Ti odio e ti amo allo stesso tempo

di LucreziaPo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** House and Wilson's friendship: thing than more? ***
Capitolo 2: *** coming troubles ***
Capitolo 3: *** TRUTHS ***
Capitolo 4: *** giuro di dire la verità e nient'altro che la verità, raggio di sole!!!!! ***
Capitolo 5: *** conferme e terapie... ***
Capitolo 6: *** allucinazioni e peggioramenti ***
Capitolo 7: *** Litigi e separazioni ***
Capitolo 8: *** scuse ed abbracci ***
Capitolo 9: *** e finalmente...un bacio... ***
Capitolo 10: *** Confessioni e sentimenti ***
Capitolo 11: *** Miglioramenti ***
Capitolo 12: *** nuove conoscenze e moti di gelosia ***
Capitolo 13: *** Stress, paranoia e gelosia ***
Capitolo 14: *** Viaggi, presentimenti, dolore e conforto ***
Capitolo 15: *** credo proprio di essermi innamorato di te... ***
Capitolo 16: *** settimana bianca ***
Capitolo 17: *** Cadute e delusioni ***
Capitolo 18: *** Ora ci sei anche tu ***
Capitolo 19: *** Ritorni, litigi ed ammissioni: Ho bisogno di te... ***
Capitolo 20: *** Scoperte e complotti ***
Capitolo 21: *** Troppo coinvolto... ***
Capitolo 22: *** Anche io, nel senso... ***
Capitolo 23: *** Why? ***
Capitolo 24: *** Sai cosa provo. Sai che ti amo. Vieni da me... ***
Capitolo 25: *** Certe volte sei impossibile...me ne tiro fuori! ***
Capitolo 26: *** E scelgo te ***
Capitolo 27: *** Imprevisti, rapimenti e perdite ***
Capitolo 28: *** Litigi ***
Capitolo 29: *** Mi dispiace, siamo umani nel bene e nel male ***
Capitolo 30: *** Ci sei solo tu ***
Capitolo 31: *** Incrinature ***
Capitolo 32: *** preparativi e chiarimenti ***
Capitolo 33: *** Lo ammetto: ho bisogno di te... ***
Capitolo 34: *** Assolutamente ***
Capitolo 35: *** I'm only me when I'm with you... ***



Capitolo 1
*** House and Wilson's friendship: thing than more? ***


Questa ficcy è ambientata…boh…sicuramente dopo Stacy…durante la terza serie e dopo…ma i collaboratori di House non si sono ancora licenziati….

A voi la mia storia…

 

House and Wilson’s friendship: thing than more?

 

 

Gregory House sfiorò la cartella con la punta delle dita, sospirando, lo sguardo fisso sul foglio che stringeva tra le mani.

“Ne è sicuro?”chiese, calmo.

Il suo interlocutore fece segno di sì con la testa.

“Dovrà fare qualche esame ancora, ma è quasi del tutto sicuro.

Non si preoccupi, comunque. La medicina è molto avanzata su questo campo.

Non accadrà nulla di male… Stia tranquillo!”

House lo guardò come se fosse impazzito e sorrise, ironico.

La medicina è molto avanzata su questo campo!

Come se non lo sapesse già! Era un medico o no?

“Certo che sono tranquillo! Non c’è nessun motivo per esser agitati!

Nulla di cui preoccuparsi….”disse piano, sarcastico.

Ma non c’era nulla su cui scherzare, stavolta. Tutto vero, nessuno scherzo…..

 

 

 

Il Princeton Plainsboro Teaching Hospital non era mai stato così tranquillo come quel limpido giorno d’ottobre.

Pochissimi pazienti, rarissime visite e un sonnacchioso silenzio gravava su ogni ufficio.

Il dipartimento di Diagnostica era tranquillo, Chase, Foreman e Cameron erano seduti a chiacchierare del più e del meno e tutto era innaturalmente calmo per la mancanza di House.

Erano ormai le dodici passate ed era tipico di House fare così tardi anche quando c’era molto da lavorare.

Stranamente, però, il fatto che non fosse lì a fare battute o diagnosi diede loro uno strano senso…quasi di angoscia.

“Avete visto House?”

La voce di Wilson fece sobbalzare tutti e tre.

Erano così assorti nei loro pensieri che non si erano neanche accorti che era entrato nella stanza.

Cameron scosse la testa.

“Non sappiamo dove sia finito. Ma è normale che faccia così tardi di solito!”

“Beh, deve sbrigarsi, altrimenti chi la sente la Cuddy!”disse Wilson.

“Ma non c’è lavoro!”protestò Chase.

“Lo spieghi a lei questo?”

Chase tacque e proprio in quel momento entrò House nella stanza.

Tutti si voltarono a guardarlo.

“Che avete?”chiese lui.

“Ti pare ora questa di arrivare?”chiese Wilson, le mani sui fianchi.

“Scusa, mamma! La prossima volta non lo farò più!”lo canzonò lui, ricevendo un’occhiataccia.

“Dove sei stato?”domandò Foreman.

“In giro. Non mi sembra che siano affari vostri, però.”

“No, infatti. Ma sono fatti miei.”disse una voce alle spalle del gruppo.

Lisa Cuddy guardò House, che posò la giacca sulla sedia e fece finta di ignorarla.

“House! Guardami, almeno! Che cosa hai fatto per arrivare così tardi al lavoro?”

“Cose.”

“Quali?”

“Se lo vuoi sapere davvero, sono stato su un sito porno fino alle 4 del mattino.

Ho scoperto cose interessanti su di te, sai?

Non sapevo amassi il sesso sadomaso!”

House rise, mentre tutti gli altri si voltavano a guardare la scarlatta Cuddy.

“Sta scherzando…”fece lei, sempre rossa in viso.

Era una sciocchezza, un’altra delle sue.

Ormai ne diceva così tante che nessuno ci credeva più, ma il sospetto veniva ugualmente….

“Come vuoi tu.”disse House e se ne andò zoppicando, senza dare alcun altra spiegazione.

 

 

 

“Avanti! Mi dica qual è il suo problema!”

Quasi a volerlo punire per essere arrivato tardi ieri, la Cuddy obbligò House a fare mezza giornata di ambulatorio.

Il nostro medico preferito era alla terza visita dopo un mal d’orecchio, curabile benissimo con quei cosi chiamati medicinali…, un tizio che aveva avuto la peggio in una rissa, (“E lei per un paio di lividi scomoda così un medico? Non si vergogna? Ma vada al diavolo, per piacere!”aveva commentato un esaurito Dr House) e questo che….

“Mi fa male il braccio.”

House sospirò.

Ma dove diavolo erano finiti i casi interessanti?

“Da quanto le fa male?”chiese.

“Ogni volta che ci dormo sopra.”

House lo guardò, sollevando appena uno sopracciglio.

“Hai mai pensato…non so…di cambiare posizione?”

“Sì, ma non riesco a dormire così. Sono abituato ad appoggiarmi a questo braccio.”

House succhiò il suo lecca-lecca.

“Cosa posso fare?”

“Elimini il problema alla radice.”

“Cosa dovrei fare?” il paziente lo guardò.

“Lo amputi! Avanti un altro!”

 

 

“Vi prego, ditemi che c’è un caso da risolvere!”

House entrò nello studio, esaurito più del solito.

Era stato tutta la mattina a parlare con pazienti idioti e mentecatti, come li aveva definiti lui stesso.

“Ma come si può andare all’ospedale per un paio di lividi!”

Sedette sulla poltrona, le mani sul viso.

Chase, Cameron e Foreman si guardarono a vicenda, poi Cameron iniziò a leggere la cartella di una paziente.

“Abbiamo il caso di una paziente di Boston.

30 anni, svenuta in un locale, è arrivata poche ora fa.

Presenta febbre, rush, dolori alle articolazioni. Abbiamo fatto tutti gli esami possibili, ma non siamo riusciti a capire nulla.”

“Non mi stupisce affatto. Dà qua!”

House le strappò di mano la cartella che la ragazza stava leggendo.

“Abbiamo la anamnesi?”chiese.

“La paziente è orfana. Non sappiamo a chi chiedere!”disse Foreman.

House si spazientì.

“Mio Dio! Siete medici o cosa?

Non è la prima volta che ci capita una paziente senza genitori.

Chase e Foreman, andate a casa sua e scoprite più cose possibili.

Cameron, tu parla con lei.”

“E’ sotto sedativi, sta dormendo!”

“Allora, svegliala, no?”

“Ma…”

“Niente ma! Muovetevi, voi!”

Quando il suo team se ne andò, House chiuse gli occhi esausto.

Si sentiva stanchissimo in quei giorni e sapeva benissimo il perché.

Il problema era che non riusciva a sopportare la verità, quella realtà che lo stava opprimendo.

Dopotutto il caso era abbastanza semplice, ma House non osò protestare.

Grazie alla anamnesi si capì che si trattava di un semplice caso di Lupus ereditario.

Poche medicine, qualche giorno all’ospedale e la paziente sarebbe tornata a casa come nuova.

Era stato tutto così semplice, solo pochi giorni…eppure House non sentiva la mancanza dei suoi casi complicati…

Il che era strano, molto strano!

“Tutto bene?”

Wilson gli batté una mano sulla spalla ed House, assorto com’era, sobbalzò.

Era rinchiuso nel suo studio, la musica nelle orecchie ed il Nintendo nelle mani.

“Sì.”

“La tua paziente è stata dimessa. Come mai non hai protestato per la semplicità del caso?

Era una sciocchezza! E poi fare così non è da te!”

“Ma che volete tutti? Se mi faccio storie vi lamentate, se non le faccio vi insospettite!”

Wilson rise, prendendo una sedia e sedendosi accanto a lui.

“E’ vero, hai ragione!”

“Che ci fai ancora qui? Non ti aspetta tua moglie a casa?”chiese.

Dopotutto era tardissimo, le dodici passate…

“Non mi va di tornare a casa. E poi non sto andando d’accordo con lei, in questo periodo.”

“Ti avvicini al tuo terzo divorzio, eh?”fece lui, maligno, senza smettere di giocare.

“Ahahah! Spiritoso! Se continuo a pagare gli alimenti a tutte le mie mogli, finisco sul lastrico!”

“Chiedi un aumento alla Cuddy, allora!”

Wilson alzò gli occhi al cielo.

“Andiamo, dai!”

Si alzò togliendogli il videogioco dalle mani.

House lo guardò torvo.

“Non te l’ha mai detto nessuno di non toccare le cose altrui?”

“No! E comunque lo fai anche tu, perciò…

Andiamo via, dai! Non vorrai dormire qui, spero! Ci prendiamo una bella birra!”

“Però guido io!”

House zoppicò fino alla porta.

“Con la moto?”

“No, con il deltaplano! Ne ho comprato uno nuovo, te lo volevo far provare, sai?”

“Povero me! House, ti prego, ci tengo a rimanere vivo!

Quindi non fare cazzate come al tuo solito! Vorrei poter vedere il giorno successivo!”

House rise.

“Anch’io ci tengo a rimanere vivo! Speriamo che vada bene!”si ritrovò a pensare.

 

 

 

 

 

 

Ciao a tutti voi!!!!

Ho deciso di scrivere la mia prima long-fic sul mio amatissimo Dr House, una storia a cui pensavo da tempo, ma a cui solo ora ho potuto dedicarmi!

Ecco a voi il primo chappy della mia ficcy, spero vada bene, ma è solo l’inizio…

Una cosa solo…dato che mi sono persa alcune puntate delle serie di House (ho visto tutta la terza, la prima e solo parte della seconda), perdonate se ho fatto errori o detto sciocchezze (ne ero inconsapevole!!!).

Sono apprezzatissimi commenti e consigli, li attendo con ansia!!!!

Se sperate in una Huddy o Cotton Candy, cambiate storia!

Non so bene come continuare, ma non sono previste queste love-story!!!!

Ora vado, spero solo di avere tanti commenti!!!

Vi prego, fatelo come regalo di fine anno (e dell’anno nuovo!!!)!!!!!!!!!!!!

Un bacione a tutti voi!!!!!

Lily Black 90

 

P.S. l’episodio del braccio del paziente è stato preso da un episodio della terza stagione del Dr House.

 

 

 

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Capitolo 2
*** coming troubles ***


Un giro in moto, un paio di birre ed il mattino dopo House arrivò al lavoro più assonnato che mai.

Non aveva dormito granché e per svegliarlo ci voleva ben più di una tazza di caffè caldo.

Fortunatamente la giornata volò tra casi da risolvere, diagnosi da fare e team da prendere in giro e schiacciare con la sua mente geniale, come faceva di solito.

Adorava fare nuove diagnosi, sentire le baggianate che dicevano Chase, Cameron e Foreman e bocciarle tutte dalla prima all’ultima.

Lo divertiva.

“Che ha Cameron?”chiese Wilson, vedendo uscire la ragazza, a testa china e con le lacrime agli occhi quando entrò nel suo ufficio, alla fine del lavoro.

“Niente. È solo sconvolta.”

“Perché? Che lei hai fatto?”

“Perché deve essere sempre mia la colpa?”

“Perché la maggior parte delle volte è così?”rispose lui, ridendo.

“Non ritiene giusto un destino di una paziente, contagiata dall’HIV.”

“E tu le dai torto?”

Wilson era stupito.

“Diciamo che non riesco a provare compassione per tutte le persone che soffrono.

Non ho lo spirito da crocerossina, come lei.”

Wilson sospirò.

“Devi umanizzarti un po’, House.”

“E come intendi fare, sentiamo? Conosci qualche magia o farmaco che io ignoro che mi faccia diventare la copia maschile di Cameron?”

Al cenno di dissenso dell’amico, House rise.

“Lo immaginavo.”e zoppicò via.

Wilson lo rincorse.

“Dove diamine vai così di fretta?”

“Ho da fare. Ci vediamo domani.

Notte, Wilson.”

“Notte, House.”rispose l’oncologo.

Lo vide allontanarsi da lui e non sapendo il perché sentì una stretta al cuore.

Aveva una brutta sensazione che non lo lasciava mai, quando pensava ad House.

Gli stava nascondendo qualcosa, se lo sentiva.

Non gli era sfuggito il sorriso triste dell’amico quando aveva detto “Ho da fare”.

 

“In che senso, non sta dando frutti?”chiese al medico.

“Credo sia colpa dei suoi antidolorifici.

Deve smetterla di prenderli se vuole stare meglio.”

“Non posso smetterla. Non ci riesco.”

“Lei è un drogato, Dr House e se non vuole morire, deve fare come le ho detto.”

“Se lo scordi.”disse e balzò giù dal lettino dell’ospedale.

“Se fa così, morirà.”

“Almeno lo farò senza soffrire.”rispose lui, andandosene.

 

 

Era stato uno stupido a rifiutare di continuare la cura.

Lo sapeva ed ora i medici che lo curavano non facevano altro che chiamarlo ed incitarlo a tornare.

Non ci riusciva ed aveva bisogno di dirlo a qualcuno, ma ogni volta che l’idea lo sfiorava, lui trovava il modo per allontanarla, una volta con un nuovo caso, un’altra con una diagnosi, o una cena….

Erano passati tre giorni da quando aveva sospeso la cura ed ora la situazione era peggiorata.

Ora il mal di testa che prima era solo passeggero nei primi giorni, ora era continuo e fortissimo e la debolezza non lo lasciava mai.

Se ci aggiungeva anche la nausea, sembrava una in gravidanza.

Era ormai sera, quando se ne andò.

“Mi dai un passaggio?”

Era la voce di Wilson.

“Credevo che odiassi venire con me in moto.”rispose lui.

“Infatti, è così. Perché sei un pazzo spericolato, drogato e zoppo.”

“Grazie mille, Wilson.”

“Geena ha preso l’auto e se non voglio tornare a casa a piedi con questo freddo, dovrò venirmene con te.”

“Monta su, dai! Mi sa che ti avvicini sul serio al tuo terzo divorzio, sai?”

“Mi sa anche a me. È diventata troppo gelosa, appiccicosa ed assillante.

Mi chiama minimo tre volte al giorno per sapere che faccio. È peggio di mia madre!”

House scoppiò a ridere ed accese la moto.

“Fai la strada più lunga, House. Non voglio arrivare a casa presto.”fece Wilson.

“Va bene. Però dopo ti chiedo l’extra.”rispose l’amico, iniziando a correre.

Wilson si dovette aggrappare alla sua vita per non cadere all’indietro.

Lo sentì ridere e non potè fare a meno si schiudersi in un sorriso anche lui.

Sapeva che House non gli avrebbe mai fatto rischiare la vita.

Nulla gli dava quella certezza, ma lo sapeva e basta, se lo sentiva.

Come sentiva che desiderava passare il suo tempo con lui e non a casa.

Come sapeva che gli voleva bene e che anche lui gliene voleva anche se non l’avrebbe ammesso mai, orgoglioso com’era.

House si concentrò sulla strada, strizzando gli occhi.

La testa gli pulsava e la vista gli si stava annebbiando.

Accidenti! Strinse la presa attorno alla moto e tentò di concentrarsi il più possibile sulla strada.

Ma ormai non vedeva che luci ed ombre.

“HOUSE!”sentì Wilson dietro di lui gridare.

Vide una luce di fronte a lui e virò appena prima di schiantarsi contro quell’auto.

Wilson era dietro di lui. Se fosse morto a causa sua non se lo sarebbe mai perdonato! Ed ora cosa avrebbe fatto?

“House! Ma cosa diamine di è saltato in mente?

Non sbandare così, rischi di farci cadere dalla moto!”

Wilson strinse la presa attorno alla vita dell’amico. Stava iniziando a spaventarsi.

Era da House fare certe cazzate, ma  prima per poco non si erano schiantati contro un auto.

Cosa diamine gli stava succedendo?

Vide una forte luce, qualcuno suonò il clacson ed House sterzò velocemente, così velocemente che la moto si inclinò ed entrambi rotolarono giù, fortunatamente non in mezzo alla strada, ma sul ciglio.

“MA COSA DIAMINE TI E’ SALTATO IN MENTE?”urlò Wilson, rialzandosi lentamente e correndo verso l’amico che giaceva riverso a terra, la moto buttata metri più in là.

Non c’era nessuno attorno a loro, solo macchine che schizzavano a tutta velocità.

Nessuno a cui chiedere aiuto.

“House!”

Wilson si chinò sull’amico e lo aiutò a rimettersi seduto.

Si accorse che tremava, gli occhi chiusi.

Aveva una ferita alla tempia da cui il sangue usciva copiosamente.

“Oddio, House!”

“Stai bene?”chiese lui, sempre tenendo gli occhi chiusi.

“Io…sì…ma tu sei ferito! Dobbiamo andare all’ospedale!”

Wilson lo costrinse a rimettersi in piedi ed insieme rimisero in piedi anche la moto.

“Stavolta, guido io. Tu reggiti.”

House obbedì. Era troppo frastornato e confuso per reagire e controbattere.

Nessuna battuta sarcastica, nulla di nulla.

Montò dietro all’amico e sospirò.

Accidenti! A causa della sua malattia per poco lui e Wilson non morivano in un incidente!

Aveva perso il controllo della moto, aveva la vista annebbiata…

Che stesse peggiorando?

Probabilmente svenne durante il tragitto verso l’ospedale, perché, quando si risvegliò, si trovò adagiato su un letto e collegato ad un respiratore.

Accanto a lui profondamente addormentato su una poltrona, c’era Wilson, i capelli castani che gli ricoprivano gli occhi.

E, seduta accanto al letto, c’era…

“Bene! Ti sei svegliato?”disse Lisa Cuddy, posando la rivista che stava leggendo.

Si avvicinò a lui e gli tolse il respiratore dal volto.

“Capisco che non hai un marito, ma ti sei accampata nell’ospedale?”chiese, cinico.

“Molto divertente. E tu hai pensato che, dato che non sei soddisfatto della tua vita, la cosa ideale era tentare il suicidio?”rispose lei.

“Io non ho tentato il suicidio. Non ancora, almeno.”

“Wilson mi ha riferito che stavi per schiantarti contro un auto perché avevi perso il controllo della moto.

Quanto eri fatto?”

“Non ero fatto! Almeno, non più del solito.”

“Ed allora come hai perso il controllo? Potevate morire tutti e due!”

“E saresti rimasta molto dispiaciuta, eh? Due primari in un solo colpo! Che tragedia per te! O forse dovrei dire, per l’ospedale? Non credo ti sarebbe importato di noi in quanto persone, ma in quanto medici.

O sbaglio, Cuddy?”

Lei tacque, stringendo i pugni.

“Io non sono come te, House, anche se pensi il contrario.

Io non sono misantropa, né opportunista, né cinica, come te. Se mi preoccupo per voi non lo faccio per l’ospedale, ma perché ci tengo.

Anche se credo che il verbo “tenere a qualcuno” non rientri nel tuo vocabolario.”

Detto ciò se ne andò, sbattendo la porta e facendo sobbalzare House.

“Forse ho un po’ esagerato.”si ritrovò a pensare lui.

Di colpo una leggera musichetta si diffuse nell’aria.

Era la suoneria del cellulare di Wilson, House l’aveva sentita tante di quelle volte!

Si liberò delle coperte e lo estrasse dalla giacca dell’amico che, nonostante il rumore, continuava a dormire.

“Dormiglione!”sussurrò, con un mezzo sorriso sul volto, poi rispose.

“Pronto?”

“Pronto! Sono Geena, la moglie di Wilson.

Con chi parlo?”

“Sono il Dr House.”

“E che ci fa con il cellulare di mio marito? Lui dov’è?”

“E’ occupato al momento.”rispose House, con un ghigno.

“Siete soli?”

“No, dopo ci raggiunge anche la Cuddy.

Stiamo facendo una cosa a tre, ma se vuole ve…”

“Dà qua!”

Wilson, che probabilmente si era svegliato durante la chiamata, gli strappò il cellulare di mano.

“Geena? Sono Wilson.”

Le urla della moglie le sentì anche House, che trattenne a stento le risate.

Quando Wilson chiuse il cellulare, si voltò verso l’amico ed annunciò:

“Sei un vero idiota, lo sai?”

House potè ridere, finalmente.

“Sì, me lo dicono in tanti!”

“Bravo! Complimenti! Ora pensa che io al lavoro faccia sesso con te e con la Cuddy!”

House rise ancora più forte.

“E’ lei che non si fida di te! Che colpa ho io?”

Wilson lo guardò, scettico.

“Ok, forse un po’ di colpa ce l’ho! Ma era solo uno scherzo!

Te le trovi sempre tu le donne appiccicose e che non sanno stare allo scherzo.”

“Ai tuoi di scherzi, vorrai dire.”

“Sì, ai miei.”

House si mise seduto sulla poltrona e Wilson gli sedette accanto.

“Era preoccupata. Ed anche io lo sono stato ieri sera. House, tu non hai mai perso il controllo della tua moto e ieri stavano per morire!

Che diamine sta succedendo? E sei strano in questi giorni!

Sei sempre di più scontroso e distaccato, sempre con la testa tra le nuvole.

E Cameron mi ha detto che spesso ti chiama un tizio all’ufficio.

Ha detto che una volta ha sentito la tua conversazione e l’è parso di capire che era dell’ospedale poco lontano da qui, un oncologo.”

House sbiancò.

“Mi stai nascondendo qualcosa, House.

Tutti mentono, anche tu. Che cosa mi stai nascondendo?”

House chinò lo sguardo.

“Non ti sto nascondendo nulla, Wilson.”

“Non sai mentire e poi ti conosco troppo bene per non capire che qualcosa ti turba.

Se c’è qualch…”

“NON HO NULLA!”esclamò House, più forte di quanto avesse voluto.

“Non ho bisogno del tuo aiuto, sto benissimo e so cavarmela egregiamente da solo, grazie.”disse gelido.

Lo vide chinare lo sguardo e provò una stretta al cuore.

Wilson tentava solo di aiutarlo e lui che faceva? Se la prendeva con lui come se fosse colpa sua.

“Scusami…Io non volevo prendermela con te.”ammise.

“Stai mentendo, non è così?”

“Non sono mai stato più serio di così, credimi.”

Wilson lo guardò negli occhi.

Occhi castani dell’oncologo contro gli occhi azzurri del bel diagnosta.

“Sono qui, se hai bisogno.”disse Wilson, senza distogliere lo sguardo.

“Lo so. Tu ci sei sempre per me. Grazie.”rispose House.

 

 

 

 

Ecco a voi un altro chappy della mia fan fiction sul mio amato Dr House.

Volevo ringraziare di cuore Nike87, Lady House e AshleySnape per aver commentato la mia storia e Selvy per aver inserito questa storia nei preferiti!!!

Siete grandi, raga!!!!

Sono contenta di aver avuto un po’ di recensioni, specialmente da voi che siete bravissime nello scrivere!!!

Grazie, grazie, grazie!!!

So che vi sto tenendo sulle spine con la faccenda del dottore e del dialogo di House con quell’altro medico, ma non preoccupatevi che ben presto saprete la verità!!!

E per quanto riguarda il pairing, penso che sia proprio House/Wilson, che adoro come coppia!!!

Attendo vostre recensioni e consigli, che ne ho bisogno, sono un po’ alle prime armi con le long-fic di House!!!!

Un bacione a tutti voi e buon inizio anno 2008!!!!!!!!!!

Lily Black 90

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Capitolo 3
*** TRUTHS ***


Il tetto del Princeton Plainsboro Teaching Hospital.

Era lì che House si rifugiava quando aveva un problema.

L’aveva fatto quando Stacy era tornata ed ora, che aveva più bisogno di pensare.

Da quando aveva saputo la sua malattia, si era recato non meno di due volte alla settimana nell’altro ospedale e tra visite e varie diagnosi, era stata confermata la malattia ed anche la diagnosi.

Peccato che la terapia non stava funzionando.

Forse la spiegazione si doveva trovare nelle pillole di Vicodin che continuava a prendere e che probabilmente alteravano le medicine che gli somministravano.

Ma la scelta era tra il non soffrire con il Vicodin ed il soffrire per farsi curare per un’altra malattia e lui aveva scelto il non soffrire.

Erano giorni che aveva sospeso la terapia, ed i medici non facevano altro che chiamarlo ed incitarlo a venire; giorni passati dalla notte in cui lei e Wilson per poco non erano morti a causa sua…

Non aveva detto nulla a Wilson anche se l’aveva visto preoccupato ed apprensivo nei suoi confronti.

Non sapeva il perché; dopotutto Wilson era il migliore oncologo che lui conosceva e poteva benissimo fare una terapia all’ospedale dove lavorava, ma non sapendo perché continuava a tenersi dentro questo peso e non riusciva a liberarsene.

“Che ci fai qui?”chiese una voce familiare che lo fece sobbalzare.

House si voltò e si ritrovò Wilson accanto.

“Pensavo. Tu che fai? Mi pedini?”

“No! Scappo da mia moglie Geena. È venuta all’ospedale e vuole controllarmi.”

House rise.

“Non c’è nulla da ridere! È assillante, asfissiante ed appiccicosa! Non so come fare  con lei!”

“Mollala e prenditi un altro cane!”rispose lui, bastardo come al solito.

Stavolta toccò all’amico ridere.

Si sedette per terra sul freddo pavimento e voltò la testa all’indietro, guardando il cielo sgombro di nuvole.

“Ho bisogno di parlarti.”disse House d’un tratto.

Wilson alzò lo sguardo, incrociando gli occhi ai suoi.

Non sapeva cosa gli avesse dato la forza per dirgli la verità.

Forse il freddo, forse il fatto che si era riempito di Vicodin…

Fatto sta che si sedette accanto all’amico e gli disse tutto: della visita all’altro ospedale giorni fa, al fatto che spesso si allontanava senza specificare il perché, del suo atteggiamento scostante e distratto…

Gli disse anche del cancro al cervello, stavolta vero e non inventato per farsi di eroina come l’ultima volta, e lo vide trasalire e cercare il suo sguardo che House evitò.

Se l’avesse guardato negli occhi non sarebbe riuscito a continuare, perciò tenne lo sguardo ostinatamente fisso a terra.

Quando finì, seguì un profondo silenzio interrotto solo dal caos cittadino.

“Non è uno scherzo, stavolta?”chiese Wilson.

House scosse la testa.

“Da quanto lo sai?”

“Qualche giorno, ma pensando ai sintomi ed a tutto il resto lo sospettavo da quasi un mese.”

Estrasse dalla borsa la sua cartella clinica.

“Ci sono tutte le analisi che ho fatto e la terapia che ho iniziato.”

“E non sei venuto qui? Perché?”

“Non lo so. Probabilmente se i medici dell’ospedale avessero saputo che ero malato, avrebbero fatto di tutto per farmi fuori loro!”

Rise amaramente.

“Non dire cazzate. Potevo benissimo curarti io. Sono anche io un oncologo, in caso te ne fossi scordato!

E tu dove sei andato? Nell’ospedale qui vicino, la cui terapia non ha prodotto nessun effetto!”

“Forse a causa del Vicodin che prendo ancora.”

Wilson lo guardò storto.

“Che ho fatto?”

“Da oggi sono io il tuo medico curante! Dì a quelli dell’altro ospedale che hai cambiato idea e che ti fai curare da qualcun altro. Credo di essere leggermente più bravo di loro.”

“E poi sono io quello presuntuoso! Che fai? Vuoi rubarmi il primato di essere irritante e arrogante?” rise.

“Comunque, va bene! Lo farò!”

“Sei un’idiota! Dovevi dirmi prima la verità! Perché diamine ti sei tenuto tutto per te?”

Wilson era arrabbiato e preoccupato insieme.

“Non lo so.”

Wilson sospirò forte.

“Sei un’idiota e continuerò a dirtelo finché non ti comporterai diversamente!”

“Allora lo farai per il resto della tua vita!”

House rise.

L’amico sfogliò la cartella di House.

“Te lo sei proprio chiamato il cancro, eh? Prima lo scherzo, ora questo…”

“Dovrò stare più attento la prossima volta.

Se ci sarà una prossima volta.”disse piano.

Niente battute sarcastiche, solo la fredda e crudele realtà.

“Non dirlo al mio team. Già basti tu che ti preoccupi per me, evitiamo di dirlo a tutto l’ospedale.”

“E la Cuddy?”

“Lo scoprirà prima o poi. Se glielo dici tu, almeno ti crede.

Se glielo dico io non sono convincente e crede che stia scherzando, quindi…”

“Il tuo team lo scoprirà prima o poi.”

“Quando verrà organizzato il mio funerale.

Prima no, e dì loro che mi piacciono le fresie e non i crisantemi per quando morirò.

Sono troppo macabri e tristi come fiori. Io sono un tipo allegro!”

Wilson gli diede un pugno affettuoso sulla spalla.

“Tu non morirai, Greg.”disse.

Non si era neanche reso conto che l’aveva chiamato per nome, intento com’era a leggere la sua cartella.

“Mi hai chiamato Greg.”gli fece notare House.

Wilson alzò appena lo sguardo.

“Ah, sì? Non me ne sono accorto.”

“Perché?”

“E’ il tuo nome, no?”

“Perché ora? Perché sto male?”

“No, non so perché. Ma sono dieci anni che ci conosciamo e ci chiamiamo ancora per cognome. È strano, non credi?”

“Già, James.”disse calcando il nome.

“Andiamo, dai! Prima che ci diano per dispersi.

Già vedo la Cuddy a chiamare “Chi l’ha visto?” e l’FBI per cercarci!”

Wilson si alzò e gli tese la mano.

“E con tua moglie che fai?”

“Le dirò che ho da fare.”disse, sventolando la cartella clinica dell’amico.

“Non farla vedere troppo in giro, altrimenti gli altri medici vorranno avere loro il piacere di fami fuori.”

“SE fossi più gentile, non penserebbero al modo di farti fuori.”

Wilson rise.

“E comunque, stai tranquillo. Andrà tutto bene.”

“E’ questa la frase che dici sempre ai tuoi pazienti terminali?”chiese House, mentre zoppicava scendendo le scale.

“Tu non sei terminale, Greg. Comunque no.”

“E qual è?”

“Spera di non sentirla mai.”

“Come vuoi.”

House fece per prendere il suo flacone di Vicodin, ma Wilson glielo strappò di mano.

“Questo lo prendo io.”

“Che diamine hai intenzione di fare?”

“Sono il tuo medico curante, ora, sai?

Quindi queste le requisisco.”

“Non ho solo quelle pillole, lo sai, vero? Non posso smetterla di prenderle.

Impazzirei dal dolore.”

“Più pazzo di così.”commentò lui, ridendo e mettendosi in tasca il flacone.

“Ridammele.”

“Scordatelo, Greg. La terapia non ha fatto effetto perché prendevi queste, molte di queste. Inizierò a dosartele, ma non le puoi prendere più di una o due a volta.”

“Tu sei matto! Ricordi, come sono stato male quando la Cuddy ha fatto lo stesso?”

Iniziò a zoppicare più veloce e lo raggiunse.

“Andiamo! Non puoi farmi questo!”

“Certo che posso! Sono il tuo migliore amico e sto cercando di proteggerti.

Eviteremo che tu ti riduca come l’ultima volta, ma ti consiglio di consegnarmi gli altri flaconi di Vicodin. Altrimenti starai male sul serio e non per l’astinenza.”

“D’accordo! Come vuoi! Ma se poi muoio, ritieniti responsabile.”disse, crudelmente, prima di allontanarsi diretto al suo ufficio.

 

 

 

Il suo team era al completo, intenti tutti e tre a leggere una cartella.

“Che caso abbiamo oggi?”

“Ben trovato, House! Ti pare ora di presentarti in ufficio?”chiese Foreman.

“Scusa, mamma! Comunque, che caso?”

“Uomo sulla trentina, nausea, vomito, crampi muscolari e iperventilazione.”lesse Chase.

“Abbiamo fatto vari analisi del sangue, Toc Screen e Tac.

Non è uscito nulla.”

House sospirò.

“Chissà perché non mi sorprendo affatto!

Dio, ma quando riuscirete a risolvere un caso da soli? Avete sempre bisogno della mia illuminazione?”chiese, alzandosi ed avvicinandosi alla lavagna.

“Siamo qui per fare ciò che vuole, nostro Signore. Pendiamo dalle sue labbra.”lo prese in giro Foreman.

“Lo so che sono il migliore diagnosta e grazie per avermi paragonato a Dio, Foreman, ma anche Lui ha collaboratori migliori di voi.”concluse sprezzante.

E da lì via ad ipotesi, domande, avventate e non, diagnosi fatte e bocciate fino a giungere a quella finale, pronunciata da Cameron.

House la guardò, con uno strano ghigno sul volto.

“Credo che stare con Chase ti faccia bene, sai? Ti ha svegliata un po’!”disse, prima di mandarli a somministrare al paziente i farmaci giusti.

Finalmente un po’ di pace.

Si sedette sulla sua poltrona ed iniziò a giocare con il Nintendo.

Non sentì neanche la porta aprirsi, finchè non vide una figura avvicinarglisi.

“Sono in pausa.”annunciò House, senza neanche alzare lo sguardo.

“Il Dr House?”

“So che me ne pentirò, ma sì. Sono io. Lei è?”

Si decise ad alzare lo sguardo.

Di fronte a lui c’era una giovane donna, dai lunghi e ricciuti capelli scuri.

Poteva essere carina, senza quell’espressione da maniaca sul viso!

Gli occhi erano dilatati ed era bianca in volto.

“Sono la moglie di Wilson.”

“Ohi! Ohi!”pensò House.

“Che cosa posso fare per lei?”disse, unendo la punta delle dita, come faceva lo psicologo di quell’ospedale.

“E’ tutta colpa sua.”

“Di cosa?”

“E’ colpa sua se il rapporto tra me e Wilson sta andando a puttane!”disse lei con le lacrime agli occhi.

“Ci mancava la pazza oggi!”pensò l’altro.

“Io non ho fatto assolutamente nulla! Mi creda, se il suo rapporto va male, la colpa è soltanto sua.

E se a Wilson viene voglia di andare a puttane è colpa sua, mica mia!”

Lei rise, una risata amara infelice.

“Sta sempre con lei! Lavorate insieme, pranzate insieme, uscite insieme!

E poi Wilson ha la faccia tosta di dirmi che non è innamorato di lei!”

“Wilson non è innamorato di me! È il mio migliore amico, mica il mio amante!”

“E’ innamorato di lei, me ne sono accorta benissimo, anche se non lo ammetterà mai!

Lei è il suo amante!”

“Quale amante? Di cosa state parlando?”chiese Foreman, entrando nell’ufficio seguito da Chase e Cameron.

Avevano già fatto tutto il necessario per il paziente in cura.

“Nulla! Piuttosto, siete stati veloci!”

“Già, dovevamo solo somministrargli un farmaco. Non siamo così idioti come tu ci credi. Lei chi è?”

“Non lo siete? Questa sì che è una notizia!

Dovrei avvertire la stampa!

Già vedo il titolo: “I collaboratori del Dr House, geniale diagnosta del Princeton Plainsboro Teaching Hospital, non sono degli idioti!”

Comunque, lei è la moglie di Wilson. Venuta qui a fare reclami ed a lamentarsi.

Come se io c’entrassi qualcosa!”

“Lei c’entra eccome! È tutta colpa sua!”urlò lei.

Cameron le si avvicinò.

“Signora, si cal…”

La ragazza non fece in tempo a finire la frase che la donna la spinse all’indietro, dove fu prontamente afferrata da House.

“Grazie, House.”mormorò lei.

“Ora se ne vada, prima che chiami la sorveglianza.”disse Chase, correndo a vedere cosa si era fatta Cameron.

Ah, l’amour!

“O il reparto psichiatria! Ci starebbe bene rinchiusa lì.

Diciamo per circa…tutta la vita?”

Geena si avventò su House, prima che lui riuscisse ad evitarla.

Caddero entrambi a terra.

“Toglietemela di dosso, razza d’idioti!”esclamò House, tentando di staccarsela di dosso, ma la donna, furiosa, non faceva altro che colpirlo alla cieca, tentando di fargli più male possibile.

Geena estrasse dalla tasca un piccolo coltello a serramanico e colpì House ad un braccio.

L’uomo gemette e si difese usando il bastone e spingendola all’indietro.

Prima che la donna potesse ritentare di ferire House, qualcuno l’afferrò per un polso e l’allontanò dal medico.

 

 

 

Era James Wilson.

“Ricordi quando ti avevo detto che le trovavi tutte tu quelle asfissiati, appiccicose ed assillanti? Aggiungici anche pazze!”disse House, rialzandosi da terra e stringendosi il braccio destro dove c’era un profondo taglio che sanguinava.

“Ma cosa diamine ti è saltato in mente?”urlò Wilson, contro la moglie, tenendola il più lontano possibile dall’amico.

“LASCIAMI ANDARE! LO VOGLIO AMMAZZARE, QUEL BASTARDO!”

“Non è l’unica, mi creda.”fece Foreman, sarcastico, beccandosi un’occhiataccia da parte degli altri nello studio.

Wilson le tolse di mano il coltello.

“Greg ha ragione, tu sei pazza!”

“E’ stata colpa sua, se adesso non andiamo più d’accordo!”fece lei, tentando di liberarsi dalla presa del marito che però non la lasciò andare.

“Ti sei ubriacata, eh? Ecco perché ti comporti così!”

“Lo farei anche senza l’aiuto dell’alcool!”

“Questo spiega molte cose.”sibilò House, che fu udito dalla donna.

“TACI! E’ TUTTA COLPA TUA!”

“Oddio! L’hai detto già circa 4 volte. Non può cambiare disco? Potrei annoiarmi!”

House finse uno sbadiglio.

“Così non mi aiuti, sai?”disse Wilson.

“La moglie pazza è la tua, mica la mia!””fece lui, non nascondendo una smorfia di dolore per il braccio.

“Io chiamo la sicurezza.”disse Chase e sparì, seguito da Cameron.

“Tornate in fretta! Non siete pagati per pomiciare in qualche angolo dell’ospedale!”gridò House loro e Wilson e Foreman sospirarono.

Geena venne portata via di peso dalla sicurezza ed House, nonostante il dolore al braccio, non potè celare una risata.

“Povero James Wilson! Tutte tu le trovi!”ridacchiò.

“E tu dovevi per forza provocarla, eh?”disse Wilson, mentre medicava all’amico la ferita.

“Prima l’incidente con la moto, poi questa ferita. Ma sempre nei casini ti devi cacciare?”

“Direi che sono la mia specialità!”

 

Ciao a tutti, mas amigos (spero di averlo scritto bene….)

Ho deciso di postare oggi il chappy della mia ficcy sul Dr House…

Qui verranno rivelate molte cose, cose che probabilmente già sospettavate…

Ecco a voi il mio chappy nuovo nuovo,in attesa di una vostra recensione, o sommo pubblico….

Spero  moltissimo che vi piaccia…

Non sono espertissima del Dr House (in compenso direi di esserlo con Harry Potter!!!) e ci terrei a consigli e suggerimenti…

Voglio solo migliorarmi…spero solo che ci siano recensioni che mi diano una mano….

In attesa della quarta stagione del MIO amatissimo medico (si vede che mi piace, eh?) (ma perché non sono nata in America? Perché dico io? Uffiiiiiiiii)…….

Per chi avesse Sky, su Fox dall’8 gennaio fa la seconda stagione del Dr House con casi da risolvere e Stacy da conquistare….!!!!

A presto, ragazzi miei!!!!

Un bacione e passate una buona Befana e un buon inizio scolastico (NOOOOOOOOOOOO!!!! Io non ci voglio andare, non ci voglio andare, non ci voglio andare!!!!!!!!! Nd me)

Un ringraziamento speciale a:

Lemnia: grazie tesoro mio, dei complimenti che mi hai fatto!!!!

Sono contentissima!!! Ti prego dimmi che ne pensi anche dei chappy successivi, sono curiosa di sapere le tue opinioni!!!!

Sei un  vero tesoro grazie, grazie, grazie!!!! E stai tranquilla che diventerà una House/Wilson, li adoro sia separati che insieme, ma venero la loro coppia!!!!!

Nike87:grazie del commento, carissima!!!

Selvy: grazie mille di aver commentato e di aver messo la storia tra i preferiti, sono lusingatissima!!!!

Grazie anche a Lady House e cri86lea!!!!!!!!!!!!

Lady House, adoro la tua ficcy, mi piace da morire, aggiorna presto ti prego, sono curiosissima e dimmi che ne pensi dei miei chappy, sono importanti le tue recensioni, sei bravissima!!!!!

dedico questa ficcy alla mia migliore amica di msn Ashley Snape:

tesoro mio, sei una persona speciale, dolce ed unica...grazie a Dio di avermi fatto incontrare te, perchè sei davvero unica nel tuo genere....ti voglio un mondo di bene e sappi che io ci sarò sempre e comunque per te....SEMPRE!!!!!

Bacioni sbaciucchiosi

Lily Black 90

 

 

 

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Capitolo 4
*** giuro di dire la verità e nient'altro che la verità, raggio di sole!!!!! ***


 

Era notte fonda, quando House sentì bussare alla porta.

Pioveva a dirotto e il vento non faceva altro che scuotere i vetri e disturbargli il sonno.

Solo il bussare alla porta, però, riuscì a convincerlo ad alzarsi.

Ancora intontito dal sonno andò ad aprire.

James Wilson gli era di fronte, fradicio di pioggia.

“Che diavolo ci fai qui? Sono le…”controllò l’orologio “tre di notte!”

“Geena mi ha cacciato di casa.”

“Ti ha cacciato di casa?”

House era incredulo e si mise a ridere.

Wilson alzò gli occhi al cielo.

“Quando avrai finito di ridere, mi stai a sentire?”

“Sì, come vuoi! Parla!”

“Posso dormire da te per un po’?”

“Che c’è? Hanno finito le camere degli alberghi di tutta la città?”

“Sono le tre di notte. Saresti capace di farmi andare in giro sotto la pioggia in cerca di un albergo?”

“Fa tanto Giuseppe, Madonna ed il bambino, ma senza pioggia!”

“HOUSE! Saresti così bastardo da chiudermi la porta in faccia?

Ricordati che sono il tuo medico curante e se voglio posso anche avvelenarti di nascosto.”

“Non ne saresti capace. Sei troppo Cameron versione maschile!”

“Non mettermi alla prova!”

“E va bene! Entra!”

Si scostò per farlo entrare.

“Non credo che saresti così bastardo da avvelenare un povero malato di cancro.”

Wilson rise.

“Non tentare di farmi pena, perché non ci riesci.

Sei sempre il solito House.”

“E non cambierò mai, sappilo bene!”fece lui, porgendogli una felpa ed un jeans asciutto.

“Grazie. Comunque, prima di buttarmi fuori Geena mi ha detto una cosa assurda.”

“Cosa?”

House si sedette sul divano, accanto all’amico, ogni traccia di sonnolenza svanita nel nulla.

“Sei curioso, eh? Non avevi sonno?”

“Passato. Sono curioso e mi piacciono i pettegolezzi.”

“Vecchia comare.”rise lui e si mise comodo.

“Ha detto che mi lasciava perché aveva capito tutto. Che non le si poteva nascondere nulla, che vedeva ogni cosa..”

“Ma se era cieca come una talpa!”

Wilson rise di nuovo.

“E continua a dire che io sono innamorato di te. Ne è certissima.”

“Questo l’ha detto anche a me.”

Rimasero in silenzio tutti e due, ascoltando il rumore della pioggia che colpiva i vetri senza sosta.

“Non è stata colpa tua, come diceva lei, sai?

Non prendertela, è solo una pazza.”

“Dal suo comportamento di oggi, non l’avrei mai capito, sai?”fece lui sarcastico.

Prese dal frigo due birre e ne porse una all’amico.

“A quest’ora?”fu il suo commento.

“Se non la vuoi posso bere anche quella, non c’è problema.”

“Piano con l’alcool, ti fa male.”

“Non ho neanche iniziato la tua terapia, che già rompi le scatole?”protestò lui con una smorfia e per fargli dispetto bevve metà della birra tutta d’un sorso.

“Idiota.”

“Me lo dicono in tanti, sai?”

“Forse perché è vero? Fattene una ragione e cerca di cambiare atteggiamento.”

“Mai. Non ne sarei capace.”

Ridacchiò e finì la sua birra.

 

 

“Wilson! Anche tu in ritardo! Vedo che House ti sta deviando!”esclamò la Cuddy giorni dopo, vedendo i due medici entrare, House con un ghigno sul volto e Wilson con la sua espressione più terrorizzata.

Aveva concesso all’amico di guidare la moto, stando ben attento a tenerlo d’occhio e se n’era subito pentito.

“Scusa, Cuddy!

Cerco ancora un appartamento e per ora sto a casa di House.

Ho dovuto chiedere un passaggio al medico più spericolato del mondo.”disse, mentre House faceva un inchino.

“Ciao, tesoro!”disse poi il diagnosta ad alta voce, facendo voltare tutti i  presenti nella hall.

Cuddy mi mise una mano sul volto, respirando piano.

“Ci sarà un giorno in cui non mi farai fare figuracce come al tuo solito?

E poi non sono il tuo tesoro.”

“Scusa, amore!”

“HOUSE! Falla finita!”

“Tranquilla, Cuddy! Te lo levo io di torno.”

Wilson strattonò l’amico e lo allontanò dalla Cuddy.

Salirono sull’ascensore.

“Non la finirai mai di fare l’idiota, eh? Lasciale un po’ di tregua, dai!”

Premette il tasto per il loro piano.

“Greg, mi stai ascoltand…”

Si voltò verso l’amico e lo trovò accasciato contro una parete, il bastone per terra.

 

 

House respirò profondamente, la testa gli scoppiava, si appoggiò ad una parete e si lasciò scivolare…

Vide tutto annebbiato attorno a lui….Wilson…non riusciva neanche a vederlo bene…

Poi tutto iniziò a vorticare dinanzi ai suoi occhi, li serrò, colto dalla nausea.

“GREG!”sentì Wilson gridare.

Si accasciò per terra e svenne.

“GREG!”urlò Wilson, chinandosi su di lui.

Era svenuto, accasciatosi nell’ascensore.

Lo scosse, tentando di farlo riprendere.

“Accidenti!”

L’ascensore saliva troppo lentamente per i suoi gusti.

Mise mano al cercapersone chiamò la Cuddy ed il team di House.

Che lo volesse o no, loro sarebbero venuti a saperlo, in un modo o nell’altro.

Come spiegare lo svenimento, altrimenti, senza accennare alla malattia.

Non aveva avuto ancora il tempo per dirlo alla Cuddy, forse questa era volta buona…

Si inginocchiò accanto a lui, facendogli posare la testa sulle proprie ginocchia…

“Resisti, ti prego, Greg!”

Quando la porta dell’ascensore si aprì si ritrovò davanti la Cuddy ed il resto del team.

“Datemi una mano!”disse, sollevando l’amico ed issandoselo su una spalla, aiutato da Chase.

“Cosa è successo?”chiese Cameron, preoccupata.

“Si è sentito male in ascensore.”rivelò Wilson.

“Stava benissimo prima, quando faceva l’idiota!”disse la Cuddy, mentre lo portavano in una stanza libera e lo adagiavano sul letto.

“Che cos’ha, Wilson? È strano in questi giorni, l’hai notato anche te!”disse Cameron.

“E la telefonata di quell’altro oncologo, poi!”incalzò la Cuddy, per poi aggiungere “Me l’ha detto Cameron.”

“L’FBI non è nulla a confronto dello schieramento delle donne in questo ospedale, eh?”fece lui, sarcastico.

“Mettigli il respiratore, Chase. Potrebbe averne bisogno.”aggiunse, poi.

Chase obbedì.

“Tu sai cos’ha. Diccelo.”disse Foreman.

Wilson sospirò.

“Non so se è il caso. Lui non era tanto d’accordo a proposito.”

“Wilson!”

“E va bene! Greg è malato!”

“Da quando lo chiami Greg? Non lo chiami mai così!”disse la Cuddy.

“E poi “malato”? Di cosa?”

Wilson sospirò nuovamente.

“Ha il cancro. Stavolta non è uno scherzo, però. È tutto vero.

Mi ha dato la sua cartella per la conferma.”

“E l’altro oncologo?”

“Era in cura in un altro ospedale perché non gli andava di diffondere qui la notizia, ma ha sospeso la cura.”

Li vide pallidi e tremanti.

Tutti, perfino Foreman che detestava House ed il suo atteggiamento.

Cameron soffocò un singhiozzò e cercò l’abbraccio di un pallidissimo Chase.

La Cuddy taceva.

“Dimmi che è uno scherzo.”

Wilson scosse la testa.

“Ma dovrai fare degli accertamenti, no?”

“Appena House sarà d’accordo, sì. Non voglio che pensi che non ci fidiamo di lui.”

“Perché non ci ha mai dato prova di farlo, eh?”disse Chase, sarcastico.

“Ma è fin troppo serio per mentire. Ora, intendo.

E poi non ne avrebbe motivo.”

“Tu accertatene!

Appena sta meglio fagli tutte le analisi che esistono: sangue, Tac…qualunque cosa che confermi o smentisca questo cancro.”disse e se andò via, abbastanza sconvolta.

Il team di House guardò Wilson, sconvolto.

“Da quanto lo sai?”chiese Foreman.

“Qualche giorno, non di più.”

Guardò l’amico.

“E’ meglio se uno di noi resta accanto a lui.”disse, poi.

“Io ho l’ambulatorio, ma se qualcuno mi sostituisce, resto io.”propose Cameron.

“Faccio io i tuoi turni.”si offrì Foreman e la ragazza gli sorrise con gratitudine.

Chase scoccò uno sguardo geloso alla propria ragazza, prima che Wilson e Foreman lo trascinassero fuori.

“Non essere geloso.”disse l’oncologo.

“Non sono affatto geloso!”

L’australiano si voltò verso la stanza e la vide intenta a sfogliare una rivista.

Poi Cameron alzò lo sguardo ed incrociò il suo sorridendo.

“Lei ama te.”disse Wilson, battendogli una mano sulla spalla.

“Perché allora è voluta rimanere lei?”

“Spirito di crocerossina, direbbe House.”fece Foreman.

“Non ti crucciar, Chase.”

“E va bene.

Meglio che vada. Ho un mucchio di scartoffie da riempire.”

“Io vado a fare il turno di Cameron.”

“Ci vediamo.”disse Wilson, vedendoli allontanarsi in diverse direzioni.

Lo sguardo cadde sull’amico che giaceva a pochi metri da lui ed ebbe una stretta al cuore.

Sperava che sarebbe andato tutto per il verso giusto.

Doveva andare per il verso giusto!

Ciaoooooooooooooooooooo

Eccomi ad un nuovo chappy della mia fan fiction sul Dr House!!!!

Un grazie a:

Anna Mellory

Lady House: non hai idea di quanto mi faccia piacere avere le tue recensioni!!!!!!!!!!!!!!!!! Grazie, grazie, grazie!!!! Ti prego continua a seguirmi ed a commentare!!!!!!!!!!!!!!!!

Se ti va di chattare un po’ con me il mio indirizzo msn è artemisfowl@hotmail.it!!!!!!!!!!!!

Sei una grande e mi piacerebbe chattare con te!!!!!! Ti prego aggiungimi, mi farebbe molto piacere!!!!!!!!!!!

Lemnia: che dire di te? Sei grandiosa a commentare!!!! Ed ho letto un paio di tue storie e le adoro!!!! Grazie, grazie, grazie!!!!

Se vuoi chattare con me, il mio indirizzo msn è artemisfowl@hotmail.it

Ashley Snape: sei un vero tesoro, mia cara e sei una grandiosa autrice!!!! Sappi che ti voglio un bene infinito, che non si può neanche immaginare tanto è grande!!!! Fammi sapere che ne pensi di questo chappy per è importantissimo!!!!!

Diciamo che questa storia è una sorta d’esperimento…spero che vada bene e che piaccia agli altri….

Lasciati qualche commento, anzi molti!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Vi voglio bene, ragazzi!!!!!+

Bacioni sbaciucchiosi

Lily Black 90


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Capitolo 5
*** conferme e terapie... ***


Quando si riprese dallo svenimento House fu assalito da tutto il suo team:

“House! Mi dispiace così tanto!”

Cameron che lo aveva abbracciato forte, approfittando del fatto che era debole e bloccato a letto.

“Sei un vero idiota! Dovevi dircelo prima! Potevamo fare qualcosa!”

Foreman gli aveva dato una pacca sulla schiena abbastanza forte, chissà per screzio o scherzo.

“Mi spiace, House! Te lo sei proprio chiamato il cancro, eh?”disse Chase, abbracciandolo.

“Gliel’ho detto anch’io.”disse Wilson, entrando nella stanza.

Appena lo vide House esclamò:

“Dr Wilson! Mi aiuti! Mi stanno molestando!”

Wilson rise.

“Lasciatelo stare, ragazzi!”

“Ma non dovevi dirlo solo alla Cuddy, tu?”

“E con loro come facevo?”

“Perché volevi che non lo dicesse a noi?”chiese Foreman.

“Per evitare la reazione di prima e quella dell’ultima volta.”

“Siamo preoccupati per te!”

“Razza d’ingrato!”

“Grazie e comunque non ce n’è bisogno! Sto benis..”

Per dimostrarlo House si era rizzato a sedere, ma un fortissimo mal di testa ed un giramento, lo costrinse a gemere e ricadere all’indietro.

“Cosa dicevi sullo stare bene?”chiese Wilson.

“Siete dei guastafeste, sapete?”disse lui, con gli occhi chiusi.

La Cuddy vuole che tu rifaccia le analisi.”

House sbarrò gli occhi.

“Cosa?”

 

 

“Mi sento offeso! La Cuddy non si fida di me!”fece House, mentre entrava nella macchina per fare la Tac.

“E tu le dai torto?”disse Wilson.

“Sta fermo.”fece Foreman.

Nella sala era riunito tutto il team di House più Wilson.

“E’ una cosa ridicola. So benissimo cos’ho!”

“House, smettila di muoverti o ti anestetizzo!”disse Cameron.

House si decise a stare fermo.

Wilson e Chase si sistemarono davanti ai computer.

“Allora, visualizza tutte le parti del corpo. In caso sia sfuggito qualcosa.”

“Stomaco pulito, pancreas e polmoni anche. Vai più su.”

“Un suggerimento? Andate al cervello. Sapete quella massa di materia grigia che è contenuta nella scatola cranica, quella in testa? Quella che voi spesso non usate?”suggerì House, sprezzante.

“Se continua così, lo stordisco davvero.”disse Wilson.

“Ti ho sentito, sai? Hai l’altoparlante acceso! Non è molto carino da parte del mio medico curante, sai? Potrei offendermi!”

“Se questo serve a farti stare zitto, va benissimo.”rispose Wilson a tono.

“Fallo contento, visualizza il cervello.”fece Chase.

Foreman e Wilson obbedirono.

“Oh, oh!”dissero tutti e quattro.

“Fatemi indovinare: massa centrale circa quattro centimetri, che aumenta interessando i vari lobi del mio geniale cervello?”disse House, dalla macchina.

Nessuno si curò di farlo tacere.

Erano fin troppo sconvolti.

“Per adesso ha interessato il lobo frontale, per la debolezza e quello occipitale per i disturbi visivi, come l’annebbiamento della vista che per poco non ha fatto schiantare Wilson e me.”continuò.

“Fatelo uscire.”disse Wilson in un soffio.

 

Ufficio di House.

Vi era riunito il diagnosta, il suo team, Wilson ed una spaventata Cuddy.

“Mi credi adesso, Cuddy?”chiese House, giocando con il suo yo-yo.

Lei annuì piano.

“House, mi…”

“Basta con “mi dispiace”! Ne ho piene le tasche!”sbottò lui.

“Come vuoi, però è vero.”

House sbuffò, infastidito da tante attenzioni, continuando a giocare.

Tutti lo guardarono.

“Non hai paura?”chiese Cameron, piano.

House alzò lo sguardo verso di lei.

“Di morire? No!”

“Dici sul serio?”

Wilson era sorpreso.

“Sì. Dico sul serio.”

“Da oggi Wilson si occuperà di te.”sentenziò la Cuddy.

“Già! Lo avevamo deciso già da prima.”rispose Wilson.

House ignorò la conversazione.

“HOUSE! Stiamo parlando della tua, potresti prestare un minimo d’attenzione?”esclamò Cuddy, facendo sobbalzare tutti i presenti, House compreso.

“Smettila d’urlare! Vuoi farmi crepare prima?”disse, guardandola, fingendosi scandalizzato.

“Sei un’idiota e lo sarai sempre, malato o no!”

“Oggi iniziamo con la terapia, d’accordo?”disse Wilson all’amico, ponendo fine al bisticcio, esaminando ancora una volta la cartella.

“Come vuoi!”fece l’altro svogliato. Sembrava non importarsene nulla.

“Morirà?”chiese Cuddy, appena usciti dall’ufficio di House, rivolta a Wilson.

“Non lo so. Non è una passeggiata avere il cancro, soprattutto al cervello.

Dipende dalla terapia.”

“Ma guarirà?”chiese Cameron stavolta.

Wilson scrollò le spalle. Non sapeva che dire, anche se avrebbe voluto dire con sicurezza di sì, che sì sarebbe sopravvissuto.

House aveva rischiato tante volte la vita, quando era stato sparato, rischiando l’overdose…ma mai come ora la possibilità di sopravvivere era così bassa.

“Che terapia dovrebbe utilizzare?”domandò Chase.

“Non lo so. La chemioterapia o la radioterapia.Non ne ho idea!”

Sedette, il volto tra le mani.

“Non può…morire…non deve!”sussurrò, affranto.

Era terrorizzato, più di quanto gliela aveva confidato.

Gregory House poteva essersi sbagliato, poteva aver preso un abbaglio.

Ma ora ne aveva la conferma e la verità era dura da accettare.

“Guarirà! Riusciremo a salvarlo, Wilson.”

Cameron gli sedette accanto e gli passò un braccio attorno alle spalle, vedendolo sconvolto.

Ma nessuno degli altri stava meglio.

Era facile dire che House era un rompiscatole, antipatico, misantropo, scorbutico e maleducato, ed era tutte queste cose!

Ma trovarsi davanti una realtà che lo avrebbe strappato via dalle loro vite non era facile da accettare.

“Possiamo usare la terapia Johuls. Non prevede solo la chemioterapia, ma aggiunge anche altri farmaci alla cura.”riflettè un attimo Wilson, togliendosi la mano dal volto.

“Ed il Vicodin non può compromettere la sua riuscita?”chiese Foreman.

“No, se non ne prende molto e dato che adesso ce l’ho io il suo flacone non lo farà…”

“E non pensi che ne qualcuno a casa, nascosto nell’ufficio o lo potrebbe chiedere al farmacista semplicemente?”

“Non penso. Sono stato con lui in questi giorni e non l’ho mai visto barare, accettando la mia dose. Non so, ma forse ha pensato che vivere fosse la scelta migliore.”

“Ed a casa sua?”

“Abito anch’io con lui in questo periodo un po’ per dargli un occhio, un po’ perché sto cercando un appartamento. E non ha fatto nulla.”

“Chiedi al farmacista dell’ospedale non dargli le pillole, se House va a chiedergliele.”gli consigliò Cuddy.

“Sì, così House mi ammazza!”

“Stiamo tentando di proteggerlo!”

“Ho la netta sensazione che non gli piaccia essere protetto e sentire la compassione altrui.”

“E per questo che non ha detto subito la verità?”

Chase era sbalordito.

“Ha nascosto a tutti, anche a te per un po’, di avere il cancro, solo perché non voleva essere compatito?”

Wilson annuì.

“Inizia con la terapia Johuls oggi pomeriggio. Non ci sono rischi, vero?”chiese Cuddy.

“No, ma è molto lenta ad agire.”

Hola a todos amigos!!!!

Bonsoir a tu le monde…vabbè lasciamo perdere le lingue perché solo con l’inglese me la cavo bene!!!!

Rieccomi qui, dopo parecchio tempo direi, ad aggiornare la mia storia su Dr House....

In primis: so che spesso sfioro l’OOC ed ho deciso di mettere questo avvertimento nella mia storia, quindi…lettore avvisato mezzo salvato!!!!

In secundis (ma vieni!!! pure il latino mò come lingua…): scusate se aggiorno raramente, ma al momento sono un po’ troppo impegnata con altre storie…

Un ringraziamento a:

Ashley Snape: sei un’amica meravigliosa, mia cara e ti voglio molto molto molto…bene!!!!!!!!!!

Lady House: sono contentissima che la mia storia ti piaccia!!!!

Nike 87: ciaooooo!!! Come noterai ho messo l’avviso OOC nelle avvertenze…ma se continui a seguirmi, mi farebbe molto felice!!!!

Grazie di tutto!!!!!!!!

Narufan: ovvio che le cose cambieranno…ho qualche idea, ma nulla di + per ora…mi sa che dovrai un po’ aspettare…il mio unico neurone è già troppo sotto stress…kiss

Lemnia: grazie dei complimenti…sono molto commossa…non merito, però!!! Hihihi continua a seguirmi, mi raccomando…kiss kiss

Vlad Tepes: grazie dei complimenti, mi hanno fatto molto piacere…

Ma mi sa che dovrai aspettare ancora un po’ per l’evoluzione della storia!!! Un bacione

Un kiss ed un abbraccio a tutti voi, soprattutto a coloro che recensiranno…

Lily Black 90

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** allucinazioni e peggioramenti ***


I giorni passarono lentamente, tra cure e diagnosi.

Terminarono piano quasi tre settimane.

Il mal di testa di Greg non accennava a diminuire, ma grazie a Dio non era svenuto di nuovo.

Ma ora al mal di testa si era aggiunta anche la nausea.

Gli sembrava di essere una donna in gravidanza, che non sopportava l’odore di nulla.

Tutta colpa di quei maledetti medicinali! E lui non poteva neanche più mangiare la sua briosce la mattina!

Il diagnosta zoppicava per i corridoi e si sentiva addosso lo sguardo dei suoi assistenti, della Cuddy, di Wilson…

Sembrava un sorvegliato speciale; pur capendo la loro preoccupazione andava su tutti i nervi quando qualcuno gli chiedeva come stesse e tutti finirono per non pronunciare più questa domanda.

La terapia Johuls prevedeva oltre alla chemioterapia anche altri farmaci e così, imbottito di quelli, più il poco Vicodin che Wilson gli concedeva, House arrivava a fine giornata reggendosi appena in piedi.

 

 

“Avete visto Greg?”

James entrò nella sala del diagnosta dove trovò i tre assistenti intenti a riordinare e revisionare cartelle.

“No. Tutto bene?”

“Non lo so, non lo vedo da dopo la terapia.”

“Piantatela di preoccuparvi! Starà bene! E’ di House che stiamo parlando, no?”

Chase cercò di minimizzare, ma ottenne solo un’occhiataccia da parte di tutti.

“Ha il cancro! Come diavolo fai a dire di non preoccuparci!”esclamò Cameron, infervorata.

“Io vado a cercarlo! Ma deve finire questa storia!

Non possiamo farci venire un infarto ogni volta che non riusciamo a trovarlo!”

E così iniziarono a girare per l’ospedale.

Fortunatamente era tardi e non c’era molto lavoro da fare, altrimenti chi la sentiva la Cuddy!

 

 

Chiuso in un bagno al terzo piano Gregory House vomitava anche l’anima.

Che tutto quel malessere dipendesse dalla chemio o dal cancro non gliene fregava un accidenti.

Voleva solo stare meglio.

Respirò profondamente, seduto sul freddo pavimento del bagno.

Tremava da capo a piedi, si rese conto, quando si alzò piano per sciacquarsi il volto.

Ma quando alzò gli occhi, si rese conto che non era solo.

E fin qui  nulla di strano, se l’individuo dietro di lui non avesse avuto il viso coperto da un cappuccio calato sugli occhi ed uno strano abito scuro.

Il diagnosta lo guardò, stranito.

Da quando in qua si andava negli ospedali vestiti come la Falce della Morte?

“Chi diamine sei? E che ci fai vestito così?

Halloween è passato da un bel pezzo, sai?”chiese sprezzante e barcollò verso l’uscita, ancora debole.

Ma l’uomo lo fermò e lo prese per un braccio costringendolo a voltarsi.

Occhi azzurri contro occhi neri.

Neri come un pozzo senza fine.

Per la prima volta in vita sua Greg ebbe davvero paura.

“Non hai paura di me, Gregory?”disse lui con voce profonda e cupa da far rizzare i capelli.

D’un tratto capì di chi si trattasse, anche se all’inizio era stata tutta una stupida supposizione.

La Falce della Morte, ma andiamo?

Eppure…

“No!”

Con tutte le forze che aveva riuscì a liberarsi dalla presa della Morte.

Lui, lei, rise, una risata gelida che si diffuse in tutto il bagno.

“Non fare lo spavaldo, Greg House. Io ti sto aspettando e tutti hanno paura.

Ne avrai anche tu.”

“No! Non ho paura di morire e non ho la minima intenzione di iniziare ora ad averne!”

“Non hai nulla da perdere in fondo. Fallo. Lasciati andare. Muori. Io ti sto aspettando.

Non hai nessuno, Greg. Sei solo, lo sei sempre stato. E lo sarai sempre, anche nella morte.”

Aveva ragione e Greg lo sapeva benissimo, ma non gli importava.

Oppure sì?

“Torna più tardi. Ora non ho la minima voglia di morire. Ti faccio io un fischio!”

Che stupida allucinazione. Sognare la Morte!

E poi perché diavolo non si stava ancora svegliando? Cos’era successo?

Lei gli si avvicinò, piano, lentamente.

Lui non si mosse.

Se era un sogno, e lo era di sicuro, non doveva avere paura di nulla.

Ma Lui ( o Lei) lo afferrò per le braccia e lo strinse forte, in una morsa d’acciaio.

Ma cosa diamine stava succedendo?

Tentò di divincolarsi, ma non ci riuscì.

“Calmati. Sei al sicuro ora. Smettila di agitarti.”disse Lei, mentre lo serrava nella sua morsa fatale.

“NO! LASCIAMI ANDARE, RAZZA DI…”

E poi sentì un leggero bruciore.

Come di…una siringa?

E poi tutto diventò nero.

 

 

 

Si svegliò parecchi giorni dopo, steso in un letto d’ospedale, con una flebo attaccata al braccio e la testa dolorante.

Si sentiva malissimo, come se qualcuno lo avesse usato come pignatta.

Serrò gli occhi, sforzandosi di ricordare come diamine fosse arrivato nuovamente su un letto d’ospedale.

Il cancro era peggiorato? La terapia non faceva effetto?

Lo stava indebolendo invece di ridurre il tumore? Cosa diamine gli stava succedendo?

L’ultima cosa che ricordava era l’aver visto la Morte.

House spalancò gli occhi di colpo.

Questo non era possibile.

La Morte non era una persona che tende agguati nei bagni, vestita di nero con il cappuccio calato sugli occhi.

Forse aveva visto troppi film.

Sì, era decisamente quella la causa.

Aveva avuto un’allucinazione. Ma…

“Ah! Sei sveglio! Finalmente! Ero così preoccupato!”

Una voce maschile lo distolse dai suoi pensieri contorti.

Era James Wilson.

“Devi smetterla di preoccuparti! Altrimenti ti verranno i capelli bianchi! E poi chi ci esce più con te?”scherzò House.

L’oncologo fece una smorfia e Greg rise.

Ma smise subito perché gli doleva la testa.

“Come faccio se ogni volta che giro lo sguardo tu fuggi via e svieni o ti fai prendere dalle allucinazioni?”

Greg lo fissò, sbalordito.

“Cosa?”

Si costrinse a mettersi seduto per guardare meglio l’amico.

Era davvero stravolto, i capelli castani erano arruffati più che mai e aveva delle pesanti occhiaie.

“Ti abbiamo trovato, io ed i tuoi assistenti, in un bagno del terzo piano.

Stavi parlando da solo e ti muovevi stranamente, poi quando Chase ha provato a bloccarti ti sei messo ad urlare.

Ed allora ti abbiamo infilato una bella dose di calmante.”

“Ho avuto un’allucinazione.”

Era un’affermazione.

“Sta peggiorando e la terapia Johuls non funziona.”continuò, guardandolo fisso negli occhi per vedere la sua reazione.

James non disse nulla.

Si limitò a ricambiare lo sguardo, rimuginandoci su.

“Dobbiamo interromperla.”proseguì Greg.

“E’ la più sicura e priva di rischi.”

“Ma anche la meno efficace. Mi servono dei farmaci che combattono il mio cancro, non che mi tengano al sicuro.

Ci vuole qualcosa di più aggressivo.”

James Wilson non osò contraddirlo.

Primo perché stava malissimo e poi perché aveva ragione da vendere.

Il problema delle terapie aggressive era che spesso facevano più male che bene.

Potevano ridurre il tumore e far morire il paziente di qualcos’altro.

“Terra chiama James Wilson! Sei con noi o ti sei trasferito su Plutone?”

House si sporse un po’ per sventolargli una mano davanti al viso.

Si era incantato, perso nei suoi pensieri.

“Sì…scusa…mi sono distratto un attimo.”

“Ma che oncologo che ho! Non ha la minima considerazione del suo malato!”

Greg si finse offeso, mentre James sospirava.

Ci fu un po’ di silenzio.

“Gli altri? È strano non avere le guardie del corpo!”

La Cuddy è a casa, ed anche Foreman. Ma Cameron e Chase hanno il turno di notte.”

“Quanto sono stato qui?”chiese il diagnosta.

“Quattro giorni. È domenica sera.”

“E tu sei stato qui per quattro giorni? Notevole! Vuoi vincere il premio per il medico più premuroso del mondo? Attento che c’è anche Cameron in questa categoria!”

“Non sono stato sempre io a farti da guardia. Abbiamo fatto dei turni.”

“Aah! Capito!”

Altro momento di silenzio.

“Cosa hai visto nella tua allucinazione?”chiese d’un tratto James.

Greg lo guardò, sogghignando.

“Cosa c’è? Ti diletti a fare lo psicologo, ora?”

“Eri spaventato…voglio sapere cosa hai visto.”

“Nulla di che. Non ricordo bene.”

“Menti. Ti conosco, Greg. So quando menti e quando sei turbato.

Ora sei entrambe le cose.”

Greg non disse nulla.

“Non c’è nulla di cui preoccuparsi, Jimmy. Nulla.”

 

“Non hai nulla da perdere in fondo. Fallo. Lasciati andare. Muori. Io ti sto aspettando.

Non hai nessuno, Greg. Sei solo, lo sei sempre stato. E lo sarai sempre, anche nella morte.”

 

 

 

House non  gli rivelò la sua allucinazione. Si sentiva stupido anche solo a rifletterci sopra.

Aveva immaginato la Morte. Forse la sua malattia lo stava suggestionando e preparando al peggio?

Ma lui non aveva intenzione di morire.

“Non hai nulla da perdere in fondo. Fallo. Lasciati andare. Muori. Io ti sto aspettando.”

Aveva detto. Aveva ragione. Era solo, che senso aveva combattere? E per cosa poi?

Perso fra i suoi pensieri, finì per addormentarsi e cadere nelle braccia di Morfeo.

James rimase lì a guardarlo dormire, vedendolo agitarsi nel sonno, come preso da chissà quali pensieri.

Le sopracciglia aggrottate, una smorfia sul viso…

Ma a cosa diamine stava pensando per essere agitato anche durante il sonno? Si ritrovò a pensare, ma non trovò nessuna spiegazione.

Senza neanche sapere perché, seguendo solo un impulso improvviso tese la mano e prese quella dell’amico, abbandonata sulle coperte.

Gliela strinse, forse per fargli capire che non era solo, che non lo era mai stato...

Che aveva degli amici, delle persone che gli volevano bene e che era un’idiota a rendersi conto di tante cose anche di quelle più insignificanti, ma di tralasciare quelle più importanti.

Come l’amicizia…o l’amore…

Ed eccomi alla fine di questo chappy…scusate ancora per il ritardo, ma sto seguendo fin troppe storie contemporaneamente ed un giorno capiterà che in una storia di Dr House mi metterò a parlare di Harry Potter e Sirius Black!!!! In tal caso perdonatemi, please!!!!

È finalmente iniziata la quarta stagione su Mediaset, che io avevo già visto in inglese dalle puntate che ho sul pc…ma non importa!!!!

Che carina che è Tredici, eh? L’adoro come personaggio e sto iniziando ad odiare Chase…più del solito, intendo!!!

Ditemi che ne pensate della quarta stagione…e seriamente: ce la vedete Tredici con il MIO Greg???

grazie a Narufan: è vero quello di prima era molto di passaggio, avevi ragione!!! grazie della fiducia e delle recensioni!!! continua a seguirmi e non mancare di dirmi che ne pensi!!!

Lemnia: grazie della recensione, Lemnia!!!! mi ha fatto come sempre molto piacere leggerla, continua a dirmi che pensi dei miei capitoli, mi raccomando!!! ma tu hai msn? mi piacerebbe molto poter chattare con te!!!! un bacione

Kagura92: grazie dei complimenti, sei davvero molto dolce!!!! continua a leggere la mia storia e dimmi che ne pensi!!!! 

siete delle grandi ragazze mie, mi fa molto piacere leggere le vostre recensioni...continuate a seguirmi, vi prego...

Un bacione

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Capitolo 7
*** Litigi e separazioni ***


“House! Stai bene?”

Cameron guardò il suo capo con occhi sgranati, trovandolo sveglio dopo giorni passati senza aprire occhio.

Lui fece un ghigno.

Era passato solo un giorno da quando si era risvegliato ed era già al lavoro.

Aveva obbligato gli infermieri a portare lì la sua adorata lavagna bianca ed i suoi pennarelli, per poter formulare nuove diagnosi ed indagare sui casi proposti.

“Dovresti riposare! La Cuddy ha detto che potevamo benissimo occuparcene noi!”

Cameron tentò di protestare e si fece avanti per togliergli di mano i pennarelli, ma lui la scansò e li alzò per non farli prendere.

Foreman, seduto su una poltrona della stanza di House, ridacchiò piano.

“Su! Fai la brava, Cameron! Sto solo facendo nuove ipotesi e poi l’inattività mi rende nervoso!”

“Lascialo stare, Cameron! Sai benissimo che tanto ottiene sempre quello che vuole!”

Chase entrò nella stanza.

“Grazie! Vedi? Devi fare esattamente come fa il tuo boy!”

“Dartela vinta?”

“E’ una tecnica che funziona sempre! E poi sto benissimo!”

“Sul serio? Non ti fanno più male la testa e la gamba?”

“Sono sotto morfina! Cosa vuoi che mi faccia male? Ed ora state zitti un secondo!”

I suoi assistenti alzarono gli occhi al cielo.

Non sarebbe cambiato mai!

 

I giorni passarono con più lentezza del solito.

House aveva convinto Wilson a lasciarlo andare a lavoro, contrariamente all’amico che lo voleva tenere ancora qualche giorno a riposo.

Quindi solo due giorni dopo le sue allucinazioni, Gregory House era tornato al lavoro, tentando di togliersi dalla mente ciò che aveva visto.

Ma non era facile, poiché le parole gli ritornavano continuamente in mente.

Ormai si erano insinuate nella sua mente e lo tormentavano ogni volta che la sua testa era libera da pensieri.

Perciò faceva di tutto per tenersi impegnato con nuovi casi.

E all’orizzonte c’era anche un altro problema: la terapia da iniziare.

Dopo il fallimento della precedente, Wilson si era messo a cercarne una migliore.

Ma Greg lo vedeva combattuto tra il desiderio di scegliere la più adatta a distruggere il tumore e quella che gli avrebbe riservato meno danni possibili.

Peccato che spesso erano inconciliabili queste due cose.

Wilson lo sottopose ad un nuovo ciclo di chemio, ma le cose non accennarono a migliorare.

Più sconfortato che mai, Greg iniziò ad essere sempre più intrattabile con tutti quelli che aveva a tiro, James soprattutto, come se in un certo senso lo ritenesse responsabile di ciò che stava accadendo.

 

Il vento soffiava leggero quella mattina ed un sole tenue brillava fiocamente, seminascosto da nuvole che minacciavano pioggia.

Greg House sfiorò nuovamente le sue analisi.

Non stava funzionando. Non stava funzionando affatto. Nulla di ciò che aveva provato stava dando il benché minimo frutto!

Il cancro era ancora lì e non accennava a sparire o almeno a diminuire.

Sentì la rabbia e lo sconforto crescergli in petto e gettò lontano la sua cartella clinica, frustrato.

Non voleva morire, non ne aveva la minima voglia.

Le cose dovevano cambiare ed in fretta.

Lesse nuovamente la scheda di una nuova terapia sperimentale.

Era quella l’unica soluzione.

“Ehi! Che ci fai qui?”

La voce di James lo distolse dai suoi pensieri.

Greg alzò lo sguardo.

“Nulla. Mi nascondevo dalla Cuddy! Mi ha propinato un caso che non ho intenzione di risolvere!”

“Come no, detective dei miei stivali! La Cuddy sa come stai ed evita di darti casi idioti ed inutili. Che è successo?”

Si sedette per terra sul pavimento del balcone accanto all’amico.

“Sfuggivo dalla Cameron…”

Sguardo scettico.

“Mi andava di pensare, ok?”

“Ed hai pensato che il balcone del mio ufficio fosse il posto più indicato per farlo?”

“Almeno qui solo tu avresti rotto!”

James rise.

“Sono le tue analisi, vero?”

Indicò la cartella gettata lontano da loro.

Greg annuì.

Gli lanciò uno sguardo significativo e James capì.

“Non sta funzionando e lo sai. Il cancro non è migliorato.”

“Greg…”

“Dobbiamo cambiare terapia.”

Gli porse un plico di fogli.

La scheda di quella terapia che leggeva prima.

James Wilson li sfogliò e scosse la testa, restituendoglieli.

“Scordatelo! Levatelo dalla testa!”

“Perché? Paura di rischiare?”

“Tu che dici? È una terapia sperimentale!”

“Ha superato tutti i primi test! E poi è la più indicata per il mio cancro.

È diffuso ed ha bisogno di una terapia aggressiva.”

“NO!”

“Andiamo! Sai benissimo che solo se le dimensioni diminuiscono si potrà asportare il tumore!”

“Ho detto di no, Greg! Sono il tuo oncologo e la mia risposta è no!”

James Wilson si alzò ed entrò nel suo ufficio.

Sbuffando, Greg si appoggiò al bastone per alzarsi e lo raggiunse.

“Perché no? Non fare l’ostinato!

Andiamo!”

“Ma ti rendi conto di cosa mi stai proponendo?”

“Un’opportunità per salvarmi la vita! Ma se preferisci usare una terapia sicura e perfettamente inutile, fai pure!”

James gli lanciò uno sguardo truce.

Poi uscì dal suo ufficio.

Cocciuto come sempre, Greg House lo seguì zoppicando.

“Quella terapia potrebbe danneggiarti i polmoni ed il cuore! Hai letto la scheda, no? Preferisci essere salvato dal cancro e morire per il resto?”disse.

“Il cuore ed i polmoni possono essere sostituiti! Il cervello no e poi il mio non lo voglio cambiare con nessuno! È mio e me lo tengo!”disse, battendo il bastone per terra con forza.

Parecchi si voltarono a guardarlo, ma lui non se ne curò affatto, come al solito.

“E poi dubito fortemente che tra un paio di mesi i nostri grandiosi scienziati abbiano inventato un trapianto di cervello!”

“Sei un’idiota! È troppo pericoloso! Tu non hai idea dei rischi! Anzi, li conosci e non te ne importa!”

“Io corro rischi ogni giorno! Per salvare vite utilizzo anche delle terapie sperimentali!

E lotto quotidianamente per salvare una vita, con tutti i mezzi che possiedo!”

“A te non interessano i pazienti! Lo fai solo per te! Per una tua semplice sfida personale!”

Stavano urlando nel bel mezzo del corridoio.

“E’ vero! Non sarò come te o come Cameron, che vi affezionate ad ogni stupido e singolo paziente! Ma pur facendolo solo per me, io salvo delle vite e lo faccio utilizzando ogni mezzo! La sai la differenza tra me e te?

A te interessano i pazienti, ma non osi in nulla. Preferisci usare terapie “sicure” anche se il loro intento è quello di uccidere il paziente più lentamente e non di salvarlo!

Io me ne frego dei pazienti, ma faccio di tutto per fare bene il mio lavoro!”

James lo guardò con tanto d’occhi e così anche tutti i presenti nel corridoio.

Nessuno aveva mai visto James Wilson e Gregory House litigare così, urlando nel mezzo del corridoio.

L’oncologo era sorpreso e ferito insieme dal discorso dell’amico, mentre il diagnosta restava in piedi, appoggiato al suo fedele bastone, respirando piano.

“Io non gioco con la vita dei pazienti, Greg. Non come fai tu!”

Greg rise amaramente.

“Già tu li uccidi e basta.”

Tacquero per un istante.

“Ridammi le mie analisi. Cercherò un altro oncologo.”disse poi, sbalordendo tutti, compreso se stesso.

Non sapeva neanche lui cosa l’avesse spinto a dire quella frase.

Ma ormai non poteva e forse non voleva rimangiarsi tutto e ritornare sui propri passi.

James scosse la testa.

“Cos’è? Hai cambiato idea?”

“No. Ma non intenzione di rimanere con le mani in mano mentre tu tenti di ucciderti!”

“Faccio quel che mi pare della mia vita ed a te non deve interessare un accidenti!”

“Sto tentando di salvarti!”

“Se lo stessi facendo, mi daresti retta. Ma forse non sono così importante per correre un rischio, vero Jimmy?

Non ne vale la pena, eh?”disse sprezzante, con l’intento di ferirlo.

Quelle parole fecero più male di tutto il resto.

“Non ne vale la pena, eh? Non sono così importante per correre un rischio?”aveva detto Greg House.

James Wilson tacque, tremando per la rabbia.

Gli lanciò le analisi.

“Sei un vero stronzo. Forse qui sono uno dei pochi che veramente si interessa a te.

Va al diavolo, House!”

E se ne andò, lasciandosi dietro un silenzio attonito.

 

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Capitolo 8
*** scuse ed abbracci ***


James Wilson gettò il plico di fogli sulla terapia sperimentale nel cestino, senza neanche degnarli di un’ulteriore occhiata.

Ribolliva di rabbia e dolore.

Nel suo studio House bistrattò i suoi assistenti più del solito.

Era rimasto qualche manciata di minuti ad esaminare un caso dei paperotti, che gli avevano chiesto aiuto, e prima di riuscire a dare una decente diagnosi, House li aveva mandati al diavolo e si era chiuso nel suo ufficio, disteso sul pavimento.

Prese e lasciò perdere la sua adorata pallina.

Accese e spense la televisione, anche se c’era General Hospital.

Lanciò uno sguardo al lavagna completamente bianca che poco fa, preso da una rabbia improvvisa, aveva gettato per terra.

Serrò gli occhi, tentando di ignorare le parole che poco prima aveva urlato a James Wilson.

“Non ne vale la pena, eh? Non sono così importante per correre un rischio?”

Peccato che, come era successo con le parole della Morte, quelle non facevano altro che rintronargli in testa.

Il dolore alla gamba era insopportabile, superato solo da quello alla testa.

Si trascinò verso il flacone di Vicodin e ne ingoiò una manciata sperando che funzionasse per entrambe le cose, digrignando i denti per il dolore.

Si ridistese sul pavimento e si lasciò andare ad un lungo e tormentato sonno.

 

House e Wilson non si rivolsero la parola per giorni.

Ormai tutto l’ospedale sapeva del loro litigio e tutti ne erano stupiti.

Gregory House aveva un caratteraccio, ma non aveva litigato mai in quel modo con il suo migliore amico, né l’aveva mai accusato di non importarsene.

House aveva interrotto il ciclo di chemio ed ora combatteva il dolore solo grazie al Vicodin.

Troppo orgoglioso per chiedere scusa, o anche solo per rivolgergli la parola, Greg rinunziò ad ogni consulto con l’oncologo ed ignorando il dolore continuò a lavorare.

“Non puoi andare avanti così!”lo rimproverò Cuddy, quando Greg le chiese per l’ennesima volta di prescrivergli il Vicodin.

“Perché no?”

“Perché sei venuto da me a chiedere la prescrizione? I tuoi assistenti non sono disponibili? Li hai mandati ad intrufolarsi a casa di qualcun altro?”

“Solo Foreman e Cameron. Chase fa il mio turno di ambulatorio. E poi mi hanno boicottato. Vogliono che parli con Wilson e non  mi vogliono prescrivere nulla.

Forse li dovrei licenziare.”

House prese il foglio della prescrizione dalla mano della Cuddy, prima che lei cambiasse idea.

“Dovresti risolvere la situazione! I tuoi assistenti hanno ragione!”

“E perché tu, invece, mi aiuti?”

“Perché senza Vicodin moriresti di dolore e potresti fare una pazzia!!!

Le fai anche senza avere il dolore alla testa. Sommando le due cose, senza Vicodin, saresti più pazzo di come sei ora. E non riesco a reggerti già così, quindi!”

House fece un ghigno, che sembrò più una smorfia di dolore.

“Grazie, allora!”

Fece per andarsene, ma Cuddy lo afferrò per un braccio e lo costrinse a voltarsi.

“Greg House, tu stai male. Hai un tumore al cervello. Se non inizi subito una terapia, morirai, lo vuoi capire o no?”

House si liberò dalla sua stretta.

“So quel che faccio. E non ho paura della morte.”

“Sì che ne hai. Tutti hanno paura di morire ed il fatto che tu ti creda diverso, non ti rende tale!!! Sai quel che fai, eh?

Cosa vuoi fare? Spingere Wilson ad assecondarti? Pensi che vederti su un letto di morte, lo costringerà ad accettare le tue pretese?

C’è un motivo se ti ha rifiutato quella terapia, House e tu lo sai!

Non puoi accusarlo di non voler rischiare, né tantomeno di non importarsene!

Sei stato davvero crudele! Sta, anzi no, stiamo cercando tutti di aiutarti! Vorrei solo che te ne rendessi conto, House!!!

Prova solo per un secondo ad uscire dal tuo mondo di menefreghismo e renditi conto che ci sono persone che ci tengono a te, anche se in fondo non te lo meriteresti neanche, dato il tuo caratteraccio! E se Wilson non vuole usare quella terapia significa che potrebbe solo peggiorare le tue condizioni e non salvarti la vita!!!”

House era rimasto sorpreso dalla sfuriata della Cuddy e pur capendo le sue motivazioni, aveva continuato cocciutamente per la propria strada.

 

Tutto era immerso nel silenzio, non c’era il benché minimo rumore.

Immerso in un mondo così tranquillo, Gregory House era sfuggito ai suoi assistenti ed alla Cuddy e restava lì, seduto appoggiato contro il muro, nella rampa di scale di servizio.

Non aveva nessun caso da risolvere in quei giorni.

Chiuse gli occhi, affranto ed annoiandosi da morire.

Era quasi un mese da quando lui e Wilson avevano litigato ed anche se si sforzava di pensarci, era piuttosto difficile farlo se la persona in questione lavorava nello stesso ospedale.

James, dal canto suo, continuava a soffrire per le parole dette dall’amico, ma non aveva fatto nessun gesto per parlargli di nuovo ed orgoglioso anche lui, taceva.

 

Il dolore in quei giorni non aveva fatto altro che tormentare il diagnosta e c’erano volte in cui era così forte che neanche il Vicodin, una massiccia porzione, riusciva a quietarlo.

Come in quel momento, infatti.

Strinse forte i pugni, finché le unghie non si conficcarono nella carne, serrando gli occhi e digrignando i denti.

Provò a bilanciare il dolore ferendosi, sferrando in preda alla disperazione un forte pugno nel muro, ma neanche questo funzionò.

Accasciato contro il muro, tentò di alzarsi aggrappandosi alla ringhiera.

Ma perse la presa e cadde, scivolando lungo la rampa di scale.

Terminò la caduta, atterrando più dolorante che mai, sul pianerottolo.

Imprecando in tutte le lingue che conosceva rimase sdraiato sul freddo pavimento, incapace di muoversi a causa del dolore che lo invadeva ad ondate fortissime.

Rimase lì per un tempo imprecisato, respirando affannosamente, gli occhi chiusi e mordendosi le labbra.

Non aveva scelta. Doveva chiamare aiuto, anche se il suo orgoglio glielo aveva impedito per quasi un mese.

E conosceva bene l’unica persona che glielo poteva offrire: non la Cuddy, né Cameron, Chase o Foreman.

Lui.

Prese il cercapersone e con uno sforzo si appoggiò al muro, mettendosi quasi seduto.

“Ho bisogno del tuo aiuto. Sono alla rampa di scale.”scrisse con mano tremante, per poi lasciare cadere il cercapersone appena spedito il messaggio.

Non restava che aspettare.

 

Quando James Wilson lesse il messaggio stava parlando con un paziente.

“Mi scusi un attimo.”disse, sentendo la vibrazione del cercapersone.

Quando lesse chi glielo inviava, imprecò tra sé.

“Come diamine vuole, ora?”disse non preoccupandosi neanche di abbassare la voce.

Il paziente, un arzillo vecchietto di 80 anni, lo guardò, interrogativo.

“Con chi ce l’ha?”

“Con un amico idiota.”rispose Wilson, cliccando per leggere il messaggio.

Quando lo fece lasciò cadere il cercapersone che rovinò a terra con un rumore sordo.

“Cos’è successo?”chiese il suo paziente.

“Nulla di buono.”disse, prima di correre via diretto alla rampa di scale.

Scese di corsa le scale e quando vide l’amico accasciato contro il muro sul pianerottolo per poco non gli mancò il fiato.

“HOUSE!”

 

Greg era semi-svenuto, quando James arrivò.

Sentì rumori di passi, ma tenne gli occhi chiusi.

“House!”

Era la sua voce, era venuto anche se lui si era comportato da stronzo nei suoi confronti.

Wilson si inginocchiò accanto a lui e provò a farlo alzare.

Ma l’amico era troppo debole per fare anche un solo sforzo.

“Riesci a sentirmi?”chiese piano, vedendolo con gli occhi chiusi.

Greg annuì impercettibilmente.

James si sedette accanto a lui e gli passò un braccio attorno alle spalle, sostenendolo.

“Sto bene.”disse piano l’altro.

“Non direi proprio.

Sei quasi svenuto dal dolore.”

“Avevi ragion...ah!”gemette, improvvisamente, portandosi la mano alla gamba ed alzando gli occhi azzurro cupo velati di sofferenza verso il soffitto bianco.

“Non importa chi aveva ragione. Ma sei stato uno stronzo in ogni caso.”fece Wilson.

House rise piano, ma smise subito perché gli doleva tutto.

“Io...non…volevo…dire…quelle cose.”ansimò puntando lo sguardo verso Wilson.

Era maledettamente sincero.

Wilson lo notò dai suoi occhi, non tanto dalle parole.

Non mentiva.

Non stavolta, almeno.

“Lo so. Non importa, davvero.”

“So che t’importa…ero così preso da quell’idea…”

“Che non hai voluto sentire altre ragioni. Hai smesso la chemio ed hai iniziato a calmare il dolore con una tripla quantità di Vicodin. Sei diventato un drogato peggio di prima!”

“Diciamo più di una tripla quantità. Chiedi alla Cuddy se non mi credi.”

“Mi hai ricattato per quasi un mese! Perché sapevi che se ti avessi visto in pericolo avrei fatto marcia indietro!”

“Ho puntato sulle tue debolezze. Sono un’abil…”

Serrò gli occhi, gemendo forte e piegandosi in avanti.

Wilson continuò a stringergli la spalla forte.

“Greg…

Non puoi andare avanti così. Non puoi farlo. Ti prego.”

“Ce la faccio.”

“Morirai!”urlò Wilson d’un tratto, sorprendendo anche se stesso oltre all’amico.

“E se anche…”

“Mi importerebbe, razza d’idiota! CI importerebbe! Non puoi morire solo perché a te non importa nulla. Non permetterò che tu ti lascia andare.”

Wilson scattò in piedi e lo fronteggiò, furibondo.

“Perché? Perché no?”

Ora anche House stava urlando.

“Perché no, cosa? Perché non dovresti lasciarti morire? Sei un uomo intelligente! Arrivaci da solo!”

 

“Non hai nulla da perdere in fondo. Fallo. Lasciati andare. Muori. Io ti sto aspettando.

Non hai nessuno, Greg. Sei solo, lo sei sempre stato. E lo sarai sempre, anche nella morte.”

 

Le parole della Morte gli tornarono in mente di colpo.

“Lo sai che non avrebbe senso continuare. Lo sai benissimo.”disse abbassando la voce.

“Non dire stronzate! Da quando ti metti a pensare a queste cose? Da quando hai iniziato a riflettere sul senso della tua vita? Non hai mai detto cose del genere.”

“Anche se vere.”

“Non volevo dire questo. Né lo direi mai!”

Tacquero per un po’, poi House confessò.

“E’ per via dell’allucinazione.”ammise.

“Un’altra?”

“No. La prima.”

Wilson lo guardò, continuando a rimanere in piedi, studiandone l’espressione.

E per la prima volta in vita sua lo vide in difficoltà.

Lo vide tentennare.

“Ha detto ciò che ho appena detto anche io. Che non aveva senso andare avanti. Che dovevo lasciarmi andare. Che ero solo e che non sarebbe cambiato nulla neanche da morto.”

Poi si sforzò di sorridere.

“Ma sono solo stupidaggini, vero?”

“Non lo pensi.”

“Io…è stata solo un’allucinazione!”

“Che ti ha sconvolto! Altrimenti non diresti queste cose! E perché non mi hai detto nulla prima d’ora?”

“Pensavo che fosse una stronzata.”

“Lo era finché non ti ha spinto ad un suicidio.”

“Non mi ha spinto a nulla!”

Sguardo scettico.

“E va bene! Come vuoi tu!”

Chinò lo sguardo, portandosi una mano alla testa.

Wilson si precipitò da lui, preoccupato.

“Greg…”

L’amico era chino su se stesso, la testa tra le mani, gemendo di dolore.

“Va…tte...ne!”

Greg tentò di allontanarlo da sé.

“Io non vado da nessuna parte.”disse l’altro.

Si sedette accanto a lui e seguì l’istinto, ignorando una futura reazione dell’amico.

Lo strinse a sé in un abbraccio, facendogli posare la testa contro la sua spalla.

Erano vicinissimi, come mai in 20 anni che si conoscevano.

Greg non si oppose alla sua stretta, così inaspettata da entrambi.

Non solo perché non ne aveva la forza, ma anche perché stava così bene stretto a lui.

Una sensazione che non aveva mai provato in sua compagnia.

Un brivido di piacere nell’avvertire la sua stretta su di lui.

Il dolore continuava ad essere forte, annebbiandogli la vista e facendogli perdere conoscenza.

Lottò per rimanere cosciente ed ottenne quasi un compromesso.

Semi-svenuto rimase stretto all’amico, appoggiati sul muro del pianerottolo.

“Grazie.”si ritrovò a dire con un filo di voce, continuando la lotta per la coscienza.

Wilson non disse nulla, si limitò a rafforzare la stretta.

“Ti prego, fammi iniziare quella terapia.”disse Greg piano, la testa appoggiata alla sua spalla.

“No. Hai già tentato di ucciderti troppe volte per i miei gusti.”

“Sono disposto a correre il rischio.”

“No.”

“Non vuoi che guarisca a modo mio?”

“No, se il tuo modo consiste in una cura sbagliata.”

“Ce la farò.”

“Non ne sono così sicuro.”

“Abbiamo iniziato la cura che volevi tu. Ora iniziamo questa. Devo inginocchiarmi e supplicarti? Abbi pietà di un povero malato!”

James rise.

“Un povero malato idiota!”

“Come vuoi. Allora?”

L’altro sbuffò.

“Se accetto mi prometti che non farai più quello che hai fatto fino ad ora?”

“Non curarmi o non parlarti?”

“Entrambe le cose!”

Rise ancora.

Il dolore si era attenuato.

“D’accordo.”

“Allora va bene.”

“Ti ho fregato anche stavolta.”

“Guarda che posso cambiare idea.”

“Non lo farai.”

Wilson sbuffò, alzando gli occhi al cielo.

“Vero. Ci tengo troppo per rischiare ancora.”

“Lo hai fatto la prima volta!”

“Non sapevo che avresti fatto una cazzata del genere! Ti credevo più interessato a te stesso!”

“Sbagliavi!”

“Come fai ad essere così menefreghista?”

“Anni ed anni di duro allenamento.”

“Quindi, se accadesse a me una cosa del genere non te ne importerebbe nulla?”

“No.”disse, ma subito se ne pentì.

Provò una stretta al cuore nel pensare che lui avrebbe sofferto a quella negazione.

“Sì, invece.”

“Sì?”

“Solo per te, però. Non esageriamo.”

James Wilson sorrise.

“Mi sento lusingato.”

Stavolta toccò a Greg House sorridere.

Appoggiò meglio la testa sulla spalla dell’amico desiderando mantenere ancora per un po’ quel bel contatto.

Si voltò per ritrovarsi a pochi centimetri dal suo viso.

Il dolore continuava a venire ed ad andare, come ondate.

Ad ogni nuova ondata quasi inconsapevolmente cercava quel contatto con l’amico.

Cosa che mai aveva avuto il bisogno di fare prima d’ora.

Lui sempre così indipendente, così menefreghista, ora cercava un conforto e non si allontanava a quella stretta.

Era una novità nel suo carattere così introverso.

Una novità forse positiva, dopotutto.

Con Wilson aveva diviso tutto: gioie, battute, dolore, tanto dolore, dall’una e dall’altra parte.

Si erano cacciati sempre nei guai l’uno per l’altro, sempre.

Erano una coppia di amici che avevano vissuto fianco a fianco per anni, e non solo a casa di House.

“Questa malattia mi sta cambiando.”ammise e Wilson si voltò a guardarlo, sorpreso.

“Vero.”dovette dire.

“Non ti avrei mai chiesto scusa così facilmente, altrimenti. E non ti avrei pregato di farmi iniziare la terapia che volevo.”

“Forse stai diventando più umano.”

“See! Non accadrà mai!”

“Perché ti ostini a rimanere così? Perché non vuoi cambiare? Ti sei creato una reputazione ed un muro attorno a te che ti protegge da qualsiasi delusione d’amore o altro. Un muro che hai paura di abbattere e che non vuoi che nessuno abbatta.

Se sei cambiato, anche solo di un po’, è una cosa positiva.

Anche se non mi aspetto che tu diventi un santo da un giorno all’altro!”

“Ecco, vedi! Questa è una cosa che non accadrà mai e poi mai!”

James rise, alzando gli occhi al cielo e dandogli una pacca sulla schiena.

“Saresti una sorta di creatura mitologica. Un Gregory House buono e gentile.”

Stavolta toccò a Greg ridere.

“Ne sentiresti la mancanza?”

“Direi di sì. Anche se certe volte sei davvero impossibile!”

Altra risata.

“Andiamo. Cerchiamo di salire queste benedette rampe di scale!”disse Wilson d’un tratto, accorgendosi che le fitte di dolore erano diminuite.

Si alzò e tese la mano all’amico che l’accettò con una smorfia di dolore, alzandosi anch’egli.

“Tutto bene?”chiese James, vedendolo barcollare leggermente.

Greg annuì con fermezza.

“Andiamo!”disse indicando le scale con il bastone ed appoggiandosi all’amico per salire.

Camminarono lentamente, dato che Wilson doveva reggere anche House, temendo che potesse cedere da un momento all’altro come poco prima.

“Eccovi! Ma dove diamine vi eravate cacciati?”

Fu la voce della Cuddy ad accoglierli appena varcata la porta.

“Niente di che! Ci siamo solo fatti un giro per le scale di servizio. È un posto così interessante!”rispose Greg, lasciando la presa su Wilson e camminando da solo.

L’amico lo guardò preoccupato, rendendosi conto che si era allontanato solo per non essere infastidito dalla Cuddy con domande.

E forse perché non voleva fare vedere che aveva bisogno di aiuto.

Gli lanciò uno sguardo quando lo vide appoggiato al bancone delle infermiere.

“Sto bene.”sembravano volergli trasmettere quegli occhi azzurri, anche se non era la verità.

“Cos’è successo, Wilson? Pretendo una spiegazione!

Siete spariti! Tu hai l’ambulatorio oggi e House non può andarsene in giro così nelle sue condizioni!”

Tacque un secondo.

“Aspettate un momento! Vi siete chiariti, vero? Non sopporto più il fatto che non vi parlate come bambini!”

“Sì, abbiamo chiarito. È tutto risolto.”disse piano Wilson, guardando nella direzione di House.

Temeva un suo cedimento.

“L’ho convin...Ah!”

House non riuscì a finire la frase che sentì un’altra fitta, stavolta fortissima, alla testa.

Scivolò lungo il bancone, cadendo a terra.

“Oh, mio Dio!”

La Cuddy si mise le mani davanti alla bocca e corse dal diagnosta, preceduta da Wilson.

“House! Riesci a sentirmi?”chiese l’oncologo, sollevandolo dal pavimento e sorreggendolo.

L’amico teneva gli occhi chiusi, la bocca contratta dal dolore.

Si accasciò tra le braccia di Wilson, svenendo.

“House!”esclamò la Cuddy.

Wilson lo strinse a sé, controllandogli il battito.

“Dobbiamo ricoverarlo ed iniziare la terapia che voleva.”disse cupo.

“Ma…”

“So che è pericolosa. Ma con la sua cocciutaggine non si è curato per quasi un mese! Dobbiamo rimediare.”

 

Ciao a tutti voi ragazzi del sito che leggete la mia storia!!!

Se siete arrivati fin qui, vi ringrazio molto, poiché significa che la storia vi sta coinvolgendo e che vi piace…o almeno lo spero!!!

Hihihi!!!

House e Wilson hanno finalmente fatto pace, ma le condizioni del nostro diagnosta preferito sono irreparabilmente peggiorate e bisogna iniziare subito la terapia che desiderava lui.

Per la prima volta in tantissimo tempo lui e Wilson si sono ritrovati vicinissimi ed è mancato poco a…

Ma mi sa che quello lo inserirò più avanti, abbiate pazienza!!!

Grazie a Lady House: anche io odio Amber, la stronza-tagliagole!!! Ma come ha fatto Wilson a mettersi con lei?

È grandioso quando dice ad House: “Se mi avessi fatto quegli occhioni prima di Amber…”

Oddio!!! E quando dice che sono una coppia ed House dice: “Stiamo sempre parlando in senso metaforico?”

Macchè!!! Sarebbe bellissimo se fosse reale!!!

Ecco a te questo nuovo capitolo e mi raccomando dimmi che ne pensi!!!!

Un bacione ed un abbraccio

Lily Black 90

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** e finalmente...un bacio... ***


 

Il rumore del monitor che controllava il battito di House era l’unico rumore in quella stanza d’ospedale.

James Wilson finì di compilare le sue cartelle cliniche e posò lo sguardo sull’amico che giaceva inerme sul letto poco distante.

Erano passati 4 giorni da quando si era accasciato sul pavimento e d’allora non aveva più aperto occhio.

Dalla TAC che avevano fatto subito dopo lo svenimento, Wilson e la Cuddy avevano scoperto che il tumore era cresciuto, anche se di pochissimo.

Ora tutte le speranze erano riposte in quella terapia tanto rifiutata dall’oncologo per i probabili rischi.

Anche se le condizioni dell’amico erano stabili, Wilson non poteva fare a meno di continuare a fissare il monitor, temendo un possibile cedimento.

Un ulteriore cedimento.

Gregory House dormiva profondamente, sognando chissà che cosa, il respiratore attaccato al viso ed un’espressione rilassata sul volto.

James non potè fare a meno di ricordare l’ultima volta che l’aveva visto sereno…o almeno sofferente a causa della malattia.

Quando riusciva ancora a tenere a bada il dolore.

Era passato davvero tantissimo tempo dall’ultima volta.

Ricordava l’ultima volta che Greg era stato male davvero, in mezzo alle scale di servizio.

L’aveva stretto al petto, forte, a sé.

Non ricordava neanche lui quanto erano rimasti così, parlando o rimanendo solo in silenzio.

Non l’aveva mai abbracciato prima d’allora, ma aveva provato una bellissima sensazione.

Con quel gesto aveva voluto proteggerlo, farlo sentire al sicuro, con lui.

E Greg non gli era sfuggito, non era stato scostante.

Era rimasto lì, stretto a lui, aggrappandosi all’amico quando il dolore era così forte da avere bisogno di un sostegno.

James rimase a fissarlo, mettendo da parte i documenti, preoccupato.

“Ehi, ciao! Come sta?”

Cameron entrò nella stanza, borsa a tracolla poiché era orario di uscita.

“Stabile. Ma non ha ancora aperto occhio.”

“Lo preferisco così. Almeno non soffre. Negli ultimi tempi non faceva altro che mandar giù pillole per combattere il dolore.”

“Idiota testardo e folle!”non potè fare a meno di dire Wilson.

Cameron abbozzò un sorriso, triste.

“E’ sempre stato così.”

Rimasero in silenzio per un po’.

Poi Cameron disse:
La Cuddy vuole avvertire i genitori di House.”

Wilson posò lo sguardo su di lei.

“E’matta! Greg la uccide appena si sveglia.”

“Ha ragione! È loro figlio ed hanno il diritto di sapere che sta male.”

“Non li vorrebbe qui e lo sai. Ha fatto di tutto per evitarli quando stava bene.

Ed ora che è malato, credo li eviterà ancora di più.”

“Tenta di convincerla tu, allora. Io ho detto che mi sembrava una buona idea.

‘Notte, Wilson.”

“’Notte, Cameron.”

“Appena Greg si sveglia fa fuori la Cuddy.”pensò Wilson, nuovamente, sorridendo al pensiero di uno scontro tra House e la Cuddy.

I loro bisticci erano famosi in tutto l’ospedale che, in quegli ultimi tempi, era rimasto irrealmente calmo.

Niente più lotte per evitare l’ambulatorio o idee strampalate cui sottoporre i pazienti, niente più lotte di potere con la Cuddy…la mancanza di House era percepibile da chiunque.

Anche se molti lo ritenevano, non a torto, insopportabile, era davvero strano passeggiare per i corridoi e non sentire la musica provenire dal suo ufficio o le voci dei personaggi di General Hospital, tenuti a tutto volume.

Quei 4 giorni erano stati davvero strani.

Un movimento distolse Wilson dai suoi pensieri che si spostarono automaticamente sul letto dove giaceva House.

Il diagnosta si era svegliato, sbattendo le palpebre e la prima cosa che aveva fatto era stato liberarsi dal respiratore.

“Ehilà! Ben svegliato!”

Lo salutò.

“Ehi! Sta diventando un abitudine svegliarmi in un letto d’ospedale con te che vegli su di me!”

“Solo per colpa tua.”

“Non farmi la predica! Sto male!”

House cacciò la testa sotto il cuscino, comportandosi da bambino.

“D’accordo. Non importa. Tanto l’hai sempre vinta tu!”

“E tu non ti sei ancora abituato!”

Wilson troncò la discussione sul nascere.

“Come ti senti?”domandò, cambiando discorso.

“Non sento nulla.”

James si precipitò da lui.

“Cosa?”

“Parlavo del dolore!”

House tirò appena la testa da sotto il cuscino e lo fissò, sorridendo.

“Sei spassoso quando ti preoccupi!”

“Invece tu sei insopportabile quando fai l’idiota! Comunque è ovvio che non senti nulla! Sei sotto massicce dosi di morfina!”

House abbozzò un sorriso.

“Sei un pazzo!”

“Lo so!”

James Wilson alzò gli occhi al cielo.

“Ho iniziato la terapia, ma dovrai stare costantemente sotto controllo.”

“Peggio di prima? Fate prima a legarmi al letto!”

La Cuddy l’ha proposto, dato ciò che hai combinato quando non ci parlavamo!”

House ridacchiò.

“Ho fatto un casino, vero?”

“Peggio. Non fare altre pazzie d’ora in poi!”

“Sì, mamma!”

“A proposito di mamma…”iniziò Wilson ed House subito si voltò a guardarlo negli occhi.

La Cuddy vuole chiamare i tuoi per dir loro che stai male…”

“Cosa?”

House si rizzò a sedere sul letto così in fretta che Wilson sobbalzò.

“Cosa?”ripetè.

“Rilassati, House.”

James diede un’occhiata ai monitor; non voleva che nulla sballasse lo stato di House.

“Non li voglio qui! Ora vado a dirgliene quattro! Ma nessuno in questo ospedale si fa gli affari suoi?”

E balzò giù dal letto, sorprendendo l’amico che gli corse incontro.

“Torna a letto, razza d’idiota! Hai bisogno di riposo e di tranquillità!”

“Credo di aver dormito abbastanza, no? Quanti giorni sono stato qui?”

“Quattro, ma…”

“Allora bastano ed avanzano!”

E prima che l’oncologo potesse fermarlo zoppicò via, afferrando il suo bastone dal comodino, dirigendosi verso l’ufficio della Cuddy.

“Greg!”

Wilson alzò gli occhi al cielo, prima di corrergli dietro.

“Tu non chiamerai i miei!”disse House entrando nell’ufficio della Cuddy come una furia.

La dottoressa alzò appena gli occhi dal libro che stava leggendo per posarli sul diagnosta e sull’oncologo dietro di lui.

“Non ho fatto ancora nulla. E poi non ti conviene correre qui come una furia.

Stai male. Dovresti evitare di agitarti!”

“Lo farei se qualcuno la finisse di farsi gli affari miei!”

“Come ti senti?”

“Bene! Concentriamoci su quello che avevi intenzione di fare!”

“Che problema hai? Sono i tuoi genitori! Loro hanno il diritto di sapere se il loro figlio sta male!”

“Lo possono leggere sul necrologio!”

“Devi morire per farglielo sapere?”

House sbuffò e si lasciò crollare sul divano dell’ufficio della Cuddy.

Gli altri due si voltarono a guardarlo.

“Greg…”disse la Cuddy.

“Non li avvisare. Lasciali perdere!”

“Se fossi madre, io lo vorrei sapere!”

“Ma non lo sei, quindi stanne fuori!”disse, bruscamente.

“Greg…”

Stavolta fu Wilson a parlare.

Ma House non lo ascoltava, lo sguardo perso nel vuoto.

Il dolore stava tornando.

Nascosto, debole, ma stava tornando.

“L’effetto della morfina quando svanisce?”domandò.

“Ti senti male?”

“Rispondimi.”

“Tra meno di mezz’ora. Ma non possiamo tenerti continuamente sotto oppiacei.

Dovrai sopportare il dolore aiutato dal Vicodin, ma non devi esagerare come hai fatto giorni fa. Non faresti altro che peggiorare la situazione.”

“Chiedi l’impossibile…”

James gli si accostò.

“Devi solo tenere duro.”

House si rivolse alla Cuddy.

“Non li chiamare.”

“Solo se non peggiori.”

Il diagnosta chinò lo sguardo, annuendo.

“Affare fatto.”

 

 

La terapia adottata dai due medici, fortunatamente stava ottenendo l’effetto desiderato.

Il tumore accennava a diminuire, anche se il dolore di House rimaneva sempre quello.

Il diagnosta era costantemente sotto effetto di morfina e Vicodin e queste droghe non facevano altro che peggiorare il suo già pessimo carattere.

Anche se i suoi assistenti erano abituati a trattare con il suo caratteraccio, moltissimi pazienti si lamentarono dalla Cuddy, la quale pur controvoglia fu costretta a mandare House a casa.

“Starò bene, mammina cara!”

Ghignò House la mattina del primo giorno della sua “vacanza”, ad un Wilson decisamente preoccupato di lasciarlo a casa da solo.

“Non sono svenuto, né mi sono sentito male, in quest’ultima settimana!”

“Ma hai picchiato tre infermieri, maltrattato quattro pazienti e finito una confezione di Vicodin in una sola giornata! Stavi per andare in overdose!”

House fece un segno con la mano, come per dire sorvoliamo.

“House, se il dolore è troppo forte, fatti solo un’iniezione di morfina. Non esagerare, ti prego. Non voglio tornare e vederti in coma.

E se c’è qualche problema…”

“Ti chiamo. Il numero è sul cellulare che è sul tavolo in cucina.

So dov’è la cucina e la morfina se ne ho bisogno! Vuoi dirmi anche dov’è il mio bagno in caso ho la nausea? Sai, non conosco bene questa casa…”

“Fa il bravo.”

Lo salutò l’oncologo, prima di andare.

“Va bene, mamma!”gli urlò dietro House.

Sentì Wilson ridere, andandosene e sorrise anche lui, chiudendo la porta dietro le spalle.

Ed ora una sana giornata a fare l’attività che amava di più al mondo: il dolce e sano oziare.

 

Il dolore arrivò senza preavviso, devastandolo e tramortendolo come un fiume in piena.

Greg si lasciò cadere sul letto della sua stanza, stringendo forte il cuscino sulla testa, quasi volesse zittire la sofferenza.

Non era raro che arrivasse così, di botto.

Spesso se ne stava accucciato tutta la giornata e tornava a fargli visita la sera, o lo tormentava per giornate intere.

Comunque il dolore, sia quello della sua gamba matta, sia quello alla testa non lo lasciava mai, sconvolgendogli la vita e attenuandosi solo grazie a massicce dosi di calmanti.

Quelle stesse dosi che erano finite in quel preciso istante.

Il diagnosta gettò la confezione di Vicodin, ormai vuota, sul pavimento, dopo averne leccato anche le ultime briciole.

La siringa che aveva fatto due ore fa di morfina, non era ancora riuscita ad attenuare il dolore.

Gemette, alzando gli occhi al cielo.

“E se c’è qualche problema…”aveva detto Wilson.

Lui non avrebbe potuto fare nulla per attenuargli il dolore.

Nulla.

Si trascinò in cucina, semi-lucido.

Doveva bilanciare il dolore.

Doveva crearne uno ancora più grande.

Con le mani che tremavano follemente, come il resto del suo corpo, d’altronde, aprì il cassetto della cucina e dopo un po’ trovò ciò che cercava.

Un bell’oggetto affilato.

Si lasciò scivolare sul pavimento ed incise dei tagli sul braccio e sull’altra gamba sana.

Ferite nette e molto profonde, dalle quale iniziò a sgorgare sangue caldo.

Gemendo di dolore, House serrò gli occhi, annegando nella sofferenza e nel suo stesso sangue.

 

“Greg? Dove sei?”

Wilson richiuse la porta con uno scatto dietro di sé e si guardò intorno.

Nessuna risposta.

“Greg?”esclamò, a voce più alta.

Stava iniziando a preoccuparsi.

Poi qualcosa lo colpì.

Un odore insieme acre e dolciastro.

L’odore del sangue.

“GREG!”

Corse a cercarlo e lo trovò in cucina, ricoperto di sangue.

“Oh, mio Dio!”

L’amico aveva dei profondi tagli su un braccio e su una gamba, che aveva fasciato alla bell’e meglio.

Il pavimento era sporco del suo stesso sangue.

Era semi-svenuto.

Si precipitò da lui ed iniziò a fasciare nuovamente le ferite che il diagnosta si era auto-inflitto.

“James…”esalò Greg, con un filo di voce.

Arrabbiato e terrorizzato insieme, Wilson gli mollò un ceffone forte, per fargli capire ciò che aveva provato nel vederlo in quello stato.

“SEI UN’IDIOTA! VOLEVI MORIRE, EH? VOLEVI AMMAZZARTI?”

“Io non…le ferite…non mi avrebbero ucciso.”

“NON LO PUOI SAPERE! POTEVA VENIRTI UN’EMORRAGIA! NON HAI NEANCHE FASCIATO BENE LE FERITE! SEI UN PAZZO! COSA DIAMINE VOLEVI FARE?”

“Non ce la facevo…”

“POTEVI CHIAMARMI! POTEVO AIUTARTI, INVECE DI TORNARE E TROVARTI IN QUESTE CONDIZIONI! HAI…MINIMAMENTE PENSATO A COME MI SAREI SENTITO IO, NEL TROVARTI COSI’? CI HAI MAI PENSATO ALLE CONSEGUENZE DELLE TUE AZIONI? MAI RIFLETTUTO SUL FATTO CHE POTREBBERO FAR STAR MALE CHI TI STA INTORNO?

MA, NO! GRAZIE AL TUO MENEFREGHISMO, TE NE FREGHI DI TUTTI QUELLI CHE TI SONO ACCANTO E CHE SI PREOCCUPANO PER TE!”

Wilson finì di fasciare le ferite di House e ripulì il pavimento dal sangue dell’amico, che, intanto, colpito dal schiaffo e dalla sfuriata, taceva, appoggiato ad un mobile della cucina, seduto sul pavimento.

Rimasero in silenzio per attimi che sembrarono interminabili.

Greg teneva gli occhi chiusi, digrignando i denti dal dolore e stringendosi il braccio fasciato.

Poi James gli sedette accanto.

“Scusa…non dovevo urlare in quel modo.”

Nessuna risposta.

“Mi sono preoccupato da morire quando ti ho visto in questo stato.”

“Dalle tue urla non l’avevo capito, sai?”gemette lui.

Stava malissimo, ma riusciva ancora a trovare la forza di fare battute.

James abbozzò un sorriso.

Poi gli passò un braccio attorno alle spalle, rievocando la scena delle scale di servizio.

E come allora, anche questa volta Greg non si oppose, ma si strinse a lui, tenendo sempre gli occhi chiusi.

“Non voglio…perderti.”disse James, piano.

Greg non rispose, ma si limitò a poggiare la testa sul suo petto.

Sentiva il cuore dell’amico battere all’impazzata, per via della paura che gli aveva fatto prendere.

“Non sopporterei di vederti morire e lo sai, Greg.”

Fitta di dolore.

Fortissima, stavolta.

Greg perse la concezione del tempo e dello spazio e si accasciò.

Fortunatamente James lo afferrò, prima che cadesse a terra, e continuò ad abbracciarlo.

Come l’ultima volta, erano vicinissimi.

Greg si aggrappava a lui, come un naufrago ad un asse di legno in un oceano di dolore.

Erano vicinissimi.

James aveva il mento posato sul capo dell’amico e le braccia che gli circondavano le spalle, stringendolo fortissimo a lui.

Quella stretta che entrambi amavano sentire.

Greg voltò il capo verso di lui, sorridendo piano.

“Jimmy…”

“Che c’è?”

“Promettimi che andrai avanti se io morirò. So che la mia morte sarà un evento clamoroso per il resto dell’umanità, data la mia immensa bravura e genialità…ma promettimi di trovarti un altro che ti ruberà il pranzo e che ti romperà le scatole continuamente.”

James non potè fare a meno di ridere.

“Te lo prometto. Anche se penso che nessuno potrà mai eguagliare la tua insopportabilità. O il fatto che mi psicanalizzi in continuazione.”

“Sì, lo so!”

Altra risata da parte dell’oncologo.

“Non voglio che tu muoia. Non lo fare. Resisti.”

“Ci provo.”

I loro visi erano più vicini che mai, potevano sentire l’uno il respiro dell’altro.

Greg stava così bene, stretto a lui.

Una situazione di dipendenza pura, ma non gli importava.

Si aggrappava alla sua stretta per resistere al dolore, e stranamente quel contatto stava funzionando.

E quel abbraccio, ancora più stranamente, gli stava piacendo molto.

Avrebbe voluto rimanere così per sempre.

Così, loro due, seduti sul pavimento della cucina, con un coltello sporco del sangue del diagnosta abbandonato lontano da loro e l’odore del detersivo per pavimenti, usato per pulire il sangue per terra.

Si stava così bene, Greg si sentiva protetto, come se per un attimo tutto ciò che gli stava accadendo, tutto il dolore gli arrivasse ovattato.

Poi preso da chissà quale impulso, Greg si sporse in avanti, annullando la distanza che c’era tra lui e James.

Un bacio.

Un semplice bacio a fior di labbra.

Senza un motivo, o una spiegazione, solo seguendo un istinto naturale.

E James non si oppose.

Anzi, ricambiò il bacio, approfondendolo.

Lo strinse a sé, continuando a baciarlo, le loro lingue che s’intrecciavano, danzando all’interno delle loro bocche.

Un bacio nato così, semplice, casto, che venne approfondito e continuato da entrambi.

Greg si aggrappò a lui, stringendo forte la presa su di lui.

Si staccarono soltanto per respirare, ricominciando a baciarsi con foga e passione, sempre più crescente.

Il suono del cellulare di Wilson l’interruppe, facendoli uscire dal loro mondo di serenità per farli ripiombare nella crudele e violenta realtà.

La bolla di sapone che avevano creato attorno a loro, estraniandosi da tutto il resto, venne violentemente rotta.

James si sporse, continuando a stringere l’amico al petto, ansimando un poco e prese il cellulare dal tavolo della cucina.

“Pronto?”disse, controllando la voce.

“Wilson? Sono la Cuddy. Volevo sapere se andava tutto bene. House come sta?”

James posò lo sguardo sull’amico che respirava ancora affannosamente per i baci dati e ricevuti.

“Potrebbe andargli peggio. Poteva non vedere l’indomani.”

“Che ha combinato?”

Il tono di voce della dottoressa si era fatto ansioso e preoccupato.

“Si è quasi fatto a pezzi da solo. Ha pensato che per compensare il dolore, la cosa migliore da fare era auto-infliggersi ferite su braccia e gambe.”

“HA FATTO COSA?”

Perfino Greg riuscì a sentire l’urlo della Cuddy.

James allontanò per un attimo il telefono dall’orecchio, sobbalzando.

“Non urlare. L’ho già rimproverato abbastanza.”

“E mi ha pure picchiato!”intervenne House, a sorpresa.

“Passami House, così lo striglio ancora un po’.”

Ridendo, Wilson passò il telefono all’amico, che lo prese con una smorfia sul volto.

“Ehilà, raggio di sole! Come ti va la vita?”

“Male, dato che il mio miglior diagnosta si è quasi suicidato!”

House sbuffò nel telefono.

“Ti interessi solo perché sono un ottimo diagnosta! Mi sento offeso!”

James Wilson ridacchiò.

Cuddy respirò profondamente un paio di volte, prima di chiedere:

“Ora come ti senti? Cosa ti va male?”

“Direi…tutto! Ma va meglio. Ho appena scoperto che il contatto fisico fa miracoli.”

A quelle parole James posò lo sguardo sull’amico, che gli sorrise.

“Che intendi dire?”chiese la Cuddy.

James gli fece segno di passargli il telefono.

“Diciamo che ho scoperto che un abbraccio può fare molto.”confessò Wilson al telefono.

“Io non parlavo solo di quello.”disse House, piano, per non farsi sentire dalla Cuddy.

James abbozzò un sorriso.

“Hai abbracciato House ? E lui non si è opposto?”

“Diciamo che non aveva la forza!”

“Mi ha molestato!”urlò House e sia la Cuddy che Wilson risero.

“Domani fallo venire in ospedale. È un pericolo per stesso se sta da solo. Dobbiamo tenerlo d’occhio.”

“Non sono un bambino!”disse House sentendo ciò che aveva detto la Cuddy.

“No, ma sei un pericolo pubblico e privato.”rispose Wilson per la Cuddy.

“Domani viene con te all’ospedale. Possiamo dargli una dose di morfina, se il dolore è insopportabile.”

“Direi più di una. Oggi ha finito una confezione di Vicodin e una dose di morfina e non ha funzionato.”

“Ci penserò. Buona notte a tutti e due.”

E chiuse la conversazione.

“Mi dovrete aumentare la dose di morfina.”disse Greg.

“Ora non ci pensare. Il dolore è anche un fatto psicologico.

“Anche.”

Il dolore si era chetato.

“Ti accompagno in camera, su!”disse James, dopo un bel po’ di tempo, trascorso sul pavimento della cucina.

Greg annuì, ma afferrò la mano dell’amico e si alzò, tremante.

“Reggiti a me.”disse l’oncologo.

“Non sto facendo altro da quando mi sono ammalato!”

Greg fece una smorfia, mentre gli passava un braccio attorno alle spalle.

“Questo perché hai bisogno di aiuto.”

“Ce la faccio benissimo da solo.”continuò, cocciuto.

“Ok.”

James lasciò la presa.

Greg preso alla sprovvista, rovinò sul pavimento.

James, preso dal senso di colpa, si chinò per aiutarlo, ma Greg gli mollò un calcio che lo fece cadere anche lui, accanto all’amico.

“Così impari! Razza di idiota!”

James giaceva a terra, ridendo.

“Scusa! Ma hai detto che ce la facevi benissimo da solo! Ti ho solo accontentato!”

Greg gli mollò un altro calcio.

Erano entrambi distesi sul pavimento, James in preda alle risate, mentre Greg aveva una smorfia di dolore sul volto.

Ma sotto sotto stava ridendo anche lui.

“Sta diventando un’abitudine stare sul pavimento!”decretò James.

“Che hai contro i pavimenti? A me vanno benissimo!”ribattè l’altro.

Altra risata.

James gli si avvicinò.

“Greg?”

“Cosa?”

“Per prima…”

“Il bacio?”

Il cuore di Greg iniziò a battere più forte, ma il diagnosta non gli prestò attenzione.

“Sì.”

“Mi dispia…”iniziò Greg.

“A me no.”

Il diagnosta si voltò a guardarlo, mentre sentiva il proprio stomaco fare le capriole.

Era un’anomalia, lui adorava le anomalie, ma stavolta non se ne curò.

Era concentrato sulle tre parole dette dall’amico: “a me no”.

“Cosa?”

“Non mi è dispiaciuto affatto. Anche se è stato strano. Ed ho ricambiato.”

“Lo so. Sto scoprendo un lato di te che non conoscevo, James Wilson?

Sto per scoprire perché tutti i tuoi matrimoni vanno in malora? È sul serio colpa mia?”

James rise.

“Non sono gay, razza d’idiota! E poi mica sono innamorato di te!”

“Bene!”

“Ma tu sì!”

“Eh?”

Stavolta Greg era davvero stupito.

“Io sono cosa? Sei matto?”

“Mi hai baciato!”

Greg si rizzò a sedere e lo fissò.

“Non c’entra.”

“Ah, no?”

“No!”

Anche James si sedette, fronteggiandolo.

“Perché allora?”

Greg chinò lo sguardo, improvvisamente interessato alle venature del parquet di casa sua.

“Non lo so.”disse, dopo un tempo interminabile. “Non so cosa mi è preso.”

James non disse nulla.

Non sapeva che dire per spiegare quel gesto così improvviso. A lui era…piaciuto?

Sì, gli era piaciuto.

Sorrise nel vederlo così confuso, anche se non sapeva spiegarsi il perché.

Gli si avvicinò ancora, posandogli una mano sul braccio fasciato.

Greg alzò lo sguardo e lo incatenò al suo.

James era ormai vicinissimo, come era successo poco fa.

Solo che stavolta fu lui ad annullare la distanza tra loro con un altro bacio.

Non era razionale. Non ci avrebbero mai neanche scommesso.

Mai avrebbero pensato che un giorno si sarebbero baciati, mandando al diavolo i perché, le congetture, le teorie.

Istinto, puro istinto che li aveva portati ad annullare le distanze tra loro, voglia di trovare un contatto, di non voler rinunciare a quel contatto per nulla al mondo.

Stavolta non ci furono squilli del telefono a disturbarli.

James strinse l’amico a sé, provando una sensazione bellissima.

Greg ricambiò la stretta ed il bacio, amando quel bacio, quel contatto.

James si stese sul pavimento, tenendo Greg appoggiato a lui, sul petto, interrompendo il bacio.

Stettero così per tutta la notte, stretti l’uno all’altro.

E per la prima volta dopo anni, Greg non pensò ai perché di ogni gesto, ignorò il suo cervello e diede retta al suo cuore.

E stavolta quello gli diceva di non allontanarsi da James Wilson.

 

 

 

 

Ciao a tutti, ragazzi miei!!!

Spero che questo chappy vi piaccia e spero di non averlo fatto troppo sdolcinato!!!

Finalmente sono riuscita a descrivere il loro primo bacio e dato che è il primo bacio tra loro due che scrivo, abbiate pazienza se qualcosa non va bene!!! I consigli sono sempre ben accetti, mi raccomando!!!

Un grazie a:

sihu: grazie del commento…hai ragione, House sta decisamente migliorando con Wilson accanto!!! Dimmi che ne pensi di questo chappy!!!

Nihal93:ecco a te il nuovo capitolo, sperando vivamente che ti piaccia!!! Continua a seguirmi!!!

Lady House: ecco a te le “dolci cosine”!!! spero solo di non aver esagerato con la sdolcinatezza!!! Cmq a me Cameron bionda non piace proprio…sul serio sembra una…cmq adesso sono una fan di Tredici, anche se Cameron è sempre una delle mie attrici preferite!!! Dimmi che ne pensi del chappy!!!

Lemnia: grazie ad Amber quei due si sono detti quelle cose!!! Meno male, almeno lei li ha fatti smuovere…ora attendiamo che Wilson la lasci e si metta con il nostro House!!!! Attendo tuoi commenti!!!

H W: ecco la tua continuazione!!! Dimmi che ne pensi!!! E se ti va di chattare un po’ con me, dato che sono una fan anche io di House, il mio indirizzo è artemisfowl@hotmail.it

Mi piace sempre fare nuove conoscenze!!!

Grazie a tutti quelli che commenteranno!!! Un bacio a chi commenta e due a chi mette la storia tra i preferiti!!!

Baci e abbracci

Lily Black 90

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Capitolo 10
*** Confessioni e sentimenti ***


La luce del sole li sorprese ancora abbracciati distesi sul pavimento del salotto.
Greg dormiva profondamente, la bocca leggermente spalancata, con un espressione rilassata sul volto.
James sorrise nel vederlo così e lo scosse piano per svegliarlo.
“Greg, andiamo! Svegliati! Dobbiamo andare all’ospedale!”
“No…sto bene!”grugnì lui, allontanando il braccio che l’amico teneva attorno alle sue spalle.
James ridacchiò e si alzò.
“Da solo non ti lascio di nuovo. Stavolta vieni con me!”
“Te lo scordi! Neanche morto!”affermò lui.
James si chinò su di lui e lo afferrò per le braccia, tirandolo su.
“Muoviti, Greg!”
“Se no che fai? Mi porti in braccio fino all’ospedale?”
James alzò gli occhi al cielo.
“Ti prego! Non ho voglia di battibeccare di prima mattina! Anche se vivendo con te, dovrei esserci abituato!”
“D’accordo! Come vuoi! Faccio tutto quello che vuoi!”disse, arrendevole.
E chi aveva la forza di combattere dopo ieri notte? Le ferite pulsavano ancora.
Greg si mantenne all’amico per dirigersi verso il bastone posato poco lontano.
“Stai bene?”domandò James, vedendolo barcollare leggermente, pur mantenendosi a lui ed al sostegno.
Il diagnosta annuì.
“Meglio di ieri sera, sicuramente!”
Ma era ancora molto pallido.

“Eccovi, finalmente!”
Fu quello il saluto della Cuddy appena Greg e James entrarono nell’ospedale.
“Ehilà, Cuddy!”salutò Greg, sforzandosi di fare un sorriso, ma quello che ne venne fuori fu una sottospecie di smorfia.
La dottoressa se ne accorse.
“House? Cos’hai?”
“Nulla di nuovo.”fece lui, facendo per dirigersi verso il proprio ufficio, ma si fermò a metà strada, appoggiato al bastone.
Ansimava e la testa gli girava come una trottola.
La Cuddy e James Wilson in un attimo furono da lui.
“Devi farti ricoverare!”fece lei, rabbiosa, sorreggendolo.
“No! Non ho intenzione di passare il resto dei miei giorni su un letto d’ospedale!”
“E cosa vuoi fare? Trekking?”chiese James, ironico, ricevendo un’occhiataccia in cambio.
“No, snowboard! Mi accompagni in Svizzera?”
“Vieni nel mio ufficio. Stattene buono per un po’.”
“Direi che non è la stessa cosa! Dov’è la neve?”
“Smettila di pensare allo snowboard!”
“Non posso andare nel mio ufficio? Risolvere casi? Non so…lavorare?”
“E’ ufficiale che non stai bene! Se preferisci il lavoro…”fece la Cuddy e James ridacchiò.
“Datemi una sedia a rotelle elettrica. Non ho alcuna intenzione di rimanere bloccato sul divano dell’ufficio di Wilson o su un letto!”
“Come vuoi!”

“Ehilà! Paperotti!”
House entrò allegramente nel suo ufficio, sulla sedia a rotelle elettrica procuratagli dalla Cuddy.
La dottoressa si era subito pentita di quella concessione, vedendolo sfrecciare lungo i corridoi dell’ospedale, stravolgendo due pazienti e gettando all’aria tre infermieri.
Anche da malato, House era impossibile da gestire!
“House! Cosa ci fai qui? Non dovresti stare a riposo?”chiese Chase, stupefatto.
“Ovvio che no! Altrimenti chi controlla che facciate bene il vostro lavoro? Già vi siete dati all’ozio!”ed indicò Foreman e Chase, impegnati a leggere un giornale, mentre Cameron stava preparando il caffè.
“Non abbiamo nessun caso da risolvere in questi giorni!”ammise Cameron.
“Dite la verità, siete persi senza di me!”ammiccò House ai tre.
“Già, proprio persi!”rispose Foreman.
“Tu come stai?”chiese Cameron preoccupata.
“Male se tu non mi dai subito una tazza di caffè.”
Cameron alzò gli occhi al cielo e gliene porse una.
“Non dovevi startene un po’ a casa, tranquillo?”
“No. Wilson ha deciso che dovevo venire qui in ospedale. Non si fida a lasciarmi a casa da solo!”
“Già, perché potresti darle fuoco, vero? In un raptus di follia?”
“No. Direi perché ha paura di vedermi di nuovo nei casini.”
“Cosa?”chiese Cameron.
E quando House fece spallucce, la manica della giacca si sollevò e solo allora i suoi assistenti si accorsero della fasciatura sul braccio, accuratamente nascosta sotto la camicia e la giacca.
Foreman gli afferrò il braccio e scoprì le fasciatura.
“House! Cosa hai fatto?”
House si liberò della sua stretta.
“Nulla d’importante. Perché uno di voi non va dalla Cuddy a chiedere qualche nuovo caso?”
“Come nulla d’importante? Cos’hai fatto? Ti sei accoltellato o cosa?”
“Ho detto di non avere nulla!”
Ora House era davvero irritato.
“Hai tentato di bilanciare il dolore? Ti sei ferito da solo?”chiese Chase.
“Sapete che vi dico? Ci vado io dalla Cuddy, perché stranamente non ho voglia di stare con le mani in mano.”
“Non puoi.”disse Cameron, ancora stupita per ciò che si era fatto House.
“Perché no?”
“Perché la Cuddy ti vuole al riposo e ti ha tolto tutti i casi fino alla tua guarigione. Così hai tutto il tempo per giocare ai tuoi videogiochi, vedere la televisione, giocare con la pallina o lo yo-yo o quello che vuoi.”fece Chase.
House lo fissò, sbalordito.
“Ed io che faccio?”
“Quello che vuoi. Basta che non fai stupidaggini!”disse Cameron e con gli altri lasciò l’ufficio, lasciando House da solo con i suoi pensieri.


“E continui così, Signor Gibbs! Noto dei bei miglioramenti con questa cura!”
James Wilson si chiuse la porta dell’ufficio alle spalle, sospirando.
Da quando aveva varcato la soglia dell’ospedale, non aveva avuto un attimo di calma.
Accese la luce dell’ufficio e per poco non gli venne un colpo quando vide la sedia a rotelle elettrica in un angolo ed il suo proprietario occupato a giocare con il Nintendo sul divano.
“Greg! Mi hai quasi fatto venire un colpo!”
L’altro ghignò.
“Mi stai diventando deboluccio, Jimmy! Sono io quello malato qui! Rispettiamo le parti!”
“Che ci fai qui?”
“Cercavo un posto tranquillo. Ed il mio ufficio non è l’ideale! L’ufficio della Cuddy neanche perché lei è impegnata con uno…restava il tuo!”
James sorrise.
“La Cuddy mi ha tolto tutti i casi!”disse improvvisamente Greg.
“Ha fatto bene! Non vuole che ti affatichi!”
“Mica sono sua nonna! Non mi affatico io!”
“Ma se oggi hai chiesto una sedia a rotelle elettrica!”
“A proposito, sono guarito! L’ho abbandonata qualche tempo fa!”
“Non ce la fai! In  che lingua te lo devo dire? E poi hai sempre disertato il lavoro, come mai ora sei voglioso di fare qualcosa?”
“Perché sono un uomo attivo!”
“Sei un uomo impossibile!”
“Che ti piace!”ribattè l’altro con un ghigno sul volto.
James Wilson lo guardò, stupito.
“Come amico di sicuro.”
“Non intendevo in quel modo e lo sai.”
“Stai scherzando?”
Greg House si alzò, facendo leva sul bastone.
James temette nel vederlo barcollare leggermente, ma fu un attimo ed il diagnosta avanzò verso di lui.
“Non sono mai stato più serio in tutta la mia vita.”
Occhi azzurri in occhi castani.
Erano l’uno di fronte all’altro, in silenzio.
“Tu non mi piaci. In quel senso, almeno. Te l’ho detto anche ieri.”
“Mentivi e menti ancora adesso.”
James alzò gli occhi al cielo.
“Guardami negli occhi e dimmi che per te quel bacio non ha significato nulla.”
“Perché lo vuoi sapere? Non ti importa! È solo per la tua irrazionale voglia di sapere sempre tutto di tutti! Se c’è qualcosa che non sai, fai di tutto per scoprirla!”
Greg sbuffò.
“Andiamo! Rispondi! Lo sai che sono fatto cos! Non capisco perché sprechi fiato ogni volta a dirmelo!”
“Non ha significato nulla.”disse.
“Non mi hai guardato negli occhi.”
James alzò lo sguardo, aprì la bocca, ma non ne uscì nulla.
Non ce la faceva a dirgli una cosa del genere.
Soprattutto perché non la pensava affatto.
Greg sorrise.
“Bene. Come immaginavo.”
“Cosa?”
“Ha significato qualcosa.”disse, allontanandosi, il diagnosta.
“Cosa?”
“Questo non lo so. Ma qualcosa di sicuro. Ne sono certo."
"E tu?"
Greg tacque, spiazzato dalla domanda.
"Greg..."
"Non lo so. E' stato...interessante."
"Interessante."ripetè l'altro.
"Sì. Altrimenti non avrei voglia di riprovarci.”
James sorrise, un pò spiazzato dal volgere degli eventi..
“Questo è uno dei tuoi soliti esperimenti, vero?”
“Ovvio che sì! Ti va di fare la cavia?”
“Non mi usi sempre come cavia di laboratorio?”
“Io? No, mai!”
“Ma se tenti sempre di psicanalizzarmi?”
“Ma non mi sembra di averti mai usato per un esperimento.
Questo lo potrai dire solo quando ti ritroverai legato come un salame e sottoposto a qualche mio crudele esperimento!”
James rise.
“Sei il sol…”
Ma non finì la frase perché House l’aveva baciato.
Rimase stupito solo per un attimo, ricambiando poi e posandogli una mano sulla spalla.
Il bussare alla porta li fece immediatamente allontanare.
Maledicendo chiunque gli venisse in mente, James Wilson borbottò un:
“Avanti!”
Erano....
“House!”
Blythe House corse all’ interno dell’ufficio di Wilson, correndo ad abbracciare il figlio.
Il padre del diagnosta, invece, se ne stava ancora appoggiato alla porta dell’ufficio.
Non si era fatto avanti per paura di una pessima reazione da parte di House, che era ancora sotto shock.
“Cosa ci fate qui?”domandò, allontanando la madre da sé che lo fissava con i lucciconi agli occhi.
Era sicuramente colpa di Cameron.
O della Cuddy.
O di entrambe!
“Tu cosa ci fai qui? Dovresti riposare! Ci ha chiamato la dottoressa Cuddy e ci ha detto che eri molto malato! Come mai non ci hai detto nulla?”
“Non volevo farvi preoccupare. Andiamo, mamma. So cavarmela benissimo da solo!”
Blythe vide la sedia a rotelle elettrica e la indicò.
“E quella allora? Non ti reggi in piedi!”
“Quello accadeva anche prima della malattia. Sono zoppo, ricordi?”
“Ma prima non ne avevi bisogno! La dottoressa Cuddy ha detto che per combattere il dolore usi anche la morfina! Che il Vic…”
“Ora basta! Smettila! Sto bene, ok? Non vi ho detto nulla perché siete maledettamente protettivi! Ed io lo detesto!”
Si ritrovò ad urlare all’improvviso, sorprendendo tutti compreso se stesso.
Non voleva urlare in quel modo contro Blythe e John House.
Sentiva gli sguardi di tutti addosso, compreso quello di Wilson che lo fissava, sbalordito.
Poi improvvisamente sentì una fitta fortissima alla testa, che lo fece lacrimare dal dolore...
Gemette, portandosi una mano alla tempia.
 “GREG!”
Un urlo complessivo.
Con lo sguardo annebbiato, Greg House alzò il volto, incrociando quello di James.
Gli afferrò la mano e si resse a lui.
“Piano! Siediti!”
James lo sorresse, facendolo sedere sul divano.
“Occorre un infermiere!”urlò.
I signori House guardavano i due medici con il cuore in gola, preoccupatissimi.
“Sto b…”provò a dire House, ma si ritrovò zittito da un’altra fitta, più dolorosa della precedente.
Posò il capo sulla spalla dell’amico, attendendo gli infermieri.
Sentì che l’oncologo rafforzava la presa sulla mano che gli teneva, quasi a volergli dire di resistere, di tenere duro.
Greg House incrociò il suo sguardo e lo vide angosciato più che mai.
“Non mollare.”sillabò l’altro.
Greg fece un piccolo segno di diniego con la testa.
“Ora no.”scandì in risposta.
L’ultima cosa che vide furono i suoi occhi castani.
Poi il buio lo inghiottì.

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Capitolo 11
*** Miglioramenti ***


James leggeva un libro di medicina nella stanza dove Greg dormiva alla grossa.
Quasi non si accorse che qualcuno era entrato nella stanza.
“Come sta?”chiese una voce, facendolo sobbalzare ed abbandonare il libro.
Era Blythe House.
“Dorme. Non è la prima volta che sviene. Ma io continuo sempre a preoccuparmi.”
“Lei è Wilson? Il migliore amico di mio figlio?”
L’oncologo annuì.
“Sono il suo medico curante.”disse, stringendole la mano.
Aveva visto solo una volta la madre di Greg, molti anni prima, ma a quanto pare lei non lo ricordava.
“Deve essere difficile avere in cura il proprio migliore amico.”fece lei, sedendosi sul bordo del letto del figlio ed accarezzandogli i capelli.
James sorrise nel vedere una scena così tenera.
“Sì. È molto difficile. Ma lo è di più stare con le mani in mano e vederlo soffrire.
È insopportabile.”ammise.
La vide annuire.
“Perché non ha detto nulla? Credeva di cavarsela da solo?”
“Odia le attenzioni altrui. Non sopporta essere protetto. Gli piace l’indipendenza, anche quando ha bisogno di aiuto.”
“Lei è l’unico che lo sappia gestire.”
James rise.
“Affatto. Riesce ad averla sempre vinta lui…”
“Non è vero.”
Blythe e James si voltarono verso il letto di Gregory House.
James si alzò, sorridendo nel vederlo sveglio.
“Sì che è vero. E lo sai. Ricorda solo quello che hai fatto per convincermi ad usare la terapia che volevi tu!”
Greg ridacchiò piano, ma smise subito.
La testa gli rintronava ancora.
“Stai bene, tesoro?”chiese sua madre.
“Sì. Non è la prima volta che svengo. E ogni volta che mi risveglio trovo Wilson vicino al letto, sempre preoccupato.”
L’altro fece una smorfia.
“Devo smetterla di preoccuparmi per te.”
“Sono 20 anni che te lo ripeti e non ci sei mai riuscito.”
Rise, ricevendo in cambio un’altra smorfia.
Lo sguardo di House si concentrò sulla madre che lo fissava, preoccupata.
“Mi dispiace. Non volevo urlare in quel modo.”
“Perché non hai detto nulla? Preferivi che sapessimo direttamente della tua morte? Casomai leggendo per caso un necrologio?”
“Me la so cavare da solo.”
“Non è vero e lo sai. Hai bisogno di aiuto. Metti da parte la tua cocciutaggine e fatti aiutare da noi.”
“Non ho bisogno del v…”
Greg tacque, digrignando i denti.
“Tesoro, cosa…?”
Greg alzò gli occhi al cielo, gemendo.
Era stato come se qualcuno gli avesse spremuto il cervello.
Sentì James avvicinarsi a lui e trafficare con la siringa di morfina.
Dopo pochi istanti, il dolore si era attenuato.
“Grazie.”gemette, guardando l’amico.
Si sforzò di rimanere cosciente, ma non ce la fece e ripiombò in un mondo dove il dolore arrivava solo ovattato.


Dopo quell’episodio fortunatamente non ci furono più svenimenti.
La terapia a cui Greg si era sottoposto stava dando i suoi frutti, anche se pochissimi.
Ma era già qualcosa.
Greg sembrava stare un po’ meglio: c’erano stati alcuni mancamenti in quegli ultimi giorni, ma il mal di testa era un po’ diminuito.
I suoi genitori decisero di rimanere nelle vicinanze, almeno finché il loro figlio non fosse guarito del tutto.
Anche se stava un pò meglio, James, sempre protettivo nei suoi confronti, continuò a stare a casa sua.
Greg non protestò. Molto probabilmente, anche se sicuramente non l’avrebbe ammesso mai, adorava vivere con l’amico.
Anche se era l’oncologo a cucinare ed a lavare i piatti perché ogni volta il diagnosta trovava una scusa per svignarsela.
“Sei impossibile! Non so come abbia fatto Stacy a vivere con te per cinque anni!”disse James una sera, dopo aver sistemato la cucina.
“Sarà stato per il mio fascino irresistibile! Comunque ti mancherebbe solo un bel grembiule a fiori per sembrare mia madre!”lo prese in giro il diagnosta, steso sul divano, facendo zapping con il telecomando sui canali.
James ridacchiò.
Poi Greg gemette di colpo, attirando la sua attenzione.
“Greg…”
Gli occhi azzurri del diagnosta incrociarono i suoi e si creò un legame tra loro, il suo sguardo rimase incatenato a quello dell’amico.
"Sto bene."disse, bruscamente, distogliendo lo sguardo dal suo.
"Smettila di..."tentò di continuare.
Una fitta di dolore lo zittì di colpo, facendolo piegare in due dal dolore, la testa fra le mani, come se gli stesse per scoppiare.
Terrorizzato, James fu in un attimo accanto a lui, cingendogli le spalle.
Scivolarono ai piedi del divano, in ginocchio.
Greg tentò di protestare, dicendo che stava bene, che sarebbe passato, non sopportando la sua preoccupazione.
"Taci! Metti da parte il tuo orgoglio per una buona volta! Hai bisogno d'aiuto!"esclamò James.
Lo strinse a sè, facendogli appoggiare la testa sul suo petto.
"Respira. Respira profondamente."sussurrò.
Posò lo sguardo su di lui, il cuore in gola.
Gli posò una mano sui suoi capelli, accarezzandoglieli in un gesto automatico.
Greg non disse nulla, limitandosi a tenere gli occhi chiusi, appoggiato al suo petto.
Avrebbe voluto rimanere così per sempre, appoggiato alla spalla di James, con la televisione accesa che trasmetteva chissà quala programma, seduto sul pavimento del salotto, con il dolore che andava pian piano scemando...
"Va un pò meglio?"chiese James.
Il suo tono di voce era tremante: era molto preoccupato.
Greg fece un "Ok" con il pollice della mano.
"Grazie."disse, poi.
"Se arrivi a ringraziarmi, devi stare davvero male."
"Se preferivo lavorare..."
James rise.
Volse lo sguardo lentamente, ritrovandosi a pochi centimetri dal viso di lui.
Sentì un groppo alla gola nell'incontrare quegli occhi azzurro cupo.
Rimase incatenato al suo sguardo, incapace di fare qualsiasi altra cosa.
Fu istintivo avvicinarsi ancora di più, finchè non sentì il respiro dell'altro sul suo viso.
Le loro labbra si sfiorarono, incontrandosi, le loro lingue s'intrecciarono, mentre i loro cuori battevano all'unisono.
Greg gli passò una mano tra i capelli castani, mentre James, continuando a baciarlo, non gli fu sopra, stendendolo sul pavimento, le mani strette attorno ai polsi, mettendolo in trappola.
Greg si staccò da lui, sentendosi dominato.
"Che intenzioni hai?"chiese con un ghigno.
"Prova a immaginare."
James riprese a baciarlo, liberandogli i polsi e sbottonandogli la camicia.
Posò le labbra sui suoi pettorali, sfiorandoglieli con la punta delle dita, facendolo fremere.
Greg lo lasciò fare, per la prima volta incapace di reagire, godendosi quel momento.
Mai avrebbe immaginato che sarebbe successa una cosa del genere.
James Wilson era da sempre il suo migliore amico, un'amicizia fondata sulla fiducia, complicità, stima, rispetto.
Ne avevano passate così tante insieme, così tanti dispetti che si erano fatti a vicenda, così tanti guai, che gli sarebbe stato impossibile pensare ad una vita senza di lui...
Ed ora, sentire le sue mani su di sè, che percorrevano il suo torace, fino a scendere lungo il bacino ed arrivare ai jeans, giocherellare con la loro cinghia, gli fece provare una scarica elettrica che gli percorse tutto il corpo.
James gli sbottonò i jeans e fece per abbassarglieli, ma Greg lo bloccò, afferrandolo per il polso.
"Ora tocca a me."disse, iniziando a sfilargli la maglia di dosso.
Aveva uno splendido fisico, non l'aveva mai notato.
"Ho capito come hanno fatto le tue tre mogli a sposarti."
"Come?"
"Tutto merito del tuo fisico da sballo!"
James alzò lo sguardo al cielo, ridendo, ma non potè provare piacere per quel complimento.
"Sei fuso!"
"Ovvio che sì! Altrimenti come avrei potuto pensare di farlo con te?"
James fece una smorfia.
"Sempre il solito?"
"Per questo ti attiro."
Si guardarono per un lungo istante.
"Può darsi."ammise."Tu che spiegazioni hai?"
"Mai sentito dire che gli opposti si attraggono?"
"Stai applicando una legge?"
"Tento di trovare una spiegazione, perchè non sto capendo più nulla."ammise.
"Sai che ti dico? Fragatene..."
Si chinò su di lui, catturandolo in un bacio e ponendo fine ad ogni sua replica.
Si staccò da lui e lo guardò.
"Per una volta mi piace avere la situazione in mano."
Greg lo guardò. Poi improvvisamente gemette, attirando la sua attenzione.
"Che c'è?"
"La gamba! Spostati, maledizione!"
Ma appena James si mosse, House ne approfittò per ribaltare la situazione, acquisendo un ruolo dominante.
"Sei un figlio di puttana! Ed io che mi ero anche preoccupato!"protestò lui, ma rideva.
Greg riprese a spogliarlo, sfilandogli i pantaloni e sfiorando il membro di lui.
James gemette di piacere, lasciandolo fare, mentre l'erezione iniziava.
Lo bloccò, impedendogli di proseguire ancora e gli sfilò i jeans del tutto, avvicinando il viso al suo e mordicchiandogli le labbra.
Sentì il suo corpo su di lui, nudo e non potè trattenersi dall'ammirarlo.
Vide il suo fisico magro, longilineo, perfetto.
Il suo sguardo si posò istintivamente sulla cicatrice della gamba destra e Greg parve accorgersene.
Lo vide allontare lo sguardo, di colpo freddo.
James era riuscito a penetrare la sua corazza ed ora l'aveva privato delle sue difese.
Usava la sua ultima: la freddezza.
Temendo di aver rovinato tutto, James si tolse da sotto di lui e lo avvicinò, prendendogli il viso tra le mani, costringendolo a guardarlo.
Respirava affannosamente.
"E' tutto ok."gli disse.
Greg ghignò.
"Sì. Ma è meglio se ci stai tu di sopra."
James rise.
"Siamo debolucci, eh?"disse, sentendosi un'irresponsabile perchè lo stava sottoponendo ad uno sforzo.
"Un girono avrò la mia rivalsa."ghignò, ancora.
Fecero l'amore con passione e dolcezza.
Gemiti, ansiti, mani intrecciate e movimenti sinuosi...
James cingeva le spalle dell'amico, che dormiva, appoggiato a lui, sul pavimento.
Il suo respiro era regolare, in sincronia con il suo.
Fissò, senza guardarlo realmente, il soffitto, mentre con la punta dell'indice sfiorava la guancia ruvida dell'amico.
La barba, sfatta di qualche giorno, gli pizzicava i polpastrelli, ma lui non ci fece caso.
D'un tratto lo sentì gemere nel sonno e sobbalzò; un incubo, probabilmente.
Rafforzò la stretta su di lui e gli prese la mano, intrecciando le dita con le sue.
"Sono qui, sta tranquillo. Non ti accadrà nulla di male. E' una promessa."disse, a bassa voce, sperando, invano, che potesse sentirlo.
Pensò al tumore, alle cure, ai recenti malesseri e svenimenti e sentì un tuffo al cuore.
Mai come in quel momento quando la loro unione era stata più forte che mai, quando lo aveva sentito dentro di sè, sentì la consapevolezza di quel pericolo.
Non voleva perderlo. In tutti quegli anni non c'era stato un solo giorno in cui non si erano parlati o visti o sentito.
Quanti guai gli aveva fatto passare per il suo caratteraccio, per i suoi vizi, le sue dipendenze.
Ma l'aveva sempre difeso a spada tratta, sempre protetto. Era il suo migliore amico ed anche se avesse commesso il più grande sbaglio della sua vita, lui sarebbe stato lì ad aiutarlo, a perdonarlo...
"Non ti lascerò andare."gli sussurrò all'orecchio, e Greg mosse la mano che James stringeva, come se avesse sentito.
Ed un sorriso distese il viso dell'oncologo, mentre chiudeva gli occhi, liberandolo anche se per poco, dell'angoscia che lo attanagliava.


Ciao a tutti voi, ragazzi che passate di qui!
Spero vi piaccia questo capitolo.
Ringrazio di cuore:
Lemnia: tesoro, non merito questi complimenti, ma li accetto molto volentieri! Sono felicissima del fatto che ti piaccia la mia storia e che continuerai a seguirla!!!
Continua a dirmi che ne pensi, poichè adoro le tue recensioni!!! Un bacione
H W: grazie grazie grazie! Della recensione e soprattutto del conversazione per msn...mi ha fatto bene parlare con te, perchè, credimi, sto davvero male per come è finita la quarta stagione e morirei se quei due litigassero e non si parlassero più...Spero di no, anche perchè non si può mandare al diavolo un'amicizia come quella (e noi pensiamo ci sia sotto anche qualcosa di più forte, ma lasciamo tutto nelle mani di David Shore...speriamo bene!!!) Continua a recensire e dimmi che ne pensi!!!
Un bacione
Lily Black 90

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Capitolo 12
*** nuove conoscenze e moti di gelosia ***


Toc Toc Toc
Il bussare alla porta del suo ufficio fece sobbalzare James.
Si chiese chi poteva mai essere; Greg no di sicuro, abituato ad entrare senza bussare, nè i suoi pazienti, dato che non aveva visite.
"Avanti!"disse, alzando gli occhi dalle sue cartelle.
"Ehilà, James! Disturbo?"
Era una voce che conosceva fin troppo bene, anche se non la sentiva da moltissimo tempo.
Alto, capelli biondo scuro ed occhi chiari, Tom Johns entrò nel suo ufficio, sfoderando il suo miglior sorriso.
"Tom! Ciao!"
Tom gli tese la mano che l'altro strinse, sorridendo a sua volta.
Capo d'un industria di tecnologia, viveva a New York ed era il suo migliore amico all'università.
"Che ci fai qui?"
"Sono in vacanza, no? Ed ho deciso di farti una visita! Se non vengo io, tu non ti fai vivo, eh?"
Vacanza.
Era quasi Natale. Come passava in fretta il tempo!
"Scusami! E' che..."
"Hai molto da fare con i tuoi pazienti! Lo so bene!"
"Quanto rimani qui?"
"Per un bel pò. Dopo i miei giorni di meritato riposo, ho un affare da concludere con un pezzo grosso qui nel New Yersey. Quindi mi avrai tra i piedi per un pò. Abbi pazienza!"
James rise.
"Figurati! Non c'è problema!"

Pranzo Mensa del Princeton Plainsboro Teaching Hospital
Due amici ridevano e scherzavano ad un tavolo, ma stavolta James non era con Greg, bensì con Tom.
"E come va con il tuo compagno?"domandò, ricordandosi la natura dell'amico.
"Male. Ci siamo lasciati da due settimane. Ora voglio solo divertirmi un pò. Basta con le relazioni. Anche tu la pensi come me, vedo. Dato che sei al tuo terzo divorzio."
James annuì.
Tom voltò lo sguardo un attimo e si bloccò.
"Alto, capelli scuri, mani grandi, fisico perfetto, occhi azzurri, andatuta claudicante..."
A "andatura claudicante" James alzò lo sguardo dal suo piatto per posarlo su Tom.
"Chi stai analizzando?"
Seguì il suo sguardo per capire il soggetto e sorrise.
Greg House era appena entrato nella mensa, seguito dalla Cuddy. Probabilmente stavano discutendo, dato lo sguardo gelido che la Cuddy gli rivolgeva ogni tanto.
Il diagnosta le fece un cenno con la mano e lei se ne andò.
"E' House. Gregory House."spiegò a Tom.
"Molto sexy."commentò.
James sentì uno strano tuffo al cuore, non potendo fare a meno di essere d'accordo con lui.
Greg incrociò il suo sguardo e ghignò.
"Ora te lo presento."disse James a Tom che lo guardò interrogativo.
Greg si fece largo tra la folla, zoppicando ed afferrò il pacchetto di patatine che l'oncologo gli porgeva, già conoscendo le sue intenzioni.
"Ehilà!"salutò, sedendosi.
"Greg, ti presento Tom Johns, il mio migliore amico all'università. Tom, lui è Greg House."
"Il suo migliore amico di qui."disse calcando il "qui".
Solo James se ne accorse e si limitò a lanciargli un'occhiata interrogativa.
"Perchè la Cuddy ti stava rimproverando? Che hai combinato oggi?"gli chiese, ignorando il suo sguardo.
"Nulla, per ora. Solo ho aiutato i paperotti a risolvere un caso."
"Riposati."
"Mi annoio!"
James alzò gli occhi al cielo, per poi posarli sui suoi.
Sentì un altro tuffo al cuore, nell'incrociarli.
Cavolo! Ma cosa gli stava succedendo?
Greg distolse lo sguardo, provando la stessa strana sensazione.
La conversazione proseguì senza troppi danni, anche se spesso James sentì una sorta d'ostilità di Greg verso Tom.
Ma forse era solo una sua impressione. Forse si comportava come al suo solito.
Quando se ne andò dalla mensa, James non potè trattenersi dal seguirlo con lo sguardo, finchè non varcò la soglia, sparendo dalla sua vista.
"Ostile, direi."disse Tom, al quale non aveva certo risparmiato battute e frecciate.
"Lo so, lo è con tutti. E' un uomo impossibile."
"M'interessano uomini così."disse Tom e James sobbalzò.
"Cosa?"
"Ci starebbe?"
"Aspetta, aspetta, aspetta! Con te? Greg con te?"
"Talmente assurda come cosa?"
"Non è il tipo."
"Che sta con gli uomini o che ha una relazione?"
"Entrambe le cose."
"Ma io non voglio una relazione. Voglio solo divertirmi."
"No!"
Un "no" secco e gelido.
James lo fissò, allarmato.
"Come mai sei così...protettivo?"
"Non ti divertirai con lui, Tom. E' il mio migliore amico e se ti azzardi a..."
"Calmati, James! Oddio! Era solo un ipotesi, rilassati."
James annuì.
Si era allarmato per nulla. Non stava dicendo seriamente, allora.
Lo voleva proteggere a tutti i costi.
Ed allora perchè aveva sentito un moto di gelosia, quando Tom aveva adocchiato Greg?

"Chi è?"
"Chi è chi?"
"Tom qualcosa. Che ci fa qui?"
"E' in vacanza. Ed era passato a farmi una visita. Tutto qui."
Rimasero per un attimo in silenzio.
Poi James aggiunse:
"Penso ti abbia adocchiato."
Greg sobbalzò e lo guardò come se si fosse bevuto il cervello.
Erano in macchina, in ritorno dall'ospedale.
"Cosa?"
James rise alla sua espressione sconvolta.
"Ha detto che sei molto sexy e che lo attirano gli uomini impossibili come te."
"Tutto merito del mio fascino. Riscuoto vittime, ovunque."
Greg lo guardò e James distolse lo sguardo fissandolo sulla strada.
"Stai attento, comunque. Ha detto che voleva solo divertirsi e mi ha chiesto se ci saresti stato."
"E' fuori di testa."
"Lo so, perciò ti dico di fare il bravo e di..."
"Non parlare con gli sconosciuti e di non accettare caramelle?"
James rise.
"Precisamente."
"Va bene, mammina."


Tom, l'amico di Wilson, passava spesso per l'ospedale e Wilson si ritrovò a dover dividere il suo tempo tra lui e Greg.
Ora che stava un pò meglio, Greg aveva ripreso con i suoi amati casi, nonostante le preoccupazioni di Wilson e della Cuddy.
Cameron lo guardava preoccupata, temendo uno svenimento, un mancamento o un segnale che stesse male...
E ciò le rimediava sempre sarcastiche battute da parte del suo capo.
"Cameron! La posta non si mette a posto da sola! Meno occhi puntati su di me e più su quelle lettere!
So di essere uno schianto, ma in questo reparto si dovrebbe anche lavorare!"
E James non poteva fare a meno di ridere quando Greg gli raccontava queste cose, anche se pensava alla faccia sicuramente triste della bella dottoressa.
"E' preoccupata! E' normale! Anche io sono preoccupato!"
"Infatti! Non sopporto neanche te!"
James alzò gli occhi al cielo.
"Sto bene. Odio quando ficcate il naso nei miei affari."
"Sono il tuo oncologo."
"Mi aspettavo una frase del tipo: "Sono il tuo migliore amico"."
"Anche."
"In secondo piano."
"E' più importante che tu sia in salute, adesso."
"Quindi medico batte amico?"
"Smettila. Mi dai sui nervi quando mi fai queste domande. E poi sai che non è vero."
 Greg abbozzò un sorriso e chiuse gli occhi, steso sul divano dell'ufficio di James.
"I tuoi? Sono ancora qui."
Sapeva benissimo che non stava dormendo.
"Sì. E non accennano ad andarsene. Ma per casa non passano. Si limitano a bombardarmi di telefonate e visite inaspettate all'ospedale."
"I genitori..."

Col passare dei giorni James conobbe un Tom che non aveva mai visto prima.
Non era più il suo amico dell'università; anzi, era totalmente diverso da come se lo ricordava.
Arrogante, presuntuoso, voleva ottenere sempre ciò che desiderava...
Temeva per Greg: sapeva benissimo i pensieri di Tom su di lui e temeva che potesse fargli del male.
Era più forte di lui, essere protettivo nei suoi confronti....
"Sì e lui mi dice..."
Il vociare di Tom venne interrotto da Greg che aprì di colpo la porta dell'ufficio dell'amico oncologo.
James, che era abituato, non disse o fece nulla, ma si limitò ad alzare lo sguardo su di lui.
Tom, invece, sobbalzò.
"James, avrei bis..."
S'interruppe vedendo Tom.
La sua espressione era indecifrabile.
"Dicevi?"disse James, rivolgendosi al diagnosta.
"Avrei bisogno di un consulto su un cas..."
S'interruppe nuovamente allo sguardo severo dell'amico.
"Sto bene, piantala di comportarti come se fossi mia madre! Già lo fanno la Cameron e la Cuddy."
James posò lo sguardo su di lui.
Stava sicuramente meglio di un mese prima, ma era ancora pallido e la mano che stringeva il bastone, tremava leggermente.
"Dev..."
"Riposarmi? No, scordatelo. Se non lavoro, finisco per impazzire."
"Non più del solito. Sarebbe impossibile."
"Aha, aha, aha."fece sarcastico.
Gli mostrò una radiografia.
"Guarda qui." Indicò quella che sembrava una piccola macchia vicino al cuore.
"Che pensate sia?"
"Chase ha detto tessuto cicatrizzato, Foreman un calcinoma e Cameron mi stava preparando il caffè ed era d'accordo con Chase.
Non so se perchè vanno a letto insieme o se lo pensasse sul serio. Io penso sia un cancro, ma la Cuddy ha detto che se non sono sicuro non posso far fare alla paziente un intervento invasivo. Dice che potrebbe morire. Come se aver avuto una crisi attacco di cuore ed una crisi respiratoria, non significhi stare male."
James si avvicinò alla sua scrivania, alzando alla luce la radiografia.
"Hai rag..."
S'interruppe di botto, vedendo l'amico piegarsi ed appoggiarsi sempre di più al bastone.
Tom si alzò dalla sedia con un: "Cosa?"
Greg respirava affannosamente, una mano sul petto.
"Greg..."
James gli corse accanto, sorreggendolo.
"N-non res..."gemette lui, il respiro che si era fatto molto rado.
"Chiama un'infermiera! Dille che c'è bisogno di un respiratore!"esclamò James, rivolto a Tom.
Lui lo fissò, impalato.
"MUOVITI, MALEDIZIONE!"
Greg tremava follemente, tra le sue braccia, respirando affannosamente, come un naufrago in cerca d'aria.
"Resisti...cerca di respirare. Dei bei respiri profondi. Su..."
James era agitatissimo.
Sembrava fossero passate delle ore, quando Tom entrò, seguito da un'infermiera.
James le strappò bruscamente di mano il respiratore e lo posò sul viso di Greg, che riprese un pò del colorito perso.
"E' tutto ok...calmati, ora."
Il diagnosta chiuse gli occhi, respirando profondamente.
"Tutto ok...tutto ok..."ripetè James, più e più volte, finchè l'amico non si addormentò.

"Com'è possibile? Il tumore al cervello non causa una crisi respiratoria!"
La Cuddy camminava su e giù per il suo ufficio.
"Il tumore no, le medicine per curarlo sì..."
Cameron guardò severamente Wilson, come se fosse stata colpa sua, le mani sui fianchi.
"Sul serio?"chiese la Cuddy, passando lo sguardo da lei a lui.
"Sì, possono compromettere cuore e polmoni."continuò Foreman.
"Wilson! Accidenti, proprio quella cura!"
"Non dovresti essere neanche tu il suo oncologo! I buoni medici sono obiettiv..."fece Cameron.
"Mi stai dicendo che non sono un buon medico?"
James alzò la voce.
"Sto dicendo che non sei obiettivo, nè imparziale. Sei troppo coinvolto. House è il tuo migliore amico e l'affetto che provi per lui ti spinge a fare scelte che non avresti fatto per un altro paziente. Non ti saresti lasciato ricattare da qualcun altro.
Nessun altro oncologo avrebbe iniziato quella cura, se non avesse sperimentato prima tutte le altre. Sapendo che è rischiosissima, avresti dovuto rifiutarti!"
"House si è quasi ammazzato per ricattarmi. Credi che qualcun altro avrebbe potuto gestirlo meglio di me?"
"Forse."
Wilson alzò lo sguardo al cielo, sconvolto.
"Wilson, sarebbe la cosa migliore."
La Cuddy fece per mettergli una mano sulla spalla, ma lui si allontanò, brusco.
"Mi state dicendo che la cosa migliore per House in questo momento è sentirsi abbandonato dal suo migliore amico?"
La voce gli tremava. Lottò per controllarla.
"No, certo che no. Ma..."
"Si fida di me, ok? Mi ha affidato la sua vita, sapendo che..."
"Che cosa? Che tu sei l'unico così folle da seguire le sue pazze idee?"
"Sì! Che sono l'unico che può aiutarlo, ora. Io non lo lascerò nelle mani di un altro."
E se ne andò, sbattendo dietro di sè la porta dell'ufficio.

Tremava da capo a piedi, seduto sul pavimento del tetto, dove tempo addietro House gli aveva rivelato di essere malato.
Sapeva che avevano ragione, tutti loro, ma non ce la faceva.
Era fin troppo debole per fare una cosa del genere.
E si rese conto di aver bisogno di House, forse più di quanto ne avesse lui.
Non voleva lasciarlo andare, non voleva ferirlo....
Calde lacrime gli rigarono le guance, mentre guardava il cielo rannuvolarsi.
Sobbalzò al vibrare del cellulare e con un tuffo al cuore vide che il mittente era proprio la persona a cui stava pensando.
Deglutì a fatica e si asciugò le lacrime prima di rispondere, tentando di parlare con calma.
Non voleva che sapesse che stava piangendo.
"Fammi indovinare. Sei fuggito con la caposala del reparto di oncologia, ed ora ve la state spassando in un casinò?"
Wilson rise.
"Ovvio che sì. Non lo sentì il rumore delle fiches?"
"Sono stato braccato."
" Blythe e John?"
"Oh, yeah. Sono preoccupatissimi. Neanche fossi andato in coma."
"Potevi morire."
"Naa."
"Se ti fosse successo in un altro luogo, dove non c'erano med..."
"Cosa piuttosto complicata dato che sono sorvegliato da te e la Cuddy 24 su 24? Tu vivi persino a casa mia!
Mi spieghi come faccio a stare senza un medico vicino?"
Tacque per un pò e Wilson lo sentì camminare, il bastone che ticchettava sul pavimento.
"Dove vai?"gli chiese.
"Dove sei?"
"Rispondi alla mia domanda."
"Sono in ospedale. Quindi sarò soccorso da qualcuno se mi viene un'altra crisi respiratoria."
"Avevo bisogno di pensare."
Se si fosse concentrato di più su ciò che aveva intorno, forse Wilson si sarebbe accorto della porta del tetto che si apriva.
Ma era fin troppo preso dai suoi pensieri, per rendersene conto.
"Mi sa che questo luogo è già stato riservato."
Wilson sobbalzò nel sentire la sua voce così vicina.
Si voltò e lo vide a pochi metri da lui, appoggiato al muro.
"Ma se vuoi possiamo fare a metà."
Chiuse il telefono e si avvicinò, reggendosi al bastone.
"Come sapevi che ero qui?"
"Ti spiavo. Vuoi dirmi che non ti sei accorto della microspia che hai nella giacca?"
"Intuizione."aggiunse al suo sguardo interrogativo.
"Ma una cosa che non ho intuito è perchè tu stessi piangendo?"
"Non stavo piangendo."
"I tuoi occhi sembrano dire il contrario."
Wilson lo guardò, mentre l'altro si avvicinava di più.
"Sono lucidi e prima quando hai risposto al telefono la tua voce era spezzata. Come se tentassi di mantenerla calma, mentre prima ti eri sfogato."
L'oncologo roteò lo sguardo e, chinandolo, annuì.
"Che ti ha detto la Cuddy? O Cameron? O chiunque altro sia stato."
"Nulla che non sapessi già."
"Ho molte doti, sai, ma leggere nel pensiero non è tra quelle."
"Non ancora."aggiunse.
"Ho fatto un errore decidendo di curarti io. Non dovevo farlo. Dovevo immaginare che non sarei stata la persona più adatta, che avrei fallito.
Non posso, Greg. Sono troppo coinvolto e ciò mi impedisce di vedere le cose con lucidità.
Non dovevo farmi ricattare con la storia della tua maledetta terapia, che ha portato più danni che altro. Un altro oncologo sarebbe stato impaziale, obiettivo.
Io non lo sono, nè mi illudo di porter mai esserlo. L'affetto che provo per te mi spinge a fare scelte che non avrei fatto per un altro paziente.
Ma non ce la faccio. Non voglio lasciarti andare. Non voglio che qualcun altro si prenda cura di te.
E questo è da egoisti, maledettamente egoisti. E mi sono reso conto che avevi ragione, che hai sempre avuto ragione.
Sono io che mi nutro delle persone che hanno bisogno. E non posso permettere che accada ancora con te. Perchè finirà che qualcuno si farà del male.
E non sarò io."
Wilson si alzò e fece per andarsene, ma House lo bloccò afferrandolo per un braccio e voltandolo bruscamente verso di lui.
"Non farlo. Non puoi."
"Non voglio, ma devo. Ti prego, non..."
S'interruppe di colpo. House l'aveva baciato, avvicinandosi a lui.
Sentiva le lacrime colargli lungo le guance, mentre gli sfiorava la guancia con le dita, il braccio ancora bloccato nella sua ferrea presa.
"Questo non mi rende le cose più facili."sussurrò, quando House si allontanò di qualche centimetro per respirare.
Un tuono li fece sobbalzare ed iniziò improvvisamente a piovere.
"Era quello l'obiettivo."
"No...io non..."
Un altro bacio, più intenso del precedente.
"House, smettila! Per fav..."
"Continuerò finchè non cambierai idea."
"Mi stai ricattando?"
House mise una mano sulla sua nuca, stringendo l'altra nella sua, e lo avvicinò ancora di più.
"Sta funzionando?"
"Lo faccio per te. E' la scelta migliore."
"Non devi scegliere per me. So farlo benissimo da solo. Nel caso non lo sapessi, qui il più grande e quello con più esperienza, sono io."
"Non voglio che tu soffra."
"O non vuoi vedermi soffrire?"
"Entrambe le cose."
"Ho bisogno del tuo aiuto. Voglio che sia tu, e nessun altro, il mio oncologo. Sai benissimo cosa succederebbe: io proporrei una cosa e lui ne farebbe un'altra.
Così morirò e tu mi avrai sulla coscienza."
"Un'ottima argomentazione."
"Tu mi sai..."
"Gestire?"
"Forse."
"Sono l'unico che ti è sempre accanto."
"Sei un pazzo."
"Vuoi l'aiuto di un pazzo?"
"Voglio quello di qualcuno che mi capisca. E tu potresti essere adatto."
"Se ti accadesse qualcosa, per colpa mia..."
"Accadrebbe di peggio, se mi lasciassi alle cure di qualche tuo collega. Sai che non mi fido."
"Tu non ti fidi di nessuno."
"Non proprio di nessuno. Sono pochi gli eletti che godono della mia fiducia."
Wilson rise.
"Ne faccio parte?"
"Solo se cambi idea."
Wilson chiuse gli occhi.
"Ok. Ma sei un manipolat..."
House lo baciò nuovamente, lasciandogli il braccio libero.
Wilson gli passò una mano tra i capelli fradici. Erano entrambi zuppi.
"Non devi convincermi ancora. Ho già detto di sì."
"Lo so. Infatti, non era per quello che ti ho baciato."
"E perchè?"
House ci pensò su per un attimo.
"Perchè mi andava."
"Non puoi fare sempre quello che ti va."
"Stavolta sì."
"E perchè?"
"Perchè tu sei più che disposto."
Touchè.
Wilson chiuse gli occhi, appoggiandosi a lui ed accarezzandogli i capelli.
Lo baciò più e più volte, sulle labbra e scendendo lungo il collo.
Gli sbottonò la camicia, toccandogli i pettorali ed ammirandone la bellezza.
House gli tolse la cravatta e lo fece stendere sul pavimento del tetto, chino su di lui.
Gli bloccò i polsi e continuò a baciarlo, vorace, come se non ne avesse mai abbastanza.
"House..."
Wilson gemette il suo nome, quando sentì le sue mani scendere ed arrivare nei suoi pantaloni.
House glieli sbottonò ed abbassò fino alle ginocchia, sfiorandogli il pene con le dita.
Si adagiò su di lui e riprese a baciarlo, una mano dietro la nuca di Wilson, l'altra che faceva su e giù sul suo petto fino ad arrivare all'inguine.
"Fà fare a me."disse Wilson.
"Te lo scordi."
"Hou..."
Ma s'interruppe nuovamente al suo tocco, gemendo di piacere.
Sentiva la mano di House sul suo pene e godeva al suo tocco.
Lo sentiva muoversi su di lui, piano, strusciando contro il suo inguine; House era chino su di lui e l'osservava, mentre gli mordicchiava le labbra ed il mento sbarbato.
"Lo sai che se ci sorprendono qui..."
"Ti licenziano? Perchè stai facendo sesso con un tuo paziente?"
"Anche."
La pioggia continuava a scendere, impetuosa.
House lo sovrastava.
"Non verranno qui a cercarci. Non ci ritengono tanto pazzi da stare sotto questa pioggia. Anche se sbagliano."
Wilson lo tirò per la maglia e lo costrinse a chinarsi di più verso di lui.
"Ho paura per te."
"Che mi prenda una polmonite?"
Wilson fece per alzarsi, ma House lo bloccò a terra.
"Tu non vai da nessuna parte."
"Potrei denunciarti per aggressione."
"Acconsentita? No, non credo."
"Non ho acconsentito."
"Noo! Il fatto che mi baciassi anche tu, era puramente cas..."
Wilson lo baciò.
"Vedi?"
"Era l'unico modo per farti stare zitto."
"Funziona. Lo dovresti usare più spesso."
Wilson rise, mentre House lo voltava di schiena.
Penetrò con dolcezza, senza fretta e loro assaporarono quell'unione come facevano ogni volta.

Wilson strinse House al petto, rivestendosi lentamente.
Aveva smesso di piovere.
"Se ti prendi una polm..."
"Shh!"
House lo zittì, posandogli una mano sulle labbra.
Wilson gli mordicchiò le dita, ridendo.
Gli accarezzò i capelli, posando il mento sulla testa dell'amico, seduti sul pavimento.
"Andiamo a casa, su."
"Mi ci porti tu in braccio. O aspettiamo un pò. Non ce la faccio."
Wilson gli cinse le spalle con le braccia.
"Sei protettivo."
"Lo so. E tu hai bisogno della mia protezione."
"Naa."
"E' vero. Ammettilo."
House alzò il capo per guardarlo.
"No, non è vero."
"Ok."
Wilson lo scostò e si alzò.
"Allora io vado."
"Ci vediamo."
Wilson si avviò verso la porta.
"Se ti aspetti che ti corra dietro e ti chieda di fermarti, vuol dire che non mi conosci affatto!"fece House.
Rideva.
Sapeva che non lo avrebbe lasciato lì sul tetto.
O almeno, lo sapeva, finchè Wilson non aprì la porta del tetto e con un ultimo sguardo di sfida rivoltagli, sparì dietro di essa.
"Tanto lo so che torni."esclamò alla porta.
Passarono dei minuti.
"Sei un vero idiota."
House si aggrappò al parapetto e si alzò, ancora fradicio di pioggia e si avviò verso la porta, aprendola.
"Sei veramente un'idio....AAH!"
House si sentì afferrare per braccio e prendendo l'equilibrio, si ritrovò addosso a Wilson.
"Sei-un-vero-"
"Idiota. L'hai detto già due volte."
House si staccò da lui ed incrociò le braccia sul petto.
"Sapevo che non te ne saresti andato."
"Ma sei andato a controllare."
House sbuffò.
"Aiutami, su."
Wilson passò il braccio di House attorno al collo e lo aiutò a scendere.
Sembrava davvero un bambino, quando teneva il broncio.
Arrivati a casa Wilson lo convinse a riposarsi e controvoglia il diagnosta si stese sul proprio letto, protestando.
Ma nonostante i capricci che aveva fatto, s'addormentò di botto.
Wilson s'appoggiò allo stipite della porta della sua camera da letto, guardandolo dormire.
Era in momenti come quelli che desiderava più che mai che andasse tutto bene.
Vederlo sereno, atteggiamento così inusuale per uno come House, vederlo ridere, giocare e scherzare, lo facevano sentire meglio.
Era come se, per quegli istanti, il tumore fosse solo un incubo.
Si chiedeva spesso se, qualora House non si fosse mai ammalato, tutto quello che era successo tra loro, si sarebbe ugualmente verificato.
Sobbalzò nel vederlo tremare e si precipitò accanto a lui.
"House...ehi, Greg!"
Gemeva nel sonno e tremava forte.
Wilson gli posò una mano sul braccio, tentando di calmarlo.
E d'istinto si stese accanto a lui, alle sue spalle, cingendolo con le braccia e posando il mento sui suoi capelli.
"Sono qui. Calmati. E' solo un incubo. E' tutto ok."
Dopo un pò House si calmò; Wilson rimase steso accanto a lui, continuando ad abbracciarlo, protettivo.
"Jimmy...."
"Sono qui."
"Perchè mi stai abbracciando come un koala?"
Wilson rise, piano.
"Stavi tremando e gemevi nel sonno; volevo tranquillizzarti."
"Volevi provare che il contatto umano funziona sempre?"
"Può darsi."
Wilson fece per andarsene, ma House lo bloccò, stringendogli il polso.
"Resta qui."
Wilson fece un cenno d'assenso con la testa.
"Domani voglio fare una  TAC."fece House, dopo qualche minuto di silenzio.
"D'accordo. Va bene."
"Hai paura?"
"Non sono io quello che se la deve fare."
"Sei agitato."
"Non è vero."
"Ti tremano le mani."
Wilson chinò lo sguardo sulle proprie mani; House aveva ragione. Tremavano.
"Sto bene. Sono solo preoccupato."
House inaspettatamente intrecciò le dita con quelle di Wilson, stringendole forte.
"Andrà bene."


Scusate per l'attesa, ragazzi!
Ecco a voi un altro capitolo della mia storia.
C'è un cambiamento che ho apportato: le medicine che House sta assumendo provocano danni al cuore ed ai polmoni e non al cuore ed ai reni, come avevo scritto precedentemente.
Un grazie a:
SakiJune: sai benissimo che adoro le tue recensioni e questa non può che farmi molto piacere! Fammi sapere che ne pensi.
Kagura92: sì, lo so, sto andando veloce! Spero che ti piaccia ugualmente, comunque. Fammi sapere.
lady house: Grazie per i complimenti *me molto rossa* e spero che anche questo ti piaccia!
H W: grazie mille di tutto! Attendo tue notizie e commenti!
Un bacione a tutti

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Capitolo 13
*** Stress, paranoia e gelosia ***


“Ho paura di guardare.”

“Devo farmi io la Tac e tu hai paura? Ma che razza di medico sei?”

“Il tuo migliore amico.”

“Pessima giustificazione.”

James alzò gli occhi al cielo per poi posarli nuovamente su House.

“Stenditi, dai.”

“Che intenzioni hai?”

Greg lo guardò, fingendosi spaventato.

“Idiota.”

L’altro ridacchiò.

“Andia…”

Prima che James potesse finire la frase Greg l’attirò a sé, afferrandolo per la cravatta e lo mise a tacere con un bacio.

James si staccò lentamente, curioso ed insieme timoroso di vedere le analisi.

Aspettò di vederlo disteso prima di mettersi davanti al monitor, mordicchiandosi le labbra, ancora piene del suo sapore.

 

“Raggio di Sole! Indovina un po’?”

Greg entrò nell’ufficio della Cuddy, brandendo le analisi.

Si era tolto il camice e indossava maglietta e pantaloni e ghignava.

“Cosa?”

La dottoressa posò immediatamente il telefono e passò lo sguardo dal volto ghignante di Greg a quello di James che sorrideva, dietro di lui.

“I risultati della Tac…”

Tacque per un istante.

“Sono…”

Altra pausa, mentre giocherellava con essi.

“House!”lo rimproverò la Cuddy, ansiosa.

“Ci vuole la suspense in occasioni come queste, no?”protestò lui, fingendosi indignato.

“Sta bene. Il tumore è diminuito ancora ed appena diminuirà di due centimetri esatti potrà essere operato.”disse James e la Cuddy tirò un sospiro di sollievo.

Greg era offeso.

“Sei un guastafeste, James Wilson!”

Gli lanciò le analisi e brandì il bastone contro di lui.

Ma stava ridendo.

 

Quando i suoi dipendenti seppero la notizia ebbero reazioni molto diverse: Cameron gli saltò al collo e per poco non lo fece cadere lungo disteso sul pavimento, mentre Foreman e Chase si limitarono a sorridere ed a dargli pacche sulle spalle.

I suoi genitori furono molto più melodrammatici.

Blythe scoppiò in lacrime, sollevata, e lo coinvolse in un abbraccio stritola-costole come solo le mamme sanno fare, al quale si unì anche John House.

“Piano! Così mi soffocate! Non sono ancora guarito, sapete?”

 

“Ma sei sulla buona strada.”disse James quando Greg lo ripeté quella sera, entrando nell’appartamento.

Greg annuì per poi voltarsi a guardarlo.

“Che c’è?”chiese James, appendendo le giacche.

Greg scrollò le spalle e distolse lo sguardo.

“Nulla.”

James, sorpreso, lo guardò zoppicare in cucina e trafficare con i fornelli.

“Che fai?”

S’appoggiò allo stipite della porta e lo guardò, curioso.

“Cucino! Che ti sembra che faccia? Balli la conga?”

“Sarei proprio curioso di vederti. Sto solo cercando di capire perché mi vuoi avvelenare. Aspetta prima l’operazione, no? Così non ti servirò più.”

Greg fece una smorfia.

Lasciò perdere i fornelli e s’appoggiò allo stipite accanto a lui, incrociando le braccia sul petto ed inclinando la testa di lato per guardarlo negli occhi.

James sentì un buco allo stomaco nel sentirsi così vicino a lui e non avrebbe mai immaginato che l’amico stesse provando la stessa medesima cosa.

“Ordino una pizza.”

James interruppe quel silenzio.

“Grazie.”

“Sto chiamando solo la pizzeria. Non faccio nulla di che.”

“Infatti non era per la pizzeria.”

Con il telefono in mano, James si voltò a guardarlo e capì.

Sorrise.

“Sei cambiato, sai?”

“Le persone non cambiano.”

“E’ una delle tue filosofie. Ma il cambiamento fa parte della vita. E’ inev…”

“E’ già ora di lezione? Non puoi proprio risparmiarmela?”sbuffò il diagnosta.

Inutile discutere.

“Come vuoi.”

“Grazie, mammina.”

“Non chiamarmi mammina, Greg.”

L’altro s’avvicinò fino a trovarsi a pochi centimetri dal suo viso.

“Perché?”

“Perché se fossi la tua mammina, non potrei fare questo.”

James lo baciò, posandogli una mano dietro la nuca.

Greg ricambiò il bacio con passione, passandogli una mano tra i capelli castani.

In poco tempo si ritrovarono sul divano del salotto, il telefono chissà dove, la pizza ormai dimenticata.

James lo strinse a sé, baciandolo e sfiorandogli il corpo con la punta delle dita, facendolo rabbrividire ad ogni suoi tocco.

Provavano una bellissima, ma inspiegabile sensazione, stando insieme.

Anche un solo sguardo poteva scatenare un turbinio d’emozioni.

Bastava solo quello, a volte, uno sguardo incrociato per il corridoio, a far provare loro quello sfarfallio nello stomaco, diventato ormai familiare ad entrambi.

Tutto questo…non sapevano spiegarlo…o molto più semplicemente, non volevano.

Per la prima volta Greg temeva di definire qualcosa, di dare una spiegazione logica o meno che fosse.

Temeva sia che fosse, sia che non fosse, una cosa seria; e non voleva essere ferito com’era successo con Stacy.

Mai prima d’ora si era aperto così con qualcuno, almeno sentimentalmente parlando.

James era riuscito a penetrare la sua corazza, costruita abilmente in tanti anni, ed ora Greg si sentiva più vulnerabile che mai.

S’immobilizzò sotto di lui e tacque.

“Greg…”

James lo vide turbato e fece per accarezzargli il volto, ma Greg gli scostò la mano bruscamente e si allontanò da lui, sedendosi sul divano.

“Greg…”

James ci riprovò, non ottenendo cambiamenti.

“Stai bene?”

“Sto riflettendo.”

Il suo tono di voce ora era freddo, gelido, sprezzante.

“Su cosa?”

“Sta cambiando tutto.”

“E ne sei terrorizzato.”

“Sto bene!”esclamò, la sua voce era quasi un urlo.

Fece per allontanarsi ancora, ma James lo bloccò, afferrandolo per i polsi e lo costrinse a rimanere accanto a lui.

“Ascoltami…”

“Non ne ho vog…”

“Ascoltami! Non farò mai NULLA…mai, che possa mai ferirti. Mai. Ok?”

James era riuscito a guardargli dentro, capendo cosa lo turbava.

“Non sarò un’altra Stacy, chiaro? Qualunque cosa stia succedendo. Qualsiasi cosa sia…tutto questo…”

James lo strinse delicatamente a sé.

“Non potrai mai essere come lei.”sussurrò Greg.

“Bene.”

“I tailleur ti starebbero malissimo!”

 

Inizialmente James aveva pensato che Tom venisse spesso in ospedale per fargli visita, per parlare un po’ con lui.

Si erano sentiti di rado dopo l’università e le loro lauree e James iniziò a temere che queste ricorrenti visite avessero un altro scopo.

Uno meno amichevole.

“Tra quanto te ne vai?”gli chiese un giorno.

“Come sei crudele! Mi vuoi cacciare di già?”

Tom fece una smorfia.

“No, sono solo curioso.”

“Non so. Prima devo concludere quell’affare e fare un paio di cosette.”

“Tipo quali?”

“Che c’è? Preoccupato per me?”

“No. Non mi piacciono certi tuoi atteggiamenti. Sei cambiato. Te la fai con tutti, sei un violento.”

Tom scrollò le spalle.

“Le persone cambiano.”

“E tu in peggio.”

Se n’andò, il cuore stretto da un brutto presentimento.

 

Fu un periodo molto stressante per James.

Oltre a Greg, aveva alcuni pazienti, la clinica e la preoccupazione che Tom potesse far del male a Greg.

Non sapeva perché, ma era certissimo che, se avesse potuto liberarsi della sua supervisione, Tom avrebbe sicuramente aggredito il diagnosta.

Fu due giorni dopo la loro conversazione che vide Tom parlare con Greg.

Avanzò verso di loro, come una furia.

“Che cosa sta succedendo qui?”chiese.

I due si voltarono verso di lui.

“Nulla di che. Ho solo invitato il tuo amico a venire ad uno spettacolo di musica.”

“Ah, sì? E perché non l’hai chiesto a me?”

“Forse perché quella sera hai una cena tra colleghi?”

“Ti avevo detto di star lontano da lui, Tom.”

Greg lo guardò, sorpreso.

Era furioso con Tom. Perché?

“Calmati, Jimmy!”disse Tom, ghignando.

“Non chiamarmi Jimmy. Sai benissimo che detesto i tuoi “nuovi” atteggiamenti e che voglio che tu stia lontano dal mio migliore amico.”

“E’ un paese libero e faccio come mi pare.”

“Quindi non ti spiacerà se ti spacco la faccia, non è vero? Se è un paese libero…”

Greg alzò il bastone e lo mise tra loro, separandoli.

“Vi calmate o no? Almeno fate pagare il biglietto per vedervi sul ring, no?”

James abbassò il suo sostegno e guardò truce Tom.

“Va al diavolo.”

“Non prendo ordini da te, mio caro Jimmy.”

Accadde tutto in mezzo secondo.

James spinse Greg a terra, allontanandolo e s’avventò su Tom, colpendolo forte allo stomaco.

Tom si piegò in due, gemendo, ma reagì e gli mollò un pesante pugno sulla bocca.

“WILSON! E LEI, COME DIAVOLO SI CHIAMA! SMETTETELA IMMEDIATAMENTE!”

Era la Cuddy ed era livida.

Greg, che si era rialzato aiutato da Foreman, accorso con gli altri per vedere cosa fosse successo, afferrò James per un braccio e lo trascinò lontano da Tom.

“Questo è un ospedale, non un ring da combattimento!”

Il labbro inferiore di James sanguinava abbondantemente e lui si pulì con il dorso della camicia a coste.

“James, da te non me lo sarei mai aspettato. E lei…”si rivolse a Tom, che si reggeva ancora lo stomaco. “Se viene di nuovo qui a creare scompiglio, la faccio arrestare. Ora esca di qui, se non vuole che chiami la sicurezza.”

Tom se n’andò, lanciando uno sguardo ghignante a James, prima di varcare l’uscita.

“Qualcuno mi vuole spiegare cos’è successo?”

La Cuddy passò lo sguardo da James, che fissava il vuoto, a Greg che gli stringeva il braccio.

Non poche paia di occhi erano puntate su di loro.

“Andiamo nel mio uf…”

“Non ce n’è bisogno, Cuddy. Mi sono lasciato prendere la mano. Non accadrà più.”disse James, alzando lo sguardo su di lei.

La Cuddy annuì.

“Dovresti riposarti, Wilson. Sei stravolto.”

“Sto benissimo.”sbottò, arrabbiato.

“Come vuoi. Il mio era solo un consiglio.”

Lanciò loro un ultimo sguardo, poi se n’andò.

Man a mano anche i paperotti s’allontanarono e Greg si voltò verso di lui, trascinandolo nel suo ufficio.

“Ma cosa diamine ti è saltato in mente?”esclamò.

“Deve stare lontano da te.”

Greg lo guardò, stupito.

“Sei geloso.”constatò, calmo.

“Non è affatto vero.”

“Certo che è vero. Sei venuto verso di noi come una furia e…”

“Non è per gelosia. E’ assurdo.”

“Ed allora per cosa?”

“Ti vuole fare del male.”

“Sei un paranoico.”sbuffò Greg e sprofondò nella sua poltrona.

“Non sono paranoico. E’ vero.”insisté James.

“E come lo sai?”

“Ti vuole.”

“Non sono un giocattolo, James. E poi so badare a me stesso.”

“Non che non sai badare a te stesso.”

“Lo dici perché sono zoppo?”

Ora Greg si stava arrabbiando.

“Lo dico perché stai mal…”

“Basta con questa storia! Il fatto che abbia il cancro non ti da il diritto di decidere cosa io debba fare della mia vita. O chi debba vedere. O qualsiasi altra cosa.”

“Sono il tuo migliore amico, House!”

“E con questo? Odio la vostra apprensione, preoccupazione. Mi sento soffocare con tutti i vostri sguardi addosso, come se non vedeste l’ora di vedermi stramazzare.”

“Non è affatto vero! Non dire stronzate, House!”

“Smettila, ok? Non ti ci mettere anche con le tue assurde paranoie.”

“Non sono paranoie. Me lo sento, ok?”

“Ti senti cosa? Che domani il tuo amichetto verrà, mi rapirà e mi porterà in un bordello?”

“Non scherzare! Parlo sul serio. Ti fidi sempre del tuo istinto e quando il mio mi dice qualcosa, non mi credi? Non ti fidi di me?”

“Non è il tuo istinto a parlare, Wilson! E’ la tua irrazionale gelosia, la tua stanchezza, il tuo stress.

Sono settimane che non fai altro che lavorare tantissimo e sono tre giorni che ti porti il lavoro a casa e stai davanti alle tue cartelle fino a notte fonda.”

“Non vorrai dirmi che sei preoccupato?”

James rise e lo ferì, parlando così.

“Non me ne frega un accidenti, ma non stressare anche me.”rispose lui, per le rime.

“Bene.”

Fece per andarsene, ma prima di chiudersi la porta alle spalle si voltò verso di lui.

“E tanto per la cronaca, non sono affatto geloso!”

Greg rise.

“Pensala come vuoi. Ma se non vuoi essere onesto con me, sii onesto con te stesso.”

 

Erano ormai le 11 passate quando Greg entrò nell’ufficio del suo migliore amico.

Lo vide chino su cartelle e scartoffie.

“James…”

Al suono della sua voce sobbalzò.

“Greg! Oddio, scusa. Dovevamo andare a casa. Che ore sono?”

Aveva il labbro gonfio per il pugno ricevuto e lo sguardo esausto.

“Potevo andare in taxi. Che ci fai ancora qui? Avresti dovuto seguire il consiglio della Cuddy e riposarti. Per una volta ha detto una cosa sensata, quella donna.”

James lo guardò per un attimo e poi posò lo sguardo nuovamente sui fogli.

“Un attimo solo ed and…”

S’interruppe perché Greg, avvicinatisi, gli strappò i fogli ed i documenti da sotto gli occhi.

“Greg! Non fare l’idiota! Devo lavorare.”

“Puoi farlo domani. Hai bisogno di riposare.”

“No che non posso farlo domani. Mi hanno affidato altri tre casi, devo rimettere a posto questi documenti e…”

Chiuse gli occhi.

“Non ce la faccio.”

E d’un tratto s’appoggiò a lui, posando la testa contro la sua spalla.

Greg posò i documenti sulla scrivania e gli mise un braccio attorno alle spalle.

Non sapeva che fare in occasioni come quelle.

“Non volevo cedere. Sono così…”

“Stanco.”concluse Greg per lui.

James s’allontanò da lui e si passò una mano sugli occhi.

“Andiamo a casa.”

“Guido io.”

“No, te lo scordi.”

“James, sei esausto. Se guidi tu, rischi un colpo di sonno. Io sto bene.”

“NO!”

“Non hai scelta.”

“Ah, sì?”

“Ho io le tue chiavi. Te le ho sfilate dalla borsa.”

Battibecchi, baruffe e minuti dopo, Greg costrinse James a dormire sul suo letto.

L’oncologo protestò, ma s’assopì dopo pochissimo.

Greg si sdraiò piano accanto a lui, attento a non svegliarlo.

Alla fine era riuscito a guidare e tutto era andato per il verso giusto.

James accanto a lui dormiva alla grossa. Era sul serio esausto.

Girandosi nel sonno, s’appoggiò a lui, il viso contro il suo petto.

Greg fremette a quel contatto e posò lo sguardo su di lui.

Oggi aveva picchiato Tom solo perché l’aveva invitato ad uno spettacolo e gli aveva urlato di stare lontano da lui.

E diceva di non essere geloso.

Fu quasi tentato di sussurrargli all’orecchio “E tu non saresti geloso, eh?”, ma si trattenne.

Era piacevole guardarlo dormire e pian piano s’assopì anche lui.

 

Il mattino dopo James fu svegliato da dei conati.

Si rizzò a sedere e corse nel bagno dove vide l’amico che dava di stomaco.

“Greg!”

Corse verso di lui, inginocchiandosi sul pavimento e gli posò una mano sulla spalla, aspettando che finisse.

Il diagnosta si pulì la bocca con un asciugamano, tremando.

James gli passò una mano sul braccio.

“E’ il cancro?”chiese.

“Sei tu l’oncologo qui. Ma escludo sia per il panino di ieri sera.”

Si lavò i denti e fece per dirigersi fuori dal bagno, ma le ginocchia gli tremarono e crollò.

Fortunatamente James l’afferrò prima che potesse battere la testa contro il lavandino e lo sorresse, appoggiandolo sul suo petto.

Era tremante e pallido.

“Ti porto in ospedale.”

“No, lascia perdere. Sto bene. Ho solo un po’ di nausea. Se non ne fossi certo penserei che tu c'entri qualcosa.”

James colse l’allusione e rise, piano, contro il suo orecchio. Greg rabbrividì a quel contatto.

L’oncologo posò lo sguardo sul suo orologio e sobbalzò.

“Greg!”

“Cosa?”

“E’ mezzogiorno!”

Greg posò lo sguardo sull’orologio ed annuì.

“Vedo che sai leggere l’orologio. Stellina d’oro per te.”

“Falla finita. Dovevo andare a lavoro e lo sai. Perché non mi hai svegliato?”

“Perché eri tenero quando dormivi.”lo prese in giro.

Poi aggiunse.

La Cuddy ha chiamato un paio di volte ed io ho tentato di svegliarti, ma dormivi troppo profondamente. Lei ha deciso di darti un giorno di vacanza. E’ preoccupata.”

“Dovrebbe esserlo per te, non per me.”

“Sono geloso, sì. Ma ha paura che tu abbia un esaurimento nervoso. Dice che stai lavorando troppo.”

James chiuse gli occhi e gli passò una mano attorno alla vita, stringendolo a sé.

Mesi fa non avrebbe mai osato quel contatto, non avrebbe avuto neanche il coraggio d’abbracciarlo, ma ora…

“Forse ha ragione.”ammise.

“Non crollare anche tu. Non ce la farei a gestirti.”

“Promesso. Faccio io la parte del più forte, ora.”

Tacque per un istante.

“E’ assurdo.”

“Cosa?”

“Stavo ripensando a quello che mi hai detto ieri, nel tuo ufficio.”

“Che sei paranoico?”

“Che sono geloso.”

Greg tacque.

“Mi hai detto di essere onesto con me stesso.”

“Sì.”

“Forse avevi ragione.”

Greg alzò lo sguardo, stupito.

“Avevo ed ho paura per te, che qualcuno ti faccia del male…So che ti sembrerò paranoico, ma ho una brutta sensazione. Odiavo il fatto che ci provasse con te.”

“Parlando come amico?”

“Ovvio.”

E come avrebbe dovuto parlare, se non come amico?

Mah!

Greg tremava ancora e James lo strinse ancora di più.

Erano seduti sul pavimento del bagno, stretti l’uno all’altro.

James posò la fronte sulla sua e sobbalzò.

Scottava.

“Greg…”

“Mmm.”

“Hai la febbre.”

“Mmm.”

Molto eloquente.

L’alzò lentamente ed afferrò l’amico portandolo nella camera da letto.

Tentò di posargli un panno freddo sulla fronte, ma lui si divincolò.

“Lasciami, sto bene…”

“Non fare il bambino.”lo rimproverò.

“E’ solo un po’ di febbre…”

James sospirò e, chino su di lui, riuscì a posargli sulla fronte il panno.

Greg la smise di agitarsi.

“Non preoccuparti.”

“Pensa a riposarti, tu. E non pensare a me.”

“Hai una faccia…”

“Meglio della tua.”lo prese in giro e l’amico fece una smorfia.

Greg tese il braccio ed afferrò il suo, tirandolo verso di sé.

Colto alla sprovvista James cadde su di lui.

“Greg!”

“Non urlare. Mi fa male la testa.”protestò l’altro, ma non accennava a lasciarlo andare.

James era a pochi centimetri dal suo viso ed aveva una voglia matta di baciarlo.

“Fallo.”

Greg parve leggere la voglia sul suo volto.

L’oncologo si chinò su di lui e gli sfiorò le labbra con le sue, baciandolo dolcemente.

Si stese accanto a lui, lo sguardo sul soffitto, il braccio stretto ancora da Greg.

“James?”

“Dimmi.”

“Resta qui.”

Aveva la voce assonnata.

A quel “resta qui” James sentì stringersi il cuore.

“Certo che resto.”

Si chinò su di lui e l’abbracciò, forte, facendogli posare la testa sul proprio petto.

“L’avresti mai detto?”

“Detto cosa?”

“Che saremmo arrivati fino a qui? Che saresti riuscito ad abbracciarmi, senza avere il timore di una mia reazione?”

“Mai. Vedi che sei cambiato?”

Greg sbuffò.

“Le cose cambiano. Le persone no.”

James non replicò ed un minuto dopo Greg si era addormentato.

Fu tentato di alzarsi e fare qualcosa, dare un’occhiata alle cartelle, ma era così confortevole stringere a sé Greg, sentire il suo calore ed il respiro che gli solleticava il collo, che non osò muovere un muscolo.

 

La Cuddy e Greg costrinsero James a riposarsi per un altro giorno.

Rimase a casa con Greg, la cui febbre scese entro la mattina seguente.

“Mi raccomando, Greg. Se hai bis…”

“Bisogno di aiuto, chiamami o usa il cercapersone. Se lo dimentico, posso usare i segnali di fumo in caso di tentato rapimento?”

Erano tornati quel giorno all’ospedale e James non faceva altro che fare raccomandazioni all’amico.

“Son…”

“Preoccupato.”

“Smettil…”

“Di finire le frasi? Non essere così prevedibile. Anche se devo ammettere che mi hai sorpreso quando le hai suonate a Tom. Bel pugno.”

“Grazie.”

“Jimmy, rilassati, ok? Vai a consolare i tuoi pazienti moribondi, prenditi un caffè e smettila di essere paranoico!”

“Non…”

Iniziò James, ma decise di lasciar perdere.

“Ci vediamo.”

Gli batté una mano sulla spalla e sorrise prima di avviarsi verso l’ambulatorio, lasciandolo nel corridoio.

ciao a tutti!

grazie a:

H W: grazie per i complimenti. E credimi, odierai Tom sempre di più. Jimmy e Tom non sono MAI stati insieme e si sono sentiti qualche volta dopo le loro lauree. 

SakiJune: "mi stavi facendo di nuovo piangere"...spero che non sia per la disperazione XD!!!! Comunque grazie di tutto!!! 

Dimmi che ne pensi!!!

lady house: grazie!!!

Anna Mellory: nessuno lo sopporta Tom...allora ho fatto bene la sua descrizione!!!

Tra un pò l'odierete sul serio, comunque.

Commentate!!!!

Baciotti!!!

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Capitolo 14
*** Viaggi, presentimenti, dolore e conforto ***


Passò una settimana dal litigio di James e Tom e lui non si fece più vedere all’ospedale.

Anche se non lo vedeva in giro James continuava ad avere quell’orribile presentimento.

Come un acido che lo corrodeva dall’interno.

Aveva smesso di confidare a Greg i suoi timori; già lo chiamava paranoico…era meglio evitare di parlargli di ciò.

E proprio 3 giorni dopo la litigata, la Cuddy gli aveva comunicato una notizia.

“Una conferenza? A Los Angeles?”

“Sì. Hanno chiesto la tua presenza, Wilson.”

“Scordatelo.”

“Perché?”

“Sono quattro giorni! E’ troppo tempo!”

“Pensi ad House, vero?”

“Cuddy, no. Non me la sento, ok?”

“Starà bene, d’accordo? E’ in un ospedale, non gli accadrà nulla di male. Lo posso accompagnare io a casa, se ti fa sentire più tranquillo.”

 

“Devi andare. Non puoi deludere tutti i tuoi colleghi e malati terminali!”

Questo era Greg.

“No, non me la sento.”

James sprofondò nella sedia di fronte alla scrivania dell’amico, chiudendo gli occhi.

“No.”ribadì.

“Invece ci vai. Non potrai proteggermi per sempre. Sono grande. Anzi, ho 9 anni più di te, per la precisione, sai?”

James annuì.

“Ma non vado lo stesso. Greg, non posso lasciarti andare proprio ora. Non me la sen…”

“Vai!”

Greg s’avvicinò, posando le mani sui braccioli della sedia, intrappolando James che vi era seduto.

“Non riuscirai a con…”

Troppo tardi.

Greg aveva posato le labbra sulle sue, zittendolo.

“Ci vai. Punto e basta.”

James annuì.

Era inutile combattere con lui. Specialmente se lo baciava così!

Meno male che le tapparelle bianche erano abbassate e nessuno li poteva vedere!

Greg l’afferrò per i fianchi e lo tirò giù sul pavimento.

Ridendo James lo strinse al petto, posandogli un bacio leggero sulle labbra.

“Promettimi che andrai.”

“Perché insisti tanto?”

“Perché se non sei capace di stare lontano da me per 4 giorni, come farai se dov…”

James gli tappò la bocca con una mano. Sapeva cosa stava per dire.

“Stai zitto!”

S’alzò lentamente e Greg, seduto sulla moquette, lo guardò, stupito.

“James, non fare il bambino!”

“Non voglio pensarci, ok?”

“Invece devi!”

Si alzò anche lui e lo fronteggiò, reggendosi alla scrivania ed al bastone.

“Perché? Non posso pensarci dopo? Se sarà il momen…”

“No. Non puoi vivere nell’illusione che io ci sarò sempre, che tu riuscirai a salvarmi la vita.”

“Stai guarendo.”

“Voglio solo che accetti la situazione. Non sfuggirla, almeno.”

James chiuse gli occhi.

“D’accordo. Ci proverò.”

Quando riaprì gli occhi, Greg poté giurare di averli visti lucidi.

Ma forse era solo una sua impressione perché quando parlò, li vide asciutti.

Non l’aveva mai visto cedere, mai mollare, mai piangere, in sua presenza.

E sapeva che se faceva così, era solo per lui. Non voleva peggiorare la situazione.

“Andrò alla conferenza.”

“Bene. Tra quanti giorni è?”

“Domani sera avrei il volo.”

“Hai il volo.”specificò.

James annuì.

 

“Ci vediamo, James.”

La Cuddy l’abbracciò brevemente e sorrise.

“Porta il vanto del nostro dipartimento di oncologia, mi raccomando.”

Foreman gli batté una mano sulla spalla e Chase e Cameron sorrisero.

Si guardò intorno.

Dov’era Greg?

Stava già entrando in ansia, quando lo vide zoppicare lungo il corridoio verso di loro.

“Perché non sono stato invitato a questo comitato d’addio?”chiese, fingendosi offeso.

“Ciao, Greg.”

James sorrise.

“Volevo farti un cartellone con su scritto “James Wilson, oncologo delle meraviglie.” Ma non sono riuscito a trovare i pennarelli.”

“Ultimo cassetto in cucina, dove metti tutte le cianfrusaglie.”

“Troppo tardi, ormai.”

“In caso ti servissero.”

“Per un cartellone di “Bentornato!”?”

James rise.

Guardò l’orologio.

Le sette e mezza. Il suo volo era alle otto meno dieci.

“Meglio andare. Mi raccomando, Greg. Sta attento.”

Gli lanciò uno sguardo così timoroso e supplichevole che Greg non ebbe il cuore di rispondergli per le rime.

Forse si stava sul serio addolcendo?

Mah!

Sciocchezze!

“Sì, ok. Non accetterò caramelle da sconosciuti, mi laverò i denti, prenderò le mie pillole e ti chiamerò sette volte al giorno.”

“Sette no.”

“Dieci.”

“Una basterà.”

“Tanto avresti pagato t…”

Prima che potesse finire la frase, James l’abbracciò di colpo.

Colto alla sprovvista e stupefatto, per un attimo non seppe che fare, davanti a tutti.

Solitamente non s’abbracciavano in pubblico, non accadeva mai.

Fino ad allora.

James lo strinse forte al petto e Greg gli batté una mano sulla spalla.

“Andrà bene, su! Non parti mica per l’Himalaya!”

“Lo so, ma…”

Greg si decise a rispondere all’abbraccio, forte.

“Stai diventando come mia madre.”gli confessò.

James si staccò da lui, ridendo.

“Ci vediamo.”disse, prima di andarsene velocemente.

Forse per non essere tentato dalla voglia di rimanere lì.

“Ci vediamo.”fece Greg piano, sentendo ancora addosso il suo odore.

 

James arrivò a Los Angeles dopo un’ora solo di volo e rimase sbalordito nel vedere l’albergo dove si teneva la conferenza.

Immenso, sfarzoso, camerieri ovunque e donne dai ricchi gioielli ed un casin…

“Driin! Driin!”

Sobbalzò al suono del cellulare.

“Ciao, House.”disse, sapendo benissimo che era lui.

“Com’è albergo?”

“Come sai che sono già arrivato? Mi fai spiare per caso?”

“Chiamalo intuito. Allora?”

“Bello. Ricco. C’è pure un casinò.”

“Va e gioca.”

“Sono appena arrivato, dammi almeno il tempo di cambiarmi e posare la roba in camera, no? E poi che vuoi fare? Dilapidare il mio patrimonio, facendomi giocare?”

“Ti consiglio io. Basta che mi dici come si comportano gli avversari.”

“Perché da quello sai vedere che hanno in mano?”

“Sì.”

“Devi insegnarmi come.”

La sua risata gli rimbombò dentro.

“Un giorno o l’altro.”

Giocarono un po’ insieme, anche se a miglia di distanza.

I consigli dell’amico funzionarono e vinse.

“Vedi? Sono il tuo portafortuna!”

Portafortuna….

Quanto era vero!

“Meglio che tu dorma, Greg.”

“E’ mezzanotte! E’ presto, la notte è giovane!”

“E che vuoi fare? Chiamare una prostituta?”

Quasi quasi, anche se non sapeva spiegarselo bene, preferiva dicesse di no.

“No, oggi no. Notte, Jimmy.”

“Notte, Greg.”

Clic

“Notte.”sussurrò, il telefono ancora in mano.

 

La conferenza non verteva solo sull’oncologia. Per tutta la giornata seguente James fu costretto ad assistere a interventi sulla chirurgia, psichiatria, radiologia, pediatria…

Quando fu il turno di un diagnosta, il cuore di James fece un balzo che non seppe spiegarsi bene.

Molto probabilmente anche House era stato invitato, essendo un genio in quel campo, ma la Cuddy aveva preferito che rimanesse lì in ospedale.

E lui era perfettamente d’accordo, con questa scelta. Troppo stress.

Ma riusciva ad immaginarselo sul palco, lui ed il suo inseparabile bastone, la maglietta sotto la camicia ed i jeans, che rispondeva alle domande con sarcasmo e prendeva in giro chi non afferrava al volo (ovvero tutti tranne lui, che era il migliore).

Riusciva quasi a vederselo accanto, lui ed il suo Nintendo, che giocava mentre gli altri facevano i loro interventi.

Sarebbe stato bello averlo sul serio con lui.

Un’altra volta, magari. Sperando che ci fosse.

“E’ occupato?”

James sobbalzò, immerso com’era nei suoi pensieri, ed alzò lo sguardo.

A parlare era stata una bella donna dai capelli rossi e gli occhi scuri ed indicava il posto accanto a lui.

Scosse la testa e le fece segno di sedersi con lui.

“S’accomodi.”

“Sono Vivian Dubois, una pediatra del Meredith Hospital.”

Tese la mano.

“James Wilson, oncologo del Princeton Plainsboro Teaching Hospital.”

Sorrise.

“E’ l’ospedale del Dr House? Lo conosco di fama. Perché non è potuto venire?”

Altro balzo al cuore.

“N-non ha potuto lasciare il lavoro.”

Meglio non dire che era malato. Non credeva che il suo amico amasse questo tipo di pubblicità.

Fu piacevole chiacchierare con Vivian. Era allegra e spigliata. Anche lei avrebbe parlato tra due giorni , come lui.

“Stasera viene?”

“Dove?”

“C’è una cena con tutti gli ospiti. Nel ristorante qui vicino. Potrebbe farmi da cavaliere, dato che anche lei non ha una compagna, al momento.”

“Perché no?”

Sarebbe stato crudele rifiutare. Aveva un volto così speranzoso.

Anche se avrebbe preferito rimanere a telefono con il suo migliore amico piuttosto che andare ad una noiosa cena.

“Divertiti con Priscilla.”fece House quando glielo disse.

“Vivian. E poi è solo una cena con tutti gli altri dottori del convegno. Nulla d’importante.”

“Sicuro che non ci stia provando con te?”

“Non credo. Ha chiesto di te. Perché non eri venuto.”

“Non gli avrai detto la verità?”

“So che non ami questo tipo di pubblicità. Ho detto che avevi del lavoro da fare che non potevi lasciare.”

“Divertiti con Vivian.”ripeté, correggendo il nome.

Aveva una voce strana.

“Tutto bene, Greg?”

“Sì, perché?”

“No, mi era sembrato…Hai una strana voce.”

“Sono stanco. Ho lavorato oggi.”

“House…”

Il suo tono era da rimprovero.

“Che avrei dovuto fare? Il mio passatempo preferito passa il tempo con gli altri suoi amichetti! Dovevo pur far qualcosa, no?”

Passatempo preferito.

L’aveva chiamato così.

Pensava che quello che c’era tra loro fosse solo un passatempo?

A dir la verità, non sapeva neanche lui come definirlo.

“Mi hanno invitato. Non potevo rifiutare.”

“Non conosci la parola “no”?”

“Non capisco perché tu sia così irritato.”

“Non sono irritato!”

“La tua voce dice il contrario.”

“Allora non avrai sentito bene.”

James chiuse gli occhi.

“Senti, non ho voglia di litigare.”

“Come ti pare.”

“Greg, per favore! Mi hai convinto tu a partire. Ora non prendertela con me se senti la mia mancanza.”

“Io non sento la tua mancanza. Senza di te mi sento più libero. Posso fare quello che mi pare, bere, mangiare ciò che voglio e vedere chi mi piace.”

“Buon per te.”

Tacquero per un istante.

Poi suonò il campanello.

Era Vivian che era venuta, con altri dottori per andare insieme al ristorante.

“Invece a me tu manchi.”ammise.

E chiuse la conversazione, senza dargli neanche il tempo di replicare.

 

Irritato per la conversazione, urtato dal suo comportamento e sentendo la sua mancanza più che mai, James tentò di tutto per non pensare a lui.

Fu il chiacchiericcio degli altri, al quale s’univa, che lo aiutò molto.

E fu il molto vino ed alcool che lo aiutarono tantissimo.

Di ciò che successe quella notte aveva solo idee molto confuse.

Ricordava solo che Vivian, che non lo mollava un attimo, era entrata nella sua stanza d’albergo.

S’era svegliato ore dopo con un mal di testa atroce, vedendola nuda accanto a lui.

S’era addormentato e risvegliato solo per salutarla quando, verso le 4 di notte lei era tornata nella sua stanza.

“E’ stato bello.”disse solo prima d’andarsene, lasciandolo con un groppo alla gola e con il famoso mal di testa.

Chiuse e riaprì gli occhi un paio di volte, tentando di chiarirsi le idee.

Si bagnò il viso con l’acqua gelida e vomitò, sentendo ancora in bocca il sapore del molto alcool bevuto.

Aveva fatto sesso con Vivian.

Ed era questa la cosa, più del fatto che si era ubriacato, che lo sconvolgeva.

Vide il telefono posato sul comodino ed automaticamente digitò un numero.

Quello di casa di House.

L’amico rispose al quarto squillo.

“Avanti.”disse, anziché “Pronto”, con una voce impastata dal sonno.

Fu quella defiance che lo fece ridere.

“Greg, sono James.”

Un attimo di silenzio.

“James, brutto figlio di puttana! Ma ti rendi conto di che ore sono?”

Era arrabbiato e molto assonnato.

James alzò lo sguardo verso l’orologio.

Quasi le cinque del mattino.

“Scusa, ma avevo bisogno di parlarti.”

“E le tue crisi non potevi programmarle di giorno?”

“No, mi spiace.”

Lo sentì sospirare e ringraziò il cielo che non gli stava sbattendo il telefono in faccia.

“Prendo qualcosa per risvegliarmi.”

“Niente alcool.”

Sentì qualcosa che si versava in un bicchiere.

“Greg…”

“Non è alcool. E comunque non hai modo di controllarmi.”

“E’ acqua.”disse, sentendolo tacere.

“Ok.”

Greg si passò una mano davanti agli occhi e si sedette per terra in cucina.

“Che hai?”

“Sono andato a letto con una.”

“Vivian?”

“Sì.”

“Sapevo che ci provava con te. Hai ceduto, eh?”

“Mi sono ubriacato ed ho un mal di testa pazzesco.”

Chiuse gli occhi forte e vide piccole lucine danzargli dinanzi le pupille.

“James, siamo a chilometri di distanza, come diavolo faccio a darti una mano?”

“Sei un genio. Provaci.”

Lo sentì sospirare.

“Hai il servizio in camera?”

“Che c’entra ora? Comunque, sì.”

“Chiama di sotto e fatti portare miele e pane tostato.”

“Vuoi che faccia colazione ora?”

“Il miele sul pane tostato, che alcuni utilizzano, può funzionare perché il miele è ricco di fruttosio che accelera il metabolismo dell'alcool.”

“Ok. Aspettami.”

“E dove vuoi che vada?”

James si allontanò dal telefono per un minuto, giusto il tempo per chiamare, con il telefono della stanza, la reception e fare come gli aveva detto House.

Due minuti dopo stava sbocconcellando il pane, gli occhi chiusi.

Riprese il telefono.

“Ci sei?”

“Più o meno. Ho ancora sonno, per la cronaca.”

“Quante volte ti devo chiedere scusa?”

“Altre mille. E non chiamarmi mai più alle 5 di mattina. Prova verso le 11. Di sicuro starò sveglio.”

“Ok.”

“Mi hai chiamato perché ti trovassi un rimedio casalingo contro la sbornia?”

“Ti ho chiamato perché sono andato a letto con Vivian.”

“Hai fatto cilecca!”

“No, mi ha detto che è stato bello.”

“Allora hai trionfato stanotte. Sarà la tua prossima signora Wilson?”

“Non avrei dovuto farlo.”

Teneva gli occhi chiusi, mentre masticava lentamente.

“Ci rinuncio. Non ti seguo e non voglio applicarmi a farlo. O mi dici cos’hai o chiami dopo. Tra 5-6 ore.”

“Ero arrabbiato con te. Irritato per la nostra litigata. Non riuscivo a capire perché fossi così…non so…seccato…Ho provato a non pensarci e tira e molla è finita con una sbornia ed una notte di passione.”

“Povero Jimmy. So che sei un bravo ragazzo, ma non hai mai fatto cose del genere?”

“Non è questo il punto!”

“E dimmi qual è allora!”

“Quando mi sono reso conto di ciò che era successo, mi sono sentito male. Ho vomitato e non solo per la sbornia.

La verità è che avrei voluto che ci fossi tu al suo posto.”ammise.

Tacquero.

“Il fatto che andiamo a letto insieme non significa che tu non possa avere nessun altro. Non stiamo insieme. È solo…solo…qualcosa.”sussurrò Greg.

“Ed allora perché mi sento in colpa? Perché mi sento come se ti…t’avessi…tradito in un certo qual modo?”

La verità. La dannata verità.

“Non lo so.”

Niente prese in giro o battute sarcastiche.

James sospirò, gli occhi ancora chiusi.

“Eri geloso, vero?”chiese, poi.

“Quando?”

“Quando ti ho parlato di Vivian e della cena. Eri urtato e seccato.”

“Non ero geloso. Tu sì di Tom.”

“Ammettilo.”

“No.”

“Non me lo diresti, vero?”

“Indovinato. Sono così. Prendere o lasciare.”

James taceva e Greg non sapeva che dire.

Era rimasto spiazzato da quella confessione.

E fu costretto ad ammettere che forse, FORSE, un pizzico di gelosia lo aveva provato.

E che aveva sentito qualcosa stringergli lo stomaco quando James gli aveva detto “Sono andato a letto con una”.

“Lascia perdere, ok? Mettici una pietra sopra. E blocca questa situazione, se non vuoi arrivare ad un altro matrimonio ed al tuo quarto divorzio.”

“Ok…”

James si stese sul letto, premendo il telefono all’orecchio.

Non sapeva spiegarsi il perché, ma sentire Greg respirare contro la cornetta era come averlo un po’ accanto.

“Stai con me.”

“Difficile, dato che io sono nel New Jersey e tu a Los Angeles.”

“Intendevo con il telefono.”

“Come vuoi. Ti stai comportando stranamente, sai?”

“Mmm.”

“Vuoi addormentarti con me al telefono?”

“Fallo anche tu.”

“Tanto la paghi tu questa telefonata.”

“Ok…”

Greg alzò gli occhi a cielo e si distese nuovamente sul proprio letto, con il telefono in mano.

Rimasero così per tutto il resto della notte, finchè verso le 10 James decise di chiudere la conversazione, seguito da Greg.

Il giorno dopo, o meglio qualche ora dopo, James e Vivian difficilmente si rivolsero la parola.

C’era un po’ d’imbarazzo e James preferì rimanere in camera a ripetere il proprio discorso, in attesa di dirlo domani pomeriggio, alle 7.

 

La giornata passò monotonamente e quella sera chiamò Greg.

“Come vanno le cose al PPTH?”domandò.

“Nulla di che. A parte che Foreman sta uscendo con una tipa di chirurgia, abbiamo beccato Chase e Cameron che lo facevano nel bagno degli uomini e la Cuddy ha minacciato di licenziarmi.”

“Nel bagno degli uomini?”

“Probabilmente era il luogo più vicino. O boh…scelta loro.”

“Perché ti voleva licenziare?”

“Volevo segare in due un paziente per vedere cos’aveva.”

“Quindi tutto normale. Chi è la tipa?”

“Non so se la conosci, ma ti posso dire che ha un bel fondoschiena. Anche se non riuscirà mai a battere quello della Cuddy.”

James rise.

Greg riusciva a risollevarlo sempre, anche quando era molto nervoso come in quel momento.

“Domani hai il tuo intervento?”

“Aha. Augurami buona fortuna.”

“Superstizioso? Pensi che se non lo faccia farai fiasco?”

“Perché chiedi sempre il perché di tutto?”

“Perché mi chiedi il perché del perché chiedo sempre il perché di tutto?”

James rise di nuovo.

“Buona fortuna.”disse, però.

 

La mattina dopo James si svegliò con lo stomaco in subbuglio.

Non era il nervosismo, perché si sentiva tranquillissimo.

Era qualcos’altro. Il brutto presentimento che aveva sentito nei giorni precedenti che ora sembrava ingigantito.

Afferrò il telefono e chiamò Greg.

“Se hai un’altra delle tue crisi di coscienza, riattacca.”rispose lui, leggendo il numero sul display.

“Stai attento.”

“Perché?”

Poi capì.

“Ti avevo detto di smetterla.”

“Ed io di fidarti del mio istinto.”

“Sarò in ospedale, ok? Rilassati.”

“Ci sentiamo.”

“Ciao, Jimmy.”

 

Quella giornata al Princeton sembrava non finire mai.

House vagò e vagò per i corridoi senza una meta precisa, senza avere nulla da fare.

Aveva aiutato i paperotti a risolvere un caso, rifiutato l’ambulatorio come di consueto…

Ed ora?

La verità era che quei 4 giorni sembravano non finire mai.

“Invece a me tu manchi.”aveva detto James e lui aveva provato una stretta al cuore.

Anche se non l’avrebbe mai ammesso come aveva fatto lui, sentiva la sua mancanza e molto.

Era una noia stare in ospedale senza di lui.

Fortuna che mancava un solo giorno al suo ritorno.

 

James sbocconcellò un po’ di pane, senza avere neanche fame. Aveva la nausea e si sentiva malissimo, ma non era per l’intervento.

Più d’un’ora prima delle 7 sentì nuovamente quella sensazione, quell’acido che gli corrodeva dentro.

I suoi pensieri andarono immediatamente ad House.

Non era paranoia. Greg era in pericolo e lui lo sapeva.

Vivian gli s’avvicinò, vedendolo pallidissimo.

“James, cos’hai? Sei stravolto!”

“D-devo andare.”

“Cosa? Ma tra un’ora tocca a te. Non puoi andare.”

James chiuse e riaprì gli occhi.

“Mi dispiace. Ma è un’emergenza.”

“Aspetta!”

Ma James aveva già varcato la soglia della sala e prendeva un taxi per l’aeroporto, portando con sé solo portafoglio, cercapersone e cellulare.

 

Erano quasi le sette quando Greg sentì il suo cercapersone squillare.

Sorpreso ed irritato che qualcuno lo stesse chiamando mentre vedeva “General Hospital”, rimase ancora più stupito quando vide che si stava chiamando da solo, che qualcuno aveva il suo numero di cercapersone.

Era un messaggio e diceva “mensa”.

Curioso ed interessato, spense la TV portatile e si diresse verso la sala mensa.

Era deserta, i tavoli erano vuoti, le sedie in ordine.

Si diresse al centro della sala, guardandosi intorno.

SBAM

Sobbalzò quando qualcuno alle sue spalle chiuse con violenza la porta.

Si girò di botto. Era Tom.

Era lui che l’aveva attirato qui. Di colpo si sentì in trappola, isolato.

Arretrò.

Se solo avesse dato ascolto a James…

“Benvenuto, Greg House.”

“Tom. Cosa ci fai qui? Sai benissimo che la Cuddy ti farebbe arrestare se ti trovasse qui.”

Lo vide avanzare ed arretrò istintivamente.

“Oh, non lo scoprirà. Stanne certo. Volevo solo fare quattro chiacchiere.”

“Potevi invitarmi per un caffè.”

“Ho pensato che questo posto sarebbe stato più indicato. Per quello che avevo in mente.”

Tacque per un istante.

“Sai, ne avevo parlato con il tuo amico, ma lui non era stato tanto d’accordo con la mia idea.

Ti avrà detto che sono interessato a te.”

""Interessato"...che vocabolo strano per dire che Tom voleva andare a letto con me."pensò Greg.
"Sì, ma io non vado con il primo che capita. Spiacente. Ma ci sono posti che potrei consi..."
Ma tacque, vedendolo avvicinarsi.
"Io voglio te, Gregory House."
"Beh...non sono un tuo giocattolo, Tom."
Arretrò nuovamente sbattendo contro un tavolo.

Lo teneva d’occhio.

Tentò di allontanarsi, ma non ne ebbe il tempo perché Tom gli fu addosso, afferrandolo per un braccio.

"Cosa diavolo vuoi?"chiese il diagnosta, tentando di liberarsi dalla sua ferrea stretta.
"Sono abituato ad ottenere sempre quello che voglio. Ed in questo ti assomiglio, sai? E quello che voglio ora è.."
"Fottermi? Va al diavolo!"
Greg mosse il bastone così velocemente che Tom non se ne accorse almeno finchè Greg non lo colpì al braccio, costringendolo a mollare la presa.
"Va al diavolo, Tom. E stammi lontano."
Greg teneva stretto il bastone, preparandosi ad usarlo.
Non lo temeva o forse sperava che stesse scherzando.
Tom ridacchiò.
"Cosa vuoi fare con quel bastone? Sei zoppo e malato e pensi di potermi battere in uno scontro?"
Ghignò.
L'afferrò per l'altro braccio, parando il colpo del bastone e lo sbatté a terra, al di là del tavolo, strappandogli di mano, e non con poca fatica, il sostegno.

Greg cadde a terra, battendo la testa contro una sedia.

Si sentì rintronare e la nausea l’assalì.

Serrò gli occhi, lacrimando dal dolore per la botta presa.

Era inerme e giaceva sul pavimento.

Lo sentì avvicinarsi.

Fece per allontanarsi, ma Tom s’inginocchiò accanto a lui e gli bloccò i polsi.

“Lasciami!”

Lui l’ignorò.

"Sai una cosa? Ho osservato te e James in questi giorni che sono venuto a trovarlo. Credo che, anzi...sono sicuro, che tra voi ci sia qualcosa."
Greg non rispose, ma si divincolò, tentando di liberarsi dalla sua stretta.
"Non rispondi? Beh, chi tace acconsente."
Greg si divincolò, provando a tirargli un calcio, ma Tom in un attimo gli fu addosso, a cavalcioni, bloccandolo al pavimento con il suo peso.
“Levami le mani di dosso o mi metto ad urlare!”

“Sei troppo orgoglioso per chiedere aiuto.”

“Aa…”iniziò, ma Tom si chinò velocemente su di lui, posando con prepotenza le labbra sulle sue.

Greg tentò di allontanarsi, ma lui lo teneva bloccato contro il freddo pavimento e provò a schiudergli le labbra per far entrare la lingua, ma il diagnosta le serrò, forte e lo morse a sangue.

Tom s’allontanò, succhiandosi il labbro sanguinante.

“Puoi divincolarti quanto vuoi. Ma sei in mio potere ora.”

Greg gli sputò in faccia e lo guardò con odio.

“Io non sono in potere di nessuno, né tantomeno in tuo.”

Tom si asciugò velocemente il viso e poi tornò a bloccargli i polsi.
"Hai un bel caratterino, eh? Così mi piaci."
Greg gemette quando lui spostò il peso sulla gamba malandata.
"Gemi di già? Ma se non ho fatto nulla!"
Tom rise, mentre Greg lo guardava con odio.
"Levati di dosso, pezzo di..."
Ma Tom colse nuovamente l’occasione al volo e lo baciò, riuscendo stavolta ad infilargli la lingua in bocca.

Nauseato e disgustato il diagnosta tentò di morderlo di nuovo, ma conscio della prima volta, Tom l’evitò.

Gli stringeva così forte i polsi da fargli male e pesantemente premeva il corpo sul suo.

Quando si staccò da lui, Greg voleva vomitare, il cuore che batteva a mille.

Stava malissimo: il dolore per la botta presa alla testa si combinava con quello del resto del suo corpo.

Tom ghignava.

"Lasciami andare!"
"Scordatelo!"
Lo guardò, dominandolo.
Si mosse su di lui, spingendo il pene contro quello di Greg.
Tom lo guardava, aspettandosi che l'altro gemesse o urlasse, ma Greg non gli diede soddisfazione.
"Ritornando all'argomento precedente...tu e James come passate il tempo? Come lo fai godere? Ti muovi così, figlio di puttana? Te lo sbatti sul pavimento?"
James.

Il pensiero di Greg andò a lui. Voleva che fosse lì, avrebbe voluto che non fosse mai andato a quella conferenza, anche se era stato proprio lui a convincerlo.

Aveva bisogno di lui e solo ora, in quel preciso istante, se ne rendeva conto completamente.

Non poteva immaginare che James era arrivato da Los Angeles, prendendo il primo volo per il New Jersey e che era arrivato in taxi all’ospedale e lo stava cercando. Né che si era fatto dire dalle infermiere dove si era diretto.

Non poteva sapere nulla.

House sputò di nuovo in faccia a Tom e stavolta lui s'infuriò.
Con una mano sola gli bloccò i polsi e con l'altra iniziò a sbottonargli i pantaloni.
"Vediamo se ci riproverai dopo che ti avrò sbattuto. Ho tutto il tempo per insegnarti le buone maniere. Devi rispettarmi!"
"Te? E perchè dovrei? Perchè sei solo un'idiota sessualmente frustrato?"ribattè Greg, divincolandosi, mentre la mano dell'altro faceva scendere la cerniera.
Non voleva farlo assolutamente, ma era del tutto impotente, impedito dal peso del corpo di lui sul suo.
Sentiva la mano di lui che trafficava con i suoi pantaloni ed era disgustato al solo pensiero che potesse fare sul serio quello che minacciava.
Tom infilò una mano nei jeans e lo sfiorò con le dita.
“Urla. Chiedimi pietà. Supplicami di non farlo.”

“Che senso avrebbe? Faresti lo stesso quello che hai in mente.”

Gemette, digrignando i denti.

“Voglio vederti supplicare.”

“Mai! Mai davanti ad uno come te!”

Lo baciò con forza di nuovo e Greg serrò gli occhi per non vederlo soddisfatto.

Mentre con una mano gli bloccava i polsi, l’altra scendeva su e giù per le sue gambe, e toccava ripetutamente il suo pene.

“Grida il suo nome. Grida il nome di James. Non era lui che avrebbe dovuto proteggerti per sempre?

Ora dov’è? A Los Angeles a scoparsi qualche bella pollastra!”

Successe tutto molto velocemente.

House sentì qualcuno aprire la porta a spallate, ma Tom non se n’accorse, impegnato com’era a tentare di violentarlo.

Se n’accorse quando ormai era in trappola.

Greg vide una cosa volare e un secondo dopo Tom s’allontanò da lui, colpito al volto da qualcosa.

Solo in seguito d’accorse che era un vassoio della mensa.

“LASCIALO ANDARE!”

Era una voce che conosceva benissimo perché era quella che aveva desiderato sentire in quel momento, più di ogni altra cosa.

Si mise su un fianco, semi-disteso sul pavimento, gli occhi chiusi.

Non voleva aprirli. Non ci riusciva.

Sentì qualcuno urlare, Tom, dei suoni come dei colpi, come dei pugni, e la voce di James.

Sentì qualcuno avvicinarglisi. Sentiva il rumore dei suoi passi. Delle sue scarpe con il tacco alto.

Era la Cuddy.

Aprì gli occhi per conferma.

Il suo volto preoccupatissimo fu la prima cosa che vide. La bella dottoressa si chinò su di lui, velocemente.

Greg voltò lo sguardo e vide James poco distante da lui che stava picchiando Tom.

No, non lo stava picchiando. Lo stava massacrando.

Lo guardò, stupito mentre lo colpiva ripetutamente in tutte le parti del corpo che riusciva a raggiungere.

“Wilson! Smettila! Così l’ammazzi!”

Era la voce di Foreman.

House sentì altri passi, altre voci, di Cameron, di Chase. Erano venuti a cercarlo.

“E’ quello che voglio fare!”esclamò James.

Il volto di Tom era una maschera di sangue, quando Foreman e Chase riuscirono ad allontanare Wilson da lui.
L'oncologo si liberò dalle loro prese con uno strattone e si allontanò da Tom, furibondo e disgustato.
Solo allora Greg si ricordò che aveva la cerniera sbottonata e s’affrettò a richiuderla.

Tremava forte e non riusciva a controllarsi. La testa gli rimbombava e sentiva dolore ovunque, mentre la nausea l’attanagliava.

Serrò gli occhi di nuovo.

“Greg…”

James allontanò la Cuddy e crollò sul pavimento in ginocchio accanto a lui.

Sentì una fitta acuta al petto nel vederlo in quelle condizioni.
Greg aprì gli occhi e lo vide a pochi centimetri da lui.
"Jimmy..."
Sentiva un istinto di protezione che ora si era acuito più che mai.
Avrebbe ucciso per lui. Lo sapeva con certezza. Avrebbe ammazzato Tom se Chase e Foreman non gliel’avessero impedito.

E di colpo, ignorando gli altri presenti, si chinò su di lui e lo strinse precipitosamente a sé, avvolgendolo con le proprie braccia ed abbracciandolo fortissimo.

Affondò il viso nel suo collo e gli accarezzò i capelli con le dita, tentando di calmarlo.

“Avevi ragione tu. Su tutto.”sussurrò Greg, con un filo di voce.

“Avrei preferito mille volte avere torto. Essere solo paranoico.”ammise, disperato.

La Cuddy era immobile accanto a loro. Le sembrava quasi di invadere la loro intimità, stando lì con loro.

“Chiamate la sorveglianza.”disse piano la Cuddy agli altri, vedendo Tom immobile sul pavimento grazie ai numerosi colpi di James.
James sentiva il cuore di Greg battere fortissimo contro il suo petto. L’amico era sotto shock anche se si sforzava di non darlo a vedere.

“La testa…”gemette.

“Ti fa male?”

“L-l’ho sbattuta contro una sedia…”

James gliela tastò con delicatezza.

“Hai solo un bernoccolo, stai tranquillo.”

Si sentiva il sangue ribollire nelle vene. Era furioso.

Lanciò uno sguardo verso Tom e mentre una parte di lui voleva ammazzarlo, l’altra non riusciva a lasciare Greg.

Era arrivata la sorveglianza. Due tipi muscolosi afferrarono Tom da terra.

“Lasciatemi!”

Tom si divincolò alla presa delle guardie.

“WILSON!”urlò, guardando l’ormai ex-amico.

“Che diavolo vuoi?”

“Non capisco perchè fai tutte queste storie! Io volevo solo divertirmi un po’!"urlò, divincolandosi dalla presa delle guardie.

James si voltò verso di lui, furioso più che mai.
"DIVERTIRTI? PER DIVERTIRTI INTENDI FAR DEL MALE AL MIO MIGLIORE AMICO? TU SEI PAZZO!"
"Dì la verità, James!Quella non è solo rabbia, è anche gelosia. Odi il fatto che l'abbia toccato..."
“E’ vero! Sono geloso!

Ma non tentare di giustificare quello che hai fatto, usando quello che provo io!”esclamò.

“Toglimi una curiosità: sei legato a lui perché lo ami o perché ti piace sbattertelo e sei furioso con me perché ti ho tolto l’esclusiva?”

James lasciò andare Greg e balzò in piedi.

Anche il diagnosta s’alzò lentamente, barcollando e reggendosi forte ad una sedia lì accanto.

L’afferrò per un braccio, rivelando una forza che non pensava di avere in quel momento e gl’impedì di lanciarsi contro Tom.

“Non ne vale la pena.”

“Invece sì, Greg!”

"Sai benissimo quanto incoraggi le risse, ma se lo fai fuori poi dovrai compilare un sacco di scartoffie, andare ai processi...troppo lunga come cosa. Lascialo perdere."disse Greg, trattenendolo ancora.
James fece un paio di respiri profondi, gli occhi chiusi.
Annuì, piano.
Lo vide in piedi accanto a lui, che si teneva al suo braccio ed alla sedia.

Tentava di riacquistare il controllo della situazione dopo esserne stato, prepotentemente, privato.

Lasciarsi abbracciare da lui davanti a tutti era stato un momento di debolezza e James lo capiva.

"Chiamate la polizia."disse la Cuddy, con voce tremante.

Nonostante le insistenze della Cuddy di farsi ricoverare, Greg rifiutò, ripetendo che stava bene e di farla finita.
"Greg..."
"Se mi chiedi di nuovo come sto, giuro che mi metto ad urlare."
James e Greg erano nell'ufficio dell'oncologo.
Greg si stese sul divano, gli occhi chiusi. Aveva ancora una forte nausea ed il dolore alla testa, anche se diminuito molto.
Sapeva, anche senza vederlo, che James lo stava scrutando, preoccupato.
Non poteva fare a meno di comportarsi così rudemente.
Era una sorta d'auto-difesa e James lo sapeva benissimo.
Greg lo sentì avvicinarglisi e con un frusciare di abiti, James s'inginocchiò sul pavimento, accanto al divano, posando la testa su di esso accanto al suo corpo.
Rimasero in silenzio per quella che sembrò loro un'eternità.
Poi James gli prese la mano e la strinse forte. Greg lo lasciò fare, aprendo gli occhi e scrutandolo.
"Non preoccuparti."gli disse.
"Ti ha violentato."
"Ha tentato. Non è riuscito a fare molto."ammise, guardandolo.
"Era sopra di te. Ti ha baciato…Ti ha toccato...Ti ha fatto del male...

L’avrei ammazzato se Chase e Foreman non mi avessero fermato.”

Greg non disse nulla.

“Per me? L’avresti ammazzato per me?”disse, poi.

Era stupito.

“Sì.”

“Perché?”

E si rese conto di quanto fosse vero.

“Perché ti amo.”

Fu questa la prima risposta che venne in mente a James. Si stupì di averlo pensato.

“Sei legato a lui perché lo ami o perché ti piace sbattertelo e sei furioso con me perché ti ho tolto l’esclusiva?”aveva gridato Tom.

Perché l’amava. E se ne rendeva conto solo ora, solo quando l’aveva visto bisognoso più che mai di lui.

“Tengo a te.”rispose, però.

“Avevi la conferenza quando sei arrivato. Come diamine hai…Come hai fatto a sap…”

Era confuso.

“Diciamo che ho seguito il mio istinto. E mi diceva che eri nei guai.”

“Se t’avessi ascolt…”

James gli posò una mano sulle labbra, zittendolo.

“No. Non è colpa tua. Non lo pensare neanche.”

“Sei arrivato in tempo.”

James continuò a stringergli la mano e gli sfiorò la guancia con le dita.

“Fammi spazio.”disse, dopo un po’.

Mentre Greg si stringeva sul divano, James si accoccolò accanto a lui, abbracciandolo da dietro e posandogli la testa sulla spalla.

Erano guancia a guancia: quella liscia e profumata di dopobarba di James e quella ruvida di barba non fatta da un paio di giorni di Greg.

Yin e Yang.

Erano agli opposti, erano diversissimi, ma forse erano proprio le loro differenze che li tenevano uniti più che mai.

Gli passò un braccio attorno alla vita ed uno attorno alle spalle, abbracciandolo fortissimo.

“Gli altri oncologi ti ammazzeranno.”disse Greg, piano.

“Non m’interessa. Sei più importante tu.”

“Non essere romantico. Mi commuovo!”

James non disse nulla.

“James…”

“Dicevo sul serio.”

“Oh. Grazie, allora.”

Doveva stare sul serio male se lo ringraziava così sinceramente.

“Ricordo che ogni volta che non stavo bene, fisicamente o psicologicamente, mia madre mi diceva che la cosa migliore da fare era mangiare un po’ di cioccolato.”

“Mi stai dicendo che sono turbato psicologicamente?”

“Saresti anormale se non lo fossi.”

“Sto bene, James.”

“D’accordo. Ma sappi che il cioccolato stimola la produzione di endorfina, che attenua il dolore e che favorisce il buonumore.”

“Ottima spiegazione medica.”

James si alzò piano dal divano ed andò ad un cassetto della sua scrivania.

“Fondente o al latte?”

“Eh?”

James gli fece vedere due tavolette di cioccolato e Greg non potè fare a meno di ridere.

“Non ricordavo avessi anche il cioccolato in quei cassetti. Non devo aver frugato bene le altre volte. Al latte.”

“Va bene.”

James si distese nuovamente dietro di lui e divise la barretta in due pezzi uguali, porgendogliene uno.

Accoccolato tra le sue braccia Greg si sentì protetto, per la prima volta in quella giornata.

Appoggiò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi, masticando lentamente.

“Un po’ meglio?”gli chiese James dopo un po’.

“Sì, ma non credo sia tutto merito del cioccolato.”ammise.

James gli sfiorò le labbra con il pollice e gli posò un bacio sulla fronte, con dolcezza.

“Se sapessi cosa sto provando ora, mi prenderesti per un’idiota. Ma non posso fare a meno di sciogliermi ogni volta che mi guardi. E non hai idea di come mi sono sentito morire quando ti ho visto in quelle condizioni.”pensò.

“Che hai?”gli chiese il diagnosta.

“Nulla. Pensavo.”

“A cosa?”

“A te.”pensò l’oncologo.

“Lascia stare.”

James chiuse gli occhi e lo strinse ancora di più.

Sentiva il proprio cuore battere fortissimo e mentre stringeva Greg provava una tempesta d’emozioni.

Il diagnosta di girò lentamente verso di lui, finchè non si ritrovò faccia a faccia con l’oncologo.

Mentre James l’abbracciava di nuovo, Greg chiuse gli occhi ed ammise:

“Ero geloso di Vivian.”

James chinò lo sguardo su di lui, posando il mento sulla sua testa.

“Ed io di Tom.”disse a denti stretti quel nome.

“Perché? Cosa ci sta succedendo?”

“Non ne ho idea. Ma qualunque cosa sia non è male, sai?”

Cenno d’assenso.

James affondò il viso nei suoi capelli, respirando il suo odore.

“Perdona la domanda, ma so di lui?”

“Cosa?”

James era stupito.

“Di Tom, intendo.”

“Ne dubito dato che hai i miei vestiti.”

Greg ridacchiò.

“Sai di me, ora, e di te.”ammise James e Greg alzò lo sguardo verso di lui.

Sentì l’odore della camicia.

“Non è male.”

“E’ perfetto.”sussurrò.

Si accorse di ciò che aveva detto solo dopo averlo detto.

“Cioè…io non…”

“Hai ragione. È perfetto, James.”

Ciao a tutti!!!!

Ecco a voi un altro capitolo. Perdonatemi per ciò che ho scritto e non odiatemi, vi prego.

Dico solo che tutto questo era necessario!!!

un grazie a:

lady house: ecco a te questo capitolo e Tom può fare davvero paura.....commenta, mi raccomando!!!

H W: Wilson nel telefilm soffre ed è per questo che fa decisioni che non ci saremmo mai aspettate da lui. E' comprensibile. 

Cmq stai tranquilla, le mie fonti (Hugh Laurie) mi hanno riferito che quei due si riappacificheranno, tranquilla!!! Dimmi che ne pensi!!!

Anna Mellory:  W Jimmy sul serio! Attendo tuoi commenti!!!

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Capitolo 15
*** credo proprio di essermi innamorato di te... ***


“Come sta?”

La Cuddy era la terza persona che glielo chiedeva quel giorno.

Prima era stato il turno di Cameron e Chase.

James la guardò, fermandosi nel corridoio.

“Sta bene.”

“Ha detto qualcosa? È turbato?”

James riprese a camminare.

“Non mi ha detto nulla di ciò che gli è successo e ti pregherei di non chiederglielo.

Se è turbato non lo da vedere.”

“Foreman ha detto che non è venuto nel suo ufficio, oggi. Di solito da loro una mano, per passare il tempo, ma…”

“E’ nel mio, probabilmente. Abbiamo dormito lì, ieri notte. Non è voluto tornare a casa.”

Cuddy chiuse gli occhi.

“Ha bisogno di sfogarsi, James. Non è una cosa da nulla, una tentata violenza sessuale.

Deve parlarne con qualcuno.”

“Non ho nessun intenzione di forzarlo, se è questo che mi stai chiedendo.”

“Io pensavo ad uno psicologo.”

James smise di camminare e la guardò, con uno sguardo divertito sul volto.

“Credi che parlerebbe con uno psicologo? Probabilmente passerebbe il suo tempo a denigrarlo ed a fargli perdere tempo.”

“Non può tenersi tutto dentro.”

“Cosa vuoi che faccia, Cuddy? Vuoi vederlo crollare, scoppiare in lacrime e distruggere cose?

Non è da lui.”

“Non lo sai.”

“Lo conosco meglio di te.”

“Sì, ma non si è mai ritrovato in una situazione del genere prima d’ora, grazie al Cielo.

Non puoi prevedere la sua reazione.”

“So solo che non voglio che crolli. Sarebbe la cosa peggiore da fare, soprattutto con il suo cancro al cervello.”

 

Nei giorni successivi Greg non fece altro che evitare le domande della Cuddy e degli altri.

Gli davano sui nervi quei “Tutto bene?” “Come ti senti?” e quegli sguardi preoccupati che gli rivolgevano.

Era stufo di dire che stava bene, benissimo e di smetterla.

“Se mi chiedono di  nuovo come sto, io…”

Camminava su e giù per l’ufficio di James, che lo scrutava, alzando di tanto in tanto gli occhi dal materiale sul quale “doveva” lavorare.

“Sono in ansia per te. Ti vogliono bene.”

“Oh, come sono dolci!”fece lui, sarcastico. “Finirò per impazzire.”

Posò i palmi delle mani sulla scrivania e si sporse vero James.

Quando quest’ultimo alzò lo sguardo, per poco non gli venne un colpo.

“Stavo pensando ad una cosa.”

“Il perché godi nel farmi prendere i colpi?”

“No. Di come tu sia riuscito a “sentire” che…”

“Finiscila con questa storia.”

Erano giorni che Greg tentava di capire come James avesse potuto sentire che era in pericolo.

“Hai sviluppato un’empatia con me di cui io non sono a conoscenza?”

“Sì, ho preso le istruzioni da Internet. Se vuoi ti do il link del sito.”

“Com….”

James si alzò per sistemare un paio di libri e sbuffò.

“Smettila, ok? Non mi va di pensare a quel giorno, ok?”

“Invece io impazzisco di gioia nel ripensarci.”disse Greg.

James gli dava le spalle e si accorse di come era diventata fredda la sua voce.

Fredda ed ostile.

Si rese conto tardi di quello che aveva detto e tacque.

Alle sue spalle Greg non proferiva parola.

James si voltò verso di lui.

Era ancora chino sulla scrivania e teneva gli occhi chiusi, i pugni serrati.

Fece per mettergli una mano sulla spalla, ma lui si scostò, bruscamente.

“Sai cosa odio di questa storia?”

Non gli diede il tempo di rispondere e continuò:

“Odio i vostri sguardi preoccupati, la vostra apprensione che, se già esisteva prima per via del cancro, non ha fatto altro che intensificarsi. Odio il fatto di essere commiserato. Le tue scuse, i tuoi tentativi di capire ciò che penso o provo, la tua paura di vedermi crollare ed il non saper come reagire se accadesse sul serio. Odio più che mai la tua compassione, la tua pietà.”

James gli prese un braccio e glielo strinse.

Greg tentò di allontanarlo, ma lui gli prese anche l’altro, bloccandolo e fronteggiandolo.

“Ascoltami!

La mia non è pietà, né compassione. Ho paura, Greg, d’accordo? Ho paura di perderti, di vederti star male. Non hai idea di come mi sia sentito quando ti ho visto in quelle condizioni.

Avrei voluto morire, piuttosto che vederti così.”

Greg taceva. Evitava il suo sguardo.

“Mi sono accorto che avrei ucciso per te, lo capisci questo? Ne capisci l’importanza?

È un figlio di puttana, ma aveva ragione, Greg.

Credo proprio di essermi innamorato di te.”

Non seppe chi o cosa gli diede la forza per ammettere ciò, ma si sentì liberato da un peso.

Greg si allontanò da lui.

“Sei un’idiota!”esclamò.

“Sì, lo so.”

Greg si mise una mano dinanzi agli occhi, allontanandosi ancora.

“Perché, James? Perché cavolo ti sei innamorato di me?”

“Non dovevo dirtelo. Né ora né mai.”

James chiuse gli occhi.

“Non dovevi nemmeno provarlo! Tra tutte le persone di cui potevi inn…

Hai scelto il momento sbagliato!”

“Lo so, mi dispiace. Stai male per Tom…”

“Non è per lui, maledizione!”

“Ed allora per cosa?”

Non capiva. Non riusciva a capire per quanto si stesse sforzando.

“Ho il cancro, James. E la cosa che mi fa più male non è essere malato, ma sapere che oltre a me ci rimetterà anche un’altra persona e quella sarai tu.”

“Greg, io non…”

“Io sto morendo, James.”

Lo disse con una consapevolezza spaventosa.

E James s’accorse con orrore che i suoi limpidi occhi azzurro cupo erano umidi di lacrime.

“Vieni qui.”

Greg tentò di allontanare il suo abbraccio, ma non ci riuscì.

James gli s’avvicinò e lo strinse forte.

“Stai guarendo, non dire così, d’accordo?”

“Sai benissimo che potrei morire sotto i ferri.”disse, il volto soffocato nella sua camicia.

Crollarono sul pavimento, stretti l’uno all’altro.

James era spaventato e non sapeva che fare.

Aveva ceduto. La sua maschera di sarcasmo, di forza apparente, era crollata.

Ora era solo con lui.

Greg sentì le lacrime rigargli le guance prima che potesse trattenerle.

Non sapeva neanche il perché preciso del suo sfogo.

Ma era stata la confessione di James a farlo cedere.

Fu come liberarsi di un’enorme blocco, dell’angoscia, della paura che nascondeva da quando aveva saputo che era malato, del dolore per la violenza subita, la tristezza di vedere James stare male, stare male per lui….

Tutto quanto.

“Non farlo. Non per me. Non cedere perché hai paura per me.”sussurrò James.

Erano seduti sul pavimento, Greg tra le sue braccia, che si stringeva a lui, il volto affondato nella sua camicia, e lui che l’abbracciava con dolcezza e energia, cullandolo come un bambino piccolo.

“T’amo. Ti amo tantissimo, più di quanto possa immaginare. Se solo me ne fossi accorto prima avrei avuto un sacco di tempo.”

“Già. Sarebbe stato buffo vedere te che tentavi di conquistarmi.”

“Ed ora? Non dovrei farlo?”

“Sprecheresti tempo.”

“Perché è tardi?”

“Perché mi hai già preso.”

James non disse nulla.

Si limitò a stringerlo. Greg pianse pochissimo e si passò una mano davanti agli occhi.

“Non dovevo cedere.”

“Perché? Hai fatto un Patto con Diavolo che t’impediva di piangere?”

“E’ da tantissimo che non piango.”

“Lo immaginavo.”

Greg s’avvicinò a lui e gli posò un bacio sulle labbra, leggero.

“Non farlo.”disse James, gli occhi chiusi.

“Perché? Credevo ti piacesse.”

Iniziò a sfiorargli il petto con le mani, ma James lo bloccò e gli afferrò i polsi.

“No.”

“Perché?”

“Non farlo solo perché ti ho detto quello che sento. Mi sono fregato da solo e lo so. Ma non ho intenzione di essere un…”

“Un cosa? Hai paura di me, ora?”

James teneva gli occhi chiusi.

“Non ti ferirò. E prometto di essere il più discreto possibile su questa faccenda.”

“Prometti che non dirai ad una conferenza che sono innamorato di te?”

Greg riuscì a baciarlo, cogliendolo di sorpresa.

“Non farlo perché lo voglio io.”disse James, piano.

“Credimi, non sei affatto l’unico a volerlo.”

E lo baciò con più intensità di quanto avesse mai fatto.

James s’abbandonò al suo bacio e fu come dimenticare tutto, i problemi, le angosce, ogni cosa.

Chiuse gli occhi, posandogli una mano sulla nuca ed avvicinandolo ancora di più a sé.

Si staccarono solo per riprendere fiato e Greg posò la fronte contro la sua, traendo respiri profondi.

James gli passò un braccio attorno alle spalle e lo fece accoccolare contro di sé, come poco prima.

Rimasero così, senza bisogno di parlare, sentendo solo i loro respiri ed i battiti del loro cuore all’unisono.


Ciao a tutti!
Scusate la brevità del capitolo!!!
Spero vi piaccia ugualmente. Finalmente James ha confessato tutto a Greg.
Un grazie a:
Anna Mellory: direi in carcere! Se vai nel New Jersey uccidilo anche da parte mia!!! Spero ti piaccia il chappy!!!
lady house: chi li tira più lontani? Che vinco se ci riesco? Dimmi che ne pensi!!!
H W: grazie mille, tesoro!!! Spero ti piaccia anche questo!!!

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Capitolo 16
*** settimana bianca ***


Nei giorni successivi Greg non fece altro che evitare le domande della Cuddy e degli altri.

Gli davano sui nervi quei “Tutto bene?” “Come ti senti?” e quegli sguardi preoccupati che gli rivolgevano.

Era stufo di dire che stava bene, benissimo e di smetterla.

“Se mi chiedono di  nuovo come sto, io…”

Camminava su e giù per l’ufficio di James, che lo scrutava, alzando di tanto in tanto gli occhi dal materiale sul quale “doveva” lavorare.

“Sono in ansia per te. Ti vogliono bene.”

“Oh, come sono dolci!”fece lui, sarcastico. “Finirò per impazzire.”

Posò i palmi delle mani sulla scrivania e si sporse vero James.

Quando quest’ultimo alzò lo sguardo, per poco non gli venne un colpo.

“Stavo pensando ad una cosa.”

“Il perché godi nel farmi prendere i colpi?”

“No. Di come tu sia riuscito a “sentire” che…”

“Finiscila con questa storia.”

Erano giorni che Greg tentava di capire come James avesse potuto sentire che era in pericolo.

“Hai sviluppato un’empatia con me di cui io non sono a conoscenza?”

“Sì, ho preso le istruzioni da Internet. Se vuoi ti do il link del sito.”

“Com….”

James si alzò per sistemare un paio di libri e sbuffò.

“Smettila, ok? Non mi va di pensare a quel giorno, ok?”

“Invece io impazzisco di gioia nel ripensarci.”disse Greg.

James gli dava le spalle e si accorse di come era diventata fredda la sua voce.

Fredda ed ostile.

Si rese conto tardi di quello che aveva detto e tacque.

Alle sue spalle Greg non proferiva parola.

James si voltò verso di lui.

Era ancora chino sulla scrivania e teneva gli occhi chiusi, i pugni serrati.

Fece per mettergli una mano sulla spalla, ma lui si scostò, bruscamente.

“Sai cosa odio di questa storia?”

Non gli diede il tempo di rispondere e continuò:

“Odio i vostri sguardi preoccupati, la vostra apprensione che, se già esisteva prima per via del cancro, non ha fatto altro che intensificarsi. Odio il fatto di essere commiserato. Le tue scuse, i tuoi tentativi di capire ciò che penso o provo, la tua paura di vedermi crollare ed il non saper come reagire se accadesse sul serio. Odio più che mai la tua compassione, la tua pietà.”

James gli prese un braccio e glielo strinse.

Greg tentò di allontanarlo, ma lui gli prese anche l’altro, bloccandolo e fronteggiandolo.

“Ascoltami!

La mia non è pietà, né compassione. Ho paura, Greg, d’accordo? Ho paura di perderti, di vederti star male. Non hai idea di come mi sia sentito quando ti ho visto in quelle condizioni.

Avrei voluto morire, piuttosto che vederti così.”

Greg taceva. Evitava il suo sguardo.

“Mi sono accorto che avrei ucciso per te, lo capisci questo? Ne capisci l’importanza?

È un figlio di puttana, ma aveva ragione, Greg.

Credo proprio di essermi innamorato di te.”

Non seppe chi o cosa gli diede la forza per ammettere ciò, ma si sentì liberato da un peso.

Greg si allontanò da lui.

“Sei un’idiota!”esclamò.

“Sì, lo so.”

Greg si mise una mano dinanzi agli occhi, allontanandosi ancora.

“Perché, James? Perché cavolo ti sei innamorato di me?”

“Non dovevo dirtelo. Né ora né mai.”

James chiuse gli occhi.

“Non dovevi nemmeno provarlo! Tra tutte le persone di cui potevi inn…

Hai scelto il momento sbagliato!”

“Lo so, mi dispiace. Stai male per Tom…”

“Non è per lui, maledizione!”

“Ed allora per cosa?”

Non capiva. Non riusciva a capire per quanto si stesse sforzando.

“Ho il cancro, James. E la cosa che mi fa più male non è essere malato, ma sapere che oltre a me ci rimetterà anche un’altra persona e quella sarai tu.”

“Greg, io non…”

“Io sto morendo, James.”

Lo disse con una consapevolezza spaventosa.

E James s’accorse con orrore che i suoi limpidi occhi azzurro cupo erano umidi di lacrime.

“Vieni qui.”

Greg tentò di allontanare il suo abbraccio, ma non ci riuscì.

James gli s’avvicinò e lo strinse forte.

“Stai guarendo, non dire così, d’accordo?”

“Sai benissimo che potrei morire sotto i ferri.”disse, il volto soffocato nella sua camicia.

Crollarono sul pavimento, stretti l’uno all’altro.

James era spaventato e non sapeva che fare.

Aveva ceduto. La sua maschera di sarcasmo, di forza apparente, era crollata.

Ora era solo con lui.

Greg sentì le lacrime rigargli le guance prima che potesse trattenerle.

Non sapeva neanche il perché preciso del suo sfogo.

Ma era stata la confessione di James a farlo cedere.

Fu come liberarsi di un’enorme blocco, dell’angoscia, della paura che nascondeva da quando aveva saputo che era malato, del dolore per la violenza subita, la tristezza di vedere James stare male, stare male per lui….

Tutto quanto.

“Non farlo. Non per me. Non cedere perché hai paura per me.”sussurrò James.

Erano seduti sul pavimento, Greg tra le sue braccia, che si stringeva a lui, il volto affondato nella sua camicia, e lui che l’abbracciava con dolcezza e energia, cullandolo come un bambino piccolo.

“T’amo. Ti amo tantissimo, più di quanto possa immaginare. Se solo me ne fossi accorto prima avrei avuto un sacco di tempo.”

“Già. Sarebbe stato buffo vedere te che tentavi di conquistarmi.”

“Ed ora? Non dovrei farlo?”

“Sprecheresti tempo.”

“Perché è tardi?”

“Perché mi hai già preso.”

James non disse nulla.

Si limitò a stringerlo. Greg pianse pochissimo e si passò una mano davanti agli occhi.

“Non dovevo cedere.”

“Perché? Hai fatto un Patto con Diavolo che t’impediva di piangere?”

“E’ da tantissimo che non piango.”

“Lo immaginavo.”

Greg s’avvicinò a lui e gli posò un bacio sulle labbra, leggero.

“Non farlo.”disse James, gli occhi chiusi.

“Perché? Credevo ti piacesse.”

Iniziò a sfiorargli il petto con le mani, ma James lo bloccò e gli afferrò i polsi.

“No.”

“Perché?”

“Non farlo solo perché ti ho detto quello che sento. Mi sono fregato da solo e lo so. Ma non ho intenzione di essere un…”

“Un cosa? Hai paura di me, ora?”

James teneva gli occhi chiusi.

“Non ti ferirò. E prometto di essere il più discreto possibile su questa faccenda.”

“Prometti che non dirai ad una conferenza che sono innamorato di te?”

Greg riuscì a baciarlo, cogliendolo di sorpresa.

“Non farlo perché lo voglio io.”disse James, piano.

“Credimi, non sei affatto l’unico a volerlo.”

E lo baciò con più intensità di quanto avesse mai fatto.

James s’abbandonò al suo bacio e fu come dimenticare tutto, i problemi, le angosce, ogni cosa.

Chiuse gli occhi, posandogli una mano sulla nuca ed avvicinandolo ancora di più a sé.

Si staccarono solo per riprendere fiato e Greg posò la fronte contro la sua, traendo respiri profondi.

James gli passò un braccio attorno alle spalle e lo fece accoccolare contro di sé, come poco prima.

Rimasero così, senza bisogno di parlare, sentendo solo i loro respiri ed i battiti del loro cuore all’unisono.

 

 

Mancavano pochissimi giorni a Natale e l’atmosfera natalizia si respirava ovunque.

Alberi e decorazioni nell’ingresso, persone che preparavano i loro viaggi ed invitavano amici e parenti per cenoni.

“Detesto il Natale!”esclamò House tre giorni prima, liberandosi di un festone traditore che lo aveva avvinghiato.

James trattenne a stento una risata e lo aiutò.

“Dai, non esagerare. È una bella festa.”

“Sai che non credo in Dio.”

“E’ un’occasione da passare con i parenti, con gli amici, per divertirsi. Non vedo cosa ci sia tanto di male.”

“Ad esempio il fatto che i miei sono qui 24 ore su 24 e tu abiti a casa mia. Basta con le vicinanze.”

“Se vuoi me ne vado, sai?”

“Naa. E poi chi cucina e mette a posto?”

“Non sono la tua cameriera.”

“Ti manca solo il grembiule e potresti esserlo. Ho trovato il tuo regalo di Natale!”

James alzò gli occhi al cielo.

“Prendo le ferie domani. E voglio passare il Natale in tranquillità. Quindi non farti ven…”

Gli occhi di Greg s’illuminarono.

“Greg, a cosa stai pensando? Quello sguardo significa che ti è venuta un’idea. Qual è? Sentiamo.”

“Voglio andare a sciare.”

James si sarebbe aspettato di tutto, ma non questo.

“Fammi pensare…no!”

E si diresse verso il suo ufficio. Ma Greg non demorse.

“Andiamo, sarà divertente.”

“Certo, vedere te che ti rompi l’osso del collo! Non sto nella pelle.”fece, sarcastico.

“Tu sai sciare, potresti insegnarmi.”

“Come sai che…?”

“Me l’hai detto una volta, secoli fa.”

“E…”

“Andiamo, James. Non fare il bambino. Tanto lo sai che alla fine vinco io. Perché dobbiamo fare sempre le stesse storie?”

James entrò nel suo ufficio e si voltò verso l’amico.

“La mia risposta resta sempre la stessa: no. Hai il cancro, devi seguire la terapia tre volte a settimana, sei zoppo e ti viene in mente di fare una settimana bianca?”

“Le medicine le posso portare. Ci sarà sicuramente un ospedale in montagna e se non sbaglio il fatto di usare un bastone non dovrebbe essere un problema. Si usano quegli affari per sciare.”

“Per darsi la spinta e scivolare giù. Comunque no.”

“Bene. Ci andrò da solo.”

“Hai bisogno di me.”

Greg giunse alla porta e lo guardò.

“No, sei tu quello che hai bisogno di me. Più di quanto ne abbia io.”

E se ne andò.

James chiuse gli occhi, riflettendo.

“No, sei tu quello che hai bisogno di me. Più di quanto ne abbia io.”

Aveva ragione, maledettamente ragione.

Aveva bisogno di lui, anche se si sentiva molto egoista ad ammetterlo.

Corse fuori dall’ufficio. Quanto odiava dargliela vinta!

“House!”

Il diagnosta si voltò, reggendosi al bastone.

Stava nascondendo un ghigno. L’aveva incastrato e lo sapeva bene.

“Due condizioni. Vieni nel mio ufficio.”

Ma perché diavolo riusciva sempre a convincerlo?

“Sentiamo.”

Greg s’appoggiò alla porta chiusa, le braccia incrociate sul petto.

“Se ti senti male, se hai mal di testa forte o svieni, andiamo immediatamente all’ospedale e poi a casa. Se provi a mentirmi, non ti farò più nessun favore. Se fai qualche stupidaggine, ce ne torniamo a casa. E se provi a prendermi in giro, me la pagherai. Chiaro?”

“Sono quattro le condizioni.”protestò House.

“Vuoi che ne trovi altre?”

“No, vanno bene queste. Ma toglimi una curiosità. Perché dovrei prenderti in giro? È ovvio che non ti riferivi ai miei scherzi, tanto ci sei abituato. A cosa, allora?”

James gli dava le spalle.

“Nulla d’importante. Solo non…non giocare con me.”

E Greg capì.

Gli s’avvicinò e l’abbracciò da dietro, posando il mento sulla sua spalla.

“Promesso.”

“E ci andiamo in macchina. Niente aereo o altre cose.”

“Ok.”

Continuò a stringerlo per un po’, poi s’allontanò.

 

“Allora, le medicine?”

“Prese.”

“Documenti?”

“Presi. James, ti vuoi muovere o vuoi controllare tutto per la decima volta?”

Greg era già in macchina da dieci minuti e lo guardava divertito controllare le valigie.

“Andiamo in montagna, qui nel New Jersey. Non espatriamo, mica. Rilassati.”

“Odio quando mi faccio coinvolgere.”

Faceva un freddo esagerato e il cielo minacciava neve.

James salì a bordo dell’auto e s’allacciò la cintura di sicurezza.

E prima che potesse aprir bocca Greg gli mostrò che anche la sua era allacciata.

“Andiamo, su!”

Fu un viaggio divertente. Le quattro ore di cammino furono riempite da chiacchiere, discussioni su quale musica mettere (ed alla fine era sempre House che vinceva), schifezze (che sempre House aveva portato) da ingurgitare, come patatine, salatini e noccioline.

“Pulisci tu, dopo.”minacciò James, guardando sconsolato la sua macchina piena di briciole.

“Non essere crudele. Sto male.”

“Se stai male faccio marcia indietro e ce ne torniamo a casa.”

“I miei sarebbero contenti di vedermi.”

Blythe e John non erano stati molto d’accordo con l’idea della settimana bianca.

Ma erano stati rassicurati da James.

“Comunque no, voglio imparare a sciare.”

“Tu sei matto.”

“Ed è una cosa che ami?”

James non rispose.

“Andiamo, sono curioso. Cosa ti piace di me? Cosa ami di me?”

“Greg, sto guidando, non mi distrarre.”

“Rispondi, dai.”

Era accoccolato sul sedile, su un lato, la testa appoggiata alla mano e gli occhi fissi su James.

Cosa che non  aiutava affatto l’oncologo a concentrarsi.

“Cosa ami di me?”ripeté Greg.

“Sei arrogante, presuntuoso, cinico, egocentrico. Sei un manipolatore bastardo, come ti chiama Foreman, ti piace manipolare la gente ed essere crudele per ottenere quello che vuoi. E certe volte mi fai davvero impazzire.”

“In che senso?”

“Eh?”

“Impazzire nel senso che vorresti saltarmi addosso o nel senso che ti faccio…”

“Arrabbiare. Sì, quello. Sei un ottimo dottore ed ammiro la tua genialità, intelligenza, la tua perspicacia. Ma nonostante i tuoi mille e più difetti, e ce ne sono, credimi, sono il tuo migliore amico e non sono mai riuscito a pensare alla mia vita senza la tua presenza. Mi viene da ridere se penso ad un qualsiasi momento senza di te.”

“Quindi mi ami anche se non mi sopporti?”

“Certe volte non ti sopporto. Comunque, sì. Ti odio e ti amo allo stesso modo.”

James guardava dritto dinanzi a sé. Sentiva lo sguardo di Greg addosso.

Come se lo stesse analizzando.

“Non me lo diresti mai, vero? Neanche se provassi quello che sto provando io?”gli chiese.

“Non ci contare.”

James rise e poi tacquero.

Dopo un po’, vedendo che non proferiva parola, approfittò di una coda sull’autostrada per voltarsi verso di lui.

Era sempre accoccolato sul suo sedile, raggomitolato su un fianco, ma aveva gli occhi chiusi.

“Stai bene?”

“Mmm.”

Molto loquace.

James gli posò una mano sulla fronte. Non era calda.

“Greg, non ti senti bene?”

Il suono del clacson della macchina dietro lo distrasse.

Continuò a guidare.

“Sto bene. Sono solo un po’ stanco.”

“Sicuro?”

“Mmm. Se vuoi mi puoi tenere la mano, così ti senti più tranquillo.”

“Mi sembri un bambino, certe volte.”disse, sorridendo, vedendo Greg che gli tendeva la mano.

La strinse e rabbrividì al quel contatto.

“Forse aveva ragione.”disse Greg dopo un po’.

“Chi?”

“Geena. A dire che ero la causa della fine del vostro matrimonio. Ricordi cosa ha detto?”

James scosse la testa.

“Ha detto che tu avevi la faccia tosta di dirle che non eri innamorato di me, anche se passavamo moltissimo tempo insieme. Ed io le avevo risposto che tu eri il mio migliore amico, non il mio amante. Le cose cambiano.”

Continuava ad avere gli occhi chiusi.

James gli sfiorò il dorso della mano con la punta delle dita.

“Riposati, ok? Il viaggio è lungo.”

S’accorse che gli aveva dato ascolto, solo quando sentì la sua mano rilassarsi contro la sua.

Ma non mollò la presa, riflettendo.

Geena aveva ragione. Era stata la prima a vedere cosa c’era tra loro. O meglio quello che provava lui.

Greg era un enigma. Non sapeva ciò che pensasse riguardo tutto ciò che era accaduto tra loro.

Ricordava che era stato proprio lui a baciarlo per primo ed a dare inizio a tutto. Ma quella sera stava malissimo, si era ferito da solo….

Ma quando giorni fa gli aveva chiesto di non farlo perché lo voleva lui, Greg gli aveva risposto che non era l’unico a volerlo, baciandolo subito dopo.

James non riusciva a spiegarsi quella storia.

Posò nuovamente lo sguardo sull’amico addormentato, gli lasciò andare un attimo la mano e gli sfiorò la guancia destra leggermente, per non svegliarlo.

E mentre si voltava nuovamente verso la strada, avrebbe giurato di averlo visto sorridere al suo tocco.

 

“E’ più bello questo o l’albergo di Los Angeles?”chiese Greg entrando nella Hall e portandosi dietro le proprie valigie.

“L’altro. C’era Vivian, almeno.”lo stuzzicò.

“Bene. Chiamala e falla venire qui. Così avrai compagnia.”

Era irritato.

James rise sotto i baffi e s’avvicinò alla reception.

“Buonasera. Ho prenotato due camere ieri pomeriggio. A nome House.”

“Buonasera anche a voi. Mi faccia controllare. House….House…House…Sì, ecco qui.

Ecco a voi le chiavi. Secondo piano. Buon soggiorno al Skylook Hotel.”

Quando si furono allontanati dal bancone, House si voltò verso l’amico.

“Hai davvero intenzione di invitare lei, eh?”

“Chi?”

“Vivian. Altrimenti perché avresti preso due camere?”

James guardò la sua faccia e scoppiò a ridere.

“Sei un’idiota, sai? Ne ho prese due solo perché sarebbe stato…”

“Imbarazzante?”

“No, sospetto, se la Cuddy o qualcun altro l’avesse scoperto.”

“Va bene. Dammi la mia chiave.”

Giunti al secondo piano, Greg trovò la sua stanza, l’aprì e si chiuse dentro, lasciando James nel corridoio.

“Bambino!”fece James, prima che chiudesse la porta.

Greg si limitò ad una linguaccia, facendolo ridere.

James scosse la testa, sorridendo e trovò la sua stanza.

Era di fronte quella di House.

Greg entrò nella sua stanza e si gettò sul letto, chiudendo gli occhi, le valigie posate distrattamente sul pavimento.

Si sentiva stanchissimo. Optò per una doccia calda e quando sentì l’acqua scivolargli addosso, fu come se tutta la stanchezza fosse sparita nel nulla.

Rimase sotto il getto dell’acqua calda per più tempo del necessario, riflettendo.

“Ti odio e ti amo allo stesso modo.”

Le parole di James gli rimbombavano nella testa, non riusciva a non pensare a ciò che gli aveva confessato.

“Non me lo diresti mai, vero? Neanche se provassi quello che sto provando io?”gli chiese.

“Non ci contare.”

Neanche se provassi quello che sto provando io?

Stava bene con lui, con James. Era capace di farlo sentire al sicuro, in qualsiasi situazione fosse.

Come quando l’aveva stretto a sé, dopo averlo salvato dalla violenza di Tom.

Per un attimo era stato come se non fosse successo nulla di male, come se non fosse mai andato via a Los Angeles.

 

“Mi sono accorto che avrei ucciso per te, lo capisci questo? Ne capisci l’importanza?

È un figlio di puttana, ma aveva ragione, Greg.

Credo proprio di essermi innamorato di te.”

 

“Non dovevi nemmeno provarlo! Tra tutte le persone di cui potevi inn…

Hai scelto il momento sbagliato!”

“Lo so, mi dispiace. Stai male per Tom…”

“Non è per lui, maledizione!”

“Ed allora per cosa?”

“Ho il cancro, James. E la cosa che mi fa più male non è essere malato, ma sapere che oltre a me ci rimetterà anche un’altra persona e quella sarai tu.”

 

“T’amo. Ti amo tantissimo, più di quanto possa immaginare. Se solo me ne fossi accorto prima avrei avuto un sacco di tempo.”

 

Tutte quelle parole, quei ricordi, si mescolavano nella sua testa.

Teneva a James, teneva a lui tantissimo. Solo come amico?

Pensò alle volte che era stato geloso quando stava con le sue mogli, quando era andato a letto con Vivian, le belle sensazioni che provava quando erano insieme, le loro risate, i loro scherzi, la sua protezione, il suo affetto, la sua amicizia che per lui era la cosa più importante di qualsiasi altra cosa, i brividi sulla schiena quando l’abbracciava, la complicità, il loro affiatamento, le sensazioni indescrivibili che provava quando andavano a letto insieme, i batticuori quando incontrava le sue labbra e giocava con la sua lingua…

Tutto si mescolò nella sua testa e…

Toc Toc Toc

Era scivolato lungo la parete della doccia, fino a sedersi sulle piastrelle chiare, senza neanche rendersene conto.

Uscì facendo attenzione a non scivolare ed indossò l’accappatoio, afferrando il bastone.

Era James.

“Ehilà, da quanto tempo!”lo salutò Greg.

“Direi che non sei pronto per la cena, eh?”

“Se non vuoi che vada in accappatoio, no.”

“Vuoi che esca?”

“Perché?”

Greg stava rovistando nella prima valigia che aveva trovato per prendere un jeans ed una maglietta a caso.

“Se ti devi vestire…”

“Sei tu che ti fai problemi a vedermi nudo, non io. Inizio ad offendermi.”

James alzò gli occhi al cielo.

Lo guardò vestirsi, ammirando i pettorali, i bicipiti e soffermando sul…

“Credi abbia un bel fondoschiena?”domandò Greg, d’un tratto, infilandosi i jeans ed allacciando le scarpe Nike scure.

“Cosa?”

“Se lo guardi…”

“Greg…”

James era esasperato.

“Andiamo!”

Si sentì tirare per un braccio e portare di sotto, nella sala da pranzo.

 

L’hotel era circondato da prati immensi, ed era vicinissimo alle piste da scii.

“Ci andiamo domani.”decise Greg per lui.

James non ribattè. Gli stava bene.

Passeggiavano sul prato. L’oncologo si stringeva nel cappotto rabbrividendo, mentre Greg sembrava non curarsene del freddo polare che faceva.

Era comodamente in felpa e cappotto.

“Ma non stai morendo di freddo?”gli chiese l’oncologo, fermandosi.

“No. Cammina, su! Il movimento fa bene alla salute. E poi se rimani lì impalato diventi un ghiacciolo.”

James sospirò e gli s’incamminò dietro.

I gradi erano sicuramente sotto zero. Tra poco avrebbe nevicato.

Greg taceva.

“Tutto ok? Sei stranamente taciturno.”

James si sedette accanto a lui su una panchina umida.

“Sto bene. Pensavo. Mi capita spesso, sai?”

“Già.”

Rimasero zitti per un po’.

Poi James venne colpito da un soffice fiocco bianco.

“Nevica.”disse.

Greg, che teneva gli occhi fissi sulle proprie scarpe, alzò lo sguardo su di lui e poi sul cielo.

Fiocchi bianchi iniziarono ad imbiancargli i capelli.

Sorrise.

“Già.”

“Forse è meglio se rientriamo.”propose James, ma Greg si era già alzato ed era chino sull’erba, già ricoperta di un sottile strato di bianco.

“Greg, cosa…”

Non ebbe neanche il tempo di finire la frase che l’amico gli aveva tirato una palla di neve, colpendolo alla spalla.

Nevicava abbastanza forte, ed in poco tempo tutto venne ricoperto di fiocchi.

“Me la paghi!”

James afferrò una manciata di neve e gliela tirò, mancandolo di un soffio.

“Dovesti comprarti un paio di occhiali, Jimmy!”

“Regalameli per Natale!”e lo colpì in faccia con una manciata di neve.

Sembravano due bambini, a giocare a palle di neve in un angolo del parco.

D’un tratto Greg scivolò e cadde tra la neve.

“Greg!”

James gli corse accanto e si rese conto che l’altro stava ridendo.

“Andiamo dentro, su! Ora basta, sei fradicio.”

“Anche tu.”rideva ancora.

James tese la mano, ma Greg afferrandola lo tirò verso il basso, facendolo cadere addosso a lui.

Erano in una posizione a dir poco equivoca, dato che James era letteralmente sdraiato a pancia in giù su di lui.

Lo guardò severamente, ma non potè reprimere una risata.

Successe tutto in un attimo. Greg afferrò James per le spalle e capovolse la situazione, issandosi a cavalcioni su di lui e facendolo affondare nella neve.

“Greg! Se ci…”

“Chi vuoi che ci veda? Siamo nel punto più estremo del parco ed è sera. E poi ho una voglia matta di baciarti.”

Greg passò dalle parole ai fatti in un secondo, posando le labbra su quelle di James.

Erano entrambe gelate, ma bastò un attimo e si riscaldarono baciandosi intensamente.

James si staccò da Greg, ridendo piano.

“Forse è meglio se andiamo dentro, ok? Non voglio che ci becchiamo qualcosa. Vuoi o no imparare a sciare?”

Greg si alzò, sbuffando e James lo seguì.

Erano fradici fino al midollo.

“Vieni da me?”

Greg affondò le mani nelle tasche, di fronte alla porta della stanza.

“Non ti reggi neanche in piedi.”disse James, dolcemente.

Infatti Greg si era dovuto appoggiare allo stipite della porta.

“Mi cambio e mi fai compagnia. Andiamo.”

Era stanco morto.

“Va bene, come vuoi.”

Greg si cambiò velocemente e poi si stese sul letto, accanto a James.

“Sei stanco morto.”

James gli circondò le spalle con le braccia e gli fece appoggiare la testa sul suo petto.

“Sto ben.. Yawn!”

James posò il mento sul suo capo, respirando il suo odore.

Greg era gelato.

“Hai freddo.”disse, mentre lo copriva con una coperta.

“Tu sei gelato. Vieni sotto.”

“Eh?”

“Non pensare male! Intendevo sotto le coperte, idiota!”

Greg rise, gli occhi chiusi, mentre James si sdraiava accanto a lui, sotto le coperte.

Pian piano il freddo passò, mentre dalla finestra si vedeva ancora fioccare la neve.

Greg teneva gli occhi chiusi, accoccolato tra le sue braccia.

“Sto bene con te.”sussurrò.

“Anche io.”

“Io lo so il tuo perché. Ma non riesco a capire il mio.”

James scrollò le spalle.

“Forse sotto sotto tieni anche tu a me.”

“Nei miei boxer? Può darsi, vuoi che chieda?”

James soffocò una risata nei suoi capelli e Greg rabbrividì.

“Freddo?”chiese James, accortosi dei brividi.

“No, eri tu.”

James fu colpito.

“No, eri tu.”

“Lo sai che ci tengo. È solo che non sono il tipo che parla di queste cose.”

“Già, sei un duro, tu.”

“Già, indovinato.”

Ma mentre lo stringeva al cuore, James si rese conto di quanto, in verità, fosse infinitamente fragile.

Di come era riuscito a penetrare quella maledetta corazza che si era creato addosso e di quanto fosse vulnerabile in quel momento.

Gli posò un bacio tra i capelli ed intrecciò le dita con le sue.

Rimasero abbracciati finchè non s’addormentarono, esausti.

Ciao a tutti!!!
Un grazie a:
Anna Mellory: sì, sono certa che Greg ce la farà! Dimmi che ne pensi!
H W: grazie mille per i tuoi complimenti, sai che adoro le tue recensioni! Grazieeeeeeeeee
lady house: grazie, tesò! Attendo tuoi commenti!!!

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Capitolo 17
*** Cadute e delusioni ***


“Sembro uno che sta scalando l’Himalaya.”fece Greg l’indomani mattina.

Era imbacuccato in tuta da sci, cappotto, occhiali di protezione, guanti, sciarpa, sci e quegli affari correlati agli scii di cui non ricordava mai il nome.

James, nelle sue stesse condizioni, rise e gli tese la mano.

“Ce la faccio!”

Lui la scansò e si aggrappò al bastone per continuare a salire.

James era poco più avanti di lui e si voltava ogni tre passi temendo di vederlo scivolare.

“Meglio iniziare dalla pista per principianti.”

“Macché. Vai a quella media.”

“No, ora mi dai retta. Ti ho portato qui ed ora mi ascolti.”s’impuntò James.

Aveva smesso di nevicare ed uno spesso strato di neve ricopriva la valle, poco distante dal loro hotel. Ma faceva ancora un freddo polare.

Greg sbuffò, ma vedendolo così serio e preoccupato decise che, per una volta, era meglio dargli retta.

Arrivati fino in cima, James gli fece segno di sedersi.

“Scendo prima io, ok? Guardami e tenta di memorizzare e d’imitare i miei movimenti. Non azzardarti a seguirmi. Non voglio che ti spezzi l’osso del collo.”

Greg sedette su un cumulo di neve e gli fece cenno di scendere.

La pista era abbastanza piccola.

Lo vide scendere, vide con quanta maestria si muoveva ondeggiando e si dava la spinta per andare più veloce.

Quando risalì da lui, aveva le guance rosse per il vento preso in faccia e sorrideva.

“Tutto ok? Vieni. Scendo di nuovo con te. Ascolta, all’inizio è importante rimane in equilibrio.

Piegati leggermente sulle gambe e non tentare di fare sciocchezze. Se vuoi frenare, sterza di lato.

Ma non ti conviene fermarti nel mezzo della pista, o rischi di scivolare ancora di sotto.

Se vuoi una mano, ci sono io. Ok?”

Era strano che, per una volta, fosse James ad insegnargli qualcosa.

“E’ strano.”disse, infatti.

“Cosa?”

“Tu che mi fai da maestro.”

James alzò gli occhi al cielo e si posizionò per scendere.

“Pronto?”

“Se ti dicessi di no?”

“Scenderei lo stesso e ti porterei con me. Che c’è, Greg? Paura?”

“No, affatto. E lo sai.”

“Dimostramelo.”lo stuzzicò.

“Ok.”

Greg si diede la spinta, prima che James potesse prepararsi.

Fu un’emozione sciare per la prima volta, sentire il vento che gli sferzava il volto.

Tentava di mantenersi leggermente piegato in avanti, come gli aveva detto James, ma cadde di lato, affondando sulla neve.

Quando James lo raggiunse, sterzando di lato, stava ridendo.

“Avresti dovuto aspettarmi!”lo rimproverò e l’afferrò per un braccio per rialzarlo.

Greg aveva le guance arrossate e tremava leggermente.

“Idiota!”

“Sto bene!”

“E’ il tuo ritornello, ormai! Evita di romperti l’osso del collo.”

“Sono stato bravo?”

“Ci sei già andato, vero?”

“Forse.”ammise.

“E perché hai voluto che t’insegnassi tu?”

Greg fece spallucce.

“Non me lo ricordavo. Avevo 7 anni, l’ultima volta e le gambe mi funzionavano entrambe.”

“Perché hai voluto riprendere gli scii in mano? Dopo tanto tempo?”

“Penso che tu la conosca già la risposta.”

L’oncologo annuì, piano, chiudendo gli occhi.

Quando li riaprì Greg era già a metà strada.

“Greg!”

Lo rincorse e l’afferrò per un braccio.

“Piano! Non strafare, ti prego! È già un miracolo che tu non sia caduto durante la salita. Non tentare troppo la sorte.”

“Sarebbe stato impossibile cadere. Tu m’avresti preso, sicuramente.”

Aveva ragione.

La mattinata proseguì tra salite e discese.

Praticamente erano i soli ad usufruire di quella pista, mentre gli altri preferivano quelle più difficili.

James, che sapeva sciare abbastanza bene, guardava l’amico scendere, sciando, ed ogni volta aveva il cuore il gola per la preoccupazione.

Ogni volta Greg cadeva, ma fortunatamente sempre quando ormai era vicino alla fine della discesa.

Ed ogni volta che cadeva nella neve e non riemergeva per un po’, James correva da lui.

E lo vedeva che, immancabilmente, sorrideva dinanzi alla sua foga ed ansia.

“Dovresti rilassarti. Sto bene. Anzi, credo che il freddo m’abbia anestetizzato la gamba.

Non prendo Vicodin da circa tre ore.”

“Un record.”bofonchiò lui, mentre lo rivedeva risalire.

Sembrava un bambino e non un quasi - cinquantenne.

“Greg, è ora di pranzo.”

“Portami un panino.”rispose l’altro, trascinandolo su con lui.

“Andiamo a mangiare. Su, vieni. Non fare il bambino!”

Per tutta risposta Greg gli fece la linguaccia.

“Come non detto.”

“Prima voglio provare una cosa.”

Ed iniziò ad incamminarsi più sopra.

“GREG! Dove diamine vai?”

Gli corse dietro. Per arrancare con un bastone ed in tenuta da scii, arrancava benissimo e veloce.

Forse sul serio il freddo gli aveva anestetizzato la gamba e non sentiva dolore.

Si rese conto troppo tardi di dove erano arrivati.

Alla pista media, decisamente più grande e ripida dell’altra, anche se priva d’ostacoli come quella per principianti.

Intuì immediatamente quello che voleva fare.

“GREG! No, ti prego. Non farlo.”

“Andiamo! Smettila di preoccuparti. Non mi accadrà nulla. Sono bravo o no?”

“Te la cavi. Su quella per principianti. Questa è molto più ripida. Se cadi, e cadi male, rischi di…”

Greg lo ignorò e prese posizione.

“Ci vediamo di sotto.”ghignò, ridendo.

James l’afferrò per un braccio, ma Greg si stava già dando la spinta.

Aveva una bruttissima sensazione.

Maledizione, se cadeva su quella per principianti, allora…

Lo vide scendere, gridando come un’idiota, ripidamente, lo vide prendere sempre più velocità…

Poi d’un tratto lo vide scivolare bruscamente e ruzzolare di sotto.

Fece scivolando gli ultimi metri che lo separavano dalla fine.

E giacque, immobile.

“GREG!”

S’aspettava di vederlo alzarsi, trionfante, con un ghigno sul volto, come a voler dire “Te l’ho fatta!”.

Ma Greg rimase immobile.

Preso dal panico, James si diede la spinta e sciando, si precipitò di sotto.

Non s’accorse della bellezza della discesa, ma si rese solo conto di quanto fosse ripida e difficile e pericolosa per uno che non prendeva in mano gli scii da una quarantina d’anni.

Pazzo!

Arrivò, sterzando accanto all’amico e si chinò su di lui, voltandolo su un fianco e togliendogli la neve di dosso.

Era svenuto

Agitatissimo, gli sfiorò il volto, tremante, mentre gli toglieva il guanto per sentire bene il polso.

Batteva ancora.

La caduta era stata davvero brutta e Greg aveva fatto scivolando parecchi metri.

Non osò muoverlo, temendo che si fosse rotto qualcosa.

“Maledizione!”

“AIUTO!”urlò con tutto il fiato che aveva in gola.

“AIUTATEMI!”

Dopo pochissimo venne raggiunto da tre uomini, anche loro in tenuta da scii, dalla pista di fianco.

“Cos’è successo?”

Uno di loro parlò, con uno strano accento tedesco.

“E’ svenuto. È scivolato mentre sciava ed ha fatto una brutta caduta.”

Vide un altro, biondo ed alto che chiamava i soccorsi con il proprio cellulare.

“Non si preoccupi. Il mio amico sta chiamando un’ambulanza.

Fortunata che prende qui il suo cellulare.”

James si liberò di occhiali e scii e fece lo stesso, delicatamente, con Greg.

Rimase immobile, probabilmente pallidissimo, finchè non arrivarono due infermieri e caricarono Greg su una barella.

Li seguì, ancora tremante nell’ambulanza.

 

Le due- tre ore successive furono molto angosciose.

Dovette rispondere a tutte le domande di un infermiere pedante e noioso che era interessato a sapere perfino se Greg avesse mai avuto figli o gatti.

“Lei è?”

“Un suo amico.”

“Non ha nessun parente, qui?”

“Ha 49 anni, non ha più bisogno di avere l’accompagnamento dei genitori. Ora lo posso vedere?”

“Lo stanno ancora visitando.”

“Vi ho detto tutto ciò che c’era da sapere. Per quanto mi riguarda la cosa più importante era che ha un cancro al cervello. Gli avete fatto o no una maledettissima TAC?”

“Si calmi, signor…”

“Wilson!”

“Wilson, sono un medico!”

“Anche io e sono il suo oncologo.”

L’infermiere parve zittito.

Poi ricominciò.

“Dovrei avvertire la famiglia.”

“L’avverto io, se non le dispiace. Ora posso vedere il mio migliore amico o è chiedere troppo?”

Era esasperato e disperato allo stesso tempo.

Voleva spaccare la faccia a quel tipo pedante, ma allo stesso tempo voleva sapere da lui dove diamine fosse Greg.

Forse la vicinanza di Greg l’aveva reso più impulsivo o la preoccupazione lo spingeva a spaccare la faccia ad infermieri pedanti.

Ad evitare spargimenti di sangue arrivò un altro dottore.

“Lei è un amico del signor House?”

“Sì!”disse, forse troppo bruscamente.

Il dottore era sulla sessantina, dall’aspetto gentile, ma allo stesso modo forte e vigoroso.

James si pentì del tono usato.

“Sono io.”disse, più calmo.

“Roger, faccio io. Va al secondo piano ed aiuta Madaleine.”

“Sì, dr Hils!”

E l’ometto pedante andò via.

“Mi scuso per Roger. Certe volte è un po’ invadente. Fa troppe domande.”

“Decisamente.”

“Come sta?”aggiunse.

“Gli abbiamo fatto una TAC come ci ha suggerito lei, appena siete arrivati qui. Non c’è nessuna frattura, o commozione. La testa è a posto, fatta eccezione per il tumore.”

“Posso vederla? Sono un medico anche io, il suo oncologo, precisamente.”

“Sì. Ecco.”

Tirò fuori da una cartella la TAC e gliela porse.

James la scrutò.

Il tumore continuava a regredire. Meno male.

“Cos’ha? Perché è svenuto?”

“Probabilmente per la forte botta presa. È caduto rovinosamente su un fianco ed ha due costole incrinate ed il polso ed alcune ossa della mano sinistra sono rotte.

Per il resto, solo qualche livido un po’ qua e là. Stia tranquillo.

Ma al momento consiglierei di evitare gli scii.”

“Stia tranquillo. Non ne vedrà un paio per molto moltissimo tempo.”

“Le posso fare una domanda?”

“Certo.”

“Per caso è il suo compagno?”

La domanda spiazzò James.

“Cosa?”

“Non mi fraintenda, ma ho visto con quanta apprensione ed affetto gli è stato vicino.

Dal modo in cui lo guardava o come parlava a Roger per vederlo, ho pensato ad un tipo di legame più forte di un’amicizia, anche se fortissima, come ritengo sia la vostra.”

Non lo conosceva nemmeno, ma li aveva analizzati alla perfezione entrambi.

“E’ bravo a leggere le persone.”

“Sì, direi di sì.”

“Non è il mio compagno. Non esattamente.”

“Ma avete una storia, giusto?”

Una storia. La loro poteva chiamarsi storia? Greg poteva chiamarla storia, riservato com’era?

E lui? Sì, lui sì, l’avrebbe chiamata così. Ma non sapeva che avrebbe pensato Greg a tal proposito.

“Una via di mezzo.”ammise.

Il dottore Hils gli sorrise.

Poi gli indicò una porta.

“E’ sveglio. Può andarsene tra un’ora, al massimo.”

“Grazie, dottor Hils.”

E s’avviò verso la porta, indicatagli.

Era furioso con lui. Se solo gli avesse dato retta! Non gli sarebbe accaduto nulla!

Era un’idiota, un cretino, un testardo…

Entrò e lo vide, disteso su un fianco, probabilmente non quello delle costole incrinate.

“Jimmy…”lo salutò ed abbozzò un sorriso.

Schiaff!

James gli si era avvicinato e gli aveva mollato uno schiaffo, lasciandogli l’impronta delle cinque dita sulla guancia destra.

Greg non reagì.

Il dolore dello schiaffo si sommò a quello per il polso, la mano e le due costole.

“Sei un’idiota. Domani torniamo a casa.”

“No.”

“Me l’avevi promesso, Greg! Mi avevi promesso di non fare stupidaggini!

E credo che fare la discesa media, quando eri già caduto su quella per principianti, sia una delle stupidaggini vietate!”

“James, no…”

“Zitto o ti arriva un altro schiaffo.”

Greg tacque.

James si sedette su una sedia, lontano dal suo letto.

Era davvero molto arrabbiato.

“E’ un record. Siamo arrivati ieri sera ed oggi ad ora di pranzo, siamo in un ospedale per una tua stronzata. Davvero da mettere nel libro dei record.”

Driin Driin

Era il cellulare di James. Lo prese.

Tre chiamate perse da parte della Cuddy, che gli stava telefonando in quel momento.

“Pronto, Cuddy? Sì, scusa. Ma sono all’ospedale.

Sì, nulla di grave. Greg è caduto su una pista media. No, tranquilla.

Ha due costole incrinate ed il polso ed alcune ossa della mano sinistra rotte.

Poteva andargli molto peggio. Sì, gli dirò che è un’idiota folle. Sì, buona Vigilia anche a te.”

Chiuse la conversazione.

La Vigilia. Se n’era dimenticato.

Posò lo sguardo su Greg e lo vide con gli occhi chiusi, l’impronta della sua mano ancora impressa forte sulla sua guancia.

Non ce la fece a rimanere arrabbiato con lui.

L’ondata di furia era svanita rapidamente come era arrivata.

Si sedette sul bordo del letto.

“Senti dolore?”

“No. Mi hanno dato un po’ di morfina.”

Continuò a tenere gli occhi chiusi.

“Se sei arrabbiato con me, vattene. Ci torno da solo all’hotel.”

“Non sai la strada, dormivi mentre guidavo.”

“Non per tutto il tempo. E poi posso chiedere informazioni.”

Silenzio.

“Hai fatto una stronzata, voglio che te ne renda conto.”

“Che vuoi fare? Levarmi la paghetta per un mese, mamma?”

“Tu non andrai mai più sugli scii, ok? So benissimo che se ti portassi via da qui, faresti un’altra delle tue per ottenere quello che vuoi. Con te non funziona nulla.

E non posso neanche minacciare di abbandonarti, perché sarei il primo a non farcela.

Quello che mi fa più arrabbiare è che sembra che qualsiasi cosa ti scivoli addosso.

Mi hai detto che sono stato un’idiota a provare qualcosa per te, di più profondo dell’affetto che provavo per il mio migliore amico. Mi hai detto che la cosa che ti faceva stare più male era sapere che oltre a te ci avrei rimesso anche io.

Ma non te ne importa, invece. Ero terrorizzato lassù. Ti ho pregato di non farlo, di non scendere.

Hai ghignato ed hai riso, Greg. Mi hai riso in faccia e sei sceso.”

Era deluso, addolorato.

“Ti ho deluso.”

Non era una domanda, bensì un’affermazione.

E la risposta già la sapeva.

Ma sentirla fece ancora più male.

“Sì, molto.”

Tacquero.

“Rimaniamo qui come avevamo previsto. Ma non posso nascondere il mio dispiacere.

Vorrei che capissi che nella tua vita non ci sei soltanto tu.

E vorrei avere anche solo un po’ dell’immensa considerazione che hai per te stesso.

Mi hai deluso profondamente.”

Ciao!!! XD
Un grazie a:
H W: grazie per aver commentato! spero ti piaccia anche questo!!! dimmi che ne pensi!
lady house: Dio, che grezza! scusa, non me ne sono accorta proprio! vabbè...grazie per il commento e dimmi che ne pensi di questo!
Kagura92: grazie per i tuoi complimenti!!! sono contenta che ti piaccia la mia storia. Ci hai preso sulla storia del cioccolato! Remus mi è stato molto utile! comunque è vero! funziona sul serio! dimmi che ne pensi!!!
Ciaooooooooo
Baciotti baciottosi


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Capitolo 18
*** Ora ci sei anche tu ***


Deludere James fu una delle cose che fece più male, in tutta quella storia.

James rifiutò di parlargli per tutta la giornata.

Tornati all’hotel ognuno di loro si chiuse nella rispettiva camera.

E quando la sera Greg non si presentò, James non fece assolutamente nulla.

Stava bene. Stava solo tenendo il broncio, come un adolescente viziato.

E James si rendeva conto di come fosse lui stesso la persona che l’aveva viziato.

Greg era abituato ad avere tutto ciò che desiderava.

Faceva di testa sua, non fregandosene degli altri.

E questo riusciva ad accettarlo, prima. Ma adesso che, come un’idiota, si era innamorato di lui, non lo reggeva più. Faceva parte della sua vita, era il suo migliore amico, anche se James provava qualcosa di più.

Avrebbe voluto avere….non so…un qualche tipo di considerazione in più.

 

Erano le 5 del mattino quando sentì squillare il cellulare.

Mezz’assonnato James si passò una mano sugli occhi, sbadigliò e rispose, con la seria intenzione di mandare al diavolo chiunque avesse chiamato a quell’ora.

Ma quando sentì la voce, furono le intenzioni ad andare al diavolo.

“Hai ragione. Hai ragione su tutto.”

“Greg?”

Era ancora mezz’assonnato, ma la sua voce l’avrebbe riconosciuta in qualsiasi momento.

“Sì. So che ti ho deluso e mi dispiace. Davvero.

Volevi che capissi che non c’ero soltanto io nella mia vita. Ma ti sbagli.

Ci sono soltanto io nella mia vita. Sono abituato da troppo tempo a pensare solo a me stesso.

Anche quando stavo con Stacy non c’era spazio per lei. Hai detto che avresti voluto avere anche solo un po’ dell’immensa considerazione che avevo per me stesso. Sono un egoista bastardo, James.

Mi conosci. Ma non ho voglia di litigare con te. Nessuna voglia.

Ti ho detto che ci sono soltanto io nella mia vita. È vero, o lo era fino a poco tempo fa.

Sei fin troppo sensibile, ti lasci troppo coinvolgere, t’affezioni troppo a tutti i tuoi pazienti, hai bisogno delle persone bisognose, sei come un vampiro in cerca di sangue fresco.

Ma sei il mio migliore amico e sto bene con te.

Ed ora in questi mesi mi sono sentito bene con te in modo diverso, più…profondo.

Tengo molto a te e sono sincero. Ti farei usare su di me una macchina della verità, se ne avessi una nelle vicinanze. Ma sarà per una prossima volta.

Quindi se ti va di far parte della mia vita, e non solo come mio migliore amico, potremmo…potremmo provarci.”

Ora James era completamente sveglio. Si lavò velocemente e si vestì.

“E se non funzionasse?”chiese.

“Potremmo sempre provare con la terapia di coppia.”propose.

James rise.

“Ma sono certo che funzionerà. Mi conosci bene, dopotutto. Ed io conosco bene te.

Facciamo la pace, su!”

Lo supplicò, come un bambino piccolo, una nota di risata nella voce.

James sorrise.

“D’accordo. Ma ti avviso, le cose cambieranno. Dovrai darmi ascolto ogni tanto.”

Lo sentì ridere e gli si rizzarono i peli sulla nuca.

“Te lo concedo.”

“Dove sei?”

“Vago solitario per il parco. Mi fai compagnia?”

“Fermati alla panchina dell’ultima volta. Ti raggiungo lì.”

 

“Una domanda: ma sono l’unico qui a sentire freddo?”domandò James, vedendolo in felpa e jeans.

“Direi di sì.”

“Sei matto ad uscire senza giacca. Ti verrà un accidenti.”

Greg scrollò le spalle.

James rimase in piedi di fronte a lui, guardandolo.

Il suo sguardo andò alla mano fasciata ed al suo ghigno in volto.

“Ho ammesso di avere torto. E credimi, è un grande passo avanti per me.”disse Greg.

James sorrise.

“Vero.”

Greg si alzò e si avvicinò a lui, finchè non fu distante solo pochi centimetri dal suo viso.

Si sentiva invaso da un’ondata d’eccitazione ed euforia, nel trovarsi così vicino a James, come pochissime volte gli era capitato.

Annullò le distanze fino a posargli un bacio sulle labbra.

Fu come baciarlo per la prima volta, la stessa forte emozione, anche se la prima volta l’aveva fatto istintivamente.

Ora lo voleva, lo voleva disperatamente.

Gli posò la mano fasciata dietro la nuca ed una attorno alla vita, attirandolo a sé, con dolcezza.

James lo lasciò fare, ignorando che si trovavano nel bel mezzo del parco di un hotel e che qualcuno li avrebbe potuti vedere.

Greg gli passò una mano tra i capelli.

Quando si staccarono sembrava passata un’eternità.

Etchiù!

Greg interruppe il momento di pace, starnutendo.

“Andiamo dentro, vieni.”disse James, passandogli un braccio attorno alle spalle e pilotandolo verso l’ingresso.

 

Driin Driin!

“James Wilson, se non spegni quel dannato cellulare gli faccio fare un volo dal tetto dell’hotel!”minacciò Greg, alla terza chiamata sul cellulare dell’amico.

James gli fece segno di stare zitto.

“Sì, sono io. Sì, è qui con me. Greg, è tua madre.”

“Come mai ha il tuo numero?”

“Perché tu hai il cellulare per gioco. Voleva rintracciarti ed ha chiamato me.”

“Due piccioni con una fava!”sussurrò, prima di rispondere.

“Ciao, mamma. Sì, sto bene. No…cosa? La Cuddy! No, non mi sono rotto nulla!

A parte il polso. Sto bene. Sì, lo so, non lo devo fare più. Buon Natale anche a voi.”

Chiuse la conversazione.

“Tutti quanti sanno che sono caduto dagli scii.”

James fece spallucce.

“Gliel’avrà detto la Cuddy. Perché hai il cellulare spento?”

“Perché sono un povero malato zoppo che non vuole rotture. Etchiù! Etchiù! Etchiù!”

“E che si è beccato un raffreddore. Vieni in camera mia.”

“Sei già a rischio se mi stai accanto. Se facciamo sesso, allora…”

“Possibile che pensi solo a quello?”

“Mi dici “vieni in camera mia”!”

L’oncologo alzò gli occhi al cielo, ma Greg lo seguì, ridendo.

Le due stanze erano molto simili. Un letto matrimoniale, un bagno, due armadi, comodino, e…

“Hai la TV! Non vale, in camera mia non c’è! Mi trasferisco da t…”

James, che stava rovistando in un armadio, gli tirò addosso un paio di pullover.

“Che ci devo fare? Se vuoi che te li stiri, hai sbagliato persona!”

“Mettiteli. Dovrebbero starti. Devi coprirti di più.”

“Pensavo di piacessi senza vestiti!”

Greg ghignò.

“Idiota.”bofonchiò James.

Greg sprofondò nel suo letto, gli occhi chiusi.

Poco dopo udì le molle del letto cigolare e James posargli una mano sulla spalla.

Lo sentì stendersi accanto a lui e voltarlo lentamente verso di sé.

Era preoccupato.

“St…”

Prima che potesse finire la frase Greg venne zittito da un suo bacio.

Era un ottimo modo per metterlo a tacere, doveva riconoscerlo.

James si issò su di lui, baciandolo con intensità sulle labbra.

Greg le sentiva morbide e calde contro le sue. Sfiorò la sua lingua con la propria e non riuscì a reprimere un brivido di piacere.

James era a cavalcioni su di lui e gli baciò con foga il collo, lasciandogli piccoli morsi.

Scese lentamente togliendogli di dosso la felpa scura e gli  mordicchiò i capezzoli, le mani posate sul suo petto.

Faceva attenzione a non premere sul torace; temeva di fargli male per via delle costole incrinate.

Greg teneva gli occhi fissi su di lui. James lo desiderava, se ne rendeva conto.

Le sue mani esperte scesero più giù arrivando ai jeans.

Portò una mano sotto i boxer e lo sfiorò, facendo gemere Greg.

Risalì lentamente e catturò nuovamente le sue labbra in altri baci favolosi, circondandogli la vita con una mano e sfiorandogli il petto con le dita, su e giù.

“James…”

“Shh. Fa fare a me.”

James si tolse il maglione e ridiscese nuovamente, giocherellando con la cinghia dei jeans, prima di sfilargliela.

Affondò nuovamente la mano nei boxer del diagnosta e glieli sfilò con un rapido gesto.

Ora Greg era completamente nudo, sotto di lui.

James si tolse velocemente il resto dei vestiti e li gettò in un angolo, insieme a quelli di Greg, mentre lo toccava ripetutamente con le mani.

Greg gemeva di piacere. Era completamente in suo potere. E amava tutto ciò.

Sentì le sue labbra sul suo pene e gemette più forte.

“James…non…ah!”

James posò più e più volte le sue labbra sul pene di Greg, facendolo gridare di piacere.

Gli allargò piano le gambe ed entrò dolcemente, come tutte le volte, senza fargli male.

Se fosse successo, non se lo sarebbe mai perdonato.

Ondeggiò con il bacino, su e giù. Vedeva Greg con gli occhi chiusi, le labbra socchiuse, che gemeva forte.

Risalì dolcemente su di lui e lo circondò con le proprie braccia, baciandolo svariate volte sulle labbra e sul collo.

Lo sentiva tremare leggermente e s’affrettò ad andare sotto le coperte, stringendolo al cuore.

Greg teneva lo sguardo fisso su di lui.

“Che c’è?”sussurrò. “Ti ho fatto male?”

“No, non lo fai mai.”

Chiuse gli occhi, e si lasciò avvolgere dal suo tepore, finchè non sprofondò nel mondo dei sogni.

Salve a tutti!

Un grazie a:

Kagura92: Grazie per il commento!!! Ecco cosa Greg ha deciso di fare. Con James accanto, con questo nuovo rapporto devo ammettere che è cambiato...un pò! Dimmi cosa ne pensi!!!!

H W: Grazie, mia cara! Dimmi cosa ne pensi di questo chappy!!!

UN bacioneeeeeeee

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Capitolo 19
*** Ritorni, litigi ed ammissioni: Ho bisogno di te... ***


“Che cosa hai intenzione di fare? Sciare mentre io ti osservo, seduto qui come un cretino?”chiese House, seguendo l’amico su per la salita, il giorno dopo.

“Sì, era quella la mia intenzione. La prossima volta eviti di fare discese pericolose.”

“Che vuoi che faccia?”

Greg gemette di colpo, si fermò a metà salita, la mano su un fianco.

James gli si precipitò accanto.

“Le costole?”

Il diagnosta annuì. Tremava leggermente.

“Rimani giù, ok? Non fare movimenti bruschi. Passerà. Averle rotte sarebbe stato anche peggio.”

“Lo sai?”

“Sì. Mi sono rotto una costola quando avevo 10 anni. Cadendo da un albero.”

“Imitavi Tarzan?”

“Una via di mezzo.”

Greg ghignò, mentre scendeva alla fine della pista media, sedendosi su un cumulo di neve.

Proprio dove due giorni fa era caduto.

Le piste erano piene di gente, stavolta, contrariamente a quando era caduto lui.

Osservò James sciare con un’agilità aggraziata e sorrise tra sé.

L’oncologo si avvicinò investendolo di neve.

“Ah, ah, ah! Davvero molto maturo da parte tua, James Wilson.”fece Greg, liberandosi dalla neve sul volto.

“Mi sento in colpa perché ti ho lasciato qui ad annoiarti.”

“Non ero in castigo, mammina?”

“Devo essere un pessimo genitore, allora. Dopo facciamo quello che va a te.”

“Sai bene cosa mi va.”

“Oltre al sesso…”e qui abbassò la voce per non farsi sentire dagli altri sciatori. “Null’altro?”

Greg si finse pensieroso.

“Mmm. No!”

James alzò gli occhi al cielo.

“Ad essere sincero lo farei anche qui in questo momento. Se solo non ci fosse tanta gente.”

Greg lo guardò malizioso e l’amico si sentì nudo di fronte a lui, metaforicamente parlando.

Lo guardava con tale intensità che sembrava volergli leggere nella mente.

James ridacchiò.

“E’ la stessa cosa a cui sto pensando anche io.”

“Siamo in sintonia, allora.”

“Lo sai che è così.”

Si chinò su di lui e gli passò un braccio attorno alle spalle, stringendolo brevemente a sé per un attimo.

 

Incidente a parte, fu una bella settimana bianca.

Andarono in giro per il paese, nei bar, divertendosi a giocare a battaglie di neve e ridendo come bambini.

C’erano momenti in cui Greg si fermava, riposandosi, gli occhi chiusi, la mano su un fianco.

Il dolore andava scemando anche se non era scomparso del tutto.

Spesso James gli lanciava occhiate preoccupate quando lo vedeva disteso sul letto o accoccolato su una poltrona del salotto dell’albergo, accanto al fuoco.

Temeva si sforzasse troppo.

“La devi smettere di preoccuparti.”biascicò lui 4 giorni dopo il loro arrivo.

Sedeva su una poltrona, raggomitolato su un fianco, accanto al camino.

James si sedette sul tappeto accanto a lui e reclinò la testa all’indietro posandola sulla poltrona.

“Non sono un robot. Non ho il tasto stop o pausa.”

Gli posò una mano sul braccio.

“Hai preso le medicine?”

“Sì, smettila di chiedermelo.”

Questa stanchezza non faceva altro che preoccupare ulteriormente James.

“Vieni, su. Ti porto in camera.”

Si chinò su di lui e lo aiutò ad alzarsi.

Quando furono nella camera di Greg, il diagnosta crollò sul letto e, afferrato James per la maglia, lo tirò su di sé.

“Sei il solito.”bofonchiò quest’ultimo.

Si trovava a pochi centimetri dal suo volto ed il suo sguardo indugiò sulle sue labbra perfette ed invitanti, per poi risalire verso i suoi occhi magnetici.

E nell’incrociarli arrossì, senza motivo.

“Ti metto in imbarazzo?”

Se n’era accorto. Ovvio, a Gregory House non sfuggiva nulla.

James si liberò dalla sua stretta e si stese accanto a lui.

“No.”mentì.

“Bugiardo.”

Greg teneva gli occhi chiusi.

Si spostò su un fianco e posò la testa sulla spalla di James.

L’oncologo lo strinse al cuore.

“Non mi metti in imbarazzo, Greg.”

“Ti piaccio.”

“Lo sai che è così.”

“Ridillo.”

“Cosa? Che mi piaci?”

“No, l’altra cosa.”

James alzò gli occhi al cielo, o, in questo caso, al soffitto della sua stanza d’albergo.

“Perché?”

“Mi piace sentirlo.”

Teneva gli occhi chiusi.

James gli passò un braccio attorno al collo e gli sfiorò i capelli scuri.

“Ti amo.”gli sussurrò piano all’orecchio.

“Mmm…”

Pochi minuti dopo era già profondamente addormentato.

 

“Vi siete divertiti in vacanza?”

La Cuddy accolse James con un sorriso e lanciò uno sguardo preoccupato a Greg.

“Tantissimo, Raggio di Sole! E vedo che sei riuscita a sopravvivere alla mia lontananza!

Anche se i trenta messaggi al giorno potevi risparmiarteli! So di essere vitale per questo ospedale, ma…”

La Cuddy alzò gli occhi al cielo per poi puntarli sulla fasciatura alla mano del diagnosta.

“Sei il solito pazzo.”sospirò.

“Sto bene, su! Poteva andarmi peggio, no?”

“Certo. Potevi romperti l’osso del collo.”disse James, sarcastico.

“Non accadrà. Perché ci sarai tu a proteggermi.”affermò Greg, ridendo, mentre James abbozzava un sorriso.

La bella dottoressa li guardò sorridersi.

Erano diversi.

House era sempre stato un tipo strano, ma in quegli ultimi tempi aveva notato un netto cambiamento dei rapporti tra i due amici.

Gli sguardi che si lanciavano, le battute allusive, come se avessero un segreto in comune, prezioso che temevano di rivelare al mondo intero.

“Non accadrà. Perché ci sarai tu a proteggermi.”

L’aveva detto in un modo…la Cuddy non avrebbe saputo  come definirlo…

Non era sicuro, non solo almeno…l’aveva detto come se non gli pesasse affatto essere protetto da qualcun altro e ciò andava contro il suo maledetto orgoglio…o almeno prima sarebbe stato così, ma ora?

 

Greg s’appoggiò al lavello del bagno, respirando a fatica.

Serrò gli occhi, tremante da capo a piedi.

Si sentiva debolissimo ed il suo respiro era  rado.

Posò lo sguardo sullo specchio del bagno e gli restituì lo sguardo un uomo pallidissimo, bianco come un cencio.

Erano passati alcuni giorni dal loro ritorno.

Il tumore era diminuito, presto si sarebbe potuto operare.

Sempre che non fosse morto prima.

I medicinali che stava assumendo, o meglio, che aveva assunto, ora se ne rendeva pienamente conto, avevano un effetto devastante sul suo organismo.

Gli stavano distruggendo polmoni e cuore.

Aveva avuto una crisi respiratoria tempo fa e pochi giorni fa aveva dovuto rallentare di proposito i battiti del suo cuore, per evitare un attacco cardiaco.

Sfortunatamente James era entrato nel suo ufficio proprio nell’istante in cui si era ficcato la siringa nel braccio.

 

“Greg! Cosa diavolo stai facendo?”

James corse verso di lui e gli tolse la siringa di mano gettandola lontano.

Ma ormai era vuota ed il suo contenuto stava aiutando Gregory House ad evitare un attacco di cuore.

“Cosa diavolo era?”

Greg non rispose.

Tentò di alzarsi dalla sedia, ma le gambe gli cedettero e ricadde a terra.

James l’afferrò al volo prima che potesse toccare il suolo.

Sedette, con il compagno tra le braccia, terrorizzato.

Greg teneva gli occhi chiusi, ma tentò ugualmente di rialzarsi e liberarsi dalla presa protettiva di James.

L’oncologo non lo lasciò andare.

Gli misurò il polso. I battiti erano rallentati, grazie al contenuto della siringa, ma erano ancora irregolari.

“Eri tachicardico? Stavi per avere un attacco di cuore?”sussurrò.

Greg non rispose.

Teneva la testa posata sulle ginocchia dell’amico, sul pavimento.

“HOUSE! Rispondi, maledizione!”

L’aveva chiamato per cognome. Cosa che non accadeva da una vita, ormai.

Il diagnosta aprì la bocca e fece per parlare, ma non uscì alcun suono.

Deglutì un paio di volte e riprovò.

“S-S-Sto bene.”

“Io sospendo le cure.”decretò James.

“NO!”

“Stavi per avere un attacco di cuore, cazzo! Lo vuoi capire sì o no?”

Greg si alzò, facendo leva sulla sedia per rizzarsi in piedi e si allontanò da lui.

Aveva uno sguardo stralunato.

“Non osare fare una cosa del genere! Non azzardarti!”

Anche James si alzò e lo fronteggiò.

“Sono io il tuo oncologo.”

“Ed io sono il paziente, nel caso te ne fossi scordato.”

“Il tumore si è ridotto, potremo operare.”

“No. Non ancora. Io non mi metto volontariamente sotto i ferri senza avere la certezza che venga asportato del tutto. Aspettiamo che si sia ridotto ancora un po’.

Ho bisogno di queste medicine.”

“Più del Vicodin?”

“Di entrambe le cose. Non intendo interrompere un bel niente.”

“Così t’ammazzerai!”

“Non farò né più né meno di quello che sta già facendo il tumore!”

“Sei un’idiota! Queste maledette medicine ti stanno distruggendo! Anche in vacanza! C’erano dei momenti in cui non riuscivi a reggerti in piedi!”

“Capitava anche prima d’iniziare questa terapia!”

“Non così! Potevi sentirti debole, ma non è mai successo che non riuscissi ad alzarti dal letto.”

“Mi sa che questa è colpa tua, non delle medicine.”

Greg ghignò e ciò fece andare su tutte le furie James.

“ORA BASTA! Ti levo immediatamente le medicine e ti farai subito una TAC! Se le dimensioni del tumore non saranno quelle richieste, useremo un’altra terapia. Ma non assumerai più quelle medicine.”

Fece per andarsene, ma la voce di Greg lo bloccò con la mano sulla maniglia.

“Se mi togli le medicine, sappi che è finita.”

James rise, dandogli le spalle.

“Non morirai per l’interruzione di una terapia.”

“Intendevo tra noi.”

James si voltò verso di lui, sorpreso.

“Non dirai sul serio? Andiamo, è u…”

“Dico sul serio.”

Ed era serissimo, sprofondato nella sua sedia girevole.

“Stai esagerando.”

“Io ho bisogno di quelle medicine, tu di me. Se me le togli, perderai anche me.

Ti vorrò fuori dalla mia vita. Io troverei un modo per ottenere ciò che voglio, ma tu?

Ce la farai senza me nella tua vita?”

“E tu? Ti sarebbe davvero  indifferente la mia uscita di scena?”

“Meno che a te, di sicuro.”

“Và al diavolo, Greg.”

“Allora? Che farai? Me od i tuoi stupidi criteri?”

“Se i miei stupidi criteri servono a salvarti, scelgo loro. Preferisco vederti vivo e lontano, che morto e lontano comunque.”

E se ne andò.

 

Ed erano tre giorni che non prendeva quelle medicine.

James aveva mantenuto la sua parola, gli aveva tolto le medicine, e si era allontanato da lui, lasciando la casa ed andando in un albergo lì vicino.

“Stupido idiota!”pensò.

Mancava ancora meno di mezzo centimetro per poterlo operare tranquillamente ed ora stava seguendo un’altra terapia.

Ora si sentiva malissimo. Cuore e polmoni portavano lesioni, provocandogli ancora, nonostante l’interruzione della terapia, crisi e complicazioni.

E non potevano aggiungere ulteriori medicine per proteggere i due organi, perché avrebbero alterato l’effetto della terapia.

Odiava James in quel momento.

Lo odiava perché se n’era andato, perché aveva scelto la sua vita, perché l’amava troppo per scendere a compromessi, perché era stato disposto a sacrificarsi per proteggerlo.

Perché ora il vuoto lasciato da lui in quella maledetta casa e nella sua maledetta anima, gli stava facendo capire quanto fosse stato importante, troppo importante.

“E tu? Ti sarebbe davvero  indifferente la mia uscita di scena?”

“Meno che a te, di sicuro.”

 

Era stata una bugia, una grossissima bugia.

Per tre giorni non si erano rivolti la parola. Tre giorni.

Sentiva che non ce l’avrebbe fatta a resistere ancora.

Si stava dimostrando debole, molto più di quanto pensasse di essere.

Debole.

Aveva BISOGNO di James. Non delle medicine, non del Vicodin, quelle erano cose secondarie.

Aveva bisogno di LUI.

Ed era stato troppo orgoglioso per poterlo ammettere, troppo cieco per vederlo, e fin troppo sordo per sentirlo.

Lui, il geniale diagnosta, il grande medico, lui che aveva fatto vanto della sua freddezza, del suo orgoglio, della sua insensibilità, si rendeva conto di non riuscire a fingere ancora.

Prese il telefono e compose istintivamente SOS Wilson, ovvero il numero di cellulare del suo amico.

Al secondo squillo riattaccò.

Si sentiva come un ragazzino alla sua prima cotta!

Sospirò a fondo prima di ricomporre il numero.

James rispose al primo squillo.

“So che sei tu. Conosco a memoria il tuo numero.”

Aveva la voce impastata dal sonno.

Cosa comprensibile dato che erano le tre della mattina.

“Ciao.”

Greg si lasciò scivolare sul freddo pavimento del bagno, la schiena contro il muro.

Sentì dei rumori dall’altro capo del telefono.

“Stai bene, Greg?”

“Ho vomitato tre volte nel giro di un’ora, se è questo che volevi sapere.”

“Volevi dirmi qualcosa?”

James tentò di dimostrarsi freddo e distaccato, ma il suo cuore batteva all’impazzata.

“Mi dispiace. Mi dispiace tanto.”pensò Greg, ma dalle sue labbra non uscì una sola sillaba.

Riprovò.

“Avevi ragione.”

“Sempre. Ma a quale preciso momento ti riferisci?”lo prese in giro.

Greg chiuse gli occhi.

“Hai voluto solo proteggermi. Ma ormai il mio…corpo…è danneggiato.

Anche se abbiamo iniziato un’altra terapia per ridurre ancora il tumore, non…

Mi dispiace, James.”

Si sentiva malissimo, come se qualcuno gli stringesse il petto in una morsa soffocante.

Il cuore batteva a mille e respirava a fatica.

Poteva significare solo una cosa: stava per avere un altro attacco di cuore.

Sentì altri rumori dall’altro capo del telefono: un numero digitato, la porta che sbatteva.

Si piegò su sé stesso.

“Sono da te in un attimo. Calmati. Respira. Respira profondamente. Ho chiamato l’ambulanza con il telefono dell’albergo. Greg, sono in macchina, ok?”

Greg mugugnò.

L’albergo era vicino casa di Greg.

Telefono in mano James percorse di corsa le tre strade che li separavano, il cuore in gola.

Lo sentiva gemere al cellulare, tremante.

Afferrò le chiavi dal giubbotto, spalancò la porta dell’appartamento.

E lo vide accasciarsi sul pavimento del bagno, nel preciso istante in cui varcò la soglia.

“GREG!”

Lasciò cadere il telefono per terra e corse da lui.

Gregory House era accasciato sul pavimento, immobile.

“No no no no!”

Non c’era battito.

“NO! GREG, NO!”

Lo colpì al petto per far ripartire il cuore, soffiandogli aria nei polmoni.

“MALEDIZIONE, GREG! NO!”

Si sentiva morire, il cuore in gola.

Perché non arrivava quella maledetta ambulanza? Perché?

Al suo sesto tentativo, Greg riprese a respirare.

Boccheggiò, tremando da capo a piedi e sussultò nel vederlo chino su di lui.

“J-Ja…”

Tentò di dire, ma James lo strinse al cuore forte, scoppiando in singhiozzi.

Era la primissima volta che piangeva di fronte a lui. La prima volta che si dimostrava debole a causa di quella situazione.

Erano stati i secondi più brutti della sua vita. Meno di un minuto, in cui l’aveva visto immobile sul pavimento.

Non era svenuto, non si era sentito male…No, il suo cuore aveva smesso di battere per meno di un minuto. Se non l’avesse chiamato…se non fosse arrivato in tempo…

Affondò le mani nei suoi capelli, aggrappandosi a lui.

L’amico era fragile, indifeso.

“Non farlo…non azzardarti…”boccheggiò James.

Posò le labbra sulla fronte di Greg, respirando il suo odore, sentendo il cuore battere, anche se irregolarmente.

In quel momento arrivò l’ambulanza.

 

Ciao a voi, miei lettori!

Un grazie a:

H W: grazie per i complimenti, spero che ti piaccia anche questo chappy! Dimmi che ne pensi! un bacione

desme: che bello avere una nuova lettrice! grazie dei tuoi complimenti, sono contenta che la storia ti piaccia| continua a seguirmi e dimmi che ne pensi!!! un bacioooooo

HouseGirl: non importa! sono contenta che ti piaccia! Dimmi che ne pensi anche di questo! un kiss

Ciauuuuuu

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Capitolo 20
*** Scoperte e complotti ***


"Dobbiamo operarlo.”

“Non accetterà mai!”

“Ha avuto un attacco di cuore. Se se non ti avesse chiamato…”

“Il tumore non è…”

“Delle dimensioni adatte, lo so. Ma di pochissimo. Se aspettiamo, se dovesse peggiorare…il suo organismo non reggerebbe ad un’operazione al cervello. Rischierebbe di morire in sala operatoria.

Né possiamo proteggere il cuore ed i polmoni, perché…”

“Potremmo alterare gli effetti dei medicinali, sì, lo so. Sono un medico anche io.”

“Sei troppo coinvolto, James. Lascia che me ne occupi io.”

“No. È un mio paziente, gliel’ho promesso. Ho giurato che l’avrei salvato e costi quel che costi ho intenzione di mantenere questa promessa.”

La Cuddy lo guardò.

Era stravolto, i capelli castani arruffati sul capo, profonde occhiaie.

“Riposati. Ci penso io a dargli un’occhiata.”

James scosse il capo, passandosi una mano sugli occhi.

“James, dico…”

“Non credo siano affari che ti riguardano, Cuddy!”sbottò James, innervosito.

La dottoressa lo guardò per un attimo, turbata da tale aggressività.

“Era solo un consiglio.”

“Riservalo agli altri. Io non ne ho bisogno.”

Si stava comportando come House, esattamente come lui.

Ma forse lo riteneva solo un modo per stargli più vicino.

James spostò lo sguardo sull’amico, che giaceva immobile sul letto, il respiratore sul volto.

Il monitor indicava un battito regolare, ora.

Stava bene. Era vivo.

Posò la mano sulla sua, stringendola piano.

Tese l’altra mano sul suo volto, ora rilassato e gli sfiorò la guancia ispida con la punta delle dita.

“Ti prego…ti prego…non mollare…”

 

“No, non erano queste le mie intenzioni. Non mi opererò ora.”

Erano passati tre giorni dal ricovero.

“Il tumore non…”

“Quelle erano le dimensioni che voleva Ford, come chirurgo. Ma potrai operarti anch…”

“Aspettiamo.”

“House, no! Andiamo…”

“Cuddy, ho dett…”

“Lasciami parlare con lui. Da solo.”intervenne Wilson.

La Cuddy lo guardò per un secondo, poi li lasciò soli.

Greg posò lo sguardo sull’amico che gli era di fronte.

“Non riuscirai a convincermi, James. Hai detto che doveva essere di due centimetri in meno. Esattamente di quelle dimensioni. Non…”

“Greg, ti opererebbero comunque. Se peggiorassi, se…

Greg pensa al tuo organismo, se peggiorasse, non sopporterebbe un operazione al cervello.

Ti prego…”

Greg era sprofondato nel cuscino, gli occhi chiusi.

“La mia risposta è no. Non in…”

Greg tacque.

James aveva posato le mani ai lati del letto, intrappolandolo.

Greg alzò lo sguardo su di lui e lo vide più determinato che mai.

Fece per allontanarlo, ma James gli bloccò i polsi sul cuscino.

“No.”ribadì.

James si chinò su di lui e Greg sentì i loro cuori battere forte, all’unisono.

L’oncologo posò le labbra sulle sue, baciandolo con intensità.

Greg non oppose resistenza, imprigionato da lui.

James si staccò da lui di pochi centimetri.

Erano senza fiato.

“L-la…risposta è…no…”

James lo baciò ed ancora.

“V-vuoi soffocarmi?”chiese Greg.

“Voglio solo salvarti.”

Gli sfiorò le labbra con le sue, continuando a tenergli i polsi.

“Accetta. Fai l’operazione. Ti prego.”

“Aspettiamo.”

“Se dovessi peggiorare, rischieresti di morire sotto i ferri. Sai che lo dico perché è la verità e se ti voglio operare è solo perché è l’UNICA scelta. Ho paura anche io.”

“Chi ti ha detto che ho paura?”sbottò Greg.

James gli lanciò uno sguardo scettico.

Era sul letto e lo teneva sotto di lui.

“Fatti operare. Ti supplico, non…”

James tacque, la voce roca.

Greg lo vide chinare lo sguardo ed allentare la presa su di lui.

“Andiamo! Ma ti pare che pos…”

James tremava leggermente, ma quando alzò di nuovo lo sguardo su Greg era più determinato che mai.

“Non cederò, chiaro? Voglio che tu stia bene, non voglio che tu mandi tutto al diavolo solo per cocciutaggine. Ti prego, Greg. Fallo per me.”

Lo baciò ancora, più intensamente delle volte precedenti. Un bacio che sapeva di dolore, di paura e terrore, ma anche di speranza e amore…

“H-hai vinto. Hai vinto.”si arrese Greg, facendogli una smorfia.

James rise e lo strinse in un abbraccio che lo sorprese.

“Sei un bastardo, Jimmy. Un bastardo manipolatore.”

“Ho imparato dal migliore.”ammise, continuandolo a stringerlo.

“Fammi spazio.”disse e si stese sul letto accanto a lui.

Greg posò lo sguardo su di lui.

“Che c’è?”

“Nulla. Penso solo a cosa faranno Chase e Cameron dopo aver visto come mi “convincevi”.”

James sobbalzò.

“Che cosa?”

 

“Cuddy! È la verità!”

“Cameron, andiamo! Wilson non farebbe mai del male ad House! È una cosa ridicola. La cosa più assurda che abbia mai sentito! Ed ho ascoltato le scuse di House, eh?”

La Cuddy firmò alcune cartelle e si ritrovò Cameron nuovamente dinanzi, le mani sui fianchi.

“L’ho visto, Cuddy! Era su House, lo teneva fermo e lo baciava!”

Iniziarono a camminare per i corridoi.

“Conosci Wilson, lui non…”

“L’ha visto anche Chase. Abbiamo visto male tutti e due?”

“Può darsi!”

“Perché?”

La Cuddy si voltò e la fronteggiò, fermandosi nel bel mezzo del corridoio.

“Wilson darebbe la vita per House. Si sta occupando di lui, lo sta proteggendo in questo momento difficile. Non farebbe MAI del male al suo migliore amico. Neanche se fosse impazzito.”

E la lasciò sola nel corridoio, con i suoi dubbi e le sue domande.

 

“Ti mai passato per la mente, solo per un attimo, di avvertirmi? Di dirmi che Chase e Cameron ci avevano visti?”

Aveva chiuso le tapparelle e lo guardava, insieme arrabbiato ed imbarazzato.

“Me ne sono accorto dopo.”

“Dopo quanto?”

“Dopo…un po’. Mi sono voltato per un attimo e li ho visti.”

James si passò una mano sul viso.

“Sono rovinato.”

“James, andiamo! Cosa possono farti?”

“Tipo buttarmi fuori?”

“Perché?”

“Perché ho una relazione con un mio paziente.”

“Tu non ti preoccupi di essere licenziato. Hai paura di sapere come reagiranno gli altri, quando sapranno che ci frequentiamo.”

James, che stava camminando su e giù per la stanza, lo guardo, fermandosi.

“Non  me ne importa un accidenti di quello che pensano gli altri.”

“Perché sei così in ansia, allora?”

“Io…”

Il bussare alla porta l’interruppe.

Era la Cuddy.

Greg e James si lanciarono una rapida occhiata e poi le fecero cenno d’entrare.

“Allora?”

“S’opererà. L’ho convinto io.”

“Sì, me l’ha detto Cameron.”

Cadde il silenzio.

“Detto cosa, esattamente?”chiese James.

“Come l’hai convinto. Crede che tu abbia abusato di lui.”disse, spostando lo sguardo da uno all’altro.

Cadde ancora il silenzio.

Poi Greg scoppiò a ridere, attirando lo sguardo degli altri due.

“Che hai da ridere?”

James era stupito.

“Tu…ahaha…abus….andiamo! Non lo faresti mai! E Cameron, che ha tanta fiducia nel mondo…che ti prende per un maniaco…forse è ancora presa da me…e mi vuole proteggere da te! Ahaha!”

“House! Non è divertente. Potrebbe accusarlo di molestie su un paziente incapace.”

Greg smise di ridere.

“Incapace a chi?”sbottò, nervoso.

“Nel senso che stai male e che non sei capace di difenderti.”

“Io sto bene! E poi non…”

“Vuole denunciarmi?”intervenne James.

“E’ preoccupata. Io curiosa. Mi fido di te e so che non faresti mai una cosa del genere al tuo migliore amico. Dimmi solo com’è andata e vedrò di sistemare tutto.”

Greg guardò l’amico che ricambiò lo sguardo.

“Beh…”iniziò l’oncologo.

“Abbiamo una relazione.”intervenne Greg, schietto.

Tutti e due si voltarono verso di lui.

“Greg!”

“L’ avrebbe saputo prima o poi, no? Non è un segreto di Stato. O lo era fino a pochi minuti fa.”

James si passò una mano tra i capelli, tacendo.

La Cuddy era allibita.

“Non me l’aspettavo.”ammise.

“Neanche noi.”fece Greg e James alzò gli occhi al cielo.

“Quanto tempo?”

“Manca al matrimonio. Non so…diciamo che lo volevamo fare verso giugno, ma…”iniziò Greg, ma James lo zittì tirandogli addosso il cuscino della poltrona.

Era molto rosso in viso.

“Un bel po’. Quasi due mesi.”disse, senza guardarla, lo sguardo fisso su Greg.

“Due mesi.”ripetè lei.

“Ora lo dirai a tutto l’ospedale?”chiese Greg.

“No, certo che no.”

La Cuddy li guardò.

“Cos’è esattamente? Una relazione? Una storiella di sesso? Che cosa?”

James e Greg si guardarono.

“Beh…”iniziò James. “Non credo siano fatti che ti riguardino”concluse Greg.

“Greg…”fece l’amico.

“No, non sono fatti suoi cosa facciamo o meno nella nostra vita privata. Posso anche essere l’amante segreto di Cameron e non sarebbero ugualmente affari suoi.”

“Come volete. Ero solo curiosa.”disse la Cuddy, prima di andarsene.

James si voltò verso l’amico.

“Perché l’hai aggredita?”

“Non l’ho aggredita! Le ho solo detto che non erano affari suoi. Se credi che le abbia spezzato il cuore, rincorrila e chiedile scusa. Io sono troppo stanco per farlo.”

Greg si girò su un fianco e tacque.

James gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla, stringendogliela piano.

“Gr…”fece per parlare, ma Greg lo zittì con un gesto della mano.

Lo vide con gli occhi chiusi e si limitò a sedersi sul bordo del letto, sfiorandogli i capelli con le dita.

“Stai bene?”chiese.

“Mmm!”

“Sicuro?”

“Vuoi che lo s…mmm!”

S’interruppe, colpito da un dolore fortissimo.

Sentì come se qualcuno gli avesse stretto il cuore in una morsa.

Udì James chiamare un’infermiera e stringerlo a sé.

“Calmati. Ti prego, calmati. Respira. Ti prego.”

Poi fu tutto buio.

 

“Dopodomani. Ho paura che peggiori. Meglio operarti il più presto possibile. James, va bene?”disse la Cuddy.

“Devo rispondere sinceramente?”

“No.”

“Allora va benissimo.”

James chiuse gli occhi e reclinò il capo all’indietro contro la spalliera della poltrona.

Erano nella stanza di Greg, che li guardava, gli occhi socchiusi.

“Ok.”disse, piano.

“Solo ok? Non protesti?”

“No. Fallo tu per me, se ne hai voglia.”

James avvertì una stretta al cuore nel vederlo così.

“Mi prenderesti qualcosa?”chiese.

“Qualcosa cosa?”

“Una bottiglia di birra.”rispose Greg e James e la Cuddy alzarono gli occhi al cielo.

“Il bar è chiuso, Greg. E poi, scordatelo.”

“Allora vai nel mio ufficio. Dovrebbe esserci una coca da qualche parte.”

“Greg…”

“Su, non discutere. Non vedi che sto male?”

“Come vuoi.”

James si alzò, passandosi una mano sugli occhi ed uscì.

“Una coca?”

“Ho bisogno che tu mi faccia un favore.”iniziò Greg.

“Tu che mi chiedi un favore? Stai sul serio male!”

“Le analisi te lo confermeranno. Ho mandato via James perché altrimenti si sarebbe “leggermente” incavolato. Ma ho bisogno di una mano.”

Si raddrizzò sul letto, con un gemito e puntò gli occhi blu sulla Cuddy.

“Ti ascolto.”

Un grazie di cuore a:
Desme: grazie per i complimenti! Sono contenta che ti piaccia la storia, continua a seguirmi! E per Greg...si vedrà...ma sta tranquilla!!!
HouseGirl: sono lusingata!!! Grazie! Dimmi cosa ne pensi!
Kagura92: Grazie!!!! Fammi sapere!!!
tonkseremus4ever: oddio, grazie dei tuoi complimenti!!! Sei un tesoro, grazie...Un bacioooo e continua a dirmi cosa ne pensi!!!
H W: lo so che è tristissimo e sono contenta che ti piaccia...spero tu non pianga per il modo in cui scrivo...mmmm....hihi! Grazieeeeeee. Fammi sapere!!!
UN bacioneeeeeeeee

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Capitolo 21
*** Troppo coinvolto... ***


“Allora domani lo opererete?”chiese Cameron a James.

“Sì. Domani.”

“Come sta?”

“Al momento dorme. Era esausto.”

“Anche tu. Dovresti riposarti.”

“No. Sto benissimo.”

“Già. Hai delle occhiaie gigantesche perché è una nuova moda?”fece Chase e James lo fulminò con lo sguardo.

“Scusa…”

“Vado a vedere se la Cuddy ha prenotato la sala operatoria per domani pomeriggio. Ci vediamo.”

Ma guardando sull’elenco delle prenotazioni, minuti dopo, si rese conto di un errore.

Perché c’era il Dr Mornore al suo posto? A quell’orario?

“Ci deve essere un errore.”disse all’infermiera di turno, indicando il nome.

“Dovrebbe esserci il mio nome, non quello del mio collega.”

“Le conviene parlare con la Dr.ssa. Cuddy. C’era lei con quel dottore, quando ha firmato. O chieda direttamente a lui.”

La Cuddy?”

“Esatto.”

 

“Spiegamelo!”

James entrò come une furia nell’ufficio della Cuddy e la sorprese al telefono.

“Scusa, Cinthia. Sì, ti richiamo. Ciao.”

Attaccò.

“Stai prendendo le abitudini di House, sai?”

“Sarà la sua vicinanza.”fece James.

Lanciò sul tavolo l’elenco.

“Spiegamelo.”

“Cosa dovrei spiegarti? È l’elenco delle prenotazioni.”

“Lo so. Mi chiedo solo perché al posto del mio nome ci sia quello di Mornore. Perché sembra che sia lui ad operare House, o sbaglio? Pensavo ad un errore, ma l’infermiera mi ha detto che sapevi tutto, che eri con lui quando ha firmato. Perché?”

La Cuddy chiuse gli occhi, sospirando.

Li riaprì.

“Me l’ha detto House.”

 

James sbatté così forte la borsa sul tavolo che Greg si svegliò di soprassalto.

“Che diami…”

Tacque vedendo l’amico.

Greg era stanco, esausto, ma James era a dir poco furioso.

“Perché l’hai fatto?”chiese James, le braccia incrociate sul petto.

“Beh, dipende. Di che diavolo stai parlando?”

“Mornore! Perché hai deciso che ti operasse lui? È un…bravo collega, ma…”

“Non riesci a parlare male dei tuoi colleghi, eh? Sei troppo buono!”

“Non è il momento di scherzare! Ti ho aiutato, sostenuto, ti ho tenuto d’occhio, sono andato persino a vivere a casa tua per controllare che non facessi qualche stronzata o che ti sentissi male…

E dopo mesi che…è questo che…”

Non riuscì a parlare e chiuse gli occhi, portandosi una mano alle labbra e dandogli le spalle.

Greg si aspettava una reazione del genere, quando aveva detto alla Cuddy il suo piano.

Si alzò lentamente aggrappandosi al letto e gli si avvicinò.

“Non ti voltare bruscamente. Sono piuttosto instabile in questo periodo.”

“Lo sei sempre stato, ricordi? Hai una gamba matta.”

Aveva una strana voce.

“Non starai piangendo! James, diamine!”

James si voltò verso di lui e se lo ritrovò a pochi centimetri da lui.

Fece inconsapevolmente un passo indietro.

“No, affatto. Sono solo furioso. Perché cazzo l’hai fatto? Non ho intenzione di lasciarti nelle mani di un altro oncologo, chiaro?”

“Si tratta solo dell…”

“Solo? Tutte le cure, tutte le lotte e le terapie portano qui, a questa maledetta operazione. Ti rendi conto che stai affidando la tua vita nelle mani di uno che neanche conosci?”

“Non si tratta di conoscere o meno. È uno degli oncologi che stimi di più. Lo dici sempre.”

“Non c’entra. Non sto dicendo che non sia bravo, è che…Mi sento tradito, chiaro?”

Greg alzò gli occhi al cielo.

“Ora non farne un dramma.”

“Perché?”

“Non ce n’è! Non c’è un perché!”

“Ed allora lascia che ti operi io.”

“NO!”esclamò con tutto il fiato che riuscì a racimolare.

James tacque per un secondo.

“Perché?”

“E’ una mia decisione. Non c’è bisogno che tu sappia il perché.”

“Non ti fidi di me? Non credi che…Che cosa?”

“Non ne sei capace, chiaro? Non ne sei in grado, lo vuoi capire, sì o no?”

Calò un silenzio pesante.

“Stai dicendo che non sono capace di fare il mio lavoro? Di operare un cavolo di tumore?”

“Sto dicendo che non sei in grado di operare me!”

“Spiegami la differenza!”

“Non sto dicendo che tu non sei capace di fare il tuo lavoro. Ma non ce la faresti. Non con me. No, James.”

“Credi che ti ammazzerei durante l’operazione? Che apra qualcos altro al posto del cervello?”

“Sei troppo coinvolto!”

James scoppiò a ridere, amaramente.

“Sono troppo coinvolto, eh? Tu che dici? Sono il tuo migliore amico! Ti conosco da quasi 10 anni, convivo con te da qualche mese…e mi sono innamorato di te, maledizione!”

Era arrabbiato.

“James…”

“Non cercare di calmarmi, Greg! Sta zitto. Sta zitto.”

James iniziò a passeggiare per la stanza, su e giù, tentando di sbollire la rabbia.

“Non ne sono in grado, eh?”

“Riusciresti a farlo? Ad operarmi senza cedere? A non crollare se le cose dovessero andare ma…”

“E tu?”esclamò James, d’un tratto, interrompendolo.

Greg non rispose.

“Certo. Tu ce la faresti. Il grande Gregory House, impassibile, insensibile e strafottente. Anche se ci fossi io su una barella…anche se stessi morendo…”

“Non lo puoi dire.”

“Non voglio neanche pensarci, ma…”

“Non lo sai. Non…”

“Ti conosco e lo sai! Saresti capace di mostrarti freddo anche se io stessi morendo!”

“Spera di non saperlo mai…”

Tacquero.

“James, ascolta. Hai fatto la tua parte, ok? Ora basta. Assumi il ruolo di familiare.”

James chiuse gli occhi ed annuì.

“Un’altra cosa.”disse Greg.

James riaprì gli occhi e lo guardò.

“Cosa c’è, adesso?”

“Non voglio che tu stia in sala operatoria. Nessuno di voi, ma tu in particolare.”

“NO! Te lo scordi! Se ti dovesse acc…”

“Ci sarà uno staff…”

“Da quando in qua ti fidi degli altri? Greg, ti pre…”

“NO.”

Era inamovibile.

“Sempre perché sono troppo coinvolto?”

“Sì. A proposito, starai con i miei. La Cuddy li ha avvertiti poco fa.”

“Non complottare più contro di me. La Cuddy è stata una traditrice.”

“Voi complottare sempre contro di me!”

“Non lo sai.”

“Lo sospetto ed ho ragione.”

James lo guardò.

Si reggeva forte al letto.

“Stenditi.”

“Sto bene. Ce la faccio. Smettila di fare la moglie preoccupata”

James arrossì e fece una smorfia.

Greg gemette forte e sentì il terreno cedere da sotto i piedi.

Sarebbe caduto sul pavimento, se James non l’avesse prontamente afferrato ed aiutato ad issarsi sul letto.

“Certe volte serve fare la moglie preoccupata.”

Greg gli fece una linguaccia, gli occhi chiusi.

Si girò su un fianco e James si sedette sul bordo del letto.

“La testa?”

“Mmm…”

James gli sfiorò i capelli con le dita e gli pose un bacio sulla fronte.

Greg gemette.

“Che hai?”si allarmò James. “Ho fatto qualcosa che…”

“No. Sei troppo sdolcinato. Mi fai venire la nausea.”

James l’avrebbe volentieri picchiato se non l’amico non fosse stato così male.

“Sei un idiota.”

“Lo so…”

S’assopì subito e dormì per tutto il resto della giornata.

James gli rimase accanto più che potè, finchè la Cuddy non venne a chiamarlo inferocita.

Aveva saltato tre ore di ambulatorio e quattro visite per stare con l’amico…

“So che sei preoccupato, ma hai bisogno di concentrarti anche su qualcos altro. O di andare a riposare. Scegli tu.”

“Vado dai miei pazienti. Non me la sento di dormire.”

“Sei sic…”

“Sì! Sto bene!”tagliò corto lui, prima d’incamminarsi.

Voltò indietro lo sguardo solo per una frazione di secondo, posandolo sull’amico addormentato…

C’era solo una parola per descriverlo…e quella parola era fragile.

Ciao a tutti!!!!

Un Grazie a:

desme: grazie mille!!!

HouseGirl: ecco soddisfatta la tua curiosità!!!

lady house: pensavi questo? mmm....comunque grazie per i tuoi complimenti!!!!

Kagura92: grazieeeeeee!!!

H W: grazie mille, mia cara!!!

Spero di aver soddisfatto la vostra curiosità!!! Continuate a seguirmi ed a commentare e se avete suggerimenti, ben vengano, perchè la storia è agli sgoccioli, quindi se volete qualcosa...parlate!!!

UN bacioneee

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Capitolo 22
*** Anche io, nel senso... ***


“Che vuoi fare oggi? Vuoi qualcosa di speciale? Mangiare qualcosa che non hai mai mangiato? Fare qualcosa che non hai mai fatto in tutta la tua vita?”

House guardò Chase, come se fosse impazzito.

Gli girava ancora la testa, ma stava meglio. Molto meglio, per girare per l’ospedale ed aiutare i paperotti.

“Vuoi che festeggi in qualche modo il mio ultimo giorno? Vedo che hai una grande aspettativa dell’intervento! Mi ha già prenotato la bara?”

Quella sera. Quella sera l’avrebbero operato.

E tutto sarebbe dipeso da quell’intervento.

“No, io non…”

“Non sprecare il fiato, non voglio fare nulla. Ma se già mi hai organizzato uno strip-tease con donne dai 20 anni in su, ok. Non spostarlo.”

“Che strip-tease?”

James si unì a loro, che accompagnavano House alla mensa per la colazione.

I suoi assistenti, pur sapendo che c’era qualcosa tra il loro capo ed il primario di oncologia, non ne facevano parola con lui, pur discutendone assieme.

Solo Cameron lanciò uno strano sguardo a Wilson, che aveva affiancato House nella camminata, prendendole il posto. Ma nessuno ci fece caso o se ne accorse.

“Quello che Chase mi ha organizzato per festeggiare il mio ultimo giorno, alla grande.”

James guardò l’internista, che si limitò a fare spallucce.

Una delle solite follie di House.

“Sii positivo.”disse James.

“Lo sono. È Chase che…”

“Gli ho solo chiesto se gli andava di fare qualcosa in particolare.”

Era esasperato.

James alzò gli occhi al cielo.

“Ci penso io.”

Chase e gli altri se ne andarono, lasciandoli soli.

“Dovresti essere a letto.”disse severo, l’oncologo.

“Solo se ci vieni anche tu.”

“House!”

“Sto bene, Jimmy. Sono solo un po’ stanco. Ma mi reggo in piedi, mentre ieri…”

“Lo so. Davvero non vuoi nulla di particolare?”

“Tenti di soddisfare le mie ultime richieste?”

“Non sono le ultime e lo sai.”

“No, non lo so. E neanche tu.”

James s’avvicinò al bancone.

“Un caffè ed un the.”

“Ti sei dato alla dieta salutista?”lo beffeggiò Greg.

James ghignò.

Glielo porse.

“E’ per te.”

“Cosa? E dove sarebbe il mio meritatissimo caffè?”

“Ti rende nervoso. Meglio non caricare il tuo cervello, ancora di più.”

Greg tese la mano e tentò di afferrare il caffè che reggeva l’amico.

Ma James allontanò la tazza, ghignando.

“No. Fai il bravo e bevi il tuo the.”

“James, me la paghi. Te lo giuro.”

“Avvisato i tuoi?”

“Ora non cambiare discorso. No, l’ha fatto la Cuddy.”

“E…?”

“Verranno oggi. Sono ancora in tempo per scappare.”

“Non fare il bambino.”

“Sì, invece. Se fossi nei miei panni, non sopporteresti tutte quelle smancerie, preoccupazioni, sdolcinatezze e…”

“Sono preoccupati e ti amano. Che c’è di strano?”

“Mi soffocano. Attentano alla mia vita.”

“Sei ancora qui, vedo.”

“Non resisterò ad un altro loro attacco. Aiutami a fuggire.”

“Scordatelo. Rimarrai qui. Greg, sono i tuoi genitori e si comportano da genitori. E tu da figlio ingrato che fugge per evitarli.”

“Tutti sono nei loro ruoli, vedo. E tu? Che ruolo hai? Quello dell’oncologo o della moglie preoccupata?”

James alzò gli occhi al cielo per poi posarli su House.

“Non ne ho idea.”

Si sedettero e Greg chiuse gli occhi, spostando lontano da sé il the, nauseato.

“Bevi, su. Non fare il bambino.”

“Stavo pensando a quello che ha detto Chase. Forse il canguro australiano non ha tutti i torti, dovrei fare qualcosa. Un viaggio on the road.”

“Nelle tue condizioni? Non ti accompagnerei neanche al supermercato più vicino.”

Greg gli fece una linguaccia.

“Su! Non farmi questo.”

“Che vorresti fare?”

“Qualcosa.”

“Qualcosa tipo cosa? Chase ti ha messo un grillo per la testa ed ora…”

“Sì, lo so. Allora?”

“Non so…”

“Non avere idee folli.”

“Tipo prendere la moto e…”

“Quella è un’idea folle, no!”

“Guideresti tu.”

“Per andare…”

“Non so! Voglio solo usare la moto…o meglio, andarci su!”

James lo guardò.

“Andiamo, Jimmy!”

“La macchina, no, eh?”

“Su!”

“Greg…”

“Andiamo!”

Gregory House si sporse sul tavolo all’improvviso, finchè non si trovò a pochi centimetri dal viso di James.

L’oncologo deglutì, non riuscendo a spostarsi di un millimetro, inchiodato dai suoi occhi azzurri magnetici.

“D’accordo.”

 

“Più veloce!”urlò Greg all’orecchio dell’amico.

Se avesse potuto, James avrebbe alzato gli occhi al cielo, ma si limitò ad accelerare solo un po’.

Greg si stringeva alle sue spalle, ridendo.

James temeva che cadesse, ma non poteva lasciare la moto.

“Greg, fermiamoci. Non sono tanto bravo con le moto e lo sai!”esclamò.

Lo sentì sbuffare.

“Ok, fermati. Non vorrei assistere ad un tuo schianto contro un albero.”

James posteggiò e fece scendere l’amico, che barcollò e s’aggrappò forte a lui.

“Greg!”

James lo strinse al petto.

“Ehi, ehi, ehi! Tranquillo. Ti tengo, ti tengo.”

Erano accanto in un parco, in una giornata uggiosa e ventosa.

James lo strinse ancora di più al petto.

“Sto bene, sto bene.”mugugnò Greg.

“Forse è me…”

“No. Rimaniamo.”

“Dove?”

“Ovunque, basta che non sia l’ospedale.”

Si staccò da lui e si diresse verso il parco.

In un attimo James gli fu accanto.

“Cosa vuoi fare esattamente? Dare da mangiare ai piccioni? Fare la carità ai poveri? Cosa?”

“No.”

Si distese su un tavolo da picnic del parco, lo sguardo rivolto al cielo.

Era lo stesso parco dove era andato con Eve, la paziente stuprata che aveva richiesto lui come proprio medico.

“Greg…”

James si sedette sulla panchina accanto e lo fissò.

Ma che aveva?

“Venivo sempre qui. Per sfuggire alla Cuddy, per guardarmi intorno…”

“Sperando che chi faceva jogging si spezzasse una gamba.”

Greg rise.

“Anche.”

“Crudele.”

“Naa.”

“Oh, sì!”

Risero.

James posò lo sguardo su di lui e lo vide chiudere gli occhi, le braccia aperte sul tavolo da picnic.

Avvertì una stretta al cuore, che non seppe spiegarsi al momento.

Solo in seguito si rese conto che sembrava così…arrendevole, così fragile.

Era quella la parola che gli veniva in mente ogni volta che lo vedeva così…spezzato.

“Smettila di preoccuparti.”disse Greg.

James s’accorse di averlo fissato, senza neanche accorgersene.

“Greg…non ce la faccio…non ce la farei e lo sai.”

Greg capì subito.

Si rizzò a sedere.

“Devi.”

James si alzò in piedi e si allontanò da lui.

“Per te è facile. Se fosse accaduta a me una cosa del genere, avresti ricominciato come se non fosse successo nulla!”

“Adesso stai esagerando.”

“Sbaglio, forse?”

“Sì. Non sarei così…impassibile e menefreghista di fronte alla morte, James. Specialmente se fosse la tua.”

Tacquero.

Erano immobili, James in piedi e Greg seduto sul tavolo di legno.

Poi James s’avvicinò piano e lo strinse al petto.

“Mi dispiace. Scusa. Io non…”

Greg, colto di sorpresa da quell’abbraccio, si limitò a dargli pacche sulla schiena.

“Ce la farai. E poi perché diavolo pensi al dopo? Hai così tanta sfiducia nell’operazione?”

James si staccò da lui, ridendo.

“No, affatto. Ho solo paura. Tutto qui.”

 

Fu una giornata strana quella.

James portò Greg ovunque l’amico volesse.

Non avrebbe mai voluto lasciarlo. Non voleva che giungesse l’ora di tornare all’ospedale, non voleva vederlo entrare nella sala operatoria e stargli così lontano, come Greg gli aveva imposto.

“Se sono io a dovermi operare, perché diavolo sei così agitato?”

Erano tornati all’ospedale da circa mezz’ora e James non aveva fatto altro che tormentarsi le mani, lanciando sguardi all’orologio.

“Appunto perché sei tu a doverti operare. Se solo mi permettessi di operart…”

“No. La mia risposta è no.”

Rimasero un po’fronteggiandosi, ma poi James mise da parte ogni discussione.

Greg si sedette sul letto, afferrando una rivista posata lì vicino.

In quel momento arrivarono i genitori di House.

Il diagnosta volse uno sguardo angosciato all’amico, che si limitò ad alzarsi e lasciarli soli.

Non senza aver prima ricevuto uno sguardo assassino da parte di Greg.

 

“Sei…sei…non ho parole!”

“Sarebbe la prima volta!”

James rise.

“Non avresti dovuto lasciarmi con i miei.”

“Perché no? Avevano il diritto di stare con te. Smettila di fare l’idiota. Come sei riuscito ad allontanarli stavolta?”

“Ho detto loro che dovevo discutere di una cosa importante con il mio oncologo.”

“Ecco spiegata la chiamata urgente sul mio cerca-persone. Credevo fosse qualcosa di più serio, che il voler allontanare i tuoi.”

“Lo è. Credevo volessi passare del tempo qui. Non volevo privarti del piacere della mia presenza…”

“Greg House, sei…”

“Sbagliavo?”

Greg lo guardò e tentò di avvicinarsi, ma le gambe gli cedettero.

James gli si precipitò accanto.

“Greg! Diamine!”

Cadde a terra stringendo l’amico al petto.

“S-sto bene…”

“Col cavolo che stai bene! Cosa ti è preso? Cosa…”

“L-la testa…”

“Ti gira? Ti fa male? Cosa?”

“Ssh…non urlare...ci sento ancora…”

James continuò a stringerlo, aiutandolo ad alzarsi e facendolo stendere sul letto.

Greg teneva gli occhi chiuse e stringeva i denti.

Era fin troppo orgoglioso per ammettere di stare male.

James si chinò su di lui e gli cinse le spalle con un braccio.

Senza neanche dargli il tempo di replicare o di allontanarlo,orgoglioso com’era, si stese sul letto e gli cinse le spalle con forza ed affetto, facendolo accoccolare contro il suo petto.

Rimasero così, stretti l’uno all’altro, finchè il dolore non s’attenuò.

Ma anche allora, James non volle lasciarlo andare e Greg non fece nulla per allontanarlo.

Ed il tempo correva, crudele, strappando loro quei momenti insieme prima dell’operazione.

James stringeva forte Greg, la mente affollata di mille pensieri, sentendolo così fragile tra le sue braccia e temendo di mollare la presa.

“Promettimi una cosa….”

“Cosa?”

“Non mollare. Non farlo, ti prego.”

“James! Sei un oncologo! Dovresti essere abituato a lasciar andare i tuoi pazienti!”

“Tu non vai da nessuna parte.”

Aveva una voce strana, rotta.

Greg alzò lo sguardo su di lui e non ebbe il coraggio d’infierire.

James era stravolto, sembrava stesse lottando con se stesso per non cedere.

“D’accordo.”

James reclinò il viso verso il suo e lo baciò dolcemente sulle labbra.

Fu un bacio approfondito, dolce e pieno di dolore allo stesso tempo.

James si staccò da lui e gli sussurrò, a pochi centimetri dal viso.

“Ti amo. Non scordarlo mai.”

“Come potrei? Sei la mia ombra…”

James rise, piano.

Greg lanciò uno sguardo all’orologio al polso di James.

Vedendo che mancavano solo 10 minuti, James lo abbracciò fortissimo.

“Paura?”chiese.

“No. Sono un uomo forte, io. Non tremo, come fai tu.”

Infatti James stava tremando leggermente.

Chiuse gli occhi e posò le labbra sulla fronte di House e poi tra i suoi capelli.

“James?”

“Mmm…”

Greg tacque per un attimo. Doveva dirglielo. Poteva non averne più l’occasione.

“Anche io.”

“Anche io cosa?”

James non capiva.

“Anche io, nel senso…” Era dura ammetterlo.

Lo amava. Greg amava il suo migliore amico. Ma era dura combattere contro il suo orgoglio…

Ma doveva farlo, doveva dirglielo…”

“T’amo…ti amo anche io…”ammise.

E fu come levarsi un peso dal cuore.

Colse lo sguardo stupito dell’amico, un secondo prima che la Cuddy entrasse accompagnata dal dr Monrose.

James si allontanò piano da lui, continuando a guardarlo, stupito.

“Pronto, signor House?”

Era sempre strano sentirlo chiamare “Signor House” e non “Dr House”…

“Sì.”

Si voltò verso James e la Cuddy, che era pallidissima e visibilmente preoccupata.

“Ci vediamo dopo.”

“Aspetta, House!”

La Cuddy gli si avvicinò e gli gettò le braccia al collo, abbracciandolo forte.

Greg era stupito, ma non fece nulla.

“Andrà bene.”

“Allora, smettila di piangere. O ti cade tutto il trucco.”

La Cuddy, infatti, aveva lo sguardo lucido.

Rise e si allontanò da lui.

Poi volse lo sguardo a James, che era rimasto immobile dopo la confessione di House.

“James…”disse la dottoressa.

James si riscosse da quello stato di trance in cui era caduto e s’avvicinò ad House.

Lo strinse a sé, per un attimo, poi lo lasciò andare.

Lo vide allontanarsi con un sorriso sghembo, verso la sala operatoria.

 

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Capitolo 23
*** Why? ***


James s’appoggiò al vetro ed osservò la scena dall’alto.

La Cuddy, accanto a lui, taceva.

Avrebbe voluto dirgli tante cose, per tranquillizzarlo, rassicurarlo, dirgli “andrà tutto bene”…

Ma come poteva farlo, se non era convinta neanche lei?

Osservavano House steso sul lettino nella sala operatoria, immobile, una mascherina d’ossigeno sul viso, sotto i ferri…

Avevano appena finito d’asportare il tumore, ma James non si sentiva affatto tranquillo.

Aveva un’orrenda sensazione…

Un attimo dopo Greg stava avendo un attacco cardiaco.

“HOUSE!”urlarono lui e la Cuddy e James si voltò indietro, correndo verso la sala operatoria, il cuore in gola…

Non poteva, non doveva…no…

Arrivò nella sala con il fiatone ed un paio di medici si girarono verso di lui.

L’ignorò.

Greg era immobile, non respirava. Chino su di lui Monrose tentava di fargli ripartire il cuore con il defibrillatore.

“Libera! Ancora, andiamo! Libera!”

Nulla. Nulla. Nulla…

“Fa fare a me!”

Wilson afferrò il defibrillatore dalle mani del collega e tentò di far ripartire il cuore di Greg.

“Non mollare…non osare…non t’azzardare…l’avevi promesso, maledizione, Greg! Non mi lasciare…ti prego…”pensò, disperato.

Sentiva le voci degli altri, s’accorgeva dei secondi che passavano, ormai era quasi un minuto…

E’ finita, dicevano…

No, non era finita. Non era finita…

E poi…

Sentire nuovamente il cuore di Greg battere fu il suono più bello della sua vita…

Respirava piano, il cuore batteva lentamente, ma era vivo…

Era tra loro e non se ne sarebbe andato tanto presto.

Sentiva le lacrime offuscargli gli occhi quando lasciò andare il defibrillatore.

La Cuddy, che si era precipitata nella sala seguendolo, gli mise una mano sul braccio e lo portò fuori dalla sala…

Tutto accadde come in un sogno…ma una sola cosa era importante: Greg era vivo…

 

“Si riprenderà, sta tranquillo. Monrose ha detto che ha solo bisogno di riposo, ma che, per precauzione, è meglio continuare con la chemio per un paio di settimane.”

James annuì, gli occhi chiusi.

Era seduto fuori della sala operatoria, la testa appoggiata all’indietro sul muro, gli occhi chiusi.

Dentro, una tempesta d’emozioni.

Era terrorizzato.

Sentì la Cuddy sedersi accanto a lui e stringergli piano il braccio.

“Starà bene.”ribadì.

“L-lo so. Sembravo un pazzo nella sala operatoria, vero?”

Rise amaramente.

“Un po’.”ammise la Cuddy. “Ma eri giustificato. Volevi salvarlo. E poi mi sono precipitata anche io di sotto, no? Se fossi arrivata prima, avrei fatto la tua stessa cosa.”

“Ma per motivi diversi.”ammise.

“Sì.”

Tacquero per un istante.

James chiuse gli occhi, tremante.

“Non voglio…perderlo…non voglio che gli accada qualcosa di brutto…non riuscirei a vederlo soffrire ancora…”

Sentì la Cuddy passargli un braccio attorno alle spalle e James s’appoggiò a lei, come un bambino bisognoso di conforto…

 

Greg rimase incosciente nei giorni successivi, nella settimana successiva.

Tenuto costantemente sotto controllo da James, Cuddy, il suo team ed i suoi genitori, sembrava dormire tranquillamente.

James passava accanto a Greg più tempo possibile. Si sedeva accanto a lui, sulla poltrona o sul bordo del letto e gli parlava piano…

Infatti, secondo recenti studi, parlare alle persone dormienti od addirittura in coma, riusciva a calmarli…

Gli sfiorava il volto con la punta delle dita, assicurandosi che nessuno lo stesse guardando, gli stringeva piano la mano, sperando che rispondesse alla presa…

James non era affatto tranquillo.

Lo vedeva riposare, vedeva i valori nella norma, tutti i valori, eppure temeva qualcosa…

“Non mi sento affatto tranquillo, Cuddy.”

James s’appoggiò al vetro della porta della stanza di House, guardando il diagnosta giacere immobile.

“Rilassati. Starà bene. È normale che sia incosciente. Dopo tutto quello che ha passato, mi sembra ovvio. È come se il suo corpo avesse premuto il tasto Reset…ha bisogno di riprendersi.”

“Vorrei solo…non so…anche solo parlargli…e sentirlo…”

La Cuddy s’avvicinò e s’appoggiò a lui.

“So che lo ami…”

James rise, piano.

“Come se avesse importanza, ora.”

“Ne ha. Cosa ti ha detto House? Prima dell’operazione…”

James chiuse per un attimo gli occhi, afferrando quel momento.

Sorrise prima di rispondere.

“Mi ha detto “Anche io…”…”

La Cuddy lo guardò senza capire.

“E’ un linguaggio in codice tra voi o…?”

“Nel senso che…ha detto che mi amava anche lui…”

La Cuddy lo fissò, stupefatta.

“A memoria d’uomo è la prima volta che House dice “Ti amo” in anni ed anni…”

“Avvisiamo i giornali.”

“Sei felice?”

“Lo sarei di più se si svegliasse…”

“Lo riabbraccerai presto. Ne sono certa.”

 

“Wilson!”

James sobbalzò all’urlo di Cameron e si voltò verso di lei.

La dottoressa correva verso di lui, seguita da Chase e Foreman.

James, seduto con la Cuddy nella stanza di House, gli guardò, stupito.

“Cos…”

“Wilson, mi…ci dispiace…non volevamo…stavamo parlando e…non potevamo immaginarlo…”

Cameron era piuttosto agitata.

Dopo aver scambiato un breve sguardo con James, la Cuddy le andò vicino.

“Cos’è successo? Parla.”

“I genitori di House. Stavamo parlando della vostra relazione e ci hanno sentito. Passavano di lì, non so perché…Ci hanno fatto delle domande, ci hanno chiesto da quanto tempo vi stavate frequentando così e se ne sono andati furiosi.”spiegò Foreman, più calmo.

“Cosa?”esclamò James, facendoli sobbalzare.

“Furiosi? Perché? Cos’hanno detto precisamente?”chiese la Cuddy.

“Che avrebbero preso dei provvedimenti.”disse Chase.

Tutti gli sguardi erano puntati su James che chiuse gli occhi, passandosi una mano dinanzi al viso.

Respirò profondamente.

“E tra tutti gli argomenti del mondo della relazione dovevate parlare proprio della relazione tra me e Greg?”sibilò a bassa voce, ma si vedeva chiaramente che era furioso.

“Che accadrà?”chiese la Cuddy.

“Non ne ho idea. Ma dubito che accetteranno tutto questo...qualunque cosa sia…”

Respirò profondamente un’altra volta.

“Wilson, ci…”iniziò Cameron, ma venne interrotta dall’oncologo.

“Lascia perdere. Ora mi tocca solo aspettare e vedere cosa hanno in mente.”

 

James scoprì cosa avevano in mente giorni dopo.

“Un ordine di restrizione? E per quale assurdo motivo?”esclamò James, leggendo sbalordito il foglio che gli avevano porto i genitori di House.

Erano entrati come due furie giorni dopo e gli avevano dato quel foglio.

“Del tribunale?”

“Abbiamo un amico lì che ha velocizzato le cose. E se non l’accetterà saremo costretti a trascinarla davanti ad un tribunal e farla arrestare. Scelga lei.”

James era sbalordito.

“E posso sapere, se mi è concesso, il motivo di tale idiozia?”

“Ha o non ha una “relazione”…”John House virgolettò con le dita “relazione” “Con mio figlio Greg?”

James tacque per un secondo.

“Chi…”

“Non le riguarda. Ha o non ha?”

“Non le riguarda.”replicò James.

“Siamo i suoi genitori. Abbiamo tutto il diritto di saperlo.”

“Ed anche se fosse…perché diavolo avete fatto emanare un ordine di restrizione su di me?”

“Ed avete iniziato a frequentarvi o meglio ad andare a letto, quando ha scoperto di avere un tumore?”incalzò Blythe.

James stava iniziando a capire.

“Non sono affari vostri.”

“Invece sì!”

“Sono il suo migliore amico, maledizione! Ed anche il suo oncologo!

Non gli avrei mai fatto qualcosa di male!”

“Già. Sarà stato facile approfittarsi di lui, quando stava male ed iniziare questa “insana relazione”!”

“Appr…Ma come diavolo le è saltato in mente? Io non…”gridò James, furioso.

Da quando Gregory House era diventato la donzella in pericolo? Era ridicolo!

“Ed allora perché avete iniziato a “frequentarvi” solo ora? Solo dopo che ha scoperto di avere un tumore?”incalzò Blythe.

James non rispose. Non ne aveva idea.

“Allora?”

“Non lo so.”ammise, stringendo il foglio così forte nella mano che stava per farlo a pezzi.

“Allora, dato che non lo sa, farà meglio a stare lontano da mio figlio Greg. Di almeno 20 metri, come dice l’ordine. Non potrà più averlo in cura, né dare consigli…nulla…

Si dimentichi di lui. Per sempre.

Altrimenti la trascineremo in tribunale e sarà semplice farla accusare di molestie ad un paziente incapace di difendersi, zoppo e malato. E la radieranno dall’albo.

Non si avvicini.”disse John, lapidario e se ne andò.

Blythe rimase a guardarlo.

“Non è come pensate.”

James fece un ultimo disperato tentativo.

“Non so cosa pensare.”rispose lei e lo lasciò solo.

James appallottolò il foglio e lo lanciò il più lontano possibile da sé.

S’appoggiò alla parete del suo ufficio e si lasciò scivolare a terra, gli occhi chiusi.

Dove diavolo era Greg quando aveva bisogno di lui? Dov’era quando tutto andava a rotoli?

Sentì le lacrime rigargli le guance e non fece nulla per fermarle.

Si dimentichi di lui. Per sempre.

Come se fosse stato possibile, anche solo pensabile…

Afferrò i documenti, le carte, le cartelle cliniche sulla sua scrivania e lanciò tutto per terra, in preda alla rabbia.

Perché diavolo era successo? Perché doveva stargli lontano? Perché quello che era successo era stato visto dall’ottica sbagliata? Perché i suoi maledetti sentimenti erano stati fraintesi?

Si sentiva morire ed in quel preciso istante il cuore di House rallentò precipitosamente fino a fermarsi…

 

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Capitolo 24
*** Sai cosa provo. Sai che ti amo. Vieni da me... ***


“Dove diamine sei?”urlò la Cuddy la telefono.

James era seduto, spalle al muro, circondato dalle cose che aveva gettato a terra.

“Non ha importanza.”

“Sì che ne ha! House ha avuto un attacco di cuore!”

James spalancò gli occhi.

“COSA?”

“Abbiamo fatto ripartire il cuore, ma sta male, James. Devi venire assolut…”

“Arriv…Cuddy, hanno fatto emanare un ordine di restrizione su di me. Non posso avvicinarmi a Greg.”

“COSA?”

Stavolta fu il turno della Cuddy d’urlare.

“Vengo ugualmente. Non poss…”

“Resta dove sei. Dimmi cos’è successo.”

James sbuffò e le raccontò brevemente cos’era successo.

“Credono che…”

“Sì! Ora posso venire?”

“No. Devi stare lontano da lui almeno 20 metri, giusto? Non ti puoi avvicinare alla sua stanza.”

“Da che parte stai, insomma?”sbottò, furioso.

“E’ inutile arrabbiarsi, James.”

“Greg ha avuto un attacco di cuore, io non mi posso avvicinare a lui e tu mi dici che è inutile arrabbiarsi? Già, è proprio inutile! Non c’è nessun motivo!”

“Lo sai che assomigli a lui quando parli così?”

“Sai che posso essere stronzo come lui se non mi dici cosa diamine devo fare?”

Era disperato.

“Non ti avvicinare. Rimani lontano, fisicamente. Possiamo sentirci per telefono. Ti terrò aggiornato. Di ogni cosa. Stai tranquillo. Non servirebbe a nulla perdere il posto e farti radiare dall’albo. Anzi peggiorerebbe la situazione.”

“Come sta?”

“Ora meglio. Ma il battito del cuore è irregolare. Ed ha la febbre alta.”

“Infezione.”

“Probabile. Siamo in attesa di un’eco.”

James annuì.

“Febbre alta?”

“Per adesso 38. Ma è sotto antibiotici ad ampio spettro. Stiamo tentando di proteggere cuore e polmoni che sono usciti molto indeboliti dai farmaci anti-tumorali che ha preso e dall’operazione, soprattutto il cuore. Ha ceduto due volte nel giro di una settimana e qualche giorno.”

James si passò una mano sugli occhi.

“Non può cedere. Non DEVE.”

“Lo stiamo proteggendo come possiamo. James, andrà bene. E risolveremo anche il tuo problema.”

“Che passa decisamente in secondo piano.”

La Cuddy, dall’altro lato del telefono, sorrise, triste.

“Ti terremo aggiornato. E sgriderò Cameron, Chase e Foreman, da parte tua.”

 

Greg riemerse dal suo stato d’incoscienza, dopo quasi due settimane e mezzo.

Aveva la febbre altissima, a 39, era sotto anti-biotici che non avevano migliorato molto la situazione…

La Cuddy era in piedi accanto a letto e controllava il dosaggio dei medicinale.

Sobbalzò quando notò cambiamenti nel monitor e sobbalzò quando lo vide con gli occhi aperti, velati.

Era pallidissimo e molto debole.

“House!”esclamò e gli si precipitò accanto, preoccupata.

Era la prima volta che apriva gli occhi, dall’operazione.

Gli portò una mano al polso e controllò la frequenza cardiaca e poi la fronte, agitata.

“C-cos…cos…cos’è suc-cesso…?”balbettò il diagnosta, tentando di lottare contro la febbre…

“D-dov…è?”

La Cuddy non rispose. Che avrebbe dovuto dirgli? Che i suoi genitori non avevano capito nulla di loro ed avevano fatto emanare un ordine di restrizione su James? Che James non poteva avvicinarsi a lui?

“N-non può. Verrà appena possibile. Te lo prometto.”

Lo stava trattando come un bambino, ma non vedeva altra soluzione…

Greg chiuse gli occhi, combattuto. Si sentiva malissimo, come se l’avessero picchiato.

Perse i sensi, sprofondando nuovamente tra i cuscini…

 

“Ha chiesto di te.”

La Cuddy raggiunse James nel suo studio.

“Si è ripreso?”

Per poco James non lasciò cadere la cartella che stava leggendo, per la sorpresa.

“Non esattamente. Ha riaperto gli occhi, ma sta male. Ha ancora la febbre alta e battito irregolare.

Oggi ha sfiorato i 40 quando ha perso di nuovo i sensi.”

James strinse forte i pugni, terrorizzato e preoccupato.

“Ma state curando l’infezione?”

“Ci stiamo provando. Deve averla contratta dopo l’operazione, od appena prima quando il cuore si è indebolito. Ma non sappiamo quale sia esattamente e l’eco non ci ha aiutato. Gli stiamo dando degli anti-biotici, ma non stanno dando alcun risultato…”

 

Greg uscì e riemerse dal suo stato d’incoscienza più volte, nei giorni successivi.

Si sentiva ferito, abbandonato così senza alcuna spiegazione dal suo migliore amico.

“Chiede di te. Come sempre. E continua a stare male.”

James chiuse gli occhi, giocherellando con il cibo.

Erano nella sala mensa.

“Non mi aiuta. E lo sai. Dirmelo non cambierà la situazione e poi sei tu che m’impedisci di rischiare. Se fosse per me, manderei al diavolo tutto.”

“Lo so.”

La Cuddy sobbalzò quando suonò il suo cercapersone.

Ed impallidì quando lesse il messaggio di Foreman.

“House sta delirando. È impazzito.”

“Vieni!”

La Cuddy afferrò James per il polso e corse verso la stanza.

 

“LASCIATEMI! LASCIATEMI ANDARE! LEVATEMI LE MANI DI DOSSO! NO!”

Greg si divincolò dalle prese di Chase e Foreman ed arretrò afferrando l’asta accanto al letto che reggeva i medicinali, brandendola contro di loro, e sbattendoli fuori della stanza, come aveva fatto prima con i genitori.

La Cuddy arrivò poco dopo, seguita da Wilson, trafelati entrambi.

“Cos’è successo?”

“Non ne ho idea…Ho provato a dargli un calmante per il dolore, perché si stava lamentando da parecchio e si è divincolato dalla mia presa. È impazzito, ha iniziato ad urlare di andarcene, di stargli lontano…Ha urlato che non voleva noi, né loro…”E Foreman indicò i genitori di House.

Il cuore di James batteva fortissimo. Vide Greg appoggiarsi al muro e lasciarsi cadere a terra, la testa tra le mani, gemendo, dall'altra parte del vetro.

“Quanto ha di febbre?”chiese, piano.

41.”

“E’ troppo alta per essere semplice febbre. È febbre cerebrale e non ha un’infezione…Ci sbagliavamo."sussurrò piano, riflettendo.

“Ma…”fece la Cuddy.

“Il battito irregolare, i due infarti…è tutta colpa di quei maledetti medicinali. Dobbiamo metterlo assolutamente sotto dialisi ed eliminare gli ultimi residui delle medicine, prima che facciano altri danni…”

La Cuddy annuì.

“Dobbiamo? Cosa ha intenzione di fare? Non dovrebbe neanche essere qui! Chiamo immedia…”iniziò Blythe, rivolgendosi, furiosa a James.

“Lei non chiamerà nessuno. È solo e soltanto colpa vostra se vostro figlio è in quelle condizioni. Se aveste permesso al dottor Wilson di stare vicino a vostro figlio, come ha fatto per mesi, prendendosi cura di lui ed aiutandolo, forse avremmo evitato questa crisi!”

La Cuddy difese a spada tratta James.

L’oncologo aprì lentamente la porta ed entrò chiudendosela piano alle spalle, ignorando tutti gli altri.

Fu come avesse chiuso il mondo fuori. Anche se solo per un attimo. Le voci arrivano attenute.

S’avvicinò piano.

Greg sobbalzò quando s’accorse della sua presenza ed alzò lo sguardo.

James lo rivide per la prima volta dopo giorni, fu quasi vicino a sfiorarlo dopo quasi tre settimane.

Era pallidissimo, gli occhi azzurro cupo infossati, circondati da occhiaie, velati; tremava da capo a piedi, la testa tra le mani…

“G-greg…sono James… Mi senti?”

S’avvicinò di più e tese la mano, facendo per sfiorarlo, ma Greg si ritrasse.

“NON MI TOCCARE! STAI LONTANO DA ME!”urlò.

James fece un balzo all’indietro, sobbalzando.

“Greg…ti prego…calmati…”

“VATTENE VIA! STAI LONTANO, COME HAI SEMPRE FATTO!”

Fu come se qualcuno avesse pugnalato James al cuore.

Tentò d’avvicinarglisi e poi fu costretto ad arretrare quando Greg afferrò l’asta e gliela puntò contro.

“Non capisci…ti prego, lascia che ti spieghi…”

“NON C’ERI! NON CI SEI STATO MAI!”

Era impazzito, delirava.

“Ti prego! Lasciami spieg…”

“AVEVI DA FARE, EH? DOVE DIAVOLO ERI?”

James si sentì morire quando incontrò il suo sguardo.

Si era sentito abbandonato, tradito, ferito…da lui…

Avrebbe dovuto rischiare, mandare tutto all’aria…l’avrebbe fatto, se la Cuddy non gliel’avesse impedito…avrebbe rischiato tutto per lui…ma senza lavoro, senza nulla…non l’avrebbe di certo aiutato…

S’avvicinò e tese la mano verso di lui.

“Greg…ti preg…”

Ma la sua frase venne spezzata poiché Greg lo colpì, con forza, allo stomaco, facendolo stramazzare a terra.

Non se l’aspettava ed il dolore per la botta arrivò subito, impetuoso…

Cadde sul pavimento, reggendosi lo stomaco, gemendo forte, il fiato mozzo e sentì gli altri, al di là della porta, esclamare.

Per avere la febbre cerebrale Greg era piuttosto forte…

Rimase con la fronte premuta sul freddo pavimento.

Vide l’asta dei medicinali ruzzolare a terra.

S’alzò lentamente, vedendo l’amico appoggiato al muro, tremante, una mano sulla fronte.

Preoccupato, approfittò di quel momento di debolezza e corse verso di lui.

“NO! NO, LASCIAMI!”urlò Greg, vedendolo.

“G-greg…ti prego…”

“NON MI TOCCARE, ALTRIMENTI….”

“Cosa fai? Mi colpisci di nuovo?”

Lo vide annuire, in preda al delirio.

Tentava di difendersi, spaventato. Ma stava combattendo contro il nemico sbagliato.

“Provaci.”lo incalzò.

Greg lo colpì alla mascella, con tutta la forza che aveva in corpo.

James barcollò, ma non s’allontanò, limitandosi a asciugarsi il sangue che fuoriusciva dal labbro spaccato.

Greg fece per colpirlo ancora, ma James lo bloccò, afferrandolo per il polso.

“Vuoi ferirmi? Vuoi farmi del male? Perché non ci sono stato? Perché non ho potuto?”

Greg si liberò con uno strattone dalla presa di James, che lo lasciò andare ed arretrò di qualche passo.

“PERCHE’ NON HAI VOLUTO! PERCHE’ SE FOSSI MORTO, SAREBBE STATO TUTTO PIU’ SEMPLICE! PERCHE’NON TE NE IMPORTA UN ACCIDENTI!”urlò Greg, fuori di sé, avvicinandosi a James, finché non furono l’uno di fronte all’altro.

“MA COSA DIAVOLO DICI? COME POTREI PENSARE UNA COSA DEL GENERE? COME POTREI FREGARMENE DI TE, SE SAREI DISPOSTO A TUTTO, PER TE, PER VEDERTI SANO E SALVO E FELICE, MALEDIZIONE?SEI IMPAZZITO!”gridò James.

Vide Greg allontanarsi da lui e chiudere gli occhi e avrebbe giurato di aver scorto delle lacrime...

James s’avvicinò e gli tese le mani.

“Fidati di me. Sai che puoi fidarti. Ti spiegherò tutto, ma ti prego, devi fidarti.”

Lo vide esitare.

“Sai cosa provo. Sai che ti amo. E sai anche che nulla lo cambierà.”sussurrò. “Vieni da me.”

James tese la mano ed afferrò la sua, attirandolo a sé, con dolcezza.

Lo sentì fragilissimo contro il suo petto, nonostante la furia di prima, e l’abbracciò, respirando il suo odore, cingendogli la vita con un braccio ed il collo con l’altro.

Greg s’accasciò tra le sue braccia e James cadde a terra, continuandolo a stringerlo.

“Mi dispiace…mi dispiace…mi dispiace…scusami se non ci sono stato…se non ti sono stato vicino…non era perché avevo da fare…i tuoi hanno fatto emanare un ordine di restrizione su di me…non potevo avvicinarmi…avrei voluto farlo, avrei voluto starti accanto in queste ultime settimane. Mi dispiace tanto….”

“C-cosa…?”

“Ti spiego tutto dopo. Ora calmati, ti prego. Hai una febbre cerebrale e quei maledetti medicinali che hai preso ti hanno quasi ammazzato…”

Greg posò la fronte contro il suo petto e James sobbalzò nel sentirla così bollente.

Fece segno agli altri di entrare.

La Cuddy si precipitò verso di loro, con una siringa di calmante in mano.

“Faccio io.”

James gliela tolse di mano e la infilò nel braccio dell’amico.

“Ora calmati.”

“Dì loro che non è vera…qualsiasi cosa…si siano…inventati…per l’ordine…”sussurrò riferendosi ai genitori.

La Cuddy tentò di farlo alzare, ma Greg gemette, non riuscendo più a divincolarsi per la morfina entrata in circolo.

“Faccio io. È un bambino, certe volte.”

James s’alzò, afferrando Greg e facendolo stendere sul letto.

“Riposati.”gli disse piano.

“Ho…do…r...mi…to…tr…op…po….”

James rise, piano ed, incurante degli altri, si chinò e gli posò sui capelli un tenero bacio.

“Andrà bene.”

 



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Capitolo 25
*** Certe volte sei impossibile...me ne tiro fuori! ***


I genitori di House, dopo la sfuriata della Cuddy, non se l’erano presa più con James ed erano stati costretti a far togliere l’ordine di restrizione, con gran sollievo dell’oncologo.

Greg era fragile, aveva ancora la febbre alta e, messo sotto dialisi, stava espellendo i residui dannosi dei medicinali anti-tumorali.

“Come possono dei farmaci anti-tumorali farlo stare anche peggio?”chiese Blythe alla Cuddy ed a James.

“Sono farmaci pericolosi, quelli che ha assunto, ma gli unici efficaci. Siamo riusciti ad asportare il tumore con successo, ma danneggiando cuore e polmoni. Ora li stiamo proteggendo.

Starà bene.”disse la Cuddy, mentre James non proferiva parola.

Teneva lo sguardo fisso sull’amico, terrorizzato.

 

“Quindi ti lasciano vedermi?”sussurrò Greg all’oncologo.

“Più o meno. Almeno finché non starai meglio.”

Greg sbuffò.

“Sono ridicoli. Come se tu potessi mai farmi del male…”

“Già. E comunque hai un bel gancio.”disse riferendosi al pugno ricevuto.

Greg rise.

“Scusa. Non ricordo nulla di quello che è successo.”

Sembrava sincero.

“Hai solo iniziato ad urlare ed aggredire tutti. E mi hai colpito con l’asta dei medicinali e mi hai tirato un pugno.”

“Ecco perché hai quella ferita sul labbro… Mmmm…”

“La febbre è scesa ed i valori stanno rientrando nella norma. Come ti senti?”

“In gran forma. Pronto per una maratona.”

James alzò gli occhi al cielo, sorridendo.

“Stanco. Ed annoiato. Per quanto tempo mi terrete qui?”

“Finché non ti sarai ripreso del tutto.”

“E’ quasi un mese che…”

“E rimarresti qui anche per un anno, se servisse a farti stare bene.”

“Ma sto bene.”

Greg tentò di alzarsi, ma un violento giramento di testa lo fece accasciare sui cuscini.

Sentì James corrergli accanto e controllargli il polso.

Sentì i battiti del proprio cuore rallentare e chiuse gli occhi, combattendo contro la nausea.

Poi svenne…

 

“I farmaci non stanno funzionando, il cuore continua a peggiorare. I battiti aumentano e rallentano, su e giù, come in una giostra. Se continua così, House avrà bisogno di un trapianto.”

La Cuddy lanciò uno sguardo a James.

“Non può subire un trapianto. Il suo organismo non reggerebbe.

Ha subito un’operazione al cervello da poco. Morirà. E lo sai.”fu costretto ad ammettere, nonostante la stretta al cuore.

“Che scelte abbiamo? Rischia un attacco di cuore.”

James non rispose.

Loro e lo staff erano riuniti nell’ufficio della dirigente.

“Tutto per colpa dei farmaci che ha preso?”chiese Cameron.

“Sì. I polmoni stanno meglio, sono protetti dagli steroidi, ma il cuore…”

“Mettetelo sotto bypass. Lo inserisco nella lista trapianti. James, non abbiamo altra scelta.”

La Cuddy chiuse gli occhi, spaventata.

James rimase con Greg per il resto della giornata, controllando i suoi valori ed i battiti.

Era terrorizzato e più sfiduciato di quanto volesse ammettere.

Avrebbe voluto solo vederlo stare bene, poterlo stringere a sé…

“Non voglio nessun trapianto. E sospendete i medicinali per il cuore, dato che non hanno fatto un accidenti.”disse Greg, la voce fioca, il giorno dopo quando la Cuddy gli disse del trapianto.

“Non m’interessa quello che vuoi, House! Ne hai bisogno.”

“N-no.”

“Perché quale assurdo motivo? Qualcosa tipo “gli organi sono miei e nel mio corpo non voglio quelli altrui?”?” esclamò la Cuddy.

“Q-qualcosa del genere…”

La Cuddy strinse i pugni, furiosa.

“Sei impazzito? Hai fatto di tutto per seguire quella maledetta terapia, per salvarti ed ora…”

Greg non rispose.

Era disteso su un fianco, pallidissimo e quella mattina era stato messo sotto bypass.

“James….”

La Cuddy guardò l’oncologo, implorante.

“L-lascialo f-fuori…E’ inutile che lo metti in mezzo. N-non mi lascerò convincere…”

“Vuoi morire? Perché è quello che succederà se continui così!”gridò la Cuddy, su tutte le furie.

James corse a calmarla.

“Urlargli contro non servirà a nulla. Provo io a farlo ragionare. Vai.”

Rimasti soli, James s’avvicinò all’amico.

“N-non dire nulla.”sussurrò Greg, gli occhi chiusi.

“Sì, invece. Sei un’idiota.”

“L-lo so.”

“Perché diavolo ti vuoi ammazzare?”esclamò, rudemente.

“N-non voglio un trapianto.”

“Ma ne hai bisogno, maledizione!”

“Provate qualcos’altro.”

“Ci abbiamo provato! I medicinali non servono, Greg! Hai bisogno di…”

“N-no.”

“Ma ti rendi conto delle sciocchezze che stai dicendo? Perché diavolo devi rendere tutto così complicato? Perché dobbiamo combattere anche se stiamo cercando di salvarti?”

Greg non rispose.

Lo sguardo di James andò all’elettrocardiogramma.

Il battito era un po’ debole, ma non correva nessun rischio.

Non ancora.

“Ti prego, Greg. Ti prego, accidenti! Fidati di noi…di me. Ti chiedo solo questo.”

“U-usate l-la l-levoxicitina.”

“Cosa?”

La levoxicitina era un farmaco sperimentale, usato solitamente per proteggere e curare i danni cardiaci. Ma l’effetto non era mai assicurato.

“U-usate q-quella.”

“Ora basta. Non ho intenzione di ascoltarti un secondo di più. Sei già nella lista trapianti e…”

“T-toglimi di lì.”

“Scordatelo!”

“S-sono ancora in grado di decidere. Toglimi da quella maledetta lista.”

“Posso dire che sei incapace di decidere ed eseguire lo stesso il trapianto.”

“N-non puoi. N-non hai la delega. E non lo faresti contro la mia volontà. M-mi ami troppo.”

“Già. E forse è un errore.”

Cadde il silenzio.

“N-non ci credo.”

“E’ la verità. È un errore. Non riesco ad essere obiettivo. Non riesco a proteggerti.”

“L-l’hai fatto. F-fino ad ora. V-vuoi mandare a puttane ogni cosa?”

James allargò le braccia e lo guardò.

“Perché no? Tu lo stai facendo con la tua vita!”

“N-non morirò.”

“Sì. Morirai.”

“S-sono sopravvissuto ad un’op…”

“E morirai per un attacco di cuore.”

“V-voglio la levoxicitina. E toglimi da quella lista.”

“Parla con la Cuddy. Io me ne tiro fuori.”

Greg aprì gli occhi, stupefatto.

“C-cosa?”

“Me ne tiro fuori. Lascio decidere agli altri. A quanto pare non sono in grado di gestirti.”

“J-james! A-andiamo!”

Ma l’oncologo era già fuori.

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Capitolo 26
*** E scelgo te ***


“House ha insistito per farsi mettere sotto levoxicitina.”disse la Cuddy a Wilson, incontrandolo in ambulatorio.

“Mmm.”

“Cos’è successo?”

“Il solito. È odiosamente testardo ed ignora puntualmente i consigli delle persone che si preoccupano. Il solito.”rispose aprendo una cartella che gli aveva porto l’infermiera.

“E’ fatto così. Non puoi cambiarlo, non del tutto. È già molto che si sia…”

“Innamorato di me? Io lo trovo folle, per i suoi parametri. Mi chiedo se non sia stato solo l’effetto della quasi-morte.”continuò, sfogliando la cartella.

“Non credo. House è cambiato. Nelle piccole cose, ma è cambiato. Anche ammettere che avesse bisogno di te, di qualcuno, è importante, visto com’è fatto.”

“E’ stato tutto un errore.”

“Lo ami.”

La Cuddy gli tolse la cartella clinica da sotto gli occhi.

“Ed è stato solo un…”

“Errore? Perché non ti ascolta? Perché fa di testa sua?

È House! È così e non cambierà. Ma non significa nulla, se tiene a te.”

“Se…”

“Tiene a te. Altrimenti non si sarebbe messo ad urlare che non eri accanto a lui quando aveva riaperto gli occhi…”

James abbozzò un sorriso.

“La levoxicitina…funziona?”

“E’ presto per dire qualcosa. Ma probabilmente sì. È House anche quando è in fin di vita…

Io mi fiderei delle sue trovate.”

E se ne andò, lasciando James con i suoi pensieri.

 

James stette lontano da Greg per qualche giorno, pur informandosi delle sue condizioni dalla Cuddy, riflettendo.

La Cuddy aveva ragione: Greg non sarebbe mai cambiato e doveva accettarlo.

La cosa che temeva era che quella loro “relazione” fosse solo…un’avventura, una sciocchezza…

E se fosse stato così, la loro amicizia non sarebbe più stata la stessa.

Loro non sarebbero stati più gli stessi.

“Migliora. Aveva ragione lui.”

La Cuddy gli s’avvicinò, vedendolo appoggiato al vetro della porta della stanza di House, come giorni fa.

“Sta bene, James. Entra e chiarisci con lui.”

“Ha detto qualcosa della mia…assenza?”

“No, nulla. Avrà capito che avevi bisogno di tempo per riflettere. Le tue conclusioni?”

“Le avrò perse per strada. Non so cosa fare.”

“Entra. Potrebbe essere questo un inizio.”

James rise, piano ed aprì la porta.

Greg era sveglio e sfogliava distrattamente un libro. Il suo comodino era pieno di giornali, cd ed

un I-pod.

Alzò lo sguardo appena James varcò la soglia.

“Il ritorno del figliol prodigo. Spiacente, ma non ho capre da offrirti.”

“Agnelli. Non importa.”

S’avvicinò.

“Visto? Sto bene. Avevo ragione!”fece Greg.

“Come sempre.”

Cadde un pesante silenzio.

“Tra quanto ti dimetteranno?”

“Forse tra una settimana. E poi dovrò fare anche un mese di chemio.”

“La tua idea ha funzionato. Ma poteva anche peggiorare la situazione.”

“No…”

“Ti avevo chiesto solo di fidarti di me.”

“Ed io mi sono rifiutato.”

“Sì.”

“Scusami.”

“Menti.”

“Forse. Ma avevo ragione io, accidenti! La mia idea ha funzionato e…”

James si passò una mano sugli occhi e Greg tacque.

“Andiamo, James! Mi conosci da una vita! Sai che faccio sempre come mi pare, perché ora è diventato un problema?”

“Perché il fare a modo tuo ti ha quasi ucciso.”

“E mi ha anche salvato.”

“D’accordo.”

James lo guardò, arrendendosi.

“Dovrò prenderne atto.”

“Su. Vieni.”

James si sedette sul bordo del letto di Greg, appoggiando la testa all’indietro, sui cuscini.

Greg lo guardava.

“Che c’è?”

“Nulla. Sto cercando di capire cosa stai aspettando.”

James alzò gli occhi al cielo, capendo cosa intendesse.

“No. Non è il luogo più adatto per qualsiasi cosa tu abbia in mente. Considera anche che i tuoi hanno emanato un ordine di restrizione contro di me accusandomi di molestie su un paziente incapace di difendersi…”

Greg rise.

“Non è divertente.”

“Sì che lo è, ammettilo!”

Continuò a ridere.

“Da quando ho scoperto di avere un tumore, sei diventato tu quello cinico e malvagio ed io quello dolce e gentile.”rise.

“Tu? Dolce e gentile? Che essere mitologico!”

James gli cinse le spalle con un abbraccio e posò il mento sulla sua spalla, guancia a guancia, liscia e ruvida, sfiorandogli la testa ancora fasciata per l’operazione subita.

“Chiamami anche sentimentale, ma non voglio rinunciare a tutto…tutto questo.

Ho troppa paura.”

“Paura di perdermi?”

“Sì.”

Greg non disse nulla. Non se la sentiva d’infierire, di prenderlo in giro…

“Vorrei continuare a proteggerti, come ho sempre fatto, stringerti e tenerti stretto a me…”

“A me sta bene.”

Greg avvicinò il viso al suo, ancora di più.

James gli posò un bacio sul collo e sulla guancia.

Si spostò un po’, sfiorandogli le labbra con le sue e…

“Figlio di…Lascialo stare…”

Accadde tutto in un attimo.

John House entrò nella stanza come una furia ed afferrò James allontanandolo da Greg.

L’oncologo barcollò, colto di sorpresa, mentre Greg s’alzava dal letto, stupito.

“Tu! Come diavolo osi toccarlo?”

John sferrò un pugno a James che cadde a terra, tremante.

“James!”

Greg fece per “corrergli” incontro, ma Blythe lo trattenne.

“No, Greg, non…”

“Lasciami stare!”

Greg si liberò della presa della madre con uno strattone e corse da James, parando l’altro colpo che John aveva sferrato.

“Lascialo, accidenti!”

James tossiva, ancora a terra.

Si alzò, alle spalle dell’amico.

“Greg, spostati o picchio anche te.”

“Scordatelo. E non sarebbe la prima volta.”

Greg barcollava e si dovette appoggiare a James, chiudendo gli occhi.

“Calmati. Non ti agitare. Non avresti dovuto alzarti e correre qui. Sei…”

“Bene! La prossima volta lascerò che ti picchino.”

“Doveva stare lontano da mio figlio. È per questo che abbiamo fatto emanare un ordine di restrizione!”esclamò Blythe.

“Revocato.”corresse Greg, continuandosi ad appoggiarsi a James.

“Io non tollerò questa…questa cosa! Tu stai male e…”disse Blythe, rivolgendosi al figlio.

“E sono ancora in grado di intendere e di volere. Nonostante quello che avete fatto scrivere nell’ordine.”ribatté.

“Tesoro, noi…”

“So badare a me stesso. E se scelgo di stare con James è perché mi va e non perché lui mi abbia costretto. Come se riuscisse a farlo qualcuno.”

Blythe lo guardò, gli occhi spalancati.

“Ti va?”

“Sì.”

“Ma cos’è? Una storiella? Un’avventura? Solo sesso? Cosa?”fece John.

“Qualsiasi cosa sia non è affar vostro. Neanche se gli avessi chiesto di sposarmi, lo sarebbe, quindi…”

James alzò gli occhi al cielo.

Greg barcollò e per poco non cadde a terra.

“Greg!”

James, prontamente, l’afferrò.

“A letto. Subito. Devi riposarti, accidenti!”

Greg annuì.

I suoi se ne andarono, costretti dallo sguardo fulminante del figlio ancora arrabbiati e sconvolti.

“Mi perdoneranno mai?”chiese James.

“Fregatene. Mica devi chiedere solo la mia mano.”

“Finiscila con questa storia, andiamo!”

Greg scoppiò a ridere, seguito dall’amico.

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Capitolo 27
*** Imprevisti, rapimenti e perdite ***


“Un respiro profondo. Così…bravo. Senti dolore da qualche parte?”

“Sì. Alla gamba. Mi passeresti le mie pillole?”

“Sei stato sotto morfina per settimane! Hai ancora bisogno di…”

“Vicodin! Vicodin! Vicodin!”

“O gli dai quelle maledette pillole o lo anestetizzi! Non sopporto quando fa così!”esclamò la Cuddy, mentre Greg ghignava.

Greg ingoiò un paio di pillole, chiudendo gli occhi.

“Aah! Ora va meglio.”

“Non dovresti più avere quei mal di testa lancinanti di prima. Ma per quanto riguarda la debolezza e la nausea, si ricollegano alla chemio che dovrai seguire per un mese.”

Greg sbuffò.

“Andiamo o no? O vuoi farmi vivere qui?”insistè.

Voleva tornare a casa, nonostante le preoccupazioni di James.

“Per carità!”fece la Cuddy e sia Greg che James scoppiarono a ridere.

“Muoviti! Ho voglia di fare con te una certa cosa…”

House ghignò, mentre Wilson arrossiva leggermente.

“Idiota…”

“House, aspetta!”

La Cuddy l’abbracciò improvvisamente, lasciandolo impietrito per la sorpresa.

“Se ti sei decisa a venire a letto con me, sono spiacente di deluderti, ma sono un po’ impegnato al momento…”ed indicò James, che sbuffò.

“No. Ti ho abbracciato perché sono stata in pensiero per tanto tempo per te. E sono contenta che tu stia bene.”

“Le solite scuse…”

“House! Prenditi qualche settimana di riposo…torna quando te la senti, ok?”

“E ti privi così del tuo miglior dottore? Farai un grave danno all’ospedale!”

“Vai!”

“Se mi lanci di nuovo quello sguardo preoccupato, ti giuro che…”minacciò Greg, quando varcarono la porta di casa.

Era un secolo che non ci mettevano piede.

Nelle settimane precedenti James aveva dormito in ospedale, pur di tenerlo d’occhio.

“Come vuoi.”

Greg si appoggiò alla porta, chiudendo gli occhi.

Si sentiva stanchissimo.

Sentì James afferrarlo per un braccio e portarlo da qualche parte.

Camera da letto, capì quando lo fece stendere sul materasso.

“Dormi.”gli intimò.

Greg gli afferrò il polso e non lo lasciò andare.

James parve capire il messaggio, perché si stese accanto a lui, circondandogli le spalle con le braccia.

“Sono qui.”disse.

“Lo so. Ci sei sempre. Sei la mia ombra…Certe volte mi fai paura…”

“Dormi, su…”

Greg s’appoggiò, tremante al muro, vomitando anche l’anima in bagno.

“Sono stufo. Sarò dimagrito di almeno dieci chili per questa maled…”

S’interruppe, colto da un ennesimo conato.

James guardò il bagno dove Greg si era rifugiato, preoccupato, anche se la nausea ed il vomito erano soltanto effetti collaterali della chemio.

Erano nel bagno dell’ospedale, tre giorni dopo.

A dispetto della nausea e la debolezza, Greg stava meglio ed aveva ripreso a lavorare.

Era intrattabile…

“E’ normale.”

“Questo non mi aiuta, sai?”sbottò, nervoso.

Aveva un nervosismo addosso che non l’abbandonava mai.

Ed era più scorbutico del solito.

“Passerà. Stai tranquillo.”

House decise di ignorarlo.

Non gli servivano a nulla le sue parole di conforto…

Greg aprì la porta del bagno, pallidissimo ed ingoiò un paio di pillole.

Si sciacquò il viso, tremante.

“Và a casa. Ti accompagno io. Sei uno straccio.”sussurrò James.

“Grazie mille. Ma ne ho abbastanza di avere il baby-sitter!”

S’avviò fuori del bagno, seguito dall’amico.

“Stai male.”

“Meglio di prima.”

“Sì, ma…”

“Smettila di preoccuparti, maledizione! Sto bene! E poi…”

Driin Driin Driin

Greg s’interruppe al suono del cellulare di James.

L’oncologo afferrò il cellulare e gli fece segno d’aspettare un minuto.

Greg fece per parlare, ma si fermò quando vide James impallidire, ascoltando la chiamata.

“James…cosa…”

“C-cosa? E quando? M-mi disp…sì, arrivo. A-arrivo subito. Tranquilla. Ci penso io.”

Chiuse la conversazione, bianco con un cencio, evitando il suo sguardo.

“Chi era? Una tua amante od ex-moglie? Cos…James, stai bene?”

James si passò una mano dinanzi gli occhi e non rispose.

Erano immobili al centro del corridoio.

La Cuddy, poco distante da loro, s’avvicinò, preoccupata vedendo James immobile e pallido.

“James, cosa…?”

“E-era mia madre. M-mio padre è m-morto questa mattina….”

 

“Bevi questo.”

“Cuddy, sto bene. Smettila.”

“Appunto, non berlo. Chissà che ci avrà messo dentro. Potrebbe voler tentare di avvelenarti e tu non lo sospetteresti neanche!”intervenne Greg, strappando di mano a James la tazza che gli aveva porto la Cuddy.

La dirigente lo fulminò con lo sguardo.

“Non lo farei mai.”

“Sì, certo. Sotto quella quarta, c’è una donna malvagia.”

James abbozzò un sorriso, mentre la Cuddy alzava gli occhi al cielo.

“Devo partire per il funerale, Cuddy. Aiutarli e… è tra un paio di giorni e…”

“Lo so. Vai, tranquillo. Se non sono indiscreta, come… com’è successo?”

James chiuse gli occhi.

“Infarto. Fulminante.”

Tacquero.

“Vai e stai con tua madre e tuo fratello.”

“Ma come farai con i miei pazienti e…”

“Ci penserò io. Vai tranquillo.”

James infilò nella borsa la roba che gli capitò a tiro, soprappensiero.

“Aspetta, aspetta. Ok, questa felpa è mia, ma se vuoi te la presto e…che ci fa un mestolo nella tua valigia? Vuoi preparare la zuppa per tutti?”

“Scusa. Sono…”

“Sconvolto?”

“Sto bene. Sono solo soprappensiero. E devo sbrigarmi. Parto per Baltimora domani alle 11. Ho già ordinato il biglietto, dopo la telefonata.”

Gli ridiede il mestolo e continuò ad infilare roba nella borsa, distrattamente, senza proferire parola.

“Questa la porto.”disse, indicando la felpa.

“Per ricordarti di me?”

Ghignò.

“No. È troppo sepolta e non ho tempo per riesumarla.”

Greg lo guardò.

Lo vedeva concitato e pensieroso. Quando aveva ricevuto la notizia era impallidito di botto e si era immobilizzato, sorpreso e sconvolto.

Ora, invece, non mostrava nessun segno di sofferenza. Era strano.

Non aveva pianto, né aveva avuto gli occhi lucidi, né nulla…

Era distaccato o così si mostrava.

Chiuse la borsa e la posò ai piedi del divano.

Poi si guardò intorno.

“James…ehi!”

Greg l’afferrò per le spalle e lo voltò, rudemente, verso di lui.

“Cosa c’è?”chiese l’altro.

“Sembri una di quelle macchine comandate…non stai fermo un attimo.”

“Ho fretta.”

“Ora sono io a dirtelo: “Rilassati”.”

James si liberò dalla sua presa e scosse la testa.

“Tranquillo. Sto bene. Domani riposati, ti prego. Non andare al lavoro. Non voglio che guidi quella moto.”sussurrò James.

“Cosa? La vuoi mettere sotto chiave? Sto bene, cavolo!”

“No. Almeno aspetta un po’. Dopo la chemio.”

“Ti odio quando fai così.”

Ma il suo sguardo apprensivo mise a tacere ogni protesta del diagnosta.

“Mi farò venire a prendere dalla Cuddy, va bene, mamma?”

“Sì. Ci vediamo tra un paio di giorni.”disse prima di stendersi sul divano.

Cadde il silenzio tra loro.

 

“E’ già andato all’aeroporto?”

“Buongiorno anche a te, Raggio di Sole!”

Greg s’infilò nell’auto della Cuddy, sbuffando e strofinandosi le mani per riscaldarsi.

La gamba gli faceva male più del solito; ingoiò una manciata di pillole e sbattè la portiera.

Era una giornata gelida e il cielo preannunciava neve.

“House…”

“Sì.”

“E come stava?”

“Agitato. Ed assonnato.”

“Perché?”

“Credo che la colpa sia mia.”

“House…cosa avete...”

“Perché pensi sempre al sesso? D’accordo che non hai un uomo da… una vita? Ma smettila di pensare solo a quello! Comprati un cane e pensa a lui! Tieni la mente impegnata!”

“Sei il solito! La tengo impegnata! Ho dovuto pensare a te, che avevi un tumore, ed a James, al quale ieri è morto il padre e che ora sta partendo per Baltimora, da solo.”

Tacque.

“Avresti dovuto accompagnarlo.”

Greg la guardò, stupito.

La dottoressa gli lanciò uno sguardo, preoccupato.

“Scordatelo.”

“Perché non gli hai chiesto di venire con lui?”

“Perché non voglio, la spiegazione è semplice! Mi ci vedi ad un funerale, circondato da pinguini imbalsamati, tutti i parenti di James? Non sono fatto per queste cose! Finirei per…”

“Combinare uno dei tuoi soliti guai e metterlo in imbarazzo?”

“Non ne ho voglia. Non se ne parla. Non lo farei mai. E poi sarà già su quel volo a quest’ora!”

La Cuddy fece una brusca frenata e voltò la macchina nella direzione opposta.

Greg andò a sbattere all’indietro contro il sedile, per la violenza della virata.

“Cosa diavolo stai facendo?”

“Ti accompagno all’aeroporto.”

“Cosa? Scordatelo! Io non ci voglio andare, non…”

“E’ il tuo compagno, maledizione! E sta soffrendo! Ha bisogno di te!”

“Devo fare la chemio e…”

“Odi fare la chemio, non usarla come scusa! Per un paio di giorni non morirai, dato che il tumore è stato asportato.”

“Non ho nulla da mettere…”

“Mettere? Felpa e jeans andranno bene. O usa la carta di credito e comprati un completo da pinguino, se vuoi. Basta scuse!”

“Ok, nessuna scusa! Fammi scendere! Torna indietro!”

“House, ascolta. Lo ami o no?”

“Fammi scendere! E poi non c’entra un accidenti. No, lo odio! Dirò qualsiasi cosa, ma non salirò su quell’aereo!”

“Sta soffrendo ed ha bisogno…”

“Della sua famiglia, dei suoi parenti piagnucolosi, di sua madre, non di me! Torna indietro!”

“Sta male.”

“Non lo da a vedere. Sembrava tranquillo. Era solo un po’ distaccato ed agitato perché doveva partire per un maledetto funerale!”

“E non ti sembra strano che non abbia pianto, saputo la notizia? Non può tenersi tutto dentro!”

“E che sei? La sua psicologa? Fammi scendere od apro la portiera!”

Posò la mano sulla maniglia. Non voleva assolutamente andare a quel dannato funerale.

Nemmeno per lui. Mai e poi mai.

“Così finiresti per ammazzarti e farlo stare anche peggio di come sta al momento.”

Greg chiuse gli occhi, la mano ancora sulla maniglia.

“Sei pazza!”

“Lo faccio per voi.”

“E fatti gli affaracci tuoi!”

“Ti ha protetto, ti è stato accanto quando stavi male. Avrebbe dato la vita per te. E tu non vuoi accompagnarlo ad un funerale?”

“Non puntare sui sensi di colpa, tanto non funziona! Voglio scendere! Voglio scendere! Voglio scendere! Voglio scendere!...”

“So che hai un cuore anche tu, House, anche se continui a negarlo. Lo so perché hai ammesso di aver bisogno di James, di volerlo, d’amarlo…”

Greg ripensò allo sguardo dell’amico quando aveva ricevuto la notizia, la sua espressione impietrita, la sua agitazione…

“Ma perché diavolo non ti fai gli affaracci tuoi?”

“Come stava? Che faceva…”

“Si teneva occupato! Con il lavoro, ed ieri sera con la valigia! Non ha parlato del padre! Non ha detto una sola parola! Non mi ha detto nulla! Ora che lo sai, sei soddisfatta?”

Era nervosissimo.

“Prendi il volo delle 11 per Baltimora, mi raccomando.”

“NO!”

“Ti tolgo l’ambulatorio per un mese.”

“Quattro.”

“No, due.”

“Tre o prendo il primo taxi che trovo all’aeroporto e me ne torno a casa.”

“Ok, tre. Fingi di essere dispiaciuto, stagli vicino…Fagli un favore!”

Greg s’arrese, gli occhi chiusi ed annuì.

“Lo faccio solo perché non ho scelta!”sbottò, irritato.

“Lo fai perché lo ami.”

Greg alzò gli occhi al cielo.

Non ci pensava mai e non voleva farlo.

“Ripeterlo ti fa sentire realizzata?”

“Sì.”

La Cuddy sorrise, mentre il diagnosta sbuffava.

“Volo delle 11 per Baltimora in partenza. I ritardatari sono pregati d’affrettarsi.”disse l’hostess.

James appoggiò la fronte al finestrino accanto al suo posto.

Stava quasi per nevicare.

“Si sposti! Non vede che c’è un disabile, qui? Non lo vede il bastone? Ah, i giovani d’oggi!”

James sobbalzò nel sentire una voce familiare e si voltò così velocemente che il collo cricchiò.

Era la voce di… Greg? Cosa diavolo ci faceva lì?

Si diede un piccolo pizzicotto sul braccio per controllare che fosse sveglio.

Ahi! Faceva male, quindi…

S’alzò cercando il compagno con lo sguardo.

Lo vide poco lontano.

“Greg!”

Si fece avanti ed afferrò l’amico per un braccio, voltandolo verso di lui.

Sì, era lui: imbacuccato in coppola, sciarpa, guanti, giacca e felpa, avrebbe riconosciuto quegli occhi azzurro cupo ovunque.

“Cosa ci fai qui?”

Il cuore di James si riempì di gioia nel rivederlo, subito inondato da una sensazione di panico ed angoscia. Aveva desiderato portarlo con sé, avere il suo appoggio, la sua compagnia, ma non aveva osato chiederlo… Gregory House non era esattamente il tipo adatto ai funerali od alle ricorrenze in famiglia. E da poco era stato dimesso dall’ospedale dopo un’operazione al cervello, l’asportazione di un tumore e varie complicazioni al cuore… No, non poteva venire! Non doveva essere lì. Doveva rimanere in ospedale, fare la chemio e…

“Scendi. Andiamo.”disse, subito, stringendogli le braccia.

“Scordatelo. Ho già pagato il biglietto e…”

“Te lo rimborso. Scendi. Non ti porto con me. Non voglio che tu abbia una ricaduta.

Su, vieni!”

“Mi dispiace, signori, ma i portelloni sono stati chiusi.”disse loro una hostess con un sorriso imbalsamato, quando s’avvicinarono all’uscita.

“Ma…”

“Vi prego di prendere posto. L’aereo decollerà tra poco.”

James si voltò verso il compagno, le mani sui fianchi.

“Appena arriviamo a Baltimora, prendi il primo aereo e ritorni di filato qui.”

“Scordatelo. Sono venuto per accompagnarti. Mi hanno costretto e rapito…”

“E chi ti ha costretto?”

La Cuddy” ghignò.

“Appena torno…”

“Prendete posto, prego.”insistè l’hostess.

Greg gli fece un cenno con il capo ed andò a sedersi al suo posto distante tre file da James.

Ansioso, James riuscì con un cambio di posto a far sedere Greg accanto a lui.

“Smettila di preoccuparti. E pensa a cosa dire al commiato” sbuffò Greg, prima di ingoiare un’altra manciata di pillole e mettersi le cuffie dell’I-pod nelle orecchie.

“Ma come ti è saltato in mente di convincerlo? No, Cuddy, no… Lo so, ma… Sto bene, smettetela di preoccuparvi! E se stesse male? No, che sciocchezza, non è per quello… Non puoi? Andiamo! Se gli succedesse qualcosa? Sì che sono un oncologo, ma… Ok, va bene!”

James chiuse la conversazione e sospirò.

Erano all’aeroporto di Baltimora e appena messo piede a terra, James si era informato sui voli. Quello per il New Jersey partiva alle due del pomeriggio, ma non se la sentiva di lasciar partire Greg, soprattutto perché la Cuddy non poteva venirlo a prendere. Cielo! Si stava comportando come una mamma.

“Ha detto che…”

Si voltò verso il punto in cui si trovava Greg e sobbalzò quando non lo vide seduto accanto a lui.

Lo prese il panico, subito dissoltosi quando lo vide accanto alla macchinetta delle merendine.

“House!”

L’afferrò per un braccio e lo voltò verso di sé. “Non ti devi allontanare, maledizione!”

Greg scartò la merendina, alzando gli occhi al cielo, esasperato.

“Smettila! Non farti prendere per una mamma isterica. Qual è il verdetto?”

“Rimani qui. E te ne torni con me.”

“Alleluja. Andiamo.”

Zoppicò avanti, ma James rimase immobile lì dov’era.

“Perché?”

“Devi andare ad un funerale o sbaglio?”sbuffò.

Era irritato, la gamba gli faceva un male cane, la Cuddy l’aveva praticamente rapito e costretto ad accompagnare Wilson al funerale del padre ed ora il suo amico si stava facendo venire i complessi…

“No. Non quello.”

Greg lo guardò interrogativo.

“Perché ti sei lasciato convincere?”

“Costringere. È diverso.”

“Perché?”

“Mi andava di fare un giro per Baltimora. E poi non avevo alcuna scelta. In cambio sono esonerato dall’ambulatorio per tre mesi…”

“Ah.”

Che s’aspettava James? L’oncologo aveva quasi sperato che l’avesse fatto per lui, solo per lui… Speranza vana. Greg s’era aperto con lui, rivelando i suoi sentimenti, solo quando stava per morire; un evento del genere non sarebbe più ricapitato.

Doveva accettarlo così com’era… burbero, irritato ed irritante…e chiuso.

James annuì, afferrando la valigia e facendogli segno di seguirlo.

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Capitolo 28
*** Litigi ***


 

“Oh, James! Che cosa terribile, mi dispiace così tanto!”

Appena varcò l’ingresso dell’albergo, dove l’aveva invitato sua madre e suo fratello, James venne investito da una donna dai corti capelli scuri, che l’abbracciò stretto.

“Mel…Lo so. Dispiace tanto anche a me!”

La donna si staccò da lui, asciugandosi le guance umide.

“La zia e Joe sono di là.”

Ed indicò un folto gruppo di persone, tra le quali Greg, riconobbe, anche se non li vedeva da tempo, la madre ed il fratello di James, con la moglie di lui, Rebecca.

Poi lo sguardo di Mel cadde su Greg, che si guardava intorno.

“E lui chi è?”

“Gregory House, il mio com…migliore amico. Gli ho chiesto di accompagnarmi.”

Meglio tralasciare che era salito sull’aereo a sua insaputa, convinto dalla Cuddy…

“Piacere, io sono Mel, la cugina di James.”

Tese la mano che Greg non prese, come suo solito.

Ad uno sguardo interrogativo di Mel, James scrollò le spalle, come per dire “lascia perdere”.

“JAMES!”

Rose Wilson, la madre, corse verso di loro, abbracciando forte James e scoppiando a piangere.

Guardandosi intorno e vedendosi circondato da parenti e visi contriti, Greg maledisse la Cuddy per averlo “convinto”, se così si poteva definire un rapimento, ad accompagnare il suo migliore amico.

“Mamma…su, calmati. Andrà…andrà tutto bene…”

James strinse a sé la donnina dai capelli ingrigiti così somigliante a lui, accarezzandole il capo.

“E’ s-stato…così…cos…i-improvviso…N-non ce l’aspettavamo…”

“Mi dispiace, mamma. Mi dispiace tantissimo.”

James continuò a stringerla.

Poi fu il turno di Joe a stringerlo.

“Mi sono precipitato qui appena ho potuto.”disse James.

“Grazie, ci serve il tuo aiuto…con tutto il resto…”

“Ciao, Greg…”

Rose s’avvicinò al diagnosta e l’abbracciò, cogliendolo di sorpresa.

James per poco non scoppiò a ridere di fronte alla faccia stupita dell’amico.

“Hai accompagnato James, giusto? Grazie.”

Greg annuì.

“Mi dispiace, signora Wilson.”disse lui, imbastendo uno sguardo contrito.

Doveva essere un ottimo attore in quell’occasione…

Ne valeva dei suoi tre mesi…

“Lo so, grazie, ragazzo mio.”

Rose lo lasciò andare, continuando a piangere.

“House.”disse Joe, guardandolo, rigido.

“Joe.”

James e la madre passarono lo sguardo da Greg a Joe.

Loro non erano mai andati d’accordo, soprattutto perché Joe non riusciva ad accettare il carattere di Greg.

Rose, invece, per amore di James, ci riusciva.

“Non ti aspettavamo.”

“Immagino. È stata una cosa…improvvisa…”e guardò James, che per poco non scoppiò a ridere, ricordando il “rapimento” che gli aveva raccontato Greg.

“Comunque, dubito tu riesca a trovare una stanza libera.

Quella di James gliel’abbiamo riservata.”

“Può stare da me. Non c’è nessun problema.”disse James con naturalezza, nonostante gli sguardi stupiti della madre e del fratello.

S’avviò alla reception e prese le chiavi della stanza riservata.

“C’è un’altra stanza libera?”domandò alla signorina alla reception.

“No, signore. Mi dispiace.”

Com’era d’aspettarselo.

“Dormi da me.”disse, lanciando a Greg le chiavi.

“Sì, io sul letto e tu sul tappeto.”

James ghignò.

“Vedremo.”

“Sfidalo ad una gara di corsa. Sono certo che vinceresti tu.”disse gelido Joe.

“Joe, basta. Lascia stare Greg. Non è il momento, né il luogo.”intervenne Rose, vedendo James che avanzava verso il fratello, arrabbiato.

“Andiamo.”disse l’oncologo, afferrando l’amico per un braccio e trascinandolo via.

 

“Mi spieghi una cosa?”chiese Greg, giocherellando con il bastone, rigirandolo tra le dita sopra di sé, steso sul letto.

Si sentiva uno schifo, in preda al dolore ed alla nausea, provocata dai medicinali che doveva ancora prendere.

Ma la curiosità era troppo forte.

“Cosa?”

“Sei bizzarro. Mi aspettavo…non so…fiumi di lacrime? Dove hai lasciato i tuoi sentimenti? Negli altri pantaloni?”

“Li avrò dimenticati a casa. E poi sto bene.”

James gli voltava le spalle, frugando tra la sua roba.

“Sei rimasto sconvolto quando hai saputo la notizia della morte di tuo padre, impietrito. Ma poi hai continuato come se non fosse successo nulla, venendo qui come se fosse solo un compito da…”incalzò Greg.

“Che t’importa?”sbottò, nervoso, girandosi e fronteggiandolo.

“M’incuriosisce. È interessante.”

Ghignò.

Interessante.

Figuriamoci! Per House si trattava solo di un divertimento…

“Spiacente, ma non mi va di essere una cavia per le tue congetture.”

Chiuse con violenza la borsa e lo guardò.

“E non mi va di farmi psicanalizzare da te. Ci vediamo.”

Fece per andarsene, voltandogli le spalle, ma Greg s’alzò e lo raggiunse, afferrandolo per un braccio e costringendolo a voltarsi verso di lui.

Incrociarono gli occhi per una manciata di secondi, durante i quali furono percorsi da uno strano brivido.

Greg gli strinse il braccio per un attimo, poi lo lasciò andare.

James rimase incollato al suo sguardo per un secondo, poi si voltò e se ne andò.

 

Greg si stese sul letto, gli occhi chiusi, le mani sugli occhi.

Si sentiva malissimo. Da quando James se n’era andato non aveva fatto che vomitare, colto dalla nausea, si sentiva uno straccio.

Inoltre il suo migliore amico era andato chissà dove e non si faceva vedere da circa 3 or…

Sobbalzò quando sentì la chiave girare nella toppa.

Come non detto…

James entrò, con una strana espressione sul volto, tra il divertito e l’esasperato.

Incapace di reggersi in piedi, debole come si sentiva, Greg voltò appena il capo verso di lui, lanciandogli uno sguardo interrogativo.

James si voltò all’indietro e salutò con un cenno qualcuno fuori della porta.

Udì la voce di Joe.

“Ci vediamo domani. G-grazie.”

E chiuse la porta dietro di sé.

“Allora? Devo essere geloso?”biascicò Greg, prendendolo in giro, una mano sugli occhi.

“Falla finita. Era mio fratello.”

James aveva la voce impastata.

“Incesto, quindi?”

“Idiota.”rise.

Una risata strana.

Greg lo guardò meglio e lo vide barcollare leggermente.

“Hai bevuto!”

Era sorpreso.

“E da quando è illegale?”

S’avvicinò al comodino e fece per prendere la flacone di Vicodin, ma la mano di Greg fu più veloce, vincendo la stanchezza e la debolezza, e gliela strappò di mano.

“Da quando ti comporti come un idiota?”

“Da stasera.”

 “Cosa vuoi fare?”

“Dammi una pillola, su! Te le prescrivo io! Ho un mal di testa pazzesco.”

“E la prossima volta evit…James, no! Molla! Sei impazzito? Vuoi collassare? No!”

James aveva tentato di afferrare il flacone, salendo sul letto accanto a lui, ma Greg gliel’aveva prontamente portato fuori mano.

“Greg! Andiamo, molla!”

“Te lo scordi! Sei andato fuori di testa, vuoi farti venire qualcosa?”

Si gettò su di lui, bloccandogli il braccio e tentando di afferrare le pillole che tanto anelava.

“Smettila, idiota! Così mi fai mal…”

Ruzzolarono entrambi a terra e Greg batté violentemente la testa contro il pavimento, mollando le pillole, prontamente afferrate da James.

Greg fu assalito da un dolore fortissimo, peggiorato da una nausea cresciuta a dismisura dopo la botta presa.

Giaceva su un fianco piegato in due, tremante.

Si portò una mano al capo, alla ferita dell’operazione che bruciava follemente, come se stesse andando a fuoco…

La vista gli s’annebbiò per alcuni secondi di paura, poi rimise a fuoco.

“GREG!”

James s’accorse di ciò che era successo e si precipitò da lui, il mal di testa e le pillole ormai dimenticate.

“Greg…”

Tentò di sfiorarlo, ma Greg l’allontanò bruscamente da sé, tremante.

“Cosa…dove ti fa male? La testa? Fammi vedere, maledizione…”

“Non mi toccare…stai lontano da me!”esclamò, con tutta la forza che riuscì a racimolare.

“Greg, mi dispiace, non volevo. Ero solo…”

“Ubriaco? Impazzito? Idiota?”

“Sì… Mi dispiace…”

Greg s’alzò, afferrandosi con forza al comodino lì vicino.

Gli ci volle tutta la forza che possedeva per alzarsi, senza l’aiuto del suo bastone.

James tese la mano per aiutarlo, per soccorrerlo, ma ancora Greg lo evitò, scansandolo.

Andò in bagno, barcollando e tremando violentemente e si chiuse dentro, vomitando.

“Greg. Ti prego, apri. Mi dispiace. Ti prego. Non so cosa mi sia preso. Scusami…”

James s’appoggiò alla porta del bagno.

Nessuna risposta dall’altro lato, sentiva solo il suono dell’acqua che scorreva.

“Greg!”

“Và al diavolo.”

Una voce soffocata e tremante.

“Senza di te non vado da nessuna parte.”

“Ora non fare il romantico. Mi dai la nausea!”

“Apri questa porta.”

Batté su di essa.

“Altrimenti che fai? La sfondi a spallate? Usi le bottiglie che ti sei scolato?”

“Smettila. Sono solo un po’…fuso, tutto qui.”

“Non poco, dato che volevi ingoiare anche i miei anti-dolorifici!”

“Apri. Voglio stare con te.”

“Stai con me. Sono dall’altro lato della porta.”

“Greg…”

“Se la tua intenzione è quella di scopare, prenditi una puttana. Io non sono disponibile.”

“Greg! Lo sai che non è per quello, accidenti! Ti amo.”

“Grazie tante.”

“Apri. Greg, apri questa porta, andiamo. Greg!”

Nessuna risposta.

James continuò a chiamarlo ed a battere sulla porta, ma poi s’arrese.

S’addormentò con un forte cerchio alla testa, la nausea e la sensazione di essere la persona più orrenda del mondo…

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Capitolo 29
*** Mi dispiace, siamo umani nel bene e nel male ***


SBAM

A svegliarlo la mattina dopo fu una caduta all’indietro.

Infatti, Greg aveva aperto la porta, facendolo cadere all’indietro e svegliandolo.

“B-buongiorno.”balbettò l’oncologo.

Nessuna risposta.

Greg si limitò a sorpassarlo ed ad andarsi a vestire, frugando tra la sua roba.

“Hai ancora intenzione di accompagnarmi al funerale?”chiese James, rimanendo steso sul pavimento ed alzando solo lo sguardo su di lui.

Nessuna risposta.

“Per quanto hai ancora intenzione di non parlarmi?”

Nessuna risposta.

Greg continuò a rovistare nella valigia dell’amico, gettando a terra tutto quello che gli capitava a tiro.

James si decise ad alzarsi e fece per toccarlo, ma come la sera precedente, Greg si allontanò.

Afferrò la sua felpa, che James aveva messo erroneamente nella valigia ed un pantalone che poteva andargli.

James alzò gli occhi al cielo e gli porse una sua camicia.

“Metti questa.”

Ancora nessuna risposta.

Greg si limitò ad ignorarlo ed a vestirsi.

James non insistette. Dopotutto a lui non importava come era vestito. Anche in costume da bagno gli sarebbe andato bene. Anche se era un funerale.

Rendersi conto che quella mattina c’era il funerale, gli provocò una stretta al cuore.

Avrebbe visto suo padre per l’ultima volta, nella bara…

Avrebbe dovuto parlare di lui…cosa dire?

Che ricordi richiamare alla memoria? Cosa rimpiangere?

Non ricordava neanche l’ultima volta che l’aveva visto da vivo…

Era passato così tanto tempo…forse due anni fa…

Era così impegnato con l’ospedale da dimenticare la sua famiglia? Li vedeva solo in occasioni come quelle?

Si sentì male al solo pensarci e si vestì velocemente.

Greg continuava a tacere.

James avrebbe voluto sentirlo parlare, ascoltare qualche sua congettura o pensiero, qualsiasi cosa…

Ma nulla.

Il funerale passò velocemente, come in un sogno.

James sentiva le persone parlare, rievocava i ricordi, parlava del padre, ma tutto gli scivolava addosso…

L’unica cosa che gli rimase impressa nella memoria fu la vista di suo padre Jude nella bara, spezzato, morto…

Mai l’avrebbe rivisto, mai avrebbe sentito la sua risata, ascoltato i suoi consigli, parlato con lui…mai più.

E solo ora aveva acquistato quella consapevolezza.

Prima era stato solo una consapevolezza latente, ora era certa.

Fu inondato da ricordi, che lo riportarono indietro nel tempo, alle loro chiacchierate, vacanze, gite…

Sobbalzò quando sentì qualcuno posargli la mano sulla spalla.

Per un attimo sperò che fosse Greg, ma fu deluso dalla vista di suo fratello, quando si voltò.

“Dov…?”chiese.

Joe capì.

“E’ salito di sopra. Vieni con gli altri, su.”

 

Toc Toc Toc

Gregory House avrebbe bellamente mandato al diavolo chi stava bussando alla porta e che aveva interrotto la visione di General Hospital dalla sua Tv portatile, se i colpi non fossero stati così insistenti.

S’alzò e zoppicò fino alla porta.

E non fu affatto sorpreso di vedere James, appoggiato allo stipite della porta, con lo sguardo chino.

Aveva le chiavi…perché bussare?

Rimasero in silenzio e per un attimo nessuno dei due fece nulla.

“Non lo vedevo da due anni.”disse piano James. “L’ultima volta da vivo, al Natale di due anni fa.”

Greg non seppe che dire. Era molto arrabbiato per la sera precedente e la testa gli faceva ancora molto male.

Avrebbe voluto fare qualche battuta, prenderlo in giro, ma le parole gli morirono sulle labbra, gelandosi, quando incrociò il suo sguardo.

Era sconvolto, spezzato.

“Parlavamo poco durante l’anno, solo qualche telefonata, ogni tanto.”

James s’appoggiò al muro accanto alla porta e si lasciò scivolare, sedendosi per terra.

“Non riesco a credere che non lo potrò più rivedere.”sussurrò piano.

Greg accostò la porta e s’appoggiò al muro accanto a lui, in piedi.

Non sapeva ancora che dire. Anzi sì, ma non erano cose che avrebbe voluto sentire…

“Non riesco a pensare che non ascolterò più i suoi consigli, che non gli parlerò più, che non discuterò più con lui…

Mi mancano perfino le nostre discussioni, pensa…

C’era sempre…c’è sempre stato…anche quando mio fratello è scomparso…riusciva a tenerci uniti, ad evitare che ci separassimo, lacerati da sensi di colpa e dolore…era come un collante…

Più della mamma riusciva a riappacificarci quando litigavamo, ad organizzare le cene in famiglia…gli piaceva averci vicino. Riusciva sempre ad ascoltarci, a consigliarci e riservava sempre un abbraccio per tutti noi, anche quando siamo cresciuti…”

“Doveva essere un buon padre.”

Finalmente Greg ritrovò l’uso della parola.

James non lo guardò, ma annuì.

“Sì. Un ottimo padre, davvero.”

Tacquero di nuovo.

“Se fossi stato più vicino a loro…se non fossi stato sempre così lontano, così distante…forse tutto questo non sarebbe mai successo….”

Greg lo guardò, stupito.

“Non dire sciocchezze.”disse duramente, avvicinandosi e fronteggiandolo.

James s’alzò appoggiandosi al muro.

“Sciocchezze? Se fossi stato con lui, al momento dell’infarto, forse l’avrei salvato! Forse sarebbe qui, se io…”

“Già. E se l’avesse avuto in ospedale, sarebbe stato sicuramente salvato! O forse sarebbe uscito e sarebbe stato investito da un camion!”

“E con questo cosa diavolo vorresti dire?”esclamò, alzando la voce e guardandolo negli occhi.

I suoi erano lucidi ed umidi.

Tentò di allontanarsi, ma Greg gli posò le mani sulle spalle e lo costrinse a rimanere dov’era.

“Che è successo e tu non potevi farci nulla!È morto! E devi fartene una ragione. Non- è- colpa- tua!”sbottò, sillabando l’ultima frase.

“Sono stato lontano dalla mia famiglia per tanto tempo. Sono stato impegnato con l’ospedale, con i pazienti…Ho vissuto lontano da loro e…”

“Ed hai 40 anni. È normale allontanarsi dalla propria famiglia ad una certa età. So che vuoi loro bene, ma non puoi…controllarli, proteggerli per sempre…”

James chinò lo sguardo.

“Non è colpa tua, d’accordo? Non potevi fare nulla. Né tu, né tua madre, né tuo fratello. È successo e devi fartene una ragione!

Nell’ospedale, nel tuo reparto muoiono pazienti ogni giorno e non puoi farci nulla! Puoi dire che non è giusto, che volevi non accadesse…ma non puoi cambiare le cose.”disse piano, cercando di essere il più delicato possibile.

Lo vedeva così fragile, che sarebbe bastata una sola battuta per farlo crollare in mille pezzi.

Si chinò su di lui e gli sfiorò le labbra con le sue.

S’allontanava e s’avvicinava sfiorandole con insistenza e non dandogli tempo per baciarlo, tanto rapidamente s’allontanava.

Poi dopo un po’ mise fine a quella adorabile tortura e le posò sulle sue, schiudendole con dolcezza e baciandolo.

James ricambiò il bacio, incapace di reagire, incantato dal suo tocco.

Greg sobbalzò quando s’accorse che le guance di James erano umide.

S’allontanò da lui e lo vide piangere.

“Mi chiedevo quando avresti ceduto.”

“E-era questo che volevi? V-vedermi cedere? V-vedermi piangere?”

“Vederti come un essere umano e non come un automa.”

James si strinse a lui, circondandogli la schiena con le braccia ed appoggiando il viso contro il suo collo.

Greg ricambiò la stretta, cullandolo un po’, mentre l’altro era scosso da singhiozzi.

L’abbracciò forte, appoggiando le labbra sul suo collo e baciandolo con insistenza.

James rise, tra le lacrime.

“Che c’è?”chiese Greg.

“Mi fai il solletico. Tutto qui.”

“Entra su.”

“Non mi farai dormire di nuovo sul pavimento appoggiato alla porta del bagno, vero?”

“Non sono stato io a costringerti, eh? E poi anche io ho dormito così.”

“Ti sei chiuso nel bagno!”

“Mi hai picchiato!”

“Tentavo di prendere le tue pillole e poi ero ubriaco. E ti avrò chiesto scusa una decina di volte.”

“Troppo poco. Almeno mille.”

“Stai bene? Ti sei ferito? Sei…”

“Calmati. Ho solo un bernoccolo.”

Greg sentì James rilassarsi stretto a lui.

“Ma ho avuto una nausea tremenda. Sia per la botta che…”

“Per la chemio. Lo so. Mi dispiace.”

“Smettila di scusarti. Diventi noioso, altrimenti.”

“Ok…”

“Entriamo, dai…”

Greg s’appoggiò all’amico e chiuse la porta alle loro spalle.

Ma non sapevano che tutta la loro chiacchierata era stata vista da qualcuno….precisamente da Joe e da sua moglie Rebecca…

 

James fece l’amore con Greg con intensità, stringendolo al cuore e baciandolo ripetutamente.

Aveva bisogno di lui, lo voleva accanto…

Voleva averlo dentro di sé, gemere il suo nome e sfiorargli il viso ed il corpo…

Avrebbe voluto annegare in quegli occhi azzurro cupo.

S’appoggiò al suo petto, gli occhi chiusi, sotto le coperte e Greg gli circondò le spalle con un braccio.

“T’amo.”disse James.

“Mmm…”

“Non hai intenzione di dirmelo più, vero?”

“Dovrai aspettare un’altra operazione al cervello.”

“Che spero non arrivi mai.”

“Se lo vuoi risentire…”

“Non importa. M’accontenterò. E grazie.”

“Di cosa?”

“Di essere qui.”

“E’ stata la Cuddy a costringermi. Ringrazia lei.”

“Sei rimasto. Potevi tornare a casa, quando ti volevo far prendere l’altro volo, trovare un modo per tornare a casa…ma sei rimasto. Grazie.”

“Forse avrei dovuto scommettere sul fatto che avresti dato di matto nel vedermi sull’aereo.”

Ghignò, ridacchiando.

“Avresti vinto. Ero terrorizzato. Lo sono. Non avresti dovuto. Saresti dovuto startene all’ospedale. Hai saltato due giorni di chemio e…”

“Li recupererò.”

“Grazie.”

James gli sfiorò le labbra con un bacio leggero, subito approfondito da Greg.

Rimasero stretti l’uno all’altro tutta la notte.

Greg lasciò che James parlasse, si sfogasse, piangesse, stretto forte al suo petto…

Lasciò emergere, per una volta e sperò che fosse l’ultima perché non gli piaceva , il suo lato umano…

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Capitolo 30
*** Ci sei solo tu ***


 

“L’hai visto anche tu! Becca, cara, l’hai visto anche tu!”

“Joe, ora calmati. Stai dando fuori di matto. Esageri.”

“L’ha baciato e dici che IO esagero?”

“Sì. Anche se…si frequentassero…o se stessero insieme…perché dovrebbe darti fastidio?”

“Hai visto che lo teneva contro il muro e lo baciava! E poi House è un bastardo! Non ho mai capito come faccia James a frequentarlo, ad essere il suo migliore amico!”

“Se tuo fratello lo considera il proprio migliore amico, un motivo ci sarà. Da quanto si conoscono?”

“Più di 11 anni.”

“11 anni! Caspita!E credi che sia un’amicizia fondata su solo fumo? C’è un legame che li lega, da 11 anni, Joe. Si vogliono bene, sono legati tra loro, sono migliori amici da anni…”

“Mi chiedo come abbia fatto a sceglierlo come amico!”

“Non sono tanto sicura che gli amici si possano scegliere, sai? Non c’è un luogo dove andare, inserire le caratteristiche che vuoi e scegliere tra vari candidati. È il destino che lega due persone.

E tu non puoi farci nulla.”

“E’ un bastardo, menefreghista, egoista, odioso ed antipatico. È scorbutico, scontroso ed egocentrico.”

“Lascialo stare. Sono affari suoi e di James.”

“Non lo sopporto.”

“Non devi farlo, infatti.”

“Se lo vedo gliene dico quattro.”

“Joe! No! Non fare sc…”

“Non preoccuparti, Becca. Ci penso io.”

 

“A che ora è il volo?”

“4 del pomeriggio. Prova questi. Vedi se ti vanno.”

James lanciò a Greg un paio di jeans ed una camicia a costine.

Greg guardò la camicia, critico e gliela rilanciò.

“Quella puoi tenertela. Dovresti portare sempre qualche mio vestito.”

“Nel caso tu mi segua o t’imbarchi con me?”

“Certo che sì!”disse, dal bagno.

James rise.

“Mi vanno un po’ piccoli.”

“Non dire sciocchezze. Sei della mia altezza.”

“Naa. Sono più alto io.”

“Di un paio di centimetri.”

“Contano!”

“O metti quelli o vai in mutande, decidi!”

“Fa freddo! Non posso mettermi i miei di jeans.”

“Li hai sporcati!”

“Devi smetterla di fare mia madre. Mi fa senso, altrimenti, baciarti e fare sesso con te!”

“A proposito di madre…quando part…”

“Già partiti!”

“Cosa? E non li hai neanche salutati?”

“Loro non hanno salutato me. Erano “leggermente” arrabbiati per la nostra relazione.”

“Mi dispiace, è colp…”

“Taci. Altrimenti ti ficco questi calzini in bocca!”disse, brandendo un paio di calzini nella sua direzione.

James rise.

“Muoviti e getta tutto nella borsa. Non vedo l’utilità di piegare ogni cosa.”fece Greg, guardandolo mentre metteva in ordine i vestiti.

“Inizia a scendere tu. Poi ti raggiungo.”

James l’attirò a se per baciarlo per un attimo e poi lo lasciò scendere.

 

Era appena sceso nella Hall dell'albergo, quando...

“House!”

La voce di Joe fece sobbalzare il diagnosta, che si voltò, un po’ infastidito.

“Che c’è?”

“Devo parlarti.”

“Parla.”

“Non qui. Vieni nel salotto.”

“Cosa c’è di tanto importante che tu non possa dirmi qui?”

“Vieni e basta.”

“Certo! Ed io eseguirei i tuoi ordini, perché…”

Joe l’afferrò per un braccio e lo trascinò fuori della sala da pranzo, spingendolo nel salotto lì accanto.

Lo stringeva così forte che gli lasciò il segno e lo spinse nella stanza così violentemente che Greg cadde sul pavimento.

Si alzò lentamente.

“Ma cosa diavolo vuoi?”esclamò il diagnosta, sorpreso, il braccio destro indolenzito.

“Voglio che tu lasci in pace mio fratello.”

“Cosa?”

“Vi ho visti ieri sera. Ti ho visto mentre lo baciavi.”

Greg tacque, la mano stretta attorno al bastone.

“Taci, quindi? Beh, chi tace acconsente.”

“Non vedo come siano affari tuoi."
"LO SONO!"urlò, avvicinandosi ed afferrandolo per le spalle.

Lo sbattè violentemente contro il muro.

Greg chiuse gli occhi, gemendo per il colpo.

Era accasciato contro il muro.

"Sai una cosa? Mi ha sempre incuriosito il vostro rapporto. Non sono mai riuscito a capire come un figlio di puttana come te potesse essere il migliore amico di mio fratello."disse Joe.
"Sarà per il mio fascino, la mia intelligenza....sai, riscuoto molto successo."ribatté lui, ansimando per la botta presa.

“DEVI lasciarlo stare. Sta lontano da lui. Sparisci dalla sua vita.”

“Và al diavolo!”

Joe s’avvicinò, tentandolo di colpirlo ancora, ma Greg parò il colpo e gli diede una bastonata sul braccio.

“Ahi! Figlio di puttana!”

“Ma cosa diavolo…Joe! Joe, smettila!”

Udirono la voce di Rose che in quel momento entrò con Rebecca e James, sentedo il loro litigio animato.

Rimasero stupiti nel vedere Greg e Joe che si picchiavano.

Joe la ignorò.

Afferrò Greg, gli bloccò il braccio e gli mollò un pugno allo stomaco, violentissimo.

Greg si piegò in due dal dolore e stramazzò al suolo, gemendo.

“No! Joe, smettila, maledizione!”

James corse in avanti e bloccò l’ennesimo colpo del fratello.

Si gettò su Greg, proteggendolo con il proprio corpo e stringendolo al petto.

“Spostati. Lo voglio ammazzare.”esclamò Joe.

Era arrabbiato.

Ma James di più.

Lo guardava con uno sguardo d’assassino.

Era furioso.

“Te lo scordi! Se provi a toccarlo, ti giuro che non risponderò delle mie azioni.”

Tutti tacquero.

“James…”iniziò Joe.

“Sta zitto! Non dire una parola, non voglio sentire nulla!”

Era inginocchiato a terra e stringeva Greg a sé.

Continuò a stringerlo per un po’.

Poi l’allontanò piano da sé.

“Tu stai bene?”

L’amico annuì, reggendosi lo stomaco.

“S-smettila.”

“Di fare che?”

“Di proteggermi sempre.”

“Non posso. Non ti posso perdere di vista un secondo che ti ritrovo coinvolto in una rissa o…”

Tacque, riferendosi involontariamente a Tom.

Greg abbozzò un sorriso, mentre James lo tirava su di peso.

Avrebbe voluto stringerselo al cuore per sempre, ma lo lasciò andare.

Non era il momento, né il luogo, né tantomeno la compagnia…

“Perché diavolo lo stavi picchiando?”chiese l’oncologo, furioso, rivolgendosi al fratello.

“Perché l’ho visto. Ieri sera.”

James lo guardò interrogativo. Poi lanciò uno sguardo a Greg e capì.

“E gli ho detto di stare lontano da te.”

“Và al diavolo.”

“E’ quello che ha detto anche lui, sai?”

“Non sono affari tuoi. Stanne fuori.”

“Joe, di cosa state parlando? Cos’è successo ieri sera?”domandò Rose, mentre Rebecca, al suo fianco, taceva, fulminando il marito con lo sguardo.

“Ho visto Greg che baciava James.”

Cadde il silenzio e poi…

“COSA?”esclamò Rose, guardando Greg, sconvolta.

James lo spinse dietro di sé, protettivo.

Fu un atto involontario.

“Mamma, calmati. Non prendetela con lui. La cosa è stata…voluta. E non è stata la prima volta.”

Altro sbalordimento generale.

“Cosa stai cercando di dire, James?”

Rose tentò di mantenersi calma.

“Greg ed io ci frequentiamo…da un po’…”

“Un po’ quanto?”

“Un po’ tre mesi.”fece Greg.

“Grazie, Greg.”disse James e si passò una mano sul viso.

“Tre mesi? È per Greg che hai lasciato tua moglie? Hai sempre avuto una relazione con lui, vero?

È per questo che hai divorziato tre volte!”

Rose era agitatissima.

“Se avesse avuto una relazione con me sin dall’inizio, non si sarebbe neanche sposato.”puntualizzò Greg.

James si voltò verso di lui.

“Lasci parlare me? Per favore…”fece, quasi supplichevole.

“Ok. Come vuoi.”

“Non è colpa sua.”

“Geena pensava di sì. Ha incolpato lui della fine del vostro rapporto, quando l’ho sentita!”incalzò Rose.

“Accidenti a Geena ed alla sua boccaccia!”pensò James.

“Ha mentito. Abbiamo iniziato a frequentarci…dopo.”

“Perché?”

“Non lo so il perché. Perché stava male, perché avevo bisogno di qualcuno…non lo so!”

“Ed invece di stare con una donna, hai deciso di scopare il tuo migliore amico? Dopotutto è più semplice ed economico. Mica lo devi invitare a cena o comprargli qualcosa…”intervenne Joe.

James fece per avvicinarglisi, furioso, ma Greg lo trattenne.

“Ringrazia che mi abbia trattenuto Greg, altrimenti ti avrei spaccato la faccia.”

“Hai avuto tre mogli. Perché ora…”

“Mamma, non sono affari tuoi, chiaro? Lasciaci stare.”

“Sei ga…”

“Sono innamorato, di chi non ti deve interessare.”

E detto ciò se ne andò, afferrando Greg per un braccio e tirandolo dietro.

Si lasciò alle spalle un silenzio attonito.

“Lui l’avrebbe accettato.”disse James, pensando al padre.

Greg lo guardò.

“Ed ora ho combinato un casino. Non avrebbe dovuto saperlo. Ora si agiterà e…

Non ci voleva. Non ora…”

“Starà bene. Non mori…”

Tacque, frenando una battuta.

James non lo guardava.

“Smettila di preoccuparti. Lo accetterà anche lei. E se non…”aggiunse Greg.

“Mi rimani tu.”

James alzò lo sguardo su di lui.

“Prendere o lasciare.”

“Prendo. Altrimenti rimango da solo.”

“Ehi! Per chi mi hai preso? Per il premio di consolazione?”

James scoppiò a ridere e l’abbracciò di colpo, nell’hall dell’albergo.

“Figurati. Tu sei il primo premio.”gli sussurrò all’orecchio.

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Capitolo 31
*** Incrinature ***


 

“Allora? È andato tutto bene?”

La Cuddy li accolse, preoccupata, quando varcarono la porta il giorno dopo.

“Sì. Ma poteva anche non essere così.”disse James a denti stretti.

Greg alzò gli occhi e zoppicò via.

“Dove vai?”esclamò James, correndogli dietro.

“A lavorare. Rilassati. Sei fin troppo agitato!”

“E me ne fai una colpa? Sono successe troppe cose in troppo poco tempo!”

Chiuse gli occhi un attimo, passandosi una mano sul viso e quando li riaprì si voltò verso la Cuddy.

“Fammi un favore, ti prego: non fargli fare più cose rischiose. È ancora debole.”

“Sì, mamma.”rispose la Cuddy.

“Vedi? Anche per lei ti stai comportando come una mamma! Calmati, ok? E non pensare a me.

So che sarà impossibile, per il mio charme, il mio genio…. ma almeno provaci!”intervenne Greg, con un ghigno.

Stringeva forte il suo bastone ed era molto pallido.

“Non dovevi andare a lavorare?”disse l’altro irritato.

“Una dose di calmante, no?”

“Vai!”

Greg s’allontanò, ghignando.

 

Toc Toc Toc

“Sei pronto, tesoro?”

Greg entrò nell’ufficio del suo migliore amico, prendendolo in giro.

James alzò appena la testa dalla cartella che stava leggendo, arrossendo lievemente.

“Non farti venire un esaurimento nervoso, ok? La Cuddy non ce la farebbe a gestire anche te. E poi ama solo me...”

“Non rischio nulla. Sto solo rimettendo a posto. Ho un sacco di cose arretrate.”

“Chiedi aiuto alla Cameron. È brava a rimettere a posto cartelle e scartoffie.”

“Se se la cava con le tue, immagino.”

“James, vieni. Anche tempo fa ti comportavi così.”

“Così come?”

“Come un pazzo. Ti stai stressando troppo, ok? Sono successe troppe cose in poco tempo, l’hai detto tu stesso. E non sei in grado di metabolizzarle tutte.”

“Ce la faccio benissimo. Grazie della psicoanalisi.”

“Vieni!”

James lo guardò e lo vide appoggiato alla porta, il bastone stretto nella mano così forte che le nocche era diventate bianche, che lo squadrava.

Era molto pallido.

“Greg…Stai bene?”

“S-sì. Vuoi venire o no?”

James cedette.

“D’accordo.”

“Alleluia.”

 

James si sedette sul bordo del divano accanto a Greg che, steso, aveva gli occhi chiusi e l’aria esausta.

Gli sfiorò il viso con le dita e si chinò su di lui, accarezzandogli una guancia con i polpastrelli.

“Brutta giornata?”

“Colpa di Chase e Cameron. Non ho idea se stiano o meno insieme, ma non fanno altro che litigare o fare sesso. Noi almeno facciamo entrambe le cose e non diamo fastidio a nessuno.”

“A parte sconvolgere i nostri parenti, non abbiamo fatto assolutamente nulla…”ghignò James, sarcastico.

Si chinò un altro po’ su di lui e lo baciò sulla fronte.

“Per non parlare del caso che ho preso dalla Cuddy…”

“Difficile?”

“Con il mio cervello? Mah! Impossibile! Ma avrei voluto risparmiarmi le crisi sentimentali della paziente, che gli altri hanno deciso di mollarmi perché la Cuddy li aveva coinvolti tutti e tre nell’ambulatorio per coprire i miei turni…”

“E non potevi fuggire via o cosa? Come al tuo solito?”

“No…doveva firmare un maledetto consenso per un maledetto intervento.”

“Hai fatto il ciclo di chemio, vero?”

Greg non rispose e James sobbalzò.

“Greg! Maledizione! È il quarto giorno che salti. Così non farai altro che ritardare la guarigione?”

“Sto bene, cavolo! Avete asportato il tumore e…”

“E la chemio si deve fare in ogni caso!”

Tacque chiudendo gli occhi.

Greg aprì i suoi e lo vide esausto, le mani sugli occhi.

“Non esagerare. Ok. Farò i cicli di chemio. Solo perché sei fissato. E per evitare un tuo ricovero.”

“St…”

“Taci e stenditi.”

James si stese accanto a Greg sul divano stringendoselo al petto, forte.

 

“20 febbraio.”

“Caspita, come passa il tempo! Non sapevo che sapessi leggere il calendario, sai?”

La Cuddy bloccò il diagnosta all’ascensore, verso sera, salendo con lui.

Erano passati parecchi giorni dalla “gita” e Greg aveva tentato di riprendere la vita di sempre, con i suoi casi, le sue teorie e follie, dovendo gestire anche l’umore dell’amico, umore peggiorato dalla morte del padre…

Com’era da prevedere.

“Chemio?”chiese la Cuddy, scrutandolo, preoccupata.

“No, fuggo.”

“Smettila di fare così. Lo metterai in crisi.”

“Chi? L’infermiere?”

“James. È spaventato per te. È sotto pressione e sta soffrendo. Non complicargli di più le cose.”

Greg alzò gli occhi al cielo.

“Non ho alcuna intenzione di sentirmi uno schifo dopo ogni seduta, chiaro? Se vuoi puoi dirglielo tu, o lo farò io. Benissimo.”

“Non è affatto vero. E poi dovresti pensare a quel povero tailleur…tra un po’ scoppierà. Non è in grado di contenere più il tuo sedere.”

Stavolta fu il turno della Cuddy di alzare gli occhi al cielo.

“Non stavi con James?”

“Abita a casa mia, è diverso da “stare con”. È tutta una questione di sillogismo. E poi non ce lo vedo con la gonna. E tu sei troppo provocante per farmi tacere. Mi provochi, donna!”

Greg le puntò addosso il bastone.

“Tra una settimana è il compleanno di James. Compie 40 anni.”

La Cuddy rimase impassibile alle sue battute.

Greg la guardò, con uno sguardo che voleva dire: “E con questo?”.

“Già.”

Arrivarono al piano del reparto di diagnostica e la Cuddy lo seguì.

“Pensavo di fargli qualcosa di speciale.”

“Una notte con te? Anzi no, sarebbe traumatizzante. Non arriverebbe oltre i 40.”

La Cuddy lo ignorò e continuò.

“Ho bisogno del tuo aiuto.”

“Hai dimenticato che sono la persona meno adatta in assoluto per i compleanni?”

“E’ il tuo migliore amico. Il tuo convivente. Il tuo compagno. Scegli quella che più t’aggrada.”

“Non hai detto “mio oncologo”!”

“Perché passa “leggermente” in decimo piano, rispetto alle altre cose.”

Erano arrivati all’ufficio di House e la Cuddy lo seguì.

“Pensavo ad organizzargli una festa a sorpresa.”

“Non è il tipo da feste. E poi è solo uno stupido compleanno!”

“Per te, forse! Forse sei tu il tipo che odia le feste con gli amici ed i parenti!”

“Vive con me! Qualcosa glielo dovrò aver insegnato!”

Greg sprofondò nella sua poltrona.

“Aiutami.”

“E cosa ottengo?”

“L’aver reso felice il tuo migliore amico.”

“Pessimo motivo.”

“Andiamo!”

“No, scordatelo. È solo uno stupido compleanno. Perché diavolo dovrebbe essere contento per aver raggiunto i 40? Capelli più bianchi, lentezza e…”

“Tu ne hai 49.”

“Sì, ma io sono l’immagine della bellezza! Lui è un comune essere umano!”

“Andiamo!”

“Non riesci a ricattarmi, eh?”

“Ti ho già tolto 3 mesi d’ambulatorio per aver accompagnato James.”

“Mi ci hai costretto!”

“Cos’altro vuoi da me? Aiutami. Te lo chiedo per favore.”

“Non sarò di certo l’unico amico di Wilson.”

“No, ma sei il suo compagno, lo conosci da 11 anni e…ti servono altre motivazioni?”

“Almeno 100, se vuoi convincermi ad appoggiare questa tua follia!”

“House! Ti prego! Fallo per Ja…”

“Fare cosa?”

In quel momento entrò James nella stanza e Greg e la Cuddy tacquero.

“Ecco…fare la chemio. Ha saltato anche oggi pomeriggio.”

House la fulminò con lo sguardo.

“Mente. Sai che sono un alunno diligente.”

Sorrise all’amico che non ricambiò.

“Cosa c’è?”chiese la Cuddy.

“Nulla. Ho solo deciso che sono stufo di combattere per convincerlo a guarire. M’arrendo.

Ti ho portato solo questo. Pensavo ti potesse interessare.”

Lanciò a Greg un fascicolo ed uscì, senza aggiungere una parola.

La Cuddy lanciò un rapido sguardo al diagnosta, ma House si era già alzato e zoppicava velocemente verso James.

“Ehi! Ehi, James! Wilson, fermati, maledizione!”

L’oncologo si fermò nel bel mezzo del corridoio, le mani nelle tasche del camice, lo sguardo puntato su di lui.

“Cosa ti prende?”esclamò Greg.

“Nulla. Semplicemente sono stanco di cercare di salvarti. Sei adulto e vaccinato. Sbrigatela da solo.”

E gli voltò le spalle, andandosene.

Greg ritornò in ufficio, confuso.

Cosa diavolo gli era preso?
“Ti ha mandato al diavolo, vero?”

La Cuddy lo guardò, sorridendo.

“Indirettamente, ma era quello il messaggio.”

“Te lo meriti. Ha fatto bene.”

Greg tacque.

“E’ un’idiota.”

“Tu sei l’idiota, qui. Lui sta solo cercando d’aiutarti. Mettitelo bene in testa.”

Greg alzò gli occhi al cielo.

Ci mancava solo la Cuddy con la predica…non bastava Wilson.

“Allora? M’aiuti o meno? Così gli dimostri che non sei un’idiota completo. Dimostragli un po’ d’umanità.”

“Organizzando una festa? Bel modo!”

“Dimostrandogli che ci tieni a lui. Che lo am…”

“Non dirlo. Non è…”

“Vero?”

“No.”

“Perché ti ostini a non ammetterlo?”

“Affari miei. Comunque la risposta è sempre no. E neanche una notte di sesso infuocato con te mi farebbe cambiare idea.”

“Ha bisogno di una tua dimostrazione d’affetto.”

“So io di cosa ha bisogno…”

“Siete una coppia ora, è più…”

“Non siamo una coppia, Cuddy!”

“Cosa siete allora? Due amici che dividono il letto?”

“Sì, una cosa del genere.”

“Sai che posso essere molto fastidiosa, House. Aiutami ad organizzare questa maledetta festa e chiudi la bocca con Wilson.”

“Altrimenti?”

“Ti renderò una vita un inferno. Ci metterò tutte le mie forze.”

“E’ una minaccia?”

“Ti prego!”

“D’accordo. Ti aiuterò in questa stupida festa! Smettila d’angosciarmi!”

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Capitolo 32
*** preparativi e chiarimenti ***


“Ehi!”

James sentì qualcuno afferrarlo per la giacca e tirarlo all’indietro.

Per poco non cadde all’indietro, voltandosi verso l’uomo alle sue spalle.

Sobbalzò quando incrociò i suoi occhi color azzurro cupo.

“Hai intenzione di fuggire e lasciarmi qui?”

“Troveresti il modo per tornare a casa.”

James tentò di liberarsi dalla sua presa, ma Greg non mollò la presa.

L’aveva afferrato per la giacca e non aveva alcuna intenzione di lasciarlo andare.

“Mi lasceresti?”

“No. Cos’hai?”

“Sei insopportabile. Ecco cos’ho.”

“Lo sai che lo sono. Mi conosci da 11 anni.”

“Troppi.”

Greg tacque, come se qualcuno l’avesse appena schiaffeggiato.

Fissò James allibito.

Cosa voleva dire con “troppi”?

“James…cosa…cosa vuoi dire con “troppi”?”

Gli si formò un groppo alla gola, senza sapere il perché.

James si voltò verso di lui e lo vide basito, immobile.

Aveva persino lasciato andare la presa della sua giacca.

“Io con…Greg! Era per dire, cavolo! Sono dovrei essermi abituato alla tua testardaggine, anche se voglio convincerti a fare qualcosa per il tuo bene. Tutto qui. Non intendevo null’altro. Non avrei mai inteso…finire la nostra…amicizia o relazione, come vuoi chiamarla. Sarebbe assurdo!”

“Non ci avevo pensato, credimi!”

“Sì. Avevi una faccia…”

“Non riuscivo a capire dov’è stessi andando a parare…”

“Sese…”

James ridacchiò.

Aveva uno sguardo stanco e profonde occhiaie.

Attirò a sé Greg senza dargli il tempo di protestare e l’abbracciò.

“Cos’hai?”sussurrò il diagnosta, avvolto nelle sue braccia.

“Sono solo stanco. Tutto qui.”

James appoggiò la testa nell’incavo della spalla dell’amico, stringendolo per un po’, prima di staccarsi.

“Andiamo a casa, su.”

 

Greg strinse forte il bordo della scrivania per alzarsi.

Tremava forte, perse la presa e cadde sul pavimento del suo ufficio.

Maledisse in mezzo secondo tutti i santi che conosceva, gemendo forte.

Era da solo, i suoi paperotti erano appena andati a fare una sfilza d’analisi alla paziente di turno e James…beh, lui era impegnatissimo con i suoi adorati moribondi…

Gemette, respirando a stento, stringendosi la gamba e posando la fronte sul bordo gelido della scrivania.

Forse non fare la chemio non era stata una buona idea…

La gamba pulsava terribilmente e la nausea l’attanagliava.

Tentò di respirare a fondo, digrignando i denti e riprovò ad alzarsi, per la seconda volta.

La stanza iniziò a vorticare fortissimo e ricadde nuovamente.

“House!”

Il diagnosta tenne gli occhi chiusi e sentì una persona afferrarlo per le braccia e metterlo seduto contro il muro.

“House!”

“L-lo conosco il mio nome. Smettila di…mmm!”

Si premette una mano sulle labbra e gemette.

“Cosa diavolo di prende?”

Era la Cuddy.

“Cosa hai? Mi serve un carrell…”

House la bloccò e la Cuddy si voltò a guardarlo.

Era sconvolta, inginocchiata a terra, accanto a lui.

“N-non chiamare nessuno…ora…ora mi passa…”

Greg serrò gli occhi, combattendo contro la nausea ed il dolore che lo attanagliava, mentre la Cuddy gli parlava…

Non riuscì a capire una sola parola, ma sentì la sua presa attorno al suo braccio, lo stringeva forte…

 

“Non è normale e lo sai! Devi fare quella maledetta chemio!”

La Cuddy era furibonda.

Greg sprofondava nella poltrona si fronte la scrivania del Decano di Medicina,  ancora molto pallido.

“N-non ho alcuna intenzione di sentirmi uno schifo dopo ogni ciclo. Mi tengo i miei tormenti, grazie tante.”

“Perché ami essere un uomo tormentato e complessato? Perché hai paura di stare bene?”

“Non sto bene con la chemio!”

“Ti può guarire, maledizione! Hai avuto un tumore. Devi farla, c’è il rischio che il tumore ricompaia, che…”

“Me la caverò! E poi con la chemio sto anche peggio…”

“Già perché oggi pomeriggio eri l’immagine della salute! Non riuscivi neanche ad alzarti in piedi. È stato come ritornare agli inizi, quando hai scoperto di avere il tumore.”

“E’ stato solo un momento, accidenti! Non ho intenzione di fare quella maledetta chemio e si azzardi a dire a James di oggi pomeriggio…”

“Che fai? Mi vomiti addosso? House, sei uno straccio!”

“Me la posso cavare.”

La Cuddy lo guardò e vide davanti a sé un uomo distrutto.

“Vuoi cavartela da solo per puro spirito d’indipendenza o perché non vuoi che ci preoccupiamo? Che James si preoccupi?”

“Lascialo fuori. Non c’entra.”

“Hai bisogno della chemio, anche se la detesti. Devi stare bene.”

Greg non si mosse. Poi lentamente scosse la testa.

“Tieni la bocca chiusa con James. È già stressato di suo.”

La Cuddy sospirò.

“Cambiamo discorso, ok?”

“Festa…”

Il diagnosta alzò gli occhi al cielo.

Appena ieri la Cuddy l’aveva costretto a compilare gli inviti per gli altri amici di James.

Inviti che Greg aveva volutamente sbagliato a scrivere perché non gli andava giù questa cosa…

E che la Cuddy aveva dovuto compilare di nuovo.

“Per Stacy e Mark.”fece la Cuddy, compilandone uno.

Aveva chiamato House nel suo ufficio con un pretesto ed ora la scrivania era inondata di fogli.

“No. Non li voglio in casa mia.”

La festa l’avrebbero fatta lì.

“Non fare il bambino. Non la vedi da anni.”

“Già ed appena la vedrò sarà colpo di fulmine di nuovo. Per lei ovviamente. Vuoi fare questo a James? Coinvolgerlo in una lotta all’ultimo sangue per me?”

Greg prese l’invito e fece per stracciarlo, ma la Cuddy fu più veloce e glielo strappò di mano.

“No. Sono amici di James.”

“E vengono a casa mia. No.”

“Hai paura di ciò che potrebbe pensare Stacy se sapesse che tu e James…”

“Se sapesse che si è accampato da me…Già , che gran segreto…”

“Se sapesse che state insieme.”

“Non stiamo insieme. Andiamo solo a letto insieme.”

“Convivete da mesi, siete inseparabili sul lavoro e non, avete una relazione…”

“E’ il mio migliore amico.”

“Compagno.”

“Non mi piacciono le etichette.”

“Lo prendi in giro chiamandolo “tesoro”. Me l’ha raccontato.”

“Sono bravo a scherzare.”

“Perché mi stai aiutando, se non lo ami?”

“Tu faccio un favore e poi ti ricatto quando ho bisogno di qualcosa.”

La Cuddy aveva alzato gli occhi al cielo.

Aveva già mandato gli inviti ed ora tormentò Greg per sapere tutti i gusti del loro amico.

“E non hai intenzione di pensare all’intrattenimento? Nessuna spogliarellista?”protestò Greg.

“Per te o per lui?”

“Per lui, ovviamente.”

Ghignò.

“Niente spogliarelliste. Non fare guai. Devi solo tenerlo lontano per un po’ di tempo da casa. Dammi le chiavi e chiedo aiuto a Cameron per organizzare tutto.”

“La crocerossina in azione.”

“E’ amica di Wilson, come Chase e Foreman. Sei solo tu che sei incapace di crearti amicizie.”

“Sono un tipo complicato. Alle donne piace.”

“Ed anche a lui.”

“Lui mi ama.”

“E non ne approfittare.”

Greg la guardò.

“No. Affatto.”

Era tremendamente serio.

 

Greg chiuse gli occhi, steso sul pavimento, le cuffie nelle orecchie.

Si lasciò avvolgere dalla musica, il cielo che si faceva sempre più scuro, mentre il dolore alla gamba l’attanagliava.

La testa era un po’ indolenzita…

Ingoiò una manciata di pillole e serrò gli occhi.

Riuscì ad avvertire che qualcuno era entrato solo quando gli gettò di lato una cartella clinica.

Sobbalzò ed aprì gli occhi.

James era in piedi accanto a lui e lo guardava. Sembrava distrutto.

Greg si tolse le cuffie dalle orecchie.

“Mi serve un consulto.”disse l’oncologo.

“A te serve un letto. Senza me dentro, stavolta. Sembri uno che è appena passato sotto uno schiacciasassi.”

Era stanchissimo e si vedeva moltissimo.

“Lo sembreresti anche tu se avessi fatto 4 ore d’ambulatorio. Sono stanco.”

“Allora riposati.”

“Ho troppe cose da fare, ancora. Dai un’occhiata a quella cartella, per favore?”

James si sedette sul pavimento con lui e lo guardò mentre apriva la cartella e le dava un’occhiata.

“Eclampsia.”mormorò Greg.

“Come pensavo. Grazie.”

James fece per alzarsi, ma Greg lo bloccò, afferrandogli il braccio.

“Che c’è?”

“Devi correre a coccolare la tua paziente?”

“Direi che devo andare a comunicarle la notizia.”

“Sei stanco.”

“Non preoccuparti.”

“Figurati. Ma sei crolli di sonno in macchina…”

“Fidati. Non ti metterei mai in pericolo.”

James si chinò su Greg e lo strinse a sé, forte.

“Stai bene?”sussurrò l’oncologo.

“S-sì. Perché?”

“Sei fragilissimo. Ho paura di stringerti forte.”

Greg lo guardò, stupito.

“Sei poetico, stasera?”

“Sei troppo debole.”

“Sto bene. È tardi, sarò stanco.”

“Non c’entra la stanchezza.”

“Cosa c’entra, allora, oncologo delle meraviglie?”

“La chemio che non fai.”

“Starei peggio.”

“E poi miglioreresti. Così invece non stai facendo che peggiorare.”

Greg tacque.

“So badare a me stesso.”

“Hai avuto bisogno di me.”

“Me la sarei cavata anche senza il tuo aiuto.”sbottò, irritato. “Come ho sempre fatto.”

James lo lasciò andare e si alzò.

Lo fronteggiò.

“Vuoi ricominciare a farlo di nuovo? Basta dirmelo! Posso stare lontano da te. Se servisse a farti stare meglio, non ci penserei due volte.”

Greg s’alzò, barcollando.

“Non ci riusciresti.”ghignò.

Era irritato.

“Ci sono già riuscito.”

“Ora non ce la faresti. Mi ami troppo per ferirmi.”

“Non ti farei assolutamente nulla. Non te n’importerebbe.”

Greg tacque.

Era una bugia.

Combatté contro il suo maledetto orgoglio.

“Sai che tengo a te.”mormorò.

Dire quelle cose così scontate, gli costò moltissimo.

“No. Non lo so. Non so un accidenti!”

“Ma che diavolo stai dicendo?”

“Non so nulla, ok? Non so cosa pensi, cosa fai, cosa provi…assolutamente nulla. Su questa storia, su di me…sei un enigma! E ne sono stufo!

Vorrei solo avere qualche certezza da te, ok? Vorrei solo sapere cosa ti passa per la testa, se mi stai “usando”, se tieni a me, cosa faresti se io dovessi mollare tutto…Solo questo.”

“Questo è tanto.”

James fece per andarsene.

Greg l’agguantò per il braccio e lo spinse contro il muro, ponendosi a pochi centimetri dal suo viso.

Appoggiò le mani ai lati del suo viso, mettendolo in trappola.

“Vuoi delle certezze da me?”

James non riusciva a parlare. Aveva la gola secca.

Si limitò a fare un cenno del capo.

Greg s’avvicinò al suo viso, posando la fronte contro la sua.

“E’ solo sesso.”disse James. “Vero? Solo quello?”

“Quello aiuta, e molto, ma non credo.”

“Quello che mi fa stare più male è che se tutto questo dovesse finire male, ti perderei. Per sempre. Non potremo mai più essere quelli di prima. Mai più migliori amici, lo capisci? Non potremmo dimenticare tutto. Io non ci riuscirei.”ammise.

“E’ questo che temi? Di perdermi?”

“E’ la mia più grande paura, sì.”

Tacquero.

“Siamo rimasti invischiati, Greg.”

“Ed io non voglio liberarmi.”

E lo baciò.

Fu un bacio incredibile, carico di promesse, di speranze, d’amore.

James gli circondò il collo con le braccia e lo strinse a sé.

Mordicchiò le sue labbra, le assaporò, percorso dai brividi.

“Dimmelo. Solo stavolta.”mormorò, contro le sue labbra.

“No.”

“Perché?”

“Tu l’hai detto tante di quelle volte che ha perso importanza ormai. Non voglio dirlo.”

James fece per allontanarsi da lui, ma Greg lo teneva bloccato.

“Stai dicendo che non provo nulla, che non ti am…”

“Solo che lo dici spesso. Non che non mi ami.”

“La differenza?”

“So cosa provi. È inutile ripeterlo.”

“Meglio fatti che parole?”

“Meglio baci che parole.”

 

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Capitolo 33
*** Lo ammetto: ho bisogno di te... ***


La Cuddy entrò nell’ufficio di Greg, due giorni, trovandolo coinvolto in una diagnosi differenziale con il suo staff.

“Posso parlarti?”

“Se hai intenzione di parlare della scorsa notte, ti comunico che non ho alcuna intenzione di ripetere l’esperienza. Troppo traumatizzante.”fece lui, con un ghigno.

Foreman, Chase e Cameron alzarono gli occhi al cielo.

Erano abituati alle uscite idiote del loro capo.

“Niente affatto.”

“E se vuoi fare sesso con qualcuno chiedi a Foreman. Lui è libero.”

“Non voglio chiedere nulla del genere, House!”

“Non ha nulla a che fare con te?”chiese lui, speranzoso.

“Si tratta del tuo compagno.”

Greg tacque, smettendo di scherzare e tutti concentrarono gli occhi sulla Cuddy.

“Cos’è successo?”chiese, serissimo.

“Ha appena picchiato un paziente.”

“Cosa? Wilson ha picchiato un paziente?”esclamò Cameron, sorpresa come tutti.

“Poco fa. In ambulatorio. Probabilmente era seccante o cose del genere e…”

“Ma cosa diavolo gli è saltato in mente?”

Greg era stupito.

“Beh…tu non sei nuovo a queste cose.”fece Foreman.

“Lui sì, però.”

“Il paziente non sporgerà denuncia, ma devi parlare con Wilson. Non l’ho mai visto così…nervoso, irritato…

È stressato, sfiduciato. Due giorni fa è morto un bambino di 5 anni, suo paziente. Te l’ha detto?”continuò la Cuddy.

Greg scosse la testa.

“Immaginavo.”

“Perché?”

“Perché non vuole stressarti con le sue preoccupazioni o problemi.”

“E’ un idiota.”

“Sei egocentrico. Può darsi che non gli abbia lasciato spazio per…”

“Stai dicendo che ora la colpa è mia? Se è fuori di testa?”

“House!  Non so di chi sia la colpa o se sia di qualcuno!”

“Ed allora sta zitta se non sai un accidenti!”

Tacquero.

“So che…”

“Sai? Cosa sai?”

“So che sei cambiato.”

“Io non sono affatto cambiato. E se vuoi te lo posso anche dimostrare.”

“No. Hai ragione. Bisogna seguire la tua teoria: le persone non cambiano. È vero. Non nelle cose importanti. Ma ti sei preoccupato per James quando ho detto che si trattava di lui.”

Greg non rispose.

“Saresti sempre disposto ad uccidere un paziente per dimostrare una tua teoria, o inventarti cose surreali ed operazioni folli. Sei sempre lo stesso Gregory House, folle, che ho assunto. Ma sei cambiato nei suoi confronti. L’hai ammesso nella tua vita.”

“Già faceva parte della mia vita. È il mio migliore amico, ricordi?”

“Non così. Ti chiedo solo di stargli vicino. Di capire cosa gli sta succedendo. Se dipende da te o dalla morte del padre o…qualsiasi cosa…

“Come vuoi. Ma lo finisci di risolvere tu questo caso. L’hai già spedito nel reparto psichiatria?”

“E’ ancora in ambulatorio.”

“Strano che tu non lo abbia ancora legato a qualcosa. O credi lo faccia io nel tempo libero?”ghignò lui.

“Sparisci, House.”

 

 

“E’ permesso, tesoro?”

Greg entrò nella Sala 1 dove James stava visitando una paziente.

L’oncologo si limitò a fulminarlo con lo sguardo ed a controllare il battito della paziente.

“E’ tutto ok. Si è presa solo un bello spavento. Tutto qui.”le disse.

“Sì. Capita spaventarsi ed il nostro cuore fa una cosa strana, sa? Accelera i battiti. Che cosa affascinante e strana, vero, tesoro?”intervenne Greg, gelido e la paziente uscì, accigliata.

“Vuoi finirla?”

“Ah, perché ti secca?”

“Vuoi far sapere a tutto l’ospedale che ci frequentiamo?”

“Credo già lo sappia. Se Cameron non ha affisso i manifesti, mi stupisco di lei.

Perché? Te ne vergogni?”

Gli s’avvicinò.

“No, idiota. Mi da solo fastidio che…parlino.”

“E tu lasciali parlare.”

Greg posò le labbra su quelle di James, catturandole con un bacio.

James si staccò dopo pochissimo.

“Và via. Devo lavorare. Mi distrai.”

“Era quello l’obiettivo.”

“Ed allora vai a distrarre qualcun altro. Ho un sacco di lavoro arretrato.”

La Cuddy mi ha detto che hai picchiato un paziente.”

“Gli ho chiesto scusa. È tutto ok. Torna al tuo ufficio.”

“Cosa diavolo ti è preso?”

“Sai, non sei esattamente la persona più adatta a rimproverarmi.”

“Non è da te.”

“Ci sono un sacco di cose che non mi sarei aspettato da me in questi mesi. Ad esempio fare sesso con te. Quindi…”

“Scelta tua.”

“E non me ne sto pentendo, infatti. Ora te ne vuoi andare?”

“Vieni via da questo posto. Andiamo a pranzo.”

“Non ho fame. Dovrai mangiare da solo, oggi, mi dispiace.”

“Perché non mi hai detto del tuo paziente?”

“Di chi?”

“Del bambino che non sei riuscito a salvare.”

James tacque, irrigidendosi.

“L’hai detto anche tu per mio padre. Sono cose che capitano. Era inutile parlartene.”replicò, asciutto, ma Greg avrebbe giurato di aver visto i suoi occhi inumidirsi.

“E da quando hai estromesso questi particolari dalle nostre conversazioni?”

“Da quando non ho voglia di parlarne!”

“Perché?”

“Perché diavolo devi chiedere sempre il perché di tutto? Ci sono cose inutili delle quali non voglio parlare. Perché t’interessa? Solo per soddisfare la tua maledetta curiosità?”

“Sono fatto così! E non sono cose inutili se ti fanno soffrire...”

Era sincero per una volta.

“Sto bene, House! Perché diamine ti preoccupi per me? Dovresti pensare a te, a riprenderti…”

“Sto bene! Sei tu quello che sta cadendo a pezzi! La Cuddy è…”

“Scommetto che ti ha mandato lei a parlarmi.”

“E’ stata lei a dirmi tutto. Cosa che tu non hai fatto!”

“Perché non era importante!”

“Hai perso la testa!”

“La mia testa è a posto! Sto benissimo. Sono felice, ok?”

“Già, sei l’immagine della felicità!”

“Cosa vorresti dire?”

“Stai soffrendo e non vuoi ammetterlo.”

“Sono stato mesi terrorizzato all’idea di vederti morire, mi sono innamorato del bastardo che sei e per poco non sei morto mentre tentavo di rianimarti. Poi è stata la volta dei tuoi genitori e di quel maledetto ordine, del tuo cuore che stava cedendo e tu che eri troppo idiota per fidarti di chiunque altro che non fosse di te stesso. E poi è stata la volta di mio padre, della sua morte, del suo funerale, di mio fratello che ti ha picchiato, del bambino di soli 5 anni che non sono stato in grado di salvare e contavano su di me…

Ed oggi di quel idiota del paziente che non la finiva più d’assillarmi…

Cosa cazzo dovrei fare? Mettermi a piangere? L’ho fatto e c’eri anche tu. Rompere cose? L’ho fatto!

Ora cosa diavolo pretendi da me?”gridò, avvicinandosi ad ogni frase a Greg.

Ora erano vicinissimi, i loro visi quasi si sfioravano e James era sull’orlo di una crisi, gli occhi umidi.

“Tira il freno. Rallenta.”sussurrò Greg, fin troppo stupito da quello sfogo.

Non si era reso conto di tutto quello che aveva dovuto patire il suo migliore amico in quei mesi.

“Non posso, ok? Ho troppe cose cui pensare, da fare e…”

“Che possono aspettare.”

“Non posso! Ora, ti prego, lasciami con i miei pazienti! L’ha fuori c’è la fila di persone che aspetta una mia visita. E ho 5 visite per oggi pomeriggio ed un mio collega mi ha chies…Uh!”

Fu un attimo.

James barcollò arretrando, portandosi una mano al capo, colpito da un violentissimo capogiro.

“James…Cosa ti succede?”

Greg l’afferrò per un braccio, ma l’oncologo l’allontanò.

“N-nulla. S-solo un capogiro…”

S’appoggiò allo scaffale dei medicinali, posando la fronte sul freddo metallo, tentando d’attenuare il dolore che provava.

Greg s’avvicinò, ma, come prima, James l’allontanò.

“Vai. E fa entrare un altro paziente.”disse, controllando la voce.

“Non visiterai nessuno in queste condizioni. Potresti ammazzare qualcuno.”

“Sparisci dalla mia vista, House! Sto bene! Vai via!”disse urtato, la voce flebile.

Lasciò la presa sullo scaffale e gli fece cenno di andarsene, spazientito.

Greg sbuffò, s’avviò alla porta.

E poi un secondo capogiro, ancora più violento del primo, colpì l’oncologo.

Sbam

Greg si voltò di colpo e lo vide a terra.

“JAMES!”

Gli fu accanto in un attimo, controllandogli polso e battito.

Il cuore batteva più lentamente del solito e James era pallidissimo e la sua pressione era precipitata pericolosamente…

Zoppicò velocemente alla porta e l’aprì.

“Qualcuno porti il carrello d’emergenza! Il Dr Wilson è svenuto!”gridò, afferrando dal cassetto delle siringhe una contenente Epinefrina, per accelerargli il flusso del cuore.

“Ed ora chi è che ha bisogno di aiuto…”disse, fissando il volto del compagno, preoccupato.

 

“Esaurimento nervoso. E non sono affatto stupita.”

Greg lanciò uno sguardo alla Cuddy, prima di concentrarsi nuovamente sul suo videogame.

James era stato ricoverato e loro vegliavano su di lui.

“Sembra stare meglio.”constatò la dottoressa.

“Dorme, è sotto sedativi ed è stata Jess di oncologia a spogliarlo ed ad infilargli il camice. Anche io starei bene al suo posto.”ribatté Greg, riferendosi all’infermiera famosa per le sue generose prosperità.

“Sei il solito.”

“Uhm…”

Greg continuò a giocare.

“Quando inizierai a crescere?”

“Quando mi preoccuperò e mi occuperò di qualcuno…Ops, lo sto già facendo!”disse, irritato.

Era preoccupato sul serio.

“Scusa, io…”

“Lascia perdere. Impediscigli di lavorare. Da a qualcuno le sue ore di ambulatorio ed alleggeriscigli il peso dei pazienti. O ce lo ritroveremo sul serio del reparto di psichiatria.”

“Hai ragione.”

“Come sempre. Solo tu ne dubiti ancora.”

“Almeno c’è la festa. Così si distrarrà un po’…”

Cadde il silenzio, interrotto ogni tanto dal suono del videogame di Greg.

“Ti lascio solo con lui. Se si sveglia, o succede qualsiasi altra cosa…”

“Ti avvertirò. Lo so...”

Greg rimase seduto a fissare il volto del compagno. Sembrava veramente distrutto.

Tentò di concentrarsi sul suo videogioco, ma fu completamente inutile. I personaggi, le istruzioni di gioco…gli guizzavano dinanzi gli occhi, senza avere alcun senso…

Lo gettò, infastidito in un angolo, dove si spense con un rumore acuto.

Vide James agitarsi e, preoccupato, gli s’avvicinò.

L’oncologo aprì gli occhi lentamente.

Posò lo sguardo sul compagno ed abbozzò un debole sorriso.

“E-ehi…”

“Idiota.”

“C-ciao anche a te.”

“Quando imparerai a darmi ascolto?”

“S-sto bene…”

“Certo. Sei svenuto perché non avevi di meglio da fare, eh?”

“G-greg….ti prego…sto b…”

“Zitto. Prova a dirlo ancora una volta e potrei anche non rispondere delle mie azioni.”

James tacque.

“Avevi la pressione così bassa che sei svenuto. E non significa stare bene.”

“E’ successo solo una volta.”

“Aspettiamo che tu venga prima investito da una macchina e ne riparliamo, ok?”

“E qual è la tua mossa, genio?”

“Io? Io non farò assolutamente nulla.”

Greg si sedette sulla poltrona accanto al letto e prese in mano in cellulare.

“Aspetterò di vedere cosa farai tu.”

“Ce la faccio.”

“Buon per te.”

James s’alzò lentamente e gli s’avvicinò, appoggiandosi allo schienale della poltrona.

“Cosa vuoi che faccia?”gli sussurrò all’orecchio.

“Tira il freno.”

“E vado in vacanza alle Maldive?”

“Se vengo con te, sì.”

“Greg…”

Il diagnosta si alzò, fronteggiandolo ed appoggiandosi al bastone.

“Ammettilo. Hai bisogno di aiuto.”

James chiuse gli occhi.

“Cosa vuoi che faccia?”ripeté.

“Spetta a te decidere.”

“Fallo tu.”

Greg rise.

“Ti fidi più di me che di te?”

“Ora sì. Non so cosa mi stia succedendo.”

S’avvicinò.

“Rimani a casa. Riposati. Parla con qualcuno. Parla con me.”

James annuì ed afferrò le sue mani, stringendosi a lui.

Greg, stupito, gli batté una mano sulle spalle.

“Ti è ancora difficile?”chiese James.

“Fare che? Sai che per me, nulla è difficile.”

“Abbracciarmi. Fare queste cose “sdolcinate”.”

“Sì. Molto. Ma sei m’applico sono bravo, vero?”

“Sei perfetto…”

James chiuse gli occhi, respirando il suo odore. Si sentiva così tranquillo quand’era con lui, così bene, così protetto…

Sentì le lacrime rigargli le guance, senza neanche essersene reso conto.

Tentò di asciugarle in modo che Greg non le vedesse, ma il diagnosta abbozzò un ghigno.

“Fregatene.”

James si chiese dove fosse l’amico che di fronte a manifestazioni di debolezze non faceva altro che prendere in giro ed essere pungente.

“Non cambiare.”gli disse.

Non voleva. Non per lui.

“Cosa?”

“Non comportarti diversamente con me. Non farlo. Non voglio. Non per me.”

“Non sono cambiato. Cerco solo di fare meno il bastardo…con te.”

“Perché?”

“Perché crolleresti. Perché rischi di impazzire. E non riuscirei a reggerti…”

Quanto era maledettamente vero.

Strinse le braccia attorno alla sua schiena e posò il viso contro la sua spalla.

“Mi sa che la Cuddy ti vuole mandare da uno psicologo. Dice che non stai superando ciò che è successo.”

“Dille di smetterla di preoccuparsi.”

“Anche secondo me non stai superando un bel niente.”

“Se parli di mio padre, ci sto provando, ok?”

Tentò di sciogliersi dall’abbraccio, ma Greg gliel’impedì.

“Sono passati pochi giorni. Ed hai pianto solo una volta. Non ne parli mai e…”

“Non lo sai.”

“Viviamo insieme, andiamo a letto insieme…ci ritroviamo persino in bagno insieme! Come fai a dire che non lo so?”

“Sto cercando di andare avanti.”

“Evitando di pensarci?”

“Non sei nella mia testa…grazie al Cielo.”

“Molto divertente. Segui i consigli della Cuddy. In questo momento mi sento la persona più inadatta per stare con te.”

“Stronzate.”

“Non sono precisamente la persona più sensibile del mondo. Ma posso prestarti la Cameron. Ti saprà confortare meglio di me.”

“Greg? Fammi un favore: la prossima volta che ti viene in mente una sciocchezza del genere, sta zitto e non la dire, ok?”

Greg rafforzò la stretta.

“Va bene.”

 

Era in momenti come quello che James Wilson si rendeva conto di come sarebbe stato impossibile andare avanti senza Gregory House.

Aveva bisogno di tranquillità e di tirare il freno ed anche se Greg House era l’esatto opposto della persona tranquilla…beh…aveva sviluppato una tale condizione di dipendenza da lui, che allontanarsi sarebbe stato impossibile.

La Cuddy l’aveva obbligato a prendersi un periodo di riposo e Greg, che forse sotto sotto aveva capito che parte dello stress era dovuto alla sua malattia ed a ciò che n’era seguito, rimaneva con lui.

La Cuddy ti ammazza, se salti ancora l’ambulatorio. E non puoi ignorare le chiamate dei tuoi assistenti per sempre, sai?”rise James.

Era steso sul divano accanto al compagno, gli occhi chiusi.

“Sì che posso. Potrei gettare il cercapersone dalla finestra!”

“Talmente che sei preoccupato per me? Mi ami così tanto?”lo prese in giro James.

“Affatto! Pensavo solo di prendermi un anno sabatico.”

“Impazziresti. Non ce la faresti!”

“Sarebbe divertente. Andare in giro e fare stronzate…”

“Che fai anche qui!”

James rafforzò la stretta attorno alla vita di Greg e posò il viso contro il suo collo.

“Stai bene? Sei troppo affettuoso oggi.”

Greg lo guardava interrogativo, ghignando, ma quando James fece per sciogliersi dall’abbraccio, lo trattenne.

“Non ho detto di andartene.”

“Anche perché questo è il mio ufficio.”

Risero, stretti l’uno all’altro.

“Dicevi sul serio? Dell’anno sabatico?”mormorò James.

“Mmm…Forse. Mi annoio a starmene qui. Sono un tipo attivo, io?”

“E cosa vorresti fare, sentiamo! Scalare le montagne o riprovarci con gli scii?”

“Il bunging jumping!”

James scoppiò a ridere.

“Te lo proibisco! Saresti un pericolo pubblico, per te e per quelli che ti circondano!”

“Sarebbe fico!”

“Ci sono un sacco di cose “fiche”, che non includono il rompersi l’osso del collo!”

“E far morire te di crepacuore!”

“Già. Ma andarsene via, lontani da tu…”

“Lontani? Chi ha detto che ti porterei con me?”ghignò Greg.

James alzò lo sguardo su di lui, incrinando appena un sopracciglio come a voler dire “a chi vorresti darla a bere, eh?”.

“Non ti porterei con me, James. Te lo giuro. Sei un tipo troppo tranquillo per fare le cose che ho in mente.”

Greg ghignava.

“Se intendi andare in giro per locali ed ubriacarsi o stare con le prostitute…beh…”

“Intendo cavalcare le rapide in canoa, andare in Perù e visitare Machu Picchu…”

“Ce la farei. Non sono così provinciale e cittadino!”

Greg rise.

Si guardarono per un lungo attimo, tacendo.

Poi James gli fece uno sguardo supplichevole, prendendolo in giro e sedendosi sul divano, al suo fianco.

“Non mi convinci. Se fai così mi dai so…”

James posò le mani ai lati del suo viso, intrappolandolo.

L’oncologo si chinò lentamente su di lui, sfiorandogli le labbra con le sue.

“Portami con te, ok? Altrimenti troverò un modo per vendicarmi.”rise contro le sue labbra.

Sapeva che non sarebbe mai andato via senza di lui. Niente e nessuno gli dava una certezza simile, ma lo sapeva e basta.

Lo baciò con dolcezza, godendosi quel bacio attimo per attimo.

Quando si allontanò Greg ghignava.

“Togliti quel ghigno dalla faccia, Greg!”

Il diagnosta rise.

“Hai bisogno di un apprendistato sulla coercizione. Davvero. Per convincermi ci vorrà molto di più di un bacio.”

“Andiamo!”

Si guardarono nuovamente per un lungo istante, occhi castani contro occhi azzurro cupo.

James deglutì a vuoto. Perché diavolo gli faceva sempre quest’effetto guardare Greg?

Erano mesi che si frequentavano, non avrebbe mai smesso di esplodergli il petto?

Greg l’afferrò per un braccio, tirandolo su di sé, interrompendo il contatto.

Aveva visto James fremere al suo sguardo, come ogni volta.

E, anche se non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura, gli era difficile interrompere quel legame di sguardi.

Sentì la presa di James farsi più forte attorno a lui.

“Ti porterei, ok? Ma dovresti fare il bravo…”lo prese in giro.

“Mft! Io?”

“Lasciamo perdere. Sarebbe divertente vederti alle prese con le rapide o con la scalata del monte Huayna Picchu.”

“Già, divertentissimo! Saprei chi incolpare della mia morte! Saresti davvero intenzionato ad andare in Perù?”

“Direi di sì. Mi darei alla scalata di un monte.”

“Con la tua gamba non ti allontaneresti dall’albergo.”

“Farei questa follia.”

“Già, immagino.”

James alzò lo sguardo su di lui. Stava scherzando od era davvero intenzionato a partire?

 

Greg passò le giornate che lo separavano dalla festa, tallonato dalla Cuddy, che gli chiedeva consigli e dai suoi assistenti, che lo assillavano con le loro idiote ipotesi…

A dirla tutta, quello era un periodo che non riusciva a stare in ospedale; lo annoiavano i soliti casi, fin troppo semplici per il suo genio, ed il fatto che James non lavorasse.

Era privo del suo giornaliero sfizio, gli mancavano le sue entrare in scena in ambulatorio o nel suo ufficio, prendendolo in giro apertamente e pubblicamente ed i loro consulti.

La cosa divertente di avere James in ospedale era lavorare con lui.

Ed ora nulla e s’annoiava.

L’idea dell’anno sabatico non lo turbava molto, anzi l’allettava. Sarebbe stato divertente andarsene per un po’, da tutto e da tutti.

Fuggire via..con James? Con il suo migliore amico, il suo compagno?

Sì, l’avrebbe fatto e visto anche la determinazione di James, l’avrebbe fatto anche lui.

 

“Come sta?”

“Sono stufo di questa domanda, sai? Sta morendo, ok?”

“Smettila. Se così fosse tu non te ne staresti a girovagare per i corridoi.”

“E chi te lo dice?”

“Il fatto che sei innamorato di lui?”

La Cuddy bloccò House fronteggiandolo.

“Sta bene, si sta riposando e pensa ai campi fioriti. Ora mi lasci andare?”

“Abbiamo fatto la cosa giusta?”

“Se parli della scorsa notte…direi di no! Sono ancora traumatizzato!”

“Parlo della festa.”

“Idea tua. È tua la colpa se va male.”

“E per James che sono preoccupata, House! Non per la festa!”

“Starà bene.”

“In questo momento è fragile…ce la farà a…”

“Stare ad una festa? Mmm…”

“Affrontare tutti. Verranno anche i suoi parenti ed i suoi amici. E ci sei tu. State insieme, Greg.

Ce la farà a…”

“Non tutti sanno che…”stiamo insieme”. E non c’è bisogno di dirlo. E poi ce la farebbe. Smettila di preoccuparti. Ti fai venire le rughe…”

Ci mancava solo il capo preoccupato…

“Hai pensato al regalo?”

“Cosa? Che regalo? Non basta la festa che tu mi hai convinto ad organizzare?”

“Convinto, hai detto bene. Potevi anche rifiutarti.”

“Dovevo avere qualcosa da fare. Mi annoiavo.”

“Nessun regalo?”

“Non sono il tipo che festeggia i compleanni. O le feste in generale. Sono una stupidaggine.”

“E’ solo un’occasione per essere felici, per stare con gli amici…Solo tu riesci a vederci qualcosa di male.”

House fece una smorfia, limitandosi a scrollare le spalle.

“Pensa al regalo.”

“Se lo portassi con me in giro per il mondo?”propose House, sogghignando.

L’idea l’aveva solleticato più volte da quando ne avevano parlato.

Ma era troppo folle, troppo da irresponsabili…

Ma in fondo, quando mai ci aveva fatto caso a cose del genere?

“Me lo riporteresti in una bara. Nessun regalo pericoloso. Già stare con te è una sfida continua ed un costante pericolo.”

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Capitolo 34
*** Assolutamente ***


40 anni.

James si svegliò quella mattina con questa consapevolezza: aveva compiuto 40 anni.

Richiuse gli occhi, rendendosi conto che alla fine non gli importava granché dei compleanni.

Forse stare con Greg gli aveva fatto quest’effetto.

Lo sentì muoversi accanto a lui, sotto le coperte ed aprì gli occhi.

“B-buongiorno.”sussurrò.

Greg, il viso affondato nel cuscino, si limitò a mugugnare ed a voltarsi verso di lui.

Il suo sguardo azzurrino parve traversarlo da parte a parte e James fu preso dai brividi.

“Freddo o sono io?”mormorò Greg, accortosene.

“Sei sempre tu.”

L’altro rise, traendolo a sé per un bacio decisamente poco casto.

“Mmm…focoso oggi, eh?”lo prese in giro James, quando Greg, si sistemò sopra di lui, intrappolandolo nella sua presa.

“Voglio inaugurare alla meglio questa giornata.”

Si riferiva al compleanno?

James lo escluse; sapeva benissimo che Greg detestava i compleanni.

Ma si rese conto, quando sentì i suoi baci roventi sul collo, che il motivo non gli fregava granché…

Era iniziata decisamente nel migliore dei modi quella giornata…

 

“Auguri, Dr Wilson!”

“Grazie, Janice.”

James sorrise ad un’infermiera nell’atrio.

“Buon compleanno, James!”

La Cuddy sorrise e l’abbracciò, mentre Greg alzava gli occhi al cielo.

La dottoressa se ne accorse e sbuffò, staccandosi da James.

“Non fare il guastafeste, almeno per oggi! È il compleanno di James.”

“Anche quello del premio Nobel Leon Cooper! Dovrei fargli gli auguri?”

“Se hai il suo numero nel cellulare, cosa di cui dubito, sì! Ed anche a Jam…”

James rideva. Era divertente vederli bisticciare.

“Lascialo in pace, dai. Non importa. Sai che non importa.”

La Cuddy lanciò un ultimo sguardo a House, sorrise a James e poi se ne andò.

“Sì che t’importa. Ora ne farai una questione personale.”fece Greg, sbuffando.

“Cosa?”

“IO che non voglio farti gli auguri.”

“Non me la sono presa.”

“Perché no?”

James si fermò e lo guardò.

Era stupito.

“Aspetta un secondo. Vuoi che mi arrabbi perché non mi hai fatto gli auguri?”

“No.”

“Ed allora cosa…”

“Ero curioso.”

“Mi farai impazzire un giorno di questi.”

Erano ormai all’ascensore.

James aspettò che le porte si chiudessero e che fossero da soli per tirarlo a sè per la giacca e baciarlo.

“Ti vergogni degli altri?”sussurrò Greg a pochi centimetri dalle sue labbra.

“Me ne frego. Ma mi secca baciare qualcuno in pubblico e non perché sei tu. Saresti l’unica persona che…”

“Ti faresti in pubblico?”

“Non sono così disinibito!”

Greg ricambiò il bacio proprio nel momento in cui le porte si aprirono dinanzi a Chase, Cameron e Foreman.

James e Greg si staccarono l’uno dall’altro, per niente imbarazzati.

“Buongiorno, paperotti!”salutò House.

“B-buongiorno.”fece Chase.

“Auguri, James.”

Cameron fece per abbracciare l’oncologo, ma incontrò a metà strada il bastone del suo capo che la bloccava.

“E’ un primario. Porta rispetto, dottoressina!”

Cameron arretrò, spiazzata, mentre Chase e Foreman si lanciavano uno sguardo significativo.

James intuì e guardò Greg.

Abbassò il sostegno del compagno e ghignò.

“G.E.L.O.S.O.”disse, sillabando.

Greg lo guardò, scettico.

“Per niente. Potresti anche fuggire con lei, ora. Non mi interesserebbe. Solo Chase perderebbe la sua compagna di letto, ma per il resto…”

“Bugiardo.”

Non fu solo James a dirlo, ma anche gli altri tre.

Greg alzò lo sguardo al cielo, sbuffando.

Quando riabbassò il capo, lo colse un violento capogiro.

“HOUSE!”

Sentì braccia familiari afferrarlo e l’odore di James avvolgerlo.

“Ma cosa diavolo? Cos’hai?”

Era agitato.

“S-s-olo un capogiro.”

James, aiutato da Foreman, lo sorreggeva per evitare che cadesse.

“Nell’ufficio. Aiutami, Foreman.”

Quando Greg sprofondò nella sua poltrona era ancora pallidissimo.

“E’ la prima volta che hai capogiri?”

“No, Dr Wilson. Credo che si ricomparso il tumore, sa?”

“Smettila di fare l’idiota! Potrebbe riformarsi e lo sai! Specialmente se non fai la chemio.”

“Quella falla tu!”

Greg aveva gli occhi chiusi, raggomitolato di lato sulla poltrona.

I suoi collaboratori lo guardavano, ansiosi.

“Sparite. Non sto morendo.”sbuffò Greg, come se si fosse accorto dei loro sguardi, anche con gli occhi chiusi.

“Potresti. Ti pre…”

“James, chiudi il becco. Sto bene. È successo solo stavolta. Sto benissimo. Sprizzo vita da tutti i pori. Sono in grado di scalare un monte.”

“Già, se sei legato ad una barella, sì, certo! Ho saputo che hai saltato 5 incontri questo mese. 5 su 9.”

“Non vado d’accordo con la chemio. Lo sai.”

“Con la bara sì? Dimmi come la preferisci. Te la ordino da subito.”

James era sarcastico, ma era terrorizzato che stesse male come mesi prima e vederlo fragile e con gli occhi chiusi dinanzi a lui, non aiutava a distoglierlo dalle immagini del passato, anzi…

“Greg…Ti prego.”

Greg aprì gli occhi.

“Non mi supplicare. Mi fai pena, James.”

“Per favore. Fatti quella maledetta chemio. Promettimelo.”

“No.”

“Altri 4 incontri.”

“No.”

“Ti lascio.”

“No.”

“Sei un disco rotto?”

“No.”

Tacquero per un istante, poi scoppiarono a ridere entrambi.

James si sedette sul bordo della poltrona.

“Non mi lasceresti.”disse Greg.

“No. Ma ti anestetizzerei e ti farei risvegliare mentre fai la chemio.”

“Bastardo.”

“Lo faccio per te.”

“4. Solo questi ultimi. Non aumentare il numero. Se vuoi diminuirlo, però…”

“4. Promettimelo.”

“Va bene! Ora te ne vai?”

“Sì.”

James si alzò e rimase fermo dinanzi alla poltrona.

Pur con gli occhi chiusi Greg sapeva che era ancora lì.

“Ancora qui? Il tuo ufficio è fuori dal mio, per cominciare, poi devi andare…”

“So dov’è. Ti sto aspettando.”

Greg aprì un occhio e lo vide tendergli una mano.

Aprì anche l’altro occhio.

“Per far che? Ti vuoi approfittare di me? Qui non va bene?”

L’espressione di James era impassibile.

“1 ciclo. Ora.”

“Oh, te lo scordi!”

“Me l’avevi promesso.”

“Promesso no.”

“Hai detto “va bene”.”

“Ti ho dato ragione, è diverso dal promett…”

James l’afferrò per le  braccia e lo costrinse a mettersi in piedi.

Greg barcollò, aggrappandosi a lui.

“Ti detesto.”bofonchiò.

“E’ per il tuo bene.”

“E da quando in qua vado a letto con mia madre?”

“Andiamo.”

James si passò un braccio di Greg attorno al collo, aiutandolo ad andare nel Reparto Oncologia.

 

“T-ti odio. T-ti detesto. Q-questa te la faccio pagare cara!”

Greg era chiuso in un cubicolo del bagno, vomitando.

“Non potrai essere arrabbiato con me per sempre, Greg. È per la tua…”

“S-salute?”

“Fammi entrare, dai.”

“V-vuoi vomitare al posto mio? Se fosse possibile, ti cederei volentieri il posto.”

Greg guardò di sfuggita l’orologio da polso: le nove di sera. Probabilmente la Cuddy e gli altri erano già nel suo appartamento.

E sarebbe dovuto tornare a casa.

Se fosse stato in grado di alzarsi in piedi.

James bussò con insistenza alla porta del cubicolo ed, infastidito, Greg fu costretto a lasciarlo entrare.

“Fai dei respiri profondi. Ok?”

“Stai provando a farmi passare la nausea? È per la chemio, non aspetto nessun figlio, tranquillo.”

“Già, era stato quello il mio primo pensiero.”

James si inginocchiò sul pavimento, accanto a lui e lo trasse a sé, facendogli posare la testa contro il suo petto.

“Ti odio quando fai qualcosa per il mio bene.”fece Greg.

James rise, una risata che fece vibrare la cassa toracica dove Greg era appoggiato.

James l’abbracciava delicatamente da dietro.

“A-andiamo a casa.”

Greg fece un paio di respiri profondi e si alzò in piedi, reggendosi a James.

“Sicuro? Non vuoi prima riposarti?”

“No, altrimenti per colpa della tua brillante idea sulla chemio finirò per dormire in bagno. E non ci tengo affatto.”

 

“Non guardarmi così, Wilson! Sto benissimo!”

“Ma se dieci minuti fa stavi vomitando anche l’anima?”

James lo guardava apprensivo.

Tirò fuori le chiavi di casa ed aprì la porta…un secondo prima di essere investito da urla ed abbracci.

“Auguri, James!”

Per un attimo James Wilson non capì più nulla.

Riuscì a scorgere, appena aperta la porta di casa, visi e persone familiari, prima di essere investito da abbracci e grida.

Greg rimase un attimo sulla porta e la Cuddy gli corse incontro, dopo aver abbracciato James.

“Stai bene? Sei pallidissimo!”

Greg le fece un cenno, come per dire “non m’infastidire”, lo sguardo su James, che si ritrovava completamente circondato da amici, colleghi e parenti.

La sua casa, solitamente solitaria e vuota, era completamente piena di gente.

Per un attimo, come era già successo altre volte, si pentì di aver acconsentito a questa festa a sorpresa…

Se qualcuno gli avesse toccato il pianoforte non avrebbe oltrepassato da vivo la sua porta di casa!

James, completamente basito, si voltò verso la sua direzione e fece per raggiungerlo quando fu riacciuffato dalla folla e più precisamente da sua cugina Betty.

Greg ghignò quando lo vide avvolto nella folla.

S’appoggiò allo stipite della cucina, osservando da lontano gli invitati.

Non aveva voglia di una festa, di essere coinvolto…

Se ne stette in disparte, la testa reclinata all’indietro, gli occhi chiusi.

Sentiva chiacchiere, risate, battute, ma se ne voleva estraniare.

La nausea l’attanagliava e la testa gli girava violentemente.

Serrò gli occhi.

Poi sentì qualcuno avvicinarglisi e sfiorargli una spalla.

“Greg? Stai bene? Cos’è successo?”

Era la voce di…

La madre di Wilson?

Greg riaprì gli occhi di colpo. Fu una pessima mossa.

Sentì la terra mancargli da sotto i piedi e sentì Rose afferrarlo e trascinarlo su una sedia in cucina.

“Chiamo Jam…”

“Lo lasci stare. Sto bene.”

“Stavi solo svenendo!”

Greg teneva nuovamente gli occhi chiusi, ma era certissimo che la donna fosse accanto a lui con lo stesso sguardo apprensivo del figlio.

Ci mancava solo lei.

“Si vada a divertire. Lo faccia per suo marito. Faccia quello che lui non è riuscito a fare…”ribattè gelido.

Non voleva la compassione di nessuno.

Rose Wilson lo guardò, senza battere ciglio.

“Perché ti comporti così? Sto solo…”

“Compatendomi? Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno, di nessun consiglio o…”

“Stai male, Greg!”

“E non sono affari che la riguardano.”

“Sei il compagno di mio figlio. La situazione tocca anche me.”

“No, affatto. Non c’entra un accidenti. E poi non mi sembrava tanto entusiasta l’altra volta…”

Greg si piegò su se stesso, gemendo, colto da un’improvvisa fitta allo stomaco.

La nausea lo tormentava più che mai.

“Ero…anzi, sono in una situazione difficile. E poi tu non sei il genero che tutti vorrebbero.

Sei irritante, arrogante, presuntuoso, testardo, maleducato e fai di tutto per averla vinta. E James, invece, è gentile, premuroso, disponibile…

Siete agli antipodi.”

“E’ un modo bastardo per dire “Lascia  in pace mio figlio”?”

Genero? Mah!

Rose alzò gli occhi al cielo.

“E’ modo per dire che mi rendo conto di ciò che provate l’uno per l’altro, anche se siete le ultime persone che avrei visto insieme. Specialmente dopo le tre mogli di James.”

“G-già sono stupito anche io…”

“E si vede che tu sei innamorato di lui.”

“Naa. Io non so…”

“Anche se moriresti pur di non ammetterlo.”

Rose sorrideva.

Greg gemette.

“Ti preparo qualcosa, d’accordo? Contro la nausea.”

“E’ per la chemio, dubito ci s…”

“Ci sono rimedi per combattere contro la nausea.”

Greg le fece cenno di fare come voleva e chiuse gli occhi.

Passò meno di un minuto e sentì qualcuno cingergli le spalle da dietro ed abbracciarlo forte.

Riconobbe la stretta di James, ma continuò a tenere gli occhi chiusi.

“Mi dispiace tanto. Mi sono liberato solo ora.”

“Torna di là. Sparisci.”

“Scordatelo. Mentre tu stai male, io dovrei andare là a…”

“E’ la tua festa, o sbaglio?”

“E chi me l’ha organizzata? Lo sai? La Cuddy?”

“Mi sa di sì.”

“Mi sa? Non lo sai? Come ha fatto ad entrare a casa tua e…”

“Avrà duplicato le chiavi, che diavolo ne so!”

Era irritato.

“O l’hai aiutata tu. Ci sono tutti i miei colleghi, amici e parenti. Lei non li conosceva tutti. Tu sì e sai anche che tutti i numeri sono sul mio cellulare, di cui conosci la password e…”

“Che vorresti dire?”

“Sei stato tu?”

“No! Ti sembro il tipo che organizza una festa per qualcuno?”

“No, ma…”

“Perché vuoi saperlo?”

“Sono curioso.”

“Ecco qui.”

Rose Wilson posò sul tavolo una tazza di acqua calda e…qualcos altro.

Greg aprì gli occhi e fissò l’oggetto.

“Mamma, lo vuoi avvelenare? Cosa stavate facendo poco fa?”

“Fai troppe domande, sai, James?”sbottò Greg.

“Facevo conoscenza con il mio genero.”

“Genero? Mamma, non siamo mica sposati!”

“Ma state insieme.”

“Sì, ma…”

“Cos’è questa roba?”

Greg indicò la tazza, sospettoso.

“Acqua calda, limone e succo di miele. Aiuta.”

“Per una gravidanza, non per…”

“Tutto.”

“Non è un metodo scientifico. È un rimedio della nonna o…”

“Prova! Cos’hai da perdere?”

“Non mi attira molto.”

“James, faglielo bere.”

“No, cosa…”

Rose uscì dalla cucina, lasciando James e Greg da soli.

James continuò a stringere Greg da dietro, circondandogli le spalle con le braccia.

Greg alzò lo sguardo su di lui, come per dire “E’ il momento delle cose sdolcinate?” e James rise.

“Stai male.”

“Colpa tua.”

“Quando la smetterai di dare la colpa a me? Quando la smetterai di fare l’idiota ed inizierai a seguire i miei consigli?”

“Il giorno del mai!”

Greg avvicinò alle labbra la tazza, sospettoso.

“Mmm…”

“Bevila. Fidati.”

“E se è avvelenata?”

“Per una buona volta…fidati!”

Greg lo guardò per un secondo, poi sorseggiò lentamente.

Non era affatto orrenda come si era aspettato.

Stranamente aveva un buon sapore.

“Non è male…Ma non è la bevanda che opterei per una pubblicità per una squadra di baseball!”

James continuò a stringerlo forte.

“Vai di là.”fece Greg, liberandosi improvvisamente dalla sua stretta.

“E tu?”

“Me ne starò qui e berrò un bicchiere di..”

“Nulla. Tu non berrai proprio nulla. Vieni di là, andiamo.”

James fu tentato di prenderlo per mano e trascinarlo, ma si limitò a fare un cenno.

“Non sono il tipo da queste feste.”

“Già, sei il tipo che sta con le prostitute.”

“Vedo che mi conosci. Tu sei solo…”

“Un’eccezione?”mormorò James.

L’aveva detto con una strana espressione, che preoccupò Greg.

“Una a lungo termine, non farti i complessi.”

“James!”

I due uomini sobbalzarono al grido di Stacy, che travolse James in un abbraccio.

“Ciao! Auguri!”

James ricambiò l’abbraccio, sorridendo.

Erano anni che non la vedeva.

Si staccò da lei e la guardò.

Capelli corvini a caschetto, occhi scuri ed una certa…rotondità…

“Vedo che le cose tra te e Mark vanno bene…”sentenziò Greg, osservandola in dolce attesa.

“Sì, direi di sì.”

Era radiosa.

“Mi dispiace se non è potuto venire, ma aveva un impegno a…”

“Sta tranquilla. Non ne sentiremo la mancanza.”ghignò Greg.

Cadde un silenzio imbarazzante nel quale James passò lo sguardo da Greg a Stacy.

Quello di Greg era fisso su di lui, mentre Stacy guardava l’ex- compagno.

“A dir la verità…”iniziò Stacy…

“La dovete finire.”concluse James.

“Ma…”

Greg aprì la bocca per parlare, ma James lo zittì con lo sguardo.

“D’accordo. Va bene. Facciamo i bravi, mammina.”

“Non chiamarmi…Ok, lascia perdere!”

James guardò il compagno per un lungo istante, quasi annegando nei suoi occhi azzurro cupo.

“Tutto ok?”disse Stacy guardandoli fissarsi negli occhi per un attimo. Era stupita da quel forte contatto che si era instaurato tra di loro.

“A-assolutamente.”sussurro James, mentre Greg si limitava ad un cenno.

Fu quasi doloroso allontanare i loro sguardi. Erano così abituati a quei piccoli momenti, che fu dura rinunciarvi.

Fu strano mantenere una certa distanza tra loro, quella sera.

L’unico vero motivo era Stacy, o almeno James era l’unico che si preoccupava della sua possibile reazione, se avesse saputo che il suo amico ed il suo ex-compagno si frequentavano da ormai 4 mesi o giù di lì.

Greg si limitava ad assecondarlo, senza essere realmente interessato alla cosa.

Semi-distrutto per la chemio, sperava solo di concludere la serata nel modo più veloce ed indolore possibile. E quella festa era quasi giunta alla fine.

“Bella festa, eh? Sei sorpreso?”

Rebecca, la cognata, si avvicinò a James, abbracciandolo.

“Ehi! Ciao. Sì, mi piace, anche se non ho idea di chi l’abbia organizzata.”

“Non ti applicare troppo. Sicuramente una persona che ti vuole molto bene.”

Cadde il silenzio.

La donna lo guardò e si scostò i capelli dagli occhi.

“Mi spiace per tuo fratello. Non è potuto…”

Voluto venire.”

“Sì.”fu costretta ad ammettere.

“E’ ancora arrabbiato per la mia storia con Greg?”

“Direi di sì ed è un’idiota. Perché Greg tiene a te…a modo suo.”

“Sì, so che tiene a me. Vorrei solo che Joe si mettesse l’anima in pace su noi due. Non posso credere che si siano picchiati…dopo il funerale di mio padre, poi!”

Lei sorrise.

“E’ ora della torta.”

La Cuddy afferrò James per un polso e lo trascinò verso un tavolo in salotto.

Divertito Greg vide l’amico in imbarazzo, costretto all’usuale rito degli auguri, dei propositi e delle canzoncine dei “Tanti Auguri.”

“Ora ne sono certissimo.”

James gli s’avvicinò 20 minuti dopo, porgendogli una fetta di torta.

“Di che?”

Greg se ne stava appoggiato al muro, in silenzio, gli occhi semi-chiusi.

“Che tu sei davvero un lupo solitario con un cuore d’oro. Hai organizzato tu la festa.”

“Sbagliato. Ritenta, la prossima volta sarai più fortunato.”

“Numero uno: gli indirizzi e numeri di telefono di tutti. Solo tu conosci la password sul mio cellulare.”

“Non significa nulla. È…”

“Numero due: sei l’unico a sapere i miei cibi preferiti, la mia marca di birra e salatini preferiti.”

“Hai tanti amici. Non sarò l’unico.”

“Numero tre: la festa era a casa tua. Ciao, grazie di essere venuti.”

James salutò coloro che se ne stavano andando.

La casa era quasi vuota, c’erano solo Cuddy e Stacy, che stavano rimettendo un po’ in ordine, chiacchierando.

“E’ stata la Cuddy. Forse ha duplicato la mia chiave l’ultima volta che ci abbiamo dato dentro.”

James rise.

“No. Non è come te. Non ruberebbe mai una chiave e la duplicherebbe.”

“Tu non…”

“Numero quattro: sei l’unico a sapere che la mia torta preferita non è la millefoglie come pensano tutti, ma quella al cioccolato al latte e fragole.”

“Naa.”

“L’unico e solo che mi conosce alla perfezione.”

“Penso di conoscere di te non solo i tuoi gusti.”

“E’ una confessione?”

James si fece più vicino.

“No, affatto.”

“Sei stato tu.”

“Perché t’interessa? Cosa cambierebbe?”

“Di certo non quello che provo. E neanche la mia opinione su di te. Sono solo curioso. Andiamo! Posso sempre chiederlo alla Cuddy, ma lo voglio sapere da te.”

Greg sbuffò.

“Ho solo collaborato, ok? La finisci di dannarmi?”ammise, infastidito.

James rise e quasi inaspettatamente l’abbracciò, fortissimo, avvolgendolo nelle sue braccia.

Come quasi sempre lo sentì fragile nella sua stretta e chiuse gli occhi, posando la guancia ben rasata contro la sua ruvida.

“Ti amo. Tantissimo. Ed il più bel regalo che potessi farmi non è stato collaborare per questa festa, anche se mi hai stupito, ma averti qui…con me. Sano e salvo.”

“Sei il solito sdolcinato! Quando capirai che…”

Greg non finì la frase, perché sentì le labbra di James sulle sue dapprima con delicatezza, sfiorandole, poi con passione, schiudendole per approfondire il bacio.

Si lasciò andare, ricambiando il bacio, incurante di tutto e di tutti, soprattutto…

“Greg! James!”

James sobbalzò e s’allontanò da Greg, che guardava davanti a sé, infastidito.

Era stata Stacy.

E li guardava sconvolta.

“Cosa hai da urlare?”domandò Greg, noncurante.

“C-cosa diamine..cosa stavate…”

“Pomiciavamo, mi sembrava ovvio.”

James taceva e gli lanciò uno sguardo come per dire “Non esagerare”.

“P…pomiciavate? Ma cosa? Greg, James è sposato…cosa diavolo…”

“Era. È in divorzio, ora.”

“Pomici con lui e l’hai fatto divorziare? Greg, ma cosa diamine…”

“Rilassati o rischi un parto prematuro al 5 mese. Noto che non hai capito un bel niente…”

“Cosa c’è da capire? Cosa c’è ti diverti a fare sesso con il tuo migliore amico? Pensi di usarlo per…”

“Cosa? Stacy, aspetta! C’è un…”

James fece per parlare, frapponendosi tra i due, ma sentì il bastone di Greg spingerlo di lato, mentre il suo padrone si faceva avanti.

“Cosa faccio o non faccio io nella mia vita privata non sono affari che ti riguardano.”disse, algido.

“Se fai del male a James, sì, invece!”

“E da quando è diventato la donzella in pericolo?”sbottò, divertito.

“Da quando tu sei un bastardo, figlio di puttana.”

Greg fece per avanzare, ma James l’afferrò un braccio, forte.

Si guardarono per un lungo attimo.

“Calmati.”sussurrò, avvicinandosi e posandogli un braccio attorno alle spalle.

Tacquero tutti per un interminabile attimo.

“Stacy, non è come pensi.”disse James, calmo.

“Non è come penso? Ed allora cosa?”

James fece un respiro profondo.

“Ci frequentiamo…da un po’ in quel senso. Ma non come la pensi tu. Non credo di essere una donzella in pericolo e tantomeno capace di farmi usare da lui.”

“Ed allora cosa? È il sesso che vi diverte?”

“Cosa t’interessa?”intervenne Greg, ma James lo bloccò di nuovo.

La Cuddy era in silenzio e li guardava.

James fece un altro respiro profondo.

“Sono innamorato di lui. Davvero, tantissimo. So che ti sembrerà strano, ma è così.”

James cingeva le spalle di Greg con un braccio, stretto a lui.

Greg era immobile e passava lo sguardo da Cuddy a Stacy, la testa reclinata contro la spalle del compagno.

“Innamorato? Cosa? Come?”

Stacy era stupita, a dir poco. Decisamente non se l’aspettava.

“E’ una lunga storia. Ti basti solo sapere che non è solo sesso, che c’è qualcosa di più.”

“E tu, tu sei capace di amare qualcuno che non sia te stesso?”disse Stacy, guardando Greg, gelida.

“Stacy!”esclamò la Cuddy, prendendo la parola per la prima volta in quella discussione.

“Assolutamente.”

Suonò quasi come una promessa.

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Capitolo 35
*** I'm only me when I'm with you... ***


 

“Uhm!!! Mmm…”

Greg si gettò sul letto affondando il viso nel cuscino.

La stanza sembrava vorticargli intorno.

Sentì la sua ancora di salvezza afferrarlo per le spalle e stringerlo da dietro.

“Mi dispiace. Sta tranquillo, ora…”

“Passa…lo so…l’hai detto un miliardo di volte.”

James continuò a stringerlo, posando il mento sulla sua spalla.

“Grazie, di tutto. Della festa, di essere qui…grazie.”

“Non fare così o vomito, chiaro?”

James rise.

“Ok.”

Rimase così per un lungo attimo, poi sentì Greg staccarsi da lui e stendersi su un lato del letto.

“Ora lo sanno praticamente tutti che stiamo insieme.”sussurrò James, lo sguardo al soffitto.

Ma a dirla tutta non gliene fregava molto.

Il suo sguardo cadde su una busta bianca sul comodino.

Lanciò prima uno sguardo a Greg, che sembrava essersi addormentato, poi prese la busta.

Il mittente era l’aeroporto del New Jersey e destinatario Mr House.

“Metti giù.”

Era la voce di Greg, che si alzò lentamente e gli tolse la busta dalle mani.

“Cos’è?”

“Nulla d’importante.”

“L’aeroporto del New…”

“Parto, ok? Te l’avevo accennato, ricordi? Il Perù…”

Fu come se qualcuno avesse tirato a James un pugno allo stomaco.

Aveva il fiato mozzo.

Lo guardò, stupito.

Partire? Ma cosa…?

“Non me l’avevi accennato! Era solo una chiacchierata. Non significa che tu possa partire.”

“Devo chiedere a te il permesso?”

“Non andare. Non puoi. Hai la chemio, hai…”

“Te?”

Greg era in piedi di fronte a lui, reggendosi al bastone.

James era devastato.

Voleva davvero andarsene? Partire per il Perù?

Credeva che quella fosse stata solo una chiacchierata ed invece…voleva sul serio partire.

Sarebbe partito.

“Non farlo. Non andare.”disse tra sé e sé.

Al diavolo l’orgoglio, al diavolo tutto!

Non doveva partire, partire senza di lui, lasciarlo…

“Sì, anche.”

“Sì, soprattutto a giudicare dal tuo sguardo. Sembra che ti abbia appena comunicato qualche catastrofe, qualche morte…”

Quasi.

James si alzò e fece per allontanarsi, ma Greg lo bloccò per il polso e lo trasse a sé.

Non ce la faceva a torturarlo ancora…

Erano a pochi centimetri dal viso l’uno dell’altro.

“Credevi sul serio che me ne sarei andato?”

“Il biglietto…”

“Vero. Parto. Ma non ho detto che sarei partito da solo.”

Gli porse la busta, che James, titubante aprì.

Due biglietti. Due.

“Vuoi che parta con te per il Perù?”

“Pensavo di invitare la Cuddy, ma ti saresti offeso.”

“Mi stai chiedendo di mollare tutto, di lasciare tutto e tutti per partire con te?”

“Stavi morendo poco fa, quando pensavi che me ne sarei andato senza di te, che ti avrei lasciato!”

James respirò a fondo, il polso ancora intrappolato nella presa di Greg.

“Sei pazzo. Come farai…faremo? Il lavoro, le tue cure…”

“Altre poche sedute e posso fare quello che voglio ed andare dove voglio. E poi ho due mesi di malattia che posso chiedere e tu…beh, parleremo con la Cuddy. Non mi lascerebbe mai partire da solo.”

“Da quando ci stai pensando?”

“Da un po’. Vieni? Fuggi via con me?”

Greg lo guardava divertito. L’idea della fuga gli piaceva e con James…beh, sarebbe stato divertente.

Molto.

“Parti con me. Sii irresponsabile per una volta. Non pensare alle conseguenze e seguimi.”

“Se non ci fossi io a tenerti a freno, saresti già in obitorio.”

“Se non ci fossi io a trascinarti nelle mie follie, saresti morto di noia.”

“Complementari.”disse James a bassissima voce.

Il cuore gli batteva fortissimo.

“Cosa?”

“Ho detto che siamo complementari.”

Greg si chinò su di lui e posò le sue labbra su quelle di James, baciandolo con passione.

Fu un bacio lungo, durante il quale raramente riemersero per riprendere fiato, quasi nutrendosi l’uno della presenza dell’altro.

Quando si staccarono, stavano boccheggiando.

James annuì.

“S-sì. Vengo con te. Ho deciso di seguirti in quest’ennesima follia, Dr House.”

Ridendo, Greg lo spinse all’indietro e trascinato dall’amico, caddero sul letto.

James l’abbracciò fortissimo, posando le labbra sulle sue, ripetutamente.

“Folle, folle, folle.”sussurrò, mentre ridevano.

L’amava, l’amava moltissimo e l’avrebbe seguito fino in capo al mondo.

Greg si lasciò stringere e coccolare dall’unica persona che poteva farlo.

“Hai ritrovato la tua serenità?”chiese James, rafforzando la stretta attorno a lui.

Greg rise, piano.

L’aveva trovata?

Incrociò gli occhi di James, ridenti ed insieme innamorati.

“Sì, direi di sì.”

“Con me?”

“Ti credi troppo importante, sai?”

Risero, ancora.

“Sì….Con te, sì…”

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