Helping hands

di jjk
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** If you're lost and alone ***
Capitolo 2: *** passeggiata serale ***
Capitolo 3: *** home sweet home ***
Capitolo 4: *** A casa..... ***
Capitolo 5: *** un pranzo tra i vecchi ricordi ***
Capitolo 6: *** un giorno in un bar....... ***
Capitolo 7: *** coinquiline....... ***
Capitolo 8: *** new day at work ***
Capitolo 9: *** a night out ***



Capitolo 1
*** If you're lost and alone ***


Lasciò cadere la bicicletta per terra  e si sedette sui gradini davanti a quella che probabilmente era la porta sul retro di qualche locale.
Osservò il vicolo in cui si era rifugiata, pieno di secchi dell’immondizia e spazzatura che era strabordata per terra.
Un vero schifo.
Proprio come si sentiva lei in quel momento.
Piantò i gomiti sulle proprie cosce e poggiò la testa sui palmi delle mani, sperando di trovare dietro al buio delle sue palpebre quella calma di cui tanto aveva bisogno.
Sentiva le ferite pizzicare e il sangue uscire velocemente dalle ginocchia bagnando i pantaloni ormai strappati.
Le bruciavano gli occhi, ma non voleva mettersi a piangere.
Lei ODIAVA piangere.
Una goccia le cadde su una scarpa, e poi un’altra e un’altra ancora.
Maledisse il cielo.
Non poteva mettersi a piovere proprio in quel momento!
Sbattè il proprio pugno su una gamba, colpendo inavvertitamente uno dei tagli abbastanza profondi che si era appena procurata.
Strinse i denti e ricacciò indietro le lacrime.
Non avrebbe pianto.
Non poteva farsi abbattere da stupidaggini del genere.
Asciugò il sangue che le aveva sporcato la mano con la maglietta e si sedette qualche gradino più in lato per evitare di bagnarsi di più, dato che nel giro di pochi minuti le sue scarpe si erano già trasformate in due piscine portatili.
Nascose nuovamente il viso tra le braccia oramai congelate facendo profondi respiri per non esplodere mentre cercava di scaldarsi un po’.
Quella mattina splendeva il sole e lei si era messa una leggera canottiera e dei pantaloni corti, ma poco prima si era alzato un gran vento e adesso, malgrado avesse tirato a sé le gambe e si fosse fatta il più piccola possibile, stava morendo di freddo.
E dire che lei non aveva mai freddo.
Proprio in quel momento la porta si aprì colpendola dritta in mezzo alle scapole.
Soffocò un’esclamazione di dolore e si voltò a guardare i tre giovani che stavano ridendo e scherzando tra di loro.
Era evidente che fossero felici e che gran parte di questa felicità derivasse dallo stare insieme.
La loro doveva essere stata proprio una bella giornata, non come la sua.
Appena la videro il sorriso sui loro volti scomparve immediatamente.
Lei non poté dargli torto.
In quel momento probabilmente sembrava un animale selvaggio ferito, con braccai e gambe ricoperte di sangue e bagnata fino al midollo perché, nonostante tutto, la pioggia rea riuscita a raggiungerla.
Si asciugò l’unica lacrima sfuggita al suo controllo e cercò di darsi un contegno.
Lo sguardo a metà tra il rabbioso e il disperato che doveva avere in quel momento non l’avrebbe di certo aiutata a dare un’impressione migliore di sé.
-Scusate-borbottò spostandosi in un angolo per frali passare, sperando che quelli se ne andassero velocemente e si dimenticassero di lei, relegandola a una buffa storia da raccontare agli amici.
-Non ti preoccupare, anzi scusa tu, avremmo dovuto fare più attenzione nell’aprire la porta. Ti sei fatta male?- disse invece uno dei tre.
Era alto e biondo e aveva uno sguardo molto dolce, si vedeva che era davvero preoccupato per lei.
Non sapeva se essere contenta di quell’interessamento o se odiarlo perché non la voleva lasciare di nuovo sola, costringendola a rispondere a quelle domande e impedendole di lasciarsi andare, sfogando tutte le emozioni che non riusciva nemmeno a distinguere tra loro.
-E io non sarei dovuta stare proprio qui davanti, quindi…….Facciamo finta che non sia successo niente-lo rassicurò lei con un tono a metà tra il seccato e l’amichevole.
Quello non fece in tempo ad annuire che uno degli altri due le sedette accanto non curante del fatto che i gradini su cui stava erano completamente fradici.
-Cosa ti è successo?-domandò con curiosità porgendole un fazzoletto di cotone.
-Niente di che. Credo solo di aver preso l’unica buca in tutta New York e la mia bici si è molto offesa per questo-rispose lei respingendo la gentile offerta del giovane e indicando la bicicletta che aveva buttato in un angolo.
-E poi?-chiese ancora quello cercando di pulirle le ferite, ma lei si scostò.
-Lascia stare non voglio sporcartelo- mormorò osservando il terzo ragazzo che armeggiava con la sua bici.
-Cosa sta facendo?-domandò poi sottovoce per non farsi sentire dal diretto interessato.
-Te la sta aggiustando-rispose l’latro, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
-Stai tranquilla. Lui è un genio in queste cose, ripara sempre anche le nostre-aggiunse poi notando la sua espressione preoccupata.
-E comunque il fazzoletto si lava, quindi non è un problema. A meno che tu non abbia paura che ti faccia del male…..-continuò on sguardo furbo.
Aveva in qualche modo insinuato che lei non sapesse sopportare il dolore, oltre al fatto che lui potesse non essere in grado di essere delicato, e lei non gli avrebbe permesso di crederlo.
-Non hai ancora finito di raccontare cosa è successo-le disse il giovane riuscendo finalmente a pulirle le ferite.
-Non mi sembra ci sia altro da dire-rispose lei mordendosi un labbro per non lamentarsi mentre lui, cercando di toglierle il sangue secco, le scartavetrava i tagli che già le facevano male.
-Se non ci fosse qualcos’altro non ti saresti seduta su degli scalini, in un vicolo così schifoso, bagnandoti completamente e prendendoti una porta di ferro, quindi abbastanza pesante, sulla schiena. Saresti tornata a casa-
I suoi occhi verdi acqua si piantarono in quelli marroni di lei che abbassò subito il volto perché sentiva che con quello sguardo penetrante le stava leggendo l’anima.
-Potreste chiedere a Will la mia cassetta degli attrezzi? È messa peggio di quanto immaginassi e mi ci vorrà più del previsto-
-Ok, tanto dovevo farmi dare anche il disinfettante-
“E magari anche qualche vestito asciutto” concluse senza però dirlo ad alta voce, guardando quelli sporchi e completamente zuppi della ragazza.
-No, non è il caso davvero!-esclamò lei saltando in piedi.
-Grazie per aver provato ad aggiustare la mia bici e scusate per il disturbo, ma adesso devo davvero andare-continuò afferrando la bicicletta.
Ma il terzo giovane, quello che fino a quel momento aveva armeggiato con catena, freni ecc.…..la bloccò.
-E dove?-
-A casa-
-Ma non ci sai arrivare non è vero? Conosco lo sguardo di chi si perde per la grande mela e lui…..-continuò indicando l’amico seduto sui gradini.
-……Lo conosce meglio di me. Si è perso per queste strade tante di quelle volte……-
Le sorrise cercando di rassicurarla e di metterla a suo agio.
-Vai con loro e fatti disinfettare le ferite, quando tornerai la bici sarà come nuova e ti accompagneremo a casa tua. New York è una città complicata e non bisogna vergognarsi se ci si perde al suo interno. Soprattutto se ci si deve ancora ambientare-
-E tu come fai a sapere che non sono di qui?-
-Innanzitutto perché un vero newyorkese non si sarebbe mai perso. E poi dall’accento: non è di qui, anzi dubito proprio che sia americano!-
-No, infatti non lo è-
-Non mi dirai di più, vero? Non importa. Adesso vai dentro-
Come una brava bambina obbediente, la ragazza fece ciò che le era stato detto e raggiunse gli latri due che la guidarono all’interno di un bel bar, passando proprio per quella porta che le era capitata in mezzo alle scapole.
Subito il biondo raggiunse un uomo riccio seduto d un tavolo e scambiò con lui poche parole prima che quello si recasse in una stanza dietro il bancone per uscirne poco dopo con una cassetta in mano che portò al giovane ancora fuori.
Nel frattempo gli altri due si erano seduti sugli alti sgabelli posti davanti al bancone e il biondo, vedendo che il riccio non tornava, li raggiunse, ma si mise dall’altra parte del piano di legno e, improvvisandosi barista, versò del liquido ambrato in tre bicchieri prima di scomparire anche lui per la stessa porta in cui, quello che doveva essere Will, aveva trovato la cassetta degli attrezzi, tornando qualche istante dopo con un flaconcino di disinfettante.
-Perché fate tutto questo per me? Nemmeno ci conosciamo!-
-Beh, innanzitutto perché credo di averti sfondato la schiena prima. E poi perché si aiutano le persone che sono in difficoltà, soprattutto se si sono perse!-le rispose il più alto
-Quindi l’avete capito anche voi?-
-Difficile non capirlo. E poi, tranquilla, io ancora mi ci perdo e quasi quasi passo più tempo qui che a casa mia!-continuò lui.
-Non vivi qui?-
-No, no. New York non fa per me. Troppo caotica. Io vivo in Michigan. Vengo spesso qui per lavoro. Infatti io e loro due….-ma non fece in tempo a finire la frase perché l’amico, dopo aver trangugiato velocemente il contenuto del bicchiere, lo interruppe innervosito.
-Comunque io sono Nate-disse bagnando il fazzoletto di stoffa con il disinfettante e passandolo, questa volta con più delicatezza di prima, sui tagli ancora aperti.
-E io sono Andrew-si presentò il biondo.
-Vedi? Ora ci conosciamo-continuò quello strappandole un sorriso.
-Io invece sono Giulia-
_Non è un nome inglese-
-No, mai io non sono né inglese né americana-
-E allora da dove vieni? Anzi no, non dirmelo, voglio provare a indovinare!-
La ragazza lo lasciò fare e lo guardò sorridendo.
Nate fissò ancora di più lo sguardo sulle gambe martoriate di Giulia soffocando una risata.
Quella era una delle cose che gli piaceva di più di Andrew: il fatto che amasse mettersi sempre alla prova.
Forse era per questo che sapeva suonare così tanti strumenti.
Giulia abbassò gli occhi, incontrando quelli di Nate, diventando completamente rossa.
Il panno sottile che scivolava dolcemente sulle sue ferite la faceva sentire una bambina piccola che si affidava alle cure dei grani dopo essersi sbucciata un ginocchio giocando con gli amici.
Si voltò subito dall’altra parte, ma quelle iridi verde acqua non sembrarono muoversi di un millimetro.
-Non bevi?-domandò Andrew vedendo che non aveva ancora toccato il bicchiere.
-è per me?-
-Certo! Per chi se no?-
-Per il ragazzo lì fuori-
-Per Jack? No, lui odia il whisky! Dai bevi!-
-Ok, un po’ d’alcol non potrà farmi male. E poi mamma e papà non lo sapranno mai-mormorò sottovoce.
Non aveva molta voglia di fargli sapere quanto ancora fosse sotto il controllo dei genitori, però quell’ultima frase le era proprio scappata.
Ma nate l’aveva sentita.
-Quanti anni hai che ancora ti preoccupi di cosa potrebbero dire mamma e papà?-
La ragazza non capiva perché il tono dl giovane si era fatto così duro e acido con lei.
Si sentì un po’ presa in giro e ciò la fece arrabbiare, eppure non le diede il coraggio di rispondere ad alta voce.
-Quasi 17-
-Allora avevo ragione. Sei proprio una ragazzina!-
Andrew gli lanciò un’occhiataccia mentre Giulia strinse i denti.
Era stato molto gentile ad aiutarla e a disinfettarle i tagli, ma ciò non gli dava il diritto di trattarla in quel modo.
-Io vado un attimo in bagno- borbottò quindi Nate sparendo in una stanza poco distante per sottrarsi alla disapprovazione dell’amico.
-Lo devi scusare, non è sempre così-cercò di giustificarlo il biondo appena lui si fu allontanato.
-Non ti devi scusare. E poi ha ragione lui: sono ancora una ragazzina-lo tranquillizzò lei sorridendogli.
Andre le piaceva.
Era stato il primo a preoccuparsi per lei e doveva conoscere bene i suoi amici, quindi evidentemente davvero Nate non si importava mai in quel modo, altrimenti la cosa non lo avrebbe impensierito tanto.
-Devi volergli molto bene-osservò seguendo i suoi occhi azzurri fissati sulla soglia che l’altro aveva oltrepassato e che si era ben chiuso alle spalle.
-Lui e Jack sono i miei migliori amici. Due delle persone più importanti della mia vita oramai. Sono davvero speciali e per questo gli voglio così tanto bene. Poi lui…..-
Stava per dire qualcosa, ma s’interruppe.
Per quanto l’istinto gli dicesse che poteva fidarsi di lei, se avesse parlato sarebbe stato come tradire Nate, mostrando di lui più di quanto era solito mostrare.
Calò il silenzio, ma non di quelli imbarazzanti, somigliava più a quello degli amici di vecchia data che no hanno bisogno di parole per stare bene insieme.
Una porta sbattuta interruppe quel momento e riportò tra loro il giovane dagli occhi verde acqua, ma con un’espressione decisamente diversa, più simile a quella di quando le si era seduto accanto sui gradini.
-Mettiti questi-le disse porgendole i panni che aveva in mano.
-Oh no, non posso accettare. Grazie lo stesso-
-I tuoi sono fradici e troppo leggeri per il tempo lì fuori. Se non ti vuoi ammalare devi per forza cambiarti-
Ma lei comunque no allungò le mai per prenderli.
-Questi sono vestiti di ricambio che lasciamo qui proprio per queste evenienza. Forza! Va a cambiarti, poi ce li ridarai!-concluse mettendoglieli tra le braccia e spingendola nella stanza dov’era andato lui prima.
La ragazza entrò e salì la scala che occupava lo spazio minuscolo di quello che doveva essere uno sgabuzzino, ritrovandosi in un bell’appartamento piccolo ma fornito di tutto il necessario per viverci tranquillamente.
Mentre aspettava che Giulia finisse di vestirsi Nate si versò un secondo bicchiere di whisky e lo sorseggiò ad occhi chiusi, aspettando una lavata di capo che non tardò ad arrivare.
-Mi spieghi cosa ti è preso?-domandò Andrew, preoccupato, ma anche irritato dal suo comportamento.
-Niente-rispose l’altro con tranquillità.
-Niente?! Nate, non ti ho mai visto comportarti così! Mi spieghi cosa ti ha fatto quella poveraccia?!-
-Niente-
-Allora perché l’hai trattata così?!-
-Ho capito! Ho sbagliato! Non lo farò più! Contento?!-
-No! Anche se no ci conosce, questo non vuol dire che tutto il lavoro che abbiamo fatto è stato inutile. Capisco cosa provi, ma……-fece quello intuendo cosa avesse turbato l’amico e cercando di rassicurarlo, ma non riuscì a finire la frase.
-Andrew fatti i fatti tuoi!!!!-ruggì l’altro furioso stringendo i pugni al punto di far diventare bianche le nocche.
-Smettila di cercare di capire osa mi passa per la testa, ok?! Alcune volte faresti meglio a stare zitto!!-
Il biondo non seppe come controbattere.
Non si era aspettato una reazione del genere ed era rimasto spiazzato.
-Che succede ragazzi?-domandò il riccio entrando in quel momento dalla porta insieme a Jack che però si era diretto subito verso l’ingresso del piccolo appartamento.
-Nulla-risposero contemporaneamente i due, l’uno ringraziando l’interruzione che lo aveva salvato dall’ira dell’altro che invece era al contempo seccato e grato che qualcuno che gli avesse impedito di vomitare altra rabbia e dolore addosso a una delle pochissime persone che provava a capirlo.
-Ma se vi abbiamo sentito urlare!-continuò quello che non si sarebbe arreso finché non gli avessero detto perché stavano gridando.
-Perché non ci volete dire il motivo della vostra prima litigata?-chiese Jack che, volendo sapere anche lui cosa stava succedendo si era fermato sulla soglia dello sgabuzzino.
-Perché non stavamo litigando-borbottò Nate.
-Jack, on entrare lì. Non ora-aggiunse poi vedendo che l’amico stava aprendo la porta.
-Perché? Io mi devo togliere il grasso della catena dalle mani! E poi  fuori piove ancora, quindi sono completamente zuppo e DEVO cambiarmi!-
-Non puoi aspettare?!-
-Nate, sto gocciolando perché lì fuori diluvia-protestò indicando la porta chiusa che dava sul vicolo.
-Quindi o mi dai una buona ragione oppure no, non posso aspettare-
-C’è Giulia-s ’intromise Andrew vedendo che quella discussione non portava a niente.
-E quindi?!-
-Si sta cambiando, che dici?!-rispose allora Nate seccato, come se la cosa fosse ovvia.
-Con quali vestiti? Non mi sembrava avesse un cambio con sé-
-Non lo aveva infatti-
-Mi hai stufato con queste mezze risposte! Se non li aveva con sé si può sapere dove ha trovato dei vestiti asciutti?!-
Gli occhi verde acqua del giovane s’illuminarono in uno sguardo divertito.
Adorava far irritare Jack, ma forse era arrivato il momento di dargli qualche risposta.
-Glie li ho prestati io-
-E dove li hai presi tu?-
-Dalla scorta di emergenza-
-Nate saranno rimasti si e no tre cambi nella scorta di emergenza!-
-E uno ce l’ha lei ora-
La calma con cui gli rispondeva fece irritare ancora di più Jack.
-Quale gli ahi dato di grazie?-domandò con un profondo sospiro cercando di non dargli la soddisfazione di vederlo arrabbiato.
-Credo di averle dato un paio di jeans o tuoi o di Andy e una mia maglietta-
-Favoloso e adesso io che pantaloni mi metto se le hai dati a lei?-
-Quelli che sono rimasti. Al massimo ti fai prestare qualcosa da Will-continuò indicando il riccio che stava tranquillamente bevendo una birra mentre li osservava battibeccare.
-Certo. Al massimo te li do io Jack. Che problema c’è?-disse dando man forte a Nate.
-Ma vi siete uniti contro di me?!-
-Solo tu puoi pensare che siamo contro di  te. Stiamo solo cercando di farti ragionare in maniera logica-
-Voi state cercando di farmi ragionare logicamente?! Voi che di logico non avete assolutamente nulla?! M ami state prendendo in giro?!-
-Noi? Che ti prendiamo in giro? Mai!!-risposero in coro i due con un tono che faceva capire che, non solo si stavano prendendo gioco di lui, ma anche che si stavano divertendo da morire a farlo.
Andrew scoppiò in una grossa risata, subito seguito da una seconda decisamente più giovane.
-Mi dispiace che per colpa mia state litigando. Non volevo essere fonte di così tanto disturbo-
-Non ti preoccupare. Troverebbero un altro motivo per battibeccare. Non possono farne a meno-la rassicurò Andrew.
-Piuttosto, dammi i tuoi vestiti bagnati che li mettiamo ad asciugare vicino al caminetto-continuò guidandola dall’altra parte del locale e posizionando i panni davanti al fuoco.
-Fanno molto male?-domandò indicando le ferite che, pulite e disinfettate, avevano tutto un altro aspetto.
-Un po’, ma molto meno di prima grazie al tuo amico. È stato davvero molto gentile-
-Lui è così-rispose semplicemente come se fosse la cosa più normale del mondo, ma si vedeva che era davvero orgoglioso di lui.
Nel frattempo anche gli altri li raggiunsero.
Will e Jack con una bottiglia di birra ciascuno, mentre Nate portava un bicchiere di whisky in ogni mano.
-Tieni Andy-disse porgendone uno al biondo.
-Avete risolto?-domandò quello cominciando a sorseggiare il liquido ambrato.
-Si, si. Alla fine il signorino ha trovato i suoi pantaloni e si è potuto cambiare senza farsi venire crisi isteriche-
-Non sono io che mi faccio venire le crisi isteriche! Siete voi che me le fate venire!-disse puntando il dito contro lui e Will.
-Basta bambini, ora smettetela di litigare!-li interruppe Andrew spostando lo sguardo sulle mani id Giulia.
-Non è giusto che noi beviamo mentre Giulia no. Perché a lei non hai portato niente?-
-Perché per una ragazzina della sua età un bicchiere al giorno basta e avanza-rispose Nate con un ghigno scherzoso.
Questa volta era evidente che stava scherzando e la ragazza lo capì e si finse offesa.
-Ehi! Non sono mica così piccola! Guarda che il nostro fegato acquisisce gli enzimi necessari per assimilare l’alcol dai 16 anni, quindi posso bere!-
-Si, ma fra le altre cose si sta anche facendo tardi e credo che sia ora di accompagnarti a casa. Le ragazzine non possono stare fuori fino a tardi-le ripose Nate continuando a prenderla in giro.
-Perché che ore sono?-
-Quasi le sette e mezza-
-Le sette e mezza?! Gaia mi ucciderà se non torno subito a casa!-
-Gaia? Chi è?-
-La mia coinquilina-
-Pensavo vivessi con i tuoi- s’intromise Andrew.
-No. I miei sono rimasti in Italia-
-L’Italia! Ecco da dove vieni !Come ho fatto a non pensarci prima? Era così evidente!-esclamò il biondo battendosi una mano sulla fronte e provocando una risata generale.
-Però hai una buona pronuncia e il tuo accento non si nota così tanto-si complimentò Jack.
-Scusa la domanda, ma se la tua famiglia è ancora in Italia perché tu sei venuta a New York?-domandò ancora il giovane, ma la ragazza non fece in tempo a rispondere perché Nate la interruppe.
-Credo che questa storia vada raccontata un’altra volta. Se non vuoi che Gaia si arrabbi credo che sia ora di incamminarci. Se mi dici dove abiti ti accompagniamo-
Giulia gli disse il nome della via che aveva imparato a memoria, malgrado non sapesse ancora bene come arrivarci.
-è vicinissimo a casa mia. Praticamente il palazzo affianco-
-Davvero?-
-Si. Un apio di traverse più in là, però si. Abitiamo praticamente attaccati. Ti posso accompagnare senza problemi e senza fare nessuna deviazione-la rassicurò, capendo che lei aveva il terrore di essere di peso.
-Ragazzi. L’accompagno io, tanto è di strada. Ci vediamo domani. Stessa ora stesso posto?-
-Si certo. Sicuro che non volte un passaggio in macchina? Tu sei a piedi-rispose Andrew offrendo di dargli uno strappo con la sua auto.
-No, tranquillo anche perché se no come porteremmo la bici?-
Tutti sembravano essersi dimenticati di quella poveretta abbandonata nel vicolo e su cui il povero Jack aveva lavorato tanto.
-Hai ragione. Allora buonanotte e sii puntuale domani!-si raccomandò il biondo salutandolo e dando un bacio sulla fronte a Giulia.
-Buonanotte Juls. Un giorno ci racconterai che ci fai nella grande mela-
-Juls. Mi piace. È un bel soprannome-
Andrew non si era nemmeno accorto di averla chiamata in quel modo e arrossì, contento però che le fosse piaciuto.
-Juls era il soprannome del figlio di John Lennon. È a lui che è dedicata “Ehi Jude ”-mormorò allora il biondo, sfoderando la sua cultura.
-Fan dei Beatles?-domandò retoricamente la ragazza.
-Chi non lo è?-
-Hai ragione. Comunque non ti preoccupare. La prossima volta vi racconterò tutto ciò che vorrete-
-Ci conto-
-Forza ragazzina ti sbrighi? Dobbiamo  camminare almeno un’ora per arrivare a casa- le urlò Nate mentre lei salutava velocemente gli altri due.
-LA SMETTI DI CHIAMARMI RAGAZZINA?!-
-No!-
-Perché?!-
-Perché lo sei!-
Gli altri tre risero guardandoli battibeccare.
-Sicuri che possiamo lasciarli andare da soli senza controllare che non si scannino?-domandò Jack.
-Certo, sai anche tu cosa significa quando fa così……-gli rispose tranquillamente Andrew, quello che più di tutti capiva cosa passasse per la testa dell’amico.
Ma in realtà lo sapevano tutti che quando Nate si comportava in quel modo con qualcun altro significava che aveva già cominciato a volergli bene.

Nota:Grazie per essere arrivati fino alla fine.So che non è niente di che,anzi.....però ho voluto provare lo stesso a mettere per iscritto una storia che mi ronzava per la testa da un po'.Essendo la prima storia che scrivo sui Fun. e essendo abbastanza nuova di questo fandom,ci terrei davvero tanto asapere cosa ne pensate.,quindi......Vi sarei davvero riconoscente se voleste lasciare una piccola recensione a questa schifezza

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Capitolo 2
*** passeggiata serale ***


-La porto io-borbottò il giovane appena furono usciti prendendo la bicicletta.
A poco servirono le proteste della ragazza che si vide persino costretta ad accettare la felpa che lui le stava porgendo.
-Fa freddo a New York la sera, anche se è praticamente Maggio.- Le disse mettendogliela sulle spalle e, senza darle il tempo di protestare, cominciò a camminare.
-E tu come fai? Non hai freddo?-
-Non sarò un vero newyorkese però dopo quasi 5 anni che vivo qui mi sono abituato al clima-
-Non sei di qui?! Ecco perché Jack diceva che ti sei perso spesso!-
-Oh si, non hai idea di quante volte, soprattutto durante i primi mesi, mi ritrovavo in strade che non conoscevo senza sapere come ci ero arrivato, né tantomeno come tornare a casa. Ma ero troppo orgoglioso per chiedere aiuto, così mi ritrovavo la sera tardi distrutto e disperato a chiamare Jack, che era praticamente l’unica persona che conoscevo, cercando di non piangere e implorando di venirmi a prendere-
-E lui veniva sempre?-domandò lei con voce infantile, riconoscendo in quelle parole le stesse cose che provava lei quando si perdeva, e che aveva quindi chiamato quel giorno, solo che lei non aveva nessuno da chiamare.
-No, non sempre-rispose lui con un sorriso.
-Ogni tanto mi chiedeva dov’ero, ma invece di mettersi in macchina e raggiungermi, mi guidava telefonicamente verso casa. Anche perché spesso mi decidevo a chiamarlo solo alle ore più improbabili o quando era in compagnia di qualche ragazza, e lui non aveva di certo nessuna intenzione di mollare tutto quello che stava facendo solo per “soccorrere” quell’imbecille del suo nuovo amico che non aveva ancora imparato ad orientarsi, tanto più che fino a poco tempo prima che mi trasferissi qui ci odiavamo!-
Entrambi risero, l’uno ricordando i primi tempi della sua vita a New York e l’altra immaginandosi ciò che le aveva appena raccontato.
-Perché vi odiavate?-
-Suppongo non ci fosse un vero motivo. Io pensavo che lui fosse un’idiota presuntuoso e lui lo pensava di me-
-E cosa vi ha fatto cambiare idea?-
-Lavoro-borbottò Nate con una strana espressione e un tono quasi più strano-
-è per lavoro che si venuto a vivere qui?-
-Più o meno-
Giulia non disse nulle, ma fece una faccia interrogativa che lo spinse a spiegarsi meglio.
-La mia fidanzata viveva qui anche allora, abbiamo pensato che potevamo trasformare in qualcosa di più il nostro rapporto a distanza, così mi sono trasferito da lei-
Doveva amare la sua ragazza, ma aveva una luce strana negli occhi, come se, in qualche modo, rimpiangesse quella scelta.
-Ti manca la tua famiglia?-domandò la ragazza facendolo riscuotere dai suoi cupi pensieri.
-Io vengo da Glendale, in Arizona. Dall’altra part del paese insomma. In più il mio lavoro mi porta via davvero molto tempo ed è quasi impossibile per me riuscire ad andarli a trovare-
-Non possono venire loro?-
-Sono venuti, qualche volta, ma per loro è praticamente impossibile prendere l’aereo e da Glendale a qui è un viaggio in macchina non indifferente. Quella che vedo di più è mia sorella con il figlio  il marito. Loro vengono appena possono-
-Hai un nipote?!chiese lei con gli occhi che le brillavano.
Lui annuì e aprì il portafoglio per mostrarle una foto in cui era ritratto accanto a una bionda con in braccio un bambino di circa 5-6 anni.
-è lui. E lei è mia sorella Libby-rispose.
Era evidente quanto fosse profondamente orgoglioso di loro, soprattutto del piccoletto che nell’immagine sorrideva contento allo zio.
-E quelli chi sono?-domandò ancora Giulia indicando una vecchia foto in bianco e nero che riprendeva una giovane coppia di sposi.
-I miei genitori il giorno del loro matrimonio-
-Devi essere molto legato alla tua famiglia-
-E sono anche molto mammone se è per questo-le disse lui sorridendo.
-Ti sei mai pentito di essere venuto a vivere qui?-
La domanda della ragazza lo lasciò spiazzato.
Aveva avuto paura di chiederselo per troppo tempo e ogni tanto la questione tornava a galla, ma per la prima volta era costretto a dare una risposta.
-Non fraintendermi. Io amo davvero tanto la mia ragazza e adoro vivere con lei…..ma vorrei poter passare del tempo con la mia famiglia non solo al telefono-sospirò tirandosi indietro il ciuffo che gli copriva gli occhi pieni di nostalgia.
A Giulia dispiaceva di aver oscurato il suo bellissimo sguardo.
Non voleva che fosse triste, anche perché, se non si considerava come l’aveva trattata quando aveva scoperto quanti anni aveva, era stato molto gentile con lei.
Si era preoccupato che le sue ferite fossero ben pulite e disinfettate e i suoi vestiti asciutti, in più ora la stava riaccompagnando a casa portandole la bicicletta dopo averle ceduto la sua felpa, quando avrebbe potuto rimanere in quel bar con i suoi amici, e lei lo aveva ripagato rendendolo triste.
Si sentiva in colpa e fissò lo sguardo sull’asfalto che scorreva sotto i suoi piedi.
-Perché a te non mancano?-
La voce di Nate la costrinse ad alzare la testa, incrociando le sue iridi verde-acqua a cui non riusciva a mentire.
-Gli voglio bene e ci sentiamo spesso- disse abbassando nuovamente il volto.
Ma lui si fermò, le tirò su il mento e la costrinse a guardarlo negli occhi.
-Non hai risposto alla domanda. Non abbassare lo sguardo e dimmi: Ti manca la tua famiglia?-
Lei allontanò la sua mano con uno scatto e riprese a camminare più veloce di prima.
-Giulia…..-
-Ci separano un oceano e non so quanti km, quindi non ho nessuna intenzione di pensare a quanto mi manchino i miei genitori e le mie sorelle. Dovrò vivere a New York per on so quanto tempo ancora e vorrei credere che questa nostalgia è dovuta solo al fatto che sono qui da nemmeno 3 settimane. Perché Roma è molto più distante di Glendale da New York!-
-Allora perché ti sei trasferita qui? Sei solo una ragazzina! Alla tua età si vive ancora con mamma e papà!-
-Beh io no! Non sono venuta qui per un mio capriccio personale! Non sono il mostro che tu credi che io sia!-sbottò.
Era davvero furiosa, ma non con lui, più che altro con se stessa.
Dopotutto era stata una sua scelta quella di cogliere l’opportunità che le era stata offerta e andare a vivere lì, quindi si sentiva così stupida quando si accorgeva di quanto le mancasse la sua famiglia.
-Io…..Io non volevo dire questo. Volevo solo dire che…è una sfida non da poco andare a vivere da sola, e così lontana da casa tua, così giovane-
Non aveva intenzione di ferirla, anche perché sapeva come ci si sentiva fragili e insicuri quando si era così lontani da tutto ciò che si conosceva e che aveva rappresentato la propria vita precedente, ma evidentemente, era proprio quello che aveva fatto.
-Scusa è che….Sono un po’….Ehmmm…. Suscettibile in questo periodo-mormorò lei imbarazzata, capendo di aver frainteso ciò che lui voleva dirle.
-E io ho sbagliato argomento. Eppure avrei dovuto saperlo che era un tasto dolente. Sai ogni tanto ancora non riesco a dormire per la nostalgia. Riesco a prendere sonno solo sentendo il battito ritmato del cuore della mia fidanzata e il suo respiro leggero. Mi fanno da ninna-nanna e sono le uniche cose che riescono a calmarmi-
-Devi amarla davvero tanto. Come l’hai conosciuta?-
Nate sospirò ricordando la prima volta che l’aveva vista.
Era dietro le quinte di un festival musicale di un caldo giorno d’estate.
Indossava un vestito pieno di colori che metteva bene in risalto le sue gambe e lasciava scoperto un pezzo della bianca schiena, coperta però dai lunghi capelli biondi che le scendevano ben più sotto delle scapole.
Lei stava guardando con attenzione il gruppo che suonava sul palco e non si era minimamente accorta di lui che, vedendola, si era fermato, incurante delle persone che gli passavano accanto.
Aveva appena trovato il coraggio di avvicinarsi a quella che gli sembrava un’angelica visione, quando la band smise di suonare e si ritirò dietro le quinte.
Proprio dove stavano loro.
Ricordava ancora il sorriso che aveva quando l’avevano raggiunta e lei si era gettata al collo del chitarrista senza dargli nemmeno il tempo di posare il suo strumento.
E ancora meglio ricordava la stretta allo stomaco che aveva sentito quando lui le aveva dato un tenero bacio sulla guancia ricambiando l’abbraccio.
«Dai, adesso basta!» le aveva detto poi allontanandola.
Gli aveva dato dell’idiota: lui avrebbe dato qualsiasi cosa per passare la vita tra quelle braccia.
Li aveva guardati allontanarsi tutti insieme, odiando ogni singolo membro di quello stupido gruppo che poteva passare un po’ di tempo con lei.
«Tu credi nel colpo di fulmine?» aveva chiesto a Sam quella sera in albergo prima di addormentarsi.
«No. Perché tu si?»
«Non credo che ci si possa innamorare di una persona a prima vista, ma credo che ognuno sappia riconoscere la propria anima gemella che cercava da sempre»
«Oggi sei più poeta del solito. C’entra nulla la biondina dietro le quinte?»
«E tu come…..»
«Come faccio a saperlo? Ho visto come la guardavi: ti brillavano gli occhi come mai prima d’ora. E dire che ti ho visto prendere tante di quelle cotte!»
«Ma lei è diversa Sam! Me lo sento! È lei quella giusta!»
«Sarà, ma stai attento. Non so se hai notato quel chitarrista che le sta sempre accanto. Beh, io dubito che lui ti lascerà mettere con lei senza protestare. Adesso dormi che domani si torna a casa»
Di solito, per quanto amasse andare in tour, era sempre molto felice di tornare in Arizona, ma non quella volta.
Aveva la sensazione che se fosse partito non l’avrebbe più rivista.
Sperava solo di avere torto
-Ehi! Ti sei incantato?!-
Giulia schioccò le dita e Nate ritornò con i piedi per terra.
-Oh scusa. Di cosa stavamo parlando?-
-Stavi per raccontarmi come hai conosciuto la tua fidanzata. Il giovane rise.
-Dubito, però penso di poterti accontentare-
In fondo non gli costava nulla e avrebbe fatto felice la ragazzina al suo fianco con cui, malgrado la conoscesse da poche ore, sentiva di avere uno strano legame di lui ancora non riusciva a capire bene la natura.
Così le raccontò di quel caldo giorno d’estate.
Uno di quelli che ricordava meglio in tutta la sua vita.
-…..E poi cosa successe?-
-Diciamo che volevo avere torto, ma ebbi ragione. Non la vidi per almeno un altro anno. Non la dimenticai, ma pensai che era inutile piangere per una ragazza che oramai avevo la certezza di non vedere più, così andai avanti con la mi avita di sempre, come se non l’avessi mai incontrata. Questo almeno finché io e Sam non decidemmo di sciogliere il nostro gruppo-
-Perché lo faceste?-
-Ancora non so bene perché ci siamo sciolti, ma se non fosse successo la mia vita avrebbe preso una piega completamente diversa-rispose lui con una smorfia che le fece capire che quello era un tasto dolente che era meglio non toccare, così lo incitò ad andare avanti.
-Comunque questo cosa c’entra con te e la tua ragazza?-
-Ora te lo spiego ragazzina! Ma quanto sei curiosa!-
-Me lo dicono in molti, ma non ci posso fare niente giuro che ci ho provato!-gli rispose lei facendolo ridere.
Rise anche lei, ma voleva sapere come andava a finire questa storia.
Sembrava una bambina piccola che cercava di far raccontare alla nonna il finale della sua fiaba preferita.
-Allora? Dai continua!-
-La prossima volta ragazzina. Per oggi siamo arrivati a casa tua e se non vuoi che la tua coinquilina si arrabbi davvero ti conviene correre dentro. Sono quasi le 9-
-Come faccio ad essere sicura che ci sarà una prossima volta?-
-Hai i nostri vestiti e noi abbiamo i tuoi. Direi che ci sarà per forza una prossima volta. In più hai promesso a Jack ed Andy di raccontargli cosa ci fai qui e sinceramente sono curioso anch’io, quindi non pensare che ti lasceremo in pace. Quando tu ci racconterai la tua storia io finirò di raccontarti la mia ok?-
-Ok-borbottò lei imbronciata.
Odiava le cose lasciate in sospeso.
Nate legò la bici a una rastrelliera di fronte al palazzo, poi le si avvicinò e le porse un fogliettino di carta stropicciato su cui aveva appena scritto una serie di numeri.
-Ho l’impressione che ti perderai di nuovo, perciò tieni. Tutti devono avere qualcuno da chiamare in questi casi, questa volta è il mio turno, quindi……Chiamami se hai bisogno ok?-
-Ok. E…..Nate….Prima non conoscevo il tuo volto, ma ho riconosciuto la tua voce e trovo che sia bellissima-
Lui sorrise.
Allora, in fondo un minimo sapeva chi era.
-Buonanotte ragazzina-le disse salutandola con la mano.
-Buonanotte. E grazie per tutto quello che hai fatto per me. La tua fidanzata è molto fortunata ad averti accanto-rispose lei scomparendo nel portone.
Prima di salire le scale però si girò, appena in tempo per vedere il ciuffo castano di lui venire scompigliato dal vento mentre il giovane correva veloce verso casa sua con la camicia aperta che gli svolazzava dietro.
Quel discorso gli aveva fatto venire una gran voglia di abbracciare colei che aveva il potere di farlo sempre sentire al sicuro, a casa.

nota:Innanzitutto ringrazzio tantissimo MON per la recensione che ha lasciato al capitolo precedente.Le sono molto riconoscente.
questo capitolo è qualcosa come un quarto del precedente e per questo mi scuso, ma era fondamentale che finisse qui, perciò abbiate un po' di pietà vi prego.Mi farebbe moltissimissimissimo piacere sapere cosa ne pensate di questa storia,quindi spero ardentemente che vogliate lasciarmi qualche recensione.Grazie in anticipo

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Capitolo 3
*** home sweet home ***


Corse così veloce che nel giro di qualche minuto aveva già inserito la chiave nella toppa.
Aprì piano la porta e trovò la bionda addormentata sul divano davanti alla televisione.
Ricordò che quel giorno aveva una sfilata a cui stava lavorando da tempo e probabilmente era tornata a casa distrutta.
Malgrado dietro ai fornelli non fosse proprio un asso, si mise d’impegno e riuscì a cucinare qualche fettina di carne senza combinare troppi danni.
Poi apparecchiò la tavola e tornò nell’altra stanza.
Avrebbe dovuto svegliarla, ma, una volta sedutosi sui talloni davanti al dolce viso di lei, tenero come quello di una bambina, non ebbe il coraggio.
Era rannicchiata sotto la sua coperta preferita, stringendo il peluche che lui le aveva regalato anni prima.
Una ciocca di capelli le era caduta davanti agli occhi e lui prontamente gliela risistemò dietro all’orecchio.
Quel semplice gesto, fatto con estrema delicatezza, le fece aprire gli occhi.
-Ben svegliata principessa- le sussurrò aiutandola ad alzarsi.
-Nate? Che ci fai qui? Che ore sono?-
-Ehi, cosa sono tutte queste domande? Comunque sono le 9-
-Le 9?! Ma è tardissimo! Devo ancora cucinare! Perché non mi hai svegliato?!-
-Perché eri così bella mentre dormivi beata. Comunque ho pensato a tutto io-
-Tu?! Ma tu on sai cucinare!-
Lo guardò severa.
-Non avrai ancora preso del cibo take-away, vero?? Avevamo detto che, almeno per questo mese lo avremmo evitato e avremmo mangiato solo cose fatte in casa. Anche se  credo che quando stai con quegli latri due tu non rispetti minimamente questa “regola”-
-Piano, piano. Tranquilla ho fatto tutto io con le mie manine sante. Comunque grazie della fiducia!-rispose lui imbronciato.
-Non è mancanza di fiducia, è solo che…..Non ti ho mai visto alle prese con i fornelli. Ecco tutto. Ma non vedo l’ora di mangiare quello che hai preparato!-gli sorrise circondandogli il collo co le sue braccia delicate.
Erano troppo vicini, e lei era troppo bella, perché lui resistesse alla tentazione di baciarla appassionatamente.
-Ma non si fredda la cena?-gli sussurrò lei sulla sua bocca.
-Ha forse importanza?-
-No, non credo ne abbia-
Questa volta fu lei ad attaccarsi alle sue labbra come se fossero l’unica cosa che le consentisse di respirare, mentre lui affondava le dita sottili tra i suoi soffici capelli.
-Lasciamola raffreddare-bisbigliò guidandola nella stanza affianco, senza che lei opponesse alcuna resistenza, e chiudendosi la porta alle spalle.
 
Aprì gli occhi e la vide ancora addormentata sul suo petto, con una mano sul suo cuore.
Le accarezzò i capelli e s’inebriò del suo profumo.
Guardò l’orologio.
Reano quasi le 5.
Alla fine non avevano mangiato nulla e la cena che si era tanto impegnato a realizzare si era certamente freddata, ma non gli importava.
Aveva fame, ma non si sarebbe spostato neanche di un millimetro per niente al mondo.
Aveva sempre avuto paura che lei un giorno si sarebbe stancata di lui e lo avrebbe abbandonato senza rivolgergli più la parola.
La loro relazione era troppo bella perché fosse “per sempre”.
Di solito le cose belle che gli capitavano erano destinate a finire lasciandolo da solo a ricucire il suo cuore spezzato cercando di non ferirsi ancora di più.
Quindi si godeva ogni singolo istante in cui poteva stare con quella ragazza che non riusciva a levarsi dalla testa e dal cuore nemmeno per un istante, aspettando con terrore il giorno in cui lei lo avrebbe lasciato per sempre.
-Già sveglio?-
Il suono dolce della sua voce lo distolse dai suoi cupi pensieri.
-Non riuscivo a dormire, tu?-
-Tu che non riesci a dormire?! Ma se Jack mi dice sempre che anche loro ti devono svegliare con le bombe atomiche!-rise lei.
Era vero.
Spesso, quando erano in giro per il mondo, la mattina era complicato farlo alzare, ma solo perché non riusciva a prendere sonno senza lei al suo fianco.
Lei era l’unica a mettere a tacere quella folla di pensieri che lo tenevano in piedi e che lo guidavano nelle sue passeggiate notturne per le città in cui facevano tappa.
Dubitava che Jack o qualcun altro, lo sapesse.
Forse solo Andrew aveva intuito qualcosa.
-Io almeno sono sincera: ho fame! Di la verità anche tu ne hai!-
Lui le sorrise dandole la conferma di aver colpito nel segno.
-Mi dispiace di averti fatto saltare la cena-
-Non devi essere dispiaciuta. Ne è valsa la pena-la rassicurò abbracciandola forte e trattenendola quando fece per alzarsi.
-Dove vai?-
-A preparare la colazione, anche se è troppo presto per definirla tale-
Lui la tirò a sé  la baciò.
-Non farlo-
-Non vuoi che cucini?-
-Non è quello è solo che….-
-Solo cosa?-
-Fai di meglio. Insegnami-
La ragazza sorrise e gli scompigliò i folti capelli castani che negli ultimi mesi erano diventati molto più lunghi.
-Va bene signor Ruess. La lezione di oggi è molto semplice. Le insegnerò a cucinare i pancakes!-disse con aria furba, rivolgendosi a lui come un’insegnante ad un alunno incapace.
-Però ti devi alzare!-concluse scherzando e trascinandolo fuori dal letto.
 
Nate fece tutto ciò che lei gli disse, ma riuscì comunque a fare un disastro.
-Solo tu potevi ridurre la cucina in questo stato preparando dei pancakes!-rise lei osservando on disperazione l’intera stanza ricoperta di farina e di tutti gli altri ingredienti utilizzati.
-Ero distratto dalla tua abbagliante bellezza. Sono giustificato-le rispose con un ghigno divertito.
-Inutile che cerchi delle scuse. Vediamo piuttosto come sono venuti-disse lei riempiendo due piatti.
-Piuttosto, dove mangiamo? Il tavolo è inutilizzabile!-
-Allora mangeremo……per terra!-sclamò lui indicando l’unica superficie ancora “pulita”.
-Ma non si può mangiare sul pavimento!-protestò lei.
-Non sarà pieno di farina, ma è pieno di polvere!-
Forse la ragazza in fondo aveva ragione.
Non si poteva fare colazione per terra.
Però il tavolino che avevano in salone si era rotto un mesetto prima e non ne avevano ancora comprato uno nuovo, quindi…..
-Allora potremmo andare nel nostro regno?-propose lui.
-Il nostro regno?-
Nate prese i piattini che lei  aveva in mano e tutto il necessario per rendere ancora più buoni quei pancakes e li portò nella camera da letto.
Sorrise.
Lui aveva ragione, quello era il loro regno, il posto in cui passavano più tempo insieme, parlando per ore di qualsiasi cosa, e probabilmente anche l’unico posto in tutta la casa in cui nessuno oltre loro era mai entrato.
Il luogo che custodiva i loro segreti.
Alzò le serrande, mentre lui posava tutto sul letto e poi si sdraiarono a pancia sotto, l’uno di fronte all’altra, con solo la loro colazione a dividerli.
Il sole aveva appena cominciato a sorgere, illuminando flebilmente la stanza e il volto pallido della bionda.
-Quest’estate ti porterò al mare. Te lo prometto-
-Non fare promesse che non puoi mantenere. Sarai in tour quest’estate-
Era contenta del successo che avevano avuto, ma ogni volta che partiva, lasciandola da sola in quella casa che sapeva così tanto di lui, non poteva non sentire la sua mancanza al punto di stare male.
Spesso infatti tornava dai suoi genitori in quei periodi, o, ancora meglio, si “trasferiva” a casa di Lena, una della sue più care amiche .
Era contenta per lui, ma sapeva che le sarebbe mancato tantissimo, tanto più che era appena tornato da una parte del tour.
-E tu vieni con me-
Aveva pensato ogni tanto di seguirlo, ma aveva sempre aspettato che fosse lui a chiederglielo.
Non voleva essere di peso.
-Nate, non ti devi sentire obbligato, non importa se non staremo insieme nemmeno quest’estate. Al mare ci andremo quando tornerai-rispose però, distogliendo lo sguardo.
Ma lui le prese la mano.
-M aio ho bisogno di te! Ti prego vieni!-
Non aveva il coraggio di dirle che non riusciva a dormire senza percepire il caldo corpo di lei affianco al suo, che ogni volta che tornava a casa ogni giorno aveva paura di non trovarla perché aveva deciso di lasciarlo, che quando andava in tour aveva il terrore di tornare nella loro casa a Brooklyn e trovarla vuota, con a malapena un biglietto di spiegazioni, o forse neanche quello.
Poco importava che lei non lo avesse mai abbandonato, che lo chiamasse ogni giorno ripetendogli quanto lo amava, quanto le mancava e quanto non vedeva l’ora che tornasse.
Quella sua paura ancestrale continuava a divorargli l’anima ogni volta che leii non era tra le sue braccia.
-Ti porterò in Italia. Ti farò vedere Roma e qualsiasi altro posto vorrai. Farò ciò che vorrai, ma ti prego vieni con noi in tour-
Erano anni che voleva proporglielo, ma non se l’era mai sentita di chiederglielo, perché era comunque un grande sacrificio.
Bisognava passare mesi lontani da casa e da tutte le attività che si stavano facendo e che on ci si poteva portare appresso.
E lei aveva un lavoro.
-Ci penserò Nate. Sai che non posso lasciare, così su due piedi, tutti i progetti che sto portando avanti, però ti prometto che farò di tutto per poter venire con te. Abbiamo ancora più di un mese per decidere-
Il problema non era decidere, lo sapevano entrambi.
O meglio lei lo sapeva, Nate invece probabilmente in un angolo del suo cuore ne era convinto, ma la paura che lei non lo amasse e cercasse di stare sempre lontane da lui prendeva il sopravvento.
-Com’è andata ieri alla sfilata?-chiese cambiando argomento e cominciando a mangiare, subito seguito fa lei.
-Benissimo! Un successone! Non poteva andare meglio! Erano tutti entusiasti dei nuovi vestiti e forse ci sono alcune possibili offerte di lavoro!-raccontò con gli occhi che le brillavano dall’entusiasmo.
-Qualcuno ti ha chiesto di confezionargli qualche abito?!Chi?!-
-Non voglio parlare per scaramanzia, ma è gente davvero importante! A te piuttosto com’è andata? Cosa siete riusciti a fare a casa di Andrew?-
-Alla fine non ci siamo andati-
-Come mai?-domandò molto sorpresa.
Quando era uscito di casa quella mattina le aveva detto che sarebbe andato al bar-appartamento di Will per parlare di lacune cose con lui e Nattie, dopo di che gli  avrebbe dato una mano a sistemare il locale che aveva comprato e ristrutturato da poco e che non aveva ancora aperto.
Nel pomeriggio Jack e Andrew li avrebbero raggiunti lì e poi sarebbero andati a casa di quest’ultimo per lavorare ai nuovi brani.
Il tono e lo sguardo con cui le aveva illustrato il programma della giornata le avevano fatto capire che nulla avrebbe potuto distoglierlo dai suoi intenti e, anzi, che sarebbe stato complicato vederlo tornare senza un pezzo inedito da cantarle.
Perché lui le cantava sempre ogni cosa che scrivevano, anche se magari era solo una melodia abbozzata.
Ci teneva a sapere cosa ne pensasse lei.
-Abbiamo fatto un po’ tardi, ma non è quello il motivo-
Non aveva problemi a crederlo.
Molte volte, infatti le loro sessioni creative duravano intere giornate, se non nottate.
Spesso lo sentiva tornare alle ore più assurde, ogni tanto rientrava quando lei si svegliava e allora fingeva di essersi alzato prima e di essere vestito per quel motivo.
-Allora cosa vi ha fermato?-
-Una ragazzina ferita che si rea presa sotto la pioggia-
-Perché non mi racconti?-
E lui le raccontò di Giulia, di come si erano incontrati, di ciò che avevano fatto quel pomeriggio, delle storie che si erano scambiati, delle prese in giro, delle confidenze che si erano fatti e di tutto ciò che gli venne in mente.
-……Sai qual è la cosa più strana?-
Lei scosse la testa.
-Di solito le giornate che passo senza scrivere o lavorare con Jack ed Andy, per quanto possano essere fruttuose in latri sensi, mi lasciano sempre uno strano sapore, come se avessi potuto fare d più. Ma non questa volta. Ho avuto la sensazione che dovevo essere lì a fare quello che stavo facendo e che non c’era niente di meglio di quello che io potessi fare in quel momento-
-Un po’ come un buon samaritano insomma-
-No, non intendevo questo, è che….Non so come spiegartelo….Quella ragazzina è speciale, in qualche modo. Insomma, senza accorgermene le ho raccontato cose che di solito non dico a nessuno, eppure la conoscevo da poche ore. Non lo so, è come se avessimo uno strano legame che non spiegare-
-Hai pensato che potrebbe essere parchè ti ricorda te stesso-
-Me?-
-Si tu. Da quello che mi hai raccontato vi somigliate molto. Magari il tuo inconscio se ne è accorto prima di te-
Nate rifletté sulle parole della bionda mentre portava via i resti della colazione.
Forse non aveva tutti i torti.
Si era accorto che lui e la ragazzina si capivano a l volo e che provavano le stesse cose riguardo ad alcuni argomenti.
Potevano essere davvero così simili?
Era solo una possibilità come le altre, concluse tornando dalla sua amata.
La trovò rannicchiata sotto le coperte e la raggiunse, circondandola con le sue braccia.
-Hai freddo?-
-Ora no?-rispose stringendosi a lui.-
Solo….Ho ancora sonno-
-Allora dormi. Tanto domani, o meglio oggi, non abbiamo niente da fare-le disse accarezzandole i capelli.
Lei chiuse gli occhi e lui affondò il viso nella sua chioma, godendo del suo bellissimo profumo che non avrebbe saputo descrivere.
Poco importava del sole che continuava ad alzarsi all’orizzonte.

nota:scusate per le dimensioni esigue del capitolo.questi utlimi che ho scritto sono davvero molto corti, ma sono un po' di introduzione ai personaggi e alla storia in sè, quindi vi prego di portare un po' di pazienza.Ringrazio ancora Mon per la sua recensione e spero che ne vogliate lasciare una anche voi, perchè ho davvero bisogno di conoscere il vostro parere.
Detto questo credo che per un po' scomparitrò perchè non avrò il tempo materiale per scrivere ne tanto meno per mettermi al computer,ma io voglio sperare che voi sarete pazienti con me e sopporterete anche questo.Grazie ancora per essere arrivati fino a qui!

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Capitolo 4
*** A casa..... ***


Con le mani dietro alla nuca Giulia era ferma nel suo letto a guardare il soffitto.
Non erano nemmeno le 5 di mattina, eppure non riusciva più a riaddormentarsi.
Troppi pensieri ronzavano nella sua testa senza darle tregua.
C’era qualcosa che la turbava, ma on riusciva a capire bene cosa.
La sera prima era tornata a casa quasi alle 9 e aveva trovato Gaia e Pepe, la sua seconda coinquilina, sedute sul divano con una porzione di cibo cinese ciascuna.
«Ce n’è una anche per te in cucina» le aveva detto Pepe e mentre lei andava a prendere la sua cena Gaia aveva cominciato a farle la sua ramanzina sul fatto che era tornata tardissimo rispetto agli orari che si erano date quando avevano preso quell’appartamento in affitto.
Giulia rea preparata, quindi aveva fatto finta di ascoltarla mentre cominciava a spiluccare il riso alla cantonese che stava nella “scatola” che le sue coinquiline le avevano lasciato.
Lo aveva guardato con ribrezzo.
Lei odiava il cibo cinese, fatta eccezione per alcune cose e il riso alla cantonese non era tra queste perché lei odiava il riso e odiava i piselli.
E questo Pepe lo sapeva.
Lo sapeva perché si conoscevano da 4 anni e perché erano migliori amiche.
Si erano conosciute in primo liceo, frequentavano la stessa scuola, la stessa classe.
All’inizio Giulia aveva pensato che non avrebbe mai avuto nessun tipo di rapporto con quella ragazzina con la faccia troppo snob e antipatica(per non sire qualcos’altro) per i suoi gusti.
Ma si a che le prime impressioni spesso sono sbagliate.
La passione per la scrittura e la musica le aveva unite e da anni erano inseparabili.
In più Pepe si accorgeva sempre quando lei stava male.
Era stata lei a darle quel soprannome, perché quella ragazza rendeva la sua vita un po’ più………speciale.
E come il pepe nei piatti riusciti male, la aiutava a notare di meno le cose brutte della vita.
Perché Pepe la conosceva.
Perché Pepe era la sua migliore amica a cui diceva tutto.
«Sbrigati sta per iniziare il film!» le aveva intimato Gaia, la cui ramanzina era durata meno del previsto.
«Che film?» aveva domandato lei, sorpresa.
«Ma Thor! Che domande!» le aveva risposto Pepe inserendo un DVD e premendo play.
Lei si era seduta su una poltrona e si era messa a guardare il film con loro.
Non le avevano chiesto dov’era stata, né perché rea ricoperta di tagli, graffi e lividi, e nemmeno che fine avessero fatto i suoi vestiti.
Probabilmente non si erano nemmeno accorte che non erano suoi quelli che aveva indosso, come non si erano accorte del resto.
Da Gaia poteva aspettarselo, ma da Pepe no.
Pepe avrebbe dovuto notare le sue ferite, i suoi abiti o anche solo il suo sguardo e chiederle cosa le fosse successo.
Ma non lo aveva fatto.
Per la prima volta si era sentita invisibile agli occhi della sua migliore amica, o peggio, si era sentita insignificante.
Si era comunque goduta il film.
Dopotutto erano mesi che lo voleva vedere, poi era andata a dormire.
Ma quella notte il suo era stato un sonno tormentato.
Si era svegliata milioni di volte e ogni volta aveva fatto più fatica della precedente a riaddormentarsi.
Così si ritrovava alle 5 di mattina a guardare il soffitto della sua stanza a New York.
Aveva pensato di chiamare la sua famiglia, tanto in Italia erano le 11 passate, ma aveva avuto troppa paura che potessero notare qualcosa che non andava, così aveva rinunciato all’idea.
Loro dovevano pensare che lei stesse bene perché, come le aveva spiegato sua madre una volta, i genitori soffrono quando sanno che i loro figli non sono felici.
Forse per questo li sentiva pochissimo: aveva paura che scoprissero quanto la distanza la facesse soffrire.
La nostalgia di casa la fece ripensare al giovane che l’aveva riaccompagnata a casa e ai suoi amici che erano stati così gentili con lei.
Unica luce in quella terribile giornata.
Aveva voglia di rivederli perché, anche se erano molto più grandi di lei, con loro stava bene.
Si sentiva capita e accettata.
Ma  come avrebbe fatto a rivederli?
Le venne subito in mente il biglietto che le aveva dato quello che l’aveva guidata per le strade della grande mela che per lei rimaneva un labirinto.
Non se la sentiva di chiamarlo.
Troppa era la paura di arrecargli altro disturbo.
Avrebbe voluto sapere dove abitava, così gli avrebbe lasciato i vestiti davanti alla porta e quei 3, che erano stati così simpatici, non avrebbero più dovuto avere a che fare con un disastro umano come lei.
I suoi vestiti distrutti potevano pure tenerseli, o anche buttarli dato lo stato in cui erano ridotti, soprattutto i pantaloni.
Ripensò ai loro sguardi, i gesti, le parole che si erano scambiati….
Si vedeva quanto si volevano bene e quanto fossero affiatati.
Fu lì che qualcosa scattò nella sua mente.
Si scagliò fuori dal letto, prese il suo Ipod, il suo quaderno preferito, una penna e cominciò a scrivere con le cuffiette nelle orecchie per non disturbare lei altre due che, come quasi tutta la città, a quell’ora ancora dormivano.
 
Gaia dovette bussare davvero molto forte perché Giulia la sentisse.
-Apri questa maledetta porta prima che la sfondo! Sono tre ore che ti chiamo!-
-è aperta! Non tutte sono psicopatiche come te che ti chiudi a chiave pure in camera tua! Entra-biascicò lei, rendendosi conto di essersi addormentata mentre scriveva.
Mentre la porta si apriva nascose velocemente tutto e si infilò sotto le coperte, fingendo di non essersi mai spostata dal suo caldo giaciglio.
-C’era una cosa per te fuori dalla porta. Poco ci mancava che la buttavo insieme alla spazzatura! Grazie a Dio ho notato la lettera!-
-Quale lettera?-
-Quella che stava insieme alla busta. Non so di chi sia e se non me lo vuoi dire non importa. Io adesso devo andare, ho un appuntamento con Jeremy alle 10:00 e sono già in ritardo, quindi….-
-Perché che ore sono?-
-Le 9:30, ma ci dobbiamo vedere dall’altra parte della città, perciò mi  devo sbrigare. Non credo che tornerò per pranzo, quindi ci vediamo questa sera. Ciao!-
Non le diede nemmeno il tempo di rispondere perché scomparve subito dietro la porta e poco dopo sentì il portone dell’ingresso chiudersi con fragore.
Pepe non si svegliò nemmeno dopo tutto il casino di porte sbattute che aveva fatto Gaia, ma Giulia non si stupì.
Pepe non si svegliava nemmeno con le cannonate.
Si sedette sul letto e aprì la busta di plastica che le aveva portato Gaia.
Dentro c’erano i vestiti che aveva il giorno prima, ma asciutti e anche puliti.
Evidentemente quei 3 avevano avuto la sua stessa idea, ma loro l’avevano messa in pratica.
Era cetra che fosse stato Nate piuttosto che Andrew o Jack, non solo perché era l’unico a sapere dove abitava, ma anche perché lui e lei sembravano pensare allo stesso modo in qualche senso.
Sentiva che tra loro due c’rea una specie di legame.
E sentiva che lui la capiva più di tutti gli altri e ne ebbe la certezza leggendo la lettera che accompagnava quel “pacco”.
“Giulia, spero di aver lasciato questa busta davanti alla porta giusta. Non sapevo quale fosse il tuo cognome, così ,mi sono fatto aprire da uno dei condomini chiedendo di te e mi hanno indicato questo appartamento.
Dicono che è l’unico in cui abitano 3 ragazze italiane.
Anche se io ero convinto che tu avessi una sola coinquilina.
Gliel’ho detto e mi hanno risposto che quello era l’unico in cui vivevano delle straniere, così…….
Spero solo di non aver sbagliato palazzo o cose del genere.
Comunque questi sono i tuoi vestiti.
Non fraintendere questo gesto.
Non vuol dire che non ti vogliamo più rivedere o cose del genere(anche perché tu hai i jeans di Andy e la maglietta che ,mi ha regalato anni fa mia sorella e che per me ha  un grande valore affettivo. Quindi vorremmo riaverli indietro) e per dimostrartelo vorremmo invitarti a pranzo.
Fatti trovare verso le 12:30 sotto casa tua.
Al ristorante ti ci porto io: non voglio che tu ti perda un’altra volta.
Non ti preoccupare, non sarai per niente di peso, anzi avremmo bisogno del tuo aiuto per una cosa.
Ma ti spiegherò tutto quando ci incontreremo e sappi che non puoi rifiutarti di venire per nessun motivo.
Andrew e Jack ci tengono a rivederti, dicono che è perché vogliono sapere se stai meglio, ma secondo me in realtà sono più interessati alla storia che hai promesso di raccontargli.
Loro adorano ascoltare qualsiasi tipo di storia e tu hai giurato che glie ne avresti raccontata una e ora sono molto impazienti di ascoltarla.
Non puoi deluderli!
Ci vediamo dopo!
                               Nate”

Sorrise.
Quel ragazzo aveva capito proprio su quali punti fare leva e anche cosa la preoccupava.
Era riuscito a comprenderla meglio lui in mezza giornata che altri in anni e anni di conoscenza. Aveva proprio voglia di rincontrare quei 3.
E lui sembrava averle letto nel pensiero con quell’invito!
Era così felice che, dopo giorni, si concesse di chiamare via skype i suoi genitori e parlare con loro e le sue sorelle per più di un’ora. Tanto era sabato e nessuno andava a scuola o al lavoro.
Nel frattempo lavò i vestiti che le erano stati prestati il giorno prima e li mise nell’asciugatrice.
Dopodiché scelse con cura quelli che avrebbe indossato.
No chiese aiuto alla sorella maggiore, che grazi e alla webcam avrebbe potuto darle una mano essendo esperta in queste cose.
Chissà cosa sarebbe andata a pensare!
e poi non poteva apparire peggiore di come l’avevano vista la prima volta.
Ma forse era proprio per questo che ci teneva tanto a sembrare il più carina e normale possibile.
Alla fine optò per una maglietta celeste a maniche corte, fresca, semplice e che le donava parecchio, a cui abbinò i suoi soliti jeans, questa volta però le arrivavano fino alle caviglie in modo da poter coprire le ferite che si era procurata cadendo dalla bici.
Si era oramai fatta ora di scendere, prima che le venisse affibbiata anche la fama di ritardataria.
Aveva cercato Pepe senza successo per tutta la mattina per chiederle aiuto e per raccontarle quello che le era accaduto il pomeriggio precedente.
Aveva pensato che stesse dormendo, ma prima di andarsene pensò di passare in camera sua, tanto oramai era giunta l’ora di alzarsi re poi doveva avvisarla che stava uscendo!
Avvicinandosi alla sua porta sentì delle voi allegre.
Le conosceva fin troppo bene.
-Non dovresti andare da Giulia? Ti ha chiamato per più di 2 ore!-esclamò un uomo dallo schermo del computer.
-No. Se non è venuta a buttarmi giù dal letto non è così importante, probabilmente crede ancora che io stia dormendo!-rise lei.
La ragazza si infuriò.
Se prima aveva voglia di raccontarle della sera prima e dei ragazzi che aveva conosciuto, beh adesso non ne aveva più.
Prese un post-it e lo attaccò al frigo, certa che lì Pepe lo avrebbe letto.
C’era scritto solo “Non torno per pranzo”.
Poi chiuse rabbiosamente la porta di casa alle sue spalle.
Se a Pepe non importava di lei, a lei non sarebbe importato di Pepe.
Scese di corsa le scale e trovò un Nate sorridente al volante di una bellissima utilitaria.
-Salta su ragazzina. Si va a mangiare!-
Lui era così allegro che lei si sentì in dovere di fare un sorriso, anche se un po’ forzato.
La cosa però non sfuggì al giovane che capì subito che c’era qualcosa che non andava.
-Ehi, tutto ok?-
-Si certo-rispose lei sorpresa dalla domanda.
-Non mi sembra. Vuoi dirmi cos’è successo?-
-Nulla-
-Non può essere, altrimenti non avresti questa faccia. A me puoi dirlo-
-Nulla d’importante davvero-
-Però per te lo è?-
-Non credo che questo conti-
-Oh si invece! è la cosa che conta di più!-
Nate aspettò che dicesse qualcosa, ma lei rimase ostinatamente in silenzio fissando lo sguardo fuori dal finestrino, lontano da lui.
-Ok, va bene non me lo vuoi dire. Questo significa che mi devo impegnare ancora di più per rendere la tua giornata bellissima-le disse allora scompigliandole i folti capelli castani e facendola ridere.
-Questo mi sembra decisamente un buon inizio!-disse ridendo anche lui.
Poi fermò l’auto, scese e le aprì la portiera.
-Milady, siamo giunti a destinazione!-
 

nota:scusate la brevità del capitolo,ma questo fra le altre cose l'ho scritto dopo la fine della scuola e quindi è già un miracolo che sia riuscita a buttare giù qualcosa.Vi prego abbiate pietà di me ancora una volta.Avevo mostrato il punto di vista di Nate,quindi mi sentivo in dovere di far vedere anche quello di Giulia,ma non so come sia venuto.Spero che vi sia piaciuto.Fatemi sapere cosa ne pensate,aspetto i vostri pareri

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Capitolo 5
*** un pranzo tra i vecchi ricordi ***


Non era un grande ristorante.
Anzi lei non lo avrebbe neanche notato se Nate non l’avesse preceduta entrando per una nascosta porticina laterale.
Jack ed Andrew erano già seduti ad un tavolo all’angolo della sala più lontano dall’entrata.
Il biondo appena li vide li salutò con un cenno della mano mentre l’altro, dopo aver ricevuto una potente gomitata dall’amico, rimise in tasca il cellulare che stava fissando fino a un secondo prima.
-Ehi, ciao Juls! Come va?-esordì lo spilungone entusiasta.
-Alla grande-rispose ricevendo un’occhiataccia da Nate.
-Voi?-
-Tutto ok. La bici funziona bene?-
Questa volta a parlare fu Jack.
-SI, si. Sei stato un grande nel ripararla. Ti devo ringraziare!-
-E di che? Piuttosto accomodati, se no come fai a mangiare?!-fece lui notando che era ancora in piedi e indicandole il posto libero sulla panca accanto ad Andrew dato che la sedia vicino a lui l’aveva già occupata Nate.
Mentre cominciavano a scegliere cosa prendere il cellulare di Jack squillò e, per quanto fosse in modalità silenziosa Nate lo sentì e osservò il sorriso ebete che spuntò sulla faccia del suo amico.
-Ehi Ducky chi è che ti scrive?-chiese maliziosamente senza però ricevere alcuna risposta.
-O dovrei dire COSA ti scrive. Tanto sappiamo che c’è una sola persona che può farti sorridere in quel modo!-concluse strappandogli il telefono dalle mani e leggendo l’SMS.
-Lena è davvero molto dolce. Ha detto che….-avrebbe continuato molto volentieri, malgrado lo sguardo gelido che Jack gli aveva riservato, ma Andrew lo fermò.
-Non credi che questi siano affari loro?-
Il giovane allora restituì subito il cellulare all’amico.
-Scusa. Sono sempre troppo invadente. Mi perdoni?-
-Nate, ti perdono sempre, lo sai. Non c’è bisogno che mi fai quegli occhi da cucciolo!-rise Jack, facendo ridere anche tutti gli altri.
-E poi Lena sa che tu finisci per leggere tutti i messaggi che mi manda, quindi se mi deve dire qualcosa che……non vuole che tu sappia aspetta che io sia a casa per dirmelo-
-Chi sarebbe Lena?-s’intromise a bassa voce Giulia.
-è la fidanzata di Jack-spiegò Andrew sul cui volto comparve una buffa espressione interrogativa quando vide gli occhi della ragazza correre verso Nate.
-Ok, ok. Ho capito. Credo sia arrivato il momento di finire la storia. Va bene, però ti avverto che a me manca un pezzo-
-Come può mancarti un pezzo?!è la tua storia!-
-Ma io non so come sia andata fino al giorno in cui l’ho trovata a casa di Jack-
-Quale storia?-chiesero contemporaneamente gli altri due.
-E cosa c’entra casa mia?-continuò Jack
-Cosa c’entra casa tua non lo so. Nate mi stava raccontando di come ha conosciuto la sua ragazza-rispose Giulia, come un bambino che spiega ad un adulto la sua storia preferita, quasi fosse ovvia.
-Quella storia?! Credo che il pezzo mancante posso raccontartelo io, ma…….possibile he non lo abbia già fatto lei?-esclamò Jack un po’ sorpreso
-No, lei non mi ha detto nulla, anche perché credo che non ne abbiamo mai parlato-
-Perché invece tu lo sai?-domandò la ragazza sempre più curiosa
-Perché il chitarrista che aveva abbracciato ero io-rispose con una semplicità disarmante e cominciò a raccontare……..
 
Anche lei era rimasta colpita da Nate, ma non si era accorta di lui dietro le quinte, ma sul palco dove lui, con un sorriso enorme stampato in faccia, stava cantando SNAILS insieme a Sam, il suo più grande amico.
Stava aspettando che suonasse il gruppo di Jack, ma dato che era un festival musicale e non voleva perdere i posti migliori, si era guardata anche tutte le altre band.
Nessuna l’aveva entusiasmata e lei si era seduta con gli occhi chiusi, aspettando che suonassero Jack e i suoi amici.
A un certo punto però aveva sentito quella voce così…….fantastica e si era messa a guardare incantata il ragazzo che stava cantando.
Avrebbe tanto voluto incontrarlo, per questo era andata dietro le quinte, ma non lo aveva trovato.
Era rimasta delusa e così si era concentrata esclusivamente su Jack che aveva già cominciato a suonare.
Evidentemente era troppo concentrata per accorgersi che lui era proprio alle sue spalle.
Il giorno dopo anche lei, con tutta la band, era tornata a casa, quasi completamente certa che non avrebbe più visto né sentito quel ragazzo.
«Ma diventerà famoso. Io ne sono certa. Ben presto sentiremo parlare di lui» era solita dire a tutti quando parlava di lui e dei Format, soprattutto a Jack che gli rispondeva sempre infastidito
«Si, ma sulla cronaca nera!»
«No. Nel mondo dello spettacolo. Dagli ancora un po’ di tempo e vedi come sfonderà! Tu non lo hai sentito!»
«E forse è meglio così»
Jack era sempre particolarmente acido quando lei tirava fuori quell’argomento.
Aveva capito che la sua biondina si era innamorata di questo cantante e sapeva che questo l’avrebbe fatta solo soffrire.
Primo perché probabilmente non lo avrebbe mai più rivisto e secondo perché, anche se per un caso fortunato si fossero messi insieme, lui sapeva com’erano fatti i musicisti, soprattutto i cantanti a cui andavano dietro stuoli di fan scatenate a cui spesso loro non dicevano di no.
La sua “piccola” non doveva soffrire per colpa di un idiota del genere.
Eppure lei ne aveva parlato così tanto che, appena ne aveva avuto l’occasione, pur di renderla felice, Jack le aveva regalato due biglietti per andare a vedere i Format.
Sperava ci avrebbe portato un’amica, ma lei evidentemente ci teneva troppo che Jack cambiasse opinione su quel ragazzo perché aveva deciso di portarci proprio lui.
E lui ci era andato, di malavoglia, ma ci era andato, e per la prima volta, nelle prime file a quello stupido concerto si era ritrovato ad ascoltare la musica di quello che lui aveva reputato un idiota superficiale e farfallone senza nemmeno conoscerlo.
Ma quei testi, che Jack sapeva essere stati scritti personalmente dal ragazzo, parlavano di tutt’altro e lui si era vergognato di essere stato LUI così superficiali.
Come se non bastasse si era accorto che il ragazzo aveva davvero del talento.
Lei aveva ragione.
Se ne era andato da quel concerto dandosi dell’idiota e ripetendosi quanto gli sarebbe piaciuto poter lavorare a qualche pezzo con quell’idiota di Nate Ruess.
Ma questo a lei non lo aveva detto.
Qualche tempo dopo Jack aveva ricevuto una chiamata proprio da quel Nate Ruess di cui la ragazza continuava a parlargli insistentemente in cerca di qualcosa che le dicesse che lui non odiava poi così tanto il giovane, o meglio che magari un po’ lo stimava.
I format si erano sciolti e lui gli aveva proposto di lavorare insieme ad alcuni brani già mezzi iniziati.
No gli aveva dato nemmeno il tempo di finire di parlare che già aveva accettato, lasciandolo spiazzato.
Quella era di certo l’ultima cosa che si sarebbe aspettato.
Entrambi ricordavano benissimo ogni singolo istante della loro conoscenza, sguardi compresi, e l’unica cosa che si ricordavano era la profonda sensazione che avevano che l’altro fosse un perfetto idiota.
Nate aveva ingoiato il suo orgoglio e represso le sue sensazioni chiedendo a Jack, che considerava il miglior chitarrista che avesse incontrato, di lavorare con lui e Jack non aveva esitato a fare lo stesso perché sapeva che dalla loro collaborazione sarebbe uscito qualcosa di fantastico, ma Nate di certo non se lo aspettava.
Nate si era già preparato a implorare il chitarrista di mettere mano a cui pezzi e invece lui lo aveva stupito accettando subito.
Quando poi gli aveva detto che aveva già contattato anche Andrew Dost, Jack si era mostrato ancora più entusiasta pensando che presto avrebbe lavorato con quel talentuoso polistrumentista che aveva incontrato a qualche festival.
E il cantante era rimasto ancora più sbalordito quando Jack aveva chiesto a entrambi di raggiungerlo a casa sua a New York il prima possibile per cominciare a lavorare immediatamente.
E loro lo avevano fatto.
Erano saliti sul primo aereo e, una volta arrivati, si erano catapultati a casa del chitarrista.
Lui era arrivato un giorno prima di Andrew ed rea subito andato a casa di Jack dove lo aveva trovato nel salotto a suonare alcune delle melodie che gli aveva mandato, accanto ad una bellissima bionda.
A quella bellissima bionda.
Era rimasto con la bocca aperta e questo aveva fatto ridere i padrone di casa
«Ehi Ruess. Forse sarebbe meglio che tu rimetta a posto quella mascella. Non voglio che mi rovini il pavimento»
Vedendo che Nate aveva dei problemi a riprendersi dallo stupore gli aveva subito proposto di dare un’occhiata insieme nel suo studio a ciò che lui gli aveva inviato.
«Ehi Crotchel, vieni anche tu?» aveva chiesto alla ragazza che aveva la stessa espressione basita del cantante.
«Ehmmm…..Io non vorrei disturbarvi. E poi devo finire di preparare gli ultimi pezzi della collezione» aveva risposto imbarazzata prendendo il suo portatile e avviandosi verso la porta di casa.
«No, ti prego resta» l’aveva invece implorata Nate con i suoi occhi da cucciolo prendendole una mano per impedirle di allontanarsi troppo da lui.
La bionda rimase stupita da quel gesto.
«Ma io devo sistemare gli ultimi dettagli» aveva mormorato imbarazzata
«Se vuoi ti posso dare una mano, insomma non sono un esperto, però ti posso dare il mio umile parere di persona qualunque»
«Oh si! È proprio quello che mi servirebbe» aveva esclamato entusiasta, per poi venire fulminata da uno sguardo di Jack
«Ma tu e……Insomma, voi dovete lavorare  io sarei solo d’impaccio»
«Ma io e lui possiamo rimandare, dopotutto Andrew arriva domani»
Probabilmente quella ragazza non era mai stata così indecisa su cosa fare, ma le occhiatacce che JACK LANCIAVA A Nate l’avevano convinta che la cosa più sicura per quel giovane fosse che lei rimanesse con loro.
«Se le cose stanno così allora resto» aveva detto riflettendo tutta la sua felicità sul suo volto, al contrario del proprietario di casa che non era mai stato più arrabbiato e infastidito.
La bionda aveva cominciato subito a far vedere al cantante tutti gli abiti che aveva realizzato e lui ogni tanto faceva qualche commento che suscitava sempre le risate di lei.
«Fattelo dire Nate, sei un talento innato, ma il tuo stile e il tuo gusto in fatto di vestiti sono davvero orribili!» aveva detto ridendo lei.
«Fanno davvero così schifo?»
«Tu non vuoi che io risponda a questa domanda vero? Insomma ci siamo appena conosciuti, sarebbe un peccato rovinare tutto così!»
Lei rideva e lui la guardava adorante.
«L’unico peccato è non averti conosciuto prima» aveva sussurrato Nate, così piano che probabilmente lei nemmeno l’aveva sentito.
Invece a Jack non era per niente sfuggito.
«Ehi Crotchel, non si è fatto tardi per te?» aveva detto il chitarrista con aria intimidatoria alla ragazza che subito si era alzata dal divano su cui sedeva con Nate.
«Si, hai ragione. Forse è meglio che vada a casa»
«Anche per me è giunto il momento di andare credo» l’aveva seguita a ruota il cantante.
«Ci vediamo domani per lavorare ai brani. Ok Jack?» aveva detto infine salutando il padrone di casa che li aveva accompagnati alla porta sempre più furioso.
«Devi scusare l’atteggiamento di Jack. È sempre così quando qualcuno mi si avvicina troppo secondo i suoi canoni» si era apprestata a scusarsi la bionda appena si erano ritrovati in strada, lontani dal diretto interessato.
«Lo capisco. Sei così bella» aveva sussurrato imbarazzato puntando lo sguardo sulla punta delle proprie scarpe.
«Non esageriamo. Dubito che Jack abbia tutti questi motivi per essere geloso. Nemmeno fossi la sua ragazza!»
«Io invece credo faccia bene ad essere geloso di te, dopotutto se fossi il tuo ragazzo anch’io sarei ge……..Aspetta. Mi stai dicendo che tu e lui non siete fidanzati?!»
«Certo che no! Non mi metterei mai con mio fratello!»
«Tuo….tuo…..tuo fratello? Mi stai dicendo che tu e Jack siete solo fratelli?!»
«Certo! Scusa cosa pensavi?»
«Io …….io credevo che voi foste fidanzati! Insomma io non avrei mai pensato che……»
«Ma se abbiamo persino lo stesso cognome!»
Poi lei aveva riso.
«Ci sono tante cose che non sai di Rachel Antonoff a quanto pare signor Nate Ruess. E che Rachel Antonoff non sa di Nate Ruess, ma io credo si possa rimediare»
«Come?»
«Non saprei, forse un giorno potremmo uscire a prenderci qualcosa e potremmo approfondire la nostra conoscenza»
Lei stava per andare via quando lui l’aveva fermata.
Di nuovo.
«E se provassimo a rimediare fin da subito?»
«Va bene, però, dato che sei nuovo di New York, ho un programma diverso dall’andare nel solito vecchio pub»
«E sarebbe?»
«Ti voglio portare in un posto speciale»
Rachel aveva convinto Nate salire sulla sua macchina e a lasciarla guidare.
In fondo anche lui sapeva che altrimenti si sarebbero persi.
Lei aveva parcheggiato vicino a un ingresso semi-sconosciuto a Central Park e poi lo aveva condotto fino ad un laghetto, sedendosi per terra il più vicino possibile all’acqua.
Lui le si era seduto accanto e, mentre lei osservava lo splendido scenario che li avvolgeva, non aveva staccato un attimo lo sguardo dal suo splendido viso.
«Allora non trovi che questo posto sia stupendo? Avevo ragione a dire che era un posto speciale?»
«Lo sarebbe stato lo stesso. In qualsiasi posto mi avessi portato per me sarebbe stato stupendo e speciale perché ci saresti stata anche tu»
«Ah signor Ruess, lei sa davvero cosa le donne vogliono sentirsi dire! Sei un abile seduttore Nate, ma non si può fare»
«Io non capisco cosa intendi dire» aveva borbottato lui davvero confuso
«Non sono stupida. È tutta la sera che……Lo sai, non fare il finto tonto. Ma tu stai mettendo su una band con mio fratello e dovete lavorare insieme. E io non voglio essere una delle tante» aveva concluso amareggiata.
«Non potresti mai essere una delle tante. Non ce ne sono mai state tante»
«Mentirmi non mi pare il modo migliore per cominciare qualsiasi tipo di rapporto, nemmeno una semplice amicizia» si era indignata lei.
«Non sto mentendo! Rachel, io so  che non dovrei dirtelo adesso, ma credo proprio di essermi innamorato di te!» aveva cercato id difendersi lui.
«Hai ragione, non dovevi dirmelo adesso. Nate ci conosciamo da meno di un giorno e tu dici di esserti innamorato di me. Non ti sembra un po’ presto? E poi anche se fosse potrei davvero credere a un……uno come te che dice di non aver avuto tante donne nella sua vita? Credi davvero che io sia così facile da prendere in giro?!»
«Io non ti sto prendendo in giro! Come devo fartelo capire?! Non riesco a smettere di pensare a te dalla prima volta che ti ho incontrato!»
«Cioè circa 3-4 ore fa. Bella prova d’amore!»
«Non parlo di oggi Rachel. Io parlo della prima volta che ti ho visto! Da allora nessuna donna ha più potuto reggere il confronto con te. Per questo non ci sono state tante donne! Da quel giorno tu per me sei stata l’unica possibile. Poco importa il tempo che ho passato senza nemmeno vederti!»
Rachel era davvero confusa e non capiva di cosa stava parlando quel giovane che la stava guardando disperatamente con i suoi occhi verde-acqua che imploravano la sua comprensione.
«Di cosa stai parlando Nate?»
«Di quel festival in New Jersey. L’anno scorso. Tu eri lì, dietro le quinte, a guardare gli Steel Train esibirsi e io invece non riuscivo a guardare altro che te. Eravamo così vicini, ma tu non ti sei nemmeno accorta della mia presenza. E poi quando loro hanno finito di suonare tu sei saltata al collo di Jack e io…….Io me ne sono andato. Se solo avessi saputo che non era il tuo ragazzo……….»
«Perché se avessi saputo che era SOLO mio fratello cosa avresti fatto?» aveva domandato lei ancora un po’ arrabbiata, ma soprattutto curiosa.
«Questo» aveva mormorato baciandola.
Quando si era allontanato dal suo volto, però, aveva notato la strana espressione sul volto di Rachel e si era dato mentalmente dell’idiota.
Il fatto che non fosse fidanzata con Jack non voleva dire che era interessata a lui.
«Io……scusa, non so cosa mi sia preso. Mi dispiace. Non so davvero come ho potuto pensare, anche solo per un secondo, che una come te potesse provare il minimo interesse per me»
«Cosa vuoi dire?»
«Ma, insomma Rachel, ti sei vista? Tu sei bellissima, simpatica, intelligente, così perfetta che non so nemmeno come descriverti, mentre io……..io sono solo un idiota» aveva concluso portandosi le gambe al petto e fissando lo sguardo per terra per evitare che lei si accorgesse dei suoi occhi lucidi.
«Se pensi questo sei davvero un idiota! Nate, io non ho mai conosciuto una persona più fantastica di te. E l’ho capito fin da subito. Anch’io t ho visto a quel festival in New Jersey. Ti ho sentito cantare e sono rimasta incantata. La tua è una delle più belle voci che io abbia mai sentito. Ero dietro le quinte non per Jack o per gli Steel Train, ma per te! Non trovandoti sono rimasta lì a guardare loro. Se solo avessi saputo che eri dietro di me……..»
«Cosa avresti fatto?»
«Questo»
E lo aveva baciato.
Lui era rimasto davvero sorpreso.
«Sei rimasto nei miei pensieri da allora. Sono persino riuscita a convincere Jack a portarmi a un tuo concerto solo per poterti rivedere!»
«E io non ti ho visto?!Sono proprio uno stupido!»
«Non dire così! Eravamo nascosti dalla folla. Non avresti mai potuto vederci. Quello che voglio dire è che tu per me non sei un idiota, ma sei una persona fantastica e piena di talento. Tu per me sei speciale!»
Per quanta convinzione lei avesse messo in quelle parole lui evidentemente non le aveva creduto perché i suoi occhi erano rossi e le lacrime avevano cominciato a correre veloci sulle sue guance.
«è inutile che cerchi di farmi credere il contrario Rachel. Io non valgo niente, la gente non fa che ripetermelo. E come dargli torto? Ogni cosa che ho fatto è stata un completo fallimento! Le band del liceo, i Format…….io continuo a provarci, ma in fondo lo so che non serve a niente. Io non sono e non sarò mai nessuno!»
«Non dire sciocchezze! Tu sei e sarai Nate Ruess, uno degli animi più dolci e poetici che io conosca. Non credo che serva altro. Lascia stare quello che dice la gente. Jack non avrebbe mai accettato di lavorare con te se non fosse stato convinto che ne valeva la pena. Tu, lui e Andrew insieme sarete fantastici e conquisterete il mondo. Ne sono certa. Io ho fiducia in te. Ti basta?»
«Si» aveva risposto lui con semplicità mentre lei baciava le sue labbra salate e gli asciugava le lacrime.
«Abbiamo perso un sacco di tempo Rachel» le aveva detto in un sussurro continuando a baciarla.
«Lo so» aveva risposto lei con le sue labbra su quelle di lui.
«Ma non possiamo tornare indietro. Possiamo solo andare avanti»
Avevano continuato a baciarsi, sempre con più passione.
Passione che si era trasformata quasi in foga.
Avevano bisogno l’uno dell’altra, in tutti i sensi.
Lui le aveva già sfilato la maglietta quando si era bloccato
«Stiamo correndo troppo. Forse non dovremmo…..insomma……forse dovremmo aspettare. Non vorrei che questo rovinasse tutto»
«Nate, questo non rovinerà niente. Domani ricominceremo tutto da capo, ma questa notte…….Questa notte è la nostra notte Nate! Voglio recuperare tutto il tempo che abbiamo perduto rimanendo lontani. Da domani faremo tutto per bene, ma per questa notte smettila di pensare alle conseguenze. Siamo insieme, finalmente. Non è questo l’importante dopotutto?»
«Non potrebbe esserci nulla di più importante» aveva risposto sorridendo.
Anche lei aveva sorriso e lui aveva ricominciato a baciarla, riprendendo da dove aveva lasciato….
 
-Ok, ok. Ora però stop! Questa parte la possiamo saltare. Non ho nessuna intenzione di sapere cosa hai fatto con mia sorella! Ne quella sera ne tutte le altre sera della vostra vita!-esclamò Jack
-Cioè, non che non lo sappia…..Solo non ho nessuna intenzione di sentire particolari o cose simili. E poi…..Abbiamo una bambina qui tra noi-concluse indicando Giulia.
-Ehi!-replicò quella offesa.
-Sei comunque troppo piccola per sentire questi discorsi-le rispose con tono severo.
-E poi sei la mia scusa per non far raccontare a Nate cosa è successo quella notte. Cioè……in realtà dubito che lo avrebbe raccontato nei dettagli, lui è molto riservato. Al massimo lancia qualche allusione, però……..è meglio essere sicuri. Non voglio sapere-le sussurrò poi all’orecchio facendola ridere.
-Ok, va bene, ve bene. Sono piccola e non posso sentire certi discorsi, quindi vai avanti Nate. Poi cos’è successo?-
-Siamo rimasti tutta la notte al parco-riprese a raccontare con occhi sognanti
-Abbiamo guardato le stelle, individuando tutte le costellazioni che si possono individuare grazie alle luci di New York. Abbiamo parlato di lei, di me, di noi, di Jack ed Andrew, della band che stavamo cercando di creare. Insomma di tutto ciò che ci è venuto in mente. Poi siamo andati all’albergo dove alloggiavo e…..-si fermò guardando Jack che scosse la testa sconsolato facendo segno di aver capito perfettamente cosa avevano fatto in albergo e facendo ridere tutti gli altri.
-Dai il letto andava inaugurato!-cercò di discolparsi Nate.
-E non solo il letto e non solo una volta scommetto! No! Aspetta! Aspetta! Non voglio sapere-borbottò tappandosi le orecchie come i bambini piccoli.
Nate si trattenne dallo scoppiare a ridere e distolse lo sguardo dall’amico riportandolo su quella che probabilmente era l’unica che non conosceva minimamente quella storia.
-Poi, niente. Ci siamo lavati e vestiti, dopodiché lei mi ha accompagnato a casa di Jack ed è tornata a casa-
-Ecco perché quel giorno eri distrutto. E anche Rachel quando l’avevo incontrata prima di salire da Jack non aveva un aspetto migliore-s ’intromise il biondo.
-Andrew! Ti prego non ti ci mettere anche tu! Sto cercando di fare finta di non sapere!-lo sgridò il chitarrista un po’ scocciato facendo ridere nuovamente tutti.
-Tranquillo Jack, dopo quella notte ci siamo andati davvero con i piedi di piombo. Niente più……-
-Ti ho detto che non voglio sapere! Per la miseria Nate! Io non ti racconto le mie “prodezze” con Lena! Quindi, ti prego, tu non raccontarmi cosa fai O NON FAI con MIA SORELLA!!è chiaro il concetto?!-
-Chiarissimo-
-E poi?-lo incitò Giulia che voleva ancora saperne di più.
-E poi per tutto il tempo che sono rimasto a New York ci siamo visti ogni secondo in cui non stavo con loro. Sapevamo di avere poco tempo prima che io dovessi ritornare a Phoenix e non volevamo assolutamente sprecarlo. Dopo che sono ripartito ci siamo sentiti tutti i giorni su skype o per telefono e, appena uno dei due poteva, prendeva il primo aereo disponibile per raggiungere l’altra. È capitato anche che ci siamo incontrati “a metà strada” concedendoci qualche piccola vacanza insieme. Poi abbiamo capito che così non potevamo andare avanti. Avevamo bisogno l’uno dell’altra e vederci sporadicamente non andava più bene. Anche perché quando io andavo a New York passavo comunque quasi tutto il mio tempo con i ragazzi a lavorare ai pezzi per il CD e riuscivamo a stare insieme pochissimo. In più era raro che lei riuscisse a venire a Phoenix. Aveva sempre qualcosa da afre e quando riusciva a liberarsi per venire io dovevo quasi sempre partire per andare da Jack o da Andrew. Quindi……-
-Avete pensato che l’unica soluzione fosse il trasferimento di uno dei due-concluse Giulia per lui
-Esatto. E l’unico che aveva qualche motivo per trasferirsi ero io, così potevo stare anche più vicino a Jack e avremmo potuto lavorare meglio. Ci siamo messi a cercare casa insieme e abbiamo trovato un bell’appartamento a Brooklyn, che è quello in cui viviamo tutt’ora. Adesso siamo una coppia normalissima che cerca di incastrare i proprio impegni per passare più tempo possibile insieme a fare qualsiasi cosa. E intendo davvero qualsiasi- concluse alzando al voce e guardando il “cognato” che subito distolse lo sguardo infastidito.
Inutile dire che la sua buffa espressione fece ridere tutti quanti un’altra volta.
-Nate un giorno di questi io ti ammazzo. Devo solo decidere come, ma sappi che ti farò soffrire!-
Il giovane non prese per niente sul serio l’amico e gli fece la linguaccia con un sorriso furbesco che fece solo innervosire di più l’altro.
Andrew scosse la testa.
Oramai ci aveva rinunciato a “rimetterli in riga”.
Si girò verso Giulia e prendendo l’ultima forchettata di quello che aveva ordinato, la guardò.
-Ora tocca a te dirci la tua storia. Forza raccontaci cosa ci fa una quasi 17enne tutta sola a New York-

nota:scusate il mio immenso ritardo,ma ho avuto uno strano blocco dello scrittore:sapevo cosa dovevo scrivere,ma non sapevo COME dovevo scriverlo!
Comunque sembrerebbe che ho momentaneamente risolto il problema.Però probabilmente il prossimo capitolo si farà attendere,ma oramai ci siete abituati(purtroppo.Mi dispiace)
Spero di non essere stata troppo melensa da farvi venire il diabete,però mi sono divertita anche un po' a sfottere il povero Nate per come si veste dfato che questa discussione è venuta fuori fin troppe volte negli ultimi giorni e con persone diverse(tra cui la adorabile Mon),quindi non sono l'unica a pensare che a volte si veste in modo terribile.....tipo pantaloncini e leggins,ma lasciamo stare che è meglio.
attendo con ansia i vostri pareri,che siano positivi o negativi non importa,basta che mi fate sapere cosa pensate dei disastri partoriti dalla mia mente malata

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Capitolo 6
*** un giorno in un bar....... ***


-Va bene, ma sappi che on regge il confronto con la “vostra”-
-Non importa, dai racconta-
La ragazza si tormentò le mani.
La sua in realtà non era nemmeno una storia, era un colpo di fortuna.
Prese un respiro profondo.
Temeva il loro giudizio sebbene no le sembravano i classici tipi che l’avrebbero guardata male, derisa e poi evitata.
Erano adulti e gli adulti queste cose non le fanno.
Eppure in molte cose le sembravano dei ragazzini, forse……
Scosse la testa.
Doveva mettere da parte le sue i9nsicurezze e fidarsi di loro.
Anche perché non era una cosa brutta……
-Allora ragazzina? Perché sei qui?-la incitò Nate
-Per studiare-
I tre fecero delle facce strane.
Studiare in America costava davvero tanto e loro lo sapevano meglio di lei.
-Perché non hai completato gli studi in Italia dove le scuole costano meno, invece che qui in America dove sono carissime?-le domandò Jack dando voce al pensiero di tutti.
-Perché ho vinto una borsa di studio-mormorò fissando le sue mani, come se avessero la risposta a qualche domanda esistenziale.
-E lo dici con questa faccia?! Juls, ma è meraviglioso!!!-
L’entusiasmo di Andrew la fece sorridere e alzò  finalmente lo sguardo trovando gli altri due che la fissavano sbalorditi.
Probabilmente quando andavano a scuola studiavano così poco che una borsa di studio non era mai apparsa nei loro pensieri o perlomeno doveva essere sembrata loro irraggiungibile.
-Abbiamo un genio tra noi!-disse Nate prendendola bonariamente in giro.
-No. Solo una ragazza molto fortunata-
-Quindi hai lasciato tutti in Italia per…….Studiare?-
Jack era abbastanza perplesso.
Lui era sempre vissuto vicino alla sua famiglia, molto più degli altri due e gli sembrava strano che qualcuno, soprattutto così giovane, potesse lasciare parenti e amici e trasferirsi così lontana da casa.
Solo per studiare poi!!!
-Non ho lasciato proprio tutti tutti. La mia migliore amica è venuta con me-
-Anche lei ha vinto una borsa di studio?-
Giulia annuì.
-2 studiose insomma!-
-Già. Poi comunque ho conosciuto altre persone qui. Ad esempio Gaia, la mia coinquilina, anche lei è italiana e……-
-Fammi indovinare. Anche lei ha vinto una borsa di studio!-
La ragazza annuì nuovamente.
-Ma vivete in un appartamento o alla casa dello studente meritevole…….italiano?!-
La frase di Jack la fece ridere.
-Che io sappia in un appartamento, ma dovresti chiedere a Gaia. Lei vive lì da prima che arrivassimo!-
-Glielo chiederò appena ce la farai conoscere. Ma dicci……E dei Newyorkesi, o meglio, degli americani che hai conosciuto qui, cosa ne pensi?-
-Per ora ho conosciuto davvero pochissime persone. Alcuni sono degli amici di Gaia, qualcun altro l’ho conosciuto quando sono andata ad informarmi per iscrivermi al college-
In realtà aveva conosciuto un solo ragazzo quando era andata al college.
Non che ci fosse andata poche volte, anzi!
Però quasi nessuno l’aveva notata.
Nessuno tranne Joshua.
Si faceva chiamare Josh ed era stato veramente gentile, mostrandole la scuola e spiegandole come funzionava.
Dopo quella prima volta si erano incontrati ogni giorno in cui Giulia si trovava all’istituto ed erano anche usciti insieme qualche volta.
Lui, lei e Pepe.
Però on aveva molta voglia di sembrare l’asociale che riusciva a farsi pochissimi amici, così non specificò che era riuscita a fare amicizia solo con Josh.
-E come ti sono sembrati?-
-Sono qui da troppo poco tempo per giudicare e poi, come ho detto, ho conosciuto davvero pochissimi americani. A parte voi-
-E noi come ti siamo sembrati?-
Nate era stato in silenzio troppo a lungo per il suo standard, lasciando che fosse Jack a dare voce ai suoi pensieri, ma quella domanda sentiva di doverla fare lui.
-Non sono così stupida da dirvi cosa penso di voi-
-Ti abbiamo dato un’impressione così pessima?-domandò Andrew, con la sua classica, e di certo involontaria, espressione da cucciolo.
La ragazza sorrise.
-No, anzi. È che io credo che dare giudizi, sia positivi che negativi, su una persona può solo rovinare il rapporto che si ha con questa, finendo per contare troppo, o provare troppo astio, verso di essa. Andarle poi a dire in faccia cosa pensi di lei……Mi sembra una mossa stupida, soprattutto dato che ci conosciamo da 2 giorni-
-Mi sembra una risposta molto saggia, oltre che giusta-le disse il biondo sorridendole di rimando.
-Senti, ti ricordi che ti avevo detto che avremmo avuto bisogno di te per una cosa?-le domandò Nate cambiando discorso.
La ragazza annuì.
-Allora ti va di venire a darci una mano?-
-Certo. Dove si va?-
-Al bar di Will. Dobbiamo dargli una mano a sistemare prima dell’apertura.-
 
In realtà il dobbiamo era un dovete.
Appena avevano raggiunto il locale avevano trovato il riccio del giorno prima, che si presentò come Will, come Giulia aveva già intuito, che parlottava con un altro giovane dai capelli corti e lisci castani.
Disse di chiamarsi Nathan, ma preferiva essere chiamato Nattie, anche perché se lo avessero chiamato Nate non avrebbe mai capito se chiamavano lui o Nathaniel.
Alla ragazza era venuto da ridere nello scoprire il vero nome di Nate, ma vedendo la faccia imbarazzata del giovane aveva preferito stare zitta.
Erano rimasti a parlare per un po’, poi Andrew, Jack e Nate erano scomparsi senza dire niente a nessuno.
Sembrò che l’unica a stupirsene fosse lei.
Era passato un bel po’ di tempo e ancora i tre non erano tornati.
Sapeva che era infantile, ma si sentiva abbandonata da loro, che l’avevano lasciata con i LORO amici a spostare quegli scatoloni che, fra le altre cose, quando venivano spostati, riempivano la stanza di rumore, impedendo a lei, Nattie e Will di parlare.
A quanto pareva però i 2 amici non avevano assolutamente nessun bisogno di parlare per capirsi e ciò la faceva sentire sempre più sola.
Si rese conto che, per quanto fossero stati gentili con lei e per quanto fossero stati loro a portarla lì, non era una cosa normale essere così attaccata a dei quasi semi-sconosciuti.
Forse proprio perché si erano presi cura di lei in una città che le sembrava così ostile Giulia si era attaccata così tanto a loro.
Cercò di reprimere quel senso di abbandono, ma continuava a domandarsi dove fossero e non riuscì a trattenere la curiosità.
-Dove sono Andrew, Jack e Nate?-urlò a Will per farsi sentire sopra tutto quel fracasso.
-Di spora-le gridò lui di rimando senza rispondere però a tutte le domande inespresse che si agitavano nella sua mente.
-E che stanno facendo?
Il riccio non rispose, ma fece un gesto a Nattie che subito smise di lavorare, esattamente come avevano fatto lui e la ragazza.
Appena il rumore si quietò la stanza si riempì di musica che una voce eccezionale, quasi angelica, cantava.
Le parole non si capivano bene, distorte forse dalla distanza, forse dalle pareti che separavano i tre musicisti dai tre “lavoratori”, ma da come venivano intonate dovevano essere molto importanti per il cantante.
Giulia non si pose nemmeno il dilemma di chi fosse il possessore di quella voce.
Lei era certa che potesse essere di una sola persona: Nate.
Senza nulla togliere agli altri due, la ragazza era sicura di poter sentir in quelle note intonate con così tanta passione, la nostalgia della sua famiglia, l’amore per Rachel, l’importanza che lui dava all’amicizia, la capacità di comprendere gli altri e il suo preoccuparsi per loro, la sua fiducia nel futuro, ma anche il dolore per un passato di cui non riusciva a parlare se non proprio attraverso la musica.
A quella voce subito se ne aggiunse un’altra, leggermente più bassa della prima, ma estremamente delicata.
Un senso di calore avvolse3 la ragazza.
Sembrava quasi che quella voce volesse dirle di stare tranquilla, che lei era amata e compresa.
Di certo apparteneva ad Andrew, rispecchiava esattamente il suo modo di essere.
Infine una terza, e quindi ultima, persona cominciò a cantare.
La sua voce era ancora più bassa della seconda.
Decisa e determinata, ma anche navigata, di chi nella vita ha visto e vissuto tante situazioni diverse e non sempre piacevoli.
Anche lui aveva avuto il suo carico di dolore, ma non aveva mai smesso di credere che le cose potessero migliorare e questo doveva essere successo perché quella voce trametteva un enorme carico di gioia e vitalità che poteva essere solo di Jack.
Giulia era rimasta con le mani sopra lo scatolone che stava spostando e lo sguardo fisso sul soffitto, come se riuscisse a guardare attraverso di esso e quindi potesse scorgere i tre giovani suonare e cantare allegramente.
Era completamente rapita da quella musica bellissima e dalle tre voci eccezionali mentre pensava a quanto si potesse capire di una persona anche solo ascoltandola cantare.
Era così immersa in questi pensieri che non si accorse che Will e Nattie la guardavano da un po’.
-Non li avevi mai sentiti cantare?-
La ragazza si riscosse.
-No, dopotutto ci siamo conosciuto solo ieri-
-Strano. Jack e Andrew posso anche capire, ma Nate……Lui di solito canta sempre, anche senza un motivo, anche quando non dovrebbe. Spesso quando gli fai una domanda lui ti risponde cantando!-
Giulia rimase in silenzio.
Perché se Nate cantava così spesso  non aveva cantato davanti a lei?
Eppure le occasioni non erano mancate!
Forse non si sentiva a suo agio con lei, non si fidava abbastanza.
Nattie dovette intuire ciò che le stava passando per la testa, perché lanciò un’occhiataccia a Will e le si avvicinò.
-Non gli dare retta. In realtà Nate non canta sempre e soprattutto non in qualsiasi luogo e con qualsiasi persona. Lo fa solo con quelli che conosce, quando sente di essere in un ambiente sicuro e protetto-
-Ma perché? Di cosa ha paura?-
-Del giudizio degli altri-rispose sfuggente il ragazzo con la sensazione di aver già svelato troppo.
La ragazza voleva chiedergli perché uno con una voce così bella doveva avere paura del giudizio altrui, ma non fece in tempo.
Mentre Nattie le stava parlando la porta si era aperta, facendo entrare una ragazza dai lunghi capelli mossi di un colore particolare, tra il marrone e il rosso.
-Ehi ragazzi, oggi non lavorate?-domandò la nuova arrivata vedendoli fermi immobili, intenti a parlottare tra loro.
-Stavamo facendo sentire una cosa  a Giulia-rispose Will indicandole quest’ultima.
Solo in quel momento la giovane si accorse dell’altra ragazza presente nella stanza perché lei si era fatta il più piccola possibile rintanandosi in un angolo dove era più facile sfuggire allo sguardo dell’altra.
-Emily, lei è Giulia. Giulia, Emily-le presentò brevemente Nattie.
Le due si strinsero la mano ed Emily sorrise alla ragazza per metterla più a suo agio e lei ricambiò sentendosi sempre di più una bambina.
La nuova arrivata si girò verso i suoi amici e il suo sguardo chiedeva eloquentemente spiegazioni.
In quel locale ci erano sempre entrati solo loro sei, cosa ci faceva lì quella ragazzina?
Con un gesto i due le dissero che le avrebbero spiegato dopo, quando sarebbero riamasti soli.
La musica proveniente dal piano di sopra si interruppe, sostituita dalle voci ovattate dei tre musicisti.
Tutti nella stanza tesero le orecchie per capire cosa si stessero dicendo e scese un silenzio irreale.
-C’è qualcosa che non va-mormorò Andrew.
L’unico che, per quanto preso da ciò che stava facendo, riusciva anche ad accorgersi di ciò che accadeva attorno a loro.
-A me sembra che la canzone vada benissimo invece!-ribatté Nate, pronto a difendere la loro creazione.
-Ma la canzone non c’entra niente, ascolta-ci fu qualche attimo di silenzio prima di sentire al voce di Jack.
-Io non capisco. Cosa dobbiamo sentire?-
-Zitto, idiota! Fammi sentire!-
Lo “sgridò” il cantante.
-Ehi! Idiota a me non me lo dici! Tanto meno zitto! Che sono il tuo cane?!-
-Magari! Scampers è più silenzioso e simpatico di te!-
-Tu invece hai proprio vinto il premio per mister simpatia mi hanno detto!-
-Di sicuro sono più simpatico di te, ci vuole veramente poco!-
Jack non rispose, ma si sentì il rumore di uno scappellotto.
-Ehi! Mi hai fatto male! Ma non sai rispondere a parole?!-
-Con te ne ho già sprecate troppe!-
L’altro stava per dire qualcosa, ma fu coperto dal rumore di un doppio scappellotto.
-Ehi!!-esclamarono i due litiganti all’unisono.
-La volete smettere di fare i bambini?! Nate, tu hai 31 anni e tu Jack ne ahi 29 ed entrambi vi comportate come ragazzini di tre anni. Adesso state zitti e ascoltate!-
-Ma non c’è nulla da sentire!-esclamò Jack per difendersi.
-Appunto! Non vi sembra strano^-
-In effetti si. Di solito Nattie e Will fanno un casino assurdo-ragionò Nate.
-Chissà perché si sono fermati-si domandò Jack esprimendo ad alta voce il pensiero di tutti.
-Forse dovremmo scendere a controllare-propose Andrew.
-Già, dovremmo-assentirono gli altri due.
I quattro rimasti nella stanza di sotto, che si erano sbellicati dalle risate nel sentire il litigio tra Nate e Jack, decisero allora di far loro uno scherzo.
Senza fare il minimo rumore ognuno trovò un posto dove nascondersi e attesero in silenzio che i passi che sentivano sulle scale raggiungessero il piano inferiore.
-Ma qui non c’è nessuno!-esclamò   Nate
-Ah però! Che occhio!-lo schernì Jack.
-La smetti?!-
-Di fare cosa?-
-Di fare questo!-
-Questo cosa?-
-Di prendermi in giro!-
-M aio non ti sto prendendo in giro!-
-Si che…..-
-Bambini la smettete?! Non sono ancora diventato genitore e già devo fare il padre!-
-Che cosa……Andy c’è qualcosa che devi dirci? Tu e Jill……-
-Jack ti tappi quella bocca un secondo? Voglio capire dove sono finiti Nattie, Will e Giulia che avevamo lasciato qui sotto a lavorare!-
Giulia faticò a non ridere sonoramente sentendo quel breve scambiò di battute tra i tre.
Con la coda dell’occhio vide Emily he stava cercando di attirare la sua attenzione.
Quando fu certa che la stesse guardando le fece cenno di spuntare fuori al suo tre, urlando “Buh!” per spaventarli.
Poi cominciò a contare con le dita.
Uno ……
Due…….
Tre……
-Buh!!!!-
Saltarono fuori dai loro nascondigli tutti contemporaneamente facendo prendere un infarto ai tre musicisti.
-Ma che…..Will, scommetto che questa è tutta un’idea tua!!-si arrabbiò Jack scaricando subito la colpa sul riccio che invano provò a spiegargli che quello scherzo non lo aveva ideato lui, anche se gli sarebbe piaciuto.
-Sono stata io-
Lo sguardo di tutti si puntarono sulla più piccola del gruppo.
-E io-gli occhi fiammeggianti di Jack si spostarono su Emily.
Ci fu un attimo di silenzio che venne spezzato dalla calda risata di Nate.
-La dolce Emily e la piccola Giulia. Le più insospettabili ci hanno organizzato un bello scherzetto. Devi ammetterlo Jack, sono state brave. Puntare sempre sulla semplicità. Complimenti, complimenti. Vi siete guadagnate la mia stima-
Anche il chitarrista sorrise.
-Già, sono d’accordo, ottimo scherzo, ma sappiate che on finisce qui-
Le due si guardarono complici.
Si erano divertite e non avevano minimamente pensato di far finire lì quel gioco che piaceva loro così tanto.
Andrew intercettò i loro sguardi e si mise le mani tra i capelli.
Si era formato un nuovo duo pronto a fare scherzi a destra e a manca e sapeva che ciò avrebbe scatenato una guerra tra i sei: Nattie e Will. Jack e Nate e ora anche Emily e Giulia.
Lui di certo non sarebbe riuscito a impedirlo e avrebbe perso ogni possibilità di tenerli a freno perché Emily e, ne era certo, anche Giulia non si sarebbero fatte fermare, perché le donne, si sa, on si fanno dare ordini da nessuno.
-Ehi Andy, perché non ti levi le mani dai capelli e ci aiuti a spostare questa roba? Altrimenti qui non finiremo mai se non diamo a questi tre, anzi no, 4 una mano. La canzone la possiamo finire domani, anche s e secondo me va bene così, dobbiamo solo sistemare un paio di dettagli-gli disse Nate, già intento, come tutti gli altri, a sistemare qualche pacco.
Andrew scosse la testa e fece come gli aveva detto.
Era inutile preoccuparsi, tanto non sarebbe riuscito a evitare l’inevitabile……….
 
nota:bene, erano secoli che non aggiornavo,ma ora eccomi di nuovo qui per la vostra gioia(oppure speravate cher fossi scomparsa nell'oblio?Ok forse questa è più credibile).
comunque sia sono tornata.Il mio ritmo di scrittura non è ancora velocissimo, però ci siamo.Cominciamo finalmente a capire un po' di più di questi personaggi,soprattutto di Giulia.
forse sul motivo per cui era a New York c'era tanta(troppa) aspettativa e magari qualcuno è rimasto deluso.
ebbene si, è solo per una semplice borsa di studio.
ah, a proposito!Devo darvi un anotiziona!!!Ebbene anche io ho vinto una specie di borsa di studio e vado a farmi un semestre all'estero.Non in America perchè preferisco la cara e vecchia Europa, am in Irlanda e on per tutto il tempo per cui ci starà Giulia, ma solo per un semestre però.......Non lo trovate fantastico?!!!!
ok.Il miosclero termina qua.Se avete qualcosa da dirmi(o anche s enon l'avete)fosse pure per tirarmi dei pomodori virtuali,sarei molto contenta se lasciaste una recensione(anche s egià siete stati più che bravi a leggere fino qui)

 

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Capitolo 7
*** coinquiline....... ***


Avevano lavorato tanto quel giorno, se ne rendeva conto.
E la ragazzina davanti a lui ancora di più.
Poteva accorgersene dalla sua espressione stanca e tirata, eppure felice.
Felice perché si era divertita come non faceva da tempo.
Erano rimasti solo loro due dei sette che erano stati per tutta la giornata e che avevano faticato cercando di mettere a posto quel bar.
Lei era seduta in un angolo, con le spalle attaccate al muro, gli occhi chiusi e il volto verso il soffitto.
Vederla così lo fece sorridere mentre andava verso il bancone.
Will era salito con Nate nel piccolo appartamento al piano superiore, subito dopo che Emily era andata via per raggiungere il suo ragazzo.
Andrew, sentendosi in colpa per aver lasciato la sua Jill da sola tutto il giorno era tornato a casa qualche ora prima, così come Jack che, dopo aver ricevuto un messaggio di Lena era schizzato fuori dalla porta e adesso erano rimasti solo loro.
Prese i due bicchieri che aveva riempito e raggiunse la ragazzina.
-Whisky. Mi sembra di aver capito che lo apprezzi-disse spezzando lo strano silenzio venutosi a creare e tendendole il bicchiere.
-Ma non sono troppo piccola?-lo canzonò lei senza il minimo rancore.
Lui con un gesto le fece cenno di lasciar correre.
-Tu cosa bevi?-
-Martini e Vodka. Il mio preferito. Bevo praticamente solo questo-
Sembrava che tutto fosse al rallentatore, come se fossero circondati dall’acqua che rallentava movimenti, pensieri e parole.
Il silenzio che li avvolgeva era caldo, confortevole, non di quelli che fanno sentire a disagio le persone, ma di quelli che lasciano che siano le anime a comunicare.
-Cosa c’è che non va?-le chiese Nate in un sussurro.
-Non capisco a cosa ti riferisci-
-Questa mattina c’era qualcosa che ti turbava e che a quanto pare non è ancora scomparsa dalla tua mente. Cos’è?-
-Te l’ho detto. Nulla d’importante-
-Se per te è abbastanza importante da non scomparire nemmeno dopo una giornata del genere, beh, allora È importante-
Giulia sorrise con amarezza.
-Vuoi davvero sapere una stupidaggine del genere?-
Lui annuì.
-Si tratta di Pepe, la mia migliore amica. Lei c’è sempre stata per me, era la prima a chiedermi com’era andata la giornata, a leggere i miei sguardi e anticipare quello che stavo per dire, ma ora……Questa mattina la cercavo e lei non mi rispondeva. Pensavo dormisse, invece stava parlando con i genitori su skype e aveva deciso di non rispondermi perché evidentemente quello che dovevo dirle non era abbastanza importante. Potevo aspettarmelo da Gaia che, a volte è dolce e disponibile, a volte quasi non ti rivolge la parola, ma Pepe…….Pepe non è mi stata così-
-Vedi che era importante?-
-Tu perché non canti davanti a chi non conosci bene? Perché hai paura del giudizio degli altri§?-
Nate rimase spiazzato dalla domanda.
Non se lo aspettava.
Sospirò è spostò il ciuffo che gli era caduto davanti agli occhi.
-Ho sempre voluto fare il cantante. Sempre. Non c’è stata mai altra cosa che avrei voluto fare. Un giorno feci l’errore di dirlo ai miei amici. Mi risero in faccia. «Ruess non crederai di sfondare con la voce che ti ritrovi?! Almeno sapessi suonare uno strumento, ma il massimo che suoni è il campanello!»
Inutile dire che in poche ore lo seppe tutta la scuola. Per tutta la vita sono stato circondato di persone che dicevano che non sapevo cantare, sono poche le persone che hanno sempre creduto in me e solo davanti a loro riuscivo a cantare. Poi ho imparato però……..Non voglio rischiare di sentirmi dire un’altra volta che la mia voce fa schifo-
-Ma la tua voce è eccezionale!-esclamò la ragazza poggiando, forse con un po’ troppa energia, il bicchiere per terra.
-Non tutti la pensano come te-rispose con amarezza e tranquillità.
Rimasero ancora un po’ lì, in silenzio, poi lui si alzò e le tese una mano per aiutarla a fare lo stesso.
-Si sta facendo tardi, forse sarà meglio che ti riaccompagni a casa-
-Non vedi l’ora di tornare da Rachel eh?-
Le guance di Nate si imporporarono leggermente mentre sorrideva.
Quando si trattava di Rachel sembrava tornare un ragazzino alla sua prima cotta.
-Andiamo, non vorrei darti fare tardi-disse allora Giulia ridendo, intuendo la sua risposta.
-Se vuoi torno da sola, non ti preoccupare- si sentì in dovere di aggiungere, ma questa volta fu lui a ridere.
-Non vorrei che ti perdessi di nuovo-disse facendola salire nell’auto.
-Hai ancora il mio numero vero?-aggiunse poi mettendo in moto.
Lei annuì.
Nate accese la radio, c’era una vecchia canzone di Stevie Wonder che lui cominciò a cantare prima piano, poi a voce sempre più alta, finché non si ritrovò a cantare il ritornello quasi a squarciagola.
-I just call to say I love you-
-I just call to say how much I can…..-si aggiunse lei sentendo lo sguardo del giovane puntato su di lei.
-I just call to say I looooove you…….-
Giulia fece non poca fatica a non ridere data l’espressione buffissima che Nate stava facendo probabilmente solo per farla divertire.
Tra una canone e l’altra la voce di Nate non abbandonò nemmeno per un attimo l’abitacolo.
Alcune Giulia nemmeno le conosceva, ma si ritrovava comunque ad “improvvisare” sul momento.
-Sai che dovresti fermarti? Sdiamo, anzi sono, arrivata-
Lui si fermò e lei aprì la portiera cominciando ad avviarsi verso il portone.
-Aspetta! Ti accompagno!-
-Ma perché? Mica mi rapiscono in  questi pochi piani che devo salire!-
-Lo so……-
-Però….-
-Però voglio conoscere le tue coinquiline-
-Non credo ti convenga-
-Perché no?!-
-Perché……Perché no e basta!-
-Perché no non è una risposta-
-Dai! Smettila di fare il bambino e torna da Rachel, ti starà aspettando!-
Per un attimo il giovane sembrò riflettere su ciò che lei gli aveva detto.
Stava quasi per lasciarsi convincere e correre dalla sua amata, ma poi ci ripensò.
-5 minuti in più o in meno non credo faranno la differenza-
-Sei sicuro? Io fossi in te tornerei a casa. È tardi-
Ma Nate era irremovibile.
Voleva salire e sarebbe salito.
-Va bene. Vieni-si rassegnò allora lei aprendo il portone e cominciando a salire le scale, seguita subito da lui.
Arrivata al terzo piano si fermò davanti alla porta più distante dalle scale.
Da dentro la casa proveniva della musica messa a tutto volume.
Tendendo le orecchie si potevano facilmente riconoscere le parole della canzone.
“I was out on the town so I came to your window last night…….”
Giulia sorrise imbarazzata.
È ora di cena, probabilmente staranno cucinando. Anzi che non stanno can…..-
Una voce femminile cominciò a ricalcare le note del cd e a Giulia caddero le braccia.
-Come non detto. Questa è Gaia-
Un’latra voce, un po’ più stonata si aggiunse a quella di prima.
-E questa è Pepe-
Nate rise vedendola nascondere il volto tra le mani.
-Te l’avevo detto che conoscevo la tua voce-
Lui non rispose, ma si limitò a guardare l’orologio.
-è tardi. Rachel avrà già cucinato e mi starà aspettando. Forse è meglio che torni a casa-
-Lo credo anch’io-
-Già. Allora io vado. Senti, ti va domani di venire ad aiutarci? Come oggi insomma-
-Ovvero aiutare Nattie, Will ed Emily? Per me va bene. A che ora devo venire?-
-Ti vengo a prendere io. Non mi fido a lasciarti andare in giro per New York da sola-
-M ami lascerai mai camminare per la città? Altrimenti come faccio a imparare a non perdermi?-
-Allora andiamo a piedi, ma da sola no. Non ti faccio fare passeggiate per New York senza qualcuno che ti guidi-
-Comunque non hai risposto. A che ora?-
-Ah. Si, scusa. Comunque pensavo di passare verso le 10, così mangiamo lì e finiamo prima. Tanto si sa che a una cert’ora spariscono tutti per tornare alle rispettive fidanzate. O fidanzati-rise.
-Non è che ci lasci anche tu per raggiungere il tuo ragazzo?-
-Non c’è pericolo, ti devo ricordare che sono a New York solo da poco più di 3 settimane?-
-Sai che questa non è una motivazione?-
-Secondo me si, invece. Come posso avere un ragazzo se non conosco nessuno?-
-Ma non avevi detto che……-
-Nate, vai a casa. Rachel ti aspetta-
-Allora buonanotte ragazzina-disse scompigliandole i capelli, poi corse giù per la scale, sentendo l’urgenza di buttarsi tra le braccia della sua amata.
-E buon appetito-urlò dal piano terra.
-Anche a te-gridò lei di rimando .
Sorrise.
Era curiosa di conoscere questa Rachel che faceva un così buffo effetto su Nate, ma chissà se lui gliel’avrebbe mai presentata.
Dopotutto si conoscevano da due giorni, ma lei stava talmente bene con lui e con gli altri che lo dimenticava fin troppo spesso.
Con loro si sentiva a casa, malgrado casa sua a migliaia di km di distanza.
Bussò alla porta, ma la porta era troppo alta.
Suonò il campanello, ma ancora una volta non la sentirono.
Così continuò a suonare il campanello finché non se ne accorsero.
Gaia spalancò la porta con un enorme sorriso.
-Finalmente sei tornata!-
In effetti era leggermente in ritardo, ma la sua coinquilina non sembrava minimamente infastidita.
-Devo supporre che oggi con Jeremy sia andata bene-rispose Giulia ridendo mentre entrava in casa.
-Più che bene!-
Gaia stava per raccontarle tutto quando Pepe le interruppe saltando addosso alla nuova arrivata.
-Ma dove eri sparita tutto il giorno? Ti ho cercato ma l’unica cosa che ho trovato è stato il tuo bigliettino e non è che desse molte spiegazioni. Dato che non tornavi stavo cominciando a pensare che ti avessero rapito gli alieni-
-Si infatti, dove sei stata?-si aggiunse l’altra.
-Con degli amici-
Voleva essere il più vaga possibile.
Per una volta voleva degli amici che fossero solo suoi e che preferissero lei alle sue coinquiline, ma non era certa che, una volta conosciute Gaia e Pepe, l’avrebbero ancora considerata speciale.
-Ma tu non hai amici-rispose Gaia con semplicità.
-Grazie per la fiducia!-borbottò Giulia.
-Mi dispiace deluderti, ma sono riuscita a farmi degli amici-
-C’entra la busta con la lettera di stamattina?-
-Si. Direi di si-
-Ma cosa c’era nella busta?-
-I miei vestiti-
-Busta? Lettera? Vestiti? Giulia, mi devi dire qualcosa?-le chiese Pepe con fare inquisitorio.
-Volevo dirtelo stamattina. Ti ho chiamato ma non rispondevi-
-Magari dormivo-provò a difendersi la ragazza.
-Ma se sentivo la tua voce! Puoi dirmi che stavi parlando con i tuoi, mica ti mangio! Basta che non credi che io sia così stupida da non accorgermene-
-Si, ma io vorrei sapere perché i tuoi vestiti erano in una busta posta sulla nostra porta di casa da uno o più sconosciuti e cosa c’era scritto nella lettera-le interruppe la più grande, pretendendo che la sua curiosità fosse soddisfatta.
-se lo dici così sembra quasi che io abbia fatto qualcosa di male o che loro siano dei serial killer. E poi sono sconosciuti per voi, mica per me!-
-Ok, ma non hai risposto-
-Sono semplicemente caduta mentre andavo in bici ieri.. Poi ha cominciato a piovere, così i miei vestiti, oltre ad essere distrutti erano anche fradici. Loro mi hanno dato una mano a sistemare la bici, anzi me l’hanno aggiustata loro, mi hanno prestato dei loro vestiti e poi uno di loro mi ha riaccompagnata a casa-
-è per caso il Nate che ti ha scritto la lettera?-domandò ancora l’altra incuriosita.
Giulia soffocò una risata.
-Si, mi ha riaccompagnato lui ed a venirmi a prendere stamattina per andare a pranzo è stato sempre Nate-
-Che bel nome. Ho sempre pensato che fosse un nome bellissimo- disse Gaia con occhi sognanti.
-Solo perché è il nome del cantante dei fun.!-intervenne Pepe, che fino ad allora era stata zitta.
-beh, ti pare poco?!Insomma lo hai visto?!-
-In effetti…….-
Giulia rideva silenziosamente guardando le sue amiche sbavare per un tipo che in fondo non avevano mai incontrato.
Chissà se avrebbe dovuto dir loro che lo conosceva e che, anzi, era proprio lo stesso Nate che aveva lasciato quel pacco davanti alla loro porta.
-Sai che abita qui vicino?-disse Gaia a Pepe
-Davvero?! Allora se abbiamo fortuna potremmo incontrarlo!-
No.
Assolutamente non doveva dirglielo.
L’entusiasmo con cui ne parlavano le fece capire che, per la sicurezza di lui, era meglio che non si incontrassero mai.
Di certo quando avrebbero scoperto che erano amici l’avrebbero odiata, ma per ora voleva proteggerlo da quelle due pazze con cui condivideva l’appartamento, anche se forse il vero motivo non era proprio quello.
O almeno non solo.
-M aera stesso tipo con cui parlavi fuori dalla porta?-
Giulia annuì.
-E di cosa stavate parlando?-
-Niente di importante-
Gaia non sembrava convinta.
-Perché allora ti ha accompagnata fin sulla porta di casa?-
-Non lo so-mentì lei.
-Non è che magari gli piaci?-
Questa volta la ragazza non riuscì a trattenere una risata.
-Oh no, no, no non è possibile!-
-E perché?-
-Se lo conoscessi te ne accorgeresti da sola!-
-Allora vuol dire che la prossima volta che ti accompagnerà fin quassù lo farai entrare-
-Ok-accettò lei con tranquillità, tanto Nate non sarebbe più andato oltre il portone che dava sulla strada.
-Scusa, ma……Non vi eravate accorte che aveva degli latri vestiti ieri? E poi come fai a sapere che la lettera l’ha scritta Nate?-
-Diciamo che non abbiamo fatto molto caso a come sei tornata a casa. Tanto ti vesti sempre da maschio, quindi……e poi il nome era scritto in un angolo della busta. Tranquilla, non ho letto quello che ti ha scritto-le rispose con un sorriso furbesco che la fece sorridere.
Gaia era fissata che lei piacesse a Nate, ma se solo avesse saputo la verità…….
-Piuttosto raccontami di com’è andata con Jeremy-le chiese Giulia per cambiare discorso temendo di rivelare qualcosa che non doveva.
-Si, dai raccontaci, dato che hai detto che non avresti detto nulla finché non fosse tornata Giulia perché non volevi raccontare la stessa cosa due volte. Ma ora Giulia è tornata……..-aggiunse Pepe.
-Ok, però prima finiamo di apparecchiare che è pronto-
Giulia e Pepe si misero a preparare la tavola mentre Gaia scolava la pasta.
-Mi dispiace per questa mattina-sussurrò Pepe in modo che solo l’amica potesse udirla.
Lei scosse la testa.
-Non importa, ti capisco, solo……..Quando ti chiamo rispondimi! Avrei lasciato stare dato che stavi parlando con i tuoi genitori o comunque li avrei salutati-
-Non volevo ignorarti-provò a giustificarsi lei.
-Ma l’hai fatto-
Per Giulia quella conversazione era finita lì.
Dopotutto che altro avrebbero potuto dirsi?
Così portò i piatti a Gaia e l’aiutò a impiattare.
Il disco era finito, ma loro non erano abituate a mangiare in silenzio, così fu il turno dell’Ipod di Giulia di far suonare le loro canzoni preferite, che loro avevano accuratamente selezionato e inserito in quella playlist, ma ad un volume decisamente più basso, così da poter parlare senza dover urlare per sovrastare la musica.
-Allora dai! Dicci com’è andata con Jeremy!-
Pepe non avrebbe lasciato in pace Gaia finché lei non avesse raccontato tutto nei minimi dettagli, ma la più grande si divertiva a torturarla, così fece un sorriso strano che fece capire a Giulia che fra le due sarebbe scoppiata una piccola lotta e sapeva già chi avrebbe vinto…….
-Bene-rispose laconicamente la maggiore.
-Potresti dirci qualcosa di più?-
-Si-
Ci fu un momento di silenzio.
Pepe si aspettava una risposta un po’ più dettagliata.
-Allora?-
-Allora cosa?-
-Ci vuoi raccontare com’è andata?!-
-Si-
Pepe si stava esasperando e Gaia, come Giulia d’altronde, tratteneva a stento una risata.
-Allora perché non lo fai?!-
-Perché mi diverto troppo a vederti diventare isterica-
Pepe sbuffò e la più grande le sorrise.
-Fatti dare un consiglio biondina. Più tu fai vedere che ti interessa e reagisci in questa maniera, più io, e come me gli altri, aspetteranno a dirti le cose, giusto per il gusto di farti impazzire. Dovresti imparare a fare finta che no ti interessi-
-Ma non ci riesco!!-
Giulia rise sommessamente.
La sua amica sembrava una bambina di tre anni.
-Ok, ci siamo divertite abbastanza a torturare questa scema. Ora però saresti così gentile da raccontarci la tua giornata con il tuo fidanzato? No scusa, è vero, non siete fidanzati. Vi state “FREQUENTANDO ”-intervenne infine curiosa anche lei come la bionda.
-Non ti scusare, adesso puoi dirlo. Siamo fidanzati!-disse la più grande con un enorme sorriso.
-Uh! Davvero?!-esclamò giulia, stupita.
L’ultima volta che ne avevano parlato Gaia non sembrava molto interessata a trasformare il suo “frequentarsi” con Jeremy in una relazione seria.
-Davvero?! Davvero, Davvero?! Che bello!!-le fece eco Pepe battendo le mani come una bambina piccola e facendo ridere le altre 2.
-Adesso pretendiamo il racconto però!-
-L’avevo già messo in conto. Orami vi conosco-
Malgrado convivessero da nemmeno un mese in realtà si conoscevano da di più, nonostante Gaia fosse originaria di un paesino nei dintorni di Torino e loro abitassero in un quartiere periferico di Roma.
Il loro primo incontro era avvenuto più di un anno prima in un giorno in cui il sole spaccava le pietre, sedute sull’asfalto di una strada a Verona insieme a miliardi di altre persone, aspettando l’apertura dei cancelli che sarebbe avvenuta parecchie ore più tardi.
«Mi passi l’acqua Pepe?»
«Non posso»
«Perché?»
«Perché è finita»
«Com’è possibile?»
«Sai com’è…….Beve una, beve l’altra e l’acqua finisce»
«Non abbiamo bevuto mica così tanto! Toglimi una curiosità…….Quanta acqua hai portato?»
«Una bottiglietta, perché?»
Giulia si era sbattuta una mano sulla fronte con aria sconsolata.
«Pepe, non puoi aver davvero portato una sola bottiglietta quando dobbiamo stare ore sotto questo solleone e dobbiamo bere in due!»
«Ops» si era limitata a rispondere la bionda ridendo.
Alla sua risata se ne era aggiunta un’altra, a loro sconosciuta.
Si era girata verso il punto da cui proveniva e avevano incontrato lo sguardo di una ragazza dai neri capelli leggermente mossi e con due grandi occhi scuri in cui Giulia riusciva a vedere il suo riflesso.
«Primo concerto?» aveva chiesto con semplicità porgendo loro una bottiglietta d’acqua fresca.
«Prima “fuori casa”» aveva risposto Pepe scuotendo la testa.
«Ah, di dove siete?»
«Roma»
«Allora si spiega tutto. Lì fanno un sacco di concerti!»
La ragazza sembrava entusiasta, poi le aveva guardate interrogativamente.
«Ma mi sembra che lui la faccia una tappa a Roma. Come mai non siete andate al concerto che farà lì»
«Perché per lui cantare all’arena è un po’ un sogno e mi piacerebbe poter vedere la sua faccia mentre lo realizza»
«E più semplicemente perché quel giorno non potremmo esserci»
Giulia aveva un animo abbastanza poetico, ma Pepe tendeva sempre a rovinare tutto.
Come quella volta.
«Ma tu devi sempre rovinare tutto?»
«Ehi, ho detto solo la verità!»
«Anche io ho detto la verità!»
«Diciamo che è stata più la “mia” verità a costringerci a vederlo a Verona invece che comode-comode a Roma»
«Per te sarà così, per me……»
Ancora una volta erano state interrotte dalla risata cristallina della ragazza.
«Sapete che siete davvero buffe?»
«Immagino» aveva sbuffato non poco irritata Giulia facendo ridere anche Pepe.
«Non te la prendere per così poco! Siamo semplicemente mosse da motivazioni diverse»
Lei aveva mugugnato qualcosa in risposta ed era tornata a guadare la ragazza davanti a lei che non poteva non considerare bellissima.
Alta, ma non troppo, magra, con le curve tutte al posto giusto e un sorriso abbagliante.
La sua bellezza era evidente anche se era seduta per terra in mezzo ad una strada con una maglietta molto più larga del necessario e i jeans più comodi che aveva.
«Comunque io sono Gaia» aveva detto quella porgendo loro la mano che entrambe avevano prontamente stretto.
«Io sono Pepe e lei è Giulia» le aveva risposto sorridendo la bionda.
«Pepe? Che strano nome!»
«Non è il mio vero nome, è il soprannome che mi ha dato questa qui» le aveva spiegato indicando l’amica.
«Ma tanto tutti finiscono per chiamarmi così, quindi è inutile che mi presenti con il mio nome vero che nemmeno mi piace. Ma se vuoi te lo dico»
«Non ti preoccupare, Pepe andrà benissimo. Se tu SEI Pepe, perché chiamarti con un altro nome che nemmeno ti piace?»
Quel concerto era stato l’inizio di una bella amicizia.
Erano sempre rimaste in contatto da allora ed erano riuscite a incontrarsi anche abbastanza spesso prima che Gaia vincesse la borsa di studio e si trasferisse a New York.
Era stato un puro caso che qualche mese dopo anche loro due avessero vinto una borsa di studio simile proprio nella stessa città e Gaia era stata ben felice di cercare un appartamento in cui vivere con loro, abbandonando quella minuscola stanzetta in cui era stata fino ad allora per mancanza di soldi.
-Allora da, racconta-
Giulia incitò Gaia, oramai si era fatta pregare fin troppo e non poteva lasciarle sulle spine ancora.
-Niente di speciale. Non so perché vi immaginate sempre molto di più di ciò che realmente accade. Siamo usciti e mentre stavamo camminando mi ha chiesto cosa fossimo noi due. Io li per lì non ho capito a cosa si stesse riferendo Al che lui mi ha detto che voleva una storia seria e che, se i nostri baci non potevano essere inquadrati in una vera relazione, allora preferiva non avere nemmeno quelli perché non voleva illudersi, non voleva essere preso in giro-
-E tu cosa gli ha i risposto?-
Era sempre Pepe a incalzare le persone quando raccontavano, anche se sapeva perfettamente che rallentava solo il racconto.
-E cosa potevo rispondergli? Gli ho detto che non potrei mai prenderlo in giro perché lui è troppo importante per me per giocare con i suoi sentimenti e che quindi se era una storia seria quella che voleva, la volevo anch’io-
-E poi?-
-E poi cosa? Abbiamo continuato la nostra uscita come due bravi neofidanzatini quali siamo e mi ha riportato a casa in tempo per preparare la cena a voi due debosciate-
-Insomma qui tutti hanno avuto una giornata bella e divertente tranne me!-
-Mica ti potevo portare con me!-ribatte Gaia.
-Tu no, ma Giulia si. Tanto è andata solo con degli “amici”-
-Guarda che sei tu che non rispondi quando ti chiamano!-
-Ok, la prossima volta allora risponderò e tu sarai costretta a portarmi con te!-
-mmmmm Vedremo-
-Ok, adesso basta chiacchiere. Jeremy mi ha prestato un DVD…….Indovinate qual è?-le stuzzicò Gaia inserendo un disco nel videoregistratore.
-The Avengers!!!-strillò Pepe impazzita saltando subito sul divano.
Adorava follemente i supereroi.
-Già-rispose la più grande ridendo e sedendosi anche lei insieme a Giulia.
.-Silenzio! Inizia il film!-le sgridò Pepe correndo a spegnere tutte le luci prima che apparissero i primi fotogrammi.
A Giulia piaceva quell’atmosfera familiare.
Quei momenti in cui erano tutte lì, felici.
Quell'intimità che si era creata tra di loro.
In quei momenti le sembrava quasi di essere a casa.
 

nota.Ci ho messo comunque un secolo ad aggiornare,ma finalmente,malgrado le disavventure legate al quaderno sui cui scrivo,ce l'ho fatta.
A questo punto mi sento in dovere di ringraziare chiunque legga makgardo i miaia tempi biblici,o adirittura mette tra le seguite/preferite/riconrdate e ancor di più chi recensisce.
Un ringarziamento speciale va alla cara Mon per tutte le boiate dette(anzi scritte)da me che ha pazientemente sopportato
 

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Capitolo 8
*** new day at work ***


 Il giorno dopo Nate si presentò sotto casa sua più o meno verso le 10, come promesso.
Lei lo stava già aspettando seduta sui gradini dell’ingresso leggendo un libro che, appena vide arrivare il giovane, nascose velocemente nella borsa a tracolla che si era portata.
-potevi aspettarmi anche nel tuo appartamento. Ti avrei citofonato quando fossi arrivato.-
-Si, e cosa avresti risposto a quelle pazze scatenate delle mie coinquiline? “Ehi sono Nate, avete presente il cantante dei fun.? Sono venuto a prendere Giulia, le potete dire di scendere?”?-
-Ok, no, forse citofonare non sarebbe stata una buona idea, ma avrei potuto farti uno squillo-
-Avresti potuto se avessi avuto il mio numero. Come pensi di riuscire a chiamarmi senza?-
-In effetti questo sarebbe potuto essere un problema. Un problema a cui intendo rimediare subito-disse sorridendo mentre tirava fuori il suo cellulare.
-Allora?-la incitò quando vide che lei non reagiva.
-Allora cosa?-
-Il tuo numero. Me lo vuoi dare o no?-
-E se non volessi?-
-Ti costringerei. Con le buone o con le cattive avrò il tuo numero ragazzina-rispose lui con uno sguardo che non presagiva nulla di buono.
-E quali sarebbero le cattive?-lo sfidò lei
-Vuoi davvero saperlo?-
Lei non rispose ma si limitò ad annuire.
-Come vuoi-concluse lui agitando le mani davanti alla faccia della ragazza.
-Sarebbero queste?-
- No, no. Ti piacerebbe-
-E allora cos……-
Ma non fece in tempo a finire la frase che lui abbassò fulmineamente le mani verso la sua pancia e cominciò a farle il solletico.
-Dammi il tuo numero!-le intimò lui fingendosi il cattivo della situazione.
-No, mai!-rispose lei fingendosi indignata, da brava eroina delle fiabe.
Per un po’ lei rise cercando di divincolarsi.
Di certo non si sarebbe arresa ,non era nel suo stile, nemmeno per cose così stupide.
Così si concentrò intensamente, smettendo di pensare a ciò che c’era attorno a lei.
Magicamente le sembrò di essere in un altro posto e la vaga sensazione delle dite di Nate erano diventate il ramo di un albero che, ondeggiando a causa del vento, le sfiorava la pelle.
Era una specie di gioco che aveva scoperto quando era bambina e che non aveva mai smesso di fare.
Un modo per costruirsi un mondo tutto suo quando quello in cui stava non le piaceva e c’era stato un periodo della sua vita in cui in realtà era più il tempo che passava in mondi che appartenevano a lei sola che in quella che tutti chiamavano realtà.
Il mondo che aveva creato per se stessa le piaceva così tanto che non si rese conto che Nate aveva smesso di farle il solletico per guardarla con sguardo preoccupato.
-Ehi ragazzina, va tutto bene?-
Lei si riscosse e si rese conto che, come al solito, quel suo gioco era andato ancora una volta troppo in là.
Ogni tanto si chiedeva se, a furia di scappare in un altro mondo di cui solo lei era a conoscenza, un giorno non fosse più stata in grado di tornare indietro.
-Certo, volevo solo dimostrarti che se voglio posso anche non soffrire il tuo sciocco solletico-
-Sei sicura? Sembravi, sembravi……..semplicemente sembrava che non fossi più qui. Mi hai fatto preoccupare-
-Per una sciocchezza del genere? Sei davvero suscettibile caro Ruess.-
-Ok, ma ora mi vuoi dare il tuo numero?-
-E va bene, ma solo perché voglio muovermi da qui. Non è sicuro rimanere sotto la finestra di alcune delle tue fans più incallite, se non LE più incallite!-disse Giulia indicando una finestra da cui erano perfettamente visibili.
Lui rise e lei lo seguì cercando contemporaneamente di dettare quelle stramaledette cifre che continuava a non riuscire a ricordare a memoria.
Appena lui ebbe finito di digitare il numero sulla tastiera e lo ebbe salvato cominciarono a camminare in silenzio.
A Giulia piaceva quando poteva stare con una persona senza che nessuno parlasse e senza che si creasse però un silenzio imbarazzante così si godette quei momenti in cui Nate non accennava ad aprire bocca perché qualcosa le diceva che non sarebbe durato ancora per molto.
Qualche istante dopo infatti sembrò che la pazienza del giovane si fosse esaurita e che lui si fosse stancato di aspettare che fosse lei a dire qualcosa per prima.
-Allora ragazzina, che mi racconti?-
-Nate ci siamo visti ieri sera, cosa può essere successo in una serata?-
-Tante cosa possono succedere in una sola serata, non ti preoccupare, magari quando sarai più grande te ne accorgerai-
-Ancora con questa storia che sono piccola?!-
-Ragazzina, se c’è una cosa che devi capire è che non potrò mai considerarti grande. Saranno tutti gli anni di differenza che ci sono tra me e te, ma potresti essere mia nipote o che so io. Se fossi stato un ragazzo precoce avresti quasi potuto essere mia figlia, quindi come puoi pretendere che io ti consideri grande?-
-Perché, che tu lo voglia ammettere o no, io non sono più una bambina e dato che non mi hai nemmeno conosciuto quando ero una bambina apprezzerei vivamente che tu potessi trattarmi per l’età che ho e non per gli anni differenza che ci sono tra di noi-
-Sai che certe volte mi inquieti?-
-Perché?-
-Tu parli in maniera così adulta ogni tanto che mi spaventi, insomma, io alla tua età non avevo altro che la musica per la testa-
-Perché è cambiato qualcosa?-
Lui sorrise.
-No, la musica rimane sempre il mio primo pensiero, ma ci sono mille altre cose che riempiono la mia vita ora, in più all’epoca non avevo la più pallida idea di cosa fare della mia vita. Sapevo che volevo fare della musica il mio lavoro ma non sapevo nemmeno come. Tu sembri così decisa su ciò che farai della tua vita, il fatto che stai qui ne è la prova.-
-Nate, ogni tanto ciò che sembra non è ciò che è-
-Cosa intendi?-
-Oh, guarda! Siamo arrivati!-disse lei indicando l’edificio in cui era situato il bar che era la loro destinazione finale. Nate lasciò perdere la domanda a cui non aveva avuto risposta.
Lei non aveva voglia di parlarne evidentemente, o almeno non ora, ma lui sentiva che se le avesse dato del tempo lei le avrebbe dato tutte le risposte che voleva senza che lui dovesse nemmeno chiedere.
La ragazzina era corsa ad aprire la porta mentre lui era rimasto indietro, sovrappensiero, così si affrettò a raggiungerla.
Tutti gli altri erano già lì, persino Jack che di solito era l’ultimo ad arrivare..
-Benvenuto ritardatario!-lo salutò l’amico.
-Ehi, guarda che non sono in ritardo. Non è che se tu per una volta arrivi in anticipo allora chi arriva in orario diventa un ritardatario!-
-Se la vuoi mettere così……..-
-Perché invece di iniziare a battibeccare come vostro solito non cominciate a fare qualcosa di utile?-li sgridò Emily che, con Giulia, si era già messa a spostare scatoloni.
Andrew le lanciò uno sguardo di ringraziamento.
Di solito era sempre lui a dovere riportare all’ordine i due, ma spesso e volentieri e lui non davano retta mentre Emily riusciva a farsi rispettare di più.
“è solo perché avendo molta esperienza con i bambini, soprattutto quelli fastidiosi, ho imparato a farmi rispettare” gli aveva detto lei una volta.
Andrew aveva solo un fratello minore, ma era sempre stato un tipo calmo, come lui, una caratteristica della famiglia Dost diceva qualcuno.
Lui sapeva soltanto che malgrado si togliessero parecchi anni, lui e suo fratello erano sempre andati d’accordo e non c’era mai stato bisogno di insegnargli a rispettare il maggiore.
Appena Emily diede loro le spalle per tornare al suo lavoro Nate e Jack si sbizzarrirono a fare una serie di smorfie che fece sfuggire una risata trattenuta a Giulia.
-Guarda che vi vedo!-disse la giovane chitarrista con una calma invidiabile.
-Non è possibile, non hai gli occhi sulla schiena!-rispose prontamente Jack.
-Chi te lo dice?-
-Sei un alieno Em?-
-Forse…….-
-Oh mio Dio Emily è un alieno!!!!-gridò Nate.
-Scappiamo, potrebbe ferirci!!-lo seguì subito Jack cominciando a correre insieme a lui per la stanza.
-Come potrei ferirvi, sentiamo. Attaccandovi un po’ di voglia di lavorare?-
-Ci stai dando degli scansafatiche?-domandarono contemporaneamente, offesi.
-Io mi limito ad osservare-
-Allora osserva questo!- borbottò Jack cominciando a smanettare con gli scatoloni che invadevano la stanza. Il cantante lo imitò subito.
-Nessuno può dirci di essere degli scansafatiche!!-
-Guarda com’è facile far fare loro quello che vuoi. Basta sapere da che parte prenderli-Emily bisbigliò a Giulia in un orecchio, facendo molta attenzione a non farsi sentire.
la ragazzina sorrise, per essere stata la ragazza più sfortunata che avesse mai conosciuto, era stato decisamente un bel colpo di fortuna cadere dalla bici.
Le ore con quel gruppo di pazzi scorrevano così velocemente, con Nattie e Will che, nel loro angolo, passavano dal bisbigliarsi cose nell’orecchio a cantare canzoni senza senso a squarciagola, Nate e Jack sempre persi nei loro battibecchi infiniti e Andrew che si era scoperto essere molto meno serio di quanto Giulia fosse mai stata disposta ad immaginare ed Emily……
Emily era così simpatica e gentile con lei che la ragazzina si era ritrovata ad adorarla quasi senza accorgersene.
La chitarrista dal suo canto sembrava contenta di averla sempre attorno, forse perché dopotutto loro erano le più piccole della compagnia, forse perché erano le uniche femmine, fatto sta che le due sembravano andare davvero d’accordo..
-Adesso pretendo una pausa-esordì Nate con il tono drammatico di chi a lavorato ore e ore di seguito senza poter nemmeno bere un bicchiere d’acqua.
-Sempre così melodrammatico, Ruess! Quand’è che imparerai a lavorare senza lamentarti?-
-Ho fame Em, dopo aver messo qualcosa sotto i denti posso lavorare quanto ti pare, ma direi che tutti hanno bisogno di un po’ di cibo no?-
-Non è ancora ora di pranzo, quando lo sarà potrai mangiare quanto ti pare non ti preoccupare-
-Em, sai quanto odio contraddirti, ma sono quasi le due, direi che una pausa pranzo ci starebbe-le corresse Nattie.
I due sembravano essere migliori amici, quindi se Nattie era disposto a contraddirla voleva dire che tutti nella stanza stavano morendo di fame.
-Ok, vada per la pausa pranzo allora, ma dopo si ritorna a lavorare senza storie-
-Agli ordini capo-dissero in contemporanea Jack e Nate imitando il saluto militare.
Tutti risero, anche Emily, dopotutto quando volevano quei due sapevano essere irresistibili.
-Dove si va a mangiare?-domandò la ragazza dando voce a ciò che anche Giulia si era chiesta, dopotutto non si era portata nemmeno un panino.
-Niente ristornati, fast food o panini fatti in casa oggi-le rispose Will-Vi ho cucinato qualcosa di speciale dato che ora ho finalmente una cucina nel mio appartamento-
-Non ho ti ho mai visto cucinare, devo preoccuparmi?-
Will non rispose ma li guidò semplicemente nell’appartamento le cui scale per arrivarci erano nascoste in quella specie di sgabuzzino.
-Emily spaventata, questa me la segno sul calendario- Giulia sentì Nate bisbigliare a Jack in un orecchio e come il chitarrista una risata silenziosa le venne spontanea.
L’appartamento nascosto era decisamente molto più grande di quanto l’italiana si fosse mai aspettata e mille volte più luminoso.
L’enorme finestra che era sul tetto illuminava la stanza come se fosse sprovvista di un tetto e faceva si che il dolce sole di maggio le accarezzasse la pelle .
Un tavolino in legno era situato davanti ad un grande divano su cui Nattie, Jack e Nate si erano seduti prima che il padrone di casa potesse invitarli a farlo.
Andrew si sedette vicino a loro e Emily lo seguì, mentre Giulia prese una poltrona poco distante e, dopo averla avvicinata al tavolino, ci si sedette.
Dopo aver portato piatti pieni di cibo e bottiglie di varie bevande, Will prese l’altra poltrona e si sedette vicino alla ragazzina.
-Nattie, un uccellino mi ha detto che qualcuno è venuto a trovarti-disse il cantante con tono malizioso cominciando ad attaccare il cibo.
Nattie quasi si strozzò con il boccone che aveva già messo in bocca e si voltò verso Emily seduta affianco a lui che prontamente evitò di incrociare i suoi occhi.
-E per caso questo uccellino ha i capelli quasi color rame?-chiese con tono di rimprovero senza spostare lo sguardo dall’amica.
-Diciamo che l’uccellino ha avuto i capelli di diverso colore e non riesco a ricordare di che colore erano quando mi ha dato la notizia-
-Giusto per sapere Nate, ma da quanto lo sai?-
-Diciamo abbastanza da aver capito che la situazione sta diventando definitiva-
-Certo che abbiamo un uccellino davvero chiacchierone tra noi-borbottò il più giovane arrabbiato.
-Dai Nattie, non te la prendere, è una buona notizia d'altronde no?-
-Si, ma proprio per questo avrei voluto dirvelo io. Io ho sempre mantenuto i tuoi segreti Em-si rivolse poi a lei direttamente.
-Em non ha segret.-disse Andrew senza nemmeno pensare per un secondo che la ragazza potesse aver tenuto qualcosa per se stessa, ma fu costretto a ricredersi quando vide il suo sguardo colpevole.
-Aspetta……Em, cosa ci sai nascondendo?-
Lei non disse nulla così le teste di tutti si girarono verso Nattie.
-Spiacente ragazzi, ma io non svelo i segreti altrui-
-Suppongo che dovremmo aspettare che tu ti senta pronta a dirci qualsiasi cosa sia che ora nonci vuoi dire-disse Nate.
-Questa è forse la prima cosa ragionevole che ti sento dire-approvò Giulia, parlando per la prima volta dopo ore.
-Ehi ragazzina, vedi di prenderti poche confidenze, dopotutto ci conosciamo da pochi giorni e tu non hai la più pallida idea di come sono fatto-le rispose Nate con voce scherzosa, me sembrò avere un effetto completamente diverso sulla ragazzina che si rabbuiò e cercò di farsi più piccola possibile, portandosi le gambe al petto.
-Scusa- borbottò a voce così bassa che a il cantante fece fatica a capire cose stesse dicendo. L’unica cosa chiara era che aveva fatto un altro errore nel cercare di farla sentire a casa.
-Voglio farti sentire una cosa-esordì subito dopo e, sperando che fosse una soluzione decente alla scemenza che aveva appena fatto, cominciò a cantare una canzone che lei non  aveva mai sentito.
-Nate, non abbiamo ancora finito di lavorare a quel pezzo!-lo sgridò Jack.
-Lo so, ma magari Giulia poteva dirci cosa ne pensava-
Il chitarrista sbuffò.
-Non ti puoi accontentare dell’opinione di Rachel?-
-Io……Non….Non l’ho ancora fatta sentire a Rachel-
L’espressione di Jack si rabbuiò subito.
-Io la trovo fantastica-esclamò la ragazzina, non avendo minimamente capito cosa stesse succedendo.
-Anch’io la trovo molto bella-aggiunse Emily, ansiosa di eliminare quella tensione che si era venuta a creare per colpa di Giulia ma per motivi che lei non poteva capire.
-Già, sta venendo bene ma dobbiamo ancora lavorarci-borbottò Jack, poco propenso a lasciar correre.
-Forse allora è meglio che voi continuiate a lavorare sui nuovi pezzi mentre noi finiamo di sistemare di sotto ok?-
I tre musicisti annuirono e gli altri tre si fiondarono subito al piano di sotto.
Nemmeno fecero in tempo a lasciare la stanza che Jack e Nate cominciarono a discutere a proposito di qualcosa che loro non potevano capire dato che i due avevano mantenuto un tono di voce abbastanza bassi da non far capire nemmeno una parola di ciò che si stavano dicendo.
-Emily?-la chiamo la ragazzina.
-Si?-
-Ho detto qualcosa di sbagliato?-
-No, perché lo pensi-
-Jack sembrava arrabbiato con me-
-Dev’essere stata una tua impressione-
-Allora perché stanno litigando?-
-Li hai visti anche tu. Loro battibeccano sempre-
-Ma questa volta sembrava qualcosa di più serio-
-Non li hai mai visti litigare per qualcosa di serio-
-Tu si?-
-Spera solo che non li vedrai mai litigare ok ragazzina?-
Lei annuì e ricominciò a lavorare sperando che il silenzio fosse presto riempito da quella musica così bella che solo loro sembravano saper produrre.
Le prime note arrivarono poco dopo, seguite dalle prime risate.
Giulia non avrebbe saputo dire chi dei tre stesse ridendo, ma si sentì comunque sollevata.
Ancora più sollevata quando vide i tre scendere le scale ore dopo ridendo e scherzando tra di loro.
Le parole di Emily non l’avevano completamente convinta sul fatto che Nate e Jack non stessero litigando, ma vedendoli in quel momento, nulla poteva essere più distante da loro di un litigio.
-Credo sia ora di tornare a casa-esordì Andrew
-Devo finire di sistemare questo scatolone e poi vado-
-Puoi finire domani, non c’è bisogno di finire oggi-
-Questo è l’ultimo per oggi, giuro-
-Non ti preoccupare Will, resto io con lei, tanto ho le chiavi per chiudere. Tu puoi andare a bare qualcosa con Nattie nel frattempo-si offrì Nate.
La ragazzina non sarebbe potuta essere più felice. Adorava stare con tutti quanti, ma il tempo che passava con il cantante era qualcosa di speciale.
Lui sembrava capirla senza nemmeno provarci.
-Se la metti così suppongo che noi faremmo meglio a lasciarvi qui-disse Jack con un tono tagliente mentre tutti si incamminavano fuori dalla porta.
-Cercate solo di non fare tardi-
-è solo uno scatolone Jack-
-Solo uno scatolone-bisbigliò probabilmente più a se stesso che agli altri due.
Appena tutti furono usciti Nate si riempi un bicchiere di Martini e vodka e si sedette su uno sgabello mentre Giulia continuava a svuotare lo scatolone.
-Perché Jack mi odia?-domandò la ragazza senza smettere di lavorare.
-Perché credi che ti odi?-
-Il suo sguardo…..Sembrava che avesse preferito non avermi mai incontrato-
-Non ti fidare degli sguardi di Jack. Ti ho mai raccontato la prima volta che gli feci un regalo?
Era il suo compleanno, il primo che passavamo insieme, dopotutto eravamo membri della stessa band e anche cognati. I genitori mi avevano invitato ad una cena di famiglia e io gli avevo comprato un nuovo pedale per la chitarra, uno dei migliori in circolazione.
Quando Jack aprì il regalo fece una smorfia che mi sembrò di disgusto e nemmeno mi ringraziò.
Gli feci notare che un grazie non gli sarebbe costato nulla e che mi ero impegnato a trovare quel pedale quindi sarebbe stato carino che avesse apprezzato almeno lo sforzo.
Inutile dire che cominciammo a discutere animatamente finchè lui non sbottò dicendo che se io gli avessi dato il tempo di parlare mi avrebbe detto che quello era uno dei regali migliori che aveva ricevuto.
Io rimasi allibito mentre Rachel e i suoi genitori scoppiarono a ridere.
Ovviamente cercai di giustificarmi spiegando perché avevo reagito così male, al che Rachel rise ancora di più «Quello è lo sguardo che Jack fa quando qualcosa gli piace davvero!»
Inutile dirti quanto mi sono sentito idiota.
Per consolarmi Rachel mi dette un bacio e mi raccomandò di non fidarmi mai degli sguardi che suo fratello fa perché solitamente solo l’opposto di ciò che sembra, quindi direi che è più probabile che Jack ti ami che ti odi-
Giulia sorrise.
-Qual è la tua storia ragazzina?-
-La mia storia? Ok, diciamo che è una storia abbastanza divertente o forse lo sarà per te.
Per l’ultimo compleanno di Pepe le ho voluto fare qualcosa di speciale dato che stavamo andando a vivere insieme, così le comprai un anello che ero certa le sarebbe piaciuto.
Quando andai a casa sua per darglielo, mi venne la balzana idea di mettermi in ginocchio davanti a lei e chiederle di diventare la mia suolmate per sempre, anche se lo era già.
Era un gioco tra di noi, ma la sorella minore ci stava spiando e pensò che io le stessi chiedendo di sposarmi.
Quella bambina ha una lingua abbastanza lunga, così la volta successiva che mi ritrovai a casa di Pepe con i suoi genitori loro cominciarono a farci un discorso sul fatto che era stato stupido non dire loro nulla a proposito del nostro amore, che loro non erano contrari e gay, lesbiche ecc…..
Non siamo scoppiate a ridere e lor si sono offesi, così abbiamo dovuto spiegar loro cosa era realmente successo.
Credo che stavano praticamente già cominciando ad organizzare il matrimonio.-
-Quindi ora sanno che non state insieme?-
-Si, certo anche se non sono sicura che la sorellina ne sia del tutto convinta. Probabilmente quando torneremo in Italia tutti si aspetteranno di vederci con l’anello al dito e almeno un bambino in braccio –
Entrambi scoppiarono a ridere mentre Giulia beveva l’ultimo sorso del Whisky che Nate le aveva portato appena aveva finito di svuotare lo scatolone.
-Per ora l’unico posto in cui tornerai è il tuo appartamento dato che si sta facendo davvero tardi-
Le disse lui facendola posando i bicchieri nel lavandino e facendola uscire fuori dall’edificio.
Camminarono per le strade oramai buie parlando del più e del meno finchè non raggiunsero il portone di casa di Giulia.
-Domani…..-esordì lei con voce titubante.
-Domani stessa ora, ma aspettami nel tuo appartamento finchè non ti chiamo ok?-
Lei annuì.
-Buonanotte ragazzina-disse lui dandole un bacio sulla fronte.
-Buonanotte Nate-gli ripose lei ma lui era già sparito nella notte che stava arrivando

nota:chiedo umilemnte venia a tutti voi cari lettori per non aver aggiornato in qualcosa coem sei mesi,ma tra il semestre all'estero, e cavoli vari ho avuto pochissimo tempo per scrivere(o almeno scrivere in italiano).
in più con il fatto che i ragazzi non si fanno praticamente sentire mi ero un po' allontanata da loro per rimanere attaccata ai pantaloni del più presente Mika nonchè il mio primo amore musicale(al massimo secondo).
so che non è una scusa,ma vi sto dicendo la verità.
negli ultimi tempi i pensieri ce mi avevano portato a scrivere questa storia sono tornati e grazie a loro questa mattina mi sono svegliata che non erano nemmeno le sette e non sono più riuscita ad addormentarmi.
vi chiederete cosa c'entri tutto questo,ma devo dire che è grazie all'essermi svegliata a quest'orario improbabile che ho partorito questo capitolo.
se ci sono orrori abbiate pietà di me.
ringrazio tutti voi per la pazienza che avete avuto e soprattutto Mon che non ha ancora mancato di recensire un capitolo da quando ha iniziato a leggere la storia(mi mancano le nostre conversazioni).
spero che non mi odiate

 

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Capitolo 9
*** a night out ***


Quando entrò nel suo appartamento lo trovò stranamente vuoto.
Non ebbe nemmeno bisogno di controllare in tutte le stanze per vedere se c’era qualcuno in casa perché neanche la notte riusciva ad esserci quel silenzio con le due coinquiline.
Lei lo sapeva bene, si era svegliata così tante volte nel cuore della notte, spesso con uno strano senso di angoscia sicuramente dovuto ai suoi assurdi sogni che era riuscito a calmare solo concentrandosi sul suono dl respiro delle amiche.
Chissà perché erano uscite senza dirle nulla.
Odiava sentirsi esclusa e in quel periodo, per un motivo o per l’altro sembrava che tutto il mondo volesse farla sentire indesiderata.
Controllò ovunque sperando di trovare un biglietto in cui le due ragazze le spiegavano dove fossero andate, ma la ricerca fu vana.
Provò a chiamarle al telefono ma sembravano non voler rispondere.
Si gettò sconsolata sul divano.
Come poteva una giornata che era stata così bella fino a quel momento farla andare a dormire con quel senso di abbandono sullo stomaco?
Poco male, si sarebbe dedicata a una delle tante serie tv che adorava ma che aveva lasciato indietro per poter passare più tempo possibile con le sue amiche e sembravano non voler ricambiare le sue “premure”.
La serata era però destinata a prendere una piega decisamente diversa perché appena lei si sedette qualcuno suonò il campanello.
Convinta he fosse Pepe o Gaia(se no tutte e due insieme)aprì senza nemmeno guardare dallo spioncino.
Non era però nessuna delle due ragazze a guardarla con un sorrido luminoso dalla soglia dell’abitazione, era il ragazzo conosciuto al college, Josh.
-Ehi, come va? Passavo da queste parti e pensavo di fermarmi a prendere qualcosa in un ristorante…cioè non è proprio un ristorante più una specie di chioschetto con posti a seder. Comunque dicevo, pensavo di andare lì ed ero già per strada quando poi ho pensato che tu non ci sei mai stata e dato che è un posto che davvero merita mi chiedevo se….insomma, se ti andava di venire con me. Ti farei vedere New York come sono certo che tu non l’abbia mai vista. Insomma mi hai detto di non aver amici newyorkesi quindi…..-
-Veramente ora ho degli amici di qui-lo corresse lei.
-Ah, capisco. Allora non fa nulla-il ragazzo sembrava essersi veramente demoralizzato.
-Non intendevo dire che non voglio venire con te, anzi. Volevo solo farti sapere che finalmente anche io sono riuscita a fare amicizia. È una bella cosa-
-Si, certo……Aspetta, mi stai dicendo che esci con me stasera quindi?-era così bello il suo sorriso che Giulia avrebbe voluto poter essere in gradi di fare in modo che sorridesse sempre.
-Si, aspetta un attimo che prendo una felpa-
-è estate!-
-Sarà caldo per te bel newyorkese, ma ti ricordo che in questa stagione in Italia fa moolto più caldo, specialmente la sera-
-Come vuoi……Un momento. Sbaglio o mi hai chiamato bel newyorkese?-
-Non è forse ciò che sei?-
-Pensi che io sia bello?-
-Josh, non puoi stupirti ogni volta che una ragazza ti fa un complimento. Come pensi di fare colpo su qualcuna se non riesci a credere di poterlo fare?-
-Credo dovresti darmi più consigli su come rimorchiare-
-Lo farò, prometto, ma per il momento preferirei andare a mangiare. Tu che dici?-
-Al vostro servizio Madame-rispose il ragazzo porgendole il braccio.
-Poi dicono che la cavalleria è morta-
Risero insieme camminando sotto la luce dei lampioni.
Sembrava di essere in un film di cui Giulia non faticava a sentirne la colonna sonora nella sua testa, ma fece finta di nulla.
Di solito la gente era spaventate dalle sue stranezze, cose come quella, che lei considerava perfettamente normali non di rado facevano scappare gli altri e lei non voleva che Josh la evitasse.
In fondo le piaceva.
-Hai mai visto “singing in the rain?”-esordì lui, senza un’apparente motivo.
-no, perché?-
-Pensavo solo che c’è un momento in cui il protagonista, dopo una serata passata a cercare una soluzione ad un pressante problema con il suo miglior amico e la donna che ama, riaccompagna quest’ultima a casa. Mi sembra di essere in quella scena in qualche modo. Solo che non è l’alba e non ti sto riaccompagnando a casa-
Lei sorrise, Josh sembrava essere sulla sua stessa lunghezza d’onda in fondo.
-Ma non dovrei stare qui a parlarti di vecchi film, sicuramente esistono argomenti più interessanti. Che ne dici ad esempio di parlarmi un po’ di te?-
-Solo se lo farai anche tu-
-affare fatto, a te l’onore di iniziare-
 
-……Non ci credo! Quindi l’hai rubato?!-
Il ragazzo annuì.
-E non ti ha visto nessuno?-
-Non un’anima, so come diventare invisibile quando voglio-
-Ricordamelo quando deciderò di organizzare qualche furto, sia mai che potessi tornarmi utile-
-Sono sempre ai suoi ordini madama-
Josh mimò un inchino ed entrambi risero di gusto.
-Credo sia giunto il momento di salutarci dolce donzella. Siamo giunti alla sua abitazione. Non posso quindi che augurarle la buona notte e sperare di poterla rincontrare al più presto-
Giulia lo guardò imbarazzata e quando lui fece per andarsene lo fermò prendendolo per un braccio.
-Aspetta, ho un’altra idea. Perché non Sali? Insomma tu mi hai offerto la cena, mi sembra il minimo ripagarti almeno con un caffè-
-Apprezzo molto la tua offerta ma non vorrei disturbare, insomma è tardi, magari le tue coinquiline stanno già andando a dormire e…..-
-Non ti preoccupare di loro. Non disturbi di certo, dai, Sali-
-Ok, v bene, ma solo perché mi stai quasi supplicando-le sorrise lui seguendola all’interno dell’edificio.
La ragazza corse su per le scale mentre l’amico faticava a starle dietro.
Aprì la porta e si stupì non poco nel vedere l’appartamento ancora completamente deserto.
Dove diavolo erano finite quelle due?!
-Ehi, ma qui non c’è nessuno!-
-Mi hanno detto che non ti sfugge nulla-rispose Giulia ridendo.
-Pensavo le due ragazze che abitano con te fossero a casa. In fondo è tardi oramai-
-Hai un’idea di tardi un po’ particolare, specialmente per essere americano. Voi non siete forse quelli che tornano a casa il mattino seguente?-
-Questo è uno stupido cliché e lo sai-
-Vero, ma sono solo le 23 Josh, non è tardi.
-Come vuoi. Comunque poche chiacchere. Sono stato convinto a venire qui dalla speranza di una tazza di vero caffè italiano, non vorrai mica dirmi che mi hai ingannato?-
-sono stata scoperta, adesso sarò costretta a darti ciò per cui sei venuto, che disdetta!-esclamò la padrona di casa accasciandosi sul divano mentre l’altro scoppiava in una fragorosa risata.
-Dovresti fare l’attrice sai? Hai talento-
-Me lo dicono tutti-rispose contagiata dall’ilarità del ragazzo mentre andava in cucina.
Josh la seguì senza far rumore e la guardò preparare la Moka appoggiato al mobile dietro di lei.
-Insegnami-sussurrò poi
-Cosa?-si girò lei di scatto presa alla sprovvista.
-Insegnami come si fa. Il caffè italiano dico-
-Lo fai sembrare come se ci volesse una scienza-
-Sono americano, ricordi? Per me già un piatto di pasta è complicato-
-Non è questione di essere americani, hai semplicemente sempre avuto qualcuno che cucinava per te-
-Devi sempre essere così dannatamente ragionevole? Insegnami e basta!-
-Come vuoi. Allora guarda. La prima cosa da fare è…..-
Ma non fece in tempo a finire che la porta dell’appartamento si spalancò e ne entrarono 2 ragazze decisamente ubriache.
-Gaia! Pepe! Si può sapere dove eravate? Ho provato a chiamarvi mille volte!-esclamò Giulia cercando di evitare che nessuna delle due crollasse per terra o distruggesse qualcosa.
-Rilassati! Ci stavamo solo divertendo. Sapessi quante cose mi ha raccontato Pepe, scommetto che le vorresti sapere anche tu!-esclamò Gaia mentre Pepe si lanciava sul divano.
-Muoio dalla voglia, ma ora credo che dobbiate andare a letto entrambe. Forse domani sarete più lucide e mi racconterete tutto meglio-
-Ma scommetto che domani scapperai senza nemmeno salutarci, come stamattina, per andare dal tuo amato Nate-
-Gaia!-
-che c’è, è la verità no? Ci trascuri per lui e dire che l’hai conosciuto da così poco! Ma  non ti preoccupare, a me va benissimo. È lui?-aggiunse poi indicando il povero ragazzo che era rimasto a guardare la scena in un angolo-No, lui è Josh, un mio amico-
-Capisco. Quindi lui è un tuo amico mentre Nate è il tuo fidanzato?-
-No, Nate anche è un mio amico. E adesso andate a dormire-
-Ma il divano è così comodo-borbottò Pepe con la faccia immersa nel cuscino.
-Il tuo letto è ancora più comodo-
-Forse hai ragione, ma non ho le forze per arrivarci-
-La risposta più ragionevole della serata. Ti do una mano io-aggiunse Giulia poggiando il braccio dell’amica e cingendole la vita con una mano.
Dopo averla depositata nella sua stanza tornò in salotto dove trovò Gaia appoggiata a Josh con uno sguardo malizioso.
-Io non ho mai visto questo Nate ma se fossi in Giulia su di te ci farei un bel pensierino- disse sparendo anche lei nella stanza adiacente.
-Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere a tutto ciò. Non era mai successo prima-
-Non importa, immagino sia questa la vita quando hai dei coinquilini in fondo-
Il salotto tornò silenzioso per qualche minuto e quando Giulia finalmente riuscì ad alzare gli occhi sul suo amico notò che c’era qualcosa che non andava.
-Tutto apposto.? Mi sembri…..turbato-
-è solo che……Perché non mi hai mai detto che eri fidanzata?-
-Perché non lo sono-
-E questo Nate di cui parlava Gaia?-
La ragazza scoppiò a ridere.
-Regola numero uno: mai dare retta ad una persona ubriaca. E comunque io e Nate non siamo fidanzati. È solo un amico e rimarrà per sempre tale-
-Come fai a saperlo, non hai mica la palla di vetro-
-Per certe cose non ce n’è bisogno fidati. Io e lui non potremmo mai essere qualcosa di diverso da due buoni amici-
-Capito-borbottò lui poco convinto
-Ora devo andare. Ci vediamo presto-
Lei si alzò in punta di piedi per dargli un bacio sulla guancia.
-Me lo prometti?-
-Certo! Mi devi ancora un caffè!- rispose lui con un luminoso sorriso prima di precipitarsi fuori dalla porta.



nota:per essere stata assente così tanto questo capitolo è un ben misero modo di ripagarvi,ma se non avessi pubblicato questa schifezza probabilmente non mi sarei più rimessa su quesat storia e ci tenevo a farvi vedere i  pezzi che ho in testa e che devono ancora venire.
Vi chiedo umilmente perdono e vi pregherei di recensire anche solo per insultarmi nelle più svariate maniere.
Detto questo sappiate che vi voglio bene

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