C'è qualcosa di più al di là delle apparenze.

di LaDolceScrittrice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** C'è un'energia vitale in fondo al cuore. ***
Capitolo 2: *** Il potere di Adele. ***
Capitolo 3: *** Vittoria crudele. ***
Capitolo 4: *** Faccio un salto in un' altra dimensione e poi torno! ***
Capitolo 5: *** Non siamo sole. ***
Capitolo 6: *** Lupi mannari. ***
Capitolo 7: *** Chi non muore si rivede. ***
Capitolo 8: *** Siamo figli del mondo. ***
Capitolo 9: *** Aria di cambiamento. ***
Capitolo 10: *** Neuroni specchio. ***
Capitolo 11: *** Fuoco nelle vene ***
Capitolo 12: *** La storia si ripete. ***



Capitolo 1
*** C'è un'energia vitale in fondo al cuore. ***


Nessuno avrebbe mai immaginato che quella notte sarebbe stata determinante per la vita di queste ragazze! Chi sono?!? Non ha importanza adesso. E’ che a volte le cose accadono e in un soffio la banale quotidianità viene stravolta. Altro che un terribile tornado, molto di più, una vera scossa elettrica di vitalità. E’ tipico del genere umano rinchiudersi nella pura realtà. Non è che guardar fuori faccia paura ma semplicemente non si può o meglio, non si ha voglia, di scavalcare quel muro fatto di indecisioni, insicurezze, vergogne e mondanità che non ci permette di vedere oltre le apparenze. Un mondo empirico perché non conviene mai credere a ciò che non si vede: andresti contro l’ omertà. E così non viviamo mai a pieno quello straccio effimero di tempo che è la nostra vita. Sogni, passioni, leggende, ideali, avventure, entusiasmi che non conoscono né orgoglio né freni di alcun genere, questi dovrebbero essere i punti fondamentali dell’ esistenza di ogni persona.

Ci sono sere in cui ti senti un supereroe: hai il potere di fare tutto, la vita ti sorride, hai il mondo fra le dita, insomma sei invincibile. Tutto questo non per un effetto magico, no, qui stiamo parlando della vita vera, adrenalina, felicità e soprattutto.. alcool. Soltanto che l’ effetto di questo non dura per sempre e quando finisce stai peggio di prima.. Al primo bicchiere ti senti grande ma non basta, serve il secondo per far girar la testa, il terzo per far vedere che lo reggi, il quarto per essere più “espansivo”, fino al quinto che ti fa piegar le ginocchia e il sesto dopo il quale ti ritrovi magicamente in un angolino della discoteca a reggerti la testa che sembra voler scoppiare, indeciso se  voler vomitare lì oppure fare un ultimo sforzo e arrivare al bagno.
Focalizziamoci adesso dal generale a loro che ormai erano già arrivate al terzo bicchiere di un beverone superforte di cui non sapevano neanche il nome: il motto era “basta che sia alcolico”. Descrivendole così sembrano membre del club "alcoliste anonime", in realtà nella vita di tutti i giorni sono ragazze normalissime che lavorano sodo per raggiungere i propri obbiettivi e difendere i propri ideali. Ma quando ti impegni duramente tutti i giorni della settimana il sabato sera hai bisogno di staccare ed è lì che scaturisce il loro lato peggiore ( o migliore, a seconda dei punti di vista). Eccole lì con la loro aria da snob ormai quasi del tutto corrosa dal bere e il sorriso da ebete di chi ha voglia di divertirsi, sui loro volti sono puntati gli sguardi di chi le odia soltanto perché le ritengono cattive e superficiali. Ma il vero cattivo non è chi, con ingenuità ti sputa in faccia tutto quello che pensa senza sorvolare i difetti ( che, si sa, in tutti noi sono di più dei pregi), ma chi con un sorriso più falso delle borse Luis Vuitton nel banchino al mercato ti elogia pensando invece esattamente il contrario di quello che dice. Loro si erano trovate, la pensavano allo stesso modo e non avevano peli sulla lingua, ma questo non era loro di grande pubblicità. Fa niente perché avevano dal canto loro molta gente che le riteneva intriganti o simpatiche o che comunque era amica loro per dovere o abitudine. Questo bastava perché conoscessero tutti ovunque.

Erano le due e mezza: Vittoria, Tecla e Letizia erano impegnate a far impazzire un gruppo di ragazzi sconosciuti con la loro parlantina che diciamo ormai era meno controllata dalla ragione e più dal vino della cena; Adele e Dafne invece erano sedute sulle scalinate del locale con i piedi che pulsavano mentre cercavano di abbozzare discorsi seri sul perché dell’ esistenza o le soffernze dell’ amore (tentativo inutile visto che non avrebbero saputo fare un discorso del genere nemmeno da sobrie, figuriamoci in quello stato) con l’amicobravo ragazzo che faceva finta di essere lì per fare loro un piacere e intanto sapeva che senza quelle cavolate quella serata sarebbe sembrata meno divertente; lì vicino a sedere anche lei, c’era Gaia che ogni tanto accennava un segno d’ assenso quando faceva finta di essere d’accordo nella discussione, ma che in realtà non ascoltava  bensì vagava nei suoi pensieri che nemmeno le sue più care amiche sapevano di cosa trattassero. Ogni tanto fra tutte si guardavano quasi come per chiedersi “tutto apposto?” e poi tornavano nei loro affari cercando di memorizzare i momenti più divertenti per poi poterne ridere davanti a una ciotola di popcorn fatti al microonde in una delle solite serate-cinema a base di chiacchiere e film poco istruttivi. Anche in uno solo di quegli sguardi insignificanti per gli altri, loro capivano già tutto. Tecla si nascondeva  dietro quel bel sorriso da vip ma in realtà con gli occhi cercava la SUA presenza. E’ strano perché la voglia di vederlo era direttamente proporzionale al suo odio per lui, il suo sentimento era un guazzabuglio di odio e amore che faceva un baffo all’ “Odi et amo” di Catullo, eppure lui era il suo primo pensiero di sempre, il mezzo di comparazione per tutti gli altri ragazzi, la causa prima da dove scaturiscono le mille domande della sua mente: “perché sta con lei se vuole me?! No, non sono io che mi illudo è lui che con quel suo sguardo, quel sorriso e quella sua insistenza nel baciarmi ogni volta che mi vede me lo fa capire. Si decidesse una volta per tutte eviterei di stare in bilico: il giorno prima ci credo, ne sono certa, è sicuro! Lui mi vuole e io sono sua, non è un amore facile da trovare a quest’età! Poi il giorno dopo tutto diventa un po’ più scuro. C’è lei di mezzo sì, ma lei che colpa ne ha, anche lei è vittima della sua bellezza. Certo che però se ci fosse un modo per toglierla dalle scatole non avrei di sicuro pietà. Basta lo odio!” La mente di Tecla però non era certo l’ unica ad essere come un libro aperto per queste ragazze. Vittoria per esempio non amava esternare molto i propri sentimenti, com’è tipico per tutti perché mostrarsi per come siamo ci rende deboli e vulnerabili. A lei piaceva invece mostrare la sua forza, e al dire il vero ne aveva anche parecchia, così a prima occhiata poteva sembrare una ragazza cinica a volte anche insensibile, ma in realtà dentro di lei zampillavano valori e morali che i finti perbenisti nemmeno si sognavano. Quando ti trovi a lottare contro amicizie false e pregiudizi si forma inevitabilmente uno scudo, una crosta dura intorno al cuore, ma come un granchio ha il guscio duro per far sì che nessuno gusti facilmente la sua polpa dolce e tenera, così era lei. Era difficile coglierne la polpa, ma loro, le altre ragazze, c’ erano riuscite anche se a volte lei continuava a mostrare questa sua autodifesa anche con le sue più grandi amiche. Con Letizia infatti era sempre un litigio continuo, ma ovviamente c’ era sempre spazio per una nuova e più salda pace. In fondo le discussioni servono a questo no?!? A conoscersi, chiarirsi e unirsi più di prima. Le ragazze infatti avevano imparato a conoscere molto bene anche Letizia, la perfezione era il suo ideale e la sua ambizione più grande. E in realtà nel gruppo tutte la ammiravano per la sua compostezza e per come sapeva prendere e tenere salde le decisioni. Se nessuno è perfetto lei avrebbe potuto benissimo incarnare quel “nessuno”. Ma se Vittoria riusciva a farsi forza col suo scudo, Letizia era fragile così che più che a un granchio la paragoneremmo più a una medusa, velenosa sì, ma fuori dal suo abitat acquatico il sole non può fare a meno di scioglierla di renderla un nonnulla. Se c’era una persona poi che esternava tutta la sua fragilità senza paura è Gaia. Lei con i suoi pensieri ineffabili formavano un tutt’uno e tutto il resto era fuori e chissà se mai qualcuno sarà riuscito a entrarvi dentro. La sua franchezza, gentilezza e affidabilità la rendevano dolce, ma la sua spensieratezza e sbadataggine a volte la rendevano goffa e strana. I suoi difetti però sembrano sorvolare sui pregi molteplici..Certo poi la solarità e la parlantina non mancavano alla bella Dafne che col suo vestire estroso e appariscente sembrava quasi cozzare con l’ eleganza del resto del gruppo. Ma d’altronde che amiche noiose sarebbero state se fossero tutte uguali?! E poi, se cercavi attentamente nel cumulo di accessori pomposi che ogni volta indossava, potevi capire che in realtà il suo più bel accessorio era il sorriso, ogni volta la sua presenza per le altre era come un iniezione di vitalità. Infine c'era Adele che sembrava inglobare un po’ le personalità di tutte: innamorata, dura ma allo stesso tempo fragile, cercava in ogni cosa la perfezione, ma alla fine non la trovava mai perché aveva sempre la testa fra le nuvole anche se il suo sorriso riusciva sempre a scampare ogni guaio. Ma c’ era una caratteristica che da tempo la distingueva, riusciva a capire le persone. Le sentiva subito a primo impatto, era come se riuscisse a captare l’ energia vitale che giace in ognuno di noi in fondo al cuore.

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Capitolo 2
*** Il potere di Adele. ***


La pista era strapiena di gente ma loro non si fermavano, era la musica che le muoveva. Avrebbero potuto anche morire e continuare imperterrite a ballare. I piedi scalzi sfregavano l’asfalto in quella discoteca all’aperto e la fresca aria di quell’ estate appena cominciata riempiva i polmoni ansimanti delle nostre ragazze. Ad un tratto il cielo, che fino a poco tempo prima era sereno, diventò cupo. Gocce di acqua gelida sfioravano i volti delle belle danzatrici che, a differenza di tutta l’ altra gente, non avevano paura del brutto e strano tempo ansi continuavano a coreografare la loro danza infinita non curanti né del freddo, né dei tuoni e tanto meno della pioggia che bagnandole le rendeva ancor più leggiadre di quanto già non fossero.
Erano sole nella pista quando quello strano lampo le colpì.
Poche ore dopo erano distese in un lettino di  ospedale. Non erano né ustionate né lesionate ma erano sprofondate in coma. Le famiglie disperate nei corridoi piangevano senza freno, sentendosi consolare da quelle solite parole che ,di routine, venivano abbozzate qua e là da dalle persone che magari neanche conoscevano: “Vedrai, si risveglieranno” oppure “Si risolverà tutto” e dentro di sé le madri, i padri o i fratelli pensavano “Che ne sai tu di quello che succederà, se sapevi davvero predire le cose potevi dirmelo prima che io la mandassi a quella dannata festa!”
Ma i giorni tristi mano a mano andarono sfumando e le ragazze, una ad una, si risvegliarono: prima Vittoria, poi Dafne, Adele, poi Tecla e Letizia. Gaia si svegliò mesi dopo tutte le altre e sua madre speranzosa nell’ attesa cercava di reprimere il dolore con battute del tipo: “E’ sempre stata una ragazzina molto pigra!”. Ma alla fine tutto andò per il meglio e le ragazze stavano bene, avevano solo perso la memoria su ciò che era successo quella sera.
 Adele però ricordava un episodio molto forte successo una settimana dopo il suo risveglio. Stava vagando per i corridoi dell’ ospedale quando vede una ragazza in una stanza, in coma anche lei probabilmente. Quella stanza sembrava spoglia rispetto a tutte le altre: non c’ erano fiori, né palloncini, non c’ era aria d’ amore, né la mamma che teneva la mano alla figlia. Adele non sapeva se era per questo dettaglio o per il semplice motivo che sentiva un richiamo verso di lei, come se la ragazza le stesse implorando di aiutarla con una voce sottile e lieve che nessun’altro tranne lei poteva percepire. Si avvicinò e la prima cosa che le venne in mente fu che la ragazza potesse aver avuto lo stesso trauma capitato a lei e alle sue amiche. Poi guardò meglio, si focalizzò sul viso, poi sulla spalla per poi passare al braccio fino al polso. E fu proprio lì che trovò la risposta. Un rigo rosso alternato dai punti solcava il polso della ragazza. A dire la verità Adele lo sentiva, sì… sentiva il dolore delle delusioni, dell’ indifferenza, della cattiveria e lo sentiva tutto intrinseco nell’ anima della ragazza. Con una mossa spontanea le toccò le dita, poi la sua mano scivolò sul palmo fino ad arrivare al solco rosso sul polso, il quale strinse forte mentre chiuse gli occhi. Piccoli stralci della vita della poveretta apparvero lampanti nella mente di Adele. Al suo ritorno nella realtà la ragazza era viva e vegeta e guardava con sguardo impaurito la nostra eroina.

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Capitolo 3
*** Vittoria crudele. ***


Sfido chiunque a sapere che cosa sia e in che cosa consista veramente la felicità. Ma penso che ognuno, nel suo piccolo sappia, bene o male, in che modo si manifesti. Ed è per questo che Adele sapeva di non sentirsi felice: aveva salvato una persona sì, e aveva anche appena scoperto di avere un potere straordinario, ma dentro si sentiva vuota come se usare questo potere la indebolisse, come se quella ragazza le avesse succhiato via le energie e l’ avesse ridotta K.O. Uscì fuori dalla stanza e varcata la porta si sentì meglio. Due infermiere intanto stavano correndo a dare la notizia del miracolo al primario. Adele era spaventata, scese le scale velocemente e filò dritta nel cortile dell’ ospedale dove tutte le altre, sedute a piedi scalzi sull’erba, stavano chiacchierando rumorosamente. In realtà solo Vittoria stava parlando, e doveva essere una storia molto interessante visto che tutte la stavano ad ascoltare con facce impassibili. Adele si infiltrò nel discorso, incrociò le gambe sull’ erba fresca di mattina e inizia ad ascoltare:
"Vi giuro! E’ così! Mi è successo! Ascoltatemi, ero a casa stamattina e cercavo di seguire i consigli che mi aveva dato il medico: riposo, niente sforzi, niente cibo poco sano, non troppa TV, niente questo, niente quello.. niente che palle. Scusatemi ma CHE ANSIA! Così mi vesto e decido di farmi una giratina in bici. Sapete, questo è uno dei pochi buoni modi che ho per rilassarmi.." E mentre raccontava in una mano si sistemava la sigaretta fra le dita, nell’ altra frugava in borsa per trovare l’ accendino. Dopo una breve pausa continuò: "Passo per il centro e mi rendo conto di aver finito le mie Winston blu. Così mi fermo al tabacchino e sapete chi c’ era di fronte a me?! Uno di quei coglioni sfigati che invece di trovarsi un lavoro, una moglie oppure boh che ne so.. invece di farsi i cazzi propri devono rompere le scatole seduti in quella sedia del bar che sembra implorare “aiutooo!” vista la mole dell’ uomo.  Volevo far finta di non sentirlo chiamarmi “oh bellina” facendo battute poco inerenti alla situazione, ma sapete bene come la sfida tra impulso e ragione in me sia una causa già persa in principio! Così mi giro, prendo l’ ombrello che tenevo in mano e glielo punto alla gola. Era strano, per quanto possa essere aggressiva a volte, non mi ero mai sentita così. Una brivido d’ adrenalina mi percorre tutto il corpo e non so perché, inizio a pensare alla sua trachea. Che cosa avesse avuto per me di affascinante in quel momento la sua trachea non lo so, ma il solo pensiero di poterla trafiggere con quell’ ombrello appuntito mi inebriava. Poi cambio oggetto del desiderio e punto con lo sguardo gli occhi. Dopo una frazione di secondo vedo l’ uomo a terra con le mani alla testa che implorava la mia pietà. Non so se in quel momento vigeva in me più il senso di potenza o di spavento per quello che avevo fatto. Così sono scappata ed eccomi qui! "
Il racconto suscitò scalpore ma anche imbarazzo perché tutte le altre, prima di quel momento, non avevano avuto il coraggio di raccontare il loro strano episodio forse anche perché non si erano rese conto di quanto potesse essere eclatante il fatto che era accaduto loro.

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Capitolo 4
*** Faccio un salto in un' altra dimensione e poi torno! ***


“ Il forte odore di lacca, misto a quello di sudore e di ammorbidente mi stordivano. In quel camerino caldo e affollato pensavo di poter morire. Avevo riconosciuto quella serata, era la sera del saggio. Ma com’era possibile?!? Pochi minuti fa mi trovavo sul divano a litigare con mia sorella che insisteva nel dire che, se fosse stata lei la sorella maggiore, avrebbe saputo comportarsi bene e avrebbe viziato la sorellina. Ovviamente io sapevo che erano tutte balle. Mi guardo allo specchio e non vedo la ragazza grande, coi capelli lunghi e alta che sono, ma vedo una bimba coi capelli corti e mossi che a malapena arrivava allo specchio. Accenno un sorriso e vedo due finestrelle nere proprio nella parte davanti. Poi mi guardo addosso. Ma come sono vestita?!? O.O Una gonna rosa sgargiante copriva le mie gambe secche e di sopra un top viola con un grande fiocco al centro mi avvolgeva il petto senza seno. Non potevo esser certo finita nel passato perché io ho sempre avuto stile nel vestire, anche da piccola. A un certo punto mi sento chiamare da una voce  in modo arrogante e per nulla gentile. La riconosco! E’ mia sorella, soltanto con qualche anno in più. Mi chiede cosa ci faccia lì e perché debba sempre rovinare tutto. A quanto pare il saggio era il suo e non il mio. Urlava talmente tanto che le mie orecchie avrebbero potuto scoppiare, tutta la gente mi fissava, mi sentivo impotente, piccola e stupida. Non mi ero mai sentita così, ero sempre stata quella che vinceva, quella che rimproverava non quella che faceva i dispetti. Ho capito come ci si sentiva ad essere dall’ altra parte e, forse perché ormai avevo imparato la lezione, dopo poco sono tornata nella realtà. Vi prego non datemi della pazza! Non l’ ho sognato, l’ ho vissuto, sono stata trasportata in un’ altra dimensione, in un mondo parallelo dove le cose erano invertite!”
Dafne terminò il suo racconto mentre con una mano stropicciava l’ erba nervosamente. Le ragazze la tranquillizzarono e le dissero che non si doveva preoccupare, le cose strane stavano capitando a tutte! Nel mentre un ragazzo affannato raggiunse la “postazione” delle ragazze. Nessuna di loro sapeva chi fosse tranne Tecla che lo guardò con aria infastidita. Era un bellissimo ragazzo, un po’ olivastro come piacevano a lei, sguardo verde penetrante e capelli neri riccioli, per non parlare del fisico che sembrava modellato ad arte. Il sudore gli colava da quel suo collo perfetto e bagnava quella maglietta bianca un po’ stropicciata. Sembrava avesse fatto a botte con dei cinghiali perché sul viso mostrava dei graffi, sulle braccia dei lividi, sulla maglietta c’ erano delle tracce di terra e fra i capelli aveva qualche fogliolina sparsa qua e là! La sua figura da bel fusto svanì subito dopo quel sorriso a ebete che sfoggiò verso Tecla. Perché si sa, un uomo è attraente quando si fa desiderare, quando non ti cerca, quando è difficile da prendere e soprattutto quando ha un’ aria da duro. La sua voce calda e suadente però fece cambiare idea ancora una volta alle ragazze che erano ansiose di sapere chi fosse quel misterioso ragazzo.
“Ciao Tecla! Amore mio! Dove sei stata?! Tu sei tutto per me! Non ci lasceremo mai, staremo sempre insieme promesso. Ti ho seguita fino a qua è ho picchiato tutti quelli che hanno osato guardarti! Anche quello stano uomo davanti al cancello di casa tua!”
“I’ mi babbo?!?”
“Eh si, bho. Probabilmente era lui!”
“Oh povera me!”
“No! Amore mio! Perché dici così? Che cosa ti turba? Parliamone.. Non mi lasciare ti prego, io morirei per te. Andiamo, ti porterò lontano e faremo la pace consumando il nostro amore sotto il chiaro di luna e le stelle.”
“Ah si?!? E dove mi porterest…. Ehm volevo dire.. No certo che no! E non chiamarmi amore!”
Ad un tratto le ragazze e tutte le persone che stavano guardando la scena con aria divertita cambiarono atteggiamento e assunsero un’ espressione impaurita. Si sentì un “no! Non lo fare!” e uno “Spam” echeggiare contemporanei nell’ aria.

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Capitolo 5
*** Non siamo sole. ***


Riuscivo a sentire il dolore del proiettile che mi trafiggeva la testa eppure il colpo di pistola non era rivolto contro di me ma verso di lui.
   “Mi chiamo Adele Giorgi e riesco a sentire le persone”
Avrei potuto presentarmi così ormai alla gente.
Mi facevo spazio fra la folla con quell’assillante dolore alla testa. “Chiamate un medico!” la gente urlava, e intanto dentro di me mi dicevo “penso proprio che il medico non servirà”.  Raggiunsi il ragazzo che ormai era accasciato a terra con la testa sanguinante. Esitai un po’ all’ inizio poi mi feci coraggio e toccai la ferita. Non avevo mai intinto la mia mano in così tanto sangue e la sensazione di calore, se non fosse stato per la terribile situazione, sarebbe stata accogliente e tranquillizzante. Un minuto dopo, questo pensiero mi fece rabbrividire .
“Giuro, ho tentato di salvarlo, ma non ci sono riuscita”
Questo invece è quello che mi ostinavo a dire alla psicologa una settimana dopo l’ accaduto. Non avevo la minima idea del perché il mio potere non avesse funzionato ma sono riuscita a sentire che in lui la volontà di morire era dominata da qualcosa di sovrumano. Sarebbe servito un po’ più di tempo per capire che non si può rimediare alla magia con la stessa magia, solo i dottori avrebbero potuto salvarlo ma la chirurgia non fa miracoli. Lo stesso giorno scoprimmo i poteri delle altre. Letizia ci dimostrò la sua superintelligenza risolvendoci una lunga espressione logaritmica in un secondo, Gaia invece prese una formica sulla mano e  ci parlò, come niente fosse. Non capivamo il perché di questi poteri ma sapevamo che in qualche modo rispecchiavano la nostra personalità. Mano a mano quindi imparammo a controllarli, anche se eravamo ancora molto spaventate visto che non sapevamo né da dove provenissero né in che cosa consistessero esattamente, né che cosa fossimo diventate noi dopo l’ incidente con il fulmine. Streghe?! Dietro a questo nome comune si presentava un’ immagine stereotipata di una vecchia vestita di stracci che faceva incantesimi in un pentolone, ma noi eravamo qualcosa di molto diverso ,non solo per il fatto che non eravamo vecchie e vestite di stracci ma anche per il fatto che non facevamo incantesimi, ci limitavamo ad attuare il potere che era stato assegnato ad ognuna di noi, anche se avevamo notato che alcuni poteri erano riservati a tutte quante: far esplodere o spostare con la mente gli oggetti e comunicare a vicenda solo con il pensiero.
Ah quasi dimenticavo, qualche giorno dopo la morte del ragazzo, un pomeriggio qualcuno suonò alla mia porta. Andai ad aprire e di fronte a me si presentò una ragazza: occhi verdi, capelli castani chiari con sfumature bionde alle punte, vestita di nero e verde militare e truccata un po’ pesante. I capelli lisci e un po’ arruffati  le coprivano il viso così che  a prima vista non la riconobbi, ma non dimentichiamoci che io potevo sentirla e quando mi porse la mano dicendomi “Ciao, io mi chiamo Luce!”  io avrei potuto affermare che quel nome non si addiceva affatto a quell’anima cupa e corrosa che stava di fronte a me. Non feci domande e la invitai ad entrare (essere maliziosa non è mai stato il mio forte ma sapevo bene che dietro quello sguardo spento non si nascondeva una così malvagia persona). Si sedette sul divano tutta composta, mi guardò veramente negli occhi ( per la prima volta direi) E disse:
“ Adele, io ho bisogno d’ aiuto.”
Ad un tratto capii che quella sensazione di déjà vu non era errata. Le guardai i polsi per controllare e… sì era lei! Pensavo di averla salvata all’ ospedale ed invece era soltanto l’ inizio. Ma da quando avevo ricevuto i poteri ero diventata diffidente verso gli altri, avevo paura che tutti mi volessero usare come fenomeno da circo, quindi non feci una parola sulle mie “attitudini” e continuai ad ascoltare. Quello che disse non fu esattamente ciò che volevo sentire: anche lei aveva un potere! Una sensazione di impotenza mi attraversò il cuore, pensavo che io e le mie amiche fossimo le uniche ad aver avuto questi stupendi doni quella sera e invece no, chissà quanta altra gente si trovava nel nostro stesso stato di confusione, chissà quali altri poteri potevano esser stati distribuiti dal celo quella sera. Mi raccontò l’ accaduto: era accasciata nel bagno del locale con i polsi sanguinanti quando una strana luce attraversò la finestra accanto a lei, dopo di che il buio nella sua memoria. Quello che mi fece pensare però è che , mentre noi avevamo altri poteri comuni oltre a quello principale come la telepatia o la telecinesi, lei possedeva solo quel potere. “Sicuramente” pensai, “nella magia vale più la forza di un gruppo che quella di un singolo, molto probabilmente noi siamo le prescelte, abbiamo un compito e tutti gli altri ci devono aiutare.” A quanto diceva, il suo potere consisteva nel parlare con i morti. Dico “a quanto diceva” perché non ero sicura al 100 % di ciò che mi aveva raccontato, potevo sentire le persone sì, ma era impossibile capire lei, soprattutto capire se dicesse la verità o no. A parte tutto, mi disse che aveva parlato con il ragazzo morto la stessa sera del suo ritorno in vita dal coma. La curiosità mi assalì in un istante, vero o no, volevo qualcosa che mi chiarisse le idee sull’ accaduto, che mi consolasse e discolpasse e così ascoltai.
“La sua voce suadente mi penetrava le orecchie. Ricordo che era sconvolto, che non avrebbe mai voluto suicidarsi ma che così era stato e che la sua anima ormai era in pace.”
Non disse molto ma era stata convincente, allora mi tranquillizzai.
 Tutti hanno bisogno di credere in qualcosa, la mente umana non può essere costantemente bombardata dalle mere verità e realtà anche perché , nella mia vita, di cose reali ce n’ erano rimaste ormai ben poche! Non avevo però ancora capito di cosa avesse voluto parlarmi, in che modo potevo aiutarla? Luce si avvicinò e mi mise una mano sulla spalla, aveva gli occhi luccicanti e  quasi stava conficcando le sue unghie nella mia pelle. Doveva essere impaurita, molto impaurita ma non fece in tempo ad aprire bocca quando qualcun altro suonò al campanello. Chi poteva essere adesso? Vado ad aprire la porta e fa capolino dal cancello il mio migliore amico. Prima di lui avevo perso le speranze che ci potesse essere una vera e solida amicizia tra maschio e femmina, le esperienze precedenti infatti mi avevano fatto pensare tutt’ altro, ma lui con un sorriso riusciva a rassicurarmi e io non avevo bisogno di altro in quel momento. Il suo nome è Daniele ma tutti lo chiamano Dan all’americana, io avevo preso da tempo a chiamarlo soltanto “amico” come una mamma si chiama “mamma” o un papà si chiama “babbo”  perché quello era, un AMICO e volevo poterlo gridare ai quattro venti che anche io potevo averne uno come nei film. Lo feci entrare e gli presentai Luce. A quanto pare si conoscevano di già. Fu così che ci perdemmo in chiacchiere dimenticando l’argomento principale: l’AIUTO!

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Capitolo 6
*** Lupi mannari. ***


Chi avrebbe mai pensato che Luce nel giro di poco tempo  avrebbe potuto spezzare il cuore di Daniele in un modo così disinvolto che faceva quasi vomitare, eppure restò nostra amica lo stesso, forse perché quella sera avevo intuito ,senza che me lo dicesse, in che modo io avrei dovuto aiutarla. Non era un aiuto magico, era un aiuto che chiunque avrebbe potuto dargli: qualcuno che le volesse bene. Vi è mai capitato di esitare nel dare una mano a una persona soltanto per paura che vi potesse prendere tutto il braccio? Ecco, a me no ma ogni tanto avrei dovuto pensarci. Da quella sera poi imparai anche un’ altra cosa: non eravamo sole. E questo mi sarebbe stato utile giorni dopo.
Era un martedì sera e il locale pullulava di gente, per fortuna per quanto fosse un pub di paese era molto grande. Come sempre c’ eravamo perse in chiacchiere e così non sapevamo più l’ una dove fosse l’ altra, con la gola secca per l’aver parlato troppo allora mi sedetti su un divanetto a gambe incrociate con l’ aria di chi si prende una pausa dal lavoro. Ma la pausa non durò molto perché si avvicinò a me una faccia conosciuta, mi salutò con un bacio e una spettinata di capelli: gli piaceva farmi sentire una bambina. Poi iniziò a parlare e a me vennero in mente un sacco di pensieri:  “Adele dimentica ciò che ti ha detto quella sera, lui fa così con tutte. E poi che ha detto di male?! Che eri bella?! Bhè non c’ nulla di eclatante, cerca di comportarti d’ amica, non fargli credere niente. Sai come si è comportato con tua cugina, faresti del male a lei e a te stessa.” E mentre pensavo e lui parlava senza che io lo ascoltassi, il suo profumo mi riempiva le narici e mi faceva stare bene, il rumore della gomma da masticare nella sua bocca mi intontiva mentre avevo messo gli occhi su quel buffo braccialetto fatto a metro che mi ricordava quella mia battuta stupida dell’ altra sera riguardo le lunghezze. Mi scosse con quelle sue braccia per nulla esili  e ricoperte da un folto pelo. “Niente a che vedere con i ragazzini della mia età con cui ho a che fare ogni giorno” pensai. Che pensiero stupido.
“Adele! Mi stai ascoltando? A quanto pare no. Ti stavo dicendo che domani andiamo al mare vieni con noi?”
A parte che da sola non sarei andata in macchina con dei ragazzi che conosco appena, i miei non mi avrebbero dato a prescindere il permesso. Così, per non fare la figura della bimbetta ( che in realtà ero rispetto a lui) risposi con un secco:
“Ti farò sapere”
“Dillo anche alle altre ovviamente!”
Questo “anche alle altre” mi rassicurò, significava che  non ci stava provando con me , ci teneva soltanto ad invitare tutte. Sì, mi rassicurò perché a me non piaceva, mi attirava soltanto questo modo di fare che aveva con tutte, ti faceva sentire importante e attraente e non è una dote da poco in uomo, ma penso che la cosa che mi attirasse di più in quel ragazzo, o dovrei dire uomo perché a ventidue anni si è uomini, è il fatto che nel suo gruppo di amici c’ era  LUI. Avete presente quel ragazzo che vi toglie il respiro, e ve lo toglierà sempre anche se si rasasse a zero i capelli e si facesse un tatuaggio di hello kitty su una chiappa, quello a cui andate dietro da anni e per il quale fareste di tutto, sareste sua  se solo lui schioccasse le dita, fareste a pugni per un suo  bacio.
Ma da quando avevamo avuto quella storiella da piccoli e c’ eravamo lasciati, lui c’aveva messo una mega pietra sopra ed io neanche una piuma, ma ammetterlo sarebbe stato da donne deboli e soprattutto autolesioniste visto che lui se ne girava una al giorno ed io.. bhè non proprio. Così frequentare ogni tanto Lorenzo sarebbe stato l’ unico mezzo possibile per frequentare anche lui. A un certo punto si avvicinò a noi, mi salutò con un sorriso e poi si rivolse a Lorenzo:
“Andiamo a prenderci una schiacciata al forno? Ho lo stomaco che brontola per i troppi negroni.”
Federico fa per annuire poi mi guarda e dice scherzando ma con un filo di serietà:
“Solo se viene anche Adele, la mia scaccolatrice personale!”
Il ricordo un po’ tremolante di quella sera in cui ,un po’ brilli, fingevamo di scaccolarci a vicenda mi dette il voltastomaco. Cosimo ci rise un po’ su, poi capì che era una battuta “seria”:
“ Ah ok.. se lei vuole abbiamo un posto in più in macchina” ma non sembrava molto contento ed io accettai proprio per fargli un dispetto. In realtà poi in macchina eravamo solo noi tre, non so perché avesse detto quella cosa. Intanto dentro di me speravo che Cosimo non avesse bevuto  perché se avessimo fatto anche solo un piccolo incidente avrei dovuto dar ragione ai miei genitori. Detto fatto, uno strano animale  attraversò la strada e la Mini di Cosimo inchiodò di colpo. Non era successo niente  ma c’ eravamo spaventati ,così fermammo la macchina in uno spiazzo per strada, anche perché Cosimo diceva di non sentirsi molto bene. Aprì lo sportello e si accasciò per terra così io urlai a Lorenzo di chiamare un’ ambulanza, ma lui mi faceva segno di scappare però io non capivo e non volevo lasciarli soli. Mi girai verso Lorenzo per dirglielo ma sentii uno strano latrato provenire dalle mie spalle. Mi rigirai di scatto e Cosimo era sparito, al suo posto c’era una strana bestia simile a un lupo mannaro ma io non riuscivo a  capire: in tutti i libri e i film che avevo letto e visto i lupi mannari si trasformavano con la luna piena, ma quella notte la luna non lo era affatto. Lorenzo mi prese per il braccio e mi allontanò da Cosimo che nel frattempo saltò sulle sue quattro zampe agili e gli afferrò la gamba con la bocca  infilando quei suoi dentoni affilati nella carne. Lorenzo gridò dal dolore e si accucciò a terra. Adesso l’ animale stava fissando me con quella bocca sanguinosa e quello sguardo da assassino. Cosa potevo fare? Non potevo ferirlo era pur sempre Cosimo, e poi anche avessi voluto lui era mille volte più forte di me. Mi concentrai allora sul mio potere, il problema era che io sentivo l’ anima delle persone, non degli animali (quello era compito di Gaia). In fondo però pensai che era pur sempre una persona trasformata in lupo e da qualche parte in quella bestia ci doveva pur essere un’ anima umana.  Non avevo tempo per pensare però, dovevo  aiutare Lorenzo. Misi la mano sulla sua gamba ma nulla. Una vocina poi si fece spazio nella mia mente “Non puoi rimediare alla magia con la magia, ricordi?!” Ma certo. Allora lanciai con un gesto della mano un bastone che ferì una zampa di Cosimo. Quella mossa non l’ avrebbe ucciso ma mi avrebbe dato il tempo di trascinare Lorenzo (che nel frattempo era svenuto) nella macchina e chiuderla.
“A noi due lupaccio!” pensai. Ci guardavamo negli occhi ma il suo sguardo non era più così cattivo. Riuscivo a sentire l’ anima di Cosimo che implorava pietà, che voleva uscire da quel corpo. Non avevo più paura adesso allungai la mano e azzardai una carezza. Credetemi quella fu la prima volta che vidi una lacrima scendere da un occhio di un lupo, a dire la verità fu anche la prima volta che vidi un lupo. Quel momento di tenerezza però non durò a lungo, l’ anima feroce della bestia infatti prese il sopravvento su quella tenera ( o forse soltanto un po’ meno feroce) di Cosimo.
Mi ritrovai la mattina dopo tutta fasciata in una stanza d’ ospedale.

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Capitolo 7
*** Chi non muore si rivede. ***


Quella bestia avrebbe potuto uccidermi eppure non l’aveva fatto. Accanto a me sul comodino notai subito il giornale, molto probabilmente l’ aveva lasciato papà. In prima pagina vedo una notizia che mi suona alquanto familiare:

Ragazza sbranata fuori dal pub: miracolosamente ancora viva!
Nessun testimone può confermarlo ma l’ aggressore sembra essere stato un lupo!


Nessun testimone può confermarlo? E Lorenzo allora? Avrei voluto alzarmi ma non avevo le forze, così ricaddi in un sonno profondo. Venni svegliata dall’ odore di sfogliatine alla nutella e dalle risatine di Dafne e Tecla. C’erano tutte, così per evitare che l’ attenzione si concentrasse tutta sulla mia stramba storia, chiesi loro come stava procedendo la vita da “supereroine”. Ma loro non ci cascarono e risposero con uno sbrigativo “Tutto bene, ma raccontaci cos’è successo!”
Esitai un po’ perché avevo paura di cosa avrebbero potuto dirmi, magari che ero stata un incosciente, oppure che avrei dovuto chiamarle. Non ebbi neanche il tempo d’ iniziare  che Dafne con aria scocciata mi batté la mano sulla gamba dolorante e urlò:
“Non fare la finta tonta Adele, ti ho vista  andare via con Cosimo e Lorenzo!” lessi po’ di gelosia nella sua voce.
“Oh ma che strilli scema! Siamo all’ ospedale mica al mercato della frutta!” intervenne subito Letizia.
 “Sono tutta bendata ma le orecchie ce le ho ancora buone non credi?!” Sdrammatizzai io.
“Dai dai raccontaci! Chi è il lupo? Dobbiamo sconfiggerlo con i nostri supermegafantasmagorici poteri da supereroine? E’ la nostra prossima missione? Io sono pronta!” Disse Gaia con un tono da bambina impaziente.
“No non è nostro nemico, sennò a quest’ ora io sarei già morta e sepolta. Poi vi racconterò meglio, ma quello che vi serve adesso è sapere che non siamo le uniche ad avere ottenuto dei poteri quella sera. Là fuori ci sono persone che ancora non hanno familiarizzato con la loro dote e che quindi sono pericolose. Ora avrei una domanda da farvi, Lorenzo è qui all’ ospedale!?
Un silenzio imbarazzante ci circondò per un secondo, poi fu spezzato dall’ entrata di Luce nella stanza. Mi aveva portato un libro e dei fiori. “Inferno” di Dan Brown, ci conoscevamo da tempo ormai ma non aveva ancora imparato che io ero una da libri come “Amore, zucchero e cannella”, accettai comunque per non fare l’ antipatica. Avevano tutte delle facce sconvolte, cosa mi nascondevano? Sentivo dei pianti fuori dalla porta, poi mi ricordai l’ articolo di giornale e così mettendo insieme i pezzi arrivai a una conclusione.
“Cos’è successo a Lorenzo?” Non l’ avessi mai chiesto.
Il funerale si svolse alle 6 del giorno dopo. Quando muore una persona è come se morisse un pezzetto del cuore di tutti quelli che gli stavano accanto, la sofferenza non è mai troppa e io in quella chiesa stavo soffocando di lacrime e tristezza. Riuscii ad uscire da quell’ agonia, varcai la porta della vecchia struttura mentre il prete stava facendo un discorso strappalacrime, come se di lacrime quel pomeriggio se ne fossero strappate ben poche. La pioggia estiva riusciva a rilassarmi ma allo stesso tempo rendeva quel giorno ancora più cupo. Avete presente nei film horror quando, proprio la sera in cui i protagonisti vanno nella casa  brutta, infestata dai fantasmi e in mezzo al deserto più assoluto  arriva guarda caso il diluvio universale? Quella pioggia sembrava cascare a pennello  per quella giornata perché rispecchiava lo stato d’ animo di tutto il paese. Un pensiero però mi girovagava nella mente: la bestia non aveva ucciso me che ero inerme e di fronte a lei, come ha fatto ad aprire la macchina dove avevo nascosto Lorenzo? E perché sbranare solo lui e non anche me? Mi rovistai la tasca e trovai il braccialetto, quello fatto a metro! Cosa ci faceva nella mia tasca? Mentre i ricordi tornavano a galla  il vento  trasportò il braccialetto giù per le scalette. Lo inseguii, arrivai in un vicolo cieco buio e maleodorante e riuscii ad afferrarlo. Alzai la testa e lui era lì, mi guardava ansimare per la corsa e ridacchiava. “Ci mancava solo che vedessi i morti!” pensai. Ma quello era il potere di Luce, allora come facevo a vederlo? Indietreggiai e in un attimo capii tutto. Riuscivo a sentire l’ inganno nel suo cuore: NON ERA MORTO! La prima cosa che mi fece arrabbiare furono le urla della madre mentre stavano portando via la bara, si può ingannare tutti ma non la mamma. Stavo per correre a dirle: “Guardi è tutto un malinteso! Suo figlio è vivo!” Ma con quale coraggio? Le gambe mi si erano come informicolate, non riuscivo a muoverle. Lorenzo mi chiuse la bocca con una mano e con l’ altra mi cinse i fianchi. Mi chiuse in macchina, la mise in moto e partì. Non sapevo dove stavamo andando, ma anche se era stato un po’ violento mi fidavo di lui, ansi diciamo che mi fidavo di me stessa che sentiva di potersi fidare (mi fidavo del mio potere in poche parole)! Arrivammo in un vecchio magazzino che io non riconoscevo affatto. Dove mi aveva portata? Lorenzo accese la luce e si palesò di fronte a me Cosimo seduto in un angolo della stanza con mani e piedi incatenati, il dorso nudo e i pantaloni strappati. Sulla sua pelle tenera riuscivo a vedere dei graffi profondi che, a giudicare dalla sua espressione, dovevano provocargli un bel dolore. Mi fissava con quei suoi occhi nocciola scintillanti e quelle sue ciglia lunghe, la cicatrice vicino al naso che, ricordo ancora, avevo cercato di renderla un pretesto per dargli il primo bacio. Quant’ era bello. La prima cosa che feci fu toccargli una ferita e curargliela: non doveva essere provocata da qualcosa di magico. Iniziai così a curargliele tutte mentre lui mi guardava con gratitudine, in realtà il mio non era solo un gesto d’ altruismo ma anche d’ egoismo: morivo dalla voglia di avvicinarmi a lui. Il suo respiro affannato e il mio cuore che batteva forte sembravano creare un’ armonia perfetta che fu spezzata dalla voce di Lorenzo.
“Adele, non avrei voluto spaventarti ma vedi.. è una questione segreta, nessuno dovrà sapere niente! Ti ricordi la sera del party alle piscine? Quando ci fu una tempesta di fulmini? Bhè io e Cosimo siamo cambiati da quel giorno.”
Il fatto che pensasse di essere l’ unico ad aver ottenuto dei poteri mi faceva sorridere, ma non si era accorto che avevo curato le ferite a Cosimo? D’altronde cosa ci vogliamo aspettare da uno che faceva finta di scaccolarmi? Questo pensiero mi fece ridere di gusto, e Lorenzo interpretò questa risata come scetticismo su ciò che aveva detto.
“Ridi?! Allora stai a guardare!”
Si concentrò un po’, poi le gambe gli si spezzarono e si ricoprirono di un folto pelo, gli spuntarono gli zoccoli ai piedi e due piccole corna sopra la testa! Era diventato un satiro, come in “Percy Jackson e gli dei dell’ olimpo”! Adoravo quel film. L’aspetto di Lorenzo però non mi aiutò a smettere di ridere: era troppo buffo! Cosimo allora, vedendo che la rabbia stava mangiando l’ anima di Lorenzo, mi dette un colpo di testa sulla spalla (era l’ unica cosa rimasta libera dalle catene) e mi sussurrò:
“Guarda che non è carino riderci sopra, se tu fossi nei nostri panni non rideresti!”
Ero stufa di sentirmi quella cattiva che non poteva capire. Mi alzai di scatto e puntai con la mano una sedia che era lontana due metri da me, con un gesto la feci avvicinare, mi sedetti e godei nel vedere le loro facce finalmente sbalordite di non essere i soli ad essere “strani”. Con calma poi organizzai un discorso preciso nella mia testa, mentre sentivo i loro sentimenti entrare bruschi nel mio cuore: paura, delusione, curiosità.
“Dovete familiarizzare con il vostro potere e tenervelo stretto! Non è una maledizione, è una cosa bella…” E mentre parlavo e Cosimo mi guardava così attento, quasi ammirandomi non potevo fare a meno di pensare a quanto fosse bello, a quanto mi tremasse la voce pensando a lui, a quanto avevo davvero bisogno di una bella vacanza.

 

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Capitolo 8
*** Siamo figli del mondo. ***


Ci sono delle cose che non si possono imparare con la magia, s’ imparano lentamente con la vita e io in quella vacanza di vita e cuore ce ne ho messi quante  volete.  Io, in quel villaggio, di amore ce ne avevo lasciato tanto anche negli anni precedenti e ogni anno lo ritrovavo lì intatto, perfetto, pronto per essere rimodellato su persone nuove e plasmato anche per una nuova me che ogni inverno cambiava e cresceva. Quell’ inverno la mia anima si era un po’ indurita, congelata, perché la perdita di persone care penso che sia un colpo basso per la vita di ogni essere vivente, la delusione per amicizie perse cambia anche l’ anima più pura, la tensione delle persone che si aspettano il meglio da te ti danno egoismo ed invidia. Ma varcando quel cancello con la macchina  piena di valige e i piedi congelati da un’ora di aria condizionata, mi ero ripromessa che quel cuore l’ avrei scongelato il più che potevo e a giudicare dal caldo che faceva non sarebbe stata un’ impresa difficile.  Passai accanto a quel posto famoso e i ricordi di lui ,che con quelle sue battute in romano mi faceva ridere a crepapelle, mi saltarono tutti in mente. Ma come diceva il mio film preferito: “Gli amori estivi finiscono per i motivi più disparati, ma di solito hanno tutti un elemento in comune: sono stelle cadenti, un attimo di splendore luminoso nel cielo, un lampo fugace di eternità che in un istante svanisce.” Quella stella cadente di nome Alessio infatti era svanita però aveva portato via con se un pezzetto del mio cuore. Sospirai e la voce della Franci mi rallegrò: “E’ qui che è successo il fattaccio?!?” Vedete Francesca è una di quelle persone che non ha bisogno di un potere per salvare le persone, o per lo meno non me, sapeva prendermi e tirarmi su dal burrone, sapeva farmi luce quando mi perdevo nel buio, sapeva darmi una mano quando zoppicavo. Era mia cugina, ma per me era una mia amica, la mia sorella maggiore. Risposi con una lunga descrizione di ciò che era successo che lei si era sorbita già altri milioni di volte ma che ascoltava comunque. Entrammo in reception, e dietro di noi c’ era un’ altra ragazza che doveva avere la nostra età: Claudia. Riuscimmo a presentarci: aveva un’ aria tenera, sicuramente doveva far parte del nostro gruppo. Prendemmo le chiavi  e senza pensarci due volte andammo verso il cancellino arancione che dava sulla spiaggia. “Che mortorio però senza animazione!” fu il pensiero mio e di franci appena arrivate sulla passerella bianca del bagno. Ci accorgemmo che un ragazzo alto e superabbronzato ci stava salutando da lontano e stava venendo verso di noi! CLAUDIOOO! I ricordi delle sue zingarate, e delle canzoni a suon di scorregge e rutti sulla spiaggia la sera resteranno i migliori della vacanza scorsa. Ci abbracciammo e sentii la sensazione di aver ritrovato un buon amico: era alzato, aveva cambiato la voce ma poi del resto era uguale, con i suoi discorsi strani e i suoi modi di fare buffi. Dopo una chiacchierata lo salutammo perché dovevamo mettere la roba dalle valige nell’ armadio. Andando verso il cancellino trovammo zia che parlava con un uomo e un ragazzo del quale la faccia non mi era affatto nuova. “SBAM! Sono una grande, non mi sbaglio mai..” pensai. Infatti Franci stava salutando il ragazzo con aria soddisfatta di averlo ritrovato, poi mi fece un cenno e mi invitò a presentarmi “Sara, lui è Mattia. Mattia, lei è Sara: mia cugina” Mattia allungò la mano per presentarsi e io feci lo stesso. “Piacere” dissi con un sorriso.. In realtà avrei volutodire: “piacere di averti conosciuto di persona” perché in teoria lo conoscevo già!
Dopo cena ci trovammo anche con Chiara, anche lei conosciuta l’ anno scorso. Stupenda e magrissima come sempre e con quei suoi modi semplici e modesti per i quali non puoi fare a meno di volerle bene. Conoscemmo altri ragazzi, non so come, perché eravamo tantissimi e la gente si presentava a raffica, ricordo che Mattia ci presentò Serena che mi sembrò subito una ragazza forte e simpatica. In poco tempo conoscemmo tutti, una ragazza bionda si rivolse a noi chiedendoci se eravamo noi le due cugine “famose”. Per un attimo mi sentii una velina, poi capii che era stata la Giulia a parlarle di noi. Giulia, la charlie’s angels mancante: eravamo un trio indistruttibile io la Frà e lei. Ma non vaghiamo nei ricordi. La sera procedette tranquilla ,perché la prima sera, si sa, è quella che serve per fare conoscenza, per rompere il ghiaccio e quindi si riempie delle solite domande del tipo: Di che anno sei? Che scuola fai? Di dove sei? E chissà perché quando facevano quest’ ultima domanda a noi, la seguente era: mi dici “LA COCA COLA CON LA CANNUCCIA CORTA CORTA”! Oddio che stress, però era divertente! Come tutte le prime sere si formarono dei gruppi anche perché era impossibile stare tutti insieme (eravamo tantissimi) e fu così che si formò la “crem”. Non so da dove venisse quel nome ma so che noi non ne facevamo parte. “Alcuni ragazzi del nord sono proprio figli di papà!” pensavamo! Il tempo poi ci smentì. Le giornate passavano e mano a mano riuscivamo a capire meglio le varie personalità. Io e Frà ce l’ eravamo promesso: “nessun inciucio quest’ anno, serve solo a farci del male”! Però eravamo di comune accordo su una cosa: quant’ era carino Luca! Carino. Si carino era la parola giusta, non figo o bono, no! Bello. E non perché fosse “strabello” (come direbbe Chiara) esteticamente ma perché era carino nell’ insieme. Sapeva fare di tutto: suonare la chitarra, la batteria, cantare, ballare, disegnare.. sapeva anche parlare d’ amore nel modo in cui tutte le donne vorrebbero sentire parlare un uomo, sapeva guardarti con quegli occhioni neri e giganti e farti arrossire poi sapeva sorriderti e farti salire il buon umore. C’ era anche un’ altra cosa che lo rendeva perfetto e che allo stesso tempo sarebbe stato meglio se non ci fosse stata: era fedele alla propria ragazza. A parte gli scherzi, lui era il ragazzo modello, altro che modello di Abercrombie o Yamamay! La seconda sera tornammo brille in stanza con la gola secca per quanto avevamo cantato e i piedi doloranti per quanto avevamo ballato: la serata sulla spiaggia era filata liscia. La musica di Giacomo (o jeck per gli amici) ci aveva intrattenuti e il suo modo strano di ballare ci aveva fatto ridere. Entrammo in stanza intorno alle 2 e mezza di notte, e la prima cosa che dissi fu “Peccato che Luca non sia delle nostre parti sennò l’ avrei già accalappiato!” quelle parole erano trasportate dall’ alcool ma c’era anche un filo di verità nella mia voce. Ci guardammo e scoppiammo a ridere cercando di non svegliare tutti. 
La sera dopo eravamo tutti in cerchio in spiaggia e io l’unica scema seduta sulla sabbia: mi piaceva sentire i granelli freschi sulle cosce, mi dava conforto. Luca aveva portato la sua chitarra e così cantavamo canzoni di tutti i tipi: Battisti, Max Pezzali, Ligabue e chi più ne ha più ne metta, alla faccia di chi dice che noi della nuova generazione non capiamo niente di musica! Non ero molto brava a cantare ma ero sempre la prima a partire per dare il coraggio a tutti. Che importa se stoni? In fondo la vita è proprio questo: seguire il proprio istinto senza aver paura di sbagliare. E poi quella scena mi ricordava troppo quando papà tornava da lavoro, prendeva in mano la sua chitarra e mi incitava a cantare:
“C’eeeera una vooolta una gatta che aveva unamacchianeraaasulmusoooeunavecchiaa…”
Ricordo che non prendevo quasi mai fiato per non perdermi neanche una parola e per non deluderlo!
A mezzanotte una vocina dolce interruppe la musica per farmi gli auguri: Claudia! Che carina!!!! Io me ne ero scordata! Non avrei desiderato trascorrere i primi minuti dei miei diciassette anni con persone migliori di quelle!
I giorni passarono fra risate, partitine a beach, giocatine a “massimo e minimo” , “merda” e “scala quaranta”; le sere invece passarono fra giratine a tirrenia, gavettoni a Superman (Claudio) quando s’addormentava in spiaggia, baby dance, disco jeck.
Una sera però, la penultima per precisione, successe una cosa terrificante. Stavamo tornando in stanza e la stradina fra la boscaglia era buia e silenziosa fino a che non trovammo qualcosa di strano a terra. Claudia, Franci e la Franceschina (sorella di Luca) si fermarono subito spaventate, ma io no, non so perché, forse non mi sembrava niente di così pauroso o forse solamente non mi volevo mostrare debole. Camminai fino ad arrivare a un metro circa di distanza dalla “cosa” quando Franceschina disse “No aspetta! E’ una persona!”. Pietrificai in quell’ istante.  Mi passò avanti Luca e mi fece cenno di aspettare lì, guardò un po’ e poi disse “ragazze è Claudio!”. Feci un gran sospiro di sollievo, ma allo stesso tempo ero preoccupata: che cosa ci faceva in terra? E perché si lamentava e si reggeva la testa? Luca lo fece alzare un po’ quando Claudio disse con la voce tremolante “M’hanno tirato una palata in testa mannaggia a loro!” Luca poi fece un sorriso e disse “Lo so io chi te l’ ha tirata una palata!” Ironicamente voleva dire che era cascato da solo perché era ubriaco, ma io gli credevo perché prima di andarsene mi aveva parlato e non sembrava così ubriaco da cascare stravaccato in terra! Tremavo di paura, chiamammo anche tutti gli altri che erano rimasti ancora in spiaggia e quando arrivarono gli raccontammo tutto. Ipotizzammo che fosse stato qualche ubriaco che veniva dalla festa di matrimonio lì accanto ma io non mi sentivo ancora sicura. Io, Franci e Luca accompagnammo la povera Claudia in camera perché s’ era slogata la caviglia ballando la sera stessa. Poi salimmo le scale noi tre rimasti (per fortuna avevamo la camera nello stesso piano di Luca) e così ci siamo messi a chiacchiere seduti sulla grata delle scale anti incendio. La paura mi passò quando Luca ci raccontò la sua storia d’ amore appena iniziata. In realtà io un po’ l’ avevo già ascoltata sere prima, ma era uno di quei racconti che avrei potuto sentire all’ infinito senza stufarmi, forse anche perché lui sapeva raccontarlo bene.
La mattina dopo ci svegliammo consapevoli che era l’ ultima giornata quindi ogni momento, ogni battuta, ogni parola andava impressa nei ricordi nero su bianco. Dopo pranzo ci trovammo come sempre tutti sotto l’alberone accanto al campetto e così stavamo all’ ombra a chiacchiere o a giocare a carte. Eleonora aveva comprato Cosmopolitan e Yvan ne approfittò per leggere ironicamente le cavolate che c’ erano scritte. Riusciva benissimo a farmi ridere e a volte mi vergognavo e arrossivo perché ero l’unica che rideva a crepapelle. “Peccato che Yvan faccia parte della crem perché così non ho avuto modo di conoscerlo bene” pensai mentre ogni tanto mi diceva: “Che fai predi appunti?” e io replicavo che sembrava la pettegola del mio paese. Più tardi poi andammo in piscina e io e la Sofia ci sgolammo come delle matte cantando “estate” dei Negramaro. “E’ il segno di un’ estate che vorrei potesse non finire mai” ed era vero, avrei voluto che  non avesse dovuto finire tutto quel giorno, dove le avrei ritrovate persone stupende come queste? Se fossi stata con qualcun’ altro molto probabilmente mi sarei vergognata di cantare a squarciagola davanti a tutti senza una base ne qualcuno che ti segue, ma lì no. Serena, Franci, Sofia, Claudia e Alice mi davano sicurezza.
La sera ballammo tantissimo sotto quel tendone bianco, colavamo di sudore ma a nessuno importava tanto meno ad Alice che era bagnata fradicia nonostante la sera prima avesse fatto lo stesso e avesse detto “Domani non ballo!” Se.. come no! Dopo chili di sudore e foto di cui ero sicura che mi sarei pentita dopo poco andammo in spiaggia. Avevano fatto la spesa ma questa volta anche di cibo e così mi appropriai subito delle patatine: lo chiamammo il gruppo delle zitellone obesone depresse perché Marco non faceva altro che chiamarci obese, quando lui stesso veniva ad elemosinare patatine! Dico io, a quattordici anni i miei non mi avrebbero mai lasciata andare in spiaggia la notte con persone che non conoscevano, aaaah le nuove generazioni! Intanto ci davano da bere e Yvan faceva il barman, barman un po’ scarso visto che mi ha innaffiata con lo spumante! S’è giustificato dicendo “Eh tanto porta bene!” e io ho fatto finta che m’ avesse dato fastidio ma in realtà non mi dava fastidio per niente, un po’ perché era lui, un po’ perché mi rinfrescava e poi adoravo l’ odore dello spumante!
Dopo quattro o cinque bicchieri finimmo per fare girotondi infiniti per vedere chi cadeva prima a terra: perdevo sempre! Guardai il bagnasciuga e mi venne in mente il momento esilarante di sere prima quando Claudio stava pisciando e io non me ne ero accorta e gli corsi incontro tutta contenta. “Che figura di merda, mi mancheranno quelle serate!” pensai. Ci ritrovammo a insabbiarci io ed Yvan, Luca e Franci come dei coglioni, mi sentivo la sabbia in posti in cui non avrebbe assolutamente dovuto esserci!
“Mi scappa da pisciare” pensai. Quando sono brilla perdo tutta la mia finezza. Yvan mi accompagnò gentilmente ma avevo paura che avesse un secondo fine quindi gli stavo lontana, ma barcollavo e lui mi reggeva (perché lui era veneto e diceva che i veneti l’ alcool lo reggono). Bho sarà, sapevo solo che io non lo reggevo poi tanto bene ma non pensavo che fosse una qualità di tutti i toscani. Arrivammo ai bagni ma erano chiusi, così tornammo indietro. Tornati alla “postazione” cercai Franci ma non la trovavo, così mi dissero che era con Luca a riva: sentii un formicolio ai piedi, come se mi stessero togliendo  la sabbia per farmi cadere, non sapevo se era invidia o forse delusione o chissà cos’ altro, fatto sta che poco dopo mi ritrovai su una sdraio con Yvan. Mi dette ancora da bere e poi ci baciammo e la sua bocca sapeva di Disaronno e arancia. Mi stringeva e mi sentivo protetta, ma non ero felice, lo credevo un ragazzo frivolo e insapore, molto probabilmente perché non l’ avevo conosciuto abbastanza. Quando “riprendemmo fiato” le due coppiette Franci e Luca, Franceschina e Mattia erano tornate e io dissi a Yvan che essendo l’ ultima sera volevo stare con tutti. Si allontanò e mi lasciò sola, avevo i lucciconi agli occhi un po’ per effetto dell’ alcool, un po’ perché mi ero pentita di quello che avevo fatto. Non era la prima volta che succedeva, forse perché tutti i ragazzi erano stati cattivi con me e ormai c’ avevo fatto la bocca a trattarli come loro avevano trattato me. Dovevo ancora capire che non sono tutti uguali. Si avvicinò Mattia, mi guardò con i suoi occhi profondi e disse: “Ma con Claudio?”
“Claudio? Claudio è solo un amico, un buon amico niente di più!”
“Ah sembrava..”
“Con Yvan invece..” la mia voce era tremolante per il nodo alla gola.
Iniziammo a chiacchierare per un bel po’ che a me sembrò un’ eternità, ma un’ eternità bella non noiosa. Mi disse cose che, a detta di lui, non aveva mai confidato a nessuno e mi fecero capire quanto fosse tenero sotto quella sua pettinatura da truzzo. Poi iniziò a parlare di Francesca e fu li che mi fece scendere le lacrime.
“Sai, io sono veramente scarognato perché quando qualcuna mi piace o va a finire male o è lontana, come LEI. Oddio quant’è bella, è bellissima! Quando ho dato il mio primo bacio non mi è piaciuto, sai. Lei non aveva sapore.Ti faccio una metafora. Immaginati un ragazzo che deve guidare per la prima volta: un conto è se guida una Pandina : sì, bello perché è la prima volta ma immaginati se guidasse una Ferrari. Sarebbe stupendo! Vedi, lei.. Francesca è la mia Ferrari!”
Una lacrima scese dai miei occhi: avrei voluto essere anch’io prima o poi la “Ferrari” di qualcuno, chissà se quella metafora era riservata solamente a quelle ragazze perfette, belle, fini e brillanti come Francesca!
Dopo la lunga chiacchierata Mattia se ne andò da Francesca che nel frattempo si era un po’ infastidita di questa sua assenza. Se avesse saputo che cosa mi stava dicendo forse non sarebbe stata così dispiaciuta. Si mise accanto a me Yvan che mi disse:
“Sai le delusioni d’ amore non le ha passate solo Mattia…”
Cos’ero diventata? Un confessionale? Ma forse lo faceva per farmi capire che non era così rude come mi aspettavo e infatti con quella storia ci riuscì. Mi lasciai abbracciare mentre piangevo e mi sentivo protetta dalle mura di un castello!
Era tardi e l’ umidità era riuscita a bagnarmi il giacchetto e  tutte le asciugamani, faceva freddo e non riuscivo a fare after!
Riuscii a convincere Francesca e Luca ad accompagnarmi in stanza, poi salutai tutti in particolare Yvan che mi guardava con lo sguardo di chi vorrebbe che rimanessi ancora. Ci baciammo in riva al mare e per un attimo pensai che ce l’ avrei fatta quella sera a non piangere. Mi sbagliavo. Mentre camminavamo per tornare alla “postazione” cercavo di nascondere la mia tristezza facendo dei sorrisi e stando zitta perché sennò si sarebbe sentita la mia voce rotta dal pianto, ma il mio silenzio fu interrotto dalle parola di Luca in cima alle scale:
“Tanto te hai sonno vero Adele?!”
Risposi con un semplice “mh, mh” e un cenno d’ assenzio con la testa. Quelle parole erano state più dolorose come una ceretta tirata male, anche se la similitudine non è delle migliori! Entrai nel lungo corridoio dell’ albergo con Marchino e pensai: “Quasi quattordici anni e super spensierato con la tua maglietta di “angry birds” , il tuo ciuffetto biondo e il sorrisone. Come ti invidio!” Eh già.. perché io di anni ne avevo diciassette ma si sa, da adolescenti anche solo la differenza di duo o tre anni sembra una vita e io accanto a lui mi sentivo una vecchietta. Lo salutai e con le chiavi della stanza in pugno, come fossero un’ arma entrai in stanza, mi sfogai in un pianto infinito e mi addormentai. La mattina dopo ci svegliò la voce di mio zio. Mentre facevamo le valigie Franci mi confidò che non era successo nulla tra lei e Luca e me lo disse con una faccia così delusa che non ebbi neanche il coraggio di gioire: se era triste lei ero triste anch’io e, visto che io un po’ triste lo ero già, avrei voluto poter esserlo solo io. La consolai con un sorriso.
Quando scendemmo a portare giù le valigie ci rendemmo conto che era troppo tardi e alcuni stavano già andando via: lo capimmo subito  perché sulle scale antincendio vedemmo Yvan con i suoi genitori andare verso la macchina. Mi pietrificai, lui non mi aveva visto e così aspettai che se n’ andasse per scendere senza salutarlo: che mossa stupida, ma non ero mai stata brava con gli addii. Se l’ anno scorso ero stata quella forte che non piangeva nei saluti quest’ anno non fu così. Appena scesa in reception e capii che anche Claudio se ne era andato e non ci aveva salutate scoppiai a piangere, ci tenevo a lui: quello che Mattia aveva scambiato per amore in realtà era un sentimento più profondo, perché io mi fidavo di lui, gli volevo bene! Molti altri erano già partiti, come Claudia, Chiara eccetera. Ci sedemmo ai divanetti con un rotolo di carta igienica sotto braccio perché non avevamo fazzoletti, ma la scena che ho ancora nitida nel mio cuore è quella della macchina che se ne va con noi dentro che attaccate al finestrino guardiamo Luca che ci saluta sorridente e che si fa sempre più piccolo in lontananza finche non svoltiamo l’ angolo.

Lasciare un buon ricordo di te alla gente è l’ unico modo per vivere in tanti posti: nel cuore di chi ti ha voluto bene, almeno un po’ e così adesso e in futuro vorrei poter dire che la mia casa non è solamente a Firenze ma è anche a Roma, Venezia, Milano, Bari e chi più ne ha più ne metta. Mi piace pensare che la mia famiglia sia composta da tutti quelli a cui io ho voluto dare qualcosa, che sia stato un bacio, un abbraccio, la mano, uno sguardo, un sorriso, un buongiorno o tutto il cuore. Sento nelle mie vene il sangue del mondo. E’ per questo che le vacanze ti tolgono tante cose: il peso, le lacrime, il respiro… ma una cosa è certa: ti arricchiscono il cuore!!

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Capitolo 9
*** Aria di cambiamento. ***


Il cuore che avevo sciolto quell’ estate forse era diventato troppo debole. Mentre fissavo la finestra nella noiosa ora di storia dell’ arte il mio unico pensiero era quello, avrei dovuto essere forte come tutti pensavano, ma in realtà non facevo altro che cadere e farmi sempre più male. Per fortuna NOI eravamo sempre unite fino all’ ultimo. Fino a che questi poteri ci avrebbero tenute unite?! O forse un po’ di più. I pensieri però, a volte, sono pure rivelazioni e io avevo decisamente bisogno di chiarimenti quindi li lasciai transitare liberi nel mio cervello. Facciamo però un passo indietro.
Al ritorno dalla vacanza la situazione qua non era per niente cambiata, il dolore inondava la gente del paese: amici, parenti, conoscenti nonostante fosse passato del tempo non potevano far altro che ricordarlo in ogni momento. Ed era proprio in quei momenti che in me nasceva una gran rabbia: mi chiedevo dove potesse essere, come viveva, come riusciva a mantenersi nascosto, d’altronde non l’ avevo più visto dal giorno del suo funerale. Dicono che ad Halloween i morti si fanno vivi e così fu anche per me. Nel retro della discoteca dove stavo prendendo una boccata d’aria si presentò Lorenzo travestito per non farsi riconoscere dagli altri ma che era inconfondibile per me con quella sua barbettina che sapeva di “Acqua di Giò” e quel ghigno da bambino prepotente. Si accorse che l’ avevo riconosciuto e con aria soddisfatta mi fece segno di stare zitta e di seguirlo e così feci. Il setting non era proprio dei migliori fra i barili di sostanze altamente tossiche  e  vecchi edifici andati in rovina, ma eravamo nell’ antica zona industriale del paese cosa dovevamo aspettarci?! Se non altro il mio vestito pieno di paiette rendeva un po’ meno tragico l’ ambiente fino a che Lorenzo si tolse il mantello e me lo porse dolcemente ed io accettai perché stavo morendo di freddo, comunque ancora nessun dei due aveva spiccicato parola.
“Allora cosa mi dovevi dire?!?”
“E’ così che si tratta un vecchio amico che non vedi da tanto tempo?”
“Hai proprio ragione: VECCHIO amico. Io con te non voglio avere niente a che fare, te ne sei andato così, lasciando la vita di tutti quelli che ti volevano bene in bilico.”  Ci fu una pausa di silenzio e poi pensai “Anche la mia!” Ma non glielo dissi: non ne ebbi il coraggio!
Disse qualcosa poi, ma le sue parole volarono via leggere nell’aria: non m’interessavano perché io sentivo qualcosa di più grande, qualcosa che a differenza del suono della sua voce, non poteva lasciarmi indifferente. Mi spiazzò. Sentii crollare su di me tutte le sue paure, il suo pentimento, il suo dolore. Lo vidi errare per le strade mascherato da barbone e spiare continuamente la sua famiglia dalla finestra, lo vidi piangere di fronte alla sua ex che si consolava con il suo migliore amico, lo vidi sorridere vedendo sua sorella spengere le candeline del suo dodicesimo compleanno.
Può un mostro potente diventare in un attimo un topolino indifeso?
Perché è così che mi parve di vedere Lorenzo, la sua forza si sgretolò in un momento come un castello di sabbia all’arrivo dell’alta marea e dietro quella fortezza riuscii a vederlo senz’armatura e non potei fare altro che abbracciarlo forte nonostante i suoi pensieri bucassero il mio cuore come spilli. Il mio corpo ormai fragile aveva conservato come consolazione soltanto il proprio calore e così, come un contadino in tempo di carestia divide la sua unica pagnotta per i suoi figli privandosi della sua razione, Il mio istinto baciò quelle labbra tremanti e io inerte seguivo quell’azione che appariva naturale ma che mi stava spogliando. No non capite male, non fisicamente, mi stava togliendo quell’ ultimo velo che mi era rimasto nell’ anima lasciandola sempre più debole; in quel momento però non me ne accorsi perché quel bacio fece dimenticare a Lorenzo tutti i suoi dolori e visto che io ero collegata a lui sentivo la stessa sensazione di libertà. Avrei voluto però non sentire una parte delle sue emozioni, o meglio avrei voluto sentire quelle che lui invece non sentiva. Il bacio sin dai tempi di Catullo era segno di amore, oppure di odio sì, ma sempre frutto di qualche sentimento era, il nostro invece era figlio di nessuno. Oh bacio orfano di trepidazione ed eccitazione aiutaci almeno a lasciarci tutto l’odio alle spalle!
Passarono i mesi ma io non lo rividi più e non so se fu un bene o un male ma di sicuro mi tranquillizzai. Era un bel periodo quello, la notte dell’ ultimo dell’ anno fu come un rivisitazione del “Summer party”con la piccola differenza che eravamo consapevoli dei nostri poteri e proprio per quello cercammo di tenerceli alla larga. Il vino devo dire che ci aiutò notevolmente e comunque ci riuscimmo. Vittoria inebriata come al solito, o forse di più, aveva trovato una ragazza col suo stesso nome  e diventarono i clown della serata, Tecla invece aveva ammaliato un ragazzo senza l’ aiuto del suo potere (il che non era neanche difficile vista la sua bellezza) e fu contenta perché questa volta non dovette assistere ad un suicidio d’ amore. Letizia invece aveva iniziato a parlare e parlare e parlare e chi la fermava più? La sua parlantina, stavolta non dovuta alla sua superintelligenza, ci tenne svegli per tutta la notte. Dafne invece con la sua sbadataggine, c’aveva chiuse fuori dall’ appartamento e avrebbe volentieri usato il suo potere per andare in una dimensione in cui quello non fosse  successo. Ma il patto era chiaro: niente poteri, e poi la cosa non fu tragica anzi, fu un motivo in più per poter ricordare quella serata. Niente paura non mi sono scordata di Gaia, lei seguiva le mosse di tutte ed era riuscita a captare sicuramente il meglio di tutto quello che era successo.
“Anno nuovo vita nuova” dicono, e io guardando il tramonto dalla terrazza di quella villa di campagna decisi che la mia vita sarebbe dovuta cambiare. Drasticamente. Poi però scostai lo sguardo da quelle colline ipnotizzanti e mi focalizzai sulla festa: 70 persone stavano mangiando, bevendo, ridendo in quel salone e tutto grazie a noi che avevamo organizzato la serata. Forse la mia vita non era poi così tanto inutile come pensavo.
Come passai poi io quella serata?! Con un ragazzo, uno sconosciuto, e nonostante adesso me ne penta perché sarei dovuta stare di più con NOI forse quei momenti mi servivano. Lui non conosceva niente di me, niente delle mie stranezze, delle mie ossessioni, niente. E mentre ci baciavamo non potevo dargli altro che niente perché io di amore da dare non ne avevo più e niente era quello che mi era rimasto. Questo mi fece stare bene anche se è un po’ strano dire che è bello accorgerti di aver toccato il fondo e di poter rischiare perché più giù di così non puoi andare, così come io più di quel che avevo dato non potevo dare e non mi restava che prendere. Prendere la sua tranquillità, la sua gioia, la sua spensieratezza e farle mie. Attenta Adele: niente poteri stasera. Ma quella non era magia, era la semplice alchimia del contatto tra un uomo e una donna.

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Capitolo 10
*** Neuroni specchio. ***


Era uno dei primi soli primaverili e avremmo voluto essere fuori a goderci quella luce tiepida tanto aspettata e invece eravamo costrette a stare in una sala d’aspetto. Il dottore che ci aveva assistite quella notte di ormai quasi un anno fa non riusciva a spiegarsi la miracolosa guarigione, d’altronde come biasimarlo: sei ragazze date per morte improvvisamente si risvegliano, senza alcun acciacco, senza un effetto collaterale, niente. C’era anche Luce con noi, la ragazza che avevo salvato e che ormai era diventata mia amica anche se nel gruppo non era ancora riuscita ad entrare ed a dire la verità non credo entrerà mai. Perché? In realtà non c’è un motivo, ma pensandoci forse è perché un’ amicizia deve nascere da qualcosa di più solido di una semplice disgrazia in comune, ci deve essere qualcosa in più perché sennò al momento che guarisci la disgrazia te la dimentichi e così anche l’ amicizia. In quella stanza vigeva un silenzio tranquillo, tipico di quelle persone che non hanno bisogno di parlare per sentire di non essere sole. Ad un certo punto un medico uscì dalla stanza dove stavano controllando i nostri esami e chiamò i miei genitori:
“Siete i genitori di Adele?!”
Non disse neanche il mio cognome, quasi come l’ avermi ispezionato da capo a piedi l’avesse autorizzato a trattarmi come una confidente. E poi con tutti i dottori che si sentono in giro che lasciano il bisturi in corpo dopo un operazione, che non diagnosticano mai la malattia giusta o se lo fanno lo fanno troppo tardi, noi dovevamo proprio imbatterci con il tipo di medico più raro: quello meticoloso! Disse che avevano brutte notizie ma io non mi spaventai perché ormai c’ avevo fatto il callo, ma la parola cancro devo dire che un leggero tremolio alla schiena me lo provocò. Avevano trovato delle anomalie negli encefali di tutte noi e i nostri genitori avevano gentilmente decretato che eravamo abbastanza grandi per sapere cosa avevamo. I dottori decisero di spiegarcelo singolarmente in dei colloqui il giorno seguente e fu proprio lì che capii.
Nonostante il mio interesse in quasi tutto riguardasse la medicina non mi ero mai soffermata a capire che cosa significasse la parola “cancro”.  Sapevo solo che non era niente di buono e che poteva uccidere ma che ne esistevano anche di benigni. Al colloquio invece mi spianarono la strada verso un nuovo mondo: quello dei tumori. Sono cellule che hanno troppa voglia di crescere tanto da moltiplicarsi in modo spropositato e danneggiare gli altri tessuti. Maledette manie di protagonismo. Nel mio caso si erano formati geni oncogeni in particolari tipi di cellule cerebrali ossia i neuroni specchio ma io non sapevo cosa fossero di preciso soltanto mi fece ridere che queste cellule che si guardavano sempre allo specchio fossero anche così presuntuose da prendere il sopravvento sulle altre. Vedi che forse qualcosa in comune io e il mio cancro l’ abbiamo? Potremmo andare d’ accordo!
E mentre i miei pensieri andavano alla deriva i miei genitori si disperavano e il medico si meravigliava della mia reazione pacata. Mi alzai, mi scusai e uscii.
Mentre scendevo le scale per raggiungere il cortile dell’ ospedale cercai “neuroni specchio” su internet. Aaaah santo cervellone di un web come farei senza di te?!?  Tutto allora fu più chiaro, anche se capii poco (perché poco era il tempo che avevo dedicato alla mia ricerca) scoprii che da questi tipi strani di cellule dipendeva la nostra capacità di capire gli altri e di creare con loro un ponte emotivo, esse creano sinapsi liberando neurotrasmettitori come se fossimo noi stessi i protagonisti della situazione emotiva in cui siamo coinvolti. Ora lascio intuire a voi lettori la mia conclusione, i nostri superpoteri erano dovuti a delle malformazioni in aree diverse del nostro cervello per esempio Gaia poteva aver sviluppato di più l’ area di Broca dedita al linguaggio tanto da poter interloquire anche con gli animali oppure Dafne l’emisfero sinistro dedito all’immaginazione, Tecla invece poteva aver incrementato la sua produzione di ferormoni e così via.
Arrivata al piano terra presi la strada per il giardino dell’ ospedale ma qualcosa mi fermò!
Letizia era seduta su una panchina con la testa fra le mani ed una faccia sconvolta, strano perché ancora non era entrata in ambulatorio e non poteva sapere niente. La sua preoccupazione però non era dovuta al cancro ma al nemico più amico della donna: un ragazzo. Occhi neri, capelli riccioli, pelle un po’ olivastra e lo sguardo a “scugnizz” come le dicevo sempre io e infatti aveva un’ aria familiare. Senza ascoltare fisicamente la conversazione riuscii a capire che cosa stava succedendo perché i pensieri di lei e di lui frullavano nella mia testa come trottole. Ma per raccontarvelo sarà meglio che parta da un po’ prima.


Letizia, come vi ho già confidato nel primo capitolo, è sempre stata una persona decisa, pacata e caparbia, sicura di sé e dei suoi obiettivi sempre pronta a lottare fino all’ ultimo per ottenerli. Non che questo l’abbia portata sempre a cose positive certo, ma di sicuro l’ ha resa una persona determinata. Solo una cosa nella sua vita non aveva mai saputo scegliere alla perfezione: l’amore. Perché d’altronde si sa che sin dai tempi dei tempi quello è stato uno dei pochi sentimenti da cui non si può sfuggire ma che neanche si può controllare. Samuele era uno di quelli scherzi che l’ amore aveva teso a letizia nel corso della sua vita che lei, anche se fidanzata, non aveva mai saputo schivare del tutto. Lui però sembrava non contraccambiare, dico sembrava perché quando il destino decide nessuno può fingere di non averlo ascoltato (di sicuro non con me!)
La storia quindi dopo anni continuava a procedere con lentezza ma prima o poi doveva scoppiare o in bene o in male perché non potevano più continuare a vivere in bilico. Ci voleva una svolta.
Eccola! La vedo! E’ proprio lì! Ma come cosa? La svolta.
 “Sai Letizia, dopo tutto questo parlare ora sta a te dicidere. Ti dico soltanto che quello che vuoi non è lui, credimi!”
 E lui come fa a esserne così tanto sicuro!? AAAh scusate la nota dell’ autrice! Riprendiamo…
“Ora però, bellissima io devo andare.”
 “Va bene! Ciao!”
“ Come sarebbe?”
“Cosa ti aspettavi che io mi gettassi ai tuoi piedi e ti urlassi ? Che piangessi o mi disperassi? Sono stufa di sentirmi dire che la scelta spetta a me, io vorrei qualcuno che la prendesse la scelta e con polso e con l’ atteggiamento giusto mi dicesse che lottera per me anche se questo volesse dire lottare anche con i miei dubbi! Ti aspettavi che ti dicessi di rimanere?”
“Si” Disse lui senza parole.
“Bene allora hai sbagliato persona!”

Mentre vedevo la figura di Samuele svanire riuscii a sentire quella nuova sensazione che accarezzava le membra di Letizia. Una brezzolina fresca e limpida, non c’ era dubbio era aria di primavera!

 

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Capitolo 11
*** Fuoco nelle vene ***


 La notizia ormai era giunta alle orecchie di tutte noi e io avevo avuto modo di spiegare la mia intuizione al gruppo. Con aria incredula c’ era chi scrollava la testa, chi si rosicchiava le unghie, chi giocava con i capelli quando avrebbe voluto strapparseli, chi fissava un punto fisso come paralizzato e chi come me guardava fiero tutto questo panorama fiducioso che prima o poi avremmo capito.
“Quindi tu mi stai dicendo che l’ energia elettrica dovuta al fulmine di quella sera ha percorso il nostro corpo e ha alterato il potenziale elettrico della membrava assonica di concentrazione ioni sodio potassio alterando così i nostri impulsi nervosi e in qualche modo questo abbia influito nella mutazione dei geni proto-oncogeni trasformandoli in oncogeni a seconda della cellula più predisposta in ognuna di noi per personalità e attitudine?” Disse Letizia tutta d’un fiato!
“Perfetto, benvenuti alla centunesima puntata di superquark!” Esclamò Vittoria con tono ironico!
“Ehi scema non è mica colpa mia se tutto quello che leggo mi rimane in mente!”
“E allora perché diavolo ti metti a leggere! Ci sono mille cose da poter fare.. guardare la tv, mangiare, chattare, mettersi lo smalto, andare a corr…”
“Far stravaccare a terra le persone per esempio?”
Il gelo.
La discussione aveva preso una brutta piega ed ero stata io a scatenarla. Ora tutte si guardavano e non sapevano cosa dire e ognuna sperava che l’ altra sbloccasse questa grande situazione di imbarazzo. Già è vero forse voi non capite il perché di così tanto scalpore, sarà meglio che vi racconti una storia che fino a questo momento non era mai stata tirata fuori nel gruppo, o almeno non di fronte a Vittoria  per paura di ferirla.
Poco dopo l’ assunzione dei nostri poteri e l’ episodio della persona attaccata da Vittoria davanti alla tabaccheria, la nostra Vitto era quella che aveva assorbito meno il colpo reputando questa storia una fandonia e quello che le era capitato una casualità.  Aveva deciso così di partire per l’ Elba come aveva sempre fatto sin da piccola nella stagione estiva lasciando la questione in sospeso. Nel suo io più profondo però Vittoria era cosciente che ciò che era successo era stata colpa sua e che avrebbe dovuto stare alla larga da quelle situazioni che le avrebbero permesso di rivivere un’ esperienza simile. Formò così intorno a sé un guscio ancora più duro di quanto lo fosse quello precedente, d’ altronde lo diceva anche Liga: “Continui a dire al mondo che le cose sono chiare, ce la fanno solo i duri e chi spera si fa male” Ma in questa storia credetemi non fu solo lei a farsi del male, perché sembra un paradosso ma quel guscio mano a mano che si faceva più robusto si faceva anche sempre più incline ad intaccarsi: la voglia di romperlo e di gridare al di furi di esso era un focolare che ardeva sempre più nel suo cuore e la scintilla era stata Gabbo. Tra di loro c’ era una sintonia speciale tanto che sembrava essere quasi la classica storia da film: si vogliono bene ma sono troppo orgogliosi per ammetterlo, alternano momenti di amore a momenti di odio e la loro attrazione è la forza più forte al mondo. Ma il film finì quando quella sera di ferragosto con l’ ennesimo scherzo e l’ ennesima sfida per decretare il più forte qualcosa andò storto. Il peso delle conseguenze per due diciassettenni sembra essere sempre più leggero finchè queste non arrivano e allora rovinano tutto e ti catapultano in un soffio nel mondo dei grandi. Vittoria gliel’ aveva detto: “Io non sono un oggetto, non sono il tuo premio, prova a toccarmi e ti uccido”.
Ma lui lo fece lo stesso e allora con il sorriso iniziarono a rincorrersi per i sassi della spiaggia ridendo e aspettandosi quando uno dei due inciampicava.
“Ti odio! Te l’avevo detto di non farlo ora ne pagherai le conseguenze!” disse Vittoria ridendo!
“Non è vero tu non potresti mai odiarmi, tu sei pazza di me e lo sai!”
“E’ vero sono pazza.. ma anche senza di te vuoi vedere?”
“ouuh! Oddio cosa mi farai mai! Sto trrremando dalla paura!” sghignazzò Gabbo.
Si conoscevano per tantissimi aspetti ma forse lui ne aveva sorvolato uno importante: per quanto lei avesse l’ aria e gli atteggiamenti di una bambolina non era un’oca e odiava essere trattata da zerbino. Era una di quelle convinte che l’ uomo fosse il migliore accessorio della donna e niente più e la disgustava e allo stesso tempo la terrorizzava il fatto che Gabbo invece fosse riuscito a farla sentire schiava, sì schiava di passione. Le sfide poi.. aaaah quelle erano il suo punto forte! E allora che fare?! Usò il suo potere pensando di saperlo controllare, voleva fargli sentire solo per un attimo cosa volesse dire sentirsi deboli e sconfitti ma quell’ attimo durò molto di più. Gli provocò un danneggiamento dei tessuti cerebrali tanto che dovette subire anche un’ operazione chirurgica. Da quel giorno non si videro ne si sentirono più se non per qualche messaggio qua e là o tramite avvocati. Ma torniamo a noi.
Non sapevo come alleggerire quell’ aria pesante che si era formata e così mi misi a cantare, non so perchè ma mi venne d’ impulso:
Insieme la vita, lo sai bene, ti viene come viene ma brucia nelle vene
E viverla insieme è un brivido è una cura” continuò Tecla.
Serenità e paura” si aggiunse Gaia.
Coraggio ed avventura” proseguì Dafne.
“Da vivere insieme!” conclusi io senza cantare. Impressionante quanto una canzone possa risolvere le cose: almeno apparentemente, almeno per un attimo c’ eravamo calmate ed eravamo il gruppo unito di prima!
Ora erano rimaste due cose da fare: una era quella di informare tutti coloro che conoscevamo e  che avevano, come noi, percepito i poteri di quello che avevamo scoperto e l’ altra era indagare  per capire se fosse stato possibile tornare come prima..
Il giorno seguente mi svegliai di prima mattina meno assonnata del solito perché dovevo fare una cosa importante, la scuola poteva anche aspettare e poi eravamo agli sgoccioli e potevo tranquillamente saltare un giornetto no? Uscii con la scusa che Luce mi aspettava un po’ prima per andare al liceo ma presi la direzione contraria, arrivai ad un campino da basket individuai il centro e mi misi sedere lì a gambe incrociate. L’asfalto gelato avrebbe giovato alla mia cellulite… Ma a parte gli scherzi sapevo che se c’ era una sola cosa a cui Lorenzo e Cosimo non potevano rinunciare era giocare e il mio intuito mi diceva che li avrei trovati lì quella mattina. Era passata però ben un’ oretta e di loro neanche l’ ombra.. forse il mio intuito non era poi così infallibile: chissà dov’ erano nascosti e che vita stavano facendo, eppure quel campino di campagna immerso nel nulla sembrava il posto ideale per loro. Mi alzai e presi una stradina di fronte a me, poi aprii lo zaino e rufolai in cerca di qualcosa da aggeggiare ma la prima cosa che trovai era un pacchetto di cracker che aveva infilato di nascosto mia mamma. Li guardai con aria di sfida, aprii il sacchetto e li buttai per terra: odiavo i cracker!
Un’ esca perfetta però.. brava mamma!!!
“Cos’è… siamo a dieta?!” echeggiò la voce di Lorenzo. Mi girai e lo vidi affiancato da Cosimo vestiti di stracci e con aria a dir poco animalesca ma io li abbracciai comunque e spiegai loro tutto.
Com’è vero che gli uomini cono meno complicati, quel colloquio non prese nessuna piega brusca, nessun litigio. Appena finii di parlare si guardarono e con un cenno capirono che ciò che avevo detto aveva una logica, il problema era capire come influisse la scienza anche su di loro ma non osai fare domande perché c’ era troppa carne al fuoco e troppi problemi da digerire.
Il sorriso di Lorenzo però sapeva come tranquillizzarmi, mi abbracciò stretta e mi disse che non mi dovevo preoccupare, che le altre erano fortunate ad avere un’ amica come me: intuitiva sveglia e che pensava sempre al NOI. Mi ha detto anche però che a volte avrei dovuto pensare anche all’ IO.
Che ne sa lui di cosa faccio, io ci penso a me stessa è che devo farlo, devo salvarle sono le mie amiche, le mie compagne di vita e poi anche loro avrebbero fatto lo stesso. Poi mi soffermai un attimo e capii che stavo mentendo a me stessa. Guardai Cosimo e non so perchè capii a quante cose avevo rinunciato per seguirle, a quante altre per capirle, non a caso il mio potere cos’era? Capire gli altri? Bella personalità del cazzo. Mi odiai.
“ Adele è fatta così Lorenzo, è come se a Letizia togliessi i suoi libri o a Dafne le sue scarpette da ballo. Lei non lo fa per gli altri. Lei non osserva chi la circonda per il solo fine di vederli star bene, lo fa per se stessa perché senza quelle azioni Adele non sarebbe più Adele e non c’ è cosa più brutta nella vita del non fare le cose che sono nella nostra natura solo perché il resto del mondo non fa lo stesso.”
“Mi stai dando dell’ egoista?” Risposi a cosimo con tono arrabbiato e strinsi ancora più forte Lorenzo “pensi che io lo faccia solo per me stessa?”
“No, ho detto soltanto che la personalità non può essere una moda. Non si diffonde. E’ tua e non puoi farne a meno.”
Col senno di poi posso dire che aveva ragione, ma allora non me ne accorsi. Stetti ore e ore a parlare con loro e capii che forse però avevo bisogno di cambiare, non me stessa ma la mia vita. Avrei dovuto risolvere questa situazione in fretta e poi andare via, cambiare vita e pensare a me stessa.

 

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Capitolo 12
*** La storia si ripete. ***


Giugno era arrivato e la fine della scuola mi aveva soppresso la voglia di fare qualunque cosa. Strano di solito l’ ultimo giorno di scuola cresce in me un’ energia tale da poter buttare a terra anche la fortezza più resistente. Avevamo in servo però una seratina speciale, lo student party!
Sembrava passato un giorno ed invece quest’ anno era volato, i nostri cervelli continuavano a svilupparsi sempre più e questi poteri ci creavano uno stress tragico. I super poteri sono come la donna dalle belle ciglia: tutti la vogliono e nessuno se la piglia, con la piccola differenza che questa super dote ti accorgi di non volerla solo nel momento in cui ce l’ hai. Ma come tornare indietro?
La serata era decisamente noiosa, le altre continuavano a fare le simpatiche con ragazzi che nemmeno conoscevano ma io avevo perso questo vizio, ormai la discoteca anche se all’ aperto mi nauseava: le solite luci, la solita musica, le solite bevute e anche le solite facce, sì perché anche se non era sempre la solita gente le persone discotecare avevano sempre lo stesso noiosa e seccante volto. Così mentre le altre erano indaffarate: chi cercava di abbordare qualcuno per ottenere qualcosa da bere, chi la seguiva speranzosa di avere successo anche lei,  chi si godeva la scena divertita e chi ondeggiava a tempo di musica, io mi scostai un attimo per respirare un po’ di aria meno pesante di quella.  Volevo bene a tutte, forse è proprio per questo che mi sono allontanata, non sarei stata di grande compagnia. Raggiunsi un muretto vicino al bordo della piscina e osservai il riflesso di una luce lampeggiante nell’ acqua sperando di trovare qualcosa di più interessante, me lo sentivo eravamo nello stesso posto e qualcosa sarebbe dovuta succedere, per forza! Ma passarono i minuti e non succedeva niente, nel frattempo invece..
“Dov’è Adele?!” sussurrò Gaia preoccupata, ma nessuno la sentì. Era stufa di essere sempre l’ ombra di tutte e anche di non essere ascoltata, così partì alla ricerca da sola per quanto veloce potesse andare con quei tacchi che le davano super fastidio. Arrivata a metà pista però si fermò: una goccia d’ acqua accarezzò il suo viso, così alzò il polso sinistro e diede uno sguardo all’ orologio. Un quarto alle due? Era quasi l’ ora, aveva capito tutto, mancava poco, doveva cercarmi. Purtroppo però inciampicò in uno di quegli stupidi scalini e la folla la trascinò di nuovo in fondo. Aveva perso le speranze quando intorno a lei  svolazzò una zanzara a cui con tono ironico rivolse una domanda senza ricordarsi che l’insetto avrebbe potuto ascoltare.
“Cosa ci fai qui intorno a me? Vuoi il mio sangue? So che lo fai per un motivo che ti fa onore, anche io per tenere i miei figli al caldo farei di tutto, quindi ti lascerò fare ma tu devi farmi un favore: prendine in doppia quantità, trova Adele e iniettaglielo:  con il mio sangue che ora sa cosa va fatto potrà tornare qui in tempo.”
Gaia non credette ai suoi occhi, la zanzara aspettò impassibile per tutto il suo discorso come se la stesse ascoltando poi, terminata la spiegazione punse Gaia e volò via. La ragazza non sapeva se avrebbe funzionato, aspettò per minuti e minuti poi vide che Adele non tornava e che la tempesta si stava avvicinando. Preoccupata quindi avvisò le altre.
Quando infatti arrivò da me la zanzara io non potevo sapere che cosa fosse successo e così nel momento in cui si posò dolcemente sul mio braccio io lo schiaffeggiai con un colpo netto senza darle il tempo di iniettarmi quella preziosa informazione.
Cosa avrebbero potuto fare adesso le ragazze?
“Ecco vedi non si doveva allontanare, l’ ha fatto apposta: lei non ha avuto mai intenzione di rinunciare ai suoi poteri!” farfugliò Dafne.
“Ma se è stata la prima a chiedersi come fare per tornare come prima?”
“E’ vero e magari adesso si aggira per la piscina in cerca di una soluzione!” “Si susseguirono Vittoria e Letizia! Ancora una volta io le avevo fatte andare d’ accordo.
Avevano poco più di venti minuti per trovarmi e portarmi sulla pista così Tecla soggiogò tutti i ragazzi che trovava comandandogli di cercarmi, Vittoria faceva sentire male tutti coloro che le intralciassero la strada e Gaia e Dafne sedevano su un divanetto vicino alla pista speranzose.
Mentre le altre mi cercavano io mi ero stufata di stare da sola, il vento mi scompigliava i capelli e avevo iniziato a sentire anche un po’ di freddo. Spostai lo sguardo e vidi Cosimo girarsi verso di me e salutarmi con quel suo sorriso perfetto di chi è sicuro di sé: avrei voluto esserlo anche io ogni tanto ma poi ho pensato che i dubbi fanno delle persone curiose e sveglie dei vincitori e io mi sarei impegnata per diventarlo . D’altronde lo diceva anche Socrate che la migliore scienza è ammettere di non sapere. Ma, a parte questi voli pindarici (che tra l’ altro quando li usava Foscolo mi stava parecchio sul culo), cari lettori prima di raccontarvi la vera fine di questa umile storia vorrei fare una premessa. La vita non sempre va come vuole ma di una cosa sono certa, a tutto c’è un perché  e non me ne abbiate, se dopo esservi affezionati a questa dolce protagonista, la conclusione deluderà le vostre aspettative. Il bene e il male sono relativi, sta a noi cambiare punto di vista per trovare la via d’ uscita, il lieto fine esiste solo nelle favole perché la vita non ha fine ma è un ciclo continuo.
Adele questo non lo sapeva e quando cascò nella piscina mentre era intenta ad andare a salutare l’ amico sentì un brivido di freddo scrollargli la schiena e una rabbia tremenda per chi l’ avesse spinta. Il destino aveva riservato qualcosa di meglio per lei. Sentì l’ acqua  entrare nei polmoni e il cuore affannato che cercava di pompare sangue nelle vene inconsapevole che fosse privo ormai di ossigeno. L’ ultimo pensiero di Adele prima del risveglio fu “Scusate ragazze, non sono riuscita ad aiutarvi, ma se l’ amicizia avesse un cuore si chiamerebbe Gaia, se avesse un sorriso si chiamerebbe Tecla, se avesse occhi Letizia, se avesse bocca Vittoria, se avesse mani Dafne. Non potevo desiderare di meglio”
Cosimo si era buttato inutilmente in acqua. Ahhh se solo avesse saputo che il suo destino non era fra le sue braccia.
Ora, Adele non era morta come videro gli occhi frivoli quella sera.
Aprì gli occhi e si trovò  in una stanza che non riconosceva, un calendario però segnava 23 luglio 2014, era passato più di un mese. “Mi devo esser fatta un bel sonnellino!” disse ironicamente. Poi sentì delle voci provenire da fuori così chiuse gli occhi quasi come non volesse spaventare subito chi le voleva bene, chi sarebbe stato il primo a vederla? La mamma? Il babbo, il fratello?
Non riconobbe la voce ma stava parlando al telefono:
“Mh, sì è ancora in coma… i medici dicono che sia frequente dopo un trapianto di questo calibro.. mh si era di lei, Dio benedica quella povera ragazza!”
Non ci potevo credere, qualcuno era morto al posto mio e grazie a lui adesso io ero viva! Era il momento giusto, dovevo aprire gli occhi!
“Oddio correte, correte! Sara si è svegliata!”

Sara? OH MERDA!
 

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