In due contro il delitto

di becca25
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.1 Uno studio in verde ***
Capitolo 2: *** 2.1 L'ippogrifo cieco ***
Capitolo 3: *** 2.2 L'ippogrifo cieco ***
Capitolo 4: *** 3.1 Il grande gioco ***
Capitolo 5: *** 3.2 Il grande gioco ***
Capitolo 6: *** 4.1 Scandalo in Sala Grande ***
Capitolo 7: *** 4.2 Scandalo in Sala Grande ***
Capitolo 8: *** 5.1 Un mastino a Hogwarts ***
Capitolo 9: *** 5.2 Un mastino a Hogwarts ***
Capitolo 10: *** 6.1 Le cascate della fonte della buona sorte ***
Capitolo 11: *** 6.2 Le cascate della fonte della buona sorte ***
Capitolo 12: *** 7.0 Assassinio sull'Hogwarts express ***



Capitolo 1
*** 1.1 Uno studio in verde ***


Buona sera a tutti!
Prima di dire qualsiasi cosa, voglio cogliere l’occasione per chiedere perdono e per rassicurare tutti coloro che stanno pazientemente attendendo il nuovo capitolo di “Sette passi per farlo tuo” che ho tutte le intenzioni di concluderla al più presto, quindi tenetela d’occhio!=)
Passando a questa Fic che vi propongo, si tratta di una Johnlock ambientata ad Hogwarts in un periodo non specificato, quindi non troverete nessun personaggio della saga che conoscete, mi dispiace!u.u
La storia è già conclusa e l’aggiornerò due volte a settimana, precisamente di giovedì e lunedì!
Se successivamente i giorni verranno modificati vi avviserò!
Questo primo capitolo è semplicemente una premessa, niente di troppo coinvolgente, ma spero possa piacere comunque!
Mi scuso anticipatamente se la caratterizzazione dei personaggi si discosta un po’ dall’originale, premetto che ho fatto del mio meglio!
Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate!
Un bacio a tutti e buona lettura,
Becky
 
Oh, quasi dimenticavo!Il titolo dell’opera è ispirato dalla raccolta di gialli di Agatha Christie “In tre contro il delitto”, non una delle mie preferite, ma non sapevo che altro scegliere!u.u
 
Capitolo 1.1 Uno studio in verde
 
 
John spalancò gli occhi di colpo, le immagini che avevano animato il sogno solo pochi istanti prima ancora stampate vividamente nella mente; ci impiegò diversi minuti prima di rendersi conto che si era trattato solamente di un incubo, l’ennesimo incubo.
Con uno sforzo estremo John si mise a sedere, passandosi con stanchezza una mano sopra gli occhi affaticati ed umidi. Era stanco, incredibilmente stanco. Sogni atroci animavano ogni sua notte, rendendolo al mattino sempre più debole e spossato e questo aveva notevolmente influito sul suo rendimento scolastico, tanto che il Grifondoro, che avrebbe dovuto concentrarsi sullo studio e sulle lezioni, in vista dei G.U.F.O., si trovava costretto ad usare tutte le sue energie per combattere i suoi incubi.
Il pensiero della scuola lo riportò immediatamente alla realtà, svegliandolo finalmente da quello sciocco torpore nel quale aveva indugiato; con uno sguardo orripilato John si voltò verso la sveglia poggiata sul proprio comodino, che lo avvisava di essere già in ritardo di cinque minuti per la prima lezione della giornata.
Il Grifondoro impiegò altri dieci minuti per lavarsi ed indossare la divisa e un quarto d’ora per raggiungere, correndo come un forsennato, i sotterrai nei quali si esercitava pozioni, così da arrivare in aula con mezz’ora di ritardo.
Giunto ansimante e grondante di sudore davanti alla porta della classe, il ragazzo si concesse qualche minuto per riprendere fiato e cercare di sistemarsi alla meglio la divisa, sperando di ottenere, con scarsi risultati,  un aspetto quanto meno accettabile, prima di decidersi a spalancare la porta dell’aula ottenendo l’attenzione generale degli studenti, già impegnati a preparare la pozione del giorno e del professor Clarke che gli indirizzò uno sguardo scocciato e infastidito.
“Grazie per averci onorato della sua presenza, signor Watson” lo accolse questo, mostrandogli un sorriso sarcastico “e se ora volesse essere tanto gentile da smettere di disturbare la mia lezione e sedersi, mi farebbe un gran piacere”
John gli rivolse delle scuse veloci, prima di cercare un posto libero da occupare. Come aveva previsto tutti i suoi compagni si erano già divisi a coppie per lavorare e così anche i ragazzi di Serpeverde. Cercò con lo sguardo i suoi migliori amici, nonché compagni di stanza, Eric e Taylor, che lo salutarono dalla medesima postazione con un sorriso dispiaciuto e un “Noi abbiamo cercato di svegliarti” sussurrato a fior di labbra, per poi rivolgere la propria attenzione alla sua amica Molly, che era già al lavoro con Sarah, che lo salutò con un sorriso veloce.
Aveva ormai quasi rinunciato, optando per sistemarsi da solo in un banco vuoto, dove provare a preparare un intruglio il più possibile accettabile, quando il suo sguardo si posò su un ragazzo seduto da solo, in un angolo leggermente nascosto della classe, intento a rimescolare svogliatamente la soluzione.
Era un Serpeverde che John aveva notato più volte, soprattutto al primo anno ricordava di essere rimasto piuttosto colpito da quel ragazzo così particolare, non riuscendo a rimanere del tutto impassibile davanti a tale bellezza; un corpo sottile e longilineo, il volto diafano coperto in parte da una massa di ricci scuri perfettamente ordinati, le labbra rosee di una perfetta forma a cuore e due occhi di ghiaccio tanto profondi da far venire i brividi.
Eppure con il passare del tempo John non aveva più fatto caso a quell’individuo tanto solitario e introverso, non lo aveva più notato durante le lezioni, non ricordava di averlo mai visto a pranzo e, sicuramente, era certo di non avergli mai rivolto la parola, come del resto la maggior parte dei suoi compagni, aggiunse tra sé.
Decidendo che era l’unica scelta possibile, gli si avvicinò con passo deciso, bloccandosi una volta giunto al banco; si schiarì la voce con un colpetto di tosse, costringendo il ragazzo a rivolgergli la propria attenzione.
“Ciao, ti dispiace se mi sistemo qui?” domandò John con un sorriso, non appena si trovò gli occhi ghiaccio del compagno a scrutarlo; questo non rispose immediatamente, si limitò a far vagare lo sguardo sul corpo del Grifondoro, in apparenza per studiarne ogni dettaglio, prima di fare un piccolo cenno affermativo col capo e spostare la propria borsa dalla sedia accanto, per permettere al ragazzo di accomodarsi.
“Grazie” esclamò John, sedendosi e iniziando a trafficare con i propri libri “comunque io sono John Watson” aggiunse non appena ebbe finito, porgendo la mano al Serpeverde, che l’afferrò con poco entusiasmo.
“Sherlock Holmes”
“Allora” iniziò con un sorriso, rivolgendo lo sguardo alla lavagna dove erano segnati i punti da seguire per la preparazione della pozione rigonfiante “a che punto sei arrivato?”
“Al terzo”
“Quindi dobbiamo continuare a mescolare per cinque minuti, poi abbassare il fuoco, aggiungere una milza di gatto e tre gocce di sangue di drago e poi lasciare riposare per dieci minuti” lesse John con attenzione.
“Signor Watson, vorrebbe cortesemente smettere di chiacchierare tanto amabilmente con il signor Holmes?” lo riprese il professor Clarke dalla sua scrivania.
John si scusò per l’ennesima volta, prima di sprofondare sulla sedia, borbottando  una serie di insulti verso l’uomo.
“Non devi prendertela, non è arrabbiato con te, vuole solo sfogarsi” osservò all’improvviso Sherlock, facendolo sobbalzare.
“Come, scusa?”
Sherlock gli rivolse un’occhiata infastidita, inarcando un sopracciglio, prima di decidersi a rispondere “Ho detto che il motivo per cui si accanisce con te è per sfogarsi, probabilmente per il fatto che la moglie lo ha lasciato, presumibilmente perché ha scoperto la sua relazione clandestina con Mrs Adler”
John lo osservò stupito “Come puoi dirlo?” domandò incerto, ricevendo come risposta uno sguardo da ma perché me lo domandi dal momento che è così ovvio? Che lo fece innervosire parecchio.
“Per la prima volta in cinque anni il signor Clarke si è presentato a lezione senza indossare la fede nuziale” iniziò Sherlock con sicurezza “ma dubito che si tratta di una semplice dimenticanza, in quel caso non avrebbe trascorso l’ultima mezz’ora ad osservare il segno più chiaro evidente sull’anulare sinistro, ma non è stato lui a lasciarla, bensì il contrario, altrimenti non avrebbe tenuto la sua foto sulla scrivania”
“E come puoi dire che è stato per…?”
“Per Mrs Adler?”domandò tranquillamente Sherlock “era evidente che quei due avessero una relazione, almeno era così fino a due giorni fa, quando hanno smesso di rivolgersi sguardi eloquenti durante il pranzo o di incontrarsi nelle aule vuote durante le ore buche; quindi, perché mai troncare un rapporto che persiste da tanti anni, se non perché è stata scoperto?” concluse Sherlock con aria annoiata, prima di rivolgere nuovamente la propria attenzione alla pozione, controllandone la compattezza.
“Q-questo è incredibile” boccheggiò John completamente sbalordito “impressionante!”
Sherlock si voltò ad osservarlo con curiosità, abbandonando la pozione “Lo credi davvero?”domandò con una nota di sorpresa nella voce.
“Certamente” confermò John con enfasi, sporgendosi maggiormente verso il Serpeverde “come ci riesci?”insistette, mentre un sorrisetto orgoglioso si formava sul volto del ragazzo.
“Basta solo osservare”
“E lo puoi fare con chiunque?”
“Certamente” esclamò Sherlock, distogliendo lo sguardo da quello chiaro di John, per puntarlo su Taylor che lavorava a qualche tavolo di distanza da loro “quel ragazzo, ad esempio, è impegnato da diversi mesi in una relazione stabile con la ragazza che siede a quel tavolo” spiegò, accennando a Sarah, impegnata nel proprio lavoro “tuttavia non hanno ancora reso la cosa ufficiale, probabilmente per volere della ragazza, che infatti sta facendo molta attenzione a non rivolgergli sguardi, diciamo troppo compromettenti”
John sgranò gli occhi con incredulità, passando lo sguardo dai suoi due migliori amici a Sherlock “Questo è impossibile” soffiò “loro non stanno insieme, Sarah non…”
“Non andrebbe mai con il tuo migliore amico dopo che è stata con te?”domandò mellifluamente Sherlock, facendo trasalire John.
“T-tu come?”
“La ragazza non fa che spostare lo sguardo da quel ragazzo a questo banco e dubito che sia per osservare me. Probabilmente crede che la scoperte potrebbe infastidirti; se così non fosse io le parlerei”
“Incredibile” ribadì John, sempre più colpito “incredibile!” ripetè, apparentemente incapace di dichiarare altro, mentre Sherlock sollevava appena le labbra in un sorriso tirato.
“Molto bene ragazzi, basta così” li interruppe il professore, costringendoli a tornare alla realtà “ora, se avete fatto tutto in modo corretto la vostra pozione dovrebbe aver raggiunto una tonalità azzurro pallido” John allungò il collo verso il loro calderone, dove una soluzione della perfetta gradazione azzurrina ribolliva placidamente.
“Dobbiamo aggiungere una milza di gatto” soffiò John, immergendola nella pozione, per poi stappare la boccetta contenente sangue di drago e sistemarsi sopra il calderone; versò con attenzione la prima goccia, quando notò che Sherlock si stava avvicinando al miscuglio con una milza di gatto stretta in mano.
“L’ho già messa, quella” lo informò con tono pacato, tornando ad occuparsi del sangue di drago, dovendosi tuttavia interrompere nuovamente, quando notò che Sherlock non aveva alcuna intenzione di rimettere la milza a posto .
Senza pensarci gli afferrò il polso con la mano libera, impedendogli di aggiungere l’ingrediente, guadagnandosi un’occhiataccia di rimprovero “Ho già messo la milza di gatto” ripetè, senza tuttavia mollare la presa sul suo polso, che tremò leggermente sotto le sue dita.
“Lo so, ma devo inserirne una seconda” ribattè tranquillamente Sherlock.
“No, non è vero” replicò John, rileggendo velocemente i punti scritti sulla lavagna “Ne serve solo una” ribadì, indicando con un cenno del capo le istruzioni scritte sulla lavagna.
Sherlock alzò gli occhi al cielo, sbuffando “È un esperimento” spiegò.
“Un esperimento?”domandò John sorpreso.
“Esattamente. Mi serve per confermare una teoria” continuò Sherlock, mantenendo lo sguardo fisso su John.
“Non puoi aggiungere ingredienti a tu piacimento!È pericoloso, potresti farti del male!O provocare un’esplosione” lo rimproverò sconvolto, osservando stupito il ragazzo che non si scompose per un solo istante.
“Non succederà” lo rassicurò “ho già calcolato ogni cosa, mi serve solo una conferma”
“Ma io non ti permetterò di averla ora!Se proprio vuoi fare un esperimento puoi tornare qui dopo le lezioni e fallo per conto tuo”
“Mi causerebbe una notevole perdita di tempo”
“Non mi interessa!Non puoi farlo e basta!Posa subito quella milza!”
“No!”
“Invece sì!Posala, Sherlock!”
“No” replicò il Serpeverde, irritandosi visibilmente; rivolse a John uno sguardo indignato, tanto penetrante da farlo rabbrividire per un momento, ma vedendo che il compagno non aveva alcuna intenzione di cedere si decise ad afferrare con stizza la mano con cui il ragazzo gli stava stringendo il polso, per costringerlo a liberarlo.
Fu un istante, un istante in cui John, per liberarsi dalla stretta, lasciò la presa dalla boccetta di cuore di drago, facendola cadere nella pozione che emise uno sbuffo bizzarro, assumendo per qualche secondo un’intensa tonalità rosso cardinale, prima di esplodere con un tonfo deciso, riversandosi su John, Sherlock e gran parte della classe, che per alcuni secondi venne percorsa da un’ondata di sinistra immobilità, l’attenzione di tutti puntata sui due ragazzi.
“Watson, Holmes!”tuonò il professor Clarke con un’evidente nota di rabbia nella voce, rompendo definitivamente il silenzio“In punizione!Entrambi!” sbraitò.
 
Per i due giorni successi John non vide Sherlock Holmes da nessuna parte, incrociandolo solamente il sabato mattina in Sala Grande, limitandosi a rivolgergli un veloce sguardo stizzito, prima di tornare ad ignorarlo come aveva fatto fino a pochi giorni prima.
Non che trovasse il ragazzo particolarmente antipatico, a differenza di gran parte della scuola, tuttavia John non riusciva a sopportare di essersi visto assegnare una punizione solamente a causa della testardaggine del Serpeverde che, inoltre, non si era nemmeno degnato di chiedergli scusa, eclissandosi velocemente dall’aula di pozioni al suono della campanella.
Ed ora John avrebbe dovuto trascorrere tutto il sabato in sua compagnia a svolgere qualche indegno lavoretto per conto del professor Clarke, quando invece avrebbe potuto passare la giornata con Emily, la graziosissima Corvonero che solamente cinque giorni prima gli aveva chiesto di uscire.
“E così John, hai scaricato quell’adorabile brunetta per Holmes, giusto?” osservò con un ghigno divertito Taylor, riportando bruscamente alla realtà John, che con uno sbuffo contrariato si decise finalmente di concentrarsi sulla propria colazione.
“Non è che ho avuto troppa scelta” si difese, servendosi una generosa porzione di uova strapazzate e salsicce.
“Avresti dovuto pensarci prima di farti mettere in punizione” osservò con aria serafica Eric, guadagnandosi un’occhiataccia infastidita dall’amico.
“Come se fosse colpa mia!Se Holmes non avesse insistito ad aggiungere ingredienti a caso nel calderone, ora sarei già da qualche parte con Emily!” sbottò John, con voce leggermente alterata “in ogni caso voi, in quanto miei migliori amici, dovreste essere dalla mia parte!” li accusò con aria truce, facendo ridere con più gusto i due Grifondoro.
“Scusaci John, ma è così raro vederti perdere le staffe!” soffiò  Eric, cercando di calmarsi “credo che Sherlock Holmes sia stato il primo ragazzo nella scuola a riuscire a farti innervosire tanto!”
“E immagino che dopo un intero pomeriggio in sua compagnia sarai definitivamente fuori di te” aggiunse divertito Taylor, imburrando con attenzione una focaccina.
“Cosa significa?”
“Oh, semplicemente che Sherlock Holmes è il ragazzo più insopportabile di tutta Hogwarts” spiegò Taylor, rivolgendo uno sguardo veloce al tavolo alle sue spalle, dove sedeva Sherlock “è fastidioso e incredibilmente pieno di sé, considera tutti degli idioti e si crede superiore sia agli studenti che agli insegnanti”
“Senza considerare che non sembra in grado di provare emozioni umane” aggiunse Eric.
“Non credete di esagerare un po’?” ridacchiò allibito John, scoccando uno sguardo veloce al ragazzo che leggeva con aria annoiata la Gazzetta del profeta.
“No John, è la verità” insistette Eric “pensaci, l’hai mai visto in compagnia di qualcuno?”gli fece notare il ragazzo “nessuno vuole avere a che fare con lui, nemmeno nella sua casa. È sempre da solo, non ha nemmeno un amico”
“E la cosa sembra stargli più che bene” concluse Taylor “a quanto pare sta bene per conto suo”
John si strinse nelle spalle, senza aggiungere altro; non era da lui giudicare una persona senza prima averla conosciuta e inoltre, punizione a parte, doveva ammettere di non essersi trovato tanto male a dividere il calderone con Sherlock.
“Ha una bella testa, però” osservò improvvisamente, ricordandosi delle intuizione del Serpeverde.
“Oh, è molto sveglio” annuì Eric “riesce a dirti ogni cosa della tua vita osservando il nodo della tua cravatta”
“Sciocchezze” s’intromise Taylor sbuffando “sono certo che usa qualche trucchetto per riuscirci, qualche incantesimo; nessuno può essere così intelligente”
“Io gli credo” ammise John con un’alzata di spalle, facendo nuovamente ridere i suoi amici.
“Tu ti fidi troppo delle persone, John” ridacchiò Eric scuotendo il capo “ricordati che è solo un irritante Serpeverde”
“Io l’ho trovato geniale”
“Potrà anche essere divertente vederlo usare quello sciocco trucchetto su qualcuno, ma sono certo che dopo un po’ di volte che cercherà di scoprire ogni singolo dettaglio privato della tua vita, non lo troverai più così esilarante”
“Io credo che sia anche per quello che non è molto popolare” aggiunse Eric con un’alzata di spalle “l’altra mattina ha chiesto a Katy Elric se si era divertita a passare la notte con George Wood e lo ha fatto proprio davanti alla ragazza di George!”
“Non gli riesce proprio di non immischiarsi negli affari altrui!”
“È irritante!”
“Ragazzi!” li richiamò velocemente John, abbassando lo sguardo sui resti ormai freddi della propria colazione “viene verso di noi”  
Il terzetto si ammutolì all’arrivo del Serpeverde che, dopo essersi concesso alcuni istanti per osservare Taylor e Eric, rivolse la propria attenzione a John.
“Watson” lo salutò cordialmente, mentre John sollevava lo sguardo su di lui per ricambiare il saluto con un sorriso “credo sia il caso di avviarci verso i sotterranei se non vogliamo fare tardi”
“Già” confermò John alzandosi da tavola “credo tu abbia ragione. Ci vediamo dopo ragazzi”
“A dopo John!” lo salutarono questi, tornando poi alle proprie colazioni.
Camminarono in silenzio fino allo studio del professor Clarke, che con voce serafica li informò che avrebbero dovuto catalogare e riordinare gli schedari che contenevano i compiti in classe di pozioni degli ultimi cinque anni, lavoro che come minimo avrebbe occupato loro tutta la giornata.
“Odio quell’uomo!” sbottò con frustrazione John, sbattendo con un po’ troppa enfasi le carte che avrebbe dovuto sistemare su un banco libero dell’aula di pozioni “ti rendi conto di quanto ci metteremo?Sarà un miracolo riuscire a finire tutto entro oggi!” continuò con stizza, allontanando con un calcio la sedia dal banco, facendola stridere fastidiosamente contro il pavimento, prima di abbandonarsi sopra con un sospiro irritato.
“Avresti dovuto pensarci prima di far saltare in aria il laboratorio di pozioni” osservò con voce tranquilla Sherlock, facendolo sobbalzare.
Per un attimo il ragazzo credette di aver sentito male, insomma, Holmes non poteva averlo detto davvero.
“Come scusa?”domandò quindi  con voce appena più acuta del normale, ottenendo su di sé gli occhi ghiaccio del Serpeverde.
“Odio ripetermi” esclamò dopo alcuni istanti di silenzio, tornando a concentrarsi sul proprio lavoro.
John strabuzzò gli occhi, sconvolto; ora capiva perché Sherlock era sempre solo.
 “Mi sembra di aver capito che è stata colpa mia se la pozione è esplosa” osservò con voce falsamente gentile, attendendo dall’altro una reazione che non tardò ad arrivare.
“È così, infatti. Sei stato tu ad aggiungere troppo sangue di drago”
“Sì, ma solo perché tu volevi metterci una milza di gatto in più!Se non avessi insistito tutto questo non sarebbe accaduto!”
“No, ti sbagli” si difese Sherlock, ora visibilmente irritato “se tu me l’avessi fatta aggiungere non sarebbe successo tutto questo!”
“Magari il risultato sarebbe stato anche peggiore” osservò John.
“Impossibile, avevo già determinato l’esito, volevo solo una conferma”
“Ma così non avremmo portato a termine il compito che ci era stato assegnato!”
“Forse, ma non avremmo avuto la punizione” considerò Sherlock “e la cosa mi sarebbe stata di grande aiuto; non ho tempo da perdere io
“Perché, credi che io invece mi stia divertendo?”domandò John arrabbiato, innervosendosi sempre di più, la voce tremante, le mani strette a pugno.
Sherlock alzò lo sguardo su di lui, studiandolo con aria incuriosita, prima di decidersi a rispondere “No” ammise “no, non credo che tu ti stia divertendo, così come in classe non ti sei interessato alla lezione finchè non hai fatto cadere la boccetta nella pozione”
“C-cosa?” boccheggiò John totalmente colto alla sprovvista, incredulo davanti a quelle parole “credi che lo abbia fatto apposta?”
“Non ho mai detto questo” osservò Sherlock tranquillamente “ho detto solo che per tutta la lezione il tuo atteggiamento è stato svogliato e annoiato, ma quando la boccetta è caduta nella  pozione e tu ti sei voltato ad osservarla, un attimo prima che la pozione esplodesse, durante quella manciata di secondi in cui eri invaso dall’incertezza di ciò che sarebbe accaduto, i tuoi occhi si sono illuminati”
“Cosa significa?”
 “Semplicemente che ti piace il pericolo e la sensazione che ti regala; ami sentire l’adrenalina scorrerti in corpo, vuoi sentirti vivo, vuoi l’azione”
“Ti sbagli” lo interruppe lapidario John, decidendosi finalmente a tornare ai propri volumi, ignorando con decisione lo sguardo intenso che percepiva su di sé.
“Ne dubito”
John s’irrigidì; ora capiva perché Sherlock si trovasse sempre da solo.
Durante le ore successive nessuno aggiunse nulla; i due ragazzi si limitarono a fare ognuno il proprio lavoro, in un silenzio nervoso, disturbato solamente dal rumore delle pagine che venivano girate, dal grattare delle piume sopra le pergamene e dallo scatto con cui le cartelle ormai ordinate venivano chiuse e poste in una pigna ordinata su un banco vuoto.
Fu solo quando il raschiare della piuma di John si fece meno inquieto, quando il suo corpo parve rilassarsi leggermente e la sua postura diventare meno tesa, che Sherlock si decise a rompere quel fastidioso silenzio, arrischiandosi a rivolgere la parola al Grifondoro.
 “Le ipotesi dei tuoi amici si sono rivelate corrette?” domandò improvvisamente Sherlock, facendo sobbalzare il ragazzo per la sorpresa.
“Come?” boccheggiò John, osservando Sherlock con la piuma sospesa a mezz’aria.
“Ti ho chiesto se le ipotesi dei tuoi amici riguardo a me si sono rivelate corrette” ribadì, osservando il corpo di John contrarsi davanti alla sua domanda.
“Quali ipotesi?”
Sherlock alzò gli occhi al cielo, sbuffando “Questa mattina durante la colazione stavate parlando di me”
“Non, non è così” balbettò prontamente John, alzando lo sguardo per incontrare quello cristallino di Sherlock che, con una nota evidente di divertimento, lo stava scrutando.
“Avanti, sarebbe stato evidente a chiunque!Parlavate a voce relativamente bassa, quindi discutevate riguardo a cose che non volevate far sentire ad altri, quindi cose non troppo lusinghiere, considerando inoltre che per ben due volte vi siete girati a guardarmi e che quando vi ho raggiunto vi siete ammutoliti all’improvviso, non è difficile dedurre che esse riguardassero me. Immagino che ti abbiano detto che mi trovano irritante e pieno di me, poi cos’altro?”
“Non è così” sospirò John, chinando velocemente il capo, sicuro di essere arrossito impietosamente alle parole dell’altro.
“No?”domandò Sherlock con sarcasmo, mantenendo lo sguardo puntato sul corpo rigido di John.
 “Loro non dicevano sul serio” borbottò  infine il Grifondoro, arrendendosi davanti all’evidenza.
“Credo di sì, invece” ribattè Sherlock con voce pacifica.
“Hanno detto che ti credi superiore al resto della scuola e che non credono che tu sia in grado di fare le tue deduzioni semplicemente osservando”
“Interessante” soffiò Sherlock pensieroso “e tu gli credi?” aggiunse poi con noncuranza.
John si fermò a riflettere qualche secondo prima di rispondere; la verità era che credeva a Sherlock dalla prima volta che l’aveva incontrato e che l’aveva sentito fare quelle incredibili deduzioni. In realtà la possibilità che Sherlock stesse mentendo o usando un qualche incantesimo non gli aveva sfiorato la mente nemmeno per un istante e anche ora la riteneva un’ipotesi assolutamente improbabile.
 “Deduci qualcosa su di me!” lo sfidò infine John, allargando le braccia come a volergli dimostrare di non avere nulla da nascondere.
Sherlock sgranò leggermente gli occhi per la sorpresa, prima di accettare la provocazione con un sorriso.
“Sei un ragazzo tranquillo e pacifico, ben voluto da tutti e con molti amici. I tuoi voti sono appena sopra la media e nessun professore ha mai avuto nulla da ridire su di te. Non ti sei mai cacciato in problemi gravi, a differenza di tuo fratello, il cui problema con l’alcool ti disturba più di quanto tu voglia ammettere. Forse anche questo contribuisce agli incubi che ti tormentano la notte, impedendoti di riposare come si deve, ma volendo rischiare direi che ciò che davvero ti importuna è la totale staticità della tua vita; la mancanza di azione ti innervosisce e il leggero tremore alla tua mano sinistra ne è la prova, infatti, quando a lezione abbiamo discusso, la tua mano era incredibilmente ferma, questo dimostra che ciò che ti innervosisce non è il pericolo, ma la mancanza di questo” concluse Sherlock sottolineando il concetto con un gesto leggero della mano, il tutto sotto lo sguardo di John, sempre più incredulo e ammirato.
“Come fai a saper di Harry?” bisbigliò infine, mentre Sherlock non poteva impedirsi di sorridere.
“È quello il nome di tuo fratello?Bè, è semplice in realtà; questa mattina i tuoi vestiti odoravano di alcool, ma non il tuo fiato, ergo non sei stato tu a consumare bevande alcoliche, ma sei stato vicino a qualcuno che lo ha fatto. I tuoi migliori amici tuttavia erano con te a colazione, quindi sono da escludere, perciò chi altri avresti potuto assistere?Un parente, un cugino o un fratello, azzardando direi un fratello”
“Questo è davvero incredibile, Sherlock” ribadì con stupore.
“Devo quindi supporre di aver indovinato?”
“Tutto tranne una cosa; Harry è mia sorella”
Sherlock fece un gesto infastidito col capo, irritato “Tua sorella; c’è sempre qualcosa!”si lamentò, imbronciato, tornando ad occuparsi del proprio lavoro.
 “Comunque per quello che vale non credo a Taylor” soffiò alcuni minuti dopo John, con voce tanto flebile che sarebbe potuta essere scambiata per il fruscio della pergamena sotto le dita.
 
John non aveva bisogno di prove per convincersi che il suo istinto aveva ragione riguardo a Sherlock Holmes, eppure la mattina successiva, quando durante colazione Taylor e Sarah annunciarono a tutti il loro fidanzamento, ebbe un’ulteriore conferma.
Festeggiarono i due ragazzi con allegria e Sarah ringraziò John per la sua comprensione e sostegno e per l’aver accettato di mantenere segreta la storiella che avevano avuto al secondo anno.
Da parte sua John non poteva essere più contento per i suoi due amici e stava per iniziare l’ennesimo discorso di buon augurio, quando l’arrivo di Sherlock Holmes lo interruppe.
Tutta la spensieratezza e l’allegria si spensero all’istante, mentre i Grifondoro si rivolgevano con diffidenza al Serpeverde.
 “Cosa vuoi, Holmes?” domandò in un sibilo infastidito Taylor, facendo irrigidire John, che prontamente lo zittì con un’occhiataccia.
 “Sherlock” lo salutò invece educatamente, rivolgendosi al ragazzo che si decise a distogliere la propria attenzione da Taylor “cosa ci fai qui?”
 “Posso parlarti un secondo?”chiese  tranquillamente, facendo cenno a John di seguirlo.
Uscirono dalla Sala Grande, allontanandosi dagli schiamazzi tipici della domenica mattina e si sistemarono in una nicchia u po’ in ombra del corridoio d’ingresso.
“Cosa succede, Sherlock? Tutto bene?”
“Mi stavo chiedendo se ti andasse di aiutarmi” replicò il ragazzo, osservandosi intorno.
“Aiutarti in cosa?”
“A pedinare un sospettato; è per un caso” spiegò Sherlock, sotto lo sguardo più confuso e perplesso di John,
“Aspetta, sospettato?Caso?Ma di cosa stai parlando?”
Ma non fece in tempo ad ottenere alcuna risposta, che un gesto fluido e deciso Sherlock lo spinse con fermezza verso il muro, sovrastandolo poi con il proprio corpo, così da nascondere entrambi dentro il cono d’ombra della nicchia.
“Sherlock!” tuonò John sconvolto, con una nota di panico nella voce “che diam…?!”
Ma ancora una volta Sherlock lo interruppe, poggiandogli con forza una mano sulla bocca, intimandolo di tacere, mentre con il capo gli indicava alcuni Grifondoro che stavano uscendo dalla Sala Grande in quel momento.
John si zittì, impedendosi di pensare a qualsiasi cosa che non fossero quei ragazzi, che iniziò a studiare con insistenza; eppure, per quanto ci provasse, la concentrazione non faceva altro che sfumare, sotto la mano salda di Sherlock e il suo corpo caldo che ancora lo inchiodava al muro.
Non appena i quattro ragazzi furono scomparsi sulle scale, Sherlock si ritrasse nuovamente, liberando John, che finalmente riprese a respirare.
“Si può sapere cosa…?”
“Muoviamoci John, è lui!” tuonò Sherlock, scattando verso le scale e senza poter aggiungere altro John si trovò a seguirlo.
Corsero per tutta la scuola, appostandosi agli angoli dei corridoi o dietro le armature per controllare il quartetto, oppure sparendo dentro scorciatoie di cui John ignorava l’esistenza, per poi riapparire due passi avanti rispetto al ragazzo che sembrava interessare a Sherlock.
John lo riconobbe; si trattava di un Grifondoro dell’ultimo anno, il caposcuola Gregory Lestrade.
Lo inseguirono senza sosta per gran parte della mattina, fermandosi solo quando il ragazzo si serrò dentro un’aula vuota, dove venne raggiunto poco dopo da un coetaneo di Corvonero.
“Secondo te cosa stanno facendo?”domandò John ansimante, osservando la superficie lucida della porta dove i due ragazzi erano spariti.
Sherlock nascose a stento un sorrisetto, studiandolo di sottecchi “Credo che sia arrivato il momento si scoprirlo” decretò, facendo un balzo avanti verso la classe.
Aspettò che John gli fu dietro e poi spalancò l’ingresso con forza, precipitandosi al suo interno come una furia.
John, alle sue spalle, non potè trattenersi dal sussultare davanti alla scena che gli si presentò davanti agli occhi; i due ragazzi trasalirono spaventati, separandosi di scatto all’ingresso del Serpeverde, ma osservando gli abiti in disordine, le cravatte slegate, i volti arrossati e ansimanti, non ci vollero le capacità di Sherlock per comprendere cosa stessero facendo prima di essere interrotti.
“Sherlock!” tuonò Gregory dopo un primo attimo di smarrimento, chiudendosi la cintura dei pantaloni e recuperando da terra il maglione nero che si era sfilato “che diamine ci fai tu qui?” ringhiò, spostando lo sguardo dal Serpeverde a John, che imbarazzato come era stato poche volte nella su vita, fissava ostinatamente le proprie scarpe.
“Buon giorno, Lestrade” lo salutò pacatamente Sherlock, assolutamente a proprio agio “mi dispiace di aver interrotto le vostre, emh…attività” ghignò, mentre il povero Corvonero soffocava a stento un gemito “temo di aver sbagliato aula” concluse, mentre la smorfia sul volto del Grifondoro si trasformava in un ringhio minaccioso.
“Holmes!”tuonò, facendo un passo in avanti, mentre Sherlock usciva nuovamente nel corridoio, trascinando John con sé.
“Dubito che ci farebbe davvero del male, ma non penso sia il caso di metterlo alla prova” constatò, afferrando John per un polso e ricominciando a correre lungo il corridoio.
Corsero a perdifiato finchè non si ritrovarono dalla parte opposta del castello, dove finalmente Sherlock decise di fermarsi, appoggiandosi al muro.
“Ma che diamine significa?”ansimò John, accasciandosi al suolo “perché…cosa…che facevamo lì?”
 “Oh, solo per passare il tempo” tossì Sherlock, rivolgendo uno sguardo veloce all’amico “e per dimostrare una cosa”
“Che cosa?”
“Tu” rispose tranquillamente il Serpeverde, lasciando John totalmente senza parole.
“Quindi Lestrade non era davvero sospettato?” domandò titubante, sotto lo sguardo assolutamente divertito di Sherlock.
“Oh, assolutamente no; diciamo che gli ho messo i bastoni tra le ruote perché dovevo un piacere a una persona” liquidò velocemente, facendo un cenno noncurante con la mano.
John lo osservò sconvolto “Sherlock!Tu mi hai fatto correre per tutta Hogwarts, pedinando per tutta la mattina un ragazzo, interrompendolo mentre stava per fare sesso e rischiando così un pestaggio, senza che ce ne fosse la minima necessità?”
Sherlock lo osservò per qualche secondo “Come ti senti ora, John?”
John si rimise in piedi, cappeggiando Sherlock con sicurezza “Non mi seno mai sentito meglio di così” ammise, mentre un ghigno complice increspava le labbra di entrambi.
John si poggiò nuovamente al muro, vicino a Sherlock e senza riuscire a trattenersi scoppiarono entrambi in una fragorosa risata.

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Capitolo 2
*** 2.1 L'ippogrifo cieco ***


Scusate l’ora tarda, ma sono appena rientrata a casa!^ ^”
Come promesso eccovi il secondo capitolo che, come i successivi paragrafi che pubblicherò, ho dovuto dividere il due parti per una questione di lunghezza!
Per prima cosa voglio ringraziare Maya98 per la gentilissima recensione, tutti coloro che hanno  aggiunto la storia tra le preferite, seguite o ricordate e anche solo chi l’ha letta!
Alla prossima!
Buona lettura,
Becky
 
Capitolo 2.1  L’ippogrifo cieco
 
Probabilmente chiunque vedendo il proprio migliore amico comodamente abbandonato a terra al centro del corridoio, avvolto in un’elegante vestaglia blu, intento a scagliare incantesimi contro il muro che gli stava davanti, si sarebbe preoccupato, ma non John.
Ormai il Grifondoro si era abituato al carattere e agli atteggiamenti stravaganti di Sherlock e così, semplicemente, dopo aver preso un lungo respiro per distendere i nervi ed essersi passato un paio di volte la mano sugli occhi stanchi, si limitò ad accucciarsi accanto al Serpeverde.
“Sherlock, cosa stai facendo?” domandò rassegnato, decidendo di ignorare, almeno per il momento, il fatto che il suo migliore amico andasse in giro per la scuola in pigiama.
“Mi annoio” esclamò Sherlock, lanciando un'altra maledizione al muro “mi annoio, mi annoio, mi annoio!” urlò esasperato, gettando ogni volta un nuovo incantesimo per ribadire il concetto.
John strizzò gli occhi, infastidito dal il rumore molesto, aspettando che l’amico si decidesse a farla finita “Non credo che il muro abbia colpa per questo” osservò sarcastico, strappando un mezzo ghigno a Sherlock.
“Il muro se l’è meritato”
“Sherlock, abbassa la bacchetta, l’ultima cosa di cui hai bisogno è una punizione. E poi vorresti spiegarmi perché non sei vestito?”
“Preferirei essere a punizione, almeno avrei qualcosa da fare!” si lamentò Sherlock storcendo il naso “possibile che non succeda mai nulla in questo posto?”
“Ti rendi conto che non è trascorsa nemmeno una settimana dal caso di Thaddeus Sholto?”* gli fece notare John, ricordandogli l’ultimo caso su cui avevano lavorato, mentre Sherlock, sospirando con aria infastidita, prendeva nuovamente la mira davanti a sé.
“Sei giorni, Jawn” bisbigliò con voce sepolcrale “sei giorni di noia assoluta! Non posso restarmene a fare niente per tanto tempo!Il mio cervello ha bisogno di stimoli costanti!A volte vorrei avere una mente semplice e limitata come la tua…”
“Allora tieniti impegnato come fanno tutte le persone normali!” sbottò John, ignorando l’ultima affermazione del ragazzo “leggi un libro, fai una passeggiata, vieni con me a bere una tazza di tè”
“Noioso, noioso, non ho sete” replicò velocemente Sherlock, mantenendo lo sguardo rivolto al muro.
John alzò le mani in segno di resa, mentre si rimetteva in piedi e si sgranchiva le gambe “Allora sai cosa ti dico” esclamò con voce stanca “resta qui a sfogarti sulla parete, io ci rinuncio” esclamò, voltando le spalle al ragazzo che finalmente si decise ad osservarlo.
“Dove stai andando, Jawn?”
“Torno in sala comune, Sherlock” la voce di John era più acuta e incerta del solito “non ho intenzione di trascorrere la mia domenica a dar corda a un bambino viziato in astinenza di attenzioni!”
Sherlock inarcò un sopracciglio, osservando il Grifondoro di sottecchi, studiandolo “Sei irritato” constatò con voce pacata, mentre John sbuffava, tremante di rabbia.
“Indovina di chi è la colpa, Sherlock!” scoppiò il ragazzo.
“Ho bisogno di un caso, Jawn!” gli urlò dietro lui, con voce triste e affranta.
“E io cosa posso farci? Vuoi che mi metta a uccidere studenti a casaccio così che tu possa tenerti impegnato?”domandò ironico, fermandosi a pochi passi da Sherlock, che assunse un’espressione schifata.
“Certo che no, John! Non riusciresti a distrarmi per più di dieci minuti, tempo che impiegherei a risolvere qualsiasi delitto commesso da una mente ingenua e semplice come la tua, non varrebbe la pena di farsi espellere per un caso da due o da tre; però, insomma, è stato un pensiero…era ok” biascicò Sherlock, evitando di guardare in faccia John, durante quello forse poteva essere considerato uno strano ringraziamento, che totalmente senza parole si domandò se davvero l’amico non avesse compreso che era solo una battuta.
“Sherlock, io…”
“Sherlock Holmes?” una voce calda e profonda invase il corridoio, interrompendo John, che si voltò verso le scale per individuarne la fonte; a parlare era stato un ragazzo che il Grifondoro aveva incrociato più volte a scuola, era un Serpeverde del sesto anno, se non sbagliava e se non ricordava male doveva chiamarsi…
“Sebastian Moran” si presentò lo sconosciuto, porgendo con un sorriso cortese la mano a Sherlock che, dopo averlo osservato per alcuni istanti, tornò a rivolgere al muro il proprio interesse.
“Emh, John Watson, piacere” si affrettò John, afferrando la mano di Sebastian con un sorriso.
“Piacere mio” replicò tranquillamente, mentre Sherlock sbuffava sonoramente “mi dispiace interrompervi, ma se sono qui è per…”
“Per un motivo di estrema importanza, immagino” lo canzonò Sherlock, rivolgendogli uno sguardo veloce “avanti, parla”
Sebastian parve leggermente stupito, ma fece come gli era stato ordinato, senza soffermarsi troppo sulla totale mancanza di buone maniere del compagno di casa “Ho sentito dire che è merito tuo se Thaddeus Sholto è stato scagionato” iniziò cautamente, mantenendo lo sguardo puntato su Sherlock.
“Cosa vuoi?” lo interruppe velocemente il Serpeverde, invitandolo a parlare.
“Il tuo aiuto; sono stato accusato di aver rubato il diadema perduto di Priscilla Corvonero”
“Accusato da chi?”domandò Sherlock, senza scomporsi.
Sebastian sospirò un paio di volte, passandosi nervosamente una mano tra i capelli corvini “Non potrei parlarne” esordì, facendo sospirare per l’ennesima volta Sherlock “esiste un’organizzazione, qui a scuola, che si occupa di ritrovare alcune reliquie di Hogwarts”
“Cosa?” s’intromise John, notevolmente sorpreso “non ne ho mai sentito parlare?Il preside…”
“Non è il preside ad  occuparsene” lo anticipò Sebastian, sempre più irrequieto “ma uno studente, di cui non si conosce l’identità” aggiunse prontamente “non l’ho mai visto e non ne conosco il nome, mi dice semplicemente di quali cimeli devo occuparmi attraverso alcuni segnali che lascia per la scuola, si tratta di messaggi criptati che incide con un incantesimo in luoghi prestabiliti”
“Come hai fatto a essere assunto per questi compiti?”
“Sono stato contattato alcuni mesi fa, dopo un allenamento al club dei duellanti,  da una studentessa che mi ha domandato se volessi svolgere alcuni compiti, sotto compenso”
“Dove finiscono i manufatti che recuperate?” chiese Sherlock, che fino a quel momento era rimasto in silenzio.
“Non lo so con precisione; una volta che ho trovato l’oggetto che mi era stato assegnato lascio un segnale sul muro davanti all’ingresso della guferia e poche ore dopo vengo contattato dalla ragazza di cui vi ho parlato che viene a ritirarlo lasciandomi il denaro,, dopo di che non ne so più nulla, ma” continuò con aria titubante  “se devo essere sincero credo che una volta recuperati escano da Hogwarts” ammise con aria colpevole.
“Non hai mai desiderato di metterti in contatto con chi è a capo di questo gruppo? O con altri componenti?” domandò nuovamente Sherlock, ancora abbandonato a terra.
“Fin dall’inizio mi è stata ordinata la massima discrezione e segretezza, se si viene a meno di questa promessa si è fuori e, insomma” aggiunse imbarazzato “quei soldi mi facevano davvero comodo, per cui…”
“Ma non è possibile che una cosa del genere accada proprio sotto il naso del preside” esclamò John sconvolto, mentre Sherlock sbuffava sarcastico.
“John, ti stupiresti di scoprire tutto quello che accade proprio davanti al nostro caro preside e di cui lui non si accorge minimamente, o finge di non vedere; in ogni caso, Moran” continuò, rivolgendosi nuovamente al ragazzo “sei stato accusato di aver rubato il diadema di Priscilla, quindi devo supporre che era l’oggetto che ti era stato chiesto di trovare”
“Esattamente” confermò Sebastian “ma non sono riuscito a recuperarlo; ci viene concesso un limite di tempo, a seconda del pezzo in questione e se, una volta  scaduto, il cimelio non viene trovato, ne viene affidato un altro; per il diadema mi erano stati dati quattro mesi, che sono terminati alcuni giorni fa. Non ne ho trovato alcuna traccia, ma al termine del tempo è apparso  un messaggio di minaccia in cui si ordinava di restituire l’oggetto o avrei avuto dei problemi” 
“Capisco” sospirò Sherlock, analizzando per un’ultima volta il cliente, che sempre più disperato continuò a pregare Sherlock.
“Mi devi aiutare” lo supplicò “con questi non si scherza e io non voglio avere problemi per una cosa che non h fatto, soprattutto con gente del genere! Mi aiuterai?” 
Sherlock parve rifletterci su per qualche secondo, prima di rispondere con un secco “Non mi interessa e comunque non ho tempo” che colse John totalmente alla sprovvista.
“Ed ora” aggiunse, alzandosi in piedi “se volete scusarmi, ho da fare” sbottò, allontanandosi dal corridoio a grandi falcate, lasciando i due compagni senza parole.
“Mi avevano detto che sarebbe stato difficile convincerlo” ammise Sebastian con rammarico, passandosi stancamente una mano tra i capelli “il problema è che senza il suo aiuto… io non ho fatto nulla, non ho mai rubato quella tiara!” esclamò frustrato e John non potè fare altro che provare una grande pena per lui.
“Senti” sussurrò, posandogli una mano sulla spalla “perché non mi spieghi tutto con più attenzione? Non posso prometterti di riuscire a convincerlo, ma forse se avesse più elementi potrebbe interessarsi alle indagini”propose con un sorriso gentile, al quale Sebastian rispose con sollievo.
 
Sebastian e John parlarono del caso per buona parte della mattinata e il Grifondoro offrì il proprio aiuto al ragazzo, promettendogli che avrebbe fatto del suo meglio per persuadere Sherlock ad accettarlo e chiedendogli di rincontrarsi quella sera stessa per  continuare le indagini.
Sebastian parve francamente grato a John e incredibilmente sollevato per le sue precarie sorti; aveva più volte sentito parlare del carattere impossibile e capriccioso di Sherlock Holmes, ma non avrebbe mai pensato di poter incontrare una persona tanto generosa e buona come John Watson.
Da sempre tra Serpeverde e Grifondoro non scorreva buon sangue e spesso Moran si era trovato a infastidire e provocare differenti studenti di quella casa, con il solo scopo di divertirsi e invece ora non poteva fare a meno di ricredersi, davanti a quel ragazzo che aveva immediatamente accettato di aiutare uno sconosciuto, senza compenso o secondi fini, immischiandosi lui stesso con persone con cui era meglio stare alla larga.
Si salutarono alcune ore più tardi e John partì immediatamente alla ricerca di Sherlock, deciso come non mai a farlo ragionare e lo trovò a bighellonare in Sala Grande.
“Hai finito di andare in giro con Moran?” domandò seccato il moro, non appena John prese posto accanto a lui, osservando con aria annoiata la tazza di tè che stringeva in mano.
“Stavo solo cercando di aiutarlo, Sherlock”
“Stai pensando di prendere il suo caso?” domandò sarcasticamente Sherlock, il viso imbronciato e l’aria stizzita.
 “No, ho solo deciso di ascoltare ciò che aveva da dire” sospirò John con esasperazione, versandosi a sua volta una tazza di tè; era proprio quello che serviva per affrontare una discussione con uno Sherlock Holmes offeso e oltraggiato.
“Oh, capisco!” esalò il Serpeverde “ti ha chiesto di convincermi ad aiutarlo”
“Sebastian non mi ha chiesto nulla” ribatté John irritato, accrescendo involontariamente la presa sulla tazza “è stata una mia idea; Sherlock, quel ragazzo non ha fatto nulla di male e ha bisogno della tua assistenza”
“John, questo caso non mi riguarda in alcun modo” obiettò Sherlock, decidendosi finalmente di sollevare gli occhi sull’amico.
“Come puoi dire una cosa del genere, quando un ragazzo, un tuo compagno di casa per di più, ha bisogno di una mano?”
“Non ho intenzione di lasciarmi immischiare e ti consiglio di fare lo stesso” concluse Sherlock, deciso a chiudere una volta per tutte quel discorso.
“Bè, io non lascerò quel ragazzo in un guaio più grande di lui, troverò il modo di aiutarlo, da solo” replicò John, cercando di mostrarsi più sicuro di quanto in realtà non si sentisse; sapeva che senza l’intervento di Sherlock avrebbe potuto fare ben poco per Moran, ma non lo avrebbe lasciato solo per nessun motivo.
Sherlock scoppiò in una breve risata amara, trasformando lo sguardo di puro rimprovero in uno compassionevole, che fece ribollire il sangue di John nelle vene “E come credi di riuscirci?” lo canzonò, visibilmente divertito.
“Troverò il modo” esclamò John offeso, abbandonando il tè ancora fumante e alzandosi da tavola più nervoso che mai; non sarebbe rimasto un secondo di più a farsi sbeffeggiare da Sherlock.
“Stai davvero andando da lui?” domandò sdegnato, mentre l’amico si allontanava a grandi passi.
“Sì, gli dirò che tu non hai intenzione di muovere un dito per lui, ma che può comunque contare su di me” gli urlò da una certa distanza, stringendo le mani a pugno e contraendo la mascella, pronto a scattare ad ogni offesa che il Serpeverde avrebbe avanzato.
Ma Sherlock si limitò a sbuffare sonoramente, nascondendo il volto dietro alla tazzina di porcellana, prendendo un lungo sorso di tè, prima di esibirsi nel suo famoso broncio.
 
John non lo vide per tutto il pomeriggio e non lo incontrò nemmeno a cena quella sera, così che dovette aspettare il mattino successivo, quando lo trovò ad aspettarlo davanti al ritratto della Signora Grassa, prima di riuscire a parlargli nuovamente.
“Sherlock! Cosa ci fai qui?” domandò John sorpreso, salutando con un cenno Taylor e Eric, che si affrettarono a colazione, ma non prima di scoccare a Sherlock un’occhiata ostile e infastidita; non era un segreto che non riuscissero a sopportarsi.
“Non dovresti saltare le lezioni per sprecare il tuo tempo con lui” ribattè il Serpeverde con serietà, anticipando lungo il corridoio John, che non si chiese nemmeno come l’amico avesse dedotto le sue intenzioni.
“Ieri sera mi ha pregato di passare con lui la mattinata, per parlare” spiegò tranquillamente “e visto che non ho praticamente fatto nessuna assenza questo mese, ho pensato di poter marinare le lezioni per una volta”
“E in che modo una piacevole chiacchierata potrebbe aiutarlo?” s’informò con finto interesse Sherlock, che osservava il Grifondoro con aria severa e infastidita.
“È preoccupato, Sherlock” spiegò pazientemente John “e a quanto mi ha detto non ha nessuno con cui confidarsi; per le persone comuni potersi anche solo sfogare con un amico è già un grande aiuto” aggiunse, restando tuttavia consapevole del fatto che provare a far comprendere a Sherlock qualcosa riguardo ai sentimenti era solo una perdita di tempo
“È inutile sprecare  in questo modo il tuo tempo” insistette infatti Sherlock, indispettito.
“Se tu avessi accettato il caso non sarebbe una perdita di tempo” puntualizzò velocemente John, sorridendo davanti allo sbuffo rassegnato di Sherlock.
“ Puoi dire a Moran che indagherò su questa faccenda” si arrese il Serpeverde, dopo pochi secondi di silenzio combattuto
“Fantastico!” esclamò allegramente John, illuminandosi di un sorriso tanto sincero e felice che riuscì a contagiare anche Sherlock “vado subito ad avvisare Sebastian!” aggiunse velocemente, affrettando il passo lungo il corridoio, ma Sherlock lo fermò prontamente, afferrandolo con forza per un polso.
“Non penso proprio!” ribatté, rafforzando la presa sul polso del ragazzo, che lo osservava perplesso
“non sarà necessario vederlo ulteriormente” spiegò con serietà, trafiggendo John con uno sguardo ammonitore “ho tutti gli elementi necessari per concludere le indagini e la presenza di Moran sarebbe solo un impiccio per entrambi”
“Io…”  iniziò il Grifondoro con titubanza, indeciso sul da farsi; era innegabile che la presenza di Sebastian indispettiva Sherlock, non era certo necessario possedere le sue grandi doti deduttive per accorgersi che tra i due non scorreva buon sangue, ma questo non significava che anche John non avrebbe dovuto frequentarlo “capisco che tu preferisca non vederlo troppo” iniziò con voce titubante “ma non vedo perché anche io non possa più incontrarlo; dovrei almeno dirgli che hai accettato di aiutarlo”
“Molto bene” esclamò Sherlock con sicurezza “vorrà dire che più tardi potrai mandargli un biglietto per tenerlo aggiornato sul caso, anzi, dal momento che dividiamo la sala comune sarebbe decisamente più pratico che me ne occupassi di persona” continuò con un sorrisetto soddisfatto “tutto ciò di cui tu ti devi preoccupare è aiutarmi nelle indagini” aggiunse, mentre John annuiva confuso.
“Co-come preferisci” balbettò incerto, mentre sul volto di Sherlock appariva l’accenno di un ghigno.
“Molto bene Jawn” esclamò allegramente, voltandosi velocemente sui tacchi “dal momento che avevi già intenzione di non presentarti a lezione possiamo subito iniziare con le indagini, giusto?”domandò, facendo scorrere la mano lungo il polso dell’amico, per poi afferrargli con decisione la mano e tirarlo verso di sé, deciso a farsi seguire.
Fu in  quel momento che John si rese conto della presa del ragazzo su di sé e, senza saperne la ragione, si trovò ad allontanare la mano da quella di Sherlock, scostandola con violenza, come se si fosse bruciato; Sherlock si voltò ad osservarlo con aria perplessa e interrogativa e John si trovò ad arrossire impietosamente davanti a quello sguardo indagatore.
“Andiamo” sospirò solamente, superando Sherlock e anticipandolo lungo il corridoio, ripetendosi nella mente che aveva avuto una reazione del tutto adeguata alla circostanza; insomma, non era normale per due ragazzi camminare mano nella mano lungo i corridoio, dove chiunque avrebbe potuto vederli!
 
Fu quello l’inizio della settimana più pesante e stancante che John avesse mai sopportato in vita sua. Sherlock lo stava letteralmente schiavizzando, assegnandogli qualsiasi genere di compito che lo teneva occupato in ogni suo momento libero, impedendogli di svolgere qualsiasi altra attività  all’infuori del frequentare le lezioni più pesanti, dal momento che Sherlock aveva deciso che per lui sarebbe stato inutile perdere tempo seguendo anche Erbologia, Astronomia e Divinazione, materie che il Serpeverde riteneva francamente inutili e che John si trovò costretto a studiare di notte, quando finalmente Sherlock gli concedeva di tornare in dormitorio.
E così, dopo sette giorni di privazione di cibo e sonno, passati a correre in lungo e in largo per Hogwarts, a svolgere compiti sfiancante e snervanti e a cercare di trovare il tempo per studiare qualcosa per i G.U.F.O., tanto per riuscire a non rimare bocciato, John era ridotto ad un ammasso dolorante di sconforto e fatica.
Non che non avesse cercato di sottrarsi a quel trattamento decisamente insostenibile e ingiusto, ma quando aveva cercato di far ragionare il moro, facendogli  notare che poteva benissimo andarsi a cercare da solo la sua dannatissima sciarpa che aveva perso il giorno prima nel mezzo della foresta proibita,- che poi cosa diamine ci era andato a fare nella foresta proibita?-, il migliore amico non si era fatto alcun problema a fulminalo con lo sguardo, ricordandogli che se avevano accettato quel caso era solo per voler suo e che quindi, dal momento che la salute di quel Moran sembrava stargli tanto a cuore, doveva lamentarsi di meno ed impegnarsi di più.
Sebastian, tra l’altro, riuscì ben presto a diventare una nuova fonte di stress per il povero John, che se lo ritrovava vicino ovunque e in qualsiasi momento, a pregarlo con aria sconfortata di poter discutere un po’ riguardo alle indagini; al Grifondoro dispiaceva davvero dover rifiutare ogni invito che il ragazzo avanzava, soprattutto perché poteva immaginare la tensione che provava in quel momento e la mancanza di qualcuno con cui alleggerire un tale nervosismo, ma anche volendo non avrebbe potuto fare diversamente.
“Mi dispiace davvero, Seb” si scusò per la millesima volta John con voce triste, camminando, o meglio, arrancando verso l’aula di incantesimi “immagino che tu abbia bisogno di qualcuno con cui sfogarti, ma in questi gironi sono così impegnato; tra la scuola e il caso non ho proprio un secondo di pace”
“Lo so, lo capisco” biascicò Sebastian con sconforto, chinando il capo verso terra “sono io che devo scusarmi, continuo a importunarti, è solo che…”
“No, non devi giustificarti, davvero” lo interruppe John velocemente “vorrei davvero riuscire a starti più vicino…”
“Ma Sherlock ti vuole tenere tutto per sé” lo interruppe Sebastian, irrompendo in una risatina tesa, facendo avvampare John per l’imbarazzo.
“No!” tuonò velocemente, scuotendo con decisione il capo “Sherlock vuole solo che lo aiuti con il caso, ma non…noi non stiamo insieme” boccheggiò, mentre Sebastian gli sorrideva cordiale.
“Scherzavo John, tranquillo” lo tranquillizzò con un sorriso, assestandogli una pacca amichevole sulle spalle “so che state entrambi lavorando molto per aiutami e ve ne sono grato, ma se qualche sera hai voglia di una burrobirra o di fare due chiacchiere sai dove trovarmi!” lo salutò il Serpeverde, allontanandosi poi da John, che si affrettò verso la lezione.
Con uno sbadiglio stanco iniziò a salire la rampa di scale, pregando di riuscire ad arrivare in orario, per una volta, ma si trovò immediatamente ad imprecare ad alta voce quando si accorse che le scale avevano deciso, all’ultimo secondo, di cambiare tragitto.
“No, no, no!” esclamò incredulo “vi prego, non potete cambiare proprio ora, non posso fare ancora tardi!”  le supplicò incredulo, venendo naturalmente ignorato dalle  scale, che si sistemarono con un leggero pop ad un nuovo pianerottolo, che John si affrettò a raggiungere, evitando così di rischiare di trovarsi ancora più lontano dall’aula di incantesimi.
Aveva appena messo piede sul nuovo pianerottolo che le scale decisero di spostarsi nuovamente, lasciandolo senza altra possibilità all’infuori del percorrere il corridoio che si trovava davanti.
Camminò per alcuni minuti lungo il passaggio deserto, il suono dei suoi passi che rimbombavano intorno a  lui, sbuffando di quando in quando per la triste sorte che gli era capitata, quando un’ombra a pochi metri da lui lo costrinse a fermarsi.
Si trattava di un ragazzo, un Serpeverde, che John non ricordava di aver mai visto prima di allora; probabilmente era più grande.
“Buon giorno, John Watson” lo salutò con cortesia il possessore dell’ombra, avvicinandosi al ragazzo con una mano tesa nella sua direzione e un sorriso inquietante stampato sul volto “è davvero un piacere conoscerti” aggiunse.
“Il piacere è mio” balbettò John, più per un riflesso imposto da anni di buone maniere che per vero sentimento, mentre una forte confusione lo attanagliava; afferrò la mano dello sconosciuto, il cui sorriso si allargò immediatamente, soddisfatto.
“Mi rincresce averti dovuto far perdere la tua lezione di incantesimi” continuò il ragazzo, separandosi da John “ma sono certo che non si tratti di un vero problema, considerando tutte le lezioni a cui non ti sei presentato in questa settimana” ridacchiò.
John sgranò gli occhi, colto alla sprovvista “Chi sei tu?” domandò, sorpreso e allarmato allo stesso tempo.
“Dimmi un po’, Watson” continuò tranquillamente il moro, ignorando deliberatamente la domanda che gli era stata posta “in che rapporti sei con Sherlock Holmes?” chiese a bruciapelo, facendo innervosire ulteriormente John, che si trovò a stringere convulsamente la mano destra, pronto a tutto.
“Chi sei tu?” ribadì nuovamente, scandendo bene le parole; il ragazzo si limitò ad osservarlo con aria incuriosita, prima di porgergli nuovamente la stessa domanda, facendolo sbuffare.
“Siamo amici” si arrese infine, spostando lo sguardo lungo il corridoio, evitando così di vedere il volto irritante del Serpeverde, che aveva ricominciato a sorridere.
“Lo aiuti nelle sue indagini” constatò con tranquillità “siete amici o colleghi?”
“Entrambi” rispose John “chi sei tu?” ripetè nuovamente, puntando gli occhi in quelli neri del ragazzo **“immagino che tu non sia un suo amico” continuò, mentre lo sconosciuto sospirava.
“Lo conosci. Quanti amici credi che abbia?”replicò tranquillamente quello “ma, a quanto sembra, tu sei diverso, non è vero?”
John si irrigidì, deciso a non distogliere lo sguardo da quello decisamente interessato del Serpeverde, che lo analizzava con minuziosa attenzione “e questo potrebbe non essere un male, giusto?” continuò “potremmo guadagnaci entrambi da questa vicinanza”
“Di cosa stai parlando?”
“Sarei felice di aiutarti, facendoti avere a intervalli regolari una certa somma di denaro” esclamò tranquillamente, senza scomporsi davanti allo sguardo minaccioso di John “certo, in cambio mi aspetterei un qualche servizio”** aggiunse con un sorrisetto malizioso che non fece altro che far innervosire ulteriormente il ragazzo “informazioni, per la precisione; informazioni su Sherlock Holmes”
John lo fulminò con lo sguardo, chiudendo la mano a pugno, al limite della sopportazione; chi diamine era quel ragazzo? E chi si credeva di essere?
“No” rispose secco, facendo sparire l’irritante sorrisetto dal volto dell’atro, che si fece immediatamente serio “Non so chi tu sia e chi tu ti creda di essere, ma non voglio che provi ad avvicinarmi ancora; non sono in vendita e non lo sarò mai, per nessuno e per nessuna cifra” specificò, mentre l’altro, con sua grande gioia, s’irrigidiva visibilmente “e ti conviene stare alla larga sia da me che da Sherlock Holmes” aggiunse minaccioso.
“Stai facendo un errore”
“Ne dubito” lo contraddisse John “ed ora, se mi vuoi scusare, devo tornare a lezione”
“Un ultima cosa” lo fermò il Serpeverde, costringendo John a restare fermo al suo posto “dì a Sherlock che non è consigliabile per lui continuare a investigare su questo caso; farebbe meglio a lasciar perdere e lo stesso vale per te, Watson” aggiunse, con serietà; John sostenne il suo sguardo a lungo, senza aggiungere nulla, prima di girare sui tacchi e allontanarsi con passo tranquillo e sostenuto da dove era arrivato, deciso a non dar retta un secondo di più alle parole di quel ragazzo.
Raggiunse il termine del corridoio, scoprendo con sollievo che le scale erano tornate al loro posto, così da permettergli di arrivare al piano inferiore, nuovamente affollato dagli studenti che, terminate le lezioni, si spostavano lungo i corridoi.
John si mischiò velocemente alla folla, prima di iniziare a correre a perdifiato verso la Sala Grande, rendendosi conto solo in quel momento di quanto si sentisse nervoso ed eccitato.
Aveva quasi raggiunto l’ingresso, quando percepì una presa ferrea avvolgersi sul suo braccio, costringendolo a fermarsi; l’immagine dello sconosciuto gli attraversò la mente, insieme all’idea di una possibile aggressione, che lo portò a reagire d’istinto, facendogli stringere le dita in un pungo e sollevare il braccio, nello stesso momento in cui iniziò a voltarsi, pronto a colpire quell’irritante stronzo.
Fu con una certa sorpresa che riconobbe davanti a sé il viso perplesso di Sherlock, che bloccò senza grandi problemi il suo colpo, afferrando la mano nella sua, con cui poi lo costrinse ad abbassare il braccio.
“Jawn” lo chiamò sorpreso, mentre il ragazzo lo fissava con occhi sgranati, il respiro affannato e il corpo ancora rigido.
“Dannazione Sherlock” sospirò John, liberando finalmente la mano, per poi passarsela sugli occhi “mi hai spaventato”
“Pensavi volessi aggredirti” constatò il Serpeverde, facendo scorrere lo sguardo sul copro affannato dal Grifondoro “non eri a lezione oggi, non avresti mai saltato un’altra ora senza un motivo valido, eppure qualcosa ti ha tenuto occupato per tutto il tempo, qualcosa di non molto piacevole considerando quanto tu sia teso e irrigidito; inoltre stavi correndo a perdifiato lungo il corridoio, verso la sala Grande, volevi parlarmi?” s’interrogò, socchiudendo gli occhi “sì, volevi raccontarmi ciò che ti è successo, o meglio, chi hai incontrato, immagino la stessa persona che credevi volesse aggredirti proprio ora” concluse Sherlock e John non riuscì a impedirsi di sorridere, ammirato davanti al flusso di pensieri che il suo amico aveva espresso ad alta voce, che, come sempre, lo avevano portato alla deduzione corretta.
**“Ho incontrato un tuo amico” biascicò John sarcastico, ancora intento a riprendere fiato, mentre lo sguardo di Sherlock si faceva sconvolto e incredulo.
“Un amico?”domandò con voce stridula, costringendo John a correggersi.
“Un nemico”
“Oh” sospirò Sherlock più tranquillo, facendosi pensieroso per alcuni istanti “ti ha offerto del denaro per spiarmi?” domandò infine.
“Già” sospirò John “non l’ho accettato”** aggiunse subito dopo, deciso a mettere in chiaro le cose; Sherlock sorrise impercettibilmente “mi ha anche chiesto di dissuaderti dal continuare a investigare su questo caso” aggiunse John, titubante, ma Sherlock non sembrò nemmeno averlo sentito e iniziò a camminare, guidando John verso l’ingresso, ignorando la Sala Grande.
“Le minacce ti spaventano, Jawn?” domandò solamente.
John ridacchiò appena, scuotendo il capo con convinzione “No” rispose con sincerità e Sherlock gli restituì un sorrisetto soddisfatto; sapeva che era la verità, non era spaventato, al massimo si poteva dire eccitato.
Decisamente troppo eccitato. Aggiunse tra sé Sherlock; lo scontro/incontro che John aveva avuto sembrava averlo rinvigorito notevolmente, restituendogli l’energia, la vitalità e la voglia di vivere  che con tanta fatica Sherlock era riuscito a sottrargli in quei giorni di oppressio… emh, indagini.
“Ora Jawn” esclamò allegramente, spingendo il ragazzo verso i limiti della foresta “devi tornare a concentrarti; devi raccogliere dei particolari fiori dai petali bianchi e neri che crescono nella foresta, mi servono per un esperimento” aggiunse prontamente “quando avrai finito potrai iniziare a interrogare i personaggi dei quadri adiacenti alla guferia e ai sotterranei di Serpeverde, per vedere se qualcuno di loro ha informazioni riguardo alla persona che rispondeva ai messaggi segreti di Moran”
John si trovò a sbiancare di fronte a quella richiesta, totalmente sconvolto “Sherlock, ho lezione questo pomeriggio!”gli ricordò, sperando di farlo ragionare.
“Per l’inizio delle lezioni pomeridiane sarai già riuscito a recuperare i fiori” lo rassicurò lui, sorridendo appena “per quanto riguarda il resto, puoi occupartene dopo le cinque” aggiunse, sorridendo affabilmente alle proteste scocciate di John.
“Tanto vale che rinunci fin da subito alla mia vita sociale” si lamentò, addentrandosi tra i primi alberi della foresta, mentre Sherlock lo seguiva con lo sguardo; finalmente John aveva capito l’antifona.
 
Note:
*Riferimento a “Il segno dei quatro”
** Dialoghi da “Uno studio in rosa”
 
Eccoci arrivati alla fine del capitolo!Mi dispiace dovervi lasciare così in sospeso, ma tranquilli, giovedì pubblicherò la seconda!=) un bel regalo per chi indovina chi c’è dietro!u.u
Un saluto a tutti!
Becky.
 

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Capitolo 3
*** 2.2 L'ippogrifo cieco ***


Buona sera! Come promesso eccovi puntuale, puntuale, la seconda parte del capitolo, che spero vi piacerà!Come sempre un ringraziamento speciale a Maya, che ha recensito la storia e un grazie anche a chi l’ha solo letta!
Inoltre ho deciso di pubblicare questa bellissima fan art come “regalo” che dedico sempre a Maya, per tutto il sostegno che mi sta dando e per aver cercato di indovinare chi era il colpevole del delitto!u.u
 Mi farebbe piacere se mi deste il vostro parere riguardo alla fan art (magari anche riguardo alla fan fiction!XD), che ha fatto per me una mia carissima amica, che ringrazio ancora!
Ok, ora vi lascio al capitolo!Buona lettura,
Becky
 
p.s. Come sempre non sono riuscita a rileggere il capitolo, quindi vi prego di segnalarmi ogni possibile strafalcione! Vi prometto che da lunedì non accadrà più, visto che sono riuscita a liberarmi da diversi impegni!
 
 
































Capitolo 2.2 L’ippogrifo cieco
 
Dopo un’altra settimana di indagini, le cose per John erano solo peggiorate.
Si era letteralmente fatto in quattro per il caso, interrogando alcuni ragazzi che Sherlock gli aveva indicato come probabili componenti del gruppo clandestino, tutti ragazzi incredibilmente brillanti e atletici dai quali non riuscì ad ottenere alcuna informazione, facendo ricerche continue sul diadema perduto, aiutato spesso da Sebastian, che aveva passato quattro mesi a studiare ogni libro riguardante la storia della scuola nella speranza di ottenere un indizio su dove sarebbe potuto trovarsi e  appostandosi quasi ogni notte in luoghi differenti della scuola, nella speranza di incastrare l’artefice dei messaggi con cui i ragazzi e il capo dell’associazione comunicavano.
Scoprì ben presto che i messaggi venivano impressi sul muro grazie a un incantesimo che aveva durata massima di un’ora, prima di sparire senza lasciare nessuna traccia; si trattava di una serie di rune, ognuna corrispondente ad un numero, che indicavano la data prevista per la consegna, la ricompensa che sarebbe stata concessa e, infine, l’oggetto da recuperare.
Quest’ultimo veniva stabilito attraverso l’ultima serie di numeri che indicavano, nell’ordine, una pagina, una riga e una parola da cercare in Storia di Hogwarts.
Tuttavia John non riuscì mai a cogliere in flagrante il responsabile dei messaggi, che sembrava incantare il muro in precedenza, in modo tale che il messaggio risultasse visibile solo diverse ore dopo.
Ma ciò che davvero rattristava John era il non essere riuscito a trovare una sola prova che confermasse l’innocenza di Sebastian e se Sherlock sembrava più interessato a mettere i bastoni tra le ruote alla misteriosa associazione, deciso a dimostrarne l’esistenza, trascurando del tutto le sorti di Sebastian, John stava facendo davvero tutto il possibile per lui.
 
Quello era infatti il primo giorno libero che aveva deciso di concedersi dopo due settimane di lavoro costante, spinto anche dal volere di Sebastian che lo aveva convinto che un pomeriggio di riposo non gli avrebbe fatto altro che bene.
Così quella mattinata si era permesso di  trascorrerla a letto, in un piacevole stato di dormiveglia, dopo un’intere nottata trascorsa in compagnia di Sherlock, che lo aveva costretto ad appostarsi davanti alle cucine, cosa che a John parve solo una gran perdita di tempo, ma che Sherlock gli assicurò essere di vitale importanza per l’indagine e così John era riuscito a rientrare in dormitorio solo a poche ore dall’alba, così stanco e assonnato che era stato un vero miracolo riuscire a raggiungere il baldacchino, dove si era abbandonato totalmente vestito, addormentandosi all’istante.
Si era deciso ad alzarsi per l’ora di pranzo costretto da continui borbottii del suo stomaco, che non vedeva un pasto decente da giorni.
Arrivò in Sala Grande tra uno sbadiglio e l’altro e si era appena accomodato al primo posto libero, quando una voce alle sue spalle lo fece sobbalzare.
“Jawn…”
Il ragazzo si voltò di scatto, deciso a non permettergli di aggiungere altro “No, Sherlock!” lo interruppe “non ti accompagnerò da nessuna parte, non ti aiuterò nelle indagini, lo so che sono stato io a voler accettare questo caso, ma niente e nessuno mi convincerà ad alzarmi da questa sedia e a rimandare il mio pranzo!”
John si fermò, per prendere un lungo sospiro, rendendosi conto solo in quel momento che aveva parlato senza nemmeno respirare, mentre Sherlock lo osservava in silenzio, un sorrisetto divertito stampato sul viso.
“In realtà” iniziò “volevo solo proporti si andare a mangiare all’aperto, visto che è una così bella giornata” spiegò, sorridendo ulteriormente nel vedere il volto perplesso di John andare a fuoco.
“Oh” sospirò dispiaciuto, lanciando uno sguardo veloce al di fuori della finestra, dove un pallido sole invernale rischiarava quel sabato mattina, dopo più di una settimana di pioggia continua “credo sia una buona idea” sospirò, servendosi un’abbondante porzione di tutto ciò che riuscì ad afferrare, prima di alzarsi e seguire Sherlock fuori dalla scuola.
Si avviarono verso le rive del lago nero, dove altri studenti erano impegnati a passeggiare e a godersi la prima giornata senza pioggia e quando trovarono uno spiazzo abbastanza tranquillo, illuminato dal sole, il Grifondoro si abbandonò contro il tronco di un’esile betulla, sistemando il vassoio del pranzo accanto a sé e chiudendo gli occhi per godersi meglio il sole che lo baciava in volto, mentre Sherlock si sistemò al suo fianco, attaccando immediatamente a parlare delle indagini; tuttavia sortì ben presto l’effetto opposto a quello che avrebbe desiderato; John, infatti, si trovò a rilassarsi ulteriormente percependo la voce baritonale di Sherlock, che sussurrava concitatamente.
 Qui l’aria era musica.*
“Jawn? Jawn mi stai ascoltando?”
Sentendosi chiamare il Grifondoro spalancò gli occhi, svegliandosi da quel piacevole torpore nel quale era caduto.
“Emh, sì, sì, certo” balbettò a disagio, osservando con attenzione le acque tranquille del lago, cercando di sembrare convincente  “stavo solo riposando gli occhi”
Sentì Sherlock ridacchiare  e percepì il suo corpo farsi più vicino “Vai a letto John” soffiò con voce tanto suadente da farlo rabbrividire “sei distrutto, non riesci nemmeno a tenere gli occhi aperti” aggiunse con tenerezza, domandandosi se per caso non avesse esagerato a tenerlo sveglio anche quella notte; ma infondo, il fine giustificava i mezzi, no?
“Non preoccuparti” sospirò, senza riuscire a trattenere l’ennesimo sbadiglio “mi basterà una tazza di caffè”  lo rassicurò, assecondando il suo corpo e chiudendo gli occhi che si erano fatti troppo pesanti; tra quel gradevole sole e quella tranquillità rotta solo dalla voce profonda di Sherlock, era davvero impossibile non rilassarsi.
Con una certa titubanza Sherlock fece scorrere una mano tra i capelli chiari di John, che si irrigidì all’istante, prima di abbandonarsi con piacere a quel contatto tanto piacevole.
“Torna a letto Jawn” ribadì il Serpeverde, continuando a far scorrere le dita sul capo dell’altro, con una delicatezza davvero sorprendente “puoi trascorrere il pomeriggio a dormire”
“Mi stai dando un giorno libero?”gracchiò John con un sibilo basso, troppo stanco per poter far altro.
Sherlock inarcò le labbra in un sorriso storto “Diciamo di sì” soffiò, facendo passare le dita sulla base del collo, imprimendo una leggera pressione che fece mugugnare John di piacere “non mi sei di nessun aiuto in questo stato, il tuo cervello lavora ancora più lentamente del solito e anche il tuo fisico ne risente”
John sorrise appena, abbassando la testa per permettere a Sherlock di proseguire con le sue carezze “Chissà di chi è la colpa” soffiò con la poca energia che gli era rimasta.
“Non sono stato io a voler prendere questo caso, ti ricordo che stiamo solo aiutando il tuo amico” ribadì Sherlock, facendo sorridere John.
“Lo so, ma credo proprio che per oggi Seb dovrà fare a meno del mio aiuto” sospirò, mentre le mani di Sherlock gli raggiungevano la schiena in cui Sherlock iniziò a disegnare ampi cerchi con le punte delle dita.
“Un pomeriggio di riposo ti farà bene” ribadì soddisfatto, mentre John scuoteva leggermente il capo, dispiaciuto.
“Sfortunatamente non me lo posso permettere, ho un appuntamento”
Le mani di Sherlock si staccarono velocemente dalle sue spalle, strappandogli un gemito di rammarico.
“Un appuntamento” ripetè Sherlock duramente.
 John si decise a riaprire gli occhi, sistemandosi nuovamente contro il tronco dell’albero, osservando il suo amico con aria sorpresa.
“Sherlock, che giorno è oggi?” domandò esasperato, senza nascondere un sorrisetto divertito davanti all’aria confusa del ragazzo.
“Sabato”  esclamò con perplessità “quattordici febbraio” aggiunse, dopo uno sguardo eloquente di John, che annuì con soddisfazione.
“Ovvero San Valentino” gli fece notare lui “possibile che tu non abbia fatto caso agli enormi cuori rosa che invadono la scuola?” aggiunse, mentre Sherlock assumeva uno sguardo infastidito.
“Con chi uscirai?” domandò con finta indifferenza, chiedendosi quando John avesse trovato il tempo di invitare una ragazza ad uscire; probabilmente l’appuntamento era già fissato da diversi giorni.
“Con Claudia Scott” rispose John con aria soddisfatta “è quella bellissima biondina di…”
“Corvonero” concluse per lui Sherlock “la conoscono, ha la stessa intelligenza di un sasso, non dovresti uscirci, ti annoierai”
“Sherlock, è di Corvonero”
“John, io sono il ragazzo più brillante della scuola, eppure sono di Serpeverde”
“In ogni caso sono certo che non mi annoierò” insistette il Grifondoro, alzandosi in piedi e spolverandosi i vestiti dalla terra e polvere.
“Dovresti usare il tuo tempo per riposarti o per lavorare al caso, non sprecarlo con un’oca in calore!” sbottò Sherlock infastidito, guadagnandosi un’occhiata scocciata da John.
“Sherlock, è tutta la settimana che ti seguo in lungo e in largo e non mi sono lamentato nemmeno una volta! Ma oggi è sabato ed è San Valentino e io voglio solo uscire con Claudia e divertirmi! Inoltre vorrei farti notare che mi hai detto tu dieci minuti fa che oggi potevo avere il giorno libero” aggiunse con stizza; Sherlock lo osservò con aria dura e imbronciata, le braccia strette intorno al petto e l’aria offesa, prima di voltarsi con uno sbuffo stizzito e incamminarsi verso la scuola.
John attese diversi minuti prima di decidersi a seguire l’esempio del ragazzo, rientrando a scuola e rifugiandosi velocemente nei dormitori, dove, tra un’imprecazione e l’atra, si preparò in gran fretta per l’appuntamento.
Come si permetteva Sherlock di intromettersi in quel modo nella sua vita privata? Come poteva pretendere di poter decidere per lui anche in quelle situazioni?
 
Con un sospiro arrabbiato John si infilò un caldo maglione a righe bianche e nere e dei pantaloni scuri, si avvolse in una spessa sciarpa di lana e nel mantello e, dopo aver mandato al diavolo una volta per tutte il suo amico, di affrettò verso l’ingresso, dove Claudia lo stava aspettando.
John le si avvicinò sorridendole con affetto, posandole un casto bacio sulla guancia, prima di dirigersi con la ragazza verso il villaggio.
Impiegarono diversi minuti per raggiungere la sala da tè e durante tutto il viaggio Claudia continuò a chiacchierare allegramente, mentre John annuiva con poco interesse, la mente ancora bloccata sulla discussione che aveva avuto con Sherlock.
Per quanto si sentisse dalla parte della ragione non poteva impedirsi di provare un forte senso di colpa per quanto accaduto, mentre un fastidioso malessere lo opprimeva con insistenza.
Entrarono da Madama piè di burro, uno stucchevole locale che solitamente John evitava con grande impegno e che per quella giornata era stato reso ancora più nauseante grazie all’aiuto di cuori rossi e rosa e piccoli cupidi grassottelli.
 John si affrettò a spostare la sedia a Claudia, permettendole di prendere posto, prima di accomodarsi davanti a lei, impedendosi di soffermarsi ulteriormente su quel sociopatico del suo migliore amico e costringendosi a godersi quel piacevole pomeriggio in compagnia di quella splendida ragazza.
Bastarono cinque minuti per far capire a John che non sarebbe riuscito a far nulla di tutto ciò; Claudia era una ragazza assolutamente meravigliosa, bellissima, intelligente e simpatica, ma  nonostante tutto, quello che John in quel momento desiderava realmente era concludere il tutto il più in fretta possibile per potersene tornare a scuola a chiarirsi con Sherlock.
Con un sospiro svogliato si abbandonò alla lettura della lista che la proprietaria aveva portato loro, il capo abbandonato sul palmo della mano e l’aria distratta, quando un rumore alla sua destra lo riportò alla realtà, costringendolo a voltarsi.
 “Sherlock?” domandò John allibito, osservando sconvolto il suo migliore amico che, immobile davanti a lui, teneva lo sguardo puntato nei suoi occhi.
“John” replicò tranquillamente con la sua solita voce profonda.
“Sherlock, cosa ci fai tu qui?”
“Ho deciso di accettare il tuo invito a bere una tazza di tè” rispose tranquillamente il Serpeverde, apparentemente dimentico della discussione di poco prima, prendendo posto tra i due ragazzi.
John lo osservò sorpreso e dubbioso, cercando di ricordare quando mai gli avesse chiesto di unirsi a loro.
“Avanti, John” sbuffò Sherlock, osservando il cipiglio dubbioso dell’altro “non dirmi che te ne sei già dimenticato! Nemmeno la tua memoria può essere tanto arrugginita!”
“Non ti stai riferendo all’altro giorno, vero?” domandò John perplesso, sgranando gli occhi con incredulità e ottenendo in risposta un mezzo sorriso dall’altro.
“Qualcuno mi spiega cosa sta succedendo?” s’intromise Claudia, con una certa stizza, ottenendo finalmente l’attenzione di entrambi.
“Niente Claudia, davvero”  la rassicurò John, mentre Sherlock faceva scorrere lo sguardo sulla povera sventurata, analizzandone ogni particolare, ghignando appena.
“Sherlock” sospirò John, richiamando nuovamente l’attenzione su di sé “Sherlock, il mio non doveva essere un invito per oggi, semplicemente due settimane fa ti ho proposto di andare a bere una tazza di tè per distrarti dalla noia, non vedo come questo possa spiegare la tua intrusione” spiegò paziente.
“Bè, due settimane fa non mi andava il tè, mi va ora” replicò Sherlock serafico, afferrando con decisione la lista delle tisane, per poi sparirci dietro, giusto in tempo per nascondere il sorrisetto che si era formato allo sbuffo rassegnato di John.
“Questo sarebbe un appuntamento, te ne rendi conto, vero?” s’intromise nuovamente Claudia.
“Infatti lui stava per…”
“Un appuntamento? Ma davvero?”chiese annoiato Sherlock, alzando per un secondo lo sguardo su Claudia, prima di tornare alla contemplazione del menù “mi dispiace doverti informare che il tu appuntamento era concluso ancor prima di iniziare, visto che il tuo cavaliere non vedeva già l’ora di poterti scaricare per tornare al castello”
John sobbalzò, avvampando impietosamente.
“In non…” iniziò, davanti allo sguardo ferito della ragazza e quello soddisfatto del Serpeverde “io non volevo assolutamente…” ma John fu costretto ad interrompersi, grazie alla tempestiva comparsa di Madama piè di burro, che osservando con aria incerta il bizzarro terzetto, domandò se volessero ordinare.
 “Certamente” si affrettò Sherlock, chiudendo con un colpo secco la lista “Un Earl Grey tea e un White tea”
John non si stupì nemmeno più di tanto, sentendosi ordinare ciò che aveva deciso di prendere solo pochi minuti prima di essere interrotto dal terzo incomodo.
“Per me, invece…”                                                         
“Non è necessario che tu ordini” la interruppe bruscamente Sherlock.
“Prego?”domandò irritata Claudia, squadrandolo da capo a piedi con fare altezzoso.
Sherlock sbuffò con aria annoiata “Non è necessario che tu ordini” ripetè, scandendo bene le parole “tanto sarai fuori di qui prima che il tè venga servito”
“Come, scusa? Questo cosa significa?”
“Sherlock, ti prego” s’intromise nuovamente John, già consapevole che si trattava di una battaglia persa, stropicciandosi gli occhi con stanchezza.
Sherlock gli rivolse uno sguardo contrito, prima di arrendersi “Benissimo, allora ci porti anche un frullato alla ciliegia”
“E tu come…?”
“Claudia, ti prego, lascia stare” sospirò John.
“In ogni caso, John, sono venuto per parlarti del caso” esclamò prontamente Sherlock, tirandosi appena avanti con la schiena, in modo da eliminare la ragazza dalla visuale dell’amico “credo di aver fatto una scoperta importante…”
“Si può sapere chi diamine ti credi di essere? Non hai qualcun altro da disturbare?”sibilò una voce molesta alle sue spalle, che Sherlock decise di ignorare.
 “La ragazza che lascia i messaggi in codice per la scuola è una studentessa di Corvonero del terzo anno…”
“Ora basta!” sbraitò Claudia, alzandosi di scatto, portando con sé la sedia che fece strisciare con rabbia sul pavimento, fino a sistemarla a poca distanza da John, che si trovò improvvisamente ad essere al centro di quell’inquietante quadretto.
 “Credo proprio che finito il tè possiamo anche tornare al castello” esclamò improvvisamente Claudia, urlando per poter sovrastare la voce baritonale di Sherlock, che borbottava ancora concitatamente con il Grifondoro.
 “Tuttavia non è lei ad esserne a capo, questo è ovvio, ma possiamo sempre usarla per mandare all’aria l’intera organizzazione!”
“Sai, potremmo intrattenerci in attività più divertenti
“Forse potremmo sfruttare anche Moran per i nostri scopi; sono certo che infondo potrebbe tornarci utile”
“Non so se hai capito…”
“Dovremmo solo convincerlo”
John faceva scorrere lo sguardo da uno all’altra, cercando con tutto se stesso di ignorare il principio di emicrania che iniziava a percepire, impegnandosi per dar retta ad entrambi e, quindi, non riuscendo a capire una sola parola da nessuno.
“Per favore, potreste parlare uno alla volta?”supplicò spossato alcuni secondi dopo, stringendo con forza il setto nasale e strizzando gli occhi.
“John, stavo dicendo…” miagolò Claudia, facendosi più vicina.
“Oh,  per l’amor del cielo!” sbottò Sherlock infastidito, interrompendo nuovamente la ragazza “credo che chiunque abbia capito a cosa ti stessi riferendo, il che non  mi sorprende affatto, considerando il modo assolutamente inopportuno con cui hai interagito con Jawn per tutto il pomeriggio, continuando a tormentare quell’insulsa catenina che porti al collo nel tentativo di attirare l’attenzione la sua attenzione sulla tua scollatura, per non parlare del tuo insistente accavallare le gambe, e inumidirti le labbra in un gesto che, lasciamelo dire, ha davvero poco del casuale!” l’aggredì Sherlock con voce tonante, mentre la ragazza si tirava indietro sulla sedia con aria sconvolta e sconfitta “ed infondo questo tuo atteggiamento libertino è causato dagli innumerevoli problemi irrisolti che hai con tuo padre e che non ti hanno portata sulla strada di un atteggiamento masochista e distruttivo che ti porta ad andare a letto con qualsiasi ragazzo tu incontri, essendo totalmente consapevole che no, lui non richiamerà!”
Sherlock non fece nemmeno in tempo a terminare la frase che Claudia era già scattata in piedi, tremante di rabbia.
“Claudia” iniziò John, ma bastò uno sguardo ammonitore della ragazza per zittirlo.
“No, John” lo interruppe “non ho alcuna intenzione di stare qui a farmi umiliare. Senza considerare che terzo incomodo sono io, non lui” esclamò con voce rotta, indicando con un rabbioso cenno del capo Sherlock “ divertiti con il tuo ragazzo” sputò rivolgendo  uno sguardo di puro odio al Serpeverde,  per poi precipitarsi si fuori dalla sala da tè,  piangendo di disperazione.
John osservò con dispiacere la sedia che aveva occupato fino a qualche momento prima, sentendosi incredibilmente in pena per quella povera ragazza; possibile che Sherlock non potesse sforzarsi di usare un po’ di tatto, ogni tanto?
“Potevi anche essere più gentile” constatò con sicurezza, mentre Sherlock si stringeva nelle spalle in un gesto di sufficienza.
“Ho solo detto la verità, Jawn” osservò tranquillamente “nient’altro”
“Sì, ma a volte alla gente non piace vedersi sbattere in faccia i propri segreti più intimi da uno sconosciuto, sai Sherlock?” ringhiò furioso.
Sherlock sospirò, studiandolo con attenzione “Jaw…”
“Signori, il tè” intervenne la voce incerta della cameriera, ferma alle loro spalle da diversi minuti.
 “Oh, perfetto!” esclamò Sherlock, nuovamente di buon umore, osservando le teiere e le tazzine che la ragazza stava sistemando davanti a loro “quello puoi anche portarlo via” aggiunse, rivolto al frullato “avevo detto che non sarebbe stato necessario ordinarlo”
John sbuffò, abbandonando con un gesto stanco il capo sul tavolino della sala, sforzandosi di restare calmo; evitò di prestare attenzione a tutte quelle coppiette che ancora li stavano studiando  con ostile curiosità, preferendo invece concentrarsi sulla striscia di cielo ora plumbeo che si intravedeva dalla finestra.
“Ti conviene bere il tuo tè, Jawn, se non vuoi che si raffreddi”  lo rimproverò Sherlock, nascondendo dentro la tazzina il sorrisetto divertito che era nato quando John si era versato con rabbia un’abbondante tazza di tè, che si era avvicinato alle labbra.
“Allora, questo caso?” domandò con aria seccata, rivolgendo finalmente la propria attenzione a Sherlock.    
Rimasero a discutere per tutto il pomeriggio, prima delle indagini e poi di argomenti più leggeri, seduti uno di fronte all’altro nella piccola sala da tè e solo quando Madama piè di burro si avvicinò al tavolino, sistemandovi al centro un piccolo lumino “Per rendere l’atmosfera più romantica”, facendo l’occhiolino ai ragazzi, John si rese davvero conto di aver appena trascorso tutta la giornata di San Valentino nel locale più romantico di Hogsmead in compagnia di Sherlock Holmes.
“Ora sì che la gente parlerà” soffiò, abbandonando il capo tra le mani, mentre Sherlock continuava a blaterare a macchinetta davanti a lui.
 
Rientrarono al castello solo a sera tarda e rimasero parecchio sorpresi dal trovarlo affollato da studenti di ogni casa ed età che correvano lungo i corridoi e su per le scale, schiamazzando a gran voce, eccitati ed entusiasti.
John fece appena in tempo ad afferrare per la spalla un piccolo Tasso che si stava  precipitando verso la Sala Grande, prima che questo sparisse.
 “Ehi, si può sapere cosa sta succedendo?” domandò incuriosito, mentre il ragazzino annaspava davanti a lui nel tentativo di riprendere fiato dopo la lunga corsa.
“Non lo sapete?” domandò sorpreso, sgranando gli occhi “il diadema perduto di Priscilla Corvonero è stato trovato nel bagno delle ragazze del terzo piano!” spiegò velocemente, mangiandosi le parole per la fretta “i professori e il preside sono tutti lì, per certificarne l’autenticità” aggiunse, prima di riprendere la sua folle corsa, mentre John rivolgeva uno sguardo sbigottito a Sherlock, che ricambiò con aria seccata.
Senza aggiungere una parola si unirono alla fila di ragazzi che cercava di raggiungere il terzo piano, facendosi spazio tra la folla con spintoni e gomitate, per poi arrestarsi davanti all’ingresso del bagno, nel quale il professore di storia della magia stava studiando la piccola coroncina.
A fatica John riuscì a portarsi in prima fila, da dove potè osservare, nonostante la scomoda lontananza, il piccolo gioiello; in realtà non era differente dalle altre tiare che aveva visto in precedenza, ma pensare che quel piccolo oggetto era appartenuto ad una delle più grandi streghe di tutti i tempi, ad una delle fondatrici di Hogwarts, lo fece rabbrividire.
Studiò per altri secondi la coroncina, notando solo in quel momento che le eleganti ramificazioni del gioiello formavano il profilo di un’aquila, che teneva tra le ali uno zaffiro blu notte.
Co un sospiro ammirato si rivolse alle proprie spalle, alla ricerca di Sherlock e fu piuttosto sorpreso dal constatare che il ragazzo se n’era già andato.
 
Sherlock non si fece vivo per tutto il giorno seguente, ricomparendo solo il lunedì sera a cena, quando, tra lo sgomento e la sorpresa generale, il preside annunciò agli studenti che quello ritrovato era il diadema originale di Priscilla e che da quel momento sarebbe rimasto al sicuro tra le mura del suo studio, protetto da incantesimi di ogni genere.
“Hai idea di come il diadema sia finito in quel bagno?” domandò John dopo il banchetto, camminando accanto a Sherlock lungo il corridoio semi deserto.
“Ce lo ha messo Moran, nella stupida speranza che sbarazzarsi delle prove lo avrebbe assolto” decretò seriamente il Serpeverde.
“Ma perché lo avrebbe fatto? Perchè avrebbe chiesto il nostro aiuto per ritrovarlo, se lo aveva con sé dall’inizio? E poi perché lascialo nel bagno delle ragazze?” aggiunse, notando il mutismo dell’altro.
“Probabilmente è tanto sciocco da pensare che questo basti per far ricadere la colpa su una studentessa”
“Sherlock, non ci sono prove contro Sebastian” osservò John pacatamente.           
“Non ci sono nemmeno prove che lo discolpano” ribattè prontamente Sherlock, trapassando John con uno sguardo ammonitore “è stato Sebastian” ribadì con serietà e, malgrado tutto, John gli credette; non era da lui diffidare di una persona senza nemmeno avere prove certe, ma aveva piena fiducia in Sherlock e nelle sue intuizioni e il minimo che potesse fare era sostenere la sua teoria.
“Cosa facciamo ora?” domandò stancamente il Grifondoro, avviandosi insieme a Sherlock verso i sotterranei, seguiti da altri Serpeverde desiderosi di rientrare in dormitorio.
“Dobbiamo incastrarlo, John” mugugnò Sherlock, nervoso e arrabbiato come non mai; non avevano alcuna prova contro Sebastian, senza il diadema non lo potevano incastrare e a dirla tutta Sherlock non era ancora sicuro del reale motivo per cui il ragazzo aveva deciso di chiedere il loro aiuto per ritrovare  un oggetto che era da sempre in suo possesso. Ma non aveva dubbi riguardo alla sua colpevolezza, non ne aveva avuti fin dal primo istante.
“Chi volete incastrare?”
La familiare voce di Sebastian li raggiunse chiara e decisa, facendoli sobbalzare; si voltarono di scatto, trovandosi il ragazzo a pochi passi da loro, che li osservava con aria dura e severa.
Prontamente Sherlock fece un passo in avanti, avvicinandosi tanto al ragazzo da riuscire quasi a sfiorarlo con il petto e al contempo nascondendo inconsciamente John dietro a sé, proteggendolo così dalla vista del ragazzo, che fissava Sherlock con un’aria tanto rabbiosa da non lasciar dubbio riguardo all’astio che provava nei suoi confronti.
“La persona che ha lasciato il diadema in quel bagno” ribattè freddamente Sherlock, gli occhi ancora puntati in quelli scuri del compagno di casa.
“Hai già qualche ipotesi su chi possa essere stato?” ringhiò Sebastian, cercando di mantenere una parvenza di calma, nonostante la nota nervosa che gli fece tremare la voce.
“Solo una” disse tranquillamente Sherlock, osservando con una certa soddisfazione Sebastian irrigidirsi per la rabbia.
“Perché avrei chiesto il tuo aiuto se fossi stato io il colpevole?” s’informò Sebastian contraendo la mascella in un ringhio nervoso.
Sherlock inarcò un sopracciglio con aria di superiorità “Tu sei il colpevole, Moran” ribattè tranquillamente, facendo finalmente un passo indietro, allontanandosi dall’altro, che finalmente si decise a spostare la propria attenzione su John, che aveva osservato tutta la scena con attenzione, pronto ad intervenire in ogni momento “Tu gli credi?” domandò semplicemente e nonostante cercò di mantenere un tono disinteressato, John gli lesse in viso tutta la preoccupazione e la paura che provava.
“Allora, John?” intervenne una voce calma e baritonale al suo fianco, facendolo sobbalzare; spostò lo sguardo dagli occhi feriti di Sebastian per intrecciarli con quelli fermi e pacati di Sherlock e all’improvviso si sentì gettato in mezzo a due fuochi.
“John, non puoi veramente credere che sia stato io a rubare quel diadema! Perchè avrei dovuto cercare il vostro aiuto se fossi stato io?” intervenne Sebastian e ora John potè riconoscere tutta l’urgenza che lo muoveva.
“Ho mai sbagliato, Jawn?” lo richiamò Sherlock, costringendolo nuovamente a spostare lo sguardo tra l’uno e l’atro, all’improvviso insicuro su come comportarsi.
“Lui mi sta accusando ingiustamente solo per allontanarti da me!” urlò Sebastian al limite della sopportazione, facendo risvegliare John dallo stato d’incertezza in cui si trovava.
“Questo non è vero” esclamò prontamente “Sherlock non è il genere di persona che farebbe una cosa del genere, usare le sue capacità per incastrare un’innocente non sarebbe da lui, se ti accusa di aver rubato quel gioiello è perché lo ha dedotto e nonostante io avessi iniziato a considerarti un amico non posso fare altro che credergli” aggiunse con sicurezza, non potendosi tuttavia impedire di rivolgere a Sebastian uno sguardo che sapeva di scuse “mi fido ciecamente di Sherlock” aggiunse, facendo sogghignare l’amico per la soddisfazione, mentre Sebastian, davanti a lui, sospirava con rammarico.
“D’accordo” soffiò, distogliendo lo sguardo da quegli occhi blu notte “se non vuoi credermi va bene,  ma sappi che sei in errore, lo siete entrambi” aggiunse, prima di fare un passo in avanti per superarli e allontanarsi verso i dormitori. Lo osservarono sparire dietro l’angolo, prima di riprendere a camminare, con passo lento.
“E così, ti fidi ciecamente di me” ghignò soddisfatto il Serpeverde dopo alcuni istanti di pesante silenzio, ricevendo in risposta un’occhiata di fuoco da John.
“Sherlock, non è il momento!”sbottò irritato, facendo ridacchiare l’amico.
 
Fu due giorni dopo che accadde.
John non aveva più parlato con Sebastian dalla sera del litigio e nonostante si fossero incontrati diverse volte durante le lezioni o in giro per scuola, entrambi sembravano decisi ad ignorarsi l’un l’altro e nessuno pareva interessato a discutere di quanto accaduto; John si limitava a rivolgergli uno sguardo un po’ dispiaciuto, ricevendo in risposta un sorrisetto malinconico.
Nonostante avesse deciso di credere a Sherlock, cosa della quale non si pentiva minimamente, schierandosi così contro Moran, si sentiva ancora male all’idea di aver voltato le spalle a quello che un tempo era un amico, senza nemmeno concedergli il beneficio del dubbio; non aveva mai fatto nulla del genere, anzi era quel genere di comportamento che da sempre biasimava e non approvava, ma si era reso conto che in questo caso non gli sarebbe stato possibile restare nel mezzo senza scegliere da che parte schierarsi e in definitiva non si pentiva affatto della propria scelta.
Sherlock aveva deciso di impegnarsi per provare la colpevolezza di Moran, nonostante John, in un primo momento, avesse cercato di dissuaderlo, ancora convinto che infondo Sebastian fosse una brava persona e che certamente si era trattato solamente di un errore isolato che, ne era sicuro, non avrebbe ripetuto. Ma Sherlock non lo aveva nemmeno degnato di una risposta, limitandosi a rimproverarlo tacitamente con lo sguardo e l’unica cosa che John aveva potuto fare per scusarsi in un certo modo con il compagno era stato non prendere parte alle indagini contro di lui, rimanendone del tutto all’oscuro.
Fu comunque un’enorme sorpresa quando, durante il pranzo di mercoledì, il preside annunciò all’intera scuola che la  responsabile del ritrovamento del diadema era stata rintracciata.
Si trattava una studentessa del secondo anno appartenete a Serpeverde, che dopo essere riuscita ad impossessarsi della tiara aveva deciso di appropriarsene, nascondendolo in una nicchia del muro dei bagni delle ragazza, attendendo il momento opportuno per  portarlo fuori dalla scuola.
 Ma alla fine, spinta dal timore  di venire sorpresa con l’oggetto incriminato aveva deciso di liberarsene per evitare qualsiasi accusa e successivamente tormentata dai sensi di colpa e dalla paura aveva deciso di confessare tutto al preside, che aveva deciso di espellerla dalla scuola.
Il preside non fece nemmeno in tempo a concludere il discorso che l’intera scuola era già nel caos più totale; sconvolto John cercò con lo sguardo la figura di Sherlock lungo il tavolo di Serpeverde. Il ragazzo sembrava fuori di sé dalla rabbia; John lo vide abbassare lo sguardo sulle mani tremanti che teneva strette davanti a sé, cercando di controllare il respiro, prima di scattare in piedi come una molla e allontanarsi a grandi falcate dalla sala, senza rivolgere un solo sguardo a John, che ritenne più saggio lasciarlo solo a riflettere, almeno per quella sera.
Inoltre John doveva ammettere di essere troppo sconvolto da quella notizia per poter reagire prontamente per aiutare l’amico; ormai non c’erano più dubbi, Sherlock si era sbagliato, aveva sbagliato fin dall’inizio su tutta la linea, accusando un ragazzo innocente, un ragazzo che lui non aveva avuto la minima difficoltà ad allontanare dalla propria vita, additandolo come un criminale.
Con una morsa potente allo stomaco John trovò il coraggio di spostare lo sguardo lungo il tavolo verde-argento, incrociandolo poi con quello severo, ma decisamente sollevato di Sebastian.
Si osservarono per un tempo che parve interminabile, nessuno sicuro di cosa fare; John deglutì pesantemente, insicuro di come comportarsi, osservando con aria impassibile Sebastian che finalmente, si sbilanciò, abbandonando l’aria severa per accennare ad un sorriso felice. Anche John gli sorrise, ma con più esitazione, non era uno dei suoi soliti sorrisi a trentadue denti, ma più l’accenno timido di un sorriso triste.
Sebastian scoppiò invece in una fragorosa risata, allegro come non lo era da giorni, alzandosi in piedi, continuando a fissare John; portò entrambe le mani davanti alla bocca, in modo da creare una conca che gli avrebbe permesso di sovrastare l’incredibile chiasso che si era formato.
“Cosa ti avevo detto John!” gli urlò ridendo, ottenendo l’attenzione anche di altri ragazzi “dovrai offrirmi burrobirra per una settimana intera per farti perdonare” aggiunse, facendo ridacchiare John che capì all’istante che Sebastian lo aveva già perdonato; tutto tra loro era tornato alla normalità e per questo John non gli sarebbe mai stato abbastanza grato.
 
John attese il termine della cena prima di iniziare la ricerca di Sherlock, trovandolo a scaricare la propria rabbia e frustrazione contro il muro del bagno in cui il diadema era stato ritrovato e dove probabilmente era appena passato un uragano, considerando il caos che vi regnava.
“Sherlock” lo chiamò dolcemente, entrando in bagno mentre il ragazzo lanciava una maledizione ad uno degli specchi, che si frantumò andando in mille pezzi “Sherlock!” insistette John, questa volta con maggior caparbietà, costringendolo a voltarsi.
“Cosa vuoi, John?” tuonò il Serpeverde voltandosi di scatto, totalmente fuori di sé dalla rabbia; lo sguardo era nervoso, il copro irrigidito e le mani tremavano tanto che John si chiese come potesse mantenere la presa sulla bacchetta.
“Sherlock ti prego di calmarti” sussurrò il ragazzo “capita a tutti di fare un errore, non è necessario…”
“Un errore?” lo interruppe l’amico incredulo, raggiungendolo in poche falcate “tu pensi che io abbia sbagliato?” insistette, trapassandolo con uno sguardo tanto profondo da portar John ad indietreggiare di un passo “io non ho sbagliato, John! Moran è riuscito a incastrare quella ragazza, non so come abbia fatto a convincerla a confessare, ma lo scoprirò, puoi giurarci!” tuonò, ricominciando a vagare per il bagno con passo nervoso.
“Sherlock, non credi che…”
“NO!” gridò Sherlock, facendolo sobbalzare “io so che è stato Moran! Non dicevi di credere ciecamente in me?” aggiunse, con un tono così duro da far vacillare per un attimo la convinzione di John.
“Infatti è così Sherlock, ma credo che in questo caso tu non sia totalmente lucido” iniziò con cautela, mentre Sherlock sbuffava con rabbia “tu e Sebastian non vi piacete e lui non ti ha di certo facilitato le cose…”
“Non mi credi” si lamentò Sherlock imbronciato, ma decisamente più tranquillo, con un tono tanto infantile che fece sorridere John.
“Sherlock, io metterei la mia vita nelle tue mani, senza pensarci un secondo. Ho ancora una fiducia totale in te” replicò seriamente, sostenendo lo sguardo indagatore di Sherlock, che lo scannerizzò con accurata serietà.
Sherlock sbuffò nuovamente, riponendo finalmente la bacchetta nel mantello, facendo sospirare John “Forza Jawn, torniamo ai dormitori” sbuffò Sherlock, avvicinandosi verso la porta, che in quel momento si aprì di scatto, facendo sobbalzare i due ragazzi.
John sgranò gli occhi dalla sorpresa, sfoderando velocemente la bacchetta, che puntò senza nessun dubbio contro il nuovo arrivato, che iniziò ad osservarlo con un fastidioso cipiglio di superiorità e curiosità.
“È lui, Sherlock!” sibilò con cautela il Grifondoro, senza distogliere lo sguardo dal Serpeverde “il ragazzo di cui ti ho parlato”
“Perché non abbassi la bacchetta, Watson?” domandò con tranquillità il ragazzo, distogliendo lo sguardo da quello di John, per scandagliare con aria critica il disordine che governava nel bagno.
“Ti sei proprio impegnato per distruggere questo povero bagno, non è vero Sherlock?” chiese con rimprovero, facendo sbuffare Sherlock, che si abbandonò a terra con aria annoiata.
“Vuoi proprio farti espellere, non è vero?” proseguì lo sconosciuto, prima di armarsi di bacchetta e iniziare a sistemare quel macello “e alzati da lì! Quanti anni credi di avere” aggiunse con stizza, una volta terminato il lavoro.
“Io mi siedo dove voglio” sbottò Sherlock con aria immatura, guadagnandosi uno sguardo scocciato dal ragazzo e uno sconvolto da John, che non sapeva più cosa pensare “e comunque tu non sei la mia balia” aggiunse ostinato.
“Io mi preoccupo per te, Sherlock!” sbottò il ragazzo esasperato “e come non posso farlo, visto che ti comporti in questo modo puerile?” aggiunse.
“Perché non provi ad iniziare a farti gli affaracci tuoi!” sbottò Sherlock, continuando a fissare con convinzione il muro davanti a sé, mentre lo sconosciuto si irrigidiva.
 **“Sempre così aggressivo, non pensi mai che tu ed io potremmo essere dalla stessa parte?” domandò il ragazzo, sospirando
“Stranamente…no” replicò Sherlock con tono canzonatorio.
“Abbiamo in comune molto più di quanto tu creda; questo sciocco antagonismo tra noi è semplicemente puerile, le persone soffrono e sai che questo sconvolge sempre la mamma” insistette il ragazzo con aria seria, ottenendo la completa attenzione di Sherlock, che scattò velocemente in piedi e lo raggiunse in poche falcate, mentre John spostava allibito lo sguardo tra i due, certo di aver capito male. 
“Io la sconvolgo? Io? Non sono io a sconvolgerla, Mycroft” replicò Sherlock infastidito, mentre Mycroft soffiava stizzito.
“No, no, no un momento; mamma? Chi è mamma?” domandò sconvolto John, ormai certo di quello che aveva sentito.
“Mia madre, nostra madre” replicò velocemente Sherlock, agitando con noncuranza una mano davanti a sè “lui è mio fratello, Mycroft. Sei ingrassato di nuovo?” aggiunse, lasciando John totalmente allibito.
“Sono dimagrito, in realtà” replicò Mycroft, con una tranquillità che sconvolse John.
“È tuo fratello?” domandò incredulo, mentre entrambi gli Holmes si voltavano nella sua direzione, osservandolo con evidente superiorità.
“Certo che è mio fratello!”confermò Sherlock, con un tono così sicuro che John si domandò se realmente per lui, per loro, tutto questo fosse…normale.
Probabilmente sì.  
“Quindi non è…?” continuò con incertezza sempre crescente.
“Non è cosa?” chiese Sherlock, incredulo che John non avesse compreso tutto fin dal principio.
“Non lo so, un genio del crimine?”** tentò John, abbassando tanto la voce da non esser quasi capito dai due, sentendosi improvvisamente un emerito idiota “credevo avesse a che vedere con la scomparsa del diadema” aggiunse, continuando a fissare con convinzione le proprie scarpe, dicendosi che tanto valeva dar loro un valido motivo per considerarlo uno sciocco.
“Infatti è così!” esclamò Sherlock, cogliendolo alla sprovvista.
“Sherlock, ti prego…” protestò Mycroft, notevolmente infastidito dall’ammissione dell’altro.
“È lui ad essere a capo di quell’organizzazione e di molte altre”
“E tu lo sapevi?” domandò John incredulo, ricevendo uno sguardo di sufficienza da Sherlock.
Ovviamente; chi altri poteva avere abbastanza potere da portare avanti una cosa del genere se non lui? Scavalcare le regole della scuola, gli insegnanti, il preside…Era ovvio che chiunque ci fosse dietro possedesse una posizione tanto di rilievo da permettergli di agire con la massima libertà”
“Posizione di rilievo?”
“Mycroft ha ottimi contatti all’interno del ministero della magia e non solo; ha iniziato a svolgere incarichi per il ministro e a distribuire favori ancor prima di iniziare la scuola, non mi stupisco affatto che abbia già raggiunto una posizione di rilievo”
“Sono un Holmes, cosa ti aspettavi” ribattè aspramente Mycroft, con aria altezzosa.
“Un attimo, ma allora la ragazza di Corvonero che lasciava i messaggi…?”
“Oh, lei!” sospirò Mycroft con un sorrisetto strafottente “si tratta della mia assistente. Anthea” aggiunse, dopo un momento di silenzio “in ogni caso credo sia ora di permettere a John di tornare al dormitorio” aggiunse e John capì immediatamente che non si trattava di un consiglio, ma di un ordine “inoltre, credo che dovresti sbrigarti, o non farai in tempo a sistemare l’altra faccenda” aggiunse, sorridendo compiaciuto davanti allo sguardo infastidito del fratello.
John decise che per quella sera ne aveva passate davvero troppe, così non chiese nulla a Sherlock, ma decise di ritirarsi verso i propri dormitori, pregustando una serata in santa pace lontano da qualsiasi Holmes.
 
Sherlock seguì il suo esempio pochi minuti dopo, allontanandosi velocemente dal bagno, diretto ai propri dormitori e fu davvero una fortuna che riuscì ad intercettare Moran proprio mentre ne usciva, diretto all’appuntamento con John.
 
“So che sei stato tu, Sebastian” biascicò Sherlock, facendosi avanti nel fascio di luce del corridoio, ottenendo su di sé l’attenzione del compagno che gli sorrise furbamente.
“Holmes” lo salutò, raggiungendolo in poche falcate “che piacere vederti!”
Sherlock sollevò scetticamente un sopracciglio, fissando perplesso il ragazzo “So che sei stato tu, Moran” ribadì. Odiava ripetersi.
“Non sono stato io Holmes, è stata quella ragazza”
“No, dietro a tutto questo ci sei tu; hai costretto quella ragazza a confessare per un crimine che non aveva commesso. Come ci sei riuscito? L’hai ricattata o le hai promesso qualcosa in cambio?”
“Hai la minima prova di quello che stai dicendo?”
Sherlock s’irrigidì appena, sospirando con rabbia.
“Come immaginavo” sussurrò Sebastian con tranquillità, poggiandosi contro il muro del corridoio con la schiena “non hai prove Sherlock, perché io non c’entro nulla; ma tu non mi crederai, perché, per qualche ragione a me oscura, sembri aver sviluppato un particolare astio nei miei confronti. Se avessi davvero rubato io quella coroncina non mi sarei di certo abbassato ad implorarti di ritrovarla, non pensi?”
“È proprio per questo, invece, che lo hai fatto” replicò secco Sherlock “avevi bisogno di una scusa per avvicinarmi, per studiare da vicino me e come lavoro, per questo hai deciso di far sparire il diadema, ma sapevi fin dall’inizio che alla fine, in un modo o nell’altro io l’avrei ritrovato, quindi tecnicamente, tu non hai mai toccato quel’oggetto”
“Se fosse davvero come dici, per me non avrebbe avuto alcun senso far ricadere la colpa su quella ragazzina, sarebbe stato solo un inutile spreco di senso, non trovi? Non lo avrei mai fatto…”
“Lo hai fatto per John; lui sospettava di te, non avevi prove per dimostrare la tua innocenza, quello di presentare un colpevole alternativo, uno su cui puntavano tutte le prove era l’unica soluzione per convincerlo”
Sebastian scoppiò in una breve risata, scuotendo leggermente la testa, incredulo “Per John? Credi davvero che io avrei potuto fare tutto questo per convincerlo della mia innocenza? Perché ciò che pensa dovrebbe interessarmi?” s’informò Sebastian con tranquillità.
Sherlock lo osservò in silenzio per alcuni minuti prima di decidersi a parlare  “Lui ti piace”
 soffiò infine.
 “Avanti Holmes, a chi non piace John Watson? Ma questo non significa che…”
“Sai benissimo cosa intendo” lo interruppe pacato Sherlock, mentre Sebastian tornava serio, appoggiandosi nuovamente al muro, iniziando a fissarsi con interesse le dita delle mani.
“Quindi è per questo che ce l’hai tanto con me? Temi che io possa portarti via il tuo John?”
“Di cosa parli?” domandò Sherlock colto alla sprovvista.
“Avanti, credi che non abbia notato il modo in cui gli parli? Già solo il fatto che gli fai l’incredibile favore di rivolgergli la parola nonostante la tua assolutamente indiscutibile superiorità, dovrebbe far riflettere, ma poi basta osservare come lo tratti, come lo proteggi da tutto e tutti…devo continuare?” sussurrò con un sorriso divertito.
“E, dimmi un po’ Moran, ne hai per caso le prove?” domandò seriamente Sherlock, mentre il ragazzo scoppiava in una fragorosa risata.
“Tranquillo Holmes” esclamò tra le risate, alzando le mani in segno di resa “fai come se non avessi detto niente, va bene?” esclamò, avvicinandosi a passi lenti verso il ragazzo “ed ora scusa, ma ho promesso a John che gli avrei tenuto compagnia per una burro birra” aggiunse, superandolo con passo deciso “mi ha detto che te odi questo genere di cose” aggiunse divertito, allontanandosi verso la torre di Grifondoro.
Sherlock rimase immobile nel centro del corridoio, tremante di rabbia, la testa china e le mani strette a pugno.
Dannato”
 
Note finali:
*Cit HANNIBAL …(*-*)
** Dialogo di “Uno studio in rosa”
 
 

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Capitolo 4
*** 3.1 Il grande gioco ***


Buon giorno a tutti!
Finalmente riesco ad aggiornare ad un orario più che decente e ho addirittura avuto tempo di riguardare il capitolo! u.u
Come sempre voglio ringraziare coloro che stanno seguendo la storia, e un ringraziamento molto particolare a coloro che hanno recensito; Maya98, 86221_2097 e Starkie!
Spero davvero che il capitolo possa piacervi! E ricordatevi che le recensioni sono sempre ben accette!
Un bacio a tutti,
buona lettura,
Becki
 
Capitolo 3.1 Il grande gioco
 
John si servì un secondo bicchiere di succo di zucca, lanciando uno sguardo preoccupato al cielo incantato della Sala Grande, che non faceva altro che tuonare e illuminarsi di lampi improvvisi che squarciavano le nubi nere, rispecchiando alla perfezione il temporale che imperversava fuori dalla scuola da quella mattina.
Dopo un’intera giornata trascorsa a studiare in biblioteca, il Grifondoro aveva deciso di meritarsi una pausa, così aveva proposto a Sherlock di accompagnarlo a prendere un tè; tuttavia il Serpeverde non aveva fatto altro che restarsene in silenzio a leggere un polveroso volume intitolatoStoria della musica, violini magici nei secoli, costringendolo a consumare la propria merenda in un silenzio quasi religioso. John sospirò per la centesima volta in pochi minuti, portandosi il calice di cristallo alle labbra, osservando di sottecchi Sherlock. Era da diversi giorni che il ragazzo gli sembrava strano… O meglio, più strano del solito.
Si era fatto molto distante nei suoi confronti e più John aveva cercato di farsi dire ciò che lo turbava, più lui si era chiuso a riccio, escludendolo a priori; inoltre Sherlock sembrava essere sempre imbronciato e di cattivo umore e si era fatto più taciturno che mai.
Con un sospiro rassegnato John si disse per la millesima volta di lasciar perdere, tornando a dedicarsi al proprio spuntino; aveva appena bevuto un sorso di succo, quando Sherlock si decise, finalmente, a rompere quel silenzio opprimente.
“Vorrei che smettessi di vederti con Sebastian Moran” esclamò freddamente, mantenendo lo sguardo puntato sul  proprio libro.
John si strozzò con il succo andatogli di traverso “Come, prego?” domandò colto alla sprovvista, asciugandosi la bocca con un tovagliolo, mentre Sherlock sospirava e si degnava, alla fine, di guardarlo.
Gli rivolse uno sguardo di sufficienza, che John sostenne con decisione, domandandosi perché mai avesse tanto sperato che Sherlock aprisse bocca.
“Non mi fido di lui, Jawn” ammise il Serpeverde “non mi piace che vi frequentiate”
Il Grifondoro sbuffò, comprendendo all’improvviso quale fosse il problema che aveva assillato il migliore amico per tutto quel tempo e dandosi mentalmente dell’idiota per non essere riuscito a capirlo prima; non era un segreto l’inimicizia che scorreva tra Sherlock e Sebastian, nessuno dei due si dava la pena di nasconderla, anzi sembravano quasi desiderosi di sbandierarla nelle più svariate occasioni e anche se John  riusciva a sopportare i loro continui battibecchi e litigi, tenendosene saggiamente alla larga, non riusciva proprio a tollerare quando uno dei due decideva di metterlo in mezzo a quello sciocco e insensato antagonismo.
“Sherlock, ci vediamo per una burro birra una volta a settimana” constatò pacatamente “inoltre, sono certo che se voi vi sforzaste per…”
“Non mi piace” lo interruppe Sherlock velocemente, scandendo bene le parole, come a volersi assicurare che il migliore amico recepisse il messaggio “ti ho già detto quello che penso e francamente non capisco perché non puoi semplicemente troncare questo rapporto una volta per tutte” sbottò irritato, facendo innervosire anche John.
“Perché, che ti piaccia o no, lui è un mio amico! E non ho alcuna intenzione di allontanarmene solo perché me lo chiedi tu, Sherlock!”
“È un comportamento stupido! Insomma John, quando mai ho sbagliato?” tuonò, sbattendo il libro sul tavolo con tanta forza da far tintinnare le stoviglie.
John si immobilizzò, all’improvviso senza parole; sapeva che era quello il vero problema per Sherlock e sapeva che prima o poi avrebbero dovuto parlarne se si volevano chiarire una volta per tutte, ma onestamente John non sapeva davvero come comportarsi.
Sherlock era ferito e arrabbiato, non per l’amicizia in sé, ma per quello che ai suoi occhi rappresentava; il fatto che John avesse deciso di frequentare Sebastian nonostante i suoi continui avvertimenti, per lui non era altro che la prova della mancata fiducia di John nei confronti, un vero e proprio attacco al suo ego e alla sua persona e questo non sembrava proprio tollerarlo.
Ma si sbagliava; John si fidava ciecamente di Sherlock e del suo intuito, ma Sebastian si era sempre dimostrato degno di fiducia, arrivando persino a perdonarlo dopo quello che gli aveva fatto, dimostrandogli così quanto realmente tenesse alla loro amicizia ed ora John non se la sentiva e non voleva rinunciare ad un compagno tanto prezioso solo per far felice Sherlock Holmes e il suo smisurato ego.
Infondo, quando erano stati loro a fare amicizia, praticamente tutta la scuola lo aveva avvertito di stare alla larga da Sherlock Holmes, ma lui non aveva detto loro retta, preferendo seguire il proprio istinto piuttosto che delle male voci ed ora non riusciva più nemmeno ad immaginarsi la propria vita senza quel ragazzo.
Sherlock sbuffò sonoramente, distraendolo dai propri pensieri “John, vorrei farti notare che il mio punto di vista non è nemmeno paragonabile a quello del resto della scuola” esclamò offeso, facendo ridacchiare John.
“Hai preso lezioni di legimanzia?” domandò divertito.
“Con te non è necessario, hai tutto scritto in faccia”
“Allora puoi anche leggere la profonda fiducia e l’affetto che provo nei tuoi confronti, Sherlock” ribattè John, cogliendo la palla al balzo; vide Sherlock ammutolirsi per un istante, colto di sorpresa da quella constatazione così schietta e sincera.
 “Fai come ti pare” sbuffò annoiato, tornando a prestare attenzione al proprio libro “ma almeno vedi di fare attenzione quando ci esci insieme” sbottò, affondando il viso tra le pagine ingiallite del tomo e John potè constatare con gioia che il suo tono si era fatto meno duro.
“Va bene, prometto che porterò con me il mio asciugamano, durante le nostre uscite” scherzò John per alleggerire la tensione, ma davanti allo sguardo vacuo di Sherlock si limitò a scuotere il capo, rassegnato.*
 “Spiegami una cosa” esclamò qualche istante dopo, desideroso di continuare a parlare con il Serpeverde “perché Mycroft si è comportato in quel modo, con me?” chiese, più per cambiare discorso che per vera curiosità.
Sherlock lo osservò perplesso “A cosa ti riferisci?” domandò dubbioso.
“Sherlock, tuo fratello mi ha praticamente rapito, offrendomi denaro per fargli sapere come stavi!” gli ricordò John “che razza di geni avete voi Holmes?” lo canzonò, ottenendo uno sguardo di distaccata superiorità.
“Francamente John, non capisco dove sia il problema” ammise Sherlock con sufficienza “come altro avrebbe dovuto comportarsi? Ammetto che Mycroft ha da sempre la tendenza ad esagerare, quell’esibizionista pieno di sé”  aggiunse sorridendo, visibilmente soddisfatto dall’aver appena insultato il fratello “ma non capisco perché il suo comportamento ti abbia sorpreso tanto”
John scosse il capo, tra l’esasperato e il divertito “Lascia perdere, Sherlock” ridacchiò, riuscendo a strappare un sorrisetto anche all’amico.
“Tra l’altro, John…” Sherlock si bloccò, interrotto da una voce gelida che lo fece sobbalzare.
“Tu sei Sherlock Holmes”                                     
I due ragazzi trasalirono contemporaneamente, spostando lo sguardo verso la fonte del suono ed accorgendosi solo in quel momento di una ragazzina di Tassorosso che si era avvicinata a loro, osservandoli con serietà.
“Scusa, co…?”
“Tu sei Sherlock Holmes” ripetè la ragazzina, ignorando John, gli occhi fissi su Sherlock, che scannerizzò la ragazza da capo a piedi, visibilmente interessato.
“Sì” rispose semplicemente, sistemandosi sulla schiena “e tu chi sei?”
“Questo non posso ancora dirtelo” rispose la ragazzina, mantenendo un tono apatico che a John mise i brividi; gli sembrava di aver davanti una bambola parlante.
“Vuoi giocare con me, Sherlock Holmes?”
Sherlock scattò sulla sedia, sporgendosi in avanti con il busto per osservare meglio la ragazzina “Non se prima non mi dici che sei” ribattè tranquillamente.
“Non se prima accetti di giocare con me” replicò allora lei.
John la osservò confuso “Cos…?” iniziò, ma Sherlock lo zittì velocemente, rivolgendogli un veloce sguardo eloquente; John riportò la propria attenzione sulla bambina e solo allora si rese conto che qualcosa non quadrava.
Nonostante la Tassorosso parlasse con voce pacate e priva di ogni emozione, il corpo era innaturalmente rigido e le mani le tremavano furiosamente, inoltre i suoi occhi, che per nemmeno un istante si erano slacciati di quelli di Sherlock, erano sgranati dalla paura e dall’ansia.
“Va bene” esclamò allora Sherlock “dimmi a cosa vuoi giocare” acconsentì e John vide la ragazzina trattenere a stento un sospiro di sollievo.
“Ho un semplice enigma per te” esclamò e poi aggiunse, invitata da un cenno di Sherlock “dove i tre troll ballano, è lì che ti devi recare, ma ricorda che se sai devi solo chiedere, ma se chiedi non lo saprai mai”
Sherlock rimase in silenzio, le mani giunte davanti alle labbra e lo sguardo puntato in quello terrorizzato della ragazza “Quando possiamo incontrarci?” domandò infine.
“Prima devi vincere il gioco” replicò lei, prima di voltarsi e allontanarsi a passi tremanti verso l’uscita.
John rimase ad osservarla esterrefatto e incredulo e solo quando Sherlock si alzò in piedi, sbattendo nervosamente le mani sul tavolo, si riprese.
“Cos’è appena successo?” domandò confuso, seguendo Sherlock verso l’ingresso.
“Un enigma, John” rispose seriamente il Serpeverde, dirigendosi a passo di marcia verso le scale.
“Questo l’avevo capito” ribattè il Grifondoro, con il fiato già corto per la fatica di star dietro a Sherlock e alle sue gambe chilometriche “ma chi era quella bambina?”
“Nessuno di rilevante”
“Nessuno di rilevante? Cosa dovrebbe significare?”
“Perché fai domande tanto stupide, John?!” sbottò Sherlock infastidito, arrestandosi di colpo per osservare l’amico negli occhi “lo hai sentito anche tu, la persona che mi ha invitata a giocare vuole mantenere segreta la propria identità finchè io non vincerò la sfida, quindi, per avanzarmi la sua proposta, si è servita di una ragazza a caso, probabilmente una facilmente ricattabile, considerando quanto era spaventata” aggiunse, prima di ricominciare a marciare.
“Ma perché fare una cosa del genere?”
“Per noia”
“Noia?” soffiò incredulo John “ed ora dove stiamo andando?”chiese ancora, rendendosi conto che non avrebbe ottenuto ulteriori chiarificazioni riguardo al misterioso interlocutore.
“Dove sono raffigurati degli troll che danzano?”
“Parli dell’arazzo di Barnaba il babbeo, al terzo piano?” tentò John, ricevendo in risposta un sorriso soddisfatto da Sherlock.
 
Raggiunsero il terzo piano a tempo da record, trovandolo fortunatamente deserto; Sherlock si bloccò al centro del corridoio, lo sguardo puntato sul muro vuoto davanti a sé.
“È qui!” esclamò soddisfatto, indicando a John un punto imprecisato sulla parete; John si avvicinò di un passo, socchiudendo gli occhi per osservare meglio.
“Cosa di preciso? Io non vedo niente” ammise, facendo vagare lo sguardo “cosa stiamo cercando?”
“Non ne ho idea” rispose Sherlock, con tono assorto.
“Ma allora come possiamo trovarlo?” chiese ancora John, venendo tuttavia ignorato dall’amico, che restò immobile a riflettere.
Sherlock rimase a contemplare il muro bianco che gli stava di fronte per un tempo esageratamente lungo, mentre John, alle sue spalle, si era lasciato scivolare a terra; lo osservò riflettere e parlottare tra sé, farsi avanti per tastare con mano la parete nuda, sussurrare alcuni incantesimi a fior di labbra e poi risistemarsi al punto di partenza, ricominciando tutto da capo.
Fu in quel momento che John si rese conto che finchè Sherlock non avesse trovato ciò che stava cercando, sarebbero rimasti in quel corridoio vuoto.
“Sherlock, qui non c’è niente” esclamò insofferente, stanco di sprecare il suo tempo libero fissando una parete chiaramente liscia “probabilmente era solo uno stupido scherzo” aggiunse, cercando di far ragionare l’amico, che tuttavia si limitò a zittirlo con un cenno infastidito della mano.
“Ne dubito” sibilò leggermente, continuando il suo studio.
“E va bene, ma allora come puoi essere certo che sia questo il posto? Io vedo solo una parete vuota…”
“John, è questo il posto” ribadì “quale altra opera conosci che ritrae troll che imparano a ballare?” chiese con sufficienza.
John sbuffò irritato, voltandosi verso il vasto arazzo, osservandolo con attenzione “Comunque gli orchi sono cinque, non tre” bisbigliò tra sé, indispettito.
Per la prima volta da quando erano lì, Sherlock distolse lo sguardo dal muro, per puntarlo su John
“Cosa hai detto?” domandò con urgenza, una nota eccitata nella voce.
“Emh, la ragazzina aveva detto che tre orchi stavano ballando, ma sull’arazzo ce ne sono cinque” balbettò con incertezza, restando allibito davanti allo sguardo di pura gioia ed orgoglio di Sherlock, che velocemente si voltò verso l’arazzo.
“Ma certo, Jawn!” esclamò “come ho potuto non capirlo?!”
“Emh, capire cosa?” s’informò John, spostando lo sguardo tra i troll e Sherlock.
“Se sai devi solo chiedere, ma se chiedi non lo saprai mai” ripetè Sherlock “devo solo chiederlo e devo chiederlo per tre volte”
“Chiedere cosa?”
“Ciò che mi serve per risolvere l’enigma” esclamò Sherlock, ma John percepì una nota di incertezza nella voce.
“E cosa ti serve?” domandò ancora John, cautamente.
“Solo un indizio” rispose il Serpeverde senza nemmeno riflettere “un indizio” ripetè poi tra sé.
“Voglio un indizio per vincere il gioco!” tuonò all’improvviso, con voce squillante, facendo sobbalzare il Grifondoro “Voglio un indizio per vincere il gioco! Voglio un indizio per vincere il gioco!”
ripetè, per poi zittirsi, attendendo che l’eco della propria voce si spegnesse, restando immobile a fissare la superficie ancora candida e vuota del muro.
“Dannazione!” si lamentò Sherlock, passandosi nervosamente una mano sopra gli occhi “evidentemente non è questo il modo”
“Forse hai chiesto la cosa sbagliata” suggerì John incerto, facendo scattare Sherlock, che iniziò a camminare nervosamente lungo il corridoio, su di una retta immaginaria, le mani ancora giunte sotto il mento e gli occhi persi nel vuoto.
Fu quando Sherlock passò per la terza volta davanti alla parete, che John si accorse della porta di legno scuro che si era appena materializzata sul muro prima spoglio.
“Sherlock!” esclamò eccitato, puntando l’indice davanti a sé “guarda!”
Sherlock arrestò la marcia, rivolgendo uno sguardo veloce a John, che esaltato e incredulo indicava la porta appena apparsa; si avvicinarono velocemente, studiandola per qualche secondo con attenzione, prima che Sherlock si decidesse a toccarla; fece scorrere sul legno lucido il dorso della mano, quasi a volersi accertare della sua concreta presenza. Attese ancora qualche secondo, prima di spostare la mano sulla maniglia d’orata, rivolgendo poi uno sguardo eloquente a John, che si trovò ad annuire.
Sherlock abbassò la maniglia e aprì lentamente la porta.
 
 La stanza che i due ragazzi si trovarono davanti era ampia quanto la Sala Grande, le pareti, il pavimento e il soffitto erano completamente bianchi e la camera era totalmente vuota, fatta eccezione per un mantello, gettato al centro.
John e Sherlock gli si avvicinarono con cautela, mentre la porta si richiudeva con un tonfo alle loro spalle, gettando diversi sguardi anche al resto della stanza, per accertarsi non essersi lasciati sfuggire nulla.
Sherlock si chinò davanti al mantello, osservandolo con attenzione da più angolazioni, mentre John rimase ad alcuni passi da lui, in attesa.
Vide Sherlock affondare una mano nella stoffa nera, per poi rimettersi in piedi, sollevando davanti a sé il mantello.
“Considerando l’altezza appartiene ad uno studente del primo o del secondo anno” esclamò, rigirandoselo tra le mani “lo stemma è di Serpeverde e probabilmente apparteneva ad una ragazza”
“Come lo sai?” domandò John con filo di voce.
“Ha applicato dentro il colletto alcune spille a forma di cuore, forse il regalo di un ragazzo” spiegò Sherlock “è in ottime condizioni, presumibilmente appena acquistato, di certo non è di seconda mano, la stoffa è di prima qualità e all’interno sono state ricamate le iniziali, L.T., le tasche sono vuote, ma nelle tasche interne ci sono alcuni residui di quelle che sembrerebbero foglie secche” continuò, osservando concentrato la polvere verdastra che teneva in mano, prima di portarsele accanto al viso per sentirne l’odore.
“Riesci a capire a che pianta appartengono?” chiese John, avvicinandosi al ragazzo di qualche passo, per osservare a sua volta i resti.
“A prima vista è impossibile affermarlo con certezza” sussurrò Sherlock, mostrandole all’amico “ma l’odore mi è familiare” aggiunse, invitando John ad annusarle.
“Sembrerebbe erba fondente” osservò John, allontanandosi di un passo, mentre Sherlock tornava a sentirne l’odore “vengono usate per la preparazione della pozione polisucco” aggiunse.
Sherlock sgranò gli occhi all’improvviso, rivolgendo a John uno sguardo eccitato “Ma certo!” esclamò allegramente, stringendo con maggior forza il mantello tra le mani “ricordi cosa stava dicendo la professoressa Price alcune settimane fa, a lezione?”
“Io…” iniziò John titubante, venendo tuttavia interrotto nuovamente da Sherlock, che si affrettò a darsi una risposta.
“Si lamentava perché le lumache avevano divorato le foglie di alcune piante di erba fondente, lasciandole letteralmente spoglie!”
“Credi che invece sia stata la proprietaria di questo mantello a rubarle?” domandò John, mentre Sherlock annuiva soddisfatto “ma come possiamo trovarla? Ci saranno decine di studentesse con le iniziale L.T. a Serpeverde”
“Solamente nove che frequentano i primi due anni, di cui solo quattro con capelli lunghi e bruni” aggiunse, mostrando a John un capello che si era incastrato tra la stoffa del colletto “e solo una abbastanza intelligente da potersi applicare nella preparazione una pozione tanto complessa come la pozione polisucco”
“Sei certo che debba preparare proprio quella pozione? L’erba fondente è usata anche per altri composti”
“Nessuno dei quali illegali” ribattè prontamente Sherlock “se avesse deciso di preparare qualcosa d’altro non sarebbe stata costretta a rubare le foglie, avrebbe potuto semplicemente chiederle alla professoressa Price, evitando rischi inutili”
“Chi stiamo cercando?” chiese allora John, lo sguardo meravigliato.
“Layla Turner”
“Fantastico” bisbigliò questo, come sempre troppo sorpreso dalle doti dell’amico per nascondere l’ammirazione che provava e Sherlock e il suo ego, ne parvero visibilmente soddisfatti.
“Forza John” esclamò Sherlock, avviandosi verso la porta “dobbiamo andare immediatamente a parlare con il preside, per avvisarlo delle attività illegali con cui una sua allieva trascorre il tempo libero”
“La vuoi denunciare?” balbettò allibito John, tornando velocemente alla realtà “non hai prove per farlo, Sherlock! Le tue deduzioni non basteranno per far espellere una studentessa!”
“Non mi limiterò ad esporre ciò che ho scoperto, John, ma coglieremo la ragazza con le mani nel sacco!”
“Come pensi di farlo?”
“Ci vogliono circa due mesi per preparare la pozione polisucco e le foglie sono state rubate solo sette settimane fa, quindi la ragazza deve essere ancora impegnata nella sua preparazione”
“Ma come faremo a trovarla?”
“Sta utilizzando un’aula vuota dei sotterranei” spiegò Sherlock “ho percepito più volte uno strano odore dolciastro provenire da quella classe, ma quando ho cercato di entrare l’ho trovata sigillata con potenti incantesimi di protezione. È il posto migliore dove sistemarsi, si trova vicino ai nostri dormitori, così da consentirle di sgattaiolare al suo interno quando preferisce e può restarci anche la sera fino a tardi, riuscendo poi così a tornare a letto senza il pericolo di farsi scoprire in giro per la scuola” spiegò velocemente, continuando a camminare a passo di marcia verso lo studio del preside “sicuramente ci andrà anche questa sera, dopo cena; è la nostra occasione per mettere fine a questo gioco!”
Ovviamente Sherlock aveva ragione su ogni cosa. Dopo cena lui, John e il preside si recarono nella classe che aveva indicato e vi trovarono Layla Turner, brillante studentessa del secondo anno, intenta a controllare la pozione polisucco che stava preparando illegalmente e che le costò l’espulsione dalla scuola.
 
Per il resto della serata Sherlock non venne avvicinato da nessun altro studente, così si limitò a trascinarsi per i corridoi in uno stato di nervosa eccitazione, seguito da John che cercava di farlo calmare e di convincerlo ad andare a dormire almeno per qualche ora.
“Ma come posso dormire, Jawn?” esclamò Sherlock incredulo, osservando John con la stessa espressione con cui si guarderebbe un pazzo “come posso perdere tempo con cose futili come il sonno, quando finalmente c’è qualcosa di divertente da fare?”
“Sherlock, quello che sta succedendo è tutto fuorché divertente” intervenne John seccato “qui qualcuno se la sta spassando a danno di altri studenti”
“Per questo io non posso far nulla” ribattè Sherlock “l’unica cosa che mi è concessa è continuare a risolvere gli enigmi che mi vengono presentati, così da poter finalmente scoprire chi c’è dietro”
“Potresti almeno fingere che tutto questo non ti renda tanto entusiasta” ribattè John con durezza, ricevendo uno sguardo annoiato da Sherlock.
“John avanti, mi conosci! Non posso fare finta che la cosa non mi diverta, quando si tratta senza ombra di dubbio dell’evento più intrigante che sia successo quest’anno!”
“Intrigante” soffiò John incredulo “Sherlock, non è intrigante!” urlò, infuocandosi con le parole dell’amico “una studentessa è stata espulsa per far divertire il tuo amichetto, come puoi non esserne…” John s’interruppe, lasciando la frase in sospeso.
“Cosa dovrei fare, John? Lasciar perdere tutto perché non è morale?” domandò sarcastico, ricevendo in risposta lo sbuffo spazientito di John.
“Non ho detto questo, solo… solo fingi almeno di non essere felice per un avvenimento così disgustoso
“La vita è piena di fatti disgustosi, John, non ci è possibile piangere per ognuno di essi” minimizzò Sherlock, facendo sospirare l’amico per l’ennesima volta.
**“Ci sono delle vite in gioco, Sherlock! Vite di gente reale! Tanto per sapere, ti importa vagamente?”
“Preoccuparmene mi aiuterà a salvarle?”
“No”
“E allora continuerò a non commettere quell’errore”**
“Non ti tocca minimamente, non è vero?” domandò John con voce rattristata, osservando Sherlock con aria tanto delusa da far quasi male “non ti importa sul serio delle sorti delle altre persone, non ti disturba che alcune di loro stanno per vedere la propria vita venir distrutta da un pazzo solo per permettergli di combattere la noia”
Sherlock lo trafisse con lo sguardo, severo “Ti ho deluso” constatò pacatamente “il che è strano, dal momento che sai benissimo come sono fatto” aggiunse risentito, osservando John stropicciarsi gli occhi con aria esausta “Non ti illudere, John, gli eroi non esistono e se esisterebbero io non sarei uno di loro”**
“Hai ragione, però…”
“Però cosa, John? Speravi che sarei cambiato, che sarei diventato una persona dolce e sensibile, pronta a sacrificarsi per gli altri e per il mondo, decisa a farsi guidare dall’amore e dalle emozioni, magari grazie alla tua influenza?” lo canzonò sarcastico, imprimendo nella voce più asprezza di quanto avrebbe voluto.
John scosse leggermente il capo, stringendosi nelle spalle “Speravo solo, credevo che tu in fondo fossi in grado di provare emozioni, nonostante la tua evidente incapacità di esternarle, perché, la verità è che…”
“Tutto questo è ridicolo!” sbuffò Sherlock, interrompendolo.
“La verità è” proseguì John a voce alta, sovrastando il borbottio di Sherlock “che mi sarebbe piaciuto pensare che dopo tutto io per te contassi davvero qualcosa” ammise con voce triste, evitando di guardare Sherlock, che sospirò stizzito, spostando lo sguardo verso il muro del corridoio “io invece sono solo uno  fra tanti, solo il primo stupido che hai trovato che ha accettato di seguirti, non abbastanza intelligente per essere considerato davvero importante da te, non sufficientemente interessante per risultare insostituibile. Se fossi io a venir espulso o  a dover essere sacrificato per uno di questi stupidi enigmi a te non importerebbe nulla, ti limiteresti a portare a termine le indagini, rimpiazzandomi subito dopo come si farebbe con un giocattolo usato” la voce di John si era spezzata, lo sguardo era triste come lo era stato poche volte “e lo so che è un pensiero egoista, ma fa davvero male, Sherlock” John sospirò, voltandosi finalmente ad osservare il Serpeverde, che fissava ostinatamente il muro davanti a sé, in silenzio, la mascella contratta e lo sguardo assorto.
“Ma è un problema mio e me ne rendo conto” proseguì John, cercando di mostrarsi fermo e sicuro, nonostante la consapevolezza di avere gli occhi innaturalmente lucidi e la voce incredibilmente incrinata “tu non hai mai cercato di farmi credere il contrario, è stato solo un mio errore quello di…”  una nuova pausa; possibile che quella sera terminare un discorso gli risultasse tanto difficile? “quello di credere in te, di credere che anche tu potessi riuscire ad amare, ad essere… umano” concluse.
Immediatamente un silenzio soffocante calò sui due ragazzi, danneggiando ulteriormente quella situazione già di per sé delicata.
John attese pazientemente una qualsiasi risposta da parte di Sherlock, anche solo un cenno del capo che gli confermasse che in effetti lo aveva sentito,  lo aveva ascoltato, ma quando si rese conto che il ragazzo non avrebbe fatto altro che restarsene in silenzio a fissare il muro davanti a sé, decise di tornarsene al proprio dormitorio.
Si allontanò con passi pesanti lungo il corridoio, senza aggiungere una sola parola e senza voltarsi indietro; aveva bisogno di restarsene un po’ per conto suo a riflettere.
Sherlock staccò lo sguardo dalla crepa che aveva analizzato con tanta cura fino a quel momento, non appena percepì John allontanarsi e velocemente si rivolse verso di lui; osservò la schiena rigida piegata in avanti, la testa bassa, le mani affondate dentro le tasche della divisa e il passo strascicato, rendendosi conto di aver appena deluso e ferito l’unica persona che per lui era davvero importante, l’unica che aveva creduto di poter trovare un cuore in una creatura fredda e malsana come lui, regalandogli affetto gratuito, deciso a far sentire amato anche un essere selvatico e solitario come Sherlock Holmes, senza mai pretendere ed ottenere nulla in cambio, se non sofferenze e dolore.
E osservando John sparire dietro l’angolo, Sherlock si disse che probabilmente l’amico si era davvero sbagliato, perché per riuscire a ferire così in profondità una persona tanto buona e amorevole come John Watson, quando sarebbe bastata una sola parola o un solo gesto per impedirlo, era davvero necessario essere privi di cuore.
Ma allora, come era possibile riuscire a provare un dolore così forte, solo vedendo la sofferenza in John? Come poteva sentire un tale senso di abbandono e di solitudine? Perché ne soffriva tanto?
Possibile che l’amicizia di John lo avesse coinvolto così nel profondo, in modo così naturale?
Tuttavia era consapevole che presto o tardi tutte quelle crepe che continuava ad infliggere nel loro rapporto si sarebbero allargate, sgretolandolo definitivamente. L’unica domanda da porsi era tra quanto tempo sarebbe accaduto.
 
Note finali:
*Omaggio a “Guida galattica per gli autostoppisti”; sarebbe troppo lunga da spiegare, il succo del discorso è che non c’è altro oggetto che possa esservi utile come un asciugamano! Potrebbe salvarvi la vita in ogni momento!u.u
**Citazioni da “Il grande gioco”
 
Eccoci alla fine! Come sempre, se tutto va bene giovedì pubblicherò il seguito! Un altro bacio, Becki.

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Capitolo 5
*** 3.2 Il grande gioco ***


Buona sera a tutti!
Come promesso eccovi la seconda parte del terzo capitolo!
Per prima cosa ringrazio Maya98, Starkie e LucyBerry per aver recensito, l’ho apprezzato molto, un enorme grazie a tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite, seguite o ricordate e anche a chi l’ha solo letta!
 
Per questo capitolo ho un avviso importante da dare, prima che iniziate a leggere! Temo di essere caduta totalmente nell’OC con Sherlock, soprattutto nella parte finale.
Premetto che ho cercato di limitare i comportamenti “non Sherlockiani” al minimo, ma non ci sono riuscita del tutto. Trovo che un atteggiamento un po’ OC non stia troppo male in quel contesto, ma se così non fosse, se avessi esagerato o se trovate che lo Sherlock di questo capitolo sia troppo insensato, vi prego di perdonarmi e di farmelo notare, così che possa correggere il capitolo!
Grazie in anticipo e buona lettura!
Becki.

 
Capitolo 3.2 Il grande gioco
 
La mattina seguente John non si presentò a colazione; al suo posto, tuttavia, Sherlock ebbe il piacere di incontrare Eric e Taylor, che si erano affrettati verso la Sala Grande con il solo scopo di parlargli. 
Lo bloccarono all’ingresso, prima che potesse entrare e dopo averlo trascinato in un punto non molto frequentato del corridoio lo sbatterono con malagrazia contro il muro, premurandosi di fargli il più male possibile.
“I compagni di stanza di John, giusto?” esclamò il Serpeverde con voce falsamente cortese, osservando con sguardo severo i due ragazzi, domandandosi se fosse meglio ribaltare velocemente la situazione, rischiando di far arrabbiare ulteriormente John, o sopportare quell’inutile supplizio, risparmiando l’integrità dei volti di quei due poveri idioti.
“Non fare lo spiritoso, brutto figlio di puttana” sibilò minaccioso Taylor, rafforzando la presa sul colletto di Sherlock, stringendo con tanta forza da strappargli un gemito sommesso “io non so chi tu creda di essere e sinceramente non me ne sarebbe fregato un cazzo, se tu non avessi deciso di iniziare ad immischiarti nella vita di John”
“Io non ho…” iniziò Sherlock saccente, venendo tuttavia zittito da una nuova percossa.
“Devi stare lontano da John, mi hai capito?” insistette Taylor con rabbia, digrignando i denti “lui è una brava persona, non merita di essere presa in giro da un essere viscido come te.
Lascialo in pace, Holmes”
“Io non ho mai costretto John a starmi vicino, può benissimo smettere di vedermi quando lo desidera” ribattè aspramente Sherlock.
“Ma non lo farà” intervenne Eric, facendosi più vicino ai due ragazzi “perché John ha un cuore d’oro e anche se non riesco proprio a capirne il motivo, tiene davvero molto a te, Holmes. L’affetto di una persona come John non è una cosa che si può dare per scontata!”
Sherlock sbuffò, spazientito “Posso sapere perché sono qui?” domandò con disinteresse, spostando lo sguardo tra i due ragazzi.
“Ieri sera John è tornato in dormitorio distrutto” ammise Eric con una certa titubanza, scambiando con il migliore amico un’occhiata insicura “non lo avevo mai così; non siamo riusciti a farci spiegare cosa fosse realmente successo, l’unica cosa che abbiamo capito è che se si trovava in quelle condizioni la colpa era solo tua” sibilò velenoso “e io non ho la minima intenzione di lasciarti divertire con John, fino a distruggerlo”
“Lui può anche non aver capito che razza di mostro tu sia, ma noi lo sappiamo” aggiunse Taylor, liberando finalmente Sherlock dalla sua presa e facendo un passo indietro, per permettergli di allontanarsi dal muro.
Sherlock si sistemò con un gesto seccato la divisa, lo sguardo che analizzava i volti dei due Grifondoro.
“Con il cervello che vi ritrovate mi stupirei profondamente che possiate essere a conoscenza di qualsiasi nozione” sibilò con tono arrogante, godendo nel vedere una nuova ondata di rabbia sconvolgere i visi dei ragazzi “per di più, io non ho mai fatto nulla a John” aggiunse, facendo un passo sicuro verso l’ingresso, ormai deciso a chiudere definitivamente il discorso; come faceva John a sopportare tali inetti?
“Sì, certo Holmes, come no!” sbottò Taylor irritato.
“Inoltre” continuò Sherlock “non mi sembra che John abbia bisogno del vostro permesso per frequentarmi”
“Questo è vero” lo interruppe Eric “ma ricorda che noi siamo i suoi migliori amici da cinque anni, mentre tu sei solo uno stronzo viziato apparso dal nulla qualche mese fa. Se farai soffrire ancora John lo convinceremo a starti alla larga, fosse l’ultima cosa che facciamo”
“Certo che John è davvero fortunato ad avere degli amici come voi, non è vero?” li canzonò Sherlock con sarcasmo, innervosendosi appena.
“Noi ce la siamo meritata la sua amicizia, sei tu ad essere fortunato, Holmes”
Sherlock fece per replicare, già pronto a rispondere a tono alla provocazione, quando una risatina fin troppo famigliare lo raggiunse dal fondo del corridoio, facendogli ribollire il sangue.
Con uno sguardo seccato si voltò verso la fonte del rumore, per nulla sorpreso di vedere Mycroft a pochi metri di distanza da loro.
 “Cosa succede qui?” domandò il ragazzo, avvicinandosi con passo tranquillo al terzetto, il suo sorriso più falso stampato sul viso; Eric e Taylor si allontanarono ulteriormente da  Sherlock, scrutando con diffidenza il nuovo arrivato, lo sguardo che si spostava dal sorrisetto irritante che sfoggiava con sfacciataggine, alla spilla di Caposcuola che risaltava sulla divisa scura.
“Nulla che ti riguardi, Mycroft” ribatté Sherlock annoiato, facendo sparire in un istante il ghigno dal volto del fratello, che gli restituì uno sguardo severo.
“Nessuno di voi dovrebbe essere qui, ma in Sala Grande per la colazione” osservò Mycroft duramente, liquidando con un cenno della mano i due Grifondoro, che dopo aver rivolto un’ultima occhiata ostile a Sherlock, si affrettarono a colazione.
“Non era necessario che intervenissi” chiarì Sherlock “avevo tutto sotto controllo”
“Non essere ingrato, fratellino” sospirò Mycroft, sorridendo compiaciuto della smorfia con cui Sherlock rispose al vezzeggiativo “ti ho appena risolto una bella seccatura”
“Definire quei due una seccatura sarebbe un complimento; non li trovo più fastidiosi di una zanzara”
“Devi aver fatto qualcosa di davvero grave per scatenare una tale collera negli amici di John” continuò il maggiore, ignorando il commento sprezzante del fratello, facendosi immediatamente serio “immagino riguardi la discussione che avete avuto ieri sera” continuò mellifluo, fingendo di non notare l’irritazione che immediatamente raggiunse Sherlock.
Il ragazzo s’irrigidì, fulminandolo con lo sguardo “Smettila di spiarmi, Mycroft” sibilò minaccioso, la voce ridotta a un ringhio grottesco.
“Io mi preoccupo per te, fratellino e considerato il modo in cui ti comporti e guai in cui ti cacci direi che faccio anche bene” aggiunse, rivolgendo a Sherlock uno sguardo ammonitore; il fratello non si diede nemmeno la pena di replicare, voltandosi di scatto e allontanandosi lungo il corridoio.
“Sherlock!” lo richiamò Mycroft con durezza “mi dispiacerebbe se dovessi perdere l’amicizia di Watson, soprattutto se dovesse accadere a causa di una cosa tanto stupida come la tua incapacità di dimostrargli il tuo affetto e sono certo che la cosa ti ferirebbe più di quanto tu sia pronto ad ammettere”continuò Mycroft, rivolgendosi alla schiena del fratello, che non sembrava avere alcuna intenzione di voltarsi a guardarlo “ricorda che alle persone non piace essere trattate come degli oggetti privi d’importanza, soprattutto dai propri amici; Watson ha capito come sei fatto e sa bene che non può pretendere troppo da te, ma sono certo che si accontenterebbe anche solo di un piccolo gesto d’affetto per perdonarti” concluse Mycroft.
Sherlock attese ancora pochi secondi, prima di tornare ad avviarsi verso la Sala Grande, senza premurarsi di rivolgere un solo cenno a suo fratello.
 
John combatté per tutta la mattinata con il desiderio di restarsene a letto a poltrire per tutto il giorno, così da evitare il più a lungo possibile qualsiasi ramanzina o discorso che i suoi migliori amici gli avrebbero di sicuro fatto, supplicandolo per l’ennesima volta di smetterla di frequentare Sherlock Holmes e il momento imbarazzante in cui lui e il Serpeverde si sarebbero rivisti.
In realtà John, dopo aver passato intere ore ad immaginarsi scenari più o meno plausibili su come lui e Sherlock avrebbero risolto la questione del loro primo, vero litigio, si era reso conto che, con molta probabilità, il Serpeverde aveva già cancellato dalla mente l’intera vicenda, oppure l’avrebbe deliberatamente ignorata, fingendo che non fosse mai avvenuta.
Così, alla fine, John si convinse che sarebbe stato da stupidi saltare le lezioni per qualcosa che con tutta sicurezza aveva avuto una certa importanza solo per lui e dopo essersi preparato velocemente uscì dai dormitori diretto a pozioni.
Arrivato in classe il Grifondoro, come ormai d’abitudine, prese posto accanto a Sherlock, indaffarato a cercare chissà cosa nella sua borsa dei libri; non si salutarono nemmeno, troppo insicuri da poter dire qualsiasi cosa e John si limitò a rivolgergli uno sguardo veloce, prima di voltarsi davanti a sé, sistemando sul tavolo il materiale per la lezione.
Fu solo in quel momento che si accorse della tazza fumante che era stata sistemata davanti a lui; la osservò con un cipiglio perplesso per lunghi secondi, percependo l’aroma intenso del caffè, incerto su come comportarsi, per poi decidersi a rivolgere lo sguardo verso Sherlock, il cui viso era ancora nascosto dalla tracolla e poi nuovamente alla tazza.
 “Quella cosa sarebbe?” chiese infine, indicandola con un cenno veloce, decidendo che sarebbe stato più saggio non toccarla.
“Una tazza di caffè, John” esclamò pacatamente Sherlock, ricomparendo da dietro la propria tracolla, che abbandonò a terra con un gesto nervoso.
John storse il naso, osservandola con diffidenza “Questo lo vedo anche io; quello che mi sto chiedendo è perché è sul nostro banco”
“Non eri a colazione” soffiò allora Sherlock, sporgendosi per afferrare la tazza, che poi avvicinò all’amico, per permettergli di osservarla più chiaramente “non mangi nulla da ieri sera, ho pensato che un caffè ti avrebbe fatto piacere. Gli ho fatto un incantesimo per tenerlo caldo” aggiunse con titubanza.
John rimase totalmente basito a fissare Sherlock con uno sguardo tanto incredulo da far sorridere il Serpeverde.
“Da quando ti preoccupi di cose come i pasti?” chiese sconvolto il Grifondoro, prendendo in mano la tazza che Sherlock gli porgeva e avvicinandola alle labbra; bevve velocemente, cercando di ignorare quanto effettivamente la bevanda fosse bollente, sotto lo sguardo soddisfatto dell’amico.
 “Da quando queste cose riguardano te” ammise dopo alcuni secondi Sherlock, con tono severo e indifferente e John percepì immediatamente quanto quell’ammissione gli fosse costata.
“Comunque grazie, Sherlock” esclamò, facendo evanescere la tazza  “era buono, molto buono”
Sherlock ricambio il sorriso, annuendo “Bene” sussurrò.
 
Il resto della mattinata trascorse nella più noiosa tranquillità e i due amici dovettero attendere fino all’ora di pranzo prima di ricevere l’enigma successivo.
Com’era capitato la domenica pomeriggio, l’indizio venne trasmesso attraverso un’altra persona, questa volta un ragazzino di Grifondoro, dall’aria totalmente terrorizzata, che bloccò Sherlock e John davanti all’ingresso della Sala Grande.
Questa volta il tramite non si perse in chiacchiere inutili, limitandosi a riferire ai due amici l’indizio, prima di allontanarsi a passo di marcia lungo il corridoio.
 “Vola nella stanza più preziosa di tutta la scuola, ma ricorda che non tutto ciò che brilla è oro” cantilenò con voce spezzata e John e Sherlock lo seguirono con lo sguardo, mentre correva via.
“Forse dovremmo seguirlo” suggerì all’improvviso John, osservando la schiena tremante del Grifondoro.
“Meglio di no, per la sua sicurezza” soffiò Sherlock, iniziando a camminare nella stessa direzione da cui erano venuto e John, dopo aver lanciato uno sguardo adorante alla tavola imbandita a pochi passi da lui, si decise a seguirlo.
“Immagino che tu abbia già un’idea sul significato dell’indovinello”
“La stanza più preziosa di Hogwarts è senza dubbio la sala dei trofei” spiegò velocemente Sherlock, continuando a camminare “la difficoltà sorge sulla seconda parte”
“Non tutto ciò che brilla è oro” ripetè tra sé John “bè, nessuno dei trofei è realmente d’oro” osservò “magari intende dire che uno dei trofei è stato assegnato ingiustamente”
Sherlock si voltò ad osservarlo incuriosito, aggrottando la fronte “Eccellente, John” sospirò con gioia, sorridendo davanti allo sguardo sorpreso e soddisfatto dell’amico.
“Ma ci saranno un centinaio di coppe in quella stanza, come possiamo sapere di quale parlava?”osservò il Grifondoro.
“Il ragazzino ha parlato di “volare”, quindi si riferisce certamente ad un trofeo di Quidditch”
“Ma la coppa di Quidditch è una sola è non si trova nella stanza dei trofei, viene data ogni anno al professore capo della casa vincitrice”
“Quali altri premi vengono assegnati per quello stupido sport?” domandò Sherlock, spalancando la porta della sala dei trofei.
“S-stupido sport?” boccheggiò John incredulo “Sherlock il Quidditch è lo sport migliore di tutti i tempi!”
Sherlock sbuffò sonoramente, avvicinandosi alla prima teca di premi, aprendola senza troppe cerimonie “È solo un’inutile perdita di tempo, Jawn, in cui un gruppo di idioti a cavallo di una scopa rischiano la morte per rubarsi a vicenda una pallina alata” liquidò frettolosamente Sherlock, iniziando a frugare tra le coppe.
John gli si avvicinò per prendere i trofei che Sherlock gli aveva allungato, osservandolo con circospezione “Sherlock, le regole non sono proprio quelle; ma sei mai stato ad una partita di Quidditch?”
Sherlock emise un gemito incerto, che John interpretò come una negazione, girandosi tra le mani una targhetta argentata “Non ho tempo per quel genere di cose, Jawn” sibilò annoiato, ignorando il sospiro esasperato dell’amico.
“Cosa devo farci con questi?” domandò pochi istanti dopo il Grifondoro, perplesso, prendendo tra le braccia l’ennesima coppa.
“Sistemali su quel tavolo” esclamò Sherlock, indicando con un cenno del capo la scrivania di spesso legno scuro posto in un angolo della sala “poi torna subito qui e vedi se trovi altre coppe che hanno a che vedere con quello sport; tu sai che diamine è un cercatore?” aggiunse, aggrottando la fronte con perplessità.
 
John ci  impiegò quaranta minuti a togliere dalle teche tutti i premi, esclusivamente dorati, riguardanti il Quidditch, mentre Sherlock li studiava da vicino, innervosendosi maggiormente ad ogni minuto che passava.
“Tutto questo è ridicolo!” ringhiò innervosito, sbattendo sul tavolo una targhetta assegnata al miglior portiere dell’anno “ridicolo! Come diamine potrei capire a quale stupida coppa si sta riferendo?!”
“Non lo so, magari c’era un ulteriore indizio all’interno dell’enigma, un indizio che ti è sfuggito…”
suggerì John, ma Sherlock scosse il capo con decisione “Non è quello” sussurrò “non c’era nessun indizio. Parlami di queste coppe, John!” esclamò all’improvviso, voltandosi verso il ragazzo, osservandolo con una luce minacciosa nello sguardo.
“Emh, come, scusa?”
“Tu sei un appassionato di Quidditch, giusto? Sei stato alla maggior parte di queste partite, hai visto quasi tutti questi giocatori! Devi dirmi tutto quello che sai su di loro!”
John lo osservò titubante, mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore e spostando lo sguardo dall’amico alla targhetta che stringeva tra le mani “In realtà non saprei” ammise con incertezza, leggendo il nome del cacciatore a cui era stato assegnato quel premio “questo ragazzo, ad esempio, ha giocato più di dieci anni fa, non so nulla di lui…”
“Allora per il momento lo lasceremo stare” dichiarò velocemente Sherlock, strappandogli la targa dalle mani per posarla ad un lato del tavolo “cosa mi dici invece del portiere Martin Scott?”
“È di Corvonero, ma gli hanno dato questo premio solo perché quell’anno hanno fatto praticamente tutti schifo, in realtà non è un gran che…”
“Bene, la cacciatrice Emily White, invece?”
“Sempre Corvonero, è un recente acquisto, gioca da quasi un anno d’anni, davvero molto dotata, non c’è partita in cui non segna almeno un paio di punti”
“Violet Wilson?” continuò Sherlock, ma John scosse piano il capo, mortificato.
“Allen Morgan?”
“Oh, Morgan è un cacciatore di Tassorosso” iniziò John pensieroso “era entrato in squadra tre anni fa, un vero disastro, non riusciva nemmeno a vederla la pluffa, figuriamoci segnare, ma dall’anno scorso ha avuto un cambiamento incredibile, ha portato Tassorosso alla vittoria dopo decenni di sconfitte e probabilmente vinceranno anche quest’anno per merito suo” continuò, intristendosi appena “nella finale dell’anno scorso contro Grifondoro, da solo ha segnato duecento punti”
Gli occhi di Sherlock si illuminarono immediatamente, un sorrisetto trionfante stampato sul volto.
“Credi che sia questo il premio?”
“Credo proprio di sì, John; ora dobbiamo solo capire in che modo questo Morgan è riuscito a migliorare tanto in così poco tempo…”
 
“Giuro Sherlock, non credevo che questo giorno sarebbe mai arrivato; vorrei immortalare l’avvenimento in una foto!” esclamò John, trattenendo a stento una risata, lo sguardo, divertito e incredulo, incatenato agli occhi scocciati dell’amico.
 “Se può farti star meglio nemmeno io lo avrei mai pensato” borbottò Sherlock infastidito, sbuffando appena “ma è per un caso John, se non fosse stato per il caso non sarei mai andato…” Sherlock s’interruppe, come se il semplice fatto di pronunciare quel comune vocabolo ad alta voce fosse doloroso “allo stadio” sputò schifato, mentre John scoppiava a ridere di gusto.
Sherlock lo fulminò con lo sguardo, convincendolo a calmarsi “Sono felice che tu ti diverta, Jawn”
lo riprese stizzito, mentre John gli assestava una spallata amichevole “Magari ti divertirai anche tu” lo provocò, ma Sherlock si limitò a storcere la bocca, disgustato.
“Ne dubito;  non ci trovo nulla di divertente a trascorrere un intero pomeriggio in compagnia di una massa di idioti alterati che sbraitano e urlano incitamenti ad una dozzina di stupidi a cavallo di una scopa che cercano di farsi del male a vicenda!” sentenziò, infervorandosi.
“Forse prima dovrei spiegarti le regole” scherzò l’amico, divertito “e comunque è l’unico modo per osservare Morgan giocare; e poi così potrai fare il tifo per la tua casa”
“Non ho alcuna intenzione di fare il tifo per nessuno, John! Voglio solo incastrare Morgan e tornarmene in dormitorio!”
 
I due ragazzi arrivarono al campo poco prima del fischio d’inizio e andarono a sedersi sugli spalti insieme agli altri Serpeverde, che decisero di occupare il tempo che restava prima dell’inizio della partita, insultando e schernendo John con ogni scusa possibile.
Fu un vero sollievo per il Grifondoro vedere librarsi in aria i quattordici giocatori.
La partita iniziò sotto il tifo di entrambe le squadre e procedette normalmente tra un goal e l’altro.
Morgan si fece immediatamente notare, segnando cinque punti nei primi dieci minuti, rubando infinite volte la pluffa agli avversari ed esibendosi in passaggi degni di un fuoriclasse.
Sherlock ne osservò il gioco per la prima mezz’ora, comparandola a quella degli altri cacciatori, prima di alzarsi in piedi e far cenno a John di seguirlo.
“Cosa ne pensi?” domandò il Grifondoro quando furono abbastanza lontani dal caos degli spettatori.
“Morgan è il migliore su quel campo” disse semplicemente Sherlock, passeggiando lentamente “ma non si tratta di talento”
“Cosa significa?”
“Considera tutte le sue giocate, i suoi passaggi e i suoi tiri” soffiò Sherlock continuando a camminare “cos’è la prima cosa che pensi vedendoli?”
John fece scorrere nella mente le immagini di alcune giocate davvero fortunate;  quando era riuscito a fermare la pluffa con le punta delle dita, quando era scivolato in avanti sulla scopa evitando un bolide o ancora il pessimo passaggio fatto a dieci minuti dall’inizio, che essendo troppo basso aveva colpito la scopa di uno degli avversari finendo nell’anello centrale e decretando il primo goal della partita.
“Ammetto che quel ragazzo è davvero fortunato!” sghignazzò John divertito.
Sherlock gli rivolse un sorrisetto compiaciuto, annuendo appena “Esattamente quello che pensavo” confermò, strappando uno sguardo confuso a John “ora dobbiamo solo trovare le prove, Jawn” sussurrò, estraendo la bacchetta dal mantello e avvicinandosi alla porta degli spogliatoi.
“Sherlock!” lo chiamò John sorpreso, guardandosi intorno furiosamente “cosa vuoi fare?”
“Te l’ho detto, no? Cercare delle prove” dichiarò Sherlock con convinzione “Alohomora” soffiò, facendo scattare la serratura;  Sherlock si affrettò ad entrare negli spogliatoi, trascinandosi dietro un John piuttosto nervoso.
“Sherlock non è una buona idea farsi trovare a curiosare tra i vestiti di sette giocatori di Quidditch, sai?” esclamò inquieto John, avvicinandosi all’ingresso e socchiudendolo appena per poter spiare l’esterno “quindi, qualsiasi cosa tu stia cercando, vedi di sbrigarti a trovarla! Non voglio rischiare di farmi rompere l’osso del collo”
Sherlock sbuffò spazientito, sollevando gli occhi al cielo, iniziando a frugare tra le divise scolastiche degli studenti “Come sei esagerato John” lo rimbeccò divertito “come se la cosa non ti divertisse…”
“Infatti non mi diverte affatto!”
“E poi, se dovessero scoprirci, possiamo sempre dire che stavamo solo cercando un posto appartato dove, come dire, amoreggiare” sussurrò con malizia Sherlock, rivolgendo uno sguardo profondo a John, che ancora immobile sull’uscio si trovò ad arrossire impietosamente, boccheggiando, prima di trovare la forza di distogliere lo sguardo da quello di ghiaccio del Serpeverde, che ridacchiò compiaciuto.
Fortunatamente John non dovette sopportare oltre quel silenzio carico d’imbarazzo che si era venuto a creare, perché solo alcuni istanti dopo Sherlock lo ruppe, urlando.
“Trovato!” esclamò raggiante, ottenendo l’attenzione del Grifondoro, che abbandonò la sua posizione per  avvicinarsi all’amico.
“Sai cos’è questa?” domandò Sherlock, mostrandogli una fialetta di cristallo, contenente per metà un denso liquido dorato.
John scosse piano il capo, osservando con attenzione la pozione dorata.
“Felix felicis” soffiò Sherlock entusiasta, rigirandosi la fialetta tra le dita; John sgranò gli occhi, sconvolto “Fortuna liquida?” balbettò sorpreso “ma è illegale! Non può usarla durante esami o gare sportive! Inoltre può risultare dannosa se assunta per lunghi periodi di tempo!”
“La vera domanda è un’altra, però” soffiò Sherlock cautamente “come è riuscito a procurarsi una pozione tanto rara? Comprarla è fuori questione, è introvabile e decisamente troppo costosa per le tasche di Morgan, inoltre non può indubbiamente averla preparata, al mondo saranno un centinaio i pozionisti in grado di distillare correttamente una pozione di tale difficoltà”
“Credi che gliel’abbia data la stessa persona che ti sta avanzando gli enigmi?” chiese John con serietà.
“Credo proprio di sì” rispose Sherlock sorridendo, avviandosi velocemente all’uscita degli spogliatoi.
Portarono la fialetta al preside, che sottopose Morgan ad una serie di analisi che portarono alla luce i tipici sintomi che l’assunzione prolungata della pozione causava e così, dopo una settimana di ricovero sotto le amorevoli cure di Mrs Hudson, il ragazzo venne dimesso e successivamente fu espulso dalla scuola.
Tuttavia, nonostante sia il preside che Sherlock lo interrogarono più volte  riguardo all’identità di colui che gli aveva fatto avere la pozione, Morgan si rifiutò, o non riuscì, a rivelare nulla sul suo conto e così, alla fine, entrambi furono costretti a rinunciare.
 
Per i tre giorni successivi nessuno si avvicinò a Sherlock con l’intento di proporgli una nuova sfida; a quanto sembrava il misterioso rivale doveva avere in serbo per lui qualcosa di davvero sorprendente e il Serpeverde sapeva che quella volta lo scontro sarebbe stato esclusivamente tra loro due.
Sherlock si era reso subito conto che quell’avversario non era come nessun altro; doveva trattarsi di qualcuno di estremamente intelligente, (finalmente!), annoiato e decisamente senza scrupoli, perché infondo John aveva ragione; chiunque si divertisse con vite di studenti innocenti solo per combattere la monotonia, di certo non doveva avere alcun freno morale.
Anche per questo Sherlock aveva deciso di tenere John all’oscuro di quello che, ne era certo, sarebbe stato l’ultimo enigma; non era ancora pronto a far correre all’amico una minaccia simile, non poteva rischiare che  si trovasse realmente in pericolo, era compito suo proteggerlo e, inoltre, fatto tutt’altro che trascurabile, questa volta voleva risolvere l’enigma con le sue sole forze.
Fu per questo che, quando un ragazzino di Serpeverde bloccò Sherlock una sera, mentre il ragazzo stava per rientrare ai dormitori, dicendogli che se voleva concludere quel gioco si sarebbe dovuto  recare al lago nero allo scoccare della mezzanotte, Sherlock si affrettò al luogo dell’incontro senza dir nulla a John.
 
Uscire dalla scuola senza farsi notare non fu un problema, come non lo era stato nemmeno le volte precedenti e nel giro di dieci minuti Sherlock raggiunse le rive deserte del lago.
Camminò lentamente lungo la costa per diverse volte, troppo nervoso per restare fermo, aspettando l’arrivo della mezzanotte.
Fu solo quando l’ultimo rintocco dell’orologio segnò l’inizio del nuovo giorno che Sherlock si decise a fermarsi, iniziandosi ad esaminarsi intorno con aria eccitata.
“Allora?” chiese rivolto al vento “sto aspettando!” tuonò, immobilizzandosi del tutto quando un’ombra scura si fece avanti da una macchia di alberi, catturando la sua attenzione.
Fece un passo deciso verso quella figura, il cuore che batteva all’impazzata nel petto, il respiro spezzato dall’eccitazione.
Tuttavia, bastò che l’ombra uscisse dall’oscurità, venendo illuminata dai raggi lunari, per bloccagli il respiro in gola.
 John Watson si avvicinò a lui a passo lento e misurato, la bacchetta sfoderata contro Sherlock, il volto mortalmente serio.
*“Buona sera” esclamò con voce sicura e tonante, ignaro di ciò che quella apparizione aveva provocato in Sherlock.
Il Serpeverde boccheggiò incredulo, senza tuttavia riuscire a proferire parola, lo sguardo rapito dalla figura di John Watson.
Semplicemente quello era impossibile.
John non poteva…lui non avrebbe mai…John
“Bella sorpresa, non è vero, Sherlock?” continuò il Grifondoro, con lo stesso tono pacato, avvicinandosi di un altro passo al ragazzo, che immobile al suo posto non accennava a voler proferire parola.
Dopo un altro paio di tentativi Sherlock riuscì finalmente a parlare, la voce spezzata e la gola riarsa “John…cosa diavolo…” esalò, ancora troppo incredulo per poter aggiungere altro.
“Questo non lo avevi previsto” dichiarò tranquillamente John, il braccio ancora puntato contro Sherlock.*
Sherlock cercò di prendere un respiro profondo, per cercare di calmare i nervi e il cuore che sembrava sul punto di scoppiare; l’idea che John avesse mentito fino a quel momento, l’idea che tutto quello che era accaduto fino ad allora, quello che era nato tra loro…no, non era semplicemente possibile…
Distogliendo lo sguardo dal volto di John, non dai suoi occhi, che Sherlock aveva deliberatamente evitato, certo che  non sarebbe riuscito a sopportarne la vista, lo puntò sulla bacchetta che il ragazzo stringeva in mano e fu allora che Sherlock si accorse di una nota che stonava.
Il braccio di John era teso davanti a lui, rigido e statico da diversi minuti, lunghi minuti durante i quali il ragazzo non aveva mosso nemmeno un muscolo.
Sherlock spostò velocemente l’attenzione sul corpo di John, rigido come una statua; infondo non era possibile per un essere umano rimanere in una tale immobilità per un tempo tanto lungo, a meno che…
Deglutendo a fatica Sherlock si costrinse ad intrecciare gli occhi con quelli dell’amico, confermando immediatamente la sua ipotesi; gli occhi blu di John erano vacui e spenti, rivolti in un punto alle spalle di Sherlock, persi dietro una patina opaca.
Senza nemmeno accorgersene Sherlock emise un respiro di sollievo, sfoderando discretamente la bacchetta dal mantello e spostando l’attenzione nel parco attorno a lui alla ricerca di colui che teneva John sotto Imperio.
“Vedo che finalmente te ne sei accorto” esclamò John con lo stesso tono senza sentimento, che fece rabbrividire Sherlock “posso fargli fare ciò che preferisci” continuò John “cosa vuoi che gli faccia fare?”
“Smettila” sibilò Sherlock innervosito, continuando ad osservarsi intorno.
“Vuoi vederlo prostrarsi ai tuoi piedi?”continuò John, gettandosi a terra nel fango.
“Smettila” ringhiò nuovamente Sherlock, ora decisamente in ansia.
“O preferisci che te lo tolga dai piedi?” continuò il ragazzo, portandosi la bacchetta alla nuca.
“NO!” tuonò Sherlock infuriandosi “smettila immediatamente! Tutto questo riguarda me e te, non John! Lascialo andare e fatti avanti, codardo!” ringhiò fuori di sé dalla rabbia.
“Ma prima devi vincere il gioco” osservò John, rialzandosi lentamente.
“Avanti allora” lo invitò Sherlock, la bacchetta ancora sfoderata stretta in mano.
“Ti concederò dieci secondi per rispondere e potremmo conoscerci solo se risponderai in modo corretto”
“E se dovessi sbagliare?” chiese Sherlock, cercando di mantenere una parvenza di calma, consapevole tuttavia del tremore delle mani e del respiro ancora accelerato.
“Non potremmo incontrarci e la cosa mi dispiacerebbe” sussurrò John “inoltre c’è un prezzo che devi pagare”
“Di quale prezzo stai parlando?” insistette il Serpeverde.
“Se perderai ti toglierò il tuo cuore” sentenziò John “ti brucerò il cuore”
Sherlock si trovò ad annuire, ormai deciso ad andare fino in fondo a quel gioco “Avanti allora” lo invitò con decisione e sicurezza “sentiamo l’ultimo enigma!”
Sul volto di John si dipinse un sorriso meccanico e privo di emozioni, così differente dal solito, che fece irrigidire Sherlock “Hai dieci secondi” gli ripetè, continuando solo dopo che Sherlock annuì con fermezza “cosa rappresenta John Watson per te” sibilò allora John.
 
Quasi Sherlock non lasciò cadere a terra la bacchetta per la sorpresa, ma non potè trattenersi dallo sgranare gli occhi davanti a quella domanda, boccheggiando.
Certamente aveva sentito male, non poteva realmente essere quello l’ultimo enigma! Cosa significava? Doveva esserci un errore, quello non era un quesito! Quella domanda non testava in alcun modo le sue capacità deduttive, la sua intelligenza.
“Questo non ha senso” ansimò tra l’irritato e l’impaurito, ottenendo come unico risultato quello di far allargare il sorriso meccanico del suo migliore amico.
“Dieci” iniziò John con voce metallica “nove…”
Sherlock rabbrivì, per la prima volta insicuro su come comportarsi, su cosa replicare. Per poter ottenere una risposta ad una domanda del genere aveva bisogno di un tempo infinitamente maggiore di una manciata di secondi, ma John stava rischiando la vita ora e lui non aveva più tempo per rimandare.
“Sei…”
D’accordo, si disse, cosa provava lui per John?
Era il suo primo amico, su questo non aveva dubbio, era l’unica persona a cui tenesse realmente, era l’unico davvero importante nella sua vita, l’unico a cui non avrebbe potuto rinunciare, l’unico che non avrebbe mai dovuto mettere in pericolo, perché dannazione difenderlo era compito suo! Suo, perché anche John era suo, gli apparteneva e lo stesso valeva per lui…ma cosa significava tutto ciò?
“Tre…”
Cos’era? Amicizia? Possibile che la semplice amicizia potesse scatenare un tale vortice di emozioni? Possibile che tra due amici si potesse creare un legame tanto forte? Un legame di affetto e attrazione, sia fisica che emotiva?
“Due…”
Sherlock non lo sapeva, non lo sapeva perché non aveva mai avuto un amico, perché non era mai stato tanto legato a nessuno…
“Uno”
Perché non aveva mai amato nessuno prima di John Watson.
“Tempo scaduto” sentenziò John.
Sherlock sollevò lo sguardo per osservarlo, rabbrividendo.
Aveva trovato la risposta corretta, come sempre d’altronde, eppure questa volta, a differenza delle altre, il suo corpo, o la sua mente, non gli avevano permesso di esprimerla ad alta voce, costringendolo a mantenerla per sé come il più oscuro e il più infimo dei segreti.
Lui amava John, lo amava, ma non poteva ammetterlo ad alta voce, perché farlo avrebbe reso quel sentimento totalmente reale.
“Che peccato” sospirò John, riportando Sherlock alla realtà “hai perso il gioco proprio sul più bello” continuò “e così ora non possiamo più vederci ed è un vero peccato; mi hai davvero deluso” proseguì; ad ogni parola pronunciata attraverso John una rabbia cieca montava dentro Sherlock.
“Ed ora dovrai pagare” concluse, stringendo con maggior forza la bacchetta che era ancora sollevata contro Sherlock, che si preparò a difendersi da qualsiasi possibile attacco, deciso tuttavia a non torcere un solo capello a John; lo avrebbe tirato fuori da quella situazione ad ogni costo.
Quel vigliacco avrebbe usato il corpo del suo migliore amico per combattere, impedendogli così di contrattaccare alle maledizioni che gli avrebbe lanciato, ma Sherlock era pronto, avrebbe combattuto e avrebbe vinto.
Tuttavia, quando John piegò velocemente il braccio, portandosi con un gesto rigido la bacchetta al proprio petto, Sherlock per la seconda volta in quella notte percepì il respiro fermarsi in gola e la paura invaderlo.
“NO!” tuonò, scattando in avanti, mentre l’incantesimo Incendio iniziava a lasciare le labbra di John.
Fece appena in tempo a disarmarlo, facendo volare la bacchetta a pochi metro da loro, prima che il ragazzo riuscisse a darsi fuoco.
Senza riuscire a trattenersi Sherlock si avvicinò a John, afferrandolo per le spalle e stringendolo al suo petto con decisione, dopo aver constatato che il ragazzo era rimasto immobile come una bambola di pezza, senza opporre la minima resistenza.
“Jawn” soffiò al suo orecchio, rafforzando la presa sul corpo rigido dell’altro “Jawn, ti prego…” lo supplicò “lo puoi combattere” ansimò, tuttavia consapevole che si trattava solo di una sciocca bugia. John non sarebbe riuscito a liberarsi dalla maledizione senza perdono; l’unico modo per liberarlo era che fosse colui che aveva lanciato la maledizione a volerlo.
Sherlock percepì il corpo di John rabbrividire sotto la sua presa e per un secondo sperò che John fosse tornato in sé, ma non fece nemmeno in tempo ad accertarsene, che l’amico ricominciò a parlare con lo stesso tono freddo e distaccato di poco prima.
“Hai perso Sherlock e ora devi pagarne le conseguenze. Ho detto che avresti dovuto rinunciare al tuo cuore e così farai” sentenziò John, spingendo via Sherlock con una forza che non gli apparteneva, facendolo sbattere contro il suolo freddo con un tonfo secco, mentre la bacchetta gli scivolava dalla mano, finendo ad alcuni metri da lui.
 Boccheggiando alla ricerca d’aria Sherlock si rimise rapidamente in piedi, abbandonando a terra la bacchetta,  sicuro che non sarebbe riuscito a ritrovarla in mezzo a quella oscurità; seguì con lo sguardo sgranato dall’ansia il corpo di John che si dirigeva a passo veloce verso il lago nero, incapace per un solo secondo di reagire, prima di riuscire a scattare nella sua direzione, bloccandolo a pochi metri dalla riva; lottò contro il corpo di John per impedirgli di entrare nelle acque ghiacciate del lago, dove, ne era certo, il suo avversario lo avrebbe costretto ad annegarsi.
Ma John al momento possedeva una forza almeno tre volte superiore rispetto a quella di Sherlock e per lui non fu un problema levarselo di dosso e spingerlo nuovamente a terra, facendogli picchiare il capo al suolo.
Mugugnando dal dolore Sherlock riuscì a fatica ad alzarsi, costringendosi ad ignorare il senso di nausea che lo invase.
Vide John entrare nelle acque scure e camminare alla ricerca di un punto abbastanza profondo dove uccidersi.
Nuovamente corse verso di lui, immergendosi senza riflettere nel lago, riuscendo a raggiungerlo quando ormai l’acqua gli sfiorava le spalle, abbracciandolo con forza da dietro per impedirgli di continuare ad avanzare.
“Lascialo!” gridò nella notte, la voce e il corpo che tremavano per il freddo, lo sforzo e la paura “lascialo immediatamente, codardo!”
Con un movimento meccanico John riuscì a voltarsi tra le braccia di Sherlock, trovandoselo così di fronte; liberò un braccio dalla sua presa e afferrò senza rimorso la testa dell’amico, spingendola poi sotto l’acqua ghiacciata del lago.
Sherlock si trovò a combattere contro l’amico, divincolandosi ed agitandosi con tutta la forza che aveva, cercando di tornare in superficie a respirare, ma fu lo stesso John a lasciare la presa dopo una manciata di secondi, permettendogli di sollevarsi fuori dall’acqua con un respiro rauco e disperato.
John gli rivolse un ultimo sguardo vacuo, prima di voltarsi nuovamente verso il lago.
“Non ti permetterò di farlo!” gridò Sherlock con quanto fiato aveva in gola “non ti permetterò di far del male al ragazzo che amo, dovessi morire nell’impresa!” ringhiò, tornando ad avvolgere John in un nuovo abbraccio deciso.
Per alcuni secondi nessuno si mosse o parlò, così che gli unici rumori che si potevano riconoscere erano gli ansiti spezzati di Sherlock.
“Risposta corretta” esclamò improvvisamente John “ma il tempo è ormai scaduto” aggiunse con durezza, facendolo rabbrividire.
“Ma ti ho risposto, ti ho dato la risposta corretta!”
“Mi hai davvero deluso, Sherlock Holmes” continuò John “amare un essere tanto insulso, tanto inferiore” proseguì il ragazzo “non ci si dovrebbe affezionare troppo ai propri animali domestici, sai? Arrivare addirittura ad amarli! E come farai, poi, quando il tuo cagnolino morirà?”
Sherlock ascoltò ogni sillaba pronunciata da John senza ribattere, rafforzando solo la presa sul corpo del ragazzo, ad ogni secondo che passava.
“L’amore è un sentimento inutile e dannoso” proseguì John “sarà la tua rovina. Sarà il tuo punto debole”
Sherlock ansimò, certo della verità di quelle parole “Lo so” ammise con voce tremante per il freddo e la stanchezza “lo so”
 “Ma sarò buono, tesoro mio” proseguì John, facendolo rabbrividire “non ti distruggerò questa notte, non ho mai avuto intenzione di farlo davvero” proseguì con una risata amara “non ho ancora finito di giocare con te, Sherlock Holmes, non hai la minima idea di ciò che ti aspetta! Avevo solo bisogno di un piccolo tassello per proseguire, dovevo solo sapere quale effettivamente fosse il tuo punto debole e quanto in là ti saresti spinto per proteggerlo”
Sherlock aumentò ulteriormente la presa sul corpo ghiacciato e rigido di John, senza riuscire a trattenere un gemito di rabbia e sorpresa.
“Grazie per aver collaborato”
Sherlock non fece in tempo a rispondere nulla, che percepì il corpo di John sciogliersi tra le sue braccia, con un respiro rotto; prontamente lo sorresse tenendolo per le spalle, ma John entrò in uno stato di shock e confusione che lo portò ad dimenarsi come un folle, agitando braccia e gambe, sollevando schizzi d’acque e cercando di liberarsi dalla presa di Sherlock.
“John!” lo chiamò il ragazzo, trovandosi costretto ad urlare per farsi sentire“John sono io! Devi calmarti, capisci? Ti porterò fuori da qui!” tuonò Sherlock, cercando di far tranquillizzare l’amico, che tuttavia non sembrava in grado di dargli retta.
Non senza una certa difficoltà, Sherlock riuscì a passargli un braccio sotto il collo e dopo aver rafforzato la presa con la mancina su un braccio riuscì a spingersi all’indietro, trascinando con sé l’amico.
Raggiunsero terra tremanti e spaventati e velocemente Sherlock depositò il corpo ormai privo di forze di John, per poi sistemarsi a cavalcioni su di lui, sollevandogli il capo per costringerlo a guardarlo. In quel momento era John la sua necessità.
Gli passò una mano sul viso pallido, testandone con mano la temperatura, per poi afferrare nuovamente le spalle del ragazzo, scuotendolo “JOHN!” lo chiamò atterrito, tremando per il freddo e per la rabbia.
John strizzò per un attimo gli occhi, cercando di recuperare il pieno controllo della mente e del corpo, sforzandosi di ricordare quello che era accaduto, chiedendosi come diamine era finito nel parco della scuola, bagnato fradicio, con un mal di testa con i fiocchi e Sherlock Holmes a cavalcioni sopra di lui.
“Stai bene John?” tuonò nuovamente Sherlock, costringendolo ad aprire gli occhi.
“S-sì” sospirò con difficoltà il Grifondoro,  ancora scosso, intrecciando gli occhi con quelli ora sollevati di Sherlock “cos’è successo?” pigolò con un filo di voce, mentre Sherlock gli sorrideva apertamente, sospirando di sollievo.
“Non è importante” esclamò, chinandosi sul migliore amico per stringerlo in una stretta decisa e calorosa, facendo scorrere le mani sulla sua schiena, nel debole tentativo di scaldarlo; John percepì immediatamente l’agitazione e il nervosismo di Sherlock e provò a sollevare le braccia per rispondere all’abbraccio, per confrontarlo, non sapendo nemmeno da cosa, ma si rese conto che il corpo gli doleva troppo.
“Sherlock” lo chiamò con un filo di voce, mentre il ragazzo continuava a tenerlo stretto tra le braccia, quasi spaventato da poterlo vedere sparire da un momento all’altro “Sherlock cosa succede?” domandò confuso, rabbrividendo sotto la presa dell’altro.
Sherlock si fece più vicino, facendo scorrere le mani sulla schiena di John con maggior forza, maledicendosi per aver perso la bacchetta “Hai freddo” sentenziò, continuando a tenerlo stretto di sè
“Sì” ammise John, sempre più confuso.                                      
“Perché sei bagnato” continuò Sherlock, tirandosi appena indietro per riuscire ad afferrare il laccio del mantello dell’amico, con cui trafficò per alcuni istanti, riuscendo infine a slegarlo e a gettarlo lontano, nonostante le mani tremanti “i tuoi vestiti sono bagnati”continuò, abbracciando nuovamente  John e passando il suo mantello sul corpo di entrambi.
 “Sherlock anche tu sei fradicio” osservò, riuscendo finalmente a stringere a sua volta il corpo sottile e tremante di Sherlock a sé, non senza una certa fatica,  ignorando il dolore al braccio che gli urlava di starsene buono e fermo “inoltre vorrei farti notare che mi hai appena strappato i vestiti di dosso ed ora te ne stai a cavalcioni su di me, ora la gente parlerà di sicuro” aggiunse, facendo ridere Sherlock di gusto.
Non senza una certa riluttanza Sherlock lasciò John, rimettendosi in piedi e aiutando John a fare lo stesso; il Grifondoro lo seguì, rendendosi conto solo in quel momento di quanto ogni singolo muscolo del corpo gli dolesse e di quanto il capo gli girasse, tanto che Sherlock fu costretto a sostenerlo per riportarlo a scuola.
“Sherlock, devi spiegarmi cosa diamine è successo” boccheggiò John, gemendo ad ogni passo “e questa volta giuro che me la pagherai! So che è colpa tua!”
Sherlock sorrise, continuando a camminare a fianco dell’amico che si era abbandonato contro di lui, troppo stanco, dolorante e infreddolito per proseguire da solo.
“Facciamo domani, Jawn” sospirò Sherlock, ignorando l’occhiataccia che John gli rivolse “ora abbiamo entrambi solo bisogno di riposo e poi direi che per questa notte ci sono state anche troppe rivelazioni”
 
Note finali:
*Dialogo di “Il grande gioco”
 
Eccoci alla fine del capitolo! Ringrazio ancora tutti coloro che lo hanno letto! Se tutto va bene lunedì ci sarà il prossimo aggiornamento,
un bacio,
Becki

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Capitolo 6
*** 4.1 Scandalo in Sala Grande ***


Buon giorno a tutti!
Eccomi con il nuovo capitolo!
Per prima cosa un ringraziamento a tutti coloro che hanno aggiunto questa storia tra le preferite, seguite e ricordate e anche a chi l’ha solo letta.
Un ringraziamento speciale va a Maya98, Naiko, LuxyCharm e Starkie per aver recensito e per tutto il loro sostegno!
Detto questo, vi lascio finalmente al capitolo,

buona lettura,
con affetto,
Becki
 
Capitolo 4.1 Scandalo in sala grande
 
Erano ormai trascorse diverse settimane dall’incidente dal lago nero, che Sherlock aveva descritto per filo e per segno a John, dal momento che il Grifondoro non riusciva a ricordare nulla, evitando tuttavia di accennare ad un determinato particolare, ad una domanda e una risposta, per la precisione.
Sherlock aveva meditato a lungo, riguardo a ciò che era accaduto quella notte; il volto ancora nascosto del suo così abile rivale occupava da quel giorno ogni angolo della propria mente, pronto a stuzzicarlo ed eccitarlo in ogni momento.
Il Serpeverde non poteva nascondere quanto un avversario del genere lo stimolasse; finalmente, dopo tanto tempo, aveva forse trovato una persona in grado di tenergli testa e niente e nessuno gli avrebbe tolto il piacere di misurarsi con lui.
Nessuno, appunto.
Scoprire l’identità del suo rivale, non era l’unico pensiero che si era impossessato dell’attenzione di Sherlock, ce n’era un altro, decisamente più fastidioso, irritante e potenzialmente più pericoloso che lo preoccupava, un problema che con tutte le sue forze aveva cercato di ignorare e chiudere in un angolo nascosto della propria mente, per poi affrontarlo in un momento più opportuno, ma che con una forza e un’insistenza davvero seccanti, non faceva altro che palesarsi nei momenti meno opportuni.
Un problema che Sherlock aveva fortunatamente evitato ed ignorato fino ad allora, ma contro a cui, prima o poi, avrebbe dovuto fare i conti. Un dilemma che portava il nome del proprio migliore amico, o meglio dei… sentimenti che aveva scoperto provare per lui.
Scoprirsi innamorato di John lo aveva sorpreso come poche cose nella vita; a lungo, da quella sera, Sherlock aveva meditato riguardo a come comportarsi con il Grifondoro e con queste inaspettate emozioni che lo avevano ormai imprigionato. Rivelare a John ciò che realmente era accaduto quella notte era assolutamente fuori questione e con piacere e sollievo, Sherlock aveva scoperto di poter ancora mentire all’amico con facilità e naturalezza.
Eppure, quei nuovi sentimenti erano un impiccio tremendo.
Sarebbe dovuto essere cauto, infondo si stava muovendo in un territorio per lui nuovo e sconosciuto e prima di compiere ogni possibile passo avrebbe dovuto raccogliere ulteriori prove.
Da ottimo osservatore qual’era, era già da tempo consapevole di non essere indifferente alle attenzioni del ragazzo, in un modo che andava già oltre la semplice amicizia; ciò che doveva chiedersi, era se anche John ne fosse cosciente e se sarebbe mai stato in grado, un giorno, di accettare sentimenti simili per un altro uomo.
Sono necessari ulteriori dati.
Si disse, mettendosi a sedere sul letto, dove aveva trascorso la notte a riflettere e gettando un’occhiata veloce alla sveglia.
Se i sentimenti che John provava nei suoi confronti fossero realmente della stessa natura dei propri e non riducibili ad un forte affetto e una evidente attrazione fisica, come aveva supposto fino a quel momento, Sherlock non era ancora in grado di dirlo, ma certamente non si sarebbe lanciato in un campo a lui così avverso, senza prima raccogliere elementi aggiuntivi.
Inoltre, c’erano problemi notevolmente più urgenti a cui pensare; il primo era per il momento ancora un’ombra nascosta e irraggiungibile, il secondo, invece, si sarebbe a breve svegliato, urlando, in un bagno di sudore e lacrime.
Perché, se quella notte aveva turbato Sherlock Holmes come nessun altro evento era riuscito a fare, per John Watson era stato di certo peggio.
 
John non ricordava nulla di quanto accaduto.
Sherlock lo aveva aiutato a ricostruire il quadro generale dei fatti, descrivendogli ciò che era successo, ma per John quelle erano solo parole gettate al vento.
Quella volta John non era stato in grado di combattere a fianco del suo migliore amico, contro quella minaccia sempre più concreta, ma questo non toglieva il fatto che avesse dovuto intraprendere la propria guerra personale, che combatteva con costanza e regolarità ogni notte, dopo essersi abbandonato al sonno.
Essere stati tanto a lungo sotto la maledizione Imperius era stata un’esperienza tutt’altro che piacevole e aveva lasciato su John orribili ripercussioni;  la sensazione che lo aveva attanagliato quella sera, sembrava decisa a non lasciarlo in pace e spesso il Grifondoro si ritrovava a scontrarsi contro l’orribile sensazione di essere intrappolato in un corpo non suo, di essere manovrato e controllato da qualcun altro, qualcuno con occhi neri come le tenebre e uno sguardo che faceva gelare il sangue. Quegli stessi occhi che animavano ogni sua notte, quel volto pallido così sfocato da essere irriconoscibile, che con voce demoniaca lo minacciava di strappargli il cuore, di bruciarlo e che poi si concretizzava nel viso più spigoloso e familiare di Sherlock, che ringhiava parole che non riusciva a sentire, che non riusciva a capire e poi mani bianche e sottili comparivano dal buio, afferrandolo con forza e gettandolo in un mare nero e velenoso, con acque burrascose e ghiacciate, che lo avvolgevano totalmente, trascinandolo sempre  più a fondo, impedendogli di respirare, attanagliandolo in una morsa mortale dalla quale, lo sapeva, non sarebbe riuscito a liberarsi…
“Jawn, così non va bene!”
La voce severa di Sherlock sovrastò all’improvviso il rumore dell’acqua, che docilmente si ritrasse, liberando John, che spalancò gli occhi, venendo immediatamente accecato dalla luce solare che penetrava dalla finestra, che lo avvisava che si era trattato solo si un incubo. L’ennesimo incubo.
 “Cristo Sherlock!” gracchio con voce ancora arrochita dal sonno, coprendosi velocemente il petto nudo con il lenzuolo, osservando con confusione il dormitorio già vuoto “che diamine ci fai tu qui?” domandò con irritazione, mentre l’amico sbuffava, annoiato.
“Non è ovvio?” chiese con la solita aria di superiorità, puntando lo sguardo in quello visibilmente indignato di John.
“No, non è ovvio! Poi mi spieghi come hai fatto ad entrare?” aggiunse, cercando con lo sguardo la camicia che la sera precedente aveva gettato a terra.
“Mi hanno fatto entrare i tuoi amici” soffiò, sistemandosi meglio sulla sedia che aveva avvicinato al letto a baldacchino “ma, ovviamente, sarei riuscito ad entrare in ogni caso, ci ho messo due secondi a scoprire la parola d’ordine del dormitorio; Amortentia non è proprio difficile da…”
“Sherlock!” lo richiamò John al limite dell’esasperazione “cosa ci fai tu qui? E perché i miei amici ti hanno fatto entrare?”
“Sono preoccupati per te” ammise, visibilmente scocciato “ieri sera quella ragazzina è venuta a chiedermi se potevo parlarti, per aiutarti” spiegò annoiato.
“Ragazzina?” ripetè John, sempre più confuso “quale ragazzina?”
Sherlock sbuffò per l’ennesima volta “Bassa, mora, occhi e bocca troppo piccoli e poco proporzionati e l’incredibile incapacità di concludere un discorso senza balbettare o arrossire”
“Ti riferisci a Molly?” chiese sorpreso John, ricevendo un’alzata svogliata di spalle da Sherlock “comunque, aiutarmi per cosa?” insistette il ragazzo, ottenendo nuovamente l’attenzione del Serpeverde.
“Sono settimane che non stai bene” constatò con tono pacato, mantenendo lo sguardo puntato su John, sempre più sorpreso “da quella notte”
John sbuffò, decidendosi finalmente ad alzarsi dal letto per vestirsi “E con questo? Era necessario farti venire in dormitorio a svegliarmi per dirmelo?” s’infervorò.
“È quello che ho fatto notare anche a Mandy, ma lei mi hanno pregato di parlartene qui, evidentemente voleva concederti una certa privacy e voleva evitare che tu cercassi di eludere il discorso”
“E da quando tu ascolti le altre persone?”
“Non le ascolto, infatti” replicò Sherlock, con un ghigno divertito “ma in questo caso non posso dire che avesse tutti i torti; sono giorni che scappi, Jawn e credo che qui, invece, potremmo finalmente risolvere la cosa”
John sbuffò, tornando a sedersi sul letto, i pantaloni della divisa stretti in mano “Da quando ti preoccupi della mia salute psicofisica?”
“Da quando sei diventato ancora più lento nel ragionamento e credo che passare la notte in bianco non ti aiuti” spiegò, sorridendo appena, prima di scoppiare a ridere con l’amico.
“Senti Sherlock, grazie per la preoccupazione, ma ora sto bene; è normale che io continui a sentire gli effetti di quella notte, ma ormai è finita, mi serve solo del tempo per rendermene conto”
“Anche i tuoi amici sono preoccupati”
“Lo so, ma non posso fare niente oltre a rassicurarli sul fatto che adesso va tutto bene; gli effetti della maledizione stanno ormai scemando e anche gli incubi si sono fatti più vaghi”
“Ne sei certo?” insistette Sherlock, scannerizzando con lo sguardo il corpo di John, soffermandosi su ogni dettaglio.
“Sì, sto bene, te lo assicuro” ripetè, sentendosi lusingato per quella preoccupazione evidente “è stato difficile, lo ammetto, ma ora non c’è più motivo di preoccuparsi”
“Bene, almeno non avrò sulla coscienza la tua salute mentale” scherzò Sherlock e John intuì che non avrebbe ottenuto delle scuse migliori per averlo coinvolto, ma, infondo, non gliene poteva importare di meno.
“Perché non me ne hanno parlato i miei amici?”
“Non sapevano nemmeno cosa ti stesse causando un tale stress, ma hanno supposto che io potessi esserne a conoscenza” spiegò Sherlock con un’alzata di spalle, iniziando a frugarsi nelle tasche della divisa, da cui estrasse una fialetta di cristallo contenente un denso liquido verdastro.
“L’ho preparata per te alcuni giorni fa, serve per distendere i nervi e aiuta a rilassarsi e dormire” spiegò, porgendola a John, che se al passò tra le mani, osservandola “puoi prenderne qualche goccia prima di andare a letto”
“Grazie, Sherlock” soffiò John, sistemando la fiala nel comodino, davvero grato per il gesto dell’amico “perché me la dai solo ora?”
“Prima volevo essere certo che stessi superando questa situazione, ma tu continuavi a rifiutarti di parlarne, un atteggiamento davvero infantile”
John scosse il capo “Quindi mi avete teso un’imboscata” concluse, alzandosi “bene, ora che è tutto chiarito propongo di scendere a colazione” sdrammatizzò, desideroso di spostare l’attenzione su altro, ricevendo un cenno di assenso di Sherlock, che tuttavia non diede segno di volersi alzare dalla sedia.
“Sherlock” lo chiamò John, alzando i pantaloni della divisa davanti a sé, per farsi capire “devo cambiarmi”
“Lo vedo, Jawn” replicò tranquillamente lui “a meno che tu non voglia andare in giro per il castello in pigiama, cosa che non credo tu possa fare, nonostante sia sabato”
“Intendevo dire che dovresti andartene mentre mi vesto” specificò John esasperato, mentre Sherlock inarcava scetticamente un sopracciglio, osservandolo con sufficienza.
“Per quale ragione?”
“Secondo te?”
“John, sono un uomo anche io” gli fece notare Sherlock “sono abituato a cambiarmi insieme ai miei compagni di stanza, come te, immagino” osservò sereno, mantenendo lo sguardo puntato su John che, senza nemmeno saperne la ragione, si ritrovò ad arrossire.
“Q-questo non c’entra nulla” balbettò con difficoltà, rendendosi conto che cambiarsi davanti all’amico lo avrebbe messo realmente in imbarazzo.
“Sei a disagio all’idea che io ti veda in intimo” constatò Sherlock con voce impassibile, mentre il volto di John raggiungeva la stessa tonalità delle tende.
“No!” mentì prontamente, cercando di mostrarsi convincente.
“Allora sbrigati a vestirti, così possiamo uscire” lo sfidò Sherlock, mantenendo il tono pacato di sempre e John si ritrovò a combattere una battaglia interiore, tra il desiderio di dimostrargli di avere torto e il suo senso del pudore, che lo supplicava di cacciarlo fuori dalla stanza.
“Ok, sono a disagio all’idea di cambiarmi davanti a te” concesse alla fine, consapevole che finchè Sherlock sarebbe rimasto in quella stanza non sarebbe stato in grado di vestirsi “quindi ti sarei grato se mi aspettassi fuori”
“Perché hai problemi a farlo davanti a me e non ne hai con i tuoi compagni di stanza?” insistette Sherlock, facendo innervosire ulteriormente il Grifondoro.
“Non lo so, ok? Probabilmente perché con loro convivo da cinque anni, mentre noi ci conosciamo da pochi mesi” sbraitò, evitando di cercare troppo una scomoda verità per quella domanda, spalancando con decisione la porta del dormitorio, invitando ad uscire  il Serpeverde che si affrettò all’esterno, con un mezzo sorriso che non sfuggì a John e che lo fece irritare maggiormente.
 
Uscirono dal dormitorio dieci minuti più tardi, sotto lo sguardo compiaciuto e ammiccante della Signora Grassa, che si premurò di fare un discreto occhiolino a John, che si ritrovò costretto a spiegare al quadro che no, lui non era gay e no, lui e Sherlock non erano una coppia, prima di decidersi ad abbandonare l’impresa con un urlo sommesso e raggiungere l’amico, che lo osservava annoiato e compassionevole a qualche metro di distanza.
Raggiunsero insieme la Sala Grande, ancora affollata di studenti intenti a godersi una lunga e tranquilla colazione, dividendosi all’entrata, uno diretto al tavolo di Serpeverde, l’altro a quello di Grifondoro, dove Eric e Taylor lo stavano aspettando.
Con grande gioia di John nessuno dei due sollevò l’argomento incubi, così che il ragazzo potè dedicarsi alla propria colazione.
Con una vitalità del tutto nuova si servì una doppia razione di bacon e pasticcio di rognone, affondandoci il volto senza perdere tempo.
Aveva appena terminato il primo piatto, cullato dal tipico chiacchiericcio della Sala Grande e dal fragore delle posate che grattavano sui piatti di porcellana, pronto a fare il bis, quando un rumore simile a uno schiocco anticipò la materializzazione di un foglio di pergamena liscio e pulito, che con un volteggio elegante si sistemò all’altezza dei suoi occhi, impedendogli di continuare la colazione.
Sorpreso afferrò il foglio, rivolgendo uno sguardo veloce ad Eric, notando solo in quel momento che anche lui, o meglio, che tutti gli studenti che si trovavano in Sala Grande, sembravano aver ricevuto la stessa pergamena.
Un improvviso silenzio era calato nella sala, interrotto solamente da qualche domanda perplessa di alcuni studenti, ma John era decisamente ancora troppo assonnato per chiedere alcun che, così, dopo aver sbuffato appena, si dedicò finalmente alla lettura delle poche righe che occupavano il foglio.
 
Buon giorno Hogwarts!
Finalmente è arrivato il momento di levarsi dal volto quell’espressione assonnata e stanca e di distogliere per una buona volta lo sguardo da quelle focaccine imburrate e quello sciocco succo di zucca che ogni mattina sembra ottenere tutto il vostro interesse.
Perché sprecare tempo con cose tanto futili, quando quello che vi circonda è così interessante?
Muovetevi sciocchi, alzate una buona volta lo sguardo dal vostro piatto e puntatelo sullo studente accanto a voi; magari il vostro compagno di camera, l’amico di una vita, colui con cui dividete il banco dal primo giorno…
Ma quanto potete dire di conoscerlo bene?
Se ad esempio vi voltaste ad osservare Juliet Hill, forse vi accorgereste che anche questa notte l’ha trascorsa in bianco, a intrattenersi in attività decisamente più interessanti del dormire, con il caro Marc Consta; non preoccuparti Juliet, sono certa che il tuo adorato fidanzato Gordon ti avrebbe lasciata comunque, una volta alzato lo sguardo da sotto la gonna di Daisy, per osservare quelle orribili occhiaie che ti deturpano il volto.
Ma a proposito di occhiaie, non credete che quelle di Marvin Hughes siano davvero evidenti, ultimamente? Che il nostro piccolo tasso non dorma bene a causa di questo orribile freddo?O piuttosto è per lo studio disperato che è stato costretto ad intraprendere, per evitare di essere bocciato in tutte le materie?
Marvin, se vuoi davvero ottenere risultati dovresti chiedere aiuto a quel secchione Grifondoro di Remus Lupin, a quanto pare è da mesi ormai che aiuta il giovane rampollo Black a svolgere i suoi compiti, anche se dalle gambe che si strusciano sotto il tavolo alla mattina e dai baci che si scambiano nello stanzino delle scope ad ogni cambio dell’ora, viene naturale pensare che il loro rapporto non sia proprio quello classico tra insegnante e allievo!*
Ma ora è meglio se tornate alle vostra uova, anche se ormai si saranno raffreddate, non pensate a me, ho ancora molto in serbo per voi e presto ve lo mostrerò!
Fate attenzione,
con affetto,
 Lady Who.
 
John impiegò qualche secondo per comprendere appieno il significato di quelle poche frasi e, soprattutto, ciò che quel foglio di pergamena significava.
Alzando lo sguardo dritto davanti a sé, si rese improvvisamente conto di trovarsi ancora in Sala Grande, anche se dal nuovo silenzio che si era venuto a creare era difficile da credere.
Nessuno studente parlava, nessuno ne aveva il coraggio, la forza; tutti si limitavano a guardarsi intorno perplessi, mantenendo  una presa salda su quella lettera, nuovamente bianca.
John si decise a cercare con lo sguardo quello di Sherlock, lungo il tavolo di Serpeverde e lo trovò seduto tra alcuni ragazzi, intento ad osservare con sguardo vigile e concentrato ogni studente nella sala.
“È la verità?” uno scoppio di urla riportò John alla realtà, così come il resto degli studenti, che velocemente spostarono la loro attenzione al tavolo di Corvonero, dove Gordon, in piedi e tremante di rabbia, torreggiava sulla sua fidanzata, che lo osservava con aria di sfida “mi stai tradendo con Marc?” ringhiò rabbioso, spostando per un attimo la sua attenzione sul compagno di stanza, che, velocemente, si appiattì contro il sedile della sedia.
“Non lo avrei fatto, se tu non mi avessi trascurata tanto! Ha ragione, non fai altro che correre dietro a quella sciocca Grifondoro!” si difese la ragazza, alzandosi a sua volta e, senza aspettare una risposta, sparì velocemente dalla sala, che all’improvviso si riempì nuovamente di un intenso brusio.
John si ritrovò ad osservare Marvin Huges, che rosso per la vergogna cercava evidentemente di trattenere le lacrime, per poi spostarlo su Black, che mantenendo la sua tipica aria arrogante e menefreghista, aveva ricominciato a mangiare, ma questa volta le dita della sua mano sinistra erano intrecciate a quelle di un Lupin decisamente imbarazzato, che accanto a lui borbottava concitatamente con Potter.
“Cosa credi significhi tutto ciò?” domandò Eric sconvolto, osservando allibito la pergamena “Chi credi sia stato? Credi dicesse la verità?”
“Non lo so” ammise John, incrociando lo sguardo penetrante di Sherlock.
 
“Hai già un’idea su chi possa essere stato?” chiese seriamente John, camminando a passo svelto vicino a Sherlock che non fingeva nemmeno di trattenere la gioia che stava provando in quel momento.
“Qualcuno di molto furbo” esclamò allegramente Sherlock “ha fatto una mossa davvero perfetta, è impossibile ricondurre a qualcuno quello che è accaduto, senza considerare che avendo colpito ragazzi di diverse case e differenti età e avendo distribuito una pergamena per ciascuno, è molto difficile farsi un’idea su chi possa essere” continuò deliziato.
“Potresti almeno fingere che la cosa non ti renda tanto felice?” lo pregò John, innervosendosi, venendo tuttavia ignorato dall’amico “quindi, non hai nessuna idea su chi possa essere” continuò frustrato, ricevendo come risposta uno sguardo infastidito da Sherlock.
“Certo che ce l’ho” ribatté con astio.
“Ma se hai appena detto…”
Sherlock sospirò con forza, costringendolo a zittirsi “Jawn” latrò altezzoso “quando capirai che il cervello non è solo un accessorio, ma può essere usato per fare una cosa chiamata “riflettere”?”
John non fece nemmeno in tempo a ribattere o ad assumere un atteggiamento indignato, che Sherlock iniziò a spiegare ciò che aveva già scoperto, con uno dei suoi lunghi monologhi.
“È uno studente, più probabilmente una studentessa se consideriamo la calligrafia e il linguaggio che ha utilizzato nella lettera, una studentessa che, evidentemente, ha deciso di punto in bianco di prendersela con tutta la scuola, con tutti gli alunni, senza colpire o favorire una casa in particolare e questo  esclude una qualche sciocca vendetta tra case”
“Eppure non ha detto nulla su nessun Serpeverde” osservò John.
“Per ora no, ma sono più che certo che presto lo farà”
“Quindi non ha finito?”
“Certo che no” sbuffò Sherlock “lo ha detto lei stessa alla fine della lettera; davvero John, perché fai certe domande?”
“Va bene, quindi sappiamo che è una studentessa che colpisce chiunque le capiti sotto tiro, poi, che altro?”
“Tutto ciò che ha detto era vero, quindi sappiamo che non mente, ma sappiamo anche che per avere certe informazioni deve avere qualcuno di fiducia che la informa, forse più di uno studente, oppure è qualcuno che passa facilmente inosservato e può vedere e confermare tutto di persona, oppure si tratta di qualcuno che ha accesso ai segreti degli altri studenti, ma è più plausibile la prima ipotesi. Inoltre deve esserle successo qualcosa che l’ha sconvolta o comunque fatta arrabbiare a tal punto da costringerla a dare inizio a questa vendetta e inoltre sappiamo che si tratta di qualcuno delle classi superiori, probabilmente dal quarto anno in su”
“Questo come puoi dirlo?”
“Hai mai visto un ragazzino del terzo anno riuscire a materializzare centinaia di pergamene incantate nello stesso momento?”
“No, decisamente no” ammise John, passandosi stancamente una mano tra i capelli “quindi dobbiamo cercare una studentessa che frequenta il quarto, quinto, sesto o ultimo anno, non si sa di quale casa a cui è successo qualcosa di brutto nell’ultimo periodo” ricapitolò John, senza nascondere una nota d’ironia nella voce, ironia che venne con tutta probabilità non percepita, o volutamente ignorata da Sherlock che se ne uscì con un “Esattamente John” piuttosto convinto.
 
Il resto della mattinata trascorse con una lentezza esasperante; John e Sherlock si erano rintanati in biblioteca, dove il Serpeverde si era accasciato su una sedia posta accanto alla finestra, rimanendo con gli occhi chiusi e le mani giunto sotto il mento a riflettere, mentre John, al suo fianco, sfogliava svogliatamente alcuni tomi.
Il Grifondoro stava già per assopirsi, rilassato dall’atmosfera tranquilla e pacifica della biblioteca deserta, quando la voce squillante di Sherlock lo riportò alla realtà, facendolo sobbalzare.
“Andiamo” sentenziò, spalancando all’improvviso gli occhi e alzandosi di scatto.
“D-dove?” balbettò John, affrettandosi a raccogliere le proprie cose per seguire l’amico, che sbuffò annoiato, alzando gli occhi al cielo.
“In Sala Grande, ovviamente” spiegò, avviandosi verso l’uscita “ho motivo di supporre che la nostra Lady Who si farà risentire prima di pranzo. Forza John, non vorrai fare tardi, vero? Tutta la scuola sarà già presente”
E, naturalmente, Sherlock aveva ragione; nonostante arrivarono in Sala Grande quasi venti minuti prima dell’inizio del pranzo, tutta la scuola sembrava essere già presente. Evidentemente ogni studente di Hogwarts dovevano pensarla allo stesso modo di Sherlock e nessuno sembrava intenzionato a perdere l’arrivo del nuovo annuncio.
Si separarono all’ingresso, salutandosi con un cenno del capo e uno sguardo eloquente, per poi andare ad accomodarsi ai due tavoli diversi, ma sistemandosi comunque uno di fronte all’altro.
L’aria era satura di attesa e aspettativa e un intenso brusio eccitato faceva da sottofondo; quando uno schiocco secco risuonò nell’aria, annunciando l’apparizione delle cibarie, per un secondo un silenzio opprimente  calò nella sala e anche John si ritrovò a trattenere il fiato, prima di rilassarsi nuovamente, lanciando uno sguardo imbarazzato e divertito a Sherlock.
Inutile dire che nessuno toccò cibo, nemmeno un piatto venne riempito e solo quando, alcuni minuti più tardi, un nuovo scoppio annunciò la materializzazione della tanto agognata pergamena, gli studenti si decisero a ricominciare a respirare.
 
Buon giorno Hogwarts!
Allora, vi sono mancata? Oh, sono certa di sì, altrimenti perché sareste tutti qui ad aspettarmi? E io che credevo di essermi guadagnata il vostro odio questa mattina, ma infondo questo mio giochetto è troppo divertente per permettersi di ignorarlo, non è vero?
Sarebbe certamente meglio ignorare altro, magari l’orribile cera che la nostra Cassandra Baker sembra avere in questi giorni! Per chi non dovesse conoscerla, si tratta di quell’insignificante, sciocca Tassorosso che frequenta il quinto anno; massì dai, non potete non capire di chi sto parlando! È quella biondina che nessuno di voi degnerebbe mai di uno sguardo, troppo banale e timida per farsi notare, notevolmente bassa e decisamente troppo magra. Ma, infondo, sono cose che succedono, quando ci si infila due dita in gola dopo ogni pasto, giusto? Mia carissima Cassandra, mi sento in dovere di consigliarti una visitina da uno specialista… Magari anche due…
Infondo, puoi ritenerti fortunata a potertelo ancora permettere, cosa che di certo non può fare il grande Joseph,- avanti, non sono necessari i cognomi!-, che nonostante continui ad ostentare una notevole ricchezza, si trova in realtà ad essere il più povero dei poveri, ma d’altronde non c’è nulla di cui vergognarsi, può capitare a tutte le famiglie per bene di cadere in rovina, dopo che il capo famiglia è stato arrestato per frode e truffa aggravata!
Wow, devo ammettere che questo lavoro mi spossa terribilmente, ma qualcuno deve pur farlo… Per cui tranquilli miei cari amici, non ho alcuna intenzione di abbandonarvi, ma nemmeno voi dovete farlo! Senza di voi, io non avrei motivo di esserci!
Buon Weekend mie cari!
Lady Who
 
Ancora una volta John si trovò a leggere la lettera più volte , alternando lo sguardo dalla pergamena agli studenti, che avevano già iniziato a bisbigliare tra loro, pronti a puntare il dito contro le povere vittime.
Trovò con lo sguardo Sherlock, che gli fece cenno di raggiungerlo fuori.
“Ora cosa facciamo?” domandò John con sicurezza.
“È una situazione complicata” bisbigliò Sherlock “e per quanto mi infastidisca ammetterlo, credo che da soli riusciremmo a combinare ben poco” sbuffò, visibilmente irritato.
“Vuoi chiedere aiuto a tuo fratello?” propose John, a cui sembrava logico farsi aiutare da qualcuno come Mycroft per una circostanza del genere; insomma, il ragazzo sembrava essere a conoscenza di ogni minimo dettaglio della vita di tutti gli studenti del castello, era un capo scuola e aveva conoscenze ovunque. In breve, era la persona di cui avevano bisogno.
Ma, ovviamente, Sherlock non la pensava in quel modo.
Mycroft?” ringhiò con incredulo disgusto, arricciando il naso “non chiederei aiuto a Mycroft nemmeno per ritrovare un libro, John” sputò, osservando il migliore amico come se gli avesse appena proposto di ballare nudo per i corridoi.
“Ma allora…?” iniziò perplesso il Grifondoro, ma non fece nemmeno in tempo a terminare la domanda che Sherlock si voltò di scatto, sparendo su per le scale.  
“Dove stai andando, Sherlock?” lo chiamò John, fermo sul pianerottolo ad osservando il Serpeverde che si allontanava a grandi falcate, senza degnarlo di uno sguardo, prima di mandarlo letteralmente al diavolo, rientrando in Sala Grande.
 
Il Sabato trascorse in una calma deliziosa che John aveva ormai dimenticato. Non vide Sherlock per tutto il pomeriggio, così che potè rilassarsi all’aria aperta con Eric e Taylor, limitandosi a chiacchierare con loro, rendendosi conto solo allora di quanto tutto quello gli era mancato e discutendo riguardo all’enigmatica Lady Who. John si divertì come non faceva da tempo, da quando aveva incontrato Sherlock per la precisione. Era un piacere differente da quello che provava con il migliore amico, ma più rilassato e tranquillo, senza la paura di ritrovarsi espulso o morto, ma anche senza l’eccitazione o la piacevole sensazione data dell’avere l’adrenalina in circolo.
Sherlock non si fece vedere per tutto il giorno, comparendo solo la sera in Sala Grande per non perdersi l’arrivo dell’ennesima pergamena di Lady Who, per poi sparire nel dormitori di Serpeverde, subito dopo la lettura, senza sprecare tempo a mangiare.
 
In quei giorni Sherlock e John non passarono molto tempo insieme, il Serpeverde sembrava totalmente assorbito da quell’enigma che non riusciva a risolvere e così si era fatto distante, nonostante gli innumerevoli tentavi di John di stargli vicino, tentativo smorzati spesso sul nascere da Eric e Taylor, felici come non mai di riavere il loro migliore amico.
Anche John si godeva  quelle piacevoli giornate, cercando di ignorare la situazione in cui la scuola era precipitata.
Erano  ormai passati tre giorni dalla prima lettera e i ragazzi si erano ritrovati in uno stato senza precedenti.
Ogni studente era incredibilmente irritato, suscettibile e sospettoso nei confronti di chiunque e tutti vivevano nella paura di veder apparire il proprio nome su quella dannata pergamena.
Inoltre, le rivelazioni di Lady Who avevano fatto aumentare a dismisura le risse e i litigi, che scoppiavano con una frequenza allarmante non solo tra studenti di case differenti ma anche tra amici di vecchia data.
Sotto un certo punto di vista anche John non poteva dirsi del tutto indifferente da quel clima pestifero che si era instaurato con tanto facilità all’interno della scuola, in particolare, nonostante gli fosse difficile diffidare di chiunque per una semplice questione di conformazione, non poteva negare che la paura di vedersi un giorno comparire su quella pergamena lo stava davvero logorando.
Si chiedeva inoltre con quale argomentazione la sconosciuta lo avrebbe attaccato; avrebbe potuto rivelare all’intera scuola la T** che aveva preso poche settimane prima al facilissimo compito di incantesimi, o poteva essere già venuta a conoscenza della relazione clandestina e assolutamente segreta che al secondo anno aveva avuto con Sarah, o ancora poteva svelare che due sere prima si trovava chiuso nel bagno del terzo piano in compagnia di sua sorella, per aiutarla a rigettare tutto l’alcool illegale che era riuscita, non aveva ancora capito come, a procurarsi.
Ma con qualsiasi cosa lo avesse attaccato, John sapeva che era solo questione di tempo prima che accadesse e quell’orribile momento arrivò, con suo immenso rammarico, durante la cena di giovedì.
 
John, Eric, Molly e Taylor erano appena rientrati dalla lezione Erbologia, stanchi ed esausti per quella interminabile giornata e incredibilmente infradiciati per quello sciocco temporale che li aveva colti impreparati fuori dalle serre.
John si lasciò cadere con un sospiro stanco sul primo posto libero, seguito a ruota dai suoi amici e, senza attendere un secondo di più, si riempì il piatto con croccanti patate arrosto, pasticcio di carne e funghi, carote al burro e pane all’olio, avventandosi sul piatto come un affamato che non vede cibo da mesi.
Aveva quasi ripulito il piatto, quando lo schiocco ormai abituale, annunciò l’arrivo della tanto temuta pergamena della sera, che iniziò a leggere con un cipiglio infastidito.
 
Buona sera, cari amici!
Come avete trascorso questo interminabile e piovoso giovedì? Beati coloro che si sono finti malati per marinare le lezioni e restarsene a riposare nei loro letti caldi, mentre noi abbiamo dovuto sopportare una straziante giornata di intense e noiose lezioni e alcuni hanno anche dovuto scontrarsi con questo orribile acquazzone. Insomma, proprio una giornata no! E per taluni sta per diventare anche peggio!
Per esempio per Catherine Lee, che nonostante le continue e infinite proteste dell’infermiera ha scelto di alzarsi dal letto in cui avrebbe dovuto trascorrere i prossimi sette mesi e mezzo, preferendo rimandare i compiti di mamma a quando il dolce pargoletto sarà nato e continuando a dedicarsi a quelli di studentessa.
Sempre meglio di quella testa calda di Kevin Cox, che ha deciso giustamente di marinare le lezioni, anteponendo i croissant caldi al cioccolato alla voce soporifera della professoressa White, senza nemmeno rendersi conto che un diploma è quanto meno ci si aspetta da un neo genitore… Ops, ma forse mi sono lasciata scappare troppo, Cathy non dirmi che non glielo avevi ancora detto?
Certamente la coppietta peggio assortita che da settimane ci fa meravigliare tanto non avrà mai di questi problemi, ma credo che se dovendo decidere tra il portarmi appresso un odioso marmocchio con i geni di quel testone di Kevin per nove mesi o dover sopportare il caratteraccio di quello strambo di Sherlock Holmes, la mia scelta ricadrebbe senza dubbio sulla cara e vecchia cicuta, che sciolta nel tè non potrà mai essere tanto infausta.
Un messaggio da tutta la scuola al una volta etero John Watson: quella serpe del tuo fidanzato è un grandissimo bastardo, rompicoglioni con seri problemi di super ego e narcisismo iper sviluppato e dovrebbe iniziare a prendere in considerazione l’idea di lasciarci in pace una volta per tutte e trasferirsi su di un altro pianeta se non vuole rischiare il linciaggio pubblico.
Certo che a letto deve proprio farti impazzire dal piacere per riuscire a tenerti stretto a sé.
In ogni caso credo di aver già sganciato troppe bombe per questa sera e dal momento che mi sento incredibilmente buona, o forse sono solo troppo assonnata?, vi consiglio di seguire il mio esempio: saltare il dolce, rintanarsi sotto le soffici coperte del vostro bel baldacchino e sparlare degli altri studenti fino a notte fonda. Tanto domani potete sempre darvi malati, giusto?
‘notte e baci
Lady Who
 
John rilesse allibito l’intero capoverso che lo riguardava per tre volte, sicuro che nella scuola dovessero per forza esserci un altro John Watson e Sherlock Holmes, che a quanto sembrava facevano faville sotto le coperte, perché non poteva certamente riferirsi a lui, non avrebbe avuto senso.
Lui non era gay e Sherlock non era il suo fidanzato, non era vero e basta! E quando mai sarebbe finiti a letto insieme, poi?
No, doveva esserci un errore, si disse con sicurezza John e avrebbe riletto quello schifo di bugia una quarta volta, se le parole non si fossero dissolte sotto i suoi occhi, lasciandogli tra le mani una pergamena completamente bianca.
Eppure John scoprì ben presto che preferiva restarsene con gli occhi incollati su quel pezzo di carta con un’espressione sconvolta sul viso, piuttosto che affrontare il resto della scuola, perché, per quanto se lo era aspettato, non avrebbe mai immaginato che Lady Who avrebbe usato una menzogna per fargli perdere la faccia.
Una stupida e crudele falsità.
“Io non sono gay” bisbigliò stupidamente, sollevando lo sguardo sui suoi amici che lo stavano fissando con occhi sgranati e bocche spalancate “io e Sh… Noi non stiamo insieme, io non sono gay” ripetè nuovamente John,  mentre i suoi amici distoglievano velocemente lo sguardo dal suo.
“John, va bene” sussurrò Eric, con voce spezzata “va bene” ripetè rivolto al proprio bicchiere.
John lo guardò sconvolto. Cosa andava bene? Cosa? Lui non era gay e se il suo amico preferiva credere a una sconosciuta piuttosto che a lui allora niente andava bene!
“Io sono etero, capito?” insistette infervorato, scattando in piedi come una molla “e di certo non me la faccio con un Serpeverde” continuò con tono sicuro.
“John, anche se fosse…” si intromise Molly, gli occhi lucidi e feriti.
“No Molly” la interruppe lui “non è così e basta! E non posso credere che voi non vi fidiate!”
“Bè, devi ammettere che non ha mai sbagliato fino ad ora” soffiò con voce incerta Taylor, tormentandosi le mani, gli occhi ostinatamente puntati sul proprio grembo.
“Bè, ora ha sbagliato!” tuonò.
“John…”
“No, Taylor, no! Vuoi davvero sapere quanto sono gay?” domandò provocatorio “perché non lo chiedi a Sarah?”
Tre paia di occhi scattarono su di lui e nuovamente John si trovò ad affrontare i volti scandalizzati dei suoi migliori amici.
“Cosa significa?” ansimò Taylor con voce incrinata.
“Significa che prima che tu e Sarah diventaste gli sposini dell’anno, io me la facevo tutti  i pomeriggi e tutte le sere nello stanzino delle scope!”
Taylor scattò in piedi, sfoderando la bacchetta che velocemente puntò contro John “Ritiralo, Watson” sibilò, mentre John gli sorrideva con soddisfazione.
“È semplicemente la verità; vuoi farmi credere che la tua cara Sarah te lo ha tenuto nascosto per tutto questo tempo?”
“Ok, ora basta” intervenne prontamente Eric, intromettendosi tra i due ragazzi “finitela, entrambi; litigando non facciamo altro che stare al suo gioco”
Taylor abbassò titubante la bacchetta, scoccando un ultimo sguardo infuocato a John “Se ci litigo è perché ha messo in mezzo Sarah” sputò con disprezzo “perché non te ne torni dal tuo fidanzatino, frocio?”
Taylor sgranò gli occhi, mordendosi il labbro inferiore con forza, pentendosi all’istante di quelle parole che non avrebbe mai voluto pronunciare.
John serrò entrambe le mani a pugno, percependo il desiderio improvviso di colpire quell’idiota di Taylor e fargli il più male possibile, quando il suo sguardo cadde a qualche metro dalla spalla del Grifondoro e si incrociò con quello ormai famigliare di Sherlock che, seduto al suo posto, lo osservava con evidente attenzione.
John si perse in quegli occhi di ghiaccio per un secondo, domandandosi come fosse possibile che il ragazzo, nonostante la menzogna appena divulgata sul suo conto, potesse apparire tanto tranquillo e calmo. Possibile che non gli interessasse minimante ciò che gli altri studenti pensavano di lui?
Reprimendo con un ringhio basso il buon proposito di spaccare la faccia a Taylor, John si allontanò bruscamente dal tavolo e dopo aver rivolto un ultimo sguardo di disprezzo e dolore ai suoi compagni, si incamminò da solo verso i dormitori.
 
Aveva appena raggiunto le scale, quando una famigliare voce baritonale lo costrinse ad arrestarsi.
“Jawn” sussurrò Sherlock, alle sue spalle.
“Cosa ci fai qui?” lo interruppe il Grifondoro senza voltarsi “non dovresti essere qui, non ora” continuò, serrando le mani a pugno.
“Temi che qualcuno ci veda e dia ascolto a ciò che ha letto questa sera” osservò pacatamente Sherlock, lascando trapelare una nota nella voce, che John, se non lo avesse conosciuto bene, avrebbe potuto definire di dolore. O si trattava forse di delusione?
“A te non importa?” chiese rivolgendosi sempre alle scale.
“No” ammise Sherlock con serietà “e vorrei che mi parlassi guardandomi in faccia” aggiunse, con un tono di voce leggermente più basso.
John voltò il capo quanto gli bastava per vedere il ragazzo in volto “Non ci riesco” ammise rattristato, tremando appena “scusa” aggiunse, girandosi nuovamente e risalendo a passo lento le scale che portavano ai dormitori.
Forse avrebbe dovuto aggiungere che per il momento era meglio tenere le distanze, ma probabilmente Sherlock, con il cervello che si ritrovava, era riuscito a capirlo da solo.
 
 
 
Note finali:
 
*Come ho accennato nel primo capitolo, questa storia si colloca in un periodo non specificato, certamente non all’epoca dei Malandrini; quindi mi scuso per aver inserito Remus e Sirius, ma sinceramente la tentazione era troppo forte. Li trovo incredibilmente adorabili e  non sono riuscita a trattenermi. Comunque potete stare tranquille, non inserirò altri personaggi della saga, promesso!
**T, sta per Troll ed è il voto più basso che si può ricevere ad Hogwarts; da quello che ho capito è l’ equivalente di un nostro gravemente insufficiente o di uno zero.
 
Eccoci alla fine del capitolo, se tutto va bene, giovedì pubblicherò la seconda parte! Come sempre, un ringraziamento a tutti coloro che stanno seguendo questa storia e ricordate, le recensioni sono sempre ben accette!
Un bacio,
con affetto,
Becki
 

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Capitolo 7
*** 4.2 Scandalo in Sala Grande ***


Buona sera a tutti! Eccovi, come promesso, il capitolo!
Un ringraziamento speciale a Naiko, Starkie, LuxiCharm e Ninaki, per aver recensito e un grazie davvero sincero e un saluto anche a Maya! Voglio poi ringraziare tutti coloro che stanno seguendo questa storia, coloro che l’hanno aggiunta tra le preferite, seguite o ricordate e anche chi l’ha solo letta!
Se tutto va bene, lunedì aggiornerò nuovamente!
Con affetto,

Becki.
 
Capitolo 4.2 Scandalo in Sala Grande
 
I giorni seguenti furono i peggiori che John avesse mai affrontato a Hogwarts; non solo aveva perso il migliore amico che avesse mai avuto, il quale, come John gli aveva chiesto, stava mantenendo le distanze dal Grifondoro, smettendo di sedersi accanto a lui a lezione ed evitandolo con decisa rassegnazione nei momenti liberi, ma anche i rapporti con Eric e Taylor si erano incrinati irrimediabilmente, così che alla fine John si era ritrovato ad essere più solo di quanto non fosse mai stato.
Solo, ad affrontare le bestiali cattiverie di tutto il resto della scuola; era dall’apparizione di Lady Who che gli studenti avevano preso l’orribile abitudine di deridere coloro i cui segreti erano stati spiattellati ai quattro venti, spesso con scherzi che rasentavano pura cattiveria, spinti dal male che alcune rivelazioni avevano procurato loro, o dall’ansia di vedere un giorno il loro nome scritto su quella pergamena o ancora per vendicarsi di abusi fatti a persone vicine.
Eppure John, che in tutta la sua vita non aveva mai fatto del male a nessuno, anzi era sempre stato pronto a tendere una mano verso il prossimo, indipendentemente dalla casa di appartenenza, dal sesso o dall’età, davvero non riusciva a capire perché il fatto di essere stato additato come il fidanzato di Sherlock Holmes gli avesse causato l’odio dell’intera scuola.
Era ormai abitudine che venisse canzonato e deriso più volte al giorno, con battute di pessimo gusto o epiteti che gli provocavano veri e propri scatti d’ira, che si concludevano regolarmente con la detrazione di punti alla propria casa e l’assegnazione di diverse punizioni da parte dei professori, sempre più preoccupati per un tale cambiamento nel comportamento, un tempo quieto.
Ma non era nemmeno questo quello che faceva più male, ma piuttosto gli sguardi imbarazzati e a volte  di autentico disagio che gli rivolgevano i suoi vecchi amici, l’aria ferita e incredula che gli riservava Molly o l’orribile abitudine che aveva preso Taylor, che non gli aveva più rivolto la parola da quella famosa sera, di cambiarsi nei bagni comuni di Grifondoro, alla mattina e alla sera, per evitare di farsi vedere da John senza vestiti.
E così John si era ritrovato ad isolarsi sempre più, cosa che gli riuscì parecchio facile dal momento che anche i suoi vecchi amici non sembravano troppo desiderosi di mantenere con lui lo stesso legame che avevano un tempo, solo ad affrontare una scuola intera.
 
Quella sera, mentre John stava per rientrare in dormitorio, di ritorno da una punizione che lo aveva tenuto occupato per diverse ore, si era ritrovato a doversi difendere dall’attacco di alcuni ragazzi più grandi e la situazione era velocemente degenerata quando uno di loro aveva iniziato a sbeffeggiare non solo John, ma anche Sherlock.
Dagli insulti si era in fretta passati alle minacce per poi finire alle mani e John si era ritrovato nel mezzo di una rissa alla babbana, menando e picchiando senza sosta, finchè anche l’ultimo Serpeverde non era corso in ritirata.
“Sai, se vuoi davvero fermare le malelingue che ipotizzano che tra noi ci sia qualcosa di più di una semplice amicizia non dovresti reagire così solo perché uno sconosciuto mi ha dato della checca”
John sobbalzò, voltandosi velocemente verso la fonte di quella voce, tamponandosi con la mancina il labbro spaccato.
“Da quanto sei lì?” domandò con una certa freddezza, mentre Sherlock gli si avvicinava per poi fermarsi a pochi passi da lui, lo sguardo apatico.
“Non molto; stavo per intervenire, ma mi sono reso conto che te la stavi cavando benissimo comunque” osservò pacatamente, scannerizzando velocemente il corpo di John, soffermandosi sulle escoriazioni, sui tagli e sui lividi che aveva riportato.
“Non avevano insultato solo te, ma anche me” ribattè John, voltando le spalle a Sherlock, nonostante il desiderio di parlargli, dopo tutto quel tempo trascorso senza il migliore amico, era tanto forte da far quasi male.
“È per me, sai” esclamò lui, costringendolo a fermarsi davanti a quell’affermazione sibillina; John si voltò nuovamente, osservandolo con aria interrogativa, invitandolo a spiegare.
“Il motivo per cui tutti continuano a prendersela con te, il motivo che ha spinto praticamente tutta la scuola a reagire in questo modo solo a questa particolare rivelazione…”
“Ogni cosa che Lady Who ha portato a galla ha causato problemi a coloro che erano coinvolti” lo interruppe John,  ma Sherlock scosse il capo, gli occhi ancora puntati in quelli del Grifondoro.
“Nessun  altro annuncio ha avuto effetti così devastanti; nel tuo caso la situazione è davvero degenerata e la causa sono io”
“Cosa significa?” insistette John, non capendo e potè quasi sentire con quanta difficoltà Sherlock si trattenne dallo sbuffare.
“Jawn, nessuno ce l’ha veramente con te, tu sei sempre stato benvoluto da tutti, io no; sono in molti che mi vorrebbero veder soffrire o star male, ma è difficile trovare un modo per attaccarmi. Ora ne hanno uno” spiegò e John fu per un attimo tentato di chiedergli se davvero far del male a lui poteva provocargli dolore, ma ci ripensò, preferendo voltare nuovamente le spalle al ragazzo, allontanandosi verso il proprio dormitorio.
“Non è colpa tua, Sherlock, ma loro” sibilò con un filo di voce, prima di sparire dietro il corridoio.
 
Rientrò in dormitorio a mezzanotte passata, trovandovi solo Eric, seduto sul suo baldacchino a leggere; lo salutò con un leggero cenno, prima di stendersi sul proprio letto e tirare tutte le tende, deciso a non essere disturbato.
“Cosa ti sei fatto al labbro?”
La voce di Eric gli arrivò chiara e secca, una nota di irritazione pura a distorcerne il tono.
“Nulla di grave” sospirò, sfilandosi la divisa scolastica per indossare il pigiama; aveva appena finito di cambiarsi, che la tenda del letto si aprì, rivelando Eric a pochi passi da lui, lo sguardo serio e innervosito.
“Possiamo parlare?” chiese, cercando di mantenere una parvenza di calma.
“Di cosa dovremmo parlare?” replicò freddamente John, sulla difensiva.
“Pensavo al motivo per cui tu ti stai isolando in questo modo infantile ed inutile, oppure del fatto che ultimamente tu non riesca a fare altro che farti mettere in punizione o prendere parte a risse” sputò, indicandogli con un cenno schifato il labbro ferito.
“Io piuttosto preferirei parlare del motivo per cui i miei migliori amici hanno voluto credere a una sconosciuta senza volto piuttosto che a me, perché sia bastato così poco a convincerli che tra me e il mio migliore amico ci sia qualcosa che va oltre l’amicizia, o magari possiamo discutere sul perché ora Taylor mi stia evitando come se avessi una malattia contagiosa, oppure del perché tu hai smesso di parlarmi!” John non si accorse nemmeno di aver alzato la voce tanto da urlare contro Eric, che sosteneva con stoicità il suo sguardo, fermo a pochi passi da lui, lo sguardo puntato nel suo, le braccia incrociate al petto.
“Non capisci davvero, John?” sibilò Eric infastidito “non capisci che il motivo per il quale Taylor ti evita è perché è mortificato per quello che vi siete detti quella sera, ma non trova il coraggio di scusarsi e tu di certo, con il tuo atteggiamento vittimista, non lo stai aiutando?”
“Adesso sarebbe colpa mia?” ringhiò John, scattando in piedi.
“Non ho detto questo, ma di sicuro potresti aiutarci ad aiutarti, smettendo di isolarti come stai facendo, deciso ad affrontare tutta la scuola per conto tuo!”
“Tu mi credi?” lo interruppe John a bruciapelo, osservando Eric con attenzione, innervosendosi in modo incredibile quando il ragazzo si fece titubante.
“Eric, io e Sherlock non stiamo insieme” ribadì per la millesima volta John, frustrato come non mai.
“Non credo che tu e Sherlock siate fidanzati” iniziò con cautela “tuttavia, io credo che tu… Io credo che tu sia confuso, John” confessò infine, sedendosi sul letto accanto all’amico, lo sguardo fermo sulle sue mani.
“Cosa significa?”
“Io credo che ciò che lega te e Sherlock vada oltre all’amicizia, ma penso anche che tu non te ne sia ancora reso pienamente conto”
“Cristo santo!” tuonò John, passandosi nervosamente una mano sopra gli occhi “Eric, io so esattamente quello che provo per Sherlock Holmes e non è amore! Io non sono gay!” sillabò con rabbia, scandendo con nervosismo ogni parola, quasi a voler rendere il concetto più chiaro.
“Tu, invece, non ne hai la minima idea! Sei talmente  spaventato dalla prospettiva di essere attratto da un altro uomo che ti rifiuti di guadare in faccia la realtà, ferendo sia te che Holmes!”
“Non sono gay!” latrò nuovamente John ai limiti della frustrazione, facendo sbuffare Eric.
“Ma ti senti quando parli? Il fatto che tu sia stato attratto esclusivamente da donne dovrebbe impedirti di innamorarti di un altro uomo, come invece è successo? Bè, non è così che funziona la vita, John! Capisco che tu sia confuso e spaventato” continuò, addolcendosi appena “ma non per questo devi chiudere gli occhi davanti alla realtà; tu sei innamorato di Sherlock Holmes” ribadì con affetto, poggiando una mano sulla spalla tremante di John.
Ma il Grifondoro si ritrasse di scatto da quella presa, serrando gli occhi con forza e Eric ebbe l’impressione che stesse combattendo una battaglia contro se stesso.
Ciò che gli diceva la sua mente, la rigida morale che gli era stata inculcata fin da bambino come unica e imprescindibile, la negazione dell’evidenza, la rabbia e la paura, che si scontravano con ciò che invece realmente sentiva, con quel sentimento che, nella sua mente, non avrebbe mai e per nessun motivo dovuto provare.
E Eric capiva davvero ciò che in quel momento lo turbava, ciò che sentiva, anche se non avrebbe dovuto, perché lui ci era già passato…
 “Io non sono innamorato di un uomo!” gemette alla fine, rivolgendo a Eric uno sguardo così perso e confuso che gli strinse il cuore; con un sospiro rattristato cercò nuovamente la spalla di John, capendo in quel momento che l’amico non era ancora pronto per accettare quella verità. Non ancora, non quella sera.
In quel momento ogni sua parola sarebbe stata inutile, perché John non voleva aprire gli occhi su quella realtà che era ormai così evidente e palese per chiunque, preferendo invece restarsene rintanato al sicuro nella nicchia di menzogne e illusioni che si era creato con le sue mani.
Una nicchia di certo meno spaventosa della verità; e lui, lui che ormai aveva accettato da anni il proprio orientamento sessuale, ma non senza fatica, lui che si era arreso al proprio cuore solo dopo una lotta tanto stremante e dolorosa che lo aveva quasi spezzato, ma che ancora non riusciva a condividerla con il resto del mondo, con gli altri, Taylor escluso, ma di certo non proprio con John, non aveva alcun diritto di pretendere di più dal suo amico.
John Watson amava Sherlock Holmes, su questo non c’erano dubbi, così come tuttavia era indubbio che John non era ancora assolutamente pronto ad accettare di provare un simile sentimento verso un uomo, restando ancorato con tutta la sua forza a quella certezza che da sempre aveva visto come l’unica possibilità e non importava se per fare ciò avrebbe dovuto mettere a rischio la propria felicità.
Con un sospiro rassegnato Eric si domandò perché diamine il giudizio della gente fosse per John tanto importante, fondamentale, da non permettergli nemmeno di mettere in dubbio i propri sentimenti, quando invece avrebbe potuto benissimo accettare l’amore che provava per Sherlock, senza perdere il rispetto e l’affetto di coloro che realmente gli volevano bene. Ma forse, si disse, sbattergli in faccia con tanta forza e senza alcun preavviso quella scomoda verità che aveva da sempre ignorato, come aveva fatto Lady Who, non aveva fatto altro che spaventarlo ulteriormente, obbligandolo a rifiutare e confutare ogni possibile dubbio.
“Va bene” balbettò alla fine, decidendo di provare a far ragionare il ragazzo in un altro modo “se quello che ti lega a Sherlock è semplice amicizia…”
“È così!” confermò John, facendolo sospirare.
“Allora perché ti interessa tanto di ciò che pensano gli altri? Credi davvero che valga la pena gettare al vento un’amicizia come la vostra solo perché alcuni hanno ipotizzato che tra voi potrebbe esserci altro?”
“I-Io…”
“E cosa mi dici di Sherlock? Che si è trovato ad essere allontanato senza un valido motivo dal proprio migliore amico, che ha deciso per entrambi, senza dargli modo di dire la sua? Ti stai comportando in modo infantile ed egoista, facendo del male non solo a te, ma anche a tutti coloro che ti sono vicini”
 “Non sapevo cos’altro fare” ammise John, abbassando ogni barriera, arrendendosi.
“Chiedi scusa a Holmes, John” iniziò con un sorriso incerto Eric “torna ad essere l’ottimo amico che sei sempre stato, salva la vostra amicizia e per una buona volta smetti di prestare ascolto alla gente. Tu e Sherlock siete migliori amici, ma gli altri pensano che tra voi ci sia altro, allora? Che lo pensino, cosa ti interessa?”
“Niente”
“Finalmente” sussurrò con dolcezza Eric, alzandosi dal baldacchino e trascinando John con sé.
“Cosa…?” balbettò confuso John, assecondando i movimenti di Eric, che lo spingevano con decisione verso la porta.
“Devi andare a scusarti con Holmes” spiegò tranquillamente “merita una spiegazione e delle scuse sincere dopo quello che gli hai fatto passare e non penso sia il caso di rimandare”
“Eric, il coprifuoco sé già scattato e sono in pigiama” si oppose senza troppa energia John, lasciandosi tuttavia spingere oltre l’ingresso “poi, Taylor…”
“Taylor ha avuto la sua buona dose di torto, in questa storia” lo rassicurò Eric “potrete chiarirvi domani, ora devi solo pensare al Serpeverde”
“Ma…”
“Avanti John! Da quando ti preoccupi del coprifuoco? Inoltre non penso che a Holmes il tuo abbigliamento possa dare fastidio, quindi muoviti a raggiungerlo, non hai scusanti!” aggiunse, sbattendogli la porta in faccia.
Eric percepì i passi frettolosi di John che correva giù dalle scale, sbuffando tutta la sua irritazione.
Dio solo sapeva quanto bene volesse a quel ragazzo, ma a volte era davvero impossibile.
Barricarsi con tanta caparbietà dietro a un muro di bugie, alla convinzione di poter essere allontanato dagli altri per le proprie preferenze sessuali e alla certezza non poter essere ricambiato da Holmes, solo per paura e codardia.
Quella volta e solo quella, sia chiaro!, Holmes aveva avuto ragione; John a volte si comportava davvero da idiota alle volte e come la maggior parte della gente, guardava, ma non osservava.
Infondo, si disse con un sorriso amaro, mentre si stendeva sotto le calde coperte del letto, infondo, se fosse stato in grado di osservare, avrebbe già da tempo, da anni, compreso ciò che invece Holmes era riuscito a capire dopo solo pochi minuti in sua compagnia.
 La porta del dormitorio si aprì in un cigolio incerto, illuminando la stanza con uno spiraglio di luce, spezzato dall’ombra famigliare di Taylor, che, immobile sulla soglia, osservava il suo migliore amico.
“Come stai?” sibilò con un sospiro incerto, avvicinandosi a Eric e sistemandosi sul bordo del suo baldacchino.
Eric si limitò a voltarsi nella sua direzione, osservando Taylor con occhi lucidi e tristi “L’ho convinto ad andare a parlare con Holmes” bisbigliò “ma non vuole saperne di guardare in faccia la realtà”
“Bè, se non ricordo male anche tu ci avevi messo un bel po’ di tempo” lo canzonò con affetto Taylor, posando brevemente la mano sul capo di Eric, che proruppe in una risata incerta, che sembrava essere più un singulto “perché lo hai fatto Eric? Perché non gli dici semplicemente la verità? Devi combattere per lui” sussurrò Taylor, con tono triste e sommesso.
Eric si strinse nelle spalle, sospirando “Non ho speranze contro Holmes” ammise con rammarico “e voglio che John sia felice, merita la felicità”
“Potrebbe essere felice con te!” tuonò Taylor, innervosendosi.
“Io non potrei mai dargli ciò di cui ha bisogno; John non potrebbe mai amarmi quanto ama Holmes. Devo solo fare un passo indietro e pensare a ciò che è meglio per lui”
“Ma non è giusto!” insistette Taylor “tu lo ami da sempre, Eric! Tu lo meriti più di quanto lo meriti Holmes!”
“Ma questo è amore, non merito. È andata così, non posso fare nulla, non è colpa di nessuno se lui non mi ricambia” concluse Eric, facendo calare un silenzio opprimente.
“Sai qual è la cosa più buffa?” aggiunse tuttavia pochi istanti dopo, con un sorriso forzato “ho sempre pensato di non avere alcuna possibilità con John, perché era etero e invece, ora, so con certezza di non avere possibilità perché mi è stato portato via da un altro uomo”
Eric non riuscì a concludere la frase, che un singhiozzo sommesso scoccò nella stanza, facendolo tremare; Taylor si chinò sul corpo scosso di Eric, avvolgendolo in un abbraccio amorevole come aveva già fatto altre mille volte, sempre per lo stesso motivo.
John. John che non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti, che nemmeno li vedeva, che in tutta la sua bontà e intelligenza non era riuscito ad accorgersi di essere amato da quello che avrebbe dovuto essere solo un amico, a cui, inconsapevolmente, continuava ogni giorno a spezzare il cuore.
 
John corse per i corridoi deserti, in pigiama, diretto alla sala comune di Serpeverde, senza preoccuparsi di star infrangendo un’infinità di regole solo per chiedere scusa a Sherlock, perché dannazione se ne valeva la pena!
“In realtà i dormitori di Serpeverde sono da quella parte”
John si bloccò di colpo, rabbrividendo, percependo immediatamente una scarica di adrenalina invadergli il corpo, al pensiero di essere stato beccato.
Tornò cautamente sui propri passi, rimanendo piuttosto sorpreso col trovarsi davanti a sé Mycroft Holmes, che lo osservava con un sorrisetto divertito.
“Mycroft” sussurrò sorpreso, mentre il ghigno sul volto dell’altro si allargava “cosa ci fai tu qui?”
“Potrei farti al stessa domanda. Se non sbaglio tu sei un semplice studente del quinto anno, non hai il diritto di girovagare di notte per i corridoi, in pigiama” aggiunse, più che divertito “io sono caposcuola” osservò, picchiando con un dito il distintivo che portava sulla divisa.
“Le ronde per i corridoi finiscono alle undici e mezza” considerò John perplesso.
“Molto bene, John” ridacchiò Mycroft “vuoi denunciarmi al preside?” chiese divertito.
“No, non volevo dire questo!” si affrettò John “tu lo farai?” aggiunse subito dopo con incertezza, ma Mycroft si limitò a scuotere il capo, negando.
“Al momento non sono qui per volere del preside, ma per fare un piacere a una persona”
“Ovvero?”
Mycroft sghignazzò, muovendo qualche passo verso di lui “Non mi sembra che siano affari tuoi, ma penso che rivelarti che Sherlock mi ha letteralmente pregato di tenerti d’occhio in questi giorni in cui, a quanto pare, tu rifiuti la sua vicinanza, potrebbe infastidirlo notevolmente”
“E la cosa ti fa piacere, immagino” osservò John, che dubitava vivamente che Sherlock si sarebbe mai abbassato a pregare suo fratello per qualunque cosa e per chiunque.
“Sono felice di sapere che hai finalmente deciso di smettere di comportarti da idiota per uno sciocco pettegolezzo, devo ammettere di esserne rimasto deluso, non me lo sarei immaginato da te”
John incassò quelle parole senza ribattere, semplicemente perché sapeva di meritarsele; si era comportato da idiota, ferendo il proprio migliore amico, il tutto solo per il giudizio di una banda di sconosciuti.
“La parola d’ordine è Sanguinolento, troverai Sherlock in sala comune, non ama perdere tempo a dormire e sono certo che tutto questo rimarrà tra noi” aggiunse ammiccando.
John lo osservò perplesso “Perché lo fai, Mycroft?”
“Perché, per quanto Sherlock lo neghi, io tengo davvero alla sua felicità e tu sei la sua felicità”
E John gli sorrise, un sorriso sincero, il primo vero sorriso che gli illuminava il viso da giorni, prima di lanciarsi nuovamente nella sua corsa disperata verso i sotterranei; si fermò davanti al muro di pietra che immetteva nei dormitori dei Serpeverde, esclamando la parola d’ordine con tono sicuro; stava per entrare nella tana del lupo, infrangendo una quantità sempre maggiore di regole e non si era mai sentito più vivo di così.
 
Come gli aveva detto Mycroft, Sherlock era in sala comune, abbandonato su una poltroncina davanti al camino, avvolto in una lunga vestaglia di seta blu.
John si arrestò ad alcuni metri da lui, osservandolo con indecisione, prima di racimolare il coraggio necessario per salutarlo.
“John” ribattè pochi istanti dopo Sherlock, facendo scorrere velocemente lo sguardo sul corpo rigido e nervoso di John, prima di riportarlo sul fuoco che scoppiettava nel caminetto “sono sorpreso che tu sia riuscito a trovare il mio dormitorio” osservò tranquillamente e John non potè fare alto che sorridere in modo colpevole, stringendosi nelle spalle.
“Oh, capisco” soffiò Sherlock, osservandolo “Mycroft”
“Mi ha aiutato a raggiungerti”
“Non è in grado di farsi gli affari propri” ribattè Sherlock, scocciato “in ogni caso non penso che incontrarci di notte, di nascosto, aiuti a far tacere le malelingue”
“Non mi interessa dei pettegolezzi” sussurrò con tono sicuro John, ottenendo uno sguardo scettico dall’altro “solo che me ne sono reso conto tardi” aggiunse “e per questo ti chiedo scusa; mi dispiace davvero”
“Ti sei comportato da idiota”
“Infondo sono un idiota, no?”
“Più idiota del solito, intendevo” sottolineò Sherlock, inarcando appena le labbra in un accenno di sorriso, al quale John rispose con dolcezza, prima di arrischiarsi ad avvicinarsi al Serpeverde, avvicinandosi a una poltroncina su cui sedersi.
“Cosa ti ha fatto cambiare idea?” continuò con noncuranza Sherlock, riportando lo sguardo sul fuoco che scoppiettava nel caminetto.
“È stato merito di Eric” ammise John, provando un nuovo impeto di affetto nei confronti di quell’amico tanto prezioso.
“Eric?” ripetè perplesso Sherlock, osservando di sottecchi il Grifondoro, che annuì distrattamente.
“Mi ha convinto a venire qui per parlare, per scusarmi del mio comportamento. Perché?” aggiunse, davanti allo sguardo sorpreso e pensiero di Sherlock.
“Nulla” replicò in fretta, chiudendo gli occhi.
“Allora, cosa sappiamo di questa Lady Who?” domandò alcuni secondi dopo John, desideroso di tornare, finalmente, alla normalità.
Ma Sherlock parve essere di un altro avviso, infatti, dopo aver osservato il ragazzo con aria indagatrice, si limitò a liquidare velocemente la faccenda, decidendo che l’avrebbero affrontata
l’indomani. Non gliel’avrebbe data vinta così facilmente.
“Quindi ora cosa facciamo?” si lamentò prontamente John, sbuffando “sono venuto fino a qui in pigiama, infrangendo un’infinità di regole, non vorrai mica rispedirmi in camera!”
“Non ho mai detto nulla del genere; puoi restare, se lo desideri, ma non è necessario fare qualcosa, possiamo anche stare qui in silenzio; in effetti stavo pensando, prima che mi interrompessi e non amo essere disturbato” aggiunse Sherlock con tono saccente, raggomitolandosi come un gatto sulla poltrona
“A cosa pensavi?” chiese John, sistemandosi meglio e guadagnandosi un’ulteriore occhiataccia dall’amico.
“Devo ammettere che stavo pensando che potrei anche dormire qualche ora in più, questa notte” confessò con una certa incertezza nella voce, chiudendo nuovamente gli occhi.
 John lo fissò sorpreso, indeciso se ribattere o no a quella affermazione, ma prima che potesse farlo, prima che trovasse le parole, percepì il respiro di Sherlock farsi profondo e regolare, segno che il ragazzo si era abbandonato al sonno, con le gambe ancora raccolte in grembo e la testa poggiata al bordo della poltroncina, il volto disteso e rilassato.
John si costrinse ad alzarsi, quando notò che il corpo del ragazzo era scosso da brividi di freddo, andando a recuperare ai piedi di una poltrona una coperta abbandonata, che usò per coprire l’amico.
“Buona notte Sherlock” soffiò con una nota di rammarico, permettendosi di indugiare con gli occhi su quella figura, facendo scivolare lo sguardo, come una carezza, sui capelli arruffati, sopra il volto pacifico, le labbra appena dischiuse, il collo esile e candido che si perdeva sotto la maglia del pigiama… E senza nemmeno rendersene conto, John si trovò ad allungare una mano tremante verso quei ricci inchiostro, desideroso di saggiarne la consistenza sotto le dita; li sfiorò con cautela, trattenendo il fiato, con un timore non necessario, quasi stesse carezzando una fiera pericolosa, prima di tornare bruscamente alla realtà, ritraendo il braccio con un gesto secco.
Con un sospiro sconsolato John indietreggiò di alcuni passi, lo sguardo ancora incatenato sul corpo addormentato di Sherlock, andandosi poi a sistemare nuovamente sulla poltrona; serrò con rabbia gli occhi, trattenendo a stento un gemito e con desolazione abbandonò il capo tra le mani tremanti.
Cosa gli stava succedendo?
Perché si sentiva così strano? Perché si sentiva così, non lui, quando era vicino a Sherlock?
Possibile che Eric avesse ragione…? No, questo no… eppure…
Ma, allora, cosa provava realmente per Sherlock Holmes?
 
Il giorno successivo sembrava che tutto fosse tornato alla normalità; certo, John dovette sorbirsi il broncio indignato di Sherlock durante tutta la mattinata e buona parte del pomeriggio, ma a parte questo finalmente il loro rapporto sembrava essersi rimarginato.
Sherlock lo mise al corrente delle ultime novità riguardanti Lady Who, spiegandogli che l’aiuto del quale si era servito per quel caso era quello del caposcuola di Grifondoro, Gregory Lestrade.
L’ultimo ricordo che John aveva del prefetto, era quello di lui, chiuso in una classe vuota, a fare sesso con un ragazzo di Corvonero, prima che lui e Sherlock li interrompessero senza nessuna ragione.
Per questo per John fu certamente una sorpresa scoprire che il ragazzo non solo avesse accettato di aiutare Sherlock, ma che addirittura sembrasse riuscire a tollerarlo; Sherlock gli spiegò con tono frettoloso e stizzito che Lestrade per lui non era altro che l’ennesimo mezzo di cui servirsi per i propri scopi, che essendo un caposcuola poteva aiutarlo a scavalcare le regole senza difficoltà e che aveva buone conoscenze all’interno del castello.
“Inoltre” aveva aggiunto con tono freddo “Lestrade è meno idiota di quanto possa sembrare”
A quanto sembrava Greg si era letteralmente fatto in quattro per cercare di scoprire la vera identità di Lady Who, interrogando i ragazzi meno raccomandabili della scuola, minacciando di togliere punti alle loro case se avessero mentito, facendo domande a chiunque ed eseguendo gli strambi compiti che Sherlock gli aveva affidato, ma tutto ciò che i due ragazzi erano riusciti ad ottenere era stato scagionare possibili sospettati.
“Pensa, Sherlock, pensa!” ringhiò Sherlock con rabbia, camminando lungo il corridoio con passo veloce e irritato, davanti agli sguardi incerti di John e Greg “cosa mi sta sfuggendo? Cosa non riesco a vedere?” si chiese frustrato.
“Perché non partiamo dal rivedere quello che sappiamo?” propose Greg, abbandonato a terra vicino a John, la schiena di entrambi appoggiata al muro, ottenendo uno sguardo eloquente e frettoloso di Sherlock, che lo convinse a parlare “presumibilmente si tratta di una ragazza, degli ultimi anni, che colpisce studenti di età e case differenti, apparentemente senza un motivo logico e che riceve le proprie informazioni probabilmente da ragazzi sparsi per la scuola, anche se non sappiamo ancora cosa dia loro in cambio” osservò Greg pacatamente “oh, e sappiamo che tutto ciò che rivela è corretto; abbiamo controllato” aggiunse in direzione di John che, per quanto non volesse insistere ulteriormente sul nodo dolente che aveva causato la sua lite con Sherlock, si trovò a balbettare un “Quasi tutto” piuttosto flebile.
Sherlock si fermò nel mezzo del corridoio, voltandosi velocemente verso John, che sempre più in imbarazzo decise di mettere in chiaro le cose “Non lo dico perché mi infastidisce che glia altri pensino che abbiamo una relazione, ma perché credo sia bizzarro che abbia sbagliato solo quella volta” spiegò con un sussurro debole, lo sguardo rivolto alle proprie scarpe.
“Già” soffiò Sherlock, pensieroso “perché?” si domandò, ricominciando tracciare il perimetro del corridoio “perché, perché, perché?” ripetè come un mantra, le mani giunte sotto il mento.
“Probabilmente ha solo avuto una soffiata sbagliata e non si è sprecata a controllare” suggerì Greg, ma Sherlock scosse il capo, agitando in aria una mano.
“No, lo scopo era quello di risultare affidabile a tutta la scuola, altrimenti nessuno le avrebbe più dato retta e tutto questo sarebbe stato inutile”
“Cosa, di preciso, sarebbe stato inutile?” s’intromise John. Sherlock interruppe nuovamente la propria marcia, bloccandosi davanti al migliore amico, gli occhi ridotti a due fessure, puntati su John.
“Già” sospirò pensieroso “cosa?”
John fece per parlare, leggermente a disagio davanti alla figura di Sherlock che troneggiava su di lui, ma si interruppe, quando gli occhi di questo si sgranarono per la comprensione e il volto si illuminò.
“Ma certo, Jawn!” esclamò esultante, rivolgendo al ragazzo uno sguardo di puro orgoglio “come ho fatto a non arrivarci prima? Come ho potuto essere tanto cieco? Non sarai il più brillante, ma di certo sei un ottimo conduttore di luce!”*
“Emh, cosa sarei, scusa?”
“Sherlock” s’intromise con titubanza Greg “cosa di preciso…?”
“Oh, avanti Lestrade, è così ovvio” lo liquidò lui, zittendolo con un gesto infastidito della mano “la vera domanda è chi?” proseguì, perso nei suoi ragionamenti.
“Sherlock, potresti spiegarci cosa…” iniziò John, ma Sherlock gli porse velocemente una mano, invitandolo ad alzarsi.
“Al momento ho due ipotesi” continuò il Serpeverde imperterrito “ma sono pronto a puntare tutto sulla prima” aggiunse tra sé, “ho bisogno che tu mi porti qui Anderson, di Tassorosso” ordinò rivolto a Greg, che annuì velocemente, prima di allontanarsi a grandi passi lungo il corridoio “mentre tu dovrai cercare Molly Hooper per me”
John lo osservò sorpreso “Molly?” ripetè incerto, mentre Sherlock lo spingeva con decisione verso le scale.
“Esattamente John” confermò “e vorrei che lo facessi al più presto” aggiunse.
“Ma come può Molly esserti d’aiuto?” insistette John, che si dovette accontentare di un misero Ogni cosa a suo tempo, Jawn, prima di iniziare la ricerca dell’amica.
 
Dal momento che ormai le lezioni erano terminate da diverse ore, John decise di cercare la compagna di casa partendo dalla sala comune di Grifondoro, dove Sarah lo informò che l’amica era uscita da pochi minuti e quindi doveva trovarsi ancora nei paraggi.
Così il Grifondoro iniziò a setacciare i corridoi circostanti, chiamando ogni tanto il nome della ragazza, sperando di farsi sentire.
Stava già per rinunciare e spostarsi verso la Sala Grande, quando notò con la coda dell’occhio una figura indistinta nascosta da una nicchia; con sicurezza si fece più vicino, “Moll…?” iniziò con titubanza, ma le parole gli si bloccarono in gola, mentre John si pietrificava, totalmente sconvolto dalla scena che gli si presentava davanti agli occhi.
 Molly era a qualche metro da lui, poggiata contro il muro, mentre un ragazzo che non conosceva la baciava con trasporto e passione.
John rimase immobile, ad osservare i corpi avvinghiati e accaldati, le mani del ragazzo che si spostavano senza timore sul corpo dell’amica che, aggrappata alle sue spalle, gemeva sulle sue labbra, impossibilitato a muovere un solo muscolo.
Fu lo sconosciuto ad accorgersi per primo della sua presenza, scostandosi lievemente da Molly, per rivolgere un’occhiata furiosa e scocciata al Grifondoro, che non trovò nemmeno la forza per parlare e cercare di dare una spiegazione.
“John!” la voce di Molly, che aveva seguito lo sguardo del ragazzo fino a portarlo su John, lo riportò alla realtà, facendolo sussultare.
“M-Molly” balbettò lui, distogliendo gli occhi dal viso arrossato e imbarazzato di Molly che allontanando da sé lo sconosciuto cercò di sistemarsi velocemente per darsi un contegno.
“Vi conoscete?” domandò scontroso il ragazzo, squadrando John con un’ostilità tale da metterlo a disagio.
“Lui è il mio amico John” lo presentò velocemente Molly, sorridendo con incertezza
“I-io, mi dispiace per l’interruzione” si scusò John, riprendendosi finalmente “ma dovrei parlare urgentemente con Molly e non pensavo che…”
“Non c’è problema” lo interruppe velocemente il ragazzo “in ogni caso si è fatto tardi e devo andare” spiegò, sistemandosi la divisa, che John notò solo in quel momento essere verde e argentata “ci sentiamo presto Molly” la salutò, prima di allontanarsi a passi veloci lungo il corridoio.
 “Mi dispiace” ribadì John, accennando un sorriso incerto “Non pensavo… non credevo… Non mi avevi detto di esserti fidanzata!” esclamò, cercando di dimostrarsi entusiasta, ancora allibito dal fatto che la dolce e timida Molly, la ragazza che aveva ancora difficoltà a parlare con un professore senza arrossire o balbettare, potesse dare un tale spettacolo di sé nel mezzo del corridoio; ma cosa le era preso?
Molly chinò il capo, osservando con attenzione le piastrelle di pietra del pavimento, il volto ancora arrossato “Non l’ho detto a nessuno, in realtà” ammise con titubanza “sai, Jim e io ci conosciamo da poco, poi lui è un Serpeverde, non sapevo come l’avreste presa”
“Non c’entra nulla la casa di appartenenza” la rassicurò John, decidendosi a lasciar da parte il fatto che la sua amica sembrava essere diventata all’improvviso molto più intraprendete di quanto non fosse mai stata, avvicinandosi all’amica e lasciandosi scivolare a terra accanto a lei, la schiena poggiata al muro freddo del corridoio “l’importante è che ti piaccia”
Molly si accomodò a terra vicino a John, continuando ad evitare il suo sguardo “Credo sia così” ammise, tormentandosi un’unghia con nervosismo.
“Hai detto che si chiama Jim?” insistette John, interessato.
 “Sì, James Moriarty, è del nostro anno; sai, anche lui è un prefetto, ci siamo incontrati durante una delle assemblee e poi un giorno, inaspettatamente, mi ha chiesto di uscire”
“Wow” sospirò John, annuendo con enfasi “sembra ok” constatò, più per continuare il discorso che per convinzione.
Molly annuì nuovamente, rannicchiandosi contro il muro e portando le gambe al torace, così da poggiare il mento sulle ginocchia. John la osservò con un sorriso dolce, decidendo di abbandonare per un attimo il compito che gli aveva affidato Sherlock per chiacchierare un po’ con l’amica. Molly era sempre stata un’amica fantastica e meritava di potersi sfogare e confidare con qualcuno.
Eppure, per un attimo l’immagine di Sherlock invase la mente di John e il ragazzo, senza riuscire a trattenersi, si lasciò sfuggire il pensiero che lo aveva appena colpito “Credevo avessi una cotta per Sherlock” esclamò sovrappensiero, impedendosi immediatamente di non aver tenuto quella sua boccaccia chiusa, quando lo sguardo incredulo e ferito di Molly lo trapassò con incredulità.
“Scusa” balbettò velocemente John, mordendosi il labbro inferiore con nervosismo, mentre la ragazza tornava ad osservare il corridoio davanti a sé, con l’aria pensosa.
“È così, infatti” ammise con un pigolo ferito, facendo immediatamente amareggiare John “ma è evidente che con Sherlock non ho possibilità, quindi è inutile continuare a sperare” continuò imperterrita con voce più acuta del normale.
John provò una pena infinita.
Sapeva che era la verità, l’aveva sempre saputo; Sherlock non si era mai minimamente interessato alla ragazza, non l’aveva mai degnata di un solo sguardo,  rifiutandola con sicurezza e senza un minimo di pentimento, ma John non si sentiva in grado di dirle ciò che pensava realmente, così come non volle rimanersene zitto, confermando con il suo silenzio quelle parole.
“Perché dici così?” domandò allora con gentilezza, pensando che una mezza verità fosse preferibile ad una rassegnazione così dolorosa.
Eppure, vedendo lo sguardo di pura rabbia che Molly gli rivolse, John si pentì nuovamente delle sue parole, dispiaciuto.
“John, smettila, d’accordo?” sbottò lei rimettendosi in piedi, visibilmente irritata “puoi negare quanto ti pare, ma ti prego non prendermi per stupida! So che tu e Sherlock siete fidanzati, quindi smettila di comportarti in questo modo, perché non sei d’aiuto a nessuno!” urlò, gli occhi lucidi di lacrime e la voce incrinata.
John la fissò sconvolto, alzandosi a sua volta con un sospiro “Molly” sussurrò “io ti giuro, ti do la mia parola, che tra me e Sherlock non c’è niente oltre l’amicizia. noi non siamo fidanzati e tra noi non c’è mai stato nulla di quel genere” spiegò con tono sincero, mantenendo i suoi occhi puntati in quelli leggermente sgranati di Molly.
Molly sbiancò letteralmente davanti a quella confessione, balbettando con agitazione il suo sgomento “Non è possibile” affermò poco dopo “tutte le cose che erano scritte…”
“Erano vere, lo so” confermò John con sicurezza“tutte tranne questa. Sei libera di non credermi Molly, ma siamo amici da cinque anni e non ti ho mai mentito, nemmeno una volta; perché dovrei iniziare adesso?”
Molly lo scrutò in silenzio per alcuni istanti, mordendosi con decisione il labbro  inferiore, tormentandosi le mani con insistenza, prima di sciogliersi davanti all’amico.
“Oh, John” sospirò, lasciandosi andare contro il muro “io pensavo…”
“Non preoccuparti” la rassicurò lui, poggiandole una mano sulla spalla con fare comprensivo “lo pensavano tutti” ridacchiò “e capisco che per te possa essere stato più difficile fare i conti con questa menzogna”
Molly alzò i suoi occhi su quelli dell’amico, mantenendo un’espressione seria “Non capisci John” sospirò con serietà e rammarico.
“Cosa?”
“Ho scritto io quelle cose” ammise la ragazza dopo un attimo di indecisione, mantenendo lo sguardo fisso in quello incredulo di John “ho scritto io tutto” ribadì, lasciando poi spazio ad un pesante silenzio che calò tra i due ragazzi, mentre John cercava di assimilare quell’informazione così… Impossibile.
Conosceva Molly Hooper dal primo anno, erano amici, molto amici, lei semplicemente non avrebbe mai potuto far nulla del genere. Lei era la ragazza timida e discreta, con un cuore d’oro e una bontà infinita; era il genere di ragazza a cui non potevi fare altro che voler bene, era l’amica con cui confidarsi e a cui chiedere aiuto, perché lei era sempre lì per tutti e non chiedeva mai nulla in cambio.
Semplicemente non poteva essere Lady Who!
“Di cosa stai parlando?” domandò finalmente John con voce tremante, riprendendosi, non sicuro di voler conoscere la verità.
Molly mantenne lo sguardo legato al suo, mentre calde lacrime iniziarono a rigarle il volto “John, io ero così sicura che tu e Sherlock…”
“Ma perché hai scritto quelle cose?” la interruppe John, senza riuscire a nascondere alla ragazza una nota di rimprovero e rabbia.
John si rese conto solo in quel momento di avere davanti a sé la causa di tutti i problemi che lo avevano tormentato nelle ultime settimane; delle cattiverie che aveva subito, del suo litigio con Taylor e Eric, di quello con Sherlock…
Jim… Sherlock mi piaceva davvero, capisci?” balbettò la ragazza tra le lacrime, cercando di afferrare la mano che John aveva spostato dalla sua spalla, mortificata.
John scosse il capo, troppo sconvolto per fare altro; no, non capiva. Non capiva come una cotta adolescenziale potesse portare una brava ragazza a fare una cosa del genere, non capiva come si potesse fare così male a tante persone solo perché la persona che ti piace si mostra interessata a qualcun altro, non capiva cosa c’entrasse Sherlock in quella storia e nemmeno James Moriarty e lui e tutti quei ragazzi che Lady Who aveva colpito.
 “A me Sherlock piaceva, piace” si corresse la ragazza sempre più desiderosa di farsi comprendere e perdonare da John “davvero tanto, così tanto, John” continuò, portandosi entrambe le mani al petto “e quando tu hai iniziato a frequentarlo io ho creduto di poter avere una speranza di avvicinarlo, di conoscerlo meglio, ma poi ho conosciuto Jim”
“E?” insistette John
“E mi ha detto che tu e Sherlock stavate insieme”
“E tu gli hai creduto?” tuonò John sconvolto, ma Molly negò con un cenno triste del capo.
“No, non l’ho fatto; ma poi lui ha iniziato a dirmi altre cose, segreti sugli studenti ed erano tutti veri John” spiegò lei con tristezza “ogni cosa che mi raccontava Jim corrispondeva alla realtà, così ho pensato che anche la storia su te e Sherlock fosse vera e a quel punto, non so cosa mi sia preso.
Ero così arrabbiata e triste e gelosa di te” ammise con imbarazzo “tu avevi tutto ciò che io sognavo da anni e non era giusto John, non lo era” singhiozzò.
“Perchè non me ne hai parlato, invece che fare… Quello che hai fatto?” chiese allibito John, allontanandosi nuovamente dalla ragazza che aveva cercato nuovamente di prendere tra le sue mani quella del ragazzo.
 “Jim mi ha fatta desistere. Parlavamo spesso di te e Sherlock, del fatto che tu ti definissi mio amico, ma che poi non eri stato sincero su una cosa per me tanto importante e se avevi già mentito una volta, lo avresti di sicuro rifatto, no?” soffiò la ragazza, ripetendo inconsciamente quelle stesse parole che Jim le aveva ribadito così tante volte “io sapevo, credevo, che la relazione tra te e Sherlock fosse vera e questo, unito al fatto che tu continuassi a negarlo, mi ha ferita terribilmente; e poi  Jim, lui mi ha chiesto di scrivere quelle cose, di rivelare quei segreti, è stata tutta una sua idea”
“Ma tu hai accettato di farlo!” esclamò John, incredulo davanti al vaneggiamento dell’amica; non poteva giustificare la ragazza, perché per quanto si sforzasse di mettersi nei suoi panni non poteva fare a meno di ritenerla colpevole tanto quanto Moriarty “Perché?”
“No lo so” soffiò Molly, rabbrividendo “Non volevo farlo John, sapevo che era sbagliato, me ne dispiacevo e ci stavo male, ma Jim, lui…” Molly si interruppe “per lui è facile farmi fare ciò che mi chiede” soffiò con espressione spenta “qualsiasi cosa mi chiede io non riesco a negargliela”
John osservò il volto spento e spezzato della ragazza e solo in quel momento sentì la rabbia che provava scemare e lasciar spazio a una reale preoccupazione. Ripensò alla Molly Hooper che gli era stata accanto per cinque anni, la ragazza timida, dolcissima e solare che pensava di conoscere, per poi confrontarla con la ragazza che ora gli era davanti; una persona falsa e bugiarda, che assecondando una gelosia e una rabbia folle, si era trasformata in Lady Who, rivelando all’intera scuola i segreti più intimi dei suoi compagni, solo per vendicarsi, solo per far soffrire lui e Sherlock e, all’improvviso, l’immagine di Molly e Jim, avvinghiati nel corridoio gli si palesò nella mente, come ulteriore prova che quella con cui ora stava parlando non era la Molly Hooper che conosceva.
“Cos’altro ti ha chiesto?” domandò John con cautela, all’improvviso molto nervoso.
“Di osservarti da vicino, te e Sherlock”
“Perché?”
“Non lo so, non me lo ha voluto dire” singhiozzò la ragazza, mentre calde lacrime le rigavano il volto sconvolto.
John scoprì presto di non riuscire a sopportarne la vista e così si voltò verso il corridoio e fu parecchio sorpreso di riconoscere, a pochi metri da loro, la figura alta e slanciata di Sherlock, che li osservava con serietà.
Anche Molly parve accorgersi della sua presenza, seguendo lo sguardo di John e sobbalzò, presa alla sprovvista, prima di alzarsi velocemente da terra.
“Mi dispiace per quello che ho fatto John” ripetè nuovamente, con molta agitazione “capisco che ora tu sia furioso con me e non te ne faccio una colpa, è ciò che mi merito. Ora che sai la verità, se decidessi di denunciarmi al preside andrebbe bene” aggiunse con voce tremante “è ciò che mi meriterei e non ho intenzione di negare”
John la osservò combattuto, prima di arrendersi con un sospiro “Non ho intenzione di denunciarti Molly” ammise, facendola trasalire dalla sorpresa “e chiederò a Sherlock di non dire nulla a nessuno, gli spiegherò che sei stata spinta a farlo da James, ma non posso dimenticare Molly” aggiunse con rammarico, mentre la ragazza chinava il capo, sconfitta “non per ora, almeno”
Quando tutto sarebbe finito, forse. Quando tutto il dolore che aveva procurato a lui, a Sherlock e agli altri studenti sarebbe scemato, lasciando solo un ricordo lontano.
“Lo capisco John” bisbigliò lei “aspetterò che tu trovi la forza di perdonarmi” aggiunse, muovendo un passo in direzione della sala comune “non ti biasimo” concluse, prima di allontanarsi a grandi falcate, lasciando il ragazzo solo in compagnia di Sherlock che, senza indugiare oltre, lo raggiunse a passo sicuro.
“Così ha confessato” osservò con sicurezza.
“Tu lo sapevi?”
“Non ne avevo la certezza assoluta” ammise, appoggiandosi al muro accanto a John “Lady Who ha dato solo un annuncio errato, quello riguardante noi due; eppure era a conosceva di particolari molto intimi riguardanti altri studenti, era ovvio pensare che sapesse che questa notizia era errata, eppure ha voluto darla comunque. A quel punto mi sono solo dovuto domandare il perché di un tale gesto”
“E?” domandò John, esortandolo a proseguire 
“E l’ipotesi più probabile era che lo abbia fatto per ferirci” proseguì Sherlock “era più probabile che l’obiettivo fossi io e che tu ti fossi trovato in mezzo solo per errore, eppure non riusciva a capire chi potesse cercare di colpirmi in un modo tanto contorto e macchiavellico”
“Fantastico” si lasciò sfuggire John, ottenendo un sorrisetto divertito di Sherlock in risposta “ma come sei arrivato a Molly?” chiese, distogliendo velocemente lo sguardo.
“Si trattava di sicuro di qualcuno di molto furbo, tanto furbo che, me ne sono reso conto solo in seguito, non si sarebbe mai sporcato le mani in prima persona; quindi doveva aver convinto qualcuno ad agire per conto suo” proseguì “qualcuno che avesse un motivo per detestarci, che avesse comunque un qualche tornaconto e che potesse essere soggiogato con facilità. È a questo punto che ho ridotto la lista a due nomi”
“Anderson e Molly” bisbigliò John, mentre Sherlock annuiva.
“Il primo mi odia come pochi” esclamò con tranquillità “sarebbe stato felice di vedermi umiliato e in difficoltà ed è talmente stupido che avrebbe acconsentito senza il minimo problema a fare una cosa simile, senza rendersi conto delle reali implicazioni che il suo gesto avrebbe portato, tuttavia, quella che noi stavamo cercando, era una studentessa…”
“Molly Hooper” concluse per lui John, sospirando “lei aveva il cuore infranto; era gelosa e arrabbiata ed è stata sedotta e manipolata da quel James Moriarty” aggiunse con rabbia, irrigidendosi.
“È stato facile per lui” osservò Sherlock “era un piano perfetto”
“Ma ora sappiamo la verità!” s’infervorò John “dobbiamo denunciare a un professore Moriarty! Dobbiamo far sapere ciò che ha fatto!”
Sherlock si strinse nelle spalle, spazientito“Il fatto è che Moriarty in pratica non ha fatto nulla, è stata quella ragazza a scrivere le lettere! Lei le ha fatte materializzare, Jawn”
“Ma lui l’ha manipolata, è evidente! Anche se Molly ha scritto quelle lettere dietro a questa storia c’è lui e non possiamo fargliela passare liscia!”esclamò John con rabbia, ripensando a tutto quello che aveva affrontato nelle ultime settimane, a quello che avevano sopportato gli altri ragazzi, a Molly.
“Jawn” sospirò Sherlock con riluttanza “è la nostra parola contro quella di Moriarty e a parte la confessione della tua amica non abbiamo in mano nulla, senza considerare che se vogliamo evitare che la tua compagna venga espulsa dobbiamo fare in modo che nessuno sappia niente” aggiunse con serietà, lasciando John totalmente senza parole
“Ma così la farà franca!” sbottò con rabbia.
“Jawn” lo chiamò Sherlock, cercando di tranquillizzarlo “pensa solo che tutta questa storia è finita e che nessuno si è fatto più male del dovuto”
“Ma…”
“Per quanto riguarda Moriarty, sono sicuro che avremo modo di risolvere anche questa questione, in futuro”
“Questo cosa…?”
“Al momento, però” lo interruppe per l’ennesima volta Sherlock, trapassandolo con lo sguardo “ti proibisco di avvicinarti a lui” esclamò con serietà, mentre John sobbalzava per la richiesta.
“Scusa?” domandò incredulo “me lo proibisci?”
“Sì” confermò Sherlock “Jawn, devi promettermi che non ti avvicinerai a lui per nessun motivo, che farai di tutto per non farlo avvicinare a te e che in caso contrario me ne metterai subito al corrente” insistette con serietà, afferrando le spalle di John in una presa ferrea e avvicinando il volto a quello sconvolto dell’amico “promettimelo” insistette, trapassandolo con lo sguardo e John non potè fare altro che annuire.
“Promettimelo” soffiò Sherlock, il volto a un centimetro da quello arrossato di John.
“T-te lo prometto” bisbigliò il Grifondoro, venendo liberato da quella presa salda, mentre Sherlock si tirava indietro, senza smettere di osservarlo.
“Bene” sussurrò Sherlock, trattenendo a stento un sospiro di sollievo “bene” ripetè, facendo un passo nella direzione da cui era venuto.
John lo osservò sorpreso, boccheggiando “Dove vai?” lo fermò con urgenza, allungando una mano verso di lui, quasi a volerlo afferrare.
“Ora che è tutto chiarito, possiamo pure tornare ai nostri dormitori” spiegò tranquillamente Sherlock.
 “Quindi te ne vai di già?” domandò John, senza riuscire a trattenersi.
Sherlock aggrottò la fronte, perplesso “Il caso è risolto, Jawn, non c’è altro che dobbiamo fare, no?” replicò, mentre il Grifondoro annuiva piano.
“Sì, è così” confermò, senza tuttavia dar segno di voler muovere un solo passo.
“A domani, John” lo salutò allora il Serpeverde, rivolgendogli un ultimo sorriso, prima di voltarsi ed allontanarsi diretto al proprio dormitorio.
“A domani, Sherlock” bisbigliò John, passandosi nervosamente una mano tra i capelli chiari, lo sguardo incollato alla schiena del suo amico, che si faceva sempre più distante.
John lo osservò allontanarsi, ignorando con difficoltà la morsa fastidiosa che gli attanagliava lo stomaco e quell’orribile sensazione di disagio ed abbandono che all’improvviso provava.
È normale, si disse, dopo tanti giorni trascorsi lontano da lui, è normale che io senta il desiderio di passare più tempo possibile in sua compagnia.
John annuì davanti al suo stesso pensiero, cercando di far tacere con ogni fibra del proprio essere, quella vocina fastidiosa, così simile a quella di Eric, che da giorni lo tormentava nei momenti meno opportuni, esigendo che guardasse in faccia la realtà.
E per la seconda volta in poche ore, John si trovò a porsi nuovamente quella domanda che lo spaventava tanto.
Cosa provo realmente per Sherlock Holmes?
 
Note finali:
*Cit Il mastino di Baskerville
 
Eccoci arrivati alla fine del capitolo! E finalmente James Moriarty è entrato ufficialmente in scena!
Ammetto di non aver potuto prestare la giusta attenzione a questo capitolo, in questo periodo sono stata troppo presa per riprenderlo in mano e questa sera sono troppo esausta, ma ci tenevo a rispettare le scadenze!
Spero comunque che sia piaciuto, nonostante tutto! E spero di avervi sorpresi rivelando il colpevole!u.u Ebbene no, non si trattava di Irene Adler, ma di una povera ragazza ferita e rifiutata… (Nelle mani di uno psicopatico…) Decisamente più pericolosa!
Ma ora vado, auguro a tutti una buona notte,
un bacio,
Becki.

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Capitolo 8
*** 5.1 Un mastino a Hogwarts ***


Buona sera a tutti!
Eccovi il nuovo capitolo! Come sempre, un ringraziamento speciale a Naiko, Starkie e LucyBerry per aver recensito e a Maya98, per il grande sostegno.
Un immenso grazie anche a tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite, seguite, ricordate e a chi la sta seguendo!
Come sempre, se tutto va bene, giovedì ci sarà il prossimo aggiornamento,
con affetto,
Becki
 
Capitolo 5.1 Un mastino a Hogwarts
 
Il mattino successivo, John si svegliò di soprassalto, destato da una forte cuscinata che l’amico e compagno di stanza Taylor, aveva simpaticamente deciso di assestargli in pieno volto, facendolo sobbalzare.
Con uno scatto veloce, il Grifondoro si mise a sedere sul letto, portandosi rapidamente una mano al naso dolorante ed osservando con confusione e smarrimento i suoi amici; non ci vollero le innate capacità deduttive di Sherlock Holmes per permettere al Grifondoro di comprendere ciò che era appena accaduto.
“Siete totalmente impazziti?” ringhiò con stizza, appropriandosi del proprio cuscino che giaceva ancora caldo alle sue spalle, per lanciarlo contro Taylor che con un balzo elegante lo schivò, facendolo cadere al suolo.
“Ho dovuto farlo” si difese il ragazzo, cercando di controllare la voce ancora scossa dalle risate “è mezz’ora che cerchiamo di svegliarti, se non ti sbrighi, arriveremo tardi!” si difese, mentre alle sue spalle Eric annuiva con convinzione, gli occhi ancora lucidi per il troppo ridere.
John mantenne per alcuni istanti l’aria contrita, prima di arrendersi con un sospiro esasperato; era inutile tenere il broncio con quei due e, dopo cinque anni di stretta convivenza, se ne era finalmente reso conto.
Con poco entusiasmo si scostò le coperte di dosso, rabbrividendo immediatamente al contatto con l’aria fredda della stanza; rimase seduto sul bordo del letto ancora per qualche minuto, stropicciandosi gli occhi con lentezza, nel tentativo di cancellare dal corpo la stanchezza causata dalla notte insonne.
Quella volta, ad impedirgli di abbandonarsi al sonno, non erano stati incubi tremendi, legati ai ricordi ancora troppo confusi e concreti della disavventura del lago nero o demoni dagli occhi scuri che lo svegliavano nel pieno della notte facendolo tremare di angoscia o paura, no, quella notte, l’unica cosa contro cui aveva dovuto combattere, era stata l’incertezza.
Incertezza causata dalla sua incapacità di rispondere a quella fastidiosa domanda che più volte si era posto, di riuscire a scrutare con chiarezza nel proprio cuore e nella propria mente, per trovare finalmente una responso definitivo, che lo aveva tenuto sveglio, a rigirarsi con nervosismo e frustrazione nel letto, deciso a voler trovare la verità quanto prima.
Sbuffando sonoramente, John si mise finalmente in piedi, le mani ancora impegnate a torturare gli occhi stanchi e il corpo indolenzito per la battaglia che durante quella lunga notte aveva intrapreso con le coperte e il cuscino.
“John, ti senti bene?”
La voce leggermente preoccupata di Eric lo riportò alla realtà, facendolo sussultare; alzò lo sguardo per incontrare quello serio dei suoi amici e in quel momento si sentì realmente grato ad avere accanto persone come loro, che lo svegliavano con secchiata d’acqua gelida e cuscinate in faccia da cinque anni, ma che erano ancora pronti ad agitarsi per un suo brutto sogno.
“Sto bene” li rassicurò “è solo che non ho dormito molto bene” aggiunse, cercando con lo sguardo, nel mezzo di quel caos che era la loro stanza, la divisa scolastica che chissà dove aveva gettato la sera precedente.
 “Effettivamente hai davvero una cera orribile John” osservò l’amico, avvicinando il volto a quello di John, pallido e solcato da profonde occhiaie.
“Grazie Eric, tu si che sei sempre in grado di tirarmi su il morale” replicò il ragazzo, individuando finalmente la propria camicia, abbandonata sopra la scrivania.
Eric sbuffò, alzando gli occhi al cielo “Volevo solo consigliarti di saltare la prima ora e restartene qui a dormire, scusa se mi preoccupo per te” aggiunse con tono falsamente offeso.
John ridacchiò, scuotendo leggermente il capo “Non importa” sospirò, finendo di recuperare gli indumenti, prima di avviarsi verso il bagno “datemi cinque minuti e possiamo andare”
 
Uscirono dalla stanza poco dopo, trovandosi a correre al massimo delle loro energie per i corridoi ormai quasi deserti, nella speranza di raggiungere il più velocemente possibile la Sala Grande, così da poter mettere qualcosa sotto i denti, prima dell’inizio della lezione di Cura delle Creature Magiche.
Si avventarono su pane tostato, focaccine e marmellata di arance, innaffiando il tutto con succo d’arancia e tè caldo, per poi avviarsi verso l’ingresso, diretti ai limitari della foresta proibita, seguiti da pochi ritardatari.
Si precipitarono a per di fiato per i prati ancora cosparsi dagli ultimi residui di neve, proteggendosi come potevano dalla gelida aria di una primavera che tardava ad arrivare e che sferzava contro i loro volti già arrossati per la corsa. Mancavano solo pochi metri, quando John percepì una fastidiosa fitta alla schiena.
Non fece nemmeno in tempo a domandarsi di cosa si trattasse, che il dolore velocemente esplose, propagandosi su tutto il corpo, raggiungendo gli arti, che scossi da spasmi dolorosi iniziarono a tremare, mentre le gambe cedettero sotto il peso del suo corpo e pochi secondi dopo, John percepì il terreno freddo e duro sotto il viso.
Sollevò appena il capo, sentendo pronunciare il proprio nome, cercando la fonte di quel suono lontano e ovattato e non riuscì nemmeno a distinguere quelle due ombre che gli si stavano avvicinando velocemente, che aveva già perso i sensi.
Riprese conoscenza pochi minuti dopo, ma per quanto ne sapeva John potevano anche essere passate delle ore; ancora disteso a terra, le spalle e il capo tenute sollevate da due mani forti che, capì poco dopo, appartenevano al professore di Cura delle creature magiche, il signor Brown.
“Watson!” tuonò l’uomo, scrollandolo delicatamente “Watson, apri gli occhi, forza!” lo ammonì, mentre John lottava contro il dolore lancinante che aveva iniziato a diradarsi dalle tempie provocandogli fitte acute alla testa, mentre il desiderio di ripararsi dalla luce fastidiosa del sole e da tutto quel vociare molesto si faceva sempre più insistente, ma riuscì a fare come il professore gli aveva ordinato, spalancando gli occhi, incontrando immediatamente quelli neri del signor Brown, che gli sorrise con complicità.
“Bravo ragazzo!” tuonò in tono burbero, prima di chiedere a gran voce dell’acqua, rivolgendosi al resto della classe che, John se ne accorse solo in quel momento, era radunata intorno a lui.
Senza nemmeno rendersene conto, ancora stordito e confuso da ciò che era appena accaduto, iniziò a cercare uno sguardo specifico tra la folla, riuscendo a scorgerlo pochi istanti dopo.
Sherlock era in piedi a pochi passi da lui, il volto impassibile e impenetrabile solcato da una sola nota di angoscia; non riuscendo a trattenersi John gli sorrise con incertezza, ottenendo in risposta un ghigno incredulo e decisamente sollevato, che riuscì a tranquillizzarlo.
“John, bevi questo!”
Il ragazzo voltò il capo, richiamato dalla voce angosciata di Eric, che inginocchiato al suo fianco gli porgeva una bottiglietta di acqua con cui rinfrescarsi; lo aiutò a bere e John si stupì di scoprirsi incredibilmente assetato e dopo avergli tamponato la fronte con uno panno bagnato lo aiutarono a rimettersi in piedi, Eric che lo sosteneva per un fianco, per evitare che si sbilanciasse.
“Ce la fai, Watson?” domandò il signor Brown, studiando il ragazzo con aria critica.
John annuì, portandosi una mano alla testa, annuendo lentamente “Cos’è successo?” chiese con un filo di voce, cercando di fare mente locale sugli avvenimenti precedenti la caduta.
“Sei svenuto mentre correvi, John” sussurrò Taylor facendosi avanti, una nota di preoccupazione nella voce “credo che ti sia affaticato troppo, insomma non avevi dormito bene e non hai nemmeno mangiato molto…”
John osservò l’amico esterrefatto, allontanandosi con uno scatto da Eric che, senza imporsi, gli permise di sostenersi da sé.
“John, tutto ok?” chiese semplicemente, mentre il ragazzo chinava il capo per l’imbarazzo.
 Era davvero possibile che avesse perso i sensi solo per una corsetta? Che si fosse dimostrato così debole, davanti ai suoi compagni, davanti a Sherlock, da non riuscire nemmeno a sopportare una notte in bianco? No, non era da lui! Aveva sopportato fatiche ben peggiori, non era mai stato un ragazzo debole fisicamente e una corsa a stomaco vuoto non era certamente un problema.
“Watson, è meglio che tu vada in inferme…” la voce autoritaria del professor Brown lo riportò alla realtà, facendolo sobbalzare.
“Non è necessario, signore!” s’impose velocemente il Grifondoro, mostrandosi sicuro; non sarebbe finito in infermeria per una sciocchezza del genere. Mai.
 “Credo che invece tu debba farti dare un’occhiata da Mrs Hudson; hai perso i sensi e hai fatto una brutta caduta”
“Sto bene professore, glielo assicuro!” insistette John, evitando gli sguardi di rimprovero di Eric, Taylor e Sherlock “è stato solo un malessere passeggero, ha ragione Taylor, il problema è che non ho mangiato, ma non c’è alcun motivo per mandarmi in infermeria!” continuò, sostenendo con decisione lo sguardo critico del professore, che con una scrollata di spalle si arrese al volere del ragazzo.
“Se te la senti, va bene” concesse, voltandogli le spalle, dirigendosi verso lo spiazzo dove si tenevano le lezioni, intimando agli studenti di seguirlo.
I compagni di casa di John, gli sfilarono davanti rivolgendogli occhiate apprensive, mentre i Serpeverde ghignavano divertiti per la sua colossale caduta.
“Hei, Watson” sibilò la voce melliflua di Arthur Webb, fermo a pochi passi da lui “non riesci nemmeno a fare una corsetta senza collassare?”
John gli ringhiò contro, punto sul vivo.
“Chiudi quella fogna, Arthur” intervenne prontamente una voce severa, che John riconobbe come quella di Sebastian Moran, che dopo avergli rivolto un cenno come saluto, trascinò con sé il compagno di stanza giù per la collinetta.
“Imbarazzarsi per aver avuto un malore è davvero una cosa stupida” asserì Sherlock, avvicinandosi con passo sicuro all’amico, che gli sorrise con aria rassegnata.
“Infatti io sono stupido” replicò con tranquillità, raggiungendo gli altri studenti “me lo hai ripetuto tante di quelle volte, che ormai ho iniziato a comportami come tale!” aggiunse, strappando un mezzo sorrisetto a Sherlock.
 
Dal momento che gran parte della lezione era stata dedicata a John, il professor Brown decise di limitarsi ad esporre le caratteristiche principali dei Doxy, creature molto simili alle fate, ma con il corpo totalmente rivestito da spessi peli scuri, che avrebbero osservato durante la successiva lezione.
John, abbandonato a terra come la maggior parte dei suoi compagni, decise ben presto di lasciare perdere le spiegazioni assolutamente noiose dell’uomo, preferendo invece far vagare lo sguardo sul paesaggio intorno a sé.
Posò lo sguardo sui primi alberi della foresta proibita, rendendosi conto di avere ancora qualche difficoltà a mettere a fuoco ciò che gli stava davanti, problema causato probabilmente dal forte mal di testa che continuava a percepire.  
Stava per tornare a prestar attenzione al professore, quando uno strano fruscio tra gli alberi catturò il suo interesse; assottigliò gli occhi, cercando di distinguere qualcosa tra il buio della foresta, riuscendo solo pochi minuti dopo a riconoscere, in mezzi a quelle tenebre, i contorni scuri di quello che sembrava essere uno strano animale di grandi dimensioni. Con la scusa di sgranchirsi un po’ le gambe, John si rimise in piedi, scivolando lentamente verso la prima fila di alberi, controllando di tanto in tanto che il professore non si fosse accorto di nulla; quando fu abbastanza vicino, il Grifondoro riuscì a scorgere due scintillii scarlatti brillare nel buio e quelle che parevano affilate zanne candide.
Mantenendo lo sguardo fisso sulla strana creature, John trattenne il respiro, mentre il cuore iniziare a battere con forza contro lo sterno e gli occhi si sgranavano per la paura.
Semplicemente non era possibile, quello non poteva davvero essere…
Mantenendo gli occhi puntati sul ragazzo, il grosso animale si abbandonò ad un sommesso ringhio d’avvertimento, facendo forza sulle zampe posteriori, pronto a spiccare un salto contro John, pronto ad assalirlo e il ragazzo, spaventato, non riuscì a trattenere un urlo angosciato, facendo a sua volta un balzo indietro per allontanarsi dalla creatura, ma il capo gli girava ancora fastidiosamente e non riuscì a mantenere l’equilibrio, sbilanciandosi all’indietro e sotto l’attenzione atterrita dell’intera classe cadde rovinosamente a terra, sbattendo al suolo
Per la seconda volta in meno di un’ora John perse i sensi.
 
Quando di risvegliò era steso su un lettino dell’infermeria, la testa, ancora dolorante, fasciata da candide bende e i suoi amici riuniti in cerchio al suo capezzale; Eric, Taylor e Sarah in piedi in prima fila, Sherlock seduto ad alcuni passi di distanza.
Lentamente aprì gli occhi, mettendo a fuoco quanto gli stava davanti e subito venne travolto dalle domande apprensive e preoccupate dei ragazzi,
“John! Come ti senti?” lo interrogò Taylor, non appena si accorse che l’amico era sveglio, facendosi avanti.
John, che da subito si era soffermato sul Serpeverde che sedeva infondo alla sala, si costrinse ad abbandonare la figura sottile di Sherlock, per prestare attenzione ai suoi compagni.
 “Cosa…?” gracchiò con voce arrochita e l’aria perplessa di chi ha dimenticato ogni cosa, ma non riuscì nemmeno a dar voce ai suoi pensieri, che due occhi scarlatti gli tornarono con prepotenza nella mente, facendolo sobbalzare. Ora ricordava perché era caduto, ora ricordava quello che aveva visto!
“John! John cosa succede?” lo chiamò allarmato Eric, bianco come un lenzuolo, afferrandogli con mano tremante una spalla per costringerlo a tornare in sè e dallo sguardo preoccupato che anche gli altri ragazzi gli stavano rivolgendo, John capì di non dover avere un aspetto rassicurante.
“Niente” bisbigliò, abbassando velocemente il capo, con la scusa di sistemare meglio le coperte “sto bene, non ho nulla” confermò, puntando infine gli occhi sulle proprie mani strette in grembo.
Sarah  fece per ribattere, ma la voce autoritaria di Mrs Hudson la costrinse a tacere, riportando il silenzio.
“Lo avete salutato, come volevate, ma ora il signor Watson ha bisogno di riposo, quindi dovete andarvene” li cacciò con decisione, spingendo i tre ragazzi verso l’uscita, apparentemente dimenticandosi di Sherlock che, approfittando dell’assenza dei Grifondoro, si fece avanti.
“Holmes, caro, a lei concedo ancora dieci minuti, dal momento che quello ricoverato è il suo ragazzo, ma poi deve andarsene anche lei!” lo ammonì con tono improvvisamente più dolce, rivolgendo un sorriso complice ai due ragazzi e John, arrossendo furiosamente, non fece nemmeno in tempo a replicare che la donna si era già allontanata.
“Non sono il suo ragazzo…” borbottò allora tra sé e sé con aria esasperata, chiedendosi in cuor suo se valeva davvero la pena continuare a negare, visto che tanto nessuno lo ascoltava.
Con un sospiro sconsolato spostò lo sguardo di lato, rendendosi conto di non avere la forza né la voglia, di sostenere gli occhi severi e duri del Serpeverde e solo in quel momento si rese conto che, sul proprio comodino erano esposti in bella vista diverse scatole di dolciumi.
“E quelli cosa sono?” chiese perplesso, afferrando velocemente una confezione di Api Frizzole, le sue preferite.
“Dolci” rispose Sherlock, continuando ad analizzare John, senza preoccuparsi, naturalmente, di poterlo mettere a disagio.
“Questo lo avevo capito” sbuffò esasperato “mi chiedevo chi li avesse portati”
“Quando sono arrivato erano già qui, immagino che siano un regalo da parte dei tuoi amici; sono stati loro ad accompagnarti, mentre io ho dovuto attendere la fine della doppia ora di lezione” spiegò con una smorfia infastidita che fece ridacchiare John “mentre Mrs Hudson ti visitava loro sono rimasti a bighellonare per la scuola, immagino che abbiano approfittato di quel momento per procurarseli”
“Quanto ho dormito?” s’informò il Grifondoro, sorridendo in direzione del pacchetto, leggendo velocemente la dedica fatta da Eric.
“Cinque ore” soffiò Sherlock, cogliendo alla sprovvista John “e hai avuto incubi per tutto il tempo, nonostante la pozione che Mrs Hudson ti ha somministrato nel tentativo di farti calmare” continuò con tono severo, mentre John, l’attenzione ancora apparentemente rapita dai dolci, si preoccupava di scegliere  la caramella d’assaggiare, per poi offrire il pacco a Sherlock che lo rifiutò con un cenno veloce del capo.
 “Jawn” lo richiamò Sherlock “cosa è successo?”
John lo osservò con attenzione, riflettendo su cosa avrebbe dovuto rispondere; la verità era naturalmente la strada più ovvia, eppure il ragazzo si sentiva già abbastanza in imbarazzo per essere svenuto due volte in un lasso di tempo tanto breve, per essere apparso così fastidiosamente debole agli occhi di Sherlock, oltretutto senza nessuna motivazione e doveva ammettere di non essere proprio invogliato a confessare al suo cinico, scettico migliore amico, di aver visto il gramo, il peggior presagio di morte esistente.
Lo avrebbe preso per pazzo, o per idiota, più idiota del solito e in realtà non gli avrebbe dato nemmeno tutti i torti; nemmeno lui aveva mai creduto a quelle sciocche superstizioni, inganni della mente che soggiogavano le persone più impressionabili, ecco cos’erano!
Eppure, gli suggerì una voce molesta, non era proprio l’enorme mastino, quello che gli era apparso?
No, si disse John con decisione, scuotendo leggermente il capo, costringendosi a pensare lucidamente, c’era di sicuro un’altra spiegazione.
“Ho dormito male e mangiato poco” esclamò alla fine, dopo alcuni istanti d’indecisione, puntando i suoi occhi in quelli orribilmente increduli  di Sherlock “sono svenuto a terra e ho picchiato la testa al suolo e questo spiega il mancamento successivo”
Sherlock lo studiò con attenzione, socchiudendo appena gli occhi, analizzando John in quel suo modo che lo metteva tanto in imbarazzo, gli angoli della bocca incurvati verso il basso.
“Jawn…”  lo riprese con severità, mentre il Grifondoro si preparava psicologicamente a combattere una battagli che avrebbe perso di sicuro, rimpiangendo già di non essere stato onesto dall’inizio.
Ma questa volta da cosa lo aveva scoperto? Dalle maniche della divisa?
“Tempo scaduto, cari!” la voce dell’anziana infermiera li fece sobbalzare, costringendo Sherlock ad interrompersi, salvando in extremis John, che le rivolse uno sguardo traboccante di gratitudine e riconoscenza.
“Ora che ha avuto modo di salutarlo deve  lasciarlo riposare; potrà tornare questa sera se lo desidera” continuò imperterrita la donna, mantenendo gli occhi puntati in quelli scocciati di Sherlock che, consapevole di non avere altra scelta se non fare come gli era stato detto, scoccò un ultima occhiata furente a John, prima di allontanarsi in silenzio.
 
John venne dimesso la mattina successiva, ufficialmente un’ora prima delle lezioni.
Tuttavia, il ragazzo, dal momento che non si sentiva particolarmente desideroso di affrontare gli schiamazzi e le prese in giro per il suo patetico doppio svenimento che, ci avrebbe giurato, ormai doveva essere di dominio pubblico, decise di restarsene a letto ad aspettare la prima lezione della giornata, sostituendo alla colazione due zuccotti alla crema che i suoi amici gli avevano portato il giorno precedente, che consumò al sicuro in infermeria, lontano dai pettegolezzi della Sala Grande.
In realtà, dal momento che anche quella notte non era riuscito minimamente a riposare a causa di sogni agitati ed incubi abitati da orribili bestie con occhi rossi, la tentazione di saltare la doppia ora di pozioni per ritirarsi in dormitorio a cercare di riposare era tanta, ma la sua coscienza gli ricordò che aveva già perso troppe lezione ed aggiungerne un’altra non era proprio una buona idea.
Così, dopo un’ultima visita preoccupata di Mrs Hudson, che gli consegnò alcune boccette di pozione rinvigorente, qualora avesse avuto un altro malore, si vesti in fretta e a passo veloce e deciso si affrettò a raggiungere i sotterranei in cui si svolgevano le lezioni del signor Clarke.
Arrivò con un leggerissimo ritardo, che il professore non mancò di fargli notare con una lunga ramanzina pronunciata con aria soddisfatta e dopo aver salutato i suoi amici con un cenno veloce del capo ed un sorriso rassicurante, si sistemò accanto a Sherlock, come ormai era abitudine.
 “Buon giorno Sherlock” lo salutò con più entusiasmo del dovuto, particolare che naturalmente non sfuggì al brillante Serpeverde, che iniziò a far scorrere lo sguardo sul corpo dell’amico che, cercando di ignorarlo, cominciò a sistemare le proprie cose.
“John” rispose Sherlock, dopo aver terminato l’analisi, tornando a rivolgere lo sguardo al professore che stava spiegando il procedimento da seguire per la preparazione del distillato di morte vivente. “Hai dormito male” constatò alla fine, facendo sospirare John tra l’esasperato e il divertito. 
“È così” ammise, sapendo bene che negare sarebbe stato inutile “è una cosa che mi succede, alle volte” aggiunse, cercando di rassicurarlo sul fatto che non aveva nulla a che vedere con i mancamenti o il mal di testa insistente che non lo aveva ancora lasciato in pace.
“Jawn, perché non sei rimasto in infermeria? Anche un idiota capirebbe che non ti senti bene” lo rimproverò Sherlock.
“Sto bene, invece”
Sherlock sbuffò “Non riposi da due giorni, la testa ti fa ancora male e ti gira tanto che senti la necessità di sorreggerla con il palmo della mano e dal numero di volte in cui hai strizzato gli occhi posso dedurre che hai la vista compromessa”
“Ok, senti” iniziò John con voce complice “non ho riposato bene e ho un lieve…”
Forte” lo corresse prontamente Sherlock.
“Ok, forte mal di testa, ma fino a prova contraria posso sopravvivere a due ore di lezione nonostante questo!”
“Oh” sospirò Sherlock, sgranando appena gli occhi “vuoi dimostrare di non essere debole. Ti sei presentato a lezione per dimostrare a tutti, te compreso, la tua forza e virilità” sentenziò con rancore “a volte sei proprio un idiota” concluse, trafiggendolo con uno sguardo severo, che presto si trasformò, tuttavia, in un sorrisetto.
John ridacchiò, ma quando lo colpì una  fitta alla testa si costrinse a smettere, abbandonando il capo tra le mani, prendendo un respiro.
“Il problema è questo mal di testa che non se ne va” sussurrò, evitando lo sguardo preoccupato di Sherlock.
Quando il dolore sembrò diminuire, John si decise finalmente a prestare attenzione al professor Clarke, ancora intento ad elencare i vari passaggi che avrebbero dovuto svolgere, ma si trovò a distrarsi più volte, rendendosi conto di non riuscire a tenere il filo del discorso.
Si sentiva stranamente intontito e confuso e la concentrazione pareva essergli scivolata via totalmente.
Provò a prestare attenzione alle parole dell’uomo ancora una volta, prima di rinunciarci con un sospiro infastidito, sotto lo sguardo vigile di Sherlock.
 Quando finalmente il professore smise di blaterare, donando un po’ di pace alla testa di John, i due ragazzi si misero al lavoro per preparare la pozione.
 
John non era mai stato un pozionista eccellente, certamente non era paragonabile a Sherlock Holmes, il migliore non solo di tutto il corso, ma probabilmente di tutta la scuola, ma poteva almeno vantarsi non aver mai preso una solo insufficienza in quella materia e certamente era collocabile oltre la media.
Eppure, quel giorno il ragazzo riuscì a dare il peggio di sé, rischiando di aggiungere per tre volte la quantità scorretta di valeriana dimenticandosi di lasciar  riposare l’infuso per due minuti prima di accendere il fuoco per portarlo a ebollizione, perdendo il conto di quante volte lo aveva mescolato e tralasciando due punti fondamentali.
Dovette quindi ammettere che se la loro soluzione era al momento molto vicino alla perfezione il merito era solo delle incredibili capacità di Sherlock, che non lo avevano perso d’occhio per un solo secondo e che era riuscito a limitare e rimediare ai suoi danni.
Ma quando John si trovò a fare avanti e indietro dalla dispensa delle scorte, non riuscendo a portare al banco un solo ingrediente corretto, raggiunse davvero il limite.
 “Jawn, ti avevo chiesto del semplice rosmarino, non della pelle di Girillaccio” osservò Sherlock a metà della seconda ora, restando sorpreso davanti all’ennesimo sbaglio dell’amico, guardando con aria perplessa ciò che John stava stringendo tra le mani.
Il Grifondoro osservò mortificato la pelle di Girillaccio, irrigidendosi immediatamente.
“Mi dispiace Sherlock” sussurrò realmente abbattuto, ricevendo uno sguardo di pura angoscia dal migliore amico, prima di girare sui tacchi e avvicinarsi nuovamente alla dispensa di pozioni, trattenendo a stento le lacrime quando si rese conto non riuscire a ricordare ciò che Sherlock gli aveva chiesto.
Osservò perplesso i barattoli e le scatole disposte ordinatamente nel mobiletto delle scorte, cercando con tutto se stesso di ricordare ciò che il Serpeverde gli aveva domandato, deciso a non tornare al banco con l’ennesimo ingrediente errato; tuttavia, dopo aver allungato per cinque volte il braccio verso altrettanti ingredienti differenti, il Grifondoro decise di lasciar perdere, sentendo l’improvvisa necessità di allontanarsi dall’aria stantia dei sotterranei.
Chiese quindi al professore il permesso di andare al bagno, desideroso di una boccata d’aria fresca; scivolò fuori dall’aula senza farsi notare e senza dire una parola a Sherlock, intento a terminare la pozione e iniziò a vagare con passo lento e strascicato lungo i corridoi deserti.
Salì lentamente due rampe di scale arrestandosi solo dopo aver incontrato la prima finestra del piano; senza pensarci due volte spalancò i vetri, beandosi di quella giornata meravigliosa, uno dei primissimi assaggi di primavera e per quanto la luce del sole infastidì la vista già provata di John, l’aria frizzante che gli colpì immediatamente  il volto fu una vera manna.
John chiuse gli occhi, sporgendosi con il collo verso l’aperto, respirando  profondamente per arrestare nuovamente il senso di nausea che lo aveva assalito, sentendosi immediatamente meglio.
Prese in seria considerazione l’idea di restarsene lì per l’intera mattinata e al diavolo tutto il resto, ma il pensiero di aver lasciato solo Sherlock senza una spiegazione lo fece desistere; certamente il Serpeverde aveva già intuito dove si trovava John, ma non era comunque il caso di farlo preoccupare più del previsto.
Così, dopo aver richiuso con un sospiro sconsolato le finestre, John girò sui tacchi, pronto a rientrare in aula.
Si era appena voltato, quando con la coda dell’occhio, notò un’ombra scura che, poteva giurarci, prima era assente; immediatamente tornò a fissare il parco del castello, inondato dal sole, schiacciando il volto contro il vetro, il respiro già affannato e il cuore impazzito.
Pregò di essersi sbagliato, di non aver realmente visto ciò che credeva, pensando per un istante che forse era solo troppo provato e stanco e la vista gli aveva giocato solo un brutto scherzo, ma quando si trovò ad incrociare lo sguardo con quello scarlatto di un grosso gramo che, non c’erano dubbi, stava osservando proprio lui, dovette ricredersi.
Sussultando fece un balzo all’indietro, camminando a ritroso, gli occhi ancora puntati sul fantasma, fino ad incontrare con le spalle il muro dietro di sé, dove si abbandonò con tutto il corpo, lasciandosi poi scivolare fino a terra. John abbandonò il capo tra le mani tremanti, prima di distruggere il silenzio del corridoio con un leggero singulto.
Cosa gli stava succedendo?                                   
 
Rientrò in aula diversi minuti dopo, solo quando fu certo di essersi calmato abbastanza da poter riprendere la lezione, ma nonostante il respiro si fosse fatto più regolare, il battito del suo cuore si fosse stabilizzato e gli occhi non fossero più lucidi grazie all’acqua fresca con cui si era sciacquato il volto, tutto ciò che notò il suo compagno di banco, non appena John ebbe ripreso posto accanto a lui, fu il forte tremore alle mani, il colletto bagnato della camicia e gli occhi appena sgranati e arrossati.
“Cos’è successo?” gli domandò con voce secca, afferrando alcune fialette dalla sua borsa.
“Nulla, sono solo andato al bagno” mentì prontamente John, chinando il capo imbarazzato, consapevole di non essere riuscito a convincerlo; infatti Sherlock, dopo aver sbuffato con aria seccata, abbandonò sul banco la boccetta che stava riempiendo, afferrando invece con decisione le spalle del suo amico, voltandolo verso di lui, costringendolo a guardarlo.
“Senza considerare il fatto che sei rimasto fuori per più di venti minuti, un tempo decisamente eccessivo per raggiungere i bagni che si trovano nella stanza adiacente a questa, hai un forte tremore alle mani, che stai cercando di nascondermi tenendole incrociate in grembo, cosa sciocca da parte tua, era ovvio che me ne sarei accorto, inoltre il colletto della tua camicia è umido, così come alcune ciocche dei tuo capelli probabilmente ti sei sciacquato più volte il viso per cercare di mascherare, senza successo, i segni del pianto.
 Devo quindi supporre che , dopo che sei uscito da quest’aula, probabilmente per prendere una boccata d’aria, che credevi ti avrebbe fatto bene, visto che non riuscivi ancora a ricordare quale ingrediente ti avevo chiesto di portarmi, qualcosa ti abbia sconvolto a tal punto da farti piangere” concluse Sherlock con aria seria, tenendo gli occhi puntati in quelli sorpresi di John.
“Allora, ho sbagliato?” chiese con gravità, mentre l’amico trovava la forza per divincolarsi dalla sua presa, tornando a rivolgersi verso il professore.
Rimasero in silenzio per diversi minuti, John intento a  contemplare la lavagna davanti a sé, cercando le parole corrette per spiegare ciò che gli stava accadendo a Sherlock, che lo osservava con attenzione dal suo posto; non ne capiva appieno il motivo, ma l’idea di dirgli la verità, l’idea di poter sembrare agli occhi dell’amico debole e spaventato, lo mortificava a tal punto da impedirgli di parlare.
“Sono certo che Mrs Hudson ti ha dato qualche pozione da prendere nel caso fossi stato poco bene” sospirò pochi attimi dopo Sherlock, facendo sobbalzare il Grifondoro, che solo in quel momento si ricordò delle boccette di vitaminico abbandonate nella sua borsa; ne estrasse una, portandola davanti al volto per osservarne l’intensa tonalità dorata, prima di abbandonarla sul banco davanti a sé.
“Mi ha detto di prenderla a stomaco pieno” spiegò in un sussurrò, rovistando nella borsa alla ricerca dei resti dei dolcetti che gli erano rimasti, il tutto sotto lo sguardo falsamente indifferente di Sherlock.
John si ficcò in bocca una manciata di Api Frizzole, prima di afferrare la fialetta contenente il liquido trasparente, che Sherlock aveva appena riempito e portarsela alle labbra.
Fu una fortuna che Sherlock lo stesse osservando e che riuscì così a strappargli dalle mani la boccetta contenente il distillato di morte, prima che John facesse l’errore di berlo; allungò velocemente una mano verso di lui, afferrando con forza il polso tra le dita sottili, costringendolo a lasciare andare la boccetta che cadde al suolo frantumandosi in pezzi infiniti.
John osservò sconvolto la pozione che si stava allungando sul pavimento ai suoi piedi, prima di rivolgere uno sguardo disperato a Sherlock, che sembrava totalmente sconvolto.
“Aiutami, Sherlock” bisbigliò, con voce rotta.
 
Note finali:
*L’apparizione del gramo dovrebbe presagire il verificarsi di un incidente mortale. Tuttavia, il Distillato della morte vivente, se non erro, non è mortale; al contrario, dovrebbe far cadere chi lo beve in un lungo sonno profondo simile alla morte, ma gli effetti dovrebbero esaurirsi spontaneamente.
Quindi, tecnicamente, anche se John lo avesse bevuto non sarebbe realmente morto, tuttavia, dopo averci riflettuto a lungo, mi sono detta che, nonostante a mio parere Hogwarts sia il luogo meno sicuro al mondo, (tra i mostri feroci che infestano il terzo piano, i bagni, i sotterranei e la foresta, le punizioni allucinanti e gli sport chiaramente mortali che si praticano), nessun professore sano di mente avrebbe fatto preparare intrugli avvelenati ai propri studenti e, inoltre, per quanto mi sono sforzata non mi è venuta in mente una sola pozione avvelenata.
Tutto questo per dirvi, che so che questo incidente non sarebbe stato mortale, ma di certo sarebbe stato molto spiacevole, quindi lasciatemelo usare come “incidente quasi mortale  post apparizione del gramo”!
Se tuttavia questa inesattezza dovesse infastidirvi, posso sempre modificare il capitolo, facendo preparare a Sherlock qualche intruglio velenoso!
 
Eccoci arrivati alla fine del capitolo! Come sempre, un grande ringraziamento a chi lo ha letto!
Se tutto va bene, giovedì pubblicherò la seconda parte!
Non dimenticate che le recensioni sono sempre ben accette!

Un bacio a tutti,
con affetto,
Becki.

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Capitolo 9
*** 5.2 Un mastino a Hogwarts ***


Buon giorno a tutti!
Eccomi con il nuovo capitolo! Ringrazio Starkie e Naiko per aver recensito, Maya98 e LucyBerry per il sostegno e tutti coloro che stanno seguendo questa fic!
 
AVVISO:
 
sfortunatamente non posso garantire che lunedì riuscirò a pubblicare il nuovo capitolo, per un contrattempo.
Dal momento che la cosa non è ancora sicura, vi suggerisco di controllare in ogni caso lunedì, altrimenti temo che dovrete aspettare fino a giovedì.
Mi dispiace moltissimo, mi sono organizzata male e vi chiedo scusa! Mi farò perdonare in qualche modo, promesso!
Per il momento, vi lascio a questo capitolo!

Un bacione a tutti,
con affetto,
Becki.
 
Capitolo 5.2 Un mastino a Hogwarts
 
“Jawn, ora devi stare calmo, capito? Risolveremo anche questa situazione, ma ho bisogno che tu mi racconti ogni cosa” esclamò Sherlock, prendendo posto davanti al Grifondoro, assorto nella contemplazione del proprio tè.
John sospirò impercettibilmente, cercando di riordinare le idee “Io” iniziò a disagio, spostando lo sguardo sui pochi studenti che si trovavano con loro in Sala Grande, assicurandosi che nessuno li stesse ascoltando “io credo di star per morire” ammise, senza riuscire a nascondere un certo imbarazzo che si palesò, facendolo arrossire vistosamente. 
 “Spiegati meglio” lo incitò Sherlock mantenendo un tono calmo, dando la sua completa attenzione all’amico che finalmente si decise a guardarlo negli occhi.
 “Ho visto il gramo, Sherlock” confessò John, sperando vivamente di apparire meno patetico di quanto si sentisse “due volte e subito dopo ho avuto due incidenti quasi mortali” aggiunse in un soffio.
Sherlock continuò ad osservarlo con attenzione, congiungendo le mani sotto il mento e chiudendo gli occhi con l’intento di riflettere meglio.
 “Tu non se superstizioso” osservò pacatamente dopo pochi istanti e anche se John sapeva che non si trattava di una domanda, decise di confermare.
 “I tuoi malesseri, il mal di testa, gli incubi e la confusione, sono iniziati prima o dopo aver visto il gramo?”
“Prima” sospirò John.
“Mh, interessante” si limitò Sherlock, tenendo gli occhi chiusi
“Sei spaventato da quello che credi di aver visto?”
“Che ho visto, Sherlock” lo corresse John con irritazione, ma dalla smorfia scocciata che increspò le labbra del Serpeverde, capì che non ne era per nulla convinto.
“Jawn, non puoi credere davvero che un enorme mastino ti sia apparso per premonire la tua imminente morte. È ridicolo” decretò con stizza, socchiudendo appena le palpebre per osservare la reazione di John che, come prevedibile, s’infiammò immediatamente.
“Senti Sherlock, mi hai chiesto di essere sincero e io lo sono stato, ti sto solo dicendo quello che è successo e io ho visto il gramo!” ribadì con voce sicura, sporgendosi maggiormente verso il suo amico “e in entrambi i casi, subito dopo la sua apparizione, ho rischiato di morire”
Sherlock sospirò, visibilmente irritato “Anche se ammettessimo che tu abbia realmente visto il presagio, cosa di cui dubito” aggiunse con voce appena più bassa del normale, ma perfettamente udibile per John, che serrò velocemente le mani a pugno in un impeto di irritazione “cosa avrebbe a che fare la tua morte imminente con le continue emicranie e la confusione che dici di provare?”
John si strinse nelle spalle, riflettendo “Può darsi che siano entrambi dovuti alla paura o allo stress” tentò con voce incerta.
“Eppure sostieni di aver iniziato a star male prima dell’apparizione” gli ricordò Sherlock trionfante.
“Sì, il primo malessere l’ho avuto durante Cura delle creature magiche, ricordi? E subito dopo ho visto il gramo per la prima volta”
“E poi lo hai rivisto durante pozioni” ricapitolò Sherlock, riflettendo velocemente.
“Già; e poi ho quasi bevuto un flacone di distillato di morte vivente” continuò John, sorridendo appena “Dio Sherlock, fortuna che mi hai fermato, altrimenti sì che sarei finito male” continuò, più per smorzare la tensione che si era andata a creare che per altro.
Sherlock inarcò appena la bocca in quel ghigno sbilenco che sarebbe dovuto corrispondere ad un sorriso, prima di immobilizzarsi di colpo, sgranando appena gli occhi.
“Sherlock?” lo chiamò cautamente John, accortosi del cambiamento, ma il Serpeverde schizzò velocemente in piedi, portandosi entrambe le mani alla testa, iniziando a camminare avanti e indietro davanti all’amico.
“Ma certo!” esclamò trionfante, la voce appena più alta del normale “come ho potuto non capirlo prima, Jawn? È così dannatamente ovvio!”
“Emh, cosa è ovvio?” sospirò debolmente John, attirando nuovamente su di sé l’attenzione dell’amico, che si arrestò dalla sua veloce camminata; osservò il Grifondoro con un misto di orgoglio e compassione, prima di sbattere entrambi  i palmi sul legno lucido del tavolo, facendo sobbalzare diversi presenti, per poi allungarsi lungo il tavolo fino a portare il proprio volto a pochi centimetri da quello del compagno, ormai in tinta con la sciarpa che teneva al collo.
“Sh-Sherlock?” lo chiamò con voce incerta, tirandosi indietro il più possibile, nel tentativo di ripristinare una certa distanza tra i due volti.
“John, non sarai molto intelligente, ma non saprei come fare senza di te!” si lasciò sfuggire Sherlock e John dovette fare davvero del suo meglio per dissimulare il piacevole tremore che quella voce baritonale gli provocava lungo la schiena “forza John, muoviti!” tuonò poi, tirandosi nuovamente in piedi e rivolgendo a John un ultimo sorrisetto soddisfatto “dobbiamo uscire da qui!” aggiunse, iniziando a camminare con passo deciso verso l’ingresso.
John rimase invece pietrificato al proprio posto, incapace di muovere un muscolo o di levarsi dalla mente quegli occhi così perfetti e fu solo all’ennesimo ammonimento di Sherlock, che si decise ad alzarsi e a raggiungerlo.
 
Uscirono nel giardino, illuminato da uno splendido sole marzolino, camminando in silenzio uno di fianco all’altro. John non provò nemmeno a chiedere spiegazioni a Sherlock, consapevole che sarebbe stato inutile; quando il grande ego di Sherlock Holmes avrebbe ritenuto necessario ricevere una nuova dose di apprezzamenti, avrebbe spinto il ragazzo a parlare.
Così, con un sospiro, il Grifondoro si limitò a seguire l’amico lungo il parco del castello, stanco e provato come non mai.
“Tutto bene John?”
“Vorrei solo sapere dove stiamo andando” rispose prontamente John, già sulla difensiva.
“Oh, lo scoprirai presto!” lo rassicurò con voce melliflua Sherlock, ghignando appena.
Camminarono fino a raggiungere i limiti della foresta proibita, dove Sherlock si arrestò, lasciandosi cadere su una pietra che sporgeva da terra, lo sguardo rapito oltre i primi alberi che ne segnavano il confine.
“Sherlock?” lo chiamò incerto John, raggiungendolo.
“John, quand’è stata l’ultima volta che hai mangiato?”
“Mangiato?” ripetè perplesso il Grifondoro “prima a lezione ho mangiato alcune Api Frizzole, non so se contano…”
“E ne hai ancora?” continuò Sherlock.
John si rovistò nelle tasche, tirandone fuori una grossa manciata “Emh, ne vuoi una?” chiese indeciso, accennando un piccolo sorriso.
“Sì” esclamò Sherlock, allungando la mano verso quella protesa dell’amico e afferrando alcune caramelle “anche tu dovresti mangiarne John, hai bisogno di zuccheri”
John lo fissò allibito e incerto, cedendo poi sotto lo sguardo serio di Sherlock e ficcandosene in bocca alcune, senza chiedere spiegazioni.
Masticò lentamente, mentre il Serpeverde lo osservava con attenzione, le caramelle ancora strette in mano.
“Quelle non le mangi?” domandò poi John, indicandole.
“Forse più tardi” replicò Sherlock infilandosele nel mantello, lo sguardo ancora puntato su John, che stava per ribattere, quando strizzò gli occhi, infastidito.
“Tutto bene?” domandò attentamente Sherlock, osservando l’amico che barcollò con passo malfermo verso la foresta, il capo abbandonato nelle mani.
“Io…” iniziò con voce incrinata, scuotendo leggermente la testa, sperando di recuperare un po’ di lucidità “sto ben…”
John s’interruppe all’improvviso, lo sguardo fisso tra gli alberi davanti a sé, il respiro improvvisamente affannato “Sherlock” lo chiamò con un filo di voce, il corpo immobile a qualche passo dal Serpeverde, che si limitò ad osservarlo attentamente, senza parlare.
“Sherlock” ripetè John, questa volta un po’ più forte “Sherlock!”
“Dimmi John” sussurrò tranquillamente Sherlock, osservando il corpo dell’amico irrigidirsi alla sua risposta.
“Sherlock è qui” soffiò John, visibilmente spaventato, una nota di panico nella voce “Sherlock non ti muovere, non fare movimenti bruschi! Lui è qui! È qui!” ripetè, lo sguardo inchiodato in quello scarlatto del gigantesco mastino, che ringhiava minaccioso a qualche metro di distanza.
“Stai calmo, John” lo ammonì Sherlock, percependo il respiro dell’amico farsi ancora più veloce.
“Calmo?” ripetè John con voce acuta “lui è qui! Ti prego Sherlock, fai qualcosa! Vai a chiamare aiuto!” continuò, ormai completamente in preda al panico “ti prego, Sherlock! Ti prego!”
“Jawn, calmati! Cosa è qui?” domandò cautamente il Serpeverde, mentre John scoppiava in una risatina isterica.
“Il gramo Sherlock!” tuonò continuando a ridere “è qui!”
“Dove?”
“A pochi metri da me” sussurrò spaventato “aiutami…”
“Com’è fatto, John?”  
“È come un mastino, ma è gigantesco e gli occhi sono scarlatti e le zanne…” John si interruppe, iniziando a tremare vistosamente; un singhiozzo schioccò nel silenzio della foresta e finalmente Sherlock si decise ad intervenire.
Balzò in piedi e raggiunse in poche falcate il migliore amico, che in un tremore unico si abbandonò al suolo, il respiro pesante “Sherlock!” esclamò agitato, spostando lo sguardo dal migliore amico alla foresta “Sherlock, scappa! Scappa prima che si faccia avanti!”
“John, ora calmati!” lo rassicurò, accovacciandosi accanto a lui e afferrando il volto dell’amico tra le mani per costringerlo a guardarlo “Jawn” lo chiamò con voce sicura, cercando tranquillizzarlo “non devi aver paura, capito? Non c’è nulla qui oltre me e te” proseguì, la presa ancora salda sul volto pallido dell’amico “devi stare calmo John, è tutto a posto adesso, ok?”
“No, Sherlock, no! Lui è…”
“Lui non esiste!” esclamò Sherlock “John, lui non è mai esistito!”
 “Ma io l’ho visto” singhiozzò John preso dal panico.
“No, Jawn” lo rassicurò lui con un sorriso “Hai creduto di vederlo. Ho motivo di crede che in questi ultimi giorni tu sia stato confuso e disorientato da una serie continua di incantesimi Confundus e pozioni che ti sono state somministrate probabilmente con il cibo”
John lo fissò allibito e confuso, cercando di voltarsi verso la foresta, ma la stretta decisa di Sherlock glielo impedì, costringendolo a mantenere lo sguardo puntato sui suoi occhi severi, che lentamente riuscirono a calmarlo.  
“John, non devi avere paura, ci sono io qui con te”
E Sherlock percepì distintamente il corpo di John rilassarsi sotto la sua presa salda.
Rientrarono a scuola camminando vicini e nonostante John si sentisse molto meglio rispetto a prima, Sherlock insistette per mantenere una salda presa sul suo braccio, per paura che le gambe potessero cedergli in qualsiasi momento.
“Sherlock, potresti spie…?”
“No” lo interruppe velocemente, continuando a guidarlo lungo i corridoi “sei ancora sotto shock e in queste condizioni il tuo cervello è ancora più  lento del solito, sarebbe inutile parlare con te in questo stato” proseguì, ignorando lo sbuffò infastidito di John “quindi ora vedi di tranquillizzarti con un bel bagno” concluse, spingendo John nel bagno dei prefetti, di cui naturalmente conosceva la parola d’ordine.
 “Si può sapere perché non posso tornare al mio dormitorio?” domandò infastidito John, mentre Sherlock lo spingeva a forza nella stanza.
“Ogni cosa a suo tempo, Jawn” lo liquidò lui.
“Sherlock, no! Io pretendo di sape…”
“Vuoi che ti aiuti a lavarti?” lo interruppe Sherlock, innocentemente.
 John rimase ammutolito per diversi secondi, osservando con aria sconvolta il volto serio di Sherlock, avvampando miseramente, prima di balbettare alcune strane frasi sconnesse e chiudersi velocemente in bagno, facendo sorridere Sherlock.
Era davvero troppo semplice.
 
Sotto l’influsso dell’acqua calda, sapendosi ormai al sicuro dal presagio, il Grifondoro riuscì finalmente a tranquillizzarsi, riacquistando almeno in parte la propria lucidità e il proprio sangue freddo.
Uscì dal bagno mezz’ora più tardi, nettamente più tranquillo e rilassato, trovando Sherlock ad aspettarlo, le spalle poggiate contro il muro del corridoio, le braccia incrociate e gli occhi chiusi.
“Come ti senti?” domandò, percependo il rumore della porta che si chiudeva, spalancando gli occhi di colpo, investendo John con quell’azzurro così intenso da toglierli il fiato.
 “Cosa sta succedendo?” ribattè seriamente il Grifondoro, desideroso di risposte.
“Sei stato drogato più volte, con pozioni che hai assunto con il cibo e ho modo di credere che tu sia anche stato colpito da diversi incantesimi di confusione” aggiunse in tono pacato, studiando lo sguardo incredulo e agitato di John.
“Ma come… Ma chi può avermi fatto una cosa del genere?”
 “Qualcuno che ha avuto la possibilità di alterare  ciò che ingerivi, qualcuno che era sempre presente durante i tuoi malori, e che è riuscito a confonderti con incantesimi che ti hanno portato a credere di vedere una cosa che in realtà non esisteva”
“E per quanto riguarda gli incidenti che ne sono seguiti?”osservò John, mentre Sherlock sbuffava irritato.
“John, nessuno di quegli incidenti sarebbe avvenuto se tu non fossi stato sotto shock per la vista del gramo o confuso dalla pozione e dagli incantesimi”
“Tu sai chi è stato” lo interruppe John, rivolgendo uno sguardo preoccupato a Sherlock che annuì con gravità; mantenendo gli occhi incollati a  quello dell’amico lo costrinse a fermarsi nel mezzo del corridoio, poggiando entrambe le mani sulle sue spalle “Eric” sibilò con tono asciutto, osservando, come era prevedibile, la bocca di John spalancarsi dalla sorpresa, gli occhi sgranarsi.
“Eric?” ripetè allibito e incredulo, scuotendo leggermente il capo “stai scherzando”
“No, Jawn” soffiò Sherlock infastidito, facendo una maggiore pressione sulle spalle di John per ottenere nuovamente la sua totale attenzione “è stato lui, è l’unico che ne aveva la possibilità”
“Ti sbagli” sospirò il Grifondoro, liberandosi dalla sua presa “Eric e io siamo amici da anni; lo conosco e so che non avrebbe mai fatto nulla del genere, per nessun motivo!”
 “John, pensaci, chi era sempre lì quando sei stato male? Chi ti ha dato da bere dopo che hai avuto il primo malore? Chi ti ha regalato i dolci che hai continuato a mangiare in questi giorni? Senza considerare il fatto che essendo compagni di stanza avrà avuto l’occasione di lanciarti maledizioni durante il sonno, che ti hanno causato gli incubi continui e non riposandoti in modo adeguato risultavi più suggestionabile, meno vigile e riflessivo”
“Sherlock, ora smettila” ringhiò John realmente irritato, guardando con sufficienza il ragazzo che gli stava davanti “è una sciocchezza, Eric non lo avrebbe mai fatto e inoltre, francamente, non ne capirei il motivo!” aggiunse, trionfando interiormente quando una nota di incertezza si impossessò dello sguardo scettico dell’altro.
“Devo ammettere di non avere ancora prove sulla reale la motivazione che lo ha spinto a fare…”
“Lui non ha fatto nulla!”
“Che lo ha spinto a fare una cosa del genere!” concluse Sherlock, alzando il tono tanto da sovrastare quello furioso di John “tuttavia ho una teoria più che plausibile e ho intenzione di fargli ammettere ogni cosa; sono piuttosto persuasivo se voglio” soffiò compiaciuto.
“Tu non ti avvicinerai a Eric e non lo accuserai di cose che non ha fatto” ringhiò John, stringendo involontariamente le mani a pugno, infastidito “Eric è uno dei mie migliori amici, Sherlock, e non ti permetterò di spaventarlo”
Sherlock fece scorrere uno sguardo di sufficienza sul corpo teso e tremante di John, non sapendo se essere più infastidito da quell’improvviso impeto di protezione verso quello sciocco Grifondoro dalle facoltà mentali decisamente limitate, o dalla mancanza di fiducia che stava dimostrando nelle sue capacità.
 “Tu ti rifiuti di guardare in faccia la realtà!”
“E tu ti stai sbagliando, Sherlock! Eric non mi avrebbe mai fatto nulla del genere, mai!”
“Jawn” sibilò Sherlock in un lamento esasperato “i sentimenti ti stano offuscando la ragione”
“No, Sherlock” esclamò John rabbioso “i sentimenti mi dicono, mi assicurano, che Eric non c’entra nulla in questa storia! E io ci credo”
Sherlock sbuffò “John, non puoi fidarti del tuo istinto! Devi ragionare con la mente, non con il cuore! Le persone sono false, Jawn, non puoi fidarti di nessuno al di fuori di te stesso e certamente non puoi fidarti di quell’Eric! Quando mai ho sbagliato? Come puoi credere a lui, sulla base di un istinto e non a me?”
John osservò il corpo irrigidito dell’altro, rendendosi conto di non averlo mai visto perdere la calma prima di allora, forse solo durante il caso del diadema. Tutto nel corpo di Sherlock Holmes gridava ira e non bisognava avere le sue sorprendenti capacità deduttive per accorgersene.
“Questo sei tu Sherlock, non io” sospirò John, passandosi una mano sugli occhi, cercando di abbassare il tono di voce per non far innervosire ulteriormente l’altro “se le prove puntassero contro un tuo amico, tu a cosa crederesti?”
*“Io non ho amici” rispose aspramente  Sherlock in un urlo sommesso.
John sussultò, sgranando gli occhi per la sorpresa. Un silenzio pesante calò sui due ragazzi e per quanto John provò più volte a replicare, si trovò sempre ad aprire la bocca a vuoto, per poi deglutire con decisione; Sherlock da parte sua parve non essersi minimamente scomposto dopo quell’affermazione, anzi la sua ira sembrava essersi assorbita del tutto, restituendogli lo sguardo freddo e pacato di sempre.
John provò a sollevare più volte lo sguardo per incontrare quello cristallino del Serpeverde, ma la forte delusione, mista alla tristezza che provava in quel momento glielo impedirono; come potevano quattro parole fare tanto male?
“Già” sospirò dopo un tempo che parve un’eternità, tossendo appena per ricomporsi, deciso a non mostrare all’altro quanto ciò che aveva appena detto lo avesse ferito “Bè, chissà come mai”* sospirò, prima di allontanarsi a grandi falcate, lasciando l’altro immobile al centro del corridoio.
Sherlock osservò John allontanarsi finchè non sparì dietro un corridoio, lo sguardo che colse la camminata veloce e disarmonica, le mani strette convulsamente a pugno, le spalle basse e la muscolatura tesa e anche se cercò con tutto se stesso di impedirsi di star male per quello che era accaduto, ciò che provò in quel momento fu solo un forte senso di abbandono.
Non voleva essere abbandonato da John, non lo avrebbe mai accettato.
E allora perché ti comporti in questo modo?Gli domandò una voce fastidiosa nella sua testa, voce che scacciò con un gesto secco del capo.
Attese che l’eco dei passi di John si fu spento totalmente, prima di decidersi a schiodarsi da quel punto, camminando agilmente verso il dormitorio di Grifondoro; avrebbe incastrato Eric, avrebbe dimostrato a John di avere ragione, di averla sempre avuta, così tutto sarebbe tornato come prima.
 
Era solo a pochi metri dal ritratto della Signora Grassa, quando riconobbe Eric e Taylor, che camminavano, chiacchierando allegramente, nella sua direzione.
Un vero colpo di fortuna, si disse, raggiungendoli in poche falcate.
I due ragazzi si inchiodarono nel mezzo del corridoio, vedendolo; l’espressione decisamente più fredda rispetto a poco prima e il corpo che gridava irritabilità.
Inutile dire che i due ragazzi non erano felice all’idea della sua amicizia con John; ma in quel momento Sherlock non aveva tempo da perdere con stupide questioni di rivalità tra case e gelosie, non ora che poteva finalmente verificare la propria teoria, salvando John da tutta quella storia prima del verificarsi di qualcosa di davvero irrimediabile e, soprattutto, dimostrandogli di aver avuto ragione anche quella volta, così da riguadagnarsi la sua fiducia e il suo affetto.
Sì, di sicuro John si sarebbe pentito di non avergli creduto, probabilmente sarebbe rimasto colpito dalle sue deduzioni, lo avrebbe lodato come suo solito, lui gli avrebbe sorriso e tutto si sarebbe sistemato.
“Buon pomeriggio” esclamò con enfasi, stampandosi sul volto un sorriso tanto amichevole, quanto falso, davanti a cui i ragazzi risposero con un ghigno.
“John  non è in dormitorio” esclamò velocemente Taylor, già pronto ad allontanarsi.
“In realtà volevo parlare con voi”esclamò prontamente Sherlock, bloccando i due ragazzi sul posto “volevo solo sapere dove hai preso i dolciumi che  hai regalato a John, sai avevano un sapore così interessante, Eric” sibilò, percependo un senso di soddisfazione e orgoglio invaderlo, davanti allo sguardo perso del ragazzo.
“Di quali dolci parli?” domandò confuso il Grifondoro, mentre il ghigno di Sherlock si allargava. Negazione.
 “I dolci che gli hai portato quando è finito in infermeria, c’era un biglietto firmato col tuo nome”
“Io non gli ho portato nulla, quando sono arrivato i pacchi erano già lì” ribatté Eric sorpreso, stringendosi nelle spalle “sicuro che ci fosse il mio nome nel biglietto?”
Sherlock annuì piano, la mente che lavorava freneticamente; non poteva essersi sbagliato, era impossibile, eppure, o Eric era il più grande bugiardo di tutta Hogwarts, o semplicemente stava dicendo il vero.
 “Quando John ha perso i sensi durante la corsa” iniziò, all’improvviso agitato “tu gli hai dato da bere”
“Sì” confermò Eric, rivolgendo uno sguardo sempre più confuso a Taylor “gli ho fatto bere l’acqua che mi ha dato quel ragazzo, come si chiama….”
Gli occhi di Sherlock sgranarono per la sorpresa, mentre si rendeva conto del terribile errore che aveva commesso; era stato un vero stupido! Un idiota, che era stato messo nel sacco senza problemi dall’unica persona in grado di progettare tutto ciò nella massima libertà, incastrando al suo posto Eric e lui si era lasciato abbindolare, manovrato dalle sue stesse emozioni, perché accusare il migliore amico di John, allontanare per sempre un possibile rivale da lui era troppo facile, era troppo bello, era un’occasione troppo ghiotta per avere finalmente John tutto per sé.
Aveva consapevolmente deciso di rendersi cieco, ignorando l’unica persona che aveva non solo l’occasione, ma anche il movente per agire.
John aveva ragione ed ora era solo, solo e in grave pericolo.
 “Il nome” ringhiò con urgenza, alla  ricerca dell’ultima conferma che gli serviva.
 
John camminava con passo veloce lungo i corridoi deserti dei sotterranei, il capo chino, il respiro spezzato e le mani che si contraevano a pugno.
Era arrabbiato, anzi no, era furioso. Furioso con quel robot senza cuore e emozioni che si era dimostrato essere Sherlock Holmes, quello che ormai da tempo lui considerava il suo migliore amico.
Io non ho amici.
Le parole gli tornarono alla mente con prepotenza, facendogli nuovamente male; non è difficile da credere Holmes, pensò con rabbia.
Sherlock era fatto per essere solo, per non fidarsi si nessuno oltre a se stesso, proprio come aveva detto, era per questo che non riusciva a credere all’innocenza di Eric.
Come poteva davvero credere che Eric fosse coinvolto? Come poteva non rendersi conto che se solo si fosse sforzato di conoscerlo un po’ meglio avrebbe capito che non era lui il colpevole? Non poteva essere lui, John lo sapeva.
Eppure, per quanto John continuasse a negarlo a se stesso, per quanto si continuasse a ripetere che ciò che davvero lo aveva fatto infuriare era stata la scarsa fiducia dimostrata a uno dei suoi migliori amici, sapeva che quello che davvero lo aveva colpito, che lo aveva profondamente ferito, erano state le parole di Sherlock. Se davvero non aveva amici, allora cosa rappresenta lui per Sherlock? Possibile che tutto quel tempo che avevano condiviso, tutte le avventure e le difficoltà affrontate, non avessero significato nulla per lui? In quei mesi John si era sentito più vivo che mai, più felice che mai, aveva trovato una vita fatta di avventure, rischi e pericoli, ciò che aveva da sempre desiderato e aveva conosciuto quella che ormai poteva dirsi la persona più importante della sua vita,  possibile che Sherlock non avesse provato nulla di tutto ciò?
Con un respiro frustrato John si fermò al centro del corridoio, sbattendo, senza riuscire a trattenersi, una mano chiusa a pugno sul muro di pietra, riuscendo per qualche secondo a focalizzare il dolore che provava dentro di sé, al dolore che immediatamente raggiunse la sua mano.
Si sentiva uno stupido, un idiota, per aver creduto di contare davvero qualcosa per quel ragazzo, per il quale, evidentemente, non contava più di qualsiasi altro studente di Hogwarts, ma quello che davvero lo feriva, era sapere di non avere nessuna importanza per il ragazzo che…
Per il ragazzo che amava.
Perché ormai, si disse John, con un sospiro, ormai era inutile negare e mentire agli altri e a se stesso, non aveva senso cercare chissà quale spiegazione quando la realtà era da tempo così evidente. Perché se una persona, quella che ormai da tempo riteneva essere la più importante della sua vita, riusciva a distruggerlo in quel modo con solo quattro parole, allora non aveva più senso negare quanto questa fosse importante.
Fin dal primo incontro aveva capito quanto Sherlock fosse speciale, più importante di qualsiasi amico avesse mai avuto, più importante di se stesso. Un solo ragazzo che da subito era stato in grado di entrargli così nel profondo, di cambiare il suo modo di vedere la vita, gli altri, con così tanta facilità, che era riuscito a salire sopra ogni cosa con una naturalezza disarmante.
Un ragazzo per il quale John avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche morire, senza la minima incertezza.
E con una risata amara, John si chiese di cos’altro avesse bisogno, di quale altra palese evidenza dovesse godere, prima di accettare la realtà.
Lui amava Sherlock Holmes, da sempre, da subito, amava un ragazzo che non lo riteneva nemmeno degno di essergli amico.
 
Per un attimo rimase immobile, respirando con affanno, cercando di calmarsi e di ragionare con lucidità, rendendosi conto solo in  quel momento di non avere idea di dove si trovasse; dove diamine lo avevano condotto le sue gambe?
Con un sospiro rassegnato John girò sui tacchi, deciso a ripercorrere la strada al contrario e tornarsene finalmente in dormitorio.
Probabilmente avrebbe dovuto raggiungere Eric e rassicurarlo sul fatto che non pensava assolutamente nulla delle cose di cui Sherlock lo aveva di sicuro già accusato e poi forse avrebbe potuto parlare con Sherlock, anche se al momento non sentiva proprio il desiderio di vederlo, per dargli la possibilità di spiegarsi o scusarsi.
Fece in tempo a fare pochi passi, che rimbombarono nel corridoio deserto, quando percepì un dolore acuto estendersi dalla spalla sinistra, colpita da una maledizione, simile a quella che aveva anticipato il primo svenimento, ma decisamente più forte.
Il dolore fu così immediato, inatteso e forte, da lasciarlo senza fiato, era come se la carne fosse stata trapassata da un coltello o una pallottola e il dolore si faceva sempre più acuto e si stava estendendo con velocità disarmante lungo tutto il braccio, sul collo, fino a raggiungere l’altra spalla.
In un ultimo slancio di lucidità John afferrò la bacchetta, voltandosi a fatica, cercando di mettere a fuoco quella figura sfocata che stava immobile davanti a lui, la bacchetta sfoderata.
Le dita della mano sinistra iniziarono a tremare dolorosamente e la presa sulla bacchetta venne meno, così da farla precipitare a terra con un tonfo sordo e John non potè fare altro che accucciarsi a terra, stringendosi con le poche forze che gli rimanevano la spalla dolorante, prima di abbandonarsi a terra privo di sensi, battendo il capo sul pavimento freddo. Fu poco prima di cedere che si rese conto di  non aver nemmeno gridato.
 
Quando John riprese coscienza, la prima cosa che percepì fu una dolora fitta alla spalla sinistra, seguita da un giramento di testa tanto forte che rischiò di farlo rimettere.
Cercò di calmarsi prendendo alcuni respiri profondi, cercando di riportare alla mente gli avvenimenti precedenti alla caduta.
Con cautela aprì gli occhi, rendendosi conto solo in quel momento che qualcosa non andava.
Innanzitutto  non si trovava a terra, come sarebbe dovuto essere, ma era in piedi, la schiena inchiodata al muro e un peso che non gli permetteva di muoversi.
 “John” un gemito, un ansito.
John chinò velocemente il capo sul proprio corpo, rendendosi conto che quel peso opprimente risultava essere il corpo di un ragazzo, ma chi?, che lo tratteneva con una presa ferrea, le mani che vagavano lungo il suo corpo, toccandolo senza pudore, il volto affondato nell’incavo del suo collo.
“John, perché ti sei fermato?” domandò lo sconosciuto, strusciandosi contro il corpo di John, che sconvolto cercò di divincolarsi dalla presa dell’altro.
“Ma cosa..?” soffiò spaventato, interrompendosi sentendo le labbra del ragazzo che succhiavano avidamente la pelle del suo collo, le mani che avevano scostato senza difficoltà la camicia e ora stuzzicavano i capezzoli già turgidi.
John avrebbe voluto urlare. Avrebbe voluto urlare con quanta forza aveva, allontanando da sé quel corpo di cui riusciva a vedere solamente i capelli scuri, ma non riusciva a fare altro che restare in balia di quelle mani e di quelle labbra, gemendo piano con voce roca, mentre i suoi pantaloni si facevano sempre più stretti e fastidiosi.
La realtà era che non poteva fare altro, perché la testa gli girava così tanto che, ne era certo, se l’altro ragazzo non lo avesse sorretto contro il muro, probabilmente non sarebbe riuscito a mantenersi in piedi e si sentiva completamente svuotato da ogni forza, ogni energia che avrebbe potuto aiutarlo, si sentiva una bambola di pezza nelle mani di un ragazzino esuberante.
“John” ripetè ancora lo sconosciuto “perché hai smesso di toccarmi?” si lamentò, separandosi dal suo collo per dedicarsi al suo petto, spingendo in avanti con un gemito il bacino contro quello di John, che si domandò in un lampo di lucidità come avesse potuto toccare quel ragazzo dal momento che il braccio e la mano erano totalmente fuori uso.
“Ti prego” soffiò con un filo di voce, lottando per mantenere gli occhi aperti “lasciami andare”
“Ma cosa stai dicendo?”domandò con urgenza la voce “sei stato tu a chiedermelo, non ricordi?”
No, John non lo ricordava, non ricordava nulla. Possibile che davvero aveva fatto una richiesta del genere ad uno sconosciuto? Gli risultava impossibile da credere, eppure considerando gli avvenimenti degli ultimi giorni, John si rese conto che nulla era più certo e al momento era solamente troppo stanco per rifletterci sopra.
“Non sto bene” soffiò, mentre il ragazzo sollevava di scatto il capo, permettendo a John di riconoscere quegli occhi neri che lo stavano scrutando con desiderio, quel ghigno disegnato sul volto perfetto.
“Non preoccuparti, mi occuperò io di te, ti farò stare meglio” sussurrò con voce tremante Sebastian Moran, spostando le mani sui fianchi di John.
“Sebastian” lo supplicò sconvolto “non so cosa ti ho detto, ma ora lasciami stare, ti prego” lo supplicò, consapevole che l’altro non lo avrebbe fatto; quel ragazzo che aveva considerato un amico lo aveva aggredito nel mezzo di un corridoio deserto, lanciandogli una maledizione parecchio potente, se considerate le condizioni della sua spalla, del suo corpo e quelle della sua mente e ora, ne era certo, non lo avrebbe lasciato andare tanto facilmente.
John represse un singulto, strizzando gli occhi per trattenere le lacrime; si sentiva male come non era mai stato in vita sua, ma almeno non avrebbe dato la soddisfazione a Moran di vederlo piangere.
Nonostante tutto era sempre un Grifondoro, era stato assegnato a quella casa per il suo coraggio e per il suo sangue freddo e anche se una parte di lui gli stava urlando che era spacciato, il suo orgoglio di Grifondoro gli dava la forza di resistere, mentendo quel poco di dignità che ormai gli rimaneva.
 Un gemito roco di Sebastian lo costrinse a riportare l’attenzione su di lui, mentre in realtà avrebbe voluto solo perdere di nuovo i sensi e risvegliarsi dopo ore, giorni forse, così da potersi convincere che si era trattato solo di un incubo, perché una cosa tanto orribile non poteva davvero capitare a lui, non a lui.
Si ripetè, sentendo  il bottone dei pantaloni che saltava e la zip che si abbassava “Non devi chiedermi di lasciarti andare John, ma di farti venire” lo canzonò il ragazzo, iniziando a carezzare un’evidente erezione attraverso la stoffa leggera dei boxer, prima di infilarvi dentro la mano che con decisione si chiuse attorno alla sua durezza “mi occuperò io di te, come mi hai chiesto” soffiò malizioso, mentre una nuova ondata di malessere colpiva John.
“Io non ti ho chiesto nulla, non mentire; ero privo di sensi…” soffiò John con voce rotta, mentre il desiderio di piangere si faceva sempre più forte.
Non voleva essere toccato in quel modo da lui, non voleva subire una tale violenza, essere tastato, masturbato dal Serpeverde nel bel mezzo di un corridoio, dove chiunque avrebbe potuto sorprenderli…
Non era solo doloroso, ma era la più grande umiliazione che John aveva mai provato in vita sua e se fino a quel momento aveva pregato di essere visto e salvato da qualcuno, ora, mentre la mano di Sebastian si era insinuata nei suoi boxer, andando a stringere e tastare il proprio pene che si faceva sempre più duro ad ogni carezza, chiuse gli occhi, pregando che il tutto terminasse più velocemente possibile. Con un movimento secco del polso Sebastian iniziò a masturbarlo con decisione, sostituendo ai leggeri sfioramenti di poco prima dei colpi secchi e veloci, facendolo gemere a suo malgrado.
“Sherlock” sospirò John, ottenendo come risposta un morso doloroso sulla spalla già incredibilmente dolorante, facendolo finalmente urlare dalla disperazione.
“Non sono Sherlock” esclamò Sebastian, irritato, catturandogli le labbra in un bacio violento, facendolo gemere nella sua bocca.
“Guardami John” sussurrò Sebastian, separandosi da lui, costringendolo ad aprire gli occhi, nonostante la vista fosse ormai totalmente appannata dalle lacrime che non era riuscito più a trattenere.
“Per favore Sebastian, non lo fare” lo supplicò John, “ti prego” lo supplicò, toccando definitivamente il fondo “lasciami, ti prego!”
Sebastian gli rispose con un ghigno, ma non fece in tempo a rispondere nulla, zittito da un lampo di luce rossa che lo colpì sulla schiena e facendolo rantolare ai piedi di John, che non essendo più sostenuto dal ragazzo scivolò lungo il muro del corridoio.
Percepì due mani forti sollevarlo da terra e una voce famigliare chiamare il suo nome, ma John era troppo esausto per poter rispondere, per poter dire qualsiasi cosa e così decise di lasciarsi invadere dalle tenebre, schiudendo appena gli occhi, in tempo per vedere Sherlock in piedi a pochi passi da lui, la bacchetta sollevata sul corpo privo di sensi di Sebastian.
 
Risvegliandosi John riconobbe immediatamente il lettino in cui stava riposando, domandandosi come era possibile che si trovasse ancora lì, solamente poche ore dopo essere stato dimesso, consapevole del fatto che questa volta Mrs Hudson non lo avrebbe lasciato andare con troppa facilità.
Eppure, per quanto si sforzasse, ancora non riusciva a ricordare come ci fosse finito in infermeria; sicuramente c’entrava Sherlock, su questo poteva metterci la mano sul fuoco, ma cos’era accaduto di preciso?
Sforzandosi John riuscì a riportare alla mente gli avvenimenti degli ultimi giorni, i continui mal di testa, il gramo, gli incidenti continui, poi Sherlock che lo porta vicino alla foresta proibita, per poi spiegargli ogni cosa, dicendogli di non avere amici, accusando Eric, ma non era stato Eric…
Sebastian!
John spalancò gli occhi, mentre ciò che era accaduto poco prima di perdere i sensi gli ritornava alla mente con una forza devastante; Sebastian che lo baciava, Sebastian che lo toccava …
John rabbrividì, sentendosi all’improvviso sudicio e colpevole, mentre un forte senso di nausea lo invadeva.
 “Jawn, Jawn!” lo chiamò con voce agitata Sherlock; John voltò il capo in direzione di quella voce, ma non fece nemmeno in tempo ad incrociare lo sguardo con quello ghiaccio dell’amico che il corpo venne scosso da un forte conato di vomito che lo fece rabbrividire e fece appena in tempo a girarsi su un fianco, vomitando oltre il bordo del letto.
Rimase per qualche secondo chinato verso terra, artigliando con la mano destra il lenzuolo umido del suo sudore, il braccio e la spalla sinistra erano stati fasciati e probabilmente Mrs Hudson aveva già provveduto a somministrargli una pozione per il dolore, gli occhi sbarrati, il respiro affannato e il corpo tremante.
Udì un incantesimo sussurrato a poca distanza da sé e pochi istanti dopo percepì due mani che gli stringevano le spalle, sollevandolo appena e costringendolo a tornare disteso sul letto.
“Scusa” boccheggiò John, allacciando finalmente i propri occhi con quelli chiari del Serpeverde, che con una gentilezza che John non gli avrebbe mai dato, faceva passare le propria dita fra i capelli chiari dell’amico, per poi spostarli con discrezione sulle sue guance che, John se ne accorse solo in quel momento, erano bagnate di lacrime.
“Non c’è problema” lo rassicurò “Ho già rimediato” soffiò sorridendogli appena.
John distolse lo sguardo da quello profondo, incapace di reggerlo, rendendosi conto solo in quel momento di quanto la vicinanza del ragazzo lo disturbasse.
Non ne era certe del motivo, ma l’ultima persona che in quel momento avrebbe voluto accanto era Sherlock, nonostante fosse stato quest’ultimo a salvarlo da quella situazione.
Ma forse, pensò John, era proprio quello il problema; non riusciva a fare a meno di sentirsi umiliato per quello che era successo, si sentiva uno stupido per essere stato preso in giro da Sebastian, nonostante Sherlock lo avesse messo in guardia su di lui, era in imbarazzo per essere stato trovato in quelle condizioni dall’amico, supplicante e incapace di allontanare da sé il corpo di Moran…
Era stato preso in giro, aggredito, aveva supplicato, pianto e alla fine, quando Sherlock lo aveva salvato, era svenuto e l’unica persona che non avrebbe mai dovuto vederlo in quelle condizioni, l’unico davanti a cui John non sarebbe mai voluto essere visto in quello stato, ne era stato il solo testimone.
Come aveva potuto rendersi così debole, davanti a quegli occhi?
In quel momento Sherlock rappresentava la prova della sua debolezza e della sua stupidità ed era per quello che non voleva Sherlock lì con sé, che non riusciva a sopportarne la vista e il suo corpo irrigidito, le mani strette con tanta forza alle coperte da far sbiancare le nocche e il respiro affannato ne erano la prova.
Leggendo tutti quei segnali Sherlock spostò velocemente la mano dai capelli del ragazzo, facendo un passo indietro “Jawn” lo chiamò con titubanza.
“Cosa ci fai qui?” ringhiò John con più astio di quello che avrebbe voluto.
“Volevo assicurarmi che stessi bene” sussurrò Sherlock “e dirti che avevi ragione su Eric” aggiunse dopo un attimo di esitazione.
“Ma davvero?” osservò sarcastico John, continuando ad evitare lo sguardo dispiaciuto di Sherlock “Direi che me ne sono accorto”
“Ti ha fatto male?” domandò in un flebile sussurro, quasi a non voler farsi sentire.
John negò con il capo, percependo Sherlock avvicinarsi nuovamente al letto.
“Ti senti male” continuò Sherlock e questa volta non si trattava di una domanda.
Ottima deduzione Sherlock, pensò John sprezzante, strizzando velocemente gli occhi “È solo che non me lo aspettavo” esclamò, rafforzando la presa sulle coperte, quasi a volersi giustificare “mi ha colto alla sprovvista, per questo io…” la voce gli morì in gola in un gemito flebile. 
“Ora non devi più preoccuparti di Moran” s’intromise pacatamente Sherlock, avvicinando con circospezione la mano a quella di John, ancora artigliata al lenzuolo, per poi abbandonarla a qualche centimetro dalla sua, senza tuttavia farle toccare.
“Cosa significa?” chiese John con un filo di voce, gli occhi ancora puntate sulle mani distanti pochi centimetri, cercando di capire perché Sherlock non gli avesse preso la mano tra le sue, prefendo invece abbandonarla lì; aveva paura di essere nuovamente allontanato?
“Ho sistemato io la faccenda, gli ho spiegato che deve starti alla larga; ti ho già detto che so essere molto persuasivo”
“Non avresti dovuto” sbottò alla fine, alzando finalmente gli occhi sull’amico che sembrava leggermente perplesso; si guardarono per secondi che parvero ore e lentamente la rabbia di John parve scemare davanti a quagli occhi, sostituita solo dall’imbarazzo “so badare a me stesso”
“Questo lo so, ma l’ho fatto con piacere” sussurrò con cautela “perché siamo amici e perché tu avresti fatto lo stesso per me”
“Credevo che tu non avessi amici” ribadì John, abbandonando il volto tra le mani e prendendo un lento respiro “lascia stare” soffiò “non importa, va bene così, davvero”
“John” lo chiamò con voce appena alterata “Io non ho avuto amici finchè non ho incontrato te”
John scosse appena il capo, mentre Sherlock si irrigidiva “Va bene così Sherlock, davvero” ripetè con un sorriso stanco “ti sono grato di avermi salvato da Sebastian” ribadì “non oso immaginare cosa sarebbe successo se non fossi intervenuto”
Sherlock rabbrividì appena “Avrei dovuto sospettare che c’era lui dietro a tutto questo, avevo notato il modo in cui ti guardava, sapevo che era attratto da te, ma lui non si sarebbe mai fatto scrupoli ad ottenere ciò che desiderava con la forza”
A differenza di Eric, aggiunse tra sé.
“Di cosa stai parlando?” domandò incredulo John, ricevendo in risposta uno sguardo da possibile-che-tu-non-te-ne-fossi-reso-conto? “vuoi dire che Moran ha fatto tutto questo solo per…”s’interruppe, a disagio “solo per…” ripetè, ma la voce gli morì in gola.
“Giocare con te” concluse per lui Sherlock “temo di sì”
John scosse il capo, incredulo “Non avrei mai creduto Sebastian capace di fare una cosa del genere” sospirò; vide Sherlock aprire la bocca per ribattere, ma lo interruppe prima che potesse farlo.
“Sherlock, se stai per dirmi che tu mi avevi avvisato di non fidarmi di lui e di nessun altro, ti prego di evitare!” esclamò con voce irritata, ma Sherlock non potè fare a meno di notare che sorrideva e il suo corpo si era rilassato.
“Come sempre la tua deduzione è errata Watson” lo riprese con un sorriso “ti stavo semplicemente per dire che questo è accaduto perché tu tendi sempre a vedere il lato migliore delle persone”
“Che grande fregatura” sospirò John, sistemandosi meglio sui cuscini del letto.
“Non per me” ribatté con serietà Sherlock, allacciando finalmente le proprie dita con quelle dell’amico, anche se con una certa titubanza.
 John gli sorrise, sentendosi improvvisamente meglio, più leggero, più felice, stringendo leggermente la mano del ragazzo, stupendosi di quanto fosse calda e confortevole.
“Pensavo che la prossima settimana potremmo andarci insieme a Hogsmead a farci due burro birre” esclamò John dal nulla, con voce indifferente, abbandonando il capo sul cuscino e chiudendo gli occhi, senza tuttavia lasciare la mano di Sherlock, godendosi appieno quel contatto così intimo e dolce. Ormai le parole di Sherlock erano solo un ricordo doloroso, l’unica cosa di cui John voleva preoccuparsi al momento era la stretta decisa delle loro mani intrecciate, i sentimenti con cui ormai avrebbe dovuto fare i conti e il modo per tenerli nascosti a Sherlock Holmes, almeno fino a quando non avesse avuto la certezza che questi non avrebbero compromesso in alcun modo la sua amicizia con il giovane detective, di cui riusciva a percepire lo sguardo puntato su di sé.
“Pensavo ci saresti andato con Eric e Taylor” ribatté perplesso Sherlock.
John si strinse nelle spalle “Se a te va di venire dirò loro che ci andrò con te” ribattè noncurante.
 
Voglio averti accanto a me, Sherlock, sempre, nessun altro!
 
“Non che mi esalti l’idea di chiudermi in uno squallido pub, ma si può fare” concesse Sherlock con voce annoiata.
 
Voglio tenerti accanto a me, John, sempre, in qualunque circostanza!
 
E finalmente il Grifondoro si abbandonò ad un sorriso sincero.
 
 
 
Note finali:
*Cit dal “Il mastino di Baskerville”
 
Eccoci alla fine del capitolo! Un ringraziamento a tutti coloro che lo hanno letto, spero vi sia piaciuto, nonostante, ancora una volta, io abbia torturato il povero John!
E dire che, fra tutti, è il mio personaggio preferito!
Mi sento decisamente in colpa, ma presto mi farò perdonare anche da lui!
Se non avete letto l’avviso sopra, ripeto nuovamente che c’è la possibilità che il nuovo capitolo venga pubblicato giovedì e non lunedì! Se così fosse, mi scuso nuovamente!
Con tanto affetto,

Becki.
 

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Capitolo 10
*** 6.1 Le cascate della fonte della buona sorte ***


Buona sera a tutti!
Eccoci “all’inizio della fine”! (Suona malvagio!XD)
No, in realtà, escluso questo, ci saranno altri due capitoli, ma l’ultimo è semplicemente un “extra”, un epilogo, quindi, effettivamente la storia vera e propria si concluderà con la seconda parte di questo capitolo, che pubblicherò lunedì!
Come sempre voglio ringraziare Naiko, Maya98, LucyBerry e Starkie per aver recensito e per il loro continuo sostegno, ringrazio tutti coloro che continuano ad inserire la storia tra le preferite, seguite e ricordate e chi la sta’ solo leggendo!
Ed ora vi lascio al capitolo!
Con tanto, tanto affetto,
Becki
 
AVVISO! In questo capitolo, come vedrete, Sherlock è assolutamente e totalmente (almeno in alcune scene) OOC! Mi dispiace molto, ma non sono riuscita a fare diversamente! Inizialmente avevo anche pensato di limitare alcune parti, ma poi mi sono detta che dopo nove capitoli di tira e molla, non potevo farmi certi problemi!XD
E poi, diciamocelo, dopo tutto quello che ho fatto passare a John, si meritava un po’ di coccole!u.u
 
 
 Capitolo 6.1 Le cascate della fonte della buona sorte       
 
John osservò con aria incuriosita l’ufficio del preside, rendendosi conto che si trattava della prima volta in cinque anni che vi entrava. Fece scorrere lo sguardo sulla scrivania lucida, ingombra di pergamene e documenti e sulle teche colme di strani oggetti sibilanti, si concesse alcuni istanti per ammirare il Cappello Parlante, che sonnecchiava con indifferenza al sicuro dietro una spessa vetrina,  per poi rivolgere la propria attenzione alle parete tappezzate dei quadri dei vecchi presidi di Hogwarts, che borbottando tra loro osservavano lo strano terzetto.
“A volte mi chiedo davvero cosa ti passi per quella testa!”
Il ringhio basso e infastidito di Mycroft riscosse John dai propri pensieri, costringendolo a riportare l’attenzione sul maggiore degli Holmes, seduto elegantemente al suo fianco, lo sguardo, irritato e incredulo, fermo sul fratello.
“Non capisco a cosa tu ti riferisca” replicò tranquillamente questo, stringendosi nelle spalle.
Mycroft gli rivolse uno sguardo infuriato “Siamo nell’ufficio del preside, Sherlock!” tuonò.
“Me ne sono accorto, grazie”
“Sai benissimo a cosa mi sto riferendo!” continuò il maggiore, mentre Sherlock sbuffava, spazientito “siamo nell’ufficio del preside, nel cuore di Hogwarts, Sherlock Holmes, potevi almeno indossare i pantaloni!” tuonò Mycroft, infuriato.
John spostò nuovamente la propria attenzione su Sherlock che si strinse con maggior decisione nel candido lenzuolo che al momento sostituiva la sua divisa.
*“Per cosa?”
“Per il tuo cliente!”
“Che sarebbe?”
“Illustre” una voce profonda alle loro spalle li fece sobbalzare, interrompendo il battibecco dei due fratelli e costringendo i tre studenti a voltarsi verso l’ingesso; fermo, davanti alla porta, il preside Derwent osservava con serietà il trio, uno sguardo severo sul volto “senza pari e preferisce rimanere, devo informarvi, del tutto anonimo”*
Sherlock sbuffò, guadagnandosi l’ennesi occhiataccia dal fratello “Come se non sapessimo che si tratta del ministro della magia” borbottò, mentre il preside li raggiungeva, accomodandosi poi dall’altro lato della scrivania.
“Normalmente non avremmo mai affidato una questione così delicata a tre ragazzini” esordì l’uomo, spostando lo sguardo sui tre ragazzi “tuttavia, a seguito di alcune testimonianze, riguardo alle vostre abilità, abbiamo deciso di concedervi questo grandissimo onore”
“La ringraziamo per la cortesia” intervenne Sherlock con un sorrisetto falso “ma sfortunatamente ci troviamo costretti a declinare l’offerta” sentenziò, mentre John irrompeva in una leggera risata mal celata.
“Oh per l’amor del cielo!” esclamò Mycroft “per una volta non potete comportarvi da adulti?”
“Mycroft, ti ho già ripetuto che questo caso non mi interessa!” tuonò Sherlock balzando in piedi, ostentando una serietà che si smarriva davanti al suo abbigliamento “ed ora posso dirlo anche a lei, preside. Non ho intenzione di accettare questa indagine e questo è tutto! John, andiamo!” aggiunse, dirigendosi a passo spedito verso l’ingresso.
John fece appena in tempo ad alzarsi, quando notò Mycroft spingersi in avanti, allungando un piede per calpestare lo strascico del lenzuolo di Sherlock, che con un gesto fluido scivolò dal corpo del ragazzo, scoprendogli per un istante la schiena e parte del fondoschiena.
John sgranò gli occhi colpito dal corpo dell’amico, prima di distogliere lo sguardo imbarazzato, arrossendo impietosamente, per spostarlo sul ghigno soddisfatto di Mycroft Holmes; chi dei due fosse più infantile, proprio non avrebbe saputo dirlo.
*“Togliti dal mio lenzuolo!” protestò Sherlock irato, mentre Mycroft tratteneva a stento un sorrisetto sadico.
“Altrimenti?”
“Altrimenti vado via e basta”  
“Non ti fermo”
“Ragazzi, vi prego, non qui”* s’intromise John, al limite della sopportazione, rivolgendo uno sguardo veloce al preside, che tuttavia sembrava troppo sconvolto per poter intervenire.
“Sherlock, questo è un caso di importanza nazionale! Vedi di crescere!”
Sherlock sospirò per l’ennesima volta, rivolgendo uno sguardo di puro rancore al fratello “Bene” ringhiò, spostando poi la propria attenzione sul preside “la figlia del ministro non è né scomparsa né è stata rapita” iniziò con voce sepolcrale “è semplicemente scappata di casa con la su fidanzata. Se io fossi in voi inizierei a cercarla nelle proprietà del primo ministro, sono certo che al momento si trova in una di esse a godersi la libertà. Ed ora,” aggiunse, riportando gli occhi su Mycroft “lascia il mio lenzuolo e John, andiamo!
John non se lo fece ripetere due volte; con uno scatto veloce raggiunse il suo amico, che vantando un’eleganza davvero inappropriata si riavvolse totalmente nel proprio telo candido, pronto ad uscire dallo studio, ma non prima di rivolgere un cenno di saluto al preside, ancora troppo scioccato per fare alcun che e un ghigno odioso a Mycroft, che apparentemente stava cercando di incenerirlo con lo sguardo.
 
I due ragazzi rimasero in totale silenzio, mentre si avviavano a passo deciso verso i dormitori dei Serpeverde, dove finalmente Sherlock avrebbe potuto vestirsi.
“Ti aspetto qui” soffiò tranquillamente John, ormai troppo abituato all’eccentricità dell’amico e al suo comportamento bizzarro, per potersi sconvolgere davanti ai suoi capricci.
Sherlock annuì in risposta, scomparendo dentro il proprio dormitorio, da cui riemerse dieci minuti dopo, il lenzuolo sostituito con la consueta divisa.
“È bello rivederti con i soliti vestiti” ridacchiò John, iniziando a passeggiare con Sherlock, che gli rivolse un sorrisetto divertito.
“Il lenzuolo era certamente più comodo” iniziò, mentre John si abbandonava ad  una risata cristallina “e poi non mi sembrava che ti dispiacesse tanto” aggiunse malizioso, facendo tuttavia sparire in un istante il sorriso spensierato di  John, che gli rivolse uno sguardo perso e spaventato.
Senza riuscire ad evitarlo, Sherlock si trovò a sospirare, fronteggiando l’amico con aria ora seria.
Ormai Sherlock era certo di ciò che il Grifondoro provava nei suoi confronti ed era altrettanto sicuro che, da diversi giorni, dal ricovero in infermeria per l’esattezza, lo stesso John fosse riuscito a far chiarezza sui propri sentimenti.
E nonostante l’amico si fosse impegnato molto per nascondere la cosa, fingendo che nulla fosse cambiato, Sherlock aveva da subito notato quanta attenzione prestasse improvvisamente John per evitare il contatto fisico con lui, quanto s’impegnasse a scegliere con cura le parole da rivolgergli e quanto sempre più spesso lo avesse sorpreso ad osservarlo, per poi distogliere lo sguardo non appena i loro occhi si incrociavano.
E se già prima la frequenza con cui John gli teneva incollati gli occhi era una prova evidente di un interesse più profondo della semplice amicizia, ora la situazione si era fatta francamente ridicola.
Se solo John non fosse stato tanto spaventato. Impaurito dai suoi stessi sentimenti, dalla prospettiva di non essere ricambiato e di portare così alla fine la loro amicizia…
“John” ripetè Sherlock, facendo un passo ulteriore verso l’amico, che in tutta risposta indietreggiò, sollevando davanti a sé entrambe le mani, come scudo.
 “John, per l’amor del cielo, non essere ridicolo!” sbottò Sherlock infastidito, facendo irrigidire a sua volta anche il Grifondoro.
“Sherlock, voglio tornare in dormitorio, non posso trascorrere qui tutta la mia serata, quindi sbrighiamoci!” esclamò irritato, ricominciando ad allontanarsi a passo di marcia lungo il corridoio, seguito dal Serpeverde.
“Questa situazione sta diventando davvero assurda, non puoi rifiutarti di parlarne”
“Non c’è nulla da dire, Sherlock!” ringhiò John al limite della sopportazione, una nota di panico nella voce, scattando in fase difensiva, come ogni altra volta in cui Sherlock aveva cercato di intraprendere l’argomento.
“Va bene” si arrese il Serpeverde sospirando, come già era successo in alcune occasioni, deciso a concedere all’amico altro tempo per abituarsi all’idea.
 “Sai, credo che il motivo per il quale Mycroft fosse tanto nervoso, sia da ricercare nella sua palese invidia nei confronti del mio vestiario!” aggiunse diversi minuti dopo, per alleggerire la tensione che si era creata e John sorrise nuovamente, rilassandosi un'altra volta.
“Tu credi?” domandò incerto, mentre Sherlock annuiva con sicurezza.
“Insomma, hai visto come lo guardava?”
Domandò, trattenendo a stento le risate, che esplosero nel momento in cui anche John non riuscì più a mantenersi serio, l’immagine del ringhio furioso di Mycroft che aleggiava nella mente.
“Te lo immagini con quello addosso?” aggiunse Sherlock, mentre le risate di John si facevano sempre più intense, tanto che il ragazzo fu costretto a fermarsi, afferrandosi lo stomaco con entrambe le mani “Oddio, Sherlock! Giuro, pensavo che ti avrebbe ucciso! Non l’ho mai visto tanto infuriato!”
“Perché non sei presente alle cene di Natale!” ribattè prontamente l’amico “non c’è niente di più soddisfacente che ingozzarsi di tortini al cioccolato davanti a lui!”
Una nuova esplosione di sghignazzi invase il corridoio.
“Oddio Sherlock, non posso crederci, davvero!” soffiò John, cercando di calmarsi, asciugandosi con il dorso della mano gli occhi umidi “sei unico, davvero! Sei assolutamente incredibile, totalmente fuori di testa”
Sherlock aggrottò la fronte, osservando dubbioso il suo migliore amico ancora intento a ridacchiare, cercando di comprendere appieno il significato di quelle parole.
“Ti ringrazio?” tentò, non del tutto sicuro che si trattasse di un complimento.
“Non è un’offesa” gli sorrise rassicurante John “infondo, è anche per questo che ti amo…”
John si zittì immediatamente, terrorizzato, cercando di trattenere quell’ultima parola che, sfuggita al suo controllo dopo tante settimane, aveva appena abbandonato le sue labbra, facendo calare sui due amici un silenzio imbarazzante.
Sherlock sgranò gli occhi per la sorpresa, osservando John, rosso e imbarazzato come lo era stato poche volte nella vita, come se lo vedesse per la prima volta. Ora il Grifondoro non avrebbe più potuto negare, ora non avrebbe più potuto tirarsi indietro.
Per un tempo incredibilmente lungo nessuno dei due proferì parola, entrambi troppo sconvolti per farlo, entrambi troppo impegnati a perdersi negli occhi dell’altro, prima che Sherlock, recuperato l’abituale sangue freddo, si decise a rompere quel silenzio imbarazzante.
“Jawn” iniziò, un sorriso sincero ad increspargli le labbra, facendo un passo verso l’amico, che in tutta risposta indietreggio velocemente, distogliendo lo sguardo dal volto del Serpeverde.
“Io, non volevo…” iniziò John titubante, continuando ad arretrare “sì, insomma, quello che intendevo, cioè…” il Grifondoro sospirò affranto, non sapendo più dove arrampicarsi per uscire incolume da quella situazione; se solo Sherlock lo avesse aiutato, invece che continuare a studiarlo concentrato! Come se non si trovasse già abbastanza a disagio!
“Jawn” lo richiamò Sherlock, costringendolo a tornare a guardarlo.
“Io non volevo dire quello che ho detto Sherlock” bisbigliò infine il Grifondoro, facendo un ulteriore passo alle sue spalle, finendo col scontrarsi contro il muro di pietra.
Con gli occhi sgranati dalla paura, osservò Sherlock avvicinarsi a passi lenti e sicuri, lo sguardo che trafiggeva il suo, la bocca distorta in un ghigno soddisfatto e per la prima volta nella sua vita John si sentì davvero in trappola.
Deglutì nervosamente, rendendosi conto solo in quel momento di quanto il Serpeverde sembrasse un cacciatore che aveva appena puntato una preda incredibilmente invitante.
Non riuscì a distogliere gli occhi da quelli di Sherlock, che brillavano di una luce nuova e mai vista, che lo fece sussultare.
Sherlock si avvicinò a John fino a far sfiorare i loro petti, i volti tanto vicini che il Grifondoro poteva distinguere ogni sfumatura di quegli occhi azzurri, le mani inchiodate ai lati della sua testa.
E quando Sherlock si fece ancora più vicino, andandosi a chinare sul corpo tremante di John, le mani che scattavano in basso ad artigliare i fianchi dell’amico, John si trovò a trattenere il respiro, serrando gli occhi con decisione e schiudendo la bocca in un invito, un’unica frase che gli martellava nella mente; Sherlock Holmes sta per baciarmi!
John percepì Sherlock ridacchiare e potè quasi immaginarsi il ghigno soddisfatto che di sicuro stava sfoggiando ed era già pronto a replicare, quando il respiro di Sherlock si infranse contro il suo orecchio, facendolo sussultare. Sentì le labbra di Sherlock andare a stuzzicare il lobo, il fiato caldo che gli solleticava la pelle e quasi non morì sul colpo.
“Perché hai tutta questa paura, Jawn?” miagolò Sherlock al suo orecchio e il Grifondoro percepì tutto il sangue affluire traditore al proprio viso, facendolo arrossire impietosamente, il respiro all’improvviso pesante.
“Rilassati” soffiò Sherlock, sorridendo trionfante davanti al gemito spezzato che uscì dalle labbra di John, le mani che gli carezzavano con dolcezza i fianchi tesi.
Sherlock si allontanò di poco dal ragazzo, giusto il necessario per riuscire a guardarlo in volto, sorridendo davanti al capo chino di John.
Con una mano gli afferrò con dolcezza il mento, costringendo il Grifondoro a sollevare il viso su lui, beandosi del rossore che lo imporporava.
“Jawn, guardami” gli ordinò il Serpeverde, ma il ragazzo scosse freneticamente il capo, gli occhi serrati con forza, il corpo ancora irrigidito.
Spostando la mano sul suo petto, Sherlock si compiacque del suono impazzito del suo cuore, che batteva all’impazzata come un uccellino in gabbia. Nuovamente spostò il capo di lato, fino a raggiungere ancora l’orecchio di John, ma questa volta si limitò a saggiarne con un bacio veloce il lobo, stringendosi maggiormente contro il corpo del ragazzo, che colto alla sprovvista si lasciò sfuggire l’ennesimo ansito.
Sherlock sospirò piano, spostandosi poi lungo il collo di John, facendolo rabbrividire, il naso che tracciava una linea immaginaria sulla sua pelle e John tremò, mentre le labbra di Sherlock vi si posavano leggere; percepì le gambe cedergli e senza poterne fare a meno fece scattare le braccia in avanti, andando a stringere i fianchi di Sherlock, che ghignò appena.
“John, devi calmarti” ripetè Sherlock, posando un nuovo bacio appena sotto la mascella del ragazzo
“soprattutto considerando…”
Un nuovo bacio.
Che io provo lo stesso
Nuovamente Sherlock fece un passo indietro, incrociando finalmente gli occhi languidi di John. Con un sospiro appoggiò la sua fronte su quella accaldata del ragazzo, sorridendo davanti al volto arrossato e allo sguardo smarrito.
“Davvero?” gracchiò John con filo di voce talmente fievole che Sherlock quasi pensò di esserselo immaginato; in risposta si limitò a sfregare dolcemente il proprio naso con quello di John, continuando a specchiarsi in quei pozzi blu.
Lentamente fece scivolare il viso di lato, avvicinando le proprie labbra a quelle incerte del Grifondoro, le congiunse con dolcezza in una carezza appena accennata, tirandosi dubito indietro, ma John si protese in avanti, stringendo con più forza le vesti di Sherlock, alla ricerca di un contatto più profondo, facendo sorridere il Serpeverde che si affrettò ad accontentarlo.
Giunse nuovamente le sue labbra con quelle di John e iniziarono ad assaporarsi con baci dolci e veloci, prima che la lingua di Sherlock si insinuasse timida nella bocca del Grifondoro, trasformando quel bacio in uno decisamente più passionale.
Continuarono a baciarsi finchè il bisogno d’ossigeno non si fece tanto impellente da costringerli a separarli e, ansimanti, rimasero l’uno ancorato all’altro a perdersi nei loro occhi.
“Finalmente, John” soffiò Sherlock soddisfatto, mentre il volto del Grifondoro si apriva in un sorriso raggiante e felice.
“Finalmente, Sherlock” replicò lui con dolcezza, cercando nuovamente quelle labbra carnose.
 
Quando, un’ora più tardi, John fece ritorno al proprio dormitorio, con un sorriso ebete stampato in volto e un’aria sognante, vi trovò Eric e Taylor, che lo stavano aspettando.
“Ehi, John!” lo salutò Taylor, quando entrò in camera “allora, cosa voleva il preside?... John?” aggiunsi pochi istanti dopo, osservando lo sguardo languido e felice che il suo amico gli rivolgeva.
“Ma che ti è successo?” intervenne Eric, avvicinandosi all’amico, che in tutta risposta gli rivolse un sorriso a trentadue denti “oddio, credo sia sotto l’effetto di qualche strano incantesimo!”
“Non dite sciocchezze” li interruppe John, continuando a sorridere “sto bene. Benissimo” si corresse qualche secondo dopo, lanciandosi sul proprio baldacchino, soddisfatto “ho detto a Sherlock che lo amo” spiegò, facendo calare nella stanza un’ondata di silenzio.
Taylor sgranò gli occhi, spostando lo sguardo da John, ancora intento a contemplare il soffitto, ad Eric che, superato lo shock iniziale, osservava l’amico con aria ferita e sofferente.
“E?” soffiò con voce esitante, gli occhi stranamente lucidi.
John si strinse nelle spalle, senza avere il coraggio di posare lo sguardo sui propri amici “Ci siamo baciati” ammise, leggermente in imbarazzo.
Taylor sussultò, notando il corpo di Eric raggelarsi e gli occhi serrarsi con forza, prima che il ragazzo si esibisse nel sorriso più falso che avesse mai visto e si congratulasse con John.
Con uno slancio John si mise seduto sul suo letto, vedendo il quel momento Eric che si voltava verso la porta, il corpo stranamente rigido.
“Eric?” lo chiamò incerto, all’improvviso preoccupato, ma Taylor gli fece cenno di tacere, rivolgendogli un sorriso dolce.
“È bellissimo che tu e Sherlock finalmente vi siate chiariti” soffiò, senza riuscire a nascondere una note di tristezza nella voce “e non vediamo l’ora di sapere tutti i dettagli, ma ora c’è una cosa che dobbiamo fare” aggiunse, spingendo con delicatezza Eric verso la porta.
“Ma è successo qualcosa?” chiese John, ma Taylor scosse con decisione il capo, tranquillizzandolo.
“Ora non preoccuparti di nulla, John! Ne parleremo domani” soffiò, spalancando la porta “buona notte”
“Buona notte, ragazzi” rispose lui, perplesso.
“Oh, John!” aggiunse Taylor dopo un secondo “c’era una busta per te davanti alla stanza! Te l’abbiamo lasciata sul comodino” esclamò, prima di chiudere la porta dietro di sé.
Confuso, John si rivolse alla sua destra, notando immediatamente la busta di cui Taylor parlava; l’afferrò, rigirandosela tra le mani ed osservando il sigillo in ceralacca che la chiudeva, prima di decidersi ad aprirla.
Dentro non c’era nessuna lettera né un biglietto, ma solo una semplice fiala di cristallo, contenete un liquido trasparente.
John la osservò attentamente, domandandosi cosa fosse e chi gliela mandasse, prima di dirsi troppo stanco per rifletterci, decidendo così di chiuderla in un cassetto e concedersi finalmente un po’ di riposo.
Si spogliò velocemente, indossando il pigiama e in fretta s’infilò sotto le coperte, abbandonandosi al sonno, il sapore dei baci di Sherlock ancora sulle labbra.
 
Il mattino successivo John si svegliò a fatica; si rigirò più volte nel letto, domandandosi se per caso non fosse stato tutto un bellissimo sogno, prima di decidersi ad alzarsi e iniziare una nuova, splendida giornata.
Fu piuttosto sorpreso di trovare il dormitorio già deserto, ma niente e nessuno avrebbe potuto scalfire la gioia che provava in quel momento.
John si precipitò in sala Grande con lo stesso sorriso ebete della sera precedente, stampato sul volto ed era a pochi passi dall’ingresso, quando due mani forti lo afferrarono per le vesti, trascinandolo in una nicchia nascosta del corridoio.
Il ragazzo non riuscì nemmeno a protestare, che la bocca ormai familiare di Sherlock, catturò la sua in un bacio famelico, facendolo gemere e contorcere sotto il suo tocco.
“Buon giorno, Jawn” miagolò Sherlock tra un bacio e l’altro, le mani che si spostavano sul suo corpo teso.
“Buon giorno anche a te” rispose il biondo, afferrando il capo di Sherlock con forza, per approfondire il bacio.
Lasciò le dita libere di vagare per quei riccioli scuri, la bocca invasa dal sapore di Sherlock e il corpo che si stringeva convulsamente al suo, nel tentativo di stargli il più vicino possibile.
“Ah, Jawn” mugugnò Sherlock, intrufolando una mano sotto la camicia di John, scosso da brividi di piacere.
“Sherlock!” lo chiamò con urgenza, stringendo a sé il corpo del ragazzo.
“Ma che quadretto interessante!”
John spalancò di colpo gli occhi, allontanando da sé il ragazzo, voltandosi insieme a lui verso la fonte di quella voce.
Mycroft Holmes, e chi altrimenti?, fermo a pochi passi da loro, la schiena poggiata contro il muro, li osservava con un ghigno divertito, gli occhi che brillavano di una luce intensa.
“Dannazione Mycroft!” tuonò con rabbia Sherlock, avvicinando la mano alla propria bacchetta “che diavolo vuoi?”
“Oh, fratellino, per prima cosa voglio complimentarmi con voi! Ce ne avete messo di tempo!” continuò, lo sguardo allegro che si spostava su quello omicida di Sherlock e quello incredibilmente imbarazzato di John “mamma sarebbe così orgogliosa!” aggiunse in un respiro, mentre Sherlock serrava gli occhi, sospirando, cercando dentro di sé quella forza che gli avrebbe concesso di non incenerire quell’idiota del fratello.
“Mycroft, se sei qui solo per congratularti…”
“Oh, no” lo interruppe il Serpeverde, facendosi all’improvviso serio “il preside vuole vederci immediatamente”

“Come sarebbe a dire, rapiti?” chiese John incredulo, rigirandosi tra le mani le foto dei quattro primini di Tassorosso, che il preside gli aveva appena mostrato.
“Sono scomparsi dal loro dormitorio questa notte” spiegò con voce sepolcrale, lo sguardo ansioso “tre bambine e un ragazzino. Uno dei compagni di stanza di Peter  ha detto di essersi svegliato a causa di alcuni rumori strani; dice di aver sentito qualcuno parlare e ordinare al suo compagno di seguirlo e di aver avvertito Peter piangere”
“Perché non ha preso anche gli altri?” lo interruppe Sherlock, confuso “perché lasciare degli studenti nel dormitorio, con il rischio di essere visto e riconosciuto?”
“Non lo sappiamo” soffiò il preside, passandosi stancamente una mano davanti agli occhi “ma dobbiamo ritrovarli il più in fretta possibile”
“Il ragazzino che si è svegliato non ha visto chi fosse il rapitore?” domandò Sherlock, leggendo velocemente le schede personali dei quattro ragazzi.
“No, era troppo spaventato per fare qualsiasi cosa; è rimasto in ascolto sotto le coperte”
Sherlock sospirò all’improvviso, sgranando gli occhi davanti al fascicolo di una delle bambine, Alice Liddell.
“Cosa succede, Sherlock?” domandò Mycroft, chinandosi a leggere a sua volta.
“Qui dice che Alice soffre di una forma grave di asma” soffiò Sherlock, sotto lo sguardo inorridito di John e  quello severo del preside “se non la troviamo prima che abbai un attacco, potrebbe morire!”
 
John e Sherlock si spostarono dall’ufficio del preside ai dormitori di Tassorosso, per analizzare le stanza dei bambini rapiti.
Iniziarono dalla camera di Peter, non trovando nulla di sospetto o particolare, per poi spostarsi nel dormitorio delle tre bambine scomparse, Alice Liddell, Aurora Spine e Isabelle Beast, anch’esso perfettamente ordinato.
Sherlock iniziò a rovistare tra gli oggetti personali della bambine, svuotando i loro bauli e i loro cassetti, controllando dentro gli armadi e sulla scrivania.
Con un gesto frustrato si rigirò tra le mani una busta aperta, dove era stato inserito un volume delle fiabe di Beda il Bardo, mentre John gli si avvicinava.
“Hai trovato qualcosa?” gli domandò con dolcezza, ma lo sbuffò rabbioso di Sherlock rispose per lui.
John si passò stancamente una mano tra i capelli, osservando la stanza con aria impotente, prima di tornare a prestare attenzione alla busta che Sherlock teneva tra le mani.
Lo sguardo  cadde automaticamente sul sigillo diviso in due parti, facendolo sussultare.
“Sherlock, io lo conosco quel sigillo!” esclamò sorpreso, mentre il Serpeverde lo osservava con attenzione “ieri Eric e Taylor mi hanno dato una busta che qualcuno aveva lasciato per me davanti alla porta del mio dormitorio e sopra c’era quello stesso marchio, sono sicuro!”
“Cosa c’era nella busta?”
“Una fialetta di cristallo con dentro un liquido trasparente, non so cosa fosse”
 
John corse velocemente al proprio dormitorio, dove recuperò la busta, contenente la fiala, ricevuta il giorno precedente, per poi raggiungere Sherlock al laboratorio di pozioni, dove il ragazzo iniziò ad analizzarla.
John attese pazientemente che il ragazzo concludesse il suo lavoro, sfogliando pigramente le pagine del libro di fiabe trovato da Sherlock, riportando alla memoria tutti quei racconti da tempo dimenticati.
“Ho finito!” esultò diversi minuti più tardi Sherlock, avvicinandosi al Grifondoro con la boccetta stretta in mano.
“Di cosa si tratta?” domandò John curioso, mentre Sherlock storceva il naso con stizza.
“Sono lacrime, John”
“Lacrime?”
“Esattamente”
“Ma perché mandarmi una cosa del genere? Cosa significa?”
Sherlock sbuffò infastidito, indicando con un cenno del capo il libro di fiabe “Trovato qualcosa?”
“No, nu…” John s’interruppe improvvisamente, lo sguardo che saettava dalla fiala al volume “Sherlock” sospirò indeciso.
“John?”
“Sherlock, hai presente la fiaba della fonte della buona sorte?” domandò, iniziando a sfogliare freneticamente il tomo, sotto lo sguardo perplesso del Serpeverde.
“Ammetto che i miei genitori non erano soliti leggermi fiabe, da piccolo” replicò con tranquillità, mentre John gli passa il libro aperto alla giusta pagina.
“È la storia di tre streghe e un cavaliere babbano, tutti e tre infelici. Una delle streghe era stata derubata da uno stregone, l’altra era stata abbandonata dal suo amore e l’ultima era gravemente malata” spiegò John, ricevendo uno sguardo penetrante da Sherlock “mentre lo stregone era sfortunato. Tutti e quattro decidono di raggiungere la fonte della buona sorte, dove uno di loro avrebbe potuto bagnarsi con le sue acque, ma prima di arrivare, si trovano costretti a pagare un pedaggio. Una delle streghe donò le sue lacrime, una i ricordi felici del suo amore passato e l’ultima il suo sudore, riuscendo così a raggiungere la fonte” riassunse velocemente John, mentre Sherlock leggeva in fretta la breve storia dalle pagine del volume.
“Chiunque li abbia rapiti ha preso spunto da questa storia” mormorò Sherlock, pensieroso.
“Dove credi che li abbia portati?”
“Non lo so, nel castello non c’è nulla che somigli ad una fonte” sibilò  tra sé, serrando gli occhi per concentrarsi meglio, congiungendo le mani davanti al viso.
Sherlock si chiuse in se stesso a riflettere, facendo scorrere nella mente le immagini di tutti i luoghi di Hogwarts, domandandosi quale fosse stato scelto per rinchiudere i bambini, finchè il suo volto non si aprì in un’espressione consapevole, gli occhi si spalancarono e il Serpeverde si volto velocemente verso John, eccitato.
“John, chiama subito il preside, so dove sono bambini!”
“Cosa?”chiese confuso John “dove?”
“Il bagno delle ragazze al secondo piano, John” rispose Sherlock avviandosi a passo veloce verso l’uscita “è chiuso da una settimana per delle tubature guaste!”
 
Il preside trovò i quattro bambini nel luogo indicato da Sherlock, intrappolati nell’ampia sala da bagno che da giorni era chiusa per un guasto; i quattro ragazzini erano stati lasciati lì nel cuore della notte, insieme ad un calderone dall’aria usurata, dentro cui sobbolliva una pozione trasparente il cui odore, simile a quello dello zucchero filato, dolciastro ed invitante, aveva spinto i piccoli Tassi ad assaggiarla e, una volta percepito il gusto zuccherino, i ragazzini ne avevano bevuta a grandi dosi, ignorando che fosse avvelenata.
Immediatamente tutti e quattro furono trasportati in infermeria, dove Mrs Hudson fece del suo meglio per curarli, prima di far spostare tre di loro al San Mungo per un ricovero urgente.
Ma Alice Liddell, già indebolita a causa della malattia, morì pochi giorni dopo.
Così, l’unica speranza per trovare il colpevole sembrava essere Aurora Spine, la sola ad aver ingerito una quantità così piccola di pozione da non aver riportato alcun effetto.
“Sherlock, ricorda di essere gentile e paziente” lo avvertì Mycroft, camminando insieme a John e al fratello verso l’ufficio del preside “si tratta pur sempre di una bambina ed è ancora sotto shock!”
Sherlock sbuffò spazientito, alzando gli occhi al cielo “Me lo avrai ripetuto cento volte, Mycroft, vuoi darci un taglio?”
“Se te lo dico è perché ti conosco! Davvero, John, non capisco come tu faccia!” esclamò indignato, indirizzandogli uno sguardo esasperato al Grifondoro, che incrociò gli occhi con quelli azzurri di Sherlock, rivolgendogli un sorriso complice.
Entrarono nell’ufficio del preside, avanzando verso la scrivania dietro cui si trovava Aurora, raggomitolata su se stessa nella comoda poltrona. Sherlock fece un passo verso di lei, rivolgendo alla bambina un sorriso incoraggiante e un saluto dolce, così che la bambina fu costretta ad alzare lo sguardo dalle proprie manine, che aveva osservato fino a quel momento, per puntarlo sul ragazzo.
Sherlock non fece in tempo ad aggiungere nient’altro, perché un grido terrorizzato invase la stanza, facendo sobbalzare i presenti.
Il preside si precipitò velocemente verso la bambina, che mantenendo lo sguardo su Sherlock, continuava ad urlare terrorizzata, circondandola in un abbraccio confortevole, mentre Mycroft e John trascinavano un confuso Sherlock fuori dallo studio.
“Perché ha reagito in quel modo?” domandò Sherlock disorientato, una volta fuori dallo studio, osservando impotente la porta d’ingresso, da cui provenivano ancora i lamenti della piccola Aurora.
“È sotto shock, Sherlock”
“Oppure qualcosa in te le ricorda il rapitore” constatò John, sospirando.
 
Dal momento che non potevano interrogare la piccola Aurora, John e Sherlock, quella sera, ritirarono nella stanza al terzo piano che avevano scoperto alcuni mesi prima durante il caso di Sebastian Moran, trovandovi dentro,  quella volta, la riproduzione di un accogliente salottino, con due comode poltrone di pelle poste accanto ad un caminetto, un divano molto ampio e un tavolino su cui era poggiato un vassoio con tè caldo e tartine.
Sherlock si raggomitolò su una delle poltrone, congiungendo le mani davanti al viso, restandosene a contemplare in silenzio il fuoco che scoppiettava nel camino, la mente che lavorava frenetica, mentre John, accomodato sul divano, sorseggiava un tè.
Sherlock tornò ad analizzare ogni particolare di quel caso, trovandosi a distrarsi sempre più spesso da un ricordo che gli martellava nella memoria.
I dialoghi di quella notte al lago nero continuavano a presentarsi nella sua testa, facendosi sempre più chiari e reali, mentre il nome di James Moriarty gli occupava ogni angolo della propria mente.
Sherlock aveva la certezza assoluta che dietro a tutto ci fosse Moriarty, ma con due bambini ricoverati al San Mungo e una che si rifiutava di parlare, non avevano per il momento alcuna prova per incriminarlo.
Sapeva che si trattava semplicemente di un gioco per il ragazzo, una vera e propria sfida, che la sua nemesi gli aveva lanciato, trascinandolo con sé in questa gara d’astuzia.
 
“Non ho ancora finito di giocare con te, Sherlock Holmes, non hai la minima idea di ciò che ti aspetta! Avevo solo bisogno di un piccolo tassello per proseguire, dovevo solo sapere quale effettivamente fosse il tuo punto debole e quanto in là ti saresti spinto per proteggerlo”
 
“Ti toglierò il tuo cuore”
 
 “Ti brucerò il cuore”
 
Sherlock scosse con decisione il capo, respingendo quei frammenti di dialogo in un angolo della propria memoria, pronto a recuperarli quando fosse stato necessario.
Con un sospiro chiuse gli occhi, abbandonando il capo contro la spalliera della poltrona, quando una mano calda gli afferrò il polso, riportandolo alla realtà.
Lentamente si voltò verso John, che a pochi centimetri da lui lo osservava con evidente preoccupazione.
“Ti senti bene, Sherlock?” chiese con dolcezza, mentre il Serpeverde si rimetteva in piedi per raggiungerlo sul divano.
“Assolutamente” confermò, sotto lo sguardo incerto di John.
“Hai fatto tutto il possibile per quei bambini, lo sai, vero?” continuò gentilmente John, facendo scorrere le dita tra i ricci del Serpeverde.
“Certo che lo so, John” replicò questo puntando lo sguardo in quello del Grifondoro, sollevandosi appena per riuscire a catturare tra le sue, le labbra del ragazzo.
Baciò il Grifondoro con impeto, mentre le mani si spostavano sul suo petto, costringendolo a mettersi supino sul divano, per poi sovrastarlo con il proprio corpo.
A John sfuggì un gemito particolarmente rumoroso, quando percepì l’erezione di Sherlock svegliarsi contro il proprio bacino e senza riuscire a trattenersi, inarcò il corpo, andando in contro a quello di Sherlock, cercando un contatto maggiore.
Sherlock gemette a sua volta, muovendo languidamente il bacino contro quello di John che fece scattare entrambe le mani sulla schiena di Sherlock, cercando di spingerla verso il basso, mentre la testa ricadeva all’indietro.
Sherlock sorrise soddisfatto, tracciando una scia di baci umidi lungo il corpo del ragazzo, poi, una volta che lo ebbe liberato dalla camicia, proseguì lungo il busto, fermandosi all’altezza dell’ombelico, dove John ebbe uno spasmo, leccandolo lentamente.
Continuando a mordere e leccare il ventre di John, Sherlock allungò una mano verso l’erezione del ragazzo, iniziando a massaggiarla da sopra la stoffa della divisa.
“S-Sherlock” balbettò John con urgenza, sollevando il bacino per aumentare il contatto con la mano di Sherlock, che liberò John dall’ingombro dei pantaloni, andando poi ad afferrare l’erezione già umida, massaggiandola con decisione.
Il ragazzo ansimò con più forza, aggrappandosi con mani tremanti al bordo del divano, in cerca di un sostegno, mentre le spinte si facevano sempre più veloci e decise.
John venne con il nome di Sherlock sulle labbra, schizzando di sperma la divisa del ragazzo, abbandonandosi poi sul divano in un susseguirsi di gemiti e mugolii.
Si concesse qualche secondo per riprendersi dall’orgasmo, prima di spingersi verso il corpo del Serpeverde ed intrufolare una mano sotto i suoi pantaloni, andandosi ad occuparsi della sua erezione trascurata.
Sherlock era già vicino al limite e gli furono necessarie poche spinte prima che anche il Serpeverde raggiungesse l’orgasmo, chiamando John con un grido sommesso, prima di accasciarsi sul corpo del Grifondoro, che accolse il ragazzo tra le sue braccia, sorridendo contro la sua nuca, coccolandolo con affetto.
“Questo è stato” iniziò John con voce ancora tremante, le mani che carezzavano il corpo di Sherlock “sorprendente!”
Sherlock proruppe in una piccola risata, facendo leva sui gomiti per spingersi fino al viso di John, dove posò tre baci leggeri.
 
Il mattino successivo, poco prima di pranzo, mentre John si avviava a passo lento verso l’ufficio del preside, dove era stato nuovamente convocato, trovò a domandarsi come fosse possibile essere riuscito ad evitare quel luogo per cinque anni, per poi trovarsi a doverci andare ben quattro volte in pochi giorni da quando Sherlock era entrato nella sua vita.
Perché c’entrava Sherlock, su quello poteva metterci la mano sul fuoco!
E il suo sospetto venne confermato quando, dopo esservi entrato, trovò il ragazzo già accomodato, o per meglio dire abbandonato, su una delle sedie poste davanti alla scrivania, le braccia incrociate al petto e un’aria dura sul volto.
Ciò che invece John non comprese, fu perché insieme a lui ci fossero anche altri tre ragazzi, che riconobbe come Sally Donovan e Jonathan** Anderson di Tassorosso e James Moriarty di Serpeverde, a cui rivolse un’occhiata particolarmente infastidita, il ricordo di ciò che aveva fatto a Molly ancora bruciante.
“Oh, buon giorno signor Watson” lo salutò stancamente il preside, facendogli cenno d’entrare ed accomodarsi “la ringrazio per essere venuto” aggiunse, mentre John prendeva posto accanto a Sherlock, che tuttavia non gli rivolse nemmeno uno sguardo, deciso ad ignorarlo.
“Qual è il problema, preside?” domandò John incerto, spostando lo sguardo da Sherlock all’uomo.
“Il fatto che il tuo ragazzo sia un maniaco psicopatico” replicò in un sussurro ben udibile Donovan, arricciando le labbra in una smorfia.
“Scusa?” s’irrigidì John, innervosendosi immediatamente, venendo tuttavia interrotto dall’intervento del preside, che velocemente riportò l’ordine.
“Signor Watson, lei ha presente il caso dei quattro ragazzini scomparsi, vero?” domandò duramente l’uomo, mentre John annuiva, confuso “bene. Il motivo per il quale l’ho chiamata è perché la signorina Aurora Spine ha riconosciuto il signor Holmes come colui che l’ha rapita”
Orripilato, John strabuzzò gli occhi davanti all’ammissione del signor Derwent, rivolgendo uno sguardo sconvolto a Sherlock, per poi tornare a prestare attenzione all’uomo, un sorriso incerto sulle labbra.
“Questo non può essere vero, c’è di sicuro un errore”
“Non c’è alcun errore, signor Watson. La parola di Aurora è stata confermata anche dagli altri bambini” ribattè severamente il preside, mentre John scuoteva il capo, sconvolto.
“È uno scherzo?” chiese, incredulo che una cosa del genere stesse davvero accadendo a Sherlock.
“Forse lei non si rende conto della gravità della situazione, signor Watson! Quattro bambini sono stati rapiti e uno di loro è morto! Per reati come questo si finisce ad Azkaban!” sentenziò Derwent, facendo sussultare il Grifondoro.
 “Ma Sherlock” iniziò John con voce nervosa, torcendosi le mani “preside, posso assicurarle che Sherlock Holmes non c’entra nulla in questa storia! Lui quei bambini li ha salvati, non rapiti!”
“Sì, avendo come unica traccia un libro di fiabe” esclamò sarcastica Donovan.
“Per Sherlock era più che sufficiente!” insistette John, rivolgendosi all’amico in cerca di un appoggio, chiedendosi perché non intervenisse “l’ho visto con i miei occhi, dedurre…”
“Con gli stessi occhi con cui hai visto il gramo?” lo interruppe Anderson facendo ridacchiare Donovan e avvampare John.
“I-io non…” iniziò lui titubante, rivolgendo uno sguardo imbarazzato al preside; come aveva anche solo potuto sperare che quella faccenda non diventasse di dominio pubblico?
“Le testimonianze delle bambine non sono le sole. La signorina Donovan e il signor Anderson sono giunti qui di loro spontanea volontà per mettermi al corrente del comportamento spesso aggressivo e violento del signor Holmes, mentre il signor Moriarty…”
“Non dovrebbe credere nemmeno ad una parola di ciò che dice questo ragazzo!” lo interruppe John, furioso“ha manipolato una nostra compagna di scuola affinchè rivelasse particolari personali riguardanti altri studenti! L’ho visto io, mentre…”
“Hai visto anche questo?”
“Anderson, chiudi quella fogna di bocca!” scattò John, senza riuscire più controllarsi.
“Signor, Watson, si calmi!” ordinò prontamente il preside, sbattendo con rabbia una mano sulla scrivania.
“No! L’unico motivo per il quale ho avuto quelle visioni, è stato perché sono stato drogato da Sebastian Moran!” ringhiò John “diglielo, Sherlock!” aggiunse, ma ancora una volta l’amico rimase in silenzio, lo sguardo sempre rivolto alla parete che gli stava davanti.
“Oh, certo, facile incolpare Moran dopo che questo ha lasciato la scuola perché il tuo fidanzatino lo ha picchiato a sangue!” intervenne aspramente Donovan.
“Lo ha fatto per difendermi!” spiegò prontamente John “Moran mi aveva aggredito e se Sherlock non fosse intervenuto…”
“Ti ha drogato o aggredito?” lo interruppe  Anderson “dovresti deciderti!”
“Ora basta!” tuonò il preside, riportando il silenzio prima che John avesse modo di replicare “il motivo per il quale siamo qui ora, è per ottenere anche una sua testimonianza, signor Watson!”
“Sherlock Holmes è innocente!” esclamò prontamente John, cercando di mantenere un tono calmo “posso giurarlo sulla mia vita!”
Derwent  sbuffò, infastidito “John” lo chiamò, sfilandosi gli occhiali con un gesto stanco “ascolta, la situazione, se non lo hai capito, è molto grave. Il signor Holmes” continuò, indicando con un cenno del capo Sherlock “è accusato del rapimento di quattro bambini, di cui uno è morto, è accusato di atti violenti nei confronti del suo compagno, Sebastian Moran e di aver praticato una maledizione senza perdono su di un altro studente” un sospiro “su di lei”
John sussultò a quelle parole, incredulo “No” balbettò, scuotendo nervosamente il capo “Sherlock non ha mai usato maledizioni contro di me, non è stato lui a farlo…”
“John” continuò il preside “il signor Moriarty, questa mattina, ha confessato di aver aiutato Sherlock Holmes in tutto ciò, costretto dalle minacce del suo compagno, se lei sa qualcosa…”
Ma John non lo ascoltava; il suo sguardo, la sua totale attenzione, erano ora per il ragazzo che sedeva alla sua sinistra e che lo osservava con aria dispiaciuta e affranta.
“Sei stato tu” soffiò John, irrigidendosi, comprendendo “tu mi hai tenuto sotto Imperius!” esplose, una nuova ondata di rabbia a invaderlo.
“NO!” si difese prontamente Moriarty, cercando con lo sguardo l’aiuto del preside “non sono stato io, John! So che tu sei un bravo ragazzo, è stato lui! Mi ha costretto a fingermi colpevole per le sue azioni!” decretò nel panico, continuando ad additare Sherlock che, con la sua indifferenza, sembrava essere totalmente estraneo alla situazione.
“Sherlock” lo chiamò John con un filo di voce, voltandosi in parte verso di lui “Shelock…”
“John, se sai qualcosa, devi dircelo!” insistette Derwent, sbilanciandosi in avanti sulla scrivania per avvicinarsi ulteriormente al Grifondoro, che scosse piano il capo, confuso.
“L’unica cosa che so è che Sherlock è una brava persona e non c’entra nulla in questa storia! Moriarty sta’ mentendo” decretò seriamente, tornando a puntare il proprio sguardo in quello duro del preside.
“Sempre che tu non sia stato d’accordo con lui fin dal principio” insinuò con voce melliflua Donovan e, per la prima volta da quella mattina, Sherlock allontanò gli occhi dalla parete che fino a quel momento aveva osservato, per puntarli sulla Tassorosso e, successivamente, sul preside Derwent, che studiava con evidente attenzione John.
Sherlock trattenne a stento un ringhio, furioso come poche altre volte nella vita; poche ore prima era stato convocato e, in seguito, accusato dal preside di essere responsabile dei molteplici reati, tesi confermata anche dai due Tassorosso, che avrebbero ammesso qualsiasi cosa pur di vederlo espulso e da Moriarty, che, a quanto sembrava, aveva deciso finalmente di terminare quel gioco che aveva iniziato molti mesi prima.
E, all’improvviso, tutti quei singoli avvenimenti degli ultimi mesi avevano iniziato ad intrecciarsi tra loro e Sherlock aveva compreso, troppo tardi, che tutto era stato sin dal principio solo un piano di Moriarty, che non aveva fatto altro che seminare il dubbio nella mente della gente per lunghe settimane, così che, quando alla fine era uscito allo scoperto, additando lui come colpevole, credere a quelle sue ammissioni così folli non era stato poi tanto difficile.
Ma, così come il ragazzo era riuscito ad incastrarlo attraverso tutti le congiure che aveva creato, Sherlock avrebbe avuto l’occasione di scagionarsi proprio servendosi di quelle; l’unica cosa di cui aveva bisogno era tempo.
Tempo, che al momento non possedeva.
Non era così illuso da poter credere che John non sarebbe stato messo in mezzo e sapeva altrettanto bene che, anche se inizialmente era stato avvicinato come testimone, presto sarebbe stato accusato  di essere suo complice, solo perché era impensabile credere il contrario.
Loro erano sempre insieme, loro erano sempre d’accordo, uniti nel bene e nel male, continuamente pronti a sostenersi a vicenda e spalleggiarsi; nessuno avrebbe mai creduto che John fosse estraneo a quegli avvenimenti e incolparlo, come avevano fatto con lui, sarebbe risultato estremamente più facile che impegnarsi a cercare qualche altra verità, più subdola e contorta.
E mentre Sherlock spostava lo sguardo in quello sicuro e determinato di John, ebbe conferma anche del fatto che il ragazzo, ancora una volta non lo avrebbe abbandonato, pronto a difenderlo fino alla fine e se questo avesse significato cadere con lui, finire ad Azkaban per lui, John lo avrebbe fatto.
Ma lui non lo avrebbe permesso. Mai.
“Io non ho fatto nulla e nemmeno Sherlock, ma mi chiedo a che scopo ripeterlo, dal momento che è evidente che non mi vogliate nemmeno ascoltare” soffiò stancamente John.
“John, se hai qualcosa a che fare con quanto accaduto devi ammetterlo subito, per il bene di entrambi” insistette il preside, ma ancora John negò, fedele sempre, fedele fino alla fine.
“Sherlock è innocente!”
John,  così ti farai solo del male …
“Quei bambini sono stati rapiti!”
“Sherlock è innocente            !”
John, fermati, ti prego…
“Una di loro è morta!”
“Sherlock è innocente!”
John, basta…
“Ha usato la maledizione Imperius su di te!”
“Sherlock è innocente!”
John…
 “John” la voce dura di Sherlock fece calare un silenzio pesante al’interno del piccolo ufficio, costringendo i ragazzi a rivolgere a lui la propria attenzione “smettila di parlare di argomenti che non conosci e di cui non sai nulla” tuonò freddamente, mentre John sussultava “sono stato io. Sono sempre stato io, fin dall’inizio, ho architettato tutto, coinvolgendo Moriarty, con il solo scopo di mettermi in mostra, fingendo di possedere abilità che in realtà non ho” confessò osservando con aria  indifferente gli occhi feriti del ragazzo che amava.
Un silenzio opprimente seguì le sue parole, gli occhi di tutti rivolti verso di  lui; quelli duri del preside, quelli soddisfatti di Donovan e Anderson, quelli imperscrutabili di Moriarty e, infine, quelli increduli di John.
Increduli, certo, ma sempre fedeli.
“Sherlock!” lo chiamò, una nota di panico nella voce “non dirlo nemmeno! Non devi temere nulla, tu non hai fatto niente di male e lo dimostreremo!”
“No, io ho organizzato tutto e, semplicemente, ora è troppo tardi per negare” si oppose Sherlock, fissando John negli occhi con sicurezza.
Era sempre stato un ottimo attore.
“Sherlock, non dire…”
“Preside, confesso tutto quello di cui sono accusato” ribadì, mentre l’uomo annuiva, senza riuscire a nascondere una nota evidente di soddisfazione.
“Sarà condotto al ministero della magia per essere interrogato e a quel punto verrà decisa la punizione per i suoi reati, ma nonostante sia solo un ragazzo, non posso negare che al momento Azkaban mi sembra l’unica soluzione…”
“NO!”
L’urlo di John fece sussultare il preside, che si voltò ad osservarlo, mentre il ragazzo scattava in piedi.
John, fermati!
“Preside, non lo ascolti! Non so perché si comporta in questo modo, ma lui non ha fatto niente! Niente! Avete la mia parola!” insistette John, ancora sicuro dell’innocenza del ragazzo, ancora impossibilitato a credere che sarebbe stato capace di compiere atti simili, ancora, nonostante tutto, pronto a difenderlo.
E avrebbe sempre avuto fiducia in lui e sempre lo avrebbe difeso, Sherlock lo sapeva; non importava quali prove avrebbero presentato o quante altre testimonianze si sarebbero aggiunte, John sarebbe stato dalla sua parte, sempre.
 **“John…” lo chiamò con dolcezza, mentre il ragazzo si voltava preoccupato a guardarlo.
“Cosa succede?” chiese, allungando una mano verso Sherlock, carezzandogli brevemente il volto, prima di ritirarla.
“Ti devo delle scuse” soffiò Sherlock, gli occhi sempre puntati in quelli di John “è tutto vero”
“Cosa?”
“Tutto quello che hanno detto su di me” insistette Sherlock, deciso “sono stato io”
“Perché me lo dici?”
“Sono un impostore!”
“Sherlock…” iniziò John con voce spezzata, sospirando appena, ma Sherlock non gli diede tempo di aggiungere altro, interrompendolo.
“Voglio che tu lo dica a chiunque voglia ascoltarti”
“Ok, Sherlock, stai zitto. Stai zitto” lo fermò John, passandosi una mano tremante sugli occhi umidi di lacrime “la prima volta che ci siamo incontrati…” una pausa, un sospiro “la prima volta che ci siamo incontrati, sapevi tutto di mia sorella, no?” chiese, una nota di speranza ben udibile nella voce ormai rotta.
“Nessuno è tanto intelligente” replicò Sherlock, rivolgendogli un sorriso.
“Tu sì”
Sherlock sgranò gli occhi, colpito dalla sicurezza con cui il ragazzo aveva parlato.
 “Già” boccheggiò, per un attimo a corto di parole, prima di riprendersi “ho fatto delle ricerche su di te. Prima che ci incontrassimo, ho scoperto tutto il possibile per far colpo su di te. Era un trucco. Un semplice trucco di magia.”
“No. Va bene, ora basta”** lo interruppe John, prendendo un lungo respiro nel tentativo di tranquillizzarsi, non voleva più ascoltarlo, non riusciva più a farlo.
Ma quello era l’unico modo.
Perché Sherlock sapeva che se non fosse riuscito ad allontanare abbastanza John da sé, che se non fosse stato capace di far credere anche agli altri che tutto quello era vero e che John ne era estraneo, allora il ragazzo sarebbe stato in pericolo.
E una volta che lui fosse stato lontano, a sfruttare quel tempo che gli serviva per dimostrare a tutti chi fosse il vero colpevole, riscattando il proprio nome, John sarebbe rimasto da solo e a quel punto non sarebbe più riuscito a  proteggerlo, quindi era necessario farlo ora; prima di fuggire, prima di allontanarsi.
Era suo compito preoccuparsi della sua sicurezza, sempre, con ogni mezzo a sua disposizione, anche se significava mentirgli, anche se significava rinunciare a lui, al loro legame, convincerlo di essere solo un impostore, ferendolo così tanto da lasciargli una cicatrice indelebile sul cuore, dalla quale, forse, non sarebbe mai guarito,  colpendo al contempo anche se stesso e quel cuore che per tanto aveva creduto di non possedere.
“Mi dispiace, John”
“Sherlock…”
“Signor Homes” lo interruppe il preside, costringendolo a distogliere gli occhi da quelli blu di John “quindi confessa ogni cosa? Ammette di aver rapito quei bambini, di aver commesso atti di violenza nei confronti di un suo compagno, di aver usato una delle maledizioni senza perdono e di aver costretto il signor James Moriarty ad aiutarla nei suoi piani con il ricatto?” domandò il preside, gli occhi puntati in quelli determinati del Serpeverde.
“Sì. Ammetto ogni cosa”
****“Bene. Signor Holmes, a seguito di quanto ha appena confessato, sarà ora scortato al Ministero per la formalizzazione dell’accusa e poi ad Azkaban, in attesa del giudizio” decretò il preside.
“Ah, sì” soffiò Sherlock, alzandosi lentamente, sotto gli occhi attenti di Derwent “sì, a questo proposito temo ci sia un piccolo intralcio…”  
“Intralcio?” domandò il preside confuso “non vedo intralci, Holmes!”
“Invece” insistette Sherlock “io temo proprio di vederne uno”
“Davvero?”
“Mi pare che nutra l’illusione che vi seguirò senza opporre resistenza. Ma temo che non sia questo il caso. Non ho alcuna intenzione di finire ad Azkaban.” **** decretò Sherlock, in tono sicuro, sostenendo lo sguardo sconvolto del preside, che a sua volta si rimise in piedi, sguainando la bacchetta nello stesso momento in cui lo fece Sherlock, che si permise di rivolgere un ultimo sguardo a John, al suo John…
Addio, John…
E poi tutto divenne buio.
 
Note finali:
*Entrambi dialoghi da “Uno scandalo in Belgravia”
**Lo sapete!XD No, ok, per chi non dovesse conoscerlo, dialogo da “Le cascate di Reichenbach” (ho dovuto rivedere questa scena per assicurarmi di aver trascritto correttamente le battute e nonostante io l’abbia guardata mille volte, ancora ho trovato la forza di piangere!T-T Sono un caso perso!)
***Ok, dopo molte ricerche, mi sono resa conto che, o sono io scema, o è Anderson a non avere un nome!XD Scusate, non sono riuscita a trovare il suo nome di battesimo, quindi per il momento ho usato il nome dell’attore che lo interpreta, ma se qualcuno sapesse come si chiama in realtà e ha voglia di dirmelo, mi farebbe un enorme favore!
****Dialogo tra Silente e Caramell preso da “Harry Potter e l’ordine della fenice”
 
Ed eccoci alla fine del capitolo!
Se tutto va bene lunedì pubblicherò il seguito! Oh, siamo sempre più vicini alla fine, sono già triste! Mi sono divertita tanto a scrivere e pubblicare questa storia e per questo devo ringraziare tutti voi e il vostro sostegno!
Un bacione!
Becki.

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Capitolo 11
*** 6.2 Le cascate della fonte della buona sorte ***


Buon giorno a tutti!
Ok, per prima cosa devo scusarmi infinitamente per il ritardo, mi dispiace di avervi fatto aspettare proprio per la conclusione!
La verità, è che quando ieri sera ho riletto il capitolo prima di pubblicarlo, mi sono resa conto che non mi convinceva nemmeno un po’, così ho iniziato a rivederlo (riscriverlo!), ma non sono riuscita a concluderlo in tempo.
Mi dispiace, ma ho pensato che era meglio farvi aspettare un po’ di più, piuttosto che darvi un capitolo che magari non vi sarebbe piaciuto, soprattutto perché si tratta del finale.
O meglio, l’epilogo lo pubblicherò giovedì, ma si tratta solo di un piccolo capitoletto senza pretese, mentre questo è il finale effettivo, quindi volevo dargli una degna conclusione! Spero mi perdoniate!
Come sempre devo ringraziare Maya, Naiko, LucyBerry e Starkie per aver recensito e un grazie a tutti coloro che hanno seguito questa storia!
Un bacio a tutti,
con affetto,
Becki
 
Capitolo 6.2 Le cascate della fonte della buona sorte
 
“Lui come sta?”
“Sherlock…”
Lui come sta?”
“Come vuoi che stia…?”
 
“Signor Watson?” esclamò perplesso il professor Clarke, lo sguardo che si spostava dal suo studente al calderone sul quale il Grifondoro stava lavorando alla pozione rigonfiante, che avrebbe dovuto preparare in vista dei G.U.F.O  “signor Watson, la lezione è quasi terminata e lei è ancora al terzo punto!” osservò l’uomo sconvolto, rivolgendo un’occhiata dubbiosa alla soluzione lilla che sobbolliva placidamente “non capisco, se aveva bisogno d’aiuto perché non ha chiamato me o uno dei suoi compagni?” insistette, irritandosi appena, davanti al mutismo di John che, raccolto sulla propria sedia, lo sguardo e il capo chinati, si limitava a tremare leggermente,
“Watson, mi stai ascoltando?” ringhiò il professore al limite dell’esasperazione, costringendo John ad alzare su di lui gli occhi lucidi di lacrime.
 “Non ce la faccio…” soffiò John con voce spezzata, indicando con un cenno del capo la milza di gatto che giaceva sul tavolo accanto a lui “non sono riuscito ad aggiungerla…”
 
Sherlock camminava con passo spedito lungo i viali alberati di Hyde Park, scivolando tra la folla di persone che avevano deciso di recarsi al parco nell’intento di godersi appieno quel bellissimo sole di Maggio, il corpo coperto con abiti babbani un po’ troppo pesanti, se considerata l’afa di quella splendida giornata e il volto nascosto dietro un anonimo berretto con il logo della BBC e grossi occhiali da sole.
Scostando con poca grazia un bambino che, fermo nel mezzo della strada, era intento a giocare con le bolle di sapone, affrettò leggermente l’andatura, gli occhi ancora puntati sulla schiena del ragazzo che a pochi metri da lui era impegnato a far jogging.
Lo vide fermarsi all’improvviso ed avvicinarsi a una delle tante fontanelle e velocemente si nascose dietro il tronco di una grossa quercia, osservando Allen Morgan* dissetarsi.
Sherlock scrutò il corpo tonico e muscoloso del suo vecchio compagno di scuola, colui che, anche se inconsapevolmente, aveva aiutato James Moriarty a rapire i quattro bambini di Tassorosso, mostrandogli l’accesso per la propria sala comune e rivelandogli tutte le parole d’ordine dell’ultimo anno, in cambio della Felix Felicis che il Serpeverde gli aveva procurato e che lo aveva reso il miglior cacciatore di Hogwarts.
Sherlock si ritrasse velocemente, mentre Morgan si rimetteva in piedi, guardandosi intorno con poco interesse, prima di riprendere l’allenamento, seguito prontamente dal ragazzo, che ricominciò a correre alle sue spalle.
Meno uno, John…
 
John sbuffò annoiato, camminando per le strade di Hogsmead, dove i suoi compagni di scuola si stavano godendo  uno dei loro ultimi weekend di libertà, prima dell’inizio degli esami.
In realtà, se doveva essere sincero, John nemmeno sapeva perché aveva accettato di andarci; Taylor, Sarah, Molly e Eric lo avevano praticamente costretto ad unirsi a loro, trascinandolo di peso fuori dal castello, con la scusa che ultimamente non faceva altro che starsene rintanato in biblioteca.
Era la verità, John non lo avrebbe negato né con loro, né tanto meno con sé stesso; nelle ultime settimane aveva scoperto di apprezzare la pace e la tranquillità di quel luogo, l’unico dove poteva starsene un po’ in santa pace, senza essere disturbato dagli altri, senza il timore che in ogni cosa gli ricordasse Lui
Invece, gli era bastato mettere un piede fuori da Hogwarts per venire immediatamente investito da una serie di immagini inopportune e dolorose  che non avevano fatto altro che farlo sentire ancora più male.
Ma i suoi amici avevano insistito, riuscendo a trascinarlo fino ai Tre Manici di Scopa, dove lo avevano fatto sedere  ad uno dei tavolini che affacciavano alla finestra e gli avevano piazzato tra le mani un boccale di Burrobirra.
E John, all’improvviso, si era reso conto con orrore di essere seduto allo stesso posto che aveva occupato l’ultima volta che si era recato in quel luogo, subito dopo l’aggressione di Moran.
Ma quella volta, a tenergli compagnia c’era Lui.
Lui, che per tutto il tempo non aveva fatto altro che lamentarsi dello squallore e dell’igiene del pub, dei clienti rozzi e burberi che lo frequentavano e delle bevande di dubbio gusto che servivano.
E mentre la sua voce gli rombava nei timpani e la sua immagine gli affollava la mente, John si era velocemente allontanato dal locale, fingendo un improvviso malore per non far preoccupare ulteriormente i suoi amici, precipitandosi all’esterno come un uragano.
Perché non poteva restare lì.
Perché non sarebbe dovuto trovarsi lì con loro
Fermandosi di colpo, John si rese conto di aver preso la strada sbagliata per tornare al castello, assorto com’era nei propri pensieri.
Con un sospiro stanco, affondando le mani nelle tasche dei jeans, fece per voltarsi e tornare sui propri passi, quando la sua attenzione venne attirata dalla vetrina stucchevole della sala da tè che gli stava davanti.
Madama Piediburro.
Senza nemmeno pensarci, senza nemmeno saperne il motivo, John varcò con sicurezza l’ingresso del locale, facendo tintinnare rumorosamente la campanella posta sopra la porta.
“Buon giorno” lo salutò cortesemente la proprietaria, andandogli incontro con un sorriso svenevole stampato sul volto “aspetti qualcuno, caro?” chiese immediatamente, facendolo accomodare ad uno dei tavolini liberi.
John si strinse nelle spalle, osservando con aria assorta le innumerevoli coppiette che affollavano il locale, prima di tornare a rivolgersi alla donna.
“No, sono da solo”
“Oh” sospirò la signora, leggermente sorpresa, prima di rivolgere l’ennesimo sorriso di circostanza al ragazzo “dimmi, cosa posso portarti?”
“Un Earl Grey tea, un White tea e un frullato alla ciliegia” ordinò con decisione il Grifondoro, sostenendo con aria tranquilla lo sguardo sempre più perplesso della proprietaria, il sorriso che vacillò appena.
“Emh, ok, come desideri” balbettò questa confusa, girandosi per tornare al bancone, ma aveva fatto solo pochi passi, quando John la richiamò.
“Sa una cosa, non è necessario che porti il frullato!”
 
Accomodato sulla stessa panchina su cui si trovava da quasi un’ora, Sherlock voltò con leggerezza una pagina della Gazzetta del Profeta, fingendosi interessato ad uno degli articoli che occupavano l’intera facciata, l’attenzione, invece, totalmente rivolta alla ragazza che, a pochi passi da lui,
sedeva sotto uno degli ombrelloni della gelateria Fortebraccio, gustando una coppa di gelato alla crema e pistacchio.
Layla Turner*, colei che si era occupata di preparare illegalmente la pozione polisucco che poi Moriarty aveva usato per il rapimento, riuscendo così a camuffarsi dietro le sue sembianze, facendo ricadere su di lui la colpa, grazie alle testimonianza dei tre Tassorosso sopravvissuti, che lo avevano riconosciuto come il loro sequestratore.
Sherlock aveva tenuto d’occhio la ragazza per più di una settimana, studiando con minuziosa attenzione la sua routine, attendendo il momento opportuno per agire.
 Ogni giorni, Layla usciva alle nove in punto dal Paiolo Magico, dove soggiornava, passeggiava fino alle undici fra i negozietti e le via affollate di Diagon Alley, per poi pranzare con un gelato alla celebre gelateria.
Sherlock la osservò affondare il proprio cucchiaino nel dolce, prendendone una generosa porzione, che si portò alla bocca con aria insofferente, lo sguardo annoiato che vagava sui passanti.
Con uno sbuffo, Layla abbandonò il cucchiaino sul tavolo e, dopo aver lasciato qualche felce**, fece per alzarsi, ma Sherlock, con uno scatto veloce, riuscì ad anticiparla, bloccandola per un braccio prima che si allontanasse.
 
“John Watson, ma che bella coincidenza! Come stai?”
Con un sussulto, John si bloccò al centro del corridoio, voltandosi inorridito verso la fonte di quella voce fin troppo conosciuta, fino a trovarsi ad osservare l’ormai familiare ghigno di Mycroft Holmes.
“Non credo nelle coincidenze, Holmes, soprattutto quando ci sei di mezzo tu” replicò duramente il Grifondoro, scoccando uno sguardo seccato al ragazzo, prima di girarsi nuovamente, riprendendo a camminare.
“John!” lo chiamò alle sue spalle il Serpeverde, con voce impaziente “John, potremmo parlare?” insistette Mycroft, arricciando il naso davanti alla testardaggine del Grifondoro, che senza dar segno di averlo sentito, continuò ad allontanarsi, dandogli le spalle.
Masticando un’imprecazione, Mycroft si costrinse a seguirlo, chiedendosi per l’ennesima volta come Sherlock fosse riuscito a convincerlo a tentare quell’impresa impossibile; sapeva che John non aveva alcuna intenzione di sfogarsi  o confidarsi e, certamente, non lo avrebbe mai fatto con lui.
“John, mi piacerebbe sapere come te la cavi” perseverò imperterrito Mycroft, accennando l’ombra di un sorriso davanti alla rigidità che improvvisamente invase il corpo del ragazzo.
Almeno mi sta ascoltando…
“John, se potessi…”
“Cosa?” lo interruppe all’improvviso il ragazzo, voltandosi di scatto, cogliendolo leggermente di sorpresa “vuoi sapere come sto per poi riferirlo a Lui?” domandò con rabbia, raggiungendo il Serpeverde a passi veloci “così poi potrete farvi due chiacchiere sul povero idiota che Lui ha deciso di lasciare senza nemmeno una spiegazione? Senza nemmeno dami la possibilità di aiutarlo?” ringhiò frustrato, irritandosi ulteriormente davanti allo sguardo impassibile che gli rivolgeva il maggiore degli Holmes.
“Sai che non è così. Tutto quello che ha fatto, lo ha fatto per te”
“Per me?” replicò con rabbia John “lasciarmi qui senza una parola, sparendo nel nulla senza darmi sue notizie? Lo avrebbe fatto per me?”
“Voleva proteggerti” replicò con stizza Mycroft.
“Sono in grado di proteggermi da solo, grazie!” ribattè con astio John, mentre Mycroft sospirava, impaziente “possibile che davvero si fidi così poco di me? Possibile che dopo tutto, ancora non sono degno della sua fiducia?”
“Sai che questo non è vero”
“Bè, i fatti invece parlano chiaro!”
“John, non voleva metterti nei guai! Non voleva farti incorrere in pericoli e sofferenze inutili!”
“Ma davvero? Bè, non mi sembra che il suo piano abbia funzionato poi molto” lo canzonò John, con rabbia “anzi, credo proprio sia stato un buco nell’acqua. Ed ora, se vuoi scusarmi, avrei lezione” aggiunse, girando nuovamente sui tacchi per allontanarsi.
“John, se ci fosse qualcosa che volessi dirgli, io potrei farglielo sapere” soffiò  con un sussurro sommesso Mycroft, congiungendo entrambe le mani davanti al volto, in attesa.
Vide John trasalire alle sue parole e volgersi lentamente verso di lui, il volto una maschera di rabbia.
E, incrociando quegli occhi chiari così dannatamente simili ai suoi, quell’espressione altezzosa e severa che gli ricordava tanto la sua, nonostante le differenze, nonostante le discrepanze, quella posa che così tante volte John aveva visto su di Lui, il ragazzo si trovò ad annullare nuovamente la distanza che c’era con Holmes e senza un secondo di titubanza, di incertezza, caricò il braccio all’indietro, la mancina serrata con forza e una collera cieca ad oscurargli il volto.
In quel momento, davanti ai suoi occhi, c’era la persona più simile a Lui che conoscesse, su cui potesse sfogare tutto il suo rancore.
“Digli che può anche evitare di prendersi il disturbo di tornare” ringhiò furioso, prima di slanciarsi avanti e colpire Mycroft in pieno viso.
 
“Che diamine ti sei fatto alla faccia?” domandò con noncuranza Sherlock, studiando di sottecchi il rigonfiamento violaceo che deturpava il volto del fratello, che stringendosi con stizza nelle spalle, si limitò a sospirare.
“Il tuo ragazzo mi ha colpito” spiegò lapidario, mentre un angolo delle labbra di Sherlock si arcuavano in un mezzo sorriso.
“John non smette mai di sorprendermi” osservò con affetto, prima che un’ombra gli oscurasse il volto, facendolo imbronciare “ma sono piuttosto certo che non possa più essere definito come il mio ragazzo”
“Non dire sciocchezze” lo interruppe Mycroft con durezza, storcendo il viso in una smorfia irritata “quando avrai portato a termine il tuo compito potrai tornare ad Hogwarts per spiegargli ogni cosa, così tutto  tornerà ad essere come prima” lo rassicurò, prima di indicare con un cenno la foto della ragazza che Sherlock aveva poggiato al tavolino davanti a loro “è lei?” domandò tranquillamente, mentre Sherlock annuiva.
“Rachel Hills” sospirò con sicurezza, afferrando la fotografia, rigirandosela tra le dita con aria annoiata “ricordi la ragazza che si è presa la colpa per la scomparsa del Diadema perduto di Corvonero?”
“Certamente”
“Moran l’ha ricattata per spingerla ad un tale gesto. Se si fosse rifiutata sarebbe stata messa in mezzo dopo il ritrovamento dei quattro ragazzi ed essendo stata lei a procurare a Moriarty gli ingredienti necessari per preparare la pozione avvelenata, sarebbe finita in guai molto seri. Il furto è certamente meno grave, rispetto all’omicidio”
“Sai già dove si trova?” chiese Mycroft, ottenendo un cenno affermativo dal fratello, gli occhi rivolti al ritratto della studentessa.
“Bene” sbuffò Mycroft, rimettendosi in piedi “ora devo proprio andare; devo rientrare ad Hogwarts prima che qualcuno faccia caso alla mia assenza” sospirò, afferrando il proprio ombrello che aveva abbandonato ai piedi della poltrona, prima di rivolgere uno sguardo assorto al limpido cielo sereno che si intravedeva dalla finestra, allontanandosi verso l’ingresso.
“Mycroft” lo fermò Sherlock, quando ormai il ragazzo era sull’uscio “lui ti ha detto qualcosa… riguardo a me?” chiese, distogliendo lo sguardo, con un tono che sarebbe dovuto risultare disinteressato.
Digli che può anche evitare di prendersi il disturbo di tornare
“No, Sherly, non ha detto niente” mentì Mycroft con sicurezza, mentre il fratello gli rivolgeva una smorfia infastidita, sentendo il diminutivo che il maggiore era solito usare durante la loroinfanzia.
 
John portò alle labbra la tazzina da tè, sorseggiandolo con poco interesse, accorgendosi solo in quel momento di quanto ormai fosse freddo.
Con un ghigno schifato, il Grifondoro la posò nuovamente sul tavolino al suo fianco, per poi tornare a rannicchiarsi sull’ampio divano su cui sedeva, lo sguardo rivolto al fuoco che scoppiettava allegramente nel camino.
Trattenendo a stento un singhiozzo, spostò gli occhi sulla poltrona in pelle che stava alla sua destra, la stessa sulla quale si trovava Lui quella notte,- la notte prima che scappasse-, prima di decidere di abbandonarla a favore del divano, raggiungendo John, per baciarlo, per toccarlo…
Un forte singulto spezzò la pace che si era creata nella Stanza delle Necessità e, senza riuscire più a trattenersi, John si prese il capo tra le mani tremanti, abbandonandosi ad un pianto sofferente, per la prima volta da quella notte, le lacrime che gli rigavano il volto, un solo suono che usciva dalle sue labbra martoriate, fra i gemiti e i lamenti.
Sherlock…
 
Sherlock attraversò frettolosamente la strada, rischiando quasi di venire investito da un taxi, senza riuscire a nascondere il ghigno vittorioso che gli increspava le labbra.
Finalmente, dopo settimane continue di ricerche ininterrotte, lo aveva trovato.
Sebastian Moran.
Dopo che si era ritirato da Hogwarts, sotto suo suggerimento, il ragazzo sembrava essere sparito nel nulla e Sherlock, nonostante le numerose indagini che aveva portato avanti, aveva quasi rinunciato nella sua impresa.
Moran, in quanto braccio destro di Moriarty, colui che si era introdotto nell’organizzazione di Mycroft per raccogliere informazioni riguardo ai fratelli Holmes e a John, che aveva drogato John con il solo scopo di screditare la sua parola e la sua persona, nel caso in cui, come prevedibile, fosse intervenuto a favore di Sherlock, conosceva nei dettagli i piani di Moriarty e aveva saggiamente deciso di allontanarsi da Hogwarts il più possibile.
Ma alla fine, grazie lunghe postazioni e indagini continue, a spostamenti che lo avevano portato a vagare per tutto il paese, Sherlock era riuscito a stanarlo in un piccolo paesino del Galles, dove Sebastian aveva deciso di rifugiarsi in attesa che le acque si calmassero, e a raggiungerlo.
Ed ora, nessun ostacolo più lo separava dal compimento della sua missione, ora che anche Sebastian era nelle sue mani, Sherlock, finalmente, sarebbe potuto tornare a Hogwarts, per svelare la verità, per riscattare il proprio nome, per incastrare James Moriarty.
Per riunirsi a John Watson.
 
“Dov’è?”
“Come?”
“Lui dov’è, Mycroft?”
“Sherlock, non dire sciocchezze! Non hai tempo per queste cose, ora! Devi venire con me dal preside, devi sistemare questa faccenda!”
“Nulla che non puoi risolvere da solo, Mycroft. Ora dimmi dove si trova”
“Sherlock, per l’amor del cielo…”
“Mycroft! L’unica priorità di cui mi devo occupare ora, l’unico motivo per il quale sono tornato è lui! Quindi ora tu mi dirai dove si trova, oppure sarò costretto a cercarlo in ogni singolo angolo del castello finchè non lo avrò trovato e sai che lo farei!”
“Anthea lo ha visto recarsi alla torre di astronomia…”
 
Senza aggiungere altro, senza sprecare nemmeno un prezioso secondo, Sherlock iniziò a correre verso la torre di astronomia, il respiro accelerato, il cuore che batteva con forza contro lo sterno e una spiacevole sensazione di ansia ed aspettativa che gli stringevano lo stomaco.
Raggiunse la porta che immetteva nel terrazzo in cui erano soliti svolgere le lezioni, fermandosi davanti ad essa senza avere il coraggio di andare oltre, facendosi per la prima volata insicuro e titubante.
La verità, era che tutti gli sforzi e le fatiche che aveva compiuto in quei giorni, gli avevano permesso di distrarsi da una scomoda domanda che sempre si era fatta più insistente e molesta.
Aveva abbandonato Hogwarts, lasciando l’unica persona che per lui davvero aveva importanza, spezzandogli il cuore e il suo con esso, con il solo scopo di saperlo in salvo, di saperlo al sicuro.
Aveva vagato senza sosta per tutto il paese e sarebbe stato pronto a spingersi anche oltre, se fosse stato necessario, per rintracciare le uniche persone che avrebbero potuto scagionarlo dalle accuse di Moriarty, senza fermarsi un solo istante, senza interrompersi per un solo secondo, spingendosi al limite delle proprie forze.
Ma ora, ora che tutto era giunto al termine, ora che finalmente avrebbe potuto rivederlo, riabbracciarlo, spiegargli le motivazioni che stavano dietro il suo comportamento, fargli capire che aveva fatto tutto per lui, solo per lui, un terribile timore lo aveva avvolto, un’orribile incertezza gli impediva di proseguire.
John lo avrebbe ascoltato? Avrebbe capito? Avrebbe mai trovato la forza di perdonarlo?
Con un sospiro pesante, Sherlock abbandonò il capo contro la superficie fredda della porta, la mano che si avvolgeva intorno alla maniglia e una sola consapevolezza a pervaderlo.
Presto avrebbe potuto trovare una risposta.
E senza aspettare oltre, proteggendo dietro la solita maschera di indifferenza e sicurezza l’inquietudine che provava, Sherlock spinse verso il basso la maniglia, aprendo con lentezza l’ingresso, trattenendo il respiro innanzi all’immagine che gli si presentò davanti agli occhi.
John, seduto a gambe incrociate vicino al bordo del terrazzo, le braccia tese all’indietro per darsi equilibro, scrutava con meticolosa attenzione il cielo notturno, gli occhi che si muovevano pigramente tra le innumerevoli stelle.
E Sherlock, approfittando del fatto che il ragazzo non sembrava essersi accorto della sua presenza, del suo arrivo, si concesse alcuni secondi per indugiare su quella figura che gli era mancata terribilmente, carezzando con lo sguardo quei capelli dorati che si muovevano sotto la brezza leggera, le labbra carnose e invitanti, leggermente arcuate verso il basso in un’espressione malinconica, gli occhi del colore dell’oceano, più scuri di quanto ricordasse, più tristi e sofferenti di quanto li avesse mai visti.
Incapace di attendere oltre, Sherlock si avvicinò cautamente al ragazzo, sedendosi al suo fianco, mantenendo lo sguardo puntato sul suo volto.
Lo vide voltarsi nella sua direzione con un sussulto, sgranare gli occhi dalla sorpresa e spalancare la bocca in una O perfetta, ammutolito dalla sua inattesa comparsa.
Senza saper bene cosa dire, da che parte iniziare, quali parole usare, Sherlock si limitò a rivolgergli uno sguardo intenso e dispiaciuto, mentre John scattava velocemente in piedi, allontanandosi da lui con passo incerto.
“Jawn” lo chiamò Sherlock, imitandolo, rattristandosi quando lo vide indietreggiare, scuotendo il capo con sicurezza, alzando le mani verso di lui per intimargli di stargli lontano.
“No, non è possibile” soffiò incredulo in un sussurro flebile “tu non puoi essere qui”
“Sono tornato, John” replicò cautamente Sherlock, azzardandosi a fare un ulteriore passo verso il ragazzo, che velocemente arretrò.
“Cosa ci fai tu qui?” insistette il Grifondoro, una nota rabbiosa evidente nella voce, a sostituire l’incredulità.
“Dopo essere stato accusato ho capito che l’unico modo per salvare entrambi era quello di incastrare Moriarty e la mia unica opportunità era quella di rintracciare coloro che lo avevano aiutato nel suo…” iniziò a spiegare velocemente Sherlock, venendo tuttavia interrotto dal ringhio furioso di John.
“Cosa ci fai tu qui, ora!”
“Sono tornato da te”
“Dopo essere sparito nel nulla per tutto questo tempo? Senza dirmi dove fossi o se stessi bene? Lasciandomi da solo con le mie incertezze, a chiedermi se ti avrei mai rivisto, se fossi ancora vivo? Come puoi presentarti come se nulla fosse, Sherlock?!”
“John, tu non capisci, non avevo scelta!” si difese Sherlock, frustrato dall’atteggiamento del Grifondoro; perché non capiva? Perché non voleva farlo?
“Sono stato costretto ad agire in questo modo per salvare entrambi!”
“Con che coraggio mi dici queste cose?” lo aggredì nuovamente John, sovrastando con la sua voce le parole del ragazzo “Come puoi tornare qui come se nulla fosse pretendendo di essere dalla parte della ragione, di essere perdonato?” chiese, facendo irrigidire Sherlock davanti alle sue parole.
“John, per favore…” lo supplicò il ragazzo, scontrandosi contro quel velo furioso che copriva quegli occhi che tanto aveva amato, impedendogli di vedere, impedendogli di ascoltare.
 “No, Sherlock, No! Dimmi, come hai potuto tenermi all’oscuro? Come hai potuto avere così poca fiducia in me?”
 “Ho dovuto farlo. Sei un pessimo bugiardo, Moriarty ci avrebbe impiegato un secondo per capire che mentivi, il preside, il ministro, tutti cloro che mi stavano cercando avrebbero compreso che sapevi dove mi trovavo e ti avrebbero creduto colpevole” sospirò Sherlock, rabbrividendo al solo pensiero “ti avrebbero distrutto, John, non capisci?”
“Così lo hai fatto tu al posto loro, giusto?” chiese John con tristezza, scuotendo il capo, distogliendo lo sguardo da quello di Sherlock.
“Sapevo che avresti sofferto, ma era mio dovere evitare che finissi ad Azkaban, che fossi accusato di rapimento e omicidio” continuò Sherlock, sempre più desideroso di farsi comprendere  “ti giuro che non c’erano alternative”
“No…”
“John, ti prego, guardami! Sono io! Sono tornato per te!”
“No”
“John, ti supplicò, ascoltami! Ho fatto tutto questo per entrambi! Per salvarci e ora è finita!”
“No!”
“John, sono tornato e non ti lascerò mai p…”
Ma Sherlock non riuscì a terminare la frase, perchè John, slanciandosi in avanti con impeto, lo colpì in viso con un pugno deciso, senza dargli il tempo di difendersi o tirarsi indietro, facendolo barcollare, le mani che scattarono a tastare la parte offesa.
Senza dire una parola, Sherlock alzò cautamente lo sguardo su John, che, immobile a pochi passi da lui, ansimando per la rabbia e per lo sforzo, lo osservava con occhi tanto furenti che faticò a riconoscerli.
E prima che potesse fare altro, prima ancora che riuscisse a rendersi conto di ciò che stava accadendo, John fu ancora su di lui, le mani artigliate alla sua veste, gli occhi persi nei suoi, mentre il ragazzo lo spingeva con durezza contro la parete, facendolo cozzare dolorosamente contro la fredda pietra.
Senza avere nemmeno il tempo di reagire, Sherlock si ritrovò le labbra del Grifondoro premute sulle sue in un bacio duro e rabbioso, che lo fece ansimare.
Percepì le mani di John farsi strada sul suo corpo, senza gentilezza ed esitazione, tastando quel corpo che tanto gli era mancato, mosso da una furia cieca, mentre cercava di approfondire quel bacio a cui Sherlock non aveva risposto.
Con attenzione, Sherlock allungò le proprie mani fino ad afferrare i polsi di John, bloccandoli in una presa ferrea, costringendo il ragazzo ad allontanarsi.
Incrociò i suoi occhi con quelli burrascosi e irati del Grifondoro, rivolgendogli uno sguardo profondo e dolce, le labbra ancora a pochi millimetri di distanza.
Non in questo modo” sospirò solamente, mentre gli occhi di John si sgranavano per lo stupore e il ragazzo si tirò indietro, sobbalzando.
E per la prima volta in quella sera, John parve recuperare, almeno in parte, un po’ di lucidità, e si costrinse ad arretrare, mortificato, il volto all’improvviso insicuro, gli occhi esitanti e increduli.
 “I-io…” balbettò il Grifondoro, guardandosi intorno con confusione, ma Sherlock non riuscì nemmeno a chiamarlo, a rassicurarlo, che questo scattò verso l’ingresso, fuggendo dalla  sua vista, fuggendo da lui.
 
John corse a perdifiato per i corridoi deserti, raggiungendo il proprio dormitorio solo dopo diversi minuti, il volto bagnato dal sudore e dalle lacrime, il respiro tanto affannato da impedirgli di respirare correttamente.
Si precipitò al suo interno con foga, facendo sussultare Eric e Taylor, che, non appena notarono lo sguardo turbato dell’amico, il volto pallido e sconvolto, si affrettarono a raggiungerlo, preoccupati.
“John!” lo chiamò Eric, afferrando il ragazzo per le spalle, costringendolo a guardarlo “John, cos’è successo?”
“Lui…” sospirò John a fatica, rivolgendogli uno sguardo sofferente, cercando di riprendere fiato.
“John, calmati!” intervenne Taylor, mentre John spostava gli occhi su di lui, prendendo generose boccate d’aria.
“Lui chi?” s’intromise Eric, confuso, mentre John scuoteva il capo con forza.
“Lui è tornato!” balbettò infine, abbandonandosi, senza più trattenersi, ad un pianto disperato, il volto  contratto in una smorfia di dolore e le lacrime che gli rigavano copiose il viso, sotto gli sguardi increduli dei suoi amici.
“Questo non può essere...” soffiò Eric sgomento, costringendo John a sedersi sul proprio baldacchino, prendendo posto accanto a lui, intrecciando le dita nei suoi capelli nel tentativo di farlo calmare “e tu cosa hai fatto?” continuò Eric, cercando con lo sguardo gli occhi sorpresi di Taylor mentre John, sotto le sue carezze delicate, tornava a tranquillizzarsi.
“Gli ho dato un pugno” ammise John con imbarazzo, leggermente più calmo, rivivendo con il pensiero ciò che era accaduto.
Un sorriso sghembo e affettuoso si formò sulle labbra di Eric, che si avvicinò ulteriormente all’amico, le mani sempre impegnate in quelle carezze delicate “Se l’è meritato, John” lo rassicurò con gentilezza.
“Certamente non poteva aspettarsi di tornare e trovarti ad aspettarlo a braccia aperte!” confermò Taylor, sedendosi a sua volta vicino al ragazzo, passandosi nervosamente una mano tra i capelli “credeva davvero che tu lo avessi già perdonato?” aggiunse, mentre John scuoteva leggermente il capo, indeciso “cosa si aspettava? Che tu saresti rimasto qui ad aspettarlo nonostante tutto?”
“È proprio ciò che ho fatto” soffiò John con tono flebile, mantenendo gli occhi rivolti verso il basso, il capo chino, imbarazzato “la verità è che io, per tutte queste settimane, non ho fatto altro che attendere il suo ritorno e per quanto mi ero ripromesso che non lo avrei perdonato con tanta facilità, la verità è che mi è bastato incrociare quegli occhi per scusarlo” ammise con un sorriso triste sulle labbra “ho provato ad odiarlo, davvero, ho provato a convincermi che era finita, che non gli avrei concesso un’altra possibilità, ma non posso farlo, non quando ancora lo amo così tanto” spiegò, mentre Eric allontanava la mano dai suoi capelli, incredulo.
“John” lo chiamò con un filo di voce Eric.
“Non posso smettere di amarlo, non posso fingere di odiarlo…”
“John…”
 “Nonostante io sia ancora furioso con lui, nonostante il male che mi ha fatto è ancora così forte…”
“John!” lo interruppe nuovamente Eric, con più forza, costringendolo a tacere.
“Non è a noi che devi spiegare tutto questo”
 
Sherlock si decise ad allontanarsi solo parecchi minuti dopo che John se e n’era andato, quando ormai, anche l’ultima speranza che sarebbe tornato da lui era svanita.
Aveva sempre saputo che non sarebbe stato facile, era consapevole del dolore che aveva provocato in John e non si aspettava certo di venire accolto a braccia aperte, quello a cui però non era preparato, era che potesse fare così male…
Con un sospiro, rimettendosi in piedi, rivolse un  ultimo sguardo triste al cielo notturno, prima di voltarsi, con un sospiro, verso l’ingresso.
Tese una mano verso la maniglia, ma prima ancora che la potesse afferrare, la porta si spalancò con forza, facendolo sussultare.
Incredulo, osservò John fermo davanti a lui, che lo scrutava con diffidenza, il respiro spezzato, gli occhi finalmente coscienti.
E, per la terza volta in quella sera, John lo colse di sorpresa, gettandosi nuovamente su di lui, sulle sue labbra, ma quello che questa volta lo spingeva non era odio o rancore, tutt’altro…
“Sei tornato” soffiò John, imprimendogli l’ennesimo bacio sul viso, mentre Sherlock portava le entrambe le mani dietro la sua schiena, attirando maggiormente il corpo del ragazzo a sé.
“Non ti avrei mai lasciato, John, mai” lo rassicurò, catturando le labbra del Grifondoro in un bacio dolce e delicato, muovendo le mani in una carezza leggera.
“Temevo che non ti avrei più rivisto”
“Impossibile”
“Giurami che non lo rifarai! Giurami che non mi lascerai mai!” continuò John, separandosi appena dal ragazzo per guardarlo  in volto “giuralo”
“Te lo giuro” promise Sherlock, chinandosi nuovamente sul ragazzo per sigillare la promessa con l’ennesimo bacio, mentre le mani di John si spostavano delicate sul suo corpo, carezzandolo con dolcezza, interrompendo nuovamente quel bacio, per potersi perdere in quegli occhi che tanto gli erano mancati, gli sguardi finalmente incrociati e i respiri che si confondevano.
Continuarono a studiarsi, a toccarsi, quasi impauriti dall’idea che si trattasse solo di una bellissima illusione, che sarebbe potuta svanire da un momento all’altro.
E John, senza la minima titubanza o incertezza, scostò la camicia di Sherlock, andando a sfiorare il suo ventre, strappandogli un gemito leggero, perché percepire quella stoffa sottile sotto le dita non era più sufficiente, perché avvertiva il bisogno di sentire la pelle tiepida di Sherlock contro la propria e spinto dalla stessa motivazione, dallo stesso desiderio, Sherlock iniziò a spogliare John dai suoi abiti, senza nessuna fretta, desideroso di godersi appieno ogni momento.
E dopo lunghi minuti, sempre sospesi in quella dimensione che escludeva il resto della realtà, gli sguardi che non si erano disgiunti nemmeno per un istante, entrambi troppo avidi l’uno dell’altro per poter permettere agli occhi di osservare qualcosa che non fossero loro, per voler percepire altro che non fossero i loro corpi vicini, i loro odori che si confondevano e il suono piacevole dei loro respiri leggermente accelerati, si trovarono entrambi nudi l’uno di fronte all’altro.
Drogato da quell’immagine, da quelle sensazioni, da John,  Sherlock si abbandonò a terra, trascinando il ragazzo con sé, facendolo sistemare con delicatezza sul mantello che aveva abbandonato al suolo, prima di sovrastarlo, il desiderio insistente di sentire quelle labbra così invitanti sulle proprie, ma l’incapacità di distogliere lo sguardo da quegli occhi così blu, così intensi, così finalmente felici.
“Prima non vuoi sapere cos’è accaduto?” chiese Sherlock in un sussurro flebile, sfiorando con le dita un fianco del ragazzo, conoscendo già la risposta, che venne confermata quando John scosse con lentezza il capo, tendendosi verso di lui alla ricerca di quel bacio che troppo a lungo si erano negati.
 “Non ora” replicò, congiungendo le sue labbra con quelle di Sherlock, mentre il desiderio di avere di più, di sentire di più si faceva all’improvviso intenso, risvegliando in entrambi una brama e un’impazienza che fino a quel momento non avevano percepito.
E quel bacio si face più intenso, mente i movimenti, le carezze, i gemiti diventavano più sicuri, più decisi e i ragazzi si spingevano con foga l’uno contro l’altro, nell’urgenza e nel bisogno di sentirsi, di toccarsi, di donarsi l’uno all’altro, di sapersi nuovamente insieme, più vicini ed uniti di quanto non fossero mai stati e, questa volta, sarebbe stato per sempre.
 
“Ora sono pronto ad ascoltarti” mugugnò John con un sussurro flebile, stringendosi con maggior decisione al corpo accaldato di Sherlock, che riposava accanto a lui, stremato.
Sherlock rispose a quell’abbraccio, sistemando sopra entrambi il proprio mantello, per proteggerli dall’aria notturna che colpiva i loro corpi umidi e sudati, provocando brividi intensi.
“Dimmi cosa hai fatto mentre eri lontano” continuò John, senza riuscire a nascondere una nota di stanchezza nella voce “spiegami come hai fatto a fuggire. Quando quel buio si è dissolto, tu eri sparito e la finestra era spalancata” ricordò, mentre Sherlock lo stringeva con maggior decisione a sé, una mano che si spostava tra i suoi capelli, carezzandoli con amore.
“È stato molto semplice, in realtà” ammise “mi è bastato creare un diversivo, utilizzando della polvere Buiopesto per darmi il tempo di allontanarmi”
“Ma poi come sei uscito dallo studio del preside?” insistette John “l’unica via di fuga era la finestra, ma dubito che tu sia riuscito a sopravvivere dopo un volo di cinque metri!”
“Se sono sopravvissuto è stato per il contributo di Mycroft, che ha lanciato un incanto di Arestum Momentum*** prima che toccassi terra” sospirò Sherlock, senza nascondere una nota di fastidio nella voce, mentre John, incredulo, scattava a sedere, osservandolo con incredulità.
“Ti sei lanciato dalla finestra?” chiese orripilato “Sherlock, saresti potuto morire!”
“Non c’era alcun pericolo” lo rassicurò il Serpeverde, afferrandolo per un braccio per costringerlo ad adagiarsi nuovamente contro il suo corpo “il piano era stato studiato nei minimi dettagli; è stato sufficiente che Mycroft rallentasse il tempo limitando la velocità della mia caduta, evocando poi una superficie morbida sulla quale farmi atterrare”
 “Ma se qualcosa fosse andato storto, saresti morto!”
“Ma non è successo, giusto?” replicò tranquillamente Sherlock, mentre John sbuffava, infastidito.
“Poi come hai fatto ad allontanarti dalla scuola?”
“In  volo. Mycroft mi ha procurato una scopa per la fuga” spiegò “e da lì ho iniziato a cercare tutti coloro che avevano aiutato Moriarty nel suo piano, convincendoli a seguirmi, così da  confessare, finalmente, la verità” concluse, mentre John annuiva, pensieroso.
Un profondo silenzio seguì quelle parole, avvolgendo i due ragazzi, che per lunghi minuti non seppero più cosa dirsi e proprio quando Sherlock credette che John si fosse ormai abbandonato al sonno, il ragazzo tornò a parlare.
“Ora cosa accadrà?” chiese titubante John, in un sussurro flebile e insicuro, scostandosi appena dal corpo di Sherlock per poterlo osservare in volto.
“Moriarty sarà incriminato e..”
“No” lo interruppe John “intendevo, cosa ne sarà di noi” specificò, facendo suo malgrado irrigidire Sherlock.
“Io non ho dubbi di ciò che voglio, John” sospirò il Serpeverde osservandolo con sicurezza “ma tu devi capire se puoi trovare la forza di perdonarmi e andare avanti”
“Non posso dimenticare, Sherlock”
“Non è quello che ti sto chiedendo”
“Sarà difficile” osservò John, sospirando “sarà impossibile fare come se nulla fosse accaduto” continuò con tristezza, tornando ad accucciarsi accanto al corpo del ragazzo “è stato un inferno Sherlock, non lo nego”
“Lo so, John”
“Il mondo intero era un’immensa e spaventosa raccolta di testimonianze che tu eri esistito e che io t’avevo perduto****” soffiò John, mentre Sherlock rafforzava la presa sul suo corpo con possessività, quasi a dirgli che ora era lì e mai più si sarebbe allontanato “ma se c’è una cosa che ho capito, in queste settimane, è che ormai io non sarei più in grado di vivere senza di te, Sherlock” ammise John senza incertezza “ormai la mia vita sarebbe troppo vuota, troppo insensata”
“Non è così semplice, John” sospirò Sherlock, non senza una certa difficoltà “se resti con me, al mio fianco, non sarai mai al sicuro, ci sarà sempre qualcuno, ci sarà sempre una nuova minaccia” soffiò Sherlock con sicurezza *****“E’ giusto che te lo dica, anche se so che questo non farà che spronarti a tuffarti a testa basta” aggiunse con un mezzo sorriso affettuoso  “oramai, dovrei conoscere il mio Watson. Ma il pericolo esiste, e tu devi saperlo.»*****
“Sherlock, finchè tu resterai al mio fianco, io sarò pronto ad affrontare qualsiasi difficoltà, qualsiasi rischio” replicò duramente John “se il prezzo che devo pagare per poterti restare vicino è questo, lo pagherei altre mille volte; non mi interessa una vita tranquilla e sicura, non quando ho la possibilità di gettarmi in mille avventure e pericoli insieme a te! Come potrei desiderare altro?”
******«Sapevo che all’ultimo non ti saresti tirato indietro» disse e, per un momento, John vide nei suoi occhi qualcosa che, più di quanto avesse mai visto, somigliava alla tenerezza.******
“Ma devi esserne sicuro, John, perché da qui non si torna più indietro…”
“Non sono mai stato più sicuro in vita mia!” insistette il ragazzo “sarà difficile, sarà dura, almeno per i primi tempi” ammise con una nota sofferente “ho provato troppo dolore e sofferenza per potermene dimenticare, ma mai, nemmeno una volta ho avuto dubbi riguardo a ciò che desideravo e io desidero solo te. Ho bisogno della mia metà. Tu, invece, cosa dici?”
John sentì la mano di Sherlock insinuarsi nella sua con una stretta rassicurante, quasi a fargli capire che la situazione era sottocontrollo e che non c’era da preoccuparsi.*******
“Che sarei perduto senza di te”********
 
 
Note finali:
*Vedi capitoli “Il grande gioco”
**Il denaro nel mondo dei maghi è composto da galeoni, felci e zellini.
***Per intenderci, è l’incantesimo che usa Silente per salvare la vita a Harry quando, nel terzo libro, cade dalla scopa a causa dei dissennatori; la polvere Buiopesto, invece, è una polvere importata dal Perù, se ne parla nel sesto libro e, dal nome, se ne capisce l’utilità!
****Cit Wuthering Heights
*****Cit romanzo “Il taccuino di Sherlock Holmes – L’avventura dei tre Garrideb”
******Cit romanzo “L’ultimo saluto – L’avventura di Bruce-Partington”
*******Cit romanzo “Il ritorno di Sherlock Holmes- L’avventura di Charles Augustus Milverton”
********Nell’originale “Sarei perduto senza il mio blogger”
 
Ed eccoci alla tanto attesa conclusione! Bè, che altro aggiungere? Come avrete –spero- notato, in questo capitolo ho ripreso moltissimi fatti dai capitoli precedenti, come i nomi di coloro che hanno aiutato Moriarty, che aveva già presentato in precedenza oppure alcune scene, ad esempio quella della milza di gatto (primo capitolo) o del tè da Madama Piediburro (secondo capitolo) o, ancora, quella della stanza delle necessità (capitolo precedente)
Ringrazio nuovamente tutti coloro che hanno seguito questa storia e un ringraziamento particolare a chi mi ha sostenuta, permettendomi di proseguire!
Giovedì pubblicherò l’epilogo, se tutto va bene!
Un bacio a tutti,
con affetto,
Becki.
 

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Capitolo 12
*** 7.0 Assassinio sull'Hogwarts express ***


Buon giorno a tutti carissimi!
Eccovi l’epilogo con addirittura un giorno d’anticipo! (causa contrattempo!)
Bè, che dire, questo è davvero il saluto definitivo! (Per il momento!) Mi sono divertita tantissimo a scrivere e pubblicare questa storia e per questo ringrazio tutti coloro che hanno recensito, facendomi sentire il loro sostegno, coloro che hanno aggiunto al storia alle preferite, seguite o ricordate e anche chi l’ha solo letta! Spero davvero che vi sia piaciuta!
Un bacione a tutti!
Con tanto, tanto affetto,
Becki.
 
p.s. Il titolo è un evidente omaggio a “Assassinio sull’oriente express”, una delle opere più belle di Agatha  Christie! Consiglio, a chi non lo avesse ancora fatto, di leggerla oppure di guardare il film, la versione con Albert Finney però! Questo consiglio è anche rivolto a Maya, sia mai che riesco a farle  cambiare idea su questa scrittrice!XD
ancora un bacio,
Becki.
 
Capitolo extra Assassinio sull’Hogwarts Express
 
“Jawn, mi annoio!” si lamentò con uno sbuffo Sherlock, stiracchiandosi come un gatto, lo sguardo rivolto al suo ragazzo che, trattenendo a stento un sospiro, continuò a leggere il suo romanzo come se nulla fosse.
“Jawn!” perseverò Sherlock, alzando ulteriormente il tono di voce, nel tentativo d’attirare l’attenzione del Grifondoro.
“Jaw…”
“Sherlock!” lo interruppe John, al limite dell’esasperazione, sbattendo con rabbia il libro su una gamba, senza riuscire più a trattenersi “dimmi cosa posso farci? Ti ho proposto di giocare a scacchi, mi hai risposto che è un gioco noioso, ti ho chiesto se volevi parlare e mi hai detto che non ne avevi voglia, quindi dimmi tu cosa vuoi fare? Vuoi andare a salutare Mycroft?” tentò in extremis John, ricevendo l’ennesimo sbuffo seccato dal ragazzo.
“Non voglio andare da Mycroft” si lamentò Sherlock, imbronciandosi “lo dovrò già sopportare abbastanza durante queste vacanze; e comunque, conoscendolo, sarà impegnato a flirtare con Lestrade” aggiunse con una smorfia disgustata.
“Cosa?”  esclamò John sconvolto, mentre Sherlock gli rivolgeva uno sguardo altezzoso “vuoi dire che tuo fratello e Greg…”
“Era ovvio, John” sospirò Sherlock “davvero non lo avevi capito?”
“Quando è successo?”
“Subito dopo il processo di Moriarty” spiegò Sherlock, facendo irrigidire John; nonostante, ormai, James Moriarty si trovasse in una cella ad Azkaban, quello era ancora un argomento che il Grifondoro preferiva evitare “dopo aver dato la loro testimonianza, Mycroft ha trovato, finalmente, la forza di invitare fuori Lestrade e da allora escono insieme”
John scosse appena il capo “Non posso davvero crederci” ammise sorpreso, prima di tornare a prestare attenzione al proprio libro.
“Devi proprio leggere?” lo interruppe Sherlock scocciato, guadagnandosi un’occhiataccia “si può sapere di cosa parla quel romanzo per risultare più interessante del tuo ragazzo?” insistette, facendo sospirare John.
Tipico di Sherlock, essere geloso di un libro…
“Parla delle avventure di Bilbo Baggins” spiegò alla fine John, voltando pagina con leggerezza, più che sicuro che il suo ragazzo non avesse mai sentito parlare de Lo Hobbit.
“Di chi?”
Appunto.
“Bilbo Baggins” ripetè con sufficienza, senza sollevare gli occhi dalle pagine “uno hobbit”
“E che diamine è uno hobbit?” replicò Sherlock perplesso, mentre John ridacchiava sotto i baffi.
“Bè, gli hobbit sono individui piccoli, alti all’incirca la metà di noi, che abitano nella Contea, sono esseri pacifici e tranquilli, che amano le feste, la natura e il buon cibo, mentre odiano qualsiasi genere di avventura”
“A che scopo leggere qualcosa riguardo a creature così noiose?” chiese Sherlock stupefatto.
“Bè, Bilbo non è così; lui, accetta di intraprendere un’avventura insieme ai nani, per aiutarli a recuperare il loro regno e, nonostante la sua natura pacifica ed ordinaria, riesce a dimostrare il proprio valore e audacia” spiegò John, mentre Sherlock assottigliava appena gli occhi, per studiarlo con attenzione.
“Come te” esalò infine, facendo sussultare John per la sorpresa.
“Come, scusa?”
“Ho detto che quel Bilbo Boggins, o come si chiama, ti somiglia molto” ribadì Sherlock tranquillamente, facendo ridere John di gusto “nonostante le apparenze, nasconde in sé una grande forza e un grande coraggio, come te” ripetè nuovamente Sherlock.
“Non saprei, Bilbo arriva addirittura ad affrontare un drago…”
“Un drago?” lo interruppe Sherlock, interessato.
“Oh, sì” confermò John “Smaug, un essere saccente ed altezzoso, pieno di sé ed incredibilmente irritante, che ama gli enigmi e non perde occasione per mettersi in mostra. Insomma, come te” lo canzonò, ridacchiando  dello sguardo di fuoco che gli rivolse Sherlock.
“E come finisce?” domandò il Serpeverde, con serietà, mentre John si stringeva nelle spalle, incerto.
“Non lo so, non l’ho ancora terminato. Se tu mi dessi il tempo di leggere, al posto di interrompermi ogni due secondi, riuscirei a concluderlo prima di arrivare a Londra”
“Ma io mi annoio! Cosa dovrei fare mentre tu leggi?”
“E va bene” si arrese con un sospiro il Grifondoro, abbandonando il libro sul sedile, allungandosi verso il proprio baule, sistemato sopra la reticella “avrei voluto aspettare di essere a Londra, prima di dartelo, ma magari in questo modo riuscirai a distrarti” continuò, sistemando, non senza una certa difficoltà, la pesante valigia sul suo posto e iniziando a trafficare con essa.
Ancora sdraiato sul proprio sedile, Sherlock voltò appena il capo per seguire con attenzione ogni movimento del suo ragazzo, senza nemmeno degnarsi di offrigli il suo aiuto.
“Eccolo qui!” esclamò pochi istanti dopo John, riemergendo dal suo baule ancora aperto, rivolgendo poi a Sherlock un sorriso raggiante e un grosso pacco colorato.
“Cosa dovrebbe essere?” domandò atono Sherlock, aggrottando con perplessità la fronte, davanti alla carta rossa e dorata con cui John aveva incartato il regalo.
“Sì, bè, Eric mi ha praticamente costretto ad usare i colori della nostra  casa” borbottò quasi in segno di scusa, allungando ulteriormente il dono verso Sherlock, che finalmente si decise ad afferrarlo.
Senza lasciar trapelare nessuna emozione, si rigirò il pacco tra le mani, scuotendolo lentamente per ascoltarne il suono e tastandolo in ogni parte.
“È un…” iniziò con sicurezza, ma John lo interruppe prima che potesse continuare, poggiando con forza la mano sulla sua bocca.
“Niente deduzioni, Sherlock!” lo avvisò, osservandolo con serietà “solo, limitati ad aprirlo” aggiunse , decidendosi a ritrarre la mano solo dopo un cenno leggero del Serpeverde.
Con un sospiro falsamente esasperato, Sherlock si tirò a sedere, iniziando a scartare il dono, sotto lo sguardo attento e felice di John, che lentamente, dopo aver spostato il proprio baule, era tornato a sedersi.
Lanciò l’incarto colorato sul sedile accanto a sé e mantenendo un’espressione scettica analizzò con attenzione il dono appena ricevuto.
“Allora?” lo incitò John, trepidante, mordendosi leggermente il labbro inferiore nell’attesa di una risposta.
Sherlock sollevò lo sguardo dalla scatola, posandolo su John “Un gioco da tavolo, John? Quando mai mi hai visto giocare a qualsiasi cosa?” chiese perplesso, una nota evidente di incredulità nella voce.
John si limitò a sbuffare, alzando gli occhi al cielo e sollevandosi dal proprio posto per poi sistemarsi accanto al ragazzo “Sono certo che questo gioco ti piacerà” lo contraddisse, strappandogli dalle mani la scatola del Cluedo Magico e posizionandosela in grembo “è un gioco di indagini; c’è un omicidio e tu devi scoprire chi è il colpevole” spiegò, iniziando a disporre sul sedile davanti al loro il tabellone del gioco, le carte e le pedine.
Sherlock lo osservò lavorare in silenzio, mantenendo un’espressione annoiata e indifferente, ma John non faticò a notare il luccichio che gli aveva catturato lo sguardo.
“Allora?” propose, allungandogli una pedina “vuoi giocare oppure no?”

“Quindi” sussurrò alcuni minuti più tardi John, facendo scorrere lo sguardo sul tabellone del gioco, dove erano riprodotti alla perfezione alcuni dei luoghi magici più famosi del paese, tra cui Hogwarts, Hogsmead, Diagon Alley, il Ministero della magia e Azkaban, e su cui sostavano i personaggi incantati, al momento impegnati a discutere riguardo la tragica morte di Salazar Serpeverde “secondo me è stata Guendalina la Guercia, al Ministero della magia, con una pozione avvelenata!” esclamò trionfante.
Orgoglioso, sollevò lo sguardo verso Sherlock, spegnendo immediatamente il suo sorriso, davanti all’occhiata di totale pietà che il ragazzo gli rivolse.
“Stai scherzando, Jawn?” soffiò Sherlock, con quel tono saccente ed irritante “come puoi davvero credere in una supposizione tanto insensata?” domandò incredulo, mostrandogli con un cenno della mano il piccolo corpo della pedina che raffigurava Salazar, immobile al centro del ministero.
“Era solo la mia prima ipotesi, Sherlock” si difese John imbarazzato, stringendosi nelle spalle, ignorando il sospiro rassegnato del Serpeverde.
“Jawn” iniziò con esasperazione “non c’è alcuna possibilità che la tua ipotesi sia corretta! Per prima cosa  non c’è nessun muovente che potrebbe spingere Guendalina la Guercia ad un simile atto! Da quello che sappiamo, probabilmente lei e Salazar non si sono nemmeno mai incontrati, credere che lo avrebbe voluto morto è assurdo!” s’infervorò, facendo cenno a John di tacere, quando vide che il ragazzo stava per ribattere “secondo, ammesso anche la donna avesse avuto un motivo valido per commettere questo omicidio, -motivo che abbiamo già appurato non esserci-, credi davvero che sarebbe stata in grado di sconfiggere uno stregone con doti magiche al pari di Salazar?”
continuò, ignorando ulteriormente John, che lo osservava con incredulità “e terzo, davvero pensi che quello che sarebbe potuto essere considerato l’omicidio del secolo, sarebbe potuto essere compiuto dentro il ministero della magia, davanti agli occhi degli Auror e del ministro stesso?” concluse il Serpeverde, visibilmente soddisfatto dall’aver confutato la tesi del suo ragazzo.
“Sherlock…” iniziò con titubanza John, ancora incredulo e sconvolto davanti alla reazione dell’altro “io credo che tu non abbia capito bene le regole…”
“Non diciamo assurdità, Jawn!” sbuffò Sherlock, incrociando le braccia al petto e rivolgendo al Grifondoro un’occhiataccia “ho capito perfettamente le regole! Lo scopo del gioco è quello di trovare l’assassino, giusto? Bene, io l’ho trovato!” aggiunse gongolante.
John sgranò appena gli occhi, allibito “E…?” domandò, facendo apparire un sorrisetto soddisfatto sulle labbra del ragazzo, che non aspettava altro di poter dar prova ancora una volta delle proprie incredibili capacità deduttive ed osservative.
“È stato un piano davvero furbo, John” iniziò, accucciandosi accanto al tabellone del gioco per poterlo osservare con più attenzione “sicuramente in molti sarebbero stati tratti in inganno, ma non io” continuò, rivolgendo un ghigno complice al Grifondoro, che con un cenno della mano gli fece segno di procedere “per prima cosa mi sono interrogato riguardo al luogo del delitto… Perché uccidere qualcuno all’interno del ministero della magia, quando era possibile scegliere posti decisamente meno sorvegliati e pericolosi? Perché? L’unica ipotesi plausibile è che chiunque abbia commesso il delitto, voleva portarmi a credere che questo fosse avvenuto in altro luogo e che il corpo fosse stato spostato solo in seguito” esclamò, osservando con aria critica i piccoli personaggi del gioco, che ora si erano riuniti sul bordo esterno del tabellone, per poter ascoltare meglio Sherlock.
“Ma lasciamo un attimo da parte questo particolare” continuò il Serpeverde, incrociando nuovamente lo sguardo di John “per passare ad un dettaglio decisamente più semplice; l’arma del delitto”
“Immagino non sia la pozione avvelenata” borbottò John, esasperato.
Sherlock scosse il capo con convinzione “Osserva la vittima, Jawn! La postura, l’angolazione del corpo!”
“Sherlock, questo è assurdo! La postura è totalmente casuale, non c’entra nulla con il delitto nel Cluedo!” sbottò John incredulo, alzandosi di scatto dal sedile.
“Come puoi dire una cosa del genere?” esalò indignato Sherlock, sgranando gli occhi con aria ferita, mettendosi a sua volta in piedi, sovrastando con il suo corpo quello più piccolo di John “la posizione di un cadavere è fondamentale per determinarne la vittima e ovviamente quest’uomo è stato ucciso con un’arma da taglio di grandi dimensioni!” tuonò “ovvero, la spada di Godric Grifondoro!” concluse, afferrando con decisione il piccolo spadino tempestato di gemme, facendolo oscillare davanti agli occhi tempestosi di John.
“Quindi immagino che l’assassino sia Godric Grifondoro, giusto?” soffiò John, mentre la piccola riproduzione di Godric sussultava, guardandosi intorno con aria spaventata.
Sherlock inarcò appena le labbra nell’accenno di un sorriso, scuotendo leggermente il capo “Come prevedile, John, sei caduto nella sua trappola” soffiò, facendo innervosire ulteriormente il Grifondoro “non è stato Godric, Jawn” continuò Sherlock, indicando con un gesto teatrale la piccola pedina di Salazar, che stanco di fingersi morto, si era messo a sedere a gambe incrociate, osservando con attenzione i due ragazzi “tutte le prove portano a Godric, lui aveva il muovente, lui aveva la possibilità e la capacità di farlo, l’arma del delitto era di sua proprietà” continuò, esaltandosi sempre di più ad ogni prova che elencava.
“Era il sospettato ideale; l’omicidio probabilmente era avvenuto ad Hogwarts, plausibilmente dopo l’ennesimo litigio tra i due uomini, causato probabilmente da idee contrastanti riguardo a chi fosse concesso, o meno, di frequentare la scuola. Era tutto perfetto, Jawn, capisci? L’odio tra i due, il muovente perfetto, l’ennesima discussione, il momento ideale, la spada di Godric lì, a portata di mano! Sarebbe stato possibile per Godric uccidere il suo avversario durante un attacco d’ira, infilzarlo con la sua spada per poi spostare il corpo in un altro luogo, magari il ministero della Magia… O almeno, questo è quello che ci vuole far credere il vero colpevole”
John sbuffò rassegnato, sollevando gli occhi al cielo “E di grazia, si può sapere chi è questo fantomatico colpevole?” chiese, mentre il volto di Sherlock si illuminava della solita luce eccitata che anticipava la risoluzione di un caso.
“Il colpevole è Salazar Serpeverde!” tuonò esaltato Sherlock, puntando il dito indice contro il povero Salazar, che osservava Sherlock con evidente terrore.
John sgranò gli occhi dalla sorpresa, sobbalzando davanti a quella rivelazione, incredulo “Sherlock” soffiò allibito, indicando a sua volta il gioco “il colpevole non può essere la vittima, è contro il regolamento!” esclamò, mentre Sherlock sbuffava indignato.
“A volte sei davvero cieco, Jawn” sbuffò, alzando gli occhi al cielo “ricordi il particolare del ministero? È quella la chiave! Se anche Godric avesse ucciso il suo rivale, perché spostare il corpo proprio al Ministero della magia? Non avrebbe avuto senso!” tuonò Sherlock, mentre la piccola pedina di Godric annuiva con enfasi “il delitto deve essere avvenuto all’interno del ministero stesso! Salazar era un mago dalle doti infinite, non è stato un problema per lui introdursi nella struttura sotto mentite spoglie; si è fatto largo tra gli Auror e gli altri dipendenti senza farsi notare, fino a trovare un luogo abbastanza appartato dove portare a termine la propria opera. A quel punto ha ripreso le proprie sembianze e ha incantato la spada per farsi trafiggere a morte; chiunque successivamente avesse trovato il cadavere, sarebbe stato portato a credere che il delitto fosse avvenuto altrove, perché nessuno aveva visto Salazar entrare nel Ministero quel giorno, senza contare che sarebbe stato impossibile assassinare un mago di tale potenza sotto gli occhi di tutti i funzionari! Quindi il corpo doveva essere stato spostato post mortem, quindi, da qualche parte, doveva esserci un colpevole. Un colpevole il cui odio nei confronti di Salazar non era un segreto, il proprietario dell’arma del delitto!” concluse Sherlock, rivolgendo uno sguardo duro alla pedina di Salazar, che confuso con mai cercava di scappare dal tabellone.
Un silenzio pesante seguì la brillante deduzione di Sherlock e il ragazzo si voltò lentamente verso il Grifondoro, già pronto a ricevere la sfilza di lodi che giustamente meritava, fino ad incrociare gli occhi con quelli severi e nervosi di John.
“Sherlock” sospirò per l’ennesima volta il Grifondoro, stropicciandosi con aria stanca gli occhi *“È impossibile che l’assassino sia la vittima, Sherlock!”
“John, è l’unica soluzione possibile!”
“Ma non è nelle regole!” ringhiò John, al limite dell’esasperazione, davanti allo sguardo imperturbabile del ragazzo.
“Allora le regole sono sbagliate!” *
“Sherlock, non puoi modificare le regole del gioco per vincere, non è così che funziona!”
“Metti in dubbio le mie doti deduttive, John?” lo sfidò Sherlock, incrociando le braccia al petto ed esibendosi nel suo celebre broncio.
“Io non sto dicendo questo!” sospirò il Grifondoro, cercando di calmarsi.
 “Bene, perché ci hai già provato una volta e tutti abbiamo visto com’è finita!” gli rinfacciò il Serpeverde, scocciato “o ti sei già dimenticato della tua avventura con Moran?” ringhiò.
Sherlock non finì nemmeno di pronunciare la frase, prima di accorgersi dell’errore commesso; gli occhi di John si sgranarono per lo stupore e la sorpresa, prima di lasciare il posto ad un’amara tristezza.
“No” soffiò, sostenendo con decisione lo sguardo ora titubante di Sherlock “non me ne sono dimenticato, non credo che potrò dimenticarmene mai” ammise senza timore, tornando a sedersi al proprio posto, lo sguardo ora rivolto alla campagna che sfrecciava fuori dal finestrino “non potrò mai dimenticare molte cose, Sherlock” aggiunse duramente, ed entrambi sapevano a cosa si stesse riferendo.
Con esitazione Sherlock estrasse la bacchetta dal mantello, sistemando il Cluedo con un colpo leggero, prima di prendere nuovamente posto accanto al suo ragazzo.
Osservò il volto severo per alcuni secondi, prima di lasciar scivolare la propria mano sotto quella dell’altro ragazzo, chiudendola poi in una stretta delicata, quando John non la ritrasse.
“Non avrei dovuto rinfacciartelo” sospirò con voce spezzata John, il volto ancora rivolto verso l’esterno “mi dispiace”
“Non devi scusarti” replicò Sherlock, rafforzando la stretta “posso comprendere il dolore che ti ho fatto provare, ma vorrei che tu capissi che non avevo altre alternative”
“L’ho capito” lo rassicurò il Grifondoro, con un ghigno rigido che doveva essere un sorriso “e ti ho perdonato, solo…” s’interruppe, prendendo un lungo respiro “solo che non posso dimenticare”
“Non ti chiedo di farlo, John” soffiò Sherlock al suo orecchio, arrischiandosi a premere un bacio leggero sul collo del ragazzo, facendolo sorridere.
“Non è buffo che la cosa più altruista e  umana che tu abbia mai fatto, l’unica cosa che tu abbia ma fatto per un’altra persona…”
“Per te” lo corresse Sherlock in un soffio.
“È anche quella che mi ha fatto più soffrire?” concluse John, voltandosi per incrociare i suoi occhi con quelli del Serpeverde.
“Ce la faremo, Sherlock?” domandò con titubanza, lo sguardo invaso da mille dubbi.
Sherlock  fece scorrere lentamente il dorso della mancina sul volto angosciato del suo ragazzo, sorridendogli con sicurezza “non ho dubbi, Jawn, non ho mai avuto dubbi” lo rassicurò premendo un  nuovo bacio leggero sulle sue labbra carnose “se siamo riusciti a superare questo” sospirò, alternando ogni parola con un delicato bacio a stampo “nulla potrà più dividerci”
“E se arrivasse qualcun altro?” chiese il Grifondoro in un gemito, quando le mani di Sherlock si fecero strada sotto la sua camicia, andando ad accarezzare il ventre liscio e a stuzzicare i capezzoli già turgidi.
“Lo combatteremo, insieme” disse con sicurezza, spostando poi la propria attenzione alla mandibola di John, che torturò con dei morsi leggeri.
“E se ti stancherai di me?” continuò John, assecondando le mani di Sherlock che lo spingevano supino sul sedile, mentre il ragazzo, si metteva a cavalcioni su di lui.
“Impossibile” sussurrò, aprendo con un gesto urgente la camicia di John, che si inarcò con un ansito, mentre il Serpeverde lasciava una scia di baci sull’addome.
“Come lo sai, Sherlock?” sospirò con voce spezzata, artigliando con forza il sedile sotto di sé, sentendo già crescere la  propria eccitazione.
Sherlock risalì il suo dorso con una nuova scia di baci umidi, fino a trovasi nuovamente alla stessa altezza di John, gli occhi eccitati ma seri.
“John, noi eravamo destinati a questo dal primo istante in cui ci siamo visti”
“A pomiciare sui sedile dell’espresso per Hogwarts?” scherzò il ragazzo, strappando un ghigno a Sherlock.
“Cosa succederà se un giorno incontrerai qualcun’altro?” insistette, sempre più insicuro.
Sherlock lo trafisse con lo sguardo, facendolo rabbrividire “Tu sarai sempre al primo posto, Jawn, sempre” soffiò, carezzando con gentilezza il viso scosso dell’altro “insomma, un sociopatico ad alte funzionalità e un malato d’adrenalina tormentato moralmente e fisicamente dalla mancanza d’azione della propria vita” sussurrò, facendo sorridere il ragazzo “credi davvero che esistano altre persone al mondo in grado di far sentire completi due come noi?” sbuffò, mentre John scoppiava in una piccola risata.
“Noi siamo due facce della stessa medaglia, yin e yang, ordine e caos, cuore e mente” elencò Sherlock, appiattendosi maggiormente sul corpo teso di John, strappandogli un mugolio sommesso, quando le due virilità entrarono in contatto “ non possiamo vivere separati, abbiamo bisogno l’uno dell’altro per riuscire ad andare avanti” soffiò Sherlock, spostando la mano verso il ventre del ragazzo, fino a farla premere contro il cavallo dei suoi pantaloni, facendolo gemere con forza, quando iniziò a stuzzicare la sua erezione ancora dolorosamente fasciata nei vestiti e mentre finalmente Sherlock la liberava dall’impiccio degli indumenti, circondandola con la propria mano, John pensò che il ragazzo aveva ragione.
Ripensò a tutto ciò che avevano passato, ai rischi, ai pericoli, ai litigi e ad ogni momento buio e sofferente di quell’anno ormai concluso, rendendosi conto solo allora che nemmeno per un istante avrebbe voluto sostituire uno di quegli attimi con qualsiasi altra cosa, capendo appieno solo allora che non solo era probabilmente l’unico ragazzo della scuola che riusciva a sopportare quell’enorme ammasso di difetti e paranoie che era Sherlock Holmes, ma che amava con tutto se stesso ognuno di quei singoli difetti, perché senza di essi Sherlock non sarebbe stato Sherlock e allora al diavolo!
John mugolò in protesta, quando Sherlock lasciò il suo membro duro, sollevandosi dal suo corpo con un gesto nervoso e rivolgendo la propria attenzione all’ingresso della cabina, chiusa dietro le tende scure, che sigillò totalmente con diversi incantesimi di protezione.
 Lo osservò spogliarsi velocemente, con urgenza, riflettendo su quanto quel ragazzo fosse singolare e particolare, bizzarro e totalmente fuori di testa.
Ma, infondo, era proprio questo che lo rendeva unico e speciale ai suoi occhi, era proprio per questo che lo amava.
Per tutte le volte che lo aveva svegliato di notte, lanciando maledizioni contro al muro, per quando aveva allontanato ogni ragazza che gli si era avvicinata, mettendo a nudo ogni suo più oscuro segreto, facendosi poi passare dalla parte della ragione, per ogni singola volta in cui gli aveva proposto macabre avventure ai limiti della legalità per distrarlo o corse infinite per tutta la scuola per dare la caccia a  pazzi psicopatici, avendo poi il coraggio di spacciare tali episodi per appuntamenti galanti, per essere stato in grado con la sua sola presenza di scacciare gli incubi orrendi che lo tormentavano, per tutti i bronci e le espressioni offese, per i baci, le carezze e i “ti amo” sussurrati di notte, per essere semplicemente Sherlock Holmes.
E lui, John Watson, sarebbe per sempre stato pronto a seguirlo ovunque, in qualsiasi folle impresa, per quanto pericolosa, per quanto lontana, perché, lo amava e mai niente avrebbe potuto allontanarli, perché, in cuor suo sentiva quanto Sherlock avesse bisogno di lui, allo stesso modo in cui lui necessitava di Sherlock per vivere ed essere felice, ed essere completo e  niente, né la miseria, né la degradazione, né la morte, nulla di tutto quel che Dio e Satana potevano infliggere, gli avrebbe separati.**
Perché, semplicemente, erano destinati a stare insieme, per sempre.
E mentre John sentì l’erezione di Sherlock premere delicatamente contro la sua apertura, spingendo piano per ridurre al limite il dolore, si ritrovò a ringraziare con tutto il suo cuore, quella stupidissima milza di gatto che il Serpeverde aveva cercato di aggiungere alla loro pozione, perché forse, senza di essa, tutto quello non sarebbe mai accaduto.
E con un grido sordo, bloccato dalle labbra affettuose di Sherlock, John capì che niente e nessuno li avrebbe mai divisi, perché nulla lo avrebbe potuto separare dall’altra metà di se stesso.
Sarebbero stati loro due, per sempre.
Watson e Holmes.
John e Sherlock.
 
Note Finali:
*Dialogo da “Il mastino di Baskerville”

**Cit “Wuthering Heights” (sì, lo so, la devo smettere di citarlo ovunque, ma lo sto rileggendo, quindi non riesco proprio a trattenermi!XD)
 
Ok, la frase finale, forse necessita di una piccola spiegazione, perché non credo che si possa capire ciò che volevo supporre; semplicemente volevo sottolineare come, con il passare del tempo, si sia passati dal “Watson e Holmes” del canon, allo “John e Sherlock” delle serie televisiva, sottolineando che non importa quante versioni e riadattamenti faranno nel corso degli anni o quanti anni trascorreranno, perché semplicemente saranno sempre e solo loro due.
E con questo questa fic è ufficialmente finita! Un saluto a tutti voi, spero ci risentiremo in futuro e spero davvero che questa storia vi sia piaciuta! Grazie di tutto!
Con affetto,
Becki

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