Psychological trick.

di JezelkeRedfern
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - La cella 337. ***
Capitolo 2: *** - Comincia il gioco. ***
Capitolo 3: *** - Ti credo. ***
Capitolo 4: *** - Iniezione. ***
Capitolo 5: *** - Una minima speranza di salvezza. ***



Capitolo 1
*** - La cella 337. ***


Nam Woohyun – Principal’s Office.
 
« Il suo primo caso, dottore, sarà un carcerato che è qui da un anno, più o meno. »

Senza dire nulla mi fu gettata una cartella davanti, che io aprii con non poca esitazione. Il mio primo vero lavoro.
Presi il posto dello psicologo di quella prigione, che se ne andò da lì perché non gli piaceva come trattavano i pazienti.
Automaticamente, quelli che andavano dallo psicologo erano quelli che compivano stragi, e normalmente si mandavano lì per capire perché lo avevano fatto.
Se perché spinti da semplice voglia di sangue, o per motivi fondati.
In ogni caso, venivano trattati come bestie.
Quando accettai quel posto lo feci d’impulso, senza badare prima alle varie ‘recensioni’ su quella prigione.
Avevo bisogno di un lavoro, e la prima occasione la colsi al volo.
Sulla cartella lessi il nome del carcerato, l’età e vi era anche la foto, oltre ai crimini ovviamente commessi:
Kim Myungsoo, ventidue anni1, incriminato per omicidio e aggressione a pubblico ufficiale.
Un omicidio, vi assicuro, da un viso come quello non ce lo si aspetterebbe mai.
E’ pulito, dai tratti delicati ma al contempo mascolini; per non parlare degli occhi.
Due pozzi neri che parevano incendiarti, anche dalla foto.

« Vedo che si dichiara innocente. »
« Oh, sì. L’abbiamo trovato immerso nel sangue della vittima, per cui è tutt’altro che innocente. »
« . .E vedo anche che ha aggredito un pubblico ufficiale. »
« Esatto. Ha aggredito proprio me. »
« E’ forse per questo che parla di questo ragazzo con tanto odio impresso nella voce, agente Kim? »
« . .Come? » probabilmente, pensava che non l’avessi capito.
Ero uno psicologo piuttosto bravo, nonostante fossi ancora giovane. In un certo qual modo riuscivo a leggere le persone, e quell’agente era un libro aperto.
Kim Sungkyu era scontroso, freddo, oserei dire agghiacciante.
Tanto, troppo sicuro di sé, probabilmente perché si sentiva al di sopra di tutti i carcerati, essendo il poliziotto a capo della prigione.

« . .Non usi la psicologia con me, dottore. »
« Mi avete assunto qui perché mi credete capace di svolgere il mio lavoro, no?
Ebbene, ora state verificando le mie competenze. » a pensarci ora, sono ancora sorpreso del tono che sono riuscito ad usare con quell’agente.
Di natura ero piuttosto chiuso, solo durante il lavoro mi scioglievo un po’.
E, di fronte all’agente Kim, mi consideravo al lavoro.

« Quando posso vedere il paziente? »


Nam Woohyun – Cell n° 337.

La risposta fu ‘anche subito’.
Capii subito che non mi guadagnai la simpatia del principale, ma sinceramente non mi importava più del dovuto.
Non l’avrei incontrato molto spesso, dal momento che io avrei avuto a disposizione un mio ufficio, e poi nemmeno a me piaceva particolarmente.

Il primo incontro con Kim Myungsoo si svolse nella sua cella, la numero trecentotrentasette.
Questo numero, basta a farvi capire quanto era grande quella prigione.
Un enorme ammasso di celle.
A più piani, la prigione era costituita da mille celle – o come amavo definirli io, mille buchi.
Erano talmente piccole, da poter ospitare a malapena due persone.
Diviso in cinque piani, all’interno del primo edificio c’erano situate le celle, sull’ultimo quelle di isolamento.
Noi, per mio grande sollievo, ci dirigemmo verso il terzo.

« Le consiglio caldamente di tenersi a distanza di sicurezza, quando arriveremo alle sbarre del detenuto. »
« Perché mai? »
« Il detenuto riscontra vari problemi di aggressività, non vorrei che––  »
« Agente, io ci lavoro con i casi difficili e aggressivi. Mi lasci fare quello che meglio credo, lei si limiti a tirare fuori le chiavi. » quest’affermazione credo che la prese male, però non fiatò.
Probabilmente pensava che avrei imparato da me, a stare lontano dalle sbarre.

Pochi minuti dopo, mi ritrovai di fronte alla fantomatica cella, stringendomi al petto la cartella gialla contenente i dati del paziente; ero agitatissimo, inutile dirlo.
Continuavo a pensare come potevo fare per stargli simpatico, a come non farmi odiare.
Avevo questo genere di paranoie, sì. D’altronde non pensavo fosse esattamente una buona cosa per la propria autostima, dover andare dallo psicologo.
Con mio totale disappunto, invece che aprire la cella, l’agente si limitò a far scorrere il manganello sulle sbarre d’acciaio, provocando fastidio persino a me.
Infatti non mi sorpresi per nulla, al sentire un paio di mugolii proveniente da lì.

« Silenzio Jang. Kim, muoviti e avvicinati. » bestie.
Non potei far altro che pensare questo. Li trattavano come bestie là dentro, non mi sorprendeva il fatto che fossero tutti così scontrosi e aggressivi.
Pochi secondi dopo un cigolio indicò che qualcuno si era alzato dal letto, un tonfo che qualcuno ne era sceso, ma non si vedeva nulla; i letti erano in penombra, ed era ancora piuttosto presto.
Riuscivamo a scorgere a malapena una sagoma slanciata, sicuramente di una persona alta.

« A cosa devo la sua visita nel mio umile metro quadrato di casa, agente Kim? » quella frase trasudava di ironia.
Ironia mista a rabbia calma, ma che faceva ben capire che la persona che parlava sorrideva.

« Il nuovo psicologo. Avvicinati. »
« Ce n’è uno nuovo? Peccato, il dottor Park iniziava ad andarmi a genio. »
« E’ andato via. Avvicinati. » una risata si sprigionò tra le pareti del piccolo buco qual’era quella cella, facendomi scorrere un brivido lungo la spina dorsale.
Era evidente che, il ragazzo, lo faceva apposta.
Rimanere nascosto, era quello che faceva infuriare Sungkyu, o probabilmente quello che lo faceva infuriare era l’esser preso in giro.
Infatti lo vidi digrignare i denti, ma proprio quando  prendeva fiato per parlare, cominciò poco a poco a vedersi l’immagine di Kim Myungsoo stagliarsi contro le sbarre.
Tuta arancione, con le maniche tolte che ricadevano lungo i fianchi, lasciando in bella vista la canottiera nera volutamente attillata per evidenziare il fisico asciutto.
Ho supposto fin da subito che, non avendo nulla da fare, i carcerati facessero palestra praticamente ventiquattro ore al giorno, dal momento che anche il suo compagno di cella era abbastanza ben messo.
Seppure più basso, aveva molta più muscolatura in particolare nelle braccia e nel petto, e aveva anche compresa nel pacchetto l’espressione da appena sveglio.
Rivolta verso Sungkyu, ovviamente.

« Onorato di fare la vostra conoscenza, Doc. » un inchino che mi spiazzò, dal momento che fu da donna.
Come se tenesse l’orlo di un vestito tra le mani, e tono informale.
Come se di queste cose non ne vedessi già tutti i giorni, poi.
Prima che Sungkyu potesse esprimersi lo scansai gentilmente da davanti a me, avvicinandomi forse troppo alle sbarre.

« Lavoreremo per un po’ assieme. Chiamami Woohyun, non mi interessa della formalità. »
« Woohyun. Nome inusuale, decisamente.
Dino-hyung? » inizialmente non capii chi stesse chiamando.
Ma non appena il suo compagno di cella si girò, e mi puntò gli occhi addosso, capii che era lui che chiamava.

« A tuo parere, quanto può durare il pivellino qua? »
« Non so. . due, tre settimane? »
« Quanta fiducia. » non mi innervosii.
Mi inquietai. Lo sguardo di quel ragazzo, perennemente puntato su di me, bruciava come pochi altri.
I suoi occhi erano tranquillamente paragonabili a due pozzi neri, e la bocca storta in un ghigno bastardo non gli si addiceva più di tanto.

« . .Sia che ci starò per poco o meno, nel lasso di tempo in cui starai con me vorrei che collaborassimo.
Credo che questo potrebbe rendere meno spiacevoli le sedute. »
« Alla fine della seduta mi darà anche la caramellina, dottore? »
« Kim. » con un cenno della mano feci capire a Sungkyu di non interrompere, nonostante una risata paragonabile a quella di una iena facesse capolino da dietro il mio interlocutore; né alla risata né al richiamo del poliziotto, Myungsoo diede cenni di interesse.
Continuava a fissarmi, sempre più insistente, lo stesso ghigno disteso sulle labbra sottili.
Cosa potevo fare se non ricambiare lo sguardo?

« Il tuo essere scontroso con me, non fa alcuna differenza, né cambia i miei piani.
Voglio solo aiutarti, questo spero si sia capito.
Allora, potremo lavorare insieme? . .Myungsoo? » il suo nome lo pronunciai con una nota interrogativa, come a volergli chiedere se potevo chiamarlo per nome.
Lui probabilmente non si aspettava un approccio così gentile e calmo, da parte mia.
Non riuscivo nemmeno a pensare, a come lo avessero trattato precedentemente. Bastava vedere che razza di modo avevano per svegliargli, figuriamoci averli in pugno così, in una stanza a fargli domande per esplorargli il cervello.
Dopo un attimo di pausa sembrò ritrovare la sua sfacciataggine, mentre il ghigno si scioglieva un po’ in un’espressione più normale.

« L.
Mi chiami L. »
« Va bene, L. Tu mi chiami Woohyun, io ti chiamo L. »
« Tempo scaduto– dottore, dobbiamo andare. » la voce dell’agente mi distrasse.
Gli occhi di Myungsoo, sembravano volermi dire qualcosa, in quel momento.
Qualcosa che mi incuriosiva, mi attirava. Qualcosa che, in quel momento, smaniavo di sapere.

Ma dovetti andare via.
Con non poca riluttanza mi girai, per cercare di non perdere di vista l’agente, e seguirlo; o almeno, questi erano i miei piani iniziali.
Una presa ferrea, sul mio polso mi costrinse contro le sbarre, prima di sentire un fiato caldo affianco sull’orecchio.

« Welcome to my personal hell, Doctor Nam. »

Feci in tempo solo a sentire una risata non poco inquietante proveniente da dietro le sbarre, prima di venir trascinato via dal poliziotto; quella frase bastò a farmi rabbrividire, e a farmi temere un’ingannevole faccia d’angelo come quella di Kim Myungsoo.
 
 
*1: in corea – per chi non lo sapesse si aggiunge un anno agli anni occidentali, quelle riportate nella storia sono tutte età coreane, ovvero in occidente L dovrebbe avere ventuno anni.


* Angolino miomio. *

Saaaaalve a tutti!
Come primo capitolo mi rendo conto che non è un gran che - è solamente una sorta di introduzione -, ma spero possa piacere comunque.
Come penso si sia già capito, la coppia principale è la MyungHyun, che a quanto pare non shippa praticamente NESSUNO. / angolino piangente.
Nonostante questo, spero apprezzerete comunque la storia. ; A ;
Non ho molto altro da dire, perciò ci si becca al prossimo capitolo!
Chu-
Jez;

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Capitolo 2
*** - Comincia il gioco. ***


Nam Woohyun – Psychology office.
 
Un sottile cartellino di carta plasticato troneggiava sulla porta.


‘Nam Woohyun – psicologo’.
 
Il mio ufficio.
Non era esattamente un posto molto accogliente; la porta era squadrata, e grigia, circondata da una parete completamente bianca.
Appena si apriva la porta entravi in una stanza asettica, con poche cose dentro. Una scrivania nera al centro, due sedie ( una davanti e l’altra nella parte più interna del mobile ) e un pannello di vetro incastrato nella parete.
Sapevo benissimo che quello non era affatto uno specchio, ma un vetro comunicante.
Chi stava dall’altra parte, sentiva e vedeva tutto.
Quella è la cosa che mi piacque di meno, assieme alla telecamera all’angolo della stanza.
Riprendevano le sedute, e non so nemmeno se i pazienti l’hanno mai vista.
« Mi auguro che l’ufficio sia di suo gradimento, dottore. » la tentazione di rispondere male a quel tono saccente, era tanta.
Talmente tanta che so che se l’avessi fatto, non avrei avuto vita facile, là dentro.
Perciò mi limitai a stamparmi un sorriso finto in faccia, voltandomi verso la voce.

« Certamente. Non è esattamente accogliente ma – vedrò cosa posso fare.
Il paziente? »
« Il ragazzo arriverà tra qualche minuto.
La devo avvertire, dottore, che al soggetto piace giocare. »
« .. Si spieghi meglio. »
« Lo vedrà, non si preoccupi. » le ultime tre parole pronunciate dal poliziotto, non fecero altro che fare l’effetto contrario.
Il sorriso che si stampò sul suo viso, poi, fu tutt’altro che rassicurante.
Ma non feci in tempo a pensare molto; la porta si aprì con un cigolio, e con un sinistro rumore di catene Kim Myungsoo fece il suo ingresso nella stanza.
Accompagnato da un poliziotto, la sua figura fasciata dalla tuta arancione – abbassata, come la volta scorsa – fece un passo, regalandomi uno sguardo inquietante.
Quello che intendeva il signor Sungkyu l’avrei scoperto di lì a poco, e non mi sarebbe piaciuto.

Kim Myungsoo – Cell. n° 337.
 
Il classico rumore del manganello sulle sbarre, mi arriva alle orecchie.
Inutile, poiché sia io che il mio compagno di cella siamo svegli già da un pezzo.
Jang Dongwoo è nella cella con me da quando sono arrivato qua, e nonostante sia più grande di me, lo tratto come un novellino. Segue ogni cosa che dico.
A dir la verità, nel blocco C, tutti mi seguono.
Non so se sia per quello che ho fatto – o che credono che io abbia fatto – o semplicemente per il fatto che incuto terrore anche solo guardando le persone.
Comunque, mi piace la mia situazione.
Se escludiamo la pena, che––
« Myungsoo-ah. Oggi devi andare dallo strizza cervelli? »
« Devo andare sempre dallo strizza cervelli, hyung. »
« … Sì, ma c’è quello nuovo. » giusto.
Me n’ero quasi dimenticato
Il dottor Nam Woohyun l’ho visto ieri, ed è da ieri che ci penso.
Solitamente mi propinavano i soliti vecchi fossili che ti parlano con voce comprensiva, trattandoti come un caso umano e psico-sociale, oppure le megere arpie che ti usano come sfogo nevrotico causato dalla loro crisi di mezza età, ma lui mi è subito sembrato diverso.
Tanto per cominciare, sembra più mio coetaneo.
E anche come si è posto.
Chiamami per nome, io ti chiamo per nome, sono gentile e tutto il resto.
Mi pare… figo.

« Kim. Alzati. »

Simpatia dieci più, insomma.
Ormai mi conoscono tutti i secondini di tutti i blocchi, più perché faccio casino ogni tre per due.
Una stretta di mano nigga-style con il mio compagno e dieci secondi dopo sono ammanettato, con un manganello infilato nella schiena, e diretto verso il solito ufficio.
Ormai vivo più lì che nella mia cella.
Nam Woohyun è il mio undicesimo psicologo.
Ne ho cambiati undici, dato che nessuno mi regge.
Sono troppo complicato, gioco troppo con la mente delle persone. Sono l’anti psicologia per eccellenza.
E mi diverto anche.
Un passo, e mi ritrovo nel solito medesimo ufficio.
Solita scrivania.
Solita sedia.
Solito “specchio”, e solita telecamera posta in modo che i cretini non la vedano.
Ma la compagnia è diversa.
Comincia il gioco.
 
*Angolino miomio.*
Saaaalve a tutti.
Vorrei cominciare chiedendo umilmente perdono a quei pochissimi che aspettavano il secondo capitolo, ma ho avuto una serie di problemi che mi hanno portato ad aggiornare in ritardo.
Ora però, la storia diventa attiva, blbl.
Questo capitolo non dice molto, quasi nulla, è stato fatto giusto per riprendere un po’ la storia.
Il terzo è già a metà, quindi dun worreh, verrà presto fuori!
Ci si becca al seguito, chuuu.

- Jez

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Capitolo 3
*** - Ti credo. ***


Kim Myungsoo – Psychology office.
 
Tre semplici parole, che mi vengono sottoposte ormai da un anno.
‘Perché l’hai uccisa?’.
Parlano della fantomatica vittima, la vita che secondo le persone in quella stanza e anche fuori da essa, io ho spezzato.
La vittima, è mia sorella.
Una bambina, quindici anni, era tutto ciò che avevo.
La mia famiglia. Quando mio padre rientrava a casa,  e si metteva a discutere con la mamma, la portavo via e cercavo di distrarla, me lo ricordo ancora.
Io ho ucciso mia sorella. Io.
L’unica persona in grado di proteggerla, l’unica persona che la capiva.


Non so chi, come e soprattutto perché mi ha incastrato, e ora sono qui in catene.
Ha fatto proprio un bel lavoretto.
« Allora, L.
Parliamo un po’, ti va? » la voce sottile del dottore mi arriva quasi lontana; è sempre così, quando ricordo.
E quelle parole, mi suonano strane.
Alzo lo sguardo, per osservare meglio l’individuo difronte a me: è giovane, ma sicuramente più grande di me.
Non molto alto, occhi grandi e scuri, sembra quasi che stia per scoppiare in lacrime.
I capelli sono rossicci, palesemente tinti, anche se sicuramente vogliono sembrare naturali, hanno fallito nell’intento.
Le dita affusolate stringono il solito fascicolo giallo, il mio, che ormai ho visto e rivisto in mano a poliziotti, psicologi e talvolta anche infermieri.
Fondamentalmente, Nam Woohyun è un bell’uomo. Mi duole dirlo, ma lo è.
Alla sua domanda non rispondo, mi limito a guardarlo col mio solito sguardo freddo, accennando un sorriso storto.

« Lei ha una teoria? Del perché l’ho fatto, intendo.
Perché avrei dovuto uccidere mia sorella, secondo lei, Dottore? » marco strettamente l’ultima parola, consapevole del fatto che probabilmente sto ‘disobbedendo’ alla sua richiesta di chiamarlo per nome.
Ma non m’importa. D’altronde, non mi è mai importato di nulla.

« .. Secondo me puoi aver avuto qualsiasi motivo.
Vorrei solo sapere la tua versione. »
« Cosa direbbe se le dicessi che non ho ucciso io mia sorella, che sono innocente? »
« Che probabilmente di crederei, dal momento che non hai l’aria di un assassino. » sbam.
Incredulità.
Questo è quello che probabilmente si legge sulla mia faccia.
E chi l’avrebbe mai pensato? Uno psicologo su dieci che mi crede. Ma, ha detto ‘probabilmente’.

« .. Cos’è che la blocca dal credermi, Dottore? »
« Il fatto che ti hanno trovato immerso nel sangue della vittima. » un fruscio sottile e mi para davanti i fogli.
Foto. Mie, di JunHee, e della scena del delitto.
Uno strano senso di agitazione si impossessa di me, mentre il dottore muove pochi passi per chiudere la porta a chiave; vuole parlare liberamente con me. L’ho capito. Lui è diverso.

« Hai detto che ti hanno incastrato, giusto? Prova a convincermi.
Dimmi chi, per cosa, quando e come. Cosa credi tu? »
« Non mi faccio esplorare il cervello -- »
« Fai conto che io ti stia aiutando. Parlami, Myungsoo. » il modo in cui mi parla. Sembra davvero preoccuparsi per me, e non so quanto mi faccia piacere.
Punto lo sguardo in terra, poggiando le manette sulla scrivania.
Il dottore è diverso, dagli altri.
Forse ho trovato il modo per uscire da qua.
 
Nam Woohyun – House.


Non sapevo se si poteva fare, ma mi portai i fogli a casa.
Mi ero fatto raccontare dal ragazzo cosa pensava fosse successo, secondo lui; d’altronde era il mio compito. Far parlare il paziente, cercare di conoscere i motivi dell’omicidio.
Ma, sfogliando e risfogliando le pagine del fascicolo, trovai qualche cosa che non andava.
Qualcosa che con la versione di Kim Myungsoo, non corrispondeva.
 
“Quel giorno tornai a casa da lavoro.
Ero in ritardo, e mia sorella doveva avere la cena pronta. La mamma non c’era, me lo ricordo, doveva andare al suo lavoro notturno. Erano le nove in punto.
Notai che molte luci erano spente, compresa quella della camera di JunHee. C’era accesa quella della cantina.
Entrai in casa, e molte cose erano fuori posto.
Andai subito a controllare, e la trovai stesa a terra; aveva ferite sulla pancia, c’era tanto sangue.. non sapevo cosa fare.
Lei era ancora viva, e mi guardava. Non stava piangendo. Stava cercando aiuto.
Le andai affianco, cercai di tenerla sveglia anche mentre chiamavo l’ambulanza. Spostai il coltello con la punta del piede, era ancora sporco di sangue, era uno che di solito si trovava in cucina.
Lei non rimase sveglia per molto, non riuscì a dirmi chi è stato a farle quello.
Però, non appena arrivò la polizia e l’ambulanza, confusero tutto.
Dissero che nel coltello c’erano le mie impronte,
solo le mie impronte; non mi credettero. Nessuno mi credette.
Nemmeno il mio avvocato.”

 
Nel fascicolo, lessi che la vittima morì attorno alle otto e trenta.
Ma, il ragazzo disse che uscì da lavoro molto dopo, e che i genitori della sorella erano fuori.
Non scrissero la storia delle impronte, sull’arma del delitto c’erano solo poche righe, in cui in poche parole dicevano che era stato per forza lui perché il coltello era preso dalla cucina.
Secondo il profilo psicologico del paziente, quest’ultimo fu preso dal rimorso, vedendola morta, per quello chiamò i soccorsi.
Poi, mi venne in mente che gli imputati non possono leggere i propri fascicoli.
Qualcosa mi balenò in testa, un’idea non del tutto buona
Come gli avevo già detto, non mi pareva un assassino.
Gli credetti.
Strano, ma vero; mi fidai di lui.
D’altronde non potevano essere tutti cattivi, quelli là dentro, no?
 
Nam Woohyun – Principal Office.

« Vorrei richiedere più sedute con il paziente Kim Myungsoo. »
« Quante di più, esattamente. »
« Una al giorno, un’ora. »
« .. Impossibile. » convincere Kim Sungkyu non era facile.
Lo capii dalla prima volta in cui ci parlai.
Era già stato difficile convincerlo ad uscire dalla stanza in cui si tenevano le sedute, figurarsi a lasciarmi ogni giorno con uno dei carcerati che più odiava in tutta la prigione.

« .. Potrei tirargli fuori qualcosa più velocemente. »
« Non se ne parla. L’individuo è altamente pericoloso, e instabile soprattutto, inoltre non riuscirà a cavargli fuori nulla -- »
« E’ il mio lavoro, lasci fare a me.
.. Per favore, agente Kim. » la risposta che venne dopo fu indotta da un semplice gesto con la mano.
Ci passai ben due giorni, ma alla fine cedette; tuttora non so se definirla una cosa positiva o negativa, il fatto che con la mia parlantina riesco ad angosciare le persone talmente tanto che ottengo quello che voglio, ma ogni tanto la considero una benedizione.

Mi ritrovai a marciare per i corridoi stretti delle celle, arrivando a quella interessata.

« Myungsoo-gun, c’è il tuo strizza cervelli. » un attimo di silenzio, poi un tonfo sopraggiunse alle mie orecchie.
Il tempo di tre secondi, e la figura di Kim Myungsoo si stagliò contro la penombra della stanza.
Gli feci un nervoso segno di avvicinarsi, guardandomi attorno.
L’ultima volta fu lui che mi prese quasi di forza e mi strinse contro le sbarre, però, quella volta fu il contrario.

« Ti credo. »
 
*Angolino miomio.*
Alour, la storia procede bene, sono contenta. Eheheh.
In questo capitolo dico di più, faccio scoprire leggermente la storia di Myungsoo, e finalmente c’è un povero cristo che gli crede. Porastella.
Coooomunque; vi ringrazio infinitamente delle recensioni che mi lasciate, mi fanno davvero commuovereh. ; - ;
Giurin giurello che continuerò la storia-- ! /?

Pian piano diventerà un po’ complicata, la faccenda, ma dun worreh, scriverò in modo che si possa capire facilmente. u ù
So, ci si vede al prossimo capitolo-- !
Chu.

- Jez.

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Capitolo 4
*** - Iniezione. ***


Kim Myungsoo – Cell n° 337.
 
Due parole semplici, chiare e coincise possono rendere la vita di un carcerato innocente migliore. Totalmente diversa. Un “ti credo”, sapendo che tu non hai fatto nulla, è prezioso quanto un goccio d’acqua nel deserto del Sahara.
E quel bassotto coi capelli rossicci me l’ha spiattellato in faccia così, come se fossero due semplici parole.
Spalanco gli occhi e lascio passare un paio di secondi, prima di avvicinarlo talmente tanto ( quel poco che le sbarre permettono, ovviamente ) che vado a schiacciare la punta del naso contro la sua. Stringo i denti, e gli ringhio in faccia.

« Non dirmi cazzate Einstein, non mi ha creduto nessuno, perché dovresti farlo tu. »
« Ho controllato il tuo fascicolo. Ci sono cose che non corrispondono con quello che mi hai detto ieri, cose completamente diverse. »
« Che ne sai che io non stia mentendo? »
« Perché i carcerati non possono leggere i propri fascicoli. » dalla mia faccia, si può ben intuire che non ho capito nulla. Ci dev’essere stampato un colossale ‘machecazzo’; per quel che ho capito, secondo il Wisley mancato il mio fascicolo è… contraffatto? Ah.

« Ascolta.. non so se hai capito. Però, forse so come tirarti fuori da questo carcere. Mi bastano meno di sei mesi, e sei fuori. Tra mezz’ora hai la seduta con me, cerca di riordinare le idee. » sono ancora scioccato dalla storia del fascicolo. E vorrei tanto dirgli che io, sei mesi non li ho. Che la mia pena non me li permette.
Ma riesco solamente ad annuire, e allontanare il viso dal suo.
Ha un sorriso raggiante, e non ne capisco il motivo. Da bravo stronzo quale sono vorrei smontare la sua fantastica teoria, togliergli quel sorriso dalla faccia, ma qualche cosa mi blocca.
Prima che mi allontani del tutto allunga il braccio, arrivando solamente a toccarmi il bicipite con la punta delle dita. È tutto più corto di me.

« Io ti credo. E nessuno andrebbe incolpato per una cosa che non ha mai fatto. Io ti farò uscire da questa cella, Kim Myungsoo, fosse l’ultima cosa che faccio. » tutto questo, l’ha detto col sorriso. E ancora io non parlo. Mi limito ad annuire, e lui ad andarsene gongolante; non riesco a capire se lo fa per me, o per la pura e semplice voglia di concludere un lavoro.
 
Nam Woohyun – Psychology office.
 
Ero assolutamente convinto di ciò che pensavo.
Quel ragazzo, il viso di quel ragazzo, non era assolutamente il viso di un assassino; io di assassini ne avevo visti, e ne avrei visto anche in futuro, e lo si legge negli occhi se hai ucciso una persona. Quell’azione empia, priva di pudore e piena di disprezzo verso le vite umane che ti circondano.
In poche parole, ti si legge lo schifo in fondo agli occhi, e quei due pozzi neri sono solo pieni di tristezza infinita.
Me ne stavo appoggiato al tavolo del mio ufficio, tormentandomi il labbro con l’indice e il pollice, mentre ancora leggevo il fascicolo e guardavo le foto; io non ero un avvocato, non avrei potuto fare nulla.
Però, speravo nell’aiuto del poliziotto, Kim Sungkyu; se lo provavo a lui, che il ragazzo era innocente l’avrebbe fatto uscire, no? Lui era il grande capo, il Boss. Ma pensavo molto male.

« Dottore, spero che lei abbia un buon motivo per farmi venire qua.
Sa, gestire un’intera prigione non è facile come giocare -- »
« Giocare con la mente degli altri, lo so, però mi ascolti. » sapevo bene che tutto questo interrompere non giovava alla mia situazione, in quanto desideroso di favori.
Ma non avevo tempo di litigate, soprattutto con il poliziotto. Insomma, sarebbe durata troppo.
Sotto il suo sguardo incredulo, andai a chiudere la porta asettica dell’ufficio. Dopo di che, gli buttai i fascicoli davanti.

« Io non so chi li abbia scritti, o compilati, ma so per certo che chi l’ha fatto, deve averlo fatto sotto paga.
Ora, voglio che lei mi prometta che quando avrò raccolto prove sufficienti lo farà uscire, e brucerà il fascicolo. Se le è rimasto un pizzico d’umanità- mi ascolti. » normalmente non avrei detto tutte quelle cose.
Infatti, tremavo, e penso di non aver mai avuto il viso così rosso in vita mia.
Mi ascoltò, e alla fine annuì.

« E per curiosità, quanto tempo le occorrerebbe? »
« … Non lo so. Qualche mese. » lo vidi sorridere. Anzi, ghignare. E mi piaceva talmente poco, quel ghigno, che mi sentii crollare addosso il mondo intero anche senza saperne il motivo.
Passò l’indice sulla copertina beige del fascicolo, come se stesse accarezzando un gatto, o più --.. come Gollum accarezza l’anello.

« Ha letto la condanna del suo paziente, Woohyun? » sentii come pronunciò il mio nome, e fu come ricevere una sorta di sputo avvelenato negli occhi. L’aveva detto con un tale divertimento, che mi sembrò la voce eccitata di un bambino che chiede al papà di andare sulle giostre.
Notando il mio sguardo perso, alzò gli occhi, e riprese in mano i fascicoli. Indicò poi l’orologio sulla parete, sorridendo un’ultima volta.
« Tra un po’ dovrebbe arrivare il suo protetto, no? Lo chieda direttamente a lui. » e se ne andò, così.
Lasciandomi con uno strano senso di rassegnazione nelle viscere. Non aveva risposto alla mia domanda, e ciò non mi piaceva; alluse alla sua pena, e la prima cosa che mi venne da pensare era a qualche ergastolo.
Certo, per omicidio colposo era normale, ma allora che  problema ci sarebbe stato? Avrei avuto solo un po’ più di tempo, no?
Rimasi a rimuginare per i restanti venti minuti, finché Myungsoo non spalancò la porta. Sussultai, e lo fissai sedersi. Aveva sempre lo stesso sguardo, la stessa camminata e la stessa tuta messa allo stesso modo, tutto esattamente uguale.
Vedendomi così, probabilmente si sarà stranito. Infatti si sedette, e mi guardò con gli occhi leggermente sgranati.
Si passò una mano in faccia, borbottando leggermente.

« .. Ho qualcosa in faccia? »
« La tua pena. Devi dirmi in cosa consiste la tua pena, che ti ha dato il giudice? » lo vidi diventare improvvisamente serio.
Distolse lo sguardo da me, passandosi velocemente la lingua sulle labbra; lo vidi indurire lo sguardo, prima di ripuntarmelo in faccia, e quegli occhi mi misero dei brividi cocenti addosso. Braccia, schiena; ovunque. Deglutii a fatica, facendo il giro del tavolo e piazzandomi affianco a lui.

« … Per favore, dimmelo. Mi serve per aiutarti. » si alzò. Lo fece con una tale disinvoltura, che mi sorprese; con quelle catene addosso, alle caviglie e ai polsi, io avrei sicuramente perso l’equilibrio in un battito di ciglia.
Si avvicinò, forse fin troppo, andando a sfiorare con le labbra il lobo del mio orecchio. Quando lo fece, credo di aver capito come si sentivano i cellulari in vibrazione, durante una chiamata.

« Un anno. » e sapevo che c’era altro. Perché non si era allontanato.

« Con iniezione finale. »
 

*Angolino miomio.*
Okayokay. Non fustigatemi, quei pochi che mi seguivano, MA LA SCUOLA. MI HA UCCISA. ; A ;
E penso che molte/i di voi potranno capirmi, suvvia. ; AA ;
Ciemmequ, ora che non ho più ‘sto strazio che mi fracassa le ---..pallin’/? riprenderò la fanfic in modo regolare, ovvero un capitolo ogni lunedì.
Avviso picciulin picciulin: mancano sì e no due capitoli, forse tre, dato che in questo non ho detto molto, ed era fatto solo per riprendere.
Comunque sia, spero non mi fustighiate davvero, che vi sarangho tanto. /? ; u ;
Al prossimo capitolo, guys !~~
- Jez.
( vi lascio alcune gif/immagini che mi piacciono tipo troppissimo, perché sìbiunomphuio. /? )
 








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Capitolo 5
*** - Una minima speranza di salvezza. ***


Nam Woohyun – Psychology office.

Le ultime tre parole di Myungsoo, mi ricordo bene, mi fecero perdere alcuni battiti.
Rimase lì, affianco al mio orecchio, allontanandosi solo dopo un po’; nemmeno quando me lo ritrovai a pochi centimetri dal viso feci tornare i miei occhi alla loro grandezza normale. Lo vidi inclinare il capo di poco, stendendo le labbra rosee in un lieve sorriso.
Come se lo divertisse vedermi così.

« Che c’è, dottore? Non si aspettava questo.. colpo di scena? » effettivamente no, non me lo aspettavo.
Scossi la testa, come se mi stessi riprendendo lentamente da una profonda trance.
Alzai gli occhi in quelli del detenuto difronte a me, ancora incurante della troppa vicinanza; non riuscivo a respirare bene, e deglutivo a fatica. Era la primissima volta che mi ritrovavo un detenuto nel braccio della morte, e per di più era anche innocente. Che poteva andare più storto di così?
Perché io me lo sentivo dentro, e lo leggevo negli occhi scuri di quel ragazzo che non era stato lui.

« Quanto---quanto è passato. »
« Un anno. Tra tre giorni, un anno. » rispose prontamente, non togliendosi il sorrisetto dalla faccia.
Mi irritava particolarmente, quel suo modo di fare strafottente. Sapevo che aveva paura, paura e rabbia, ma non l’avrebbe mai esternato.
Mi sarebbe andato meglio che si disperasse, che mi implorasse di fare qualcosa; e invece era così tranquillo, così… pronto a morire. Semplicemente accettava la sua fine. Ma io no.

« … I detenuti condannati --.. il tuo tipo di detenuti hanno diritto ad un’ultima udienza. La tua quand’è? Domani? »
« Il mio tipo? Oh, razzismo anche fra i detenuti, questa mi è nuova. Dimmi un po’, a noi poveri plebei in catene in che altri fantasiosi modi ci hai classificati? »
« Smettila di fare il duro, rispondimi ! » è stata la prima volta che ho urlato. E non intendo che era la prima volta che lo facevo con lui, ma era la prima volta in generale. Di solito ero calmo, pacato e rassicurante; invece, in quel caso, ero io quello a dover essere rassicurato.
Appena mi resi conto del tono che usai abbassai lo sguardo, e mi allontanai di fretta verso la porta.
Lo sentii sospirare, anzi, quasi sbuffare.

« E ora dove vai? »
« A informarmi sulla questione, dato che tu non vuoi collaborare. » presi tutto, cartella e fascicoli. E per ultime, le chiavi dell’ufficio.
Mi girai verso di lui, prima di andarmene.
« E tu aspetterai qua. »
« Dove vuoi andare? A corrompere il giudice? »
« .. No. A dichiarare il tuo stato mentale. »
 
Kim Myungsoo – Psychology office.

Giuro, di solito mi piacciono davvero tanto le persone enigmatiche. Davvero, adoro gli indovinelli, e le barzellette pure, o i rebus e stronzate varie. Ma le parole di quel dottore, davvero, mi risultano incomprensibili almeno quanto ad ogni singolo studente risulti incomprensibile almeno parte della grammatica.
Lo guardo uscire dalla stanza - e chiudermici dentro - sospirando appena.
Non ho la minima idea di cosa lui voglia fare. E in parte la considero una cosa buona, perché almeno è l’unico che mi crede.

Nonostante i suoi modi di fare un po’ troppo, diciamo, iperattivi e decisamente troppo impulsivi è il più bravo strizzacervelli che mi abbiano appioppato.
Anche se, con quel tipo di frasi non fa che incasinarmi quel poco di cervello che m’è rimasto. Devo dire la verità, è già da un paio di sedute che mi sta salendo una voglia incontrollabile di sbatterlo contro qualche muro della stanzetta; il tuo lato etero della sessualità se ne va lentamente, quando vivi a contatto con degli uomini. Ergo il tuo unico sfogo sessuale è ---.. sì insomma. Quello.
Detto in tutta sincerità, non capisco perché il piccolo psicologo dai capelli rossi se la sia presa così tanto a cuore. E che vuol dire che va a dichiarare il mio stato mentale? Io sto benissimo!
… Per quanto può stare bene un condannato, ovviamente, ma la mia mente sta benissimo. Sarà che non conosco niente di legge, dato che poco me ne sbatte, ma forse un’idea sta salendo alla mia materia grigia.

Che Nam Woohyun voglia salvarmi?
 
Nam Woohyun – Principal Office.
 
Marciai verso l’ufficio del direttore, con lo sguardo fermo e deciso.
Stavo pensando. A cosa fare, a cosa dire e a come; non avevo mai mentito su niente, non mi è mai piaciuto dire bugie.
Ma il ragazzo è innocente, io lo so, e lo voglio aiutare. Non c’è niente e nessuno che possa portare via la vita a qualcuno, soprattutto se questo qualcuno non ha fatto nulla per meritarsi un posto in tribuna nell’inferno o paradiso che sia.

Più in fretta di quel che pensavo arrivai difronte alla porta di Kim Sungkyu, e l’aprii. Sì, senza nemmeno bussare.
Lui, che era in consulto con un altro agente, mi guardò tra il rimprovero e lo stupore.
 Non posso dire che mi conosceva bene, ma penso avesse constatato, anche se in poco tempo, che non ero il tipo da fare queste cose.
Lo fissai senza dire una parola, mentre l’altro poliziotto mi guardava con la stessa espressione del suo superiore.
Quest’ultimo raddrizzò la schiena, schiarendosi la voce.

« Agente Lee, può andare. » il ragazzo, o ragazzino, non saprei come definirlo, si alzò dalla sedia e accennò un breve inchino al capo, prima di filare via.
Mi consolò il fatto di non essere l’unico cui il maggiore Kim facesse una punta di terrore.
Ancora prima che il poliziotto prendesse fiato sbattei i fascicoli sulla sua scrivania, sedendomi senza chiedere nulla sulla sedia opposta.
Non so di quanti colori sia diventato il suo viso, ma so per certo che devono essere stati molti, moltissimi.

« Il carcerato ha bisogno di più tempo, prima della condanna.
All’udienza di domani, chiederò uno stato di infermità mentale per lui, è in gravissime condizioni. » a dir la verità mi aspettavo che mi ridesse in faccia, ma alzò semplicemente un sopracciglio e si limitò a prendere i fascicoli e leggerli.

« .. E’ lei il dottore. Io non ne capisco molto, di tutto questo, quindi – se vuole provare, provi. Non le prometterò nulla. Ora, vada, le rimangono meno di quaranta minuti di seduta. » avrei voluto spalancare la bocca in modo molto poco delicato, ma, mi trattenni dal farlo. Piuttosto, permisi ai miei occhi di farlo.
Poi, presi baracca e burattini e quasi corsi fuori dall’ufficio.

Devo confessarlo, tutt’ora non so se fossi più felice di aver avuto successo per la mia prima bugia andata a buon fine, o il fatto di sapere che Kim Myungsoo avesse finalmente una possibilità di vedere la luce del sole.
 
Kim Myungsoo – Psychology office.
Non sono stato a contare i minuti, eh, ma sono abbastanza sicuro che il piccoletto sia stato via undici minuti e ventisei secondi.
Non ho la minima idea di che voglia fare, e non mi succede spesso, quindi un sottile senso di agitazione sta prendendo possesso del mio splendido corpo.
Infatti non per niente sono in piedi, sbatacchiando un po’ ovunque le catene; giuro che, se non è qua quando il dodicesimo minuto scatta io –

« Myungsoo ! » la prima volta che mi sono spaventato in un anno, ed è colpa di quel deficiente tinto.
Non lo ringrazierò mai abbastanza, davvero. E non sono per niente sarcastico, devo dire.
Faccio in tempo a sentire la porta che si apre e si chiude velocemente, per poi girarmi e trovarmi una cosa che mi salta addosso. Mi sta … abbracciando? No, non è possibile. Non mi sta abbracciando.
… Sì, dannazione, questo è un abbraccio !

« Ce l’ho fatta ! Cioè ---.. credo. Ho convinto l’ufficiale, domani all’udienza ci sarò anche io, e arriveremo a farti dare un pochino più di tempo, qualche mese non molto, ma riuscirò a scagionarti. Vedrai, dobbiamo solo lavorare un po’ assieme e --.. oh, scusami. » la cosa divertente è che mi sono dimenticato per un momento di come si respira. Insomma, un abbraccio? Ma dove siamo, in una telenovelas? Però … mi sono reso conto che non mi sono arrabbiato come avrei fatto di norma.
Il vederlo così esagitato per avere una minima possibilità di salvarmi, mi fa piacere, quasi.
.. Non ho idea di cosa dire.

« .. Okay. »
« Okay? Solo okay?
.. Non importa. Direi di metterci a lavoro, abbiamo poco tempo, ci rivedremo solo domani. » lo fisso, lo seguo con lo sguardo.
E penso che lui nemmeno se ne sia accorto. Forse è meglio così; non sono abituato al fatto che qualcuno cerchi di salvarmi, tutti mi hanno sempre ritenuto colpevole.
Lui ora è lì, seduto sulla sua sedia che parla e straparla di ipotesi e stronzate del genere, e io davvero non riesco a smettere di guardarlo. Ho il terrore di dirlo, ma sento una sorta di gratitudine. Ho qualcuno, adesso, che per la prima volta crede in me.

E che mi ha dato una minima speranza di salvezza.

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