivi a casa. - disse, in modo
che l'autista non potesse sentirlo – E' nel doppio fondo del
baule, a sinistra della porta, sotto... -
Julian
si interruppe un attimo.
-
Sotto...? - lo incalzò Mark.
Il
capitano della Mambo fece un sorriso enigmatico. - Niente –
disse – Veditelo da te. A proposito...grazie per la
chiacchierata. Mi sa che ne avevo proprio bisogno... -
-
Figurati – disse Mark, stringendo la mano che il ragazzo gli
porgeva – E' stato un piacere. E poi a che servono gli amici? -
Julian
ridacchiò. - Certo che sono proprio uno stronzo, accidenti.
Non ti ho nemmeno chiesto come va. -
Mark
sorrise e allargò le braccia. - Beh, dammi un'occhiata: come
mi trovi? - disse.
-
Anche troppo bene! - esclamò Julian ridendo.
-
Ci vediamo, socio – disse Mark dando un'affettuosa pacca sulla
spalla di Julian – Grazie a te, piuttosto. Di tutto, davvero. -
Il
ragazzo risalì in macchina e diede una scoppola, molto meno
affettuosa, a Theodore, ancora intontito.
-
Allora, ti muovi o facciamo notte?! -
Theodore
mise in marcia e l'auto partì sobbalzando. Julian rimase un
istante a guardare se stesso andarsene; sorrise, non si era mai
sentito così leggero.
-
Ehi, Julian!
- gridò ad un tratto. Mark guardò fuori dal
finestrino.
-
Guarda che io e te ci andiamo davvero, a vedere Bruce Springsteen,
capito? E' una promessa! -
Mark
sorrise e alzò il braccio in segno di saluto. Non aveva capito
un accidente di quello che Julian gli aveva detto, ma non importava.
Julian
rientrò in casa, soddisfatto. Si diresse in cucina e prese dal
frigorifero il vasetto della marmellata di ciliegie; lo svitò
e ne annusò a lungo il profumo.
Quel
gesto gli ricordò la sua “vecchia” vita; come
tutte le cose che gli piacevano, anche la marmellata gli era
proibita, ma, grazie alla complicità di Deborah, era riuscito
ad avere una piccola riserva personale in un minuscolo barattolo in
fondo al frigorifero. La marmellata di ciliegie era la sua preferita;
nei sempre più numerosi momenti di sconforto sgattaiolava in
cucina e gli dava fondo.
Cercò
di non pensare se sarebbe mai tornato a casa, anche perchè non
capiva se ne sarebbe stato felice o no, e prese un cucchiaino dal
cassetto delle posate. Lo affondò nella confettura e si leccò
i baffi; ma non riuscì a gustarne nemmeno una goccia perchè
il campanello suonò senza pietà, come al solito nel
momento meno opportuno.
Julian
rimase un secondo con il cucchiaino a mezz'asta e la bocca
spalancata; poi sbattè con rabbia il cucchiaino nel barattolo
e, imprecando tra sé e sé, andò ad aprire.
-
Ciao capitano... -
Julian
restò interdetto per qualche istante.
Era
Ed Warner, e aveva l'aria un po' perplessa.
-
Ehm...ciao, Ed. Come va? -
Il
portiere della Toho non ci fece caso.
-
Scusa se mi faccio gli affari tuoi, ma...che ci faceva qui Julian
Ross? -
Julian
tentennò. - Come? - disse.
-
L'ho visto andarsene mentre stavo arrivando. Era lui, sono sicuro;
non ho mai visto automobili così grosse, qui a Fukuoka! Tra
l'altro, ho notato come tratta il suo autista; accidenti, è
davvero una carogna... -
-
Oh, no – disse Julian – Quel tipo si merita anche di
peggio...credimi... -
Ed
inarcò un sopracciglio.
-
Quindi..? -
-
Quindi cosa? -
-
Quindi cosa ci faceva Julian Ross a casa tua? -
-
Uh...beh, niente di particolare. Cioè, mi ha dato una mano...
-
-
Una mano? - disse Ed, incredulo – Fino alla settimana scorsa lo
odiavi a morte e adesso ti fai dare
una mano
da lui?! -
Julian
alzò gli occhi al soffitto, sospirando. - Senti, sbagliare è
umano. E quello che lui sta facendo per me e la mia famiglia è
veramente importante. Per cui non rompere. - disse, mettendo il
broncio. Si sentì immediatamente in colpa per come stava
trattando Ed; oltretutto il portiere della Toho gli era sempre stato
simpatico. Ma quello era il primo contatto che aveva con i suoi
compagni di squadra, da quando era nella pelle di Mark; doveva stare
attento, molto attento. E cercare di comportarsi come
Mark non era affatto facile.
-
Scusa – disse poi – Sono un po'...stanco. -
Ed
inspirò profondamente, guardandosi intorno con imbarazzo. -
No, scusami tu. E' che...avrei bisogno di parlarti, capitano. -
Ahia,
si disse Julian, mettendosi sulla difensiva.
-
C'è qualche problema...? - disse il ragazzo, sudando freddo.
Ed
cominciò a grattarsi nervosamente le braccia.
-
No, non c'è nessun problema. Cioè...è solo
che... -
-
Che...?! - Julian stava cominciando a spazientirsi.
Ed
prese coraggio e fissò negli occhi il suo capitano.
-
Beh, tanto per cominciare Danny era con la sua ragazza al “Red
Rose Speedway”, l'altra sera – disse – Mi ha detto
che ti ha sentito cantare e suonare il pianoforte meglio di Miles
Davis. -
Uh,
oh.
Julian
impallidì. Quello poteva essere davvero
un problema.
I
due si guardarono con reciproco sospetto per un istante
interminabile.
-
Non hai proprio niente da dirmi? - disse infine Ed.
Julian
tacque, pensando a cosa era meglio fare. Mentire e dire a Ed che quel
tipo con la sua faccia, il suo fisico e (in caso Danny l'avesse
vista) la sua ragazza non era lui? No, con ed Warner, che conosceva
Mark da anni, non era decisamente il caso. Era il momento di tirare
fuori la faccia tosta.
-
Beh, io non l'ho visto. Poteva anche venire a salutarmi, quella
carognetta! -
Ed
abbassò le spalle di colpo, senza smettere di fissare Julian.
-
Mark, per favore – disse – Ti conosco da secoli, e non ho
mai visto un pianoforte in casa tua, a meno che tu non lo tenga
nascosto sotto il letto. -
-
Allora la prossima volta vieni a sentirmi, magari ti dedico una
canzone. Ti va bene “Scandal”, visto che qua non si usa
più farsi i cazzi propri? - D'accordo, Julian aveva capito
l'antifona, ma quando era troppo era troppo. Ad ogni modo Ed percepì
il cambiamento d'umore del capitano.
-
E dai, Mark, non intendevo... -
-
No, intendevi eccome! - sbottò Julian, con sincera rabbia –
Va bene, tu non sapevi che io suono il pianoforte, è molto
grave? Non sapevi che mi sono...mi sono riconciliato con Julian Ross,
è un problema? Io non sapevo nemmeno che Danny avesse una
ragazza, è
un problema?! Perchè
tutti devono sempre sapere
tutto di tutti, cazzo?!
Non
posso avere anch'io la mia vita privata?! -
-
Ok, ok, hai ragione, scusa – disse timidamente Ed - Non volevo.
E' solo che...è così strano... Perdonami, davvero. Non
volevo, hai perfettamente ragione. -
Julian
sbollì all'istante, sentendosi anche in colpa con il portiere.
Un brivido gli corse per la schiena nel preciso istante in cui si
rese conto che si stava comportando esattamente come avrebbe fatto
Mark. Probabilmente anche con le stesse parole.
Miseria
schifa.
Stava
davvero cambiando.
Julian
pensò, tra sé e sé, che, in ogni caso, doveva
continuare con la pantomima per il bene di tutti.
-
Perdonato – disse, facendo l'occhiolino al ragazzo e
sbattendogli una mano sulla schiena – Hai qualche altra
stronzata da dirmi? -
Ed
fece un vago sorriso, senza riuscire a rilassarsi. - Ha chiamato
Peter Colby – disse – Abbiamo un'amichevole con la
Thailandia a Tokio, fra tre giorni. -
-
Fra tre giorni? - disse Julian sorpreso – E ce lo dice solo
adesso? -
Ed
annuì. - Doveva essere il mese prossimo – disse –
Ma ieri ha chiamato l'allenatore dei thailandesi. Problemi
burocratici. I passaporti dei giocatori, permessi d'espatrio o cose
simili, per cui o sabato o niente. Colby era molto indaffarato,
quindi mi ha chiesto di far girare la voce e di scusarsi. Del resto,
è come se fosse un'allenamento, sai meglio di me che quelli
sono delle grandissime schiappe. -
-
Accidenti – disse Julian. Anche quello poteva essere un
inconveniente. Ed stava già sospettando che qualcosa non
andava; cos'avrebbero pensato gli altri se l'avessero visto giocare
come Mark Landers (o peggio, avessero visto Mark giocare come lui)?
-
Ma non era quello il punto – disse Ed, interrompendo il flusso
dei pensieri di Julian – Prima di passare da te ho provato a
chiamare Philip Callaghan. E... -
-
E...? -
Ed
era visibilmente confuso.
-
Philip aveva una voce stranissima, quasi piangeva, non capiva un
accidente. Mi ha chiesto di richiamarlo più tardi. -
-
Beh, probabilmente stava male – disse Julian.
-
No, non credo fosse quello...vedi, Mark, in sottofondo si sentivano
delle voci...strane. Insomma, Price e Hutton stavano litigando, ci
crederesti? Loro che non si sono mai cagati nemmeno di striscio...-
Julian
rimase un momento a bocca aperta.
-
Senti – disse infine – Avrai capito male. E poi cosa ci
farebbero Holly e Benji a casa di Philip Callaghan? -
-
Ti assicuro che erano loro, capitano – disse Ed – Quelle
voci le riconoscerei ovunque. E, a giudicare dal poco che ho sentito,
stavano facendo scendere tutti i santi dal calendario. Insomma, ho
pensato anch'io che poteva essere normale che quei due litigassero,
tutti litigano, anche se non ho mai sentito Oliver Hutton arrabbiarsi
con qualcuno, ma che diavolo ci facevano a Hokkaido? Poi sono uscito
per venire da te e, passando davanti ad un'edicola, ho visto questa.
-
Ed
porse a Julian la stessa rivista che era stata fatta quasi ingoiare a
Philip poco tempo prima.
-
Cazzo – esclamò Julian sfogliandola – Ti credo che
stavano litigando. Questa robaccia è degna di una causa
miliardaria... -
-
Non era di quello che stavano litigando, anche se avrebbero avuto
tutti i motivi per essere incazzati come bufali – disse Ed
scuotendo la testa – Epiteti poco gentili a parte, dicevano
cose piuttosto...ehm...strane...
-
Ed
tacque un momento, dando a Julian l'impressione di stare cercando le
parole adatte per continuare la frase. Il capitano della Mambo si
chiese se fosse il caso di cominciare a preoccuparsi.
-
Sì, decisamentestrane,
direi. -
Julian
si preoccupò davvero.
-
Quanto
strane? -
Ed,
che sembrava non aspettare altro, tirò fuori un cellulare
dalla tasca dei pantaloni.
-
Vuoi sentirlo da te? - disse.
Julian
prese il telefono.
A
casa di Philip la situazione era ormai precipitata.
Holly
era in bagno da mezz'ora, pazientemente assistito dalla fedele Patty,
che gli medicava le ferite e i lividi. Ne aveva prese parecchie,
anche perchè ogni volta in cui colpiva Benji, o meglio, il
corpo che lo ospitava, si fermava preoccupato chiedendo “Mi
sono fatto male?” e poi mettendosi a urlare come un pazzo,
temendo di essere diventato schizofrenico. Patty era riuscita a
dividerli prima che l'amore della sua vita perdesse quel poco di
cervello che gli rimaneva, e anche in quel momento lo sorvegliava
attentamente per evitare che prendesse lo specchio a craniate.
Ad
ogni modo, se Holly era sconvolto, Benji invece era disperato. Oltre
ad avere provocato al suo corpo parecchi danni, cosa che poteva
rovinare la sua immagine da fotomodello, la ragazza che prima gli
aveva fatto girare la testa ora aveva fatto fagotto e stava infilando
la porta.
-
Julia, per favore, aspetta un momento...Julia! -
Benji
le afferrò un braccio, facendole cadere la valigia.
-
Lasciami! Lasciami, dannazione, e va' al diavolo! - gridò
Julia, che ne aveva decisamente le tasche piene di tutta
quell'assurda faccenda.
-
Fammi spiegare, almeno!! - piagnucolò Benji – Ti
prego...io non sono quello che sembro... -
-
Oh, beh, grazie tante, questo l'avevo capito da sola! - rispose
Julia, acida come un limone – E' proprio per questo che me ne
vado!! -
-
Ma io ti amo, Julia! Per favore, dammi una possibilità! -
Julia
strabuzzò gli occhi. - Mi ami? - disse – Mi
ami?!
Ma crepa, imbecille!! - Ciò detto, mollò a Benji un
potente calcio al basso ventre. Il ragazzo si accasciò a terra
ululando; Freddie Marshall, che aveva seguito l'azione, mugolò
empaticamente di dolore. Dopodichè Julia afferrò la
valigia e cercò di dirigersi verso l'uscio di casa Callaghan,
ma Benji, che non si era comunque perso d'animo, le si aggrappò
ad una gamba con tutte le forze che gli rimanevano, facendola quasi
cadere.
-
E staccati! - gridò Julia, scuotendo la gamba –
Staccati, stronzo! -
-
Ma non mi conosci nemmeno! - disse Benij con un filo di voce –
Hai un'idea di quello che mi è successo? Non puoi aver visto
come sono veramente, in queste condizioni! -
-
Oh, direi che ho visto abbastanza, invece! - disse Julia, cercando di
pestare le preziose mani del portiere dalla sua caviglia. Benji,
stoicamennte, non mollò la presa.
-
Mi hai imbrogliato, tanto per cominciare – continuò la
ragazza, con voce tremante – Hai finto di essere Jenny
per...per tentare di conquistarmi e...oddio, chissà che altro
avevi in mente! -
-
Ehi, io non avevo in mente proprio niente! - sbottò Benji –
E poi cosa cazzo avrei dovuto fare, scusa?! Ero
Jenny!!
-
-
No, non lo eri! - gridò Julia – Non lo eri affatto, e
non avresti dovuto fare proprio niente, se solo avessi avuto un
briciolo di coscienza! -
-
Oh, volete smetterla di urlare?! - intervenne Philip piombando in
soggiorno – Sto cercando di richiamare Ed, dannazione! Se
continuate con questo casino... -
-
VA'
A FARTI FOTTERE ANCHE TU!!
- esclamarono all'unisono Benji e Julia.
Philip
rimase basito, più che altro per il frasario della cugina.
-
Dio li fa e poi li accoppia, eh, Callaghan? - disse Freddie (il quale
aveva ormai raggiunto definitivamente l'atarassia), mentre,
spaparanzato sul divano, faceva zapping da un canale all'altro. - Tra
parentesi, che ti ha detto Warner? -
-
Eh, avessi capito qualcosa!! - rispose Philip allargando le braccia –
Come se non bastasse, quando mi ha chiamato quei due deficienti si
stavano menando di brutto, ho dovuto troncare la telefonata prima che
Ed cominciasse a sospettare qualcosa... Adesso è la terza
volta che riprovo a chiamarlo, ma a casa non mi risponde! -
Philip
tornò al telefono, mentre Benji e Julia tornavano alla loro
discussione.
-
Come se non bastasse, non hai lasciato passare un secondo senza
prendertela con quel poveraccio di Holly per...per qualsiasi cosa,
maledizione! Va bene, da quanto ho capito non è un genio, ma
l'hai trattato in maniera vergognosa! Si può sapere cosa ti ha
fatto?! Ti ha fregato la ragazza...no, questo è impossibile,
purtroppo. Ti ha avvelenato il cane?! -
-
Julia, quella è storia vecchia – disse Benji –
Lascia perdere Holly, voglio che parliamo di noi,
adesso! -
Lei
lo fulminò con lo sguardo. - Noi? - disse – Non c'è
mai stato né ci sarà un noi, Benjamin
Price.
Ho visto benissimo chi c'è dietro quella faccia, qualunque
faccia sia. Sei uno sbruffone, arrogante, presuntuoso, egoista,
stupido e volgare donnaiolo. Manca qualcosa? -
Benji
affondò, colpito nel profondo.
-
Sei ingiusta – disse piano – Anch'io ho dei pregi, se
solo riuscissi a mostrarteli... -
-
Oh, certo che ne hai: non siamo parenti, ad esempio. -
Detto
questo, Julia sferrò un colpo di tacco nelle gengive del SGGK.
-
E nemmeno amici – concluse, prendendo i suoi bagagli e aprendo
la porta di casa.
Il
portiere della nazionale giapponese rimase a guardare il soffitto, e
per la prima volta dopo anni i suoi occhi si riempirono di lacrime.
-
Sei sicura di voler andare? - disse Jenny abbracciando la cugina del
suo fidanzato.
-
Sì, credimi, è molto meglio così. Bacia Philip
per me, credo sia ancora troppo sconvolto per capire cosa sta
succedendo. -
-
Mi dispiace tanto per quello che è successo. -
Julia
diede un'ultimo sguardo amareggiato a Benji, sdraiato sul pavimento,
ferito non solo nell'orgoglio.
-
Anche a me. Ma non era colpa di nessuno, in fin dei conti. Stammi
bene, Jenny, spero di rivederti, prima o poi. -
Appena
Julia si fu chiusa la porta alle spalle, arrivò Philip.
-
Niente da fare, Ed non risponde. Ehi! Dov'è finita mia cugina?
- disse, guardandosi intorno.
-
Ha fatto quello che avrebbe dovuto fare molto prima – disse
Jenny – E' tornata a casa. -
-
Accidenti – disse Philip – Avrei voluto salutarla
decentemente, almeno. -
In
quel momento Holly entrò in scena barcollando, il volto
ricoperto da innumerevoli cerotti. Patty lo seguiva, pronta ad
afferrarlo in caso di svenimento.
-
Che è successo a Benji? - domandò.
Philip
guardò il ragazzo, che non accennava a muoversi dalla sua
scomoda posizione, e, di tanto in tanto, tirava su col naso.
-
Ha avuto un duro scontro con la realtà – disse Freddie
senza staccare gli occhi dalla tv – Toh, erano secoli che non
vedevo “George & Mildred”! -
-
Più che con la realtà, direi con un bel paio di stivali
– buttò lì Philip, immaginando quello che poteva
essere capitato.
Holly
si chinò lentamente verso il compagno di squadra.
-
Tutto a posto? - disse con voce dura ma sinceramente preoccupata.
Benji
sospirò e si alzò a fatica, ma rifiutando la mano che
Holly gli porgeva.
-
Che domanda del cazzo – disse, con voce rotta – Proprio
una domanda del cazzo. -
Poi
prese armi e bagagli e se ne andò in cucina.
Holly
rimase immobile, accucciato sul pavimento, lo sguardo perso nel
vuoto.
-
Mi odia – disse – Mi odia veramente. Ma cosa gli ho
fatto? - disse.
Patty
gli pose una mano sulla spalla. - Niente, non preoccuparti. E' fatto
così, lo sai. Lo conosci da tanto... -
Il
capitano della New Team scosse la testa e guardò la ragazza
con occhi tristi.
-
Sono davvero così scemo, Patty? Insomma, non è che io e
Benji ci siamo mai parlati chissà quanto in questi anni, ma
non mi ha mai insultato così... Insomma, che gli ho fatto?
Gli ho solo chiesto come stava, era lì per terra, con una
faccia che non sembrava gli fosse morto il gatto! Che male c'è
a chiedere come stai...? -
Nessuno
ebbe il coraggio di dire alcunchè.
-
Ehi - intervenne Freddie, che stava guardando un quiz televisivo –
o sapete che i Doors non avevano un bassista? -
Patty
respirò profondamente e si chinò verso Holly.
-
Non sei affatto scemo – disse, anche se, a dire la verità,
stava cominciando a pensare il contrario – Sei solo...ingenuo.
Privo di malizia, ecco. Come sono le persone buone. -
-
Ecco perchè non ti sei mai accorto che la fanciulla qui
presente ha un debole per te – disse Freddie, il quale, anche
se non sembrava, non si perdeva nulla.
Holly,
che stava lentamente portando la sua mano verso quella di Patty, si
bloccò all'istante.
-
Come...? - disse, guardando Patty con un'aria così candida che
più candida non si può neanche col candeggio.
-
Appunto – disse Patty, sospirando.
Ci
pensò lo squillo del telefono a salvare momentaneamente la
situazione.
-
Oh, è Ed! - disse Philip afferrando la cornetta –
Pronto, Ed? Scusami per prima, ma... -
-
Veramente non sono Ed, Philip – disse Mark dall'altro capo del
filo.
Philip
rimase interdetto per un istante. - Mark...? Sei tu...? -
Julian
sorrise tra sé e sè. - Sì, sono io. Come va? -
-
Bene. Che sorpresa... Scusami, prima mi aveva chiamato Ed, e... -
-
Digli di andare affanculo – gridò Benji, imbufalito,
dalla cucina. Philip cercò di tappare la cornetta come meglio
poteva, ma inutilmente.
-
Come...? -
-
Niente! - si affrettò a dire Philip. Senza mollare il
telefono, chiuse la porta della cucina con un calcione.
-
Phil, per caso c'è Holly lì con te? -
-
No! - gridò Philip, diventando paonazzo – Assolutamente
no. E'...è il pappagallo che mi ha regalato Jenny. E' molto
maleducato... -
-
Strano – disse Julian, sospettoso – Mi sembrava... -
-
No, no, te l'assicuro. Comunque...perchè mi hai chiamato? -
-
Ha telefonato Peter Colby. Questo sabato abbiamo un'amichevole con la
Thailandia, mi domandavo se... -
-
Sabato?! Con la Thailandia?! - sbottò Philip – Ma è
impazzito?! -
Holly
dimenticò all'istante i suoi problemi; drizzò le
antenne e si attaccò al ricevitore. Philip cercò invano
di mandarlo via.
-
Lo so, è un po' tardi, ma ci sono stati dei problemi
con...insomma, dei problemi. Ma, in fin dei conti, è solo
un'amichevole. Io e Ed stiamo facendo girare la voce, ma... -
-
Ve l'avevo detto che c'era un'amichevole! - esclamò Holly,
trionfante. A Freddie cominciarono a prudere le mani.
Philip
riprese il controllo della telefonata allontanando Holly con uno
spintone.
-
Ma che diavolo...? - disse Julian.
-Ok,
Mark, avverto un po' di gente. Se vuoi posso chiamare Julian... -
-
No – disse Julian – Lui lo...lo avverto io. - Piuttosto,
sai qualcosa di Holly e Benji? -
-
Anche troppo – sospirò Philip, involontariamente –
Cioè...sì, no...li sento io, d'accordo? Ti saluto,
stammi bene. - E riattaccò, lasciando Mark completamente
interdetto.
-
Cazzo...lo sapevo che non c'era limite al peggio. - disse.
-
Su con la vita – disse Freddie, alzandosi dal divano –
Quelli là sono delle pippe! -
-
Sì – disse Philip – Ma si dà il caso che
siamo senza portiere titolare e senza il nostro miglior attaccante.
Come la mettiamo?-
-
Philip ha ragione – intervenne Holly – Non possiamo
giocare in queste condizioni! Già i giornalisti ci hanno
distrutto, non vorrei che finissero il lavoro...e poi dovremo dire a
Colby che né io né Benji possiamo giocare! -
Freddie
si grattò la testa. - Gli diremo che vi siete infortunati
durante un allenamento - disse – In fin dei conti, è già
capitato che mezza squadra fosse massacrata durante una partita... Ad
ogni modo, di punte ne abbiamo anche troppe e Warner in porta sarà
più che sufficiente. -
-
Sì, ma se prova a fregarmi il posto di titolare gli taglio le
palle – intervenne Benji da dietro la porta della cucina,
sempre più nero, con la consueta finezza.
Gli
altri lo ignorarono.
-
E poi, se qualcosa non dovesse funzionare, Colby potrà sempre
usare il suo classico schema “tutto avanti-e-eeeh, tutto
indietro-o-oooh”! - continuò Freddie con sarcasmo. Non
aveva mai apprezzato molto la visione del gioco di Peter Colby, a
dire la verità. - E non dimenticate che Landers è in
perfetta forma, e abbiamo anche Ross...quello gioca poco, ma quando
gioca...Insomma, state tranquilli, siamo in una botte di ferro! -
Peccato
che l'ultimo a pronunciare quella frase fosse stato Attilio Regolo.
Ma Freddie non sapeva nemmeno chi fosse.
-
Allora? - disse Ed, mentre Julian fissava, attonito, la cornetta del
telefono.
-
Allora c'è qualcosa che non va – rispose il ragazzo.
-
Visto che avevo ragione a preoccuparmi? -
Julian
ci pensò su un paio di minuti.
Philip
evasivo come non mai.
Holly
che lo mandava, di punto in bianco, a quel paese (con una volgarità
mai sentita, poi).
Benji
che...
Benji.
Aveva
detto una sola frase e anche piuttosto insignificante, ma il
modo
in cui l'aveva pronunciata...
-
Senti – disse infine – Vai a casa. Ci vediamo sabato e
vediamo cosa succede, ok? -
Ed
tentennò un momento.
-
D'accordo. Volevo solo dirti che...beh, se hai bisogno di una mano
per l'esame di matematica te la posso dare io, ok? Non c'è
bisogno che tu la chieda a Ross. - disse, con malcelata ironia.
Oh,
cacchio,
pensò Julian, ecco
di cosa dovevo parlare con Mark!
Glie l'avrebbe detto quella sera, quando l'avrebbe chiamato per
sapere se la missione salvataggio sax era riuscita.
-
No...non preoccuparti – disse, sedendosi di peso sul divano –
Risolverò anche quest'altra grana. In ogni caso, grazie per
l'interesse. -
-
Di niente – disse Ed aprendo la porta – A che servono gli
amici? -
Julian
sorrise. Era la seconda volta che sentiva quella frase nel giro di
poco, e, nella sua banalità, non l'aveva mai trovata così
bella.
-...Theeese
songs of freedom...'Cause all I ever haaave... -
cantò Mark, stonando come una campana. Di Juolian aveva la
voce, ma l'intonazione era rimasta la sua.
-
...Redeeemption songs... Di'
un po', fenomeno, ti piace Bob Marley? - disse poi allegramente.
Theodore non rispose, gli occhi iniettati di sangue apparentemente
fissi sulla strada, in realtà persi nel nulla. Mark si sporse
avanti, appoggiandosi con i gomiti ai fianchi dei sedili anteriori.
-
Certo che sei un bel cafone. Potresti almeno fare sì o no con
la testa... – disse - Chissà, magari a quei due
chilometri di guard-rail su cui hai rifatto la fiancata non
dispiaceva...e magari anche a quelle vecchiette che stavi per
investire sulle strisce pedonali, hm? Che dici se torniamo indietro a
chiederglielo, ammesso che siano ancora vive? -
Mark
era decisamente su di giri; lungo la strada da Fukuoka a Tokio non
aveva fatto altro che ringraziare mentalmente Julian Ross e pensare
che tutte le sue opinioni su quel ragazzo erano cazzate. Bel coglione
era stato, a non dargli possibilità di diventare amici. Certo
che anche Julian non gli aveva dato grandi opportunità; non
aveva dato grandi opportunità a nessuno, a dire il vero. Pochi
tra i ragazzi della nazionale giovanile potevano dire di essere
veramente suoi amici. Philip Callaghan, forse. E anche Holly, ma
quello era amico di tutti. Incredibile come facesse a tenere la Mambo
unita intorno a sé, nonostante i compagni di squadra non lo
amassero, ma gli portassero solo il rispetto che si deve ad un buon
capitano...
Ad
ogni modo quell'esperienza l'aveva decisamente cambiato.
O
no.
No,
forse Julian non era affatto cambiato.
Si
poteva cambiare un'opinione, ma non la propria personalità.
Mark
sorrise, quasi orgoglioso del suo nuovo amico. La gente non cambia, è
la situazione in cui si trova a far emergere il vero carattere.
E
Julian di carattere ne aveva da vendere. Come lui, del resto.
“Le
due tigri”...sai che figata!
Mark
tornò ad appoggiarsi al suo sedile chiudendo gli occhi e
incrociando le mani dietro la testa.
-
Beh, ad ogni modo l'autoradio è rotta – continuò
- Quindi ti devi accontentare del sottoscritto.
Redeeemption...AAAGH!!
-
Theodore
aveva inchiodato all'improvviso ad un pelo dal cancello di casa Ross.
Se Mark non avesse indossato la cintura di sicurezza, si sarebbe
infilato tra i sedili anteriori e piantato la leva del cambio nello
stomaco.
-
Siamo arrivati - disse l'autista con un filo di voce. Poi svenne,
crollando a faccia in giù sul volante.
-
Ho notato - ribattè Mark spostando la testa dell'autista dal
clacson che si era messo a strombazzare senza controllo, richiamando
l'attenzione di Albert, il giardiniere.
-
Cosa diavolo succede...? Oh, signorino, è lei? - disse,
aprendo il pesante cancello di ferro battuto.
Mark
scese dall'auto spolverandosi i vestiti.
-
Per favore, Albert, porti l'auto in garage. Theodore non mi sembra in
grado di guidare, per il momento...E poi chiami il carrozziere. Anzi,
meglio, chiami lo sfasciacarrozze, ormai quella carretta è da
buttare... -
Il
giardiniere girò intorno alla Mercedes, sconvolto.
-
Per l'amor del cielo, signorino Julian! – disse, notando con
grande preoccupazione i segnacci sulla fiancata – Avete avuto
un incidente?! State bene?! -
-
Uh, sì, grazie, io sto benissimo. Theodore un po' meno, credo,
ma niente di grave - rispose Mark con la massima nonchalance -
Piuttosto, avrei bisogno di un grosso favore. Anzi, due. -
-
Dica pure – disse Albert spostando il corpo ormai inerte di
Theodore sul sedile del passeggero.
-
Mi servono le chiavi del capanno degli attrezzi. E poi, per favore,
leghi i cani; devo andare subito nel parco e non vorrei...ehm...che
si ripetesse la situazione di qualche giorno fa... -
Albert
annuì, intuendo il problema. - Il capanno è già
aperto, signorino, stavo giusto sistemando il tagliaerbe. E i cani
sono nel serraglio, dopo quello che le è successo ho deciso di
non lasciarli più liberi quando c'è gente in giro. Non
prima di aver sentito l'opinione di un veterinario, per lo meno...
Anche se, a dire la verità, un po' mi dispiace per loro. -
-
No, no, meglio così – disse Mark, anche se si sentiva
piuttosto in colpa per quelle povere bestie. In fin dei conti,
intuendo che lui non era affatto il loro padrone, avevano solo
compiuto il loro dovere.
Sentendosi
comunque più sollevato all'idea di non rischiare di trovarsi
faccia a faccia con i loro aguzzissimi canini, Mark ringraziò
nuovamente Albert e corse via attraverso il cancello.
Giunto
al capanno degli attrezzi, si guardò in giro con fare
circospetto, sperando che i genitori di Julian fossero ancora fuori
dai piedi e che Theodore rimanesse in stato catatonico ancora per un
po'.
Entrò,
accese la luce e individuò immediatamente il baule in cui
Julian doveva aver nascosto il sassofono. Si guardò intorno,
cercando qualcosa in cui avvolgere lo strumento, quanto meno per
nasconderlo alla vista, ma non trovò nulla che gli potesse
servire. A dire la verità, in quel capanno non c'era proprio
nulla. Nulla di particolare, almeno.
Un
tavolo, una rastrelliera a muro in cui erano incastrati gli attrezzi
da giardino, un tavolo, due sedie e il grosso baule, privo di
serratura, che doveva contenere l'oggetto del ricatto.
Nient'altro.
Insomma,
qualcosa suonava strano a Mark. Il quale, però, decide di
fregarsene.
Si
inginocchiò e spalancò il baule, certo di trovarsi
davanti agli occhi il lucidissimo strumento musicale, o quanto meno
la sua custodia; invece quello che vide gli fece spalancare, per
l'ennesima volta, gli occhi dallo stupore.
-
E questa roba...santa peppa! - disse, sorridendo sbalordito –
E'...è incredibile! -
-
Cosa
è incredibile, signorino?
-
Mark
sobbalzò e lasciò andare il coperchio del baule, che si
chiuse con un tonfo, e quando vide chi
gli
stava parlando il suo cuore si fermò un secondo.
Theodore
lo stava guardando, appoggiato di peso allo stipite della porta, con
gli occhi stralunati, ansimando pesantemente. Era ridotto davvero
male; capelli arruffati, uniforme stropicciata, camicia metà
fuori e metà dentro i calzoni, cappello storto sulla testa.
Porcadiquellavaccaschifosa,
pensò Mark.
Adesso
sì che era nei guai.
-
Che cazzo ci fai qui? Non dovresti essere in coma? -
Theodore
ghignò. - Pensavi veramente di avermi messo al tappeto? -
disse - Per tua sfortuna ci vuole ben altro per liberarsi di me... -
-
Peccato – disse Mark a denti stretti – Vuoi che chiami i
cani? Forse loro ce la possono fare... -
-
Non credo proprio; a me girano al largo, i tuoi Goering e Goebbels.
Li conoscono bene, i miei metodi educativi... -
-
Immagino quali, dal bel pezzo di merda che sei... -
-
Continua pure a fare lo spiritoso, non cambierà un solo chiodo
alla tua cassa. Mi ci vorranno mesi di analisi per cancellare il
trauma che quei piccoli criminali mi hanno provocato...o meglio, che
tu
hai lasciato che mi provocassero...ma almeno adesso avrò la
mia dolcissima vendetta. Ti spedisco dritto in manicomio, ti
spedisco...e i tuoi genitori mi ringrazieranno pure. E ora vedi di
aprire quel dannato baule. La tua cara mammina arriverà tra
poco e credo che le farebbe molto piacere sapere cosa contiene... -
Mark
impallidì. - Oh, no... - sussurrò.
-
Oh, sì,
invece... -
Mark
fissò Theodore negli occhi e non si mosse di un millimetro.
Non era la minaccia a fargli paura ma la faccia da pazzo di
quell'uomo, e glie ne fece ancora di più la chiave inglese che
stringeva nella sua mano tremante. Meglio non scherzare troppo,
poteva essere decisamente pericoloso per la sua salute.
Però,
una piccola rivincita poteva ancora prendersela.
Strinse
gli occhi e fece un sorriso molto, molto ironico.
-
Prego, allora - disse il ragazzo, aprendo il coperchio del baule e
spostandosi in fianco ad esso – Sai cosa cercare, no?
Prenditelo da solo. -
Theodore
lo guardò con sospetto, ma si avvicinò al baule a sua
volta, senza togliere gli occhi di dosso a Mark.
-
Non fare un passo – disse, stringendo la chiave inglese ancora
più forte – O giuro che ti ammazzo. E forse per te
sarebbe anche meglio, visto il posto in cui finirai tra poco. Nessuno
si è mai divertito con me e l'ha fatta franca dopo, sappilo.
-
Mark
incrociò le braccia e lasciò che Theodore si
avvicinasse alla cassa.
-
Sai cosa direbbe il mio amico Mark Landers, adesso? -
Theodore
lo ignorò, chinandosi a guardare verso il fondo del baule. Ma
non fece in tempo a vedere proprio nulla.
-
Direbbe che c'è sempre una prima volta. -
Con
un rapido movimento, il ragazzo diede una spintarella al coperchio
del baule che si chiuse di colpo sulla mano libera di Theodore.
L'autista
si alzò di scatto urlando di dolore e lasciando cadere la
chiave inglese.
-
UAAARGH!! Figlio di puttanaaah!! Mi hai sfracellato le dita!! Mi
hai sfracellato le ditaaa!! -
Mark
non perse il controllo della situazione, e soprattutto della reazione
che Theodore avrebbe potuto avere; senza distogliere lo sguardo
dall'autista che saltava e urlava per il capanno, portò
lentamente una mano alla rastrelliera, cercando la vanga. Insomma,
non si poteva mai sapere...
Fortunatamente
non ne ebbe bisogno.
-
In nome del cielo, cosa
state facendo?! -
Ashley
Ross apparve sulla soglia, pallida per lo spavento. Accanto a lei
Albert reggeva la grossa colubrina che teneva sempre carica e pronta
per ogni evenienza.
-
Ashley!! - esclamò Theodore mostrando le mani alla donna –
Ashley, tuo figlio è un pazzo schizofrenico!! Guarda cosa mi
ha fatto!! -
-
Per quel che ti servivano... – disse Mark.
Ashley
Ross lanciò uno sguardo sconvolto prima al suo amante, poi a
Mark.
-
Theodore, voglio sapere immediatamente
cosa
sta succedendo, come hai fatto a ridurti in questo stato pietoso e,
soprattutto, cos'ha a che fare mio figlio con tutto questo! -
Theodore
fece un ghigno cattivo, convinto di avere la situazione in pugno, ma
non sapeva affatto che Mark aveva un'ottima carta ancora da giocare,
ben nascosta nella manica.
-
Coraggio, signorino.
Mostri a sua madre cosa tiene nascosto in quel baule. -
-
Nascosto...? Che storia è questa?! - disse Ashley con notevole
disappunto.
Albert
impallidì e abbassò la colubrina.
-
Signorino Julian... - disse.
Mark
guardò il giardiniere, che aveva un'aria davvero mortificata,
e sorrise.
-
Non si preoccupi, Albert – disse Mark – Prima o poi glie
l'avrei detto. Solo, speravo che la situazione fosse diversa. -
Si
avvicinò al baule e appoggiò una mano sul coperchio.
-
A proposito, Theodore, devo ringraziarti per la solerzia con cui ti
preoccupi per la mia salute mentale... – aggiunse Mark con la
giusta punta di cattiveria nella voce.
-
Poche storie – disse l'autista, perdendo definitivamente le
staffe – Non credere di cavartela con qualche frase patetica.
Ora, Ashley, vedrai con i tuoi occhi come il tuo amato figliolo si
attiene alle prescrizioni del suo medico. -
Spinse
Mark di lato e aprì il pesante coperchio del cofano –
Prego, a te l'onore. - disse, con aria soddisfatta.
Ashley
si chinò, tremante, e non appena ebbe scorto il contenuto del
baule spalancò gli occhi.
-
Oh, mio Dio... - disse la donna, portandosi le mani alla bocca –
Mio Dio... -
Theodore
lanciò a Mark uno sguardo che significava “ti ho
fregato, bastardo”; ma il sorriso con cui gli rispose il
ragazzo voleva dire esattamente la stessa cosa. Restava solo da
capire chi dei due avesse fregato l'altro.
-
Allora, Ashley, cosa ne pensi? - disse Theodore.
La
donna si voltò verso Mark, con le lacrime agli occhi.
In
un attimo a Theodore si cancellò il sorriso dalla faccia.
-
Meraviglioso?!
- esclamò – Ma che diavolo...? -
Spinse
Ashley un po' più in là e si chinò a sua volta
verso il baule.
–
No...non
è possibile... - disse, spalancando i suoi occhietti porcini
sopra qualcosa che mai e poi mai si sarebbe aspettato di trovare.
Nella
fattispecie, un mucchietto di disegni, mescolati disordinatamente con
matite colorate, pennelli, acquerelli e svariato materiale artistico.
E
i disegni erano proprio belli, avevano colori vivaci e un tratto
molto personale. Ognuno di essi portava, in un angolino, un piccolo
scarabocchio: Julian
Ross.
-
Che diavolo è questa roba?! - berciò Theodore, gettando
una manciata di fogli in aria.
Albert
fece un sospiro di sollievo.
Voilà,
ecco svelato l'ultimo segreto di Julian. E Mark sperò che
fosse veramente
l'ultimo...
Un
innocuo segreto di cui, a quanto pareva, nemmeno il diabolico autista
era al corrente e che era stato sufficiente a sventare i suoi piani.
Se solo Julian l'avesse immaginato...
Mark
sorrise e si chinò a raccogliere uno dei disegni che aveva
attirato la sua attenzione. Lo guardò a lungo, mentre Ashley
Ross sbrodolava lacrime e commenti entusiasti di fronte ai capolavori
del figlio.
Mark
sorrise e guardò sopra la spalla della donna, che
scartabellava tra i disegni di Julian sfregandosi di tanto in tanto
gli occhi con la mano. Ashley ne teneva in mano uno che rappresentava
semplicemente una spiaggia al tramonto, con una piccolissima figurina
indistinta che sembrava allargasse le braccia sulla riva del mare.
Mark non ci capiva un accidente di arte, ma quella figurina pareva
gridare a squarciagola contro il cielo che sfumava dall'azzurro al
giallo e infine al viola.
Forse
quella figurina era proprio Julian. Era lui a gridare libertà
contro le mura che lo stavano rinchiudendo, e da cui ora, per un
incredibile mistero, era riuscito ad evadere. Poteva quasi sentirlo,
il suo urlo, più forte di quello di Munch.
Perfino
più forte di quello del Boss in “Jungleland”,
pensò Mark.
Ashley
non riuscì a trattenere un singhiozzo.
-
Se solo l'avessi saputo... – disse – Perchè non ci
hai detto niente? Sono così...così belli...così
vivi...
-
-
Ehi, guarda che non è questo che... - tentò di dire
Theodore, ma Ashley lo interruppe prima che finisse la frase.
-
Sta' zitto! - gridò rabbiosamente – E tu che mi avevi
quasi convinta che mio figlio fosse malato di mente! Guarda qui!
Quale malato di mente potrebbe creare qualcosa di così
meraviglioso? -
-
Beh, ti ricordo che nemmeno Van Gogh ci stava tutto con la...OUCH! -
Il
pestone che Mark aveva rifilato al piede dell'autista non sarebbe
stato necessario; Ashley Ross, ancora incantata davanti alle
creazioni del figlio, non lo stava affatto ascoltando e probabilmente
non l'avrebbe mai più ascoltato.
-
Dio mio, guarda questo... -
-
E' una crosta tremenda – rispose Theodore imbronciato, senza
nemmeno degnare il foglio di uno sguardo.
Ashely
sorrise e tirò su col naso. - Oh, tu non ci hai mai capito
niente di arte – disse – Che colori caldi...e che tratto,
semplice e preciso... -
In
effetti Mark concordò che quel disegno non era affatto male;
rappresentava i due cani di Julian con un tratto così
affettuoso che quelle bestie non parevano affatto due Rottweiler
assassini, ma due tenerissimi cuccioloni più tonti della
media.
-Julian...
- disse Ashley con voce tremante, voltandosi di scatto verso il
figlio. Mark pose velocemente sul tavolo il disegno che teneva in
mano, ma a faccia in giù, in modo che non fosse visibile. Più
tardi gli avrebbe dedicato un po' più d'attenzione.
–
Ti
prego, perdonami. Questi disegni sono semplicemente splendidi.
Non...non avrei mai creduto che...oh, mio Dio, quanta sensibilità!
-
La
donna scoppiò a piangere e Mark, quasi spontaneamente, la
abbracciò con affetto.
-Non
c'è niente da perdonare – disse – Ognuno si sfoga
come può. Non ho mai avuto molte vie d'uscita dalla mia
condizione, e questo era l'unico modo che avevo per evadere un po'
senza rischiare la salute. Se non avessi avuto la pittura sarei
impazzito sul serio, credo. Mi dispiace soltanto di non avervi messo
al corrente di questa...passione. Sai, mi vergognavo un po', se devo
essere sincero... -
Ad
essere veramente
sinceri, Mark non si era mai vergognato così tanto in tutta la
sua vita. Non era molto bravo nelle sceneggiate melense, anche se in
quel momento era la cosa più logica da fare per salvare il
culo a Julian. Ma solo vedere la faccia rabbiosa di Theodore,
definitivamente fregato, lo faceva gongolare. Decise che sarebbe
andato avanti ancora un po' con la pantomima, non prima di aver
rivolto il dito medio alzato all'autista, che lo guardava
imbestialito da dietro la schiena di Ashley.
-Questi
ultimi anni sono stati terribili, mamma – continuò –
Non ce la facevo più a vivere appeso ad un filo con l'incubo
che qualsiasi cosa facessi mi portasse alla tomba; se ultimamente ti
sono parso strano hai capito perchè. Voi mi avete dato tutto,
ma a me bastava solo un po' di libertà. Preferisco vivere un
po' meno, ma felice, piuttosto che restare avvolto nella bambagia
fino ad ottant'anni. -
-Julian...
-
-No,
non dire niente. So che siete preoccupati per me più che per
ogni altra cosa, ma credo che preferiate vedermi felice che vedermi
sopravvivere in qualche modo, vero? -
Ashley
si staccò lentamente dall'abbraccio di quello che credeva suo
figlio.
-Non
ti ho mai capito, Julian. Forse non ci ho provato nemmeno. Credo di
non essere stata una buona madre per te. -
Mark
prese con dolcezza la donna per le spalle. - Non dire sciocchezze! Mi
avete dato tutto quello che si può desiderare a questo mondo.
Ma ci sono cose che un uomo deve imparare a prendersi da solo, e
nessuno glie lo può impedire. Ho bisogno di uscire dalla
gabbia e vedere il mondo con i miei occhi; datemi solo la mia
libertà, la possibilità di inseguire i miei sogni nei
limiti del possibile, e saremo tutti più felici. -
-Patetico
– disse Theodore a denti stretti – Non ti rendi conto che
questo ragazzino ti sta infinocchiando? -
Ashley
lasciò andare Mark e fece due passi verso di lui,
incenerendolo con lo sguardo.
-Infinocchiando?
- sibilò – Come...come osi?!
Se
c'è qualcuno che sta “infinocchiando”
qualcun'altro, quello sei tu. Per anni mi hai fatto credere che mio
figlio fosse un pazzo isterico, impedendomi di vedere la verità!
Ma ora ho capito i miei errori...e ne ho anche avuto la conferma dal
dottor Appleyard. -
-Il
dottor Appleyard? - disse Theodore. Mark gongolò ancora di
più.
-Sì,
proprio lui. L'ho chiamato appena arrivata a casa, per sapere com'era
andata la seduta. Mi ha detto qualcosa che nessun altro psicologo
aveva mai fatto prima...e cioè che Julian è
semplicemente giovane. Giovane e arrabbiato per la malattia che ha
sopportato per tutti questi anni. E che l'unico modo per farlo stare
meglio sarebbe solo assecondarlo un po' di più. Capisci,
Theodore? Capisci cosa gli ho fatto passare per colpa tua?! -
-Mia?!?
- esclamò Theodore – Quello è veramente
pazzo furioso! Guarda cos'ha fatto alle mie mani... -
-Oh,
cosa vuoi che mi importi delle tue mani, guariranno alla svelta! Non
ti rendi conto che stavo per mandare mio figlio in manicomio?! -
-Cielo,
mamma – disse Mark fingendosi esterrefatto – Di cosa stai
parlando? -
-Di
nulla, tesoro, non preoccuparti – gli disse Ashley
accarezzandogli una guancia – E' tutto finito. Chiaro? -
aggiunse poi, rivolgendo uno sguardo glaciale all'autista.
Theodore
spalancò gli occhi, sconvolto.
-Non...non
starai dicendo sul serio, vero? -
-Mai
stata così seria in vita mia. -
-Ma
Ashley! - sbottò Theodore – Dopo tutto quello che c'è
stato fra noi...?! -
-Non
c'è stato un bel niente fra noi – si affrettò a
precisare la donna – E' vero, mi hai sostenuto nei momenti
difficili (Mark arrossì immaginando i modi in cui l'autista
doveva averla sostenuta...) ma i tuoi consigli hanno rischiato di
farmi perdere per sempre il mio meraviglioso figlio. E non ho più
intenzione di discutere su questo! - disse, anticipando Theodore che
stava aprendo bocca.
Poi
accarezzò dolcemente la guancia di Mark. - Io torno in casa,
tesoro. Se tu vuoi continuare... -
Mark
la guardò senza capire cosa cazzo dovesse continuare.
-Eh?
Oh, sì, certo! - disse, comprendendo all'improvviso a cosa si
riferisse Ashley – Devo giusto...ehm...finire uno schizzo... -
Ashley
sorrise e se ne andò, lasciando Mark estremamente soddisfatto
e Theodore completamente sbigottito.
-Visto?
- disse Mark facendo spallucce – Saperlo, che bastava così
poco... -
Theodore
non ci vide più. - Dov'è?! - sbraitò, agitando
le braccia – Dove diavolo l'hai nascosto, stronzetto?!-
-Non
capisco di cosa tu stia parlando – rispose Mark con fintissima
ingenuità.
Theodore
lo ignorò. - L'ho visto, ti ho anche sentito
strimpellare...deve essere da qualche parte! O l'hai dato alla tua
amichetta? Eh? -
-Senti,
perchè non ti arrendi? - disse Mark – Ormai ho vinto
partita e campionato. Se tu avessi un briciolo di cervello sotto quel
berretto da idiota capiresti che è giunto il momento di
mollare... -
-Stai
attento, ragazzino... -
-No,
stai attento tu – intervenne Mark puntandogli contro l'indice –
Stai molto
attento, perchè potrebbe venirmi improvvisamente voglia di
fare quattro chiacchiere con mammina... -
-Non
lo faresti mai... -
-Ah,
no? - disse Mark con uno sguardo da far gelare il sangue – Ho
scoperto di poter fare cose che non immagineresti mai, amico. Come
vedi, hai finito di farla da padrone, qui, e vedi di darti una
regolata, altrimenti ti farò rimpiangere di non esserti
licenziato una vita fa... -
Theodore
fissò Mark scuotendo la testa, sconcertato. - Tu sei matto per
davvero – disse – Non ti riconosco più... -
-Tu
non mi hai mai
conosciuto, Thaddeus
– disse Mark con disprezzo – E forse non mi conoscevo
nemmeno io. Ma certe volte le circostanze obbligano la gente a tirare
fuori il vero carattere... E dopo l'ennesima carognata Julian, il
vero Julian, si è stufato di ingoiare i bocconi amari e si è
svegliato, chiaro? E non è più disposto a sopportare
come prima. Per cui o mi tratti con il rispetto che mi devi, o farai
meglio a trovarti un altro lavoro. O a prenotarti il funerale,
perchè... - All'improvviso Mark afferrò Theodore per il
bavero della giacca e gli avvicinò il viso al suo, senza
smettere di fissarlo con occhi fiammeggianti. - ...a cortesia io
rispondo con cortesia chiaro? E se hai orecchie per intendere, spero
tu abbia inteso. Ora sparisci, se stasera ti vedo di nuovo in giro ti
farò rimpiangere il trattamento dei m... dei fratelli Landers.
-
Mark
mollò la giacca dell'autista, che barcollò un istante.
-Se...se
credi di farmi paura ti sbagli di grosso... - tentennò
Theodore, alzando debolmente una mano tremante.
-Ah,
davvero? - replicò Mark, imperturbabile.
-Da-davvero...
-
-Occhèi.
-
Mark
restò immobile ancora qualche secondo a braccia incrociate.
-BUAHAHAHAHAHA!!!
- esplose poi agitando le braccia. Theodore sobbalzò e fuggì
via urlando a squarciagola.
Mark
scosse la testa ridendo.
-Coglione
– disse.
Si
girò e socchiuse la porta del capanno. Emettendo un sospiro di
soddisfazione si mise le mani sui fianchi e osservò il grosso
poster che stava attaccato dietro alla porta stessa.
Un
piccolissimo uomo con ali da uccello volava, tutto solo, in un cielo
al tramonto.
In
un angolo, Julian ci aveva aggiunto a penna alcune strofe:
Blackbird
singing in the dead of night
take
these broken wings and learn to fly
all
your life
you
were only waiting for this moment to arise
-Il
momento è arrivato, fratello – disse Mark ribattendo ai
Beatles.
Fischiettando
le note di quella canzone, che conosceva bene, si girò verso
il tavolo e prese il disegno che ci aveva lasciato poco prima e lo
osservò molto, molto attentamente.
Era
un mezzobusto a matita di una ragazza, i lunghi capelli castani che
le incorniciavano il viso, girato di tre quarti rispetto alla linea
del collo, lo sguardo tranquillo che puntava altrove, le labbra
estese in un sorriso appena accennato.
Mark
vi riconobbe immediatamente Amy, che non gli era mai sembrata così
bella come in quel ritratto appena abbozzato.
Julian
doveva amarla davvero molto per essere riuscito a fare una cosa del
genere; quel disegno trasudava amore da ogni tratto, da ogni
cancellatura fatta al punto giusto, da ogni minimo dettaglio, la
lunghezza delle ciglia, le piccole rughe intorno al sorriso e la
fossetta sul mento, e si dispiacque quasi del fatto che probabilmente
sarebbe rimasto incompiuto.
Con
un sorriso amaro posò il disegno e si chinò nuovamente
sul baule aperto. Tastò lungo i bordi fino a quando riuscì
a trovare un appiglio, quindi sollevò lentamente il doppio
fondo, scoprendo l'oggetto della disputa, coperto da un panno
leggero.
-Wow
– disse Mark togliendo il panno e sollevando delicatamente lo
strumento.
Il
lucidissimo sax soprano di Julian era piccolo ma comunque pesante, e
la forma non era esattamente quella che Mark si aspettava; abituato
ai canonici sassofoni, grossi e curvi, il trovarsene tra le mani uno
completamente diritto gli sembrava una cosa strana.
Guardò
l'ancia con aria dubbiosa, incerto se soffiarci dentro o no, e
soprattutto come; il problema era che Mark non sapeva suonare manco
il campanello di casa sua, figuriamoci uno strumento così
complicato. Ma la curiosità ebbe il sopravvento.
-Ah,
chi se ne frega. Senti questo, Gato Barbieri! - disse ridendo.
Appoggiò
le labbra all'ancia del sassofono e ci soffiò dentro con
forza, premendo un paio di tasti a caso.
Non
ne uscì un suono.
O
meglio, quello che ne uscì non era un suono. Non un suono
umano, almeno.
Sembrava
una via di mezzo tra un peto e una soffiata di naso.
-Ma
che cazzo è?! - disse Mark, guardando lo strumento,
sconcertato.
-Sbaglio
o sei un po' giù di allenamento? -
Mark
sobbalzò e si voltò di scatto.
-Mapporc...Amy!
- esclamò.
La
ragazza era ferma contro lo stipite della porta, che evidentemente
aveva aperto senza che Mark se ne accorgesse. E chissà da
quanto era lì...che figura...
-Scusa,
Julian, non volevo spaventarti – disse, sinceramente
dispiaciuta.
-Scusami
tu – rispose Mark, posando il sassofono – Mi hai...preso
alla sprovvista! Come sapevi che ero qui? -
-Sono
solo passata a trovarti. Ho provato a chiamarti sul cellulare tutto
il pomeriggio ma non rispondevi...poi ho telefonato e Deborah mi ha
detto che eri appena tornato, così ho pensato di passare a
salutarti. E...beh, sentire come stavi. - aggiunse, con un pizzico di
imbarazzo.
Mark
sorrise. - Mai stato meglio, te l'assicuro! -
-Lo
vedo. Hai un aspetto molto più rilassato – disse Amy. A
Mark sembrò che si rilassasse a sua volta. - Di' un po', cos'è
successo a Theodore? L'ho incrociato venendo qui, mi sembrava
sconvolto... -
-Oh,
niente di particolare. Voleva solo ammazzarmi con una chiave inglese.
-
-Cosa?!
-
-Non
preoccuparti, avevo la pala sottomano. So difendermi, io! -
-Non
lo metto in dubbio - disse Amy, confusa – Non oso immaginare
come... -
-Ecco,
appunto, non immaginarlo. Per caso hai visto mia madre? -
-No,
perchè? -
-Meglio.
- Mark sollevò di nuovo il sassofono di Julian e lo porse alla
ragazza. - Senti, Amy, capiti proprio a fagiolo. Questo coso non può
rimanere qui. Theodore ha scoperto tutto, e c'è mancato poco
che lo scoprisse anche mamma. Ti prego, devi aiutarmi a
liberarmene... -
-Theodore?!
- esclamò Amy – E come ha fatto? -
-Secondo
te? Quel bastardo ha mille occhi e orecchie. Tieni, aspetta che cerco
qualcosa in cui avvolgerlo... -
-Ma
Julian, cosa faccio se i tuoi mi vedono uscire da casa tua con un
sassofono?! -
Mark
strabuzzò gli occhi. In
qualche modo ci sarà entrato, no?,
avrebbe voluto dirle, anche in tono poco gentile, ma si frenò
in tempo.
-Digli
che è per tuo cugino. Dovevi fargli una sorpresa e mi hai
chiesto se te lo potevo tenere per un po'. Non credo ti faranno
storie... -
Amy
sorrise con aria quasi soddisfatta. - Però, non te la cavi
affatto male come contafrottole! - disse.
-E'
un mestiere che si impara in fretta. Ecco, mettiamolo qui. - disse
Mark, riprendendo il sax dalle mani di Amy.
La
ragazza gli porse lo strumento e si avvicinò al tavolo. Non
appena Mark ebbe capito cos'aveva intenzione di fare gli venne un
colpo.
-No,
aspetta! - esclamò, rischiando di far cadere il sassofono.
Amy
non gli fece assolutamente caso e prese il disegno che Mark aveva
nascosto alla madre di Julian.
Fantastico,
quello mi spella vivo,
si disse, temendo il peggio. Quel disegno era l'equivalente di una
dichiarazione d'amore! Cos'avrebbe detto a Julian? E come l'avrebbe
presa Amy?
-Beh,
non l'hai ancora finito? -
Mark
restò lì come un ebete.
-Co-cosa?
-
-Questo
– disse Amy, sventolandogli il disegno sotto il naso, con un
mezzo sorriso furbetto – E' così da almeno due mesi.
Comincio ad essere stufa di posare per te, sai? -
No,
non lo sapeva. Semplicemente, Mark non sapeva più cosa dire.
Troppe sorprese, in quei pochi giorni; il mondo stava cominciando a
girare un po' troppo velocemente per lui.
-Ecco...beh,
con il ritiro e tutto il resto...non ho avuto molto tempo per... -
-Lo
so, lo so – disse Amy, senza perdere il sorriso. Pose il
disegno, incrociò le braccia e si appoggiò al tavolo in
un modo che avrebbe sicuramente fatto impazzire Julian.
-Ma
preferirei sapere perchè, con tutte le cose che sai fare, ti
ostini a voler giocare a calcio. - continuò.
Mark
si guardò in giro, sempre più confuso. Se fosse stata
un'altra persona, e non Amy, le avrebbe risposto semplicemente di
farsi gli affari propri, dato che quelli di Julian se li stava
facendo un po' troppa gente in quegli ultimi tempi, e Mark cominciava
ad averne le scatole piene di ripetere la solita tiritera sulla fuga
dalla gabbia dorata e tutto il resto. Ma vedendo Amy con quella
faccia rimase interdetto; trovare qualcosa di nuovo da dire sarebbe
diventato davvero complicato.
-Insomma,
sono...siamotutti
piuttosto preoccupati per te, sai. -
Amy
arrossì e guardò altrove.
Mark
sorrise a quella timida reazione. - Lo so – disse - e mi
dispiace davvero. Ma sai come la penso e quello che significa il
calcio per me, vero? -
-Sì,
lo so – disse Amy – E credimi, preferisco...preferiamo
vederti
felice. Ma... -
La
ragazza si interruppe, rossa fino alle orecchie. Il suo goffo
tentativo di rendere pluralizzare le sue premure non aveva bisogno di
spiegazioni. Non per Mark, almeno; per Julian, forse. Fatto sta che
dietro ad ogni singola parola si nascondeva tutto quello che Amy
avrebbe sempre voluto dire a Julian; pensa
bene a quello che fai, sei troppo importante per me, perchè ti
perda in un modo così stupido.
Il
tutto, però, complicava ulteriormente le cose; Amy non avrebbe
potuto scegliere un momento peggiore per dichiarare i suoi
sentimenti al ragazzo che, sicuramente, amava da anni. Ma le cose non
potevano rimanere bloccate ancora a lungo.
-Amy...
-
-Scusami.
- lo interruppe la ragazza, sempre più imbarazzata –
Scusami, non volevo. Sono una stupida. E' che a volte non posso fare
a meno di...insomma...lascia perdere. Dimentica quello che ho detto.
Dimentica tutto, ok? - Si voltò sorridendo, ma l'imbarazzo e
la tensione le si leggevano negli occhi, e nelle mani che le
tremavano. - E cerca di finire quel ritratto, una buona volta! -
Mark
sospirò, si avvicinò ad Amy e la guardò negli
occhi con tutta la dolcezza di cui era capace.
-Ascoltami
bene – disse.
Avrebbe
voluto prenderle il viso tra le mani, giusto per vedere se erano
davvero lacrime quelle che le rendevano così luminoso lo
sguardo, ma non lo fece. Julian non l'avrebbe fatto. Forse.
-Sono
davvero lusingato che tu ti preoccupi così tanto per me. Sul
serio. Fa molto bene al mio ego, per lo meno. - Amy si lasciò
sfuggire una risatina. - Ma dall'altra parte mi spezza il cuore.
Oddio, so che è un po' azzardata come metafora... -
-Oh,
no, tutt'altro! - esclamò Amy. Entrambi si lasciarono andare
ad una risata piuttosto liberatoria.
Poi
Mark sollevò con l'indice il mento della ragazza,
costringendolo a guardarlo dritto in faccia. Sì, erano davvero
lacrime. Di vergogna, forse.
-Io
e te dovremo fare un discorsetto, prima o poi. - le disse –
Quando sarà il momento giusto. -
Un
imbarazzante silenzio calò fra i due. Un silenzio pesante come
il piombo.
Ci
pensò Deborah a spezzarlo, precipitandosi nel capanno con il
cordless in mano.
-Signorino
Julian, Mark Landers... -
I
due si voltarono di scatto a guardarla. Deborah si fece piccola
piccola, come se avesse interrotto qualcosa di importante; senza
saperlo, invece, aveva salvato entrambi da una situazione piuttosto
difficile.
-...Mark
Landers la desidera urgentemente al telefono. -
Mark
ringraziò Deborah e prese il telefono. La donna si dileguò
all'istante.
-Pronto?
- disse, uscendo dal capanno e rassicurando Amy, piuttosto perplessa,
con un cenno del capo.
-Ciao.
Senti... - disse Julian.
-No,
prima senti tu, caro il mio Vincent – lo interruppe Mark,
parlando sottovoce in modo da non farsi sentire da Amy.
-Eh?!
-
-Non
fare lo gnorri perchè sto cominciando a diventare matto
davvero. C'è qualcos'altro che dovrei sapere su di te? Fai
bungee jumping? Hai cambiato sesso? Balli la samba? Sei il più
grande intenditore mondiale di estetica kantiana? -
-Ma
che cazzate stai dicendo? -
-No,
sai, vivere nei tuoi panni è una sorpresa ogni giorno! Solo
oggi ho scoperto che suoni il sassofono e disegni meglio di... -
Mark
si interruppe vedendo Amy che faceva capolino dalla porta. - Arrivo
tra poco – disse, coprendo il microfono.
-Chi
c'è lì con te? -
-Amy
– rispose Mark – Ma non preoccuparti, è tutto
sotto controllo. Tornando al discorso di prima, comincio a stufarmi,
sai? Sei troppo complicato per i miei gusti. -
Julian
ridacchiò. - Hai scoperto il mio hobby? -
-Quale
dei mille?! - sbottò Mark. Lanciò un'occhiata alla
porta socchiusa del capanno, sperando che Amy non sentisse. Ma la
ragazza era troppo impegnata ad esaminare i capolavori di Julian per
interessarsi della conversazione.
-Seriamente,
Julian. Fino alla settimana scorsa credevo che l'unica cosa che ti
importasse fosse giocare a calcio. Adesso scopro che hai una marea di
cose in testa, e io non riesco a stare dietro a tutto, capisci? Non
so tenere in mano una matita, né soffiare dentro ad un
sassofono. E' una situazione piuttosto pesante, sai? -
-Beh,
puoi sempre imparare – disse ironicamente Julian.
-Fottiti
– esclamò Mark, ridacchiando – Comunque Amy vuole
che le finisca il ritratto, e temo che anche tua madre, prima o poi,
mi chieda di fargliene uno... -
-Mia
madre?! -
-Sì,
tua madre. Rilassati, non ho potuto fare altrimenti. Magari, se
l'avessi saputo anch'io...Ti dirò, ne è stata
piacevolmente sorpresa, e questo mi ha dato una grossa mano a
liberarti definitivamente dalla minaccia di Theodore. -
-Theodore?
L'ha licenziato? - disse Julian gongolando.
-No,
ma da oggi avrà molto meno ascendente su di lei, fidati. E,
cosa ancora più importante, niente internamento in clinica.
Sei salvo, fratello. -
Julian
urlò di gioia. - Mark, ti bacerei! Sei grandioso! Dopo mi
spiegherai tutto. Senti, ora devo dirti una cosa piuttosto
importante. Sapevi nulla dell'amichevole contro la Thailandia che
dovremmo giocare questo sabato? -
-Amichevole?!
- esclamò Mark - No, non ne sapevo un accidente! -
-Beh,
nemmeno io. Pare sia una cosa da nulla, ma la nostra situazione
complica parecchio la faccenda. Per cui avrei qualche raccomandazione
da farti... -
-Ehi,
ehi, frena – lo interruppe Mark – Chi ha avuto questa
bella idea? -
-Colby,
ovviamente. A quanto pare avremmo dovuto giocare tra un mese, invece
i thailandesi hanno avuto problemi con i passaporti, o qualcosa del
genere...risultato, o sabato o niente. -
-Avrei
preferito niente, cazzo. Che facciamo? -
-Che
facciamo? Che fai tu! A me toccherà giocare per l'intera
partita, a te, forse, per i soliti dieci minuti, ma potrebbero essere
dieci minuti pericolosi, se giocati male...capisci quello che
intendo? -
-No
– rispose Mark, ancora frastornato – Cioè, sì.
Vuoi dire che quel poco che giocherò lo dovrò giocare
come fai tu? Cazzo, ci proverò, ma non credere che sia così
facile! -
-Appunto
– disse Julian – E a questo proposito, apri bene le
orecchie. -
-Spara.
-
-Non
strafare. Scordati di arrivare addosso agli avversari come un
bulldozer, o, peggio, di fare il tiro da tigre o qualche altra
cazzata. -
-Julian,
non sono così imbecille da farmi beccare sul più bello
– disse Mark – Tu, piuttosto, come pensi di fare? Il tuo
stile è parecchio diverso dal mio, non ti sembra? -
-Mi
arrangerò. Simulerò un infortunio, passerò agli
altri, dirò che mi voglio risparmiare per gli avversari più
pericolosi... -
-Grazie
per avermi dato del gradasso... -
-Perchè
lo sei – intervenne Julian, ridacchiando tra sé e sé.
-Beh,
grazie di nuovo per la stima! Hai altre velate critiche nei miei
confronti? -
-Finiscila,
stupido! - disse Julian – Quello che voglio dire è che
io avrò vita più facile di te. Tra noi due, sei tu
quello che si dovrà risparmiare, chiaro? -
Mark
tacque, afferrando al volo dove Julian voleva arrivare. - Chiaro –
rispose.
-Dieci
minuti di finezza, ok? Passa spesso la palla, niente corse a
perdifiato, niente azioni personali troppo prolungate. D'accordo che
da un po' di tempo va tutto bene, ma non vorrei rischiare.
Soprattutto ora che ci sei tu nei miei panni, e non sapresti come
affrontare la cosa. -
-Benissimo
– disse Mark, toccandosi i gioielli di famiglia per
scaramanzia.
-Senti,
continui a prendere i farmaci che ti ho detto, vero? -
Cazzo,
si
disse Mark, deglutendo nervosamente. Da quando era piombato nella
vita di Julian aveva toccato sì e no un paio di compresse. -
Sì...certo, figurati! - balbettò.
Julian
inspirò profondamente e alzò gli occhi al cielo. - Sì,
come no... Mark, dannazione, ne va della mia...della nostra
pelle,
lo capisci o no?! -
-Sì,
sì, non arrabbiarti, è tutto sotto controllo. -
-Lo
spero. Comunque ricordati la furosemide, cacciati in borsa l'intero
flacone...e un paio di siringhe, per sicurezza. Ah, e già che
ci sei...-
Mark
sbuffò. - Senti, Julian, non sono così idiota da
rischiare la vita per una partita, io,
chiaro? -
Julian
incassò il colpo. - D'accordo, hai ragione, sono un idiota.
Però tu non hai idea di cosa significhi... -
-Sì
che ce l'ho, maledizione! - sbottò Mark, allontanandosi dal
capanno e cercando di tenere la voce più bassa possibile –
Ce l'ho dal primo momento in cui sono stato te! Sei tu che non hai
idea di quello che significhi veramente! Ma ti conosci, Julian Ross?
Hai idea di quello che vali? Se gli altri sapessero di te la metà
delle cose che so io se lo chiederebbero tutti! Sei...cazzo, sei la
persona più in gamba che io abbia mai conosciuto, chiaro? E mi
costa parecchio dirlo. Potresti avere il mondo nelle tue mani, se lo
volessi! - Lanciò uno sguardo verso il capanno degli attrezzi
– Guarda cos'hai fatto per me. Cosa credi che penserebbero di
te Amy, i ragazzi, perfino i tuoi genitori? In tutti questi anni hai
solo mostrato agli altri quello che volevi mostrare, ma non era il
Julian intraprendente, grintoso, generoso e, cazzo, cocciuto come un
mulo che io ho conosciuto! Sei uno di quei tipi che può
ottenere tutto quello che vuole, se lo vuole davvero. Credi che
l'unico modo per dimostrarlo sia giocare dieci minuti a partita
rischiando pure di morire? Hai un mondo incredibile che ti gira
intorno, perchè non apri le porte e lo dici anche agli altri?
-
-Mark...
-
-No,
fammi finire. Ne ho le palle piene del tuo desiderio di evasione.
Evadi davvero, una buona volta, nessuno te lo impedisce, ma esistono
modi diversi dal lasciarci la pelle tirando due calci ad un pallone!
Amy sta morendo dalla paura di perderti. Quella ragazza ti ama
davvero, lo sai? -
Julian
tacque.
-Julian,
quello che sto cercando di dirti è che ti stai sprecando,
tutto qui. Me l'hai detto anche tu, il calcio non è tutta la
tua vita. Hai tutte le carte in regola per essere felice, e te lo
meriti. Cerca di capirlo, una buona volta. -
Julian
sospirò di nuovo e sorrise. - Mark, ti ringrazio per la
ramanzina, ma non ce n'era bisogno. Il vecchio Julian se ne sta
andando, sai? -
-Non
ne sono del tutto sicuro – rispose Mark – Lo sarò
solo quando le cose torneranno alla normalità. Sono confuso
anch'io, sai? -
-Si
vede. Non hai mai detto tante stronzate tutte in una volta! -
I
due risero di sollievo.
-Allora
ci vediamo sabato. Cercherò di ricordarmi la
futro...fruttos...insomma, quella roba lì. -
-Sarà
meglio. Hai portato le carte a mio padre? -
-Dopo,
dopo, sono appena arrivato e mi è già successo di
tutto, non mettermi ansia! -
-Va
bene, scusa. Da' un bacio ad Amy da parte mia...anzi, no, salutamela
e basta – farfugliò Julian, imbarazzato.
-Sì,
mi sa che è meglio. Ricordati quello che ti ho detto,
comunque. -
-Va
bene, papà! -
-Vaffanculo!
– disse Mark ridendo – Ci si vede sabato. -
-Ah...grazie.
-
-No,
grazie a te. -
-Senti,
non ricominciamo con la tiritera... -
Mark
riagganciò ridendo e tornò verso il capanno. Amy lo
stava aspettando, fingendo un'aria annoiata, tradita dalla luce che
aveva negli occhi.
-Chi
era? - disse.
-Mark
– rispose Julian – Mi ha dato una notizia inaspettata...
-
-Sembra
che siate diventati grandi amici voi due, ultimamente! - commentò
Amy, piacevolmente sorpresa.
Mark
fece lo gnorri. - Abbiamo un'amichevole a sorpresa con la Thailandia.
Cosa da nulla, a quanto pare, se non che avrei preferito saperlo
prima... Che dici, vieni a fare il tifo per noi? -
Amy
impallidì di colpo. - Oh...beh, certo! Quando...quando sarebbe
la partita? – disse, fingendo la massima indifferenza. Mark,
ovviamente, mangiò la foglia.
-Sabato
– rispose.
-Sabato.
Sì, certo che vengo! Magari ti preparo la borsa, smemorato
come sei...vuoi che passi in farmacia a prendere... -
-Senti,
Amy – la interruppe Mark - Non devi aver paura, sul serio.
Ultimamente va tutto bene e non sono un incosciente. Fidati di me,
eh? -
Amy
abbozzò un sorriso che lasciava intravedere ancora più
ansia.
-Non
ho paura. E' che...insomma, una partita importante, così
all'improvviso... -
Senza
lasciarti il tempo di prepararti psicologicamente,
pensò Mark. Mio
Dio, cosa deve passare questa ragazza...
Mark
allargò le braccia, cercando di stamparsi in faccia il sorriso
più rassicurante di cui fosse capace. - La mia preparazione
atletica è perfetta, direi! Sto anche mettendo su una discreta
pancetta da panchinaro. Che ne dici, sarà il caso che mi metta
a dieta? -
Amy,
colta alla sprovvista, spalancò gli occhi. - Cosa...ma..oh,
stupido! - E si lasciò andare ad una risata liberatrice. Mark
rise a sua volta.
-Cerca
di non preoccuparti troppo, ok? Io sto bene e sono tranquillo, e lo
sarò anche di più se lo sei anche tu. -
-Scusami,
hai ragione. E' che...sei così strano, ultimamente...non so
più cosa pensare. -
-Non
devi pensare a niente, solo che questo bel fusto che ti trovi davanti
è il vero Julian. Se n'è rimasto nascosto per un po', e
ora è saltato fuori. Che ne dici, ti piace di più
questo o quello vecchio? -
-
Mi hai già fatto questa domanda – disse – E credo
di averti già risposto. -
Mark
sorrise. Non aveva idea di quanto ciò che aveva appena detto
ad Amy fosse vicino alla verità. Quello che Mark stava
interpretando era molto più vicino a Julian di quanto fosse il
vero
Julian,
nascosto dal mondo.
Sorrise.
-Vai,
ora, prima che qualcuno ti becchi con quel coso - disse, alludendo
al sassofono – Comunque ricorda: io e te dovremo parlare, prima
o poi. -
-Me
l'hai già detto. Sto aspettando. -
-Non
ora – aggiunse Mark – Quando sarà il momento. -
I
due rimasero qualche istante a guardarsi negli occhi, Amy facendo
finta di non capire, ma in realtà afferrando benissimo la
situazione, e Mark cercando il modo per cavarsela.
Quello
non era più compito suo; toccava al vero Julian fare la sua
parte.
Ma
quando?
Mi
scuso innanzi tutto per avervi fatto aspettare così tanto con
l'aggiornamento, ma, come avrete notato, questo capitolo mi è
uscito particolarmente lungo. Lungo, brutto e ripetitivo, devo dire;
non era mia intenzione che fosse così, ma purtroppo mi è
sfuggito di mano (ometterò tutti i casini che mi sono successi
in questi mesi, incluso un nuovo lavoro che mi sta prosciugando come
un limone ma fortunatamente mi lascia qualche momento di vuoto per
fare queste cose: questo capitolo lo sto scrivendo in auto, tra un
appuntamento e l'altro ^__^).
Molte
cose mi sono sfuggite di mano, ultimamente; questa ff sta andando
avanti da sei anni (o sette? Mamma mia!) ed è inevitabile che
molte cose che si trovavano nella mia testa quando è iniziata
siano inevitabilmente cambiate, portandomi sui binari diversi da
quelli che avevo previsto all'inizio. Questo capitolo, in cui mi sono
trovata impantanata per mesi, fa parte di quei binari, e non vi dico
la fatica che ho fatto per uscirne!
Mi
scuso con tutti quelli che si stanno chiedendo dove voglio arrivare
con questa storia, ma vi garantisco che sta arrivando a destinazione;
ancora pochi capitoli e metterò la parola fine ad un'avventura
che dura ormai da troppo tempo (anche se lo farò con molta
nostalgia perchè alle mie boiate mi affeziono...).
Mi
scuso anche con chi mi ha fatto notare di essere un po' troppo OOC;
lo scriverò nelle avvertenze. In effetti all'inizio non era
previsto che lo fosse in quanto storia comico-demenziale, ma ora si
sta un po' allontanando anche da quel genere. Vedrò di
sistemare anche questo aspetto.
Tra
parentesi, avrete notato da un po' che la vicenda si sta incentrando
molto di più su Julian e Mark che sugli altri; fa sempre parte
della deviazione... Ad ogni modo non disperate, non ho intenzione di
abbandonare gli altri, e questo vale soprattutto per Benji. Ammetto
di averlo trattato malissimo, ma avrà anche lui il suo
momento. Breve? Lungo? Non ve lo dico. Abbiate solo un po' di
pazienza e comprensione, mi picchierete alla fine!
Non era passato molto tempo dall'ultimo allenamento, eppure a Mark il campo da calcio sembrava più grande del solito. Si piazzò all'uscita dello spogliatoio, a torso nudo, pantaloncini e maglietta buttata sulle spalle, una mano davanti agli occhi per ripararli dal sole.
Sorrise ed inspirò profondamente, facendo tesoro dell'aria tiepida di quella mattina di agosto, poi tornò negli spogliatoi canticchiando.
I compagni di squadra si scambiarono uno sguardo interrogativo. Julian (o meglio, quello che loro credevano fosse Julian) era stato tra i primi ad arrivare, ed aveva salutato i pochi presenti dispensando battute e calorose pacche sulle spalle. Sembrava parecchio allegro, un po' troppo allegro per essere il solito Julian Ross.
-Toh, guarda chi c'è qua, i gemelli Barnum! - disse allegramente Mark spettinando i capelli (già spettinati) di James Derrick, appena arrivato insieme al fratello – Come va con la capriola infernale? -
-Catapulta – precisò James.
-E' lo stesso. Quando tornate al tendone, salutatemi la trapezista – tagliò corto Mark, e se ne andò a salutare Clifford Yuma fischiettando Thunder Road.
-...ridnoutnighcassepromisland...ehi, Clifford, secondo te perchè Bruce Springsteen è così incantabile? -
Il gigantesco stopper sorrise, stupefatto. - E che ne so? A me neanche piace, Springsteen! -
-Il solito blasfemo... -
-Sei felice oggi, Julian? - intervenne Paul Diamond, anche lui, come tutti i presenti, piacevolmente sorpreso nel vederlo così frizzante.
-Eccome! - rispose Mark, stiracchiandosi – E' una splendida giornata, mi sento in forma come non mai e tra poco faremo il culo a quelle mezz...ehm... -
Lo sguardo del vero Julian, che aveva appena messo piede nello spogliatoio insieme a Ed Warner e Danny Mellow, lo incenerì.
-...uhm...ehm...glie la faremo vedere noi a quelle mezze calzette dei thailandesi, vero, ragazzi? - continuò Mark. I compagni di squadra, galvanizzati come al solito, esultarono.
-Non ti sembra che Julian sia un po' troppo su di giri? - sussurrò Ted Carter a Patrick Everett.
-Per me si droga - rispose Patrick – Ecco perchè soffre di cuore... -
-Ehi! - sbottò il vero Julian, che aveva sentito tutto – Droga un cacchio, capito? -
I due lo guardarono come se fosse stato un ufo.
Julian cincischiò due parole e tre parolacce, poi si avvicinò a Mark.
-Julian...ehm...come va?- disse, tendendo una mano al ragazzo e tirandolo verso di sé – La pianti di fare il deficiente? - bisbigliò poi.
-Rilassati! - rispose Mark, sempre sottovoce – Non è che perchè sei Julian Ross devi necessariamente avere sempre il muso lungo! -
Julian sbuffò. - Essere più...spigliati, non significa fare il pagliaccio – rispose – Qualcuno ha già notato che qualcosa non va, vedi di essere più posato prima che mi...anzi ti mandino alla neuro! -
-Allora cerca di agitarti di meno e, magari, di ignorarmi. Ci stanno guardando tutti, e da che mondo è mondo io e te non siamo mai stati particolarmente affiatati... -
In effetti gli sguardi dei compagni di squadra erano tutti su di loro.
-Oh, beh...allora, riguardo a quello schema... - bluffò Julian prendendo Mark per un braccio e allontanandolo dal gruppo. Poi, sottovoce: - Senti, Amy viene? - disse.
-Viene? E' già di sopra in tribuna! - disse Mark – Non si perderebbe una tua partita per niente al mondo... -
Lo sguardo di Julian si illuminò d'immenso.
-E Maki...? Com'è andata in questi giorni? - continuò Mark.
-E chi l'ha vista? - rispose Julian alzando le spalle – E' impegnatissima con la squadra di softball, per fortuna...meglio così, dato che ho lavorato come un cane all'edicola, e ieri sera ho pure dovuto suonare fino all'una! Adesso vogliono tre serate a settimana al “Red Rose Speedway”...almeno potessi farmi un pisolino in panchina... -
Mark lo interruppe ridendo. - Vorrà dire che lo farò io per te! Peccato comunque...ho voglia di vederla. -
-Ti capisco, eccome se ti capisco – disse Julian – Ah, hai portato i documenti... -
-Tutto fatto, tranquillo. -
-Ok. - Poi, alzando la voce: - Allora, è tutto chiaro? -
Mark ridacchiò e gli diede una pacca sulla spalla. - Certo, Mark, sta' tranquillo... - rispose.
Quella piccola sceneggiata sembrò confondere ancora di più i ragazzi della squadra, che però vennero provvidenzialmente distratti dall'ingresso nello spogliatoio di Philip, tumefatto ma sereno.
-Salve a tutti! - esclamò il capitano della Flynet esibendo un sorriso sdentato.
-Philip, santo cielo, che diavolo ti è successo?! - esclamò Bruce Harper andando incontro all'amico insieme a tutti gli altri.
-Un piccolo incidente – mentì il ragazzo.
-Incidente?! - esclamò Julian, preoccupato. Istintivamente andò incontro all'amico, ma si bloccò dopo il primo passo, mordendosi un labbro. Chissà se Mark e Philip andavano d'accordo; meglio procedere con cautela.
-Tranquilli – disse Philip – Il peggio è passato. Per me, almeno... - Scrollò le spalle sorridendo e si diresse verso Mark, che lo guardava confuso.
-Allora, Julian, come butta? - disse allegramente dando una pacca sulla spalla del ragazzo.
-Uh...bene... - rispose Mark, un pochino incerto – Accidenti, vorrei poter dire lo stesso di te... -
Philip sospirò. - Lascia perdere, è stato un brutto periodo. Ho intravisto Amy, su in tribuna; salutamela tanto, dille che Jenny ha voglia di rivederla. -
-Ok... - rispose Mark, senza sapere che altro dire. Non era facile; lui e Philip non si erano mai cagati più di tanto, anche se il capitano della Flynet, tutto sommato, gli era quasi simpatico.
Lanciò un'occhiata a Julian, come per chiedergli come diavolo comportarsi, ma il ragazzo stava fissando l'ingresso dello spogliatoio, verso cui i compagni di squadra si erano ammassati.
-Come sarebbe, infortunati?! Tutti e due?! - esclamò Ralph Peterson entrando nello spogliatoio e gettando rabbiosamente la borsa su una panca – E adesso che facciamo? -
-E' solo un'amichevole, Ralph, ce la caveremo anche senza di loro – disse Tom Baker cercando di calmare il compagno.
-Ah, sì? Li hai visti quelli? - ribattè Ralph, indicando con il pollice lo spogliatoio degli avversari – Il piccoletto ha la faccia da serial killer, lucido e glaciale... Per non parlare di quello grosso col codino! Sarà dura senza Holly e Benji! -
Mark e Philip drizzarono le antenne e si guardarono istantaneamente l'un l'altro.
-Un momento, un momento – intervenne Mark – Come sarebbe? Price e Hutton non giocano? -
-Occacchio... - disse Philip - Che diavolo è successo? -
-Chiedilo a loro – ringhiò Ralph. In quel momento, Holly e Benji fecero il loro ingresso in spogliatoio, seguiti da Peter Colby. Ai ragazzi della nazionale fece uno strano effetto vedere Oliver, che era sempre allegro e ottimista, scuro in volto e Benji, il tipo sicuro di sé per antonomasia, con un'aria triste e dimessa.
-Ragazzi, abbiamo un piccolo problema – esordì nervosamente Colby – Oggi Holly e Benji non potranno giocare. -
Seguirono svariati “Cosa?!”, “Com'è possibile?”, “Mio Dio” e “Perchè?”.
-Calma, calma – continuò l'allenatore – Non è niente di grave. Holly è caduto e si è fatto male ad una caviglia, mentre a Benji si è riacutizzato il dolore al polso. Niente di grave, ma non voglio che si sforzino troppo per una partita del genere. La Thailandia è più che abbordabile; gli schemi restano invariati. Julian – disse poi rivolgendosi a Mark, che sobbalzò – Può darsi che oggi abbiamo bisogno anche di te. Te la sentiresti di restare in campo per qualche minuto in più, in caso di necessità? -
Il ragazzo guardò il vero Julian, il quale fece spallucce ed alzò gli occhi al cielo, un po' per rassegnazione, un po' come gesto di preghiera.
-Io...sì, certo che me la sento. Me la sento eccome! - rispose Mark.
-Benissimo. Vi ricordo solo che il risultato di questa partita sarà valevole ai fini della qualificazione al campionato asiatico, per cui dateci dentro e passate la palla a Hol...ehm...a chi vi pare, purchè segni. E ora sbrigatevi, vi voglio pronti per il riscaldamento tra dieci minuti al massimo. -
Ciò detto, Colby se ne uscì dallo spogliatoio.
I ragazzi non spiccicarono parola, ma lo sconforto generale che aleggiava su di loro si sentiva, eccome.
Campionato asiatico?!?
-Ma non doveva essere un'amichevole? - dissero in contemporanea i gemelli Derrick.
-Perchè diavolo dobbiamo essere sempre gli ultimi a sapere le cose?! - sbottò Clifford Yuma – Siamo noi che giochiamo, maledizione!! -
– E' terribile...terribile! - esclamò Bruce – Come diavolo faremo?! Senza Holly e Benji quelli ci faranno a pezzi! -
A Mark girarono istantaneamente i coglioni, ma cercò di trattenersi.
-Mi dispiace – esordì Holly in un modo che ai ragazzi suonò un po' troppo umile per provenire da Benji – Questa partita significa molto e io...noi non possiamo aiutarvi in nessun modo... -
Benji annuì sbuffando.
-...ma abbiamo un'enorme fiducia in voi e sappiamo che farete del vostro meglio. Vero, Ben...ehm, Holly? - Dato che Benji faceva lo gnorri, dato anche il suo umore più che nero, Holly gli diede una gomitata nelle costole.
-Mghrr...polso, grunf, vstrmeglio, bravi, eh? - fu tutto quello che il portiere riuscì a mugugnare davanti ai compagni di squadra, sconcertati.
Mark esplose.
-Ma che diavolo credete?! Certo che faremo del nostro meglio, dannazione! -
Tutti si voltarono a guardarlo; va bene che Julian quel giorno era un po' strano, ma quell'uscita da lui proprio non se l'aspettava nessuno. Compreso il vero Julian.
Mark si guardò intorno, capendo di non aver avuto una grande idea.
-Insomma, senza togliere nulla a nessuno – continuò – Holly non è l'unico attaccante della squadra e Benji non è l'unico portiere. Ed è in gran forma, e anche Alan ultimamente se l'è cavata benone, vero? - disse, rivolgendosi al terzo portiere. Ed sorrise, orgoglioso, e Alan Crocker gongolò al pensiero di essere, per una volta, tenuto in considerazione. Insomma, se era in nazionale un motivo ci sarà stato, no?
-E poi Tom dove lo mettiamo? E Ralph, con il suo tiro da rasoio, e Philip, anche se oggi non mi sembra messo un gran bene, senza offesa, amico, eh? - Philip sospirò. - E Patrick, e quell'armadio di Clifford, sono bravissimi ad infilarsi tra gli avversari! Oddio, Clifford magari un po' meno, ma data la stazza... E poi... - Si guardò intorno, quasi imbarazzato. - E anche Mark non se la cava male... -
-Anche tu sei forte, Julian – replicò il vero Julian. Mark abbassò lo sguardo ma gli restituì un sorriso di sottecchi.
-Sì. Me ne stavo dimenticando. Sono tosto anch'io, quando mi ci metto. - Gli altri ragazzi ridacchiarono. - Ma quello che voglio dire è che siamo una squadra. Non giochiamo da soli, giochiamo tutti insieme. Avete presente un aeroplano? Ok, è un grosso coso che vola, ma è composto da tante parti, che sono tutte importanti, e se vola, è grazie a tutte quelle parti. Insomma, avete capito? -
I ragazzi si guardarono con aria interrogativa. Julian si coprì la faccia con le mani, disperato. Quel cretino di Mark era partito bene, ma stava rischiava di finire molto, molto male...
-Vuoi dire che noi siamo le parti dell'aeroplano? - disse Bruce – E che non possiamo farcela senza l'aiuto di tutte le altre parti...cioè di tutti gli altri giocatori? -
-Beh... - tentennò Mark, accorgendosi dell'enorme fesseria che aveva appena sparato.
-Ma se mancano Holly e Benji, che sono due delle parti più importanti, ci schianteremo al suolo! Aaaah! Ci distruggeranno!! - frignò Bruce. Gli altri, ripiombati nello sconforto, cominciarono a borbottare tra loro.
Mark, sbigottito, si chiese se Bruce fosse deficiente di suo o se le troppe parate di faccia non gli avessero danneggiato anche il cervello, oltre ai connotati. Stava per saltargli alla gola quando Julian, per sua fortuna, prese la parola.
-Ehi, aspettate – disse – Julian ha detto una cosa sacrosanta, ma l'ha detta nel modo sbagliato. Quello che intende dire è semplicemente che l'unione fa la forza. Siamo una buona squadra e ce la siamo sempre cavata con il gioco di squadra. E in una squadra gli individui non contano. Credete che Holly e Benji ce la possano fare, senza il nostro aiuto? -
-Beh... -
-Insomma... -
-Ti dirò... -
-La risposta è no, ovviamente – continuò Julian, che cominciava ad innervosirsi – Per quanto siano dei fuoriclasse, da soli in campo non avrebbero scampo, perdonatemi il gioco di parole. Noi, invece, ce la possiamo fare anche senza di loro, se ci aiuteremo a vicenda. Ricordatevi che siamo i migliori giocatori della nazione! Abbiamo avuto avversari decisamente peggiori di questi, pensate che ci faremo spaventare così facilmente? -
Un coro “No!” risuonò per lo spogliatoio. I ragazzi avevano ritrovato un po' di fiducia.
-Forza! - esclamò infine Julian – ce li mangeremo in un sol boccone! -
-Sarà... – disse Ralph, ancora un po' dubbioso. Ma si unì comunque alle grida festose degli altri, uscendo dallo spogliatoio.
Mark si avvicinò a Julian, un po' abbacchiato. - Grazie per avermi tolto dai guai – disse.
-Dovere – rispose Julian dandogli una pacca sulla spalla – La prossima volta sono cazzi tuoi, però. Forza, diamo un'occhiata a questi fenomeni. -
-Sono davvero andato così male? -
-Insomma... - rispose Julian – Non ti avevo mai visto così esaltato, però! -
-Per forza – rispose Mark ridacchiando – Vuoi mettere la soddisfazione di vedere Price e Hutton in panchina? -
-Ehilà...salve... -
-Ti spezzo in due. -
-...bel film, l'ho visto tanto tempo fa...volevo solo augurarti una buona partita e che vin... -
-Ti gonfio come un pallone e ti appendo alla traversa per i piedi, che ne dici? -
Philip ritirò la mano che aveva teso al gigantesco centrocampista thailandese in segno di pace. -Grazie, ho già dato – disse, girando sui tacchi e tornando dai compagni di squadra che stavano terminando il riscaldamento.
-Allora? Com'è la predisposizione d'animo? - chiese Tom.
-La vedo dura, gente – rispose Philip – Comunque una cosa è certa: io quello non lo marco! -
-Non preoccuparti – disse Julian, dandogli una pacca sulla spalla – Più sono grossi, più rumore fanno cadendo! -
-Basta che non cada addosso a me... - disse Bruce.
-Qual'è il problema, ragazzi? - disse Clifford Yuma scrocchiandosi le dita.
-Quello grosso – risposero tutti in coro.
Il centravanti guardò l'avversario. - Quello sarebbe grosso? - disse – Non temete, me lo mangio in un boccone! -
Dieci minuti dopo il fischio d'inizio la nazionale giapponese era già sotto di un gol.
In effetti il grosso centravanti thailandese era veramente grosso, ma, evidentemente, non abbastanza da resistere alla gamba tesa di Ralph Peterson, che aveva tentato di fermare la sua corsa in tutto e per tutto.
-Bravo, imbecille! - ringhiò Patrick Everett all'indirizzo del compagno di squadra.
-Alternative? - replicò Peterson – Avrebbe segnato lo stesso, quel bulldozer! -
-Anche no, magari! - ribattè Ed Warner, spolverandosi la tuta – Oltretutto quello non aspettava altro! Quando ha visto la tua gamba ci si è buttato come un tuffatore olimpionico! Lo sgambetto glie lo potevi fare fuori dall'area di rigore, che ne dici? -
-Su, su, non facciamola così drammatica – intervenne Mark – Sono passati solo dieci minuti. Se ne mancassero dieci sarebbe molto più grave. Abbiamo tutto il tempo per recuperare! -
Julian lo guardò, incrociando le braccia. Non era troppo difficile giocare nei panni di Mark Landers; la tecnica di Julian, snello e scattante, si adattava molto bene al fisico robusto e muscoloso del compagno di squadra, riunendo in lui la forza di Mark e la sua eleganza.
Beh, purchè nessuno gli chiedesse il tiro da tigre.
Quello sarebbe stato davvero un problema. Il ragazzo pensò, comunque, che non ce ne sarebbe stato bisogno; nonostante quel piccolo handicap iniziale, la Thailandia non era decisamente una squadra pericolosa e, anche se Holly e Benji erano fuori dal campo, la nazionale giapponese giocava in modo estremamente compatto, unendosi intorno ai suoi nuovi, momentanei leader.
Julian correva veloce, saltava e dribblava a tutto andare, e ogni tanto passava perfino la palla. Fu su un suo assist che Mark segnò il primo dei gol che avrebbero portato il Giappone ad una vittoria schiacciante.
Mark, invece, si trovava un pochino meno a suo agio, soprattutto perchè, ogni tanto, si dimenticava sia delle condizioni in cui doveva giocare, sia del fatto che la sua tecnica non era per niente adatta al ruolo dell'amico, il cui fisico snello e scattante si prestava poco alle azioni di sfondamento di Mark. Non per niente gli bastarono venti minuti per emulare Ralph, atterrando di nuovo il centravanti thailandese e facendo guadagnare a Julian il primo cartellino giallo della sua carriera e una leggera gastrite (anche perchè l'amico non si stava affatto risparmiando, come il legittimo proprietario del suo corpo gli aveva raccomandato). A dire il vero l'azione non portò a gravi conseguenze; il Giappone rimontò facilmente e verso la fine del primo tempo si trovò in vantaggio schiacciante.
Peter Colby, comunque, non ci avrebbe mai creduto, e nemmeno Julian.
-L'avrei tirato giù anche con i denti, quell'infame – ringhiò ad un esterrefatto Philip.
Ma Philip non era l'unico ad essere esterrefatto dal comportamento in campo di Julian. Nella fattispecie, anche a Holly e Benji, in panchina, discostati da tutti gli altri, qualcosa del comportamento del libero (non solo in campo) quadrava poco.
-Ehi – disse Holly dando di gomito a Benji – Hai notato che Mark e Julian... -
-No – rispose Benji, sgarbato.
Holly sospirò, ma non si diede per vinto. - Volevo solo chiederti se avevi notato anche tu che Mark e Julian sono un po' diversi dal solito...insomma, fino alla settimana scorsa si odiavano, e adesso sono sempre appiccicati...sembrano...ehm, scusami i termini, culo e camicia... -
-Un po' come noi. Solo che a noi tocca restare appiccicati anche se non ci sopportiamo. - ribattè Benji con il suo solito tagliente sarcasmo, di cui Oliver aveva decisamente le tasche piene.
Il capitano della New Team sbuffò e si voltò a fissare se stesso negli occhi.
-Ce l'hai ancora con me per quella storia del gol da fuori area, vero? -
Benji sussultò e ricambiò lo sguardo di Holly, ma non rispose.
Holly scosse la testa. - Lo sapevo – disse, battendosi le mani sulle cosce – Benji, per l'amor d'Iddio, è una storia di sette anni fa, eravamo dei bambini! Sarai anche il miglior portiere under 18 di tutto il Giappone ma resti sempre un essere umano, e gli esseri umani, si sa, non sono perfetti! Si può sapere perchè non riesci a mandarla giù?! -
-Abbassa la voce – disse Benji, notando che le altre riserve li stavano fissando – Mi hai ferito nell'orgoglio. Ancora oggi me lo sogno di notte, non sai quanto ti ho detestato per questo. Perchè tu? Perchè solo tu?! Potevo essere imbattibile, ho sudato sangue per diventare quello che ero, quello che sono, ed è bastato un pivellino a rompermi le uova nel paniere! E quel che è peggio, me lo sono ritrovato pure in squadra!! -
-Potevi essere imbattibile?! Ma cresci, una buona volta!- sbottò Oliver – Credi che basti una sola sconfitta a renderti peggiore di quello che sei? Il migliore non è chi non sbaglia, Benjamin Price. Il migliore è chi sbaglia di meno. E mi sembra che tu rientri nella categoria, o no? -
Benji tremava, ma non sapeva se di rabbia o di imbarazzo.
-Ti ricordi cosa mi hai detto durante la partita contro la Mambo? - continuò Oliver.
-Quella partita? -
-Sì, quella. Sono state le tue parole a spingermi a reagire, Benji. Ci avevano provato tutti, Tom, Roberto, Patty, ma sei stato tu a farmi recuperare la grinta. Tu, che sei stato più duro e cattivo di tutti gli altri. -
-Volevo solo arrivare in finale! - piagnucolò Benji – Non me ne fregava un cazzo di come stavi tu, hai capito? Stavi rovinando tutto!! E la cosa che mi aveva fatto incazzare di brutto, era che... -
Benji si interruppe di colpo.
-Che...? - lo incalzò Holly.
Benji chinò il capo.
-...che eri pure meglio di lui. - continuò. - Ross era una pippa in confronto a quello che potevi fare tu, cazzo, e l'aveva pure capito. E tu stavi buttando tutto all'aria con i tuoi ridicoli sensi di colpa. Non potevo permetterlo. - Alzò la testa e fissò Oliver negli occhi. - Ti odiavo lo stesso, ma pensavo che tu fossi il migliore, ok? L'ho sempre pensato, e lo penso anche adesso. E questo è tutto. Nemici come prima, per favore? -
A questo punto Holly rimase in silenzio a fissare il compagno di squadra per un paio di minuti buoni. E la cosa bella fu che il portiere non riusciva ad abbassare gli occhi.
-Benji – disse Holly – Ti rendi conto di quanto siamo ridicoli? Io non ti ho mai odiato, mi hai costretto tu a farlo in questi giorni; per carità, capisco benissimo perchè ma posso anche tornare indietro... Perchè non ci mettiamo una bella pietra sopra e la facciamo finita? Visto che abbiamo appena scoperto di stimarci, potremmo detestarci un po' più cordialmente... -
Benji si guardò intorno con aria circospetta.
-Ok, ma non dirlo a nessuno. - rispose.
-Tanto ci hanno sentito tutti -
-Preferisco una tregua. -
-Ok, che tregua sia... -
-Non siamo amici. Solo in tregua. -
-Va bene, ho capito!! Mi puoi stringere la mano, adesso? -
Molto lentamente, quasi temendo che i compagni di squadra lo vedessero, Benji tese la mano a Oliver, che la strinse sorridendo.
Alla fine del primo tempo, il clima tra i componenti nazionale giapponese era molto più rilassato, anzi, i ragazzi erano decisamente su di giri.
-UIIII...AR DE CEMPIOOOOONS...ops, scusa!!- stonò Patrick Everett balzando sulle spalle di Julian (credendolo ovviamente Mark), facendogli rovesciare sui calzoncini la bottiglietta d'acqua che stava stappando.
-Che Freddie Mercury ti fulmini, cretino! - lo apostrofò Julian – Chi mi passa un asciugamano? -
Ed Warner glie lo lanciò in faccia ridendo.
-Ehi ehi, non portiamo sfiga! - azzardò Bruce – Non è che dobbiamo cantar vittoria solo perchè siamo sopra di sei gol... -
Mark mise un braccio attorno alle spalle del ragazzo. - Amico, tu hai passato troppo tempo con Holly – gli disse – Queste cazzate le ho sentite dire solo da lui! - Poi si sedette, tossicchiando.
Benji, quello vero, ridacchiò. - Stavolta dobbiamo dargli ragione, eh, Benji? - disse, dando di gomito all' (ormai) amico, che ovviamente non aveva capito.
-Sì, in effetti non erano così pericolosi come sembravano – ammise il non più preoccupatissimo Ralph Peterson.
-Più che altro, non si aspettavano che fossimo noi ad essere pericolosi – disse Paul Diamond.
-Beh, se vogliamo dirla tutta non me l'aspettavo nemmeno io – ammise Tom Baker – Mark, Julian, avreste potuto dirci che avevate deciso di invertire la vostra tecnica di gioco! -
-Beh, abbiamo preferito farvi una sorpresa... - rispose Mark, bevendo ancora per farsi passare quella strana raucedine.
-Io avrei...noi avremmo preferito che risparmiassi un po' le energie, però – disse Julian mentre passava dietro le spalle del ragazzo dirigendosi nello spogliatoio – E che ti ricordassi che non sono un centravanti di sfondamento, io... - gli disse poi, a denti stretti, dandogli uno scappellotto prima di scendere le scale. Mark mandò di traverso l'acqua e si mise di nuovo a tossire come un dannato.
-COFF, COFF...scusa se ho rovinato il tuo record di fair play... COFF! -
-Eh? - disse Clifford Yuma, senza capire.
-COFF...dicevo...che...COFF, COFF...da che pulpito viene la predica! -
Philip guardò il compagno di squadra, un po' preoccupato. - Julian, ti senti bene? - disse.
-Ma sì, ma sì, COFF, COFF...COFF!! -
I ragazzi si guardarono in silenzio, preoccupati.
-Insomma...COFF...non si può nemmeno più tossire in pace?! Adesso mi passa...COFF, COFF!! -
Stavolta era Mark che stava cominciando a preoccuparsi. Quella tosse non era normale, per un piccolo sorso d'acqua andato di traverso, non accennava minimamente a passare.
Anzi, sembrava stesse aumentando.
Benji si avvicinò d'istinto al ragazzo, tra gli sguardi timorosi dei compagni, e cominciò a battergli con la mano sulla schiena.
-Julian, che diavolo ti prende...? - disse.
Mark si teneva una mano sulla gola, e con l'altra sembrava volersi strappare il collo della maglia per incamerare anche un solo filo d'aria in più. Non tossiva più, ma nemmeno riusciva a respirare; boccheggiando, si aggrappò a Benji un attimo prima che le gambe gli cedettero.
-JULIAN!!! - gridò il ragazzo, sorreggendo l'amico e cercando di tenergli dritto il busto.
Tutto il resto accadde alla velocità della luce.
Richiamato dalle grida, Colby, che si era allontanato un attimo per telefonare, accorse immediatamente.
-Santo cielo...Julian!! - esclamò sgomento, chinandosi velocemente verso il ragazzo per tastargli il polso giugulare.
I compagni di squadra, terrorizzati, gli si accalcarono intorno.
-State indietro, non vedete che non respira?! Chiamate un medico, cazzo!! CHIAMATE UN MEDICO!!! - sbraitò Benji angosciato, schiaffeggiando l'amico.
-Volo! – disse Holly, sconvolto, precipitandosi verso l'infermeria. Per poco non investì il vero Julian, che, essendo appena uscito dallo spogliatoio, non capiva cosa stesse succedendo.
Gli bastò un attimo per capire.
Oh, no. No, no, disse tra sé e sé, correndo verso i compagni.
Spinse via Philip e Bruce, sconvolti, e quando vide se stesso a terra, boccheggiante e cianotico, tra le braccia di Benji che cercava disperatamente di fargli aria, gli si gelò il sangue nelle vene.
Per un attimo il cervello gli si svuotò del tutto, poi, quasi d'istinto, si precipitò negli spogliatoi, più veloce che potè.
Il suo incubo peggiore stava prendendo forma.
TI prego, fa' che se ne sia ricordato...
Cercò la borsa di Mark, la sua borsa, e dopo averla trovata ne rovesciò il contenuto sul pavimento e cominciò a frugare alla ricerca disperata di qualcosa che non trovò.
Si rialzò e diede un calcio alla borsa, urlando di rabbia.
-Lo sapevo! Lo sapevo, brutto imbecille!! -
Senza perdere un attimo, imboccò in fretta e furia il corridoio che portava dagli spogliatoi all'infermeria e incrociò Holly e il giovane medico che lo seguiva, fonendoscopio alla mano, senza riuscire a bloccarlo per dirgli cosa avrebbe dovuto fare. Julian lo sapeva bene, cosa fare, ma era nei panni di Mark; e chi avrebbe dato ascolto a Mark in un momento come quello?
Con il cuore che gli martellava nel petto entrò nell'infermeria e si gettò sull'armadietto dei farmaci, una piccola vetrina, chiusa a chiave, in cui scatole e flaconi erano stati messi alla rinfusa, senza nessuna previsione d'utilizzo in emergenza. Cercò di aprirla, in preda alla disperazione, sentendosi sempre più impotente; poi, in preda alla rabbia che gli rigava il viso di lacrime, avvolse la mano nella maglietta, sfondò il vetro e afferrò il flacone della furosemide e una siringa.
Presto, presto, presto.
Doveva essere velocissimo, perchè Mark non ne avrebbe avuto ancora per molto. Corse verso le panchine più in fretta che potè, aprendo la confezione della siringa con la mano sanguinante, e dopo aver fatto un rapido calcolo a mente aspirò il dosaggio del farmaco che gli sembrava corretto.
Giunto al capannello che i ragazzi avevano formato intorno a Mark si bloccò, pallido come uno straccio. Benji, scosso dai singhiozzi, lo stava sorreggendo, mentre il giovane dottore gli asucultava inutilmente il petto. Mark era cianotico e quasi incosciente.
A Julian sembrò di essere sotto vuoto spinto, incapace perfino di respirare; l'unico pensiero che gli rimbalzava in testa era che Mark stava morendo. Chiuse gli occhi, inspirò profondamente senza smettere di tremare e da quel momento la sua concentrazione fu tutta per l'amico. Si fece largo a spintoni tra i compagni di squadra, ignorando chiunque si trovasse tra lui e Mark.
Ignorò Colby, che gridava al telefono allertando le unità coronariche di tutti gli ospedali della zona, in attesa dell'ambulanza.
Ignorò Holly che cercava di far allontanare Benji da Mark, temendo che ostacolasse le inutili manovre del medico, e Benji stesso che non voleva saperne di lasciare il compagno e imprecava contro tutti.
Ignorò i compagni, pallidi e tremanti dal terrore, completamente impreparati di fronte ad un simile evento.
E ignorò perfino Amy, che appena si era accorta di quanto stava succedendo si era precipitata in campo, e ora chiamava Julian piangendo disperatamente e tendendo le braccia verso di lui, mentre Philip, con gli occhi lucidi, cercava di trattenerla...
Giunto davanti al corpo esanime dell'amico, strattonò con forza il medico, allontanandolo da lui.
-Si tolga di mezzo!! - gridò. L'uomo barcollò e cadde a terra imprecando, tra gli sguardi sconvolti e stupefatti dei ragazzi.
Poi, con gesti rapidissimi, quasi meccanici, stappò la siringa con i denti, sollevò il calzoncino dell'amico e gli ficcò l'ago nella coscia.
Mark lanciò un grido strozzato e gorgogliante, poi perse definitivamente conoscenza.
...e anche questa fatica è terminata! Come al solito non ne sono affatto soddisfatta...l'ultima parte, soprattutto, avrei voluto che fosse più drammatica e meno frettolosa. Temo di aver disimparato a scrivere, in tutti questi anni di attività altalenante...
Ad ogni modo, la storia è prossima alla conclusione, che arriverà con il capitolo 23. E che arriverà con moooooolta calma, come al solito! Mi dispiace abusare della vostra pazienza, ma purtroppo il tempo che ho a disposizione anche solo per pensare a cosa scrivere è veramente poco...per cui ringrazio tutti quelli che con infinita pazienza mi hanno aspettato e incoraggiato in questi lunghissimi mesi (in particolare Benji79 e Hilary, fedelissimi e preziosi)! Vi voglio bene!
Al prossimo capitolo
RubySage
PS: Uh, a proposito. Ho ritrovato in un libro un accenno all'idea del medico che, volendo curare tutti indifferentemente dal portafogli è sospettato di essere comunista, più o meno come ha detto Mark a Julian due capitoli fa. Il libro, se non ricordo male, è “Ritratto in seppia” di Isabel Allende. Volevo precisarlo onde non si pensi che si tratta di una scopiazzatura. Il libro l'ho letto da poco, il capitolo è stato pubblicato parecchio tempo prima. Evidentemente la pensiamo alla stessa maniera su certi argomenti ma ovviamente non pensate che abbia voluto mettermi sullo stesso piano di una scrittrice vera ;-)
Il funerale di Julian era gremito di gente. Mark si guardò intorno, immerso nella folla che aveva letteralmente invaso villa Ross, incontrando solo facce stanche e segnate dal dolore; avanzò nel grande salone in cui era stata approntata la veglia funebre, camminando meccanicamente, con uno strano suono lontano che gli rimbombava in testa annullando ogni suo pensiero e il brusio delle voci dei partecipanti in sottofondo.
Vide Amy, che indossava un kimono bianco in segno di lutto, come la madre di Julian, e piangeva sommessamente pronunciando frasi che Mark non riusciva a capire.
Non riusciva a capire niente, a dire la verità. Sapeva che avrebbe dovuto quantomeno fermarsi, dire qualcosa alla ragazza, ma non poteva. Fisicamente, non ci riusciva proprio, come se delle mani invisibili lo stessero spingendo avanti.
Continuò a camminare verso la bara, passando in mezzo a parenti e amici, tra cui i suoi stessi compagni di squadra che lo scrutavano immobili. Abbassò la testa per non sentire i loro sguardi di rimprovero, in fin dei conti se Julian era morto era anche colpa sua, ma sapeva che quelli non erano sguardi di rimprovero. Sembrava che si stessero chiedendo cosa ci facesse lui lì.
Facendosi largo tra la folla raggiunse la bara in cui era stato composto il cadavere dell'amico, e man mano avanzava il rumore si fece più forte, una specie di musica che da dolce diventava quasi violenta, e la sua testa ronzava e il ronzio non se ne sarebbe andato in caso lui non sapesse che...
Che...?! Che diavolo...
Spinse via le ultime persone che si frapponevano tra lui e la bara, mentre qualcuno gli ricordava che “le nostre ombre sono più grandi delle nostre anime”, e mentre qualcun'altro gli urlava in un orecchio di comprare una scala per il paradiso, si appoggiò ai bordi della bara e vide che lì dentro, disteso, non c'era Julian.
C'era lui.
Poi tutto scomparve.
Mark riprese conoscenza molto, molto lentamente.
Non sapeva dove si trovasse, né se fosse vivo o morto. Sentiva solo uno strano, indefinibile ronzio in testa.
La gola gli bruciava, ma si sentiva troppo debole perfino per dire la parola “acqua”.
Così non va, Mark Landers, si disse. Così non va. Sei o non sei la Tigre? Cosa direbbe Jeff Turner di te, adesso?, disse una vocina dentro di lui.
Mark, ancora confuso, ci pensò un attimo, poi disse alla vocina che Jeff Turner poteva anche andarsene affanculo.
Che diavolo era successo? Non era mai stato così male in vita sua.
Cercò di aprire gli occhi, ma la poca luce che filtrava attraverso le palpebre glie li feriva; rimase così, respirando piano, gli occhi a meno di mezz'asta, finchè non vide un'ombra chinarsi su di lui.
Il ronzio sparì.
- Bentornato, imbecille - disse una voce anche troppo nota.
Mark tentò di sollevare una mano per ripararsi gli occhi dalla luce fioca e, lentamente, mise a fuoco il volto che gli stava di fronte.
Il suo, ovviamente.
Julian stava seduto in fianco a lui e lo guardava sorridendo.
Mark girò lentamente la testa e si guardò intorno.
- Ti ho tolto il walkman. Riesci a sentirmi? -
Mark annuì, ancora incapace di parlare.
- Bene – disse Julian – Spero che non ti abbia dato fastidio. L'idea è stata del primario. Un Notturno di Chopin. Secondo le teorie di questo postaccio, la musica classica stimolerebbe non-so-che centri del sistema nervoso e aiuterebbe i pazienti a riprendersi. Sarà anche vero, ma appena l'infermiera se n'è andata ho cambiato il cd e ti ho sparato i Led Zeppelin. A volume moderato, ovviamente. Mi pare che abbiano funzionato meglio, no? -
- Mmmh... - biascicò Mark – Preferivo i...Depeche Mode... -
- Eretico – ridacchiò Julian - Non bestemmiare. Non sei nella posizione migliore per farlo... -
Mark fissò per un breve istante l'amico; nonostante il tono calmo e scherzoso della voce, il suo viso era stanco e tirato in modo poco tranquillizzante. Girò la testa e chiuse di nuovo gli occhi, cercando di sentire il ritmo del suo stesso respiro.
Sono ancora vivo, pensò.
Ma gli ci vollero cinque minuti buoni per riuscire ad articolare una frase.
- Dove...dove sono? - disse infine, con voce roca, dopo aver respirato profondamente.
- All'ospedale Aiiku di Tokyo. Stanza 212, reparto di cardiologia. Sei appena uscito da terapia intensiva, a dire la verità. Come ti senti? - disse Julian.
- Come...come se fossi passato sotto ad uno schiacciasassi – sussurrò Mark, intontito – Mi fa male la gola... -
- E' normale, non preoccuparti. Ti hanno tolto il respiratore un'ora fa. E, prima che tu me lo chieda, sono le tre del mattino. Hai... “dormito” sedici ore di fila, e solo tu potevi risvegliarti a quest'ora, razza di rompiballe! -
Mark strinse gli occhi e schioccò le labbra, in preda ad una leggera nausea.
- Guarda...guarda che lo so -
- Cosa...? - disse Julian, sorpreso.
- Che...sei rimasto ad...ad aspettarmi... -
Julian sorrise. - Non sono mica l'unico, cosa credi? Tutta la squadra è rimasta in giro per l'ospedale finchè ti hanno dichiarato fuori pericolo. Più Amy e i miei genitori, ovviamente, che sono ancora qui. -
Mark inspirò profondamente. Non era ancora abbastanza cosciente per fare all'amico tutte le domande che avrebbe dovuto (e voluto) fare. Tranne la più banale.
- ...Com'è andata la partita? -
- Abbiamo stravinto, anche se nessuno aveva la minima intenzione di tornare in campo dopo che ti avevano portato in ospedale, inclusi i thailandesi. Eravamo tutti un po' sconvolti, sai... -
- Mi dispiace. Mi dispiace tanto. -
- Lascia stare. Quel che conta è che sia andato tutto bene. Ti stai riprendendo alla svelta, mi pare!-
In effetti Mark sembrava migliorare ogni minuto che passava. Forse era riuscito a trasmettere al corpo di Julian un po' della sua tempra...
- I ragazzi se...se ne sono andati tutti? -
Julian scosse la testa. - Holly e Benji hanno voluto rimanere qui fuori a tutti i costi. Non si sono allontanati un secondo... -
Il portiere e l'attaccante erano davvero rimasti per tutta la notte fuori dalla stanza in cui Mark era stato ricoverato.
Si erano parlati pochissimo, lo stretto necessario, sembravano essersi a malapena accorti della presenza dell'altro, e se ne stavano seduti da ore a guardare nel vuoto, aspettando notizie che andavano e venivano.
Holly guardò Benji con aria stanca. - Vuoi del tè? - domandò.
- Un altro? No, grazie – rispose Benji, stravolto – Piuttosto, com'è che sei ancora qui? -
Holly guardò l'orologio, poi si stirò le braccia. - Uhm, forse ho bevuto troppo tè – disse, con un sorriso tirato sulle labbra – Ma forse sono ancora qui perchè non mi hai mandato a quel paese nemmeno una volta...e ti faccio notare che mi hai pure detto grazie! Se non fosse il momento sbagliato ci sarebbe da festeggiare... -
Benji se ne stette zitto per un paio di minuti, durante i quali nemmeno Holly aprì bocca, entrambi con lo sguardo perso nel vuoto.
- Beh, insomma...pensavo fossi rimasto per Julian... - disse poi Benji, dimesso.
Holly guardò il compagno di squadra, facendo quasi fatica a riconoscerlo. Si chiese dove fosse finito il Benji borioso, attaccabrighe, sicuro di sé che aveva quasi detestato fino a qualche ora prima; non era di sicuro quello che vedeva, stanco e preoccupato, con l'aria di uno a cui era appena mancata la terra sotto i piedi. Non sapeva perchè, ma ebbe quasi un moto di affetto verso di lui; e, pensandoci bene, forse non era davvero solo per Julian che era rimasto in ospedale fino a quell'ora.
- Beh, anche, ovvio. Tu come ti senti? - chiese, aspettandosi una corso di recupero di insulti in risposta.
Invece si sbagliava.
- Non lo so – rispose Benji, scuotendo la testa – Giuro che non lo so. E' stato pazzesco, prima. -
- Perchè non te ne torni in albergo? - disse Holly – Sei stravolto. Ormai va tutto bene, Julian è fuori pericolo. -
- Lo dici tu – rispose Benji – Io non mi muovo finchè non lo vedrò uscire da quella stanza sulle sue gambe. -
- Va bene – ribattè Holly – Allora resto anch'io. -
Benji sgranò gli occhi. - Ma perchè mi devi rimanere appiccicato a tutti i costi?! -
- Perchè potresti aver bisogno di me, non si sa mai... -
- Bisogno di te?! Oh, per l'amor del cielo...sono grande abbastanza per arrangiarmi, sai? -
Holly lo ignorò e inspirò profondamente, stiracchiandosi.
- Sai...non prendertela, ma.... - disse.
- Ma...? -
- Non mi sarei mai aspettato una reazione del genere da parte tua. Per quello che è successo a Julian, voglio dire. -
- E cos'avrei dovuto fare?! - ribattè Benji allargando le braccia – Lasciarlo crepare?! Mi...mi stava morendo tra le braccia, capisci? Dovevo fare qualcosa... -
La voce gli si ruppe.
- ...se solo avessi saputo cosa. Grazie a Dio Mark è arrivato in tempo, altrimenti...cazzo, mi sono sentito un idiota... -
- Nessuno di noi sapeva che fare – disse Holly – Nemmeno il medico, a quanto ho visto. Mark è stato davvero incredibile; è proprio vero che certe persone non si conoscono mai abbastanza... -
Benji strinse gli occhi lanciando a Holly uno sguardo enigmatico. - Ogni riferimento è puramente casuale, vero? -
Holly rise. - Certo che no! Non ti ho mai visto così preoccupato. Non sembri nemmeno tu! -
- Non lo sembro perchè sono te. Forse stare nel tuo corpo mi sta contagiando, chissà. -
- Devo prenderlo come un complimento? -
- Vedi tu... - disse Benji sospirando.
- Ad ogni modo, quando Mark uscirà da lì dovrà rispondere ad un bel po' di domande. -
Benji mise una mano sulla spalla di Holly e lo guardò con occhi molto, molto stanchi.
- Senti – disse – Non credo sia il momento per fare domande di nessun tipo. Mark ha salvato la pelle a Julian mentre noi ce ne stavamo a guardare, e questo mi basta. Per conto mio lo dobbiamo solo ringraziare, quindi guai a te se cominci ad assillarlo con le tue cazzate, ok? Avrà fatto un corso di pronto soccorso per corrispondenza. Fine della storia. Ora mettiti buono e aspetta. -
Holly sorrise tra sé e sé, guardando nel vuoto.
- Sai cosa mi è venuto in mente? - disse – Jessica Rabbit, quando dice “Non sono cattiva, è che mi disegnano così”. -
- Certo, e tu non sei un rimbambito, è che ti disegnano così – ribattè Benji. Stava pensando veramente quello che aveva appena detto, ma era il classico tipo che non ama dare soddisfazione a nessuno.
- Non parlavo di me... – disse Holly, che forse non aveva colto una cippa.
-Certo, e io non avevo capito. Va' avanti, magari mi consolo un po'. -
- ...ho capito benissimo cosa sei. -
- Stronzo – puntualizzò Benji alzando il dito.
- Sì, anche stronzo, forse. Però credo che sotto quella scorza da duro ci sia del buono. Anzi, ne sono convinto. Non capisco perchè continui a recitare la parte della carogna, ma non penso che ti stia divertendo più di tanto. -
- Oddio – replicò Benji, pensieroso – A prenderti per il culo in tutti questi anni mi ci sono divertito parecchio, se devo essere sincero. -
Holly cincischiò con il bordo della maglietta, confuso. - Beh – disse – Mettiamola così: mi sembra di aver capito che sei uno che dice quello che pensa. Se non avessi pensato quello che mi hai detto ieri, in panchina, non me l'avresti detto, giusto? -
Benji ci pensò su un attimo.
- Sì – rispose – Sì, è così. Mi secca ancora ammetterlo ma è così. -
- E se proprio non te ne fregasse niente di Julian non saresti rimasto qui. -
Benji non rispose. Colpito di nuovo.
- E se davvero mi detestassi mi avresti mandato a quel paese qualche ora fa... -
- Ok, ok, affondato – tagliò corto Benji – Hai fatto un'analisi completa della mia personalità schizofrenica. A cosa sei arrivato? -
- Tu non sei cattivo, è che ti disegni così. -
Benji guardò un attimo Holly, poi scoppiò a ridere.
- Altre perle di saggezza? - disse.
- Ma è vero, non prendermi in giro! Tu sei una persona sensibile e dal cuore d'oro, ma preferisci nasconderti dietro ad un mantello di arroganza, cattiveria, egocentrismo... -
- Va bene, grazie tante, ho capito! - sbottò Benji, un tantinello seccato – Quasi quasi mi pento di averti manifestato la mia stima, cazzo! -
- Insomma, anche se ogni tanto fai lo stronzetto in realtà sei un pezzo di pane, ecco. - terminò Oliver – Lo penso davvero. E ora puoi tornare a trattarmi male, tanto lo so che non fai sul serio. -
Benji se ne stette zitto per un attimo, fissando il pavimento con fare meditabondo.
- Sai cosa mi fa incazzare di più di te? Che sei un inguaribile ottimista – disse infine.
Holly non se la prese, perchè l'aveva detto ridendo.
- Cerco solo di vedere i lati migliori delle persone – rispose – E trovare i tuoi non è stato facile, te l'assicuro! In fondo, ma proprio in fondo, sei un bravo ragazzo. E se Julia ti avesse visto solo qualche ora fa, forse... -
- Oh, lascia perdere – lo interruppe Benji, sconsolato – Quel treno l'ho perso da un pezzo. -
Holly si rabbuiò. - Naah, niente è mai peduto... -
- Stavolta sì. Mi dispiace per te, ma di donne non ne capisci abbastanza per immaginare quando una storia è finita ancor prima di iniziare. Julia mi odia perchè mi sono comportato da imbecille, e purtroppo ha ragione. Chiuso. Quindi ti ringrazio, ma smettila di preoccuparti per la mia vita sentimentale. Pensa alla tua, piuttosto! -
- Beh, non è che abbia molto a cui pensare...
- Potresti, se la piantassi di occuparti solo di quel merdoso pallone e ti dessi un'occhiata in giro! -
Holly ci pensò su un momento. - Certo che...insomma, non so come dirlo... -
- Prova a dirlo e poi vediamo se l'hai detto bene – disse Benji con un sorriso amaro. Il compagno di squadra, nel frattempo, era arrossito come un peperone.
- Mi vergogno un po' ad ammetterlo, ma...quando eravamo da Philip e Patty è uscita dal bagno con l'asciugamano...insomma, era carina, no? -
- Carina? Tutto qui? - disse Benji – Era una sventola da far paura! Era la prima volta che la vedevo senza quel cazzo di tuta da manager! Lo vedi che hai tutte le fortune, maledetto? -
Holly cadde dalle nuvole. - Fortune? Ma che stai dicendo? -
Benji sospirò, rassegnato al candore del compagno di squadra. - Sto dicendo che Patty è molto carina e che è follemente innamorata di te. Il che ti concede un certo vantaggio, non credi? -
- Innamorata? Credi davvero che...? -
Benji cominciò a soffiare nuvolette di fumo dalle narici.
- Ok, ok! In effetti, ora che ci penso, potrebbe essere che le piaccia un po'. Quindi, secondo te, dovrei...darmi da fare? -
- Beh, non è che te lo abbia consigliato il dottore. Intanto comincia a capire se Patty ti piace veramente o no. -
Holly arrossì di nuovo e si dondolò da una chiappa all'altra, sulla panca. - Sì, insomma...credo di sì. E poi lei fa tante cose per me...solo...solo vorrei esserne davvero sicuro. -
- Allora dai retta ad un cretino e buttati, carciofo che non sei altro, prima che qualcun'altro te la soffi. Sai che l'amore è eterno finchè dura, vero? -
Holly ignorò quest'ultima frase, o forse fece finta di non averla sentita. Pensava veramente a Patty da qualche giorno, e, cavolo, gli mancava, non solo per le sue attenzioni, ma semplicemente per la sua presenza. E si sentì stupido per non averla degnata di uno sguardo quando ce l'aveva vicina, a casa di Philip. Evidentemente la regola per cui si apprezza qualcosa (o, in questo caso, qualcuno) solo quando lo si perde valeva anche per lui.
- Sai cosa farò, Benji? - disse infine.
- No. Cosa? -
- Quando torneremo nei nostri corpi... -
- Se ci torneremo. -
- Se ci torneremo, chiederò a Patty di uscire con me. -
- Ecco, questa è una buona idea. -
- Magari a mangiare un gelato. -
- Magari. O al cinema. -
- Credo che sarebbe contenta, no? -
- Certo che sarebbe contenta. Sono sette anni che non aspetta altro! -
- E' che...non so cosa potrebbe piacere a Patty. Magari preferirebbe andare a ballare... -
- Senti - disse Benji – Portala dove ti pare, al ristorante, al cinema, falle vedere uno di quei film melensi che fanno impazzire le ragazze. Basta che non la porti ad una partita di calcio, ok? -
- Uh...dici?
- Dico, dico. -
- Ok, niente partite. Ma...Benji... -
- Che c'è? -
Holly tentennò, temendo quasi di fare quella fatidica domanda. - E...se non ci tornassimo più, nei nostri corpi? Cosa credi che succederebbe? -
Benji tenne lo sguardo basso, cincischiando con l'orlo della maglietta.
- Fino a ieri ti avrei risposto che non ci volevo neanche pensare perchè la sola idea mi metteva i brividi – disse, in tono dimesso – Ora...non lo so. Credo che sarà quel che sarà. Non ho mai smesso di sperare che le cose tornassero come prima, ma mi sto arrendendo all'idea. Per cui, comunque vada, tanti auguri e trattami bene. Quel che conta è che siamo ancora qui... -
- E ci siete anche da troppo. Volete il cambio? -
Holly e Benji si voltarono contemporaneamente, ma mentre Holly arrossì fino alla radice dei capelli, Benji impallidì.
- Ehm...ciao Patty! - balbettò Holly – Che ci fai qui? -
- La stessa cosa che state facendo voi – rispose Patty con un sorriso – Solo che noi siamo riuscite a riposarci un po'. -
Benji non disse nulla e non riuscì nemmeno ad alzare lo sguardo dal pavimento. Accanto a Patty, Julia lo fissava con occhi severi.
- Eravamo in sala d'attesa con Amy, finalmente si è assopita un po' – disse la ragazza – Di là le poltroncine sono un po' più comode. E voi come state? -
- Abbastanza b... -
- E tu, Benji? - disse Julia senza nemmeno aspettare che il povero Holly finisse la frase.
Il portiere della nazionale alzò la testa, tirò su col naso e trovò il coraggio di guardare in faccia la ragazza.
- Guarda che non lo devi chiedere a noi. Io, per conto mio, sto anche troppo bene. – rispose duramente.
- Certo, come no – ribattè Julia con voce tagliente – E stai tremando perchè fa freddo, giusto? -
- Beh, l'aria condizionata è un po' forte, ma... - disse Holly ingenuamente come al solito.
Patty lo interruppe, cercando di salvare la situazione.
- Holly, che ne dici se andiamo a prendere del tè per Benji e Julia? -
- A Benji l'ho chiesto prima e ha detto che non ne vuole... -
- CHE DICI SE ANDIAMO A PRENDERE DEL TE' E MAGARI LI LASCIAMO SOLI PER UN PO'?! -
- Subito – disse Holly terrorizzato, saltando giù dalla panchina a orecchie basse.
Capitano e manager della New Team si allontanarono in direzione del distributore automatico di bevande calde, in fondo al corridoio, lasciando Julia e Benji a fare i conti con i loro rimorsi.
Intanto, nella sua stanza, Mark inspirò a fondo e cercò, inutilmente, di raddrizzare la schiena, ma crollò sul cuscino.
- Stai fermo e buono – intervenne Julian cercando di aiutare l'amico a mettersi a sedere.
- E'...è stato tremendo – disse Mark - Mi sembrava di annegare, cazzo... -
- Beh, l'idea è quella. Si chiama edema polmonare acuto cardiogeno. In pratica, una valvola del tuo (anzi, del mio) cuore non funziona bene, la pressione a monte aumenta, i polmoni si riempiono di liquido e... -
- Ti prego, risparmiami i particolari, non sono nelle condizioni di seguirti... - lo interruppe Mark – Giuro che se esco da qui non ti prenderò mai più per il culo...Dio mio, che cretino che sono... -
- Eh, non c'è male – ribattè Julian con malcelata ironia.
- Cosa...? -
- Niente, niente... -
Mark schioccò le labbra secche. - Potrei...avere un po' d'acqua? -
- Certo, aspetta. - Julian prese il bicchiere dal comodino e lo riempì per un poco, poi lo avvicinò alle labbra di Mark, che lo afferrò con mano tremante.
- Stai fermo, ci penso io – disse Julian aiutando l'amico a bere – Fai piano, non strozzarti. -
Mark bevve due piccoli sorsi, poi allontanò la testa dal bicchiere e spostò lo sguardo sulla mano fasciata di Julian, che glie lo reggeva.
- Che...che hai fatto? - disse.
Julian si guardò la mano fasciata. L'adrenalina di quel terribile momento gli aveva fatto da anestetico; avrebbe potuto anche morire dissanguato senza accorgersene, se un infermiere dell'equipe che aveva prelevato Mark non gli avesse fatto notare che forse era il caso di medicarsi quei tagli e magari di fare anche un'antitetanica.
- Uh...niente – rispose.
-Non si direbbe...anche quella è colpa mia? -
- Uff, lo sai che parli troppo per essere appena tornato nel mondo dei vivi? - sbuffò Julian ridendo – E poi sono io che mi devo preoccupare per te, non il contrario! -
- Ok - sussurrò Mark chiudendo gli occhi – Vuoi che ti dica come sto...? Mi fa male tutto, la testa, la gola...perfino la gamba...come se mi ci avessero dato una martellata... -
- Quella è colpa mia, scusami. Non ho mai avuto la mano leggera per le iniezioni. -
- Iniezioni? Cosa...cosa diavolo mi hai iniettato? -
- Un diuretico piuttosto potente. Temo di aver esagerato un po' con la dose, ma tutto sommato ha funzionato, per fortuna. -
Mark lo guardò con sospetto, capendo a fatica. - Diuretico? Che...che cacchio c'entra un diuretico con il cuore...? -
- C'entra, c'entra. Il liquido che avevi nei polmoni...doveva pur uscire da qualche parte, no? -
Mark spalancò gli occhi. - Vuoi dire che...oh, no, che figura... - si lasciò cadere sul cuscino coprendosi gli occhi con un braccio. - Che figura, cazzo... -
- Rilassati, che ti si stacca la flebo! E comunque non l'ha notato nessuno. Erano tutti completamente nel pallone. E poi, ti faccio notare, la “figuraccia” l'avrei fatta io, non tu. Ora Mark Landers è praticamente l'eroe del giorno... -
Mark smise di piagnucolare e spostò il braccio, puntando l'occhio scoperto in faccia a Julian.
- Mi...mi stai dicendo che sei stato tu a salvarmi la pelle?! -
- Così pare... - disse Julian con un filo di imbarazzo – A dire la verità io ho fatto ben poco. Questo ospedale ha un'unità coronarica con le contropalle. -
Mark strabuzzò lo sguardo, cercando di rimettere insieme tutti i pezzi. - Un...un diuretico per far uscire il liquido dai polmoni...che si accumula per...ma come cazzo fai a sapere tutte queste cose?! Ti sei laureato in medicina senza dirmelo?! -
- Diciamo che in questi anni mi sono informato parecchio. E poi... - Julian lanciò a Mark uno sguardo degno di un boss di Cosa Nostra. - ...nella mia (e sottolineo mia) situazione, prevenire è meglio che curare... -
Mark emise un gemito e chiuse gli occhi. La testa gli girava come un derviscio. - Perdonami. Cazzo, sono proprio un imbecille. Ti ho quasi mandato all'altro mondo, sono passato per un eroe e tu sei ancora qua a dirmi parole gentili. Se io fossi stato in te, probabilmente ti avrei lasciato lì a crepare... -
- No, sono sicuro che non l'avresti fatto. -
- Lo vedi?! Sei quasi irritante! -
- Non preoccuparti, avrò tutto il tempo per spaccarti la faccia quando sarai uscito da qui! -
Julian rise, e anche Mark l'avrebbe fatto, se non fosse stato sorpreso da un colpo di tosse. Sbarrò gli occhi, ricordando i terribili momenti che aveva vissuto sedici ore prima.
- Calma, calma, il peggio è passato! – disse Julian battendogli una mano sulla coscia sbagliata.
Mark sobbalzò dal dolore. - Non...non lì, ti prego! -
- Scusa – disse Julian ritraendo subito la mano – Devo averti fatto un bel livido, là sopra... -
- Sempre meglio che trovarsi un metro sotto terra. I tuoi genitori...come l'hanno presa? -
- Sconvolti. Mia madre ha avuto una crisi isterica appena ha messo piedi qui dentro. Per fortuna i medici l'hanno tranquillizzata...Non ti ha mollato un attimo fino a quando non ti hanno tolto il respiratore. E' un miracolo che sia riuscito a convincerla a darle il cambio...Credo che lei e mio padre stiano riposando da qualche parte. Non te lo nasconderò, Mark, eravamo tutti molto, molto preoccupati. -
- Immagino. E Amy...? -
Julian si rabbuiò. - Amy...sta bene, adesso. Non è stato facile convincerla che le cose si erano sistemate e tu...io ero fuori pericolo. Anche perchè, fino a qualche ora fa, non lo sapevo nemmeno io. Dannazione, è stato straziante... -
Mark deglutì. La voce di Julian aveva iniziato a tremare in maniera appena percettibile, ma abbastanza perchè Mark, che conosceva decisamente bene la propria voce, se ne accorgesse.
- ...Urlava, piangeva, ti...mi chiamava, e non potevo fare un accidente per calmarla – continuò Julian - E sai qual'è stata la cosa peggiore di tutte? Che non l'ho degnata neanche di uno sguardo fino a quando ti hanno portato via con l'ambulanza. -
Se fino ad allora Mark si era sentito in colpa per quello che aveva combinato, in quel momento si sentì una vera merda. - Julian, non ricominciare con la sindrome del buon samaritano...io, da bravo idiota, ci stavo lasciando le penne, e tu...tu ce le avresti lasciate con me. Solo che io non me ne rendevo conto, tu sì. E dev'essere stato tremendo. Vedersi morire...non farmici neanche pensare. Ci mancava solo di dover pensare agli atri. Credimi, fratello...posso capire come ti sei sentito e non hai idea di quanto mi dispiaccia. Ma non darti colpe che non hai; penso che nessuno abbia mai vissuto una situazione così assurda, e in tutto questo...tu avevi la precedenza...e per conto mio avevi e hai ancora tutto il diritto di essere terribilmente preoccupato per te... -
- Ma io non ero preoccupato per me, imbecille! - sbottò Julian alzandosi in piedi – Ero preoccupato per te!! -
Mark spalancò gli occhi e seguì con lo sguardo Julian, che si era messo a camminare nervosamente su e giù davanti al letto.
- Quando ti ho visto boccheggiare e diventare cianotico...non stavo vedendo me stesso crepare, stavo vedendo te... Non mi è venuto in mente neanche per un istante che il funerale sarebbe stato il mio, né ho pensato alla situazione assurda in cui mi sarei trovato dopo. In quel momento eri tu, solo tu che rischiavi la vita...e io...io dovevo fare qualcosa. Non potevo lasciar morire così il...il migliore amico che avessi mai avuto... -
Inspirò profondamente e si passò una mano sul viso, come se volesse togliersi la maschera che non aveva. Poi tornò a sedersi accanto al letto di Mark che, sbalordito, era incapace di dire una parola.
- In queste ore ho pensato molto alla nostra situazione – disse – E ho pensato anche a tutto quello che mi hai detto in questi giorni. A questo punto, non credo che le cose torneranno come prima, per cui vorrei chiederti una cosa, anche se credo che non servirà a niente. -
- E tu chiedimela lo stesso, non si sa mai – disse Mark.
Julian tacque per un istante, cercando di trovare le parole. - Alla luce di quello che è successo, tu...tu rinunceresti al calcio? Per sempre? Non te lo chiedo per me. Te lo chiedo, prima di tutto, per Amy. Avevi ragione, sono stato un idiota, per giunta cieco. Credo di aver calpestato abbastanza i suoi sentimenti. E poi...e poi per te, diavolo. Devi darti una bella regolata, altrimenti non andrai molto lontano. -
Mark non rispose, e continuò a fissare l'amico.
- So che non ho il diritto di chiedertelo – continuò Julian – In fin dei conti ora la mia vita è tua e viceversa, e non posso pretendere che tu la viva come me... -
- Non l'ho mai fatto, Julian – sussurrò Mark, ma il ragazzo non lo sentì.
- ...ma ti chiedo solo di non far soffrire Amy. Credo di dover rinunciare a lei per sempre, ormai, a meno che non si innamori di Mark Landers... -
- Julian... -
- ...quindi...oh, diavolo, lascia perdere. Sono uno stupido. Non ho davvero il diritto di chiederti niente. Solo...solo stai attento, ecco. In fin dei conti mi hai tolto da un guaio enorme, e ti sarò grato per tutta la vita per questo. Ma te lo ripeto, cerca di non farti del male...e non far soffrire Amy, d'accordo? Altrimenti, amico o non amico, ti faccio un culo così! -
Mark rise debolmente, anche se aveva il magone.
- Che cacchio c'è di divertente, me lo spieghi?! - sbottò Julian, irritato.
Mark si schiarì la gola. -Julian, mentre tu ti sei sbattuto alla grande per me...io ho giocato con la tua vita facendo quello che volevo. E non mi sono reso conto, fino ad ora, di quanto ti ho mancato di rispetto. E tu di rispetto ne meriti molto più di quanto non creda... Sono fiero di te, e sarò fiero di essere Julian Ross per tutto il tempo che ci vorrà. E non me ne frega niente se non potrò più giocare a calcio...ho guadagnato qualcosa di molto più prezioso ed importante. -
Quando Julian alzò la testa, Mark vide che aveva gli occhi lucidi.
- Non che mi riempia di gioia l'idea di lasciare il calcio. Ma la vita è così. Certe cose che si perdono, ma spesso se ne trovano altre migliori. E adesso vieni qua, disgraziato... – disse il capitano della Toho allargando piano le braccia.
Julian si chinò e strinse l'amico nell'abbraccio più caloroso che avesse mai ricevuto in vita sua.
- Piano, che ti si stacca la flebo – disse, tirando su col naso.
- Me l'hai già detto, rompiballe – rispose Mark, con un groppo in gola – Lo sai che ti voglio bene, vero? -
- Mh, mh – mugugnò Julian. Se avesse provato a dire qualcosa di senso compiuto sarebbe sicuramente scoppiato in lacrime, un po' per la tensione e un po' per l'emozione.
- Perdonami – continuò Mark.
- Per cosa? - disse Julian, senza lasciare la stretta.
Mark sospirò. - Ma ci sei o ci fai? -
- Scusa – rispose Julian – Sarà la tensione... -
- Ok, ma se non allenti la tensione sul mio collo finirai il lavoro che ho iniziato io... -
Julian si alzò, ridendo di sollievo insieme all'amico.
Mark tossicchiò e si appoggiò di peso sul cuscino. - Promettimi solo che avrai cura di mamma e dei ragazzi – disse – e anche di Maki. Non è stata troppo fortunata con me, ma tu sei di un'altra pasta. Cerca di renderla più felice di quanto ho fatto io, ok? Oppure mollala. Lascia che si trovi qualcosa di meglio. -
Julian arrossì e si sentì un egoista. Nel suo vortice di pensieri alla fine di quella maledetta attesa non c'era stato il minimo posto per la famiglia di Mark e per la sua ragazza.
- Scusami – disse – Hai ragione, non sono il solo ad avere il diritto di dettare condizioni. Ma non ti preoccupare, comunque andrà farò del mio meglio. -
- Basta che continui come hai fatto finora – aggiunse Mark.
Julian sorrise e strinse forte la mano che l'amico gli tendeva. - So che non ho bisogno di dirtelo, ma...vieni a trovarci quando vuoi – disse, calmo e rassegnato.
- Ovvio che lo farò! E vale anche per te, lo sai... -
Julian si ritrasse e incrociò le braccia.
- Bene – disse – Ora è meglio se cerchiamo di riposare sul serio. Sto crollando anch'io, e oltretutto l'orario di visita è terminato da un pezzo, se mi beccano gli infermieri... -
- Oh, non preoccupatevi! – disse all'improvviso una voce stridula – Ci ho pensato io a metterli a nanna! -
I due ragazzi si voltarono di scatto. Sulla soglia si trovava un omino calvo in camice bianco, che guardava i due con aria sorniona.
- E lei chi diavolo sarebbe?! - esclamò Julian.
- Questa l'ho già sentita un po' di tempo fa, non è vero signor Landers? -
Mark alzò una mano tremante. - Julian! - esclamò con voce strozzata – E'...è lui!! -
- Lui chi...?! -
- Io. Sì, sono proprio io. - L'omino svolazzò verso il letto, sotto lo sguardo attonito dei due ragazzi, calcandosi sulla testa una bombetta estratta da sotto il camice con un movimento rapidissimo.
- Evsebius, per servirvi. Ci siamo rimessi in sesto alla svelta, vedo! -
Julian, la bocca spalancata, era incapace di dire una parola. Mark strinse gli occhi, fumando di rabbia. - Ti...ti dovrei ammazzare, brutto bastardo... - disse – Non puoi immaginare l'inferno che ci hai fatto vivere! -
- Quindi...? - disse Evsebius guardandosi le unghie con la massima nonchalance.
- Quindi cosa?! - rispose Mark.
- Quindi cosa volete? Che il contratto di prova sia esteso a tempo indeterminato? Perchè, sapete, non mi piace l'idea di essermi preso il disturbo di tornare a sistemare le cose se, evidentemente, preferite che rimangano così... -
- Sta dicendo che è qui per far tornare tutto come prima?! - intervenne Julian, in uno slancio di entusiasmo.
- Niente tornerà come prima, signor Ross – rispose Evsebius – Tutto è cambiato, mi pareva fosse chiaro: ma non necessariamente le cose sono cambiate in peggio. E se non ve ne siete accorti, beh...forse è il caso di prolungare ancora un po' la lezione... -
- Per carità!! - esclamarono Mark e Julian all'unisono. I due ragazzi si guardarono, imbarazzati; poi si lasciarono andare ad una risata liberatrice.
- Senza offesa – disse Julian – Ma avremmo parecchie cose da sistemare al ritorno nei nostri corpi. Per cui credo sia meglio mettere la parola “fine” a questa avventura prima possibile, vero Mark? -
- Certo che sì – rispose il capitano della Toho, quasi senza pensarci – Ho imparato la lezione, Evsebius, se quello che volevi quando ho accettato la tua offerta era capire che non è tutto oro quello che luccica... -
- ...e che dai diamanti non nasce niente – intervenne Julian, canticchiando – Dal letame nascono i fior...come diceva qualcuno. -
Mark lo guardò storto. - Mi stai dando del letamaio? - disse, piuttosto contrariato.
- Parlavo in senso metaforico, idiota – sbuffò Julian.
- Beh, comunque sia ne sono lieto. L'unica cosa che mi dispiace è di non essermi fatto qualche grassa risata in più. Ve la siete cavata decisamente bene, ma non siete stati affatto divertenti. E ora, se non avete altro da aggiungere, avrei una certa fretta... -
- Ma come - disse Mark – Hai messo in piedi tutto questo casino...e non ti prendi due minuti per farci la morale? -
- La morale ve la siete già fatta da soli, e mi risulta che ve la stiate facendo da tempo – rispose Evsebius, seccato – Quanto a me, detesto perdere tempo in cose inutili, specialmente quando non mi divertono più. Come ha già detto, signor Ross, l'orario di visita è terminato da un pezzo. Oltretutto devo sistemare altri due poveri disgraziati, quindi, se non vi dispiace, chiudete gli occhi...-
- Ma... -
- Che c'è? Non ditemi che avete cambiato idea! -
- No...però... - tentennò Mark guardando Julian.
Il ragazzo sbuffò. - Perchè devi farla tanto lunga?! -
- Perchè? Ehm... -
- Vuota il sacco. Ma in fretta. -
- Me li presti ancora i tuoi cd? -
Julian volse lo sguardo al cielo. - Ti presto tutto quello che vuoi, ti affitto anche camera mia, se ti va, ma ora fai come ti ha detto quel...quel coso!! -
- Ok. Ah, Evsebius... -
- Che diavolo c'è ancora?! - sbottarono il genietto e Julian, sempre più impaziente.
Mark si fece piccolo piccolo. - Volevo...volevo solo sapere se sentiremo qualcosa... -
- Hai sentito qualcosa quando sei finito nel mio corpo? - disse Julian.
- Beh, no, ma... -
- Allora cosa diavolo vuoi sentire adesso che sei mezzo moribondo?! Chiudi gli occhi, animale!! -
Mark, un po' timoroso, obbedì. Sì, Julian aveva fatto un po' troppi progressi per i suoi gusti.
- Molto bene – disse Evsebius osservando i ragazzi – E' stato un piacere conoscervi. Per voi un po' meno, forse, ma sono sicuro che tutto questo non vi sia dispiaciuto troppo. E ora...buon viaggio. -
Forse chi dei due provò la sensazione peggiore durante il “passaggio” fu Julian. Prima un leggero formicolio alle mani, poi un leggero giramento di testa, infine una sensazione di profonda spossatezza.
Aprì piano gli occhi e tentò di sollevare una mano che gli sembrò pesante come piombo; la guardò, per essere certo che tutto fosse tornato al suo posto, poi guardò Mark che aveva a sua volta aperto gli occhi e sembra va stare osservando ogni centimetro del suo corpo, come se lo vedesse per la prima volta, cono un sorriso incredulo stampato sulle labbra. Poi tentò di sollevarsi un po' dal cuscino, ma ricadde pesantemente sulla schiena. Non si era mai sentito così debole, e si chiese come avesse fatto Mark ad essersi ripreso così alla svelta.
Mark si chinò verso di lui, per cercare di aiutarlo. - Piano – disse, tenendolo per le spalle e sistemandogli il cuscino dietro la schiena. Le mani e la voce gli tremavano per l'emozione.
- Va tutto bene – sussurrò Julian, temendo che il cuore gli balzasse fuori dal petto dalla gioia – Va tutto bene... -
- Sì – disse Mark – Finalmente va tutto bene. -
I due ragazzi si guardarono un attimo, ancora increduli. Julian aveva il fiato corto, la gola che gli bruciava ma non stava più nella pelle. Si guardò in giro per la stanza.
- Se n'è andato? - disse.
- Evsebius? Sembrerebbe di sì... -
- Meglio. Com'è che tu eri già pronto per saltare giù dal letto e tornare a casa? -
- Forse mi ero davvero portato dietro qualcosina di me – rispose Mark – Mi dispiace di non averti lasciato niente... -
- Mi hai lasciato più di quanto immagini... – rispose piano Julian.
I due restarono un istante in silenzio, e ognuno dei due sapeva esattamente quello che l'altro stava pensando.
- Vuoi che vada a chiamare Amy? - disse Mark.
Julian annuì.
- Si capisce già chi comanda tra quei due, eh? - disse Julia facendo cenno a Patty con la testa. Poi si sedette accanto a Benji, che rabbrividì nuovamente.
- Se le cose andranno come dovrebbero andare, Patty dovrà rivalersi di parecchio... - rispose il ragazzo.
Julia sorrise.
- E' stato bello quello che hai fatto per Julian. - disse.
- Bello? Non direi, non ho fatto un accidente. Bah, non importa. Come l'hai saputo? -
- Non l'ho saputo, l'ho visto. - Julia alzò l'indice verso il soffitto. - Ero di sopra, in gradinata, vicino a Patty. -
Benji ci rimase di sasso.
- Ah. Credevo te ne fossi tornata a casa. - rispose.
- Infatti ci sono tornata. Abito qui, a Tokyo. -
- Buono a sapersi. Vorrà dire che eviterò accuratamente di tornarci. -
Julia sbuffò. - Perchè devi recitare sempre la parte dello stronzetto...? -
- Perchè sono così, ok? Mi dispiace. Non sono una persona migliore solo perchè mi hai visto piangere su un compagno di squadra moribondo. Quelli si chiamano nervi fragili. Sono esattamente come tu pensi che sia, uno stronzo. -
- Se fossi veramente uno stronzo non saresti qui. - Benji rimase un po' interdetto da quell'ultima frase.
- Mi stai ripetendo le stesse fesserie che ha detto il tuo amore prima – disse – Non avete molta fantasia, voialtri romanticoni, eh? E poi ti ricordo che sei stata tu la prima a dirmelo. -
- Beh, può darsi che mi sia sbagliata. Almeno in parte. E comunque Oliver non è il mio amore. -
- Ah, no? Cos'è cambiato, adesso? -
- Da quando ho conosciuto voi ho imparato a guardare oltre le persone. E ti devo dire che, beh, lui è un ragazzo squisito, ma non è proprio il mio tipo... -
Benji ridacchiò.
- ...insomma, un'infatuazione capita! -
- Dillo a quella poveretta di Patty! - continuò Benji tra una risata e l'altra.
- Patty ha molta, moltissima pazienza – disse Julia, seriamente. - Ci ha messo degli anni, ma ora credo che abbia capito come prendere i ragazzi come lui. -
- E grazie a Dio non ce ne sono molti... - ironizzò Benji abbozzando un sorriso a cui Julia non rispose.
- Se ce ne fossero di più il mondo sarebbe migliore, credo. -
Benji sbuffò. - Benissimo – disse – Aggiungi pure che se ci fossero meno persone come me sarebbe perfetto, già che ci sei. -
- Ma perchè devi metterla sul personale?! -
- Perchè è quello che intendevi, giusto? Vi conosco, voi donne; non vi piace dire quello che pensate senza giri di parole, così parlate tutto il tempo per sottointesi sperando che il fesso di turno capisca esattamente quello che intendete. Se non succede, e non succede mai, ve la prendete a morte e ci accusate di essere insensibili, di non vedere ad un palmo dal naso e tutte quelle altre cose cretine che vi piacciono tanto...quindi, per favore, visto che non sono in vena, dimmi in faccia quello che vuoi dire e smettila di torturarmi!! -
- Ti stai torturando da solo, idiota!! - sbottò Julia. - E mi sembra di averti detto in faccia tutto quello che pensavo di te giusto pochi giorni fa, a casa di Philip. Se credi che sia qui perchè ho voglia di perdere tempo a ripetertelo ti sbagli di grosso! -
Benji cercò di bofonchiare una frase di senso compiuto, senza riuscirci.
- Quello che avrei voluto dire prima che psicanalizzassi a sproposito l'intero genere femminile, è che spesso le persone si conoscono poco alla volta, e le si scopre nelle situazioni più assurde. -
- Come il trovarsi nel corpo di qualcun altro? -
- Anche. O nell'affrontare un'emergenza improvvisa. -
Benji si strofinò gli occhi stanchi. - Torniamo al discorso di partenza. Avrebbe potuto esserci chiunque al mio posto, io ero lì solo per caso; ma anche se non sono una tale merda da abbandonare un amico in pericolo di vita, questo non fa di me una persona migliore. E' stato l'istinto, va bene? -
- Guarda che non ti devi mica difendere... -
- Non mi sto difendendo!! - sbottò Benji alzandosi in piedi.
Julia non si mosse e non smise di fissarlo. - Abbassa la voce – disse – Siamo in un ospedale. -
Benji si sedette, come per obbedire ad un ordine sottointeso.
- E non parlavo di questo. Parlavo del fatto che non ti sei mosso da qui per tutto il tempo, e accanto a te c'era la persona che detesti di più al mondo. -
Benji avrebbe urlato, se avesse potuto. - Sai che tu e Hutton vi assomigliate più di quanto pensassi?! - disse, esasperato – Mi avete detto le stesse, identiche cose! Perchè non cerchi ancora di farlo innamorare di te, così vi levate dalle palle e mi lasciate una volta per tutte in pace a riflettere su quanto sono cretino?! -
- Non ti prendo a sberle solo perchè sei stanco e sconvolto e non sai quello che dici – disse Julia senza battere ciglio.
Benij si appoggiò allo schienale della panca e sbattè la testa contro il muro, sospirando dolorosamente.
- Perchè non mi lasciate stare? - piagnucolò – Voglio solo meditare su tutte le stronzate che ho fatto. Mi piacerebbe provare ad essere una persona migliore, ma non ce la farò mai se tu e quell'altro angioletto continuate a farmi la morale su quanto di buono io abbia nel profondo del mio animo, perchè, per quanto mi sforzi di cercare nel profondo del mio animo non riesco a trovare niente, capito? Niente. Il buio totale. Non ne valgo la pena, me l'hai anche fatto capire abbastanza chiaramente, quindi...quindi lasciami perdere, ok? -
- Un'altra ragazza lo farebbe. Io no. Anche perchè si capisce lontano un chilometro che non è quello che vuoi. -
- Oh, ti prego, ho avuto anche troppe lezioni di psicologia spicciola per oggi! -
Julia cominciò a spazientirsi. - Non è psicologia; ti sto solo offrendo una seconda possibilità, ma mi sembra di capire che preferisci crogiolarti nell'autocommiserazione. Per cosa, non l'ho ancora capito. - Si alzò e fece per andarsene. - Ci vediamo, Benji. Se ci ripensi, dillo a Philip, ti darà il mio numero di telefono. Cerca di non metterci troppo tempo a decidere, però. Le buone occasioni se ne vanno così come vengono. -
Riuscì a fare due passi, solo due passi prima che Benji la fermasse.
- Aspetta, Julia, per favore! -
Il portiere si era alzato di scatto e aveva afferrato la ragazza per un braccio. L'aveva afferrata, ma aveva mollato subito la presa, come un cane che mordicchia la caviglia del padrone per avere la sua attenzione: e allo stesso modo Benji guardava la ragazza con occhi imploranti.
- Per favore – continuò, in tono più sommesso, ma spaventato, sorreggendosi con una mano alla porta della stanza di Julian – Scusami. Non ci capisco più niente, sono distrutto, vorrei dormire ma ho il terrore di quello che potrebbe accadere dietro questa porta. Senza contare che sono un cretino, lo sai. Ma non fino a questo punto. Se vuoi davvero concedermi una seconda possibilità...io la prenderò al volo e mi leccherò pure le dita. Ma non qui, non adesso. Quando sarà tutto finito e sarò di nuovo in grado di ragionare. Fino ad allora...insultami, scuotimi, prendimi a schiaffi ma non lasciarmi da solo con me stesso. Davvero, non so cosa potrei combinare. Credo che riuscirei anche a picchiarmi. -
Julia gli sorrise dolcemente. - Allora Holly ha fatto bene a rimanere – disse – Avevi bisogno di qualcuno che ti difendesse dalle tue azioni... -
- Forse sono diventato davvero schizofrenico, sì – rispose Benji – ma credo che mi ci abituerò. -
Julia rise. - Io no – disse – Ma conosco un'eccellente terapeuta! -
- Sono nelle tue mani – ribattè Benji ridendo a sua volta.
Più che nelle sue mani, probabilmente sarebbe stato tra le braccia di Julia, se solo Mark non avesse spalancato la porta della stanza a cui il ragazzo era appoggiato. Benji fece un volo di fianco, bestemmiando in aramaico; Mark lo guardò un paio di secondi, poi lo scavalcò è uscì dalla stanza.
- Mark, che succede?! - esclamò Julia.
Il ragazzo, sorpreso, guardò prima la ragazza, poi Benji che si rialzava senza smettere di imprecare, poi di nuovo Julia.
- Ancora qui, voi? - disse, con fintissima nonchalance. - Tutto bene. Il...il bell'addormentato si è svegliato. Dov'è Amy? -
- In sala d'attesa, con i genitori di Julian. Dio, che bella notizia! Come... -
Ma Julia non fece in tempo a finire la domanda che Mark si era già precipitato in fondo al corridoio. La ragazza lo guardò sparire oltre la porta a vetri, poi si voltò verso il povero Benji, massaggiandogli la testa, preoccupata.
- Ti sei fatto male? -
- No...ehm...anzi, un pochino...dov'è andato quel caterpillar? - bofonchiò Benji gongolando sotto il leggero tocco delle dita di Julia.
- A chiamare Amy. Santo cielo, che bernoccolo...vuoi che ti porti una pezza bagnata? -
- No, non ce n'è bisogno... - Benji stava per cominciare a fare le fusa. - Ecco, un pochino più a destra... -
Julia sorrise e il massaggio si trasformò in una delicata carezza.
- Ci stai provando? - disse, sorridendo.
- Cosa te lo fa pensare? -
Ad un tratto il ragazzo sentì un formicolio alle mani, poi un leggero giramento di testa.
- Oddio – disse – Non sarà mica un ematoma cerebrale?! -
- Non fare il deficiente – rispose Julia, allarmata, prendendo il viso pallido di Benji tra le mani – Stai male? -
- Mai stato meglio – disse Benji con una strana espressione ebete dipinta in faccia. Poi chiuse gli occhi, e l'ultima cosa che ricordò fu che Julia lo chiamava per nome, scuotendolo per le spalle.
L'ultima cosa che vide stando nel corpo di Holly, ovviamente.
Perchè quando riaprì gli occhi si trovò al distributore automatico di bevande, con un tè in mano e Patty che lo guardava in maniera strana.
- Holly? Hai capito cosa ti ho detto...? -
- No – rispose Benji, pallido come un cadavere, guardandosi le mani.
- Ho detto che “Shaolin soccer” non mi attira molto, che ne dici di “Notting Hill”...? -
- NoooooooaaaAAARGH!!! - ruggì Benji, dopo aver capito cos'era successo – Perchè proprio adesso?! PERCHE'?! -
Patty spalancò gli occhi, incapace di dire una parola. Poi si portò le mani al viso e scoppiò a piangere e ridere contemporaneamente.
Quel che disse Julia quando Holly, il vero Holly tutto intero, le propose di andare a vedere “Shaolin soccer” (prima di rendersi conto che lei non era Patty) non è riportabile per questioni di decenza.
Quando Mark fece irruzione in sala d'attesa, i signori Ross e Amy si presero un colpo. La manager della Mambo si alzò di scatto dalla sedia, pallida e spettinata. - Mark, cosa... - disse, con voce tremante.
- Belle notizie – disse Mark con il fiatone – Scusatemi. E' tutto a posto, davvero. Julian si è svegliato... -
Ashely Ross scoppiò in lacrime e si strinse contro il marito, il quale la abbracciò con un calore che la donna non ricordava da tempo.
- ...e vorrebbe vedere Amy. -
La ragazza rimase immobile per qualche secondo, come se non avesse capito le parole di Mark, che la guardava, aspettandosi una reazione di qualsiasi tipo. Che tenerezza gli faceva; piccola, magra e spaventata, quasi riusciva a vederle il cuore martellare nel petto.
Amy si voltò titubante verso i genitori di Julian, aspettando un cenno da parte loro.
- Vai – le disse Gregory sorridendo. Ashley annuì, singhiozzando di gioia, e la ragazza corse via, travolgendo quasi Mark.
Il ragazzo rimase a guardarla con aria assente, sentendosi sempre più leggero, incredulo.
- Mark. Mark Landers. -
Mark si girò verso Gregory Ross.
- Sei Mark Landers, vero? -
Cazzo, sì, eccome, stava per rispondere, ma si trattenne. - Sì...sì, signor Ross, sono io. -
- So che sei un buon amico di Julian – disse Gregory – E quello che hai fatto l'ha dimostrato molto chiaramente. -
- Julian ha fatto molto di più per me, signore – rispose Mark.
Gregory rise. - Non credo...tu gli hai salvato la vita. Io e mia moglie non sappiamo come ringraziarti per quello che hai fatto per nostro figlio. -
- L'avrei...l'avrei fatto in ogni caso. - disse Mark, piuttosto imbarazzato – Non dovete ringraziarmi di nulla, davvero. -
- Invece no. So che sei un bravo ragazzo e che la tua famiglia al momento ha qualche difficoltà, Julian mi aveva anche chiesto di occuparmi di una questione di malafede in cui siete rimasti intrappolati. Te l'avrei detto con calma dopo la partita, se non fosse successo tutto questo. Potete stare tranquilli. Quell'uomo vi restituirà fino all'ultimo centesimo. -
Mark avrebbe voluto piangere.
I genitori di Julian passarono rapidamente oltre, lasciandolo lì con gli occhi persi nel vuoto.
Non poteva credere che l'incubo fosse finito del tutto. Eppure qualcosa gli mancava, in mezzo a tutte quelle assurdità.
- Mark? -
Alzò la testa, convinto di trovarsi in un flashback; Maki lo guardava torcendosi le mani, la faccia stanca e preoccupata ma sorridente.
Ecco cosa gli mancava.
- Sono venuta appena ho potuto – disse – Ed mi ha telefonato appena arrivato in ospedale; sono riuscita per miracolo a prendere l'ultimo traghetto per Ube, ma di Shinkansen neanche l'ombra... -
Mark continuava a guardarla senza dire nulla.
- Stai bene? - disse Maki accarezzandogli il torace con una mano.
Sempre senza dire una parola, il ragazzo la attirò a sé e la strinse forte tra le braccia, tremando. Maki si lasciò andare e ricambiò quell'abbraccio, senza provare nemmeno a capire.
- Il mio piccolo temporale personale – le disse infine Mark.
Maki sorrise. - Ed mi ha raccontato tutto – disse piano – Sei un eroe, Mark Landers...e io sono così fiera di te... -
Mark non fece nemmeno caso a quelle parole. - Mi sei mancata, lo sai? -
- Mark, era solo una settimana... -
- Per me è stato molto di più. Ma non so bene come dirtelo... -
Maki gli si strinse contro lasciandosi cullare. - Beh, potresti dipingermi un quadro... -
- Eh?! - Un quadro?! Che cacchio aveva combinato Julian?!
Maki lo guardò, un pochino contrariata, e si sciolse dal suo abbraccio. - Un quadro. Per mostrarmi come ti senti. Insomma non te la ricordi più?! -
Mark sospirò. Ok, si disse, alle grane ci penserò più tardi.
- No, piccola, non mi ricordo. In questo momento ho altre cose per la testa. -
- Per esempio? -
- Per esempio il tuo anello di fidanzamento. Non ti aspettare sberle in platino tempestate di diamanti, eh? E' il simbolo che conta. -
Maki lo guardò, sbalordita. - Anello?! -
- Beh, ho pensato che stiamo insieme da un po' troppo tempo per non cominciare a mettere in piedi qualcosa di serio. Non è che sappia esattamente da che parte cominciare, ma da qualche parte si dovrà, non credi? -
- Mark, non ho parole... -
- Beh, ce le ho io per tutti e due. Se sei riuscita a resistere fino ad ora insieme a me vuol dire che potrai resistere ancora qualche anno, giusto il tempo di finire gli studi emettere da parte qualche soldino. La ruota ha cominciando a girare per il verso buono, finalmente. Che ne dici? -
Maki fece una strana smorfia, poi si buttò di nuovo tra le braccia del suo fidanzato, singhiozzando rumorosamente.
- Ok, lo prendo per un sì - disse Mark – Allora, come ti piacerebbe l'anello? Ripeto, per favore, niente solitari... -
- Non me ne frega niente – disse Maki tirando su col naso - Anche uno trovato nelle patatine... –
Mark sorrise, finalmente sereno, poi gli venne un dubbio improvviso.
- Maki... -
- Sì? -
- Non è che volevi un quadro, vero? -
La ragazza scoppiò a ridere. - Ma quanto sei stupido! -
- Ehi, io dicevo sul serio... -
- Anch'io. E ora baciami. -
Amy fece lentamente capolino dalla porta. Guardò Julian, gli occhi chiusi, il volto pallido, il braccio, di traverso sull'addome, da cui spuntava la cannula della flebo. Entrò nella stanza provando una stretta al cuore nel vedere il ragazzo che amava in quelle condizioni, ma contemporaneamente ringraziò il cielo che fosse vivo.
- Amy... – disse piano Julian, socchiudendo gli occhi.
- Sono qui – rispose la ragazza. Si avvicinò al letto e prese la mano che lui, debolmente le tendeva.
Amy sorrise, sentendo quella mano stringere la sua con la poca forza che ancora aveva. Poteva sentire il suo cuore battere in quella stretta, battere piano ma battere.
Non avrebbe perso Julian, lo sapeva fin dall'inizio.
In quelle ora interminabili in sala d'attesa non aveva mai pensato un solo istante a cosa sarebbe successo se lui fosse morto. Consciamente o inconsciamente non voleva nemmeno prendere in considerazione quell'ipotesi.
Julian doveva vivere perchè troppe cose erano rimaste in sospeso, e lei non poteva più aspettare.
Figuriamoci se avrebbe aspettato per sempre...
Julian alzò la testa e la guardò negli occhi.
- Mi dispiace, piccola... – disse piano - Ti ho fatto prendere un bello spavento, vero? -
- Non mi ci abituerò mai – rispose Amy con un sorriso tremante.
- Oh, non lo dovrai fare... - Julian deglutì faticosamente. - Credo che sia ora di finirla con il calcio...e pensare a cose più importanti. -
Amy strinse le labbra e trattenne il respiro; non voleva piangere, o forse non voleva che lui la vedesse piangere.
- Ti amo, lo sai? -
- Sì – disse Amy chinandosi a baciarlo, mentre una lacrima le scivolava furtiva sulla guancia – Lo so. -
Julian, che aspettava quel momento da anni, chiuse gli occhi; il suo debole cuore traboccava di gioia. Ma il suo ultimo pensiero, prima che le labbra di Amy si schiudessero sulle sue, non fu il viso della ragazza con cui, lo sapeva, avrebbe condiviso il resto della sua vita; pensò che quel momento non ci sarebbe stato se non ci fossero stati tutti gli altri, il suo arrivo a casa di Mark, i suoi fratellini, sua madre, Maki, il lavoro all'edicola, il piano bar.
Perchè, in realtà, quello che aveva creduto il peggiore degli incubi era la felicità camuffata.
Mark sarebbe stato orgoglioso d lui, come lui lo era stato di Mark.
Questo era ciò che pensava quando la porta si spalancò.
- Julian!...ops... -
Amy si ritrasse all'istante, arrossendo vistosamente.
A proposito di Mark...
- Che vuoi ancora? - disse Julian sorridendo all'amico che aveva fatto capolino.
- Ehm...l'hai detto tu a Maki che volevi dipingerle un quadro...? -
- Era una canzone, Mark. Una stupidissima canzone. -
- Ah. Una canzone. Perfetto. -
- Poi ti spiego. -
- Ok. Scusate. - sussurrò infine Mark scomparendo di nuovo dietro la porta.
Amy aggrottò la fronte, guardando un po' storto Julian.
- Beh, tutti hanno la loro canzone – disse Julian amiccando alla ragazza.
- Ah sì? E la nostra quale sarebbe? -
- Uhm...”Hungry heart?” -
- Spiritoso – disse Amy baciandolo nuovamente. E stavolta nessuno li avrebbe interrotti.
Ok, precisiamo subito che questa storia non è ancora finita, anche se, in pratica, lo è. Ci sarà ancora un breve epilogo e poi potrò mettere la parola fine a qualcosa che è rimasto in sospeso da troppo tempo.
Ufficialmente “Se io fossi in te” è su EFP dal 16 luglio 2003, ma era già presente nel sito quando l'inserimento delle ff non era ancora stato automatizzato. Di sicuro, quindi, da 7 anni, se non di più.
In sette anni cambiano tante cose, e in primis sono cambiata io; le mie storie hanno sempre riflettuto molto i miei stati d'animo e soprattutto, non essendo io assolutamente costante in nulla, le mie passioni del momento. Ho smesso di scrivere per molto tempo, e quando ho ricominciato non ero più quella di prima.
Questo per chiedervi scusa se questo (di fatto) ultimo capitolo vi ha deluso. Ha deluso anche me, perchè non è come avrei voluto che fosse. Forse avrei fatto meglio a cancellare questa storia, ma mi sono sentita in debito verso chi l'ha seguita fedelmente e con pazienza in tutti questi anni. VI dovevo un ultimo capitolo, e vi assicuro che ci ho lavorato parecchio e con molta fatica. Che il risultato non sia buono mi dispiace, ma per me è importante che esista, perchè è un altro passo avanti per portare a termine quello che ho cominciato.
Ma non ne sono orgogliosa: sono convinta che avrei potuto fare di meglio, ma so anche che quel meglio non sarebbe mai arrivato.
E' giunto il tempo di iniziare altre storie, storie più adatte a come sono adesso; non cresciuta, semplicemente un'altra Ruby con altre storie ^_^
Paroloni a parte, adesso mi sento più libera di lavorare ad altre storie: è in cantiere una one-shot (più o meno) comica, e ne ho scritta un'altra decisamente più deprimente, per un contest che finirà a metà gennaio. Poi ho in ballo ancora qualcosa su “Il signore degli anelli” (anche lì una lunga storia da terminare...).
Alla fine di tutto potrete dirmi se preferite la nuova Ruby o quella vecchia!
Comunque sia, grazie a tutti, di cuore. Anzi, no, i ringraziamenti alla fine e questa non è ancora la fine ^_-
Rubysage
(Ah, dimenticavo: la canzone che Mark ascolta in sogno, all'inizio del capitolo, è ovviamente “Stairway to Heaven” dei Led Zeppelin, mentre, nella stanza d'ospedale, Julian canticchia “Via del campo” di Fabrizio De Andrè.)
Il campanello suonò nel bel mezzo di “Drive all night” e di un complicatissimo problema su tangenti, cotangenti e chi più ne avesse più ne mettesse.
Oh, 'fanculo, pensò Mark sbuffando.
- Mamma, vai tu? -
- No – rispose la signora Landers dalla cucina.
Mugugnando, Mark sbattè il libro sul tavolo e spense la radio. Odiava essere interrotto mentre faceva finta di studiare.
Stiracchiandosi, andò ad aprire la porta.
- Desidera...Julian?! - esclamò, preso alla sprovvista.
- Mark?! - ribattè il ragazzo, anche lui incredulo – Santo cielo, pensavo di aver sbagliato casa! Che diavolo ci fai con gli occhiali? -
Amy si portò una mano alla bocca, per soffocare una risatina.
Mark avrebbe voluto rispondergli con una battuta, ma era troppo sorpreso di trovarsi davanti i due giovani amici, felici e sorridenti e con due grossi zaini sulle spalle. Non si vedevano da due mesi, anche se in quell'arco di tempo si erano sentiti diverse volte; la distanza e l'impegno che i due ragazzi stavano mettendo nel sistemare le loro vite avevano giocato contro il loro reciproco affetto, ma non avevano comunque avuto la meglio su di esso.
- Mi servono solo per leggere – disse infine, togliendosi gli occhialetti tondi dalla montatura dorata e pulendoseli nella maglietta.
- Ti stanno molto bene! - disse Amy – Ti danno un non so che da intellettuale... -
- Più che altro sembri John Lennon! - disse Julian.
Mark rise e abbracciò l'amico.
- Come stai, tigre? - disse Julian.
- Benone – rispose Mark dando una manata sulla spalla del ragazzo e chinandosi verso Amy per baciarla sulle guance.
- Sei sempre splendida, Amy – disse. Guardò ancora un istante Julian. - E tu...beh, ti trovo da Dio! – rise, facendo entrare i due ragazzi.
In effetti quel disgraziato era riuscito a diventare ancora più bello; aveva un'espressione tranquilla e rilassata come non mai, il viso quasi abbronzato e, se l'occhio non ingannava Mark, aveva anche messo su qualche chiletto. Quanto ad Amy, era semplicemente radiosa.
- Sono davvero contento di vedervi! - disse, aiutandoli a sistemare gli zaini nell'ingresso - Che ci fate da queste parti? -
-Siamo in vacanza – disse Julian, che si era già accomodato beatamente sul divano in soggiorno. Il capitano della Mambo incrociò le mani dietro la testa e si lasciò sprofondare tra i cuscini. - La nostra prima vacanza... -
- Abbiamo fatto un giretto per tutto il Giappone – disse Amy sedendosi accanto al suo fidanzato.
- In aereo? - chiese Mark.
Julian scosse la testa. - Treno, tenda e sacco a pelo – disse.
- Sacco a pelo?! -
- E traghetto – lo corresse Amy.
- Alla faccia del mal di mare! - aggiunse Julian, strizzando l'occhio a Mark – Non è stato molto clemente stamattina! -
- Tua madre l'avrà presa benone, immagino... - disse Mark sorridendo all'idea che l'amico si stava finalmente godendo la tanto sospirata libertà con la ragazza di cui era innamorato.
- Beh, dovrà farci l'abitudine! Non ho intenzione di fermarmi qui! - ribattè Julian.
- Figlio degenere... - disse Mark con fintissimo disappunto – Allora, dovete raccontarmi tutto! Ragazzi, davvero non sapete quanto mi fa piacere che siate passati di qua! Aspettate un attimo, dico a mamma di aggiungere un paio di posti a tavola. Quanto vi fermate? -
- Non ci fermiamo – disse Julian – Mi dispiace, Mark. Dobbiamo essere a Tokyo entro stasera. -
- Un momento – disse Mark, deluso – Siete appena arrivati e già ve ne andate? -
Amy sorrise. - Julian ha un...impegno musicale. -
Mark guardò l'amico con gli occhi spalancati dallo stupore. Se avesse potuto, gli avrebbe messo in bocca le parole. - Non mi dirai che... -
- Al gruppo del cugino di Amy manca un tastierista – disse Julian, quasi emozionato – Stasera ho il provino. -
- E'...è grandioso! - disse Mark – E il sassofono? -
- L'ho rivenduto – rispose Julian con una punta di rammarico nella voce – Non faceva per me. -
- Peccato, però. Era un bello strumento. Ma, pensandoci...forse è meglio così. Complimenti! - disse Mark battendo un cinque all'amico.
- Aspetta a dirlo, non mi hanno ancora preso! -
- Lo faranno, fidati! Allora, come avete trovato Kyushu? -
Mark spalancò gli occhi. - Un momento, come sarebbe “sbarcati”? Non ditemi che vi siete fatti il viaggio in traghetto da Honshu solo per venire a salutarmi e ripartire? -
- Più o meno – disse Julian alzandosi dal divano – Diciamo che oggi era una giornata...come dire...speciale. Non potevamo mancare. -
Il ragazzo aprì lo zaino e ne estrasse un pacchetto piatto e quadrato, accompagnato da una grossa busta bianca, che porse all'amico.
- Buon compleanno, Mark – disse – Lo so che è domani, ma domani non avremmo potuto essere qui. -
Mark arrossì fino alla radice dei capelli rigirandosi il regalo tra le mani, gli occhi lucidi per l'emozione.
- Il...il mio compleanno! - balbettò, felice – E voi siete venuti per questo?! Siete pazzi! Ma come facevate a saperlo? Me ne stavo dimenticando perfino io! -
- So molte più cose di te di quanto tu non creda – disse Julian, lanciando all'amico uno sguardo piuttosto significativo.
Mark ricambiò lo sguardo e rise. - Grazie, ragazzi. Sono davvero emozionato. Ma mi avete preso così alla sprovvista che non so cosa offrirvi...posso farvi almeno un tè? -
Julian guardò Amy e ci pensò un attimo. - Volentieri, grazie. Amy...puoi chiederlo tu alla signora Landers? Tra l'altro, so che fa degli squisiti dolcetti di riso...già che ci sei, che dici di farti spiegare un po' come si preparano? - disse Julian facendo l'occhiolino alla ragazza.
Amy fece un sorriso sornione e si alzò dal divano. - D'accordo...spettegolate quanto vi pare e chiamatemi quando mi rivolete tra voi! - disse prima di uscire dalla stanza.
- E' inutile, non riuscirai mai a fregarla - disse Mark dopo che la ragazza si fu chiusa la porta alle spalle.
Julian rise. - E' meravigliosa, Mark. Sono stato proprio un cretino a sprecare tutto quel tempo senza di lei. -
- Beh, meglio tardi che mai! - esclamò Mark – Comunque siete fuori di testa tutti e due. Sciropparsi una marea di chilometri per... -
- Aspetta. - Julian mise una mano sul braccio di Mark, che stava per scartare il pacchetto. - Aprilo quando ce ne saremo andati, ok? Tanto avrai già immaginato cos'è...-
- Beh, di sicuro non è un pallone! - rise Mark – A proposito, anch'io ho qualcosa per te. -
Tolse il cd dallo stereo, lo mise nella custodia e lo porse a Julian.
- Questo è tuo. Te lo dovevo... -
Julian prese il cd. - “The river”? Ma ce l'ho già... -
- Ce l'avevi – precisò Mark – Te l'ho fuso io a forza di ascoltarlo. Non te l'avevo detto? -
- Grazie a Dio! - esclamò Julian con un sospiro di sollievo – Temevo fosse lo stereo! -
- In questi due mesi hai ascoltato un solo cd?! Con tutta la roba che hai in camera?! -
- Volevo ascoltare quello quando sono uscito dall'ospedale – rispose Julian – Avevo bisogno di sentirmi di nuovo a casa. Almeno, è quello che credevo. In realtà, forse, mi sento più a casa qui che a Tokyo... -
- Lo so – disse Mark – Credo di aver provato la stessa cosa. -
- Beh, comunque poi non ho più avuto molto tempo per ascoltare musica. La mia vita sociale ha subito un'accelerazione piuttosto brusca...insomma, pare che dal momento in cui ci si fidanza non si possa più uscire con amici single... -
Mark ridacchiò. - Tu non uscivi con amici single – disse Mark, sarcastico – Tu non uscivi proprio! -
- Beh, comunque adesso non potrei nemmeno se lo volessi! Sai quante uscite a quattro (se non sei o otto) mi sono dovuto sorbire? Per stare un po' da solo con Amy mi sono dovuto dare malato! -
- Però! E chi sono i fortunati? -
- Beh, pare che Benji stia cominciando ad apprezzare la vita mondana di Tokyo...sarà anche colpa della sua nuova ragazza, ma me lo ritrovo tra i piedi quasi tutti i fine settimana! -
- Benji Price ha una ragazza?! -
- Ti stupisce? - disse Julian ridendo.
- Mi stupisce che ne abbia una sola! - disse Mark, sinceramente incredulo – Chi sarebbe la fortunata? -
- La cugina di Philip, una certa Julia. Una tipa carina, tranquilla ma determinata. Insomma, se lo rigira come un calzino...però mi sembrano davvero innamorati e fanno una bella coppia. E, ti dirò, in compagnia lui è anche piuttosto simpatico! -
- Mah, contento tu... -
- Smettila di fare il cinico. Se tu avessi visto la sua reazione quando...quando siamo stati male quel giorno non l'avresti riconosciuto. Pare abbia perfino cominciato a frequentare Holly! -
Mark strabuzzò gli occhi. - Ok, questa è da “Ai confini della realtà”. Sei sicuro che sia veramente lui e che non abbiano fatto un altro scambio...? -
- No, no, fidati, è lui! Ho visto anche Holly, tra le tante. Sai che sta uscendo piuttosto assiduamente con Patty? E quando dico “assiduamente”... -
- Vuoi dire fuori dai campi di calcio? Era ora! Questa è una notizia da prima pagina! Beh, sono contento per Patty, alla fine chi la dura la vince! -
- Aspetta a dirlo...conosci Holly, no? -
Entrambi risero, poi Mark si lasciò andare ad un sospiro di sollievo e si stravaccò beatamente nella poltrona.
- Sai...mi avevi detto che stavi bene, ma non immaginavo così bene! - disse.
- Mai stato meglio, te l'assicuro. Anche il riposo è stato importante, ma non quanto tutto il resto. Non avrei mai detto che saresti stato tu a farmi dare la svolta! -
- Me l'hai già detto un sacco di volte, lascia perdere. Hai fatto la stessa cosa anche per me, te l'ho già detto. -
- Sì, ma io non sarei mai riuscito a far licenziare Theodore! -
Il pensiero dell'infido autista fece stringere lo stomaco di Mark dal nervoso.
- Quello stronzo...spero che sia finito sotto qualche ponte... -
- Non te l'ho detto? Adesso guida scuolabus! L'ho visto girare nel mio quartiere con una strana espressione beata sulla faccia... -
- Starà sicuramente meditando un infanticidio collettivo fingendo di aver raggiunto la pace dei sensi. Nessuno può sopravvivere ai miei fratellini e continuare ad amare i bambini! Vedrai che un giorno sentiranno gridare “Banzai!” e lo vedranno schiantarsi contro una pompa di benzina... -
- Il solito esagerato! - disse Julian scuotendo il capo – Ma lasciamo perdere Theodore. Dimmi un po' di te. Come va con la matematica? Ed ti dà ancora una mano? -
- Sì, un paio di volte alla settimana. Ha la pazienza di un santo. E io non sono il più facile degli allievi...ma sono lo stesso a buon punto. Credo che me la caverò. -
- E' per questo che hai bisogno degli occhiali? Studi così tanto che ti è calata la vista? - disse con Julian con affettuosa ironia.
- Me li porto dietro dalle elementari – precisò Mark -Anche se, in effetti, in questi ultimi tempi mi sono serviti più del solito. Davvero trovi che mi facciano assomigliare a John Lennon? -
- Uhm...se ti sbianchi un po' la faccia decisamente sì! -
- Beh, allora dev'essere un segno...devo mostrarti una cosa. -
Prese il libro di trigonometria dal tavolo e ne tolse un depliant pubblicitario, ficcato in mezzo alle pagine a mo' di segnalibro.
- Guarda un po' qua...che ne dici? - disse, porgendo il depliant a Julian.
Il ragazzo spiegò il pezzo di carta e, dopo aver letto cosa riportava, spalancò gli occhi, incredulo. Guardò Mark, poi il depliant, poi di nuovo Mark.
- Lezioni di piano?! Stai scherzando?! -
- Mai stato così serio. So che ci vorrà una vita, ma non posso continuare a reggere per sempre la messinscena della mano. -
- Già, dimenticavo... - Julian osservò le cicatrici che solcavano il dorso della mano di Mark, fino al polso. Sapeva che Mark l'aveva usata come scusa sia con Maki che con il proprietario del “Red Rose Speedway” per smettere di suonare (cosa che a tutti gli effetti non aveva mai fatto), azzardando la rottura di un tendine.
- Insomma, Maki sta diventando piuttosto insistente. E anche il tuo amico, il signor Olson, continua a chiamarmi per chiedermi quando potrò tornare al locale. Sembra un tipo simpatico! -
- E' una brava persona – rispose Julian, con un accenno di nostalgia nella voce – E il posto non è così male come credi. A Maki piaceva. Portacela, qualche volta. -
Mark sbuffò. - Ce la porto tutti i venerdì, Julian...c'è un altro tizio che suona, così non sono costretto ad improvvisare niente. Ma ne ho le palle piene di cocktail con gli ombrellini ed Elton John, quindi... -
Julian rise. - Quindi hai deciso di diventare un pianista vero! Non ci avrei mai creduto! Ti avverto, Mark, è una cosa lunga e noiosa... -
- Lo so, ma non posso farne a meno! E poi, finalmente, potrò permettermi le lezioni. Tanto le pagherà quel bastardo del signor Simmons, grazie a tuo padre. Ha sborsato tutto giusto giusto la settimana scorsa. -
- Questa è una grande notizia! - disse Julian – Comunque mi dispiace solo di essere troppo lontano, altrimenti le lezioni avrei potuto dartele io, e gratis. -
- Sarebbe stato più divertente, questo sì – disse Mark – Ma non preoccuparti, ti farò sentire tutti i miei progressi! Lo devo un po' al mio orgoglio, sai...tu ti sei dimostrato capace di fare tutto quello che faccio io. Ora vorrei essere io a poter fare quello che fai tu. Insomma, almeno un po'. Credi che ne sarò capace? -
- Sicuro – rispose Julian dando all'amico un'affettuosa pacca sulla spalla – Sicuro che ne sarai capace. -
- Ti devo tantissimo, Julian. -
- Me l'hai già detto, e io ti ho già detto che anche tu hai fatto molto per me. Facciamo che siamo pari, ok? -
- La prossima volta vi fermate a pranzo, però. -
- Promesso. -
- Altrimenti mi offendo. -
- Non sia mai! E comunque anch'io devo mostrarti una cosa. -
Julian andò ad aprire lo zaino e prese una cartellina di plastica arancione.
- L'ho finito, sai? - disse, togliendo dalla cartellina un foglio che Mark riconobbe al volo – Che ne dici? -
Mark prese il ritratto di Amy e lo guardò con attenzione. Non era troppo diverso da quando l'aveva visto quel giorno, nel capanno degli attrezzi; era rimasto a matita, ma Julian aveva aggiunto i dettagli che mancavano. Qualche capello svolazzante, una piccola ruga di espressione, la sfumatura sulle labbra.
- Allora? - lo incalzò Julian, curioso.
Mark rimirò quel disegno ancora per qualche istante.
Era bellissimo, ma ovviamente non poteva dirglielo così.
- Gli occhi sono un po' troppo vicini. Uhm. E le guance, avresti potuto...riempirle un po' di più, così sono un po' piatte. A parte questo...beh, è stupendo. -
Julian si illuminò. - Lo pensi davvero? -
- Te lo direi, altrimenti? -
- No, conoscendoti, no di sicuro! -
- Glie l'hai mostrato? -
- Non ancora. Ci ho lavorato sopra queste sere, mentre dormiva. Non l'avevo mai vista dormire. Era come se la matita volasse via da sola. Oh, accidenti, non prendermi per un esaltato, ma...era troppo bella! Avrei voluto intrappolare ogni espressione, e invece mi perdevo a guardarla. Così sono riuscito ad aggiungere solo qualche dettaglio...Credi che dovrei aggiungerci qualcosa? -
Mark scosse la testa e porse a Julian il disegno. - Lascialo così. Finiresti solo per rovinarlo. Qui c'è già tutto il tuo amore, non devi aggiungerci proprio un bel niente. -
- Grazie – disse Julian con un sorriso, sistemando con cura il foglio nella cartellina – Avevo...avevo bisogno di un parere sincero! -
Mark sorrise a sua volta. - Se vuoi che ti faccia da critico non hai che da chiederlo! -
Un lampo di malinconia guizzò negli occhi di Julian, che rimase un istante a fissare il vuoto.
- Sai...mi sono sentito perso, quando sono tornato a casa. All'inizio ho pensato che mi stavo abituando troppo a vivere la tua vita, tanto che mi ero dimenticato com'era la mia. Poi invece ho capito. Che mi mancavi tu. Mi mancava quando litigavamo al telefono, mi mancava il non potermi sfogare con te, mi mancavano i tuoi rimproveri, il fatto che non mi dessi corda per quieto vivere come facevano tutti. Mi mancava un vero amico. Dannazione, credi che sarebbe la stessa cosa se fossimo più vicini? -
- No. Altrimenti ci manderemmo a quel paese ogni cinque minuti. - disse Mark sfregandosi il naso. Era commosso, ma non voleva darlo a vedere.
Julian tacque, sospirando. - Già. Forse hai ragione. -
- Però... -
- Però...? - ripetè Julian aggrottando le sopracciglia.
- Però, se dovessi venire a Tokyo per qualsiasi motivo...potrei passare a salutarti? -
Julian sorrise. - Quando vuoi. -
- Magari ti chiamo prima, così leghi i cani. -
Julian annuì e tese una mano all'amico. Mark l'afferrò e la strinse forte, poi tirò Julian verso di sé e lo abbracciò forte, battendogli una mano dietro la schiena.
- Scommetto che ti si stanno appannando gli occhiali – disse Julian asciugandosi una lacrimuccia malandrina.
Mark tirò su col naso. - Certo che no, idiota. Cosa te lo fa pensare? -
I due si separarono e, facendo finta di niente, si soffiarono rumorosamente il naso.
- Cosa c'è, un'epidemia di raffreddore? -
Amy stava sulla soglia del soggiorno, tenendo tra le mani una scatola rettangolare avvolta in un pezzo di tessuto. Accanto a lei c'era la madre di Mark.
- Buongiorno, signora Landers – disse Julian alzandosi in piedi.
Mark guardò le due donne piegando la testa di lato. - E il tè? -
- Niente tè – rispose la madre di Mark – Abbiamo preparato i famosi dolcetti di riso... -
- Non credo che sarò mai in grado di ripeterli, Julian, così la signora me ne ha dati un po' da portare a casa – disse Amy.
Julian ringraziò la signora Landers con un inchino. - Lei è troppo gentile, signora, ma non vorrei averle creato disturbo... -
La donna sorrise e mise una mano sulla spalla di Julian. - Niente è mai troppo per te, figliolo. Per ripagare quello che hai fatto per noi dovrei prepararvi dolcetti di riso per tutta la vita! -
Julian guardò Mark di sottecchi; i due si scambiarono un sorriso furbetto. - In questo caso vorrà dire che me ne ricorderò! - disse in tono scherzoso.
Amy sistemò la scatola nel suo zaino e se lo issò in spalla. - Julian, ora dobbiamo davvero andare, altrimenti perdiamo il traghetto. -
Il ragazzo annuì e si mise lo zaino in spalla, dopo aver abbracciato la madre di Mark. - Non crediate di essere in debito con noi – sussurrò all'orecchio della donna – Io sarò per sempre in debito con suo figlio. E' il cielo che vi ha mandato, signora. -
La signora Landers non disse nulla, ma i suoi occhi si illuminarono.
- Allora...buon viaggio – disse Mark accompagnando i due ragazzi alla porta – E in bocca al lupo per il provino, “professor”*. Chiamami per dirmi com'è andata! -
- Non mancherò – rispose Julian – E tu fammi sapere dell'esame, ok? -
- Ciao Mark, di nuovo grazie di tutto! - disse Amy.
- Grazie a voi per la visita. Spero di vedervi presto! - rispose Mark salutando gli amici che si erano incamminati lungo il vialetto.
- Ah, Mark... - disse Julian voltandosi all'improvviso – Occhio ai biglietti d'auguri. Possono riservare qualche sorpresa! -
Mark fece finta di cogliere la battuta e agitò la mano in segno di saluto. Restò sulla porta fino a quando Amy e Julian furono scomparsi lungo la strada, poi rientrò in casa e tornò a buttarsi sul divano.
Ripensò a quello che Julian gli aveva detto poco prima, e ringraziò il cielo che l'avesse fatto.
Perchè erano esattamente le stesse cose che pensava anche lui. Solo che Mark non avrebbe mai trovato il coraggio di parlare in quel modo.
Sorridendo, guardò il pacchetto quadrato che lo aspettava sul tavolo.
Occhio ai biglietti d'auguri.
A quello ci avrebbe pensato dopo. Non aveva voglia di commuoversi subito.
Lasciata la busta sul tavolo, prese il pacchetto e lo scartò.
- Quel cretino – esclamò con una risata dopo aver visto che dalla carta da regalo era spuntata la copertina del cd di “Born to run”. Ma Mark non si riferiva a quel disco, che peraltro era uno dei suoi preferiti, ma alla copertina vera e propria.
Quell'artista di Julian aveva incollato al posto della faccia di Bruce un disegno della sua faccia, con la stessa espressione divertita del Boss in quella fotografia. Sul retro, aveva fatto la stessa cosa con la faccia di Clarence Clemons, il gigantesco sassofonista nero, che invece portava il viso di Mark, con tanto di sassofono. Pensò che forse sarebbe stato meglio il contrario, viste le aspirazioni musicali di Julian, ma era lo stesso bello così.
Bruce e Clarence erano amici per la pelle.
Loro due anche.
Mark aprì il cd e lo mise nel lettore, selezionando “Jungleland”.
- Questa è per noi, fratello – disse, con la voce piena di nostalgia – Ce la meritiamo, questa meraviglia. -
Mentre il suono leggero del pianoforte riempiva la stanza, Mark si ricordò della busta che aveva lasciato sul tavolo.
Forza, scarichiamo i dotti lacrimali, si disse, immaginando cosa poteva essere scritto su quel dannato biglietto.
E invece Mark non riuscì a credere ai suoi occhi.
Perchè dalla busta scivolarono fuori due pezzi di carta colorata; e quei pezzi di carta colorata non erano altro che due biglietti per il concerto di Bruce Springsteen che si sarebbe tenuto allo stadio di Tokyo di lì a qualche settimana. Zona prato.
Esterrefatto, Mark frugò nella busta alla ricerca di qualche spiegazione e vi trovò una breve lettera che diceva:
Pare che, per il sessantesimo compleanno di suo padre, Paul McCartney gli avesse regalato la fotografia, incorniciata, di un cavallo.
“Bello” disse il padre dopo aver aperto il pacchetto, ma tra sé e sé pensò: “Che me ne faccio di una foto?”
Allora Paul, intuendo i pensieri del padre, gli disse: “Non preoccuparti, papà, ti ho comprato anche il dannato cavallo”.
Ecco, questa dovrebbe essere una cosa del genere.
Più o meno.
Insomma, i cancelli aprono alle otto. Noi vi aspettiamo lì fuori alle sette.
Del mattino.
Non vorrai mica perderti il posto davanti al palco, pantofolaio che non sei altro?
Ricordati che quelli come noi, baby, sono nati per correre!
Buon compleanno, con affetto
Amy e Julian
Con gli occhi lucidi, Mark si immaginò per un attimo sotto il palco, con Julian, Amy e Maki, a cantare a squarciagola, mentre, nelle sue orecchie, esplodeva l'assolo di sax.
Poi si disse che Julian avrebbe fatto meglio a portare con sé una boccettina di quella dannata furosemide, sempre che la security gli avesse fatto passare la siringa senza prenderlo per un drogato.
Nati per correre, pensò Mark. Sì, per correre in bagno...
A questo pensiero si mise a sghignazzare in modo quasi isterico.
Rilesse la lettera, poi guardò il cd, infine i biglietti. E, in un lampo, quel breve, assurdo periodo in cui lui era stato una persona che odiava e a cui ora voleva un bene dell'anima gli passò davanti agli occhi.
Respirando profondamente diede un'ultima occhiata al biglietto d'auguri, quasi per paura di essersi perso qualcosa di importante.
-Che cazzata – disse, con una risatina – Che immensa cazzata... -
Poi trasse un profondo respiro, si sedette pesantemente sul divano e pianse di gioia.
FINE
Adesso piango di gioia anch'io. Un, due, tre, lacrime. E invece niente. Perchè? Eppure sto ascoltando davvero “Jungleland”, e io son una che si commuove con qualsiasi cretinata, figurati con quelle che scrivo.
Avrei tante cose da dire che non so nemmeno da che parte cominciare.
Holly: Se vuoi comincio io...
Ruby: E tu da dove salti fuori?!
H.: Senti, sono sette anni che mi tormenti facendomi fare la figura del deficiente. Speravo di essermi guadagnato un pochino di considerazione in più in queste pagine e invece niente...
R.: Ma se ti ho fatto fare la pace con Benji!
Benji: Appunto. Quando mai avevamo litigato?
R.: Eccone un altro...
H.: Insomma, ammettilo, non ci hai trattati molto bene in questa storia.
R.: (sbuffando) Ammetto solo che non mi siete mai stati molto simpatici.
H.: Ma se all'inizio di tutta la manfrina eri perfino innamorata di questo qua!
R.: Ero alle elementari! Credevo ancora negli eroi, anzi, nei supereroi, visto che è quello che sei. Non amo i perfettini, mi dispiace.
B.: Lo sai che un sacco di lettori ti odiano per questo?
R.: Eh, lo so, mi dispiace...ma doveva essere una storia comica, quindi era ovvio che i personaggi andassero un po' alla deriva.
H.: Di comico, alla fine, c'è stato poco, però.
R.: Vorrei vedere se avessi voglia tu di fare sempre il buffone in sette anni! Lo so, questi ultimi capitoli sono stati delle schifezze...
B.: Pieni di errori, oltreutto.
H.: Pure cronologici. Grossi, eh?
R.: Sigh...ok, quando avrò un po' più di tempo risistemerò tutta la storia, promesso. Ma vi rendete conto che E' FINITA???
H. e B.: Grazie al cielo!
R.: Non mi sembra vero. Non vedevo l'ora, e invece adesso è come se mi mancasse qualcosa...
B.: Sì, il tempo di cazzeggiare!
R.: Sai che sei simpatico proprio come ti immaginavo?
B.: Grazie.
R.: Non era un complimento.
B.: Lo so. Non me ne aspetto, da te...
R.: Va bene, va bene, scusatemi! Prometto che d'ora in poi vi lascerò in pace!
H.: Allora io posso anche andare...
R.:Vai, vai...comunque grazie. E...scusami, dai. Si scherzava. Senza rancore?
B: Ruby...
R.: Eh?
B.: E' già andato via...
R.: Ah, vabbè. Tu, piuttosto, mi servi ancora.
B.: Cosa?!
R.: Non preoccuparti, ti tratterò bene. Ho in mente un'altra ff comica che...
B.:Non dirmelo, non voglio saperlo. Niente più parolacce, però, va bene?
R.: Va bene...ammetti però che non erano del tutto fuori luogo...
B. Beh, nei momenti di rabbia o sconforto ci potevano anche stare...però con me hai esagerato un po'.
R.: Ok, scusa, niente più parolacce. Però ricordati che mi servi ancora.
B.: Va bene, va bene. Posso sapere una cosa, piuttosto?
R.: Spara.
B.: Chi diavolo è Julia??
R.: Julia è una mia cara amica, follemente innamorata di te, che mi aveva chiesto un piccolo cameo nella storia. Spero, se mai la leggerà, che sia contenta del finale...
B.: E' davvero carina come l'hai descritta?
R.: Sì, molto.
B.: Ok, allora va bene.
R.: Altro da aggiungere?
B.: Io no. Dovrebbe essere il momento dei ringraziamenti, credo. Lo so che l'hai tirata per le lunghe apposta per evitarlo, ma è il tuo dovere...
Ok, adesso tocca davvero a me. E, di nuovo, non so da che parte cominciare, così andrò un po' alla rinfusa. Non sono mai stata brava con i ringraziamenti.
Grazie a Erika e a tutta l'amministrazione dell'EFP per aver portato pazienza nei lunghi anni in cui non ho aggiornato niente e per non aver cancellato questa storia come forse avrebbero dovuto.
Grazie a tutti quelli che mi hanno seguito con altrettanta pazienza (nomi? Melanto, 4Haley4, Maki, Benji79 e tutti quelli che ho dimenticato. Voi lo sapete. Grazie.).
Grazie a chi ha lasciato recensioni negative, che mi hanno stimolato a cambiare rotta e a non mollare.
Grazie a mio marito, il mio Julian, che non leggerà mai queste storie ma che tenta sempre di sbirciare sopra la mia spalla mentre scrivo.
Grazie a Giulia, la mia Julia...non ti dimentico!
Grazie a CowgirlSara, compagna di tante avventure sulla carta. Non ho dimenticato nemmeno te!
Grazie a Bruce Springsteen, Billy Bragg, i Queen e tutti i musicisti che mi hanno aiutato a trovare l'ispirazione.
Ma, per la prima e unica volta nella mia vita, dico grazie a me.
Per essere riuscita, dopo 7 anni, malgrado abbia disimparato a scrivere, a buttar giù un finale come lo volevo io.
Con l'assolo di sax di Jungleland. Ascoltatela, mentre leggete, merita (la canzone, non il capitolo), e provate ad immaginarvi Mark e Julian che si sgolano al concerto di Bruce Springsteen.
Grazie di nuovo a tutti, di cuore.
Ruby 8-01-2011
*“The Professor” è il soprannome di Roy Bittan, pianista della E-Street Band di Bruce Springsteen.