What about us?

di Coglilarosa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Quando un nome diventa un incubo ***
Capitolo 3: *** Il vestito è essenziale ***
Capitolo 4: *** Tonight we do it big ***
Capitolo 5: *** Sguardi che parlano ***
Capitolo 6: *** Che rumore fa il cuore? ***
Capitolo 7: *** Nobody's perfect ***
Capitolo 8: *** Eventi inaspettati ***
Capitolo 9: *** Love the way you lie ***
Capitolo 10: *** Confessioni ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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                                                                             Prologo

                                                       

 

Non mi sono mai reputata una ragazza stupida.

Ingenua forse, ma stupida mai.

Eppure, quando i miei sensi si accendevano e la mia mente si spegneva, tutto mi appariva differente.

Vedevo il bianco anche dove marciva una spessa coltre di nebbia nera, il giusto ed il sbagliato si fondevano, non riuscivo più a riconoscermi.

Non ero io.

Non ero io la ragazza che piangeva ogni notte.

Non ero io la ragazza che fingeva un sorriso.

Non ero io la ragazza che stringeva  il suo cuore nelle mani infettate da lui.

Non ero io la ragazza che si doveva continuamente difendere dal senso di colpa.

Non ero io la ragazza che si era annullata, per lui.

Mi sono resa conto troppo tardi di star volteggiando su un filo di morbido e sottile veleno, un veleno potente, di quelli che ti divorano dall’interno, distruggendoti lentamente e senza via di scampo.

Il mio veleno era Alessandro Bianchi, mi era entrato in circolo dalla prima volta che l’avevo visto, aveva intasato il normale flusso sanguigno nel momento in cui mi aveva sorriso, impedendomi di respirare, parlare, camminare.

Ma che importanza aveva il dolore quando accorreva l’amore a tamponare le ferite?

Quando la consapevolezza di volerne ancora ed ancora di quel veleno, di distruggersi e ricomporsi nello stesso momento superava  qualunque altra cosa?

Avevo imparato a disintossicarmi un passo alla volta, sofferenza dopo sofferenza, lacrima dopo lacrima.

Avevo imparato a correre su quel filo morbido e sottile fino ad arrivare alla mia destinazione.

Avevo scorto la luce tra le nuvole fitte, avevo trovato la mia salvezza.

Avevo bisogno dell’antidoto per guarire, e il mio era Emanuele Montebello.

O forse no?

 

 

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Capitolo 2
*** Quando un nome diventa un incubo ***


                                                                           CAPITOLO 1

                                                    

                                      

La crudeltà è la virtù per eccellenza dei mediocri, hanno bisogno di esercitare la crudeltà, esercizio per cui non è necessaria la minima intelligenza.

Alessandro Baricco, City, 1999





Un fastidio indesiderato fu la prima cosa che provai quel mattino di metà Maggio. Una carezza delicata mi attraversava il viso con un ritmo regolare mentre con la mente ero ancora in un altro mondo.
Grugnii per scacciare quel leggero tocco e aprii un occhio, intravedendo la figura di mia sorella, ora sorridente. “ Svegliati  acidona”
La apostrofai con epiteti poco carini e scostai le coperte –faceva ancora freddo in quel periodo dell’anno, roba da pazzi!- .
Mi alzai controvoglia, giusto per iniziare al meglio quella giornata.
Intanto il mio adorabile quanto vivacissimo cane prese a giocare con le mie ciabatte, facendomi  irritare ulteriormente.
“Annie ridammele! Annie no! Non correre che tanto ti prendo! Tanto non mi scap..”
Non feci in tempo a finire che era già corsa verso la cucina, sfrecciando come una saetta e regalandomi un piccolo sorriso.
Camminai a passo di  bradipo  verso di lei e dopo mille minacce e sguardi intimidatori riuscii a riprendere le mie adorate ciabatte fluo.
Nel contempo mia sorella continuava a rendermi parte attiva del mondo ricordandomi l’orario ora più che mai ostile, facendo sì che la mia colazione fosse una totale disfatta.
Presi coraggio e affrontai  i pochi metri che mi separavano dal bagno e con un abile movimento di gambe riuscii a schivare la coda, ora scodinzolante, del mio –sempre adorabile- cane.
Impiegai circa dieci minuti per dare una sistemata al mio poco gioioso viso, specchiandomi più volte e ammirando il mio sorriso (aaah la modestia!), uscendo soddisfatta e incamminandomi verso l’armadio.
Scelsi con cura i vestiti da mettere, dopodiché  cominciai la mia attività fisica quotidiana cercando di tirare più su che potevo i jeans.
Reduce da una battaglia faticosa, finii di prepararmi e armata di cuffie e caramellina zuccherata, seguii mia sorella lungo la strada che mi divideva dalla fermata dell’autobus.
Salutai chi di dovere e aspettai con pazienza l’arrivo del pullman, che come al solito era in ritardo.
Dopo circa sei minuti fece la sua comparsa e finalmente riuscii a salire al suo interno, evitando di guardare più del dovuto visi antipatici.
Diedi un’occhiata in fondo e lo vidi.
Solito paio di occhiali, cuffie prontamente calcate sulle orecchie e sguardo intenso.
Emanuele Montebello.
Ci guardammo, e comportandomi come nulla fosse girai lo sguardo, puntandolo sul paesaggio fuori dal finestrino.
Pensai, pensai a come era strano e per questo affascinante quel ragazzo, di cui avevo appreso il carattere tramite una stupida chat di Facebook, in un tempo nel quale ancora soffrivo per un rosso imbecille e senza cuore, in un momento nel quale cercavo qualcuno che non si presentasse come il solito stronzo di turno, ma che sapesse attrarmi per il carattere profondo e mai critico.
Ma come ogni sfiga che si rispetti era fidanzato, spezzando quel poco di speranza che riponevo nei tempi in cui parlavamo e  nei quali lui era ancora single.
Nonostante tutto però, mi resi conto che anche se le poche speranze che avevo erano state spazzate via dal vento della delusione, persistevo nel renderlo parte integrante del mio stupido cervellino, fatto di illusioni e desideri poco reali.
Lo guardai ancora, ammirandone i tratti del viso e i capelli  sempre spettinati, non riuscendo a distogliere lo sguardo.
Fui costretta ad abbassarlo solo quando venni colta in fallo, incontrando immediatamente la punta delle mie converse bianche.
Per il resto del viaggio osservai con estremo interesse i contorni un po’ sbiaditi delle mie scarpe, ascoltando di tanto in tanto i discorsi del gruppo di ragazze davanti a me.
“Non sapete! Mi sono fatta il piercing all’ombelico da sola!” squittiva una.
“E come hai fatto?” chiedeva stupita un’altra.
“ Mia sorella mi reggeva il margine di pelle e io ho infilato l’ago” affermò la prima ridendosela come se fosse già brilla di prima mattina.
“E quindi?”avrei voluto risponderle, giusto per farle notare che la gente intorno non poteva fregarsene di meno del suo diamine di piercing alla lingua, alla schiena o dovunque fosse.
Il fatto che continuasse ad elogiarsi per essersi ubriacata poi non migliorò la sua condizione di perfetta imbecille, rendendosi  sciocca e frivola –o almeno si sperava- agli occhi   dei ragazzi  di quell’autobus.
Stavo per sbottare in turco quando un movimento alquanto brusco mi ricordò che l’autobus si era fermato.
A quel punto  mi voltai verso di lui  e lo vidi affrettarsi per scendere appena dietro di me.
Come ogni giorno mi ripromisi di salutarlo appena scesa, e come ogni giorno puntualmente non lo feci.
“Sono una perfetta idiota!” mi rimproverai mentalmente, mentre con mia sorella e una mia amica mi avviavo verso il carcere minorile, meglio definito come Liceo Classico C.Beccaria.
Superai a passo spedito  alcune compagne di classe di Alessandro, o per meglio dire,  superai il loro sguardo torvo a cui ormai non davo più peso, e mi diressi verso l’atrio, poco popolato a quell’ora mattutina.
Osservai svogliatamente le facce semi-addormentate dei poveri studenti che come me si avviavano verso l’Inferno, e  stetti per un paio di minuti ad osservare in trance il vuoto, fino a quando non mi decisi ad entrare.
Trascorsi le prime due ore nella noia più totale, e stavo cedendo al richiamo di Morfeo, quando fui bruscamente riportata alla realtà dal suono impazzito della campanella, che emise i soliti tre suoni di allarme per avvisarci della prova di evacuazione.
Inutile dire che mi risvegliai in un battito di ciglia, costringendo la mia vicina di banco, Alice , ad alzarsi in fretta e furia.
“Ma tutto questo entusiasmo?” mi riprese quest’ultima “Chi devi vedere?”
Borbottai qualcosa di incomprensibile che assomigliava tanto a un “Sempre a pensar male, ma tu guarda questa”.
Cercai con lo sguardo l’altra idiota della mia migliore amica, Sara, che mi rivolse un sorrisetto per niente rassicurante.
Finsi di non aver visto niente e procedetti sulle scale anti-incendio che ci avrebbero portate in cortile.
Fu allora che lo vidi.
Sorriso irriverente  e sguardo  malizioso,  Alessandro  si stagliava in tutta la sua –testata di persona- stupidità.
Gli rivolsi uno sguardo carico d’odio e superiorità, ma non sembrò scalfirlo più di tanto, piuttosto mi rivolse di rimando uno sguardo derisorio, che mi fece  irritare non  poco.
Decisa a non dargli troppa attenzione, continuai a camminare, ma lui non parve dello stesso avviso, e mi bloccò mentre ero intenta a scendere l’ultimo scalino.
“Ehi nanetta, ti è andato di traverso lo yogurt scaduto stamattina?”
Mi girai,  intimandogli con lo sguardo di non proseguire.
“ O forse la mia presenza ti mette in soggezione?” continuò invece, questa volta con un tono ironico che non prometteva nulla di buono.
Stupido babbuino. Te lo faccio vedere io quanto mi metti in soggezione.
“Oh ma guarda, credevo che la fase del  sono-un-idiota-egocentrico fosse passata, invece mi sbagliavo. Evidentemente  la voglia di renderti ridicolo  non ti passa mai.”
Ecco fatto, egocentrico patentato.
Mantenne la faccia da schiaffi, ma intravidi  qualcosa nel suo sguardo che mi fece capire che lo avevo colpito.
1 a 0 per me ah!
A quel punto  incrociai le braccia sul petto, tanto per  rendere più chiaro il mio messaggio, ma non ebbi il tempo di godere di quella piccola vittoria che dal suo gruppo di amici/scimpanzè con il moccio sotto al naso  -e non scherzavo sul moccio-  comparve la persona più stupida che si potesse incontrare sulla faccia della terra , meglio noto come Luca Gervasi,  alias migliore amico di Alessandro.
“Perché non vieni con me al piano di sopra? Ti faccio passare io  tutta l’incazzatura” rise senza ritegno dopo quella squallida battuta, prontamente  fermato dal cipiglio  infastidito di Alessandro.
“ Piuttosto cambio sponda” risposi a tono, sorridendo malignamente.
Alice e Sara sorrisero fiere  guardandolo con aria di malcelato  disgusto.
Vidi la sua faccia cambiare leggermente tonalità, che improvvisamente si fece di un colore più intenso.
Non provare a sfidarmi, Luca caro.
Questa volta gustai  a pieno la vittoria e gongolando non troppo discretamente  me ne andai più felice che mai.
Avrei passato  i minuti di quella prova con un’estrema pace dei sensi, se solo le mie fantasie  riguardante la mia nomina a presidentessa degli Stati Uniti non fossero state interrotte da una voce petulante quanto falsa.
“Ma tu guarda un po’,  nonostante sia brutta continua a passeggiare tranquillamente per i corridoi della scuola. Fossi stata in lei mi sarei già chiusa in un convento per non sopportare  l’umiliazione continua di essere guardata con disgusto” disse  Eleonora De Fio alle sue amiche, rivolgendomi un’occhiata gelida e sprezzante.
Ok, risolviamo questo fatto una volta per tutte. Non sono la tipica ragazza da copertina, contornata da  efelidi  sparse dolcemente sul viso con due occhi grandi e chiarissimi  e con  capelli lisci e perfetti come le modelle della Garnier, ma non sono nemmeno un ratto della peggior specie.
 Mi definisco più che altro carina.
Le uniche cose che non mi rendono anonima sono il sorriso –che amo curare!-  e i tratti del viso, che mi donano un’aria da indiana d.o.c  e  che i miei amici  spesso  elogiano.
Per il resto, potrei anche buttarmi da un ponte.
Sì certo come no, e poi chi risponde a tono a quella vipera?
La voce della mia coscienza mi riportò alla realtà,  una realtà di cui avrei preferito fare a meno per i venti minuti successivi.
“Preferisco essere giudicata per l’aspetto esteriore piuttosto che avere la nomea  da ragazza come dire….” feci finta di pensarci per aumentare la suspense  “…facile” finii lentamente  giusto per assaporare  più a lungo  la soddisfazione  di vedere quella splendida ragazza tentennare per un millesimo di secondo, che io ovviamente non mi feci scappare.
Dopo un’occhiata particolarmente omicida, Eleonora si limitò ad offendermi con stupidi epiteti e  sculettare in direzione del campo da calcio.
Sbuffai rumorosamente e  Sara mi sorrise incoraggiante.
Tutti quei botta e risposta mi avevano sfinita, che diamine!
Sperai con tutto il cuore che per quel giorno gli scontri con persone indesiderate fossero giunti al termine, e con un ritrovato sorriso  iniziai un entusiasmante discorso sui vestiti  freschi d’acquisto  con Sara ed Alice.
                     
                      
 
Il sabato mattina iniziò con un’energia che non credevo di avere.
Mi alzai  con  una gioia di vivere mai provata nelle ore mattutine, ed evitai persino di pensare  quanto il mio già non molto asciutto corpo avesse risentito delle quantità industriali di cibo  ingerite il giorno prima preda di una crisi esistenziale,  conclusasi con un’intensa quanto profonda cucchiaiata di nutella.
Un miracolo insomma.
Sorridente come non mai, impiegai circa dieci minuti a fare le coccole ad Annie, scansando con nonchalance il pensiero dell’orario  che non era propriamente  promettente.
A riscuotermi da quel torpore  fiabesco ci pensò  la mia bellissima, simpaticissima, dolcissima sore..
“TI MUOVI A FARE COLAZIONE RAZZA DI CAPRA CHE NON SEI ALTRO?! OH MA IO NON TI ASPETTO EH! SONO STANCA DI PERDERE L’AUTOBUS A CAUSA TUA!”
Ho già detto che la amo?
Non le risposi, limitandomi a fare un cenno di intesa con Annie, provata anche lei da quelle urla isteriche di prima mattina.
Decisi di assecondare i voleri –e le occhiate furibonde- di mia sorella, mangiando di fretta –tanto per cambiare- e vestendomi velocemente, ricordandomi solo all’ultimo di dover almeno passare un filo di matita sugli occhi, tanto per rendermi meno orribile del solito.
Spazzolai i capelli con una foga  che mi fece mugolare di dolore e  spruzzai un po’ di profumo –diciamo anche più di un po’- sul collo e sui polsi.
Mi rimirai allo specchio giusto quell’attimo per assicurarmi di essere presentabile, e con un bacio volante salutai la mia cagnetta che mi guardava con aria triste dal divano su cui era stesa.
Ma quanto è carina?
Mi ripromisi di riempirla di coccole appena tornata a casa e chiusi la porta di casa, seguendo mia sorella lungo le scale.
“Come mai così allegra Sofia Di Martino ?” pronunciò con fare inquisitorio quest’ultima, arcuando un sopracciglio.
“Non mi è concesso di essere felice senza un motivo preciso, Amanda Di Martino?” ribattei con tono ironico io, sorpassandola con una falcata e avviandomi il più velocemente possibile verso la  fermata.
Come ogni mattina salutai la mia portatrice di sventure, meglio denominata come Greta Mancini, colei che mi aveva fatto conoscere  quello stolto orango tango di Alessandro.
Povera, in realtà lei mi aveva solo aiutata ad avverare un mio desiderio.
Che poi si fosse tramutato in un connubio di sfortunati eventi era tutta un’altra storia.
Le sorrisi apertamente, con la piena consapevolezza che niente quel giorno avrebbe potuto scalfirmi, fino a quando la voce della mia cara amica, mi gelò sul posto.
“ Non vorrei smorzare il tuo entusiasmo, ma a scuola gira voce  che tu ed Alessandro vi siete lasciati perché  tu eri un tantino….come dire….” parlò lentamente scegliendo con cura le parole da dire “….grassa per i suoi standard”
No, quello era troppo. Chi diavolo si era permesso di far circolare un’  offesa del genere?
Dopo la nostra rottura ne erano girate tante di voci, e nessuna di loro,  seppur con un certo fastidio, mi aveva mai colpita tanto.
C’era chi pensava che io fossi troppo acida –come dargli torto?-, chi adduceva la rottura alle corna che mi aveva fatto con la mia migliore amica, chi addirittura pensava fossi troppo frigida,  e chi mi puntava il dito contro dicendo che fossi stata io a tradirlo con uno dei suoi amici.
Insomma, la fantasia di certo non era mancata, ma un’offesa del genere mi aveva stretto lo stomaco in una morsa.
Perché sì, il mio corpo era qualcosa che faticavo ancora ad accettare, nonostante i miei sedici anni di età.
Tutti i corpi belli e perfetti delle mie coetanee mi avevano portata a pensare cheio non fossi abbastanza, alla loro altezza.
Per questo dopo quella notizia tutta la mia felicità scemò in un attimo, e dopo aver preso un respiro profondo, chiesi con cautela “Chi è stato a mettere in giro questa voce?”
Ci mise qualche secondo di troppo a rispondere, ma appena lo fece desiderai che non lo avesse mai fatto.
Alessandro”.
 
 
 
 
 
-Note autrice-
Salve gente! Ecco a voi il primo capitolo……*tadaaaan*
No, a parte gli scherzi, finalmente la trama comincia ad avere un senso e vengono ripresi aspetti della vita della protagonista, Sofia, che attraverso il suo modo di vedere le cose ci mostra la sua immancabile compagna Sfiga  che le sarà fedele fino alla fine.
Spero che questo first chapter  sia stato di vostro gradimento, e se nell’attesa del secondo capitolo avete intenzione di  lasciarmi una recensione  ne sarò immensamente felice! ^^
Le pubblicazioni avverranno ogni settimana, salvo imprevisti ovviamente, e i capitoli diventeranno sempre più interessanti mano a mano che la storia prende forma –eheh-
Detto questo, vi auguro una buona giornata, sperando che questo caldo non uccida anche voi ç.ç
A presto,
Coglilarosa 

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Capitolo 3
*** Il vestito è essenziale ***


3 capitolo What bout us

                                                         Capitolo 2

                                        

                                        

                    Quello che conta tra amici non è ciò che si dice, ma quello che non occorre dire.
                                               Albert Camus


“Chi è stato a mettere in giro questa voce?”

Ci mise qualche secondo di troppo a rispondere, ma appena lo fece desiderai che non lo avesse mai fatto.

“Alessandro”.

 

 

Sentii la rabbia ribollirmi nelle vene e feci leva su tutto il mio autocontrollo per non fare una scenata con tanto di monologo sull’ingiustizia della vita e sull’esistenza di simili soggetti.

Sibilai un “Bene” in direzione di Greta e spostai lo sguardo in lontananza, dove una scritta arancione mi informava dell’arrivo dell’autobus.

Evitai di guardare Amanda e il suo sguardo compassionevole e mi avviai verso l’entrata del mezzo.

Salii in fretta e mi guardai in giro per trovare un posto vuoto, che intravidi per mia (s)fortuna al fianco di Emanuele.

Ma cosa ho fatto di male dico io?!

Ci fissammo, e decisi che era troppo tardi  per i ripensamenti e che non potevo –e non volevo- tirarmi indietro.

O la va o la spacca.

Lo affiancai, biascicando un “Ciao” che a malapena udii io stessa, ancora provata dalla notizia di quel giorno.

Ero così incazzata con il genere umano che ancora non mi accorgevo di quale opportunità mi si fosse presentata.

Lo sentii rispondermi con un “Ciao” sorpreso e….imbarazzato?

Mi voltai per guardarlo, ammirandolo ancora una volta.

Sofia Di Martino, non eri tu quella incazzata con il mondo intero fino a qualche minuto fa? Riprenditi!

Sbattei le palpebre un paio di volte e ritornai sul pianeta Terra, che avevo momentaneamente lasciato per dirigermi sul Pianeta Delle Menti Deviate.

Incontrai il suo sguardo accigliato da sotto le lenti spesse degli occhiali, magari stava pensando perché una pazza del genere circolasse liberamente sugli autobus.

Con un gesto disumano controllai se non avessi anche la bava alla bocca –non si può mai sapere cosa può accadere mentre si è in trance- e lo guardai con un sorriso colpevole.

Non disse niente, e non si sa quanto gli fui grata per questo, piuttosto si mise le cuffie che aveva distrattamente tolto, mettendo su l’espressione da sono-figo-anche-da-serio.

Quella volta evitai di fissarlo come una maniaca e tenni per me le mie considerazioni sulla sua figaggine.

Fu in quel momento che ripensai al motivo per il quale ero infervorata fino a 5 minuti prima, forse furono le parole di I Knew You Were Trouble di Taylor Swift a ricordarmelo, fatto sta che mi chiusi nel mio mutismo architettando una lenta morte per quel decerebrato di Alessandro.

Per colpa sua non potevo nemmeno godermi la vicinanza di Emanuele, perdindirindina!

Una improvvisa frenata mi fece sobbalzare proprio quando avevo pianificato una degna morte,  obbligandomi a cercare un solido appiglio che non fosse il duro rivestimento del pavimento dell’autobus, e che prontamente trovai nel braccio del sopracitato.

Focalizzai la mia attenzione sulla stoffa liscia della sua camicia con i ghirigori neri e sentii il sangue fluirmi verso le guance.

Ma perché tutte a me?! Magari in una vita precedente ero una serial killer e ora sto scontando tutte le mie colpe!

Sollevai lo sguardo su di lui, trovando immediatamente il suo ghigno divertito.

Fantastico!

A quel punto le mie guance assunsero una tonalità tendente al bordeaux, che cercai con molta fatica di dissimulare.

Balbettai uno “S-scusa” e a rallentatore, nemmeno a farlo apposta, ritirai la mia mano dal suo braccio, ormai rassegnata al fatto che quel giorno tutto sarebbe andato a rotoli.

Aspettai con frustrazione la mia -la nostra-  fermata, muovendomi  irrequieta sul sedile e cambiando convulsamente le canzoni sul mio i-pod.

Tirai un sospiro di sollievo fin troppo rumoroso quando l’autobus si fermò,  cosa che la mia secret crush  notò fin troppo bene e che gli permise di regalarmi uno sguardo ironico.

Quanto è bello….

Sofia Di Martino! Ti ricordo che ha la fidanzata la tua cara ‘secret crush’! Datti una svegliata!

Ancora una volta diedi ascolto alla voce della mia coscienza, fermando il flusso dei miei pensieri che stavano prendendo una brutta piega.

Mi alzai con nonchalance dalla mia postazione e mi avviai verso l’uscita, superando –sempre con nonchalance- gli sguardi sardonici di Amanda e Greta.

Ooh al diavolo quelle due!

Mi voltai giusto in tempo per incontrare il suo sguardo, ora serio e misterioso.

Ahh ci rinuncio! I ragazzi sono troppo  complicati!

Mi ripromisi di cercare appoggio nel duro rivestimento del pavimento dell’autobus  piuttosto che arpionarmi al braccio -invitante- di Emanuele la prossima volta, evitandomi la figura della povera scema.

10 a 0 per la sfiga signori! Sofia Di Martino battuta clamorosamente dalla sfiga!

Ottimo, ottimo davvero.

 

 

 

Quella mattina il mio umore già di per sé sotto terra venne calpestato ulteriormente dall’entrata trionfale di Eleonora De Fio in classe, che con voce civettuola annunciò il party che si sarebbe tenuto quello stesso sabato presso la discoteca “In&Out” , ideato dai rappresentanti d’istituto e magnificamente organizzato  per regalare una sconvolgente serata a tutti i suoi partecipanti -testuali parole della civetta in questione-.

La guardai con aria amichevole, che lei prontamente cancellò con la sua frase successiva “Ovviamente gli sfigati farebbero meglio  a non presentarsi” disse con una gran dose di cattiveria guardandomi.

La professoressa di greco la guardò accigliata da sopra le lenti squadrate dei suoi occhiali pressoché inguardabili , chiedendosi perché venisse offesa una categoria di cui anche lei faceva parte, e senza scomporsi troppo, la rimproverò “Mi scusi signorina, le pare il modo di pronunciarsi?”

Eleotorda, per niente scalfita dal tono autoritario della Giovannetti, le rispose a tono “E’ sempre meglio evitare situazioni spiacevoli ai poveri rifiuti della scuola, sa com’è , tutto quel divertimento potrebbe tramortirli”

Detto questo, non senza un’occhiata glaciale da parte della talpa occhialuta, informò tutti del prezzo e dell’ora di ritrovo.

Seguirono  un paio di cori da stadio indetti dai ragazzi e un paio di schiamazzi euforici delle ragazze.

Io dal canto mio rimasi seduta ad osservarmi distrattamente le unghie, contornando con la punta dell’indice le varie chiazze sbiadite che mi informavano di un’urgente ritinteggiatura di smalto.

Alice  mi guardava con occhi inquietanti, e lo stesso fece Sara dalla sua postazione un paio di file più indietro, entrambe sorridendo come lo Stregatto e nella posizione di chi aveva appena elaborato un piano diabolico.

Risposi con un’occhiata scettica e un po’ allarmata, già temendo il peggio. Quelle due messe insieme potevano far concorrenza a Mignolo e Prof., i due topi da laboratorio che ad ogni fine puntata ripetevano:

Mignolo: Cosa facciamo questa sera, Prof?
Prof.: Quello che facciamo tutte le sere, Mignolo. Tentare di conquistare il mondo!-

Cercai  quindi degli indizi sui loro volti, ma niente mi riportò a quello che Alice mi disse poco dopo “Hai sentito Sofy..?”

Oh no… Quando Alice mi chiamava Sofy c’era davvero da preoccuparsi!

“Andrai alla festa vero?” continuò subito dopo “Mi sembra chiaro che non resterai a casa di sabato sera a mangiare cibi  ad alti contenuti calorici mentre quella gallinella da quattro soldi se la spassa!”

Ecco dove volevano arrivare….L’avevo detto io che non era nulla di buono!

“Scherzi vero? Io stasera, di sabato sera, poltrirò sulla poltrona mangiando esattamente cibi ad alti contenuti calorici! Non me ne può importare di meno se Miss Auto-Abbronzante 2013 vuole mostrare la sua giugulare a tutti gli esseri di sesso maschile”

Alice e Sara misero insieme un’espressione delusa che tradiva però un certo divertimento, segno che il loro piano d’attacco era solo all’inizio.

“Ma non puoi dargliela vinta! Hai sentito come ti ha definita? Un rifiuto della scuola!”

Roteai gli occhi al cielo, con tanto di schiocco di lingua.

“Quando mai ha usato aggettivi carini per definirmi? Ormai non mi fanno più effetto le sue offese poco velate” ribattei annoiata, stiracchiando le braccia  indolenzite.

“Dai! Non muori dalla voglia di dimostrarle che non può metterti i piedi in testa? Che nonostante ti tratti come un animale della peggior specie, tu continui ad essere un gradino sopra di lei?”

Per la prima volta dall’inizio della conversazione le lanciai uno sguardo semi-serio, notando nei suoi occhi una scintilla di accesa determinazione, che mi fece tentennare per un secondo.

“Senti Ali, io non devo dimostrare niente a nessuno. Non c’è bisogno di andare ad una stupidissima festa per farle vedere che riesco a tenerle test…”

“SOFIA DI MARTINO! TU ANDRAI A QUELLA MALEDETTISSIMA FESTA! E’ CHIARO?!?”

Un silenzio tombale seguì quella frase, che era stata pronunciata niente di meno da quella che consideravo la mia migliore amica.

Ma non era stata Alice ad usare quegli acuti, bensì Sara, che dall’alto dei suoi 159 centimetri mi fissava furibonda dal suo banco.

Si ridimensionò solo quando notò ventisei paia d’occhi che la fissavano sbalorditi, compresi quelli della Giovannetti, che passavano da me a Sara come se stesse assistendo ad una scena di una telenovela spagnola.

“Ok, credo che oggi le mie orecchie abbiano sentito abbastanza” disse la talpa pulendosi alcune gocce di sudore sul viso con un fazzoletto “Se gentilmente mi permetteste di continuare la mia lezione ve ne sarei molto grata, soprattutto voi signorine, se non volete ricevere una nota alla fine dell’anno” finì in bellezza indicando me, Alice e Sara.

Ammutolimmo all’istante, e accantonammo il discorso festa per tutta la restante ora.

Grazie al cielo.

 

 

 

Scappai letteralmente dalla classe appena suonò la campanella della ricreazione, non dando il tempo alle mie due migliori amiche di riprendere il discorso.

Camminai velocemente lungo il corridoio del primo piano, imbattendomi in Alberto Della Croce, ragazzo che detestavo dal profondo del cuore.

In fin dei conti come potevo amarlo dopo che mi aveva ingiustamente dato della poco di buono?

Perché sì, da bravo coglione quale era non poteva risparmiarsi dal rivendicare il suo orgoglio ferito da maschio abbandonato dedicandomi parole dolci e genuine.

Ma la vera cogliona ero io, che lo avevo frequentato -virtualmente si intende eh!-  solo un anno prima perché attratta dalla sua immensa bellezza…intelligenza…sincerità….

Ma a chi volevo darla a bere?

Alberto era solo un bambinetto attaccato ai videogiochi peggio di un nerd incallito, dotato dell’intelligenza di un piccione e cosa peggiore, migliore amico di Alessandro.

Lo avevo conosciuto per caso, un giorno di dicembre, per una gita condivisa insieme , grazie alla quale avevamo intrapreso una ‘frequentazione’ tramite Facebook, finita con lui che mi diceva che gli piacevo, ed io che gli ponevo una domanda non inerente al  discorso.

Logico insomma.

Fatto sta che dopo averlo smollato per le sue inesistenti capacità di approccio  per mettermi con Alessandro, playboy dalle mille facce, qualche mese dopo, mi aveva presa in antipatia, confabulando con la sua carissima cuginetta,  -che probabilmente odiavo più della stessa Eleotorda-, sulla mia natura di farmi piacere ogni ragazzo presente sulla faccia della Terra –che problema c’era scusa?-.

Alla fine a tutte capita di invaghirsi di più di un ragazzo nel corso del periodo scolastico.

Non si poteva certo dire che fossi io la poco di buono, visto che la cara cuginetta Carola non si era fatta scrupoli a mettersi con il ragazzo che mi piaceva al primo anno e che proprio lei mi aveva presentato.

Ahh, la ruota della fortuna prima o poi girerà dalla mia parte!

In sintesi non gli rivolsi nemmeno uno sguardo, era il minimo dopo quello che aveva detto su di me!

Piuttosto lo superai velocemente, notando con la coda dell’occhio la sua mascella improvvisamente contratta.

Certo, fai tu la parte dell’incazzato!

Sbuffando apertamente mi diressi verso le scale, percorrendole a due a due e arrivando presto al piano terra.

Mi affrettai verso lo stand dei panini e nell’attesa del mio turno ascoltai la conversazione delle ragazze al mio fianco.

“Oddio, stasera sarà uno sballo! Parteciperà anche Alessandro Bianchi! Ho sentito che forse sarà in compagnia di Eleonora! Vi rendete conto? Ed io che speravo mi notasse!”

Al suono di quel nome sobbalzai silenziosamente, cominciando a ripensare ininterrottamente a quello che proprio  lui aveva detto sul mio conto.

Le parole ‘grassa’ e ‘per i suoi standard’ si accostarono vorticosamente nella mia testa, facendomi mancare il fiato per un attimo.

Pensai che forse potevo davvero prendere in considerazione l’idea di andare a quella festa.

Cosa avevo da perdere in fondo? Ormai la mia reputazione non svettava tra le nomine dei santi, per cui decisi che quella sera avrei dimostrato a me stessa che sì, in fondo non ero io quella inferiore.

 

 

 

Dopo aver riferito la mia scelta a due euforiche  Alice e Sara,  cominciai  ad analizzare il vero problema di quella serata: il vestito.

Cosa diavolo avrei indossato?

Feci mente locale su tutti gli abiti che possedevo, ma nessuno pareva rispondere alle mie richieste.

Che diamine, c’è sempre un problema di mezzo!

Decisi quindi di andare in giro per i negozi quel pomeriggio, sperando  in un riscontro positivo.

Stavo giusto preparando lo zaino in vista della fine delle lezioni, quando un picchiettare sulla mia spalla mi avvisò che la mia amica Elena De Laurentiis reclamasse la mia attenzione.

Mi girai un po’ spaesata, guardandola rivolgermi uno sguardo un po’ triste.

Mi ricorda tanto il viso di Annie quando non le viene  dato il cibo che vuole.

Stavo per chiederle cosa avesse, quando mi anticipò “Sei cattiva lo sai? In questi giorni non mi hai considerata per niente, vergognati!”

Mise su un broncio adorabile che mi fece sorridere.

“Scusa Ele lo so, in questi giorni diciamo che sono un po’… distratta

Non resistette a lungo e mi abbracciò offendendomi affettuosamente.

Oddio, il ‘brutta porcella grassona che non sei altro’ poteva anche risparmiarselo eh. Mica me la sarei presa!

Dopodiché cominciò a riparlarmi del suo ex Pietro e di quanto lo odiasse.

Certo come no, adesso partirà con una filippica  dove elencherà tutti i suoi pregi e il suo carattere stupendamente perfetto!

Era quello il motivo principale per il quale evitavo di parlarle per troppo tempo.

E grazie, ogni cosa che vede lo collega a Pietro! Un motorino bianco per strada, i rasta su di un qualche ragazzo, i lacci delle scarpe, le api che si posano sui fiori…!

Feci finta di ascoltarla fino a quando suonò la campanella.

Mi dispiaceva comportarmi così perché in fondo le volevo bene, ma anche lei che cavolo! Trascorreva il tempo che passava con me inserendoci sempre quel maledetto nome.

Se l’avessi incontrato per strada lo avrei minacciato di rasargli la testa privandolo dei suoi amati rasta, se non si fosse trasferito immediatamente  in Groenlandia.

Oh.

Stanca di dover subire un racconto dettagliato della loro (ex) vita amorosa, le  dissi che dovevo correre perché altrimenti avrei perso l’autobus.

Mi guardò un po’ dispiaciuta ma non disse niente.

Beh, era ora!

Salutai velocemente anche Sara ed Alice, promettendo loro di vederci quel pomeriggio per lo shopping.

Alla fine avevano deciso di accompagnarmi alla festa, “Almeno ti sorreggeremo quando cadrai  sui tacchi che naturalmente comprerai” Aveva esordito Sara dopo aver saputo della mia scelta.

Corsa –come ogni giorno- la maratona, riuscii per un pelo a prendere l’autobus, di cui l’autista dopo avermi vista sbracciare come un’ossessa, aveva deciso di compiere la sua buona azione giornaliera, aprendomi le porte del Paradiso –in quel caso di un vecchio e puzzolente automotore-.

Sfiga voleva che non trovassi nemmeno il posto, figuriamoci!

Dovetti appoggiarmi alla sbarra posta vicino all’uscita centrale per non cadere come una pera cotta, ma le inchiodate del mezzo non aiutavano affatto.

Ad aumentare il mio livello di irritazione ci pensò un uomo salito ad una fermata dopo la mia, che grazie –ma quale grazie?-  al suo braccio sollevato per potersi sostenere alla meno peggio, mi rese consapevole del suo livello di sudorazione piuttosto elevato.

Oddio, fa’ che scenda tra poco! Se continuo così mi conviene mettere una bombola dell’ossigeno.

Contro ogni più rosea aspettativa scese poco prima che lo facessi io, quando ormai stavo annaspando in cerca di aria.

Arrancai un po’ scossa fino a casa, dove mi aspettava una madre furibonda.

Quando mai?

Mi chiesi cosa avessi fatto di tanto sconvolgente da meritarmi un’occhiata del genere, ma smisi di pensarci quando ricordai che mia mamma era sempre arrabbiata.

E poi mi chiedevano perché ero acida! Provate voi a stare con una persona che vi tartassa i maroni da mattina a sera!

“Sofia Di Martino! Vai subito a sistemare il disordine che sta in camera tua! Non voglio ripetertelo due volte! Chiaro?!"

Appunto. E non le avevo ancora detto della festa!

Presi la saggia decisione di aspettare che sbollisse almeno un po’ la rabbia prima di darle il colpo di grazia. Ci mancava solo che mi spedisse in Cambogia a dare da mangiare agli elefanti.

Mi preparai dunque a vedere l’enorme macello che mi aspettava una volta entrata in camera, ma tutto quello che  trovai furono un paio di cianfrusaglie sulla scrivania e alcuni vestiti sparsi sul letto.

Woooow! Se rivendo tutte queste cose mi ci compro una villa con la piscina!

Nascosi meglio che potevo i pochi oggetti che popolavano la scrivania e rimisi in un ordine tutto mio le magliette disposte sul letto.

Assodato che il lavoro duro fosse finito, mi collegai un po’ al computer, precisamente su Facebook, dove constatai  avessi dieci notifiche ed una richiesta d’amicizia.

Fa’ che non sia il marocchino che vende le cose vicino il supermercato sotto casa mia!

Aprii la casella delle richieste e tirai un sospiro di sollievo quando vidi che nessun nome alla ‘Muhammed’ lampeggiava sul monitor.

“Noemi Castorano”

Oh no, ridatemi Muhammed!

Noemi mi era simpaticamente conosciuta grazie al ruolo che ricopriva, ovvero ragazza altezzosa del gruppo delle amiche di Alessandro.

Ma che carina, perfino la richiesta d’amicizia per vedere i fatti miei.

Inarcai un sopracciglio, arricciando le labbra e  picchiettando le dita sulla superficie in legno sulla quale posava la tastiera.

Accetto o non accetto?

Ero indecisa, da una parte non volevo darle la soddisfazione di vedere che non avessi il coraggio di accettarla, dall’altra non volevo renderla partecipe della mia vita virtuale.

Alla fine accettai.

Così vedi che non ho nulla da nascondere!

Tanto dopo aver cancellato Alessandro dagli amici , il mio profilo Facebook era solo un insieme di post sull’acidità acuta e immagini più o meno divertenti.

Niente di compromettente insomma.

Diedi una rapida occhiata ai post dei miei amici virtuali, ridendo di tanto in tanto della loro stupidità e mettendo mi piace a quelli che mi sembravano i più spassosi.

Mi scollegai solo quando fui chiamata per il pranzo, trovando a tavola anche mia sorella Amanda appena tornata da scuola.

“Cosa fai oggi pomeriggio?” mi chiese proprio lei una volta seduta.

“Esco con Sara ed Alice per comprare l’abito per stasera”

“Dove dovresti andare stasera?” mi chiese la mia dolcissima genitrice.

Oh cavolo, dovevo introdurre l’argomento per bene! In questo modo non mi lascerà andare nemmeno sotto tortura…

“Oh …beh sì, è stata una decisione presa all’ultimo minuto e…”

“E ti sembra che io ti abbia dato il permesso?” continuò lei, questa volta con un tono sadicamente appagato.

Merda, ci mancava solo l’autorità materna che si risveglia ogni qualvolta le tengo segreta una cosa.

“Beh io credevo che da brava mamma quale sei, mi avresti dato senza problemi il permesso…”

Vai così, addolciscila con i complimenti!

Mi lanciò un’occhiata scettica, probabilmente le lusinghe erano fin troppo artefatte.

“Con chi dovresti andarci e a che ora?” mi rispose però.

Buon segno, sta cedendo!

“Ci vado con Sara ed Alice ma ci saranno sicuramente molti miei compagni di classe. L’orario è previsto per le 21:30”

Ci pensò su, masticando lentamente il boccone di ravioli.

“Ce ne andremo massimo per mezzanotte e mezza! E tranquilla, ci riporta il papà di Alice” continuai dato che ormai ero quasi arrivata alla vittoria “All’andata ci accompagna papà però” precisai.

Mio padre alzò la testa dal suo piatto solo quando capì di essere stato chiamato in causa.

“Quanto viene il biglietto?” mi interrogò lui.

“Dieci euro biglietto e bibite…” proseguii “…Che ovviamente io non berrò!”

Non dovevo rischiare di dire cose compromettenti con due paia d’occhi che mi fissavano indagatori.

“La festa sarà noiosa come al solito, non ho capito perché vuoi andarci” mi rimproverò Amanda, guardandomi tra il curioso e l’irritato.

“Cosa c’è di male a voler passare una serata diversa?” sbuffai, lanciandole un’occhiata infastidita.

“Fai come ti pare” concluse lei, prendendo una forchettata di ravioli.

Odio ufficialmente i ravioli.

 

 

Il pomeriggio arrivò presto quanto l’autobus che stavo per perdere.

Miseriaccia…!

Dopo pranzo avevo avuto poco tempo per prepararmi, così avevo optato per semplici jeans e maglietta a maniche corte.

Meglio che non descrivo i capelli va…

Di certo il cespuglio indefinito sulla mia testa avrebbe potuto far concorrenza alla parrucca di Platinette, il che mi rendeva nervosa e leggermente  irascibile.

Almeno avevo trovato il posto sull’autobus.

Direi, dopo tutte le preghiere che hai fatto!

Mi sedetti soddisfatta, sorridendo a trentadue denti al vecchietto al mio fianco, il quale mi guardò di traverso e si girò dall’altra parte borbottando “Ah i giovani di oggi! Fumano troppa erba!”

Ma tu guarda questo!

Gli dedicai un’occhiata non propriamente gentile e mi infilai le mie amate cuffiette.

Alternai distrattamente “Single ladies” di Beyonce e “Alone again” di Alyssa Reid per tutto il viaggio, tanto per deprimermi pensando effettivamente a quanto fossi sola.

Una sfigatella single per la cronaca, non potete sbagliarvi!

Scossi la testa per scacciare quei pensieri, ma il vecchietto al mio fianco interpretò quel gesto come una conferma alla sua tesi precedente.

Pensala come vuoi vecchio!

Scesi frettolosamente dall’autobus, incamminandomi verso la piazza dove avrei dovuto aspettare le mie due amiche.

Stavo giusto scrivendo loro un messaggio, quando un rumore mi fece alzare lo sguardo.

Per poco non mi cadde il telefono di mano, quando  con palese stupore osservai la figura di un Emanuele intento a fare acrobazie con il suo skateboard.

Ero già a conoscenza di questa sua passione -sia benedetto Facebook!-, ma vederlo dal vivo era tutt’altra storia.

Vedere la sua espressione concentrata e la sua abilità nel muoversi lungo il pavimento in cemento  mi fece rimanere a bocca aperta.

Letteralmente.

I suoi occhi erano fissi sull’asfalto, e piccoli ciuffi di capelli scuri sfuggiti al berretto  gli ricadevano sulla fronte, conferendogli un aspetto che…diamine censuratemi!

A trarmi in salvo da quella maniacale contemplazione ci pensarono Sara ed Alice, che mi fissavano divertite  qualche metro più avanti.

“Niente battutine grazie!” esordii io appena le raggiunsi, guadagnandomi due sorrisetti sarcastici.

Menomale che quel figone non si è accorto di nulla!

Le seguii mentre ancora divertite si avviavano verso Zara.

Anche a loro serviva un abito, così avevamo deciso di comune accordo di consigliarci a vicenda.

Scegliemmo quattro, cinque abiti ciascuna ed entrammo nei camerini, posti l’uno di fianco all’altro.

Io avevo optato per diverse tonalità di colore,  affinché potessi rendermi conto di quale mi stesse meglio.

Cominciai con un vestito color panna, che mi fasciava il seno con molta eleganza e mi ricadeva sui fianchi con altrettanta leggerezza.

Lo trovai molto carino, ma desistetti dallo sceglierlo perché troppo  semplice.

Voglio farmi notare alla festa, io!

Scartai dunque il primo abito e passai al secondo.

Di una tonalità più accesa, un blu cobalto, il secondo abito si presentava come un ottimo candidato.

Leggermente più corto rispetto al primo, catturava lo sguardo per le paillettes poste su un fianco, che donavano luce e sensualità alla mia figura.

Le maniche lunghe poi lo rendevano sobrio ma accattivante al tempo stesso.

Lo avrei sicuramente comprato,  se non fosse che essendo aderente, mi accentuava i fianchi leggermente pronunciati, rendendomi un cotechino in un abito stupendo.

Uffa, adoravo questo vestito!

Passai quindi al terzo, un abitino in color vinaccio dai ricami in pizzo.

Stretto in vita, mi circondava dolcemente i fianchi nascondendo quel mio piccolo difetto.

Le maniche lunghe tutte ricamate gli conferivano un’aria romantica, ma non era quello che mi aveva colpita di più.

Mi voltai nuovamente, e dando le spalle allo specchio, ammirai rapita ancora una volta  la scollatura posta sulla schiena, di forma a goccia, che poteva esser considerata la ciliegina sulla torta.

Emisi un risolino estasiato che udirono anche Sara ed Alice, accorse immediatamente al mio camerino per capire la fonte di tanta gioia.

Non saprei dire cosa pensarono appena mi videro, anche perché non fuoriuscì nessuna sillaba dalla loro bocca, ma i loro occhi espressero tutto ciò  che non avevano reso a parole.

Ci sorridemmo nello stesso istante, tutte e tre indossando abiti che ci avrebbero fatto risplendere per una sola sera.

A quel punto non mi rimase che pensare una cosa:

Che la festa abbia inizio.

 

 

 

 

 

-Note autrice-

Rieccomi con il nuovo capitolo! Qui viene dato maggior rilievo alla figura di Emanuele, ma soprattutto viene data una sbirciatina a quella che è la famiglia di Sofia.

Ovviamente avete avuto solo un assaggio di tutto ciò, e cosa più importante, questo è solo un capitolo di passaggio.

Si può dire che sia la calma prima della tempesta!

Ebbene sì, nel prossimo  capitolo se ne vedranno delle belle!

Voglio anche ringraziare tutte coloro che hanno recensito e/o messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate, ve ne sono molto grata! ^^

Detto questo, mi metto subito all’opera per la stesura del next chapter!

A presto,

Coglilarosa

 

Gruppo facebook:gruppo facebook

 

 

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Capitolo 4
*** Tonight we do it big ***


Capitolo 3 What

 Ed eccomi ad aggiornare dopo tempo immemore! Ahahah no in realtà non così tanto ma comunque più del previsto!

Spero che il capitolo valga almeno un po’ l’attesa, giusto un pochino eh!

Beh, vi lascio alla lettura! Ci vediamo alle note finali ^^

    

 

                                                                              Capitolo 3

                                                                                                       

                                                    

     Alla fine della giornata, il fatto che abbiamo ancora il coraggio di stare in piedi è già un motivo sufficiente per    festeggiare. 
Meredith Grey (Ellen Pompeo), in Grey's Anatomy, 2005-2013




Era passata circa un’ora e mezza da quando avevamo comprato gli abiti con tanto di tacchi da nove centimetri.

Finalmente potrò sentirmi alta!

Se alta significava essere 1,74 cm con quei trampoli, allora sì, ero alta!

Niente obiezioni ok?

Eravamo dunque passate alla fase del ‘Andiamo a casa tua e acconciamoci alla grande’, in quel caso ritrovandoci nella mia.

Ed era da sopra il mio letto che osservavo divertita Sara che sbraitava perché i suoi capelli non ne volevano sapere di arricciarsi in delicati boccoli, e Alice che invece saltellava per la stanza nell’intento di alzarsi la zip del vestito, che era rimasta incastrata a metà percorso.

Io intanto me la ridevo, mentre con una calma surreale mi passavo uno smalto brillantinato dai colori neutri.

“Ti muovi brutta scema?! Non essere così calma, è tardi!”

Il dolce richiamo di Sara mise fine alle mie risate, ma non al mio palese divertimento.

“Se per tardi intendi che sono solo le 20, ti conviene cambiare orologio”.

“Quanto non ti sopporto quando fai così!” mi rimbeccò lei, questa volta facendomi ridere apertamente.

Dopo circa cinque minuti di incessanti risa –la faccia di Sara era troppo esilarante!-, ritrovai un minimo di contegno, rispondendole sempre allegra “Dai va bene, tra poco vado a lavarmi la faccia e poi potrai truccarmi quanto vuoi”.

Sapevo che esponendole quelle affermazioni mi avrebbe amata all’inverosimile, e infatti così fu.

Mi saltò al collo trillando “Ohhh grazie grazie! Non vedo l’ora di renderti bellissima!”

Ebbene sì, il make-up e tutto ciò annesso a quel mondo erano la sua passione, per cui quando volevo farmi perdonare per qualcosa o farle tornare il sorriso, mi offrivo come cavia per riuscire nel mio intento.

Ci guardammo, questa volta sorridendoci complici, e in un attimo ci ritrovammo abbracciate sul letto con me sotto che stavo soffocando e lei che mi spettinava giocosamente i capelli.

Platinette rivendica la sua parrucca!

Fu Alice a riportarci con i piedi per terra, o direi anche con tutto il corpo.

Per farci ridestare infatti, aveva avuto la brillante idea di buttarci sul pavimento, con il risultato che avvertii un dolore allucinante sul mio grosso e morbidoso didietro.

Rialzatami a fatica, le lanciai epiteti molto poco signorili, ricevendo in cambio una scrollata di spalle del tutto indifferente.

Pff, io la zip non te la alzo!

Mi incamminai verso il bagno e presi lo spazzolino, cominciando a lavarmi i denti.

Impiegai circa due minuti per quell’operazione e altri dieci per guardarmi allo specchio.

Beh, che volete? Il sorriso è l’unica cosa che amo, fatemela ricredere almeno per questo!

Uscii lentamente per ritardare almeno un po’ il trattamento che avrei subito di lì a poco.

Mi stavo pentendo di aver concesso così facilmente a Sara di truccarmi per l’occasione, perché sapevo che il suo non sarebbe stato un trucco leggero, come avevo sperimentato giusto qualche mese prima.

La mia andatura lenta tuttavia venne notata proprio da lei, che mi rivolse dapprima uno sguardo stranito, poi appena capì, scettico.

Le sorrisi colpevole e mi avviai verso la sedia che autorevole troneggiava al centro della stanza.

Deglutii un paio di volte, nemmeno dovessi andare al patibolo, e mi sedetti cauta.

Alice mi guardava incoraggiante dallo stesso letto dove nemmeno venti minuti prima ero spaparanzata io.

Chi diavolo le ha chiuso la zip?

Le lanciai un’occhiata omicida, dopodiché mi voltai verso Sara, che sadicamente sorridente mi guardava dall’alto.

“Preparati al paradiso ragazzaccia!”

Oddio no, è la fine.

 

 

Un’ora dopo eravamo tutte pronte e fresche di trucco e parrucco, rimirandoci a vicenda nella macchina di mio padre.

“Sei davvero bellissima” mi sussurrò Sara dal sedile posteriore, facendomi spuntare immediatamente un sorriso.

In effetti, considerai, da quando mi ero vista per la prima volta allo specchio, non avevo potuto pensarla diversamente.

 

Non avevo mai provato una sensazione del genere, perché normalmente non avrei mai fatto simili pensieri su di me, ma quella volta era diverso.

Sara non aveva esagerato col trucco, come invece avevo pensato, al contrario aveva usato un trucco non troppo marcato per enfatizzare i tratti del mio viso un po’ asiatici.

La guardai riconoscente e aspettai con pazienza la nostra destinazione.

Quando arrivammo al locale erano le 21.35, mentre c’erano ancora molte persone fuori a parlare.

Sorpassammo un gruppetto intento a rollarsi una canna ed entrammo, dopo aver mostrato il biglietto ad un body-guard.

La musica era assordante, e le luci da discoteca riflettevano una marea di corpi ammassati che si strusciavano a ritmo delle note di “On the floor” di Jennifer Lopez.

Iniziamo alla grande.

Stavo giusto guardando con disgusto una ragazza piuttosto disinibita, quando una spalla mi urtò accidentalmente.

“Scusa, non ti avevo vista bellezz…” oh no, oh no! “Aspetta! Ma tu sei la Di Martino! Non ci posso credere!”

Un Luca Gervasi piuttosto sbalordito mi si appellò sorridendo, squadrandomi dalla testa ai piedi.

“Sei….” Un rospo? Uno scarafaggio rinsecchito? Una cacca di bue? “…davvero una gnocca!”

Oh cacchio.

Sara ed Alice precedentemente intente a guardarsi in giro, finalmente si accorsero della presenza dell’ idiota, rivolgendogli uno sguardo sprezzante.

“E anche voi due..” non si perse d’animo “..siete davvero due gnocche!”

Ma non sa usare aggettivi di maggior impatto uditivo?

Questa volta fui io a guardarlo sprezzante, ma fece finta di non averlo notato, al contrario rise senza ritegno da bravo imbecille quale era.

“Se volete divertirvi chiedete pure” si rivolse alle mie due amiche “Tu invece credo sia off limits” concluse guardandomi divertito.

Off limits? A che diamine si riferisce quella testa di broccolo?

Stavo per chiedergli spiegazioni quando si dileguò con la promessa di farsi rivedere presto.

Ma vai tranquillo! Non sentiremo la tua mancanza!

Guardai la sua figura sparire tra la folla e proposi alle mie amiche di bere qualcosa.

Speriamo che mio padre non abbia mandato qualcuno per controllarmi!

Tanto per essere sicura rimasi sul leggero, ordinando un semplice Sex On The Beach, mentre Sara ed Alice ordinarono un drink con un nome che la diceva lunga sul suo contenuto, El Diablo.

Assaporai la mia bevanda, diciamo pure che la trangugiai in due sorsi –era troppo buona porca paletta!-, osservando senza un motivo preciso la pista da ballo che si ergeva al centro del locale.

Intravidi diversi visi conosciuti, tra i quali spiccavano molti volti di ragazzine del primo anno con abiti molto poco decorosi e stracci di indumenti che dovevano fungere da mini-gonne.

Siamo al circolo delle peripatetiche?

Corrugai la fronte, chiedendomi se paradossalmente non fossi io quella fuori posto.

Insomma, il mio abito non arrivava di certo  all’altezza delle mie grazie e potevo sembrare indietro con i tempi.

Ma ti pare?

Ero ancora immersa in quelle assurde congetture, quando una persona attirò la mia attenzione.

Con centonovanta centimetri di altezza e –mi costò molto ammetterlo- sensualità, Alessandro Bianchi percorreva con passo calcolato ogni centimetro di quel locale, ricevendo non pochi sguardi.

Lui godeva di tutto quell’apprezzamento sfoggiando un’aria da sbruffone, parlottando di tanto in tanto con la sua comitiva di scimpanzé.

Vidi chiaramente il ghigno di Luca Gervasi quando mi indicò con un cenno del capo, e non mi astenni dal lanciargli un’occhiata glaciale.

Smisi di incenerirlo quando Alessandro seguì la traiettoria che il suo amico idiota gli aveva suggerito, permettendogli di capire chi stesse indicando.

Dapprima sembrò confuso, forse non riconoscendomi, poi vidi chiaramente il suo sorriso strafottente e lo sguardo malandrino.

Sprofondai leggermente nello sgabello, mantenendo però il contatto visivo, mostrandomi sicura e indifferente.

Continua così e forse la tua recita vincerà l’Oscar!

Mi complimentai con me stessa, notando con la coda dell’occhio le mie amiche perforarmi con lo sguardo alle mie spalle.

Lo vidi avvicinarsi, facendomi deglutire mentre il cuore prendeva a pompare più sangue.

Sobbalzai quando fu a meno di due metri di distanza, ma cercai di mantenere l’autocontrollo necessario a non farmi ruzzolare al suolo.

“Ehi nanetta. Pensare che non ti avevo riconosciuta! A quanto pare i miracoli esistono!” disse con tono sfacciato.

“Peccato che non esistano per i coglioni come te” risposi io acidamente.

Come si permetteva quel lurido….!

Mi rivolse uno sguardo divertito, per nulla scalfito dalle mie parole.

Si limitò a ghignare seguito dalle risate dei suoi amici, per poi superarmi, non prima di avermi sussurrato all’orecchio un “Non è finita qui” decisamente malizioso.

Gelai sul posto, sbarrando gli occhi.

“Ehi Sofia tutto bene?” chiese preoccupata Alice una volta che se ne fu andato.

“Sei stata grande!” aggiunse euforica Sara.

Ritrovai il sorriso dopo quella frase e risposi più sollevata “ Ora bene. Lo odio” conclusi con uno sbuffo infastidito.

“Dagli sguardi che vi lanciavate non direi proprio” insinuò Alice, sorridendo beffarda.

“Cosa vorresti dire?” risposi piccata.

Non mi piacciono per niente certe insinuazioni.

“Non fare la finta tonta. Erano quei tipi di sguardi che se foste stati in una stanza da soli vi sareste saltati addosso” mi riprese con tono canzonatorio.

Assottigliai le palpebre, pronta a difendermi a spada tratta, quando Sara smorzò la tensione con un “Andiamo a ballare dai”, tirandoci per i polsi.

Il mio concetto di “ballare” però, prevedeva una morte prematura.

Infatti mi ritrovai incastrata tra un energumeno e una tizia con il lato b degno di Kim Kardashian, tanto che fui costretta a rivolgermi a qualsiasi divinità presente nel cielo affinchè mi  mandasse l’aiuto necessario per non soffocare.

Provai a spostarmi delicatamente per non rischiare uno schiacciamento stile bacon nel panino, ma i movimenti bruschi e decisamente fuori controllo dell’energumeno mi fecero scattare in avanti, facendomi ritrovare con la faccia nei capelli cotonati della sosia della Kardashian.

Stavo soffocando vistosamente con i suoi capelli super laccati, ma a trarmi in salvo fu Alice, che accortasi dell’assurda situazione, mi afferrò per una spalla portandomi di qualche passo verso di lei.

Credevo di averla fatta franca, beandomi della consapevolezza di non aver destato sospetti sui ciuffi della mora che adesso parevano i capelli elettrizzati di un barboncino, ma a quanto pare la Signora Fortuna faticava a venirmi incontro, perché la suddetta, accortasi che qualcosa non andava nemmeno avesse i radar, si toccò la matassa  informe sulla nuca, girandosi di scatto e cercando il colpevole.

Cercai di comportarmi normalmente, ovvero muovendomi senza un ritmo preciso e urlando “Party Hard” come una comune gallinella.

Sei davvero un genio, wow!

A quanto pare ero davvero un genio, perché la mora credette che il colpevole fosse un ragazzino minuto che aveva posato per sbaglio lo sguardo su di lei.

E’ inutile precisare quanti improperi gli toccarono, tanto che molte persone si voltarono ad assistere alla scena.

Sentiti in colpa “Party Hard” dei miei stivali!

Ci mancava solo la mia coscienza!

Lo guardai compassionevole, La Signora Fortuna quella volta mi aveva pateticamente protetta nella sua ala, cosa che non si poteva dire per il ragazzino, che ora vagava terrorizzato per la pista senza staccare gli occhi dal pavimento.

Lo seguii con lo sguardo fin quando non si dileguò in qualche anfratto del locale, rendendomi inquieta e rammaricata.

Sei troppo sensibile!

Non eri tu quella che mi diceva di sentirmi in colpa? Taci!

Misi a tacere la vocina petulante che era in me e decisi che non era il momento di disperarmi.

Cominciai quindi a ballare in modo scatenato con le mie amiche senza curarmi di nulla.

Al diavolo la gente! Nessuno andrà a guardare proprio me…figuriamoci..!

Non feci nemmeno in tempo a pensarlo che una risata acuta e stridula mi informò della presenza della mia peggior nemica.

Ma perché?!? Stavo facendo un passo degno di Elvis!

“E tu cosa ci fai qui?” mi disse con una malignità inconfondibile.

“Quello che fai tu, mi diverto” risposi con innaturale calma, non risparmiandomi però un sorrisetto a fine frase.

“Avevo detto chiaramente che gli sfigati non erano ammessi” continuò lei.

“Mmh strano, perché io ne vedo una proprio di fronte a me” rimarcai sarcasticamente.

Dopo quella frase si tolse dal viso esageratamente truccato il suo sorriso derisorio.

Colpita e affondata, oh yes!

“Senti rifiuto umano, non sei degna di stare in un posto del genere, quindi vedi di smammare”.

Si sta forse arrabbiando o il colore più roseo delle sue guance è una illusione ottica?

“Senti tu, questo è un luogo pubblico, e lei può starci quanto le pare” ribatté infervorata Sara al mio fianco.

“Già, quindi vedi di smammare tu” le diede man forte Alice.

Mi girai stupita verso di loro sorridendo apertamente.

Amori miei  pucci pucci!

Se gli sguardi avessero potuto uccidere, in quel momento saremmo già stramazzate al suolo agonizzanti.

“Lo vedremo” ci minacciò lei, incamminandosi verso la pista.

Lo vedremo” le rifeci il verso io facendo ridere le mie due amiche.

Riprendemmo a ballare a ritmo di “Crazy Kids” di Kesha, quella volta libere di muoverci e divertirci come volevamo.

Cantammo all’unisono, godendoci quei momenti di gioia e libertà.

Era una emozione appagante quella che stavo provando in quel momento, tanto che non pensai a nulla, niente mi turbava, niente mi creava stupide paranoie.

Nessun Alessandro. Nessuna Eleonora.

Solo Sofia, Sara ed Alice.

Risi, risi come se non avessi mai fatto altro nella vita.

Risi come se non ci fosse stato nessun motivo per cui essere tristi.

Cosa poteva andare male d’altronde?

“Buonasera gente!” disse il dj all’improvviso.

Ma che cavolo…?

Un boato di urla seguì quella frase apparentemente innocua.

Apparentemente.

“Rendiamo questa serata più movimentata! Facciamo un gioco! Tutti i ragazzi sono invitati a portare in pista una ragazza, e chi tra le ragazze rimarrà senza cavaliere dovrà fare uno spogliarello finite le danze!”

Coooooooooosa?! Stiamo scherzando?!

Evidentemente avevo sentito benissimo, perché quella volta il boato si fece più intenso tra urla di eccitazione dei ragazzi e altre di disapprovazione delle ragazze.

Dov’è finita la mia bellissima amica Felicità?!

Mi chiesi come diavolo era venuta in mente un’idea del genere al dj, ma quando intravidi il viso di Eleonora al suo fianco fissarmi con un sorriso vittorioso, capii.

Brutta racchia del Paleolitico, come hai osato?!

Guardai le amiche al mio fianco, sconvolte anche loro da quella notizia.

“Cosa facciamo…?” sussurrai io.

In un altro momento non mi avrebbero sicuramente sentita con la musica che rimbombava incessante, ma quella volta lo sentirono forte e chiaro.

Non risposero, ma il loro sguardo esprimeva lo stesso sconcerto e terrore che provavo anche io.

Molto disordinatamente ragazzi e ragazze si accoppiavano euforici, mentre io, Sara ed Alice eravamo paralizzate al centro della pista.

Vidi un paio di ragazzi avvicinarsi, e provai un moto di sollievo nel constatare che forse non tutto era perduto.

“Ehi belle” cominciò uno “Vi va di ballare?”

Sorridente ero in procinto di rispondergli che lo avrei fatto volentieri.

In un’altra occasione sicuramente avrei rifiutato dicendo che avevo già il ragazzo, perché non erano questa gran bellezza e affidabilità, ma date le circostanze avrei fatto un’eccezione.

Peccato che i due individui presero per mano Sara ed Alice, lasciandomi basita.

E io? Sono lo scarto di turno?

“Io resto con lei” disse Sara, staccandosi dalla presa del suo cavaliere.

“Non ti preoccupare! Andrò a nascondermi in bagno se proprio non trovo nessuno!” la rassicurai io scherzandoci sopra.

Dentro di me volevo solo sotterrarmi.

“No, non ti lascerò in balìa di questa gentaglia!” riprese lei decisa.

Potevo amarla più di così?

“Davvero, troverò una soluzione. Vuoi fare uno spogliarello a fine serata?” le domandai retoricamente “E no, so cosa stai per rispondere. Io me le caverò! Guarda, quel ragazzo mi si sta avvicinando!” continuai svelta.

In realtà non ero affatto sicura che il ragazzo biondo che si incamminava verso di noi mi stesse puntando, ma feci leva sulla prima scusa che mi venne in mente per non rovinare la serata a Sara.

Ci mancava solo che dovesse condividere il mio stesso destino!

Già, il tuo destino. Che pensi di fare ora?

La vocina era tornata a farsi sentire, e io non sapevo come difendermi da quella realtà disarmante.

Alzai lo sguardo che avevo momentaneamente piantato a terra, e incrociai quello di Sara che mi guardava indecisa.

Le sorrisi incoraggiante e la spinsi delicatamente verso il suo cavaliere, sussurrandole un “Divertiti e non pensare a me. Il bagno in fondo non è così male!” ridendo leggermente.

Sorrisi anche ad Alice, dispiaciuta come l’altra mia amica.

Rivolsi loro un’ultima occhiata, prima di farmi spazio tra la gente per scappare da tutta quella bolla di compassione, e perché no, anche da quella realtà che tanto mi terrorizzava.

 

 

Stavo bevendo un Bloody Mary, tanto per affogare i miei dispiaceri nell’alcool, quando presi davvero in considerazione l’idea di chiudermi in bagno.

Meglio vedere un water che le facce allupate dei trogloditi qui presenti.

Finii quindi il liquido contenuto nel bicchiere di vetro, e mi avviai verso la toilette un po’ traballante.

Non sono abituata a bere cacchiolina!

Mi sorressi alla parete adiacente al bar per non cadere, fermandomi di tanto in tanto per il lieve mal di testa che mi aveva colto.

Arrivai con notevole fatica ma sorrisi alla prospettiva di averla scampata.

Sorriso che sparì appena mi accorsi che la porta principale del bagno era chiusa a chiave.

Ma che diamine..?

Provai ad aprirla con uno slancio di forza, ma vidi i miei sogni sfumarsi quando constatai che non potesse essere aperta in nessun modo senza la chiave.

Merda, sono fregata.

Stavo per mettermi a piangere, ma evitai di farlo lì perché non volevo subire anche quell’umiliazione.

Mi voltai disperata, a quel punto non rimaneva altro che cercare da sola un ragazzo.

Mi sarei anche accontentata di uno non propriamente bello, tutto pur di non dare spettacolo a fine serata.

Girai intorno alla pista da ballo come una maniaca, valutando ogni figura che incrociavo.

Sorrisi estasiata alla vista di un ragazzo solo soletto molto carino vicino ad una finestra, e con ritrovato entusiasmo lo braccai.

“Ehi ciao, vuoi ballare con me?” proposi sfacciata.

Grazie al cielo  l’alcool rende più disinibite!

Lo vidi voltarsi dalla mia parte, squadrandomi dalla testa ai piedi.

“Sei molto carina, ma ho già la mia accompagnatrice” mi rispose un po’ dispiaciuto.

Tutto il mio entusiasmo svanì con la stessa rapidità con cui era arrivato.

“Oh ma guarda, la sfigatella è così disperata da cercare il cavaliere” cinguettò Eleotorda affiancando il ragazzo.

Non è possibile! Perché deve sempre stare in mezzo?!

Serrai la mascella, per la prima volta a corto di parole.

Mi oltrepassò vittoriosa insieme al suo accompagnatore, lanciandomi un’occhiata denigratoria.

Rimasi a fissare i corpi che a ritmo delle note di “Right Round” Di Flo Rida si muovevano senza sosta, divenendo ancora più depressa.

Stavo valutando l’idea di buttarmi dalla finestra che si trovava dall’altra parte del locale, quando una voce fin troppo familiare mi riportò alla realtà.

“Ehi, ti va di ballare, nanetta?”

Mi girai di scatto, osservando la figura di un Alessandro intento a fissarmi divertito.

Ci mancava solo lui!

Avvampai vistosamente, così finsi una tosse improvvisa per riprendermi da quello stato.

“Mi faccio suora piuttosto!” ribattei accalorata.

“Beh di quello non devi preoccuparti, lo sei già” mi rinfacciò lui.

Lo guardai oltraggiata, chiedendomi quanto potesse essere stupido su una scala da 1 a 10.

Io direi 10000000.

“E allora perché ti fermi a parlare con me? Non ti sono mai piaciute le suore

Quella volta fui io a sorridere gongolante.

“Touché” rise lui.

Cavolo quanto era figo quando sorrideva….

Sofiaaaaaaa! Cosa stai facendo? Ti ha dato di volta il cervello?! Forse non dovevi bere quel poco di alcool! Lo reggi malissimo!

Dovetti concordare con la mia coscienza, riprendendomi all’istante.

“Beh, che fai ancora qui? Vai ad invitare qualche gallinella, di sicuro sarà molto più entusiasta di me” lo sfidai apertamente, intonando le parole di “Stronger” di Kanye West nella mia mente.

“Ti ricordo che se non fosse per me, a fine serata saresti su un cubo mostrando le tue grazie all’intero popolo maschile presente stasera” mi fece presente beffardo.

Diamine è vero……E ora?

Lo scrutai da sotto le mie ciglia cosparse di mascara, studiando la situazione.

“Senti non ho tutto il tempo, prendere o lasciare nanetta

Stavo per rifiutare solo perché mi aveva chiamata con quello stupido nomignolo, ma mi morsi la lingua pensando alle conseguenze di quel gesto.

“Va bene! Ma solo perché non voglio darla vinta ad Eleotorda!” precisai irritata.

Lui dal canto suo rise apertamente, scuotendo la testa come pensando a qualcosa di divertente.

Lo seguì in silenzio, a quel punto non potevo fare altro, e proprio quando udii le note iniziali di “Dj Got Us Fallin' In Love” di Usher, lo sentii prendermi una mano, trascinandomi più vicina al suo corpo.

Senti il mio respiro bloccarsi, insieme al cuore che perse un battito.

Odio la sua vicinanza.

Notai la sua mano attraversare tutta la mia schiena scoperta, provocando una serie di brividi che avrei preferito non provare, arrivando alla base della schiena.

Mi accarezzò con due dita prima di poggiarci la mano destra, mentre con la sinistra portò la mia mano sulla sua nuca.

“Cuz baby tonight 
The DJ got us falling in love again 
Yeah baby tonight 
The DJ got us falling in love again 
So dance dance 
Like it's the last last night 
Of your life life 
Imma get you right 
Cuz baby tonight 
The DJ got us falling in love again”

Le parole della canzone risuonarono nella mia mente amplificandone il significato, facendomi tremare leggermente.

La ferita che ricopriva il mio cuore prese a pulsare prepotentemente ricordandomi che nonostante i giorni, nonostante i mesi, fosse ancora lì, aperta più che mai.

Guardai Alessandro negli occhi, perdendomi in quell’ azzurro intenso che un tempo mi aveva stregata.

Già, un tempo che ormai è passato, quindi vedi di riprendere il controllo.

La mia coscienza mi risvegliò dallo stato catatonico in cui ero caduta senza accorgermene, e allontanai di un paio di centimetri il mio incudine personale, riacquistando lucidità.

Mi rivolse un’occhiata indecifrabile, forse deluso dal quel mio rifiuto.

“Non…”

Non ti azzardare a toccarmi? Non guardarmi così? 

Non feci in tempo a dire nient’altro che ritrovai le sue labbra sulle mie.

Mi spinse di nuovo verso di lui, cominciando a saggiare il mio labbro inferiore.

Fu strano baciarlo dopo tutto quel tempo, così strano che non mi sembrava più giusto come una volta.

Ora era cambiato tutto, ero cambiata io.

Non ero più la ragazzina che gli moriva dietro e che aveva i paralumi sugli occhi.

Ero Sofia Di Martino.

E non avrei permesso più a nessuno di trattarmi come aveva fatto lui.

Mi staccai rapidamente, tirandogli uno schiaffo in pieno viso.

“Non ero troppo grassa per i tuoi standard? Che c’è, il mio rifiuto ti rodeva?” gli ringhiai contro.

Mi guardò interdetto, a corto di parole.

Ti ho fregato eh?

“Già” continuai io “pensavi davvero che non sarei venuta a saperlo?” gli sputai addosso tutto  il mio rancore senza pensarci due volte.

Lo vidi vacillare, proprio quando la musica si interrompeva e  il dj avvertiva alle ragazze rimaste senza cavaliere di avviarsi verso i cubi.

Non feci caso alle povere sventurate che mi passavano di fianco a testa bassa, intenta com’ero a sfogare tutta la rabbia repressa.

Fissai Alessandro con disprezzo un’ ultima volta, e non ricevendo una risposta lo superai velocemente, dirigendomi verso l’uscita.

Ero stanca, stavo crollando, e la cosa peggiore era che odiavo me stessa per quello.

Le prime lacrime cominciarono a rigarmi le guance, e con un gesto secco della mano le asciugai con stizza.

Intravidi i volti di Sara ed Alice, le quali  dopo avermi vista in quello stato mi raggiunsero in due falcate.

Alice stava per aprire bocca, probabilmente per chiedermi cosa avessi, ma con un diniego del capo le intimai di non dire niente.

Prese la saggia decisione di restare in silenzio, un silenzio che allievò il senso di vuoto per un attimo.

Uscimmo in fretta dal locale, e all’improvviso sentii le mani delle mie due migliori amiche circondare le mie.

Dopo un momento di esitazione, le strinsi forte.

Erano il sostegno di cui avevo bisogno.

 

 

-Note autrice-

Ehilà! Ebbene sì, questa festa non è stata per niente tutta rose e fiori, tutt’altro.

La nostra eroina deve fronteggiare diversi problemi, a partire da Eleotorda fino ad Alessandro.

Proprio uno sfacciato il ragazzo eh?

Cosa ne pensate della reazione di Sofia?

Dite che ha fatto bene a comportarsi così oppure voi avreste agito diversamente?

Let me know ahah

Alla prossima,

Coglilarosa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Sguardi che parlano ***


Capitolo 4 What about us

   

                                                                                Capitolo 4

                                                      

Grazie a  _miaoo_  per il banner                  

                                                                                                  

                                                                                                        La lingua può nascondere la verità, ma gli occhi mai.

                                                                                    Michail Bulgakov, Il maestro e Margherita, 1966/67


Vuoto.

Il vuoto mi stava circondando in quel letto sfatto, ricordandomi che gli avvenimenti della sera precedente non erano solo il frutto di un brutto sogno.

Ancora cercavo di metabolizzare il tutto, rigirandomi tra le coperte distrattamente, come se non fossi padrona del mio corpo.

La parte più razionale del mio cervello si premurava di farmi presente che alla fine non era successo nulla di così grave.

Ma sì, che vuoi che sia un bacio inaspettato dal più imbecille degli imbecilli?

Scossi la testa, intenzionata a non darci peso.

Come ha potuto? Ci può essere umiliazione peggiore? Prima mi denigra per  tutta la scuola e poi mi bacia…E’ il colmo!

Una lacrima sfuggì al mio controllo. Bruciava. Eccome se bruciava.

Uno schiaffo avrebbe fatto meno male.

Lo odiavo.

No, l’odio presuppone che ti interessi qualcosa di lui.

Concordai passivamente strizzando gli occhi.

Lo sapevo! Dovevo rimanere a casa a mangiare cibi grassi e diventare un cotechino!

Mi coprii gli occhi con fare esasperato e scostai malamente il lenzuolo stufa di tutte quelle riflessioni.

Afferrai il cellulare sulla sedia di fianco al mio letto e constatai avere cinque messaggi.

Due di Alice e tre di Sara.

In effetti la sera prima, scesa dalla macchina del padre di Alice in religioso silenzio, avevo rivolto loro un misero sorriso per poi dileguarmi nel portone senza dare spiegazioni.

Sospirai affranta e poggiai nuovamente il cellulare al suo posto.

Avrei risposto dopo.

Mi alzai lentamente, con un’espressione che avrebbe fatto concorrenza alla sposa cadavere, incamminandomi verso il bagno.

Incrociai nel corridoio lo sguardo di Amanda, confuso e assonnato.

“Ehi, come mai quella faccia? La festa non è andata bene?” chiese apprensiva.

“Benissimo” risposi velocemente, chiudendomi con uno scatto nel bagno.

Non ero ancora pronta per parlarne.

Scusa Amy!

Evitai di guardarmi allo specchio, conscia di avere un aspetto orribile.

Ci manca solo la beffa della mia amica Autostima!

Sciacquai il viso e lavai le mani, appoggiandomi al muro  esausta.

Il mal di testa era tornato prepotentemente, e stavo scoppiando.

Sia dentro, che  fuori –la mia pancia gonfia ne era un segno evidente-, e non ne potevo più.

Avevo un assoluto bisogno di mangiare zuccheri, magari con una buona dose di cioccolato.

Si vede che il Mar Rosso sta per arrivare.

Mi indirizzai dunque verso la cucina, trovandoci Annie ed Amanda intente a giocare e mia mamma con la cesta di panni in mano.

“Alla buonora!” mi rimproverò quest’ultima, irritandomi all’istante.

No, ti prego, anche la predica no!

La ignorai bellamente, decisa a non prestarle molta attenzione, e con passo cadenzato percorsi tutta la cucina per radunare tutto il cibo che avrebbe sfamato il mio povero stomaco brontolante.

“Muoviti a fare colazione! Sono le 11!” continuò a blaterare mia madre “Quando avete intenzione di studiare?” aggiunse rivolgendosi a me ed Amanda.

Alzai gli occhi al cielo, ogni volta la stessa storia!

“Mamma siamo a maggio! Ho quasi finito tutte le interrogazioni e domani non ne ho nessuna!” le risposi bruscamente.

Ho bisogno di una buona mezzora  di silenzio! Chiedo troppo?!

Continuò a borbottare cose del tipo “Ho due figlie scansafatiche!” e “Poi vedrete come la voglia di non fare niente vi passerà quando vi metterò in punizione!” andandosene a passo di carica fuori al balcone a stendere i panni.

Il vizio dannatamente fastidioso di mia madre era quello di continuare a borbottare per circa un’ora rinfacciandoci ogni cosa da ogni camera della casa, con acuti estremamente pericolosi.

Voglio conforto non rimproveri, che  diamine!

Mandai giù velocemente il pancarrè con la nutella e il latte con Nesquik, provata di prima mattina da spossatezza e tristezza.

Tristezza perché sembrava che niente andasse nel modo giusto in quel periodo.

Alessandro e i suoi passi falsi, Eleonora e le sue cattiverie, Emanuele…..

Già, Emanuele cosa faceva precisamente in quel periodo?

Nulla, e quel nulla mi stava distruggendo.

Eravamo in una fase di stallo. Nessun passo avanti. Niente di niente.

Dovevo accontentarmi di qualche occhiatina lanciata per caso.

Cosa potevo pretendere in fondo?

Non sapevo se aveva ancora la ragazza, e in ogni caso mi considerava sicuramente una ragazzina invadente e banale.

Scusami se non sono alternativa come te!

Mi schiaffeggiai una guancia, dandomi dell’idiota per quei pensieri deprimenti.

Per distrarmi misi a tutto volume “Loser Like Me” di Glee sul telefono e mi diressi nella mia camera cantando a squarciagola le parole.

“Lo studio!” mi ordinò arrabbiata mia madre dalla sua camera da letto.

Ops….

 

 

 

Il mattino successivo la stanchezza sembrava essersi triplicata.

Doveva essere tardi, o almeno così mi sembrava di capire dalle urla concitate di Amanda.

Cercai ciò nonostante di riaddormentarmi, con la speranza che il bellissimo sogno che si stava svolgendo nella mia mente riprendesse senza intoppi.

Ritornai a quando un dito di Emanuele stava posandosi delicatamente sulla mia guancia, mentre con lo sguardo  mi teneva inchiodata sul pavimento della fermata dell’autobus sul quale ci isolavamo dal resto del mondo.

Vidi il suo viso avvicinarsi, e così le sue labbra, che mai mi erano apparse più invitanti.

Stavo chiudendo gli occhi, abbandonandomi  a quella piacevole tentazione, quando una morsa al braccio mi allontanò bruscamente dal mio amato.

Mi girai sconcertata, incontrando lo sguardo duro di Alessandro.

“Ma che diamine stai facendo?! Lasciami!” gli ordinai perentoria, ma lui rimase immobile come se avesse perso l’uso dell’udito.

“Ti ho detto di lasciarmi!” continuai agitata.

“Sofia, calmati!”

“No! Lasciami!”

“Ti ho detto di calmarti!” urlò questa volta una voce femminile.

Sbarrai di scatto gli occhi, intravedendo la figura di Amanda al mio fianco.

Cominciai a respirare affannosamente, accorgendomi solo in quel momento che non stava avvenendo nessun bacio tra me ed Emanuele, e che la morsa al braccio era causata dalla mano di Amanda.

“Io tra dieci minuti scendo, se ci sei bene altrimenti ti arrangi” mi minacciò mia sorella.

Sbuffai sonoramente, eseguendo però gli ordini della mora.

In un tempo record riuscii a rendermi decente, salutando frettolosamente la mia cagnetta e i miei genitori e correndo come una forsennata alla fermata dell’autobus, dove mi attendeva una divertita Amanda scesa cinque minuti prima di me.

L’autobus arrivò proprio in quel momento, non rendendo vana la mia corsa.

Salii affaticata cercando di riprendere fiato e appoggiandomi ad un sostegno del mezzo.

Mi sentii osservata, e alzando lo sguardo notai come gli occhi di molti dei presenti mi guardassero beffardi.

Voglio vedere voi dopo una corsa dei cento metri!

Guardai male alcuni di loro e passai lo sguardo dove sapevo avrei trovato lui.

Era uno dei pochi, o forse l’unico, a non ridere della mia situazione, rimanendo invece serio.

Lo ringraziai mentalmente, sia per la sua solidarietà –fatemi fantasticare su!-, che per lo stupendo panorama che mi stava offrendo di prima mattina.

I soliti occhiali li incorniciavano il volto, ed una maglietta a maniche corte  grigio scuro faceva intravedere dei muscoli appena accennati sulle braccia.

Cosa ti farei ragazzo mio!

Dovetti trattenere istinti poco ortodossi, prestando invece attenzione a Greta seduta sul sedile adiacente al mio corpo spossato.

“Allora, com’è andata la festa ieri? Ho visto sull’evento di facebook che avresti partecipato” chiese ingenuamente, ignara del conflitto interiore che mi aveva appena provocato.

“Mh sì, noiosa come sempre… Sai come sono le feste d’istituto” ridacchiai istericamente.

“Immaginavo.” concordò lei.

Fiuuuu l’ho scampata!

“Ma mi ha raccontato una mia amica che c’era una specie di gioco di coppie, è vero?”

Ma la tua amica non poteva farsi 100 grammi di cavoli suoi?

“Ah quello….” Tergiversai un po’ in cerca di idee “…sì insomma…non è stato granchè” conclusi con un gesto della mano per chiudere il discorso lì.

Probabilmente Greta non sapeva interpretare il linguaggio del corpo.

“E chi è stato il tuo cavaliere?” chiese innocentemente.

Inconsapevolmente volsi lo sguardo su Emanuele, trovandolo intento a guardarmi da chissà quanto tempo.

Quindi ha sentito tutto….Ma non aveva le cuffiette?!  Quando se le è tolte?!

Riportai velocemente lo sguardo su Greta, ancora in attesa di una risposta.

“Io…” iniziai, ma un rumore familiare mi bloccò le parole sul nascere.

L’autobus si era fermato, segno che c’era una fermata.

Cominciò ad accalcarsi molta gente intorno alle uscite, e non mancarono spintoni e gomitate.

Mi stavo giusto riprendendo da una gomitata al fianco, quando una presenza alle mie spalle mi fece voltare.

Persi un battito alla vista di un Emanuele così vicino.

Gli rivolsi un “Ciao” a mezza voce prima che mi rispondesse frettolosamente e scendesse dall’autobus.

Ci sarei sicuramente rimasta male per quel comportamento, se non fossi stata così impegnata a pensare a come la sua mano avesse accidentalmente sfiorato la mia mentre mi passava di fianco.

Strano però che sia sceso ad una fermata prima…

Greta intanto mi aveva fissata per tutto il tempo, ma non diedi modo di farle capire cosa provassi in quel momento.

Stava per aprire bocca, ma Amanda non glielo permise.

“Sofia, ricordati di scendere in classe mia a ricreazione per riprendere il libro di matematica”

Annuii con fin troppo entusiasmo, grata per quel salvataggio in calcio d’angolo.

Arrivata alla mia fermata superai Amanda e Greta propinando la scusa del “Devo aiutare una mia amica per l’interrogazione di latino della prima ora”, salutandole con un sorriso ansioso.

Arrivai all’atrio che mancava qualche minuto all’inizio delle lezioni, e la marea di studenti che entrava a passo svelto ne era una prova.

“Alessandro!”

Mi immobilizzai in prossimità del bar della scuola al suono di quel nome.

Ci misi qualche secondo di troppo per decidermi a girarmi, riconoscendo in Luca Gervasi la voce che aveva chiamato l’idiota.

Ma che magnifico duetto.

Mi nascosi per quanto potessi dietro ad un angolo, rendendomi inconsapevolmente partecipe della loro conversazione.

“Non mi hai più detto con chi hai ballato alla fine!” esclamò un divertito Luca.

Non udii nessuna risposta per quelli che parvero parecchi secondi.

Alla fine sentii un borbottio scocciato e un “Ne riparliamo dopo” prima che mi superassero senza notarmi minimamente.

Rimuginai sul suo silenzio prolungato per qualche secondo, prima che mi dessi mentalmente della stupida per essermi preoccupata di qualcosa che non avrebbe dovuto riguardarmi.

O forse sì.

 

 

Arrivata in classe salutai Alice, alla quale avevo spiegato tutti gli avvenimenti il giorno prima, con una chiamata di circa tre ore, tra sgomento ed istinti omicida.

Mi guardò solidale, e le rivolsi un sorriso rassicurante.

Mi sedetti al suo fianco, guardandomi intorno e aspettando l’arrivo di Sara.

Sara che il giorno prima aveva reagito se possibile peggio di Alice, promettendo spargimenti di sangue imminenti.

Un brivido mi percorse a quel pensiero macabro.

La vidi entrare in fretta e furia, incamminandosi verso il suo banco, non prima di avermi rivolto uno sguardo di amorevole apprensione.

Intuii le sue intenzioni quando notai poco dopo di lei la professoressa di latino sulla soglia.

La mia voglia di fare latino in quel momento era paragonabile a quella di un bradipo obbligato a correre la cinquecento metri.

Inesistente.

Sbuffai silenziosamente, preparandomi ad affrontare quelle due ore di sonnolenza.

Stavo giusto aprendo il libro più per abitudine che per reale interesse, quando un foglio stropicciato al suo interno attirò la mia attenzione.

“Promemoria: partita di pallavolo martedì 21 maggio.

Corso C vs Corso A”

Ebbi un’illuminazione, ricordandomi solo in quel momento della partita di pallavolo che si sarebbe tenuta il giorno dopo a scuola contro il corso di Alessandro.

Ma quale fantastica notizia!

 Ruggii interiormente di una rabbia improvvisa, che mi attraversò tutte le viscere bloccandomi il respiro.

Fui costretta ad uscire dalla classe con la scusa del bagno, guadagnandomi un’occhiata preoccupata da parte delle mie amiche.

In effetti non dovevo avere un bel colorito in quel momento.

Presi un profondo respiro una volta uscita dall’aula, appoggiandomi al muro adiacente.

Passarono proprio in quel momento alcune compagne di classe di Alessandro, che appena mi videro mi squadrarono con un cipiglio altezzoso e arrogante.

“Ci mancavano solo loro..” sussurrai ironicamente.

“Sapete con chi si è intrattenuto Alessandro alla festa d’istituto?” si rivolse Noemi Castorani al gruppetto, guardandomi con un sorrisetto beffardo.

“Diverse fonti affermano che si fosse passato prima una brunetta e subito dopo Eleonora!” rise un’altra guardandomi.

Arcuai un sopracciglio.

Credevano forse di farmi rimanere male?

Ahh, se sapessero chi era la brunetta in questione!

Tuttavia, notai con un certo fastidio, che al sentire il nome di Eleonora mi si era attorcigliato lo stomaco.

E così si è dato da fare il ragazzo!

“Sì, e dicono che sono tornati a casa insieme alla fine della festa!” aggiunse un’altra.

Risero a quell’evidente allusione, prima di superarmi gongolanti.

Aspettai che mi rivolgessero un ultimo sguardo trionfante, per lanciar loro improperi  piuttosto coloriti.

Ma tu guardale! Sono patetiche nel loro goffo tentativo di lanciarmi frecciatine  velenose!  

Rimasi ancorata al muro per diversi minuti, arrendendomi all’idea di dover bere una Camomilla –che odiavo tra l’altro- appena tornata a casa.

Tutto quello stress da ragazzine altezzose e ragazzi idioti mi avrebbe fatta rimanere secca, ne ero certa!

 

 

Il resto della giornata fu relativamente serena, togliendo il disgustoso panorama che mi aveva offerto Francesco Della Valle –alias secchioncello della classe- alla terza ora, quando con abili movimenti delle dita aveva ispezionato l’intero setto nasale.

Ignorando il senso di nausea conseguente alle sue pulizie di primavera, non subii ulteriori disagi durante le lezioni.

Almeno, erano quelli i pensieri che mi accompagnarono nel tragitto verso l’uscita, prima che incrociassi sul mio cammino il professore di educazione fisica, Gatti.

Gatti era conosciuto come il più fancazzista tra i professori.

Non si poteva certo dire che fosse ligio al dovere, se questo significava arrivare con almeno venti minuti di ritardo e con un’immancabile fila di scuse.

Gli studenti tuttavia, nonostante dovessero aspettare i suoi comodi nella caffetteria della scuola, lo apprezzavano per la sua  indole a non complicar loro la vita obbligandoli a stupidi esercizi fisici.

“Ehi Di Martino” mi salutò cordiale.

“Salve prof.” ricambiai io accennando un sorriso.

“Pronta per la partita di domani?” disse felice.

Perché sì, la pallavolo era uno sport che  amava, quasi più del calcio, ed era forse per quello che guadagnava millemila punti ai miei occhi.

In quella circostanza però non sprizzai gioia da tutti i pori come mio solito, piuttosto mi limitai ad un sorriso di sbieco.

“Ah, a proposito di quello….Non si potrebbe spostare?” domandai impacciata.

Ero piuttosto imbarazzata a fare una richiesta del genere, perché sicuramente avrei dovuto mentire per convincerlo.

“Oh” disse sorpreso “E perché?”

“Ho un impegno che non posso cancellare…” cominciai con tono persuasivo “…tanto per qualche giorno non cambia niente!” conclusi con un sorriso falso quanto la dentatura della professoressa Ricciardi.

Vidi Gatti guardarmi sospettoso, in cerca di qualche mio piccolo accenno di bugia.

Mantenni la facciata della ragazza più trasparente e sincera del mondo per tutta la sua esaminazione.

“Va bene” disse accomodante.

Non ci credo! Posso dormire sonni tranquilli ora!

“Ma dovrai andare ad avvisare tutti i partecipanti del Corso A che la partita è stata spostata a venerdì 24” continuò lui con un sorriso sornione.

Co-cosa? Ora dovrò imbottirmi di sonniferi per dormire sonni tranquilli!

Lo guardai stralunata e sconfitta.

Ero stata fregata per bene.

 

 

Raccontai tutto a Sara ed Alice una volta superato l’atrio ed essere uscita da scuola, dove mi avevano aspettato pazientemente perché come al solito avevo fatto ritardo.

“Se vuoi vado a parlarci io” propose Sara una volta finito il racconto.

Le sorrisi grata.

“Ti ringrazio immensamente della proposta allettante, ma temo di dover rifiutare. Tu non partecipi nemmeno al torneo di pallavolo!” le ricordai.

Fece una scrollata di spalle, come a voler dire che non era un dettaglio rilevante.

“Sicura che non vuoi una mano?” continuò Alice.

Scossi la testa.

“Davvero, vi ringrazio per il supporto, ma dovrò affrontare voi-sapete- chi prima o poi” emisi un sospiro frustrato “E credo che quel momento sia arrivato”.

Mi guardarono incoraggianti, ma scorsi nel loro sguardo un po’ di compassione.

Sofia Di Martino non vuole compassione!

“Non guardatemi così!” rimproverai loro.

Risero a quella mia uscita, scuotendo la testa e cominciando ad incamminarsi verso la fermata dell’autobus.

Vidi Amanda in lontananza farmi un cenno, così salutando le mie amiche vi avviai verso di lei.

“Muoviti che l’autobus passa tra qualche minuto!” disse frettolosamente.

Sbuffai visibilmente, ricevendo una sua occhiata intimidatoria.

Feci il segno di cucirmi le labbra e lei scosse la testa ridendo.

Arrivammo alla fermata che l’autobus stava aprendo le porte, facendomi sospirare di sollievo.

E chi se la sopportava una sua ramanzina nel caso l’avessimo perso!

Entrammo un po’ affannate, e ci dirigemmo nei posti dietro a due.

Non mi guardai intorno finchè non fui seduta, e quando lo feci per poco non mi venne un infarto.

Vidi Emanuele seduto sui sedili a quattro di fianco alla mia postazione.

Ci guardammo ognuno con espressioni diverse.

Io con sorpresa e lui con sguardo vacuo, assente.

Lo salutai con un sorriso imbarazzato, e solo allora sembrò risvegliarsi.

Mi rivolse un sorriso che a me parve forzato.

Una stilettata al cuore fu la conseguenza del suo gesto.

Abbassai lo sguardo, sentendomi trapassare con lo sguardo da Amanda, che aveva osservato tutta la scena in silenzio.

Mi tremarono le mani.

Non sapevo nemmeno io perché ebbi quelle reazioni esagerate, come se fossi sull’orlo delle lacrime.

Forse ero discutibilmente sensibile a causa dell’arrivo del mio amico Mar Rosso, sta di fatto che mi sentivo terribilmente triste.

Insomma, perché doveva comportarsi così? Cosa gli avevo fatto di male?

Sentii gli occhi lucidi, ma impedii a forza alle lacrime di rigarmi il  viso.

Un insistente sguardo alla mia sinistra fece alzare di riflesso il mio.

Pessima mossa.

Emanuele mi stava fissando, come se stesse cercando di capire perché una pazza del genere stesse per crollare emotivamente su un mezzo pubblico.

Anche arrivata alla mia fermata, lo sentii perforarmi come se non avesse fatto altro in quei venti minuti.

Gli rivolsi uno sguardo turbato prima di scendere, vedendolo farmi un cenno di saluto con la testa, con uno sguardo che trovai dannatamente penetrante.

 

 

Arrivata a casa salutai i miei genitori e riservai una carezza alla mia cagnetta,  che con una slinguazzata alla guancia e un paio di occhi dolci mi aveva risollevato un po’ il morale.

La guardai amorevole, prima di darle un biscottino e lasciare che andasse sulla sua poltrona personale a gustarselo.

Mangiai poco e niente a pranzo, destando le preoccupazioni di mia madre e uno sguardo apprensivo di mio padre.

Amanda si limitò a stringermi la mano da sotto il tavolo.

Consapevole che avrei dovuto ascoltare i discorsi sul mangiare da mia madre se fossi rimasta a tavola, mi alzai adducendo la scusa del mal di testa.

Mi chiusi in camera, stendendomi sul letto e andando su facebook col portatile di Amanda.

Vi trovai per lo più notifiche inutili, così aprii distrattamente la chat, che indicava cento persone online.

Scorsi il mouse lungo la lista di amici virtuali e quando lessi il suo nome ingoiai un groppo amaro che sapeva di delusione.

Aprii la sua chat e mi accorsi che non parlavamo da quasi un mese e mezzo.

Un sorriso malinconico mi incorniciò il viso.

Stavo per chiudere la sua casella quando mi arrivò proprio un suo messaggio.

Spalancai gli occhi, credendo che i livelli di pazzia mi avessero portato ad avere allucinazioni belle grosse.

Ma quando constatai che effettivamente lui mi avesse scritto un “Ciao (:” , per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva.

Devi averlo davvero impietosito sull’autobus…

Oh zitta tu!

Mi decisi a rispondergli dopo essermi ripresa dal mio stato di trance costituito da unicorni e zuccheri filati rosa, ovvero dopo cinque minuti.

Rispondigli! Avrà visto il visualizzato e si sarà chiesto se non hai battuto la testa contro la scrivania!

Mi ritrovai a concordare con il mio cervellino bacato, che mi diede la spinta giusta per muovere le dita sulla tastiera.

Ciao (:

Quanto entusiasmo!

Ehi, ho una reputazione da difendere, io!

Mi assalii un’ ansia assurda quando la chat mi avvisò che stava scrivendo qualcosa.

Come stai?

Perché mi sembra più un’allusione all’accaduto di oggi?

Bene…” risposi dopo un po’.

Forse dovevo risparmiarmi i puntini cavolo!

Decisi di recuperare con un “Tu?” prima che potesse rispondere qualsiasi cosa.

Io solito” rispose evasivo.

Ci risiamo! Ricomincia col tono distaccato!

Solito può voler dire molte cose” risposi ironica.

Che diamine! Non può avere questi cambiamenti d’umore nel giro di un attimo!

Come può voler dire niente” replicò enigmatico.

Ma mi prendeva in giro?

Va bene ho capito (:” risposi già stanca di quel botta e risposta.

La felicità del momento si era già dissolta come un vento estivo.

Ora vado, ciao (:” se ne uscì dopo un paio di minuti.

Ma sì, rendimi ancora più depressa stolto occhialuto!

Va bene ciao (: Essere evasivi non porta a nulla comunque” gli scrissi in preda ad un raptus di follia.

Pensai si fosse già disconnesso, ma quando ricevetti la sua risposta, mi paralizzai.

Quando imparerai a non evitare le domande, io farò lo stesso (:

Emanuele è offline.

 

 

 

 

 

 

-Note autrice-

Buonasera! Sono tornata dopo tempo immemore e a parte la vacanza studio che mi ha rubato due settimane non ho scusanti!

Spero solo che questo capitolo sia valso almeno un po’ l’attesa :D

Allora, come vi è parso il comportamento ambiguo di Emanuele?

Avete interpretato in qualche modo i suoi gesti?

Let me know :]

Alla prossima, sperando che sia il prima possibile!

Ps: Avete passato delle buone vacanze? Siete andate da qualche parte o siete rimaste nella vostra città?:)

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Capitolo 6
*** Che rumore fa il cuore? ***


What about us 5 capitolo

                                                              Capitolo  5

 

      

Risparmio le mie scuse per il ritardo a fine capitolo <3

                                    

                                                    Più un cuore è vuoto e più pesa.

                                     Augusta Amiel-Lapeyre, Pensieri selvaggi, 1909


Quel pomeriggio, dopo il messaggio sorprendente di Emanuele, cominciai a valutare i radicali sotto un altro punto di vista.

Insomma, erano così odiati da tutti i poveri ragazzi costretti a studiarli, denigrati e chiamati ‘inutili’, che mi facevano tenerezza.

Beh, che fossero un vero rompicapo che induceva al suicidio mentale era appurato ormai da generazioni, ma che colpa ne avevano loro?

Dovevano subire ogni giorno miliardi di insulti gratuiti senza poter controbattere, venendo catalogati come cose superficiali, senza un minimo di affetto da parte di chi li studiava.

Così piccoli, carini e graziosi che se non avessero avuto così tanti pregiudizi intorno a loro, a prima occhiata sarebbero risultati  addirittura dolci.

Furono quelle le considerazioni che mi portarono a sorridere ai numeri scritti sul mio quaderno di matematica con un sorriso da deviata mentale.

Mi azzardai perfino ad accarezzarli, come cuccioli indifesi bisognosi di tanto amore.

“Poveri piccini…” sussurrai loro.

“Non avete colpe, così ingenui e soli”.

Mi ritrovai inspiegabilmente a paragonare la mia vita alla loro, non esattamente uguale ma paradossalmente simile.

In fondo anche io venivo denigrata in giro chissà quante volte, per colpa di stolte ragazzine e ragazzi con l’ego inversamente proporzionale alla grandezza del loro cervello.

Denigrata per cosa poi?

Per aver intrapreso una relazione con una sottospecie di vertebrato senza palle?

Per aver camminato mano nella mano con quello che consideravo un vero ragazzo?

Per essermi esposta tanto, ricevendo il niente in cambio?

Per essere stata felice.

Risi tristemente a quel pensiero, sfuggito al mio controllo prima che potessi accorgermene.

Portai lo sguardo in alto e chiusi gli occhi, abbandonandomi inevitabilmente a ricordi lontani.

 

“Ehi mocciosa!” sentii chiamarmi da dietro, riconoscendo in quel nomignolo orribile il padrone della voce.

“Ehi Everest!” mi girai sorridendogli.

Sorrise anche lui al suono di quel nome.

Avevo cominciato a chiamarlo così dopo che lui mi aveva dato ingiustamente della nana, portandomi  per ripicca a paragonarlo  al monte più alto del mondo per la sua statura.

Mi si avvicinò con uno sguardo caldo, intenso, baciandomi lievemente sulle labbra.

Sorrisi senza pensarci, mettendogli le braccia intorno al collo, e saggiando la morbidezza del suo labbro inferiore.

Aprimmo gli occhi nel momento esatto in cui ci separammo, guardandoci per un paio di secondi  persi.

Non mi ero mai sentita così.

Così raggiante.

Così spensierata.

Così viva.

 

 

Riemersi dai miei pensieri con un groppo alla gola.

Anche se cercavo di nasconderlo, bruciarlo, abbatterlo, il sentimento di completezza che mi coglieva quando ero con lui non lo avevo mai più provato.

In fondo, andava bene così.

Evidentemente era solo una cieca e ingenua illusione quella che mi permeava dentro ai tempi in cui stavo con Alessandro.

Guardai un’ultima volta i numeri sul mio quaderno, decretando che sì, il messaggio di Emanuele mi aveva decisamente destabilizzata.

 

 

 

 

L’indomani mattina ebbi una strana sensazione, come se ci fosse qualcosa di diverso, di insolito nell’aria.

Mi guardai intorno, scrutando la mia camera in cerca di un’illuminazione, ma non riuscii a darmi una risposta.

Decisi di non darci troppo peso, presa com’ero  da un pensiero sconcertante:

Stamattina rivedrai Emanuele!

Già, come mi sarei comportata?

Avrei dovuto far finta di niente, continuando a salutarlo come niente fosse?

Troppi quesiti.

E in quel momento non c’era tempo per rifletterci.

Presi coraggio e dopo un’ultima sistemata ai capelli e una passata di mascara, marciai decisa verso la fermata, quella volta senza Amanda, che stanca del sovraffollamento dell’autobus aveva deciso di prendere la corsa precedente, lasciandomi perplessa.

Raggiunsi pensierosa la mia destinazione, guardandomi attorno  annoiata.

Appena vidi l’autobus in lontananza però, una scossa al cuore mi ricordò che di lì a pochi minuti avrei rivisto quegli occhi tentatori.

Meno trenta metri.

Sguardo attento.

Meno dieci metri.

Respiro mozzato.

Meno cinque metri.

Accelerazione dei battiti cardiaci.

Meno un metro.

Autocombustione.

Salii sull’autobus affannata, con il respiro in gola e la bocca semi-dischiusa.

La faccia perfetta da pesce lesso.

Osservai con discrezione tutti i volti che mi si proponevano, fermandomi solo quando intravidi il mio Inferno personale.

Un breve scambio di sguardi intervallò un arco di tempo fin troppo corto.

Ristabilii dunque i battiti cardiaci, prendendo la saggia decisione di non dare a vedere quanto avrei voluto schiaffeggiarlo, per farlo svegliare da quello stato di coma interiore e magari farlo innamorare di me.

Che pensieri smielati! Abbondanza di zuccheri stamattina?

In effetti…

“Gente che si veste senza ritegno” sentii dire improvvisamente alle mie spalle.

Credetti che la voce si riferisse ad un qualche individuo in generale, ma quando aggiunse “Domani vengo anche io con una maglia trasparente”, non potei evitare di girarmi verso la fonte di tanta supponenza.

Indossando una maglia nera semi-trasparente a pois, resa più pudica da una canotta dello stesso colore sotto,  mi sentii ingiustamente presa in causa.

Mi irritai all’istante dopo quel commento sgradevole, pronunciato niente  di meno che dalla stessa ragazza che ogni giorno decantava le sue avventure folli tra alcool e ragazzi.

La guardai storto, con il risultato di ricevere una sua risata maligna in risposta.

Si avvicinò alla sua amica e con il palese intento di provocarmi, le disse qualcosa all’orecchio guardandomi fisso.

Ora la strangolo!

Mantieni la calma, mantieni la calma…

“Credevo che le puttane girassero solo di sera” continuò poi a voce alta, scatenando le risate delle sue fedeli amiche.

 

Stavo per risponderle a tono decisamente incazzata, quando una seconda voce mi interruppe sul nascere.

“Ragazzi, mi dispiace, ma temo che per un guasto dell’autobus, dovrete farvi qualche metro a piedi” annunciò impacciato l’autista.

Rumorosi fischi di malcontento generale echeggiarono nell’abitacolo dopo quella comunicazione.

Cominciarono a scendere uno dopo l’altro, lasciandomi per ultima… o almeno credevo.

Emanuele era di fronte a me, aspettando che scendessi prima di lui, in un gesto estremamente educato.

Gli sorrisi un po’ imbarazzata, ricevendo un sorriso di sbieco.

Appena fuori dall’autobus, mi guardai intorno spaesata, cercando di capire quanto distante fossi dalla mia fermata.

Ad occhio e croce erano circa trecento metri.

Vidi alla mia destra la mia carissima amica rivolgermi un sorriso da serpe, superandomi con le sue amiche e camminando a passo svelto.

Aspetta, aspetta…ma la sua scuola era più lontana della mia!

Ghignai tra me e me, considerandola una specie di rivincita.

“Ora vediamo come ci arrivi fin lì vipera!” sussurrai a me stessa trionfante.

Mi incamminai anch’io, percorrendo con falcate frettolose i primi dieci metri.

“Non è lontano” dichiarò all’improvviso una voce fin troppo familiare.

Mi girai di scatto, trovando un Emanuele divertito al mio fianco.

Mi leggeva nel pensiero o cosa?!

Formai una specie di “O” con la bocca, spiazzata da quell’intervento.

“Mh…già” balbettai insicura.

Abbassai istintivamente lo sguardo, torturandomi le mani che avevano preso a sudare.

Non capivo dove volesse arrivare, magari era stata una semplice osservazione dettata dalla noia,  ma se fosse stato così, perché continuava a camminare al mio fianco?

Lo osservai di sottecchi. Aveva un’espressione corrucciata in volto e le mani erano distrattamente poste nelle tasche dei jeans neri.

“La gente a volte parla solo per invidia” disse inaspettatamente guardandomi.

“Cosa?” risposi stralunata, ancora intenta a contemplarlo.

“Niente, lascia stare” commentò, forse pentito di essersi esposto in quel modo.

Senza volerlo mi fermai, osservandolo camminare per poi fermarsi a sua volta.

Ruotò il capo nella mia direzione, arcuando un sopracciglio, interrogativo.

C’erano così tante cose da dire in quel momento, così tante che non riuscii a dirne nemmeno una.

Scossi la testa risoluta, procedendo verso di lui e accorgendomi solo in quel momento che eravamo arrivati alla nostra fermata.

Suonava così bello l’appellativo ‘nostra’, come se in qualche modo ci appartenesse, come se fosse una cosa intima, riservata solo a noi due.

Gli riservai uno sguardo intriso di significati, che probabilmente anche lui comprese, tanto che involontariamente si avvicinò di qualche centimetro a me.

“Grazie” sussurrai, rivolta più a me stessa che a lui.

Lo vidi schiudere la bocca, forse in procinto di dirmi qualcosa, poi sembrò ripensarci e rimise le giuste distanze, permettendomi di riprendere il controllo.

Si limitò a rivolgermi un mezzo sorriso, superandomi fin troppo frettolosamente.

Fu solo allora che permisi ai miei pensieri più razionali di tornare a svolgere la loro funzione.

Cosa diamine era appena successo?!

 

 

Una volta appurato che avevo appena avuto una conversazione piuttosto ambigua e destabilizzante con il ragazzo di cui ero infatuata ormai da mesi, ripresi il mio tragitto verso scuola.

“La gente a volte parla solo per invidia”

Davvero aveva detto una cosa del genere?

Ero incredula, non sapevo nemmeno io cosa pensare.

Quel ragazzo era un enorme punto interrogativo, un buco nero che lentamente mi stava risucchiando.

Arrivai a scuola che avevo ancora la testa tra nuvole fatte di zucchero filato arcobaleno, ormai in uno stato di trance permanente.

“Ehi Sofia!”

Mi girai di scatto, riprendendo conoscenza con la realtà, e con una fin troppo esaltata Amanda.

“Ciao” ricambiai ironicamente.

“Allora cara sorellina, com’è andata con Emanuele oggi sull’autobus?” chiese euforica.

Arrossii all’istante, ripensando a quanto accaduto prima.

“Noi…cioè io…insomma, niente di che…” finii in un sussurro.

Sorrise sorniona, come se l’ avesse attraversata un lampo di consapevolezza.

“Mi stai nascondendo qualcosa?” riprese agguerrita sorridendo.

“Perché dovrei?”

Bugia. Enorme, stratosferica bugia.

In realtà non sapevo perché le stavo mentendo, forse quel momento era stato così surreale che se lo avessi espresso ad alta voce sarebbe fuggito via, come un sogno fin troppo vivido ma non per questo reale.

Mi guardò sardonica, sentendo puzza di bugia da un miglio.

Sorrisi buffamente, in un vano tentativo di dissimulare l’imbarazzo crescente.

“E tu, perché così allegra? Non avevi il compito di latino oggi?” chiesi allora.

“Cosa potrà essere mai un compito di latino rispetto alla bellezza delle cose che ci circondano, alla natura che si risveglia in primavera, all’estate così vicina..!” decantò in un sospiro estasiato.

La guardai come si guarderebbe un agnellino che sta ballando il tango con un lupo, chiedendomi se non avesse cominciato a fare uso di stupefacenti belli forti.

“Ma hai battuto la testa contro il comodino stamattina? Magari durante la dormiveglia…” pensai  assorta.

Emise una risata, che mi spaventò non poco.

“Sciocchina, ma cosa vai a pensare!” esclamò cominciando a ridacchiare.

“Gli autobus sono tanto belli, anche se puzzano!” aggiunse poi tra sé e sé.

 “Cosa c’entrano gli autobus ora?” le chiesi sconcertata.

“Ma come cosa c’entrano? Ci sono ragazzi così carin….” Si fermò all’improvviso con gli occhi sbarrati, come se avesse rivelato qualcosa di troppo.

Ora fu il mio turno di guardarla sospettosa.

“Ci sono ragazzi carini eh?” iniziai puntandole un dito contro il petto a mo’ di interrogatorio “Sputa il rospo Amanda Di Martino! Chi è lui?”

Abbassò lo sguardo, arrossendo furiosamente.

Wow, ed io che mi preoccupavo di essere un caso perso!

“Amanda..?” sussurrai.

“Ok! Ok, te lo dico. E’ da circa un mese che io e questo ragazzo ci sentiamo , lui anche è dell’ultimo anno e fa lo Scientifico.”

Parlò a raffica, riprendendo fiato solo dopo un po’. Alzò poi lo sguardo, colpevole.

 “Niente conversazioni eclatanti fino a ieri, quando ho scoperto  che ogni mattina prende il nostro autobus, ma la corsa precedente. Potrai capire come mi sono sentita, ero smarrita ed incredula al tempo stesso. Insomma, avrei potuto vederlo già da un po’ se lo avessi saputo prima. Comunque stamattina mi sono decisa, così ho preso la sua corsa. E poi….” Sorrise, probabilmente al ricordo di quello che era successo.

“E poi..?” Chiesi io, avida di informazioni.

“E poi è successo. Appena ho incrociato il suo sguardo è stato come se mi avessero trapassato il cuore, credimi, non avevo mai provato una sensazione del genere. Mi ha rivolto uno di quei sorrisi che coinvolgono anche gli occhi, così sinceri e trasparenti da destabilizzarmi.”

Non sapevo cosa dire, ero immobilizzata, senza fiato.

Era stato uno dei discorsi più saggi che Amanda avesse mai fatto.

“Mi ha salutata, cedendomi il posto che aveva tenuto apposta per me. Ti rendi conto? Per me!” ammise incredula.

“Poi abbiamo discorso come se ci conoscessimo da una vita, come se non avessimo mai fatto altro” concluse smagliante.

Provai una punta d’invidia dopo aver udito con quanta naturalezza avessero parlato, chiedendomi perché non poteva essere lo stesso con Emanuele.

Tuttavia la guardai incoraggiante, felice per lei.

“Perché non me lo hai detto prima?” chiesi un po’ risentita.

Insomma, era da un mese che me lo stava nascondendo.

“Scusa Sofi, sono consapevole di aver sbagliato. E’ solo che non credevo potesse essere una cosa così seria. Te lo avrei raccontato appena tornate a casa.”

Scossi la testa, sorridendo più sollevata.

“E va bene, ti perdono solo se mi dici come si chiama.”

“Luca”

“Oddio, Luca come l’amico deviato di Alessandro? Stiamo messi bene…”

“Ehi!” protestò lei, dandomi un buffetto sulla nuca.

“Ho capito, ho capito!” risi di gusto, accompagnata dal suono della campanella che annunciava l’inizio del patibolo.

 

 

 

Mentre percorrevo il corridoio  che mi avrebbe condotta nella giungla, comunemente chiamata classe, ebbi la sfortuna di imbattermi  in Eleonora, la quale dopo avermi vista, mi beffeggiò con un semplice sguardo.

Ohh ma che bello il muro incrostato all’angolo! Ha quel qualcosa di intrigante..!

Successivamente mi passò di fianco, sussurrando un “Nessun siparietto sabato sera? Ci sono rimasta male”.

Sorriso innocente accompagnato da uno sguardo cattivo, perfido.

“A quanto pare ho trovato un cavaliere” svelai impulsivamente, pentendomi subito dopo.

La vidi arrestarsi, probabilmente colpita –e anche affondata- da quella rivelazione.

Cominciò a ridere istericamente, ricordava tanto una pazza di qualche film horror.

“Oh ma davvero? E chi sarebbe il povero malcapitato? Alessandro?”

E riprese a ridere, come se la cosa fosse così assurda che detta a voce pareva una battuta.

Io dal canto mio ammutolii, punta sul vivo.

Probabilmente il mio silenzio bastò a farla smettere, il che mi preoccupò  ancora di più.

Mi guardò per un attimo assente, credo stesse cercando di metabolizzare il tutto, in un mix di sgomento e irritazione.

Subito dopo mi guardò talmente incredula che vidi gli angoli della sua bocca tremare.

Aveva capito.

Se mi fossi trovata in un altro contesto avrei riso a non finire vedendo la sua espressione, ma in quel momento mi limitai ad osservarla di sottecchi, non sapendo bene cosa fare.

Merda, non doveva venirlo a sapere.

Mi sarei aspettata di tutto, da una scenata in piena regola ad un impulso violento, e invece no, riprese la sua facciata inespressiva e mi superò senza pronunciare una sola, misera sillaba.

Era l’inizio dell’Inferno.

 

 

Durante le prime ore di lezione mi chiusi in un mutismo che non accennava a passare nemmeno dopo le occhiate infastidite dei docenti, irritati dalla mia assenza mentale.

Quel confronto mi aveva lasciato una sensazione di disagio che era difficile mandare giù.

Alice aveva provato a rianimarmi con battute, insulti sul professore di turno e pizzicotti sul fianco, senza però ottenere nessuna reazione da parte mia.

Così, arrivata allo stremo, appena suonata la ricreazione mi prese di peso e insieme a Sara mi portò in un ang0lo della classe lontano da orecchie indiscrete.

“Allora?” cominciò “Cosa è successo?”

“Lei lo sa.” Pronunciai io con un groppo alla gola.

A quel punto vidi i loro sguardi farsi consapevoli, e non mi rimase altro da fare se non cominciare a tremare come un gattino indifeso.

“Dobbiamo essere pronte al piano che sta tramando alle tue spalle, lo sai?” chiese retoricamente Sara, stringendo una mia mano.

“Lo so” sussurrai flebilmente.

“Non vorrei alimentare ulteriormente la tua poca voglia di vivere momentanea, ma sono costretta a ricordarti una cosa…” aggiunse Alice.

“Spara” dissi con un sorriso stanco.

“Sai che devi avvertire entro oggi il corso A che la partita di pallavolo è stata rimandata?”

“Diamine, me ne ero dimenticata!” esclamai sbattendo una mano sulla fronte.

“Lo farò alla fine delle lezioni, ormai la ricreazione è finita” dichiarai affranta.

“Dobbiamo venire con te o ti aspettiamo fuori?” chiese paziente Sara.

“Aspettatemi fuori. Devo riuscire ad affrontare anche questa cosa.”

Mi osservarono per qualche secondo indecise, poi mi sorrisero incoraggianti.

“Ce la puoi fare”

“Spaccagli il culo anche da parte mia se dovessi incontrarlo”

Risi nel sentire l’ultima affermazione, scuotendo la testa rassegnata e procedendo verso il mio banco, preparandomi mentalmente al mio addio definitivo alla felicità.

 

 

La campanella di fine lezioni fu terribile, come un pugno nello stomaco, o una sprangata sui denti, o ancora come una visita dal dentista.

Sì insomma, si è capito il concetto.

Cercai conforto negli occhi delle mie due amiche, e ingoiando tutta la mia insicurezza, procedetti velocemente lungo il pavimento  piastrellato del corridoio, imboccando le scale che mi avrebbero portata alla classe di Alessandro al piano superiore.

Un moto di preoccupazione e allo stesso tempo  sollievo mi attraversò non appena vidi da lontano la sua classe vuota. Varcai la soglia, osservando meglio, nel caso la vista mi avesse abbandonata all’improvviso.

La tua vista sta benissimo, è il tuo cuore che ha bisogno di qualche controllo.

“Cerchi qualcuno?” mi richiamò dal nulla una voce maschile.

Mi girai di scatto, intravedendo un curioso Alessandro appoggiato allo stipite della porta.

Dischiusi la bocca sorpresa, cercando di dire qualcosa, ma fu come cercare di far parlare un pesce.

“Ehi, perché guardi nella class.. Oh” pronunciò improvvisamente uno del suo gruppo di amici spuntando da dietro.

“Vuoi che ti aspetti fuori scuola?” aggiunse poi.

No! No! Rimani!

“Sì, adesso arrivo” rispose il rosso scrutandomi attentamente.

Merda.Merda.Merda.Merda.

Sentii i passi frettolosi del suo amico abbandonare il piano, poi più niente.

Un silenzio imbarazzante aleggiò per qualche minuto nella classe, facendomi tossire imbarazzata.

“Allora..” cominciai indecisa “…Ero venuta ad avvertirvi che la partita di oggi di pallavolo è stata spostata a Venerdì 24”

“Ok”.

Ok?

“Ok” ripetei io a disagio.

Ci guardammo per qualche secondo immobili, poi decretai che fosse giunto il momento di tagliare la corda, così percorsi i primi passi verso di lui per superarlo.

Credevo si sarebbe spostato, invece rimase impalato lì, senza dare accenni di movimento.

“Dovrei passare” annunciai irritata.

“Perché?” chiese di sorpresa lui.

“Come perché? Sai com’è, c’è gente che mi aspetta fuori e..”

“Perché  la partita di pallavolo non si può fare?”  mi interrogò marcando sulla parola pallavolo fin troppo energicamente.

Oh no. Sbaglio o mi sembrava  un chiaro riferimento al bacio della festa?

Mi immobilizzai, guardandolo con occhi sbarrati e bocca tremolante.

“Perché non ci sono i motivi per farla” spiegai io dopo un po’, apparentemente distaccata.

“Sono i giocatori a non andare bene?”

“Esattamente” ammisi risoluta sfidandolo con lo sguardo.

“E se ti dicessi che la palla sarà facilmente mia?”,

chiese con un sorriso beffardo.

“Io ti risponderei che la palla sa da che parte  andare” contrattaccai  come un felino.

Lo vidi staccarsi dalla porta lentamente, osservandomi dall’alto con un cipiglio arrogante.

“Sai, nanetta, ci sono molte cose che devi ancora imparare” iniziò con un sorriso furbo “Primo: so dove attaccare

Mezzo passo verso di me.

“Secondo: conosco i punti deboli dei miei avversari

Altro mezzo passo.

“E terzo: ho la vittoria in tasca, sempre

 Quella volta me lo sibilò direttamente a pochi centimetri dal mio corpo, facendomi rabbrividire.

Poi, come se nulla fosse, se ne andò, guardandomi un’ultima volta trionfante  e scomparendo dalla mia vista.

Sperai anche dal mio cuore.

 

 

-Note autrice-

Un caloroso saluto a voi care lettrici!

Ovviamente anche questa volta sono in ritardo –quando mai?- , ma spero che sia valsa la pena aspettare!

Allora,  in questo capitolo son successe diverse cose.

A cominciare dal dialogo con Emanuele, che comincia ad aprirsi un po’ di più invece di stare sempre sulle sue.

Vi aspettavate una  frase, oserei dire dolce –dolce?-, da lui?

E che dire di Eleonora? Cosa pensate farà per farla pagare alla povera Sofia?

Ma soprattutto, CHE MI DITE DI QUELL’ IMBECILLE DI ALESSANDRO?

Come al solito ha voluto mettere dei paletti, da perfetto ragazzo stronzo, un po’ per l’offesa ricevuta in seguito al rifiuto di Sofia, un po’ per ribadire chi ha il coltello dalla parte del manico.

‘Sto cretino.

Beh, detto questo, vi aspetto al prossimo capitolo, dove sicuramente non mancheranno diverse cosette…. (niente spoiler u.u)

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Capitolo 7
*** Nobody's perfect ***


What about us 6

Ed eccomi con il nuovo capitolo!

Preparatevi, perchè  sarà un capitolo  ricco di sorprese!

Vi aspetto alle note finali! :D                                      

 

                                                                      Capitolo 6

                                               

                                                       

L'occasione favorevole è madre della fortuna.

Axel Oxenstierna, Riflessioni e massime, 1645



Il momento della merenda era quello che preferivo in assoluto.

Non potevo chiedere di meglio; avevo le mie amate Gocciole, il mio amato latte e il mio amato Nesquik.

E anche le tue amate calorie.

Aaah dannati flussi di coscienza!

Misi a tacere ogni pensiero sgradevole con una cucchiaiata di latte al sapore di Nesquik, dando un immenso piacere al mio palato e anche alla mia pancia dolorante, risentita dallo stress MarRossiano.

Sentii vibrare il cellulare al mio fianco, ma lo lasciai lì a muoversi come un ossesso senza degnarlo di troppe attenzioni.

Piuttosto intinsi una Gocciola nella mia bevanda preferita e la ingurgitai come se non ci fosse un domani, gustando a pieno il retrogusto amaro delle scaglie di cioccolato.

Non feci in tempo a prenderne un’altra dalla busta, che udii nuovamente il telefono vibrare, quella volta più energicamente, come se volesse farmi capire l’impazienza dell’interlocutore.

Lo afferrai malamente, intravedendo il nome di Sara sulla schermata.

“Ora tu, brutta capra dell’ Uruguay (esistevano capre in Uruguay?), mi spieghi immediatamente per quale futile ed irritante motivo mi hai chiamata alle cinque del pomeriggio, ora in cui solitamente si studia, ma che io sfrutto per ritagliarmi un momento di pace e calorie, con tanta urgenza da procurarmi un’emicrania acuta!”

Sbottai oltraggiata.

Silenzio.

“Ehm…Ciao Sofia, sono la madre di Sara.”

………….

“Mi dispiace averti disturbata, non era mia intenzione.” Cominciò rammaricata.

FiguradimerdaFiguradimerdaFiguradimerda.

“Ma no figurati!” ridacchiai a disagio.

Conoscevo la madre di Sara da un bel po’, e potevo dire che avevamo un bel rapporto, tanto da permettermi di  darle del “tu”, ma se lo avevamo, era perché non mi aveva mai sentita dire tante offese in una sola frase.

Doveva succedere prima o poi.

Ma non così!

Dalla volta successiva mi sarei assicurata di rispondere al telefono sempre con tono gentile e disponibile, tanto per evitare figure di sterco piuttosto puzzolente, a meno che non  si trattasse di quelle due scimmie analfabete delle mie amiche.

“…E scusa l’orario, ma era una cosa alquanto urgente” continuò ansiosa.

“Ma certo, dimmi tutto!” risposi un po’ preoccupata.

“Sara mi aveva detto che sarebbe passata da te subito dopo pranzo, una cosa veloce per consultarsi su matematica, ma è da qualche ora che non torna, e il cellulare lo ha dimenticato qui. Da come hai risposto al telefono suppongo che non sia con te. Sai dove sia  andata?”

Rimasi spiazzata da quella confessione.

L’ultima volta che l’avevo vista era stata all’uscita da scuola, quando le avevo raccontato di quanto accaduto con Alessandro, e non era di certo passata  a casa mia dopo pranzo.

Che diamine stava combinando? Dov’era? Perché aveva lasciato il telefono a casa? E perché non mi aveva detto nulla?

Il mio silenzio prolungato sembrò acuire le sue paure.

“Non sai proprio dove possa essere? Magari in biblioteca, lei ci va spesso…!” ipotizzò con voce gracchiante.

Oddio, non stava mica avendo un attacco di panico vero?

Speravo vivamente di no, perché altrimenti sarebbe venuto anche a me.

“Senti Rosanna, non ti preoccupare più di tanto ok? E’ pur sempre di Sara che stiamo parlando! E’ una ragazza responsabile e di certo avrà avuto un buon motivo! Magari è davvero in biblioteca, io per sicurezza vado a controllare e ti faccio sapere, va bene?”

“Va bene, grazie Sofia, io controllerò nella palestra dove si allena.” concluse frettolosamente, chiudendo la chiamata.

Io dal mio canto ero attonita.

Mi stavo davvero preoccupando.

Composi impulsivamente il numero di Alice, attendendo che rispondesse.

“Ehi Sofia! Ti mancavo così tanto?” chiese con un risolino.

“Sara è sparita.”

 

 

Avevamo ispezionato l’intera biblioteca per mezzora circa, ma di Sara nessuna traccia.

Cominciavo a sudare freddo, e non credevo fossi l’unica, a giudicare dal tremolio accentuato delle mani di Alice.

Guardai nuovamente il telefono, sperando in una chiamata propizia da parte di Rosanna, o nel migliore dei casi di Sara stessa.

Mi ero sentita giusto dieci minuti prima con la madre della mia amica, ma non mi aveva riportato buone notizie.

In palestra nessuno l’aveva vista, e la paura iniziava ad instaurarsi in tutte le mie viscere, rendendomi inquieta ogni oltre modo.

Incrociai il mio sguardo con quello di Alice, e fu spontaneo stringerci la mano in segno di solidarietà.

Ad un certo punto sentimmo un telefono squillare, e dalla suoneria intuii che fosse quello della mia amica.

“Pronto?” rispose lei. “Sì mamma, l’abbiamo cercata qui in biblioteca ma non c’è. Sì sì lo so…No aspetta, adesso non posso! Ma perché dovrei tornare a cas…Ok, va bene!”

Aspettai pazientemente che finisse la conversazione, prima di chiederle cosa fosse successo.

“Niente, mia mamma vuole che torni a casa perché dice che non servirà a molto cercare alla cieca. Ha detto che se entro stasera Sara non si trova,  faremo il punto della situazione. Per ora devo solo aspettare…Ti rendi conto? Aspettare!”

“Ah…va bene dai, io darò un’occhiata al parco e poi torno a casa.” Dichiarai.

Stavo mentendo.

Avrei continuato a cercare, avrei perlustrato tutta la città se fosse stato necessario.

“Ok, fammi sapere poi”

“Certo”

Le rivolsi un ultimo saluto, prima di farmi coraggio e percorrere i diversi metri che mi separavano dal parco.

A differenza degli altri giorni, quel pomeriggio il cielo si era oscurato presto, rendendomi la visuale poco nitida.

Appena arrivata alla mia meta, sperai che fosse la volta buona.

Procedetti con il respiro affannato, dovuto ad un andamento frettoloso dei miei passi.

Scrutai per quanto potessi lo spazio che mi circondava, con un costante groppo alla gola che mi impediva di respirare regolarmente.

Fui costretta ad appoggiarmi ad un albero lì vicino, per non capitolare al suolo.

Strizzai gli occhi, ma inevitabilmente le prime lacrime cominciarono a rigarmi il volto.

Mi ritrovai a piangere, singhiozzando vistosamente, mettendo una mano sul petto, con il respiro mozzato.

Non ero mai stata tanto in agitazione in tutta la  mia vita.

Nemmeno per  un’interrogazione di greco.

Perché? Perché era sparita? Perché voleva farmi venire un attacco cardiaco così giovane?

Quella stupida capra….

“Ehi..?” si rivolse all’improvviso a me una voce.

Fu come un suono ovattato, quasi surreale, ma in qualche modo alzai lo sguardo, appannato per le lacrime appena versate.

Non riuscii a decifrare a pieno la figura, capii solo che si trattasse di  un ragazzo.

Mi asciugai gli occhi, per poi riposarli sul ragazzo in questione.

Oh merda. Emanuele!

“T-tu” balbettai insicura.

Mi scrutò da sotto le ciglia nere, con le mani richiuse nelle tasche della felpa grigio scuro.

“Tutto bene?” chiese dopo un po’.

“No…cioè sì …sto bene!” conclusi volgendo l’ attenzione sulle mie scarpe.

Stette in silenzio per un arco di tempo relativamente lungo, per poi sospirare.

“Stare bene non equivale a piangere” disse ironicamente.

“Esistono anche lacrime di gioia se per questo!” annunciai stupidamente incontrando quel maledettissimo sguardo.

“Non è il tuo caso” replicò serio inclinando leggermente il viso.

Mi sentii pervadere da una sensazione di disagio, come percependo tutte le mie paure defluire lentamente verso di lui, attratte dall’oscurità che lo avvolgeva.

E come se mi avesse spogliata delle mie emozioni, ricominciai a piangere, sentendomi fragile ed esposta.

Mi strofinai le braccia in cerca di calore, come se l’aria fosse divenuta improvvisamente gelida.

Fu un attimo.

Feci solo in tempo a registrare i suoi passi veloci nella mia direzione ed una stretta possente circondarmi completamente la schiena.

Mi stava abbracciando.

Emanuele mi stava abbracciando!

Gelai sul posto, per niente preparata a quel gesto così intimo.

Ci misi qualche secondo per decidermi a stringerlo allo stesso modo, avvertendo un calore così rassicurante che mi sciolsi completamente.

Mi dimenticai di tutti i problemi, di dove fossimo, del motivo per il quale stavo piangendo.

Serrai i pugni sulla stoffa della sua felpa, inalando l’odore di sigaretta appena consumata e menta sul suo petto.

Amavo il suo odore, né troppo forte né troppo dolce.

Era come se ti entrasse dentro e non ne uscisse più.

Mi stavo abituando alla sua vicinanza, quando ad un certo punto si allontanò dal mio corpo, rimanendo tuttavia discretamente vicino.

Sentii di nuovo freddo, un freddo che proveniva da dentro, tanto che presi a tremare.

Occhiata preoccupata da parte sua.

“Allora, cosa è successo?” chiese carezzevolmente.

Ero titubante, verità o bugia?

Optai per la prima.

Che senso aveva mentire quando avevi fin troppi macigni da sostenere?

“Una mia amica….” Nodo alla gola “…Una mia amica è sparita, e mi sento inutile perché non riesco a trovarla. Sparita capisci? Nel nulla! Senza dare spiegazioni! A quest’ora potrebbe esserle successo di tutto, ed io non posso accettarlo! Come farei senza di lei? Senza i suoi consigli? Senza la sua abituale ramanzina? Io…”

Pronunciai l’ultima sillaba sulle sue labbra, veloci nel cogliere l’incertezza della mia voce.

Mi stava baciando?!

Dopo un momento di esitazione, mi tranquillizzai, provando nuovamente quella sensazione di pace che mi aveva attraversata nel momento in cui mi aveva abbracciata.

Mi circondò la vita con un braccio, facendo aderire i nostri corpi.

Mi baciò piano, dolcemente, senza approfittare del mio stato di smarrimento.

Le nostre labbra si cercarono, si accarezzarono, in una danza lenta e sensuale, conoscendosi e distruggendosi al tempo stesso.

Non c’era urgenza in quel bacio, ma solo la voglia di scoprirsi e azzerare ogni forma di turbamento presente nella mia mente.

Posai le mie mani sui suoi capelli, e li ritrovai morbidi come me li ero immaginati.

Strinsi leggermente la presa, alla ricerca di un appiglio che mi permettesse di non sprofondare.

Passai poi in rassegna tutti i tratti del suo viso con l’indice, tracciando dapprima il contorno del suo occhio sinistro, poi sempre più giù, lungo il suo zigomo e la sua guancia, fino ad  arrivare al punto dove le nostra labbra si incontravano.

Sospirai rapita dal suo modo di mordicchiare il mio labbro inferiore, delicato al punto giusto.

Non voglio che finisca mai.

Al contrario ci staccammo lentamente, senza mai distogliere lo sguardo.

Inalammo i rispettivi respiri un’ultima volta, prima di tornare a ragionare lucidamente.

Questo sì che è un momento imbarazzante.

Le mie gote si tinsero di un rosso acceso, e di riflesso portai le mani a coprirmi il volto.

Lo sentii ridere, così spostai due dita per osservarlo, e cavoli, non avevo mai visto nulla di più bello.

Aveva buttato la testa all’indietro, e con gli occhi chiusi aveva portato gli angoli della sua bocca a creare due leggere fossette ai lati.

Era una risata genuina, una di quelle che andrebbero registrate per poi riascoltarle nei momenti tristi.

Lo ammirai affascinata, e aspettai che si riprendesse per smettere di fissarlo.

“Sei la ragazza più strana che io abbia mai incontrato.” disse scuotendo la testa.

“Dovrebbe essere un complimento?” chiesi dubbiosa.

“Forse.” Rispose sorridendomi.

Feci per replicare, ma quel sorriso mi aveva stroncato le parole sul nascere.

“Comunque ti aiuterò.” Annunciò poi.

“Cosa?” Domandai non capendo a cosa si riferisse.

“Ti aiuterò a trovarla.”

 

 

Avevamo percorso quasi tutto il parco, ma di Sara ancora niente.

Per tutto il tempo eravamo rimasti in silenzio.

Nessuna parola confortante, non ne avevo bisogno, non quando avevo la sua mano a stringere la mia.

Nella mia mente ero combattuta tra la voglia di baciarlo ancora e quella di correre via, tramortita dagli avvenimenti del pomeriggio.

Apparentemente potevo sembrare calma, e sarei stata anche credibile, se solo non mi avesse tradita la forte stretta che avevo riservato alla mano di Emanuele.

Lui tuttavia non si era scomposto, aveva lasciato che gli stritolassi la mano senza battere ciglio.

Continuammo in quel modo per circa dieci minuti, finché non ebbi un’illuminazione.

Mi fermai bruscamente, lasciando istintivamente la mano di Emanuele.

Lo vidi guardarmi dubbioso, e gli rivolsi un sorriso a trentadue denti.

“So dov’è.” Annunciai.

Lo vidi corrucciare la fronte.

“Davvero?” Chiese perplesso.

Beh, era comprensibile che fosse sconcertato.

Fino ad un momento prima stavo ispezionando ogni anfratto del parco disperata, e un momento dopo tutta euforica me ne uscivo con quell’affermazione.

Dovevo sembragli una pazza bipolare.

Beh, lui proprio non può parlare in fatto di bipolarismo!

Pff!

“Già.” Annuii sicura. “Non credo che ci sia bisogno della tua presenza”.

Dopo averlo visto arcuare un sopracciglio –offeso?- chiarii l’ultima frase.

“Non fraintendere! Intendo dire che è un posto dove devo andare da sola.” Gesticolai per rendere meglio il concetto.

Lo vidi sorridere comprensivo, come davanti ad un bambino che sta imparando a mettere insieme le prime parole per formare frasi di senso compiuto.

Una bambina eh…

Ehi!

Mi fece un cenno con la testa, come per darmi il consenso.

Gli sorrisi imbarazzata, non sapendo bene come salutarlo.

Indietreggiai di qualche passo, alzando una mano in segno di saluto.

Poi mi girai, cominciando a camminare.

Sei sicura di volertene andare così? Dimostri di essere davvero una bambina.

Ignorai irritata la voce nella mia testa.

Un passo. Due. Tre.

Povera sciocca! Si starà pentendo di averti baciata! Come dargli torto!

Quattro. Cinque. Sei.

Sei una codarda! Ti credi tanto coraggiosa e poi scappi presa dal panico! E poi..

..Fanculo!

Mi fermai di colpo, stufa della vocina martellante, ruotando di 180° e correndo verso la fonte di tanto scompiglio, rimasta immobile per tutto il tempo.

Lo presi dai lembi della sua felpa scura e lo tirai verso di me, stampandogli un bacio sulle labbra leggermente screpolate.

Mi staccai velocemente, voltandogli di nuovo le spalle e correndo verso il lato da cui ero venuta.

Per la fretta non avevo assaporato a pieno la sua reazione.

Ma il suo sorrisetto, beh, quello lo ricordavo bene.

 

 

Arrivai davanti al laghetto nascosto dai salici piangenti, situato poco distante il parco, dove di solito andavamo io e Sara quando avevamo bisogno di rilassarci e staccare la spina.

Mi chiedevo perché non ci avessi pensato prima.

Forse l’ansia ed il panico mi avevano offuscato la mente a tal punto.

Solo quelli? Forse dovrei ricordarti di un certo bacio…

Ok, ho capito! Quella cosa ha contribuito, giusto un po’…

La voce dei miei pensieri stava per ribattere contrariata, ma la misi a tacere subito.

Piuttosto osservai con estrema cura l’ambiente circostante, e non appena intravidi una Sara accovacciata sull’erba poco curata, tirai un grosso sospiro di sollievo.

“Sara!” La richiamai arrabbiata e preoccupata.

Si girò, e notai i suoi occhi spenti.

“Hai fatto preoccupare la tua famiglia!” dissi subito dopo ammonitrice, sedendomi accanto a lei.

“Hai fatto preoccupare me…” continuai con voce più attenuata.

 “Scusa..” pronunciò lei flebilmente.

Le presi una mano, stringendola tra le mie.

“Cosa è successo?” chiesi paziente.

Rimase in silenzio per un po’, guardando fisso davanti a sé, come se fosse con la mente da un’altra parte.

“Avevo bisogno di ritrovarmi” rispose dopo un po’.

“Ritrovarti?” domandai smarrita.

“Esattamente. Mi sono accorta che mi stavo perdendo in una finzione che non mi appartiene”

“Non ti seguo…”

Mi rivolse un sorriso mesto, stringendo con più decisione la presa sulla mia mano.

“Sai, credo che per tutto questo tempo io abbia finto di essere la persona che non sono. Ero la Sara che i miei genitori volevano che fossi, responsabile, attenta alle convenzioni, sempre razionale e composta nelle scelte, ma questa è solo apparenza. Io sono ben altro. Non volevo nemmeno chiamarmi Sara!” Esclamò esasperata “Comunque il punto non è questo. Il punto è che sono stanca. Stanca di dover sottostare alle decisioni che qualcun altro prende per me.” Finì decisa.

“Beh, forse l’ho capito solo dopo aver conosciuto Stefano.” Continuò con un sorrisetto imbarazzato.

“Aspetta, aspetta…Stefano chi?” La interrogai stupita.

“Un ragazzo che ho conosciuto poco dopo essere scappata di casa”

Ero basita.

“Non guardarmi con quell’espressione da triglia! Non era in programma. Mi sono imbattuta in lui per caso mentre passeggiavo per la città. Diciamo pure che ci siamo scontrati nel vero senso della parola. Gli ho fatto cadere un mazzo di chiavi di mano, così gli ho chiesto scusa e da cosa nasce cosa….alla fine mi ha offerto una sigaretta”

“Una…sigaretta?” Pronunciai con un sopracciglio alzato.

“Già, e io l’ho accettata. Così, giusto per fingere per un attimo di non essere la ragazza perfetta che descrivono i miei genitori.” Scrollò le spalle indifferente.

“Wow…Non inizierai a fumare vero?” le chiesi dubbiosa.

“No sciocchina! Però mi è piaciuto, non per l’atto in sé, ma per cosa ha rappresentato. Per la prima volta ho fatto quello che volevo io.” Attimo di pausa “E poi…Stefano è un gran figo! Avresti dovuto vederlo! Ha degli occhi spettacolari. Di un azzurro glaciale!”

La guardai sorniona.

“Abbiamo parlato per un po’, e ho scoperto che ha diciannove anni e suona in una band. Mi ha detto che i suoi non volevano che seguisse questa sua passione della musica perché non l’avrebbe portato da nessuna parte, ma lui ha continuato a coltivarla, essendo consapevole che quello era il cammino che avrebbe voluto intraprendere”

“Mmmh mi piacciono i musicisti” ridacchiai dandole una spallata amichevole.

Rise a sua volta, scuotendo la testa risoluta.

“Mi ha aperto un mondo, davvero. Mi ha dato quella spinta di cui avevo bisogno. Ora so che tutto ciò che farò sarà perché lo voglio io, nessun altro.”

Le sorrisi incoraggiante, soffocandola poi con un abbraccio.

“Sei una stupida lo sai?” Le dissi poi.

“Mi stai contagiando a quanto pare.” Rispose ironica.

“Io lo sono il giusto!” Alzai gli occhi al cielo “E comunque è arrivata l’ora di tornare a casa, non credi?”

“Lo credo anch’io.” Acconsentì sospirando.

Ci alzammo all’unisono, guardandoci complici.

“Ah, a proposito!” Annunciai poco dopo.

“Dimmi”

“Gli hai dato il tuo numero, vero?” La interrogai con sguardo malizioso.

Dal colore che assunsero le sue guance, supposi che lo avesse decisamente fatto.

 

 

Tornata a casa chiamai Alice per riferirle di aver trovato Sara, e subito dopo andai nel bagno per farmi una doccia.

Impiegai circa mezzora, e dopo aver cenato con i miei (non avevo raccontato loro nulla della scomparsa di Sara), mi diressi al computer, aprendo Facebook.

Controllai le cinque notifiche, che segnalavano un mi piace alla mia foto del profilo da parte di una certa Agnese Beniis, e richieste di giochi.

Aprii poi la chat, andando subito in cerca di un nome.

Sorrisi come un’ ebete appena lo trovai, cliccando sulla sua casella.

Trovata :)” scrissi senza pensarci.

“Ne sono felice :)rispose semplicemente.

Mi immaginai il suo sorriso sincero, e la lucentezza di quegli occhi che avevo visto accendersi appena qualche ora prima.

A quel punto accennai ad uno smile, a corto di argomenti.

Almeno avevo lo schermo del computer a proteggermi dal crescente imbarazzo!

Per qualche strano motivo disegnai nella mia mente i suoi occhi che attraverso i muri della mia camera osservavano la mia reazione, facendomi voltare istintivamente per controllare, scuotendo poi la testa dandomi della sciocca.

Meno film mentali Sofia.

Stavo per cadere nel banale chiedendogli cosa stesse facendo, quando lui mi anticipò.

“Vado ad esercitarmi un po’ con lo skate, ciao :)

Ah giusto, lo skateboard.

“Buon allenamento :)” Augurai sincera, ma amareggiata.

Non so per quale assurdo motivo, ma avevo una voglia pazzesca di parlare con lui, soprattutto dopo quello che era successo.

“Ah, cerca di non avere un altro attacco di panico. Non che mi dispiaccia ovviamente :)Aggiunse allusivo.

Oh.Mio.Dio.

Spalancai la bocca, che probabilmente arrivò a terra tanto lo stupore.

Prima che potessi anche solo scrivere una lettera per ribattere, si scollegò, come solo lui sapeva fare.

Gran bella uscita di scena.

 

 

La serata la passai guardando il dvd di Hunger Games , l’unica cosa capace di distrarmi e farmi isolare dal resto del mondo.

 Invidiai come sempre il coraggio e l’abilità di Katniss nel tirare con l’arco, sfogandomi con la mia cagnetta –accoccolata su una coperta posta sopra le mie gambe- su quanto io non fossi buona nemmeno a tirare con la fionda.

Che razza di ingiustizie sono queste?!

Borbottai sommessamente per un po’, fin quando non arrivò il bacio tra Peeta e Katniss nella grotta, uno dei più belli a mio parere.

“Annie! Annie! Guardali! Non sono bellissimi?” Incitai la mia cagnetta a condividere le mie emozioni, con il risultato di ricevere due paia di occhioni che mi osservavano senza capire e una coda scodinzolante.

Le presi il musetto tra le mani, sorridendole teneramente e dandole un bacio al centro della sua testa pelosa.

Lei si lasciò coccolare chiudendo gli occhi e mettendo su un’espressione beata, facendomi sorridere.

Continuai ad accarezzarla e farle i grattini fin quando non finì il film, e tenendola saldamente in braccio ancora addormentata, la adagiai sulla sua poltroncina, permettendole un degno riposo.

Decisi che fosse giunta anche per me l’ora di andare a letto, ma prima di farlo aprii facebook, forse speranzosa di ricevere un altro messaggio di Emanuele.

Rimasi delusa nel constatare che non ci fosse nessun nuovo messaggio, ma quando notai  una richiesta d’amicizia mi accigliai.

Chi poteva essere?

Cliccai sulla casella, e quello che vidi non mi piacque affatto.

Eleonora De Fio ti ha aggiunta.

Era uno scherzo vero?!

Cos’è, voleva scrivermi ‘Sei una pu****a’ sulla bacheca?

Sentivo puzza di bruciato, e il fatto che quel bruciato fosse stato causato indirettamente da me, mi metteva agitazione.

Ma cosa pretendeva poi?

Ero venuta a sapere che si fosse intrattenuta in diverse occasioni con Alessandro, ma non mi risultava che fossero fidanzati.

Figuriamoci, con il loro ego smisurato si sarebbero offuscati a vicenda.

Premetti il tasto ‘rifiuta’ senza pensarci due volte, ma la sensazione sgradevole che sentivo all’altezza dello stomaco non voleva andarsene.

Dubitavo che me l’avrebbe fatta passare liscia dopo l’affronto –scaturito da cosa di preciso non lo sapevo- che le avevo recato.

La cosa di cui ero certa era che avrei tenuto la testa alta, insieme alla mia dignità, qualunque cosa avesse progettato di farmi.

Non mi sarei lasciata calpestare, non da lei.

Ero consapevole che se avessi abbassato il capo anche solo una volta, sarebbe stata la mia fine.

Perciò con una nuova convinzione, andai a letto, cullandomi nel tepore del ricordo delle labbra di Emanuele, non immaginando minimamente che la vendetta che mi aspettava appena al di fuori delle mie fragili sicurezze si sarebbe riversata su di me molto presto.

 

 

 

-Note autrice-

Holaaa! Allora, spero che il bacio tra Emanuele e Sofia (la coppia Sole) vi abbia trasmesso le emozioni che ha suscitato in me mentre lo scrivevo!

Vi aspettavate la fuga di Sara?

E cosa pensate abbia in mente quell’arpia di Eleonora?

Fatemi sapere le vostre opinioni e vedremo se qualcuna avrà indovinato! :)

Vi riporto i volti di Sara e Stefano, il quale verrà menzionato molto spesso da questa parte in poi! :D

 Sara

 

 Stefano


Per spoiler e altro mi trovate sul  Gruppo facebook :)

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Capitolo 8
*** Eventi inaspettati ***


Capitolo 7 WAU

  Salve lettrici! E’ passato un po’ di tempo dal mio ultimo aggiornamento, per cui ho pensato di farvi un breve riassunto:

Sofia ha avvisato Alessandro che la partita è stata spostata al venerdì successivo, e lui non si è lasciato sfuggire l’occasione di sfidarla apertamente.

Il pomeriggio riceve una chiamata improvvisa dalla mamma di Sara, la sua migliore amica, che le riferisce la fuga della stessa, lasciandola basita e senza parole.

Chiama dunque Alice, chiedendole aiuto, e vanno a cercarla senza nessun riscontro positivo.

Amareggiate e preoccupate, le due amiche si separano, ma Sofia non si arrende e va a cercare l’amica nel parco, dove incontra per puro caso Emanuele, che senza preavviso la bacia.

Successivamente Sofia ha un’illuminazione e trova l’amica nel loro posto speciale, chiedendole il motivo della fuga e scoprendo così che si è invaghita di Stefano, musicista ribelle e determinato nel suo sogno.

La sera Sofia fa una brutta scoperta: Eleonora De Fio l’ha aggiunta su facebook, facendole presupporre che la sua vendetta è vicina ed andando a letto con uno strano senso di inquietezza.

 

                                                                   Capitolo 7

                                                                               Gruppo facebook

                                                    

                                                     

Una creatura stupida vi perseguiterà senza ragione, senza un piano preciso, nei tempi e nei luoghi più improbabili e più impensabili. Non vi è alcun modo razionale per prevedere se, quando, come e perché, una creatura stupida porterà avanti il suo attacco. Di fronte ad un individuo stupido, si è completamente alla sua mercé. 

Carlo M. Cipolla, Le leggi fondamentali della stupidità umana, 1976

                                        

 


I due giorni a seguire passarono senza eventi di particolare importanza, giusto qualche risata contenuta il mercoledì alla vista di un Alfonso Vorretti  sbiancato a causa di una interrogazione inaspettata di latino alla seconda ora e una leggera depressione il giovedì per l’anticipazione dei compiti dell’estate a opera della professoressa Rello di matematica e fisica.

Ah, e ovviamente non avevo avuto modo di vedere Emanuele, dato che un giorno avevo perso la sua corsa e l’altro era stato lui a mancare.

Fantastico.

Era giunto così il venerdì. Quel dannato venerdì che avrei preferito cancellare piuttosto che affrontare.

La mia agitazione era visibile anche ad occhi meno esperti, e Amanda quella mattina a casa non aveva perso tempo a cercare di capire cosa avessi, visto che non era a conoscenza del bacio.

Non avevo avuto il coraggio di raccontarle gli avvenimenti degli ultimi giorni, complice la paura di un giudizio e la consapevolezza di voler elaborare ancora il tutto.

Dunque, la stessa mattina di quel discutibile venerdì, armata di tuta grigia e maglia larga nera, mi incamminai da sola –Amanda ormai prendeva la corsa precedente per il suo amoruccio Luca- verso la fermata dell’autobus.

Incrociai per la prima volta dopo giorni Greta, e parlammo per un po’, giusto il tempo che arrivasse il mezzo.

Argomentammo di cose superficiali come  le materie che avremmo avuto quel giorno, o i giorni che ci distanziavano dalla fine della scuola, il che mi rese un po’ più tranquilla.

Salii sull’autobus decisa a ignorare la fitta allo stomaco che si era presentata al pensiero di rivedere Emanuele, scorrendo con lo sguardo un qualche posto libero, rigorosamente dietro.

Notai con estremo sollievo che quel giorno mancasse la gallina cantastorie.

Niente racconti di ragazzi disperati che la corteggiano in modo pietoso!

Notai anche come  Greta avesse trovato un posto in una fila centrale, così mi feci coraggio e attraversai lo stretto corridoio del mezzo, osservando con attenzione i vari sedili, tutti occupati, a parte uno.

Quello di fianco a lui.

Sentii le guance accaldarsi, non appena incontrai il suo sguardo furbo e il suo sorriso poco accennato, ma comunque visibile.

Non avrà mica lasciato il posto libero per me, vero…?

Dal suo sguardo fin troppo consapevole, mi risposi affermativamente.

Lo salutai come nulla fosse, sedendomi accanto a lui, improvvisamente irrigidita.

Guardai con estremo interesse il tessuto scolorito che ricopriva il sedile di fronte al mio, chiedendomi quanto dovesse essere vecchio il mezzo.

Ci ragionai circa mezzo secondo, troppo pigra per cercare di capire qualcosa di prima mattina.

Sentii due occhi scrutarmi alla mia destra, così mi decisi a voltarmi verso Emanuele, ritrovandomi ad affondare in  quel mare tempestoso che erano le sue iridi.

Analizzai i ciuffi che gli uscivano dal berretto blu notte, e lo elogiai mentalmente per la maglia a maniche corte nera, che mi aveva permesso di ammirarne ancora una volta i muscoli accennati delle braccia.

L’assenza di occhiali da vista esaltava i suoi occhi azzurri, ora concentrati interamente su di me.

Eravamo vicini, troppo, tanto che potevo sentire il suo respiro a qualche centimetro.

Constatai che stessi sudando freddo, il cuore fin troppo  attivo, la bocca leggermente dischiusa, tutto a causa sua.

Stava forse per accadere di nuovo?

Ci stavamo per scambiare il nostro secondo bacio?

Percepii una scarica di adrenalina al sol pensiero, che mi portò a rabbrividire.

Ero già pronta a chiudere gli occhi, speranzosa di poter assaporare di nuovo il sapore di menta delle sue labbra, quando lo udii ridere apertamente, non curandosi affatto di contenersi.

Ma che diamine…?

“Hai una ciglia sotto l’occhio” Spiegò come se niente fosse trattenendo a stento le risate, accostando alla mia pelle scottante il suo pollice per togliermi il motivo di tanto scompiglio.

Arrossii furiosamente, sentendomi in qualche modo umiliata, umiliata da me stessa.

Una dannatissima ciglia! Il suo interessamento era a causa di una dannatissima ciglia!

Vidi i miei sogni sulle sue labbra soffici andare in frantumi, e decisi di ricompormi senza dargli ulteriore modo di prendermi in giro.

Non potei evitare di corrucciarmi, arricciando leggermente il naso e aggrottando le sopracciglia.

Percepii ancora una volta il suo sguardo, ma mi ordinai mentalmente di ignorarlo.

Piuttosto indossai le mie adorate cuffie, impostando come canzone “No light, No light” dei Florence+ The Machine, beandomi della musica rilassante.

 

Sei il buco nella mia testa

Sei lo spazio vuoto nel mio letto

Tu sei il silenzio tra quello che ho pensato

e quello che ho detto

 

Sei la paura della notte

Sei il mattino limpido

Quando è finita, tu parti

 

Le parole si alternarono nella mia mente, facendomi chiudere di riflesso le palpebre , diventate all’improvviso pesanti.

 

Sei la mia testa

Sei il mio cuore

 

Nessuna luce, nessuna luce nei tuoi brillanti occhi blu

Non sapevo che la luce del giorno potesse essere così violenta

Una rivelazione alla luce del sole

Non puoi scegliere quello che rimane e quello che scompare

Ma io farei di tutto per farti rimanere.

 

Pensai subito al ragazzo seduto a meno di mezzo metro da me, rividi nel testo della canzone i miei sentimenti per lui, così vivi, così forti, come una marea fin troppo alta che mi stava trascinando giù, nell’abisso di un amore pericoloso.

Riaprii gli occhi quando un tocco gentile ma deciso mi sfiorò il braccio, riscuotendomi dal torpore sul quale mi ero adagiata.

Con uno scatto sorpreso mi girai verso Emanuele, ancora sorridente.

“Dobbiamo scendere” Annunciò inclinando leggermente il viso.

“Uh, va bene” Risposi frettolosamente in procinto di alzarmi.

Stavo giusto posando un piede nello stretto corridoio, quando sentii nuovamente la presa del ragazzo sul  mio braccio, questa volta con più forza.

Lo guardai interrogativa.

Cosa voleva ora?

“Aspetta…” Sussurrò rapido, prima di strattonarmi verso di lui e stamparmi un bacio al sapore di menta sulle labbra tremolanti.

Il tutto durò un battito di ciglia, ma fu abbastanza per far capitolare irrimediabilmente il mio cuore instabile.

“Ora va meglio.” Mi guardò indecifrabile, prima di superarmi con uno scatto  e scendere dall’autobus.

“Ehi Sofia!” Mi richiamò dopo qualche secondo Greta in prossimità dell’uscita centrale.

“Arrivo!”  Dichiarai risoluta, raggiungendola  e incespicando sui miei stessi passi rischiando di cadere.

Maledetto Emanuele…Prendermi così alla sprovvista!

“E’ successo qualcosa? Sembri stravolta” Rise scherzosamente lei una volta scese, ignara di quanto accaduto meno di cinque minuti prima.

Ovviamente di mister-mi-piace-procurare-infarti  alla fermata nemmeno l’ombra, e fu un bene, considerato il mio stato confusionale momentaneo e le mie guance ancora accaldate.

Rivolsi a Greta un sorriso altrettanto scherzoso, dandomi una botta teatrale sulla fronte.

“La temperatura elevata mi procura forti disturbi comportamentali.” Mi giustificai con una risatina, placando i suoi sospetti.

Eclissai il mio strano comportamento con battute e prese in giro per tutto il tragitto verso scuola.

Mi fermai solo quando intravidi una testa rossa familiare tra la folla di studenti.

“Ora devo proprio andare” Annunciai velocemente alla ragazza al mio fianco, incamminandomi con passo spedito verso l’atrio ed evitando di farmi vedere da lui.

“Ehi, dove stai scappando?” Mi beffeggiò la voce del rosso.

Appunto.

“Non sono affari tuoi.” Sputai acida, ignorando la sua figura a pochi passi da me.

Mi afferrò per un braccio, facendomi voltare.

Un flashback di quella mattina mi si presentò prepotentemente, facendomi vacillare.

Per un momento accostai il viso di Emanuele a quello di Alessandro, e di scatto spostai il braccio dalla sua presa, come scottata.

Lo vidi per un attimo perplesso, poi si riprese e tornò alla carica.

“Pronta per la partita?” Chiese con un sorrisetto.

“Assolutamente.” Risposi a denti stretti.

“Bene.” Se possibile il suo sorriso si allargò ancora di più.

Tutta la sua sicurezza mi irritava parecchio, ma soprattutto mi irritava la sua faccia da schiaffi.

Chissà, forse dovevo davvero prendere in considerazione l’idea di usarla come sacco da boxe.

Non gli risposi nemmeno, gli diedi le spalle dirigendomi verso la mia classe.

Quel che non sapevo era che Eleonora De Fio aveva assistito a tutta la diatriba giusto qualche metro più in là.

Con le unghie laccate di rosso infilate nei palmi delle mani e gli occhi furenti.

 

 

Aspettai pazientemente l’inizio della ricreazione per raccontare del bacio –ancora suonava strano dirlo- a Sara ed Alice.

Le trascinai giù in cortile, descrivendo loro la vicenda guardandomi furtivamente attorno.

Le vidi sbiancare, allibite, forse fin troppo.

“Ehi, è così assurdo che uno come Emanuele abbia baciato una come me?” Chiesi risentita.

“No no!” Si riprese Sara “E’ solo…Wow, davvero non me l’aspettavo.” Pronunciò con una nota incredula.

“Già, nemmeno io. Eppure è successo. Tre volte” Specificai con un po’ di orgoglio.

“Cosa? Tre volte?” Mi assalii subito Alice alzando il tono della voce, guardandomi dubbiosa.

“Shh non  urlare!” La ammonii “Comunque sì, oltre ai due baci dell’altro giorno, ce n’è stato uno sull’autobus stamattina. Dopo che una stupidissima ciglia ha infangato la mia dignità.” Sospirai.

“Una…ciglia?” Proseguì con un sopracciglio arcuato Sara.

“Oh sì lunga storia” Sminuii quell’inconveniente con un gesto della mano.

Controllai che nessuno avesse ascoltato la conversazione, constatando che erano tutti impegnati a chiacchierare tra loro con qualche sigaretta qua e là.

“Quindi ora…cosa siete? Fidanzati?” Pronunciò con tono incuriosito la mia amica bionda.

“Bella domanda…Se solo lo sapessi! Aspetto  questo momento da mesi, e ora che finalmente è scattato qualcosa, non so come comportarmi!” Riflettei sconsolata.

“Datti tempo, il resto verrà da sé” Mi rassicurò lei con un sorriso.

“La pazienza non è il mio più grande pregio.” Scherzai.

“Piuttosto, come pensi di comportarti oggi con l’altro?” Mi ricordò apprensiva.

“Mi comporterò come se non fosse nessuno, come se non mi avesse mai piegata…” Momento di silenzio “…Come se non mi avesse mai distrutta.” Conclusi guardandola negli occhi preoccupati.

Ma era davvero così? Sarei riuscita a metter su la maschera di indifferenza che ormai incorniciava il mio viso da mesi?

Dannato rosso….

“Ohi Sofiuccia” Mi riscosse dai miei pensieri una voce fin troppo familiare.

“Che vuoi?” Chiesi seccata ad Amanda.

“Ehi, non mi piace per niente questo tono!” Mi rimbeccò scherzosamente.

“Certo, certo. Cosa c’è?”

Mi rivolse un sorriso smagliante.

“Oh beh niente, volevo solo sapere come stavi visto che stamattina stavi dando di matto.” Mi fece presente ironicamente.

“E ci credo! Dopo il bacio con Emanuele!” Esclamò Alice, non consapevole di aver appena fatto esplodere una bomba.

“Il cosa?!” L’urlo di mia sorella fece girare molte teste, così le intimai di darsi una calmata.

“Una calmata? Come faccio a calmarmi dopo che mi hai nascosto una cosa del genere?” Pronunciò con risentimento.

“Non te l’ho nascosto…Cioè, l’ho solo omesso temporaneamente…” Indugiai colpevole.

“Quando è successo?” Mi interrogò subito.

“Martedì pomeriggio, quando sono uscita a cercare…” Mi interruppi non appena incontrai lo sguardo inquieto di Sara.

“Sì insomma, quando sono uscita a fare una cosa.”

“E lui cosa c’entrerebbe in tutto questo?”

Sentivo che si stava spazientendo.

“E’ successo per caso, lui era lì, io ero lì e…”

“E cosa? La fata turchina vi ha appiccicato le labbra?” Mi interruppe bruscamente.

Abbassai lo sguardo, non sapendo come spiegarle gli avvenimenti senza mettere in mezzo la mia migliore amica.

Scorsi proprio quest’ultima aprire la bocca per venire in mia difesa, quando la campanella suonò, togliendoci da quella imbarazzante conversazione.

Guardai Amanda, che mi dedicò un’occhiata ferita prima di avviarsi verso un’amica.

“Si risolverà tutto.” Mi consolò Alice strofinando la mano lungo il mio braccio.

“Lo spero.” Proferii rammaricata osservando Amanda procedere all’interno della scuola.

Ci incamminammo anche noi, in un quieto silenzio.

“Ehi Sofia.” Mi richiamò la mora una volta superato il cortile ed essere rientrate nell’edificio.

“Mh.” Grugnii pensierosa.

“Alessandro ti sta fissando.” Mi riferì guardando alla sua destra.

Mi voltai di scatto, incontrando due occhi che sembravano contenere all’interno un mare in tempesta, tormentati e seri.

Scorsi con la coda dell’occhio anche un Luca Gervasi  intento a riferire probabilmente quella che era una battuta, palesemente ignorato dal rosso, la quale attenzione era interamente riservata a me.

Indurii lo sguardo, non lasciando che il suo tormento coinvolgesse anche la sottoscritta, già provata dal battibecco con Amanda.

Indifferenza Sofia.

“Andiamo.” Dissi alle mie amiche girandomi nella direzione opposta.

Acconsentirono senza proferire parola, seguendomi lungo le scale.

Pur non vedendolo, sapevo che mi stava ancora fissando, sentivo il suo sguardo sulla mia pelle improvvisamente rabbrividita.

Cosa sarebbe successo quel pomeriggio?

 

 

Quattro e dieci.

Era quello l’orario che indicava il display del mio cellulare, controllato sin troppe volte da quando ero arrivata a scuola.

Dalla discussione avvenuta a ricreazione non avevo più avuto modo di parlare con mia sorella, dato che ero rimasta a scuola senza tornare a casa.

Le avevo mandato diversi messaggi, ma non avevo ottenuto alcuna risposta.

Per non parlare di quell’altro decerebrato, che a partita quasi cominciata, ancora si faceva vivo.

Non che mi dispiacesse ovviamente, ma la sua squadra contava solo cinque persone e se non si fosse presentato la partita sarebbe stata vinta da noi a tavolino.

Ho dovuto sprecare tempo prezioso del mio tempo e del mio coraggio per un suo stupido capriccio?!

Mi sedetti sul bordo del tappetino disposto sulla superficie sporca della palestra, incrociando le gambe  e controllando ancora una volta il telefono.

Osservai controvoglia alcuni miei compagni di squadra chiacchierare a qualche metro di distanza, e posai lo sguardo sui miei avversari.

Notai come alcuni fossero impazienti, e come uno di loro stesse imprecando a bassa voce contro il cellulare, probabilmente perché il suo interlocutore non rispondeva alle sue chiamate.

Non sono l’unica persona a provare irritazione nei suoi confronti allora!

Sorrisi leggermente a quella consapevolezza, decidendo di alzarmi per raggiungere i miei compagni.

“Alessandro! Grazie al cielo!” Sospirò sollevato lo stesso ragazzo che pochi secondi prima stava imprecando contro di lui.

Sentii le mie gambe bloccarsi, ma con grande sforzo cercai di apparire disinteressata.

Feci il grande errore di girarmi nella sua direzione, facendo una scoperta  sgradevole: con lui c’erano Eleonora ed un altro ragazzo della sua classe.

Divenni pallida come un lenzuolo, lo sguardo furbo di Eleonora a sondarmi da cima a fondo.

La parola vendetta lampeggiava come una sentenza di morte dinanzi a me, bloccandomi per un secondo il respiro.

“Bene ragazzi, si può cominciare visto che non manca nessuno!” Pronunciò entusiasta il professor Gatti, riscuotendomi dal mio stato d’ansia.

Cominciarono uno dopo l’altro ad uscire dalla palestra per dirigersi verso il campo da pallavolo, spintonandosi con spallate amichevoli e rivolgendosi sorrisi di sfida.

Mi avviai anch’io ansiosa, trovando Alessandro al mio seguito.

Non avevo ancora superato la porta della palestra, quando percepii un movimento rapido alle mie spalle e subito dopo  la voce bassa del rosso direttamente sul mio orecchio.

“Buona fortuna, te ne servirà molta.” Affermò malizioso, il respiro caldo sul mio collo.

Mi attraversò un brivido, ma lo mascherai con un colpo di tosse.

Lo guardai torva, girandomi appena.

I nostri visi quasi si sfioravano, e fui costretta a  seppellire la fastidiosa sensazione di inquietudine dietro ad un sorriso forzatamente arrogante.

“Non ti preoccupare per me, pensa a moderare la tua sicurezza piuttosto, al tuo posto non sarei così spavalda.”

E dopo avergli rivolto un sorrisetto beffardo, girai i tacchi e raggiunsi il resto della mia squadra.

Si decise che a battere sarei stata io.

Prima di farlo osservai la formazione della squadra avversaria, intravedendo Alessandro in zona quattro, poco distante dalla rete, ed Eleonora in zona cinque, dietro di lui.

Ti pareva!

Dopo la rapida occhiata, mirai ad un punto vuoto in zona uno, procedendo alla battuta.

Se avessi mandato la palla in quella zona era fatta.

Ed infatti fu così, il giocatore non era arrivato in tempo.

Ed il primo punto della partita va a Sofia, ovviamente!

Notai con grande soddisfazione come Eleonora avesse imprecato stizzita, mentre Alessandro si limitò a rivolgermi un ghigno, come se quel punto non avesse avuto alcun valore per lui.

Molto bene, staremo a vedere.

La battuta seguente fu ricevuta da Eleonora stessa, che indirizzò la palla all’alzatore, già pronto a riceverla.

Quando vidi che la stava passando ad Alessandro, mi misi in posizione di difesa, attendendo la sua schiacciata con trepidazione.

Tira su di me se ne hai il coraggio!

Come se mi avesse letta nel pensiero, schiacciò nella mia postazione, ma il colpo fu così veloce che nemmeno correndo riuscii a prenderlo.

Uno sguardo furbo gli attraversò lo sguardo, facendomi infuriare.

E va bene, vuoi la guerra? E guerra sia!

Procedemmo con quel ritmo per due set, il primo vinto dalla mia squadra ed il secondo vinto dalla sua.

Prefissammo una pausa per riprenderci dallo sforzo, ed io ne approfittai per raggiungere lo spogliatoio e darmi una rinfrescata.

Presi la mia bottiglietta d’acqua e la mandai giù in pochi secondi, assetata ed in tensione.

Ero ancora intenta a bere, quando dei passi risuonarono chiari nel piccolo spogliatoio.

Mi girai all’istante, corrugando la fronte alla vista di Eleonora.

“Stanca?” Domandò sarcasticamente.

“Non più di tanto.” Risposi cauta asciugandomi con una mano una gocciolina sulla fronte bagnata.

La vidi avvicinarsi, il sorriso più ampio.

“Davvero credi che lui possa avere un qualche interesse nei tuoi confronti? Se non sbaglio non ci ha messo molto a rimpiazzarti.” Mi fece presente lei.

“Cosa vuoi?” Andai al dunque.

Altro passo da parte sua.

“Voglio che tu gli stia alla larga.” Proferì con tono duro.

“Altrimenti?” La beffeggiai con un sorrisetto.

“Altrimenti ti rimetto al tuo posto,  tra i rifiuti della scuola.” Mi minacciò.

“Ma fammi il piacere.” Le voltai le spalle decisa ad ignorarla, avviandomi verso la mia sacca un metro più in là.

Di certo non mi sarei mai aspettata che cogliesse l’occasione per colpirmi energicamente sulla caviglia con un calcio, provocandomi un dolore acuto che mi attraversò tutte le viscere.

Caddi rovinosamente sul pavimento grigiastro, e accucciandomi su me stessa massaggiai la parte lesa.

“Ma sei impazzita?!” Imprecai  contro la sua figura soddisfatta.

“Hai avuto quel che meritavi.” Mi guardò dall’alto con le mani sui fianchi.

“Non la passerai lisc-“ Cominciai indignata.

“Non vorrai davvero farti vedere in queste condizioni da lui, vero? Si prenderà gioco di te e ne approfitterà per vincere” Mi interruppe lei piegandosi sulle ginocchia ed arrivando alla mia altezza. “Il tuo orgoglio da sfigata sconfitta ne risentirebbe, non è così?” Continuò senza riguardo, facendomi ingoiare un groppo amaro.

Mantenni il contatto visivo, senza però riuscire a ribattere.

“Come pensavo.” Disse rialzandosi.

Si lisciò le pieghe della maglia bianca, mostrandomi un’ultima volta il sorriso vittorioso ed uscendo dallo spogliatoio.

Ero in trappola.

 

 

Il tempo della pausa era finito da poco, contrariamente al dolore lancinante alla caviglia.

La pelle era diventata di un rosso acceso, e per rialzarmi mi servì tutta la forza di volontà che possedevo.

Mi accinsi con fatica verso il campetto, cercando di mascherare il pulsante fastidio con un sorriso forzato.

I miei compagni notarono subito la chiazza rossa sulla mia pelle, e non mancarono le domande al riguardo.

Le liquidai tutte con un “Sono andata a sbattere accidentalmente contro la panchina dello spogliatoio” ed una smorfia più o meno convincente.

Mi guardarono incerti, ma non aggiunsero altro.

Alessandro dal canto suo mi studiò attentamente, così schivai i suoi occhi per tutto il tempo.

“Va bene, direi  che si può dare inizio al terzo ed ultimo set!” Annunciò il professore allegro.

Dai Sofia, un ultimo sforzo.

Mi posizionai vicino alla rete, e non fu un caso che Eleonora mi si pose davanti, fronteggiandomi con un sorriso fiero.

Brutta strega, non ti darò la soddisfazione di vedermi crollare.

Alessandro si collocò dietro, e mi fissò ancora una volta.

Il fischio del professore mi salvò da quello sguardo, dando il via alla battuta della mia squadra.

Ricevette la palla proprio il rosso, una ricezione perfetta che arrivò dritta nelle mani del palleggiatore.

La schiacciatrice opposta ad Eleonora si preparò per l’attacco, ma dallo sguardo che si erano scambiati l’alzatore e la prima di queste, intuii che sarebbe stata lei ad attaccare.

Ignorai il dolore e seguii l’azione, pronta a murare Eleonora.

Saltai proprio quando la mia avversaria si apprestava a colpire la palla, come sospettato.

Mi si gelò il sangue per la fitta che conseguì il salto, e stringendo i denti bloccai la palla con determinazione, mandandola nel campo avversario e facendo punto.

I miei compagni mi si avvicinarono dandomi pacche sulle spalle e sorridendomi incoraggianti, e sorrisi di rimando.

Rivolsi un’occhiata ad Eleonora, furiosa nel suo atteggiamento distaccato.

I punti successivi furono più impegnativi da conquistare, soprattutto perché fui rallentata nei movimenti.

Eravamo dunque giunti ad un punteggio di 14-13 per noi, un punto e avremmo vinto.

Respirai affannosamente mentre la palla veniva difesa da un mio compagno ed in seguito alzata dal palleggiatore verso di me.

Era il mio momento, potevo e dovevo farcela.

Resisti ancora un po’, mi dissi mentalmente, facendo la rincorsa e saltando quanto più potevo.

La mia nemica mi sovrastava imperiosa, una rete a dividerci.

Immaginai che la palla fosse la sua faccia, ed impiegai una forza fino ad allora sconosciuta.

Schivai le sue mani e centrai un punto vuoto in zona sei.

Ce l’ho fatta,  sorrisi stancamente durante la discesa del salto.

Non feci in tempo ad elaborare il pensiero, che la mia caviglia già provata ed instabile mi fece perdere l’equilibrio al contatto col suolo.

Caddi con un tonfo sull’asfalto, l’ambiente circostante che girava vorticosamente nella mia mente ed un dolore sordo che mi procurò un annebbiamento della vista.

Udii voci concitate avvicinarsi alla mia figura distesa al suolo, passi veloci e il richiamo del professore.

Boccheggiai in cerca d’aria, immobile e semi-incosciente in mezzo a tutta quella folla.

Una testa rossa in particolare attirò la mia attenzione, occhi seri e vicini mi cercarono ripetutamente.

Osservai quegli occhi chiari, mi aggrappai a loro prima di chiudere le palpebre e sprofondare nel buio più totale.

 

 

 

-Note autrice-

Holaaaa! Esco allo scoperto dopo essermi rintanata nell’ombra per un po’ di tempo!

Anyway, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, come è piaciuto a me scriverlo.

Ve l’aspettavate la vendetta di Eleonora?

Io no ahahah

Sono stati i personaggi a raccontarsi, io ero all’oscuro di tutto ç.ç

Il bacio inaspettato di Emanuele come vi è sembrato? Io adoro la sua figura, non c’è niente da fare!

Alessandro invece come al solito ha fatto lo sbruffone, ma è risaputo che oltre l’apparenza c’è di più.

Non dico altro eheh

Vi lascio con un caloroso saluto, alla prossima,

Coglilarosa

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Capitolo 9
*** Love the way you lie ***


Capitol 8 WAU

                                                                                                    Capitolo 8

                                                            

                                                  La sofferenza è forse l'unico mezzo valido per rompere il sonno dello spirito.

                                                                             Saul Bellow, Il re della pioggia, 1984

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Riaprii a fatica gli occhi, il respiro pesante e la mente confusa.

Un soffitto bianco e incrostato apparve alla mia vista.

Sbattei più volte le palpebre, le mie mani a cercare un contatto con la realtà.

Un tessuto grinzoso incontrò il loro tocco curioso, e subito pensai al lenzuolo di un letto.

Provai a tirarmi su, ma il senso di vuoto che mi colse nel momento in cui lo feci mi costrinse a riaffondare nel cuscino.

Cercai quindi di ricordare come  fossi finita sul  letto di quello che sembrava essere un ospedale, ma i miei ricordi si fermarono a quando il mio sguardo aveva incrociato quello di Alessandro.

Alessandro?!

Non potei evitare di alzare il busto di scatto, il respiro improvvisamente accelerato e la bocca secca.

“Sofia!” Mi richiamò la voce familiare di mia madre qualche metro distante.

“Ehi.” Mi rivolsi  stancamente alla figura che aveva appena varcato la soglia della mia stanza.

Ora che ero più lucida il dolore alla caviglia si era ripresentato, facendomi mancare l’aria.

Faceva male, eccome se faceva male.

“Come ti senti?” Mi chiese la mia genitrice carezzandomi leggermente la guancia.

“Un po’ frastornata, ma tutto sommato bene.” Tentai di nascondere il dolore alla caviglia con un sorriso tirato, ma mia madre non si lasciò scappare il cipiglio cupo che adornava la mia fronte.

“Mi hanno detto i dottori che hai una distorsione alla caviglia, non grave ma comunque da tener sotto controllo.” Cominciò perplessa.

 

Abbassai subito lo sguardo sul lenzuolo candido del mio letto.

“Amanda e papà?” Chiesi, cambiando immediatamente discorso.

Non volevo che uscisse fuori la storia di Eleonora.

Era una questione tra me e lei, punto.

“Papà è a lavoro, ma verrà quanto prima, Amanda invece sta arrivando con la macchina. Era da un’amica quando ha saputo che eri in ospedale. Si è spaventata molto, come me e tuo padre d’altronde.” Mi informò, occhi preoccupati a cercare i miei.

“Non è niente mamma, stai tranquilla. Piuttosto, quando potrò uscire dall’ospedale?” Domandai ansiosa.

“Domani, ma dovrai indossare per una settimana delle bande contenitive per evitare di compiere movimenti sbagliati.”

Annui lentamente, irritata dal dover indossare delle bande contenitive, ma mi rimproverai mentalmente quando pensai che potesse  andarmi peggio.

“Come ti è successo?” Chiese la donna, osservandomi attentamente.

“E’ stato un incidente, ero nello spogliatoio e sono andata a sbattere contro una panchinetta  senza rendermene conto. Credo che ad aggravarlo sia stato il fatto che abbia continuato a giocare.” Parlai frettolosamente, ma con voce convincente.

“Ma a cosa stavi pensando?!  Dovevi fermarti subito!” Mi riprese lei severamente, il volto contratto.

“Mh mh hai ragione. Chi ha chiamato l’ambulanza comunque?” Pronunciai distrattamente, intrecciando le mani all’altezza dello stomaco.

Distese il viso, rilassandosi lievemente.

“Credo sia stato lo stesso ragazzo che era qui poco fa.”

Persi un battito a quelle parole, non potendo non pensare a lui.

“Ah, e com’era questo ragazzo?” Evitai lo sguardo attento di mia madre, guardando fuori dalla finestra della mia stanza.

“Alto, con una chioma tra il rosso ed il dorato. Aveva una faccia conosciuta ora che ci penso.” Rispose, cercando di ricordare.

E ci credo che ha una faccia conosciuta, è il mio ex fidanzato!

“Sofia, grazie al cielo!” Si intromise nei miei pensieri  la voce di Amanda, facendomi sobbalzare.

Notai le sue guance arrossate, i capelli arruffati e gli occhi carichi di preoccupazione.

Vederla in quello stato mi fece sentire ancora più in colpa per come l’avevo trattata.

“Ciao.” Biascicai, le mie labbra ridotte ad una linea retta.

Senza preavviso le sue braccia mi circondarono con foga, e vari singhiozzi si infransero sul mio collo.

“Piano Amanda, ha le flebo!” La redarguì mia madre.

Oh giusto, nemmeno mi ero accorta di averle.

Osservai mia sorella staccarsi cautamente, i suoi occhi bagnati dalle lacrime mi scaldarono il cuore.

“Mi hai fatto davvero preoccupare, lo sai?” Sussurrò in modo tale  che potessi sentirla solo io.

“Scusa.” Ammisi mortificata.

“Vi lascio da sole, io sono al bar di sotto se vi serve qualcosa.” Si congedò con un sorriso nostra madre.

Aspettammo che uscisse, per poi guardarci in silenzio.

“Mi dispiace davvero Amanda, non volevo farti spaventare” Mi giustificai, asciugando le ultime lacrime sul suo volto con le mie dita. “E mi dispiace per averti nascosto una cosa importante come il bacio con Emanuele, non so davvero cosa mi passasse per la testa.”

“Ti perdono, ma non farlo mai più.” Mi sorrise dolcemente.

Annuii senza remore, allungando le mie braccia indolenzite per le flebo verso di lei  e carezzandole la testa.

Rimanemmo in quella posizione per qualche minuto senza proferire parola, fino a quando Amanda si sollevò dal mio petto e mi scrutò sospettosa.

“A proposito, mi spieghi come sei finita in ospedale? E non inventarti cazzate, quelle risparmiale per nostra madre.” Finì con una risatina.

Risi leggermente anche io, decidendo di raccontarle la verità.

Le spiegai tutto dal principio, dall’astio di Eleonora nei miei confronti fino alla sua vendetta.

“Che stronza! Posso tirarle un pugno sul naso quando la incontro? Almeno le faccio capire cosa significhi perdere i sensi.” Accompagnò la frase con una faccia buffa, un misto tra rabbia ed irritazione.

Una grossa risata fuoriuscì dalle mie labbra, e scossi il capo divertita.

“Non mi perderei per nulla al mondo una scena del genere, lo sai, ma non voglio che si creino altri casini.” La feci ragionare, stringendole le mano posata sul mio grembo.

Sbuffò infastidita, ma non mi sfuggì il suo sorrisino.

“Eh va bene, ma non è giusto che la passi liscia dopo quello che ha fatto.”

“Suppongo che ci penserà il senso di colpa a torturarla.” Alzai le spalle come se non mi interessasse.

“Alessandro cosa ha fatto invece?” Mi interrogò con tono sarcastico.

Non le stava molto a genio da quando ci eravamo lasciati, e non potevo che essere pienamente d’accordo con lei.

“Ha detto mamma che è stato lui a portarmi in ospedale.” Raccontai atona.

Apparentemente, perché dentro ero invasa da troppe emozioni a cui non riuscivo a dare un nome.

Aggrottò le sopracciglia, incredula.

“Stai scherzando vero? E perché avrebbe dovuto? Non gliene importa nulla di te.”

Non riuscii a mascherare a me stessa la morsa allo stomaco che mi attanagliò alle sue parole.

Era vero, assurdamente vero, a lui non importava nulla di me. Si divertiva a giocare, a cacciare come un abile predatore, voleva confondermi per poi infliggermi il colpo mortale.

Io ero la sua vittima.

Il peso di quella consapevolezza mi schiacciò senza che lo volessi, portandomi ad abbassare lo sguardo.

“Scusa, non volevo essere così diretta.” Si scusò Amanda rammaricata.

“Non devi scusarti, in fondo hai solo detto la verità.” Accennai ad un sorriso, uno di quelli dolorosi, che ti svuotano dentro.

Non aggiunse altro, si limitò a spostarmi una ciocca invadente dietro l’orecchio.

“Sai, forse questo potrà risollevarti il morale.” Disse con una ritrovata allegria, cacciando dalla borsa una barretta di cioccolato alle nocciole.

Mi illuminai alla sola vista, afferrando la mia salvezza.

Scartai l’involucro, e addentai il primo pezzo.

“Glaffie.” Ringraziai mia sorella prendendo un altro morso.

Scosse la testa compiaciuta, ravvivandosi i capelli ancora arruffati.

Udimmo improvvisamente dei passi veloci e umidicci sul pavimento piastrellato dell’ospedale.

“Ah Amanda ci sei anche tu.” Affermò affannato mio padre, sorreggendosi con un braccio allo stipite della porta.

Entrò poi nella stanza, una profonda ruga d’apprensione a ricoprirgli il volto leggermente sbiancato.

“Come ti senti?” Mi domandò con voce carezzevole.

“Ora bene, non volevo farvi preoccupare così tanto.” Mi strinsi la barretta al petto,  la fame scomparsa.

Lo udii sospirare, e con la coda dell’occhio lo vidi portarsi indietro i capelli un tempo folti e neri.

“Ascoltami” Mi richiamò.

Incrociai i suoi occhi, quanto mai espressivi.

“L’unica cosa che conta è che tu stia bene. Non pensare a nient’altro. Intesi?”

Annuii lentamente, ancora immersa negli occhi dell’unico uomo che mi avrebbe sempre rispettata e amata incondizionatamente.

Mi sorrise di un sorriso caldo, accogliente.

Davanti a  quel sorriso tutte le paure evaporarono dalla mia mente.

Mi sentivo protetta, e non c’era sensazione più appagante.

 

 

Se ne andarono solo quando l’orario delle visite finì, assicurandomi la loro presenza l’indomani.

Mi premurai di mangiare il cibo poco invitante dell’ospedale, per poi sistemare il cuscino infossato del letto.

Mi ci sistemai sopra, prendendo a fissare il soffitto.

Già mi mancava la mia famiglia.

In fondo si trattava di una sola notte da sola, ma allora perché stavo tremando?

Chiusi gli occhi, decisa a dormire, ma il sonno tardava a sopraggiungere.

L’oscurità aumentò la sensazione di disagio, la solitudine a fare da spettatrice.

Una volta avevo sentito dire che il buio portasse con sé i mostri più temibili, quelli della mente.

Speravo non fosse vero, non ero pronta ad affrontare i miei.

Ma come richiamati dal silenzio e dal tremore della mia pelle scottante, si presentarono a me sotto forma di flashback.

 

 

“Sei una stupida!” Mi denominò rabbiosamente Alessandro venendomi incontro a passo spedito.

“Ah io sarei la stupida? Non mi pare che sia io quella che nasconde le cose al proprio ragazzo!” Sputai con astio, guardandolo dritto negli occhi di un blu più scuro del solito.

“Non sai niente! Smettila di saltare a conclusioni azzardate!” Mi riprese rudemente, la mandibola contratta.

“Oh io so tutto caro! So che hai passato il sabato sera ad ubriacarti con i tuoi amici nel pub della città e Dio sa cos’altro!” Gli puntai il dito contro, convinta delle mie parole.

Aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse in fretta a corto di parole.

“Sono stanca, stanca delle tue bugie, stanca di dover curare le tue ferite dopo una rissa, stanca di aspettare qualcosa che non arriverà mai!” Gli gettai addosso tutto il mio risentimento, liberandomi di un macigno presente da fin troppo tempo.

Un tempo in cui avevamo smesso di comunicare.

Un tempo  in cui avevo perso la speranza di riuscire a cambiare il suo temperamento.

Un tempo in cui il divario tra i nostri animi  aveva cominciato a farsi troppo grande.

Un tempo in cui l’orgoglio premeva per farsi sentire.

Un tempo in cui il cuore aveva detto basta.

Gli rivolsi un ultimo sorriso rassegnato, prima di dargli le spalle.

“Aspetta!” Mi richiamò,  facendomi voltare.

“Non andartene…” Nella voce una supplica.

L’attesa aleggiò tra noi densa e pesante.

Ero stufa di fermarmi, dovevo andare avanti, io…

 “Io ti amo.”

Un sussurro appena udibile che ebbe l’eco di un uragano.

Lo guardai spiazzata, i suoi occhi limpidi e sinceri.

Mai tale espressione  aveva  lasciato le sue labbra.

Arrancai nelle mie paure ancora una volta, le sue parole a calpestare le mie certezze.

Ci fu un momento in cui il silenzio apparve l’unica soluzione.

Ma non si basa una vita sul silenzio, e ce n’erano stati fin troppi nella nostra relazione.

Gli stampai un bacio che sapeva di addio sulle stesse labbra che poco prima mi avevano inflitto il colpo fatale.

“A volte l’amore non basta.” Sentenziai con vuota consapevolezza, un sorriso amaro a marchiare il mio viso bagnato dalle prime lacrime.

Voltai le spalle a lui, al mio amore cresciuto da poco in una terra incontaminata; voltai le spalle alla mia più grande debolezza.

 

 

Le lacrime si rincorsero lungo le mie guance, rendendo il respiro irregolare.

Avevo evitato per così tanto tempo quella sofferenza che era come se la stessi provando per la prima volta.

Perché ora? Perché la ferita si era aperta proprio quando era comparso Emanuele?

Strinsi i pugni intorno al lenzuolo, sfogando la mia frustrazione sulla notte, sperando che il giorno avrebbe ripulito ogni traccia  di vulnerabilità come una mamma comprensiva.

In mezzo alle lacrime intravidi il sorriso di Emanuele, che presto si sovrappose a quello di Alessandro.

Scossi la testa furiosa con i miei stessi pensieri.

“Oh, al diavolo!” sibilai tra i singhiozzi.

Sarebbe stata una lunga notte.

 

 

 

La mattina seguente mi sentivo debole, spossata, troppe lacrime erano state versate quella notte.

9:30.

Guardai l’orario sul mio telefono, che  mi fece presente l’arrivo dei miei un paio d’ore dopo.

Che noia.

La colazione mi fu subito servita, ma la specie di brodaglia che mi portarono non era assolutamente paragonabile ad un succo di frutta, e la mela aveva avuto tempi migliori.

Feci una smorfia disgustata, avrei sicuramente rimediato una volta tornata a casa.

Una vibrazione mi avvisò dell’arrivo di un messaggio, che prontamente aprii.

Ehi caviglia rotta come ti senti? Si sente la tua mancanza sappilo, ma non dire a nessuno che ho osato dirtelo eh! Ti saluta anche Alice comunque :D

Sorrisi alle parole sullo schermo.

Scossi la testa.

Sempre la solita,  pensai.

 Anche se non volevo ammetterlo, quelle due mi mancavano più del dovuto.

Sbuffai sonoramente, esprimendo tutto il mio disappunto verso gli ospedali.

Neanche mi nutrivano come si deve!

Ricontrollai l’orario, erano le 10 in punto.

A quest’ora iniziava l’orario delle visite.

Tanto non sarebbe venuto nessuno a trovarmi.

Pensai ad  Emanuele.

Era assurdo che non avessi nemmeno il suo numero di telefono.

Ci siamo baciati e nemmeno posso scrivergli!

Forse quella mattina si era chiesto che fine avessi fatto, forse si era pentito di non avermi chiesto il numero, anche se dubitavo mi avrebbe scritto in ogni caso, conoscendolo.

Sbuffai esasperata una seconda volta, strofinandomi gli occhi e decidendo di andare al bagno per darmi una rinfrescata e magari fare anche la pipì.

Chiamai l’infermiera per farmi togliere le flebo, che ormai non avevano più alcuno scopo se non quello di farmi irritare maggiormente.

Ringraziai l’anziana signora con un sorriso, per poi dileguarmi nel bagno con un po’ di fatica a causa della caviglia.

Avevo tutta l’intenzione di non incrociare il mio riflesso nello specchio, ma un impulso incontrollato mi spinse a farlo.

Ah- ah, grosso errore.

Sembravo reduce da un bombardamento, i capelli scompigliati e le occhiaie che ricoprivano metà volto.

Menomale che non mi avrebbe visto nessuno in quello stato!

Mi sciacquai il viso, e con le dita stirai un po’ i capelli, che comunque rimasero una catastrofe.

Finii col bagno ed uscii zoppicando, appoggiandomi al muro adiacente al letto per non cadere.

Tenni lo sguardo basso tutto il tempo,  ma l’ombra di una figura mi costrinse ad alzarlo.

Tutto si bloccò nell’istante in cui lo feci.

Non era possibile.

Non poteva esserlo.

Non lui.

Perché era lì?

E perché mi guardava in quel modo?

Un rantolo si infranse muto sulle mie labbra, strette e incapaci di dire qualcosa.

Alla fine mi feci coraggio e lo affrontai.

“Cosa ci fai qui?” Chiesi duramente al ragazzo dalla chioma rossa dinanzi a me.

Lo vidi alzare le mani come a volersi giustificare.

“Vengo in pace.” Rispose ironicamente.

“Preferirei il contrario.” Sillabai sarcasticamente a  voce bassa.

Mi sedetti cauta sul letto, facendo attenzione a poggiare la caviglia ancora un po’ gonfia.

Notai che anche lui rivolse la sua attenzione lì, ed intravidi il cipiglio cupo che gli percorse il viso a quella vista.

“E’ solo una caviglia.” Mi difesi inconsapevolmente.

Mi dedicò un’occhiata di rimprovero che non mi piacque per nulla.

A quel punto distesi la coperta sulle mie gambe per coprire l’oggetto incriminato e mi poggiai stancamente alla testiera del letto.

Almeno non avrebbe più assunto quell’espressione preoccupata.

Preoccupata? Ma davvero?

Ricordai le parole di Amanda:

“Non gliene importa nulla di te.”

Aveva ragione, era lì non perché fosse preoccupato, ma perché perfino i bastardi come lui provavano pietà.

Ed io non volevo essere commiserata.

Non sarei stata la sua vittima.

Il mio sguardo si accese di rabbia e le parole uscirono rapide e taglienti come un vento freddo d’inverno.

“Carino da parte tua venire a trovarmi. Cos’è, finalmente il senso di colpa per essere uno stronzo si è fatto sentire?”

Indurì la mascella, gli occhi scuri e furenti.

Rimase in silenzio. Un silenzio carico di parole sottintese.

Non andare oltre, sembrava dirmi.

“Ah giusto, dimenticavo che tu non hai una coscienza. Sei meschino, egocentrico nella tua spavalderia, pensi sempre e solo a te stesso, dimenticandoti dei sentimenti altrui.”

Strinse i pugni, ma oramai la mia bocca aveva vita propria.

“Credi di essere invincibile, ma sei soltanto un povero illuso, non ti rendi conto di essere solo, solo nella folla di amici che ti circonda, solo nel dolore che hai seminato intorno a te,” Presi fiato e lo colpii nella sua debolezza “Solo, da sempre e per sempre”.

Lo vidi incassare il colpo, il suo corpo che tremava per la rabbia e lo sguardo che per un attimo si dipinse di nero.

Arretrò di un passo, continuando a rivolgermi uno sguardo sprezzante e carico di risentimento.

Ma non mi importava, si meritava tutto quello che gli avevo detto.

Arretrò ancora, un passo, due passi, fino a voltarsi completamente per lasciare la stanza.

Mise le mani nelle tasche della sua giacca, e seguii i suoi movimenti fino a quando non uscì dal mio campo visivo.

Presi un profondo respiro, chiudendo per un secondo gli occhi.

Nel momento in cui li aprii, un pezzo di carta bianca fece capolino sul pavimento dove poco prima era passato Alessandro.

Incuriosita mi alzai e con lentezza quasi esasperante lo raggiunsi.

Era un fogliettino accartocciato, un fogliettino probabilmente sfuggito dalla tasca del ragazzo.

Lo raccolsi e lo spiegai con il respiro improvvisamente affannato.

Buona guarigione Sofia.

Riconobbi la sua scrittura disordinata, e notai come il breve messaggio fosse stato buttato giù di fretta, come se l’avesse scritto quella stessa mattina.

Ma allora questo voleva dire che…

…Aveva saltato la scuola solo per venirmi a trovare in ospedale?

 

 

-Note autrice-

Hola chicas :D

Mi scuso per il ritardo, ma questa volta sono state cause maggiori a non permettermi di pubblicare prima (come la mancanza di connessione internet ad esempio) u.u

Questo è un capitolo un po’ più breve del solito, ma con dei punti importanti per lo sviluppo della storia.

Abbiamo un flashback di Sofia e finalmente anche il vero face to face dei due!

Cosa ne pensate?

Let me know :D

Alla prossima,

Coglilarosa

ps: Vi lascio con un'immagine di Alessandro imbronciato eheh


                                                                             



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Capitolo 10
*** Confessioni ***


capitolo 9 wau                                                                                                    Capitolo 9
                                                                    
                                         Se lui deve fare una scelta, che la faccia subito. Così lo aspetterò. Oppure lo dimenticherò.  
                     Aspettare è doloroso. Dimenticare è doloroso. Ma non sapere quale decisione prendere è la peggiore delle sofferenze. (Paulo Coelho)


Driin.

Driin.
Afferrai malamente il mio telefono, il pigiama nell’altra mano.
Erano passate sei ore dall’incontro con Alessandro, e quel pomeriggio avevo deciso di restare a casa a leggere un po’; non che potessi fare altro d’altronde.
Non guardai nemmeno chi fosse, ancora stordita per lo scontro con il rosso.
“Pronto?” Risposi con voce asciutta.
“Ciao, Sofia.” Un tono divertito mi fece trasalire, non mi dire che era…
“E-Emanuele?” Mi si formò un groppo alla gola, era davvero lui?!
“Esattamente.” Percepii il suo sorriso dall’altra parte del telefono.
“Come…Come fai ad avere il mio numero?” Trattenni il fiato per un momento, giusto il tempo di un arresto cardiaco.
“Non importa come.” Riconobbi il tono canzonatorio in quelle labbra morbide, soffici….
Sofia! Ti pare questo il momento di fantasticare sulle sue labbra perfet…ehm perfettamente normali?
Presi coraggio per rispondergli  piccata –per quanto potesse essere piccato il tono di una ragazza con il cuore impazzito-, quando lui mi precedette.
“Ad ogni modo, carina la tua assenza stamattina.”
 “Non sono stata molto…molto bene ecco.”
Non balbettare, non balbettare…
“Davvero? Ed io che pensavo ti fossi storta la caviglia.”
Aspetta un attimo, lui sapeva?!
Ma come diamine?
 “Sei uno stalker?!”  Domandai  con circospezione.
“No Sofia, non lo sono. Puoi fare sogni tranquilli ora che lo sai.”
Ah beh, nei miei sogni ci sei sempre tu, per cui mi dovrei preoccupare ugualmente, pensai tra me e me facendo ben attenzione a non dirlo ad alta voce.
“Simpatico.” Lo appellai sarcasticamente.
Rise per qualche secondo. “Come stai?” Continuò subito dopo.
Come sto eh?
Ah, dimmelo tu, sono divisa tra la voglia di picchiare qualcuno e la voglia di picchiare me stessa!
“Bene grazie.” Risposi invece con un sorriso stentato che lui non avrebbe comunque potuto vedere.
“Mi fa piacere. Magari la prossima volta mettici un po’ più di impegno a far finta che sia la verità.”
Annaspai in cerca di parole, ma come faceva a capire il mio stato d’animo anche attraverso un telefono?!
“Non è vero!”
“Ora devo chiudere la chiamata, ma ci sarà un’altra occasione, non ti preoccupare.”
Si stava forse prendendo gioco di me?!
Dal suo tono  capii che sì, si stava effettivamente prendendo gioco di me.
Ma tu guarda!
“Buona guarigione, Sofia.” Me lo disse con voce carezzevole, appena un sussurro.
Boccheggiai.
Chiamata terminata.
Buona guarigione, Sofia.
Anche Alessandro mi aveva riservato le stesse parole.
Strinsi il pigiama ormai stropicciato tra le mani e lo schiacciai contro la faccia.
Basta, basta, basta!
Le emozioni sembravano farsi guerra tra loro, la felicità della chiamata di Emanuele si scontrava col senso di colpa e l’angoscia per la discussione con Alessandro.
Mi sentivo stupida, stupida perché non riuscivo a conciliare me stessa, non riuscivo a venirne a capo, ero soggiogata dal mio stesso cuore.
Emisi un verso strozzato, il pigiama ancora premuto in faccia.
Mi gettai sul letto, sotterrando ancora di più il mio viso e le mie emozioni nelle lenzuola gialle.
“Sofia io sto uscen-’’ La voce di Amanda si arrestò non appena mi vide.
“Cosa stai facendo esattamente?” Mi interrogò, le sopracciglia inarcate.
Mi trovavo in una posizione piuttosto strana, metà corpo sul letto e l’altra metà sospesa, tra il materasso ed il pavimento.
Grugnii, incapace di emettere alcun suono.
“Farò finta di non aver appena constatato la tua instabilità mentale.” Il sarcasmo proprio non le mancava “Comunque volevo solo dirti che sto uscendo con Luca.” Il suo tono assunse una sfumatura più dolce sull’ultima frase.
Dolce eh?
E’ questo l’effetto dell’amore, cosa che tu a quanto pare non conosci.
Ma smettila! Io sono sempre allegra, gentile, affettuosa…
Bugiarda.
“Va beh, io vado. Ti lascio deprimere in pace.” Cinguettò prima di abbandonare la stanza.
Aspettai che chiudesse anche la porta di casa, prima di fiondarmi zoppicando in cucina.
Aprii il frigorifero, e appena scorsi l’oggetto dei miei desideri mi si illuminarono gli occhi.
Afferrai la barretta di cioccolata al latte, scartando il suo involucro e sorridendo a trentadue denti.
Nel mio tragitto verso la camera notai Annie guardarmi con gli occhioni spalancati dalla sala.
“Shh, che rimanga un segreto tra noi.” le sussurrai poggiando l’indice sulla bocca e facendole l’occhiolino.
Lei di risposta mi si avvicinò, un chiaro suggerimento a darle un biscotto come pegno.
“E va bene, ti darò un biscotto. Certo che sei furba tu!” Rammentai prima di fornirle quanto mi aveva silenziosamente richiesto.
“Beh d’altra parte, tale padrona tale cagnetta no?” Sorrisi.
Dal suo canto Annie andò a stendersi sul materassino, ignorandomi bellamente.
“Ah, i cani di oggi!”


Il pomeriggio seguente vennero a casa Sara ed Alice per farmi compagnia.
Le accolsi con un sorriso ed un barattolo di nutella in mano.
“Che fantastico benvenuto!” Rise Sara “Permesso!” Aggiunse poi entrando in casa seguita da Alice.
“Chi saluti se non c’è nessuno in casa?” La schernii con un ghigno.
“Scusa tanto se sono educata!” Mi rispose facendomi la linguaccia.
“Si si certo, venite in cucina.” Feci un cenno con la mano libera.
“Non c’è nemmeno Annie?” Chiese sorpresa Alice.
“No, se la sono portata dietro i miei genitori.” Spiegai.
La vidi mugugnare in assenso.
Ci sedemmo tutte e tre intorno al tavolo,  prendendo una cucchiaiata di nutella di tanto in tanto.
“Allora, di cosa dovevi parlarci? Dal messaggio sembrava una cosa piuttosto importante.” Venne al dunque Sara.
“Beh, ecco…Diciamo che ieri sono successe un paio di cose…” Divagai un po’, tacendo subito dopo.
“Dai, non metterci sulle spine!” Mi riprese Alice contrariata.
Presi un respiro profondo.
In fondo non sapevo nemmeno io cosa pensare del giorno precedente.
Era accaduto tutto così velocemente che non ero riuscita a tenere il passo.
La notte precedente mi ero posta domande, mi ero arrovellata su come comportarmi, mi ero chiesta quali emozioni fossero giuste e quali sbagliate.
In cuor mio sapevo quali emozioni fossero sbagliate, ma era come se non riuscissi ad accettarlo.
“Ieri mattina….E’ venuto Alessandro in ospedale.” Rivelai cupamente.
Vidi le mie amiche sbarrare leggermente gli occhi, stupite della notizia.
Notai il loro silenzio e cominciando ad agitarmi le spronai a dire qualcosa.
“Sono senza parole.” Disse  Sara “Insomma, sappiamo entrambe come si è comportato fino ad ora, come si comportava allora, per cui non riesco a comprenderlo.” Scosse la testa con disappunto.
“Già…” Abbassai il capo sconfortata.
“Secondo me, prova ancora qualcosa.” Scandì lentamente Alice, come se il solo affermarlo fosse qualcosa di estremamente grave.
La mia risata espresse tutta  la mia riluttanza a credere ad una simile ipotesi.
“Secondo me invece lo fa perché vuole confondermi, per farmi impazzire.” Spiegai rigirandomi il cucchiaino tra le dita.
Passò qualche minuto di silenzio, ognuna persa nelle proprie idee.
“Qual era l’altra cosa?” Chiese Sara nuovamente interessata.
Mi fermai con il cucchiaino di nutella a mezz’aria, le guance rosse per l’imbarazzo.
“Beh….Mi ha chiamata Emanuele ieri pomeriggio.” Riferii con voce timida.
“Lo sapevo, lo sapevo!” Trillò entusiasta Sara.
“Lo sapevi, ma cos-?”
“Ieri all’uscita da scuola ho visto un ragazzo che dalle foto che mi avevi mostrato  pareva proprio Emanuele. Sembrava cercasse con gli occhi qualcuno, così mi sono avvicinata e gli ho domandato se fosse lui e se ti cercasse. Mi ha rivolto solo un cenno affermativo e dato che sembrava non volesse aggiungere altro, quasi fosse a disagio, gli ho riferito cosa era successo. Dovevi vederlo! Appena  ho nominato la parola  ‘ospedale’ ha leggermente dilatato le pupille, un movimento quasi impercettibile, ma che grazie ai miei riflessi attenti ho potuto cogliere.” Raccontò allegra.
“Oddio….” Abbassai lo sguardo sulla tovaglia.
Tutto tornava! Il fatto che sapesse della caviglia, che avesse il mio numero…
“Aspetta, gli hai dato tu il mio numero?” Le chiesi improvvisamente.
“Diciamo che ho fatto in modo che casualmente mi sentisse mentre lo pronunciavo con aria distratta ad Alice.” Spiegò in tono complice.
Mi poggiai una mano sulla faccia, incredula.
“L’espressione di Emanuele è stata impagabile! Ha accennato ad un sorriso scuotendo la testa.” Disse Alice tra le risate.
“Oh mio dio….ma che amiche ho?” Pensai ad alta voce.
“Ehi, queste amiche di cui tanto ti lamenti ti hanno fatto guadagnare una telefonata da parte sua!” Mi rimbeccò Sara fintamente offesa.
Sorrisi rassegnata, “Già.” Mi ripresi  “Ma dimmi un po’ Sara, con Stefano?”
Il rossore sulle sue guance si accentuò non appena pronunciai quel nome.
“Ma guarda guarda! Sara che non riesce ad emettere alcun suono, che evento!” La presi in giro dandole una gomitata.
“Non è vero, mi hai solo presa alla sprovvista!” Obiettò con troppa enfasi.
“Non c’è nemmeno bisogno di risponderti, le tue guance parlano per te.”
“E va bene! Ci stiamo frequentando, ma per ora nulla di più. Voglio andarci cauta.” Sospirò.
Come biasimarla, in fondo la sua prima relazione era stata un disastro.
Ricordavo chiaramente il fidanzato di Sara, un ragazzo  tranquillo, ma che nell’ultimo periodo era diventato parecchio possessivo e geloso, tanto che aveva costretto la mia amica a non uscire più in presenza di ragazzi.
Era stato molto difficile per lei lasciarlo, ma alla fine aveva compreso che era la cosa migliore da fare.
Le strinsi la mano, e lei mi rivolse un sorriso di ringraziamento.
“E a me nessuno pensa?” Borbottò Alice con le braccia incrociate.
“Perché, hai qualcosa da raccontare?” Le rispose ironicamente Sara.
“Certo! Non sapete chi mi ha scritto ieri sera in chat!” Gongolò la mora.
“Evan Peters?”
“Orlando Bloom?”
“Ah no aspetta, lo so! Chris Evans!” Esclamai io con un dito puntato verso Alice.
“Ah ah, davvero simpatiche. Preparatevi… perché è Alberto Della Croce*!”
Mancava poco che mi rotolasse la mascella fino al pavimento.
“Cosa?!” Urlammo io e Sara basite.
“Alberto….” Cominciai io.
“…Della Croce.” Esalò la bionda.
“Esattamente.” Ghignò la nostra amica.
“Ma quell’Alberto? Lo stesso nerd con cui mi sono sentita un paio d’anni fa?” Domandai io in cerca di conferme.
“Già, non ci potevo credere neppure io. Insomma, non credevo che potessi interessargli, visto che ha sempre avuto occhi solo per te.”
“In quale perverso mondo una persona dimostra di tenere ad un’altra diffondendo la voce che sia una poco di buono?” Chiesi scettica.
“Ma dai Sofia! Era palese che stesse solamente rosicando perché lo avevi snobbato per Alessandro.”
Non la pensavo esattamente allo stesso modo.
Insomma, è vero che per lui non doveva essere stato un bel colpo, ma se Alessandro mi aveva affascinata che colpa potevo averne?
Scossi la testa per non pensarci ulteriormente.
“E tu?” Chiesi invece “Cosa provi per lui?”
“Ammetto che un minimo di interesse c’è sempre stato da parte mia…” Abbassò lo sguardo.
“E me lo dici solo ora?” Sbottai.
“Io…Non sapevo bene come dirtelo…Temevo l’avresti presa male.” Soffiò fuori colpevole.
“L’unico motivo per cui potrei contestare questa cotta è che conosco il soggetto e non vorrei non ti trattasse come meriti.” Spiegai risoluta guardandola dritta negli occhi.
“Beh, mi guarderò bene dal permetterglielo.” Mi sorrise.
Sorrisi anche io più serena.
Era strano immaginare Alice insieme ad Alberto, erano due elementi che in un qualche modo sembravano non potersi incontrare.
Ma chissà, a volte i pezzi di un incastro perfetto non andavano cercati in superficie, bisognava scovarli nell’ombra.
“Dicevi quindi che Alberto ti ha scritto…” Riprese Sara curiosa.



Accoccolata nel mio letto guardavo pensierosa la bacheca di Alberto.
Il suo interesse per Alice era stato del tutto inaspettato, proprio lui che tanto mi aveva criticata per essermi presa una cotta per Alessandro, uno dei suoi amici più stretti,  ora stava facendo esattamente la stessa cosa.
Okay, forse la situazione era un po’ diversa, considerato il fatto che io per lui non provavo assolutamente nulla, se non un leggero fastidio per come mi aveva giudicata, mentre lui probabilmente aveva smaltito la cotta per me più lentamente.
Sbuffai, quella situazione mi rendeva inquieta e non mi piaceva affatto esserlo.
Chiusi Facebook, controllando la mia rubrica telefonica.
Il nome Emanuele Montebello spiccava su tutti gli altri come un’insegna a neon, e io non potei fare a meno di chiedermi se anche lui in quel momento mi stesse pensando.
Che idiozia, pensai divertita, di certo Emanuele non sembrava il tipo da sciocchi pensieri adolescenziali.
Sembrava quasi impossibile collocarlo in quella fase, era troppo maturo per poter essere paragonato ai suoi coetanei.
Altro che Alessandro, che invece pareva più un bambino capriccioso, sempre bisognoso di attenzioni.
Eppure il bambino capriccioso non ti dispiace affatto.
Non è vero! Non lo sopporto!
Ma vallo a raccontare a qualcun altro! Sono la tua mente, chi meglio di me può saperlo?
Non ribattei, in fondo non avevo argomentazioni valide per schiodarmi da quella che assomigliava più ad una condanna che ad una semplice constatazione.
Chiusi semplicemente gli occhi, venendo assorbita dal flusso dei miei ricordi.

“Cosa hai fatto alla mano?” Domandai agitata ad Alessandro.
Le sue nocche erano praticamente spaccate, così come il suo zigomo destro.
“Nulla che abbia importanza.” Evitò il mio sguardo.
“Vuoi dirmi che questo non ha importanza?” Gli presi la mano martoriata e la sollevai.
Emise appena un gemito di dolore alla mia stretta, e io ritirai la presa in fretta, come scottata.
“Guardami.” Lo esortai cupamente.
Ci mise qualche secondo a fare come gli avevo detto, ma  appena lo fece la mia lucidità vacillò.
“Non farlo più.” Voleva sembrare un ordine, ma ne uscì fuori una sorta di supplica.
Lui si limitò a guardarmi, per poi avvicinarmisi puntando alle mie labbra.
Lo respinsi tenendolo per il petto, non poteva cavarsela in quel modo.
“Devi promettermi che non ti metterai più in certe situazioni.”
Nel suo sguardo lessi  frustrazione, dolcezza, rabbia, affetto.
Erano troppe le sensazioni che mi stavano trasmettendo i suoi occhi, ma rimasi ferma sulle mie posizioni.
Al suo silenzio rinforzai la presa sulla sua maglietta.
“Promettimelo.” Imperai con decisione.
“Te lo prometto.” Pronunciò con voce calda prima di baciarmi.
Soffocai la mia collera e la mia delusione in quel bacio, soffocai me stessa, ancora una volta.



*Vedasi capitolo 2

-Note autrice-
Chi non muore si rivede! Eheh *tossicchia con aria colpevole*
Non mi dilungherò in giustificazioni chilometriche, sappiate solamente che non era mia intenzione farvi aspettare così tanto (questo capitolo l'ho dovuto pubblicare così corto per non farvi aspettare ulteriormente).
Purtroppo l'ispirazione non è arrivata per molto tempo, e tra la scuola massacrante e i vari problemi ho trascurato la storia.
Spero capiate le mie ragioni!
Cosa aggiungere, ringrazio chi è rimasto  e non biasimo chi se ne è andato, credendo che ognuno abbia la proprie motivazioni :)
Alla prossima,
Coglilarosa



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