About a Girl.

di TeenSpiritWho_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Wrong ***
Capitolo 2: *** I'm So Tired ***
Capitolo 3: *** Because ***
Capitolo 4: *** Resistance ***
Capitolo 5: *** Something ***
Capitolo 6: *** All Apologies ***
Capitolo 7: *** Soothe My Soul ***
Capitolo 8: *** Tell Me Why ***
Capitolo 9: *** Barrel Of A Gun ***
Capitolo 10: *** Unnatural Selection ***
Capitolo 11: *** We can work it out ***
Capitolo 12: *** It's my life ***
Capitolo 13: *** Boys Don't Cry ***
Capitolo 14: *** Creep ***
Capitolo 15: *** Heart Shaped Box ***
Capitolo 16: *** Crazy Little Thing Called Love ***
Capitolo 17: *** I Just Wanna Live ***
Capitolo 18: *** Know Your Enemy ***
Capitolo 19: *** Apocalypse Please ***
Capitolo 20: *** Assassin ***
Capitolo 21: *** Do I Wanna Know? ***
Capitolo 22: *** Do Or Die ***
Capitolo 23: *** Uprising ***



Capitolo 1
*** Wrong ***


Mi sistemai la cravatta con un gesto secco e passai una mano tremante tra i capelli pettinati perfettamente.

-Ehi! Non ti spettinare!- squittì Harold, indignato.

Lo ignorai volutamente, continuando a sistemarmi un folto ciuffo di capelli neri.

Lui sospirò -Allora, mi vuoi dire che cosa ti preoccupa?-

-Mi sposo tra un quarto d'ora, ho il diritto di essere agitato.-

-Sì, ma non ne hai nessun motivo! Courtney è splendida, ti ama alla follia ed è anche candidata alle elezioni- mi fece l'occhiolino -Potresti diventare la nuova first lady!-

Gli tirai un pugno nello stomaco, continuando a fissare il mio riflesso nello specchio e ignorando i sui lamenti di dolore.

L'idiota aveva ragione. Io amavo Courtney e lei amava me. Ci conoscevamo da quando avevamo quindici anni. Lei era quel genere di ragazza che vuole sempre essere la prima della classe, mentre il mio unico talento era falsificare le firme dei miei genitori per fare fuga da scuola. Ma, come si suol dire, gli opposti si attraggono. E così, a diciotto anni, l'ultimo giorno di liceo alla festa d' istituto, ci eravamo scambiati il primo bacio, sotto le luci colorate dei fuochi d'artificio.

La mia unica preoccupazione era: non starò facendo il passo più lungo della gamba?

Ero sicuro che Courtney non fosse agitata come me. Lei era sempre fantastica in queste situazioni: aveva sangue freddo, polso e decisione. Probabilmente si stava infilando il suo abito bianco da sposa, le curve sensuali che spiccavano sotto il tessuto lucente di raso, i capelli che ricadevano castani e fluenti sulle spalle, incorniciando il viso olivastro e puntellato di lentiggini. Il cuore mi si scaldò al pensiero dei suo occhi color cioccolato, le ciglia lunghe, le labbra carnose e rosate...

-... Mi stai ascoltando?! Dobbiamo andare!-

Giusto, mi stavo quasi dimenticando di Harold, il petulante fratello di Courtney. Personalmente lo odiavo: gli occhiali che scivolavano sul naso aquilino, i due peletti color carota che si ritrovava in faccia e che aveva il coraggio di chiamare “barba”, la voce stridula... ogni cosa di lui mi infastidiva. Ma lo sopportavo, per il bene di Courtney.

-D'accordo, andiamo- concessi infine.

Raggiungemmo a piedi la deliziosa chiesetta che si trovava vicino alla maestosa villa di Courtney. Non che io fossi credente, anzi, ma questo era ciò che voleva la sposa, e ogni sua richiesta doveva essere esaudita, o le sarebbe venuta una crisi di nervi. E non bisognava mai, MAI, far innervosire Courtney.

Una donna bassa e tarchiata infagottata in un ridicolo vestito rosa confetto con tanto di cappello coordinato mi si avvicinò zampettando con un'espressione torva sul viso -Finalmente sei arrivato, sei il solito ritardatario!-

Alzai gli occhi al cielo. Quella strega di mia suocera. Appena Courtney sarebbe diventata mia moglie ce ne saremmo andati da quella città e da quella sua assurda famiglia. Ma almeno erano schifosamente ricchi.

Entrammo in chiesa e qualcuno mi spinse sgarbatamente fino all'altare. Inciampai al mio posto e mi sistemai la giacca con le mani. Lanciai un'occhiata a sinistra, verso il mio testimone. Geoff era il mio migliore amico da sempre: combinavamo bravate da bambini e allo stesso modo lo facevamo ora, a ventidue anni. Di certo non piaceva a Courtney e alla sua famiglia, ma per me era come un fratello. Un ragazzo tutto feste e divertimento, con capelli biondi lucenti lunghi e occhi azzurri penetranti. Tutte le ragazze cadevano ai suoi piedi, e in effetti lui non rifiutava di certo le loro attenzioni. Anche io ero come lui un tempo, ma poi avevo deciso di sposare Courtney e tutto era cambiato. Non ero pentito della mia scelta. O almeno, così credevo.

Con il pollice mi fece segno che andava tutto bene, e mi sentii un pochino meglio, anche se il mio livello di sudorazione era decisamente troppo elevato. Mentre mi allentavo il colletto della camicia partì la musica nuziale, e sentii tutti gli invitati presenti alla cerimonia alzarsi in piedi.

Dio, non mi ero accorto che fossero così tanti.

Quel pensiero non fece che farmi sentire ancora peggio.

Le porte si spalancarono e Courtney fece il suo ingresso trionfale. Era ancora più bella di come me l'ero immaginata, così splendente da oscurare tutto il resto.

Ora faceva decisamente troppo caldo. A ogni passo che lei faceva verso di me mi sentivo girare di più la testa. Lei sorrideva, perciò mi sforzai di sorridere anche io, ma la mia sembrò più che altro una smorfia.

Deglutii nervosamente. Dovevo essere bianco come un lenzuolo, perché Geoff mi osservava preoccupato, e allo stesso modo le damigelle che erano attorno a me.

L'ultima cosa che sentii prima di cadere e perdere i sensi fu Courtney che urlava il mio nome.

 

-Duncan? Duncan, stai bene?-

La voce di Courtney mi svegliò, ma ci misi un po' ad aprire le palpebre. Mi accorsi di essere sdraiato a terra, e qualcuno mi teneva le gambe sollevate, cercando di far affluire il sangue alla testa. Mi faceva male, dovevo aver battuto per terra cadendo. Mugugnai, e sentii la voce di Courtney ringraziare il cielo perché ero sveglio.

Quando finalmente spalancai gli occhi vidi il suo viso perfettamente truccato ma arrossato per la preoccupazione, illuminarsi. E in quel momento mi accorsi che non volevo sposarla. Non perché non la amassi, ma sapevo di non essere pronto. Possibile che me ne fossi accorto solo all'ultimo momento?

-Preparatevi,sta bene! Possiamo ricominciare la cerimonia!- cinguettò, visibilmente nervosa per il fatto che niente stesse andando secondo i suoi piani.

-N-no.- mi sentii dire.

Tutti si girarono verso di me.

Courtney fece un debole sorriso -C-cos'hai detto, amore?-

-Io... no, n-non posso farlo.-

Lei fece una risatina isterica -Oh, non essere sciocco, vieni...- fece per sfiorarmi una spalla, ma mi ritrassi, come un animale spaventato. Vidi il suo sguardo sconcertato e mi alzai in piedi.

-Io... io... mi dispiace,non...- cercai di rimediare, mentre arretravo lentamente.

Non mi accorsi nemmeno di quando mi voltai e cominciai a correre. Non mi accorsi del fatto che piovesse e fossi bagnato fradicio. Non mi accorsi di aver attraversato tutta la città, arrivando in una zona che non avevo mai visto prima. Mi fermai solo quando finii in un vicolo cieco, con diversi bidoni che mi sbarravano la strada. Mi accasciai stancamente a terra, mentre la pioggia continuava a scivolarmi addosso. Appoggiai la schiena contro al muro e chiusi gli occhi.

Ma perché l'avevo fatto? Perché ogni volta che qualcosa mi andava bene dovevo rovinare tutto? Ero uno stupido, autolesionista, idiota. Mi presi il viso tra le mani e feci un lungo sospiro, cercando di piangere ma senza risultati.

Ci misi qualche secondo ad accorgermi della luce. Una brillante luce ovale fluttuava nell'aria a pochi metri da me. La fissai per un po', ipnotizzato. Che cos'era? Mi vennero in mente le più strane ipotesi. Non riuscivo a resistere. Dopotutto, cosa avevo da perdere? Mi allungai verso la luce, tendendo il braccio. Qualcosa mi afferrò e mi tirò dentro.



Ciao a tutti! Questo è il primo capitolo della mia prima storia ispirata ai personaggi di TD, spero vi piaccia. Fatemi sapere le vostre opinioni!

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Capitolo 2
*** I'm So Tired ***


-E' vivo?-

-Certo che è vivo, non progetto mica macchine della morte! Sono un professionista,io.-

-Cosa stai insinuando? Non è colpa mia se è svenuto!-

-Ragazzi, chiudete il becco!-

-Ehi, guardate, si muove!-

-Allontanatevi, ci penso io.-

Sentii delle labbra che si appoggiavano sulle mie, e subito dopo l'aria invase la mia trachea e i polmoni. Poi qualcuno cominciò a premermi sulla cassa toracica,con decisione. Ripeté questi passaggi diverse volte, finché non ripresi finalmente a respirare. L'aria non mi era mai sembrata così buona. Ne presi una lunga boccata, annaspando, ma tenni gli occhi chiusi. Capii comunque che ci trovavamo all'aperto, perché sentivo il vento sulla pelle e la terra sotto le mia mani, ma nell'aria c'era uno strano odore, come di bruciato.

-Almeno è passato attraverso il portale tutto intero.-

-Cristo, ho quasi preso un infarto.-

-Io ne ho uno in corso.-

-Se fosse morto... saremmo stati nella merda.-

-Si può sapere perché devi sempre essere così pessimista? E' vivo, smettila di metterci ansia!-

-Taci, darkettona.-

-Taci tu.-

-Non prendo ordini da te!-

Con uno sforzo immenso socchiusi le palpebre e vidi le sagome di due ragazze che si urlavano contro.

-A... iu... to...- mormorai con voce roca, e persi di nuovo i sensi.

 

Questa volta quando mi risvegliai ero in un letto, al chiuso. Più che un letto sembrava una brandina, ma mi accontentavo. Avevo la nausea e mi facevano male tutte le ossa. Se tenevo gli occhi aperti per più di qualche secondo cominciavano a bruciarmi e mi veniva un forte mal di testa. Cercai di non pensare troppo per non farmi stare ancora peggio, ma la mia testa era piena di domande. Cercai di mettere ordine.

Ok, l'ultima cosa che ricordavo era di essere scappato dal mio matrimonio. Poi la luce. E poi il dolore, nient'altro. Ah si, c'erano quelle due ragazze, quelle che litigavano. E il resto della gente che era lì con loro. Chi erano? Cosa mi avevano fatto?

Il mal di testa aumentò, e decisi che per il momento mi ero scervellato abbastanza. Ad ogni modo non potevo trovare nessuna risposta, non finché qualcuno non mi avesse detto qualcosa.

Riaprii gli occhi e cercai di sopportare la luce, che sembrava il doppio più intensa del solito. Avevo le labbra secche e una gran fame, ma sentivo che se avessi mangiato qualcosa lo avrei quasi sicuramente vomitato. Il mio stomaco brontolò minacciosamente, come per confermare la mia ipotesi. Mugugnai, avvilito.

Qualcuno doveva avermi sentito, perché la porta si aprì con delicatezza, facendo entrare una ragazza bionda, non troppo alta ma molto bella, nascosta dentro a un lungo camice da dottore troppo grande per lei.

-Ti sei svegliato, finalmente.- si avvicinò velocemente, scrutandomi e toccandomi con fare professionale. Io continuai a gemere per tutta la visita perché ogni parte di me urlava di dolore ad ogni più piccolo movimento.

Quando ebbe finito si tirò dietro un ciuffo di capelli che era scivolato fuori dalla lunga coda e mi guardò dritto negli occhi -Ti riprenderai presto,non ti preoccupare. Ora ti do' qualcosa per sopportare il dolore.- mi spalancò la bocca e ci spinse dentro un paio di pillole, in modo non molto garbato. Protestai e cercai di risputarle, ma lei mi tenne la bocca chiusa, obbligandomi a deglutire. Come immaginavo mi sentii subito meglio, ma ero anche intorpidito, avevo la bocca impastata e la mia mente si era annebbiata. La dottoressa (sul cartellino c'era scritto il nome “Bridgette”) uscì dalla stanza dopo aver annotato qualcosa su una cartella.

Non so quanto tempo passò prima che la porta si aprisse di nuovo, mi sembrava di essere in una specie di coma.

Vidi un omone entrare. Lui mi scosse con gentilezza.

-Duncan.-

Aprii gli occhi stancamente e risposi con un assonnato “mmh?”. Non ero in grado di dire nient'altro.

-Ciao, io sono DJ. So che sei stanco, dopotutto hai appena affrontato un viaggio spazio-temporale...-

Spalancai le palpebre e le pupille mi si dilatarono.

Cercai di dire -Di che cosa stai parlando?!- ma ero talmente intorpidito che quello che mi uscì sembrava più un -Gh cheoa ai paao?-

-Ssh,non ti sforzare- mi zittì DJ,con un gesto della mano -Ti spiegherò tutto a tempo debito. Ma ora non sei abbastanza in forma. Vedrai, qualche giorno e sarai di nuovo in piedi.- mi diede una pacca amichevole sulla spalla, ma ormai ero sveglio, l'effetto della pillola era svanito, e quasi ululai dal dolore.

Lui si scusò qualche centinaio di volte mentre si alzava per andare a chiamare la dottoressa Bridgette, con un'espressione quasi più sofferente della mia.

Quando vidi che lei aveva in mano di nuovo quelle pillole chiusi le labbra, facendo tutto quello che potevo per impedirle di aprirmele. Non volevo ridurmi di nuovo in quello stato, mi sentivo troppo vulnerabile ed ero circondato da sconosciuti. Ma non ero abbastanza in forze per tenerle testa e sprofondai di nuovo in quel coma ad occhi aperti.



Ciao a tutti! Innanzitutto volevo ringraziare quelli che stanno già seguendo la storia, mi fa molto piacere avere il vostro sostegno. E poi volevo scusarmi: questo capitolo è un po' corto, ma con il prossimo rimedierò. Spero vi piaccia!

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Capitolo 3
*** Because ***


Avevo perso il senso del tempo, ma dovevano essere passate circa un paio di settimane quando finalmente il dolore diventò sopportabile e la dottoressa smise di darmi quelle dannate pillole. Non riuscivo a stare in piedi per molto tempo e avevo sempre la nausea, ma almeno ero lucido.

Finalmente DJ cercò di parlare con me. Una sera, mentre ero nel mio letto a cercare di mangiare un disgustoso brodo, entrò nella mia camera. Mi accorsi solo in quel momento di quanto era grosso: oltre a essere incredibilmente muscoloso era anche parecchio alto e, per passare dalla porta della mia stanza doveva piegarsi.

-'sera, DJ. Vuoi favorire?- indicai col cucchiaio il mio brodo, che aveva un aspetto decisamente poco invitante.

Lui rise -No, non vorrei rubarti il piacere di mangiarla tutta. Duncan, penso sia arrivato il momento di raccontarti chi siamo e perché sei qui.-

-Senti, mi sono appena svegliato ed è la prima volta che la dottoressa bionda non mi da le pastiglie ma sono ancora piuttosto rincoglionito, non sono pronto per...-

-No, non possiamo aspettare ancora.- il suo sguardo si era fatto serio -E' una cosa molto importante, tu devi aiutarci.-

Risi istericamente -E che sarà mai?-

Lui non fece una piega, continuò a fissarmi con quel suo sguardo serio. Il mio sorriso scomparve all'istante. DJ prese una sedia dall'angolo della camera e la portò accanto al mio letto, accomodandocisi.

-Quando sei entrato nella luce e sei arrivato da noi doveva essere più o meno il 10 giugno, vero?-

-Si- risposi.

-Il giorno del tuo matrimonio, giusto?-

-Si- dissi, questa volta con un filo di voce. Come lo sapeva?

Lui sembrò leggermi nel pensiero -Lo so perchè c'è scritto in ogni libro di storia, Duncan.-

Scoppiai di nuovo a ridere. In quel momento la mia risata mi spaventò, sembrava quella di un pazzo.

-Di cosa stai parlando?-

-Tutti sanno di quando hai abbandonato Courtney O'Donnell sull'altare, è un fatto che ha segnato la storia.-

-Che vergogna...- commentai, grattandomi il collo.

-Dio, vuoi prendere questa cosa seriamente?! Ci sono delle vite in gioco!!- sbottò lui. Tacqui immediatamente. Ci fu qualche secondo di silenzio teso, poi si alzò. -Hai ragione, non sei ancora pronto.-

-No! No no no, aspetta, voglio saperla! Sono pronto!- mi sollevai un po' sui gomiti, ma un conato di vomito mi costrinse a rimettermi sdraiato. DJ intanto stava uscendo dalla stanza.

No, non può lasciarmi così in sospeso. Stupido, stupido, stupido idiota che non sono altro, mai una volta che riesco a tenere la bocca chiusa.

Ma avrei fatto qualsiasi cosa per finire di sentire la storia, ormai la curiosità aveva avuto la meglio. Decisi di rischiare e mi misi a sedere molto lentamente. Il mio stomaco rumoreggiò, minacciando di farmi rigettare la misera cena che avevo appena mandato giù. Cercai di ignorarlo e andare avanti. Mi sporsi verso il comodino, allungando il braccio verso le stampelle che vi erano appoggiate. Sebbene le ossa non mi facessero più male come la settimana prima, questo gesto mi costò un enorme sforzo, e una fitta lancinante mi attraversò la schiena.

Resisti. Resisti.

Strinsi i denti, e mi asciugai il sudore dalla fronte. Finalmente raggiunsi le stampelle e le afferrai, stringendole saldamente come se fossero l'unica cosa che poteva salvarmi. Presi un bel respiro e mi misi in piedi. Con mia grande gioia mi resi conto che le gambe non mi facevano troppo male e sarei riuscito a stare in piedi abbastanza a lungo. Lanciai un gridolino di vittoria e mi incamminai verso l'uscita. Ci fu un brutto momento in cui credetti di perdere l'equilibrio e cadere mentre appoggiavo la mano sul pomello della porta, ma, per mia fortuna, non successe. La aprii.

Fuori c'era un enorme sala di qualche centinaio di metri quadrati. Spalancai la bocca dalla sorpresa. Sembrava un ospedale di fortuna, un po' accampato. Dovevamo trovarci sottoterra, somigliava quasi ad un rifugio antiaereo. Scorsi DJ allontanarsi tra le infinite file di letti pieni di malati e feriti.

-Ehi!- urlai nella sua direzione, ma il posto era così affollato che non mi sentì. Allora presi a camminare, all'inizio in modo insicuro, poi sempre più velocemente, finché non mi misi quasi a correre, tenendomi su quelle stampelle malandate. Urtai diverse infermiere che mi gridarono dietro qualche insulto, ma non sembrarono riconoscermi. Meglio così.

DJ entrò in un'altra stanza.

-Aspetta!-

Lo raggiunsi qualche minuto dopo, appoggiandomi ansimante allo stipite della porta. Quella non era una camera come la mia, sembrava più un ufficio, e insieme a lui, che era seduto ad una scrivania, c'erano altre persone.

-Io... mi dispiace... voglio aiutarvi...- mormorai, tra un respiro affannoso e l'altro. Poi mi premetti una mano sullo stomaco -Oddio, sto per vomitare.-

Lui mi stava guardando, sbalordito. Anche gli altri nella stanza erano a bocca aperta. Poi accadde qualcosa che non mi sarei mai aspettato. Si misero ad applaudire. Si alzarono in piedi, persino. Potrei giurare di aver visto un paio di persone con le lacrime agli occhi.

-Siamo salvi!-

-Finalmente quest'agonia finirà!-

-Oh mio Dio,non posso crederci!-

DJ fece un sorrisetto, si alzò e venne verso di me -Sapevo che eri pronto.- mi appoggiò una mano sulla spalla, gentilmente -Ma non pensavo che fossi già così in forze da alzarti in piedi e venire fin qui da solo. Ti senti bene?-

Per tutta risposta mi piegai in due e vomitai sul suo tappeto. Poi lo sguardo mi si oscurò per un istante e le gambe mi cedettero ma sentii le sue braccia possenti che mi afferravano e mi sollevavano come un fuscello (avevo perso parecchi chili quella settimana, ma lui era dannatamente forte). Quando riuscii a vedere di nuovo, ero sdraiato su due sedie.

Gemetti e mi sollevai un pochino,guardando DJ -Dicevi? Ah si, sto benissimo-

Sentii qualche persona ridere, ma dietro al sorriso DJ c'era un'ombra di preoccupazione.

-Davvero- mi affrettai a confermare -Sto molto meglio di sette giorni fa-

Questo sembrò tranquillizzarlo un pochino.

-Allora, vuoi che ti racconto cos'è successo?-

-Veramente no, ero venuto qui per prendermi un caffè-

Altre risate, ma DJ mi lanciò uno sguardo di rimprovero.

-Hai ragione, hai ragione, devo prendere questa cosa sul serio. Spara, capo.-

Lui si sedette nuovamente alla sua scrivania, mentre gli altri prendevano posto. Li esaminai: riconobbi le due ragazze che litigavano, quella con la lunga chioma nera e quella con i capelli corti a ciocche nere e blu, che stavano sedute ai lati opposti della stanza. C'era anche un ragazzo con la pelle olivastra, i capelli e gli occhi scuri e uno sguardo intelligente e sveglio. Si accorse che lo stavo guardando e mi fulminò. Girai subito la testa, imbarazzato. Vidi la dottoressa bionda, con la solita espressione fredda e diligente, seduta accanto a un ragazzo dagli occhi verdi e i capelli neri, che aveva un eterno sorriso amichevole stampato in faccia.

Restava solo da capire dove fossi. E, stando a quello che aveva detto DJ, anche quando fossi. Ma ci misi poco a scoprirlo.

-Allora Duncan. Ti parlerò molto sinceramente perché non voglio più perdere tempo. Ti trovi sempre nella tua città, ma siamo nel 2063.-

Silenzio totale. Non volava nemmeno una mosca. Tutti mi fissavano. Forse si aspettavano che mi mettessi a urlare e scappassi a gambe levate o qualcosa del genere, ma non lo feci. Annuii soltanto, in modo quasi solenne. Immaginavo che non fossimo più nel 2013, DJ mi aveva già parlato di quel viaggio “spazio-temporale”, come l'aveva chiamato lui, e ormai lo shock era passato.

Continuò -Ci troviamo però in un rifugio, diversi metri sottoterra. Ci sarebbe impossibile salire in superficie perché loro potrebbero trovarci, e a quel punto saremmo finiti. Siamo l'unico gruppo di ribelli rimasti. Ci sono anche altri sopravvissuti all'ultima guerra, ma non tutti hanno il coraggio di unirsi alla ribellione. Ad ogni modo il nostro rifugio funziona anche come una specie di ospedale, se no non saprebbero in che altro luogo curarsi...-

-Scusa,- lo interruppi, alzando la mano -cosa intendi con “l'ultima guerra”?-

-Oh giusto- annuì, come se si fosse appena ricordato che io venivo da un'altra epoca -Negli ultimi cinquant'anni ci sono state molte guerre, l'ultima è stata più che altro una repressione di coloro che insorsero. E' per questo che siamo così pochi.-

Ed è per questo che ci sono così tanti feriti,pensai.

-Non starai dicendo che gli unici ribelli siete voi sei!- esclamai.

-No, no, non ti preoccupare. Siamo centinaia, tra uomini e donne. Al momento sono tutti al lavoro: preparazione fisica, sai, in caso di un'altra guerra.-

-Oh. Certo.-

-E in più, la città è quasi distrutta, ma ci vivono comunque molte persone. O, perlomeno, chi non è stato fatto prigioniero. Per quest'ultimi non c'è molta speranza...- abbassò la testa, scuotendola.

Non ero ancora assolutamente sicuro di volergli credere. Poteva essere tutta solo un'enorme cazzata. Certo, il dolore era reale, ma... oh, avanti, una macchina del tempo?! Questo non poteva essere reale!

-D'accordo,ho una domanda: chi è che fa tutto questo?- chiesi, incrociando le braccia sul petto -Voglio dire, ci deve essere qualcuno dietro... no?-

DJ annuì cupamente -Infatti. E' una persona che ha preso il potere grazie al suo carisma e alla fiducia della gente, ma una volta ottenuto quello che voleva ne ha abusato e ha causato la fine della società, non solo qui ma nel mondo intero. Ha il controllo di tutto il pianeta.-

-Aha.-

-Duncan, sei sicuro di voler sapere chi è?-

-Mia madre? Perchè sai, con il suo caratteraccio ce la vedo a fare la dittatrice-

Silenzio. Nessuno rideva stavolta, e mi preoccupai. Poteva essere davvero così terribile? No, no. Continuavo a dimenticare che era tutto falso. Ero uno scherzo. Oppure stavo solamente facendo un incubo. Mi sarei svegliato tra poco e sarei andato in chiesa a sposare Courtney. Probabilmente è normale sognare cose del genere il giorno prima del proprio matrimonio... no?

-Ragazzi? Allora?-

-Duncan, promettimi che starai calmo.-

-Perchè non dovrei stare calmo? Certo che starò calmo! Io...-

-Quel qualcuno è Courtney.-


Ok, questa volta ho cercato di fare il capitolo moooolto più lungo. Spero sia di vostro gradimento! :)

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Capitolo 4
*** Resistance ***


Tutti mi guardavano, e stavolta facevano bene. Perché sotto sotto avevo una gran voglia di scappare urlando.

Non è reale,non è reale,continuavo a ripetere a me stesso. Ma per qualche strano motivo sentivo che quella era la realtà e il panico mi attanagliò.

-M-mi dispiace...- continuò DJ.

Io non risposi, continuai a fissare il vuoto.

-Ecco... dopo che è stata abbandonata da te in quel modo ha cominciato a provare un odio incondizionato verso tutto e tutti, così ha deciso di buttarsi totalmente sul lavoro. Ha continuato a comportarsi come una buona cittadina, ma da quando ha vinto le elezioni non ha fatto altro che usare il suo potere per ottenere altro potere e fare soffrire gli altri quanto lei aveva sofferto.- i loro sguardi si incontrarono -Duncan, quella donna è impazzita.-

-NO!- urlai, alzandomi in piedi talmente velocemente che la sedia cadde all'indietro. Le mie gambe protestarono con una fitta di dolore ma ero talmente arrabbiato che non le sentii nemmeno. -Voi non avete il diritto di parlare così di lei! Voi non la conoscete!-

-E' un dato di fatto, mi dispiace ma è così...-

-ZITTO!- gridai, guardandolo dritto negli occhi. Dovevo essere terribilmente arrabbiato perché lui aveva uno sguardo spaventato.

-Non so che scherzo sia questo, ma è veramente di pessimo gusto.- posai lo sguardo su tutti i presenti e lo fermai sulla ragazza coi capelli blu. Lei era l'unica a non smebrare spaventata. Anzi, sembrava arrabbiata quanto me, ma con me.

-Andatevene tutti a fare in culo.- ruggii,e me ne andai via zoppicando sulle mie stampelle.

Percorsi tutto il corridoio, fumante di rabbia e consapevole che tutti, infermiere e pazienti, mi stessero osservando in silenzio. Dovevano avermi sentito urlare. Non mi importava, volevo solo uscire di lì.

-TU.- puntai il dito contro una giovane infermiera dai capelli rossi -Dov'è l'uscita?!-

-I-io... non posso lasciare che lei esca, non...-

-DOV'E'?-

Lei lanciò un urletto terrorizzato e mi indicò una scalinata in fondo al salone, coprendosi la testa con l'altro braccio.

Senza aggiungere altro la raggiunsi e presi faticosamente a salirla. Aprii una botola e fui fuori. Ma ciò che vidi mi lasciò senza fiato.

La città che mi ricordavo, con i lunghi viali alberati, i prati verdi e i palazzi colorati, non esisteva più. Al suo posto c'era un paesaggio post apocalittico. I palazzi un tempo così pieni di vita apparivano vuoti e spenti, e la maggior parte di essi era stata bombardata o cadeva a pezzi. L'asfalto delle strade vuote era crepato e quasi impraticabile. La natura aveva avuto la meglio sui rottami e gli edifici, ma anch'essa ora stava morendo. Notai infatti che il terreno era grigio e smunto, come se non piovesse da molto tempo. Il cielo era ricoperto di nuvoloni grigi e minacciosi e l'aria puzzava di fumo e bruciato. Iniziai a camminare lentamente, senza smettere di guardarmi intorno. L'unico rumore che riuscivo a sentire era quello delle mie stampelle. Mi dirigevo verso il centro della città, magari lì sarei riuscito a trovare qualcuno. Ormai le mie speranze che quello fosse tutto uno scherzo erano quasi zero, ma continuavo a pensare che quei cosiddetti “ribelli” stessero mentendo.

-Lei non farebbe mai una cosa del genere, lei non è cattiva.- cominciai a ripetere, come un mantra. Ma non riuscivo a calmarmi e scacciare quella sensazione. La sensazione che avessero ragione.

Mentre attraversavo la strada sentii un rumore di passi. Qualcuno stava correndo nella mia direzione. Per un momento fui tentato di urlargli qualcosa, chiedere aiuto, ma poi sentii la sirena dell'auto che lo stava seguendo. La macchina lo raggiunse, lo superò e si fermò davanti a lui. L'uomo continuò a correre, cercando di aggirare l'auto, ma da essa scesero quattro figure grigie munite di manganelli. Quell'uomo non era affatto giovane, doveva essere sulla sessantina, ma cercò comunque di lottare. I Grigi ebbero comunque la meglio e presero a pestarlo con quei manganelli. Io rimasi bloccato dalle grida di dolore dell'uomo, mentre dalla sua sagoma accasciata a terra si estendeva una grande macchia rossa. Poi tacque. Mi accorsi di essere ancora impalato in mezzo alla strada e corsi, più che altro mi lanciai, dietro ad un cespuglio. I Grigi stavano trascinando l'uomo dentro al furgone. Fu in quel momento che me ne accorsi. I Grigi erano sì umani, ma non del tutto. Braccia, gambe e gran parte del viso erano stati sostituiti da parti robotiche. I loro movimenti erano rigidi e i loro sguardi fissi, privi di calore, le bocche tese in nessuna espressione.

Il furgone ripartì e io rimasi di nuovo solo. E ora avevo paura.

E' un sogno, Duncan, solo un sogno. Smettila di fare lo sciocco.

Ripresi a camminare. Ora che non avevo più l'adrenalina provocata dalla rabbia in circolo, il corpo mi doleva più che mai. Avevo fatto troppi sforzi, dovevo riposare, ma non potevo. Ormai la posta in gioco era troppo alta. Dovevo scoprire la verità.

Raggiunsi la piazza principale e mi guardai intorno. Vuota, non c'era neanche un cane in giro. Andai al centro della piazza e alzai lo sguardo sui palazzi intorno. Qualcuno mi spiava da dietro una tapparella.

-Ehi,tu! Aiutami!- urlai, sbracciandomi.

-Sei pazzo? Vattene, così ci farai ammazzare tutti!- fu la risposta del ragazzo, prima che richiudesse le tapparelle.

Abbandonai le braccia lungo i fianchi con un sospiro. Mi voltai nuovamente e guardai la fontana a pochi metri da me. Avevo sempre amato quella fontana. Da bambino d'estate andavo a rinfrescarmici e da ragazzo seduto sul suo bordo avevo dato il mio primo bacio. Ora era stata svuotata dall'acqua, non ne rimaneva una goccia. Ma non era quello che mi spaventava tanto. Erano i corpi. Al posto dell'acqua erano stati ammassate decine di cadaveri, impilati l'uno sull'altro in un'inquietante piramide.

Mi portai una mano alla bocca, ma vomitai lo stesso, a lungo. E ogni volta che credevo di aver finito, lo sguardo mi tornava sulla fontana e ricominciavo. Solo il rumore della sirena riuscì a farmi riprendere dallo shock. Allarmato, ripresi le mie stampelle e cercai un nascondiglio.

Bussai a qualche porta ma, come immaginavo, nessuno mi fece entrare. Mi guardai intorno, sempre più in panico. Non avevo più tempo. Raggiunsi un muretto e mi ci nascosi dietro, accucciato. Rimasi in attesa. Il furgone si fermò nella piazza e due Grigi scesero. Cercai di non tremare ma fallii miseramente. Chiusi gli occhi. Il rumore di passi era cessato. Forse se n'erano andati?

Ma il colpo di manganello sulla mia testa dimostrò il contrario.

 

Mi risvegliai qualche secondo dopo, mentre mi trascinavano sull'asfalto ruvido. Un po' di sangue mi era sceso dalla tempia e potevo sentire il suo sapore in bocca. Avevo un terribile mal di testa, cercai di trovare una via d'uscita ma questo non fece che peggiorare il dolore.

Se continua a farmi così male sverrò di nuovo!

Gli occhi mi si stavano chiudendo quando sentii un colpo di pistola. La presa sulle mie gambe si allentò e un Grigio cadde a terra morto. L'altro non fece in tempo a sfoderare la sua arma, perché un altro colpo di pistola lo ghiacciò e anche lui cadde.

-Cosa...- mormorai.

-Duncan, alzati. Dobbiamo muoverci, ne stanno per arrivare altri.-

-Le mie gambe...-

-Alzati, cazzo!-

Vidi una mano bianca come il latte afferrarmi il braccio e cercare di tirarmi su. Alzai gli occhi e, per quanto il colpo di manganello in testa mi avesse rimbambito, la riconobbi subito: era la ragazza dai capelli blu. La darkettona. Miss Sguardo Arrabbiato.

-Tu...-

-Non mi hai sentito? Se non ti muovi arriveranno altri di loro e stavolta ammazzeranno sia me che te!-

Impiegai tutte le forze che mi erano rimaste per alzarmi in piedi e metterle un braccio intorno alle spalle, in modo che mi sorreggesse. Capelli Blu prese a correre riuscendo a trasportare in chissà quale modo il mio peso nonostante il suo fisico gracile. Prendemmo un vicolo buio e stretto. Sentivo i nostri respiri affannosi rimbombare tra le mura piene di umidità dei palazzi malandati che ci circondavano. Le sirene dei Grigi si stavano avvicinando, dovevano essere già quasi nella piazza ormai. Presto avrebbero trovato i corpi dei loro colleghi e si sarebbero messi a cercarci.

In quel momento però vidi un poster sul muro che interruppe i miei pensieri. Mi bloccai e anche Capelli Blu si fermò.

-Che stai facendo?!-

-Voglio scoprire la verità.-

E la verità era che loro avevano ragione. E quella ne era la prova.

Gli occhi di Courtney mi osservavano dal poster incollato sulla parete di fronte a me. Non una ruga sul suo viso. Sotto alla foto c'era scritto “Vota O'Connell alle prossime elezioni! - Sarà meglio per te.” Il solito sorriso radioso della mia quasi-moglie, il sorriso che ricordavo e che avevo imparato ad amare in ogni suo piccolo dettaglio, era stato sostituito da un ghigno degno di Joker. Quell'immagine metteva i brividi. Mi venne di nuovo la nausea.

-Cristo, Court.-

Lo sguardo di Capelli Blu si era addolcito adesso, e mi posò una mano sulla spalla.

-Mi dispiace che tu abbia dovuto rendertene conto così, ma ora dobbiamo veramente andare.-

Le mie emozioni erano completamente sparite. Cominciai a camminare ancora prima di lei, e al doppio della velocità. In poco tempo arrivammo al viale alberato su cui avevo assistito all'omicidio del vecchio. I passi dei Grigi si stavano avvicinando.

-Presto, muoviti!-

Lei aprì la botola e mi fece segno di entrare.

-Prima tu!-

Scesi la scalinata, ignorando le suppliche di pietà delle mie gambe ancora doloranti. Quando arrivai in fondo guardai in alto, aspettando di veder scendere Capelli Blu. Stavo per tornare in superficie per cercarla, preoccupato, quando sentii degli spari.

Oddio oddio fa' che stia bene Dio ti prego fa che stia bene

La botola si richiuse con un tonfo e Capelli Blu corse giù con il fiatone. Si fermò davanti a me, fece un cenno con la testa e disse -Io sono Gwen, comunque- e se ne andò lungo il corridoio,riponendo la pistola nella cintura. Intanto un'infermiera urlò qualcosa e corse a soccorrermi vedendo la mia ferita alla tempia.

-Oh no, non è niente- la liquidai, mentre seguivo con lo sguardo Gwen che camminava dandomi le spalle. Ma appena l'infermiera sfiorò la ferita, il dolore fu talmente forte che gridai a pieni polmoni.


In questo capitolo per la gioia di tutti voi finalmente arriva Gwen! Spero vi piaccia, fatemi sapere ;)

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Capitolo 5
*** Something ***


-Come va oggi, Duncan?-

-Beh, mi sembra che mi siano passati sulle ossa con un trattore e non mi faccio una doccia da almeno 3 giorni, direi che ho avuto giornate migliori.- sorrisi -Va meglio, Bridgette.-

Anche lei sorrise. Erano passati tra giorni dalla mia avventura in superficie e mi sembrava che ora la dottoressa fosse meno fredda con me. Quasi amichevole. In realtà tutti erano più amichevoli adesso.

-Sono contenta. Prendi queste.- mi appoggiò le pastiglie sul comodino.

Gemetti -Oh, devo proprio? Lo sai che non le sopporto-

-Mi dispiace, ma ti faranno stare meglio-

-E va bene.-

Sorrise di nuovo -Bravo. Ci vediamo tra qualche ora!-

Quando uscì dalla stanza presi le pastiglie e le infilai nel buco che avevo fatto nel materasso con la forchetta qualche sera prima a cena. In tre giorni avevo racimolato una decina di quelle pastiglie. Così restavo lucido e, se un giorno ne avessi avuto urgentemente bisogno per il dolore, sapevo dove trovarle. La ferita alla testa non aveva giovato alla mia salute già scarsa e in più i Grigi (che qui gli altri chiamavano semplicemente “loro”) mi avevano anche quasi rotto una gamba con quel dannato manganello.

In quegli ultimi giorni avevo pensato molto a quello che era successo. Avevo accettato la verità, per quanto potesse essere assurda. Tutte le notti sognavo i corpi nella fontana e il vecchio che veniva pestato a sangue, e la mattina mi svegliavo con le guance bagnate di lacrime. Ma soprattutto in quegli ultimi giorni avevo pensato a Gwen. Mi aveva salvato la vita e non avevo nemmeno avuto la possibilità di dirle grazie. Desideravo con tutto me stesso vederla. In quei tre giorni vidi tutti tranne lei.

Il ragazzo dagli occhi verdi, che scoprii si chiamasse Trent, mi portava tutti i giorni cena e pranzo personalmente, il che era un onore, perché era il “capo chef”. Noah, quello intelligente, era venuto a scusarsi per il malfunzionamento della macchina del tempo che mi aveva provocato nausea e dolori. Si era dilungato in una spiegazione scientifica delle cause, spiegando quanto l'avesse migliorata e lamentandosi del fatto che potesse trasportare solo una persona alla volta, e avevo desiderato allungare una mano sotto al materasso, prendere una delle pastiglie e farmi un trip in santa pace. Sempre meglio di quella noiosissima lezione di scienze. Era venuta persino la ragazza tenebrosa dai lunghi capelli neri a fargli compagnia. E che compagnia. Per fortuna DJ era venuto con lei, se no avrei passato il pomeriggio a guardarle le lunghe gambe, lasciate scoperte dai pantaloncini militari cortissimi. Avevo persino chiesto scusa all'infermiera dai capelli rossi. Un giorno era venuta nella mia stanza a portare via dei piatti e si era tenuta ben lontana da me, ancora spaventata. Ma io mi ero fatto portare dei fiori da DJ e glieli avevo regalati, e, in mezzo ad essi, c'era un cortese biglietto di scuse.

Tutto sommato era una bella routine. Ma sapevo che non sarebbe durata. Lo vedevo dallo sguardo impaziente di DJ ogni volta che mi veniva a trovare.

Un giorno mi raccontò che stavano lavorando ad un piano d'attacco, ma non poteva ancora parlarmene. Lui e chi? Ma lui e Gwen, naturalmente.

-E' la mia vice. Un'apprendista militare, diciamo.-

-Ah si? E' l'unica che non mi è ancora venuta a trovare...-

Nello sguardo di DJ passò un lampo di sospetto.

-... volevo ringraziarla per quello che ha fatto. Non ne ho avuto il tempo.-

Lui fece spallucce -In realtà è un po' che non la vedo in giro. Si è presa qualche giorno di permesso per andare da sua madre e suo fratello fuori città. E' un viaggio pericoloso ma se lo è meritato e l'ho mandata con alcuni dei miei migliori uomini. Lei ci teneva molto.-

In quel momento entrò Bridgette con le pastiglie in mano.

-Oh, allora vado. A presto, Duncan!-

Lo salutai con la mano, presi le pastiglie e, come al solito le nascosi nel materasso una volta che Bridgette fu uscita. E meno male che non le ingoiai, perché se no sarei stato nel mio solito stato di trance quando qualcuno socchiuse la porta, bussando leggermente.

-Ehi, sei sveglio?- la testa di Gwen fece capolino oltre la soglia.

Il cuore prese a battermi più velocemente e le feci un sorriso radioso.

-Ciao, finalmente sei venuta! Volevo ringraziarti per l'altro giorno.-

Lei entrò, ricambiando il sorriso. In mano aveva uno scatolone. Lo posò a terra e si sedette sulla sedia accanto al mio letto.

-No, grazie a te. Mi hanno concesso tre giorni con la mia famiglia per aver portato a termine con successo quella missione.- abbassò gli occhi sulle mani che si teneva in grembo -I-io ho un fratellino di 13 anni e... non sai quanto è difficile stargli lontano, anche se so che è per lui che faccio tutto questo...- si passò un dito sotto l'occhio per asciugare una lacrima, attenta a non rovinare il pesante trucco nero -Che stupida, mi viene da piangere!- rise con poca convinzione.

Io le sorrisi solidale -Anch'io ho una sorella,sai? Si chiama Shirley, ha 5 anni. Ma lei si trova nel passato, potrebbe non essere nemmeno più viva adesso.- trattenni a stento un singhiozzo. Non mi mancava quel bastardo di mio padre, e neanche troppo mia madre. Non erano stati esattamente dei genitori modello. Ma, Dio, se mi mancava mia sorella.

-Perfetto, adesso siamo tutti e due depressi!-

Ridemmo entrambi. Gwen si illuminò per un momento e si piegò per raccogliere lo scatolone ai piedi del letto. La maglietta le si sollevò e riuscii a vedere parte di un tatuaggio che correva lungo la schiena. Nascosi un sorrisetto.

Si rialzò e poggiò lo scatolone sul bordo del letto. -Io... non so come si vivesse cinquant'anni fa, l'ho solo letto nei libri, ma mia madre aveva in casa uno di questi, e quindi...- lo spinse verso di me.

Incuriosito, tolsi il nastro adesivo,lo aprii e guardai all'interno. Un giradischi.

Sollevai un sopracciglio -Non vengo mica dal 1960- commentai, però sorridente.

Lei ridacchiò e disse -Accontentati, cazzone ingrato!-

Tirai fuori una pila di dischi e per poco non mi venne un infarto: c'era di tutto, dai Rolling Stones ai Sex Pistols, dai Velvet Underground ai Queen, e persino Elvis.

-Dio, se vendessi questi ai miei tempi faresti una fortuna- mormorai senza parole, con gli occhi scintillanti.

-Ti piacciono?- chiese lei, speranzosa.

-Certo! Non potevi farmi regalo migliore!- ed era vero. Gli era mancato molto la musica nelle ultime settimane. Lì nel 2063 sembravano non sapere neanche cosa fosse. Ma probabilmente con quella guerra non avevano avuto molto tempo per il rock n roll.

Il giradischi era piccolo e impolverato, ma miracolosamente funzionava ancora, sebbene fosse quasi un reperto archeologico.

-Dai, scegli un disco da ascoltare- dissi a Gwen.

Lei rise -Ma non li conosco! Non ascolto musica dall'ultima guerra!-

-Davvero?! Ma allora dobbiamo rimediare- afferrai i primi tre dischi che mi capitarono in mano e, senza guardarli, glieli porsi -Avanti,prendine uno.-

Lei chiuse gli occhi, divertita, e puntò il dito a caso su uno dei tre.

Lo sollevai davanti ai suoi occhi -Abbey Road dei Beatles. Ottima scelta, sei una buongustaia!-

Lei arrossì un po', mentre io mettevo il vinile sul giradischi e ci appoggiavo sopra la puntina. Scelsi una canzone ben precisa.

Something in the way she moves, attracts me like no other lover...

Gwen spalancò la bocca, in un misto di stupore e fascino. Mi chiesi come doveva essere sentire per la prima volta della musica se sei nato in un mondo dove l'unico suono che senti è quello delle bombe che ti cadono sulla testa.

Cominciammo entrambi a muovere la testa a tempo. Chiuse gli occhi, mentre io la guardavo.

Something in the way she woos me... I don't wanna leave her now, you know I believe and how...

Il riff di chitarra le fece aprire gli occhi -Oddio, Duncan, guarda! Ho la pelle d'oca, è normale?-

-Con questa canzone, si.-

You're asking me will my love grow, I don't know, I don't know...

Ascoltammo tutto l'album. E poi un altro. E un altro ancora. Passammo così il pomeriggio, e fui felice di notare che Gwen era entusiasta.

Verso sera qualcuno bussò alla porta. Fermammo immediatamente la musica e Gwen nascose il giradischi sotto alle mie lenzuola.

-Che stai facendo?-

-Non avrei dovuto portarlo qui dentro, in teoria... ho detto che era attrezzatura militare...- mi rivolse uno sguardo colpevole.

-E d'accordo- sorrisi -Sarà il nostro piccolo segreto-

Trent entrò dalla porta, portando un vassoio pieno di cibo. Finalmente mi era tornato l'appetito e lui ne era molto contento.

-Buonasera... oh, ciao Gwen!- esclamò, vedendola seduta lì. Appoggiò distrattamente il vassoio sul mio letto, proprio sopra al giradischi. Fortunatamente era troppo preso da lei e non se ne accorse.

-Trent, che bello rivederti!-

Si abbracciarono forte, poi lui le sussurrò qualcosa all'orecchio e lei sorrise dolcemente.

-Trent,- mormorò -non ora...-

Mi sentii trapassare da una fitta di gelosia che coprì persino il continuo dolore della mia gamba.

Che cosa stupida. Smettila di essere geloso di una ragazza che conosci appena. Sei quasi sposato, porca puttana.

-Noi dobbiamo andare- le parole di Gwen interruppero i miei pensieri.

-Oh, ma certo. Ci vediamo un'altra volta.-

Uscirono dalla camera insieme, mano nella mano. E io rimasi solo con i miei dischi e un grande peso nel cuore.

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Capitolo 6
*** All Apologies ***


Gwen veniva da me tutti i giorni. Ogni giorno ascoltavamo un disco diverso e chiacchieravamo di qualsiasi cosa ci venisse in mente. A volte parlavamo di cose talmente stupide che ci piegavamo in due dalle risate. Cominciai a diventare dipendente dalla sua presenza, e quando non c'era non facevo che pensare a lei. Persino DJ doveva aver notato quant'ero distratto, ma non diceva niente perché aveva già abbastanza problemi per conto suo.

E, un bel giorno, quei problemi diventarono anche miei.

DJ convocò un'assemblea con tutti, proprio tutti, i ribelli. Un centinaio di giovani ragazzi, pressapoco tutti dai 18 ai 35 anni. Bridgette mi accompagnò alla sala delle riunioni, anche se ormai riuscivo a camminare anche da solo. Entrammo fra gli ultimi, e l'intera platea si girò a guardarmi, molti con curiosità, ma la maggior parte con diffidenza. Tenni lo sguardo fisso davanti a me, con l'ombra di un sorriso sul volto. Per qualche strano motivo quella situazione mi divertiva. DJ mi fece segno di sedermi accanto a lui, e io ubbidii in silenzio.

-Signori, vi presento l'uomo di cui avrete di sicuro sentito parlare...- mi indicò -... Duncan Cooper.-

Feci il saluto militare con la mano -Ciao, belli.-

Sentii qualcuno ridere in mezzo al pubblico. Non potevo sbagliarmi, era la risata di Gwen.

DJ si schiarì la gola, fulminandomi con lo sguardo. -Ad ogni modo, Cooper è qui per aiutarci a distruggere la Minaccia C-

Per poco non scoppiai a ridere. Non lo feci perché sapevo che se no dopo mi sarei messo anche a piangere. 5 anni con una persona non sono facili da cancellare, anche se quella persona è una pazza psicotica.

-Ecco il nostro piano.-

DJ premette un pulsante e fece apparire l'ologramma di una mappa.

-Figo- mormorai.

-Il punto dove ci troviamo è questo, mentre qui c'è il castello di C.-

Castello. Ma naturalmente. Con l'ego che si ritrova la mia quasi-moglie, non poteva fare altro che abitare in un castello. Come una principessa, sorrisi.

-E' piuttosto lontano. Ma una truppa potrebbe scortarti lì, Duncan.-

Mi voltai di scatto verso di lui -Scortarmi? Vuoi dire che io devo andarci?-

-Certamente.-

-Cristo, DJ, l'ho mollata sull'altare, se mi vedesse mi strangolerebbe!-

Gwen rise ancora, ma cercò di controllarsi. Questo non fece che farla ridere ancora di più. DJ scosse la testa imbarazzato.

-Ehm, Duncan... non è il momento adatto per scherzare.-

-D'accordo, ho capito.- annuii.

-Dunque, il nostro piano è di infiltrarti nel castello e ottenere la sua fiducia.-

-Cosa?! E cosa ti fa pensare che si fiderebbe di me?!-

Questa volta tutto il pubblico rise, anche se io non avevo fatto nessuna battuta. Rise persino DJ. Non era bello che tutti sapessero più cose di me. Soprattutto se queste cose riguardavano me stesso.

-E' risaputo che lei è ancora innamorata di te. Non ti ha mai dimenticato. Soprattutto da quando...- deglutì, improvvisamente pallido -... da quando ti ha ucciso.-

Tutti si zittirono. Io aprii la bocca per dire qualcosa un paio di volte, ma non mi venne niente. Non mi preoccupavo più di tanto, aveva ucciso il me del passato. Poi però ripensai alla conversazione con Gwen.

(Anch'io ho una sorella,sai? Si chiama Shirley, ha 5 anni. Ma lei si trova nel passato, potrebbe non essere nemmeno più viva adesso.)

Non era esattamente la cosa migliore chiederlo in pubblico, ma non poteva aspettare.

-DJ, cos'è successo a mia sorella? E ai miei amici?-

Silenzio di nuovo. Dio, quanto odiavo quel silenzio.

Fu Noah a rispondere -Ecco... noi non ne sappiamo molto, ma poco tempo dopo che ebbe vinto le elezioni, C...-

-Potete chiamarla Courtney? Per favore.-

-Si, ecco, Courtney fece incarcerare tutta la gente che era stata presente al vostro matrimonio, ovvero la sua più grande umiliazione, e loro vennero... ecco...-

-... uccisi?- suggerii, con un groppo in gola.

Noah annuì lentamente, fissandomi con uno sguardo pieno di pietà che non riuscivo a sopportare.

La testa mi girava. Mi alzai in piedi e dovetti appoggiarmi al tavolo per qualche secondo per non cadere.

DJ si alzò subito dopo di me -Cosa fai??-

-Ho... ho bisogno d'aria...- annaspai, e attraversai velocemente la sala, diretto all'uscita.

Quando ero ormai alla porta, DJ mi urlò -Non abbiamo ancora finito qui!-

Io gli mostrai il dito medio senza nemmeno girarmi e sbattei la porta alle mie spalle.

 

Tornai in camera senza nemmeno avere bisogno delle stampelle e puntai subito al letto. Frugai nel materasso per qualche secondo finché non riuscii a tirare fuori ben cinque pillole, più del doppio della mia razione normale. Ma non mi importava. E se questa dose mi uccidesse? Nemmeno questo mi importava. Anzi, tanto meglio. Tutte le persone che avevo amato erano a quel matrimonio. Ed erano tutti morti. Shirley se n'era andata. Non era nemmeno riuscito ad essere un bravo fratello. Come al solito, non ero bravo in niente.

Guardai le pillole e poi le ingoiai rabbiosamente. Mi lasciai cadere su una poltrona e, piano piano, scivolai via.

 

-Ehi, Ducky?-

-Mmh?-

-Tu mi vuoi bene, vero, fratellone?-

-Ma certo che ti voglio bene! Che domande sono?-

-E perché la mamma e il papà non mi vogliono bene?-

-Non è vero che non ti vogliono bene, però... è solo che... non sono bravi a dimostrare il loro amore, tutto qui.-

-Però tu e papà vi volete bene?-

-Perché me lo chiedi?-

-Perché vi urlate sempre contro.-

-Beh... abbiamo pareri diversi, e allora ne discutiamo.-

-Anche la mamma e il papà hanno pareri diversi?-

-La mamma e il papà?-

-Si, loro urlano quasi quanto te e il papà.-

-Si, anche loro hanno pareri diversi.-

-Ducky?-

-Dimmi, Shirley.-

-Puoi abbracciarmi?-

-Ma certo, zuccherino.-

 

Stavo per abbracciarla quando qualcuno mi scosse violentemente.

-Duncan! Duncan!-

Non volevo aprire gli occhi. Volevo rimanere nel mio sogno. Lì la mia vita era quella di prima, lì tutti erano felici.

-Duncan APRI GLI OCCHI!-

No,non voglio.

-APRI QUEI CAZZO DI OCCHI!-

Perchè dovrei farlo? Non ha più senso ormai.

-NON AZZARDARTI A MORIRE!-

Mi sento così solo...

Uno schiaffo mi colpì in pieno viso. E poi un altro. E di nuovo. E di nuovo.

No, no, no! Lasciami andare!

Ma gli schiaffi continuavano. Cominciai a sentire un singhiozzare sommesso. Gwen?

Non mi accorsi di averlo detto a voce alta.

-Si, si brutto idiota, sono io! E adesso svegliati, abbiamo ancora un sacco di dischi da ascoltare!-

Aprii gli occhi proprio nel momento in cui lei mi abbracciava, stringendosi contro di me. Affondai il viso nei suoi capelli, respirando il suo profumo di vaniglia.

-Non puoi... lasciarmi... da sola...- i singhiozzi aumentarono.

Feci molta fatica ad alzare il braccio, mi sembrava che fosse di piombo, ma lo feci ugualmente, e gli posai una mano sulla tasta, accarezzandola delicatamente.

Lei si bloccò, come se si fosse pietrificata, e si sciolse dall'abbraccio,indietreggiando un po', finché non ci guardammo dritto negli occhi, i nostri nasi che quasi si sfioravano. Il trucco nero le era colato sulle guance, facendo sembrare i suoi occhi scuri più grandi che mai. Io invece ero sudato e ansimavo dalla fatica di rimanere sveglio. Continuò a fissarmi per un tempo infinito, con il mento che tremava ancora per il pianto. Avrei potuto baciarla. Sarebbe stato il momento giusto. Avrei potuto baciarla. Ma non lo feci. E non perché non avessi forze, ma perché la amavo. Perché quel pomeriggio mi ero accorto di quanto fossi capace di distruggere ogni cosa a cui tenevo. Quindi, per quanto mi fosse difficile, dovevo dimenticare Gwen e restare solo. Solamente in questo modo non avrei più causato danni a nessuno.

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Capitolo 7
*** Soothe My Soul ***


Dopo l'”incidente” con le pillole non parlavo più con nessuno. Non rispondevo alle domande, non facevo più battute, non commentavo più l'assurdo taglio di capelli di una delle infermiere. Capivo di essere sotto shock, e mi andava bene. Nell'ultimo periodo tutti avevano cominciato a trattarmi come un malato mentale. La dose delle pastiglie era stata leggermente ridotta, ma continuavano a darmele e io non ero quasi mai sveglio. Mi stavo riprendendo fisicamente, ma stavo peggiorando mentalmente. L'intera situazione mi stava letteralmente mandando fuori di testa. Spesso chiudevo la mia porta a chiave per non far entrare nessuno e restavo per ore a fissare il soffitto. Non avevo più voluto vedere Gwen, e questa era la cosa che faceva più male. Soprattutto perché sapevo che le dispiaceva. Ma dopotutto lo facevo per il suo bene.

Purtroppo però le cose non vanno sempre come hai programmato.

Una mattina DJ entrò nella mia stanza come una furia. Spalancò la porta e sbraitò -Giù dal letto!-

Io, che avevo preso le pillole poche ore prima, ci misi un po' a capire cosa stesse succedendo.

-DJ, che fai... vattene da qui...- mugugnai, girandomi con la faccia nel cuscino.

-No che non me ne vado! E' venuto per te il momento di riprenderti, bello mio!- si sfregò le mani -Oggi fai un po' di ginnastica-

Sollevai un po' la testa,quanto bastava per riuscire a parlare e guardarlo negli occhi -Senti, non ho mai fatto più di un po' di jogging in vita mia e di sicuro non comincerò adesso.- mi lasciai nuovamente cadere a faccia in giù.

Ma DJ non si arrese. Con un gesto secco mi fece rotolare giù dal letto, e io caddi lungo disteso a terra con un tonfo. Urlai di dolore.

-Fai meno la lagna, soldato. So che stai bene adesso, Bridgette mi ha detto che sei quasi guarito.-

-Vaffanculo!-

Dopo che ebbi continuato ad insultarlo per un po' e mi fui infilato la divisa militare che DJ mi aveva portato, ci incamminammo verso la palestra. Gli tenni il broncio ma non sembrò funzionare molto. Quando finalmente arrivammo, avevo già il fiatone. Ero fuori allenamento. Come pretendeva che potessi fare ginnastica?

La palestra si trovava in uno degli strati più alti del rifugio, quasi in superficie. L'interno era freddo e sporco, con pochi attrezzi ma molto spazio. Un gruppo di qualche decina di giovani ragazzi e ragazze stava in piedi al centro della sala, chiacchierando tranquillamente.

DJ gli si piazzò davanti, attirando la loro attenzione con un colpo di tosse. Il gruppo si mise in riga frettolosamente.

-Questa mattina Cooper ci onorerà con la sue presenza durante l'allenamento.-

Liquidai quell'affermazione con un grugnito seccato e un gesto della mano.

I ragazzi mi guardavano straniti: innanzitutto perché avevano assistito alla mia fuga dalla riunione qualche giorno prima, e in secondo luogo perché avevo davvero un aspetto terribile, peggio di uno zombie. La mia pelle era pallida come se non vedessi il sole da mesi (che in fondo era quasi vero) e avevo delle occhiaie violacee da far paura sotto gli occhi. In più, anche se ero sempre stato magro, in quel periodo ero diventato veramente pelle e ossa. E di sicuro la mia espressione infastidita per essere stato buttato giù dal letto la mattina presto non migliorava il mio aspetto.

Incrociai le braccia e presi a guardarmi intorno, non ascoltando intenzionalmente le parole di DJ.

-... e allora vediamo cosa sa fare Cooper. Stamattina cominceremo con dei duelli corpo a corpo, mettetevi a coppie.-

A quel punto mi voltai di scatto, quasi istintivamente.

Io cosa?! Non si aspetterà che duelli con uno di questi ragazzini!

Tutti cominciarono ad affannarsi, andando in cerca di qualcuno con cui fare coppia. Io rimasi paralizzato di fianco a DJ.

-Questo non era nei patti!-

-Non c'erano patti.-

-DJ, perchè mi fai questo?- lo guardai con espressione sofferente.

Lui ghignò -Ehi, non essere così pessimista. Certo, loro si allenano per fare la guerra da tutta la vita, ma tu potresti essere inaspettatamente bravo.-

Mentre mi trattenevo dal mandarlo a quel paese di nuovo, qualcuno mi si avvicinò.

-Ti va di fare coppia con me?-

Mi girai di scatto, nuovamente infastidito. Era Gwen. Il mio cuore fece una capriola.

-I-io... non saprei...-

-Oh, avanti, muoviti, non ho tutto il giorno.- mi prese per un braccio, trascinandomi verso un lato della palestra. Lanciai uno sguardo di supplica a DJ, ma lui se n'era già andato ridacchiando.

Gwen si mise a fare un po' di stretching, così la imitai. Dopo qualche minuto di silenziò lei parlò.

-Allora, si può sapere perché non hai più voluto vedermi?-

Sospirai -Gwen, dobbiamo parlarne proprio ora...?-

-Si. Prima che tu sparisca di nuovo nel nulla.- non mi guardava nemmeno in faccia, ma si vedeva che stava ribollendo di rabbia. Il suo viso era leggermente arrossato e aveva le labbra contratte in una smorfia. Pensai che anche così era molto carina e dovetti trattenermi dal prendermi a schiaffi da solo.
Smettila di comportarti come un adolescente innamorato.

Si mise davanti a me, le gambe ben piazzate a terra, le braccia contro il busto e i pugni pronti.

-Senti, riguardo a questo duello... non mi va proprio di farlo, potrei farti male...-

Gwen scoppiò a ridere, poi mi fissò seria -Tu? Male a me?-

Una vampata di rabbia mi travolse. Ma chi si credeva di essere? E va bene, facciamolo. Mi misi anche io in posizione.

Lei sembrò soddisfatta. Cominciammo a girare in tondo, squadrandoci.

-Cercherò di fare piano, d'accor...-

Prima che potessi finire la frase lei mi tirò un destro. Lo evitai per un pelo.

-Ehi!- esclamai, indignato.

-Meno chiacchiere e più lotta.- era molto seria.

Mi feci prendere di nuovo dalla rabbia. Perché si comportava così? Mi infastidiva di proposito.

Cercai di sferrarle un pugno ma lei lo evitò e rapidamente mi colpì sulle costole. Mi si bloccò il fiato e mi piegai in avanti per qualche secondo. Gwen approfittò di quei pochi secondi e mi colpì di nuovo, stavolta dritto in faccia. Il dolore fu tanto forte da farmi vedere le stelle. Caddi a faccia in giù per terra, a peso morto.

Lei mi si avvicinò con le braccia sui fianchi, e piegò la testa di lato con un sorrisetto. Intanto un capannello di persone ci aveva circondati. Mi girai a pancia in su, gemendo.

Gwen si accovacciò accanto a me. Si sistemò una ciocca dietro ad un orecchio, continuando a guardarmi con quel suo sorriso impertinente.

-Farmi male, dicevi?-

Roteai gli occhi -Beh...- di scatto le afferrai il braccio e la tirai verso di me con uno strattone. Dopodiché rotolai verso destra, in modo che lei fosse sdraiata sotto di me e io potessi tenerle le braccia ferme. Rimanemmo fermi così qualche secondo. Sul suo viso riuscivo a leggere sorpresa e anche un briciolo di paura. Molto bene.

Mi avvicinai a lei finché non riuscii a sentire il suo respiro affannato sulla pelle -... mai abbassare la guardia, zuccherino.-

Lei deglutì, tenendo gli occhi spalancati fissi nei miei. Ghignai, come aveva fatto lei poco prima -Meno chiacchiere e più lotta, dicevi?-

Mi alzai in piedi, lasciandola a terra, immobile, e mi avviai verso DJ.

-Abbiamo finito qui?-

Ciao a tutti! Mi dispiace, non ho aggiornato per un sacco di tempo, ma ho avuto una settimana piena di impegni. :c Comunque sono tornataaa *festeggia* Et voilà, il capitolo eccolo qua (?) fatemi sapere la vostra opinione! :3

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Capitolo 8
*** Tell Me Why ***


L'allenamento finì qualche ora dopo, ma io me ne andai prima, perché il dolore alla gamba aveva ricominciato a farsi sentire. E poi ero stufo delle occhiate piene d'odio che mi lanciava Gwen. Presi a gironzolare per il rifugio, cercando di passare il tempo. Le infermiere e i dottori non facevano caso a me, impegnati com'erano, ma mi fece bene stare un po' in mezzo alla gente. In effetti era stato il duello con Gwen a farmi stare meglio, per qualche motivo. Forse perché finalmente l'avevo rivista, anche se mi ero ripromesso di non farlo. Ma era colpa di DJ, non mia. Arrivai nello studio di DJ e, vedendolo vuoto, entrai furtivamente. Come l'ultima volta era molto ordinato e arredato spartanamente. Le pareti erano tappezzate di mappe costellate di puntine per segnare zone precise. Al lato opposto della scrivania si trovava un armadio scassato e mezzo vuoto. Mi sedetti sulla sua poltrona e appoggiai le gambe sul tavolo, incrociando le braccia dietro alla testa. Mi osservai in uno specchio appoggiato alla parete. Gongolai, pensando che la divisa militare mi stava proprio bene, ma subito dopo sospirai immaginando il livido che mi sarebbe venuto nel punto in cui Gwen mi aveva colpito. Mi faceva ancora male. Annoiato, esaminai la scrivania: c'era qualche foto incorniciata che lo ritraeva in divisa, come quella che indossavo io ora assieme a tutti gli altri ragazzi che si stavano ancora allenando. Doveva essere stato un militare già prima di fondare il gruppo dei ribelli. Ecco perché era così diligente e rigido, aveva passato la vita a combattere. Pensai che doveva essere una cosa normale per i ragazzi giovani in tempi come quelli. Quel pensiero mi rattristò, facendomi sentire anche in colpa, ma poi sorrisi. Certo, DJ doveva avere solo trent'anni, ma in quelle foto era proprio un ragazzino. Rovistai un po' in mezzo alle sue carte, con disinteresse. Vidi qualcosa di colorato e lo tirai fuori. Era anch'essa una foto, probabilmente scattata qualche anno prima, ma in questa oltre a DJ c'era anche Bridgette, e sorridevano.

-Oh-oh, il nostro omaccione si è preso una cotta- lo canzonai.

Sentii le voci di qualcuno che si stava avvicinando. Mi affrettai a rimettere la foto dove l'avevo trovata e cercai con lo sguardo un nascondiglio.

Merda. Merda merda merda.

Corsi dentro l'armadio e mi ci chiusi dentro, sperando di non aver fatto troppo rumore.

-... è soltanto un po' scioccato, tutto qui!- era la voce di DJ.

-Capisco, ma questa è una questione di immagine. Tra i ragazzi gira voce che abbia cercato di suicidarsi, credi che questo gli sollevi il morale? Credi che abbiano ancora fiducia in lui? Queste cose non danno coraggio ai nostri soldati. Sono ragazzini che dovranno combattere una guerra, DJ. Molti di loro sanno già che dovranno morire.- non riconoscevo questa voce, ma mi accorsi che stavano parlando di me. Provai una fitta di vergogna.

-Avanti, come avresti reagito tu se avessi passato tutto quello che ha passato Duncan?-

-Sicuramente meglio di lui.-

-Ma stai zitto, Brick, te la saresti fatta addosso.-

Brick tossicchiò, imbarazzato, ma non lo contraddisse. Dopotutto DJ era il suo superiore.

-Dobbiamo dargli il tempo di rimettersi e poi completerà la missione a meraviglia, vedrai.-

-Come fai ad esserne certo?-

-L'hai visto oggi. Anche se non era al massimo delle sue forze ha steso Gwen, una delle nostre migliori soldatesse.-

-Si, dopo che lei ha steso lui.- non riuscivo a vedere Brick, ma immaginai che stesse alzando gli occhi al cielo.

-Non è questo il punto: l'ha battuta in astuzia. E lei non è affatto sciocca. E poi non dubitare della sua forza. Unicamente una settimana dopo il suo arrivo qui, è riuscito ad alzarsi in piedi e venire fino al mio ufficio dalla sua stanza. Bridgette mi aveva detto che le sue ossa erano in pessime condizioni, ma lui ce l'ha fatta lo stesso. E' molto, molto forte.-

Qualche secondo di silenzio.

-D'accordo DJ, mi fiderò di te. Ma dobbiamo fare in fretta ad attuare il piano: ogni giorno che passa qualcuno in più muore.-

Pensai al vecchio pestato a sangue dai Grigi in mezzo alla strada, e mi venne la nausea.

DJ annuì gravemente. Dopodiché si salutarono e sentii Brick uscire dalla stanza. Aprii un poco l'anta dell'armadio. DJ era andato a sedersi alla sua scrivania. Lo vidi alzare davanti agli occhi la foto sua e di Bridgette, sorridere, e poi nasconderla in un cassetto. Si mise a esaminare alcune scartoffie.

Richiusi l'anta. Wow, DJ mi aveva davvero difeso. L'avevo sottovalutato, in realtà era un gran bravo ragazzo. Ma davvero i giovani soldati non si fidavano di me? Effettivamente non avevo fatto molto per apparire loro come “quello che avrebbe salvato il mondo”. Anzi, mi ero comportato proprio come un codardo. Non mi presi a pugni soltanto perché non avevo abbastanza spazio per farlo. Decisi che d'ora in poi mi sarei comportato diversamente. Dovevo lasciare tutto il dolore alle spalle, smetterla di fare la vittima. Ora che sapevo quanto la situazione fosse terribile, avevo l'obbligo di prendermi le mie responsabilità.

Per una volta nella vita, pensai.

Quando ormai le mie povere ossa non ne potevano più di stare in quell'armadio, DJ si alzò e uscì fischiettando. Crollai fuori, inciampando per terra, e, dopo aver sgranchito un po' le gambe, corsi fuori nel corridoio, attento a non farmi vedere. Decisi di fare due passi, per schiarirmi le idee. Cominciai a girare per i corridoi, senza nemmeno guardare in che direzione stavo andando. La mia testa era piena di pensieri, le mie gambe di muovevano da sole. Ma poi qualcuno mi spinse brutalmente contro al muro. Gemetti, ma mi teneva fermo contro alla parete. Lo misi lentamente a fuoco.

-Gwen?! Che cazzo fai?!-

-Si può sapere perché mi hai umiliata così, stamattina?!- ruggì.

Sbuffai -Ma se sei stata tu che mi hai steso con un pugno!-

-Sei uno stronzo.-

-No, senti, io...-

-Siete tutti uguali.-

La guardai, confuso -Cosa? Se è per stamattina...-

-Sai che non sto più parlando di quello.-

Rimanemmo in silenzio, fissandoci negli occhi. E ora come le rispondevo? Mi sarei sentito stupido a dirle la verità, ma dovetti farlo.

-Gwen, tu sei una brava persona. Ed è per questo che ho deciso che dobbiamo stare lontani.-

-Ma non ha senso!- lei mi lasciò andare e alzò le braccia verso al soffitto.

-Si che lo ha.- scossi la testa -Non vedi quello che faccio? Non lo vedi? Mia sorella, il mio migliore amico, mia madre... tutti morti. Senza contare tutti quelli che non sono sopravvissuti alle guerre. E indovina di chi è la colpa? Mia. Perché non so prendermi le mie responsabilità.-

-Stai zitto.-

Spalancai gli occhi. Non era di certo la reazione che mi aspettavo.

-Basta, sono stanca di soffrire. Non perderò anche te.- prese un bel respiro e poi parlò -Devi smetterla di autocommiserarti. Basta, non è colpa tua. Sai quante volte capita che qualcuno annulli il proprio matrimonio all'ultimo momento? Ti è solo capitata la sfortuna di essere fidanzato con una psicopatica. Sai, le persone non si conoscono mai del tutto.- si rabbuiò -Ricordi cosa ti ho detto qualche giorno fa, mentre ti prendevo a schiaffi per farti risvegliare?-

-Hai detto “Non puoi lasciarmi da sola”-

Lei annuì gravemente -Esatto. E sai perché te l'ho detto? No che non lo sai. Perché tu sei qui da un mese, non puoi sapere cosa si prova a vivere qui. Non ho amici qui, oltre a Trent, tutti sono così seri, così presi dalla guerra...- sembrava sull'orlo delle lacrime.

La capivo, perché io mi sentivo esattamente nello stesso modo. E mi accorsi anche che, per quanto avessimo parlato negli ultimi giorni prima dell'”incidente”, non sapevo niente di lei.

Di colpo la abbracciai. Lei rimase rigida, stupita, tra le mie braccia per qualche secondo. Poi ricambiò l'abbraccio con incredibile calore.



Buonasera/buongiorno a tutti! Scusate, questo capitolo è un po' corto, ma rimedierò con i prossimi, spero che vi piaccia comunque :3

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Capitolo 9
*** Barrel Of A Gun ***


Tornammo nella mia stanza e parlammo a lungo.

Gwen era nata in una piccola famiglia composta da madre, padre e un fratellino quando la guerra era già cominciata da ormai trent'anni. Da tempo avevano perso contatti con i parenti, senza sapere nemmeno dove fossero finiti. Nei suoi primi anni di vita la guerra era continua, in tutto il mondo. Le città venivano bombardate quasi tutti i giorni, i Grigi razionavano il cibo della popolazione nelle città e qualsiasi trasgressore delle dure leggi di Courtney veniva fucilato pubblicamente. La gente moriva di fame per strada o in casa, per i pochi fortunati che avevano un tetto. Ma era stato quando Gwen aveva compiuto 13 anni che erano cominciati i veri problemi. Il padre era l'unico lavoratore tra i due genitori. Era un medico,e curava i feriti e i malati negli accampamenti dei ribelli.

-Era un uomo fantastico. Ci preparava frittelle a colazione tutte le domeniche, ci raccontava favole prima di dormire e ci cantava canzoni allegre per non farci spaventare quando eravamo rintanati in cantina durante i bombardamenti. Ma si era messo nei guai, aiutando quei ribelli. Courtney doveva avere scoperto questi movimenti di ribellione e aveva deciso di sopprimerli, partendo dalle figure più fondamentali. E i medici erano tra queste. E' successo una mattina. Io ero in giardino sull'altalena e lui mi stava spingendo. Era una delle poche ore al giorno in cui potevamo stare all'aperto. Ad un certo punto, però, mio padre è caduto a terra. Un cecchino gli ha perforato il cervello con una pallottola.-

Sua madre non era più riuscita a trovare lavoro e, per un lungo periodo, avevano rischiato di morire di fame. Poi dei ribelli, che perlustravano una zona in cerca di sopravvissuti dopo un bombardamento, li avevano trovati e aiutati, portandoli nel loro covo. Al tempo c'erano molti gruppi di ribelli sparsi per tutta la nazione. Li avevano nutriti, vestiti e gli avevano trovato persino un posto in cui abitare, un posto sicuro fuori dalla città. Ed era stato in quel momento che Gwen aveva deciso che, appena fosse stata abbastanza grande, si sarebbe arruolata nei ribelli. Voleva diventare come loro. Ma poco dopo il loro trasferimento nella nuova casa, che alla fine era un enorme condominio per sfollati, era scoppiata l'ultima guerra, e il gruppo di ribelli che li aveva aiutati era stato spazzato via, insieme a molti altri.

-Fortunatamente a 18 anni ho trovato DJ e tutti gli altri. Mi hanno accolta, e ormai sono qui da due anni, mentre la mia famiglia è rimasta laggiù, fuori città. Appena posso vado a trovarli, ma è difficile trovare un passaggio fuori città. La gente ha paura anche solo ad uscire di casa.-

Mi raccontò che la situazione non era cambiata, era rimasta la stessa per cinquant'anni. Io le credevo. Tutte le storie dei bombardamenti, le guerre... erano credibili, perché avevo visto quello che succedeva fuori dal rifugio. E mi rendeva immensamente triste, perché mi sentivo in colpa. Ma mi faceva provare anche una gran rabbia. E si rafforzò in me la decisione di dover fare qualcosa, di dover cambiare il destino di questa gente. Avrei vendicato Shirley, e anche il padre di Gwen.

-Non posso credere che Court abbia fatto tutto questo- commentai incredulo, alla fine del suo racconto -Voglio dire, è sempre stata un po' isterica, ma psicopatica...-

Gwen si sistemò a gambe incrociate davanti a me, sul mio letto.

-Ah si? E com'era? Sono curiosa di saperlo, sui libri di storia raccontano solo della Courtney cattiva, quella che ha perso la testa, ma mai di quella umana, quella che aveva un fidanzato e una famiglia...-

Appoggiai la testa contro al muro e alzai lo sguardo sul soffitto, pensoso.

-Era una ragazza fantastica. Carismatica, intelligente, bella... sapeva relazionarsi con la gente. A scuola era la presidentessa di un'infinità di circoli e club, era una cheerleader e la prima della classe, se non della scuola. Quando ci siamo conosciuti avevamo quindici anni. Al tempo io ero un adolescente e uno spaccone, ci provai con lei solo perché era bellissima.- sorrisi al pensiero -Fu il mio amico Geoff a presentarci ad una festa. Ma lei non mi considerava neanche di striscio. Per me era uno scherzo, un gioco. Poi a diciotto anni è successa...- mi bloccai, poi scossi la testa -... una cosa, e ci siamo innamorati. E, indovina un po'?, quattro anni dopo abbiamo deciso di sposarci.-

Gwen mi guardò interrogativa perché avevo saltato una parte della storia, ma decise di non fare domande.

-Doveva essere davvero innamorata di te, visto come ha reagito dopo che l'hai lasciata.-

-Ma io non l'ho mai lasciata!- esclamai -E' solo che... non ero pronto per il matrimonio, tutto qui. E non lo sono ancora adesso. Sono un irresponsabile, un egoista, un bambino, non sono adatto al matrimonio.-

Gwen rise di gusto, poi mi lanciò nuovamente un'occhiata curiosa -E com'era la vita ai tuoi tempi? Fa effetto pensare che sei nato più di cinquant'anni fa.-

Gli raccontai dei computer, di internet (che, stando a quanto mi disse lei, non esisteva più nel 2063, così come le televisioni), dei concerti, delle giornate al mare, delle feste e tutto quello che mi veniva in mente. E vedere il suo stupore così sincero quasi mi commosse. Non mi ero accorto di quanta nostalgia provassi.

-Davvero hai rubato in un negozio con il tuo amico Geoff?-

-Oh si, più di una volta.-

-Davvero? Wow, che trasgressivi.- disse, con un briciolo di ironia.

Io risi, ma ero distante, la testa persa nei ricordi.

-Ti manca Geoff?-

-Non sai quanto. Non posso pensare che sia morto.- rabbrividii.

Restammo entrambi zitti per alcuni minuti, pensosi.

Poi Gwen mormorò -Potremmo portarlo indietro.-

-Cosa?-

-Il tuo amico, potremmo portarlo qui. Non possiamo fare niente per tua sorella Shirley, è troppo piccola e la macchina del tempo la ucciderebbe, ma Noah l'ha sistemata e ora può trasportare un adulto alla volta senza che soffra qualcosa di più di una nausea.-

Mi sentii invadere dalla gioia e un enorme sorriso mi sbocciò sulle labbra.

-Dici sul serio?-

Gwen arrossì un poco -Certo. Ma solo lui, perché se portassimo via molta gente potremmo alterare troppo la storia e sarebbe un guaio, me l'ha detto DJ.-

Balzai in piedi, pieno di energia.

-Allora che aspettiamo? Andiamo a chiamare Noah!-

Gwen scoppiò a ridere -Ehi, frena! Innanzitutto, dovresti chiedere il permesso a DJ prima di fare qualsiasi cosa.- io sbuffai, facendo un gesto poco elegante con le mani -Secondo,- continuò lei, non senza un'altra risata -hai visto che ora si è fatta?-

Alzai lo sguardo sull'orologio appoggiato al comodino: era l'una del mattino.

-Oh cazzo- mi lasciai sfuggire.

-Non ti preoccupare, ci penseremo domattina.-

Le sorrisi, grato, e mi sedetti di nuovo accanto a lei. Ci addormentammo solo alle tre del mattino, l'uno appoggiato sulla spalla all'altra.

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Capitolo 10
*** Unnatural Selection ***


Aprii gli occhi e sbadigliai, con la bocca impastata. Girai di poco la testa, solo per assicurarmi che quello che ricordavo della sera prima fosse vero. Gwen era appoggiata sulla mia spalla e aveva gli occhi chiusi, i capelli che le ricadevano disordinatamente sulla fronte e le coprivano il viso. Glieli scostai con gentilezza e lei mugugnò, ma non si svegliò. Sarei potuto rimanere così tutta la vita, ma dovetti alzarmi, stando bene attento a non svegliarla. Mossi qualche passo verso la porta e la aprii, per poi richiuderla silenziosamente alle mie spalle. Ma meno silenziose furono le urla del tizio dietro di me.

-Soldato! Sull'attenti!-

Feci un balzo, spaventato, e feci rigidamente un saluto militare, voltandomi di scatto. Davanti a me c'era il viso rosso di rabbia di Brick, che sembrava stesse per esplodere da un momento all'altro.

Mi rilassai -Ehi, buenos dìas.-

Questo non fece che alterarlo ancora di più -Sono il tuo superiore, cristo santo! Trattami con un po' di rispetto!-

Cercai di assumere un'espressione seria mentre rispondevo, poco convinto -Sissignore.-

Dallo sguardo di Brick vidi che si stava trattenendo dallo strangolarmi, e decisi che per il momento lo avevo stuzzicato abbastanza.

-Stamattina non sei venuto all'allenamento! Non credere che il fatto che tu sia Duncan Cooper ti esoneri dall'obbligo di frequentarlo, soldato.-

-Non lo credo, signore.-

-E perché non sei venuto?-

Cercai una scusa valida, ma rinunciai dopo poco. Oh, al diavolo. -Ho avuto dei problemi signore.-

-Che genere di problemi?-

Mi cimentai nel sorriso più brillante che riuscissi a fare -Del genere che avevo sonno, signore.-

Per qualche secondo Brick rimase a bocca aperta, incredulo. Poi il suo viso divenne nuovamente rosso, mentre la vena sulla sua tempia tornava a pulsare. Ed eccolo di nuovo ad urlarmi contro, mentre io mi trattenevo a malapena dal ridere. Fortunatamente pochi secondi dopo DJ accorse in mio aiuto.

-Ehi, ragazzi, che sta succedendo qui?- ci chiese, spostando il suo sguardo severo su ognuno di noi.

-Cooper è mancato all'allenamento, signore.- rispose Brick, diligentemente.

Questa volta lo sguardo severo cadde solo su di me -E' vero, Duncan?-

Io alzai le spalle in modo così innocente che riuscivo quasi a sentire l'aureola fluttuarmi sulla testa.

DJ sospirò, massaggiandosi le tempie -Duncan, non puoi mancare all'allenamento del mattino, è importante che tu sia in forma per la missione. Hai solo un mese per prepararti.-

-Lo so, lo so- mi affrettai ad giustificarmi -Ma... ehm...- che cosa potevo dire? Non volevo che dessero la colpa a Gwen.

-Lascialo stare, è colpa mia.-

Mi voltai. La porta della mia stanza era aperta e sulla soglia c'era proprio Gwen, con un'espressione seria sul volto.

-No, non è vero, io...- cercai di contraddirla, ma lei mi interruppe.

-Lascia stare, Duncan. DJ, mi dispiace, ma l'ho annoiato tutta la notte con le mie chiacchiere e stamattina non si è svegliato. E' colpa mia.- ripeté.

DJ ci guardò entrambi per qualche secondo, poi abbassò la testa, riflettendo, e Gwen mi fece l'occhiolino, mentre io rimasi imbambolato a fissarla. Perché lo stava facendo?

DJ rialzò la testa -E va bene, fa niente.-

Come?!

-Ma signore...- protestò Birck.

-Niente ma. Puoi andare Brick, qui hai finito.-

Brick girò sui tacchi e se ne andò, ma non prima di avermi scoccato un'occhiata piena d'odio. Io gli feci la linguaccia.

-D'accordo Duncan, per stavolta non fa niente, ma se succede di nuovo...-

-Ho bisogno di un favore.- sbottai di colpo.

Lui mi squadrò come se fossi impazzito -Cosa? Ti stavo parlando di tutt'altro...-

-DJ, ti prego. E' importante.-

Lui ci pensò su qualche secondo e poi mi fece un cenno con la mano -Va bene, vieni nel mio ufficio. Gwen, nel frattempo voglio che tu vada a controllare le nuove reclute, ok?-

-Signorsì, signore!- e corse via, rapida.

Seguii DJ nel suo ufficio e mi accomodai davanti a lui, dall'altra parte della scrivania.

Fece un cenno con le mani giunte -Bene, allora. Dimmi pure.-

Deglutii rumorosamente, nervoso -Ok, uhm... come sai il mio arrivo qui è stato un po' “turbolento”- mimai le virgolette con due dita -Non è esattamente una cosa che capita tutti i giorni, quella che sta succedendo a me. Ma ho deciso di prendermi le mie responsabilità e affrontare questa cosa di petto.- annuii tra me e me, come per confermare quello che dicevo -C'è solo una cosa che mi tormenta,in continuazione. Persino negli incubi. Ne faccio di terrificanti.- rabbrividii ripensando al vecchio ucciso dai Grigi e alla fontana piena di cadaveri.

DJ sollevò le sopracciglia -Ho ucciso centinaia di persone in guerra. Pensa agli incubi che perseguitano me.-

Strinsi le labbra, sostenendo il suo sguardo.

Ho ucciso centinaia di persone.

Dio, adesso mi fa paura.

-Avanti, continua.- mi incitò.

-Uhm, si, ecco, questa cosa che mi tormenta è che...- sospirai, abbassando la testa e guardando le mani che tenevo in grembo -... tutti quelli che amavo, e non erano tanti, te lo assicuro, erano a quel matrimonio, e sapere che Courtney li ha uccisi, e chissà in che terribile modo... non riesco a darmi pace, capisci? Certo, Courtney è stata responsabile anche della morte di chissà quante altre migliaia di persone che nemmeno conoscevo, però... alcuni di quelli che erano al matrimonio erano parte di me.-

Ducky? Puoi abbracciarmi?

Ma certo, zuccherino.

Strinsi gli occhi. Basta pensare al passato. I ricordi fanno male.

-Io... penso che portare qui uno di loro mi aiuterebbe molto. Sapere che sono riuscito a salvarne almeno uno, capisci quello che intendo?-

DJ disse, sospettoso -Non vorrai mica portare indietro tua sorella, vero? Perché sai che...-

-... la macchina del tempo la ucciderebbe, bla bla bla. Si, lo so. No, sto parlando di un amico. Beh, quasi un fratello, possiamo dire.-

DJ si appoggiò allo schienale, senza togliermi gli occhi di dosso.

-Una persona... non dovrebbe alterare troppo la storia... e se poi ti desse più forza...magari ti impegneresti di più...-

Per un'eternità di tempo rimase a rimuginare, seduto sulla poltrona. Io sudavo freddo.

Ti prego, di' di si, di' di si. Mi manca così tanto. Devi dire di si.

-Ho deciso.- disse infine, mentre io trattenevo il respiro -Lo farò, ma avrai bisogno di armi. E devi promettermi che ti impegnerai seriamente, d'ora in poi.-

Saltai in piedi, urlando di gioia -Grazie, grazie, grazie! Non te ne pentirai, farò il bravo!-

 

Noah e un altro ragazzetto smilzo che non dimostrava più di 12 anni e con un enorme paio di occhiali che continuavano a scivolargli sul naso (si chiamava Cameron, se ricordo bene) lavoravano su un macchinario tondeggiante appoggiato orizzontalmente a terra. Da quello che avevo capito, e avevo capito solo la metà delle cose che mi avevano detto, avrebbe proiettato una luce, una specie di portale temporale che avrei dovuto attraversare e che mi avrebbe portato a qualche mese dopo il matrimonio. Beh, dopo il quasi-matrimonio...

Ad ogni modo, avevo deciso che sarei andato io. Non volevo far rischiare la vita a nessun altro, era stata una mia richiesta, una mia egoistica richiesta, e me la sarei sbrigata da solo.

I palmi delle mani mi stavano sudando e li sfregai contro i pantaloni, tossicchiando nervosamente.

-Tutto ok?- mi chiese DJ, avvicinandosi.

-Si!- risposi, un po' troppo in fretta e con una voce un po' troppo acuta.

Sorrise -E' normale che tu sia nervoso, ma non hai di che preoccuparti. Le macchina è sicura adesso e, se porterai indietro solo il tuo amico, non ci sarà nessunissimo problema.-

Risi in modo quasi isterico -No, certo, hai ragione. E' solo che non mi è mai capitato di fare un “viaggio nel tempo” tutto da solo. Ma ho visto un paio di film, dovrebbe bastare, no?-

DJ scoppiò a ridere -Duncan, rilassati!-

Si sentì un rumore meccanico e una luce pallida invase la stanza. Eccola lì, la luce. La mia mente tornò al giorno in cui l'avevo toccata per la prima volta. Deglutii, allentandomi il colletto della divisa militare. Feci qualche timido passo e allungai il braccio in direzione della luce fluttuante, come un ologramma. Toccandola sembrava quasi di immergere la mano in una bacinella d'acqua. La ritrassi, sbalordito.

-Ci siamo.- annunciò Cameron, alzandosi gli occhiali sulla fronte per guardarmi dritto negli occhi -Sei pronto?-

 

Geoff correva, correva senza sapere dove andare. Doveva solo scappare, e aveva paura di non farcela. Si trascinava dietro la gamba ferita, gemendo dal dolore ad ogni passo. Una di quelle “cose” metà uomo metà robot gli aveva piantato una pallottola nella coscia. Ma lui era riuscito a scappare ugualmente. Per quanto tempo sarebbe ancora riuscito a resistere prima di cadere a terra? Non voleva fare la fine degli altri.

Si, perché lui era l'unico rimasto. Per quello che ne sapeva, ogni invitato al matrimonio era stato ucciso. Ma solo dopo essere stato torturato fino alla follia. E parliamo di torture pesanti, stile medioevo.

Non poteva credere che Courtney si fosse comportata in quel modo. Erano passati solo due mesi dal matrimonio, due mesi d'inferno. Lui, come tutti gli altri, si era chiesto dove fosse finito Duncan. Era sparito nel nulla da quando era scappato, ma gli sembrava strano che non si fosse fatto vivo nemmeno per lui, che era il suo migliore amico. Ad ogni modo, aveva esultato quando aveva saputo della vittoria di Courtney.

“Ehi” si era detto “Questa ragazza è proprio forte, è riuscita non abbattersi e a vincere le elezioni anche dopo essere stata mollata sull'altare!”

Ma si era dovuto ricredere, perché, dopo pochi giorni dalla vittoria, tutto aveva cominciato ad andare a rotoli. Courtney aveva cominciato a dichiarare guerra a tutte le nazioni confinanti (la cosa peggiore era che le vinceva anche, le guerre, e ben presto avrebbe avuto il controllo di tutto il pianeta, Geoff lo sapeva) e a tenere sotto stretto controllo la sua stessa nazione. Erano iniziate le guerre civili e le rivolte, e tutte finivano sempre in un bagno di sangue. Tutti i telegiornali, i canali televisivi e le connessioni internet erano stati messi fuori uso, per non parlare delle reti telefoniche. E poi erano cominciati gli omicidi. Il primo era stato quello della madre di Duncan. E poi il padre. E poi le damigelle d'onore. Tutti sparivano e venivano ritrovati settimane dopo in un fosso, privi di vita. E ora era venuto il suo turno.

-NO!- urlò Geoff, e riprese a correre più velocemente. Cominciava a sentire i passi delle guardie robot dietro di lui.

Non voglio morire, non così, non oggi, pensò.

Arrivò nella piazza principale della città, pensando di averli ormai seminati. Inciampò su qualcosa di freddo e molle. Si voltò a guardare e impallidì alla vista di un cadavere.

Un morto. Sono inciampato su un morto.

Trattenne un conato di vomito e si costrinse a rialzarsi in piedi. Sentii degli spari dietro di sé e una pallottola lo mancò per un pelo. Balzò in piedi e riprese la sua fuga.

 

Arrivai nella piazza con un po' di vertigini ma niente di più. La luce fluttuante era ancora lì, dietro di me. Questa volta passare da un tempo ad un altro non aveva fatto così male.

La piazza era piuttosto diversa da quella del 2063: i palazzi non erano ancora in pessimo stato, e gli arbusti non avevano cominciato a crescere in mezzo al cemento, ma i primi corpi erano stati impilati nella fontana vuota.

Concentrati, devi trovare Geoff prima che sia troppo tardi.

Sentii degli spari, e spostai lo sguardo in quella direzione. Vidi Geoff a terra, ma fortunatamente si rialzò subito. Il mio sguardo si illuminò. Il mio amico. Il mio amico era ancora vivo.

-Ora vi faccio il culo.- mormorai, tirando fuori il fucile che mi aveva dato DJ. Mi nascosi dietro ad un muretto e mirai ai Grigi. Ne centrai due al primo colpo.

Geoff si girò a guardare nella mia direzione. Tirai fuori appena la testa, facendogli il segno della pace con le due dita alzate, sorridente. Lui sembrò bloccarsi per qualche secondo dallo stupore, ma si riprese in fretta e venne verso di me.

Feci fuori un altri tre Grigi. Ne rimaneva uno. Ormai Geoff era quasi arrivato alla mia postazione e il Grigio era subito dopo di lui. Avevo finito le munizioni. Preso da un impeto di adrenalina, corsi oltre al muretto. Il Grigio cercò di spararmi, ma io mi buttai a terra, scivolando nella sua direzione ed evitando la pallottola. Prima che lui potesse accorgersene gli fui davanti e gli piantai un pugnale dritto in gola. I suoi occhi vuoti color ghiaccio si spalancarono per un secondo, e poi ruotarono all'indietro. Lo buttai a terra con un calcio, staccando da lui il mio pugnale. Poi andai verso Geoff, che era piegato in avanti, ansimante.

-Tutto bene?- gli chiesi, posandogli una mano sulla spalla.

Lui alzò lo sguardo su di me, terrorizzato e rabbioso allo stesso tempo, come se gli avessi chiesto se gli andava un tè -C'è una fottuta apocalisse qui!! Dove eri finito, amico?!- fece un gesto verso la piazza, verso i corpi.

Aprii e richiusi la bocca qualche volta prima di rispondere frettolosamente -Lunga storia.-

Lo feci appoggiare a me per sorreggerlo e ci incamminammo. Lui continuò a fare domande tutto il tempo ma io restai in silenzio. Dopo qualche metro, però, Geoff perse i sensi. Notai in quel momento la ferita alla gamba, dovevano avergli sparato e stava perdendo troppo sangue. Lo trascinai faticosamente verso il portale e lo spinsi dentro. Prima di entrarci anch'io lanciai un'ultima occhiata alla mia città.



Ciao a tutti, I'm back! Questo capitolo è un po' più lunghetto, per compensare l'ultimo, che invece era piuttosto corto :) E poi ho anche cambiato font, così a caso (?) Cooomunque, spero vi piaccia! Fatemi sapere la vostra opinione! <3

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Capitolo 11
*** We can work it out ***


Spalancai gli occhi e presi una boccata d'aria. Ero sdraiato su un pavimento freddo, a pancia in giù. Dovevo aver perso coscienza per un momento.

Dove sono?

In quel momento vidi Geoff, sdraiato a pochi metri da me, ancora svenuto e sotto le abili mani di Bridgette, che controllava la sua gamba ferita con occhio critico.

Ma certo, ora ricordo.

Mi rialzai gemendo, ma tutto sommato stavo bene. Niente a che vedere con il primo viaggio temporale.

-Duncan!- Gwen mi stava correndo incontro, saltellando. Mi gettò le braccia al collo, stringendomi in un forte abbraccio che io ricambiai ridendo.

-Sapevo che ce l'avresti fatta.- mormorò, mentre io le accarezzavo la schiena.

-Io avevo i miei dubbi, invece.- ribattei, con un sorriso. Lei si sciolse dall'abbraccio per guardarmi in faccia e darmi un buffetto sulla guancia.

-Scemo.-

DJ si avvicinò e mi strinse la mano -I miei complimenti, hai dimostrato molto coraggio. Con il giusto allenamento sono convinto che completerai la missione a meraviglia.-

Roteai gli occhi -Ce la fai a pensare a qualcos'altro ogni tanto, DJ?-

Mi diede una pacca sulla spalla, ridacchiando.

Un urlo straziato ci interruppe. Ci voltammo tutti e tre verso Bridgette e Geoff, che doveva essersi svegliato a causa del dolore per la ferita.

-Bisogna estrarre la pallottola- spiegò concitatamente Bridgette -Preparate la sala operatoria-

DJ e Gwen si scambiarono un'occhiata d'intesa, e lei annuì -Ho capito. Vado io.- disse, e se ne andò, veloce.

Io e lui, invece, corremmo verso il mio amico, che stringeva i denti per non urlare di nuovo.

-Dio, Geoff, sono così felice che tu stia bene!- dissi, mentre aiutavo DJ a prenderlo in braccio e trasportarlo verso la sala operatoria.

-Secondo te io sto bene?!- strillò lui.

-Se solo sapessi così ti sarebbe successo se non ti avessi salvato!-

-Potevi muovere il culo prima, coglione!-

Sorrisi. Ecco il buon vecchio Geoff.

-Anche io ti voglio bene, amico.-

Lui produsse un verso esasperato, mentre riprendeva a mordersi il labbro per trattenere le urla.

Arrivammo in sala operatoria e lo posammo su un lettino, mentre Bridgette si preparava.

-Ho talmente tante cose da spiegarti, raccontarti, io...-

-Frena, frena.- disse lui, puntellandosi sui gomiti per stare dritto con la schiena e guardarmi negli occhi -Prima ho una domanda.-

Rimasi in silenzio, in attesa.

-Si può sapere come cazzo sei vestito?- chiese, sollevando un sopracciglio.

Guardai la divisa da militare che indossavo. Non riuscii a trattenermi dallo scoppiare a ridere.

 

Assistetti a tutta l'operazione, ma fortunatamente non fu niente di troppo complesso.

-Sta bene- disse Bridgette, mentre Geoff riposava nella sua stanza, ancora sotto l'effetto dell'anestesia. -La sua gamba riprenderà a funzionare molto presto, diamogli solo un po' di tempo.-

Tirai un sospiro di sollievo -Ti ringrazio Bridg.-

-E di che? E' il mio lavoro. E poi sono felice di aiutarti.- mi fece l'occhiolino -Soprattutto se hai degli amici così carini!-

Risi e l'abbracciai, poi ci salutammo e mi diressi in camera di Geoff. In realtà era la mia stessa camera, perché erano rimaste ben poche stanze libere. In generale i malati dormivano nell'enorme atrio all'entrata, dove li curavano. Per i soldati c'erano delle camerate, mentre i generali come DJ e i quasi-mariti-delle-pazze-psicotiche-che-controllano-il-mondo come me avevano delle piccole camere singole. Niente di che, per carità: solo un letto, un tavolo e una poltrona, ma era già un lusso per gli standard del rifugio.

Quindi, siccome Geoff non rientrava in nessuna di queste categorie, sarebbe rimasto con me.

Mi lasciai cadere sfinito sulla poltrona della mia stanza e lo guardai dormire. Non sembrava soffrire molto, ora, anche se ogni tanto, mentre si girava nel sonno, gemeva. Soddisfatto, rimasi immerso nei miei pensieri ancora per un po', finché non mi appisolai. E sognai, oh, eccome se lo feci. Sognai uno dei ricordi più belli della mia vita.

 

La musica usciva a tutto volume dall'impianto stereo di ultima generazione di Geoff. La gente si era era sparsa per la casa: c'era chi ballava, chi beveva a dismisura e chi si era imboscato in una delle tante camere da letto della grande villa con una ragazza conosciuta all'ultimo momento. Le feste di Geoff erano conosciute da tutti i i ragazzi della città, ed erano famose per essere scatenate e incredibilmente divertenti. C'era gente che avrebbe ucciso per poter partecipare almeno ad una. I genitori di Geoff erano schifosamente ricchi e avevano una casa grandiosa, con piscina, campi da pallavolo e tutto quello che si poteva desiderare. In più almeno un paio di volte al mese i suoi genitori facevano viaggi di lavoro e potevano stare via anche un weekend intero. Quelli erano i weekend delle feste di Geoff, e naturalmente io e lui eravamo i vip della serata.

Quella sera fu un diversa dalle altre, però. Verso mezzanotte decisi di andare a fare due passi per sgranchirmi le gambe e prendere un po' d'aria fresca. Così, con il mio drink in mano, mi avventurai nella parte più remota del giardino: un grande prato verde con al centro un laghetto pieno di fiori di loto. Nessuno andava mai lì, probabilmente perché il clou della serata era nella casa. Ma quella volta c'era qualcuno, seduto sulla riva del laghetto. Una ragazza con lunghi capelli castani. Non riuscivo a vederla in faccia, ma ricordo che indossava un vestito blu a palloncino senza spalline che le arrivava appena sopra alle ginocchia. E ricordo anche quanto quel vestito le stesse bene.

Ehi Duncan, mi dissi, forse hai trovato una pollastra con cui passare la serata. Ridacchiai tra me e me.

Mi avvicinai silenziosamente e mi fermai appena dietro di lei. Doveva essere parecchio immersa nei suoi pensieri perché non mi sentì.

-Ehi, principessa.- la salutai. Lei si voltò, gli occhi nocciola grandi per la paura. I raggi lunari illuminavano il suo viso olivastro e puntellato da deliziose lentiggini, evidenziando la bella forma ovale.

L'avevo già vista in giro, ma solo di sfuggita. A volte era con Geoff perché lui era il quaterback della squadra di football e lei era una delle migliori cheerleader, e io andavo sempre a vedere le partite del mio amico. Lui aveva una vera e propria passione per lo sport, ed era così che stava cercando di guadagnarsi la borsa di studio per il college. Lei invece non ne aveva bisogno, aveva il massimo dei voti in tutte le materie, ma partecipava a quasi tutte le attività scolastiche e sportive.

Io preferivo di gran lunga la musica, era per questo che suonavo nella band rock della scuola.

Ma quella sera fu come vederla per la prima volta. Mi innamorai di lei dal primo istante, probabilmente, ma ci volle molto tempo prima che me ne accorgessi. Per il momento per me era solo una bella fanciulla impaurita.

-Tranquilla, non ti mangio mica!- scherzai, sollevando le mani in segno di resa -Quel posto è libero?- indicai un punto imprecisato accanto a lei.

Lei annuì e rimase in silenzio, riprendendo a osservare il cielo stellato. Mi accomodai sull'erba e stesi le gambe verso il lago, alzando anche io lo sguardo sul cielo. Ma dopo pochi secondi tornai a guardare lei.

-Tu sei Courtney O'Donnell, non è vero?- chiesi, bevendo un sorso del mio drink.

Lei finalmente si voltò e mi fissò dritto negli occhi -In persona. Non credo di conoscere te, invece.-

-Oh, sono solo un amico di Geoff...- risposi, vago -Duncan Cooper, piacere di conoscerti.-

Mi guardò di sottecchi, insospettita -Sei quello della rock band, vero?-

-Esattamente.-

-E sei anche quello che ha lanciato uova in testa al preside l'ultimo giorno di scuola?-

Ahia. Beccato.

-Non sono stato io, giurin giurello- dissi, incrociando gli indici sulle labbra. Poi sorrisi.

Lei sembrava poco convinta. Tornò a guardare le stelle.

-Cosa ci fai qui fuori sola soletta?-

Sospirò -In realtà mi ha trascinata qui un'amica. Ma a me non piacciono queste feste, sono così... così...- si passò la lingua sulle labbra, mentre cercava la parola giusta -...selvagge.-

Annuii, incantato da quel suo gesto così naturale ma allo stesso tempo sexy -Selvagge. Assolutamente.-

-Non trovo quale sia il divertimento nel delirio più totale.-

-Delirio, proprio.-

-Non hanno il minimo senso!-

-Mi hai tolto le parole di bocca.-

Naturalmente non la stavo nemmeno ascoltando, quasi disarmato dalla sua bellezza.

Lei se ne accorse ma, oltre a fare una smorfia, non disse niente -E' per questo che sono qui. Aspetto che la festa finisca così potrò finalmente tornare a casa.-

Scoppiai a ridere -Mi dispiace, principessa, ma credo che dovrai aspettare ancora molto, allora.-

Lei storse il naso -Perché continui a chiamarmi principessa?-

Inarcai le sopracciglia, come se fosse ovvio -Perché sei bella come una principessa. Con quel vestito, poi... ti manca solo la corona.-

Courtney alzò gli occhi al cielo -Presumo sia un complimento, grazie. Ora torna pure dai tuoi amici scalmanati, io sto bene qui da sola.-

Mi alzai in piedi, togliendomi l'erba dai pantaloni -Ti va di venire dentro a bere qualcosa?-

-Vuoi farmi bere così poi potrai portarmi a letto? No grazie.-

Scoppiai nuovamente a ridere -Ehi, frena! Chi ha detto che voglio portarti a letto?-

-Ma per piacere, siete tutti uguali.-

Sbuffai -Forse sei tu quella troppo nervosetta, principessa.-

Lei mi lanciò un sguardo di fuoco, furiosa. Balzò in piedi. Io rimasi pietrificato, balbettando delle scuse, senza capire quali fossero le sue intenzioni.

Poi mi posò una mano sul petto. Guardai la mano e poi guardai di nuovo lei.

-Fatti un bagno, punk del cazzo.- ruggì, e con una manata mi spinse dentro al laghetto.

 

Mi svegliai al momento dell'impatto con l'acqua, annaspando.

-Ma che cazzo...-

Geoff era davanti a me, tenendosi in piedi sulla gamba sana, malfermo. In mano aveva un bicchiere vuoto, doveva avermelo svuotato in testa perché ero fradicio d'acqua.

-Ah, sei sveglio finalmente. Dormivi così profondamente che mi stavo preoccupando.- posò il bicchiere sul tavolo e si asciugò le mani sui pantaloni.

Mi alzai in piedi lentamente e per qualche secondo restammo in piedi a fissarci. Poi lui allargò le braccia e venne verso di me.

-Vieni qui.-

Ci abbracciamo stretto per un po', poi gli diedi una pacca sulla spalla e dissi -Forse ho un po' di cose da spiegarti...-

Lui mi interruppe con un gesto della mano -Nah, non preoccuparti. Ci ha già pensato quell'omaccione, DJ. E' per questo che ti ho svegliato, ho bisogno di parlarne.- si buttò seduto sul letto, con un sospiro stanco.

Piegai la testa di lato, confuso -Scusa, ma quanto ho dormito?-

Lui spalancò gli occhi -Non te ne sei accorto? Hai dormito una giornata intera!- si mise a ridere -Cristo, io sono stato anestetizzato e ho dormito meno di te!-

Cercai di ridere anche io, con scarsi risultati. Avevo sognato il primo incontro mio e di Courtney. Perché?

-Duncan, tutto ok?-

Mi sedetti accanto a lui -Dovrei chiedertelo io, sarai sconvolto. Vuoi parlarne?-

Lo sguardo di Geoff si perse nel vuoto -Sai, per i due mesi che ho vissuto sotto il potere smisurato di Courtney mi sono chiesto perché facesse tutto questo. E ora lo so: follia d'amore. Pazzesco!- alzò le braccia e le lasciò ricadere inerti sui fianchi.

-DJ ti ha parlato anche della missione?-

Il suo sguardo si fece preoccupato -Quale missione?-

Abbassai gli occhi -Mi manderanno da Courtney. Dicono che si fiderà di me, che mi accoglierà... ma come farà ad amarmi ancora, dopo cinquant'anni?-

-Io credo che sia possibile.- lo guardai sbalordito e lui si affrettò a spiegare -Voglio dire... se è stata capace di fare tutto questo per te... credi che non sarebbe capace di amarti di nuovo?-

-I pazzi sono imprevedibili.-

-Non Courtney. Forse tu non te ne rendevi conto, ma quella ragazza ti amava così tanto!-

-La amavo anche io. Non era mia intenzione lasciarla così, è stato solo un attimo di debolezza...-

-Non preoccuparti. E' ovvio che non intendevi causare tutto questo, chi potrebbe mai immaginarlo? Non è colpa tua.-

Sorrisi -Grazie Geoff. Mi sei mancato nei due mesi che sono stato qui.-

-Anche tu mi sei mancato nei due mesi che ho passato in mezzo all'apocalisse, amico.-

-E' un onore.-



Sciau beli! Come va? :3
Lo so, lo so, è passato tanto tempo dall'ultimo capitolo. Ma sono stata via qualche giorno e non ho potuto scrivere :c
Comunque, ditemi cosa ne pensate!

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Capitolo 12
*** It's my life ***


Non avevo mai mangiato nella mensa del rifugio, di solito pranzo e cena mi venivano recapitati direttamente in camera da Trent, ma ora che c'era anche Geoff sarebbe stato meglio non isolarci troppo. Così quella mattina, dopo l'allenamento a cui Geoff aveva voluto assistere, ci avviammo verso la grigia saletta accanto ai dormitori in cui solitamente pranzavano i soldati. Dopo aver preso un vassoio ed esserci fatti servire una brodaglia grigia che la cuoca aveva definito zuppa (-Io non ci scommetterei- aveva bisbigliato Geoff) ci guardammo intorno in cerca di un tavolo libero, ma, essendo già la sala piccola di suo e in più stracolma di gente, facemmo entrambi un sospiro sconsolato. Un certo numero di ragazzi ci guardava di sottecchi, riconoscendo me e probabilmente chiedendosi chi fosse Geoff. Ma mi ero preoccupato di avere un aspetto migliore negli ultimi giorni, e ora le occhiate erano curiose e non più diffidenti.

Poi una voce ci chiamò.

-Qui! C'è posto!-

Una mano bianca si agitò nella folla. Era la mano di Gwen. Sorrisi, e doveva essere un sorriso molto stupido perché Geoff mi guardò con sospetto, ma non lo notai.

Andammo verso di lei e vidi che al suo tavolo era seduta anche Bridgette. Quando vide Geoff le si illuminarono gli occhi e cercò di trattenere un sorrisetto.

Lanciai uno sguardo a Geoff, che già la guardava con quel suo fare da Don Giovanni.

Geoff, non cominciare a fare strage di cuori. Sei appena arrivato.

Non rompere, Dunkino, ho visto come guardavi la tipa coi Capelli Blu, rispose lui, sempre con lo sguardo.

Abbassai la testa, arrossendo un tantino. Eccomi di nuovo a comportarmi da adolescente innamorato, mi maledissi.

-Ehi ragazzi, come siete taciturni!- esclamò Gwen, mentre ci sedevamo. Noi ridemmo nervosamente, balbettando un po' di scuse senza senso.

-Tu devi essere Geoff, Duncan mi ha parlato di te. Piacere, Gwen.- gli porse la mano, e lui la strinse con decisione.

-Ah si, ti ha parlato di me? Avrà detto belle cose spero.-

-Ma certo, tesoro, lo sai che sei l'amore della mia vita.- ghignai.

-Oh, dolcezza, smettila, così mi fai arrossire!- ribatté lui, con un gesto civettuolo.

Le ragazze scoppiarono a ridere -Trovatevi una stanza!- scherzò Gwen.

Geoff si voltò verso Bridg come se la vedesse per la prima volta -Oh, noi non siamo stati presentati. Sono Geoff.- si strinsero la mano -E qual è il suo nome, madame?- disse ammaliante, baciandole il dorso della mano.

La dottoressa bionda divenne un peperone -Bridgette. E' un piacere conoscerti.-

-Piacere mio.- mormorò lui, e il suo sguardo ehi-ciao-bellissima-tu-devi-essere-mia si intensificò. Dopo qualche secondo di silenzio in cui loro continuarono a guardarsi, io e Gwen cominciammo a tossire per attirare di nuovo la loro attenzione, dapprima piano, con nonchalance, e poi sempre più forte, arrivando quasi a sgolarci.

Bridgette ormai era diventata un pomodoro ambulante, e riprese a mangiare la sua zuppa. Ma Geoff, incurante, cominciò a chiacchierarci insieme, facendole domande su di lei e sul rifugio. Naturalmente Bridg fu più che felice di rispondere.

Io e Gwen, accorgendoci di essere rimasti “da soli”, ridacchiammo.

-A quanto pare è scattata la scintilla- mi sussurrò lei, sporgendosi sul tavolo.

-Oh si. E quando Geoff vuole qualcosa, Geoff lo ottiene.- ridemmo di nuovo.

In quel momento passò accanto al nostro tavolo la tenebrosa ragazza dai capelli neri che era venuta a trovarmi con DJ. Si chiamava... Heather, se non sbaglio. Lei ci degnò di un veloce sguardo con i suoi brillanti occhi a mandorla, poi si allontanò a testa alta. Sentii Gwen ringhiare. Mi ricordavo del primo giorno, non facevano altro che litigare quindi non dovevano starsi troppo simpatiche. Ma non ci feci troppo caso.

Decisi di fare un tentativo e assaggiare la cosiddetta “zuppa”: fu l'errore più grande della mia vita. Appena la brodaglia toccò la mia lingua, un'esplosione di disgusto mi invase. Immediatamente, sotto lo sguardo incredulo di Gwen, mi voltai indietro e sputai quell'orrore dritto addosso a un povero malcapitato.

-Oh, ehm, scusa amico.- feci un sorriso storto, mentre lui mi guardava sbalordito e si asciugava la divisa gocciolante di brodaglia. Gwen si spanciava dalle risate.

-Tu... sei... uno spettacolo!!- disse ansimante, tra una risata e l'altra, e si asciugò una lacrima.

-Ah-ah, molto divertente. Non ti è mai capitato di sputare una zuppa addosso a qualcuno?- ribattei.

Questo non fece che farla ridere ancora di più.

-Cosa c'è di tanto divertente?- chiese Noah, avvicinandosi al nostro tavolo con il suo vassoio. Vedendo la sua zuppa mi venne un conato di vomito, che riuscii a reprimere, grazie a Dio.

Gwen, ormai senza fiato, riuscii a riprendersi e fece un bel respiro -Duncan ha sputato la sua zuppa addosso a quel tipo laggiù.- lo indicò con il pollice.

-Oh beh, bel modo di presentarsi agli altri, Duncan.- ridacchiò Noah, sedendosi accanto a noi.

-Ti prego, non cominciare anche tu!- sbuffai. Meno male che Geoff era occupato a parlare con Bridg, se no mi avrebbe preso in giro per tutta la vita.

-Non è colpa mia se questa zuppa è disgustosa.- borbottai.

-Hai ragione, è disgustosa.- ammise Noah -Ma Trent non c'è, e la cuoca che lo sostituisce è...-

Gwen strabuzzò gli occhi e lo interruppe -Come? Trent non c'è? E dov'è?-

-Beh, stavamo finendo le provviste, così hanno mandato lui e qualche altro ragazzo a cercarne altre...-

-Oh no.- Gwen si coprì la bocca con le mani, spaventata.

-Cosa c'è? Perché sei così preoccupata?- chiesi.

-Perché andare in cerca di provviste è pericoloso, molto pericoloso. E lui non è del tutto in grado di proteggere sé stesso. In più potrebbero volerci delle settimane...- si prese la testa tra le mani e abbassò lo sguardo.

Noah le posò una mano sulla spalla, cercando di rincuorarla -Gwen è preoccupata perché i loro...- i Grigi, pensai, e intanto Noah continuava a parlare -...non sono l'unico pericolo all'esterno del rifugio, anzi. Saranno un pericolo per te quando sarai a palazzo, Duncan, ma in città fanno solo qualche ispezione mensile, e in giorni ben definiti. La gente non si preoccupa di loro, ma dei banditi.-

-Banditi?-

-Sono persone orribili, persone capici di rubare, uccidere e tiranneggiare solo per ottenere vantaggi sé stessi e la propria banda, come cibo ed un tetto sicuro, anche in tempi come questi. E' come una mafia, a volte controllano intere città.-

-E se li incroci per strada...- Gwen alzò gli occhi lucidi su di me -... puoi star certo che ti pentirai di averli incontrati.-

Wow, non c'è proprio limite alla cattiveria umana, pensai.

Ma in quel momento la mia mente era occupata da un'altra emozione, che non lasciava spazio a nient'altro: la gelosia. Possibile che Gwen ci tenesse così tanto a Trent?

Avanti, Duncan, non fare l'idiota, disse una voce nella mia testa. Certo, tu e Gwen state diventando amici, ma lei conosce Trent da molto più tempo, è naturale che ci sia legata. Potrebbe esserci qualsiasi tipo di relazione tra i due, anche sentimentale, considerando quanto si è disperata sapendo della sua partenza...

Zitto, ZITTO!, pensai, ma non riuscivo ad allontanare da me quel pensiero.

Così passarono 4 settimane. Riuscii a costruirmi una piacevole routine: allenamento alla mattina, pranzo con i ragazzi, allenamento pomeridiano e poi la sera, di tanto in tanto, Gwen veniva da me a chiacchierare e ascoltare la musica come ai bei vecchi tempi. Geoff era guarito in fretta ed aveva insistito per allenarsi con me. In più avevo la convinzione che avesse una relazione in segreto con Bridgette, perché a volte scompariva per ore e tornava la sera tardi, felice come una pasqua.

Con Gwen non andava esattamente a gonfie vele. Cioè, era la migliore amica che avessi mai trovato, sembravamo fatti l'uno per l'altra e ci divertivamo insieme. Ascoltavamo musica, andavamo in giro per il rifugio e facevamo scherzi a Brick. Ma lei era assente, distratta, e io sapevo perché: Trent. Quel cuoco da strapazzo, quell'idiota patentato, quel deficiente con un eterno sorriso sulle labbra. Ma ormai lo sapevo. Gwen mi voleva bene, e molto, aveva bisogno di me, perché ero il suo migliore amico. Ma lei amava Trent, e non c'era niente da fare. Non cambiai il mio atteggiamento verso di lei, non volevo farla soffrire più di quanto non facesse già, ma ogni volta che la vedevo sovrappensiero mi sentivo morire dentro, perché sapevo a chi stava pensando. E non ero io.

Dovrei essere io.

Smettila Duncan. Smettila. Non puoi innamorarti così, della prima che capita.

Gwen non è “la prima che capita”.

Ricordi la missione? Tu devi tornare da Courtney.

Forse è meglio così...

Tornare da Courtney è un tuo obbligo, lascia che almeno Gwen sia felice.

Gwen... mi mancherà così tanto...

Lascia che sia felice.

Oh, ci ho provato a lasciarla in pace. Ci ho provato a non esserne innamorato. Ci ho provato a dire di no alla voce nella mia testa che mi spingeva a confessarle i miei sentimenti. I miei dannatissimi sentimenti.

E ci sarei anche riuscito, se non fosse stato per quella notte.

Mi giravo e rigiravo nel letto, senza riuscire a prendere sonno. I miei incubi, i corpi nella fontana e il vecchio picchiato fino alla morte dai Grigi, erano tornati senza darmi pace. E in più ero preoccupato perché di lì a pochi ore sarei dovuto partire per la missione. Ero migliorato molto fisicamente, avevo messo su molti più muscoli e avevo imparato a usare le armi. Tra l'altro, grazie ai miei continui tentativi di reprimere il mio amore per Gwen, stavo sviluppando un certo cinismo che in situazioni di battaglia sarebbe stato molto utile.

Ad ogni modo, decisi che non ne potevo più. Mi misi a sedere sul letto e lanciai un'occhiata a Geoff che dormiva profondamente in una brandina accanto alla mia. Sapevo che avrebbe insistito per partecipare alla missione, ma a tempo debito avrei trovato una scusa per non farlo venire. Gli avevo già fatto perdere la vita una volta, bastava e avanzava.

Mi alzai ed uscii dalla stanza.

La sala d'ingresso piena zeppa di letti pieni di feriti era silenziosa e semi buia. Mi misi a passeggiare rasente al muro, attento a non svegliare nessuno e cercando di non farmi notare dalle infermiere di guardia. Con la coda dell'occhio vidi che la porta dell'ufficio di DJ era socchiusa e la luce era accesa.

Cosa ci fa DJ ancora sveglio?

Mi avvicinai alla porta e sbirciai: era seduto alla scrivania con una marea di fogli e la testa tra le mani.

-Ehi, DJ, tutto bene?-

Lui alzò di scatto la testa -Duncan! Mi ha fatto prendere un colpo. Si, ehm, tutto bene...-

Entrai e mi sedetti davanti alla sua scrivania -Cosa ci fai ancora sveglio?-

-Non riuscivo a dormire. Tu?-

-Idem.-

Rimasi un po' in silenzio, mentre DJ si stropicciava gli occhi, esausto.

-E' solo che... continuo a pensare a quante cose potrebbero andare storte nella missione, controllo maniacalmente ogni singolo dettaglio...- alzò gli occhi arrossati su di me -Ripenso per ore a tutte le vite di cui sono responsabile! Se fallissimo sarebbe solo colpa mia.-

-Avanti DJ, su con il morale! Sono stato io a provocare tutto questo, anche se non intenzionalmente, è ovvio, e se qualcosa dovesse andare storto sarebbe colpa mia, non tua.-

-Non dire così, sei stato fantastico nelle ultime settimane. Non capisci? Tu sei pronto, sembri nato per combattere. Sono io quello che sta per avere un esaurimento nervoso!-

Sospirai. Se sembro nato per combattere è solo perché sono un ottimo delinquente, DJ.

-Facciamo così- dissi infine -Non è colpa nostra, ok? Di nessuno dei due. Al massimo è colpa di “mia moglie”.- sorrisi, un po' incerto.

Lui sembrò rincuorato -Grazie Duncan, grazie mille.-

-Nessun problema. Tra complessati ci si aiuta.-

Ridacchiò e si alzò in piedi, andando verso ad un armadietto.

-Senti, io non riesco a dormire e, a quanto ho visto, tu nemmeno. Ti va di bere un goccio?-

Aprì l'armadietto e tirò fuori una bottiglia di whisky.

Espressi la mia approvazione con un'esclamazione di piacere -Oh, e così tanto tempo che non tocco una goccia d'alcol! DJ, tu sei il mio salvatore.-

-E' la mia riserva personale. Fare il capo qui dentro è duro, ogni tanto ci vuole anche un po' di “sollievo”, per così dire.-

Io risi e lui versò il liquido ambrato in due bicchieri.

-Direi che possiamo fare un brindisi- commentò DJ, alzando il suo bicchiere.

-Ma certo- risposi, e alzai il mio -A Courtney O'Donnell, la peggiore moglie che si possa desiderare!-

Facemmo toccare i bicchieri, che tintinnarono, e mandammo giù tutto in un sorso.

Feci schioccare la lingua con soddisfazione. La testa mi girava già un po', ma era normale: il whisky era forte e io non bevevo da mesi, fin da quando mi ero fidanzato ufficialmente con Court, qualche mese prima del matrimonio. Naturalmente, era stata lei ad obbligarmi.

-Il prossimo brindisi a chi lo dedichiamo?-

 

Mi decisi a tornare in camera solo a tarda ora. Salutai DJ e uscii dalla stanza barcollando.

Ok. Da che parte devo andare?

Mi guardai intorno, confuso. Mi sentivo gli occhi pesanti e la vista mi si era un po' appannata. Scelsi una direzione e mi avviai a passo incerto. Mi accorsi di aver sbagliato strada solo dopo parecchio tempo.

Ops, cazzo. Forse ho bevuto un bicchierino di troppo.

Come per provare questo mio pensiero andai a sbattere contro ad un muro, imprecando silenziosamente. Questo muro è sempre stato qui? Cristo, mi gira la testa...

In quel momento sentii delle voci che sussurravano in un corridoio. Erano due persone, una ragazza e un ragazzo. La ragazza rise. Mi appoggiai al muro perché le gambe non mi reggevano in piedi, e mi sporsi appena per vedere chi fossero. Ma non avevo dubbi, avevo già riconosciuto la risata.

Gwen e Trent erano in un angolo buio del corridoio e parlavano sottovoce, vicini, molto vicini. Troppo vicini. Una fitta di gelosia peggiore del solito mi travolse. Lui le accarezzava dolcemente i capelli, arrotolandosi ciocche blu attorno alle dita. Gwen, solitamente bianca come una bambola di porcellana, aveva invece ora delle sfumature rosse sulle gote.

-Mi sei mancato tanto, Trent, avevo paura che non ce la facessi, che non tornassi più... non so come avrei fatto senza di te...-

-E invece ce l'ho fatta. E lo sai come? Perché pensavo a te, e questo mi dava forza.-

-Oh Dio...- esclamò Gwen, portandosi le mani al cuore e arrossendo ancora di più.

-Gwen, io... io penso di essermi innamorato di te.-

Cosa?!

Gwen rimase in silenzio, a bocca aperta. Per un momento pensai che forse mi sbagliavo, forse lei non ricambiava i suoi sentimenti. E anche Trent lo pensò, evidentemente.

-Mi dispiace, non dovevo dirtelo, ora ho rovinato tutto...- disse, quasi sull'orlo delle lacrime.

-No, no! Trent, io... anche io ti amo.- abbassò la testa.

Trent sembrò illuminarsi di felicità. Le sollevò il mento con una mano e le accarezzò il viso. Lei sorrise, e contemporaneamente una lacrima le scese lungo la guancia.

E poi successe. Si baciarono. Un bacio lungo, dolce ma appassionato. E io assistetti, senza respiro, sbalordito.

Dovrei essere io.

Trent e Gwen si staccarono e risero, i loro nasi che si sfioravano, guardandosi negli occhi.

Lascia che sia felice.

NO, DOVREI ESSERE IO!

E improvvisamente non c'era più gelosia nel mio cuore, ma solo rabbia, una cocente e immensa rabbia.

-Trent! Vieni ad aiutarci con le provviste!- sbraitò una voce proveniente dalla cucina.

-Arrivo!- rispose lui, raggiante.

-Trent, aspetta un secondo... non dire niente a nessuno di questa cosa per ora, d'accordo?- chiese Gwen, tra le sue braccia.

-Come vuoi, amore.- rispose lui. Le diede un ultimo bacio di sfuggita e poi corse via.

Gwen rimase qualche secondo in mezzo al corridoio, immobile, e si sfiorò le labbra con la punta delle dita. Poi fece un debole sorriso malinconico e cominciò a camminare nella mia direzione.

Io tornai velocemente dietro al muro e chiusi gli occhi per qualche secondo. Quando li riaprii Gwen mi aveva superato di qualche passo, senza notarmi.

Non mi accorsi della risata cupa che mi uscì dalle labbra, e nemmeno della domanda che le posi -E' stato bello?-

Gwen si voltò di scatto -Duncan! Cosa ci fai...-

-Rispondi. E' stato bello?- il mio tono era duro, privo di inflessioni.

-D-di cosa stai parlan....-

-Lo sai.-

Lo sguardo di Gwen si fece colpevole e poi rabbioso -Non sono affari tuoi.-

Io la ignorai -Quindi è stato bello, eh? Ti è piaciuto?-

-Smettila.-

-Che sapore ha Trent? Sa di fragola? Che ne dici?-

-Duncan, davvero, smettila. Ti stai comportando in modo assurdo.-

-Oh, ti piacerebbe baciarlo di nuovo, vero? Mettere la tua lingua nella sua bocca...- mimai l'atto di baciare qualcuno con tanto di suono, abbracciando il nulla.

Gwen assunse un'espressione offesa -Duncan, così sei cattivo, piantala!-

Ma io non avevo ancora finito. Mi avvicinai a lei, in modo che fossimo viso contro viso -Vuoi che lui ti ripeta “oh, Gwen, sei bellissima”, ”sei fantastica”, “Gwen, ti amo così tanto” come fa sempre... è solo questo che vuoi vero? Qualcuno che possa adularti.-

Lei annusò l'aria -Duncan, hai bevuto? E' odore di whisky quello che sento?-

Ghignai -E anche se fosse? Non cambiare argomento.-

-Si che cambio argomento, perché tu sei ubriaco fradicio, stai delirando!-

-Ammettilo! Fingi di amarlo solo perché lui ti venera!- scoppiai in una risata sarcastica, roteando gli occhi.

-Ma che cosa stai dicendo?!-

-”Oh, Duncan, ti prego, non morire!”- dissi con voce acuta e una finta espressione preoccupata, cercando di imitarla -”Duncan, non andartene, ho bisogno di te!” Avevi solo bisogno di un altro pupazzo da maltrattare, vero? Volevi solo spezzarmi il cuore, Courtney.- spalancai gli occhi -G-Gwen, volevo dire Gwen.- mi corressi frettolosamente.

-Io non so di cosa stai parlando! Non ti ho fatto nulla!-

Ormai stavamo quasi urlando -”Lascia che lei sia felice” mi sono detto “Sarà un bene per entrambi”! Ma sai una cosa? Mi sono stancato di soffrire! DOVREI ESSERE IO!-

Gwen mi mollò uno schiaffo in pieno volto, facendomi girare la testa dall'altra parte. Immediatamente venni travolto da un bruciore pazzesco, ma non riuscii nemmeno a lamentarmi, rimasi a bocca aperta, scioccato.

-Sei un bambino. Sei arrogante, cinico, egocentrico e idiota! “Ehi, guardatemi, sono Duncan Cooper, salverò il mondo!”- questa volta era lei a imitarmi -Non ce ne frega un cazzo di quanto stai soffrendo, carino, perché non soffrirai mai quanto abbiamo sofferto noi! Non sei l'unico ad aver perso la sua famiglia e i suoi amici qui! E poi, non te ne rendi conto? Sei un autolesionista, un masochista, incapace di mantenere una relazione sana con le persone.- scosse la testa, fissandomi dritto negli occhi azzurri.

La rabbia era scomparsa, sostituita da un vago senso di colpa e malessere. Ma la mia mente era ancora troppo annebbiata dall'alcol.

-Va' al diavolo, Duncan Cooper.- mormorò, e mi voltò le spalle.

Rimasi contro quel dannato muro, immobile, troppo sconvolto per dire qualcosa.

Fermala! Va' da lei, spiegale che hai detto una marea di cazzate solo perché la ami! Fermala!

Ma ormai era troppo tardi.




Oh, ciao.
Io, ecco, ehm... non uccidetemi, vi prego. Rimetterò le cose a posto. Promesso!
Vaaaa beeeneee, ditemi cosa ne pensate, ragazzuoli! c:
P.s. Mi scuso per eventuali errori di battitura. Sorry!

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Capitolo 13
*** Boys Don't Cry ***


-Ehi, bellezza.-

Courtney si voltò, facendo svolazzare nell'aria i lucenti capelli castani. Il suo sguardo si fece subito duro nel vedermi.

-Oh, sei tu, Duncan.-

-Ho sentito che tu e le cheerleader fate un lavaggio di automobili per beneficenza...- dissi, sbirciando le sue lunghe gambe abbronzate e scoperte da sotto gli occhiali da sole -... che ne dici di darmi una ripassatina? Una ripassatina alla macchina, intendo.- feci un sorrisetto arrogante.

Lei alzò gli occhi al cielo -Smamma, Cooper.- ringhiò, tornando a passare una spugna insaponata sul cofano di un'auto.

-E dai, sono qui per la beneficenza!- mi avvicinai a lei e la presi per i fianchi -A meno che tu non voglia anche qualcos'altro...-

Lei mi tirò uno schiaffo in pieno volto. Gemetti per un secondo, portandomi una mano lì dove mi aveva colpito, poi scoppiai a ridere.

-Avanti, principessa, solo un appuntamento!-

Courtney sbuffò e si sistemò un ciuffo di capelli dietro a un orecchio -Ok. Vuoi sapere perché non sono mai voluta uscire con te? Ora te lo spiego. Sei un ribelle, un delinquente, sfacciato ed egocentrico! Sono abbastanza ragioni?-

Rimasi in silenzio per qualche secondo a fissarla mordicchiandomi il labbro, le sopracciglia inarcate.

Poi dissi -Che ne dici di domani alle 12?-

Per tutta risposta Courtney mi versò il secchio dell'acqua sporca in testa.

 

Mi svegliai di colpo, annaspando. Era solo un sogno. Solo un altro maledetto ricordo.

Cos'era quella sensazione di dejavù che avevo?

Sei un ribelle, un delinquente, sfacciato ed egocentrico! Courtney.

Sei un bambino. Sei arrogante, cinico, egocentrico e idiota! Gwen.

Oh, bene. Quindi per ben due volte mi era stato detto in faccia quello che ero veramente.

Ciao ciao, autostima.

Cercai di reprimere il cocente dolore che mi aveva travolto al ricordo della sera precedente. Ma niente era pari al dolore che provavo alla testa. Avevo l'impressione che qualcuno mi stesse trapanando dritto nel cervello.

Le gambe mi si erano addormentate. Dov'ero? Di sicuro non nel mio letto. No, ero seduto a terra, nella mia stanza, con la schiena appoggiata contro ad una parete. Dovevo essermi lasciato cadere lì, la sera precedente. Era già tanto se non ero svenuto in mezzo al corridoio.

Questa volta l'hai fatta grossa, amico.

Oh si. Un guaio irreparabile. Ottimo lavoro, l'unica cosa che avevi con Gwen era l'amicizia, e adesso non c'è più neanche quella. Davvero uno splendido lavoro.

Cercai di alzarmi ma, essendo le mie gambe leggermente atrofizzate, non ottenni risultati. Sentii Geoff rigirarsi nel letto. Aprì lentamente gli occhi e mi guardò con aria confusa, mezzo addormentato.

-Si può sapere che ci fai lì?-

-Penso a come mi sono rovinato la vita.-

-Eh?-

Si mise a sedere sul letto, stropicciandosi gli occhi.

-Allora, cosa è successo?-

-Sicuro di voler ascoltare le cronache di un povero sfigato?-

-Duncan.-

Sospirai -Ieri sono andato da DJ perché non riuscivo ad addormentarmi, e ci siamo presi una bella sbronza. E mentre cercavo di tornare in camera... beh, ho trovato Gwen e Trent che si baciavano.-

-Cosa?!- sbraitò lui, spalancando gli occhi.

-Ti supplico, non urlare!! La mia testa sta per esplodere!- mi portai le mani alle tempie, con un'espressione sofferente.

-Credevo che Trent fosse partito!- continuò lui.

-Lo credevo anche io ma, evidentemente, deve essere tornato ieri sera.- abbassai lo sguardo sulle mani che continuavo a torcermi in grembo -Io non so se te ne sei accorto ma... Gwen mi piace. Molto.-

Geoff fece un verso a metà tra uno sbuffo e una risata -Scherzi? E' palese!- roteò gli occhi.

Lo fissai per un istante a bocca aperta, poi esclamai -Vaffanculo!-

Lui scoppiò a ridere -Ho capito, sei di cattivo umore.-

-Si, pessimo umore. Perché la storia non è finita qui.-

Ora lo sguardo di Geoff era preoccupato.

Presi un bel respiro prima di parlare -Ho litigato con Gwen, ci siamo urlati contro. Le ho detto un sacco di cose senza senso, e la cosa peggiore è che lei ha ricambiato gli insulti. Mi ha dato dell'egocentrico, dell'arrogante...- lanciai un piccolo grido di esasperazione -Dio, mi sono persino confuso e l'ho chiamata Courtney!-

-Ahia.- Geoff si alzò in piedi per poi sedersi a terra accanto a me.

-Io penso che ci sia un motivo se l'hai chiamata Courtney.-

-Cosa? Che motivo?-

-Amico, tu sei innamorato di Gwen. Ma sei anche innamorato di Courtney.-

Lo guardai senza parole -Come puoi dire questo?! Courtney ha distrutto l'intero pianeta, non sono più innamorato di quel... quel... mostro!-

-Infatti. Ma tu sei ancora innamorato di lei, in un certo senso, perché sei innamorato della vera Courtney, quella che hai conosciuto quando avevi quindici anni.-

Ero nuovamente senza parole. Da quando Geoff era così profondo?

Scossi la testa, lentamente -Forse è per questo che continuo a fare quei sogni...-

-Quali sogni?-

-E' qualche notte che continuo a sognare vecchi ricordi di quando io e Court eravamo adolescenti...- spiegai -Geoff, come faccio ad amare due persone contemporaneamente? Non ha senso!-

-No, non ha senso. Ma io credo che capirai chi ami davvero, devi solo dare tempo al tempo.-

Sbuffai -Per te è facile dirlo, a te tutto va bene con Bridgette, non è vero?-

Lui mi guardò, senza parole.

Mi affrettai a scusarmi, prendendo la testa tra le mani -Scusa, mi dispiace. Sono ancora un po' sbronzo e decisamente di pessimo umore.-

-Non fa niente.- sorrise.

Rimanemmo lì, seduti sul pavimento, in silenzio, sconsolati.

-Bella merda.-

-Già, proprio una bella merda...-

 

Ero nella palestra da quasi un'ora ormai. Avevo deciso di sfogare un po' di rabbia prima di partire allenandomi a prendere a pugni un sacco. Tentai con tutto me stesso di svuotare la mente, non potevo permettermi di pensare alla sera prima o mi sarei depresso di nuovo.

Dio, che vergogna...

Serrai gli occhi, mordendomi il labbro e colpendo più forte. Poi mi fermai, osservando le nocche gonfie.

-Duncan? E' ora di andar...- Heather entrò nella palestra, e restò bloccata vedendomi.

Io la osservai stranito -Cosa c'è?-

Lei fece un sorrisetto malizioso. Abbassai lo sguardo: ero a petto nudo e nell'ultimo periodo avevo messo su un bel fisico palestrato. Imbarazzato, corsi a prendere la maglietta. Mentre la cercavo, imprecando sottovoce, lei mi si avvicinò.

-Sono contenta di venire in questa missione con te, sarà una buona occasione per...- mi passò una mano tra i capelli -...conoscerci meglio.-

Impallidii, bloccando la mia ricerca -M-m-ma ce-certo.-

-So che sarà molto pericoloso, ma tu mi proteggerai, vero?-

Scoppiai in una risata impacciata -Beh, se conti su di me per salvarti la vita, è meglio che rimani qui...-

Lei fece di nuovo quel suo sorriso terribilmente attraente -Allora sarò io a proteggere te.-

DJ entrò nella palestra, affannato -Dove diavolo eravate finiti? Muovetevi, siete in ritardo!- disse, e, apparentemente senza accorgersi di nulla, tornò fuori, indaffarato.

Io e Heather tornammo a guardarci. Io feci un sorriso falsissimo e afferrai la maglietta.

-Dovremmo andare.- biascicai, infilandomela.

Lei fece un cenno di assenso e mi voltò le spalle, andandosene. Era tornata fredda come sempre.

Ma che diavolo è successo?

Oh certo, ci mancava solo questo per confondermi ancora di più le idee. Quella ragazza era proprio strana: prima ci provava sfacciatamente con te, poi non ti guardava neanche in faccia!

Quando arrivai nel salone d'ingresso una folla di persone mi stava aspettando. Inarcai le sopracciglia. Cominciarono ad applaudire, esultando. C'erano tutti quelli che avevo conosciuto, anche solo di sfuggita, soldati, medici, infermiere, pazienti.

-Ma cosa...- mormorai, piacevolmente stupito.

Bridgette corse ad abbracciarmi, quasi in lacrime.

-Oh, Duncan, ci mancherai tanto!-

Rimasi con le braccia spalancate, mentre lei si aggrappava a me -I-io non credevo di esservi così simpatico...-

Lei alzò la testa -Scherzi? Tu hai portato un po' di vita in questo posto! Ora la routine ricomincerà a essere una noia...- si staccò da me e si asciugò gli occhi nel camice da dottoressa -Torna sano e salvo, ok?-

-Potrei avere bisogno delle tue cure quando tornerò.- questa volta fui io ad abbracciarla.

DJ mi si avvicinò -Vorrei poter venire con te. Ma c'è così tanto lavoro da fare qui...-

-Non preoccuparti, amico. Fai già abbastanza.- gli diedi una pacca sulla spalla.

DJ sorrise, commosso.

Salutai tutti, strinsi mani, abbracciai, feci battute per asciugare le lacrime di alcuni con una risata. Ma i miei occhi continuavano a cercare qualcuno, e quel qualcuno non c'era.

Gwen, dove sei?

Mi dispiace così tanto...

Poi tutti dovettero tornare al lavoro, e rimasi di nuovo solo con il gruppo di persone che sarebbe partito con me. Oltre a Heather c'erano Noah e l'infermiera coi capelli rossi (che avevo scoperto si chiamasse Zoey). Geoff era ancora nella sua stanza, ignaro della mia partenza. Non potevo farlo venire con me: certo, si era allenato anche lui, ma non potevo fargli rischiare la vita, non di nuovo. Sarebbe stato molto meglio qui, con Bridgette. Con Gwen. Ma avrei tanto voluto salutarlo...

Mi infilai lo zaino e imbracciai un fucile.

Scambiai con gli altri uno sguardo d'intesa -Sono pronto.-

 

Avevamo davanti a noi circa una settimana di cammino. Niente macchine perché, anche se Noah fosse riuscito ad aggiustarne una, non avremmo trovato benzina.

Decidemmo di attraversare i boschi. Sarebbe stato più improbabile incontrare spiacevoli compagnie.

Il sentiero era tortuoso e scomodo, con continue biforcazioni e interruzioni. La compagnia era silenziosa: Heather era gelida, come al solito, Zoey sembrava quasi spaventata da me e Noah era intento a studiare delle carte. Quanto mi mancava Geoff.

Sbuffai, annoiato. Non ero abituato a stare zitto per tutto quel tempo.

-Allora... com'è che non hanno ancora scoperto il rifugio, anche se è sotto una botola quasi nel centro della città?- chiesi.

-Oh, è circondata da una cupola di invisibilità- rispose Noah, senza staccare gli occhi dalle cartine, come se fosse una cosa naturale -L'ho inventata io. Rende impossibile vedere o percepire la botola in qualsiasi modo.-

-Tu hai inventato una cosa del genere? Grandioso!-

Lui ridacchiò, lusingato -Oh beh, sai com'è, quando si è un genio...-

-E' solo che, sai, mi aspettavo di trovare qualcosa come delle macchine volanti in giro per la città, nel 2063- continuai.

Finalmente Noah alzò gli occhi dalle carte -Nessuno ha avuto tempo di progredire scientificamente, con la guerra. Nessuno tranne i pochi fortunati come me che hanno trovato un rifugio e del materiale.-

Mi azzittii, e rimasi in silenzio per tutto il resto della giornata. Quando arrivò la sera le mie gambe chiedevano pietà.

-Ragazzi, che ne dite se ci fermiamo qui per la notte?- supplicai.

Heather si guardò intorno -Può andare. Piantate le tende sotto quell'albero, io vado a cercare della legna per il fuoco.-

Zoey lanciò uno sguardo atterrito verso l'oscurità tra gli alberi -Questo posto mette i brividi.-

-Lo so, anche io non vado pazzo per la prospettiva di dormire nel bosco, ma è meglio che camminare per questi sentieri di notte.-

Dopo la magra cena che le nostre provviste consentirono, organizzammo dei turni notturni per controllare che nessuno ci sorprendesse nel sonno. Mi offrii per il primo turno. Mentre gli altri dormivano beatamente, io imbracciai il fucile e mi andai a sedere contro al tronco di un albero, osservando il fuoco che brillava nella notte. Mi sarebbe piaciuto che Gwen fosse accanto a me in quel momento...

Sbattei la testa contro il legno duro dell'albero dietro di me un paio di volte, con una smorfia.

E piantala!

Sentii un fruscio di foglie. Meccanicamente le mia testa si alzò di scatto, in ascolto. Silenzio più totale.

Forse me lo sono sognato. Non me ne stupirei, muoio di sonno.

Nel dubbio, però, mi alzai in piedi e mi avvicinai al fuoco, cercando di scorgere qualcosa nell'oscurità. Forse, un movimento...

Ma fu troppo tardi quando me ne accorsi e la mazza era già calata sulla mia testa.



Lo so, vi ho confuso le idee e in questo capitolo c'è troppa poca Gwen. ç__ç
Rimedierò! :3

Intanto godetevi questo capitoletto! 

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Capitolo 14
*** Creep ***


La pallida luce solare mi riscaldò le palpebre. Cercai di dire qualcosa ma la mia bocca era impastata. Riuscivo a sentire chiaramente, anche senza toccarlo, un bernoccolo sulla nuca. Probabilmente stava anche sanguinando.

Molto bene, come inizio non era promettente.

Ma fu quando cercai di muovermi che mi accorsi di essere sottosopra.

Ma che diavolo...

Aprii gli occhi e mi ritrovai a fissare un uomo in piedi davanti a me, il viso coperto da passamontagna nero e un cappuccio, con come sfondo il tiepido cielo dell'alba. L'unico dettaglio era che l'uomo era al contrario.

Cercai di liberarmi le mani ma erano legate. Allora mi guardai i piedi: ero appeso a testa in giù al ramo di un albero.

-Non cercare di liberarti, è inutile.- ridacchiò l'uomo incappucciato e si fece passare un pezzo di corda da una mano all'altra -Ti ho legato stretto.-

Feci un sorriso sornione -Oh, meno male, amico- dissi, cercando di assumere un tono sollevato -Perché se no ti avrei fatto il culo.-

Lo vidi deglutire, nervoso, e si lasciò sfuggire la corda dalle mani -Stai zitto, o ti arriverà un altro colpo in testa-

-Oddio, sto tremando dalla paura! Brr!-

L'uomo aggrottò la fronte e strinse i pugni. Fortunatamente arrivò un altro che gli mise una mano sulla spalla.

-Che stai facendo? Non devi parlargli, conosci le regole.-

-Ma lui...-

-Zitto, idiota.-

Feci una risatina sotto i baffi e strinsi le labbra cercando di nasconderla quando l'uomo si girò verso di me, rabbioso. Poi si allontanò pestando i piedi.

Guardandomi intorno vidi che avevano devastato il nostro accampamento, saccheggiato le nostre provviste e le nostre armi.

Sentii qualcuno bisbigliare accanto a me -Duncan, penso che siano banditi.- disse Noah, il viso leggermente arrossato per il sangue che cominciava ad affluirvi -Stai molto attento a quello che dici o che fai.-

Annuii.

Sentii le voci dei due uomini e di altri due che parlottavano tra di loro, senza riuscire a vederli.

-Prendetene uno a testa, faremo meglio a sbrigarci se vogliamo arrivare presto alla macelleria.-

Rabbrividii sentendo quella parola usata in un contesto del genere. Ma cosa voleva dire? Cos'era “la macelleria”? E soprattutto, eravamo veramente sicuri che quelli fossero banditi?

-Addormentateli di nuovo, veloci!-

Un'altra fitta di dolore alla nuca mi fece capire che era tornata l'ora della nanna.

 

Risposi al cellulare sbadigliando -Buonasera, collega.-

La voce leggermente gracchiante di Geoff mi rispose -Ehi, collega. Programmi per stasera?-

Cambiai posizione sul divano, mettendomi a testa in giù e con le gambe appoggiate contro al muro -Beh, ad essere sinceri ho deciso di darmi al cazzeggio fino a notte fonda, collega.-

-Fino a che non crollerai dal sonno, presumo.-

-Ottima previsione.-

-E se io avessi un programma migliore?-

Mi raddrizzai, mettendomi a sedere sul bordo del divano -Sarebbe a dire?-

Geoff rise, divertito dal mio improvviso interessamento -Ci sarebbe una festicciola a casa di Lindsay Parker, un compleanno tra ragazze...-

I miei occhi si illuminarono -C'è anche Courtney?-

Il mio amico rise di nuovo -Esatto. E probabilmente qualche altra bella cheerleader avrà bisogno di un passaggio a casa dopo la festa, quindi se noi ci trovassimo lì per caso...-

-Ho capito. Sono a casa tua tra 15 minuti.- riagganciai dopo un breve saluto e scattai in piedi.

Prima feci una capatina in bagno per sistemarmi i capelli (al tempo avevo dei capelli verdi molto punk) poi corsi in camera per infilarmi dei jeans, una maglietta pulita e delle vecchie Converse rovinate. L'ultima tappa fu la camera di mia sorella Shirley, appena accanto alla mia. Stava già dormendo, naturalmente, perché era notte fonda. Mia madre si era chiusa in camera da letto, mentre io ero rimasto sveglio a guardare un po' di televisione in salotto, aspettando che mio padre tornasse a casa da chissà quale squallido bar della città. A quel punto sarebbe ripartito il solito copione, che ormai si ripeteva tutte le sere: lui entrava dalla porta d'ingresso ubriaco fradicio, io gli urlavo contro, lui rispondeva agli insulti. E, se andava bene, tutto finiva lì. Qualche porta sbattuta e niente di più. Ma purtroppo spesso eravamo passati alle mani, e il più delle volte io finivo con un occhio nero e lui con un dente scheggiato.

Chiusi gli occhi, sospirando al ricordo. No, non quella sera.

Guardai Shirley riposare serena nel suo lettino, con un sorriso angelico dipinto sulle labbra e i riccioli castani che le ricadevano sul viso. Gliene scostai uno, accovacciandomi accanto al letto. Le sistemai le coperte e raccolsi il suo orsacchiotto, che durante il sonno le era caduto a terra. Mentre glielo posavo accanto lei socchiuse gli occhi.

-Ducky?-

Le accarezzai la testa -Dormi, zuccherino.-

-Papà sta per tornare a casa, vero?-

La gola mi si inaridì ma mi costrinsi a rispondere -Si, ma non devi preoccuparti...-

-Non andare via, Ducky, papà mi fa paura di notte.-

-Senti, Sherry- le presi le manine -Non devi avere paura, d'accordo? Se chiudi la porta e ti tappi le orecchie non sentirai nulla. Io tornerò presto, così presto che papà potrebbe anche non essere ancora arrivato.-

Lei annuì, mordicchiandosi il labbro inferiore -Va bene, fratellone.-

Le sorrisi e le diedi un dolce bacio sulla fronte -Ora dormi, ci vediamo dopo.-

 

Cristo, Duncan, non è il momento adatto per sognare!

Mi risvegliai appena in tempo per vedere l'edificio in cui ci stavano conducendo: era un cottage di campagna, piuttosto anonimo, circondato da un giardino poco curato.

E secondo te qualcuno in questo 2063 del cazzo ha tempo di curare il giardino?

I quattro uomini, ancora incappucciati, ci stavano trascinando dentro, lungo un sentiero sterrato. Faceva un male cane, e tutti quei dannati sassolini mi entravano nei vestiti e mi si piantavano nella pelle. Gemetti, serrando gli occhi per non farvi entrare la polvere.

Ci lasciarono cadere pesantemente sul pavimento all'interno dell'abitazione. Zoey, che era sdraiata accanto a me, mi lanciò uno sguardo spaventato.

Cercai di rincuorarla -Non preoccuparti, andrà tutto bene.-

Uno degli uomini mi sbatté la testa contro il pavimento premendoci contro il suo scarpone.

-Cosa avete tanto da chiacchierare?- chiese, ghignando.

-Oh, sai, parlavamo di quanto siano maleducati i vostri modi di fare...- schioccai la lingua con disapprovazione.

Lui premette ancora di più contro la mia testa e io urlai di dolore.

Per l'amor di Dio, stai zitto, taci!!, pensai, inveendo contro me stesso.

Una donna sulla sessantina entrò nell'ingresso, asciugandosi le mani su un grembiule lurido. Sembrava cercasse di tenersi in ordine, aveva i capelli acconciati, abiti colorati e trucco, ma i suoi occhi dietro le lenti spesse degli occhiali erano quasi fuori dalle orbite e cerchiati da occhiaie scure.

-Ma chi abbiamo qui? Ne avete portati altri, tesorini?- chiese, con un tono eccessivamente mieloso.

-Si, mamma, erano accampati nel bosco.- disse quello che mi teneva la scarpa sulla testa.

Mamma?!

-Si- confermò un altro -Sembrano piuttosto in forma, e non sono nemmeno troppo magri.- diede un calcio a Noah, che reagì cacciando un urletto molto poco virile.

Non riuscivo veramente a seguire il loro discorso. Di cosa stavano parlando? In forma? Per cosa?

La Mamma fece un sorrisetto zuccheroso -Molto bene, siete stati bravi. Stasera a cena avrete i pezzi migliori. Ora portate i primi due nella macelleria, per favore.-

Mi sentii afferrare per le spalle e tirare su con forza, e lo stesso accadde a Zoey. Mi misero in piedi e cominciarono a spingermi con i nostri stessi fucili verso una scala che scendeva verso quella che presumevo fosse la cantina. E, a quanto pareva, anche la macelleria. Era una stanza rettangolare, piuttosto larga per essere una cantina, e con una porta che dava sul giardino posteriore, a cui si poteva accedere salendo pochi gradini.

Il sangue mi si gelò nelle vene quando vidi cosa conteneva la stanza. Un'incredibile quantità di seghe circolari, martelli, coltelli e attrezzi da macellaio erano riposti sugli scaffali e i tavoli da lavoro. Ecco cosa intendevano quando parlavano della cena. Noi eravamo la cena.

Zoey cercò di urlare ma uno dei due uomini le diede una ginocchiata nello stomaco e le si mozzò il fiato.

-Cosa volete farci?!- sbraitai, cercando di sottrarmi alla presa del ragazzo ancora incappucciato.

Lui scoppiò in una spaventosa risata da psicopatico -Perché, non è ovvio?-

-Perché lo fate?!- urlò Zoey di rimando, la sua voce ancora indebolita dal colpo allo stomaco.

-Perché abbiamo fame. Le razioni di cibo sono minime sia nelle città che nelle campagne ed è vietato cacciare animali selvatici. Uno dei nostri fratelli ci ha provato una volta...- scosse la testa, tuonando di nuovo nella sua strana risata -Beh, vi basti sapere che prima eravamo 5 fratelli, non 4.-

-E' stato giustiziato nella piazza del paese qui accanto, davanti a tutti quelli che conoscevamo, davanti a nostra madre.- ghignò -Dobbiamo arrangiarci come possiamo.-

-Ma voi mangiate persone!- replicai, nel debole tentativo di farli sentire in colpa.

Questa volta risero entrambi -Grazie dell'illuminazione, amico!-

-Ora basta perdere tempo.- aggiunse l'altro, e mi spinse verso uno dei tavoli, per poi legarmi le braccia a delle catene che erano appese contro al muro. Sollevò una sega e mi squadrò, cercando un punto da cui cominciare.

-Non farà male... nah, scherzo, sarà l'inferno. Ma se sarai fortunato morirai prima dissanguato...-

Mentre continuava a parlare l'altro fratello controllava Zoey. Ma non si accorse dell'occhiata d'intesa che ci scambiammo. In quell'istante Zoey gli fece un fischio.

-Ehi, faccia da culo!-

Il fratello si girò, sbalordito, e Zoey gli piantò una testata dritta sulla fronte, tramortendolo. A quel punto l'altro ragazzo, ancora con la sega in mano, si girò verso di lei, cercando di capire cosa stesse succedendo, e io gli diedi un calcio sulle gambe, facendolo cadere a terra, in ginocchio. Vide il fratello steso sul pavimento della cantina/macelleria, privo di sensi, e capì, ma fu troppo tardi, perché Zoey con una ginocchiata gli fece fare la stessa fine.

Rimanemmo in silenzio, ansimanti, per qualche secondo, poi ci guardammo.

-Dobbiamo sbrigarci, prima che facciano del male agli altri.- dissi.

Zoey annuì e corse, per quello che potevano permetterle le mani legate, verso di me. Guardò sul tavolo da lavoro e scorse un'altra sega. Ci sfregò contro le corde che le impedivano di muovere le mani finché questa non si spezzarono. Esultò sottovoce e poi venne verso di me.

-Aspetta, non agitarti.- mormorò, mentre mi liberava dalle catene, ma io stavo tremando. Ero sconvolto, non avevo mai visto niente del genere.

Finalmente Zoey riuscì nel suo intento e, mentre io mi massaggiavo i polsi doloranti, lei mi guardò la ferita dietro alla testa.

-Sanguina parecchio, dovrei medicarti.-

Sorrisi -Appena saremo fuori di qui. In effetti pensavo fossi un'infermiera, non una combattente.-

Lei arrossì lievemente -Diciamo che è meglio non farmi arrabbiare!-

Sentimmo un urlo provenire dal piano superiore.

-E' Heather. Dobbiamo sbrigarci!-

Corremmo su per le scale affannosamente, quasi inciampando nelle nostre stesse gambe, ma quando arrivammo di sopra non c'era nessuno. Eppure qualcosa doveva essere successo, perché alcuni mobili erano rovesciati, e così anche alcune lampade.

Oh no no no.

Presi le pistole che i fratelli avevano dimenticato sul tavolino in salotto, una per me e una per Zoey, e decidemmo di cercarli fuori. Il cielo era stato oscurato da enormi nuvoloni grigi e folate di vento ci costringevano a tenere gli occhi socchiusi.

-Dove diavolo sono finiti?!- urlai, riparandomi gli occhi con un braccio.

Zoey mi rispose senza parlare, indicando il granaio dietro alla casa. La porta era socchiusa. Ci scambiammo uno sguardo e annuimmo, per poi avviarci in quella direzione. Ci mettemmo ai lati opposto dell'entrata.

Riuscivo a sentire il battito del mio cuore come un martello, e avevo paura che anche loro all'interno lo sentissero. Cercai di respirare più lentamente ma era impossibile. Chiusi gli occhi un secondo.

Se questa cosa non finirà bene potresti condannare l'intera umanità, lo sai questo?

Si, lo so.

Sei l'unica speranza per il mondo. Vai da Courtney e salvalo. Non vale la pena di rischiare la vita per questi due.

Non posso lasciarli qui. Loro non lo farebbero.

Certo, solo perché hanno bisogno di te.

Scossi la testa, scacciando quel pensiero, e riaprii gli occhi. Era il momento. Spalancammo le porte ed entrammo di scatto. In pochi attimi analizzai lo spazio: un granaio dal soffitto alto,con un soppalco in fondo alla stanza. Niente animali all'interno, solo fieno. Vidi subito Heather e Noah legati a due colonne, che si dibattevano. I due fratelli stavano stuzzicando Heather con dei coltelli, evidentemente attratti dalla sua forma fisica, mentre la Mamma preparava due sacchi per cadaveri. Rabbrividii pensando che quei sacchi sarebbero stati per i nostri corpi. Quando si accorsero della nostra presenza si voltarono urlando dallo stupore.

-Fermi tutti o vi faccio fuori!- gridai a pieni polmoni, puntando la pistola prima su uno poi sull'altro.

Ne saresti davvero capace, Duncan?

Ho già ucciso delle persone, i Grigi. Per salvare Geoff.

Oh, ma quelle non sono vere persone, e lo sai. Fai tanto il duro, ma saresti capace di uccidere un umano?

Fortunatamente loro non riuscivano a sentire le voci nella mia testa e si immobilizzarono subito dal terrore. La mano mi tremava, così impugnai la pistola con entrambe. Mentre Zoey teneva di mira la Mamma e gli altri io mi affrettai ad andare a slegare Noah e Heather.

-Appena vi liberate, correte fuori di qui.- bisbigliai.

-Non possiamo! Siete due contro tre!- protestò Heather.

-Si, due idioti e una vecchia. Andatevene e basta!- replicai, sciogliendo finalmente i lacci che li imprigionavano.

Ma in quel momento Noah urlò -Duncan, attento!-

Mi scostai appena in tempo ed evitai per un pelo la coltellata di uno dei fratelli, che mi colpì solo di striscio ad una spalla. Urlai, rotolando a terra. Zoey sparò subito un colpo, uccidendolo all'istante.

I suoi occhi vitrei e vuoti mi guardavano, spalancati ma immobili. Mi allontanai dal suo cadavere strisciando all'indietro, con un'espressione disgustata ma senza riuscire a staccare gli occhi da lui.

La Mamma si lanciò su Zoey. La ragazzina fece solo in tempo ad uccidere anche il secondo fratello che si stava lanciando contro di me, prima di essere afferrata dalla donna, il doppio più grossa di lei. Balzai in piedi e puntai nuovamente la pistola contro di lei, ma era troppo tardi: la Mamma teneva il coltello contro la tempia di Zoey e non potevo colpirla senza colpire anche Zoey.

La Mamma indietreggiò verso la porta, ridendo sadicamente e in modo quasi folle -Questa puttana ha ucciso i miei figli e ora la pagherà, la pagherà cara, la pagherà cara...- continuò questa litania ancora per qualche secondo, mentre io e gli altri la fissavamo immobili e impotenti. Poi il rumore di uno sparo e la Mamma cadde a terra, lasciando una Zoey sconvolta a fissarci, paralizzata.

Chi ha sparato? Qualcuno fuori, per forza, da qualsiasi altra angolazione avrebbe colpito anche Zoey...

Il mistero fu presto svelato e Gwen, lo sguardo fiammeggiante e i capelli blu che svolazzavano al vento, fece capolino oltre la soglia.

-Ti ho sentito urlare.- disse, con tono piatto.

Rimasi a bocca aperta, senza riuscire a spiccicare parola. Gwen fece un passo verso di me ma una mano le afferrò la gamba. Si girò di scatto verso la Mamma, che era incredibilmente ancora viva, e le sorrise con un ghigno pieno di sangue, piantandole il pugnale che ancora stringeva in mano dritto nella gamba. Gwen gridò.

Ne saresti davvero capace, Duncan?

Gwen.

Con una freddezza e precisione che non credevo nemmeno di avere sparai una pallottola esattamente in mezzo agli occhi della Mamma, che, finalmente, mollò la presa. Gwen fece un altro passo incerto ma le gambe non la ressero più. La afferrai appena prima che toccasse terra e la presi in braccio.

-Duncan...- mormorò, mordendosi il labbro per sopportare il dolore.

-Zoey, vieni immediatamente qui, abbiamo bisogno di te!- chiamai, e strinsi la mia Gwen contro il petto.



Ok, con questo capitolo abbiamo appurato che sono ufficialmente pazza, psicotica e sadica.
Solo un pochino.
Alleluiaaaa, GWEN IS BACK!
Siete contenti? Shi che lo siete :3
So che sto mettendo un sacco di flashback in questi capitoli, ma sono parte della storia, e spero che vi facciano piacere!

Ditemi che ne pensate, mi raccomando c:

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Capitolo 15
*** Heart Shaped Box ***


Gwen urlò di dolore quando Zoey sfiorò la ferita.

-Giù le mani, ragazzina!!- sbraitò, quasi azzannandole la mano.

Zoey fece un balzo all'indietro con un gridolino e mi lanciò uno sguardo spaventato, come una richiesta d'aiuto. Ma io avevo altro a cui pensare. Una parte di me scoppiava di felicità, ma l'altra era divorata dal senso di colpa.

-Gwen, ma che diavolo ci fai qui?!- chiesi, cercando di tenerla sdraiata a terra, mentre lei si contorceva.

-Quel coglione del tuo amico- sibilò, mentre goccioline di sudore le imperlavano la fronte -Ha fatto un putiferio giù al rifugio per venire con te, per venire a cercarti. E io l'ho dovuto accompagnare.- strinse gli occhi, sofferente.

Mi voltai verso Zoey, gli occhi spalancati, poi guardai di nuovo Gwen -Geoff? E' qui? Dov'è ora?-

-Rilassati, il tuo fidanzato e fuori dal cottage, sta facendo attenzione che non arrivi nessun altro.- rispose lei -Io ti ho sentito gridare e sono venuta qui a vedere cosa fosse successo.-

Feci una smorfia al “il tuo fidanzato”, ma scattai comunque in piedi.

-Zoey, tu sistema la sua gamba- dissi -Fai... qualcosa, non lo so!- sbottai, agitando le mani nell'aria.

Zoey annuì -D'accordo. Noah, Heather, trovatemi qualcosa per ricucire il taglio.-

Ora che la situazione era sotto controllo corsi fuori, e subito il vento mi sferzò il viso come uno schiaffo. Mi guardai intorno, la sabbia che mi entrava negli occhi, e ripresi a correre. Davanti alla veranda d'ingresso del cottage c'era Geoff, in piedi, rigido, con in mano un fucile e sul viso un'espressione spaventata. Lo chiamai a gran voce, sorridendo. Anche se il mio grido era un po' coperto dal suono del vento lui mi sentì e si incamminò nella mia direzione.

Bentornato, amico.

Lo guardai venire verso di me, troppo felice di rivederlo per smettere di sorridere.

-Geoff, mi sei mancato così t...-

Ma lui mi prese totalmente alla sprovvista, tirandomi un pugno sul mento talmente forte da farmi girare la testa e cadere come un sacco di patate.

Rialzai il viso da terra e mi asciugai un rivolo di sangue che scendeva giù dal labbro, fissando il liquido rosso sulla mano come ipnotizzato. Poi mi rialzai lentamente, togliendomi la polvere dai pantaloni.

-Ma si può sapere che cazzo ti passa per il cervello?!- esclamai, sbalordito.

-TU.- tuonò, puntandomi contro un dito -Tu mi hai lasciato laggiù. Sei venuto nel passato, mi hai “salvato” e poi te ne sei scappato senza nemmeno salutarmi. Cosa passa A TE nel cervello!-

-Ehi, vaffanculo, io l'ho fatto solo per il tuo bene- risposi, e lo spintonai.

Lui inciampò all'indietro, preso alla sprovvista, ma non cadde. Il suo sguardo si incendiò.

-Per il mio bene? Hai già fatto abbastanza per me, mi hai salvato la vita!-

-E quindi? Ora devo fartela perdere?!-

Lui mi ignorò -Io voglio rendermi utile. Se ti sono di impiccio bastava dirmelo, mi sarei semplicemente tolto dai piedi!-

-D'impiccio? Ma che stai dicendo?-

-Lo sai! Sei così impegnato, tra il salvare il mondo e la tua nuova amichetta coi capelli blu... mi hai salvato la vita e poi “ciao ciao Geoff, ora mettiti in un angolino e guardami fare l'eroe!”- brontolò.

Alzai gli occhi al cielo con uno sbuffo -Sai, in questo momento, con questo tuo assurdo modo di pensare, mi sei veramente d'impiccio.- incrociai le braccia.

Geoff strinse i pugni. Ci squadrammo per qualche istante, come due cani rabbiosi.

Poi fu lui a parlare -Sei un pezzo di merda!- urlò, come un grido di battaglia, e mi si avventò contro.

Il così poco preavviso non mi diede il tempo di prepararmi, ed entrambi cademmo a terra, rotolandoci l'uno sull'altro con ringhi selvaggi. Una scenetta quasi comica.

Quando fui su di lui, gli sferrai un pugno in pieno volto, facendogli sanguinare il naso ma senza romperlo -Qual è il tuo problema?!-

Lui riuscì a liberarsi dal mio peso e mi fece finire a terra, questa volta con lui a cavalcioni su di me -Magari tu sei io mio problema!!- cercò di tirarmi un altro pugno, ma lo scansai e spinsi via Geoff.

Mi allontanai strisciando all'indietro sui gomiti, respirando affannosamente. Anche Geoff rimase a terra, e si asciugò il sangue che gli colava dal naso ammaccato.

-Ma che stiamo facendo?- mormorai -Ci sono problemi più grandi a cui pensare al momento.-

-Non lo so, amico. E' che... è che tutta questa situazione mi manda ai matti e io...- abbassò lo sguardo, poi lo rialzò, colpevole -... se non ho te sono solo.-

-Hai Bridgette.- commentai, sollevando le sopracciglia.

-Perché sei convinto che noi due abbiamo una relazione segreta? Te l'avrei detto! No, siamo solo amici. Per qualche motivo è ancora un po' timida con me...- scosse la testa -Ma non è questo il momento di parlarne. Duncan, mi dispiace, mi sono comportato da stupido.-

Sospirai -E io più di te.- d'impulso scoppiai a ridere -Ma guardaci, eravamo lì a azzuffarci come due bambini!-

Anche Geoff rise, ridemmo finché non fummo piegati in due dalle risate, poi ci asciugammo le lacrime e ci guardammo negli occhi.

-Supereremo anche questa. Lo faremo insieme.- disse Geoff, con un sorriso storto.

-Ne sono certo!- gli feci l'occhiolino e gli allungai la mano -Ora, sii gentile. Dammi una mano a rialzarmi, vuoi?-

Tornammo al fienile sorreggendoci l'uno con l'altro, zoppicanti ma integri. Quando Noah ci vide arrivare strabuzzò gli occhi.

-Ma che... siete stati attaccati da un puma inferocito o cosa??-

Io e Geoff ci lanciammo un'occhiata divertita -Più o meno.-

Heather arrivò correndo da una stanza antistante al fienile con in mano un bauletto del pronto soccorso.

-Ecco, è tutto quello che ho trovato!-

Lo lanciò a Zoey, che lo prese al volo. La ragazza dai capelli rossi esaminò attentamente il contenuto e estrasse un filo e un ago.

-Probabilmente dovrò metterti dei punti- disse, amareggiata -E, senza anestesia, non sarà piacevole...-

Gwen annuì nervosamente e strinse le labbra finché non furono solo due righe sottili -Fallo e basta.-

Zoey annuì a sua volta e si apprestò a cominciare il lavoro, mentre Geoff, Heather e Noah si allontanavano, chiudendo gli occhi per non guardare. Io, invece, mi avvicinai a Gwen, inginocchiandomi accanto a lei.

-Vattene, brutto idiota che non sei altro.- ringhiò lei, puntandomi contro uno sguardo assassino.

Ma io resistetti -Gwen, senti, so che non è il momento adatto per parlarne, ma mi dispiace, d'accordo?! Mi dispiace moltissimo per quello che ho detto!-

Lei rimase in silenzio, fissando le mani di Zoey che armeggiavano con l'attrezzatura medica.

-Sono stato uno stupido, ero ubriaco e...- abbassai gli occhi -... ho detto cose che non pensavo.-

La sentii ridere sarcasticamente e rialzai la testa.

-Credi che basti? Delle semplici scuse inventate sul momento? Tu non capisci cosa mi hai fatto provare... io mi fidavo di te...- riuscì appena a finire la frase, poi urlò a pieni polmoni, mentre Zoey le inseriva l'ago nella pelle. La sua mano mi artigliò il braccio e lo strinse così forte che per poco non urlai anche io.

-Dio, Gwen! Molla la presa!- sbraitai.

-No!- rispose lei -Mi servi, adesso!- e strinse più forte, lanciando un altro urlo, che io accompagnai con un gemito.

Ora ero arrabbiato. Era vero, mi sentivo in colpa. Tutto quello che le avevo appena detto era vero. E lei non voleva ascoltarmi?

-Senti, non mi interessa minimamente se per te le mie scuse sono troppo poco. Vai a farti fottere!-

-Oh, bel modo per cercare di far pace, complimenti! Sai che ti dico? Vacci tu a farti fottere!-

Di nuovo Gwen mi strinse il braccio, sudando e ansimando, e questa volta urlammo dal dolore insieme.

-No, basta! Anche io credevo di potermi fidare della piccola e innocente Gwen, ma mi hai tenuto nascosto di te e Trent!-

-E perché mai avrei dovuto parlartene? Siamo, o meglio eravamo,- calcò su quest'ultima parola con rabbia -amici, non sto a parlarti della mia vita privata se non mi va!-

-Invece si, perché tu mi hai raccontato cose del tuo passato che nemmeno Bridgette, DJ e Trent sapevano, ti sei confidata!-

-E quindi?!- domandò, piena d'ira.

-E QUINDI TI VERGOGNI DI TE E TRENT!- fu la mia ultima risposta, urlata. Improvvisamente, nel momento in cui avevo aperto bocca per dire queste parole, tutti si erano zittiti ed era sceso il silenzio. E tutti avevano sentito perfettamente cosa avevo da dire. Io e Gwen ci fissavamo, con il fiatone. Sembrava stessimo per sbranarci a vicenda.

Zoey, che era tra di noi, guardò prima una poi l'altro, imbarazzata.

-Ehm, ragazzi, io avrei finito...- balbettò.

-Sparisci!- le ordinò Gwen.

-Si, tutti fuori!- continuai, indicando l'uscita del fienile.

Noah, Heather, Geoff e Zoey si allontanarono a testa bassa, a disagio.

-Trent è stato come un fratello per me, per due anni.- mormorò Gwen -C'eravamo sempre l'uno per l'altra, eravamo gli unici amici che avevamo in quel posto. E mi sono innamorata di lui. Penso sia normale, dopo un periodo di intimità come la nostra. Hai ragione, non gli ho raccontato tutto, ma non mi è facile esternare la mia parte più sentimentale.-

Ma con me ci sei riuscita, feci per dire, interrompendomi poi all'ultimo secondo. Meglio non peggiorare ancora di più le cose.

-E poi arrivi tu e sconvolgi tutto. Brillante, sveglio, forte, con la battuta sempre pronta e l'incredibile capacità di attirare tutta l'attenzione su di sé. Se ne frega delle regole, fa di testa sua... come resistergli? E finalmente ho una nuova persona con cui parlare, qualcuno di nuovo, di speciale. Ma si rivela come tutti gli altri: non sa fare altro che criticare, criticare, criticare...- il labbro le tremolò leggermente, quasi impercettibilmente -Io ti volevo così bene, Duncan. Mi capivi, provavi le mie stesse emozioni. Mi hai spezzato il cuore, capisci?-

Non quanto tu lo stai spezzando a me in questo momento.

Basta che tu le dica che l'hai fatto perché la ami.

Perché farla stare ancora peggio? Non voglio farla soffrire ancora di più.

Rimasi a bocca aperta, cercando di trovare le parole. Ma non arrivarono. Boccheggiai ancora qualche secondo, poi chiusi gli occhi. Quando li riaprii Gwen aveva il viso voltato di profilo, nel tentativo di non guardarmi. Forse era una mia impressione, ma i suoi occhi erano lucidi. Mi alzai in piedi, massaggiandomi il polso che mi aveva stretto così forte pochi minuti prima. Uscii dal fienile senza dire una parola.

 

Il cottage era caldo e accogliente. Cuscini ricamati di qua, maglioni all'uncinetto di là... proprio la casa di una famiglia normale. Almeno finché non si scendeva in cantina.

Ci mettemmo a girare per l'edificio in cerca di armi, munizioni e provviste. Tutto poteva essere utile, anche perché avevano rubato la nostra roba e non avevamo idea di dove l'avessero messa.

Entrai nel bagno e aprii l'armadietto accanto allo specchio. Cercavo aspirine, medicinali di ogni genere, qualcosa che potesse servirci in caso di un altro attacco del genere. Ma non riuscivo a concentrarmi. Mi sedetti sul bordo della vasca, mi presi la testa tra le mani e cercai di ricacciare indietro le lacrime.

Non ora, Duncan, non ora.

Non ero mai stato uno dalla lacrima facile. Non avevo pianto molte volte nella mia vita da adulto, quasi nessuna. Né per Courtney, né per mie sorella. Per nessuno. Ma Gwen... lei era diversa.

Con la coda dell'occhio vidi Heather, ferma sulla soglia. Alzai la testa, cercando di sorridere. Niente da fare.

-Ehi.-

-Ehi, Duncan. Come va?-

Deglutii. Niente lacrime, Ducky, non ora.

-Potrebbe andare meglio, grazie.-

Heather fece qualche passo verso di me, entrando nel bagno -Mi dispiace per te e Gwen... quella ragazza è una testa calda, non devi ascoltarla.-

-No, non è colpa sua...-

-Si, invece.- ora era in piedi davanti a me e io, ancora seduto sul bordo della vasca, dovetti piegare il collo all'indietro per guardarla negli occhi.

-Duncan, tu sei un ragazzo fantastico, non dovresti sprecarti con una come lei se non ti capisce...- mi accarezzò una guancia. Rimasi incantato a guardarla per un secondo, poi sbattei le palpebre e mi ripresi, scattando in piedi.

-Oh, ehm, ok...- mi spostai verso il lavandino, strisciando contro il muro, ma lei non voleva staccarsi da me.

-Lo sai? Mi piaci molto, mi sei sempre piaciuto.- Heather mi gettò le braccia al collo, avvicinando il viso.

-Oh, Gesù- esclamai, imbarazzato ma allo stesso ammaliato dalla sua bellezza mozzafiato -Heather, io ho una missione! Devo tornare con Courtney, ricordi?-

Il suo sguardo divenne malizioso -Si, ma ora non sei da lei, puoi fare quello che vuoi.-

Il suo bacio fu così improvviso che persi l'equilibrio e quasi caddi all'indietro, battendo contro il lavandino e facendo cadere spazzolini, saponette e qualsiasi cosa si trovasse in zona. Rimasi con gli occhi spalancati e le posai le mani sulle spalle, cercando di allontanarla gentilmente da me, ma lei era decisa e si avvinghiò ancora di più, mettendomi le mani tra i capelli.

Poi una voce ci interruppe.

-Oh, vedo che voi due avete già fatto amicizia.-

Finalmente Heather si staccò, ed entrambi ci voltammo a vedere chi aveva parlato. Gwen era in piedi davanti alla porta, appoggiata allo stipite per non cadere. Ci osservo con un sopracciglio alzato, digrignando i denti.

-No, io, non è come...- balbettai.

-Si, si, risparmiami le tue scuse, non mi interessa. Divertitevi.- e si allontanò zoppicando.

Rimasi in silenzio per un attimo guardando il punto dove un attimo fa c'era Gwen, mentre sul volto di Heather spuntava un sorrisetto malizioso. Poi mi voltai contro il muro e cominciai a prenderlo a testate, imprecando silenziosamente.

 

-Gwen, cosa c'è?- disse Noah, entrando in una delle tante camere della casa.

Gwen era seduta sul letto, rannicchiata, e singhiozzava. Quando alzò la testa, Noah vide che i suoi occhi erano rossi e pieni di lacrime, che le scendevano anche lungo le guance.

-Niente, non preoccuparti.- rispose con voce flebile lei, abbozzando un sorriso.

Ma perché ci sto così male?, pensò, mentre parlava.



Buonasera/buongiorno/buonpomeriggio!
Non li ho ancora fatti tornare insieme felici e contenti, lo so, ma datemi tempo. c:
Rubo solo un attimo del vostro tempo per farvi vedere lo splendido disegno realizzato dalla mia cara collega Dalhia_Gwen e ispirato nientemeno che da questa storia! *^*
Ecco il link -> 
http://dalhia-gwen.deviantart.com/art/DxG-Always-together-until-the-end-382056670 

E naturalmente grazie a tutti quelli che continuano a seguire i miei deliranti capitoli, vi adoro! :'3
Un bacio, TeenSpirit 

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Capitolo 16
*** Crazy Little Thing Called Love ***


Ti prego, ti prego, voglio solo dormire.

Ma a quanto pare la mia mente non voleva saperne di concedermi qualche ora di sonno. Era stata una giornata, come dire?, impegnativa.

Forse impegnativa non era il termine giusto. Terribile la descriveva molto meglio.

A parte il ritorno di Geoff, non era andato niente per il verso giusto.

Ehi, Duncan, guarda il lato positivo. Almeno non sei morto mangiato da una dolce famigliola di cannibali psicopatici.

Quello era vero. Ma, tanto, ero convinto che sarei morto entro un mese. Dopotutto stavo andando a compiere una missione praticamente suicida in cui dovevo convincere la donna che avevo lasciato sull'altare a tornare con me, e poi... e poi cosa? Ucciderla? Piegarla al mio volere? Dovevo solo sperare che i ribelli avessero ragione e che lei mi amasse ancora.

Feci una smorfia e mi girai a pancia in su nella mia tenda.

Erano passati cinquant'anni dall'ultimo giorno in cui l'avevo vista. Quanti anni doveva avere ora Courtney? Più o meno settantadue, pensai.

Nella mia mente si formò l'immagine di una Courtney dai lunghi capelli grigi raccolti in una crocchia, seduta sula sedia a rotelle a fissare il mondo con occhi vacui e spenti su un viso dalla pelle rugosa e cadente.

Con un gemito mi girai su un fianco, coprendomi il viso con le mani.

Ma poi quell'immagine scomparve, e mi tornò in mente Courtney il giorno in cui l'avevo baciata per la prima volta. Sorrisi, mentre il cuore mi si scioglieva, e piano piano scivolai nel sonno...

 

Io e Geoff guardavamo la casa di Lindsay Parker dall'altra parte della strada, appoggiati contro la macchina di Geoff. Si riusciva a sentire la melodia di una canzone (che riconobbi come “Call Me” di Blondie) uscire dalle finestre aperte, coperte solo dalle tende, ma attraverso le quali riuscivamo a intravedere sagome di ragazze che ballavano, chiacchieravano e sbocconcellavano pasticcini e tortine.

-Caspita, amico, guarda quante belle ragazze!- esclamò Geoff, mettendosi le mani dietro la testa per stare più comodo.

-Dio mio, sembra il paradiso.- mormorai, con un sorriso sfacciato sulle labbra.

Mi dispiaceva aver lasciato lasciato Shirley a casa da sola, ma in quel momento la mia mente era impegnata da altro. Sarei tornato in tempo. E poi c'era pur sempre nostra madre a casa, anche se lei non aveva fatto mai niente per proteggerci dalla furia di nostro padre, oltre a piangere.

Scossi la testa per liberare la mente da quei pensieri. Ora dovevo pensare ad altro.

Mi scrocchiai le dita delle mani, poi dissi con tono deciso -Si va in scena.-

Geoff rise e mi seguì, mentre mi avviavo verso la porta d'ingresso di casa Parker.

Suonai al campanello e, pochi secondi dopo, una ragazza bionda con più davanzale che cervello venne ad aprirci. Stava sorridendo, probabilmente divertita dalla battuta che qualche amica le aveva appena fatto, ma quando ci vide il suo sorriso scomparve, sostituito da un'espressione di rimprovero. In particolare il suo sguardo fulminante era rivolto a me.

-Cooper.- disse, seria.

-Oh, Lindsay, ma sei splendida! E buon compleanno!- esclamai, mimando l'atto di togliermi un cappello invisibile e fare un inchino.

Lei non rispose, ma incrociò le braccia.

Probabilmente ce l'aveva ancora con me da quando, l'anno prima, l'avevo invitata al ballo di primavera, dopo l'ennesimo rifiuto da parte di Courtney, e, durante festa, le avevo erroneamente versato del punch sul vestito firmato. Da quel giorno la bionda cheerleader amica di Courtney non solo non aveva più voluto rivolgermi frasi con un numero superiore di due parole, ma aveva fatto di tutto per farmi ingelosire, convinta che provassi rimpianto vedendola con altri ragazzi. Naturalmente, non era così.

Ad ogni modo, quella sera Geoff era con me, e ci pensò lui a risolvere la situazione.

-Si, Lindsay, buon compleanno!- disse, e le porse un mazzo di fiori che avevamo rubato da una bancarella per l'occasione, conoscendo la vanità di Lindsay.

La ragazza li osservò per un momento, incantata, poi li prese in mano e li annusò, lanciando una sguardo ammaliato a Geoff. Ora il suo atteggiamento era più rilassato.

-Che ci fate qui, ragazzi?- chiese, cercando di mostrarsi ancora infastidita, sebbene il nostro regalo l'avesse piacevolmente sorpresa.

-Oh, beh, sai, abbiamo sentito che stavi organizzando una festa e abbiamo pensato: e se quelle povere fanciulle non avessero da bere?-

Mentre Geoff parlava io avevo tirato fuori da dietro la schiena, dove l'avevo nascosta, una confezione di lattine di birra, sventolandole davanti al naso della ragazza con un ghigno.

Lindsay sorrise maliziosa, e disse -Perché non l'avete detto subito?- e, detto ciò, si scostò dalla porta, permettendoci di entrare.

La casa di Lindsay Parker era spaziosa e in stile moderno, con mobili geometrici dai colori chiari e comodi divani di pelle. Quando entrammo nel salotto, dove sembrava si trovassero tutte le invitate, fummo accolti da esclamazioni di gioia e ragazze che si fiondavano ad abbracciarci. C'erano tutte le ragazze popolari della scuola, per lo più cheerleader come Lidsay. L'unica che non venne a salutarci fu una ragazza mora, dalla carnagione olivastra e gli occhi scuri, che si trovava in fondo alla stanza e che subito mise il broncio, alzando gli occhi al cielo.

Oh, Curtney, Courtney. Buonasera.

Io le mandai un bacio da lontano, facendole l'occhiolino, ma lei lo scacciò con un gesto della mano, stizzita.

Strinse i pugni con rabbia e si avvicinò a Lindsay, ringhiando -Cosa ci fanno loro qui?!-

Lindsay si voltò a guardarla con gli occhioni azzurri spalancati e, sputacchiando ovunque il muffin che aveva appena messo in bocca, rispose -Hanno la birra!-

Courtney lanciò un verso esasperato e la trascinò via da noi.

Trattenni una risata e lanciai uno sguardo alla chitarra appoggiata in un angolo della stanza, abbandonata. Mi venne un'idea e la sussurrai nell'orecchio a Geoff, che ridacchiò e fece si con la testa.

-Ragazze, basta con questa musica!- andai al lettore cd e lo spensi, estraendo il disco di Blondie e lanciandolo da parte.

Dopodiché afferrai la chitarra e mi accomodai sul divano accanto al mio amico, che aveva già il braccio intorno alle spalle di una ragazza.

-Vi va una canzone?- dissi, con tono ammaliante.

Tutte le invitate assentirono con gridolini di gioia.

Iniziai a suonare con gli occhi chiusi, contento di sentire tutti gli sguardi puntati su di me. Specialmente quello di Courtney che, dopo aver fatto un po' di storie, aveva acconsentito alla richiesta di Lindsay di sedersi insieme a tutti gli altri. Anche se lei era in fondo al gruppo sapevo che mi stava fissando e giudicando con quel suo sguardo da maestrina.

Probabilmente stava pensando: mah, guarda quei capelli verdi! Assurdi. E quei piercing? Un obbrobrio. Come fa a guardarsi allo specchio? Si crede tanto ribelle a bucarsi la faccia con quella roba?

Quel pensiero mi fece sorridere ancora di più, e aprii gli occhi per poi iniziare a cantare.

She was a fast machine, she kept her motor clean, was the best damn woman that I ever seen...

Il mio pubblico esultò. La mia voce era calda, roca ma allo stesso tempo bella e affascinante. Le mie dita si muovevano esperte sulle corde della chitarra.

She had the sightless eyes, telling me no lies...

A quel punto guardai dritto negli occhi Courtney, che arrossì all'istante e abbassò la testa, il viso nascosto dai lunghi capelli castani sciolti.

Knocking me out with those American thighs...

A queste parole Courtney alzò la testa e, quando capì che la mia canzone era riferita a lei, arrossì ancora di più, sebbene fosse quasi fisicamente impossibile, e cercò di abbassare la corta gonna che indossava. Trattenni di nuovo una risata e continuai.

Taking more than her share, had me fighting for air, she told me to come but i was alredy there... The walls start shaking, earth was quaking, my mind was aching, we were making it!

Le ragazze, tutte tranne Courtney, ovviamente, esultarono di nuovo e cominciarono a ballare a tempo, ridendo divertite, mentre Geoff iniziò a cantare il ritornello con me.

And you shook me all night long! Yeah, you shook me all night long!

Cominciai a cantare un'altra strofa, e vidi che Courtney stava ribollendo di rabbia, questo mi diede una certa soddisfazione.

Working double time on the seduction line, she's one of a kind, she's just mine, all mine! Wanted no applause, it's just another course, made a meal outta me and come back for more...

Allora Courtney si alzò di scatto dal suo posto e camminò rabbiosamente fuori dalla stanza, pestando i piedi. La mia voce si fermò e le mie dita smisero di pizzicare le corde, mentre la seguivo con lo sguardo, stupito. Un secondo dopo mi alzai a mia volta e uscii dalla stanza. Rimasto da solo, Geoff rise nervosamente, imbarazzato, e disse, prendendo in mano la chitarra che avevo abbandonato sul divano -Allora ragazze, che canzoni vi piacciono?-

Io raggiunsi Courtney fuori. Era appoggiata alla ringhiera della veranda di casa Parker, le labbra serrate e gli occhi fissi nel buio della notte. Mi misi accanto a lei.

-Ehi, cosa c'è?-

Lei sbuffò -C'è che sei un idiota, ecco cosa c'è.-

Aggrottai le sopracciglia, momentaneamente sorpreso, poi scoppiai a ridere. Vidi Courtney fare un debole sorriso a sua volta, ma cercare subito di nasconderlo.

-Dai, mi dispiace, ti ho offesa con quella canzone?- dissi, cercando di intercettare il suo sguardo sporgendomi in avanti.

Lei non rispose, ma si degnò di guardarmi.

-Volevo solo farti capire quanto ti trovo bella.- dissi, con il mio tipico sorriso sfacciato.

Lei arrossì leggermente e disse -E non potevi farmelo capire con una canzone romantica?-

-Non è il mio stile- risposi -E poi, con una canzone romantica ti avrei imbarazzata ancora di più davanti alle tue amiche, non credi?-

Lei non seppe cosa rispondere e rimase ancora in silenzio.

Sospirai -D'accordo. Tu pensi che io non sia romantico, non è vero? E se ti dimostrassi che ti sbagli?-

Lei mi lanciò un'occhiata curiosa -E come?-

Le porsi la mano, raddrizzandomi -Vieni con me.-

Courtney esitò per un istante, poi mi guardò negli occhi azzurri per un tempo che mi sembrò infinito. Quando sembrò sicura che non volessi farle del male, prese delicatamente la mia mano.

Geoff era rimasto dentro, quindi immaginai che non gli sarebbe dispiaciuto se gli avessi rubato la macchina per una mezz'oretta. Guidai in silenzio, sempre con un sorriso dipinto sulle labbra. Courtney era seduta accanto a me, nel sedile del passeggero, ma, per quanto cercasse di rilassarsi, la curiosità continuava ad avere la meglio su di lei.

-Allora, Duncan, me lo vuoi dire dove stiamo andando?- chiese, con tono quasi supplicante.

Scossi lentamente la testa -Tutto a tempo debito. Non preoccuparti, siamo quasi arrivati.-

Uno scroscio cominciava a sentirsi in lontananza. Misi un braccio e la testa fuori dal finestrino aperto, continuando a manovrare il volante con una mano, lasciando che l'aria fresca della notte mi sferzasse il viso.

-Che stai facendo?- chiese Courtney, quasi preoccupata.

-Mi godo l'aria notturna, fallo anche tu.-

Courtney si mordicchiò un labbro, poi sbuffò come per dire “oh, al diavolo” e si affacciò fuori dal finestrino come me. Per la prima volta quella sera la vidi sorridere sul serio, mentre il vento le scompigliava i capelli. Rise e chiuse gli occhi con espressione sognante.

La osservai per qualche secondo, incantato dalla sua bellezza, poi tornai anche io a mettere la testa fuori dal finestrino, gridando di gioia. Courtney rise di nuovo, e gridò insieme a me.

In quel momento mi sentii un tutt'uno con lei, ma tutti i momenti belli sono destinati a finire, e presto arrivammo a destinazione e dovemmo scendere dalla macchina.

Ora lo scroscio era molto più forte. Eravamo circondati da alberi talmente alti da impedirci di vedere il cielo stellato, ma in mezzo a loro si apriva un sentiero ghiaioso, così io e Courtney cominciammo a percorrerlo, fianco a fianco, in silenzio.

Lei si stava sistemando i capelli, spettinati dal vento, quasi imbarazzata. Ma a me aveva fatto piacere vedere che anche in lei c'era un lato scatenato.

A ogni passo che facevamo lo scroscio diventava più forte, quasi impedendoci di sentire i nostri stessi passi sulla ghiaia. Il sentiero finì, aprendosi in una larga radura sterrata, che finiva a strapiombo. Il paesaggio davanti a noi era spettacolare: poco lontano dal nostro sentiero riuscivamo a vedere uscire dagli alberi un fiume, che arrivava nella radura e precipitava poi giù dallo strapiombo, creando una bellissima cascata. In più lì, essendo quel posto molto in alto, si riusciva a vedere tutta la città, con le sue luci, le sue strade e i suoi palazzi.

Courtney avanzò lentamente verso la cascata, a bocca aperta. Si appoggiò allo steccato che la divideva da essa e si sporse in avanti, meravigliata.

-Io... non posso credere che un panorama così meraviglioso sia così vicino alla città!- commentò, urlando per farsi sentire sopra il rumore dell'acqua.

-Vero?- confermai, mettendomi accanto a lei. Indicai un punto della città -Guarda, là c'è casa mia!-

Courtney rise -E lì la mia!-

-E lì il ristorante Bobby's!-

-E lì il cinema!-

Continuammo a indicare luoghi per un po', divertiti da quel passatempo così particolare.

Poi Courtney parlò -Questo posto è spettacolare...-

Sorrisi teneramente -Tu di più, principessa.-

Courtney si voltò a guardarmi, socchiudendo la bocca, poi tornò a guardare il paesaggio con un sorrisetto.

-Vedi?- dissi, spalancando le braccia -Anche io so essere romantico!-

Courtney sogghignò -Puoi fare di meglio, caro.-

Guardai il suo profilo rivoltò verso la città, illuminata dalle sue luci colorate e dai riflessi sull'acqua. La guardai mettersi una ciocca di capelli color cioccolato dietro un orecchio e chiudere gli occhi per farsi rinfrescare dalla brezza. Guardai le sua labbra distendersi in un sorriso sincero.

-Ti amo.- mormorai.

Lei si voltò e urlò -Come? Non riesco a sentire nulla con quest'acqua!-

-Ho detto che ti amo!- dissi, alzando un po' il tono.

-Eh? Non capisco!-

-Courtney, io ti amo!- stavo quasi gridando, ma l'imbarazzo mi impediva di alzare abbastanza la voce.

-Duncan, parla più forte!-

Ok, niente parole allora. Non ero bravo con le parole. Volevo dimostrarle il mio amore? Tanto valeva farlo direttamente.

Le presi il viso tra le mani e la baciai, con trasporto. Mi aspettavo che lei si dibattesse per staccarsi, invece, dopo la sorpresa iniziale, mi circondò con le braccia e mi baciò a sua volta.

Non so quanto restammo avvinghiati. So solo che Courtney ad un certo aprì gli occhi e lanciò un'occhiata distratta al panorama della città. Poi si staccò da me di scatto.

-Ehi, principessa, che succede?- chiesi, stranito.

Lei era impallidita -Duncan, guarda laggiù. Quella è casa tua, no?-

-Si...- risposi, strizzando gli occhi per vedere meglio.

-C'è un'ambulanza davanti a casa tua.- continuò la ragazza.

La mia felicità per aver finalmente ottenuto l'amore di Courtney si dissolse all'istante, sostituita da un vago senso di colpa e preoccupazione.

Shirley, pensai, Shirley è a casa senza di me.

-E' meglio se vado a vedere cos'è successo.- conclusi infine. La voce che mi tremava.

-Ti accompagno.- Courtney mi prese la mano con sguardo deciso.

-Sei sicura?-

Sorrise -Sono o non sono la “signora Duncan” adesso?-

Mi presi giusto un istante per poterle accarezzare il viso, poi corremmo in macchina.

 

Mi svegliai di soprassalto, rizzandomi a sedere nella tenda, madido di sudore.

-Shirley!- gridai. Quando poi mi accorsi di essere sveglio feci un sospiro e mormorai -Sherry...-

Mi stropicciai gli occhi. Ormai mi sarebbe stato impossibile riprendere a dormire, tanto valeva fare due passi per sgranchirsi le gambe.

Uscii dalla tenda e salutai Noah che era di guardia davanti al fuoco. Poi cominciai a camminare tra gli alberi, diretto sulla sponda del torrente vicino al quale ci eravamo accampati. Mi sedetti su un grosso masso e guardai l'acqua trasparente che scorreva davanti a me. Poi, di punto in bianco, cominciai a piangere. Dapprima semplici lacrime mi inumidivano le guance, delicatamente, poi iniziai a piangere sul serio, singhiozzando come un disperato.

Non ero ancora riuscito a farlo da quando ero arrivato nel futuro, ma finalmente riuscii a sfogarmi. Mi sfogai perché Courtney mi aveva deluso, mi sfogai perché mi sentivo in colpa per mia sorella, mi sfogai perché dovevo salvare il pianeta e non ne ero all'altezza, mi sfogai perché avevo dannatamente bisogno di Gwen in quel momento, ma lei non c'era. Almeno, non per me.

Mettiamo le cose in chiaro. Duncan, tu ami ancora Courtney?

Io mi sono innamorato di Gwen.

Ma ami Courtney?

No, amo il suo ricordo.

Smisi di frignare come una bambinetta e mi asciugai gli occhi con la manica della divisa militare.

Io non amo Courtney, io amo il suo ricordo.

Ma tanto dovrai ugualmente fingere di amarla se vuoi salvare il mondo.

Dovrò fingere, si, ma questo non vuol dire che io non possa dare il mio vero amore a Gwen.

E se lei non lo volesse?

Scoppiai in una risata isterica.

Certo che non lo vorrà. Ma che importa? Ormai ho il cuore a pezzi, non può farmi più male di così.

Avevo smesso di piangere ma continuavo ancora a sentire qualcuno singhiozzare. Qualcuno vicino al punto dove mi trovavo io. Incuriosito, seguii il rumore. Sembra che tutti piangano, stasera.

Una sagoma era seduta contro un albero, illuminata a malapena dai raggi della luna. La luce era poca, ma bastò a far risaltare il blu dei capelli della persona che era seduta contro il tronco dell'albero.

-Gwen, che succede?- domandai, ansioso, dimenticando per un momento l'astio che c'era tra di noi. Mi sedetti accanto a lei, cingendole le spalle con un braccio.

Lei non tentò nemmeno di asciugarsi le lacrime e non alzò lo sguardo su di me. Rimase a testa bassa e non rispose, la sentii solamente tirare su col naso.

Cercai di essere più dolce possibile e trattenere il tono pieno d'odio che mi sarebbe venuto naturale parlando di lui -E' per Trent?-

Questa volta Gwen, esasperata, mi diede un debole spintone e rispose -No, stupido! E' perché avevi ragione tu.-

-Di che stai parlando?-

La ragazza alzò i neri occhioni lucidi su di me -Quello che hai detto oggi... è vero. Io mi vergogno di Trent perché non lo amo.-

Un moto di tenerezza mi pervase -Gwen, quante volte devo ripeterti che mi dispiace? Ho detto solo un mucchio di cazzate, non devi starmi a sentire...-

-No, hai detto quello che pensavi davvero e avevi ragione, solo che io ero troppo cieca per accorgermene. La storia tra me e Trent non può funzionare... lui per me è come un fratello. Gli voglio infinitamente bene, ma...- un singhiozzo la interruppe.

La abbracciai, e sentii le sue lacrime calde scorrermi lungo il collo, mentre lei mormorava -Mi dispiace di averti detto quelle cose cattive, mi dispiace così tanto...-

-Basta scusarti, l'unico che deve farlo sono io.- la interruppi, continuando a stringerla.

-Sei sempre così gentile con me, non me lo merito...-

La zittii -Ssh, non dire così. Tu sei la ragazza migliore che io abbia mai incontrato.-

Allora Gwen si sciolse dall'abbraccio. Si asciugò lentamente gli occhi, quasi con teatralità, e poi mi fissò negli occhi. C'era qualcosa di strano in quello sguardo che mi paralizzò.

-Ricordi quando oggi ho detto che tu sei arrivato e hai sconvolto tutto?-

Non risposi, gli occhi fissi nei suoi.

-Non... non l'hai fatto in modo negativo, solo che...- sembrava non riuscire a trovare le parole, e improvvisamente la pelle bianca come il latte si tinse di rosso -Io avevo finalmente sistemato le cose nella mia vita, avevo uno scopo, un lavoro e un ragazzo... che tu mi hai fatto accorgere di non amare.-

-Non volevo...-

-No.- Gwen mi bloccò con un gesto della mano -Ti ringrazio.-

Spalancai la bocca e sbattei le palpebre, sbalordito, con un'espressione molto poco intelligente.

-Ti ringrazio perché mi hai impedito di passare la vita con la persona sbagliata.-

La mia mente si era svuotata da ogni pensiero. L'unica risposta vagamente sensata che riuscii ad emettere fu un balbettato -P-prego.-

Gwen sembrò arrossire ancora di più, ma il suo sguardo, che spiccava nel buio della notte, era diventato deciso -Posso... posso provare a fare una cosa?-

Annuii, deglutendo.

Cosa vuole fare?

Ti tirerà uno schiaffone e si rimangerà tutto quello che ha appena detto. Lei ti odia, te ne sei dimenticato, Duncan?

Forse no...

Gwen si avvicinò a me con gli occhi chiusi, protendendosi in avanti. Restai paralizzato, incapace di distogliere lo sguardo dal suo viso, così perfetto.

Le sue labbra incontrarono le mie per un momento, e qualcosa sembrò esplodere nel mio cuore. Un misto di felicità, amore e sollievo. Gwen si staccò velocemente da me, imbarazzata.

-Mi dispiace.- mormorò.

Le parole mi uscirono da sole -A me no.-

La baciai di nuovo, con più passione. Gwen ricambiò immediatamente il bacio, e mi circondò il collo con le braccia per starmi più stretta. Eravamo una cosa sola.

Courtney ormai era solo un ricordo lontano per me.

Mi staccai un momento, la guardai negli occhi, cercando di vedere se lei stava provando quello che provavo io. Quando ne ebbi la conferma sorrisi.

-Ti amo.-

-Dio, Duncan, ti amo anche io.-




AMATEMI.
Si, potete farlo. c:
So che ci sono molti momenti DxC, ma devo metterli per forza, capitemi! D:
Spero che vi sia piaciuto questo capitolo, io mi sono impegnata tanto! Ma come sempre è stato e sempre sarà non sono soddisfatta del risultato... pazienza!
Qui c'è la traduzione del brano che canta Duncan, se ne avete bisogno -> http://www.testitradotti.it/canzoni/acdc/you-shook-all-night-long
Qui invece c'è un altro splendido disegno della mia cara collega Dalhia_Gwen ispirato a questa storia, che sta diventando sempre più brava! :3 -> http://dalhia-gwen.deviantart.com/art/DxG-This-means-war-390987990
Bene, io ho finito. Fatemi sapere cosa pensate del capitolo, please!
Baci,
TeenSpirit

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Capitolo 17
*** I Just Wanna Live ***


Il mattino dopo mi svegliai alle prime luci dell'alba. Aprii gli occhi lentamente e mi stiracchiai, poi sorrisi. Era la prima volta da settimane che mi svegliavo col sorriso sulle labbra. E soprattutto, era la prima volta che non sognavo Courtney. Mi girai su un fianco, allungando il braccio per poterla toccare, per poter sentire il suo calore, ma Gwen non c'era. Aveva dormito con me quella notte, ma doveva essersi svegliata molto prima.

Mi dispiaceva, avrei voluto svegliarla con un bacio, ma questo non riuscì a togliermi il sorriso dalle labbra. Non riuscivo a crederci. Veramente era successo?

Trattenni un gridolino di gioia e mi limitai a sollevare le braccia e scuoterle in aria in segno di vittoria.

Mi decisi ad alzarmi. Uscii dalla tenda infilandomi una canottiera sgualcita sopra ad un paio di pantaloni mimetici. Geoff e Noah erano già seduti davanti al falò spento, in silenzio, i visi spenti e due occhiaie scure sotto agli occhi.

-Buongiorno!- salutai io allegramente, raggiungendoli quasi saltellando -Dormito bene?-

Noah alzò gli occhi stanchi su di me -Tu cosa ne dici?-

Mi sedetti davanti a lui -Oh, mi dispiace.-

Lui si massaggiò le tempie con le mani -Fa niente, sono solo un po' suscettibile perché non ho chiuso occhio. Mi sarei aspettato qualsiasi cosa, banditi, animali feroci... ma mai dei cannibali.-

Geoff rabbrividì. La mia mente tornò al giorno precedente, ma la mia felicità era tale da non poter essere spenta neanche da un ricordo del genere.

-L'umanità sta proprio degenerando.- continuò Noah, con uno sbadiglio.

-Ragazzi, smettetela di pensarci, è acqua passata!- dissi, con un sorriso che mi andava da un orecchio all'altro -Magari erano gli unici, magari no, comunque siamo salvi e sappiamo di poter mandare a quel paese chiunque ci sbarri la strada!-

Geoff fece un debole sorriso, ma Noah non sembrava convinto.

-Si può sapere perché sei così di buon umore?-

Scrollai le spalle, con finta noncuranza -Una bella dormita metterebbe chiunque di buon umore.-

Noah aggrottò le sopracciglia e aprì la bocca per ribattere, ma in quel momento arrivò Gwen, trasportando un mucchietto di bacche colorate tra le mani.

-La colazione!- annunciò, e venne verso di noi zoppicando. La ferita andava meglio, ma ancora faticava a camminare in modo sciolto.

Geoff e Noah sembrarono rianimarsi un po'. Quando fui sicuro che la loro attenzione non era più su di me, feci l'occhiolino a Gwen, che rispose con un sorrisetto malizioso.

Ripensai alla notte prima. Le mie mani sui suoi fianchi, il suo fiato sul mio collo mentre si lasciava baciare sulla pelle candida e i suoi gemiti di piacere. Le avevo sollevato sollevato le braccia, cercando di sfilarle la maglietta, ma lei mi aveva fermato.

-Duncan, aspetta. Sei sicuro di quello che stiamo facendo?-

Le avevo preso il viso tra le mani, obbligandola a guardarmi dritto negli occhi -Dolcezza, non sono mai stato così sicuro di qualcosa in tutta la mia vita.- avevo detto, ed era vero. Avevo avuto dei dubbi all'inizio, della serie “sta succedendo troppo in fretta”, “non posso farlo” e “concentrati solo sul salvare il mondo”. Ma non potevo fermarmi.

Il sentimento che c'era tra me e Gwen era indescrivibile. Lo era sempre stato, fin dalla prima volta che l'avevo incontrata. Era come se fossimo destinati a stare insieme, sebbene fossimo nati in epoche diverse. Come se il destino volesse che tutto questo, la guerra, Courtney che impazziva, succedesse per fare in modo che ci incontrassimo.

Ma lei mi aveva lanciato uno sguardo dubbioso -E Heather?-

-Cosa c'entra lei ora?- avevo mormorato, distratto, continuando a mangiarla di baci sul collo, il viso, le spalle.

-Oh avanti, non fare il finto tonto! Avete una relazione o qualcosa del genere?!- era sbottata lei, alzando gli occhi al cielo.

Io per tutta risposta avevo riso -Ti riferisci a oggi? Diavolo, quella ragazza mi si è lanciata addosso, non penserai che mi piaccia!- avevo ammiccato -Sei gelosa?-

Lei non aveva risposto, sul viso l'espressione imbronciata di una bambina.

Allora le avevo preso le mani e le avevo detto -Tengo a te più di qualsiasi altra cosa al mondo. Tengo a te più della mia stessa vita.- le avevo sfiorato una guancia con il dorso della mani -Questo Trent non te l'aveva mai detto, vero?-

Gwen aveva riso sarcasticamente, poi era tornata seria, ma con una scintilla negli occhi -Ci sono un sacco di cose che io e Trent non abbiamo mai fatto.-

Si era allungata su di me per raggiungere le mie labbra e contemporaneamente farmi sdraiare a terra.

-Oh, signorina, cosa direbbe il suo generale se la vedesse ora?-

-Il mio generale non è qui.- mi aveva posato le mani sul petto e sfiorato i lembi della maglietta, poi aveva sussurrato -Questa maglia non mi piace, faresti meglio a toglierla, soldato semplice Cooper.-

Io avevo ghignato e mormorato -Ai suoi ordini.-

Mentre io sognavo questa scena a occhi aperti con un'espressione beota stampata sul viso, Zoey ci aveva raggiunti al falò spento e mi stava schioccando le dita davanti al viso, nel tentativo di farmi tornare al presente.

-Terra chiama Duncan! Ho detto buongiorno!- borbottò, incrociando le braccia, quando mi ripresi scuotendo la testa.

-Oh, scusa Zoey. Ero sovrappensiero.- risi quasi istericamente. Gwen, che evidentemente aveva colto i miei pensieri, stavo cercando di nascondere un sorriso.

Dio, è così bella. Sono l'uomo più fortunato del mondo. Il suo viso è splendente come la luna e i suoi capelli blu lo incorniciano come il buio della notte. I suo occhi invece sembrano... sembrano...

-Bacche?-

No, non bacche, più...

-Duncan, bacche?-

Ho detto di no! Fammi pensare...

-Cristo santo, Duncan, le vuoi o no queste bacche?-

Sbattei le palpebre, ritrovandomi davanti Noah che mi porgeva una manciata di bacche blu. Zoey, che si era seduta accanto a me, scosse la testa con una risatina.

-Ehm, no... no, grazie.- risposi, in imbarazzo, grattandomi la testa.

Noah tornò al suo posto senza smettere di fissarmi con sospetto. Io gli indirizzai un sorriso brillante.

Gwen, che si era seduta vicino a Geoff, era ormai rossa dallo sforzo di trattenere le risate, sembrava stesse per esplodere da un momento all'altro. Facemmo colazione in silenzio. Tutti erano un po' scossi dagli eventi della giornata precedente e immersi nei loro pensieri. Io e Gwen continuavamo a scambiarci occhiate, desiderosi l'uno dell'altra. Avevamo convenuto che era meglio non dire agli altri della nostra relazione, per ora. Noah, che era a capo della missione, avrebbe sicuramente protestato. Ma quella mattina non avevo fame di cibo, avevo solo fame di Gwen, e non riuscivo a smettere di guardarla. Poi una voce interruppe i miei pensieri.

-E' meglio se ci mettiamo in marcia presto. Per raggiungere la base di Courtney O'Connell dobbiamo andare fino a Washington, e sarà un viaggio lungo.-

Heather era in piedi davanti alla sua tenda. Doveva essersi appena svegliata, ma non aveva un capello fuori posto ed era vestita di tutto punto.

Notai che Gwen la fulminava con lo sguardo. In un certo senso mi rendeva felice il fatto che fosse gelosa, anche se, dopo la sera prima, non avevo più dubbi sul fatto che mi amasse davvero.

Raccogliemmo le nostre cose velocemente, le sistemammo negli zaini e ci rimettemmo in marcia in mezzo ai boschi. Io e Gwen stavamo ai lati opposti della fila indiana, in modo che sembrasse ancora che fossimo arrabbiati l'uno con l'altra.

Non si udiva nessun suono nel bosco, oltre al rumore dei nostri passi. Non il canto di un uccellino, non un ramo spezzato da uno scoiattolo... il silenzio più totale.

Ma io non ci facevo caso. Mi impegnavo solamente a mettere un piede davanti all'altro, procedere, e rivedevo nella mia mente la scena del nostro bacio ancora, e ancora, e ancora...

Geoff aveva compiuto qualche vano tentativo di fare conversazione, ma la mia mente era occupata e le mie risposte erano unicamente a monosillabi. Sapevo che si era accorto di qualcosa di strano, ma sapevo anche che mi conosceva troppo bene per fare domande quando non ero in vena di rispondere. Perciò si mise a parlare con Zoey. La conversazione fu incentrata più che altro su Bridgette, grande amica di Zoey nonché suo superiore nell'ospedale del rifugio. Geoff voleva sapere tutto di lei e continuava a farle domande su domande, mentre la piccola Zoey si imbarazzava sempre di più.

Non pranzammo, decidemmo di continuare a camminare. Ma l'estate era ormai alla fine e verso le cinque e mezza del pomeriggio era già quasi completamente buio. In più, stavamo morendo di fame, e i muscoli delle nostre gambe, sebbene allenati, chiedevano pietà.

Quando decidemmo di fermarci Gwen sembrò illuminarsi.

-Ehi, Noah, qui siamo vicino a Toronto, vero?-

Noah, si destreggiò tra la decina di mappe che teneva tra le braccia, controllandole con fare professionale.

-Uhm... si, siamo quasi lì. Perché?-

Gwen ammiccò -Vi piacerebbe passare la notte al caldo e al chiuso?-

I nostri sguardi si illuminarono di speranza.

Geoff mormorò -Oh si, ucciderei per dormire in un letto.-

-Io non mi ricordo neanche come è fatto, un letto!- esclamai, spalancando le braccia con un sorriso.

-Gwen, di che stai parlando?- chiese Noah, incuriosito.

La ragazza si avvicinò a lui e prese una delle sue cartine. La studiò, poi sorrise e indicò un punto, mostrandolo al ragazzo.

-Vedi qui, sulle sponde del lago Ontario? C'è una comunità di sfollati dall'ultima guerra.- richiuse la cartina e la porse a Noah -Ci vivono mia madre e mio fratello. Sono sicura che sarebbero lieti di ospitarci per la notte.-

Noah afferrò la cartina, sbalordito, poi prese ad accarezzarsi il mento, pensieroso -E' rischioso, dobbiamo cercare di farci notare poco durante il viaggio...-

-Non c'è da preoccuparsi. Conosco tutti quelli che vivono là, non fiateranno riguardo nostro passaggio.-

Noah sospirò e fece un cenno di assenso, e io e gli altri esultammo di gioia.

Impiegammo non più di 15 minuti per arrivare al quartiere di sfollati. Era un ammasso di edifici grigi, alti e stretti collegati tra di loro da stradine, vicoli e sentieri, sui quali erano disseminate bancarelle che barattavano ogni genere alimentare e materia prima. La quantità di gente era impressionante: uomini, donne e bambini di qualsiasi età e razza, tutti dal viso pallido e smunto. Alcuni bambini correvano per le strade su gambe così magre che sembravano doversi spezzare da un momento all'altro.

Rispetto a questo, il rifugio dei ribelli sembrava un lusso.

Ma nonostante tutto quella gente sembrava felice. Felice di essere ancora viva, felice di poter vedere i propri figli crescere, felice di avere un tetto sulla testa, e felice di aver avuto una possibilità per sopravvivere.

Passammo in mezzo alla folla senza essere notati. La gente ci passava accanto chiacchierando, ridendo e scherzando senza degnarci di uno sguardo. E io pregavo Dio che non mi riconoscessero.

Ad un certo punto Gwen svoltò in un vicoletto buio, raggiungendo l'entrata di uno dei condomini. Il portone d'ingresso era aperto, e lei lo spalancò, correndo dentro. La seguimmo lungo una serie infinita di scale. Quando ormai ero arrivato al punto di non avere più fiato e stavo per prendere la decisione di accasciarmi sui gradini, Gwen si fermò su un pianerottolo e bussò a una malconcia porta di legno.

La donna che aprì mi lasciò a bocca aperta: sembrava la versione più adulta di Gwen. I capelli erano color cioccolato, ma i tratti del viso, gli occhi e il naso erano praticamente identici a quelli della figlia.

La donna si portò le mani alla bocca, mentre gli occhi scuri le si riempivano rapidamente di lacrime -Oddio, Gwen! Tesoro, che ci fai qui?-

La ragazza abbracciò dolcemente la madre e le spiegò la situazione.

-Ma certo che potete restare, che domande! Prego, entrate!- si spostò di lato, permettendoci di oltrepassare la soglia.

Io entrai per ultimo e le strinsi la mano -E' davvero un piacere conoscerla, signora.-

Lei piegò la testa di lato, con un sorriso sul volto -Oh, caro, piacere mio.-

Gli altri si erano fermati all'ingresso e la madre di Gwen li accompagnò in una stanza destinata agli ospiti per fargli posare gli zaini e preparare i letti per la notte.

Io e Gwen eravamo rimasti da soli.

Lei chiuse la porta con tenerezza. Deve aver amato molto questa casa, pensai.

-Tua madre è così... così...-

-Identica a me?- chiese lei, poi rise -Si, me lo dicono tutti.-

Le cinsi un fianco con il braccio e la avvicinai a me -Beh, non ti preoccupare, proverò a non confondervi quando vorrò baciarti...-

-Ma davvero? Che carino...-

Avvicinammo i nostri visi, ma qualcuno tossì per attirare la nostra attenzione.

Immediatamente ci allontanammo, cercando di sembrare incuranti, ma con molto imbarazzo.

Un ragazzino quasi adolescente era appoggiato alla porta della cucina, e ci guardava con sospetto.

Gwen gridò -Joel!- e corse da lui, stritolandolo in un abbraccio amorevole da sorella maggiore.

Il ragazzino mugugnò un -Gwen, staccati, non respiro!!- ma lei lo strinse ancora più forte.

Quando lo lasciò andare lui era paonazzo. Poi la ragazza gli stampò un bacio sulla guancia che non fece che farlo arrossire ancora di più, e Joel si strofinò la mano sulla guancia per pulirsi, con espressione disgustata.

-Oh, non fare l'idiota Joel, lo so che ti sono mancata.-

Lui alzò gli occhi al cielo ma sorrise.

Poi guardò me, ancora con quello sguardo sospettoso -E quello chi è?-

Io mi avvicinai, con il mio sorriso più convincente, e gli porsi la mano -Piacere, Duncan.-

Il ragazzo mi guardò in faccia, poi guardò la mano e infine guardò di nuovo il mio viso. Sembrava pensoso.

La strinse, poco convinto, e mormorò -Joel.-

Gwen gli diede una pacca di rimprovero sulla spalla -Joel, avanti, sii educato!-

Joel strinse la mia mano un po' più forte e fece un sorriso forzato. Poi mi lasciò andare e scomparì in una delle stanze del piccolo appartamento.

Inarcai le sopracciglia, stranito.

Gwen scosse la testa -Scusalo, è in un'età difficile...-

Io risi -Nessun problema, è normale. E' un po' geloso perché ci ha visti insieme.- il mio sguardo si perse nel vuoto -Persino io ero geloso della mia sorellina quando la vedevo tenersi per mano con un altro bambino...-

Gwen abbassò la testa, dispiaciuta, e mi prese la mano per darmi conforto.

Noah si affacciò sulla soglia della camera degli ospiti -Ragazzi, il vostro aiuto qui sarebbe molto gradito!-

Fortunatamente non notò le nostre mani intrecciate, e noi ci scambiammo uno sguardo preoccupato, tirando un sospiro di sollievo.

 

Quella sera cenammo tutti insieme. Le presentazioni erano state fatte e tra i padroni di casa e gli ospiti ormai non c'era più alcun imbarazzo. La cena era stata preparata dalla madre di Gwen, ovvero Marilyn, Zoey e Geoff, rivelatosi un cuoco provetto. Gli imprevisti non erano stati pochi, tra torte bruciate, battaglie di farina e ingredienti vari che volavano giù dalla finestra. Alla fine tutti avevamo partecipato, ed eravamo riusciti a mettere insieme una cenetta sufficiente per sfamarci tutti. Certo, Marilyn non aveva molti soldi, perciò non potevamo aspettarci niente di che. Ma anche solo bere una zuppa calda seduti ad un tavolo al sicuro in una casa mi faceva stare bene. Soprattutto se sapevo che Gwen era con me.

Stavamo chiacchierando animatamente, assaporando la nostra cena, quando, ad un certo punto, la madre di Gwen parlò.

-Allora, Duncan, da quando tu e mia figlia state insieme?-

Io, che avevo appena messo in bocca un cucchiaio di zuppa, me la feci andare di traverso, sputandola tutta fuori e tossendo come un matto. Poi mi voltai di scatto a guardare Gwen, che aveva gli occhi sbarrati e mi fissava.

-Mamma, ma che dici! I-io e lui non...-

sbuffò -Oh, avanti Gwendolyn Lewis, sei mia figlia, ti conosco meglio di qualsiasi altra cosa al mondo!-

Geoff mi lanciò uno sguardo accusatorio, come per dire Io l'avevo già capito, ma perché tu non me l'hai detto?

Abbassai la testa. Nella stanza era sceso un silenzio imbarazzante.

Noah si alzò in piedi, con una smorfia sulle labbra.

-Duncan, dobbiamo parlare. Seguimi.-

Uscì dalla cucina. Io sospirai e lanciai uno sguardo rassicurante a Gwen, poi gli andai dietro. Lo raggiunsi nella stanza degli ospiti.

-Si può sapere che diavolo stai facendo?- mi chiese lui, rabbioso.

-Niente, non sto facendo niente!-

-Vuoi mandare all'aria la missione?!-

-Noah, io non...-

-Ti rendi conto che tra meno di una settimana tu tornerai da Courtney?-

-E questo mi impedisce di innamorarmi?- ringhiai.

Noah produsse un verso esasperato -No, ma lo so come andrà a finire. Vorrai lasciare la missione perché “ami troppo Gwen” e bla bla bla.- mimò le virgolette con le dita.

-Ma che dici? Non lo farò mai!-

-Adesso dici così. Ma quando sarà il momento fatidico...-

-Oh, stai zitto.- urlai -Basta, tu, DJ, i ribelli e il vostro piano del cazzo. Ho deciso di aiutarvi e lo farò. Ma non sono la vostra marionetta, io faccio quello che voglio!-

Noah aprì e richiuse la bocca un paio di volte, poi scosse semplicemente la testa e chiuse gli occhi -Senti, ho bisogno di prendere un po' d'aria, ok?- e, senza dire una parola di più, uscì dall'appartamento, sbattendo la porta, lasciandomi a fissare il punto dove si trovava prima con una smorfia furiosa sul viso.



Buoooonsalve a tutti.
Questo capitolo non mi ha soddisfatta completamente, non so dirvi perché. Ad ogni modo spero che a voi sia piaciuto!
Apprezzo molto tutti voi che recensite, ma grazie mille anche ai lettori silenziosi. In più mi scuso per vari ed eventuali errori di battitura. :)
Il prossimo capitolo arriverà presto (spero D:), intanto, se volete darci un'occhiata, ho scritto la mia prima OneShot sulla DxG e mi piacerebbe tanto sapere cosa ne pensate! Nel frattempo io rimugino su un'altra OneShot e, forse forse, una nuova Long, ma non vi svelo nulla... u.u
Un bacione, e a presto!

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Capitolo 18
*** Know Your Enemy ***


Quando Noah uscì dall'appartamento, sbattendo la porta, rimasi imbambolato per qualche secondo a fissare il legno. Un mare di emozioni diverse si agitava dentro di me, come in tempesta.

Ero furioso, perché intendevo davvero dire quello che avevo detto, non mi rimangiavo nulla. Ero finalmente riuscito a fargli capire che non potevano trattarmi così, non era un'arma nelle mani dei Ribelli, ero una persona, con dei sentimenti e delle emozioni.

Ma allo stesso modo mi sentivo in colpa. E non riuscivo a zittire quella dannata vocina nella mia testa che continuava a ripetermi quanto fossi bravo a rovinare ogni cosa, sempre.

Tirai un calcio ad una sedia contro al muro, nel vano tentativo di sfogarmi, e quella cadde a terra rovesciata. Mi infilai la giacca militare sulla canotta sgualcita, tirai su il cappuccio per coprire bene il viso e uscii di casa a mia volta.

 

Geoff e Zoey si scambiarono un'occhiata preoccupata, sentendomi uscire dalla porta d'ingresso. Joel si alzò in piedi di scatto, come se si fosse appena ricordato di qualcosa di importante, e corse nella sua camera, chiudendosi la porta alle spalle. Marilyn si alzò a sua volta e si mise a lavare i piatti, cercando di spezzare quel silenzio imbarazzato.

Gwen fissava il pavimento, sconvolta, scuotendo piano la testa, quasi come se ancora non credesse a ciò che era appena successo.

Rovinato, è tutto rovinato.

Ed è solo colpa mia.

Avrebbe dovuto prevedere che sarebbe successo. Che stupida. Davvero aveva creduto che sarebbe riuscita a tenerlo nascosto a Noah, ai Ribelli, a sua madre?

Non avrebbe dovuto farlo. Come al solito, Duncan era una testa calda e aveva violentemente litigato con Noah, e ora l'intera missione era in pericolo. Ma non dava la colpa a lui, solo a sé stessa.

Perché era debole. Si credeva tanto forte, ma non lo era affatto. I sentimenti erano il suo tallone d'Achille.

Ma in guerra non c'è tempo per l'amore, pensò la ragazza, continuando a scuotere la testa.

Avrebbe dovuto trattenersi, fingere di non amare Duncan alla follia, fingere di non pensare a lui in ogni singolo istante, fingere che non fosse lui la ragione per cui lei continuava a combattere.

Era Duncan a darle forza.

Ma, ora che lui e Noah avevano litigato, la missione era compromessa. Se non fossero riusciti a risolvere questa situazione, l'unica cosa che poteva salvare il mondo da Courtney li avrebbe abbandonati, e a quel punto... chi lo sa? Non era rimasta più nessun'altra idea.

Duncan era la loro ultima speranza.

Anche solo un piccolo disaccordo può mandare all'aria un'intera missione, in situazioni come questa, pensò Gwen.

Ma in effetti la colpa non era solo sua.

La ragazza si voltò verso la madre, che asciugava i piatti con le sopracciglia corrucciate in un'espressione colpevole.

Quell'impicciona, pensò, sentendosi montare la rabbia dentro.

-Sei contenta ora?-

Marilyn la guardò con la coda dell'occhio, deglutendo.

-Gwen, io...-

-Non sei mai stata capace di farti gli affari tuoi, vero? No, devi sempre mettere il naso nella mia vita privata.-

La donna posò lo straccio sul bancone della cucina e questa volta si girò a guardare la figlia, con gli occhi spalancati.

-Ma cosa dici, non...-

-Oh, hai sentito bene. Per colpa tua ora questa dannata guerra continuerà per sempre.-

Marilyn la fissò, senza capire -Ma... sono i tuoi colleghi, i Ribelli, no? Pensavo foste in cerca di provviste o qualcosa del genere...-

-No, mamma, questa è una missione importante! E tu hai rovinato tutto, tutto!- urlò la ragazza, sull'orlo di una crisi di nervi, riferendosi non solo alla missione, ma anche al suo rapporto con Duncan.

Avrebbe voluto raccontare alla madre chi fosse Duncan e cosa stessero per fare, ma sarebbe servito solo a preoccuparla. E poi, meno cosa sapeva e meno pericoli correva. Non voleva che qualcuno cercasse di estorcerle informazioni.

-Gwen, di cosa stai parlando? Così mi preoccupi!-

La ragazza si mise le mani tra i capelli, con un gemito -Non posso dirti niente, non capisci? Ma una cosa posso dirtela.- le puntò un dito contro -Non voglio mai più che tu interferisca con la mia vita, d'accordo?-

-Abbassa il tono, ragazzina! E poi io non “interferisco”, volevo solo sapere, non mi racconti mai...-

-Ma io non sono più una bambina!- Gwen ora aveva alzato talmente tanto il tono da urlare.

Seguì qualche secondo di silenzio in cui la madre fissò la figlia, ferita, mentre Zoey e Geoff si scambiavano uno sguardo. Heather alzò gli occhi al cielo, quasi fosse seccata da quella perdita di tempo.

-Gwendolyn, ti stai mettendo in qualche guaio? Stai facendo qualcosa di pericoloso? Se è così, voglio che ti fermi, subito.-

-Non volevi che entrassi nei Ribelli, non volevi che me ne andassi di casa, non volevi che vivessi la mia vita...- continuò la ragazza, sempre più rabbiosa -Smettila di cercare di controllarmi! Ho 18 anni e ho imparato a badare a me stessa da quando papà è morto.- il labbro inferiore le tremò, ma non pianse -E' inutile che ora fai tanto la preoccupata. Avresti dovuto pensarci prima, ad essere una buona madre.-

Il viso di Marilyn si irrigidì.

-Hai finito di rovinarmi la vita.- Gwen si voltò e uscì dalla cucina, pestando i piedi.

Geoff borbottò un “merda” soffocato, e si alzò dalla sedia, correndole dietro, mentre Zoey cercava di rassicurare la donna.

-Gwen, dannazione, che fai?!- le disse quando la raggiunse.

Lei stava sistemando le sue cose nello zaino, infilandoci oggetti alla rinfusa -Preparatevi, cerchiamo Duncan e Noah e ce ne andiamo.-

-Ma fuori è quasi buio!-

-Non mi importa, muoviti.-

Geoff le si avvicinò e la prese per i polsi, bloccandola.

-Lasciami stare, brutto idiota!- strillò lei, dimenandosi. Gli occhi le luccicavano.

-Gwen, perché hai detto quelle cose prima? Non pensi di aver esagerato?- disse lui, ignorando le sue proteste.

-Tu non sai un cazzo, un cazzo!!- ora aveva cominciato a piangere e grosse lacrime le solcavano il viso chiaro -Tu non sai quello che ho passato, non sai come ho dovuto occuparmi io di mia madre e mio fratello dopo che mio padre morì, non sai di quanto mi sia sacrificata! Quindi chiudi quella cazzo di bocca!!-

Geoff la strinse tra le braccia, senza fare caso alle lacrime della ragazza che gli bagnavano la maglietta. Gwen, tremante come una foglia, continuò a mormorare insulti nei suoi confronti, ma si strinse a lui più stretta.

-Andiamocene da qui, ti prego...- sussurrò infine, dopo qualche minuto.

 

Gwen uscì dall'appartamento senza neanche scambiare un'occhiata con la madre, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé. Avrebbe voluto salutare almeno il fratello, ma era chiuso nella sua stanza per chissà quale ragione. Le si spezzava il cuore a lasciare quella casa, la sua famiglia, dopo aver litigato così. Non sapeva se li avrebbe rivisti di nuovo. Ma era troppo orgogliosa per chiedere scusa, e comunque non era lei ad avere torto e si sentiva sollevata a essersi tolta quel peso dalla coscienza e ad avere messo le cose in chiaro con sua madre. Sperava solo che non fosse l'ultima volta che li vedeva.

 

Camminavo per le piccole strade del quartiere, illuminato dalle luci fioche dei pochi lampioni funzionanti. Le bancarelle erano state smantellate e per strada ora c'era pochissima gente, per lo più ubriachi che uscivano dalle taverne barcollando e cantando canzoni che non conoscevo.

Forse potrei andare anche io a farmi un goccetto...

Oh, bravo Duncan. Vuoi diventare un alcolizzato come tuo padre?

No, ma...

E non ti ricordi i guai che ti ha provocato l'alcol l'ultima volta?

Ancora mi si stringeva il cuore al pensiero del litigio con Gwen, anche se ora era passato. Eccome, se era passato.

Ovviamente, non riuscivo a resistere più di un paio di giorni senza litigare con qualcuno. Era la mia natura. Ero un attaccabrighe, lo ero sempre stato. Ed era per questo che faticavo a tenermi strette le persone che mi volevano bene, tendevo ad allontanarle per il timore di perderle.

Sospirai. E' la storia della mia vita...

Un tizio barcollante che si reggeva malapena in piedi mi si avvicinò, dondolando avanti e indietro la bottiglia semivuota che teneva in mano.

-Ehi, amico, hai un po' di soldi da prestarmi? Ho appena finito i miei, ma...- chiese, con voce strascicata, ma io lo interruppi.

-No, mi dispiace.-

Lui sollevò un sopracciglio, tra l'infastidito e il sorpreso -D'accordo, d'accordo. Cosa c'è, giornata no?-

-Anche se fosse, di sicuro non verrei a raccontarlo a te.-

Lui mi fissò ad occhi spalancati per qualche secondo, poi scoppiò a ridere, una risata sguaiata -Amico, rilassati! Perché non ti godi la vita? Potremmo morire tutti da un giorno all'altro!-

Scossi la testa, nascondendomi ancora di più nel cappuccio -Oh si, questo è certo.-

L'uomo annuì, come per confermare -Visto? E allora goditela!- ripeté.

Lo fissai ancora per un momento, poco convinto. Al diavolo, pensai poi.

-Dammi qua.-

Gli strappai la bottiglia di mano, la asciugai con la manica (avevo ancora un minimo di dignità) e poi bevvi un lungo sorso, mentre il mio nuovo “amico” emetteva versi di approvazione.

 

Marilyn era ancora nella piccola cucina dell'appartamento, seduta al tavolo con le lacrime agli occhi.

Lo sfogo della figlia era stato così improvviso da scioccarla. Le voleva un bene dell'anima, non immaginava di averle creato così tanti problemi. Lei si preoccupava solo per la sua piccola Gwen...

Sentì la porta della camera del figlio spalancarsi di colpo, e si affrettò ad asciugarsi le lacrime con uno straccio da cucina. Joel entrò nella stanza ansimante, tenendo sottobraccio un foglio e un libro.

Si guardò intorno e chiese -Gwenny e i gli altri dove sono?-

La madre esitò un momento senza sapere cosa rispondere, poi disse -C'è... c'è stato un problema e sono dovuti scappare.-

-Oh no.- rispose Joel, sbiancando.

-Lo so, tua sorella non ha avuto il tempo di salutarti, ma sono sicura che...-

-No, non per quello. Guarda qui.-

Appoggiò il libro sul tavolo e sfogliò velocemente le sottili pagine.

Era il suo libro di storia, Marilyn glielo aveva comprato ad una bancarella qualche settimana prima. Nell'ultimo periodo si era appassionato di storia antica, specialmente del ventunesimo secolo.

Si fermò ad una certa pagina e voltò il libro in direzione della madre, indicando una foto.

Lei strizzò gli occhi per vedere meglio la figura del giovane ragazzo che la osservava sorridente dalla fotografia. E di colpo capì di chi si trattava.

-Ma non è quel giovane che era insieme a Gwen? Quel... Duncan, mi pare? Cosa ci fa su un libro di storia?- il cuore prese a martellarle nel petto. Aveva un brutto presentimento.

Il figlio indicò la didascalia sotto alla foto e, quando Marilyn la lesse, per poco non svenne.

-Non è possibile.- disse -Non può essere lui. Com'è possibile? Sono passati cinquant'anni, non può essere.-

-E non è tutto.- continuò il figlio, e le posò il foglio sotto al naso, sul tavolo -Guarda qui, l'hanno consegnato l'altro giorno a scuola.-

Sembrava un volantino, come quelli che si vedevano nei film western troppo antichi perché Marilyn li conoscesse.

Sotto la grande scritta “Ricercato”, c'era un'altra foto. Non era la stessa del libro di storia, ma il soggetto non era cambiato. E sotto ad essa c'era la ricompensa che chiunque avesse catturato Duncan Cooper avrebbe ricevuto. Ed era una gran bella somma. Una somma che, in tempi come quelli, chiunque avrebbe voluto.

 

Gwen, Geoff, Zoey e Heather avevano deciso di dividersi per cercare Noah e me ed andarsene da quel quartiere sgangherato.

Ma Heather non aveva bisogno di cercarmi, perché sapeva esattamente dove ero.

Quando gli altri si furono allontanati entrò nel pub in fondo alla via senza esitazione.

Io ero seduto al bancone vicino al tizio che avevo incontrato per strada e alcuni suoi amici, cercando di sorridergli, poco convinto. Li sentivo parlare del più e del meno e scherzare, come se non ci fosse la guerra e tutto fosse normale, ma non li ascoltavo nemmeno, non ero in vena.

Ad un certo punto la porta d'ingresso si aprì, ma non ci feci troppo caso. Qualcuno nel locale fischiò, commentando con un -Ehilà, bellezza!- e subito dopo sentii lo schiocco di un forte schiaffo ricevuto in pieno volto.

-Tieni quelle luride manacce lontane da me, porco.-

Mi voltai, riconoscendo la voce. Heather aveva sorpassato il “porco”, che ancora si teneva la guancia dolorante, e stava venendo verso di me.

-M-ma cos...- cercai di chiedere, ma lei mi posò l'indice sulle labbra.

-Ssh. Sono venuta qui per parlarti di una cosa importante.-

Guardai l'indice, poi guardai lei, guardai nuovamente l'indice e infine ancora lei.

-Uhm, d'accordo...- borbottai.

Heather prese posto accanto a me su uno sgabello (non prima di avergli lanciato un'occhiata piena di disgusto a causa dello sporco che lo ricopriva) e accavallò elegantemente le gambe.

-Avrei voluto parlartene prima ma... solo questa sera mi sono resa conto di quanto tu stia soffrendo...-

Senza capire, dissi -Di che parli?-

-Io... ho sbagliato, lo so, ma... tu ne hai già passate abbastanza...-

La presi per le spalle, costringendola a fissarmi dritto negli occhi -Heather, parla, avanti.-

Lei mi osservò per un momento con quei suoi seducenti occhi a mandorla da cerbiatta spaventata, poi abbassò la testa e parlò -I-i Ribelli... loro ti stanno usando.-

-Usando? Cosa vuoi dire?-

Alzò la testa, gli occhi lucidi -Non esiste nessuna missione. Si sono inventati tutto perché gli servi per altri scopi.-

Risi quasi istericamente, spaventato -Ma cosa dici? Non è possibile, ti sbagli.-

Pensai a Gwen, ai nostri momenti insieme, al suo amore. No, quello era reale. Era tutto reale.

Ma Heather doveva aver indovinato i miei pensieri, perché mi posò dolcemente una mano sul braccio e disse -Mi dispiace, ma anche la tua storia con Gwen fa parte del piano. Loro... avevano organizzato tutto, e lei sarebbe servita per convincerti a compiere la missione.-

Il mio cuore sembrò fermarsi, ma cercai di non darlo a vedere e continuai, con voce tremante.

-E... Geoff allora? Lui è mio amico, però li sta aiutando.-

-Evidentemente non ti è amico come pensavi. Ricordi quando diceva che non aveva nessuna relazione con la dottoressa Bridgette? Beh, mentiva. E' stata proprio lei a convincerlo a collaborare con i Ribelli.-

Scossi la testa velocemente.

-Ti sbagli. Perché dovrebbero farlo? Come faccio a sapere che non stai mentendo?-

Heather tirò fuori un foglio dalla tasca dei pantaloncini.

-L''ho trovato nello zaino di Noah. E' appeso anche a tutti i muri della città.-

Il foglio che mi porgeva era un manifesto con la mia foto e la cifra di una ricompensa per chi mi avesse trovato, una cifra con molti zeri.

-Ma... ma cosa...- lo afferrai e lo guardai meglio. La foto mi ritraeva sorridente, disinvolto, senza pensieri. Me l'aveva scattata Courtney agli inizi della nostra relazione.

La testa mi girava, mentre i miei pensieri si facevano sempre più confusi.

Heather continuava a parlare -... volevano la ricompensa, sai. Immagina quante cose potrebbero fare con quei soldi in tempi come questi.-

-Perché mi stai dicendo queste cose?- mormorai, senza forze.

Le guance di Heather arrossirono leggermente -Non so se te ne sei reso conto, ma ci tengo molto a te.-

E' stato un po' difficile non rendersene conto, dissi tra me e me, ripensando al bacio appassionato che mi aveva dato pochi giorni prima.

Prese il mio viso tra le mani e me lo accarezzò.

-Non voglio che ti facciano del male. Devi scappare. Scappa più lontano che vuoi, e in fretta. Io cercherò di coprirti.-

-Heather...- dissi, ma non mi lasciò finire la frase. Mi stampò un dolce bacio sulle labbra, staccandosi poi da me con un sorriso quasi materno.

Scioccato, non avevo nemmeno cercato di resistere. Non poteva essere vero, niente di tutto quello che mi aveva detto. Eppure, qualcosa mi induceva a crederle. Forse soltanto la mia tensione dopo il forte litigio con Noah, o l'incredibile ascendente che quella ragazza aveva su di me, sebbene amassi Gwen e non lei. Non riuscivo a formulare nemmeno un pensiero, ogni cosa in cui credevo non aveva più senso ormai, e l'unica cosa che riuscii a fare fu alzarmi e correre fuori dal locale. Non mi accorsi delle occhiate stranite che mi avevano rivolto le persone all'interno, e nemmeno del sadico e inquietante sorriso sulle labbra di Heather.



*si butta a terra piangendo disperatamente*
MI DISPIACEEEE!
Si, non ho scritto per molto (troppo) tempo. Si, sono imperdonabile.
Ma purtroppo la scuola è ricominciata anche per me, e le prime settimane sono state dure. :c
*si posa la mano sul cuore* Prometto che mi impegnerò ad essere più presente!
Cooomunque, avete visto i primi episodi di Total Drama All Stars? *^*
Io solo il primo, non sono riuscuta a resistere! Sono molto preoccupata per lo strano comportamento di Gwen con Duncan, ma penso che sarà una stagione grandiosa. E voi, che ne dite? :3
Ah, quasi dimenticavo: ABOUT A GIRL HA RAGGIUNTO LE 103 RECENSIONI! *stappa lo champagne*
Vorrei ringraziare tutti voi, voi che mi recensite (e mi fate sempre molto piacere) e voi lettori silenziosi, che spero appreziate la storia allo stesso modo. <3
Come al solito mi scuso per eventuali errori di battitura di cui non mi sono accorta. Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto! :D

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Capitolo 19
*** Apocalypse Please ***


Quella notte sognai.

Mi trovavo nella casa in cui avevo passato la mia infanzia e la mia adolescenza, a Peterborough, in Canada. Ma era diversa da come la ricordavo: i colori erano più spenti, più grigi. Oltretutto, sembrava quasi che un tornado l'avesse attraversata e messa totalmente a soqquadro. I mobili erano distrutti, i quadri a terra, le mensole spezzate. L'atmosfera era tetra e la luce quasi assente, tranne per qualche lampadina che si accendeva e spegneva a intermittenza, come se stesse lottando tra la vita e la morte.

Come succede spesso nei sogni, non sapevo come fossi arrivato lì né perché, ma sentivo che qualcosa stava per accadere. E non era di certo qualcosa di bello.

In ogni caso, se fossi rimasto lì immobile per sempre non l'avrei mai scoperto. Mi avviai a passi lenti verso il salotto, l'orecchio teso a ogni minimo rumore, i muscoli pronti a scattare. Raccolsi la gamba di una sedia spezzata, abbastanza resistente da essere usata come oggetto contundente se necessario. Perché, per quello che ne sapevo, la cosa che aveva messo a soqquadro casa mia poteva essere ancora lì dentro. E non credo che sia venuta in pace, pensai.

Raggiunsi il salotto. Al centro, tra il divano e il televisore, c'era un elegante tappeto persiano. Mia madre l'aveva sempre adorato. Era il suo fiore all'occhiello, il vecchio e costoso regalo di nozze di cui si poteva vantare con le amiche e che curava come un figlio.

Ora, su di esso, si trovavano cinque figure scure, incappucciate, accovacciate a terra e chine su qualcosa in mezzo a loro, ringhianti come animali che si litigano la preda.

Socchiusi gli occhi, fermo sulla soglia della porta, cercando di osservarli meglio nella penombra. C'era qualcosa di familiare in loro, ma cosa?

Di sicuro il loro strano modo di comportarsi non mi tranquillizzava. Deglutii, nervoso.

Quasi come se mi avessero sentito, le cinque figure si voltarono verso di me, lentamente e rigidamente. Mi fissarono per qualche istante, poi, come se mi avessero riconosciuto solo ora, fecero un macabro sorriso, portandosi un dito alle labbra. Mi stanno... chiedendo di fare silenzio?, pensai, mentre un brivido mi attraversava la schiena.

Cercai di ignorare il panico che mi attanagliava lo stomaco e mi concentrai di più nel focalizzare i loro visi, ma non c'era abbastanza luce, la stanza era quasi del tutto immersa nell'oscurità. Ma fu solo quando la quinta figura incappucciata, una donna, l'unica che non aveva compiuto quell'inquietante gesto, alzò gli occhi sui miei che mi resi conto della loro identità.

La luce, che continuava a funzionare a intermittenza, illuminò per un momento il viso della Mamma e i suoi quattro figli, l'adorabile famigliola che avevamo incontrato e che aveva cercato di mangiarci mentre ci dirigevamo verso Toronto.

Mi immobilizzai, e la gamba della sedia mi cadde di mano.

La donna indicò la cosa, o meglio la persona, che stava in mezzo a loro, e sussurrò -Piano, la bambina sta dormendo.-

Trattenni il respiro e guardai ciò che puntava col dito ossuto, così simile a quello di uno scheletro. Il cuore mi si bloccò nel petto e mi sentii venir meno.

Shirley giaceva sul tappeto in una pozza di sangue, che ricopriva anche il suo corpicino e le bocche ghignanti dei cinque intorno a lei. Era stata sbranata, dilaniata, lacerata e divorata, tanto che alcune parti del corpo erano ridotte completamente a brandelli. Gli occhi, vuoti, senza vita, fissavano il soffitto, in un'ultima vana richiesta d'aiuto.

Sentii il dolore pervadermi. Cercai di urlare, gridare, correre verso di lei e stringerla tra le braccia, come se questo avesse potuto fare la differenza, ma non riuscii a muovermi di un solo millimetro. Sebbene stessi impiegando tutte le mie forze non riuscii a fare nemmeno un passo, o dire una parola. Rimasi lì, come imbambolato, mentre il cuore mi si spezzava a metà.

La Mamma scoppiò in una lugubre risata, seguita dai suoi figli.

Poi, improvvisamente, Shirley si alzò a sedere, come se non le fosse successo nulla. Per un momento sperai che forse potevo aver visto male, forse lei non era morta, ma i suoi occhi erano ancora privi di vita e le braccia piene di morsi e tagli.

La piccola inclinò la testa di lato, guardandomi confusa con i suoi occhi privi di espressione.

-Ducky, perché? Perché hai lasciato che succedesse?- chiese.

La voce mi uscii flebile dalle labbra -Sherry, io...- mormorai, senza sapere veramente cosa dire.

Ma lei mi interruppe e disse -E' solo colpa tua. Lo sai che papà mi fa paura di notte, io te lo avevo detto.-

-Mi dispiace, zuccherino... non... non volevo...- risposi.

Non stavamo più parlando di quanto era appena successo sul tappeto del mio salotto da incubo, ma quasi non me ne accorsi. La mia sorellina si riferiva a un episodio successo molti, troppi, anni prima. Un episodio che avevo sempre cercato di reprimere ma che mi tornava puntualmente alla mente, risvegliando il senso di colpa.

-Se tu fossi rimasto non sarebbe successo.- mormorò la bambina, e abbassò il capo, lasciando che i riccioli castani incrostati di sangue le coprissero il viso -Avresti dovuto proteggermi. Tutti i fratelli maggiori lo fanno.-

Calde lacrime iniziarono a solcarmi il viso.

-Mi dispiace così tanto...-

Mi tornarono alla mente le immagini di quella notte: il sangue, le urla, la corsa in ospedale, mio padre che balbettava insulse scuse ai poliziotti.

-Si, Duncan, avresti dovuto. Che razza di fratello sei?-

Ora la voce era cambiata, non era più quella di Shirley, ma quella roca e profonda di mio padre. Alzai gli occhi e lo vidi lì, in piedi davanti a me, svettante come quando ero bambino e lo guardavo dal basso, quasi fosse un gigante spaventoso.

Tirai su col naso, cercando inutilmente di nascondere il fatto che stessi piangendo, e dissi, con voce tremante -Sei stato tu. Non è colpa mia, è solo tua.-

-Duncan, Duncan.- continuò con tono falsamente paterno -Non si da la colpa agli altri per i propri errori.- scosse la testa.

Era esattamente come lo ricordavo, i lunghi capelli brizzolati, la fossetta sul mento, gli occhialetti tondi che coprivano quei due occhi color ghiaccio così simili ai miei. Era lì, davanti ai miei occhi, l'uomo che avevo odiato di più in tutta la mia vita mi stava davanti e mi guardava con disgusto. Avrei tanto voluto colpirlo, ma sapevo che non sarebbe servito. Ricordavo tutte le notti in cui lo avevo aspettato sveglio dai bar dove andava a rifugiarsi dopo il lavoro, e ogni volta finivamo per litigare e fare a botte. E non ero quasi mai io il vincitore.

-Sei sempre stato una delusione.- schioccò la lingua con disapprovazione.

Nel momento in cui stavo per sbottare, per urlargli contro tutta la rabbia nei suoi confronti, un'altra voce interruppe il nostro discorso.

-Sei un bambino. Sei arrogante, cinico, egocentrico e idiota!-

Riconobbi immediatamente quelle parole. Erano le parole che mi aveva rivolto Gwen quando, diverse sere prima, al Rifugio, avevamo litigato furiosamente. Ma quando mi voltai verso la voce non fu la mia dolce darkettona, di cui, nonostante tutto, ero ancora innamorato, che uscì dal buio mettendosi sotto la fioca luce della lampadina morente, bensì Courtney. Ma c'era qualcosa di diverso in lei, qualcosa che subito non notai. Quando lo vidi, però, il mio cuore cominciò a battere più velocemente. Il corpo formoso e delicato di Courtney era stato sostituito in gran parte da arti robotici e metallici. A parte per il viso, che era rimasto lo stesso di sempre, assomigliava in tutto e per tutto a un Grigio.

Cosa significava?

Mi guardò con lo stesso sguardo disgustato di mio padre mentre Shirley, che ora aveva assunto un'espressione rabbiosa, che poco si intonava al suo visino di bambina, mi diceva, sempre con la voce di Gwen -Va' al diavolo, Duncan Cooper.-

Il mio respiro si fece veloce e affannoso. Vedevo tutti nella stanza ingrandirsi fino ad assumere proporzioni spaventose, mentre le loro figure si facevano scure e minacciose, e la stanza dietro ad essi si dissolveva fino a diventare una macchia di colori indefiniti.

Le cinque figure incappucciate continuavano a ghignare, mio padre scuoteva la testa, Courtney mi guardava con orrore e Shirley mi lanciava sguardi carichi di rabbia.

Feci un passo indietro, spaventato, mentre ripetevo “no, non volevo, mi dispiace...” e il senso di colpa che mi pungeva il cuore si acuiva.

Ma le figure continuavano ad allungarsi su di me, ridendo, ringhiando e ricordandomi di tutti gli errori che avevo commesso nella mia vita.

Sei una delusione.

Non riesci bene in niente.

Stupido, davvero credevi che una ragazza come Gwen ti amasse?

E' tutta colpa tua.

Mi rannicchiai in un angolo e presi la testa tra le mani, continuando a balbettare inutili scuse e serrai gli occhi, cercando di trattenere le lacrime amare che minacciavano di scendermi lungo le guance.

 

Quando mi risvegliai ero più o meno nella stessa posizione, rannicchiato come una animale spaventato contro un albero. Ero in un bosco, più o meno vicino al lago Ontario.

Mi toccai le guance: erano bagnate. Dovevo aver veramente pianto durante il sonno.

Lentamente, cercai di alzarmi, ma le mie gambe, un po' per aver dormito per terra e un po' per il freddo e l'umidità, erano dure e insensibili. Faticai un po', appoggiandomi al tronco, ma, dopo qualche tentativo, riuscii finalmente a mettermi in piedi. Mi pulii le mani sui pantaloni militari e mi strinsi più stretto nella felpa scura, continuando però a battere i denti per il freddo.

L'inverno si sta avvicinando, pensai, e sospirai.

Dopotutto, cosa me ne importava? Non sapevo cosa ne sarebbe stato di me. Ero nel futuro, lontano miglia e decine di anni da casa, e tutto quello che credevo certo ormai non lo era più. Chi erano veramente i Ribelli? Davvero mi stavano solo usando? E Gwen? Non mi aveva mai amato?

Stupido, davvero credevi che una ragazza come Gwen ti amasse?

Ricordando le parole del sogno rabbrividii, ma questa volta non per il freddo. Non avevo mai fatto un sogno così inquietante e spaventoso. E poi era stato un duro colpo per la mia autostima che, negli ultimi tempi, non era stata già di suo molto buona.

In più, nel mio sogno c'era anche Courtney, ma aveva parlato con la voce di Gwen. Non so perché davo tanta importanza a questo particolare, forse per quello che mi aveva detto Geoff prima che partissi per la missione. Aveva detto che sognavo Courtney perché ancora la amavo. E quindi, il fatto che Courtney nel mio sogno avesse la voce di Gwen cosa significava? Che amavo entrambe allo stesso modo?

No, pensai, io ho scelto Gwen. Non provo più nessun sentimento per quel mostro.

Ripensai al discorso che Heather mi aveva fatto la sera prima. Tutta la missione era una farsa e, di conseguenza, anche l'amore di Gwen nei miei confronti. Quindi, non aveva più molta importanza che io avessi scelto lei, perché lei non aveva scelto me.

Mi passai le mani sul viso, stanco. Mossi qualche passo lungo il sentiero sterrato che attraversava il bosco, poco convinto su che direzione prendere. Guardai a destra e a sinistra, confuso. Da che parte ero arrivato?

Oh, ma che importa!, pensai, e presi una direzione a caso. Camminavo piano, con la testa fra le nuvole ma senza un pensiero in particolare. Mi ero semplicemente estraniato dal mondo. La mia situazione mi sembrava troppo brutta perché fosse vera. La realtà era persino peggiore dell'incubo di quella notte.

Il sentiero terminava in un dirupo che precipitava nel lago Ontario.

-Merda.- mormorai.

Camminai fino al bordo del dirupo, guardando verso l'acqua cristallina e lasciando che il vento mi sferzasse il viso. Un pensiero giunse improvviso.

Se mi buttassi giù di qui tutto questo finirebbe.

Deglutii nervosamente e mossi un altro passo verso il vuoto. Ora ero pericolosamente vicino a cadere.

Ripensai a qualche settimana prima, quando avevo cercato di togliermi la vita ingoiando le pastiglie di Bridgette. Era davvero la soluzione? D'accordo, forse i Ribelli mi avevano usato, ma potevo davvero cercare di dare il mio contributo. Avrei completato la missione. Cosa dovevo fare? Non lo sapevo. Ma almeno avrei potuto provare che non ero una delusione. L'unica cosa che dovevo fare era stare lontano dalle altre persone, perché non potevo fidarmi di nessuno.

Guardai nuovamente giù e improvvisamente l'altezza mi sembrò terrorizzante. Come potevo aver pensato di fare una cosa tanto stupida? Tremante, feci un balzo indietro, inciampando a terra ma continuando a indietreggiare.

Appena ebbi ripreso fiato mi misi in piedi e corsi nella direzione opposta al dirupo. Corsi in mezzo ai rami, che mi graffiavano il viso, corsi in mezzo all'erba e tra gli alberi, cercando solo di allontanarmi da quel dirupo spaventoso. Uscii dal bosco. Mi trovavo in un campo d'erba che brillava sotto il sole con, in lontananza, una fattoria semi diroccata. Quella vista mi tranquillizzò. Rallentai e chiusi gli occhi, odorando il profumo dei fiori.

Non andava così male: ero solo, e forse avevo trovato un posto dove passare la notte. Cosa potevo volere di più?

Mi vennero in mente migliaia di cose che avrei potuto volere di più, ma scacciai il pensiero. Dovevo godermi il presente.

Mi diressi verso la fattoria diroccata. Sembrava vuota, e da molto tempo. Le piante avevano cominciato a crescere sul legno della veranda e dei davanzali, mentre il tetto era crollato per metà. Ma poteva bastarmi per una notte, almeno avrei dormito al chiuso.

Entrai lentamente, mettendo un passo davanti all'altro. La porta si aprì con facilità, ormai ruotava su solo un cardine. Attraversai la cucina, guardandomi intorno. La famiglia che aveva lasciato quella casa doveva averlo fatto con molta fretta, perché il tavolo era ancora apparecchiato per la colazione come se fosse una normale mattinata, a parte la nuvola di moscerini che girava intorno al cibo e alle sedie rovesciate a terra. Era come se qualcuno fosse entrato lì a forza e li avesse trascinati via, ma doveva essere accaduto molto tempo fa.

Mi avvicinai ai mobili della cucina e rovistai nella dispensa in cerca di cibo. Non mangiavo da ore e stavo morendo di fame. Purtroppo, però, non era rimasto nulla, tutto era stato svuotato.

Lanciai un verso di esasperazione. Non avrei mangiato per un altro giorno.

Richiusi le ante e mi diressi verso la scala che conduceva al piano superiore, quando uno scricchiolio alle mie spalle mi fece sobbalzare. Mi voltai di scatto, pronto a difendermi, ma la stanza era vuota.

Te lo sei sognato, Duncan. Probabilmente te lo sei solo sognato.

Scossi la testa e ripresi a camminare, ma solo qualche istante dopo lo scricchiolio si ripeté.

Mi voltai di nuovo, questa volta più determinato. L'avevo sentito, non c'erano dubbi. Feci qualche passo in direzione della cucina, cercando di scorgere una qualche presenza. La stanza sembrava vuota. Mi rilassai di nuovo.

Di nuovo uno scricchiolio, questa volta dietro di me. Molto vicino.

Mi voltai e vidi un paio di occhi grigi che mi fissavano, divertiti.

-Sorpresa.- disse una voce, prima che qualcuno mi afferrasse la bocca, impedendomi di urlare.

 


Buooooonsalve a tutti!

*si prostra ai piedi dei lettori*

IMPLORO IL VOSTRO PERDONO!

E' vero, è vero, sono stata assente per troppo tempo. Spero che questo capitolo vi ripaghi abbastanza!

Il problema è che la scuola mi sta prendendo davvero molto tempo, e, per quanto io abbia molta voglia di scrivere, non sempre ci riesco. In più, qualche tempo fa, mi ero messa a scrivere la scena del sogno e il mio amatissimo computer ha pensato che fosse un'idea molto divertente cancellare tutto quello che avevo scritto, costringendomi così a riscriverlo da capo. *sclera*

Ma ce l'ho fatta, ecco il capitolo. Ditemi cosa ne pensate!

Grazie come sempre del vostro appoggio, scusate il mio imperdonabile ritardo!

Un bacione <3

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Capitolo 20
*** Assassin ***


Il colpo del ragazzo mi prese in pieno volto, talmente forte che caddi a terra a faccia in giù.

Cercai di non badare al dolore bruciante che immediatamente mi pervase, e tentai di risollevarmi sui gomiti. Lui, però, mi spinse nuovamente a terra con un calcio.

-Ma guarda guarda chi abbiamo qui.-

Si accovacciò accanto a me, studiandomi con espressione divertita. Io gemetti dal dolore, portandomi una mano allo sterno e lanciandogli un'occhiata piena d'odio.

Lui ignorò il mio sguardo -Ezekiel,- chiamò -vieni subito!-

Il viso smagrito e pallido di un ragazzo, non più che adolescente, fece capolino dalla soglia della porta che dava sulla stanza accanto.

-Che c'è, che hai trovato?- chiese, curioso, spostandosi da davanti agli occhi una ciocca di lunghi capelli castani e unti.

Fece per venire verso il suo amico, ma quando mi vide restò bloccato. Mi indicò, spalancando la bocca.

-Ma... Lightning, è lui?-

-Lui in persona.-

-Duncan Cooper?-

-Ci puoi scommettere.-

Ezekiel scoppiò in una fragorosa risata, sguaiata e fastidiosa.

-Siamo ricchi! Ricchi da fare schifo!-

-Più ricchi della regina d'Inghilterra, proprio così!- disse Lightning con un ghigno. Si rialzò in piedi, pulendosi i pantaloni impolverati, e disse all'amico -Adesso dobbiamo solo trovare un...-

Non gli feci finire la frase. Gli afferrai la caviglia e lo trascinai a terra insieme a me. Lui gridò, ruzzolando fragorosamente sul pavimento. Scattai in piedi e mi voltai verso uno sbalordito Ezekiel.

Il ragazzino aveva gli occhi spalancati in un'espressione di terrore e indietreggiò di qualche passo, ma non riuscì a schivare il mio pugno, che lo fece finire con la schiena contro al muro. Sentii un movimento dietro di me e mi abbassai appena in tempo per evitare il cazzotto di Lightning, che nel frattempo era riuscito a rialzarsi. Mi voltai verso di lui e mi preparai a difendermi, le braccia strette contro il torace e i pugni chiusi, quando, all'improvviso, mi tornò alla mente un'altra occasione in cui mi ero dovuto difendere allo stesso modo.

Gwen.

Quel pensiero mi sferzò come una ventata di aria gelida.

Ripensai al mio primo allenamento al Rifugio, quando avevo dovuto combattere contro Gwen. E ripensai a quanto mi mancava.

Mi ero distratto e Lightning non perse l'occasione. Mi afferrò un braccio per tenermi fermo e mi colpì dritto sullo stomaco, bloccandomi il respiro per un istante. Poi mi afferrò i capelli e tirò verso di lui, obbligandomi a guardarlo negli occhi.

-Fai un'altra cosa del genere e ti spedisco all'inferno a calci in culo.-

Mi spinse nuovamente a terra e mi tirò un calcio allo stomaco. Il dolore fu talmente forte da accecarmi per un momento.

Spero che le mie costole siano ancora tutte intere, pensai, quando tornai lucido.

Mi rannicchiai su un fianco con un gemito e tossii, macchiando il pavimento di sangue.

Brutto segno.

-Muoviti Zeke, alzati. Sarà meglio che lo portiamo al campo prima che combini altri guai.- fece qualche passo verso di me e esclamò -Shabam!-

Poi ancora dolore, e tutto si fece nero.

 

-Duncan! Duncan!-

Le grida di Gwen erano disperate ormai. Correva tra gli alberi del bosco poco lontano dal quartiere degli sfollati, ansimante, incurante del freddo. Dopo ore e ore di ricerche era giunta a una conclusione: o Duncan era morto o era in grave pericolo.

Non avrebbe mai potuto abbandonarla per tutto quel tempo senza farsi più sentire. Si fermò e alzò lo sguardo sul cielo tinto di arancione che si poteva intravedere tra gli alberi. Era il tramonto ormai, era passato quasi un giorno da quando se n'era andato.

Gwen si coprì la bocca con una mano e trattenne un singhiozzo di disperazione. Le mancava immensamente. Litigare con sua madre l'aveva fatta sentire come una bambina e tutto quello che voleva era poterlo riabbracciare e confidarsi con lui. Duncan era l'unica persona al mondo con cui Gwen era mai riuscita a parlare sul serio, l'unica persona a cui aveva raccontato della sua turbolenta infanzia. Lui sarebbe sicuramente riuscito a farla sentire meglio. Le avrebbe dato un bacio, le avrebbe accarezzato i capelli e tutto sarebbe svanito.

Ma lui non c'era.

La prima lacrima calda rigò la guancia di Gwen, seguita poco dopo da un'altra e un'altra ancora. Senza nemmeno accorgersene aveva cominciato a piangere, silenziosamente.

Una mano si posò sulla sua spalla. La ragazza sobbalzò, spaventata, e si voltò di scatto. Geoff era davanti a lei, gli occhi stanchi cerchiati da grosse occhiaie scure dovute alla mancanza di sonno delle ultime ore.

-Gwen, stai bene?-

Lei annuì velocemente, distogliendo lo sguardo. Il ragazzo le sollevò il mento con la mano, costringendola a guardarlo negli occhi.

-Gwen.-

-Mi manca così tanto...- mormorò la ragazza, senza più tentare di nascondere il pianto -Gli è successo qualcosa di brutto, me lo sento. E non posso sopportare di stare qui con le mani in mano mentre lui è là fuori, chissà dove!-

Lo sguardo di Geoff si addolcì, e il biondo abbozzò un sorriso -Avanti, non essere così pessimista. Scommetto che è in giro con Noah, staranno risolvendo il loro piccolo... diverbio. Magari sono già tornati a casa di tua madre.-

Gwen si asciugò gli occhi -Non avete trovato neanche Noah?-

Geoff scosse la testa, affranto. Restarono così per qualche secondo, lui con lo sguardo fisso nel vuoto e una mano sulla spalla della ragazza, lei che si asciugava le lacrime con lenti gesti della mano.

Poi il ragazzo spezzò il silenzio, dicendo -Dovresti chiederle scusa, sai.-

Gwen alzò gli occhi su di lui, interrogativa -Cosa?-

-Tua madre, dico. Dovresti chiederle scusa.-

Lei sospirò, alzando gli occhi al cielo -Geoff, per l'ultima volta...-

-... non sono affari miei, lo so, lo so. Ma l'hai davvero ferita, Gwen. E non è solo colpa sua. Dopotutto le madri sono fatte così, è il loro dovere ficcare il naso negli affari delle figlie.-

La ragazza si scostò dalla mano di Geoff, ancora sulla sua spalla -Hai ragione, abbiamo fatto male a tenervi nascosta la nostra “relazione”. Ma hai visto cos'è successo appena Noah l'ha scoperto, esattamente l'opposto che volevamo accadesse. E hai ragione, ho ferito mia madre, la colpa non è solo sua. Ma non è solo per questo che mi sono sfogata così con lei ieri. Noi abbiamo... dei trascorsi, per così dire. Cose successe in passato.- deglutì, nervosa.

-Credevo che voi due aveste un buon rapporto, sembrate così unite!-

Gwen sorrise -E lo siamo. Se avessi passato tutto quello che abbiamo passato io e la mia famiglia insieme anche tu saresti unito. Ma ci sono cose che non le ho mai perdonato, neanche col passare degli anni...-

 

All'epoca Gwen aveva solo 16 anni.

Lei, la madre e il fratellino vagavano da un luogo all'altro da giorni, in cerca di un po' di cibo. Ma non potevano entrare nelle città, era un rischio troppo grande. Da quando il padre di Gwen era morto loro erano in fuga perché lui aveva aiutato dei ribelli e, di conseguenza, anche la sua famiglia era un pericolo e andava eliminata. Entrando in una città sarebbero sicuramente stati visti dai Grigi e a quel punto nessuno avrebbe più potuto salvarli. Ma se continuavano a viaggiare per le campagne c'era la speranza che trovassero un accampamento di profughi come loro, i quali, se Dio voleva, li avrebbero accolti.

Ma dopo quasi una settimana di cammino non avevano trovato nessun accampamento e le loro già misere scorte di cibo cominciavano a scarseggiare. Non avrebbero resistito ancora a lungo.

Camminando sul bordo di un sentiero sterrato Gwen intravide una casetta circondata da un ampio campo, modesta ma apparentemente abitata, e quello le bastava.

-Mamma! Joel! Di qua, venite!-

Marilyn si voltò verso di lei e chiese speranzosa -Cosa, cosa c'è?-

-C'è qualcuno in quella casa. Ci daranno qualcosa da mangiare!- rispose la ragazza.

Si sistemò lo zaino contenente i suoi pochi averi sulla spalla e si avviò verso la casa, seguita dalla madre, che teneva per mano un bimbo di appena 7 anni.

La ragazza bussò alla porta, insistentemente.

-Ehi! Ehi, c'è qualcuno?-

Silenzio. Dalle finestre, coperte dalle tende, si intravedeva la luce di una candela accesa. Gwen aggrottò la fronte.

-Forza, lo so che sei lì dentro! Abbiamo bisogno di aiuto!-

Sentì un movimento, e un'ombra passò dietro la tenda.

-Ma cosa...- bisbigliò la ragazza.

Bussò di nuovo, questa volta con più forza.

-Apri, figlio di puttana! Stiamo morendo di fame, dannazione, c'è un bambino piccolo con noi!-

Marilyn le sussurrò, agitata -Gwen, modera il linguaggio! Non essere scortese.-

Gwen scoppiò in una risata sarcastica -Cosa? Io scortese?! Qui non sono io ad essere scortese, ma l'idiota che abita qui dentro! Avanti, dov'è la tua umanità? Non puoi lasciarci morire di fame!-

All'improvvisò la porta si spalancò. Un uomo di alta statura uscì sullo zerbino, puntando un fucile dritto sulla fronte della ragazza. Marilyn urlò, stringendo più forte a sé il figlio minore.

Gwen si immobilizzò, spaventata, ma un istante dopo la rabbia ebbe di nuovo la meglio e lanciò un'occhiata fulminante all'uomo.

-Ragazzina, vattene di qui, tu e il resto della tua famiglia di pezzenti. Altrimenti non dovrete preoccuparvi di morire di fame perché vi farò fuori prima io.- ringhiò lui, continuando a tenerle il fucile puntato sulla fronte.

-Gwen, spostati, andiamocene!- le gridò la madre, in lacrime. Anche il fratellino aveva cominciato a piangere, pur non avendo compreso appieno la situazione.

La ragazza, al contrario, fece un passo avanti, in modo che la canna del fucile fosse appoggiata alla sua testa.

-Avanti, spara. Fallo.-

L'uomo rimase immobile, continuando a fissarla, ma i suoi occhi tradivano lo sgomento che stava provando.

-No!- gridò la madre, ma la ragazza la ignorò.

-Puoi uccidermi, ma questo non cambierà niente. Verrà altra gente alla tua porta un giorno, e cosa farai? Sparerai anche a loro? Potresti patire anche tu la fame un giorno, ti piacerebbe che ti accadesse lo stesso?- disse, con fredda calma -Siamo persone comuni, proprio come te, non hai nessun motivo valido per ucciderci.-

-Ho appena abbastanza cibo per sfamare me stesso, non posso darne anche a ogni mendicante che viene a elemosinarmene.- rispose l'uomo, a denti stretti.

-Ma non è colpa nostra. È colpa di Courtney O'Donnell e della sua crudele dittatura, non credi?-

L'uomo rabbrividì e si guardò furtivamente intorno, senza abbassare il fucile -Zitta, se loro ti sentono parlare così ci uccideranno tutti!-

-Ma non puoi negarlo. Siamo dalla stessa parte, tu e noi. Dovresti aiutarci, non combatterci.-

L'uomo sembrò esitare, ma la disperazione ebbe la meglio.

-Andatevene da qui e non vi farò nulla.-

Gwen incrociò le braccia sul petto -Io non vado da nessuna parte.-

-Ti do' dieci secondi.-

-Te l'ho detto, non mi muovo. Tanto se non mi uccidi tu morirò comunque di fame.-

L'uomo sembrava indeciso, ma evidentemente era troppo disperato per preoccuparsi degli altri. Si sistemò meglio il fucile tra le mani.

-Uno... due...-

-Gwen, ti prego, andiamocene, troveremo un altro posto...- la supplicò Marilyn.

-Tre... quattro...-

-Sai benissimo che non è così, mamma. E io sono stanca di dover lottare anche contro chi è nella nostra stessa situazione. Andatevene, andate via.- rispose la figlia, con decisione.

-Mai!-

-Invece si! Andate via!-

-Gwennie!- la chiamò Joel. Marilyn lo sollevò e lo prese in braccio e, tra i singhiozzi, gli nascose il viso tra i propri capelli, impedendogli di vedere.

-Cinque... sei...- la voce dell'uomo era tremante, ma lui continuava il suo conto alla rovescia, imperterrito.

Gwen non aveva idea di cosa stesse facendo. Forse sperava che dopo un po' l'uomo si sarebbe pentito e si sarebbe fermato,e magari gli avrebbe anche offerto qualcosa da mangiare. O forse era solo stanca di lottare.

-Sette... otto...-

Sentiva sua madre piangere. Le dispiaceva immensamente farla soffrire, ma sentiva che in qualche modo il suo sacrificio avrebbe fatto la differenza nella vita di qualcuno. Forse in quella dell'uomo, oppure in quella della madre, o magari in quella del fratello. Forse morire in quel modo era come un modo di ribellarsi a quella società sporca, piena di gente che avrebbe ucciso una povera ragazzina piuttosto che farsi mancare una cena.

-Nove...-

Chiuse gli occhi.

-Abbassa quel fucile.-

Era una voce maschile, ma non era più quella dell'uomo. Gwen riaprì gli occhi.

Un altra persona era in piedi dietro all'uomo, e gli puntava una pistola contro la tempia. Era vestito con una tuta da militare e, stretta intorno al braccio, aveva una fascia di un verde intenso.

-Ti ho detto di abbassare quel fucile, o ti sparo in testa.-

L'uomo, terrorizzato, abbassò il fucile e lo posò a terra, poi alzò le mani in segno di resa.

-Ora va meglio.- il tipo con la fascia verde si chinò a terra e raccolse il fucile -Questo lo prendo io.-

Uscì dalla casa, continuando a tenere la pistola puntata. Un altro ragazzo arrivò da dietro l'uomo: era più giovane, con i capelli rossi, il viso pieno di lentiggini e un'espressione sfacciata. Lo afferrò per le spalle, cogliendolo alla sprovvista e facendolo sobbalzare, e gli si avvicinò all'orecchio, sussurrandogli -Per questa volta ti è andata bene, ma prenditela ancora con un innocente e quel fucile te lo infiliamo da un'altra parte.-

L'uomo balbettò -M-ma... da dove siete entrati?-

-Dalla porta d'ingresso posteriore, naturalmente. Siamo dei gentiluomini, non entriamo dalle finestre.- il rosso rivolse un'occhiata a Gwen e le fece un occhiolino scherzoso. Lei era ancora un po' scioccata per il repentino cambiamento della situazione, ma ricambiò con un sorriso.

Poi lanciò un'occhiata alla madre, talmente pallida da sembrare sul punto di svenire, chiedendole con lo sguardo “tutto bene?”. La donna annuì, tremante ma sollevata.

-C-cosa mi farete?- balbettò l'uomo, tremante.

Il giovane dai capelli rossi scambiò un'occhiata col collega, quello con la fascia verde legata al braccio, ed entrambi scoppiarono a ridere.

-Dio, non siamo mica dei giustizieri!- esclamò lui.

-Non possiamo decidere il tuo destino, la tua vita o la tua morte. Nessuno dovrebbe poterlo fare.- disse l'altro, lanciando un'evidente frecciatina all'uomo.

E fu proprio quello che fecero. Niente. Lasciarono l'uomo nella sua casa, solo, sconvolto e in preda ai sensi di colpa.

Fu invece la vita di Gwen e la sua famiglia che cambiò radicalmente. Dopo aver lasciato la casa dell'uomo, una casa che la giovane ragazza non avrebbe mai dimenticato, i due accompagnarono la famiglia in quello che chiamavano “rifugio”. Non sembrava molto sicuro a prima vista, ma sicuramente era un luogo che nessuno avrebbe sospettato: un grosso edificio, che presumibilmente era stato una scuola, dai muri grigi e scoloriti crollati in più punti a causa di battaglie e bombardamenti. Ma una volta entrati ci si accorgeva che quel palazzone tetro era pieno di vita. Uomini e donne correvano da tutte le parti, tra le mani fogli e mappe strategiche, mentre altri caricavano armi o discutevano di sommosse e rivoluzioni. Dappertutto erano appese bandiere di un unico colore: uno splendente, brillante verde, lo stesso della fascia dell'uomo che aveva salvato Gwen.

Quell'uomo si chiamava Tyler. Era stato uno dei fondatori di quel gruppo di “ribelli”, o così si facevano chiamare. Il loro compito era quello di aiutare i più poveri, aiutarli a sopravvivere, e nel frattempo fare tutto quello che era in loro potere per sabotare il Governo.

-Benvenuti nella nostra umile dimora!- esclamò, allargando le braccia per mostrare l'ampio salone principale. Marilyn e Joel si guardarono attorno, affascinati, ma Gwen aveva occhi solo per l'uomo dalla fascia verde, da quando l'aveva salvata.

Tyler si accorse del suo sguardo e la osservò a sua volta -Ehi, il tuo mi sembra un viso familiare. Tuo padre... tuo padre era il Dottore Lewis? E' così?-

Gwen fece un sorriso amareggiato -Già, è così.-

Tyler ridacchiò -Non posso crederci, siete la famiglia del Doc! Era un grand'uomo. E' famoso, sapete? Una leggenda tra i Ribelli. Il suo aiuto come medico, ma anche come compagno, è stato inestimabile.- posò una mano sulla spalla di Gwen, con fare paterno -Gli assomigli molto, sai? Non intendo solo fisicamente, hai lo stesso coraggio, la stessa determinazione, la stessa luce che ti brilla negli occhi.-

La ragazza si sentì pervadere da un senso di compiacimento e felicità. Aveva sempre ammirato suo padre in tutto quello che faceva, in come rischiava la vita per aiutare gli altri, e si ispirava sempre a lui.

-Mi ha davvero impressionato il tuo comportamento oggi, ragazza. Hai lo spirito di una Ribelle.- sorrise -Chissà, potresti anche diventare una dei nostri.-

E all'improvviso Gwen sapeva cosa avrebbe fatto della sua vita. Ne era certa, quella era la sua strada.

Ma Marilyn non era d'accordo -Lasci stare mia figlia, non le metta in testa strane idee.-

Gwen si voltò verso di lei di scatto -Mamma!-

Tyler si affrettò a scusarsi -Oh no, signora, non volevo dire...-

La donna gli puntò contro un dito, fumante di rabbia -Stammi bene a sentire. Tu e i tuoi “ribelli”, per così dire, avete già fatto ammazzare mio marito, non voglio che succeda lo stesso anche a mia figlia.-

Tyler sembrava stupefatto e mortificato allo stesso tempo.

-Mamma, stai esagerando. Non è stata colpa loro, non l'hanno obbligato ad aiutarli.-

Il capo dei Ribelli tentò di intromettersi nella conversazione, ma Marilyn lo interruppe di nuovo, furiosa.

-Non difendere questa gente, Gwendolyn. E' colpa loro se tuo padre non è più con noi, solo loro. Ed è colpa loro se dobbiamo passare la nostra vita a vagare da un accampamento di profughi all'altro elemosinando cibo!-

Tyler rimase in silenzio qualche secondo, fissando la donna negli occhi, poi disse, con freddezza -Mi dispiace molto che la pensi così. Voglio che sappia che noi abbiamo sempre stimato molto suo marito e mai avremmo voluto causargli guai. Ma se volete possiamo aiutarvi: possiamo darvi una delle camere destinate alle reclute, e potrete mangiare nella mensa...-

-Mai e poi mai permetterò ai miei figli di vivere in mezzo a voi.- sibilò Marilyn.

-Bene, allora.- continuò Tyler, a denti stretti -A ovest del Lago Ontario c'è un quartiere che abbiamo costruito per gli sfollati. Farò in modo di trovare una truppa che vi scorti laggiù, dove troverete un appartamento tutto per voi. Non ci faremo più sentire, se è questo che vuole.-

-Benissimo.-

Si scambiarono uno sguardo gelido mentre Gwen, che aveva assistito all'intera conversazione a bocca aperta, gridò -No!-

Tutti si voltarono verso di lei.

-Non puoi decidere per me. E se volessi fare questo nella vita? Papà amava questo lavoro.- disse, rivolta alla madre.

-Sarà, ma hai visto anche tu come è andata a finire.-

Gwen scosse la testa, contrariata -Almeno è morto facendo quello che amava, non scappando e nascondendosi nell'ombra, come facciamo noi.-

Marilyn la afferrò per un braccio e la tirò verso di sé, come se fosse una bambina capricciosa -Sentimi bene. Noi ci scappiamo per sopravvivere. Io non voglio che succeda qualcosa di male a nessuno di voi due, quindi continueremo a fare così. E non ti permetto di disubbidirmi.-

Gwen sostenne il suo sguardo per qualche secondo, poi lo abbassò, con le lacrime agli occhi per il senso di umiliazione che stava provando. Con uno strattone si liberò dalla presa della madre, in silenzio. Ormai quasi tutti i Ribelli si erano fermati a osservare il litigio, incuriositi.

Aveva l'impressione che la madre fosse diventata un po' iperprotettiva, dopo la morte del marito, quasi paranoica. Aveva smesso di lottare, era diventata vuota, depressa, mentre per lei era stato il contrario: quell'evento l'aveva segnata profondamente, riempiendola di rabbia e frustrazione. Non poteva accettare quella imposizione.

-Non sono più una bambina.- ringhiò a testa bassa.

-Si invece, hai 16 anni.-

-Non trattarmi come se fossi una stupida.-

Tyler le mise una mano sulla spalla, per fermarla.

-Gwen, fa' quello che dice tua madre.-

Lei alzò la testa verso l'uomo, delusa. Si sarebbe aspettata man forte da lui, invece non aveva fatto nulla. Era come tutti gli altri.

Quelle erano state le ultime parole che gli aveva sentito dire. Dopodiché una truppa li aveva portati fino al quartiere degli sfollati. Per giorni Gwen non aveva rivolto una parola alla madre, ma con il tempo aveva dovuto accettare la cosa, e tutto era tornato quasi alla normalità. Ma da quel giorno, un muro di diffidenza si era alzato tra le due, un tempo strette come sorelle. Non avevano più parlato di Ribelli o di rivoluzione. Poi era scoppiata l'Ultima Guerra, e tutti i gruppi di Ribelli erano stati spazzati via, in seguito a una sanguinosa rivolta finita male. Non aveva più sentito parlare di Tyler.

 

-E poi? Come hai trovato DJ? Perché il loro gruppo di Ribelli non era stato eliminato come gli altri?- chiese Geoff, visibilmente preso dalla storia.

Gwen sorrise -Beh, il gruppo di DJ è stato formato dopo l'Ultima Guerra, e finora lui è stato abbastanza astuto da fare in modo che nessuno lo trovasse. Comunque, mia madre non avrebbe di sicuro appoggiato la mia scelta, ma avevo deciso di diventare una di loro da molto, molto tempo. Scappai di casa. Viaggiai di città in città per giorni, senza una meta precisa, con una fascia verde stretta intorno al braccio. DJ mi vide, riconobbe il significato della fascia e mi portò al Rifugio. Quando qualche settimana dopo ebbi completato il mio allenamento tornai a casa a fare visita a mia madre, che ormai non poteva farci più niente: ero entrata nei Ribelli. Siamo riuscite a ricucire il rapporto, con il tempo. Beh, più o meno. In ogni caso, questa è un'altra storia.-

La ragazza rabbrividì. Stava facendo buio, e una brezza fresca aveva cominciato a sfiorarle la pelle. Ma il freddo vento invernale non era l'unica causa. Il ricordo del padre le faceva sempre quell'effetto, e ogni volta le sembrava più doloroso.

Geoff si sfilò la giacca e gliela sistemò delicatamente sulle spalle.

-Ecco, tieni.-

-Grazie.-

Il ragazzo si mordicchiò il labbro, indeciso su cosa dire -Io... mi dispiace, non immaginavo che ne avessi passate così tante. Sono d'accordo con te, tua madre ha sbagliato a essere così possessiva nei tuoi confronti. Ma ora si è pentita, le cose si sono sistemate tra di voi, no? Non voglio che tu le chieda scusa se non ti senti di farlo, ma abbiamo bisogno di lei.-

Gwen abbassò la testa, pensosa, e guardò l'erba che si muoveva seguendo la spinta del vento, con leggerezza.

-D'accordo. Troviamo gli altri e torniamo all'appartamento.-

Geoff le rivolse un sorriso gioioso e le mise un braccio intorno alle spalle, incamminandosi -Così si fa, Gwennie.-

Gwen ridacchiò, seguendolo -Ti ringrazio, Geoffy.-

 

*comincia a intonare canti natalizi *

Buon Natale a tutti! In ritardo, come mio solito.

Lo so, ci ho messo un'eternità a scrivere questo capitolo, ma le ultime settimane sono state un infeeeerno! Prendetelo come un regalo di Natale (in ritardo) da parte mia :3

Cooomunque.

In questo capitolo ho deciso di raccontare un po' il passato di Gwen, giusto per non vedere la storia sempre Spero si sia capito qualcosa e che io non abbia fatto solo una gran confusione come sempre, lol

Dite la vostra! Vi è piaciuto? Non vi è piaciuto? Sarebbe meglio se andassi a zappare i campi?

Eee vabè.

Al prossimo capitolo, buone feste a tutti ♥  

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Capitolo 21
*** Do I Wanna Know? ***


Una sensazione di gelo improvvisa mi fece risvegliare dallo stato di torpore in cui mi trovavo. Annaspai, spalancando gli occhi. Cercai senza risultati di mettere a fuoco la persona che mi aveva gettato quella secchiata di acqua gelida in pieno viso, ma la testa mi faceva molto male. Ad ogni modo l'aria fredda e il venticello che mi scompigliava i capelli indicavano che mi trovavo all'aperto. La domanda era: dove?

Cercai di alzare una mano per toccarmi la testa dove immaginavo fossi ferito, ma mi accorsi che non ci riuscivo. Qualcuno mi aveva legato le braccia dietro la schiena, impedendomi di muoverle, ed ero seduto a terra, appoggiato con la schiena contro una superficie ruvida. Cercai di alzarmi in piedi, ma la testa mi girava e persi l'equilibrio, ricadendo a terra in ginocchio.

-Ehi, cosa credi di fare?- disse una voce maschile. Immediatamente dopo qualcuno mi spinse nuovamente indietro con un calcio, e la mia schiena urtò di nuovo quella superficie ruvida, forse un albero.

Questa volta mi sforzai maggiormente di mettere a fuoco la persona che mi stava davanti. Era un ragazzino, a malapena maggiorenne, dalla pelle olivastra e capelli neri sparati in aria.

-Cosa... dove sono?- mormorai.

-Non ti è dato saperlo.- il ragazzino mi voltò le spalle e tornò a sedersi davanti al fuoco, qualche metro più avanti.

Avrei potuto provare a rialzarmi e correre via, ma sapevo che le gambe non mi avrebbero retto e un terribile dolore alle costole mi impediva di tenere la schiena dritta. Improvvisamente mi ricordai di quello che era successo prima che svenissi, di quei due tizi che mi avevano rapito, Lightning e Ezekiel. Dov'erano finiti? E il ragazzo con i capelli neri da dov'era sbucato?

Guardai in alto e osservai il cielo scuro, puntellato di brillanti stelle. Doveva essere passata solo qualche ora da quando ero svenuto.

Rivolsi nuovamente lo sguardo sul ragazzo, che stava ravvivando il fuoco con un rametto.

-Sei qui per farmi la guardia?-

-Non posso parlarti.-

-Gli altri due dove sono andati?-

-Sei sordo? Ho detto che non posso parlarti.-

Rimasi in silenzio qualche secondo, osservando la sua reazione. Sembrava piuttosto nervoso, come se mi stesse tenendo prigioniero contro la sua volontà.

-Mi consegnerete ai Grigi?-

-Eh? Chi sono “i Grigi”?-

-La polizia, i robot, come preferisci.-

-Ah, loro... non posso dirtelo.-

Sollevai un sopracciglio -Ma è così che andrà, vero? Mi consegnerete a loro e intascherete la ricompensa.-

-Chiudi il becco, altrimenti mi metti nei guai.-

-Pensi veramente che divideranno la ricompensa con te? E' una bella sommetta, ma quel Lightning mi sembra un po' troppo sveglio... probabilmente appena avrà ottenuto quello che vuole si libererà di te e di quell'altro idiota.-

Il ragazzo aveva iniziato a sudare e si allentò il colletto della maglietta, fissandomi con occhi stralunati -M-ma che stai dicendo?-

Alzai le spalle -Semplicemente quello che penso.-

-Cazzate.- si voltò nuovamente verso il fuoco, cercando di ignorarmi, ma era evidente che lo avevo turbato.

-Non la penserai così quando quella specie di armadio a due ante ti farà fuori con le sue mani.-

Il ragazzo scatto in piedi e si fiondò su di me. Cercai di evitarlo, sorpreso, ma lui mi prese per la gola con una mano, bloccandomi il respiro.

-Sentimi bene, merdina, se non chiudi quella bocca adesso ci penso io a farti stare zitto.-

Lo fissai negli occhi: non erano più i due occhi spaventati e nervosi del ragazzino che tentavo di spaventare poco prima, erano gli occhi rabbiosi e pieni di odio di uno psicopatico che è pronto a uccidere.

Mossi la testa su e giù per mostrargli che avevo capito, mentre cercavo disperatamente di respirare.

-Ehi, Mike, che diavolo stai facendo?!- urlò Lightning, spuntando dal bosco.

Il ragazzo tolse immediatamente le mani dal mio collo. Scosse la testa confuso, poi mi guardò sbalordito.

-Io... io non...-

Lightning alzò gli occhi al cielo, sospirando -Fammi indovinare, era diventato di nuovo Vito.-

-Ti giuro, Lightning, mi dispiace, non so come sia potuto accadere!-

-Si, beh, vedi di non ammazzarlo. Se lo portiamo da loro vivo la ricompensa sarà maggiore.-

Lightning si avvicinò al fuoco ridacchiando, e si scaldò le mani accanto alla fiamma. Ezekiel arrivò poco dopo trasportando sulle spalle un paio di animali morti.

-Mmh, che cenetta invitante.- mormorai, con una smorfia.

Ezekiel emise una risatina stridula -Oh, non preoccuparti, tu non l'assaggerai nemmeno!-

Lightning gli lanciò un'occhiataccia -Chiudi quella bocca Zeke.-

Per tutta risposta il mio stomaco brontolò rumorosamente. Quanti giorni erano che non mangiavo, due?

Il ragazzo con i capelli neri, Mike, si sedette accanto agli altri due, prendendo a scaldarsi a sua volta e continuando a lanciare sguardi preoccupati a Lightning.

Finalmente parlò -Ehi, ehm... Lightning?-

Lui si voltò a guardarlo, mentre addentava un pezzo di carne -Cosa?-

-Noi... voglio dire, quando sarà tutto finito... divideremo la ricompensa, giusto?-

Sollevò un sopracciglio -E' quello che ho detto. Ne abbiamo già parlato.-

-Certo, certo, era solo per...-

Lightning gli sorrise bonariamente e gli appoggiò una mano sulla spalla con fare paterno, poi sussurrò a denti stretti -Non ti devi preoccupare.- Detto questo si alzò in piedi, entrando nella tenda poco lontano.

Mike rimase a fissare il fuoco, poco convinto, mentre io gli rivolgevo un ghigno soddisfatto.

 

Non riuscivo a prendere sonno in quella scomoda posizione, e in più il freddo cominciava a farsi pungente e tremavo come una foglia. Mike e Zeke erano andati a dormire nelle loro tende, mentre Lightning, che avrebbe dovuto farmi la guardia, si era appisolato davanti al fuoco ormai quasi spento.

Cercai nuovamente di alzarmi, ma una fitta di dolore alla gamba mi fece ricadere a terra.

Probabilmente è rotta, pensai, mordendomi il labbro inferiore per non urlare.

Appoggiai la testa contro l'albero e guardai il cielo.

Chissà se anche Gwen sta guardando le stelle in questo momento...

Stavolta la fitta di dolore non arrivò dalla gamba, ma dal cuore. Le parole di Heather continuavano a tormentarmi. Gwen non mi aveva mai amato e i Ribelli mi avevano usato, mandandomi in una missione suicida solo per intascare la ricompensa per la mia cattura. Mi sentivo così stupido per non essermi accorto di niente, ma l'amicizia di DJ, Bridgette e tutti gli altri mi era sembrata così sincera, e l'amore di Gwen ancora di più. Tutto quello che avevamo passato, come poteva essere solo finzione?

Chiusi gli occhi. Mi mancava la mia vita, la mia vita normale nel 2013, i miei amici, mia sorella, per l'amor di Dio, persino Geoff, anche se non riuscivo ancora a capire se fosse dalla mia parte o con i Ribelli.

Voglio andare a casa...

Cosa avrei fatto ora? Sarei morto probabilmente. Courtney non sarebbe stata molto clemente con me, e chissà in quale agonizzate maniera mi avrebbe ucciso. Avrei fatto meglio a buttarmi da quella scogliera quando ne avevo l'occasione. Anzi, avrei fatto ancora meglio a lasciarmi morire con quelle pillole, al Rifugio, un'infinità di tempo prima. Mi sarei risparmiato parecchio dolore.

Una folata di vento mosse le fronde, che produssero un suono rilassante. Aprii gli occhi un'ultima volta, poi la stanchezza ebbe il sopravvento e le palpebre si fecero pesanti, sempre di più...

Ma il rumore di un ramo spezzato mi fece spalancare nuovamente gli occhi.

Rilassati Duncan, sarà stato il vento, pensai, ma un brutto presentimento mi impediva di riaddormentarmi.

Vidi qualcosa muoversi dietro agli alberi.

Un animale, sarà solo un animale. Non preoccuparti.

Con i nervi a fior di pelle, mi sporsi in avanti per scrutare nel buio. Non c'era niente, naturalmente.

Poi di nuovo un rumore, questa volta più vicino.

Oh, mi sto veramente stancando degli agguati notturni. Speriamo almeno che questa volta non sia una famiglia di cannibali, pensai, e dovetti trattenere una risata isterica.

Vidi un altro movimento tra i cespugli, e cercai, senza molti risultati, di convincermi che fosse ancora un animale. Lightning si rigirò nel sonno, senza però svegliarsi, cominciando anzi a russare rumorosamente.

Cristo santo, se non avessi una gamba rotta potrei tranquillamente scappare senza che si accorgano di nulla.

Un'ombra si avvicinò furtiva al fuoco, e di sicuro non era un animale. Sembrava una donna, non particolarmente alta e abbastanza formosa, ma comunque silenziosa come un gatto. Il respirò mi si bloccò e mi immobilizzai. Chi era? Era venuta per me? Poteva essere un altro gruppo di banditi che era venuto a cercarmi per riscuotere la ricompensa.

La donna si avvicinò a Lightning e, quando fu a pochi centimetri da lui, gli passò un fazzoletto sul naso. Doveva essere imbevuto di sonnifero per fare in modo che non si svegliasse.

A quel punto fece un gesto, e un'altra ombra uscì dal bosco per poi dirigersi verso di me. Il buio era fitto, ma questo mi sembrava un uomo, più o meno della mia statura. Non sarebbe stato difficile difendersi da lui, ma nelle condizioni in cui mi trovavo non sarei riuscito a fargli un graffio.

-Ehi, chi siete? Cosa volete?-

Il ragazzo si portò un dito alla bocca, intimandomi di fare silenzio. Tirò fuori una torcia e me la puntò dritta in viso.

Sbattei le palpebre, accecato, e mi voltai dall'altra parte -Ma che cazz...-

La ragazza mi si fiondò addosso. Mi ritrassi, pensando che volesse colpirmi, ma lei si limitò a mettermi una mano sulla bocca, per farmi tacere.

-Chiudi il becco, dolcezza, siamo qui per aiutarti.- sussurrò.

Dolcezza?, provai a mormorare, confuso, ma il suono fu attutito dalla sua mano.

-Si, Leshawna, è lui. Ora sbrighiamoci ad andarcene da qui.- sussurrò l'altro, spegnendo la torcia.

-Fermi, fermi, dove mi volete portare?- dissi, mentre Leshawna mi slegava i polsi.

-Al sicuro. E ora smetti di parlare, dobbiamo fare silenzio.- disse il ragazzo. Cercò di aiutarmi ad alzarmi, ma con un gemito mi accasciai di nuovo a terra.

-La gamba. Penso sia rotta.- mormorai a denti stretti, cominciando a sudare freddo per il dolore.

Il ragazzo ringhiò, scocciato, e lanciò uno sguardo a Leshawna. Lei annuì. I due mi presero per le braccia e mi tirarono su di scatto, mettendomi poi le braccia intorno alle loro spalle, in modo che potessi appoggiarmi a loro e camminare solo sulla gamba buona.

Finalmente fummo fuori dallo spiazzo dove si trovava l'accampamento. Cominciammo a camminare con difficoltà tra arbusti e radici che sporgevano dalla terra e io mi facevo sempre più debole. Avrei voluto fargli delle domande, chiedere chi fossero, ma ero troppo preso dal dolore. Il mondo intorno a me girava vorticosamente, e non sarei riuscito a stare in piedi ancora per molto. Il bosco finì e arrivammo a un largo sentiero sterrato. Ferma lì in mezzo c'era un'automobile, un fuoristrada verde militare, la prima auto funzionante che vedevo da mesi. Dentro l'auto c'era qualcuno. Anche se il buio non mi permetteva di vederlo bene mi sembrava familiare, ma non ci feci caso. Ad ogni modo, ero sollevato di sapere che non avrei più dovuto camminare. Speravo solo che quei due dicessero la verità e volessero aiutarmi. L'unica cosa che potevo fare era fidarmi, non avevo alternative.

Eravamo quasi arrivati allo sportello, quando sentii qualcosa uscire dal bosco. Tutti e tre ci voltammo, di scatto.

Zeke era sul limitare del bosco, con una pistola stretta in mano. Doveva averci seguiti fino a quel momento.

-Non fate un passo.- disse con voce tremante.

Prima che Leshawna o Scott potessero fare qualcosa, sfilai il pugnale che la ragazza teneva nella cintura e, cercando di sopportare il dolore, corsi verso Zeke.

Lui sparò, ma non doveva essere molto pratico di armi, perché mi bastò abbassarmi un pelo per evitare la pallottola. Sparò altre due, tre volte, ma era troppo lento e con una pessima mira. Prima che potesse rendersene conto ero davanti a lui, mentre tremava come una foglia. Lo disarmai con uno scatto della mano e gli piantai il pugnale tra gli occhi. Zeke mi lanciò un ultimo sguardo spaventato, poi gli occhi si appannarono e un piccolo rivolo di sangue gli uscì dalle labbra semiaperte.

Staccai con uno scatto il pugnale dalla sua fronte e lui cadde a terra, morto. Ansimante, mi voltai verso Leshawna e Scott, che mi fissavano a bocca aperta.

-Wow, dolcezza, ci sai fare.- commentò lei.

Feci un passo verso di loro, ma quell'ultimo movimento mi provocò una fitta più forte delle altre e caddi a terra in ginocchio, con un grido di dolore.

Sentii che stavo per perdere di nuovo i sensi, ma riuscii a vedere i due ragazzi che correvano verso di me per soccorrermi. A sua volta anche l'uomo dentro la macchina era sceso e si stava precipitando da me. La luce della luna illuminò per un momento il suo volto preoccupato, i capelli brizzolati e gli occhi azzurri. In quel momento lo riconobbi e capii perché mi era sembrato così familiare.

Incredulo, mormorai -P-papà?-


 

*tossicchia imbarazzata*
Quanto tempo è passato dall'ultimo capitolo? Taaanto. TROOOOPPO.
Anyway, I'm back! :3
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. E sopratutto spero di avervi incuriosito, eheh.
Spero che per il prossimo capitolo ci vorrà meno tempo, ma la scuola me ne lascia ben poco, purtroppo. :c
Un ringraziamento speciale a tutti quelli che continuano a seguire la mia storiella nonostante i miei clamorosi ritardi!
A presto! (si spera)

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Capitolo 22
*** Do Or Die ***


Mio padre si chiamava Matthew Cooper. Lavorava come professore di lettere nell'università della mia città. Era un uomo rispettabile, un cittadino come si deve, un educato professore canadese, padre di famiglia e amabile marito.

O almeno questo era quello che sembrava in apparenza. La verità era tutt'altra, ma la conoscevamo solo io e la mia famiglia.

Matthew Cooper era sempre stato un po' scorbutico. Aveva conosciuto mia madre al college e si erano sposati giovani, dopo appena un anno di fidanzamento. Fu allora che mia madre aveva scoperto del suo problema di alcolismo e della sua pessima abitudine di alzare le mani dopo aver bevuto un po' troppo, e purtroppo ne dovette anche fare le spese. Ma lei aveva sempre avuto un carattere troppo debole e accondiscendente per opporsi alla violenza di mio padre. E poi lo aveva amato un tempo, e questo a lei sembrava un motivo valido per sopportare in silenzio i suoi abusi e le brutalità.

Io venni al mondo qualche mese dopo il matrimonio e, dal giorno della mia nascita, fui obbligato a vivere nel terrore di mio padre. Quando non urlava contro mia madre, se la prendeva con me, e ogni piccolo errore commettessi lui era lì, pronto a darmi la mia giusta dose di botte come punizione.

Da bambino non potei fare altro che sopportare in silenzio, ma durante la mia adolescenza cercai di passare più tempo possibile fuori casa, in modo che lui non mi avesse tra i piedi durante una delle sue sbronze. Cominciai a frequentare brutte compagnie, andavo in giro a fare il vandalo per la città, bevevo, fumavo e mi comportavo come un idiota, ma, sotto la maschera da duro che cercavo disperatamente di mostrare agli occhi degli altri, si nascondeva una persona che aveva bisogno di aiuto e che era troppo orgogliosa per ammetterlo. Geoff era l'unico a conoscenza dei miei problemi, l'unico di cui mi potevo fidare. A volte, dopo una litigata violenta con mio padre, andavo a dormire a casa sua, il viso pieno di lividi e il naso sanguinante, e lui senza dire una parola mi accoglieva, come se fossi un fratello. E io vedevo la sua vita normale, con una famiglia normale, e pensavo a quanto avrei desiderato essere così fortunato.

Cominciai a ribellarmi alle violenze di mio padre quando nacque mia sorella Shirley. Sapevo che era compito mio risparmiarle quello che io avevo dovuto passare da bambino, e avrei fatto di tutto per impedire a mio padre di farle dal male. Da quel momento se mio padre alzava le mani su di me, io contraccambiavo pestandolo più forte. In questo modo finivamo entrambi per farci male, ma io sentivo che quello era il mio dovere come fratello. Lo aspettavo quando tornava dal bar dove andava a rintanarsi per bere la sera dopo cena e quasi sempre, dopo aver litigato ed esserci scambiati grida e insulti, si passava alle mani.

Mia madre non disse mai una parola. Si limitò a piangere, per anni. Per tutta la vita avevo provato una grande rabbia nei suoi confronti, avrei voluto che si schierasse dalla mia parte, che proteggesse i suoi figli, ma non aveva abbastanza coraggio per opporsi al marito, e nemmeno per separasi da lui. Ma quando ora quando ripenso a lei sento una grande nostalgia. Dopotutto era l'unico tra i due genitori di cui mi potessi fidare e, anche se non avevamo mai avuto un grande rapporto madre-figlio, mi aveva sempre curato le ferite dopo le risse con mio padre e quando avevo bisogno di parlare lei era lì.

Ma non aveva più importanza ormai, perché erano tutti morti.

 

Mi svegliai di soprassalto.

Avevo la fronte madida di sudore e stavo ansimando come dopo una lunga corsa. Dovevo aver sognato mio padre e la notte in cui aveva fatto quella cosa. Al pensiero rabbrividii e deglutii nervosamente.

Ma perché avevo sognato mio padre?

Improvvisamente mi ricordai di dove mi trovavo. Mi guardai intorno, seduto sul letto. Ero in una stanza piuttosto spaziosa, con pochi mobili e l'intonaco delle pareti che si stava staccando. Sembrava l'infermeria di una scuola, ma quasi abbandonata. Eppure non poteva essere così abbandonata perché, sul comodino di fianco al letto, c'erano un pezzo di pane e un bicchiere di latte che qualcuno doveva aver portato lì non molto tempo prima. Mi lanciai sul cibo come un leone sulla sua preda, avido e affamato. Ingurgitai la pagnotta in un paio di morsi, mandandola giù quasi senza masticarla e bevvi rapidamente il latte, versandomene anche parte addosso per la fretta.

Imprecai, cercando di asciugarmi, e mi accorsi che, mentre dormivo, qualcuno doveva avermi tolto i vestiti, lasciandomi solo la biancheria. Li vidi poco più in là, appoggiati su una sedia, puliti come non lo erano ormai da giorni.

Chi era stato a fare tutto questo?

Feci uno sforzo per ricordare, ma la mia mente era un buco nero. Poi, improvvisamente, mi tornarono in mente quella donna, Leshawna, e il ragazzo dai capelli rossi, Scott. Quei due mi avevano salvato da quel gruppo di banditi da quattro soldi, ora ricordavo. Ed ecco perché avevo sognato mio padre. Il tizio che guidava la macchina gli assomigliava incredibilmente, ma ovviamente non poteva essere lui. Voglio dire, erano passati 50 anni! Mio padre era stato ucciso dai Grigi molti anni prima e, se anche non lo fosse stato, sarebbe comunque stato molto più vecchio del tipo che avevo visto quella sera.

Però, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a ricordare cosa fosse successo dopo... dopo...

Dopo che hai ucciso quel ragazzino, Ezekiel?, mi suggerì una vocina nella mia mente.

Sgranai gli occhi. E' vero, lo avevo fatto. E a sangue freddo, per di più, come se fosse una cosa che facevo tutti i giorni. Era vero, non era la prima persona che uccidevo. Avevo ucciso dei Grigi, ma quelle non erano propriamente persone, e avevo ucciso la Mamma, e lei era una pazza cannibale che aveva cercato di mangiare me e i miei amici e di uccidere Gwen.

Ezekiel era solo un ragazzino, invece. Si, ci aveva minacciati con una pistola, ma non sarebbe stato nemmeno capace di usarla. E io lo avevo ucciso.

Un conato mi fece balzare in piedi. Corsi verso il lavandino che si trovava in un angolo della stanza e rigettai quel poco che avevo mangiato prima. Quando ebbi finito rimasi appoggiato con la fronte alla fredda porcellana del lavandino, sudando e respirando affannosamente.

Ad un certo punto alzai la testa e osservai la gamba, stranito.

Un momento, come sono riuscito ad alzarmi in piedi?

La mossi su e giù, avanti e indietro, ma niente, non mi faceva più male. Qualcuno doveva avermi curato, ma chi?

Scossi la testa, pensando che non aveva importanza. Ero vivo ed ero libero da quei banditi, e mi bastava.

Ruotai la manopola del rubinetto, ma naturalmente non c'era acqua corrente. Sospirai, sconsolato, ma poi lo sguardo mi cadde su un secchio di acqua limpida poggiato lì accanto. Osservai la persona che mi guardava dalla superficie riflettente dell'acqua. Ero davvero io?

Una leggera barba incolta aveva cominciato a crescermi sul viso, dandomi un'aria più adulta, ma anche più trasandata. I capelli neri erano lunghi e spettinati e mi ricadevano a ciocche sugli occhi azzurro ghiaccio, sottolineati da pesanti occhiaie scure. Mi passai una mano sul viso, malinconico.

Sull'acqua galleggiava una spugna pulita.

Beh, sempre meglio di niente.

Mi voltai per guardarmi intorno: la stanza era priva di finestre e l'unica porta di accesso era chiusa. Nessuno in vista.

Velocemente, mi tolsi anche la biancheria intima, lanciandola da parte. Raccolsi la spugna e gli diedi una bella strizzata, facendo sgocciolare l'acqua nel secchio. Poi, con delicatezza, cominciai a strofinarmela sul petto. Ogni volta che la ruvida superficie della spugna premeva contro una delle numerose ferite che mi ero provocato negli ultimi giorni, un lamento o un gemito soffocato mi sfuggiva dalla bocca, ma presto il bruciore veniva sostituito dal sollievo provocato dall'acqua fresca sulla pelle. Le labbra mi si piegarono in un sorriso involontario, mentre assaporavo il piacere di potermi lavare di nuovo, dopo tanto tempo.

Qualcuno alle mie spalle lanciò un fischio.

-Ehi, bel fisico, raggio di sole.-

Mi voltai di scatto, sbalordito. Appoggiata contro lo stipite della porta c'era Leshawna, la massiccia ragazza che, insieme al rosso, era venuta a cercarmi nel bosco. Aveva le braccia incrociate sul petto e mi osservava divertita con uno sguardo compiaciuto.

Lanciai un grido di stupore e feci un salto all'indietro, coprendomi con le mani. Inciampai contro al secchio e ruzzolai a terra con un tonfo, versando tutta l'acqua sul pavimento.

Leshawna scoppiò a ridere, mentre io, rosso dall'imbarazzo, mi rialzavo in piedi faticosamente. La ragazza raccolse i miei vestiti dalla sedia e me li lanciò, coprendosi poi gli occhi con le mani, ma continuando a sbirciare tra le dita.

-Avanti, vestiti dolcezza. Certo, dovrai privarmi della meravigliosa vista dei tuoi addominali, ma Scott ha bisogno di parlarti, e non vorrai mica andare da lui come mamma ti ha fatto, giusto?-

Agguantai i pantaloni e me li misi frettolosamente. Quando ebbi fatto sparire l'imbarazzo, riordinato i pensieri e infilato anche una canottiera sgualcita e una felpa, mi voltai di nuovo verso la ragazza, che ora era seduta sul mio letto ma non aveva smesso per un secondo di guardarmi con quel sorrisetto.

-Oh peccato, dolcezza, mi piacevi di più senza vestiti.- disse lei, in tono lamentoso, poi si alzò in piedi ridendo e uscì dalla stanza, facendomi segno di seguirla.

Mi grattai goffamente la nuca, abbassando lo sguardo, e mi accodai.

Fuori dalla stanza c'era un grande atrio, un'enorme stanza d'ingresso. Osservai a bocca aperta la grande volta a botte, alzando la testa, senza sapere che anni e anni prima una giovane Gwen era rimasta in piedi proprio in quel punto, sbalordita quanto lo ero io dalla grandezza di quel posto.

-Questo edificio era una scuola, molti decenni fa.- intervenne Leshawna, continuando a camminare, senza voltarsi -Ora è il nostro campo base. Siamo l'unico gruppo di ribelli rimasti dopo l'ultima guerra, credo.-

Ti sbagli, non sai quanto, pensai, e il cuore mi si strinse in una morsa quando ricordai le parole di Heather su come DJ, Gwen, Noah e tutti quelli che pensavo fossero miei amici mi avessero tradito. Ma la tristezza stava cominciando a essere sostituita dalla rabbia e un senso di bruciante umiliazione.

Continuai a guardarmi intorno. L'edificio era vecchio e distrutto dai bombardamenti, ma brulicava di vita. Le stanze erano piene di militari, civili e volontari che lavoravano senza sosta.

-Abbiamo praticamente il controllo di tutti i quartieri degli sfollati. Per caso hai visto quel gruppo di palazzi vicino al lago Ontario? Quel quartiere lo abbiamo costruito noi appena prima dell'Ultima Guerra. Il nostro lavoro è cercare di aiutare i civili. Cibo, protezione, una casa... cerchiamo di fornirgli tutto ciò che gli serve. Hanno bisogno di noi, perché questa fottuta dittatura non permette più a nessuno di vivere una vita decente. Quella stronz...- improvvisamente Leshawna sembrò ricordarsi di chi fossi e si zittì. Sapevo benissimo che quello “stronza” era riferito a Courtney, ma non mi dava nessun fastidio.

-Tranquilla, puoi dirlo, non mi disturba. Non provo assolutamente più niente per quella donna, non è la stessa donna che ho conosciuto molti anni fa.- cercai di sorridere, anche se con difficoltà.

Leshawna sembrò tranquillizzarsi, e tornò raggiante in viso -Meno male. Sai, mi sembra così strano che tu sia lo stesso Duncan Cooper di cui si legge sui libri. Voglio dire, è così assurdo!-

-Già. Me lo dicono tutti.-

-Vorrei proprio sapere come cazzo sei arrivato qui, considerando che sei nato più di 50 anni fa e... beh, dovresti essere morto. Ma è meglio che parli di queste cose con Scott, è lui il nostro capo.-

Questa ragazza parla un po' troppo, pensai, ma non potevo fare a meno di provare una certa simpatia per lei. Scossi la testa. Ricordati che non devi fidarti di nessuno. Magari anche loro vogliono sono venderti e intascare la ricompensa.

Eravamo arrivati davanti alla porta di un ufficio, in fondo a un lungo corridoio. Ricordavo bene quel genere di porta, era la porta dell'ufficio del preside. Da ragazzo mi ci avevano mandato così spesso che ormai non ricordavo nemmeno più quante volte c'ero stato.

Leshawna si fermò lì davanti -E' meglio se entri da solo. Avete tanto di cui parlare.- si piegò verso di me e sussurrò -Solo un consiglio: non contraddirlo mai. E' un po' una testa calda.- sorrise e mi fece l'occhiolino.

-Grazie.- le risposi, con la voce roca per la stanchezza e le indirizzai un'occhiata di gratitudine.

Bussai e aprii la porta senza attendere una risposta. Cosa me ne importava del bon-ton?

Mentre mi richiudevo la porta alle spalle osservai la stanza. Era piuttosto spoglia, ma ben tenuta. La scrivania al centro della stanza, davanti a una finestra, era piena di fogli perfettamente allineati sulla superficie di legno. Su una parete era appeso uno di quei poster con sopra il volto di Courtney che si vedevano per strada, quelli con scritto Vota O'Connell alle prossime elezioni! - Sarà meglio per te”. Qualcuno con un impressionante senso dell'umorismo ci aveva giocato a freccette.

-Ben svegliato.- disse una voce alle mie spalle. Mi voltai. Un ragazzo dai capelli rossi e un'espressione sveglia e astuta sul viso era uscito da una porta accanto alla scrivania, che doveva dare su un bagno. Si stava asciugando il viso bagnato con un asciugamano. Andò a sedersi dietro alla scrivania, poi appoggiò le gambe su di essa, mettendo le mani dietro alla testa per stare più comodo. Io rimasi in piedi per un po', senza sapere cosa rispondere. In quel posto tutti mi trattavano come si conoscessero da una vita, mentre io li vedevo per la prima volta nella mia vita e non sapevo nemmeno se mi potevo fidare.

-Accomodati pure.- disse Scott, indicando la sedia davanti al tavolo con un gesto della mano.

Esitai, guardandolo diffidente.

-Cristo, siediti, non ti mangio mica!- esclamò lui.

Spostai la sedia da sotto la scrivania con un gesto secco e mi ci lascia cadere sopra, incrociando le braccia.

Scott mi osservò per qualche secondo, come se cercassi di scrutare nei miei pensieri.

-Dimmi, con chi sei stato fino ad ora?-

-Ero solo.-

-No, no, prima di rimanere solo. Dovevi pur essere con qualcuno, con un gruppo di persone. Non puoi aver imparato a combattere così da solo.-

Abbassai gli occhi e tossii per schiarirmi la voce e prendere tempo. Non potevo fidarmi di loro, ma tanto valeva raccontargli la verità a questo punto.

-Io... ero con un gruppo di ribelli, vicino a Toronto. Pensavano di essere i soli rimasti, ma è quello che pensate anche voi, quindi...-

Scott spalancò gli occhi e tirò giù le gambe dal tavolo, improvvisamente attento.

-Stai dicendo che un altro gruppo è sopravvissuto? E chi?-

-Non li conosco tutti, sono parecchi, ma so che il capo è un certo DJ...-

Scott sollevò un sopracciglio -Oh, lui.- scoppiò in una risata amara -Chi l'avrebbe mai detto che quel senza palle di DJ sarebbe sopravvissuto alla guerra.-

-Già.- borbottai. E pensare che una volta quel senza palle era mio amico.

-Com'è che non li abbiamo mai trovati?- disse Scott, tra sé e sé.

-Sono...- lui alzò lo sguardo su di me, mentre io cercavo le parole giuste -...sono in un rifugio sotterraneo. La botola è nascosta da una cupola d'invisibilità. Loro... hanno un bravissimo scienziato.- pensai a Noah, con un pizzico di rimpianto.

Scott annuì -E' stato lui a portarti qui, dunque? Viaggio nel tempo, o qualcosa del genere?-

Questa volta fui io ad annuire.

-Astuto...- Scott si accarezzò il mento con una mano, pensoso -E perché ti hanno portato qui? Avevano un piano?-

-Si, all'incirca... mi avrebbero mandato da Courtney. Era un piano improvvisato, non sapevo esattamente se avrei dovuto ucciderla o convincerla a fermare la sua insensata dittatura, era un ultimo disperato tentativo di aggiustare le cose. O almeno così credevo, perché...- mi fermai.

Scott inarcò le sopracciglia, attento -Perché...?-

Scossi la testa -E' stata una di loro a confessarmelo. Loro... volevano solo vendermi alla polizia. Volevano solamente ottenere la ricompensa.-

Il rosso si lasciò andare contro allo schienale della sua sedia -Wow, che strano. Certo, da un senza palle come DJ mi sarei aspettato che si chiudesse in un buco sottoterra ad aspettare di marcire, ma una cosa del genere... non è da lui.-

Rimasi in silenzio.

-Quindi da quanto sei qui? Voglio dire, da quanto hai viaggiato nel tempo? Due, tre giorni?-

Alzai lo sguardo, stranito -Io... no, veramente sono due mesi.-

-Ma... i volantini con la tua taglia sono in giro da non più di tre giorni.-

Mi bloccai. La mia mente cominciò a macinare pensieri su pensieri, confusa.

Ma se i volantini sono in giro da così poco tempo non potevano sapere della taglia quando hanno deciso di portarmi nel futuro. Non mi hanno tradito. E questo vuol dire che Heather ha mentito. Quindi...

Mi alzai in piedi di scatto.

-Che diavolo stai facendo?- esclamò Scott, seccato -Non abbiamo finito di parlare! Devo chiederti delle cose, dobbiamo trovarti una sistemazione, devo...-

-Senti, non mi interessa se sei il capo qui dentro, mi devi ascoltare. Se la mia intuizione è giusta i ribelli sono in grave, grave, pericolo. Dobbiamo aiutarli.-

Scott mi guardò per un istante, mentre cercava di riordinare i pensieri, poi il suo sguardo si fece deciso.

-Prendiamo la macchina.-

 

Geoff teneva un braccio intorno alle spalle di Gwen, cercando di riscaldarla dall'aria fredda del mattino. Camminavano in silenzio, ognuno con la mente immersa nei propri pensieri. Poi Gwen parlò.

-Sono passati quasi due giorni.-

-Gwen...-

-No, Geoff, non dirmi che “andrà tutto bene”. Lui è là fuori, in un mondo diverso da quello che conosce, al freddo, da solo... se non è ancora tornato potrebbe aver incontrato una brutta compagnia, magari dei banditi... magari qualcuno l'ha rapito, hai visto i volantini!- avrebbe voluto piangere, ma non aveva più lacrime da versare.

Geoff lasciò che la ragazza si sfogasse. Aveva le sue ragioni, dopotutto anche lui era preoccupato, ma era abituato a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. Chi l'avrebbe detto, solo qualche anno prima, che si sarebbe trovato in un casino del genere!

-Te l'ho detto, sarà con Noah da qualche parte, vedrai che si saranno trovati e avranno fatto pace. E anche se incontrasse brutte compagnie... diavolo, quel ragazzo gli farebbe il culo, lo conosci!-

A Gwen scappò un sorriso, mentre scuoteva la testa, divertita -Grazie, Geoff. Non so come avrei fatto in questi giorni senza di te.-

Lui gli passò una mano tra i capelli, spettinandola -Nessun problema, Gwennie. E ora sarà meglio che torniamo dagli altri.-

Gwen annuì mentre incrociava le dita delle mani che teneva nascoste nelle tasche, al riparo dal freddo. Speriamo abbiano qualche buona notizia...

Arrivarono al palazzo dove abitava la madre di Gwen con il fratello e salirono in fretta le scale. Marilyn era seduta al tavolo della cucina accanto a Joel, e lo stava aiutando a studiare per la piccola scuola che frequentava, l'unica del quartiere. Quando li sentì entrare alzò la testa e fece un timido sorriso a Gwen, che abbassò lo sguardo. Non si erano ancora parlate dal litigio, ma avevano bisogno di un posto dove stare e Marilyn era stata felice di ospitarli ancora. Dopo che lei e Joel avevano raccontato ai ragazzi dei volantini e della ricompensa, avevano raddoppiato le ricerche che però, purtroppo, non davano frutti.

Zoey era già tornata a casa ed era seduta sul divano, addormentata sotto ad una coperta calda.

-Heather? Pensavo fosse con Zoey!- chiese Geoff, guardandosi attorno.

Marilyn scosse la testa -No, lei era sola... immagino che sarà ancora fuori a cercarli.-

Geoff annuì e si lasciò cadere su una sedie, sbuffando pesantemente.

Gwen, invece, si sentiva troppo in imbarazzo a rimanere nella stessa stanza con la madre, così uscì dalla cucina e raggiunse la sua vecchia camera. Tutto era rimasto come quando l'aveva lasciata: le pareti dai colori scuri, tappezzati dai disegni che lei stessa aveva fatto, tutti i libri che era riuscita a trovare al mercato (ed erano veramente pochi, ormai) allineati perfettamente sulla scrivania a lato del letto. Si sedette sul morbido materasso e si prese la testa fra le mani, appoggiando i gomiti alle ginocchia. Dopo qualche minuto sentì un fruscio e, quando alzò la testa, vide suo fratello in piedi sulla soglia.

-J-Joel... cosa...- balbettò, passandosi una mano sugli occhi lucidi.

-Va tutto bene?- chiese lui, andandosi a sedere accanto a lei.

-Certo, va tutt...-

-Gwen- la interruppe -non sono più un bambino. Sono cresciuto parecchio da quanto te ne sei andata.- la scrutò da sotto il ciuffo di capelli castani e ripeté -Va tutto bene?-

La bocca della ragazza si piego in un sorriso forzato, mentre gli occhi si riempivano nuovamente di lacrime. Abbracciò forte il ragazzino, iniziando a singhiozzare.

-Non volevo coinvolgerti in questa storia. E' che stanno succedendo tante cose, mi sento così responsabile, e io non so cosa...- la sua voce fu rotta da un singhiozzo, mentre si aggrappava più forte al fratello.

-E' tutto ok, è tutto ok. E' per questo che esistono i fratelli, no?-

Gwen gli sorrise, questa volta un sorriso sincero, e gli stampò un grosso bacio sulla guancia. Lui si finse infastidito e si asciugò la guancia con la manica, ma intanto le sorrideva amorevolmente.

-Lo ami, vero?-

Gwen inarcò le sopracciglia, sorpresa -Chi? Duncan?-

Joel annuì.

La ragazza abbassò la testa, lasciando che i capelli blu le coprissero il viso.

-Credo... credo di si.-

Il fratello le posò una mano sulle spalle, accarezzandola con affetto.

-Andrà tutto bene, dico sul serio. Lui mi piace, e penso abbia abbastanza fegato per uscire da questa storia vivo e vegeto.-

Gwen gli spettinò i capelli.

-Grazie, Jo-Jo. Ti voglio bene.-

All'improvviso un urlo li fece sobbalzare. Proveniva dalla strada. Poi rumore di spari, e altre urla.

-Ma che diavolo...- Joel si alzò in piedi e corse alla finestra, spostando la tenda per guardare fuori.

Gwen corse in cucina, dove anche gli altri si erano alzati, i loro visi che riflettevano il loro sgomento. Geoff e la ragazza si lanciarono uno sguardo sconvolto.

Joel arrivò di corsa, gli occhi sgranati dal terrore -Qualcuno ha chiamato la polizia, è in strada. Credo che vi stiano cercando.-



 

Buooonsalve, popolo di EFP! *fa ciao ciao con la mano*
Si, ho finalmente aggiornato.
E si, sono in ritardissimo come al solito.
In ogni caso, spero che il capitolo vi piaccia e mi scuso per vari ed eventuali errori di battitura. Fatemi sapere la vostra opinione! :3
Nei prossimi capitoli cercherò di raccontare ancora di più la storia di Duncan e il padre, e soprattutto quella cosa misteriosa che aveva fatto molto tempo prima... sorpresa, lo scoprirete!
Un bacio a chi continua a seguirmi nonostante i miei clamorosi ritardi, siete favolosi 

Alla prossima!

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Capitolo 23
*** Uprising ***


Il pianto di una bambino riecheggiava per la tranquilla strada residenziale della piccola città canadese dove ero cresciuto. Il piccolino era seduto a terra, in mezzo alla strada, e si teneva stretta un braccio con l'altro, mentre il dolore faceva scendere lacrime copiose sul visetto. Non doveva avere più di 6 anni. Accanto a lui, poco lontano, una bicicletta se ne stava rovesciata a terra, abbandonata.

Un uomo corse fuori di casa, spaventato -Duncan? Che succede?-

-Caduto... con la bici...- balbettò, con la vocina rotta dal pianto e dai singhiozzi.

L'uomo lo raggiunse immediatamente -Oh Gesù. Riesci ad alzarti?-

Il bambino scosse la testa con decisione, spaventato.

-D'accordo. Allora stringi i denti e resisti ancora un pochino, ti porto dentro casa.- delicatamente lo sollevò da terra, prendendolo in braccio. Il bambino piagnucolò e appoggiò il viso sul petto del padre, riempiendolo di lacrime. Tornarono insieme in casa, lasciando la piccola bicicletta in mezzo alla strada.

-Allora, dove ti fa male?-

Il piccolo tirò su col naso e mormorò -La spalla.-

L'uomo si sistemò gli occhiali sul naso, poi disse -Ok. Ora, tesoro, ho bisogno che tu faccia il bravo e mi permetta di toccartela.-

-No! No! Fa male!-

-Lo so, ma devi essere coraggioso. E tu sei il più coraggioso di tutti, vero?-

Il bambino osservò il padre con gli occhi lucidi ed espressione decisa, poi annuì freneticamente.

Allora prese ad esaminargli la spalla, palpandola leggermente, mentre il bambino stringeva i denti, ricominciando a piangere.

-Sei stato bravissimo, davvero bravo. Ma adesso ho bisogno che tu sia ancora più bravo, perché devo riposizionarti la spalla, è lussata. Prendi questa.- si sganciò la cintura e la sfilò dai pantaloni. Il bambino indietreggiò, leggermente spaventato, pensando che volesse dargli delle botte per essere caduto ed aver rovinato la bicicletta.

-Duncan, ascoltami, devi metterla in bocca, ok? Così. E, quando te lo dirò io, stringi più forte che puoi coi denti sul cuoio. No, piccolino, non farà male, tu pensa solo a stringere.-

Il bambino annuì, tremante dalla paura. L'uomo gli prese il braccio nella giusta posizione, preparandosi a farlo scattare per risistemare l'osso. Deglutì, nervoso.

-Papà?-

-Dimmi, Duncan.-

-Grazie, papà.-

Matt Cooper sorrise.

 

Nel momento in cui mio padre stava per risistemarmi il braccio, il mio sogno a occhi aperti finì, interrotto da una buca nella strada che mi fece sobbalzare all'interno della macchina. Comunque, più che un sogno ad occhi aperti era un ricordo. Avevo ricominciato a pensare spesso a mio padre, dopo che mi era sembrato di vederlo la sera prima.

La macchina arrancava lungo la strada sterrata, facendoci dondolare al suo interno. Il quartiere degli sfollati non era lontano dalla base di Scott se si era in macchina, solo qualche chilometro di viaggio. Saremmo arrivati in pochi minuti, eppure avevo la terribile sensazione che fosse già troppo tardi. Possibile che i miei amici fossero veramente nei guai? Se era così era solo colpa mia. Colpa della mia stupidità. Non mi sarei dovuto fidare di Heather fin dall'inizio, avrei dovuto capire dal suo comportamento che tramava qualcosa. Ma cosa?

Mi portai le mani alle tempie, massaggiandole ripetutamente. Avevo troppi pensieri per la testa, dovevo provare a rilassarmi o avrei dato di matto. Scott, seduto accanto a me, mi lanciò un'occhiata.

-Ti senti bene?- chiese, e sembrava quasi sinceramente preoccupato stavolta.

-Si, si. Solo un po' di mal di testa, tutto qua.-

Scott fece un cenno con la testa, poi tornò a guardare fuori dal finestrino. Era un tipo strano e, sinceramente, non mi stava neanche particolarmente simpatico, ma aveva davvero a cuore la sua causa e per questo lo rispettavo. Con noi erano venuti alcuni volontari, ragazzi giovani, ribelli proprio come quelli che avevo conosciuto al rifugio, con gli occhi accesi di rabbia e i fucili in mano.

Pronti a sparare ad un Grigio dritto nel cuore, senza ripensamenti.

Certo, sapevo che i Grigi non erano veramente persone, ma quei ragazzi erano troppo giovani per uccidere così, a sangue freddo. A me ancora veniva la nausea quando ripensavo a come avevo ammazzato quel ragazzino, Ezekiel...

Scossi la testa, scacciando il pensiero. Nella mia mentre i pensieri si accavallavano uno sopra l'altro, a centinaia, impedendomi di rilassarmi.

-Signore, guardi.- disse uno dei soldati, indicando la strada che scorreva accanto a noi.

Mi affacciai dalla jeep insieme a Scott, lasciando che il vento mi scompigliasse i capelli.

-Tracce di pneumatici...- mormorò lui, spalancando gli occhi.

-Cosa? Cosa significa?- chiesi, mentre il cuore mi saltava in gola per la preoccupazione.

-Beh, l'unica macchina funzionante nell'intero...- fece una pausa, pensoso -...stato, probabilmente, è la nostra, quella su cui siamo ora. Siamo gli unici ad essere riusciti a trovare della benzina e a far funzionare il motore, avendo una persona capace di sistemarlo. Per il resto, gli unici altri ad averne sono i poliziotti del governo.-

-I Grigi.- sussurrai, impallidendo.

Scott fece spallucce -Si, i Grigi, chiamali come vuoi. Il punto è che raramente i... i Grigi pattugliano la zona, girano solo per le grandi città. Qualcuno deve averli chiamati per denunciare qualcosa.-

Aggrottai la fronte e la bocca mi si piegò in una smorfia, mentre sentivo montare dentro di me la rabbia -Heather.- ringhiai.

-Chi?-

-Era nel gruppo insieme a noi per scortarmi da Courtney. Lei.. lei mi ha ingannato e mi ha fatto allontanare da loro, convincendomi che fossero degli impostori e che volessero vendermi alla polizia. Ma non è così. Sono pronto a scommettere che quella strega mi spiava già da tempo per conto di qualcuno.-

Scott mi guardava, sul viso un'espressione priva di emozioni -E' per questo che vagavi da solo tra i boschi?-

-Già.-

-Beh, non farlo mai più. Non è prudente, e non possiamo permetterci di lasciarti morire.-

Sollevai un sopracciglio. Oh wow, grazie della preoccupazione.

Scott si voltò, incrociando le braccia contro al petto, e per la prima volta vidi chiaramente che aveva qualcosa sul braccio, sopra la divisa. Una specie di bandana, una fascia o qualcosa del genere, di un brillante colore verde. Mi voltai verso gli altri e notai che anche loro avevano la stessa fascia, anche se più piccola. Doveva essere una specie di segno distintivo.

-Il verde è il colore della speranza.- disse improvvisamente Scott, come se mi leggesse nel pensiero. Probabilmente aveva notato il mio sguardo.

Sobbalzai, stupito dal suo commento inaspettato, poi mormorai -Già...- tossii per schiarirmi la voce -Noi... abbiamo un piano?-

Scott continuò a non guardarmi, ma rispose -Ce l'avevamo. Andare al quartiere degli sfollati, prendere i tuoi amici, arrestare quella “Heather” e portarla al rifugio per farle qualche domandina. Potrebbe esserci utile, potrebbe esserci qualche tipo di attività di spionaggio da parte di qualcuno, e sono deciso a scoprire chi è.- sospirò -Ma la presenza dei Grigi cambia tutto. Se sono ancora lì probabilmente staranno cercando i tuoi amici o, ancora peggio, te. In questo caso dobbiamo fare molta più attenzione e... affidarci al caso, presumo. Non possiamo sapere come sia la situazione laggiù.-

-Merda.-

-Esatto.-

L'auto si fermò appena fuori dal centro abitato, il resto della strada l'avremmo fatta a piedi, era più prudente. Tutti si prepararono a scendere e io dissi -Ehi, come posso aiutare?-

-Oh no, non puoi, tu te ne resti qui. Ti ho già detto che non possiamo permetterci di lasciarti morire ammazzato, quindi scordati di venire con noi.-

-Ma che...- mormorai, inebetito per qualche secondo, mentre Scott mi voltava le spalle per saltare giù dalla jeep dopo tutti gli altri.

Scesi dalla macchina anche io, e nascosi un piccolo gemito di dolore causato da una fitta al ginocchio. Era guarito, si, ma dovevo ancora fare attenzione. Leshawna mi aveva spiegato che era stata solo una distorsione, e il loro più abile medico non ci aveva messo niente a sistemarmela mentre ero privo di sensi.

-Sei sordo? Torna nella macchina.-

-Ti sbagli se pensi che resterò qui con le mani in mano mentre i miei amici rischiano di morire. Io vengo con voi.-

-Ho detto di no una volta, e rimane no.-

-E io vengo ugualmente! Non potete impedirmi di...-

Scott gli afferrò il colletto della maglia e sbatté Duncan contro la fiancata dell'auto.

-Ascoltami bene, Cooper. Qui il capo sono io, e ho preso una decisione. Sono stanco degli stronzetti arroganti come te, che pensano di essere capaci di qualsiasi cosa. Se tu schiatti oggi, con te muore la nostra ultima speranza, probabilmente. E tu non sai quanto può essere difficile per me riporre tutta la mia fiducia in un cazzone come te.- ringhiò, con il viso a pochi centimetri da quello di Duncan -Hai già fatto abbastanza danni. Quindi fammi un favore ed evita di andare a farti ammazzare.-

Rimasi immobile con una smorfia rabbiosa sul viso, poi Scott mi lasciò andare e si voltò senza dirmi una parola. Restai contro la macchina, senza parole.

Ho la vaga impressione che Scott ce l'abbia con me.

Lanciai un grido di rabbia e mi voltai, tirando un pugno contro l'automobile. Poi feci qualche passo in cerchio, con le mani tra i capelli, cercando di capire cosa fosse meglio fare. Avrei pur sempre potuto ascoltare Scott e restarmene lì ad aspettare che finissero il loro lavoro, se ci fossero riusciti. Ma volevo dare ad ogni costo il mio contributo.

Cosa dovevo fare?

 

Geoff correva, al limite delle sue forze. Un proiettile gli fischiò sopra la testa, ma lui si piegò appena in tempo. Era una situazione molto simile a quando Duncan era andato a salvarlo, nel passato. Ma dov'era Duncan in quel momento?

La gente correva per le strade, urlante, scappando dai Grigi che erano arrivati sui loro macchinoni bianchi e ora erano scesi per strada e sparavano sulla gente. Le persone morivano accanto a Geoff e lui non poteva farci niente, continuava a correre e a correre e a correre. Video una bambina in mezzo alla strada, immobile tra le persone che gli correvano accanto senza neanche vederlo.

-Mamma? Mamma!- urlava, con gli occhi pieni di lacrime che si agitavano da una parte all'altra, nel panico. Geoff la raggiunse, rapido, e lo prese in braccio, portandolo via con sé prima che fosse raggiunto dai Grigi. Si infilò in una piccola vietta laterale, nell'ombra, in modo che nessuno potesse vederli.

-Dov'è la tua mamma, piccola?-

Lui cercò di dire, tra i singhiozzi -Non lo so, non la trovo più!-

-Come ti chiami?-

Lui si asciugò le lacrime del viso col dorso della mano, poi mormorò -Bridgette.-

Geoff spalancò gli occhi e fece un sorriso -Piacere di conoscerti, Bridg. Sai, ho una cara amica molto carina che si chiama così. Ma non carina quanto te.-

La bambina sorrise, luminosa.

-Davvero?-

-Certo. Ora devo andare a prendere a calci nel sedere quei cattivoni, ok, Bridg? Quindi tu te ne rimani qui, nascosta dietro quel bidone, fino a quando ti verrò a prendere, e poi troveremo la tua mamma, che te ne pare?-

Lei annuì -Va bene.-

Lui le scompigliò i capelli biondi, come quelli di un'altra Bridgette, con una carezza affettuosa -Fai la brava.-

Tornò fuori, sulla strada principale, e iniziò a urlare -Tutti in casa! Tornate tutti immediatamente nelle vostre case!-

Ma il panico si era diffuso rapidamente e la gente cercava solo di scappare, senza una meta precisa. Geoff si mise a scrutare tra la gente, cercando i suoi amici ma senza trovarli. Tornò indietro correndo in direzione opposta a tutta la folla che scappava dai Grigi.

-Gwen! Gwen!- urlava.

Poi un dolore lancinante lo colpì dietro alla nuca. La vista si annebbiò e perse i sensi per qualche attimo, risvegliandosi a causa dell'impatto con il terreno, su cui impattò cadendo.

Un piede metallico gli si posò sulla schiena, schiacciandolo a terra e bloccandogli il respiro, poi sentì la canna di un fucile che si appoggiava contro la sua tempia. Ancora intontito e dolorante dalla botta, Geoff non riuscì a fare nulla per opporsi. Sentì il Grigio che ricava il fucile e si preparò al colpo.

-Ehi, tu!-

Il Grigio alzò meccanicamente la testa e vide la bambina dai capelli biondi che stava in piedi in mezzo alla strada, vuota.

-Lascialo in pace, hai capito?-

Tutte le persone che stavano scappando si erano fermate a osservare la scena, qualche decina di metri più avanti. Il Grigio rimase interdetto qualche istante, poi alzò il fucile e lo puntò contro la bambina, continuando a tenere Geoff a terra con il piede.

-Bridgette, no, scappa...- cercò di gridare Geoff, con voce roca e soffocata.

La bambina era terrorizzata, ma sembrava non volersi muovere di un millimetro. Poi ci fu lo sparo.

-NO!- urlò Geoff, mentre il cuore gli faceva un balzo.

Ma la bambina era ancora in piedi, con la bocca spalancata dallo stupore. Il ragazzo sentì invece il peso sulla sua schiena affievolirsi lentamente fino a scomparire completamente quando il Grigio cadde a terra, morto.

-D-Duncan? Sei tu?- domandò in tono sommesso, speranzoso.

-No, ma ci se andato vicino.- Scott gli porse la mano, invitandolo ad alzarsi. Geoff la afferrò e si tirò su da terra, barcollante. La testa gli faceva ancora male.

-Che vuoi dire? Sai dov'è?-

-Si, ma ne parleremo a tempo debito. Tu sei uno dei Ribelli, presumo.-

-Io... si, insomma, circa...-

-Dove sono gli altri?-

-Siamo solo un piccolo gruppo, gli altri sono da qualche parte qui intorno, ma non...-

Scott lo interruppe -Non importa. Metti al sicuro quella bambina, penseremo a voi più tardi, ora abbiamo un'altra situazione da risolvere.- fece un sorrisetto arrogante -Io sono Scott, comunque, e sono il capo della Resistenza.-

Un confuso Geoff lo guardò andarsene dando ordini ai suoi uomini, poi si alzò in piedi di scatto e corse dalla piccola Bridg, che se ne stava ancora sola in mezzo alla strada.

-Andiamo via da qui, vieni.- la prese in braccio e la portò in mezzo alla folla di persone che era ancora ferma qualche metro più in là a osservare la scena, sconvolta.

Altri Grigi stavano arrivando, circa una decina, dirigendosi verso la folla. Gli uomini di Scott non erano abbastanza, ma si piazzarono davanti a loro, impedendogli il passaggio e proteggendo le persone. Scott era in testa a tutti loro, con il suo fucile tra le mani e un sorriso arrogante sulle labbra. Ora erano due schieramenti, uno davanti all'altro.

-Ho già ucciso uno di voi e non esiterò a farlo di nuovo.- disse.

-Dov'è. Duncan. Cooper.- chiese uno di loro con voce fredda e robotica, scandendo ogni parola senza emozione.

Il sorriso scomparve dalle labbra di Scott -Non è qui.-

-Dov'è. Duncan. Cooper.-

-Ho già detto che non è qui, andatevene.-

-Portateci. Duncan. Cooper. Altrimenti. Morirete.-

Scott scoppiò in una risata sarcastica -Non mi fai paura. Quelli che rischiano di morire qui siete voi.-

-Dov'è. Duncan. Cooper.-

-Dio! Ma ci senti?-

Il Grigio sollevò il fucile -Dov'è.-

Scott puntò il suo contro il Grigio -Mi hai stancato.- sparò colpendolo dritto in testa. Da quel momento il fuoco fu dichiarato aperto e Ribelli e Grigi cominciarono a spararsi contro senza pietà. Mentre Scott barricava dietro ad un muretto, per ricaricare la sua arma, sentì che qualcuno alle sue spalle parlava.

-Fermo dove sei.- si voltò.

Una ragazza alta, asiatica probabilmente, con lunghi capelli neri e un fisico da modella, gli stava puntando addosso una pistola.

-Posa il fucile.-

Scott ubbidì, e sollevò le braccia dietro alla testa. -Heather, immagino. Sei stata tu a dirgli che Duncan era qui.-

-Beccata. Esci allo scoperto, ora.-

Scott tornò per strada, camminando lentamente, dove i Grigi avevano già preso in ostaggio gli unici due Ribelli che erano sopravvissuti. Con la pistola puntata contro la schiena, Heather lo scortò verso di loro, e lo lasciò a un Grigio.

Gwen, in mezzo alla folla, vide il ragazzo dai capelli rossi cadere in ginocchio ai piedi del poliziotto, un'espressione sconfitta sul volto.

-Ma lui...- cercò di ricordare dove lo aveva già incontrato, poi notò la fascia verde al braccio e ricordò Tyler e i Ribelli che si erano stabiliti nella vecchia scuola -Scott?!-

Cominciò a spingere per farsi strada tra la gente, gridando il suo nome. Il ragazzo alzò la testa per guardarla, e i suoi occhi si spalancarono.

-Gwen, Gwen Lewis?!- fece per alzarsi, ma il Grigio gli tirò un calcio nello stomaco e lui cadde nuovamente a terra prostrato.

Geoff raggiunse Gwen e la afferrò per la vita, impedendole di correre verso il ragazzo dai capelli rossi. Lei gridò e si dibatté per liberarsi, ma Geoff la teneva stretta.

-Stai cercando di farti ammazzare?!- le bisbigliò -Dove sono tua madre, Joel e Zoey?-

-Sono ancora in mezzo alla folla, credo.-

La voce di Heather li interruppe.

-Signore e Signori. Oggi sarà un giorno da ricordare, per voi. Vedete questi uomini? Per colpa loro molti di voi oggi sono morti.-

Gwen si voltò di scatto vero Geoff -Ma che cazzo...? Quella è Heather!-

Lui continuò a guardare la scena senza riuscire a staccare gli occhi e mormorò -C'è qualcosa di molto sbagliato qui...-

-Questi cosiddetti “ribelli”. E' colpa loro se oggi avete perso i vostri cari, è colpa loro se le persone vengono giustiziate. Il vostro compito è sottostare completamente al governo, tutto qui. Se fate come questi uomini, arrecate danno alla società e a voi stessi.- la folla rimase in silenzio. Heather continuò -Ora, so che ci sono altri di questi Ribelli tra di voi, e voi lo sapete. Quindi portateceli, e nessuno si farà male.-

Silenzio totale, di nuovo. Heather ghignò.

-D'accordo. Volete una dimostrazione di quello che succederà se non lo fate?- schioccò le dita.

Un Grigio uscì da uno dei macchinoni bianchi della polizia, scortando una figura magra il cui viso era coperto da un sacco. Si posizionarono davanti agli altri poliziotti e ai Ribelli inginocchiati a terra. Heather invece indietreggiò andandosi a mettere a un lato della strada lontana da tutti, pronta a godersi la scena.

Il poliziotto tolse il sacco dalla testa del ragazzo.

-NO!- il grido rotto dal pianto di Gwen riecheggiò nella strada silenziosa.

Noah, il viso ricoperto di lividi e le mani legate dietro alla schiena, se ne stava in piedi con lo sguardo terrorizzato. Deglutì e sollevò il mento, cercando di non sembrare troppo spaventato.

Il Grigio caricò la pistola e gliela appoggiò contro la tempia. Noah chiuse gli occhi. Tutto era silenzioso.

-Ehi, che ne dici di posare quel giocattolino?-

L'attenzione di tutti si spostò verso chi aveva parlato. Duncan era in piedi dietro a Heather e aveva un coltello appoggiato sul suo collo.

Gwen, tra la gente, si dovette premere le mani sulla bocca per non urlare di gioia. Afferrò il braccio di Geoff e lo stritolò.

-Lo sapevo che non ci avrebbe abbandonato!-

Duncan in tanto avvicinò le labbra all'orecchio di Heather -Avanti, tesoro, digli di lasciare gli ostaggi.- disse, cercando con tutte le sue forze di mantenere un tono di voce naturale e di sorridere con sicurezza, anche se il cuore gli batteva così forte che sarebbe potuto uscirgli dal petto.

Heather rimase impassibile -Mai.-

-D'accordo, allora.- gli occhi di Duncan si spostarono sulla folla e trovarono subito quelli di Gwen. Le fece l'occhiolino e annuì impercettibilmente. Lei capì subito cosa doveva fare.

Tirò fuori la pistola e sparò a il Grigio che puntava la sua arma contro Noah. Lo colpì subito e cadde a terra senza vita. Le persone urlarono. Gli altri tre ci misero qualche secondo a capire cosa fosse successo, perché la loro attenzione era concentrata su Duncan, ma quei pochi secondi furono sufficienti perché venissero disarmati e uccisi dai Ribelli e da Scott.

Noah cadde a terra in ginocchio, massaggiandosi i polsi logorati dalle corde finalmente liberi. Zoey lo raggiunse di corsa, seguita subito da Gwen e da Geoff.

-Noah, Noah, mi senti? Dio, sono così felice che tu stia bene.- lo abbracciò stretto e lui gemette.

-Zoey... per favore...- mormorò.

-Oh, scusa. Mi sono fatta prendere la mano.- ridacchiò nervosamente, poi prese a esaminargli le ferite.

Joel e Marilyn li raggiunsero facendosi largo tra la folla spaventata e mormorante.

-State tutti bene?- chiese lei, inginocchiandosi a sua volta accanto a uno stordito e dolorante Noah e cercando di aiutarlo.

Gwen abbassò gli occhi, senza rispondere. Invece si voltò e guardò Duncan. Il ragazzo stava ammanettando Heather con un paio di manette dei poliziotti. Dopo aver fatto questo le prese un braccio e la trascinò al centro della strada, mentre lei cercava inutilmente di opporre resistenza. Scott lo raggiunse e afferrò la ragazza per le manette, impedendole di scappare. Fece un cenno con la testa a Duncan verso la folla, e lui capì cosa doveva fare. Fece un passo avanti e deglutì, poi cominciò a parlare.

-Signore e signori, immagino mi abbiate già riconosciuto. Per chi di voi non lo sapesse, io sono Duncan Cooper.- un debole mormorio si diffuse tra la folla, e lui alzò gli occhi al cielo -Già, proprio quel Duncan Cooper. Molti di voi penseranno “che ci fa qui quell'idiota che ha causato tutto questo?” Beh, sappiate che io sono una vittima, esattamente come voi. Ma qui e ora, mi scuso pubblicamente per le conseguenze delle mie azioni, per quanto involontarie.- abbassò la testa, e Gwen vide un lampo di dolore nei suoi occhi, poi la rialzò, cercando di mostrarsi forte. Ma lei sapeva che non era del tutto vero.

-Quello che volevo fare quando sono arrivato qui era aiutare, ma ho commesso solo dei gran errori.- si voltò verso Heather, poi il suo sguardo si spostò su Gwen -Anche se non tutto quello che ho fatto era sbagliato.- la bocca si aprì in un grande sorriso, mentre gli occhi della ragazza si inumidivano di lacrime.

-Ma ascoltatemi bene. Se c'è una cosa che so, è che questa donna, Heather, è malvagia. L'ultima cosa che dovreste fare è starla a sentire. Il governo, la polizia...- fece una pausa poi continuò, con sforzo -... Courtney... sono sbagliati. Il sistema è sbagliato. C'è troppa guerra, troppa povertà, troppa morte. Questa non è vita, e voi non dovete accettare questa sofferenza in silenzio.-

Le persone ricominciarono a mormorare tra di loro, questa volta più animatamente, e Duncan riuscì a sentire una certa energia diffondersi tra la folla. Una certa consapevolezza, forse.

-Signore e signori, sarò chiaro: io vi sto incitando alla rivolta.- lo sguardo di Duncan si fece duro e sicuro, mentre qualcuno in mezzo alla folla cominciava a lanciare versi di approvazione e alzare i pugni al cielo.

Scott lo chiamò per nome e Duncan si voltò verso di lui.

-Prendi questa.- continuò, sfilandosi la fascia verde dal braccio e passandogliela. Fece un sorrisetto -Non sei uno stronzetto arrogante tanto quanto pensavo.-

Duncan sorrise a sua volta, pensando che era il più grande complimento che potesse aspettarsi da Scott.

Si girò nuovamente verso la folla, tenendo in mano il pezzo di stoffa come se fosse un cimelio di incredibile importanza. Lo osservò per qualche secondo, poi rialzò lo sguardo sulle persone che se ne stavano in piedi in silenzio a pochi metri da lui. Lo fissavano, in attesa di una sua reazione, gli occhi pieni di aspettative. Geoff lo guardava con orgoglio, mentre teneva un braccio intorno alle spalle di Gwen, che piangeva di felicità. Persino Noah si era alzato faticosamente in piedi, aiutato da Zoey, per assistere al suo discorso, sebbene gli costasse un'enorme sforzo. Infine la madre di Gwen, Marilyn, e il fratellino Joel, abbracciati. Marilyn gli lanciò uno sguardo ammirato e sorrise, come per dirgli “tu sei quello giusto per mia figlia”. Questo bastò per dare la forza necessaria a Duncan.

-E' ora di ribellarsi, gente!- gridò Duncan, sollevando verso il cielo il pugno che teneva stretta la fascia verde speranza, simbolo dei Ribelli.

Tutta la folla di persone gridò di gioia con lui, iniziando ad applaudire e alzando le mani al cielo.

Gwen non riuscì più a trattenersi e corse verso di lui e gli si lanciò tra le braccia, mentre le lacrime scendevano dai suoi grandi occhi scuri.

-Non sai quanto mi sei mancato, stupido coglione.- mormorò, stringendosi contro il suo petto.

Duncan la strinse tra le braccia, rispondendo -Mi dispiace, ho sbagliato, io...-

-Oh chiudi il becco.- la ragazza lo zittì appoggiando le sue labbra contro quelle di lui e dischiudendole in un bacio appassionato. Duncan sgranò gli occhi per un istante, chiudendoli poi per godersi il momento, e la folla, che non aveva smesso un attimo di applaudirlo, ora cominciò ad applaudire ancora più forte, producendo fischi e incitazioni.

-Ti amo, stupido coglione.-



 

*si prepara al lancio dei pomodori*
Chiedo anticipatamente scusa a tutti! D:
Ebbene si, anche stavolta sono tornata! Chi se lo sarebbe aspettato?
Anche stavolta sono stata assente per decisamente troooppo tempo, ma ho avuto una marea di impegni e, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a trovare un momento libero. Ma, dopo la bellezza di tre mesi, sono riuscita a pubblicare un altro capitolo.
So che questi intervalli così lunghi mi fanno, purtropo, perdere dei lettori, ma spero ancora che a qualcuno la mia storia piaccia. In ogni caso una recensione è sempre apprezzata se volete farmi sapere la vostra opinione, positiva o negativa!
Un bacione a tutti quelli che continuano a seguirmi, vi ringrazio di cuore, e spero di riuscire ad aggiornare prima la prossima volta! 

Teen 

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