What about us? di Coglilarosa (/viewuser.php?uid=132186)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Quando un nome diventa un incubo ***
Capitolo 3: *** Il vestito è essenziale ***
Capitolo 4: *** Tonight we do it big ***
Capitolo 5: *** Sguardi che parlano ***
Capitolo 6: *** Che rumore fa il cuore? ***
Capitolo 7: *** Nobody's perfect ***
Capitolo 8: *** Eventi inaspettati ***
Capitolo 9: *** Love the way you lie ***
Capitolo 10: *** Confessioni ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
prologo wau
Prologo
Non mi sono mai reputata una ragazza stupida.
Ingenua forse, ma stupida mai.
Eppure, quando i miei sensi si accendevano e la mia mente si
spegneva, tutto mi appariva differente.
Vedevo il bianco anche dove marciva una spessa coltre di
nebbia nera, il giusto ed il sbagliato si fondevano, non riuscivo più a
riconoscermi.
Non ero io.
Non ero io la ragazza che piangeva ogni notte.
Non ero io la ragazza che fingeva un sorriso.
Non ero io la ragazza che stringeva il suo cuore nelle mani infettate da lui.
Non ero io la ragazza che si doveva continuamente difendere
dal senso di colpa.
Non ero io la ragazza che si era annullata, per lui.
Mi sono resa conto troppo tardi di star volteggiando su un
filo di morbido e sottile veleno, un veleno potente, di quelli che ti divorano
dall’interno, distruggendoti lentamente e senza via di scampo.
Il mio veleno era Alessandro Bianchi, mi era entrato in
circolo dalla prima volta che l’avevo visto, aveva intasato il normale flusso
sanguigno nel momento in cui mi aveva sorriso, impedendomi di respirare,
parlare, camminare.
Ma che importanza aveva il dolore quando accorreva l’amore a
tamponare le ferite?
Quando la consapevolezza di volerne ancora ed ancora di quel
veleno, di distruggersi e ricomporsi nello stesso momento superava qualunque altra cosa?
Avevo imparato a disintossicarmi un passo alla volta,
sofferenza dopo sofferenza, lacrima dopo lacrima.
Avevo imparato a correre su quel filo morbido e sottile fino
ad arrivare alla mia destinazione.
Avevo scorto la luce tra le nuvole fitte, avevo trovato la
mia salvezza.
Avevo bisogno dell’antidoto per guarire, e il mio era
Emanuele Montebello.
O forse no?
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Capitolo 2 *** Quando un nome diventa un incubo ***
CAPITOLO 1
La crudeltà è la virtù per eccellenza dei mediocri, hanno bisogno di esercitare la crudeltà, esercizio per cui non è necessaria la minima intelligenza.
Alessandro Baricco, City, 1999
|
Un fastidio indesiderato fu la prima cosa che provai quel mattino di metà Maggio. Una carezza delicata mi attraversava il viso con un ritmo regolare mentre con la mente ero ancora in un altro mondo.
Grugnii per scacciare quel leggero tocco e aprii un occhio, intravedendo la figura di mia sorella, ora sorridente. “ Svegliati acidona”
La apostrofai con epiteti poco carini e scostai le coperte –faceva ancora freddo in quel periodo dell’anno, roba da pazzi!- .
Mi alzai controvoglia, giusto per iniziare al meglio quella giornata.
Intanto il mio adorabile quanto vivacissimo cane prese a giocare con le mie ciabatte, facendomi irritare ulteriormente.
“Annie ridammele! Annie no! Non correre che tanto ti prendo! Tanto non mi scap..”
Non feci in tempo a finire che era già corsa verso la cucina, sfrecciando come una saetta e regalandomi un piccolo sorriso.
Camminai a passo di bradipo verso di lei e dopo mille minacce e sguardi intimidatori riuscii a riprendere le mie adorate ciabatte fluo.
Nel contempo mia sorella continuava a rendermi parte attiva del mondo ricordandomi l’orario ora più che mai ostile, facendo sì che la mia colazione fosse una totale disfatta.
Presi coraggio e affrontai i pochi metri che mi separavano dal bagno e con un abile movimento di gambe riuscii a schivare la coda, ora scodinzolante, del mio –sempre adorabile- cane.
Impiegai circa dieci minuti per dare una sistemata al mio poco gioioso viso, specchiandomi più volte e ammirando il mio sorriso (aaah la modestia!), uscendo soddisfatta e incamminandomi verso l’armadio.
Scelsi con cura i vestiti da mettere, dopodiché cominciai la mia attività fisica quotidiana cercando di tirare più su che potevo i jeans.
Reduce da una battaglia faticosa, finii di prepararmi e armata di cuffie e caramellina zuccherata, seguii mia sorella lungo la strada che mi divideva dalla fermata dell’autobus.
Salutai chi di dovere e aspettai con pazienza l’arrivo del pullman, che come al solito era in ritardo.
Dopo circa sei minuti fece la sua comparsa e finalmente riuscii a salire al suo interno, evitando di guardare più del dovuto visi antipatici.
Diedi un’occhiata in fondo e lo vidi.
Solito paio di occhiali, cuffie prontamente calcate sulle orecchie e sguardo intenso.
Emanuele Montebello.
Ci guardammo, e comportandomi come nulla fosse girai lo sguardo, puntandolo sul paesaggio fuori dal finestrino.
Pensai, pensai a come era strano e per questo affascinante quel ragazzo, di cui avevo appreso il carattere tramite una stupida chat di Facebook, in un tempo nel quale ancora soffrivo per un rosso imbecille e senza cuore, in un momento nel quale cercavo qualcuno che non si presentasse come il solito stronzo di turno, ma che sapesse attrarmi per il carattere profondo e mai critico.
Ma come ogni sfiga che si rispetti era fidanzato, spezzando quel poco di speranza che riponevo nei tempi in cui parlavamo e nei quali lui era ancora single.
Nonostante tutto però, mi resi conto che anche se le poche speranze che avevo erano state spazzate via dal vento della delusione, persistevo nel renderlo parte integrante del mio stupido cervellino, fatto di illusioni e desideri poco reali.
Lo guardai ancora, ammirandone i tratti del viso e i capelli sempre spettinati, non riuscendo a distogliere lo sguardo.
Fui costretta ad abbassarlo solo quando venni colta in fallo, incontrando immediatamente la punta delle mie converse bianche.
Per il resto del viaggio osservai con estremo interesse i contorni un po’ sbiaditi delle mie scarpe, ascoltando di tanto in tanto i discorsi del gruppo di ragazze davanti a me.
“Non sapete! Mi sono fatta il piercing all’ombelico da sola!” squittiva una.
“E come hai fatto?” chiedeva stupita un’altra.
“ Mia sorella mi reggeva il margine di pelle e io ho infilato l’ago” affermò la prima ridendosela come se fosse già brilla di prima mattina.
“E quindi?”avrei voluto risponderle, giusto per farle notare che la gente intorno non poteva fregarsene di meno del suo diamine di piercing alla lingua, alla schiena o dovunque fosse.
Il fatto che continuasse ad elogiarsi per essersi ubriacata poi non migliorò la sua condizione di perfetta imbecille, rendendosi sciocca e frivola –o almeno si sperava- agli occhi dei ragazzi di quell’autobus.
Stavo per sbottare in turco quando un movimento alquanto brusco mi ricordò che l’autobus si era fermato.
A quel punto mi voltai verso di lui e lo vidi affrettarsi per scendere appena dietro di me.
Come ogni giorno mi ripromisi di salutarlo appena scesa, e come ogni giorno puntualmente non lo feci.
“Sono una perfetta idiota!” mi rimproverai mentalmente, mentre con mia sorella e una mia amica mi avviavo verso il carcere minorile, meglio definito come Liceo Classico C.Beccaria.
Superai a passo spedito alcune compagne di classe di Alessandro, o per meglio dire, superai il loro sguardo torvo a cui ormai non davo più peso, e mi diressi verso l’atrio, poco popolato a quell’ora mattutina.
Osservai svogliatamente le facce semi-addormentate dei poveri studenti che come me si avviavano verso l’Inferno, e stetti per un paio di minuti ad osservare in trance il vuoto, fino a quando non mi decisi ad entrare.
Trascorsi le prime due ore nella noia più totale, e stavo cedendo al richiamo di Morfeo, quando fui bruscamente riportata alla realtà dal suono impazzito della campanella, che emise i soliti tre suoni di allarme per avvisarci della prova di evacuazione.
Inutile dire che mi risvegliai in un battito di ciglia, costringendo la mia vicina di banco, Alice , ad alzarsi in fretta e furia.
“Ma tutto questo entusiasmo?” mi riprese quest’ultima “Chi devi vedere?”
Borbottai qualcosa di incomprensibile che assomigliava tanto a un “Sempre a pensar male, ma tu guarda questa”.
Cercai con lo sguardo l’altra idiota della mia migliore amica, Sara, che mi rivolse un sorrisetto per niente rassicurante.
Finsi di non aver visto niente e procedetti sulle scale anti-incendio che ci avrebbero portate in cortile.
Fu allora che lo vidi.
Sorriso irriverente e sguardo malizioso, Alessandro si stagliava in tutta la sua –testata di persona- stupidità.
Gli rivolsi uno sguardo carico d’odio e superiorità, ma non sembrò scalfirlo più di tanto, piuttosto mi rivolse di rimando uno sguardo derisorio, che mi fece irritare non poco.
Decisa a non dargli troppa attenzione, continuai a camminare, ma lui non parve dello stesso avviso, e mi bloccò mentre ero intenta a scendere l’ultimo scalino.
“Ehi nanetta, ti è andato di traverso lo yogurt scaduto stamattina?”
Mi girai, intimandogli con lo sguardo di non proseguire.
“ O forse la mia presenza ti mette in soggezione?” continuò invece, questa volta con un tono ironico che non prometteva nulla di buono.
Stupido babbuino. Te lo faccio vedere io quanto mi metti in soggezione.
“Oh ma guarda, credevo che la fase del sono-un-idiota-egocentrico fosse passata, invece mi sbagliavo. Evidentemente la voglia di renderti ridicolo non ti passa mai.”
Ecco fatto, egocentrico patentato.
Mantenne la faccia da schiaffi, ma intravidi qualcosa nel suo sguardo che mi fece capire che lo avevo colpito.
1 a 0 per me ah!
A quel punto incrociai le braccia sul petto, tanto per rendere più chiaro il mio messaggio, ma non ebbi il tempo di godere di quella piccola vittoria che dal suo gruppo di amici/scimpanzè con il moccio sotto al naso -e non scherzavo sul moccio- comparve la persona più stupida che si potesse incontrare sulla faccia della terra , meglio noto come Luca Gervasi, alias migliore amico di Alessandro.
“Perché non vieni con me al piano di sopra? Ti faccio passare io tutta l’incazzatura” rise senza ritegno dopo quella squallida battuta, prontamente fermato dal cipiglio infastidito di Alessandro.
“ Piuttosto cambio sponda” risposi a tono, sorridendo malignamente.
Alice e Sara sorrisero fiere guardandolo con aria di malcelato disgusto.
Vidi la sua faccia cambiare leggermente tonalità, che improvvisamente si fece di un colore più intenso.
Non provare a sfidarmi, Luca caro.
Questa volta gustai a pieno la vittoria e gongolando non troppo discretamente me ne andai più felice che mai.
Avrei passato i minuti di quella prova con un’estrema pace dei sensi, se solo le mie fantasie riguardante la mia nomina a presidentessa degli Stati Uniti non fossero state interrotte da una voce petulante quanto falsa.
“Ma tu guarda un po’, nonostante sia brutta continua a passeggiare tranquillamente per i corridoi della scuola. Fossi stata in lei mi sarei già chiusa in un convento per non sopportare l’umiliazione continua di essere guardata con disgusto” disse Eleonora De Fio alle sue amiche, rivolgendomi un’occhiata gelida e sprezzante.
Ok, risolviamo questo fatto una volta per tutte. Non sono la tipica ragazza da copertina, contornata da efelidi sparse dolcemente sul viso con due occhi grandi e chiarissimi e con capelli lisci e perfetti come le modelle della Garnier, ma non sono nemmeno un ratto della peggior specie.
Mi definisco più che altro carina.
Le uniche cose che non mi rendono anonima sono il sorriso –che amo curare!- e i tratti del viso, che mi donano un’aria da indiana d.o.c e che i miei amici spesso elogiano.
Per il resto, potrei anche buttarmi da un ponte.
Sì certo come no, e poi chi risponde a tono a quella vipera?
La voce della mia coscienza mi riportò alla realtà, una realtà di cui avrei preferito fare a meno per i venti minuti successivi.
“Preferisco essere giudicata per l’aspetto esteriore piuttosto che avere la nomea da ragazza come dire….” feci finta di pensarci per aumentare la suspense “…facile” finii lentamente giusto per assaporare più a lungo la soddisfazione di vedere quella splendida ragazza tentennare per un millesimo di secondo, che io ovviamente non mi feci scappare.
Dopo un’occhiata particolarmente omicida, Eleonora si limitò ad offendermi con stupidi epiteti e sculettare in direzione del campo da calcio.
Sbuffai rumorosamente e Sara mi sorrise incoraggiante.
Tutti quei botta e risposta mi avevano sfinita, che diamine!
Sperai con tutto il cuore che per quel giorno gli scontri con persone indesiderate fossero giunti al termine, e con un ritrovato sorriso iniziai un entusiasmante discorso sui vestiti freschi d’acquisto con Sara ed Alice.
Il sabato mattina iniziò con un’energia che non credevo di avere.
Mi alzai con una gioia di vivere mai provata nelle ore mattutine, ed evitai persino di pensare quanto il mio già non molto asciutto corpo avesse risentito delle quantità industriali di cibo ingerite il giorno prima preda di una crisi esistenziale, conclusasi con un’intensa quanto profonda cucchiaiata di nutella.
Un miracolo insomma.
Sorridente come non mai, impiegai circa dieci minuti a fare le coccole ad Annie, scansando con nonchalance il pensiero dell’orario che non era propriamente promettente.
A riscuotermi da quel torpore fiabesco ci pensò la mia bellissima, simpaticissima, dolcissima sore..
“TI MUOVI A FARE COLAZIONE RAZZA DI CAPRA CHE NON SEI ALTRO?! OH MA IO NON TI ASPETTO EH! SONO STANCA DI PERDERE L’AUTOBUS A CAUSA TUA!”
Ho già detto che la amo?
Non le risposi, limitandomi a fare un cenno di intesa con Annie, provata anche lei da quelle urla isteriche di prima mattina.
Decisi di assecondare i voleri –e le occhiate furibonde- di mia sorella, mangiando di fretta –tanto per cambiare- e vestendomi velocemente, ricordandomi solo all’ultimo di dover almeno passare un filo di matita sugli occhi, tanto per rendermi meno orribile del solito.
Spazzolai i capelli con una foga che mi fece mugolare di dolore e spruzzai un po’ di profumo –diciamo anche più di un po’- sul collo e sui polsi.
Mi rimirai allo specchio giusto quell’attimo per assicurarmi di essere presentabile, e con un bacio volante salutai la mia cagnetta che mi guardava con aria triste dal divano su cui era stesa.
Ma quanto è carina?
Mi ripromisi di riempirla di coccole appena tornata a casa e chiusi la porta di casa, seguendo mia sorella lungo le scale.
“Come mai così allegra Sofia Di Martino ?” pronunciò con fare inquisitorio quest’ultima, arcuando un sopracciglio.
“Non mi è concesso di essere felice senza un motivo preciso, Amanda Di Martino?” ribattei con tono ironico io, sorpassandola con una falcata e avviandomi il più velocemente possibile verso la fermata.
Come ogni mattina salutai la mia portatrice di sventure, meglio denominata come Greta Mancini, colei che mi aveva fatto conoscere quello stolto orango tango di Alessandro.
Povera, in realtà lei mi aveva solo aiutata ad avverare un mio desiderio.
Che poi si fosse tramutato in un connubio di sfortunati eventi era tutta un’altra storia.
Le sorrisi apertamente, con la piena consapevolezza che niente quel giorno avrebbe potuto scalfirmi, fino a quando la voce della mia cara amica, mi gelò sul posto.
“ Non vorrei smorzare il tuo entusiasmo, ma a scuola gira voce che tu ed Alessandro vi siete lasciati perché tu eri un tantino….come dire….” parlò lentamente scegliendo con cura le parole da dire “….grassa per i suoi standard”
No, quello era troppo. Chi diavolo si era permesso di far circolare un’ offesa del genere?
Dopo la nostra rottura ne erano girate tante di voci, e nessuna di loro, seppur con un certo fastidio, mi aveva mai colpita tanto.
C’era chi pensava che io fossi troppo acida –come dargli torto?-, chi adduceva la rottura alle corna che mi aveva fatto con la mia migliore amica, chi addirittura pensava fossi troppo frigida, e chi mi puntava il dito contro dicendo che fossi stata io a tradirlo con uno dei suoi amici.
Insomma, la fantasia di certo non era mancata, ma un’offesa del genere mi aveva stretto lo stomaco in una morsa.
Perché sì, il mio corpo era qualcosa che faticavo ancora ad accettare, nonostante i miei sedici anni di età.
Tutti i corpi belli e perfetti delle mie coetanee mi avevano portata a pensare cheio non fossi abbastanza, alla loro altezza.
Per questo dopo quella notizia tutta la mia felicità scemò in un attimo, e dopo aver preso un respiro profondo, chiesi con cautela “Chi è stato a mettere in giro questa voce?”
Ci mise qualche secondo di troppo a rispondere, ma appena lo fece desiderai che non lo avesse mai fatto.
“Alessandro”.
-Note autrice-
Salve gente! Ecco a voi il primo capitolo……*tadaaaan*
No, a parte gli scherzi, finalmente la trama comincia ad avere un senso e vengono ripresi aspetti della vita della protagonista, Sofia, che attraverso il suo modo di vedere le cose ci mostra la sua immancabile compagna Sfiga che le sarà fedele fino alla fine.
Spero che questo first chapter sia stato di vostro gradimento, e se nell’attesa del secondo capitolo avete intenzione di lasciarmi una recensione ne sarò immensamente felice! ^^
Le pubblicazioni avverranno ogni settimana, salvo imprevisti ovviamente, e i capitoli diventeranno sempre più interessanti mano a mano che la storia prende forma –eheh-
Detto questo, vi auguro una buona giornata, sperando che questo caldo non uccida anche voi ç.ç
A presto,
Coglilarosa |
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Capitolo 3 *** Il vestito è essenziale ***
3 capitolo What bout us
Capitolo 2
Quello che conta tra amici non è ciò che si dice, ma quello che non
occorre dire.
Albert Camus
“Chi è
stato a mettere in giro questa voce?”
Ci mise
qualche secondo di troppo a rispondere, ma appena lo fece desiderai che non lo
avesse mai fatto.
“Alessandro”.
Sentii la rabbia ribollirmi nelle vene e feci leva su tutto
il mio autocontrollo per non fare una scenata con tanto di monologo
sull’ingiustizia della vita e sull’esistenza di simili soggetti.
Sibilai un “Bene” in direzione di Greta e spostai lo sguardo
in lontananza, dove una scritta arancione mi informava dell’arrivo
dell’autobus.
Evitai di guardare Amanda e il suo sguardo compassionevole e
mi avviai verso l’entrata del mezzo.
Salii in fretta e mi guardai in giro per trovare un posto
vuoto, che intravidi per mia (s)fortuna al fianco di Emanuele.
Ma cosa
ho fatto di male dico io?!
Ci fissammo, e decisi che era troppo tardi per i ripensamenti e che non potevo –e non
volevo- tirarmi indietro.
O la va
o la spacca.
Lo affiancai, biascicando un “Ciao” che a malapena udii io
stessa, ancora provata dalla notizia di quel giorno.
Ero così incazzata con il genere umano che ancora non mi
accorgevo di quale opportunità mi si fosse presentata.
Lo sentii rispondermi con un “Ciao” sorpreso e….imbarazzato?
Mi voltai per guardarlo, ammirandolo ancora una volta.
Sofia
Di Martino, non eri tu quella incazzata con il mondo intero fino a qualche
minuto fa? Riprenditi!
Sbattei le palpebre un paio di volte e ritornai sul pianeta
Terra, che avevo momentaneamente lasciato per dirigermi sul Pianeta Delle Menti
Deviate.
Incontrai il suo sguardo accigliato da sotto le lenti spesse
degli occhiali, magari stava pensando perché una pazza del genere circolasse
liberamente sugli autobus.
Con un gesto disumano controllai se non avessi anche la bava
alla bocca –non si può mai sapere cosa può accadere mentre si è in trance- e lo
guardai con un sorriso colpevole.
Non disse niente, e non si sa quanto gli fui grata per
questo, piuttosto si mise le cuffie che aveva distrattamente tolto, mettendo su
l’espressione da sono-figo-anche-da-serio.
Quella volta evitai di fissarlo come una maniaca e tenni per
me le mie considerazioni sulla sua figaggine.
Fu in quel momento che ripensai al motivo per il quale ero
infervorata fino a 5 minuti prima, forse furono le parole di I Knew You Were
Trouble di Taylor Swift a ricordarmelo, fatto sta che mi chiusi nel mio mutismo
architettando una lenta morte per
quel decerebrato di Alessandro.
Per
colpa sua non potevo nemmeno godermi la vicinanza di Emanuele, perdindirindina!
Una improvvisa frenata mi fece sobbalzare proprio quando
avevo pianificato una degna morte,
obbligandomi a cercare un solido appiglio che non fosse il duro
rivestimento del pavimento dell’autobus, e che prontamente trovai nel braccio
del sopracitato.
Focalizzai la mia attenzione sulla stoffa liscia della sua
camicia con i ghirigori neri e sentii il sangue fluirmi verso le guance.
Ma
perché tutte a me?! Magari in una vita precedente ero una serial killer e ora
sto scontando tutte le mie colpe!
Sollevai lo sguardo su di lui, trovando immediatamente il
suo ghigno divertito.
Fantastico!
A quel punto le mie guance assunsero una tonalità tendente
al bordeaux, che cercai con molta fatica di dissimulare.
Balbettai uno “S-scusa” e a rallentatore, nemmeno a farlo
apposta, ritirai la mia mano dal suo braccio, ormai rassegnata al fatto che
quel giorno tutto sarebbe andato a rotoli.
Aspettai con frustrazione la mia -la nostra- fermata,
muovendomi irrequieta sul sedile e
cambiando convulsamente le canzoni sul mio i-pod.
Tirai un sospiro di sollievo fin troppo rumoroso quando
l’autobus si fermò, cosa che la mia secret crush
notò fin troppo bene e che gli permise di regalarmi uno sguardo
ironico.
Quanto è bello….
Sofia
Di Martino! Ti ricordo che ha la fidanzata la tua cara ‘secret crush’! Datti
una svegliata!
Ancora una volta diedi ascolto alla voce della mia
coscienza, fermando il flusso dei miei pensieri che stavano prendendo una
brutta piega.
Mi alzai con nonchalance dalla mia postazione e mi avviai
verso l’uscita, superando –sempre con nonchalance- gli sguardi sardonici di
Amanda e Greta.
Ooh al
diavolo quelle due!
Mi voltai giusto in tempo per incontrare il suo sguardo, ora serio e misterioso.
Ahh ci
rinuncio! I ragazzi sono troppo
complicati!
Mi ripromisi di cercare appoggio nel duro rivestimento del pavimento dell’autobus piuttosto che arpionarmi al braccio
-invitante- di Emanuele la prossima volta, evitandomi la figura della povera scema.
10 a 0
per la sfiga signori! Sofia Di Martino battuta clamorosamente dalla sfiga!
Ottimo, ottimo davvero.
Quella mattina il mio umore già di per sé sotto terra venne
calpestato ulteriormente dall’entrata trionfale di Eleonora De Fio in classe,
che con voce civettuola annunciò il party che si sarebbe tenuto quello stesso
sabato presso la discoteca “In&Out” , ideato dai rappresentanti d’istituto
e magnificamente organizzato per
regalare una sconvolgente serata a tutti i suoi partecipanti -testuali parole
della civetta in questione-.
La guardai con aria amichevole,
che lei prontamente cancellò con
la sua frase successiva “Ovviamente gli sfigati
farebbero meglio a non presentarsi”
disse con una gran dose di cattiveria guardandomi.
La professoressa di greco la guardò accigliata da sopra le
lenti squadrate dei suoi occhiali pressoché inguardabili
, chiedendosi perché venisse offesa una categoria di cui anche lei faceva
parte, e senza scomporsi troppo, la rimproverò “Mi scusi signorina, le pare il
modo di pronunciarsi?”
Eleotorda, per
niente scalfita dal tono autoritario della Giovannetti, le rispose a tono “E’
sempre meglio evitare situazioni spiacevoli
ai poveri rifiuti della scuola, sa
com’è , tutto quel divertimento potrebbe tramortirli”
Detto questo, non senza un’occhiata glaciale da parte della talpa occhialuta, informò tutti del
prezzo e dell’ora di ritrovo.
Seguirono un paio di
cori da stadio indetti dai ragazzi e un paio di schiamazzi euforici delle
ragazze.
Io dal canto mio rimasi seduta ad osservarmi distrattamente
le unghie, contornando con la punta dell’indice le varie chiazze sbiadite che
mi informavano di un’urgente ritinteggiatura di smalto.
Alice mi guardava con
occhi inquietanti, e lo stesso fece Sara dalla sua postazione un paio di file
più indietro, entrambe sorridendo come lo Stregatto e nella posizione di chi
aveva appena elaborato un piano diabolico.
Risposi con un’occhiata
scettica e un po’ allarmata, già temendo il peggio. Quelle due messe insieme
potevano far concorrenza a Mignolo e Prof., i due topi da laboratorio che ad
ogni fine puntata ripetevano:
Mignolo: Cosa facciamo questa sera, Prof?
Prof.: Quello che facciamo tutte le sere, Mignolo. Tentare di conquistare il
mondo!-
Cercai quindi degli indizi sui loro volti, ma niente
mi riportò a quello che Alice mi disse poco dopo “Hai sentito Sofy..?”
Oh no… Quando Alice mi chiamava Sofy c’era davvero da preoccuparsi!
“Andrai alla
festa vero?” continuò subito dopo “Mi sembra chiaro che non resterai a casa di sabato sera a mangiare cibi ad alti contenuti calorici mentre quella
gallinella da quattro soldi se la spassa!”
Ecco dove volevano arrivare….L’avevo detto io che non era nulla di buono!
“Scherzi vero?
Io stasera, di sabato sera, poltrirò
sulla poltrona mangiando esattamente
cibi ad alti contenuti calorici! Non me ne può importare di meno se Miss
Auto-Abbronzante 2013 vuole mostrare la sua giugulare a tutti gli esseri di
sesso maschile”
Alice e Sara
misero insieme un’espressione delusa che tradiva però un certo divertimento,
segno che il loro piano d’attacco era solo all’inizio.
“Ma non puoi
dargliela vinta! Hai sentito come ti ha definita? Un rifiuto della scuola!”
Roteai gli
occhi al cielo, con tanto di schiocco di lingua.
“Quando mai ha
usato aggettivi carini per definirmi? Ormai non mi fanno più effetto le sue
offese poco velate” ribattei annoiata, stiracchiando le braccia indolenzite.
“Dai! Non muori
dalla voglia di dimostrarle che non può metterti i piedi in testa? Che
nonostante ti tratti come un animale della peggior specie, tu continui ad
essere un gradino sopra di lei?”
Per la prima
volta dall’inizio della conversazione le lanciai uno sguardo semi-serio,
notando nei suoi occhi una scintilla di accesa determinazione, che mi fece tentennare
per un secondo.
“Senti Ali, io
non devo dimostrare niente a nessuno. Non c’è bisogno di andare ad una
stupidissima festa per farle vedere che riesco a tenerle test…”
“SOFIA DI
MARTINO! TU ANDRAI A QUELLA MALEDETTISSIMA FESTA! E’ CHIARO?!?”
Un silenzio
tombale seguì quella frase, che era stata pronunciata niente di meno da quella
che consideravo la mia migliore amica.
Ma non era
stata Alice ad usare quegli acuti, bensì Sara, che dall’alto dei suoi 159
centimetri mi fissava furibonda dal suo banco.
Si ridimensionò
solo quando notò ventisei paia d’occhi che la fissavano sbalorditi, compresi quelli
della Giovannetti, che passavano da me a Sara come se stesse assistendo ad una
scena di una telenovela spagnola.
“Ok, credo che
oggi le mie orecchie abbiano sentito abbastanza” disse la talpa pulendosi
alcune gocce di sudore sul viso con un fazzoletto “Se gentilmente mi permetteste di continuare la mia lezione ve ne sarei
molto grata, soprattutto voi signorine, se non volete ricevere una nota alla
fine dell’anno” finì in bellezza indicando me, Alice e Sara.
Ammutolimmo
all’istante, e accantonammo il discorso festa
per tutta la restante ora.
Grazie al cielo.
Scappai letteralmente dalla classe appena suonò
la campanella della ricreazione, non dando il tempo alle mie due migliori
amiche di riprendere il discorso.
Camminai
velocemente lungo il corridoio del primo piano, imbattendomi in Alberto Della
Croce, ragazzo che detestavo dal profondo del cuore.
In fin dei
conti come potevo amarlo dopo che mi aveva ingiustamente dato della poco di buono?
Perché sì, da
bravo coglione quale era non poteva risparmiarsi dal rivendicare il suo
orgoglio ferito da maschio abbandonato dedicandomi parole dolci e genuine.
Ma la vera
cogliona ero io, che lo avevo frequentato -virtualmente si intende eh!- solo un anno prima perché attratta dalla sua
immensa bellezza…intelligenza…sincerità….
Ma a chi volevo darla a bere?
Alberto era
solo un bambinetto attaccato ai videogiochi peggio di un nerd incallito, dotato
dell’intelligenza di un piccione e cosa peggiore, migliore amico di Alessandro.
Lo avevo
conosciuto per caso, un giorno di dicembre, per una gita condivisa insieme ,
grazie alla quale avevamo intrapreso una ‘frequentazione’ tramite Facebook,
finita con lui che mi diceva che gli piacevo, ed io che gli ponevo una domanda
non inerente al discorso.
Logico insomma.
Fatto sta che
dopo averlo smollato per le sue inesistenti capacità di approccio per mettermi con Alessandro, playboy dalle
mille facce, qualche mese dopo, mi aveva presa in antipatia, confabulando con
la sua carissima cuginetta, -che probabilmente odiavo più della stessa Eleotorda-, sulla mia natura di farmi
piacere ogni ragazzo presente sulla faccia della Terra –che problema c’era
scusa?-.
Alla fine a
tutte capita di invaghirsi di più di un ragazzo nel corso del periodo
scolastico.
Non si poteva
certo dire che fossi io la poco di
buono, visto che la cara cuginetta
Carola non si era fatta scrupoli a mettersi con il ragazzo che mi piaceva al
primo anno e che proprio lei mi aveva presentato.
Ahh, la ruota della fortuna prima o poi girerà dalla mia parte!
In sintesi non
gli rivolsi nemmeno uno sguardo, era il minimo dopo quello che aveva detto su
di me!
Piuttosto lo
superai velocemente, notando con la coda dell’occhio la sua mascella
improvvisamente contratta.
Certo, fai tu la parte dell’incazzato!
Sbuffando
apertamente mi diressi verso le scale, percorrendole a due a due e arrivando
presto al piano terra.
Mi affrettai
verso lo stand dei panini e nell’attesa del mio turno ascoltai la conversazione
delle ragazze al mio fianco.
“Oddio, stasera
sarà uno sballo! Parteciperà anche Alessandro Bianchi! Ho sentito che forse
sarà in compagnia di Eleonora! Vi rendete conto? Ed io che speravo mi notasse!”
Al suono di quel nome sobbalzai silenziosamente,
cominciando a ripensare ininterrottamente a quello che proprio lui aveva
detto sul mio conto.
Le parole
‘grassa’ e ‘per i suoi standard’ si accostarono vorticosamente nella mia testa,
facendomi mancare il fiato per un attimo.
Pensai che
forse potevo davvero prendere in considerazione l’idea di andare a quella
festa.
Cosa avevo da
perdere in fondo? Ormai la mia reputazione non svettava tra le nomine dei
santi, per cui decisi che quella sera avrei dimostrato a me stessa che sì, in
fondo non ero io quella inferiore.
Dopo aver
riferito la mia scelta a due euforiche Alice
e Sara, cominciai ad analizzare il vero problema di quella
serata: il vestito.
Cosa diavolo
avrei indossato?
Feci mente
locale su tutti gli abiti che possedevo, ma nessuno pareva rispondere alle mie
richieste.
Che diamine, c’è sempre un problema di mezzo!
Decisi quindi
di andare in giro per i negozi quel pomeriggio, sperando in un riscontro positivo.
Stavo giusto
preparando lo zaino in vista della fine delle lezioni, quando un picchiettare
sulla mia spalla mi avvisò che la mia amica Elena De Laurentiis reclamasse la
mia attenzione.
Mi girai un po’
spaesata, guardandola rivolgermi uno sguardo un po’ triste.
Mi ricorda tanto il viso di Annie quando non le viene dato il cibo che vuole.
Stavo per
chiederle cosa avesse, quando mi anticipò “Sei cattiva lo sai? In questi giorni
non mi hai considerata per niente, vergognati!”
Mise su un
broncio adorabile che mi fece sorridere.
“Scusa Ele lo
so, in questi giorni diciamo che sono un po’… distratta”
Non resistette
a lungo e mi abbracciò offendendomi affettuosamente.
Oddio, il ‘brutta porcella grassona che non sei altro’ poteva anche
risparmiarselo eh. Mica me la sarei presa!
Dopodiché
cominciò a riparlarmi del suo ex Pietro e di quanto lo odiasse.
Certo come no, adesso partirà con una filippica dove elencherà tutti i suoi pregi e il suo
carattere stupendamente perfetto!
Era quello il
motivo principale per il quale evitavo di parlarle per troppo tempo.
E grazie, ogni cosa che vede lo collega a Pietro! Un motorino bianco per
strada, i rasta su di un qualche ragazzo, i lacci delle scarpe, le api che si
posano sui fiori…!
Feci finta di
ascoltarla fino a quando suonò la campanella.
Mi dispiaceva
comportarmi così perché in fondo le volevo bene, ma anche lei che cavolo!
Trascorreva il tempo che passava con me inserendoci sempre quel maledetto nome.
Se l’avessi incontrato per strada lo
avrei minacciato di rasargli la testa privandolo dei suoi amati rasta, se non
si fosse trasferito immediatamente in Groenlandia.
Oh.
Stanca di dover subire un racconto
dettagliato della loro (ex) vita amorosa, le
dissi che dovevo correre perché altrimenti avrei perso l’autobus.
Mi guardò un po’ dispiaciuta ma non
disse niente.
Beh, era ora!
Salutai velocemente anche Sara ed
Alice, promettendo loro di vederci quel pomeriggio per lo shopping.
Alla fine avevano deciso di
accompagnarmi alla festa, “Almeno ti sorreggeremo quando cadrai sui tacchi che naturalmente comprerai” Aveva esordito Sara dopo aver saputo della
mia scelta.
Corsa –come ogni giorno- la
maratona, riuscii per un pelo a prendere l’autobus, di cui l’autista dopo
avermi vista sbracciare come un’ossessa, aveva deciso di compiere la sua buona
azione giornaliera, aprendomi le porte del Paradiso –in quel caso di un vecchio
e puzzolente automotore-.
Sfiga voleva che non trovassi
nemmeno il posto, figuriamoci!
Dovetti appoggiarmi alla sbarra
posta vicino all’uscita centrale per non cadere come una pera cotta, ma le
inchiodate del mezzo non aiutavano affatto.
Ad aumentare il mio livello di
irritazione ci pensò un uomo salito ad una fermata dopo la mia, che grazie –ma
quale grazie?- al suo braccio sollevato
per potersi sostenere alla meno peggio, mi rese consapevole del suo livello di
sudorazione piuttosto elevato.
Oddio, fa’ che scenda tra poco! Se continuo così mi
conviene mettere una bombola dell’ossigeno.
Contro ogni più rosea aspettativa
scese poco prima che lo facessi io, quando ormai stavo annaspando in cerca di
aria.
Arrancai un po’ scossa fino a casa,
dove mi aspettava una madre furibonda.
Quando mai?
Mi chiesi cosa avessi fatto di tanto
sconvolgente da meritarmi un’occhiata del genere, ma smisi di pensarci quando
ricordai che mia mamma era sempre
arrabbiata.
E poi mi chiedevano perché ero acida! Provate voi a
stare con una persona che vi tartassa i maroni da mattina a sera!
“Sofia Di Martino! Vai subito a sistemare il disordine che sta in camera tua! Non voglio ripetertelo due volte! Chiaro?!"
Appunto. E non le avevo ancora detto della festa!
Presi la saggia decisione di
aspettare che sbollisse almeno un po’ la rabbia prima di darle il colpo di
grazia. Ci mancava solo che mi spedisse in Cambogia a dare da mangiare agli
elefanti.
Mi preparai dunque a vedere l’enorme macello che mi aspettava una
volta entrata in camera, ma tutto quello che trovai furono un paio di cianfrusaglie sulla
scrivania e alcuni vestiti sparsi sul letto.
Woooow! Se rivendo tutte queste cose mi ci compro una
villa con la piscina!
Nascosi meglio che potevo i pochi
oggetti che popolavano la scrivania e rimisi in un ordine tutto mio le
magliette disposte sul letto.
Assodato che il lavoro duro fosse
finito, mi collegai un po’ al computer, precisamente su Facebook, dove
constatai avessi dieci notifiche ed una
richiesta d’amicizia.
Fa’ che non sia il marocchino che vende le cose vicino
il supermercato sotto casa mia!
Aprii la casella delle richieste e
tirai un sospiro di sollievo quando vidi che nessun nome alla ‘Muhammed’
lampeggiava sul monitor.
“Noemi Castorano”
Oh no, ridatemi Muhammed!
Noemi mi era simpaticamente conosciuta grazie al ruolo che ricopriva, ovvero
ragazza altezzosa del gruppo delle amiche di Alessandro.
Ma che carina, perfino la richiesta d’amicizia per
vedere i fatti miei.
Inarcai un sopracciglio, arricciando
le labbra e picchiettando le dita sulla
superficie in legno sulla quale posava la tastiera.
Accetto o non accetto?
Ero indecisa, da una parte non
volevo darle la soddisfazione di vedere che non avessi il coraggio di
accettarla, dall’altra non volevo renderla partecipe della mia vita virtuale.
Alla fine accettai.
Così vedi che non ho nulla da nascondere!
Tanto dopo aver cancellato
Alessandro dagli amici , il mio profilo Facebook era solo un insieme di post
sull’acidità acuta e immagini più o meno divertenti.
Niente di compromettente insomma.
Diedi una rapida occhiata ai post
dei miei amici virtuali, ridendo di tanto in tanto della loro stupidità e
mettendo mi piace a quelli che mi sembravano i più spassosi.
Mi scollegai solo quando fui
chiamata per il pranzo, trovando a tavola anche mia sorella Amanda appena
tornata da scuola.
“Cosa fai oggi pomeriggio?” mi
chiese proprio lei una volta seduta.
“Esco con Sara ed Alice per comprare
l’abito per stasera”
“Dove dovresti andare stasera?” mi
chiese la mia dolcissima genitrice.
Oh cavolo, dovevo introdurre l’argomento per bene! In
questo modo non mi lascerà andare nemmeno sotto tortura…
“Oh …beh sì, è stata una decisione
presa all’ultimo minuto e…”
“E ti sembra che io ti abbia dato il
permesso?” continuò lei, questa volta con un tono sadicamente appagato.
Merda, ci mancava solo l’autorità materna che si
risveglia ogni qualvolta le tengo segreta una cosa.
“Beh io credevo che da brava mamma quale sei, mi avresti dato
senza problemi il permesso…”
Vai così, addolciscila con i complimenti!
Mi lanciò un’occhiata scettica,
probabilmente le lusinghe erano fin troppo artefatte.
“Con chi dovresti andarci e a che
ora?” mi rispose però.
Buon segno, sta cedendo!
“Ci vado con Sara ed Alice ma ci
saranno sicuramente molti miei compagni di classe. L’orario è previsto per le
21:30”
Ci pensò su, masticando lentamente
il boccone di ravioli.
“Ce ne andremo massimo per
mezzanotte e mezza! E tranquilla, ci riporta il papà di Alice” continuai dato
che ormai ero quasi arrivata alla vittoria “All’andata ci accompagna papà però”
precisai.
Mio padre alzò la testa dal suo
piatto solo quando capì di essere stato chiamato in causa.
“Quanto viene il biglietto?” mi
interrogò lui.
“Dieci euro biglietto e bibite…”
proseguii “…Che ovviamente io non berrò!”
Non dovevo rischiare di dire cose
compromettenti con due paia d’occhi che mi fissavano indagatori.
“La festa sarà noiosa come al
solito, non ho capito perché vuoi andarci” mi rimproverò Amanda, guardandomi
tra il curioso e l’irritato.
“Cosa c’è di male a voler passare
una serata diversa?” sbuffai, lanciandole un’occhiata infastidita.
“Fai come ti pare” concluse lei,
prendendo una forchettata di ravioli.
Odio ufficialmente i ravioli.
Il pomeriggio arrivò presto quanto
l’autobus che stavo per perdere.
Miseriaccia…!
Dopo pranzo avevo avuto poco tempo
per prepararmi, così avevo optato per semplici jeans e maglietta a maniche
corte.
Meglio che non descrivo i capelli va…
Di certo il cespuglio indefinito
sulla mia testa avrebbe potuto far concorrenza alla parrucca di Platinette, il che mi rendeva nervosa e leggermente irascibile.
Almeno avevo trovato il posto
sull’autobus.
Direi, dopo tutte le preghiere che hai fatto!
Mi sedetti soddisfatta, sorridendo a
trentadue denti al vecchietto al mio fianco, il quale mi guardò di traverso e
si girò dall’altra parte borbottando “Ah i giovani di oggi! Fumano troppa
erba!”
Ma tu guarda questo!
Gli dedicai un’occhiata non
propriamente gentile e mi infilai le
mie amate cuffiette.
Alternai distrattamente “Single
ladies” di Beyonce e “Alone again” di Alyssa Reid per tutto il viaggio, tanto
per deprimermi pensando effettivamente a quanto fossi sola.
Una sfigatella single per la cronaca, non potete
sbagliarvi!
Scossi la testa per scacciare quei
pensieri, ma il vecchietto al mio fianco interpretò quel gesto come una
conferma alla sua tesi precedente.
Pensala come vuoi vecchio!
Scesi frettolosamente dall’autobus,
incamminandomi verso la piazza dove avrei dovuto aspettare le mie due amiche.
Stavo giusto scrivendo loro un
messaggio, quando un rumore mi fece alzare lo sguardo.
Per poco non mi cadde il telefono di
mano, quando con palese stupore osservai
la figura di un Emanuele intento a fare acrobazie con il suo skateboard.
Ero già a conoscenza di questa sua
passione -sia benedetto Facebook!-, ma vederlo dal vivo era tutt’altra storia.
Vedere la sua espressione
concentrata e la sua abilità nel muoversi lungo il pavimento in cemento mi fece rimanere a bocca aperta.
Letteralmente.
I suoi occhi erano fissi
sull’asfalto, e piccoli ciuffi di capelli scuri sfuggiti al berretto gli ricadevano sulla fronte, conferendogli un
aspetto che…diamine censuratemi!
A trarmi in salvo da quella
maniacale contemplazione ci pensarono Sara ed Alice, che mi fissavano
divertite qualche metro più avanti.
“Niente battutine grazie!” esordii
io appena le raggiunsi, guadagnandomi due sorrisetti sarcastici.
Menomale che quel figone non si è accorto di nulla!
Le seguii mentre ancora divertite si
avviavano verso Zara.
Anche a loro serviva un abito, così
avevamo deciso di comune accordo di consigliarci a vicenda.
Scegliemmo quattro, cinque abiti
ciascuna ed entrammo nei camerini, posti l’uno di fianco all’altro.
Io avevo optato per diverse tonalità
di colore, affinché potessi rendermi
conto di quale mi stesse meglio.
Cominciai con un vestito color
panna, che mi fasciava il seno con molta eleganza e mi ricadeva sui fianchi con
altrettanta leggerezza.
Lo trovai molto carino, ma
desistetti dallo sceglierlo perché troppo
semplice.
Voglio farmi notare alla festa, io!
Scartai dunque il primo abito e
passai al secondo.
Di una tonalità più accesa, un blu
cobalto, il secondo abito si presentava come un ottimo candidato.
Leggermente più corto rispetto al
primo, catturava lo sguardo per le paillettes poste su un fianco, che donavano
luce e sensualità alla mia figura.
Le maniche lunghe poi lo rendevano
sobrio ma accattivante al tempo stesso.
Lo avrei sicuramente comprato, se non fosse che essendo aderente, mi
accentuava i fianchi leggermente pronunciati, rendendomi un cotechino in un
abito stupendo.
Uffa, adoravo questo vestito!
Passai quindi al terzo, un abitino
in color vinaccio dai ricami in pizzo.
Stretto in vita, mi circondava
dolcemente i fianchi nascondendo quel mio piccolo difetto.
Le maniche lunghe tutte ricamate gli
conferivano un’aria romantica, ma non era quello che mi aveva colpita di più.
Mi voltai nuovamente, e dando le
spalle allo specchio, ammirai rapita ancora una volta la scollatura posta sulla schiena, di forma a
goccia, che poteva esser considerata la ciliegina sulla torta.
Emisi un risolino estasiato che
udirono anche Sara ed Alice, accorse immediatamente al mio camerino per capire
la fonte di tanta gioia.
Non saprei dire cosa pensarono
appena mi videro, anche perché non fuoriuscì nessuna sillaba dalla loro bocca,
ma i loro occhi espressero tutto ciò che
non avevano reso a parole.
Ci sorridemmo nello stesso istante,
tutte e tre indossando abiti che ci avrebbero fatto risplendere per una sola
sera.
A quel punto non mi rimase che
pensare una cosa:
Che la festa abbia inizio.
-Note autrice-
Rieccomi con il nuovo
capitolo! Qui viene dato maggior rilievo alla figura di Emanuele, ma
soprattutto viene data una sbirciatina a quella che è la famiglia di Sofia.
Ovviamente avete avuto
solo un assaggio di tutto ciò, e cosa più importante, questo è solo un capitolo
di passaggio.
Si può dire che sia la
calma prima della tempesta!
Ebbene sì, nel prossimo capitolo se ne vedranno delle belle!
Voglio anche ringraziare
tutte coloro che hanno recensito e/o messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate,
ve ne sono molto grata! ^^
Detto questo, mi metto
subito all’opera per la stesura del next
chapter!
A presto,
Coglilarosa
Gruppo facebook:gruppo facebook
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Capitolo 4 *** Tonight we do it big ***
Capitolo 3 What
Ed eccomi ad
aggiornare dopo tempo immemore! Ahahah no in realtà non così tanto ma comunque
più del previsto!
Spero che il capitolo valga almeno un po’ l’attesa, giusto un
pochino eh!
Beh, vi lascio alla lettura! Ci vediamo alle note finali ^^
Capitolo 3
Alla
fine della giornata, il fatto che abbiamo ancora il coraggio di stare
in piedi è già un motivo sufficiente per
festeggiare.
Meredith Grey (Ellen Pompeo), in Grey's Anatomy, 2005-2013
Era passata circa un’ora e mezza da quando avevamo comprato
gli abiti con tanto di tacchi da nove centimetri.
Finalmente
potrò sentirmi alta!
Se alta significava essere 1,74 cm con quei trampoli, allora
sì, ero alta!
Niente
obiezioni ok?
Eravamo dunque passate alla fase del ‘Andiamo a casa tua e
acconciamoci alla grande’, in quel caso ritrovandoci nella mia.
Ed era da sopra il mio letto che osservavo divertita Sara
che sbraitava perché i suoi capelli non ne volevano sapere di arricciarsi in
delicati boccoli, e Alice che invece saltellava per la stanza nell’intento di
alzarsi la zip del vestito, che era rimasta incastrata a metà percorso.
Io intanto me la ridevo, mentre con una calma surreale mi
passavo uno smalto brillantinato dai colori neutri.
“Ti muovi brutta scema?! Non essere così calma, è tardi!”
Il dolce richiamo
di Sara mise fine alle mie risate, ma non al mio palese divertimento.
“Se per tardi intendi che sono solo le 20, ti conviene cambiare orologio”.
“Quanto non ti sopporto quando fai così!” mi rimbeccò lei,
questa volta facendomi ridere apertamente.
Dopo circa cinque minuti di incessanti risa –la faccia di Sara
era troppo esilarante!-, ritrovai un minimo di contegno, rispondendole sempre
allegra “Dai va bene, tra poco vado a lavarmi la faccia e poi potrai truccarmi
quanto vuoi”.
Sapevo che esponendole quelle affermazioni mi avrebbe amata
all’inverosimile, e infatti così fu.
Mi saltò al collo trillando “Ohhh grazie grazie! Non vedo
l’ora di renderti bellissima!”
Ebbene sì, il make-up e tutto ciò annesso a quel mondo erano
la sua passione, per cui quando volevo farmi perdonare per qualcosa o farle
tornare il sorriso, mi offrivo come cavia per riuscire nel mio intento.
Ci guardammo, questa volta sorridendoci complici, e in un
attimo ci ritrovammo abbracciate sul letto con me sotto che stavo soffocando e
lei che mi spettinava giocosamente i capelli.
Platinette
rivendica la sua parrucca!
Fu Alice a riportarci con i piedi per terra, o direi anche
con tutto il corpo.
Per farci ridestare infatti, aveva avuto la brillante idea
di buttarci sul pavimento, con il risultato che avvertii un dolore allucinante
sul mio grosso e morbidoso didietro.
Rialzatami a fatica, le lanciai epiteti molto poco signorili, ricevendo in cambio una
scrollata di spalle del tutto indifferente.
Pff, io
la zip non te la alzo!
Mi incamminai verso il bagno e presi lo spazzolino,
cominciando a lavarmi i denti.
Impiegai circa due minuti per quell’operazione e altri dieci
per guardarmi allo specchio.
Beh,
che volete? Il sorriso è l’unica cosa che amo, fatemela ricredere almeno per
questo!
Uscii lentamente per ritardare almeno un po’ il trattamento
che avrei subito di lì a poco.
Mi stavo pentendo di aver concesso così facilmente a Sara di
truccarmi per l’occasione, perché sapevo che il suo non sarebbe stato un trucco
leggero, come avevo sperimentato giusto qualche mese prima.
La mia andatura lenta tuttavia venne notata proprio da lei,
che mi rivolse dapprima uno sguardo stranito, poi appena capì, scettico.
Le sorrisi colpevole e mi avviai verso la sedia che
autorevole troneggiava al centro della stanza.
Deglutii un paio di volte, nemmeno dovessi andare al
patibolo, e mi sedetti cauta.
Alice mi guardava incoraggiante dallo stesso letto dove
nemmeno venti minuti prima ero spaparanzata io.
Chi
diavolo le ha chiuso la zip?
Le lanciai un’occhiata omicida, dopodiché mi voltai verso
Sara, che sadicamente sorridente mi guardava dall’alto.
“Preparati al paradiso ragazzaccia!”
Oddio
no, è la fine.
Un’ora dopo eravamo tutte pronte e fresche di trucco e
parrucco, rimirandoci a vicenda nella macchina di mio padre.
“Sei davvero bellissima” mi sussurrò Sara dal sedile
posteriore, facendomi spuntare immediatamente un sorriso.
In effetti, considerai, da quando mi ero vista per la prima
volta allo specchio, non avevo potuto pensarla diversamente.
Non avevo mai provato una sensazione del genere, perché
normalmente non avrei mai fatto simili pensieri su di me, ma quella volta era
diverso.
Sara non aveva esagerato col trucco, come invece avevo
pensato, al contrario aveva usato un trucco non troppo marcato per enfatizzare
i tratti del mio viso un po’ asiatici.
La guardai riconoscente e aspettai con pazienza la nostra
destinazione.
Quando arrivammo al locale erano le 21.35, mentre c’erano ancora
molte persone fuori a parlare.
Sorpassammo un gruppetto intento a rollarsi una canna ed
entrammo, dopo aver mostrato il biglietto ad un body-guard.
La musica era assordante, e le luci da discoteca
riflettevano una marea di corpi ammassati che si strusciavano a ritmo delle
note di “On the floor” di Jennifer Lopez.
Iniziamo
alla grande.
Stavo giusto guardando con disgusto una ragazza piuttosto disinibita, quando una spalla mi urtò
accidentalmente.
“Scusa, non ti avevo vista bellezz…” oh no, oh no! “Aspetta! Ma tu sei la Di Martino! Non ci posso
credere!”
Un Luca Gervasi piuttosto sbalordito mi si appellò sorridendo,
squadrandomi dalla testa ai piedi.
“Sei….” Un rospo? Uno
scarafaggio rinsecchito? Una cacca di bue? “…davvero una gnocca!”
Oh
cacchio.
Sara ed Alice precedentemente intente a guardarsi in giro,
finalmente si accorsero della presenza dell’ idiota, rivolgendogli uno sguardo sprezzante.
“E anche voi due..” non si perse d’animo “..siete davvero
due gnocche!”
Ma non
sa usare aggettivi di maggior impatto uditivo?
Questa volta fui io a guardarlo sprezzante, ma fece finta di
non averlo notato, al contrario rise senza ritegno da bravo imbecille quale
era.
“Se volete divertirvi chiedete pure” si rivolse alle mie due
amiche “Tu invece credo sia off limits”
concluse guardandomi divertito.
Off
limits? A che diamine si riferisce quella testa di broccolo?
Stavo per chiedergli spiegazioni quando si dileguò con la promessa
di farsi rivedere presto.
Ma vai
tranquillo! Non sentiremo la tua mancanza!
Guardai la sua figura sparire tra la folla e proposi alle
mie amiche di bere qualcosa.
Speriamo
che mio padre non abbia mandato qualcuno per controllarmi!
Tanto per essere sicura rimasi sul leggero, ordinando un
semplice Sex On The Beach, mentre Sara ed Alice ordinarono un drink con un nome
che la diceva lunga sul suo contenuto, El
Diablo.
Assaporai la mia bevanda, diciamo pure che la trangugiai in
due sorsi –era troppo buona porca paletta!-, osservando senza un motivo preciso
la pista da ballo che si ergeva al centro del locale.
Intravidi diversi visi conosciuti, tra i quali spiccavano
molti volti di ragazzine del primo anno con abiti molto poco decorosi e stracci di indumenti che dovevano fungere da
mini-gonne.
Siamo
al circolo delle peripatetiche?
Corrugai la fronte, chiedendomi se paradossalmente non fossi
io quella fuori posto.
Insomma, il mio abito non arrivava di certo all’altezza delle mie grazie e potevo
sembrare indietro con i tempi.
Ma ti
pare?
Ero ancora immersa in quelle assurde congetture, quando una persona attirò la mia attenzione.
Con centonovanta centimetri di altezza e –mi costò molto
ammetterlo- sensualità, Alessandro Bianchi percorreva con passo calcolato ogni
centimetro di quel locale, ricevendo non pochi sguardi.
Lui godeva di tutto quell’apprezzamento sfoggiando un’aria
da sbruffone, parlottando di tanto in tanto con la sua comitiva di scimpanzé.
Vidi chiaramente il ghigno di Luca Gervasi quando mi indicò
con un cenno del capo, e non mi astenni dal lanciargli un’occhiata glaciale.
Smisi di incenerirlo quando Alessandro seguì la traiettoria
che il suo amico idiota gli aveva suggerito, permettendogli di capire chi
stesse indicando.
Dapprima sembrò confuso, forse non riconoscendomi, poi vidi
chiaramente il suo sorriso strafottente e lo sguardo malandrino.
Sprofondai leggermente nello sgabello, mantenendo però il
contatto visivo, mostrandomi sicura e indifferente.
Continua
così e forse la tua recita vincerà l’Oscar!
Mi complimentai con me stessa, notando con la coda
dell’occhio le mie amiche perforarmi con lo sguardo alle mie spalle.
Lo vidi avvicinarsi, facendomi deglutire mentre il cuore
prendeva a pompare più sangue.
Sobbalzai quando fu a meno di due metri di distanza, ma
cercai di mantenere l’autocontrollo necessario a non farmi ruzzolare al suolo.
“Ehi nanetta. Pensare che non ti avevo riconosciuta! A
quanto pare i miracoli esistono!” disse con tono sfacciato.
“Peccato che non esistano per i coglioni come te” risposi io
acidamente.
Come si
permetteva quel lurido….!
Mi rivolse uno sguardo divertito, per nulla scalfito dalle
mie parole.
Si limitò a ghignare seguito dalle risate dei suoi amici,
per poi superarmi, non prima di avermi sussurrato all’orecchio un “Non è finita
qui” decisamente malizioso.
Gelai sul posto, sbarrando gli occhi.
“Ehi Sofia tutto bene?” chiese preoccupata Alice una volta
che se ne fu andato.
“Sei stata grande!” aggiunse euforica Sara.
Ritrovai il sorriso dopo quella frase e risposi più
sollevata “ Ora bene. Lo odio” conclusi con uno sbuffo infastidito.
“Dagli sguardi che vi lanciavate non direi proprio” insinuò
Alice, sorridendo beffarda.
“Cosa vorresti dire?” risposi piccata.
Non mi
piacciono per niente certe insinuazioni.
“Non fare la finta tonta. Erano quei tipi di sguardi che se
foste stati in una stanza da soli vi sareste saltati addosso” mi riprese con
tono canzonatorio.
Assottigliai le palpebre, pronta a difendermi a spada
tratta, quando Sara smorzò la tensione con un “Andiamo a ballare dai”,
tirandoci per i polsi.
Il mio concetto di “ballare” però, prevedeva una morte
prematura.
Infatti mi ritrovai incastrata tra un energumeno e una tizia
con il lato b degno di Kim Kardashian, tanto che fui costretta a rivolgermi a
qualsiasi divinità presente nel cielo affinchè mi mandasse l’aiuto necessario per non soffocare.
Provai a spostarmi delicatamente per non rischiare uno
schiacciamento stile bacon nel panino, ma i movimenti bruschi e decisamente
fuori controllo dell’energumeno mi fecero scattare in avanti, facendomi
ritrovare con la faccia nei capelli cotonati della sosia della Kardashian.
Stavo soffocando vistosamente con i suoi capelli super
laccati, ma a trarmi in salvo fu Alice, che accortasi dell’assurda situazione,
mi afferrò per una spalla portandomi di qualche passo verso di lei.
Credevo di averla fatta franca, beandomi della
consapevolezza di non aver destato sospetti sui ciuffi della mora che adesso
parevano i capelli elettrizzati di un barboncino, ma a quanto pare la Signora Fortuna
faticava a venirmi incontro, perché la suddetta, accortasi che qualcosa non
andava nemmeno avesse i radar, si toccò la matassa informe sulla nuca, girandosi di scatto e
cercando il colpevole.
Cercai di comportarmi normalmente, ovvero muovendomi senza
un ritmo preciso e urlando “Party Hard” come una comune gallinella.
Sei
davvero un genio, wow!
A quanto pare ero davvero un genio, perché la mora credette
che il colpevole fosse un ragazzino minuto che aveva posato per sbaglio lo
sguardo su di lei.
E’ inutile precisare quanti improperi gli toccarono, tanto
che molte persone si voltarono ad assistere alla scena.
Sentiti
in colpa “Party Hard” dei miei stivali!
Ci mancava solo la mia coscienza!
Lo guardai compassionevole, La Signora Fortuna quella volta
mi aveva pateticamente protetta nella sua ala, cosa che non si poteva dire per il
ragazzino, che ora vagava terrorizzato per la pista senza staccare gli occhi
dal pavimento.
Lo seguii con lo sguardo fin quando non si dileguò in
qualche anfratto del locale, rendendomi inquieta e rammaricata.
Sei
troppo sensibile!
Non eri tu quella che mi diceva di sentirmi in colpa? Taci!
Misi a tacere la vocina petulante che era in me e decisi che
non era il momento di disperarmi.
Cominciai quindi a ballare in modo scatenato con le mie
amiche senza curarmi di nulla.
Al
diavolo la gente! Nessuno andrà a guardare proprio me…figuriamoci..!
Non feci nemmeno in tempo a pensarlo che una risata acuta e
stridula mi informò della presenza della mia peggior nemica.
Ma
perché?!? Stavo facendo un passo degno di Elvis!
“E tu cosa ci fai qui?” mi disse con una malignità
inconfondibile.
“Quello che fai tu, mi diverto”
risposi con innaturale calma, non risparmiandomi però un sorrisetto a fine
frase.
“Avevo detto chiaramente che gli sfigati non erano ammessi”
continuò lei.
“Mmh strano, perché io ne vedo una proprio di fronte a me”
rimarcai sarcasticamente.
Dopo quella frase si tolse dal viso esageratamente truccato
il suo sorriso derisorio.
Colpita
e affondata, oh yes!
“Senti rifiuto
umano, non sei degna di stare in un posto del genere, quindi vedi di smammare”.
Si sta
forse arrabbiando o il colore più roseo delle sue guance è una illusione
ottica?
“Senti tu, questo
è un luogo pubblico, e lei può starci quanto
le pare” ribatté infervorata Sara al mio fianco.
“Già, quindi vedi di smammare tu” le diede man forte Alice.
Mi girai stupita verso di loro sorridendo apertamente.
Amori
miei pucci pucci!
Se gli sguardi avessero potuto uccidere, in quel momento
saremmo già stramazzate al suolo agonizzanti.
“Lo vedremo” ci minacciò lei, incamminandosi verso la pista.
“Lo vedremo” le
rifeci il verso io facendo ridere le mie due amiche.
Riprendemmo a ballare a ritmo di “Crazy Kids” di Kesha, quella
volta libere di muoverci e divertirci come volevamo.
Cantammo all’unisono, godendoci quei momenti di gioia e
libertà.
Era una emozione appagante quella che stavo provando in quel
momento, tanto che non pensai a nulla, niente mi turbava, niente mi creava
stupide paranoie.
Nessun Alessandro. Nessuna Eleonora.
Solo Sofia, Sara ed Alice.
Risi, risi come se non avessi mai fatto altro nella vita.
Risi come se non ci fosse stato nessun motivo per cui essere
tristi.
Cosa
poteva andare male d’altronde?
“Buonasera gente!” disse il dj all’improvviso.
Ma che
cavolo…?
Un boato di urla seguì quella frase apparentemente innocua.
Apparentemente.
“Rendiamo questa serata più movimentata! Facciamo un gioco!
Tutti i ragazzi sono invitati a portare in pista una ragazza, e chi tra le
ragazze rimarrà senza cavaliere dovrà fare uno spogliarello finite le danze!”
Coooooooooosa?!
Stiamo scherzando?!
Evidentemente avevo sentito benissimo, perché quella volta
il boato si fece più intenso tra urla di eccitazione dei ragazzi e altre di
disapprovazione delle ragazze.
Dov’è
finita la mia bellissima amica Felicità?!
Mi chiesi come diavolo era venuta in mente un’idea del
genere al dj, ma quando intravidi il viso di Eleonora al suo fianco fissarmi
con un sorriso vittorioso, capii.
Brutta
racchia del Paleolitico, come hai osato?!
Guardai le amiche al mio fianco, sconvolte anche loro da
quella notizia.
“Cosa facciamo…?” sussurrai io.
In un altro momento non mi avrebbero sicuramente sentita con
la musica che rimbombava incessante, ma quella volta lo sentirono forte e
chiaro.
Non risposero, ma il loro sguardo esprimeva lo stesso
sconcerto e terrore che provavo anche io.
Molto disordinatamente ragazzi e ragazze si accoppiavano
euforici, mentre io, Sara ed Alice eravamo paralizzate al centro della pista.
Vidi un paio di ragazzi avvicinarsi, e provai un moto di
sollievo nel constatare che forse non tutto era perduto.
“Ehi belle” cominciò uno “Vi va di ballare?”
Sorridente ero in procinto di rispondergli che lo avrei
fatto volentieri.
In un’altra occasione sicuramente avrei rifiutato dicendo
che avevo già il ragazzo, perché non erano questa gran bellezza e affidabilità,
ma date le circostanze avrei fatto un’eccezione.
Peccato che i due individui presero per mano Sara ed Alice,
lasciandomi basita.
E io?
Sono lo scarto di turno?
“Io resto con lei” disse Sara, staccandosi dalla presa del
suo cavaliere.
“Non ti preoccupare! Andrò a nascondermi in bagno se proprio
non trovo nessuno!” la rassicurai io scherzandoci sopra.
Dentro di me volevo solo sotterrarmi.
“No, non ti lascerò in balìa di questa gentaglia!” riprese
lei decisa.
Potevo
amarla più di così?
“Davvero, troverò una soluzione. Vuoi fare uno spogliarello
a fine serata?” le domandai retoricamente “E no, so cosa stai per rispondere.
Io me le caverò! Guarda, quel ragazzo mi si sta avvicinando!” continuai svelta.
In realtà non ero affatto sicura che il ragazzo biondo che
si incamminava verso di noi mi stesse puntando, ma feci leva sulla prima scusa
che mi venne in mente per non rovinare la serata a Sara.
Ci mancava solo che dovesse condividere il mio stesso
destino!
Già, il
tuo destino. Che pensi di fare ora?
La vocina era tornata a farsi sentire, e io non sapevo come
difendermi da quella realtà disarmante.
Alzai lo sguardo che avevo momentaneamente piantato a terra,
e incrociai quello di Sara che mi guardava indecisa.
Le sorrisi incoraggiante e la spinsi delicatamente verso il
suo cavaliere, sussurrandole un “Divertiti e non pensare a me. Il bagno in
fondo non è così male!” ridendo leggermente.
Sorrisi anche ad Alice, dispiaciuta come l’altra mia amica.
Rivolsi loro un’ultima occhiata, prima di farmi spazio tra
la gente per scappare da tutta quella bolla di compassione, e perché no, anche
da quella realtà che tanto mi terrorizzava.
Stavo bevendo un Bloody Mary, tanto per affogare i miei
dispiaceri nell’alcool, quando presi davvero in considerazione l’idea di
chiudermi in bagno.
Meglio
vedere un water che le facce allupate dei trogloditi qui presenti.
Finii quindi il liquido contenuto nel bicchiere di vetro, e
mi avviai verso la toilette un po’ traballante.
Non
sono abituata a bere cacchiolina!
Mi sorressi alla parete adiacente al bar per non cadere,
fermandomi di tanto in tanto per il lieve mal di testa che mi aveva colto.
Arrivai con notevole fatica ma sorrisi alla prospettiva di
averla scampata.
Sorriso che sparì appena mi accorsi che la porta principale
del bagno era chiusa a chiave.
Ma che
diamine..?
Provai ad aprirla con uno slancio di forza, ma vidi i miei
sogni sfumarsi quando constatai che non potesse essere aperta in nessun modo
senza la chiave.
Merda,
sono fregata.
Stavo per mettermi a piangere, ma evitai di farlo lì perché
non volevo subire anche quell’umiliazione.
Mi voltai disperata, a quel punto non rimaneva altro che
cercare da sola un ragazzo.
Mi sarei anche accontentata di uno non propriamente bello, tutto pur di non dare spettacolo
a fine serata.
Girai intorno alla pista da ballo come una maniaca,
valutando ogni figura che incrociavo.
Sorrisi estasiata alla vista di un ragazzo solo soletto
molto carino vicino ad una finestra, e con ritrovato entusiasmo lo braccai.
“Ehi ciao, vuoi ballare con me?” proposi sfacciata.
Grazie
al cielo l’alcool rende più disinibite!
Lo vidi voltarsi dalla mia parte, squadrandomi dalla testa
ai piedi.
“Sei molto carina, ma ho già la mia accompagnatrice” mi
rispose un po’ dispiaciuto.
Tutto il mio entusiasmo svanì con la stessa rapidità con cui
era arrivato.
“Oh ma guarda, la sfigatella è così disperata da cercare il
cavaliere” cinguettò Eleotorda affiancando il ragazzo.
Non è
possibile! Perché deve sempre stare in mezzo?!
Serrai la mascella, per la prima volta a corto di parole.
Mi oltrepassò vittoriosa insieme al suo accompagnatore,
lanciandomi un’occhiata denigratoria.
Rimasi a fissare i corpi che a ritmo delle note di “Right
Round” Di Flo Rida si muovevano senza sosta, divenendo ancora più depressa.
Stavo valutando l’idea di buttarmi dalla finestra che si
trovava dall’altra parte del locale, quando una voce fin troppo familiare mi riportò alla realtà.
“Ehi, ti va di ballare, nanetta?”
Mi girai di scatto, osservando la figura di un Alessandro
intento a fissarmi divertito.
Ci
mancava solo lui!
Avvampai vistosamente, così finsi una tosse improvvisa per
riprendermi da quello stato.
“Mi faccio suora piuttosto!” ribattei accalorata.
“Beh di quello non devi preoccuparti, lo sei già” mi
rinfacciò lui.
Lo guardai oltraggiata, chiedendomi quanto potesse essere
stupido su una scala da 1 a 10.
Io
direi 10000000.
“E allora perché ti fermi a parlare con me? Non ti sono mai
piaciute le suore”
Quella volta fui io a sorridere gongolante.
“Touché” rise lui.
Cavolo quanto era figo quando sorrideva….
Sofiaaaaaaa!
Cosa stai facendo? Ti ha dato di volta il cervello?! Forse non dovevi bere quel
poco di alcool! Lo reggi malissimo!
Dovetti concordare con la mia coscienza, riprendendomi
all’istante.
“Beh, che fai ancora qui? Vai ad invitare qualche
gallinella, di sicuro sarà molto più entusiasta di me” lo sfidai apertamente, intonando le parole di “Stronger” di
Kanye West nella mia mente.
“Ti ricordo che se non fosse per me, a fine serata saresti
su un cubo mostrando le tue grazie all’intero popolo maschile presente stasera”
mi fece presente beffardo.
Diamine
è vero……E ora?
Lo scrutai da sotto le mie ciglia cosparse di mascara,
studiando la situazione.
“Senti non ho tutto il tempo, prendere o lasciare nanetta”
Stavo per rifiutare solo perché mi aveva chiamata con quello
stupido nomignolo, ma mi morsi la lingua pensando alle conseguenze di quel
gesto.
“Va bene! Ma solo perché non voglio darla vinta ad Eleotorda!” precisai irritata.
Lui dal canto suo rise apertamente, scuotendo la testa come
pensando a qualcosa di divertente.
Lo seguì in silenzio, a quel punto non potevo fare altro, e
proprio quando udii le note iniziali di “Dj Got Us Fallin' In Love” di Usher, lo sentii prendermi una mano,
trascinandomi più vicina al suo corpo.
Senti il mio respiro bloccarsi, insieme al cuore che perse
un battito.
Odio la
sua vicinanza.
Notai la sua mano attraversare tutta la mia schiena
scoperta, provocando una serie di brividi che avrei preferito non provare,
arrivando alla base della schiena.
Mi accarezzò con due dita prima di poggiarci la mano destra,
mentre con la sinistra portò la mia mano sulla sua nuca.
“Cuz baby tonight
The DJ got us falling in love again
Yeah baby tonight
The DJ got us falling in love again
So dance dance
Like it's the last last night
Of your life life
Imma get you right
Cuz baby tonight
The DJ got us falling in love again”
Le parole della canzone risuonarono nella mia mente
amplificandone il significato, facendomi tremare leggermente.
La ferita che ricopriva il mio cuore prese a pulsare
prepotentemente ricordandomi che nonostante i giorni, nonostante i mesi, fosse
ancora lì, aperta più che mai.
Guardai Alessandro negli occhi, perdendomi in quell’ azzurro
intenso che un tempo mi aveva stregata.
Già, un
tempo che ormai è passato, quindi vedi di riprendere il controllo.
La mia coscienza mi risvegliò dallo stato catatonico in cui
ero caduta senza accorgermene, e allontanai di un paio di centimetri il mio
incudine personale, riacquistando lucidità.
Mi rivolse un’occhiata indecifrabile, forse deluso dal quel mio
rifiuto.
“Non…”
Non ti
azzardare a toccarmi? Non guardarmi così?
Non feci in tempo a dire nient’altro che ritrovai le sue
labbra sulle mie.
Mi spinse di nuovo verso di lui, cominciando a saggiare il
mio labbro inferiore.
Fu strano baciarlo dopo tutto quel tempo, così strano che
non mi sembrava più giusto come una volta.
Ora era cambiato tutto, ero cambiata io.
Non ero più la ragazzina che gli moriva dietro e che aveva i
paralumi sugli occhi.
Ero Sofia Di Martino.
E non avrei permesso più a nessuno di trattarmi come aveva
fatto lui.
Mi staccai rapidamente, tirandogli uno schiaffo in pieno
viso.
“Non ero troppo grassa per i tuoi standard? Che c’è, il mio
rifiuto ti rodeva?” gli ringhiai contro.
Mi guardò interdetto, a corto di parole.
Ti ho
fregato eh?
“Già” continuai io “pensavi davvero che non sarei venuta a
saperlo?” gli sputai addosso tutto il
mio rancore senza pensarci due volte.
Lo vidi vacillare, proprio quando la musica si interrompeva
e il dj avvertiva alle ragazze rimaste
senza cavaliere di avviarsi verso i cubi.
Non feci caso alle povere sventurate che mi passavano di
fianco a testa bassa, intenta com’ero a sfogare tutta la rabbia repressa.
Fissai Alessandro con disprezzo un’ ultima volta, e non
ricevendo una risposta lo superai velocemente, dirigendomi verso l’uscita.
Ero stanca, stavo crollando, e la cosa peggiore era che
odiavo me stessa per quello.
Le prime lacrime cominciarono a rigarmi le guance, e con un
gesto secco della mano le asciugai con stizza.
Intravidi i volti di Sara ed Alice, le quali dopo avermi vista in quello stato mi
raggiunsero in due falcate.
Alice stava per aprire bocca, probabilmente per chiedermi
cosa avessi, ma con un diniego del capo le intimai di non dire niente.
Prese la saggia decisione di restare in silenzio, un
silenzio che allievò il senso di vuoto per un attimo.
Uscimmo in fretta dal locale, e all’improvviso sentii le
mani delle mie due migliori amiche circondare le mie.
Dopo un momento di esitazione, le strinsi forte.
Erano il
sostegno di cui avevo bisogno.
-Note autrice-
Ehilà! Ebbene sì, questa festa non è stata per niente tutta rose e
fiori, tutt’altro.
La nostra eroina deve fronteggiare diversi problemi, a partire da
Eleotorda fino ad Alessandro.
Proprio uno sfacciato il ragazzo eh?
Cosa ne pensate della reazione di Sofia?
Dite che ha fatto bene a comportarsi così oppure voi avreste agito
diversamente?
Let me know ahah
Alla prossima,
Coglilarosa
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Capitolo 5 *** Sguardi che parlano ***
Capitolo 4 What about us
Capitolo
4
Grazie
a _miaoo_ per il banner
La lingua può nascondere la verità, ma gli occhi mai.
Michail Bulgakov, Il maestro e Margherita, 1966/67
Vuoto.
Il vuoto mi stava circondando in quel letto sfatto,
ricordandomi che gli avvenimenti della sera precedente non erano solo il frutto
di un brutto sogno.
Ancora cercavo di metabolizzare il tutto, rigirandomi tra le
coperte distrattamente, come se non fossi padrona del mio corpo.
La parte più razionale del mio cervello si premurava di
farmi presente che alla fine non era successo nulla di così grave.
Ma sì,
che vuoi che sia un bacio inaspettato dal più imbecille degli imbecilli?
Scossi la testa, intenzionata a non darci peso.
Come ha
potuto? Ci può essere umiliazione peggiore? Prima mi denigra per tutta la scuola e poi mi bacia…E’ il colmo!
Una lacrima sfuggì al mio controllo. Bruciava. Eccome se bruciava.
Uno schiaffo avrebbe fatto meno male.
Lo odiavo.
No,
l’odio presuppone che ti interessi qualcosa di lui.
Concordai passivamente strizzando gli occhi.
Lo
sapevo! Dovevo rimanere a casa a mangiare cibi grassi e diventare un cotechino!
Mi coprii gli occhi con fare esasperato e scostai malamente
il lenzuolo stufa di tutte quelle riflessioni.
Afferrai il cellulare sulla sedia di fianco al mio letto e
constatai avere cinque messaggi.
Due di Alice e tre di Sara.
In effetti la sera prima, scesa dalla macchina del padre di
Alice in religioso silenzio, avevo rivolto loro un misero sorriso per poi
dileguarmi nel portone senza dare spiegazioni.
Sospirai affranta e poggiai nuovamente il cellulare al suo
posto.
Avrei risposto dopo.
Mi alzai lentamente, con un’espressione che avrebbe fatto
concorrenza alla sposa cadavere, incamminandomi verso il bagno.
Incrociai nel corridoio lo sguardo di Amanda, confuso e
assonnato.
“Ehi, come mai quella faccia? La festa non è andata bene?”
chiese apprensiva.
“Benissimo” risposi velocemente, chiudendomi con uno scatto
nel bagno.
Non ero ancora pronta per parlarne.
Scusa
Amy!
Evitai di guardarmi allo specchio, conscia di avere un
aspetto orribile.
Ci
manca solo la beffa della mia amica Autostima!
Sciacquai il viso e lavai le mani, appoggiandomi al muro esausta.
Il mal di testa era tornato prepotentemente, e stavo
scoppiando.
Sia dentro, che fuori
–la mia pancia gonfia ne era un segno evidente-, e non ne potevo più.
Avevo un assoluto bisogno di mangiare zuccheri, magari con
una buona dose di cioccolato.
Si vede
che il Mar Rosso sta per arrivare.
Mi indirizzai dunque verso la cucina, trovandoci Annie ed
Amanda intente a giocare e mia mamma con la cesta di panni in mano.
“Alla buonora!” mi rimproverò quest’ultima, irritandomi
all’istante.
No, ti
prego, anche la predica no!
La ignorai bellamente, decisa a non prestarle molta
attenzione, e con passo cadenzato percorsi tutta la cucina per radunare tutto
il cibo che avrebbe sfamato il mio povero stomaco brontolante.
“Muoviti a fare colazione! Sono le 11!” continuò a blaterare
mia madre “Quando avete intenzione di studiare?” aggiunse rivolgendosi a me ed
Amanda.
Alzai gli occhi al cielo, ogni volta la stessa storia!
“Mamma siamo a maggio! Ho quasi finito tutte le
interrogazioni e domani non ne ho nessuna!” le risposi bruscamente.
Ho
bisogno di una buona mezzora di
silenzio! Chiedo troppo?!
Continuò a borbottare cose del tipo “Ho due figlie
scansafatiche!” e “Poi vedrete come la voglia di non fare niente vi passerà
quando vi metterò in punizione!” andandosene a passo di carica fuori al balcone
a stendere i panni.
Il vizio dannatamente fastidioso di mia madre era quello di
continuare a borbottare per circa un’ora rinfacciandoci ogni cosa da ogni
camera della casa, con acuti estremamente pericolosi.
Voglio
conforto non rimproveri, che diamine!
Mandai giù velocemente il pancarrè con la nutella e il latte
con Nesquik, provata di prima mattina da spossatezza e tristezza.
Tristezza perché sembrava che niente andasse nel modo giusto
in quel periodo.
Alessandro e i suoi passi falsi, Eleonora e le sue
cattiverie, Emanuele…..
Già, Emanuele cosa faceva precisamente in quel periodo?
Nulla, e quel nulla mi stava distruggendo.
Eravamo in una fase di stallo. Nessun passo avanti. Niente
di niente.
Dovevo accontentarmi di qualche occhiatina lanciata per
caso.
Cosa potevo pretendere in fondo?
Non sapevo se aveva ancora la ragazza, e in ogni caso mi
considerava sicuramente una ragazzina invadente e banale.
Scusami
se non sono alternativa come te!
Mi schiaffeggiai una guancia, dandomi dell’idiota per quei
pensieri deprimenti.
Per distrarmi misi a tutto volume “Loser Like Me” di Glee
sul telefono e mi diressi nella mia camera cantando a squarciagola le parole.
“Lo studio!” mi ordinò arrabbiata mia madre dalla sua camera
da letto.
Ops….
Il mattino successivo la stanchezza sembrava essersi
triplicata.
Doveva essere tardi, o almeno così mi sembrava di capire
dalle urla concitate di Amanda.
Cercai ciò nonostante di riaddormentarmi, con la speranza
che il bellissimo sogno che si stava svolgendo nella mia mente riprendesse
senza intoppi.
Ritornai a quando un dito di Emanuele stava posandosi
delicatamente sulla mia guancia, mentre con lo sguardo mi teneva inchiodata sul pavimento della
fermata dell’autobus sul quale ci isolavamo dal resto del mondo.
Vidi il suo viso avvicinarsi, e così le sue labbra, che mai
mi erano apparse più invitanti.
Stavo chiudendo gli occhi, abbandonandomi a quella piacevole tentazione, quando una
morsa al braccio mi allontanò bruscamente dal mio amato.
Mi girai sconcertata, incontrando lo sguardo duro di
Alessandro.
“Ma che diamine stai facendo?! Lasciami!” gli ordinai
perentoria, ma lui rimase immobile come se avesse perso l’uso dell’udito.
“Ti ho detto di lasciarmi!” continuai agitata.
“Sofia, calmati!”
“No! Lasciami!”
“Ti ho detto di calmarti!” urlò questa volta una voce
femminile.
Sbarrai di scatto gli occhi, intravedendo la figura di
Amanda al mio fianco.
Cominciai a respirare affannosamente, accorgendomi solo in
quel momento che non stava avvenendo nessun bacio tra me ed Emanuele, e che la
morsa al braccio era causata dalla mano di Amanda.
“Io tra dieci minuti scendo, se ci sei bene altrimenti ti
arrangi” mi minacciò mia sorella.
Sbuffai sonoramente, eseguendo però gli ordini della mora.
In un tempo record riuscii a rendermi decente, salutando
frettolosamente la mia cagnetta e i miei genitori e correndo come una
forsennata alla fermata dell’autobus, dove mi attendeva una divertita Amanda scesa
cinque minuti prima di me.
L’autobus arrivò proprio in quel momento, non rendendo vana
la mia corsa.
Salii affaticata cercando di riprendere fiato e
appoggiandomi ad un sostegno del mezzo.
Mi sentii osservata, e alzando lo sguardo notai come gli
occhi di molti dei presenti mi guardassero beffardi.
Voglio
vedere voi dopo una corsa dei cento metri!
Guardai male alcuni di loro e passai lo sguardo dove sapevo
avrei trovato lui.
Era uno dei pochi, o forse l’unico, a non ridere della mia
situazione, rimanendo invece serio.
Lo ringraziai mentalmente, sia per la sua solidarietà
–fatemi fantasticare su!-, che per lo stupendo panorama che mi stava offrendo
di prima mattina.
I soliti occhiali li incorniciavano il volto, ed una
maglietta a maniche corte grigio scuro
faceva intravedere dei muscoli appena accennati sulle braccia.
Cosa ti
farei ragazzo mio!
Dovetti trattenere istinti poco ortodossi, prestando invece
attenzione a Greta seduta sul sedile adiacente al mio corpo spossato.
“Allora, com’è andata la festa ieri? Ho visto sull’evento di
facebook che avresti partecipato” chiese ingenuamente, ignara del conflitto
interiore che mi aveva appena provocato.
“Mh sì, noiosa come sempre… Sai come sono le feste
d’istituto” ridacchiai istericamente.
“Immaginavo.” concordò lei.
Fiuuuu
l’ho scampata!
“Ma mi ha raccontato una mia amica che c’era una specie di
gioco di coppie, è vero?”
Ma la
tua amica non poteva farsi 100 grammi di cavoli suoi?
“Ah quello….” Tergiversai un po’ in cerca di idee “…sì
insomma…non è stato granchè” conclusi con un gesto della mano per chiudere il
discorso lì.
Probabilmente Greta non sapeva interpretare il linguaggio
del corpo.
“E chi è stato il tuo cavaliere?” chiese innocentemente.
Inconsapevolmente volsi lo sguardo su Emanuele, trovandolo
intento a guardarmi da chissà quanto tempo.
Quindi
ha sentito tutto….Ma non aveva le cuffiette?! Quando se le è tolte?!
Riportai velocemente lo sguardo su Greta, ancora in attesa
di una risposta.
“Io…” iniziai, ma un rumore familiare mi bloccò le parole
sul nascere.
L’autobus si era fermato, segno che c’era una fermata.
Cominciò ad accalcarsi molta gente intorno alle uscite, e
non mancarono spintoni e gomitate.
Mi stavo giusto riprendendo da una gomitata al fianco,
quando una presenza alle mie spalle mi fece voltare.
Persi un battito alla vista di un Emanuele così vicino.
Gli rivolsi un “Ciao” a mezza voce prima che mi rispondesse
frettolosamente e scendesse dall’autobus.
Ci sarei sicuramente rimasta male per quel comportamento, se
non fossi stata così impegnata a pensare a come la sua mano avesse
accidentalmente sfiorato la mia mentre mi passava di fianco.
Strano
però che sia sceso ad una fermata prima…
Greta intanto mi aveva fissata per tutto il tempo, ma non
diedi modo di farle capire cosa provassi in quel momento.
Stava per aprire bocca, ma Amanda non glielo permise.
“Sofia, ricordati di scendere in classe mia a ricreazione
per riprendere il libro di matematica”
Annuii con fin troppo entusiasmo, grata per quel salvataggio
in calcio d’angolo.
Arrivata alla mia fermata superai Amanda e Greta propinando
la scusa del “Devo aiutare una mia amica per l’interrogazione di latino della
prima ora”, salutandole con un sorriso ansioso.
Arrivai all’atrio che mancava qualche minuto all’inizio
delle lezioni, e la marea di studenti che entrava a passo svelto ne era una
prova.
“Alessandro!”
Mi immobilizzai in prossimità del bar della scuola al suono
di quel nome.
Ci misi qualche secondo di troppo per decidermi a girarmi,
riconoscendo in Luca Gervasi la voce che aveva chiamato l’idiota.
Ma che
magnifico duetto.
Mi nascosi per quanto potessi dietro ad un angolo,
rendendomi inconsapevolmente partecipe della loro conversazione.
“Non mi hai più detto con chi hai ballato alla fine!” esclamò
un divertito Luca.
Non udii nessuna risposta per quelli che parvero parecchi
secondi.
Alla fine sentii un borbottio scocciato e un “Ne riparliamo
dopo” prima che mi superassero senza notarmi minimamente.
Rimuginai sul suo silenzio prolungato per qualche secondo, prima
che mi dessi mentalmente della stupida per essermi preoccupata di qualcosa che
non avrebbe dovuto riguardarmi.
O forse sì.
Arrivata in classe salutai Alice, alla quale avevo spiegato
tutti gli avvenimenti il giorno prima, con una chiamata di circa tre ore, tra
sgomento ed istinti omicida.
Mi guardò solidale, e le rivolsi un sorriso rassicurante.
Mi sedetti al suo fianco, guardandomi intorno e aspettando
l’arrivo di Sara.
Sara che il giorno prima aveva reagito se possibile peggio
di Alice, promettendo spargimenti di sangue imminenti.
Un brivido mi percorse a quel pensiero macabro.
La vidi entrare in fretta e furia, incamminandosi verso il
suo banco, non prima di avermi rivolto uno sguardo di amorevole apprensione.
Intuii le sue intenzioni quando notai poco dopo di lei la
professoressa di latino sulla soglia.
La mia voglia di fare latino in quel momento era
paragonabile a quella di un bradipo obbligato a correre la cinquecento metri.
Inesistente.
Sbuffai silenziosamente, preparandomi ad affrontare quelle
due ore di sonnolenza.
Stavo giusto aprendo il libro più per abitudine che per
reale interesse, quando un foglio stropicciato al suo interno attirò la mia
attenzione.
“Promemoria: partita di pallavolo martedì 21 maggio.
Corso C vs Corso A”
Ebbi un’illuminazione, ricordandomi solo in quel momento
della partita di pallavolo che si sarebbe tenuta il giorno dopo a scuola contro
il corso di Alessandro.
Ma
quale fantastica notizia!
Ruggii interiormente
di una rabbia improvvisa, che mi attraversò tutte le viscere bloccandomi il
respiro.
Fui costretta ad uscire dalla classe con la scusa del bagno,
guadagnandomi un’occhiata preoccupata da parte delle mie amiche.
In effetti non dovevo avere un bel colorito in quel momento.
Presi un profondo respiro una volta uscita dall’aula,
appoggiandomi al muro adiacente.
Passarono proprio in quel momento alcune compagne di classe
di Alessandro, che appena mi videro mi squadrarono con un cipiglio altezzoso e
arrogante.
“Ci mancavano solo loro..” sussurrai ironicamente.
“Sapete con chi si è intrattenuto Alessandro alla festa
d’istituto?” si rivolse Noemi Castorani al gruppetto, guardandomi con un
sorrisetto beffardo.
“Diverse fonti affermano che si fosse passato prima una
brunetta e subito dopo Eleonora!” rise un’altra guardandomi.
Arcuai un sopracciglio.
Credevano forse di farmi rimanere male?
Ahh, se
sapessero chi era la brunetta in questione!
Tuttavia, notai con un certo fastidio, che al sentire il
nome di Eleonora mi si era attorcigliato lo stomaco.
E così
si è dato da fare il ragazzo!
“Sì, e dicono che sono tornati a casa insieme alla fine
della festa!” aggiunse un’altra.
Risero a quell’evidente allusione, prima di superarmi
gongolanti.
Aspettai che mi rivolgessero un ultimo sguardo trionfante,
per lanciar loro improperi piuttosto
coloriti.
Ma tu
guardale! Sono patetiche nel loro goffo tentativo di lanciarmi frecciatine velenose!
Rimasi ancorata al muro per diversi minuti, arrendendomi
all’idea di dover bere una Camomilla –che odiavo tra l’altro- appena tornata a
casa.
Tutto
quello stress da ragazzine altezzose e ragazzi idioti mi avrebbe fatta rimanere
secca, ne ero certa!
Il resto della giornata fu relativamente serena, togliendo
il disgustoso panorama che mi aveva offerto Francesco Della Valle –alias
secchioncello della classe- alla terza ora, quando con abili movimenti delle
dita aveva ispezionato l’intero setto nasale.
Ignorando il senso di nausea conseguente alle sue pulizie di
primavera, non subii ulteriori disagi durante le lezioni.
Almeno, erano quelli i pensieri che mi accompagnarono nel
tragitto verso l’uscita, prima che incrociassi sul mio cammino il professore di
educazione fisica, Gatti.
Gatti era conosciuto come il più fancazzista tra i
professori.
Non si poteva certo dire che fosse ligio al dovere, se
questo significava arrivare con almeno venti minuti di ritardo e con
un’immancabile fila di scuse.
Gli studenti tuttavia, nonostante dovessero aspettare i suoi
comodi nella caffetteria della scuola, lo apprezzavano per la sua indole a non complicar loro la vita
obbligandoli a stupidi esercizi fisici.
“Ehi Di Martino” mi salutò cordiale.
“Salve prof.” ricambiai io accennando un sorriso.
“Pronta per la partita di domani?” disse felice.
Perché sì, la pallavolo era uno sport che amava, quasi più del calcio, ed era forse per
quello che guadagnava millemila punti ai miei occhi.
In quella circostanza però non sprizzai gioia da tutti i
pori come mio solito, piuttosto mi limitai ad un sorriso di sbieco.
“Ah, a proposito di quello….Non si potrebbe spostare?”
domandai impacciata.
Ero piuttosto imbarazzata a fare una richiesta del genere,
perché sicuramente avrei dovuto mentire per convincerlo.
“Oh” disse sorpreso “E perché?”
“Ho un impegno che non posso cancellare…” cominciai con tono
persuasivo “…tanto per qualche giorno non cambia niente!” conclusi con un
sorriso falso quanto la dentatura della professoressa Ricciardi.
Vidi Gatti guardarmi sospettoso, in cerca di qualche mio
piccolo accenno di bugia.
Mantenni la facciata della ragazza più trasparente e sincera
del mondo per tutta la sua esaminazione.
“Va bene” disse accomodante.
Non ci
credo! Posso dormire sonni tranquilli ora!
“Ma dovrai andare ad avvisare tutti i partecipanti del Corso
A che la partita è stata spostata a venerdì 24” continuò lui con un sorriso
sornione.
Co-cosa?
Ora dovrò imbottirmi di sonniferi per dormire sonni tranquilli!
Lo guardai stralunata e sconfitta.
Ero
stata fregata per bene.
Raccontai tutto a Sara ed Alice una volta superato l’atrio ed
essere uscita da scuola, dove mi avevano aspettato pazientemente perché come al
solito avevo fatto ritardo.
“Se vuoi vado a parlarci io” propose Sara una volta finito
il racconto.
Le sorrisi grata.
“Ti ringrazio immensamente della proposta allettante, ma
temo di dover rifiutare. Tu non partecipi nemmeno al torneo di pallavolo!” le
ricordai.
Fece una scrollata di spalle, come a voler dire che non era
un dettaglio rilevante.
“Sicura che non vuoi una mano?” continuò Alice.
Scossi la testa.
“Davvero, vi ringrazio per il supporto, ma dovrò affrontare
voi-sapete- chi prima o poi” emisi un sospiro frustrato “E credo che quel
momento sia arrivato”.
Mi guardarono incoraggianti, ma scorsi nel loro sguardo un
po’ di compassione.
Sofia
Di Martino non vuole compassione!
“Non guardatemi così!” rimproverai loro.
Risero a quella mia uscita, scuotendo la testa e cominciando
ad incamminarsi verso la fermata dell’autobus.
Vidi Amanda in lontananza farmi un cenno, così salutando le
mie amiche vi avviai verso di lei.
“Muoviti che l’autobus passa tra qualche minuto!” disse frettolosamente.
Sbuffai visibilmente, ricevendo una sua occhiata
intimidatoria.
Feci il segno di cucirmi le labbra e lei scosse la testa
ridendo.
Arrivammo alla fermata che l’autobus stava aprendo le porte,
facendomi sospirare di sollievo.
E chi
se la sopportava una sua ramanzina nel caso l’avessimo perso!
Entrammo un po’ affannate, e ci dirigemmo nei posti dietro a
due.
Non mi guardai intorno finchè non fui seduta, e quando lo
feci per poco non mi venne un infarto.
Vidi Emanuele seduto sui sedili a quattro di fianco alla mia
postazione.
Ci guardammo ognuno con espressioni diverse.
Io con sorpresa e lui con sguardo vacuo, assente.
Lo salutai con un sorriso imbarazzato, e solo allora sembrò
risvegliarsi.
Mi rivolse un sorriso che a me parve forzato.
Una stilettata al cuore fu la conseguenza del suo gesto.
Abbassai lo sguardo, sentendomi trapassare con lo sguardo da
Amanda, che aveva osservato tutta la scena in silenzio.
Mi tremarono le mani.
Non sapevo nemmeno io perché ebbi quelle reazioni esagerate,
come se fossi sull’orlo delle lacrime.
Forse ero discutibilmente sensibile a causa dell’arrivo del
mio amico Mar Rosso, sta di fatto che mi sentivo terribilmente triste.
Insomma, perché doveva comportarsi così? Cosa gli avevo
fatto di male?
Sentii gli occhi lucidi, ma impedii a forza alle lacrime di
rigarmi il viso.
Un insistente sguardo alla mia sinistra fece alzare di
riflesso il mio.
Pessima
mossa.
Emanuele mi stava fissando, come se stesse cercando di capire
perché una pazza del genere stesse per crollare emotivamente su un mezzo
pubblico.
Anche arrivata alla mia fermata, lo sentii perforarmi come
se non avesse fatto altro in quei venti minuti.
Gli rivolsi uno sguardo turbato prima di scendere, vedendolo
farmi un cenno di saluto con la testa, con uno sguardo che trovai dannatamente
penetrante.
Arrivata a casa salutai i miei genitori e riservai una
carezza alla mia cagnetta, che con una
slinguazzata alla guancia e un paio di occhi dolci mi aveva risollevato un po’
il morale.
La guardai amorevole, prima di darle un biscottino e
lasciare che andasse sulla sua poltrona personale a gustarselo.
Mangiai poco e niente a pranzo, destando le preoccupazioni
di mia madre e uno sguardo apprensivo di mio padre.
Amanda si limitò a stringermi la mano da sotto il tavolo.
Consapevole che avrei dovuto ascoltare i discorsi sul
mangiare da mia madre se fossi rimasta a tavola, mi alzai adducendo la scusa
del mal di testa.
Mi chiusi in camera, stendendomi sul letto e andando su
facebook col portatile di Amanda.
Vi trovai per lo più notifiche inutili, così aprii
distrattamente la chat, che indicava cento persone online.
Scorsi il mouse lungo la lista di amici virtuali e quando
lessi il suo nome ingoiai un groppo
amaro che sapeva di delusione.
Aprii la sua chat e mi accorsi che non parlavamo da quasi un
mese e mezzo.
Un sorriso malinconico mi incorniciò il viso.
Stavo per chiudere la sua casella quando mi arrivò proprio
un suo messaggio.
Spalancai gli occhi, credendo che i livelli di pazzia mi
avessero portato ad avere allucinazioni belle grosse.
Ma quando constatai che effettivamente lui mi avesse scritto
un “Ciao (:” , per
poco non mi strozzai con la mia stessa saliva.
Devi
averlo davvero impietosito sull’autobus…
Oh zitta tu!
Mi decisi a rispondergli dopo essermi ripresa dal mio stato
di trance costituito da unicorni e zuccheri filati rosa, ovvero dopo cinque
minuti.
Rispondigli!
Avrà visto il visualizzato e si sarà chiesto se non hai battuto la testa contro
la scrivania!
Mi ritrovai a concordare con il mio cervellino bacato, che
mi diede la spinta giusta per muovere le dita sulla tastiera.
“Ciao (:”
Quanto
entusiasmo!
Ehi, ho una reputazione da difendere, io!
Mi assalii un’ ansia assurda quando la chat mi avvisò che
stava scrivendo qualcosa.
“Come stai?”
Perché mi sembra più un’allusione all’accaduto di oggi?
“Bene…” risposi
dopo un po’.
Forse dovevo risparmiarmi i puntini cavolo!
Decisi di recuperare con un “Tu?” prima che potesse rispondere qualsiasi cosa.
“Io solito”
rispose evasivo.
Ci risiamo! Ricomincia col tono distaccato!
“Solito può voler
dire molte cose” risposi ironica.
Che
diamine! Non può avere questi cambiamenti d’umore nel giro di un attimo!
“Come può voler dire
niente” replicò enigmatico.
Ma mi
prendeva in giro?
“Va bene ho capito (:” risposi già stanca di quel botta e risposta.
La felicità del momento si era già dissolta come un vento
estivo.
“Ora vado, ciao (:” se ne
uscì dopo un paio di minuti.
Ma sì,
rendimi ancora più depressa stolto occhialuto!
“Va bene ciao (: Essere evasivi non porta a nulla comunque”
gli scrissi in preda ad un raptus di follia.
Pensai si fosse già disconnesso, ma quando ricevetti la sua
risposta, mi paralizzai.
“Quando imparerai a
non evitare le domande, io farò lo stesso (:”
Emanuele è offline.
-Note autrice-
Buonasera! Sono tornata dopo tempo immemore e a parte la vacanza
studio che mi ha rubato due settimane non ho scusanti!
Spero solo che questo capitolo sia valso almeno un po’ l’attesa :D
Allora, come vi è parso il comportamento ambiguo di Emanuele?
Avete interpretato in qualche modo i suoi gesti?
Let me know :]
Alla prossima, sperando che sia il prima possibile!
Ps: Avete passato delle buone vacanze? Siete andate da qualche
parte o siete rimaste nella vostra città?:)
Link facebook:https://www.facebook.com/groups/585035188195265/
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Capitolo 6 *** Che rumore fa il cuore? ***
What about us 5 capitolo
Capitolo 5
Risparmio le mie scuse per il ritardo a fine
capitolo <3
Più un cuore è vuoto e più pesa.
Augusta Amiel-Lapeyre, Pensieri selvaggi, 1909
Quel pomeriggio, dopo il messaggio sorprendente di Emanuele,
cominciai a valutare i radicali sotto un altro punto di vista.
Insomma, erano così odiati da tutti i poveri ragazzi
costretti a studiarli, denigrati e chiamati ‘inutili’, che mi facevano
tenerezza.
Beh, che fossero un vero rompicapo che induceva al suicidio
mentale era appurato ormai da generazioni, ma che colpa ne avevano loro?
Dovevano subire ogni giorno miliardi di insulti gratuiti
senza poter controbattere, venendo catalogati come cose superficiali, senza un
minimo di affetto da parte di chi li studiava.
Così piccoli, carini e graziosi che se non avessero avuto così
tanti pregiudizi intorno a loro, a prima occhiata sarebbero risultati addirittura dolci.
Furono quelle le considerazioni che mi portarono a sorridere
ai numeri scritti sul mio quaderno di matematica con un sorriso da deviata
mentale.
Mi azzardai perfino ad accarezzarli, come cuccioli indifesi
bisognosi di tanto amore.
“Poveri piccini…” sussurrai loro.
“Non avete colpe, così ingenui e soli”.
Mi ritrovai inspiegabilmente a paragonare la mia vita alla
loro, non esattamente uguale ma paradossalmente simile.
In fondo anche io venivo denigrata in giro chissà quante
volte, per colpa di stolte ragazzine e ragazzi con l’ego inversamente
proporzionale alla grandezza del loro cervello.
Denigrata per cosa poi?
Per aver intrapreso una relazione con una sottospecie di
vertebrato senza palle?
Per aver camminato mano nella mano con quello che
consideravo un vero ragazzo?
Per essermi esposta tanto, ricevendo il niente in cambio?
Per
essere stata felice.
Risi tristemente a quel pensiero, sfuggito al mio controllo
prima che potessi accorgermene.
Portai lo sguardo in alto e chiusi gli occhi, abbandonandomi
inevitabilmente a ricordi lontani.
“Ehi
mocciosa!” sentii chiamarmi da dietro, riconoscendo in quel nomignolo orribile
il padrone della voce.
“Ehi
Everest!” mi girai sorridendogli.
Sorrise
anche lui al suono di quel nome.
Avevo
cominciato a chiamarlo così dopo che lui mi aveva dato ingiustamente della
nana, portandomi per ripicca a
paragonarlo al monte più alto del mondo
per la sua statura.
Mi si
avvicinò con uno sguardo caldo, intenso, baciandomi lievemente sulle labbra.
Sorrisi
senza pensarci, mettendogli le braccia intorno al collo, e saggiando la
morbidezza del suo labbro inferiore.
Aprimmo
gli occhi nel momento esatto in cui ci separammo, guardandoci per un paio di
secondi persi.
Non mi
ero mai sentita così.
Così
raggiante.
Così
spensierata.
Così viva.
Riemersi dai miei pensieri con un groppo alla gola.
Anche se cercavo di nasconderlo, bruciarlo, abbatterlo, il
sentimento di completezza che mi coglieva quando ero con lui non lo avevo mai
più provato.
In fondo, andava bene così.
Evidentemente era solo una cieca e ingenua illusione quella
che mi permeava dentro ai tempi in cui stavo con Alessandro.
Guardai un’ultima volta i numeri sul mio quaderno,
decretando che sì, il messaggio di Emanuele mi aveva decisamente destabilizzata.
L’indomani mattina ebbi una strana sensazione, come se ci
fosse qualcosa di diverso, di insolito
nell’aria.
Mi guardai intorno, scrutando la mia camera in cerca di
un’illuminazione, ma non riuscii a darmi una risposta.
Decisi di non darci troppo peso, presa com’ero da un pensiero sconcertante:
Stamattina
rivedrai Emanuele!
Già, come mi sarei comportata?
Avrei dovuto far finta di niente, continuando a salutarlo
come niente fosse?
Troppi quesiti.
E in quel momento non c’era tempo per rifletterci.
Presi coraggio e dopo un’ultima sistemata ai capelli e una
passata di mascara, marciai decisa verso la fermata, quella volta senza Amanda,
che stanca del sovraffollamento dell’autobus aveva deciso di prendere la corsa
precedente, lasciandomi perplessa.
Raggiunsi pensierosa la mia destinazione, guardandomi attorno
annoiata.
Appena vidi l’autobus in lontananza però, una scossa al
cuore mi ricordò che di lì a pochi minuti avrei rivisto quegli occhi tentatori.
Meno trenta metri.
Sguardo
attento.
Meno dieci metri.
Respiro
mozzato.
Meno cinque metri.
Accelerazione
dei battiti cardiaci.
Meno un metro.
Autocombustione.
Salii sull’autobus affannata, con il respiro in gola e la
bocca semi-dischiusa.
La
faccia perfetta da pesce lesso.
Osservai con discrezione tutti i volti che mi si
proponevano, fermandomi solo quando intravidi il mio Inferno personale.
Un breve scambio di sguardi intervallò un arco di tempo fin
troppo corto.
Ristabilii dunque i battiti cardiaci, prendendo la saggia
decisione di non dare a vedere quanto avrei voluto schiaffeggiarlo, per farlo
svegliare da quello stato di coma interiore e magari farlo innamorare di me.
Che
pensieri smielati! Abbondanza di zuccheri stamattina?
In effetti…
“Gente che si veste senza ritegno” sentii dire
improvvisamente alle mie spalle.
Credetti che la voce si riferisse ad un qualche individuo in
generale, ma quando aggiunse “Domani vengo anche io con una maglia
trasparente”, non potei evitare di girarmi verso la fonte di tanta supponenza.
Indossando una maglia nera semi-trasparente a pois, resa più
pudica da una canotta dello stesso colore sotto, mi sentii ingiustamente presa in causa.
Mi irritai all’istante dopo quel commento sgradevole,
pronunciato niente di meno che dalla
stessa ragazza che ogni giorno decantava le sue avventure folli tra alcool e
ragazzi.
La guardai storto, con il risultato di ricevere una sua
risata maligna in risposta.
Si avvicinò alla sua amica e con il palese intento di
provocarmi, le disse qualcosa all’orecchio guardandomi fisso.
Ora la
strangolo!
Mantieni la calma, mantieni la calma…
“Credevo che le puttane girassero solo di sera” continuò poi
a voce alta, scatenando le risate delle sue fedeli amiche.
Stavo per risponderle a tono decisamente incazzata, quando una seconda voce mi interruppe sul
nascere.
“Ragazzi, mi dispiace, ma temo che per un guasto
dell’autobus, dovrete farvi qualche metro a piedi” annunciò impacciato
l’autista.
Rumorosi fischi di malcontento generale echeggiarono nell’abitacolo
dopo quella comunicazione.
Cominciarono a scendere uno dopo l’altro, lasciandomi per
ultima… o almeno credevo.
Emanuele era di fronte a me, aspettando che scendessi prima
di lui, in un gesto estremamente educato.
Gli sorrisi un po’ imbarazzata, ricevendo un sorriso di
sbieco.
Appena fuori dall’autobus, mi guardai intorno spaesata,
cercando di capire quanto distante fossi dalla mia fermata.
Ad occhio e croce erano circa trecento metri.
Vidi alla mia destra la mia carissima amica rivolgermi un sorriso da serpe, superandomi con le
sue amiche e camminando a passo svelto.
Aspetta,
aspetta…ma la sua scuola era più lontana della mia!
Ghignai tra me e me, considerandola una specie di rivincita.
“Ora vediamo come ci arrivi fin lì vipera!” sussurrai a me
stessa trionfante.
Mi incamminai anch’io, percorrendo con falcate frettolose i
primi dieci metri.
“Non è lontano” dichiarò all’improvviso una voce fin troppo
familiare.
Mi girai di scatto, trovando un Emanuele divertito al mio
fianco.
Mi
leggeva nel pensiero o cosa?!
Formai una specie di “O” con la bocca, spiazzata da
quell’intervento.
“Mh…già” balbettai insicura.
Abbassai istintivamente lo sguardo, torturandomi le mani che
avevano preso a sudare.
Non capivo dove volesse arrivare, magari era stata una
semplice osservazione dettata dalla noia,
ma se fosse stato così, perché continuava a camminare al mio fianco?
Lo osservai di sottecchi. Aveva un’espressione corrucciata
in volto e le mani erano distrattamente poste nelle tasche dei jeans neri.
“La gente a volte parla solo per invidia” disse
inaspettatamente guardandomi.
“Cosa?” risposi stralunata, ancora intenta a contemplarlo.
“Niente, lascia stare” commentò, forse pentito di essersi
esposto in quel modo.
Senza volerlo mi fermai, osservandolo camminare per poi
fermarsi a sua volta.
Ruotò il capo nella mia direzione, arcuando un sopracciglio,
interrogativo.
C’erano così tante cose da dire in quel momento, così tante
che non riuscii a dirne nemmeno una.
Scossi la testa risoluta, procedendo verso di lui e
accorgendomi solo in quel momento che eravamo arrivati alla nostra fermata.
Suonava così bello l’appellativo ‘nostra’, come se in
qualche modo ci appartenesse, come se fosse una cosa intima, riservata solo a
noi due.
Gli riservai uno sguardo intriso di significati, che
probabilmente anche lui comprese, tanto che involontariamente si avvicinò di
qualche centimetro a me.
“Grazie” sussurrai, rivolta più a me stessa che a lui.
Lo vidi schiudere la bocca, forse in procinto di dirmi
qualcosa, poi sembrò ripensarci e rimise le giuste distanze, permettendomi di
riprendere il controllo.
Si limitò a rivolgermi un mezzo sorriso, superandomi fin
troppo frettolosamente.
Fu solo allora che permisi ai miei pensieri più razionali di
tornare a svolgere la loro funzione.
Cosa
diamine era appena successo?!
Una volta appurato che avevo appena avuto una conversazione
piuttosto ambigua e destabilizzante con il ragazzo di cui ero infatuata ormai
da mesi, ripresi il mio tragitto verso scuola.
“La
gente a volte parla solo per invidia”
Davvero aveva detto una cosa del genere?
Ero incredula, non sapevo nemmeno io cosa pensare.
Quel ragazzo era un enorme punto interrogativo, un buco nero
che lentamente mi stava risucchiando.
Arrivai a scuola che avevo ancora la testa tra nuvole fatte
di zucchero filato arcobaleno, ormai in uno stato di trance permanente.
“Ehi Sofia!”
Mi girai di scatto, riprendendo conoscenza con la realtà, e
con una fin troppo esaltata Amanda.
“Ciao” ricambiai ironicamente.
“Allora cara sorellina, com’è andata con Emanuele oggi
sull’autobus?” chiese euforica.
Arrossii all’istante, ripensando a quanto accaduto prima.
“Noi…cioè io…insomma, niente di che…” finii in un sussurro.
Sorrise sorniona, come se l’ avesse attraversata un lampo di
consapevolezza.
“Mi stai nascondendo qualcosa?” riprese agguerrita
sorridendo.
“Perché dovrei?”
Bugia. Enorme, stratosferica bugia.
In realtà non sapevo perché le stavo mentendo, forse quel
momento era stato così surreale che se lo avessi espresso ad alta voce sarebbe fuggito
via, come un sogno fin troppo vivido ma non per questo reale.
Mi guardò sardonica, sentendo puzza di bugia da un miglio.
Sorrisi buffamente, in un vano tentativo di dissimulare
l’imbarazzo crescente.
“E tu, perché così allegra? Non avevi il compito di latino
oggi?” chiesi allora.
“Cosa potrà essere mai un compito di latino rispetto alla
bellezza delle cose che ci circondano, alla natura che si risveglia in
primavera, all’estate così vicina..!” decantò in un sospiro estasiato.
La guardai come si guarderebbe un agnellino che sta ballando
il tango con un lupo, chiedendomi se non avesse cominciato a fare uso di
stupefacenti belli forti.
“Ma hai battuto la testa contro il comodino stamattina?
Magari durante la dormiveglia…” pensai
assorta.
Emise una risata, che mi spaventò non poco.
“Sciocchina, ma cosa vai a pensare!” esclamò cominciando a
ridacchiare.
“Gli autobus sono tanto belli, anche se puzzano!” aggiunse
poi tra sé e sé.
“Cosa c’entrano gli
autobus ora?” le chiesi sconcertata.
“Ma come cosa c’entrano? Ci sono ragazzi così carin….” Si
fermò all’improvviso con gli occhi sbarrati, come se avesse rivelato qualcosa
di troppo.
Ora fu il mio turno di guardarla sospettosa.
“Ci sono ragazzi carini eh?” iniziai puntandole un dito contro
il petto a mo’ di interrogatorio “Sputa il rospo Amanda Di Martino! Chi è lui?”
Abbassò lo sguardo, arrossendo furiosamente.
Wow, ed
io che mi preoccupavo di essere un caso perso!
“Amanda..?” sussurrai.
“Ok! Ok, te lo dico. E’ da circa un mese che io e questo
ragazzo ci sentiamo , lui anche è dell’ultimo anno e fa lo Scientifico.”
Parlò a raffica, riprendendo fiato solo dopo un po’. Alzò
poi lo sguardo, colpevole.
“Niente conversazioni
eclatanti fino a ieri, quando ho scoperto
che ogni mattina prende il nostro autobus, ma la corsa precedente.
Potrai capire come mi sono sentita, ero smarrita ed incredula al tempo stesso.
Insomma, avrei potuto vederlo già da un po’ se lo avessi saputo prima. Comunque
stamattina mi sono decisa, così ho preso la sua corsa. E poi….” Sorrise,
probabilmente al ricordo di quello che era successo.
“E poi..?” Chiesi io, avida di informazioni.
“E poi è successo.
Appena ho incrociato il suo sguardo è stato come se mi avessero trapassato il
cuore, credimi, non avevo mai provato una sensazione del genere. Mi ha rivolto
uno di quei sorrisi che coinvolgono anche gli occhi, così sinceri e trasparenti
da destabilizzarmi.”
Non sapevo cosa dire, ero immobilizzata, senza fiato.
Era stato uno dei discorsi più saggi che Amanda avesse mai
fatto.
“Mi ha salutata, cedendomi il posto che aveva tenuto apposta
per me. Ti rendi conto? Per me!”
ammise incredula.
“Poi abbiamo discorso come se ci conoscessimo da una vita,
come se non avessimo mai fatto altro” concluse smagliante.
Provai una punta d’invidia dopo aver udito con quanta
naturalezza avessero parlato, chiedendomi perché non poteva essere lo stesso
con Emanuele.
Tuttavia la guardai incoraggiante, felice per lei.
“Perché non me lo hai detto prima?” chiesi un po’ risentita.
Insomma, era da un mese che me lo stava nascondendo.
“Scusa Sofi, sono consapevole di aver sbagliato. E’ solo che
non credevo potesse essere una cosa così seria. Te lo avrei raccontato appena
tornate a casa.”
Scossi la testa, sorridendo più sollevata.
“E va bene, ti perdono solo se mi dici come si chiama.”
“Luca”
“Oddio, Luca come l’amico deviato di Alessandro? Stiamo
messi bene…”
“Ehi!” protestò lei, dandomi un buffetto sulla nuca.
“Ho capito, ho capito!” risi di gusto, accompagnata dal
suono della campanella che annunciava l’inizio del patibolo.
Mentre percorrevo il corridoio che mi avrebbe condotta nella giungla,
comunemente chiamata classe, ebbi la sfortuna di imbattermi in Eleonora, la quale dopo avermi vista, mi
beffeggiò con un semplice sguardo.
Ohh ma
che bello il muro incrostato all’angolo! Ha quel qualcosa di intrigante..!
Successivamente mi passò di fianco, sussurrando un “Nessun
siparietto sabato sera? Ci sono rimasta male”.
Sorriso innocente accompagnato da uno sguardo cattivo,
perfido.
“A quanto pare ho trovato un cavaliere” svelai impulsivamente,
pentendomi subito dopo.
La vidi arrestarsi, probabilmente colpita –e anche
affondata- da quella rivelazione.
Cominciò a ridere istericamente, ricordava tanto una pazza
di qualche film horror.
“Oh ma davvero? E chi sarebbe il povero malcapitato?
Alessandro?”
E riprese a ridere, come se la cosa fosse così assurda che
detta a voce pareva una battuta.
Io dal canto mio ammutolii, punta sul vivo.
Probabilmente il mio silenzio bastò a farla smettere, il che
mi preoccupò ancora di più.
Mi guardò per un attimo assente, credo stesse cercando di
metabolizzare il tutto, in un mix di sgomento e irritazione.
Subito dopo mi guardò talmente incredula che vidi gli angoli
della sua bocca tremare.
Aveva
capito.
Se mi fossi trovata in un altro contesto avrei riso a non
finire vedendo la sua espressione, ma in quel momento mi limitai ad osservarla
di sottecchi, non sapendo bene cosa fare.
Merda,
non doveva venirlo a sapere.
Mi sarei aspettata di tutto, da una scenata in piena regola
ad un impulso violento, e invece no, riprese la sua facciata inespressiva e mi
superò senza pronunciare una sola, misera sillaba.
Era
l’inizio dell’Inferno.
Durante le prime ore di lezione mi chiusi in un mutismo che
non accennava a passare nemmeno dopo le occhiate infastidite dei docenti,
irritati dalla mia assenza mentale.
Quel confronto mi aveva lasciato una sensazione di disagio
che era difficile mandare giù.
Alice aveva provato a rianimarmi con battute, insulti sul
professore di turno e pizzicotti sul fianco, senza però ottenere nessuna
reazione da parte mia.
Così, arrivata allo stremo, appena suonata la ricreazione mi
prese di peso e insieme a Sara mi portò in un ang0lo della classe lontano da
orecchie indiscrete.
“Allora?” cominciò “Cosa è successo?”
“Lei lo sa.” Pronunciai io con un groppo alla gola.
A quel punto vidi i loro sguardi farsi consapevoli, e non mi
rimase altro da fare se non cominciare a tremare come un gattino indifeso.
“Dobbiamo essere pronte al piano che sta tramando alle tue
spalle, lo sai?” chiese retoricamente Sara, stringendo una mia mano.
“Lo so” sussurrai flebilmente.
“Non vorrei alimentare ulteriormente la tua poca voglia di
vivere momentanea, ma sono costretta a ricordarti una cosa…” aggiunse Alice.
“Spara” dissi con un sorriso stanco.
“Sai che devi avvertire entro oggi il corso A che la partita
di pallavolo è stata rimandata?”
“Diamine, me ne ero dimenticata!” esclamai sbattendo una
mano sulla fronte.
“Lo farò alla fine delle lezioni, ormai la ricreazione è
finita” dichiarai affranta.
“Dobbiamo venire con te o ti aspettiamo fuori?” chiese
paziente Sara.
“Aspettatemi fuori. Devo riuscire ad affrontare anche questa cosa.”
Mi osservarono per qualche secondo indecise, poi mi
sorrisero incoraggianti.
“Ce la puoi fare”
“Spaccagli il culo anche da parte mia se dovessi
incontrarlo”
Risi nel sentire l’ultima affermazione, scuotendo la testa
rassegnata e procedendo verso il mio banco, preparandomi mentalmente al mio
addio definitivo alla felicità.
La campanella di fine lezioni fu terribile, come un pugno
nello stomaco, o una sprangata sui denti, o ancora come una visita dal
dentista.
Sì
insomma, si è capito il concetto.
Cercai conforto negli occhi delle mie due amiche, e
ingoiando tutta la mia insicurezza, procedetti velocemente lungo il
pavimento piastrellato del corridoio,
imboccando le scale che mi avrebbero portata alla classe di Alessandro al piano
superiore.
Un moto di preoccupazione e allo stesso tempo sollievo mi attraversò non appena vidi da
lontano la sua classe vuota. Varcai la soglia, osservando meglio, nel caso la
vista mi avesse abbandonata all’improvviso.
La tua
vista sta benissimo, è il tuo cuore che ha bisogno di qualche controllo.
“Cerchi qualcuno?” mi richiamò dal nulla una voce maschile.
Mi girai di scatto, intravedendo un curioso Alessandro
appoggiato allo stipite della porta.
Dischiusi la bocca sorpresa, cercando di dire qualcosa, ma fu
come cercare di far parlare un pesce.
“Ehi, perché guardi nella class.. Oh” pronunciò
improvvisamente uno del suo gruppo di amici spuntando da dietro.
“Vuoi che ti aspetti fuori scuola?” aggiunse poi.
No! No!
Rimani!
“Sì, adesso arrivo” rispose il rosso scrutandomi
attentamente.
Merda.Merda.Merda.Merda.
Sentii i passi frettolosi del suo amico abbandonare il
piano, poi più niente.
Un silenzio imbarazzante aleggiò per qualche minuto nella
classe, facendomi tossire imbarazzata.
“Allora..” cominciai indecisa “…Ero venuta ad avvertirvi che
la partita di oggi di pallavolo è stata spostata a Venerdì 24”
“Ok”.
Ok?
“Ok” ripetei io a disagio.
Ci guardammo per qualche secondo immobili, poi decretai che
fosse giunto il momento di tagliare la corda, così percorsi i primi passi verso
di lui per superarlo.
Credevo si sarebbe spostato, invece rimase impalato lì,
senza dare accenni di movimento.
“Dovrei passare” annunciai irritata.
“Perché?” chiese di sorpresa lui.
“Come perché? Sai com’è, c’è gente che mi aspetta fuori e..”
“Perché la partita di pallavolo non si può fare?”
mi interrogò marcando sulla parola
pallavolo fin troppo energicamente.
Oh no.
Sbaglio o mi sembrava un chiaro
riferimento al bacio della festa?
Mi immobilizzai, guardandolo con occhi sbarrati e bocca tremolante.
“Perché non ci sono i motivi
per farla” spiegai io dopo un po’, apparentemente distaccata.
“Sono i giocatori
a non andare bene?”
“Esattamente” ammisi risoluta sfidandolo con lo sguardo.
“E se ti dicessi che la palla
sarà facilmente mia?”,
chiese con un sorriso beffardo.
“Io ti risponderei che la palla sa da che parte andare”
contrattaccai come un felino.
Lo vidi staccarsi dalla porta lentamente, osservandomi dall’alto
con un cipiglio arrogante.
“Sai, nanetta, ci sono molte cose che devi ancora imparare”
iniziò con un sorriso furbo “Primo: so dove attaccare”
Mezzo passo verso di me.
“Secondo: conosco i punti deboli dei miei avversari”
Altro mezzo passo.
“E terzo: ho la vittoria in tasca, sempre”
Quella volta me lo
sibilò direttamente a pochi centimetri dal mio corpo, facendomi rabbrividire.
Poi, come se nulla fosse, se ne andò, guardandomi un’ultima
volta trionfante e scomparendo dalla mia
vista.
Sperai
anche dal mio cuore.
-Note autrice-
Un caloroso saluto a voi care lettrici!
Ovviamente anche questa volta sono in ritardo –quando mai?- , ma
spero che sia valsa la pena aspettare!
Allora, in questo capitolo son
successe diverse cose.
A cominciare dal dialogo con Emanuele, che comincia ad aprirsi un
po’ di più invece di stare sempre sulle sue.
Vi aspettavate una frase,
oserei dire dolce –dolce?-, da lui?
E che dire di Eleonora? Cosa pensate farà per farla pagare alla
povera Sofia?
Ma soprattutto, CHE MI DITE DI QUELL’ IMBECILLE DI ALESSANDRO?
Come al solito ha voluto mettere dei paletti, da perfetto ragazzo
stronzo, un po’ per l’offesa ricevuta in seguito al rifiuto di Sofia, un po’
per ribadire chi ha il coltello dalla parte del manico.
‘Sto cretino.
Beh, detto questo, vi aspetto al prossimo capitolo, dove
sicuramente non mancheranno diverse cosette…. (niente spoiler u.u)
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Capitolo 7 *** Nobody's perfect ***
What about us 6
Ed eccomi con il nuovo capitolo!
Preparatevi, perchè sarà un capitolo ricco di sorprese!
Vi aspetto alle note finali! :D
Capitolo 6
L'occasione favorevole è madre della fortuna.
Axel Oxenstierna, Riflessioni e massime, 1645
Il momento della merenda era quello che preferivo in
assoluto.
Non potevo chiedere di meglio; avevo le mie amate Gocciole,
il mio amato latte e il mio amato Nesquik.
E anche
le tue amate calorie.
Aaah dannati flussi di coscienza!
Misi a tacere ogni pensiero sgradevole con una cucchiaiata
di latte al sapore di Nesquik, dando un immenso piacere al mio palato e anche
alla mia pancia dolorante, risentita dallo stress MarRossiano.
Sentii vibrare il cellulare al mio fianco, ma lo lasciai lì
a muoversi come un ossesso senza degnarlo di troppe attenzioni.
Piuttosto intinsi una Gocciola nella mia bevanda preferita e
la ingurgitai come se non ci fosse un domani, gustando a pieno il retrogusto
amaro delle scaglie di cioccolato.
Non feci in tempo a prenderne un’altra dalla busta, che udii
nuovamente il telefono vibrare, quella volta più energicamente, come se volesse
farmi capire l’impazienza dell’interlocutore.
Lo afferrai malamente, intravedendo il nome di Sara sulla
schermata.
“Ora tu, brutta capra dell’ Uruguay (esistevano capre in
Uruguay?), mi spieghi immediatamente per quale futile ed irritante motivo mi hai
chiamata alle cinque del pomeriggio, ora in cui solitamente si studia, ma che
io sfrutto per ritagliarmi un momento di pace e calorie, con tanta urgenza da
procurarmi un’emicrania acuta!”
Sbottai oltraggiata.
Silenzio.
“Ehm…Ciao Sofia, sono la madre di Sara.”
………….
“Mi dispiace averti disturbata, non era mia intenzione.”
Cominciò rammaricata.
FiguradimerdaFiguradimerdaFiguradimerda.
“Ma no figurati!” ridacchiai a disagio.
Conoscevo la madre di Sara da un bel po’, e potevo dire che avevamo
un bel rapporto, tanto da permettermi di
darle del “tu”, ma se lo avevamo, era perché non mi aveva mai sentita
dire tante offese in una sola frase.
Doveva
succedere prima o poi.
Ma non così!
Dalla volta successiva mi sarei assicurata di rispondere al
telefono sempre con tono gentile e disponibile, tanto per evitare figure di
sterco piuttosto puzzolente, a meno che non
si trattasse di quelle due scimmie analfabete delle mie amiche.
“…E scusa l’orario, ma era una cosa alquanto urgente”
continuò ansiosa.
“Ma certo, dimmi tutto!” risposi un po’ preoccupata.
“Sara mi aveva detto che sarebbe passata da te subito dopo
pranzo, una cosa veloce per consultarsi su matematica, ma è da qualche ora che
non torna, e il cellulare lo ha dimenticato qui. Da come hai risposto al
telefono suppongo che non sia con te. Sai dove sia andata?”
Rimasi spiazzata da quella confessione.
L’ultima volta che l’avevo vista era stata all’uscita da
scuola, quando le avevo raccontato di quanto accaduto con Alessandro, e non era
di certo passata a casa mia dopo pranzo.
Che diamine stava combinando? Dov’era? Perché aveva lasciato
il telefono a casa? E perché non mi aveva detto nulla?
Il mio silenzio prolungato sembrò acuire le sue paure.
“Non sai proprio dove possa essere? Magari in biblioteca,
lei ci va spesso…!” ipotizzò con voce gracchiante.
Oddio, non stava mica avendo un attacco di panico vero?
Speravo vivamente di no, perché altrimenti sarebbe venuto
anche a me.
“Senti Rosanna, non ti preoccupare più di tanto ok? E’ pur
sempre di Sara che stiamo parlando! E’ una ragazza responsabile e di certo avrà
avuto un buon motivo! Magari è davvero in biblioteca, io per sicurezza vado a
controllare e ti faccio sapere, va bene?”
“Va bene, grazie Sofia, io controllerò nella palestra dove
si allena.” concluse frettolosamente, chiudendo la chiamata.
Io dal mio canto ero attonita.
Mi stavo davvero preoccupando.
Composi impulsivamente il numero di Alice, attendendo che
rispondesse.
“Ehi Sofia! Ti mancavo così tanto?” chiese con un risolino.
“Sara è sparita.”
Avevamo ispezionato l’intera biblioteca per mezzora circa,
ma di Sara nessuna traccia.
Cominciavo a sudare freddo, e non credevo fossi l’unica, a
giudicare dal tremolio accentuato delle mani di Alice.
Guardai nuovamente il telefono, sperando in una chiamata
propizia da parte di Rosanna, o nel migliore dei casi di Sara stessa.
Mi ero sentita giusto dieci minuti prima con la madre della
mia amica, ma non mi aveva riportato buone notizie.
In palestra nessuno l’aveva vista, e la paura iniziava ad
instaurarsi in tutte le mie viscere, rendendomi inquieta ogni oltre modo.
Incrociai il mio sguardo con quello di Alice, e fu spontaneo
stringerci la mano in segno di solidarietà.
Ad un certo punto sentimmo un telefono squillare, e dalla
suoneria intuii che fosse quello della mia amica.
“Pronto?” rispose lei. “Sì mamma, l’abbiamo cercata qui in
biblioteca ma non c’è. Sì sì lo so…No aspetta, adesso non posso! Ma perché
dovrei tornare a cas…Ok, va bene!”
Aspettai pazientemente che finisse la conversazione, prima
di chiederle cosa fosse successo.
“Niente, mia mamma vuole che torni a casa perché dice che
non servirà a molto cercare alla cieca. Ha detto che se entro stasera Sara non
si trova, faremo il punto della
situazione. Per ora devo solo aspettare…Ti rendi conto? Aspettare!”
“Ah…va bene dai, io darò un’occhiata al parco e poi torno a
casa.” Dichiarai.
Stavo mentendo.
Avrei continuato a cercare, avrei perlustrato tutta la città
se fosse stato necessario.
“Ok, fammi sapere poi”
“Certo”
Le rivolsi un ultimo saluto, prima di farmi coraggio e
percorrere i diversi metri che mi separavano dal parco.
A differenza degli altri giorni, quel pomeriggio il cielo si
era oscurato presto, rendendomi la visuale poco nitida.
Appena arrivata alla mia meta, sperai che fosse la volta
buona.
Procedetti con il respiro affannato, dovuto ad un andamento
frettoloso dei miei passi.
Scrutai per quanto potessi lo spazio che mi circondava, con
un costante groppo alla gola che mi impediva di respirare regolarmente.
Fui costretta ad appoggiarmi ad un albero lì vicino, per non
capitolare al suolo.
Strizzai gli occhi, ma inevitabilmente le prime lacrime
cominciarono a rigarmi il volto.
Mi ritrovai a piangere, singhiozzando vistosamente, mettendo
una mano sul petto, con il respiro mozzato.
Non ero mai stata tanto in agitazione in tutta la mia vita.
Nemmeno per
un’interrogazione di greco.
Perché? Perché era sparita? Perché voleva farmi venire un
attacco cardiaco così giovane?
Quella stupida capra….
“Ehi..?” si rivolse all’improvviso a me una voce.
Fu come un suono ovattato, quasi surreale, ma in qualche
modo alzai lo sguardo, appannato per le lacrime appena versate.
Non riuscii a decifrare a pieno la figura, capii solo che si
trattasse di un ragazzo.
Mi asciugai gli occhi, per poi riposarli sul ragazzo in
questione.
Oh
merda. Emanuele!
“T-tu” balbettai insicura.
Mi scrutò da sotto le ciglia nere, con le mani richiuse
nelle tasche della felpa grigio scuro.
“Tutto bene?” chiese dopo un po’.
“No…cioè sì …sto bene!” conclusi volgendo l’ attenzione sulle
mie scarpe.
Stette in silenzio per un arco di tempo relativamente lungo,
per poi sospirare.
“Stare bene non equivale a piangere” disse ironicamente.
“Esistono anche lacrime di gioia se per questo!” annunciai
stupidamente incontrando quel maledettissimo sguardo.
“Non è il tuo caso” replicò serio inclinando leggermente il
viso.
Mi sentii pervadere da una sensazione di disagio, come percependo
tutte le mie paure defluire lentamente verso di lui, attratte dall’oscurità che
lo avvolgeva.
E come se mi avesse spogliata delle mie emozioni,
ricominciai a piangere, sentendomi fragile ed esposta.
Mi strofinai le braccia in cerca di calore, come se l’aria
fosse divenuta improvvisamente gelida.
Fu un attimo.
Feci solo in tempo a registrare i suoi passi veloci nella
mia direzione ed una stretta possente circondarmi completamente la schiena.
Mi stava abbracciando.
Emanuele mi stava abbracciando!
Gelai sul posto, per niente preparata a quel gesto così
intimo.
Ci misi qualche secondo per decidermi a stringerlo allo
stesso modo, avvertendo un calore così rassicurante che mi sciolsi completamente.
Mi dimenticai di tutti i problemi, di dove fossimo, del
motivo per il quale stavo piangendo.
Serrai i pugni sulla stoffa della sua felpa, inalando
l’odore di sigaretta appena consumata e menta sul suo petto.
Amavo il suo odore, né troppo forte né troppo dolce.
Era come se ti entrasse dentro e non ne uscisse più.
Mi stavo abituando alla sua vicinanza, quando ad un certo
punto si allontanò dal mio corpo, rimanendo tuttavia discretamente vicino.
Sentii di nuovo freddo, un freddo che proveniva da dentro,
tanto che presi a tremare.
Occhiata preoccupata da parte sua.
“Allora, cosa è successo?” chiese carezzevolmente.
Ero titubante, verità o bugia?
Optai per la prima.
Che senso aveva mentire quando avevi fin troppi macigni da sostenere?
“Una mia amica….” Nodo alla gola “…Una mia amica è sparita,
e mi sento inutile perché non riesco a trovarla. Sparita capisci? Nel nulla!
Senza dare spiegazioni! A quest’ora potrebbe esserle successo di tutto, ed io
non posso accettarlo! Come farei senza di lei? Senza i suoi consigli? Senza la
sua abituale ramanzina? Io…”
Pronunciai l’ultima sillaba sulle sue labbra, veloci nel
cogliere l’incertezza della mia voce.
Mi
stava baciando?!
Dopo un momento di esitazione, mi tranquillizzai, provando
nuovamente quella sensazione di pace che mi aveva attraversata nel momento in
cui mi aveva abbracciata.
Mi circondò la vita con un braccio, facendo aderire i nostri
corpi.
Mi baciò piano, dolcemente, senza approfittare del mio stato
di smarrimento.
Le nostre labbra si cercarono, si accarezzarono, in una
danza lenta e sensuale, conoscendosi e distruggendosi al tempo stesso.
Non c’era urgenza in quel bacio, ma solo la voglia di
scoprirsi e azzerare ogni forma di turbamento presente nella mia mente.
Posai le mie mani sui suoi capelli, e li ritrovai morbidi
come me li ero immaginati.
Strinsi leggermente la presa, alla ricerca di un appiglio
che mi permettesse di non sprofondare.
Passai poi in rassegna tutti i tratti del suo viso con
l’indice, tracciando dapprima il contorno del suo occhio sinistro, poi sempre
più giù, lungo il suo zigomo e la sua guancia, fino ad arrivare al punto dove le nostra labbra si
incontravano.
Sospirai rapita dal suo modo di mordicchiare il mio labbro
inferiore, delicato al punto giusto.
Non
voglio che finisca mai.
Al contrario ci staccammo lentamente, senza mai distogliere
lo sguardo.
Inalammo i rispettivi respiri un’ultima volta, prima di
tornare a ragionare lucidamente.
Questo
sì che è un momento imbarazzante.
Le mie gote si tinsero di un rosso acceso, e di riflesso
portai le mani a coprirmi il volto.
Lo sentii ridere, così spostai due dita per osservarlo, e
cavoli, non avevo mai visto nulla di più bello.
Aveva buttato la testa all’indietro, e con gli occhi chiusi
aveva portato gli angoli della sua bocca a creare due leggere fossette ai lati.
Era una risata genuina, una di quelle che andrebbero
registrate per poi riascoltarle nei momenti tristi.
Lo ammirai affascinata, e aspettai che si riprendesse per
smettere di fissarlo.
“Sei la ragazza più strana che io abbia mai incontrato.”
disse scuotendo la testa.
“Dovrebbe essere un complimento?” chiesi dubbiosa.
“Forse.” Rispose sorridendomi.
Feci per replicare, ma quel sorriso mi aveva stroncato le
parole sul nascere.
“Comunque ti aiuterò.” Annunciò poi.
“Cosa?” Domandai non capendo a cosa si riferisse.
“Ti aiuterò a trovarla.”
Avevamo percorso quasi tutto il parco, ma di Sara ancora
niente.
Per tutto il tempo eravamo rimasti in silenzio.
Nessuna parola confortante, non ne avevo bisogno, non quando
avevo la sua mano a stringere la mia.
Nella mia mente ero combattuta tra la voglia di baciarlo
ancora e quella di correre via, tramortita dagli avvenimenti del pomeriggio.
Apparentemente potevo sembrare calma, e sarei stata anche
credibile, se solo non mi avesse tradita la forte stretta che avevo riservato
alla mano di Emanuele.
Lui tuttavia non si era scomposto, aveva lasciato che gli
stritolassi la mano senza battere ciglio.
Continuammo in quel modo per circa dieci minuti, finché non
ebbi un’illuminazione.
Mi fermai bruscamente, lasciando istintivamente la mano di
Emanuele.
Lo vidi guardarmi dubbioso, e gli rivolsi un sorriso a
trentadue denti.
“So dov’è.” Annunciai.
Lo vidi corrucciare la fronte.
“Davvero?” Chiese perplesso.
Beh, era comprensibile che fosse sconcertato.
Fino ad un momento prima stavo ispezionando ogni anfratto
del parco disperata, e un momento dopo tutta euforica me ne uscivo con
quell’affermazione.
Dovevo sembragli una pazza bipolare.
Beh,
lui proprio non può parlare in fatto di bipolarismo!
Pff!
“Già.” Annuii sicura. “Non credo che ci sia bisogno della
tua presenza”.
Dopo averlo visto arcuare un sopracciglio –offeso?- chiarii
l’ultima frase.
“Non fraintendere! Intendo dire che è un posto dove devo andare da sola.” Gesticolai per
rendere meglio il concetto.
Lo vidi sorridere comprensivo, come davanti ad un bambino
che sta imparando a mettere insieme le prime parole per formare frasi di senso
compiuto.
Una
bambina eh…
Ehi!
Mi fece un cenno con la testa, come per darmi il consenso.
Gli sorrisi imbarazzata, non sapendo bene come salutarlo.
Indietreggiai di qualche passo, alzando una mano in segno di
saluto.
Poi mi girai, cominciando a camminare.
Sei
sicura di volertene andare così? Dimostri di essere davvero una bambina.
Ignorai irritata la voce nella mia testa.
Un passo. Due. Tre.
Povera
sciocca! Si starà pentendo di averti baciata! Come dargli torto!
Quattro. Cinque. Sei.
Sei una
codarda! Ti credi tanto coraggiosa e poi scappi presa dal panico! E poi..
..Fanculo!
Mi fermai di colpo, stufa della vocina martellante, ruotando
di 180° e correndo verso la fonte di tanto scompiglio, rimasta immobile per
tutto il tempo.
Lo presi dai lembi della sua felpa scura e lo tirai verso di
me, stampandogli un bacio sulle labbra leggermente screpolate.
Mi staccai velocemente, voltandogli di nuovo le spalle e
correndo verso il lato da cui ero venuta.
Per la fretta non avevo assaporato a pieno la sua reazione.
Ma il suo sorrisetto, beh, quello lo ricordavo bene.
Arrivai davanti al laghetto nascosto dai salici piangenti,
situato poco distante il parco, dove di solito andavamo io e Sara quando
avevamo bisogno di rilassarci e staccare la spina.
Mi chiedevo perché non ci avessi pensato prima.
Forse l’ansia ed il panico mi avevano offuscato la mente a
tal punto.
Solo
quelli? Forse dovrei ricordarti di un certo bacio…
Ok, ho capito! Quella cosa
ha contribuito, giusto un po’…
La voce dei miei pensieri stava per ribattere contrariata,
ma la misi a tacere subito.
Piuttosto osservai con estrema cura l’ambiente circostante,
e non appena intravidi una Sara accovacciata sull’erba poco curata, tirai un
grosso sospiro di sollievo.
“Sara!” La richiamai arrabbiata e preoccupata.
Si girò, e notai i suoi occhi spenti.
“Hai fatto preoccupare la tua famiglia!” dissi subito dopo
ammonitrice, sedendomi accanto a lei.
“Hai fatto preoccupare me…” continuai con voce più attenuata.
“Scusa..” pronunciò
lei flebilmente.
Le presi una mano, stringendola tra le mie.
“Cosa è successo?” chiesi paziente.
Rimase in silenzio per un po’, guardando fisso davanti a sé,
come se fosse con la mente da un’altra parte.
“Avevo bisogno di ritrovarmi” rispose dopo un po’.
“Ritrovarti?” domandai smarrita.
“Esattamente. Mi sono accorta che mi stavo perdendo in una
finzione che non mi appartiene”
“Non ti seguo…”
Mi rivolse un sorriso mesto, stringendo con più decisione la
presa sulla mia mano.
“Sai, credo che per tutto questo tempo io abbia finto di
essere la persona che non sono. Ero la Sara che i miei genitori volevano che
fossi, responsabile, attenta alle convenzioni, sempre razionale e composta
nelle scelte, ma questa è solo apparenza. Io sono ben altro. Non volevo nemmeno
chiamarmi Sara!” Esclamò esasperata “Comunque il punto non è questo. Il punto è
che sono stanca. Stanca di dover sottostare alle decisioni che qualcun altro
prende per me.” Finì decisa.
“Beh, forse l’ho capito solo dopo aver conosciuto Stefano.”
Continuò con un sorrisetto imbarazzato.
“Aspetta, aspetta…Stefano chi?” La interrogai stupita.
“Un ragazzo che ho conosciuto poco dopo essere scappata di
casa”
Ero basita.
“Non guardarmi con quell’espressione da triglia! Non era in
programma. Mi sono imbattuta in lui per caso mentre passeggiavo per la città.
Diciamo pure che ci siamo scontrati nel vero senso della parola. Gli ho fatto
cadere un mazzo di chiavi di mano, così gli ho chiesto scusa e da cosa nasce
cosa….alla fine mi ha offerto una sigaretta”
“Una…sigaretta?” Pronunciai con un sopracciglio alzato.
“Già, e io l’ho accettata. Così, giusto per fingere per un
attimo di non essere la ragazza perfetta che descrivono i miei genitori.”
Scrollò le spalle indifferente.
“Wow…Non inizierai a fumare vero?” le chiesi dubbiosa.
“No sciocchina! Però mi è piaciuto, non per l’atto in sé, ma
per cosa ha rappresentato. Per la prima volta ho fatto quello che volevo io.” Attimo di pausa “E poi…Stefano è un
gran figo! Avresti dovuto vederlo! Ha degli occhi spettacolari. Di un azzurro
glaciale!”
La guardai sorniona.
“Abbiamo parlato per un po’, e ho scoperto che ha diciannove
anni e suona in una band. Mi ha detto che i suoi non volevano che seguisse
questa sua passione della musica perché non l’avrebbe portato da nessuna parte,
ma lui ha continuato a coltivarla, essendo consapevole che quello era il
cammino che avrebbe voluto intraprendere”
“Mmmh mi piacciono i musicisti” ridacchiai dandole una
spallata amichevole.
Rise a sua volta, scuotendo la testa risoluta.
“Mi ha aperto un mondo, davvero. Mi ha dato quella spinta di
cui avevo bisogno. Ora so che tutto ciò che farò sarà perché lo voglio io,
nessun altro.”
Le sorrisi incoraggiante, soffocandola poi con un abbraccio.
“Sei una stupida lo sai?” Le dissi poi.
“Mi stai contagiando a quanto pare.” Rispose ironica.
“Io lo sono il giusto!” Alzai gli occhi al cielo “E comunque
è arrivata l’ora di tornare a casa, non credi?”
“Lo credo anch’io.” Acconsentì sospirando.
Ci alzammo all’unisono, guardandoci complici.
“Ah, a proposito!” Annunciai poco dopo.
“Dimmi”
“Gli hai dato il tuo numero, vero?” La interrogai con
sguardo malizioso.
Dal colore che assunsero le sue guance, supposi che lo
avesse decisamente fatto.
Tornata a casa chiamai Alice per riferirle di aver trovato
Sara, e subito dopo andai nel bagno per farmi una doccia.
Impiegai circa mezzora, e dopo aver cenato con i miei (non
avevo raccontato loro nulla della scomparsa di Sara), mi diressi al computer,
aprendo Facebook.
Controllai le cinque notifiche, che segnalavano un mi piace
alla mia foto del profilo da parte di una certa Agnese Beniis, e richieste di
giochi.
Aprii poi la chat, andando subito in cerca di un nome.
Sorrisi come un’ ebete appena lo trovai, cliccando sulla sua
casella.
“Trovata :)”
scrissi senza pensarci.
“Ne
sono felice :)” rispose semplicemente.
Mi immaginai il suo sorriso sincero, e la lucentezza di
quegli occhi che avevo visto accendersi appena qualche ora prima.
A quel punto accennai ad uno smile, a corto di argomenti.
Almeno avevo lo schermo del computer a proteggermi dal
crescente imbarazzo!
Per qualche strano motivo disegnai nella mia mente i suoi
occhi che attraverso i muri della mia camera osservavano la mia reazione,
facendomi voltare istintivamente per controllare, scuotendo poi la testa
dandomi della sciocca.
Meno
film mentali Sofia.
Stavo per cadere nel banale chiedendogli cosa stesse
facendo, quando lui mi anticipò.
“Vado
ad esercitarmi un po’ con lo skate, ciao :)”
Ah giusto, lo skateboard.
“Buon
allenamento :)”
Augurai sincera, ma amareggiata.
Non so per quale assurdo motivo, ma avevo una voglia
pazzesca di parlare con lui, soprattutto dopo quello che era successo.
“Ah,
cerca di non avere un altro attacco di panico. Non che mi dispiaccia ovviamente :)” Aggiunse allusivo.
Oh.Mio.Dio.
Spalancai la bocca, che probabilmente arrivò a terra tanto
lo stupore.
Prima che potessi anche solo scrivere una lettera per ribattere,
si scollegò, come solo lui sapeva fare.
Gran
bella uscita di scena.
La serata la passai guardando il dvd di Hunger Games ,
l’unica cosa capace di distrarmi e farmi isolare dal resto del mondo.
Invidiai come sempre
il coraggio e l’abilità di Katniss nel tirare con l’arco, sfogandomi con la mia
cagnetta –accoccolata su una coperta posta sopra le mie gambe- su quanto io non
fossi buona nemmeno a tirare con la fionda.
Che
razza di ingiustizie sono queste?!
Borbottai sommessamente per un po’, fin quando non arrivò il
bacio tra Peeta e Katniss nella grotta, uno dei più belli a mio parere.
“Annie! Annie! Guardali! Non sono bellissimi?” Incitai la
mia cagnetta a condividere le mie emozioni, con il risultato di ricevere due
paia di occhioni che mi osservavano senza capire e una coda scodinzolante.
Le presi il musetto tra le mani, sorridendole teneramente e
dandole un bacio al centro della sua testa pelosa.
Lei si lasciò coccolare chiudendo gli occhi e mettendo su
un’espressione beata, facendomi sorridere.
Continuai ad accarezzarla e farle i grattini fin quando non
finì il film, e tenendola saldamente in braccio ancora addormentata, la adagiai
sulla sua poltroncina, permettendole un degno riposo.
Decisi che fosse giunta anche per me l’ora di andare a
letto, ma prima di farlo aprii facebook, forse speranzosa di ricevere un altro
messaggio di Emanuele.
Rimasi delusa nel constatare che non ci fosse nessun nuovo
messaggio, ma quando notai una richiesta
d’amicizia mi accigliai.
Chi poteva essere?
Cliccai sulla casella, e quello che vidi non mi piacque
affatto.
Eleonora
De Fio ti ha aggiunta.
Era uno scherzo vero?!
Cos’è, voleva scrivermi ‘Sei una pu****a’ sulla bacheca?
Sentivo puzza di bruciato, e il fatto che quel bruciato
fosse stato causato indirettamente da me, mi metteva agitazione.
Ma cosa pretendeva poi?
Ero venuta a sapere che si fosse intrattenuta in diverse
occasioni con Alessandro, ma non mi risultava che fossero fidanzati.
Figuriamoci,
con il loro ego smisurato si sarebbero offuscati a vicenda.
Premetti il tasto ‘rifiuta’ senza pensarci due volte, ma la
sensazione sgradevole che sentivo all’altezza dello stomaco non voleva
andarsene.
Dubitavo che me l’avrebbe fatta passare liscia dopo
l’affronto –scaturito da cosa di preciso non lo sapevo- che le avevo recato.
La cosa di cui ero certa era che avrei tenuto la testa alta,
insieme alla mia dignità, qualunque cosa avesse progettato di farmi.
Non mi sarei lasciata calpestare, non da lei.
Ero consapevole che se avessi abbassato il capo anche solo
una volta, sarebbe stata la mia fine.
Perciò con una nuova convinzione, andai a letto, cullandomi
nel tepore del ricordo delle labbra di Emanuele, non immaginando minimamente
che la vendetta che mi aspettava appena al di fuori delle mie fragili sicurezze
si sarebbe riversata su di me molto presto.
-Note autrice-
Holaaa! Allora, spero che il bacio tra Emanuele e
Sofia (la coppia Sole) vi abbia trasmesso le emozioni che ha suscitato in me
mentre lo scrivevo!
Vi aspettavate la fuga di Sara?
E cosa pensate abbia in mente quell’arpia di
Eleonora?
Fatemi sapere le vostre opinioni e vedremo se
qualcuna avrà indovinato! :)
Vi riporto i volti di Sara e Stefano, il quale
verrà menzionato molto spesso da questa parte in poi! :D
Sara
Stefano
Per spoiler e altro mi trovate sul Gruppo facebook :)
|
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Capitolo 8 *** Eventi inaspettati ***
Capitolo 7 WAU
Salve lettrici! E’ passato un
po’ di tempo dal mio ultimo aggiornamento, per cui ho pensato di farvi un breve
riassunto:
Sofia ha avvisato Alessandro che la partita è
stata spostata al venerdì successivo, e lui non si è lasciato sfuggire
l’occasione di sfidarla apertamente.
Il pomeriggio riceve una chiamata improvvisa
dalla mamma di Sara, la sua migliore amica, che le riferisce la fuga della
stessa, lasciandola basita e senza parole.
Chiama dunque Alice, chiedendole aiuto, e
vanno a cercarla senza nessun riscontro positivo.
Amareggiate e preoccupate, le due amiche si
separano, ma Sofia non si arrende e va a cercare l’amica nel parco, dove
incontra per puro caso Emanuele, che senza preavviso la bacia.
Successivamente Sofia ha un’illuminazione e
trova l’amica nel loro posto speciale, chiedendole il motivo della fuga e
scoprendo così che si è invaghita di Stefano, musicista ribelle e determinato
nel suo sogno.
La sera Sofia fa una brutta scoperta: Eleonora
De Fio l’ha aggiunta su facebook, facendole presupporre che la sua vendetta è
vicina ed andando a letto con uno strano senso di inquietezza.
Capitolo
7
Gruppo facebook
Una
creatura stupida vi perseguiterà senza ragione, senza un piano preciso,
nei tempi e nei luoghi più improbabili e più impensabili. Non vi è
alcun modo razionale per prevedere se, quando, come e perché, una
creatura stupida porterà avanti il suo attacco. Di fronte ad un
individuo stupido, si è completamente alla sua mercé.
Carlo M. Cipolla, Le leggi fondamentali della stupidità umana, 1976
I due giorni a seguire passarono senza eventi di particolare
importanza, giusto qualche risata contenuta il mercoledì alla vista di un
Alfonso Vorretti sbiancato a causa di
una interrogazione inaspettata di latino alla seconda ora e una leggera
depressione il giovedì per l’anticipazione dei compiti dell’estate a opera
della professoressa Rello di matematica e fisica.
Ah, e ovviamente non avevo avuto modo di vedere Emanuele,
dato che un giorno avevo perso la sua corsa e l’altro era stato lui a mancare.
Fantastico.
Era giunto così il venerdì. Quel dannato venerdì che avrei
preferito cancellare piuttosto che affrontare.
La mia agitazione era visibile anche ad occhi meno esperti,
e Amanda quella mattina a casa non aveva perso tempo a cercare di capire cosa
avessi, visto che non era a conoscenza del bacio.
Non avevo avuto il coraggio di raccontarle gli avvenimenti
degli ultimi giorni, complice la paura di un giudizio e la consapevolezza di
voler elaborare ancora il tutto.
Dunque, la stessa mattina di quel discutibile venerdì,
armata di tuta grigia e maglia larga nera, mi incamminai da sola –Amanda ormai
prendeva la corsa precedente per il suo amoruccio Luca- verso la fermata
dell’autobus.
Incrociai per la prima volta dopo giorni Greta, e parlammo
per un po’, giusto il tempo che arrivasse il mezzo.
Argomentammo di cose superficiali come le materie che avremmo avuto quel giorno, o i
giorni che ci distanziavano dalla fine della scuola, il che mi rese un po’ più
tranquilla.
Salii sull’autobus decisa a ignorare la fitta allo stomaco
che si era presentata al pensiero di rivedere Emanuele, scorrendo con lo
sguardo un qualche posto libero, rigorosamente dietro.
Notai con estremo sollievo che quel giorno mancasse la
gallina cantastorie.
Niente racconti di ragazzi disperati che la corteggiano in
modo pietoso!
Notai anche come Greta
avesse trovato un posto in una fila centrale, così mi feci coraggio e
attraversai lo stretto corridoio del mezzo, osservando con attenzione i vari
sedili, tutti occupati, a parte uno.
Quello di fianco a lui.
Sentii le guance accaldarsi, non appena incontrai il suo
sguardo furbo e il suo sorriso poco accennato, ma comunque visibile.
Non avrà mica lasciato il posto libero per me, vero…?
Dal suo sguardo fin troppo consapevole, mi risposi
affermativamente.
Lo salutai come nulla fosse, sedendomi accanto a lui,
improvvisamente irrigidita.
Guardai con estremo interesse il tessuto scolorito che
ricopriva il sedile di fronte al mio, chiedendomi quanto dovesse essere vecchio
il mezzo.
Ci ragionai circa mezzo secondo, troppo pigra per cercare di
capire qualcosa di prima mattina.
Sentii due occhi scrutarmi alla mia destra, così mi decisi a
voltarmi verso Emanuele, ritrovandomi ad affondare in quel mare tempestoso che erano le sue iridi.
Analizzai i ciuffi che gli uscivano dal berretto blu notte,
e lo elogiai mentalmente per la maglia a maniche corte nera, che mi aveva
permesso di ammirarne ancora una volta i muscoli accennati delle braccia.
L’assenza di occhiali da vista esaltava i suoi occhi azzurri,
ora concentrati interamente su di me.
Eravamo vicini, troppo, tanto che potevo sentire il suo
respiro a qualche centimetro.
Constatai che stessi sudando freddo, il cuore fin
troppo attivo, la bocca leggermente
dischiusa, tutto a causa sua.
Stava forse per accadere di nuovo?
Ci stavamo per scambiare il nostro secondo bacio?
Percepii una scarica di adrenalina al sol pensiero, che mi
portò a rabbrividire.
Ero già pronta a chiudere gli occhi, speranzosa di poter
assaporare di nuovo il sapore di menta delle sue labbra, quando lo udii ridere
apertamente, non curandosi affatto di contenersi.
Ma che
diamine…?
“Hai una ciglia sotto l’occhio” Spiegò come se niente fosse
trattenendo a stento le risate, accostando alla mia pelle scottante il suo
pollice per togliermi il motivo di tanto scompiglio.
Arrossii furiosamente, sentendomi in qualche modo umiliata,
umiliata da me stessa.
Una dannatissima ciglia! Il suo interessamento era a causa
di una dannatissima ciglia!
Vidi i miei sogni sulle sue labbra soffici andare in
frantumi, e decisi di ricompormi senza dargli ulteriore modo di prendermi in
giro.
Non potei evitare di corrucciarmi, arricciando leggermente
il naso e aggrottando le sopracciglia.
Percepii ancora una volta il suo sguardo, ma mi ordinai
mentalmente di ignorarlo.
Piuttosto indossai le mie adorate cuffie, impostando come
canzone “No light, No light” dei Florence+ The Machine, beandomi della musica
rilassante.
Sei il buco nella mia
testa
Sei lo spazio vuoto
nel mio letto
Tu sei il silenzio
tra quello che ho pensato
e quello che ho detto
Sei la paura della
notte
Sei il mattino
limpido
Quando è finita, tu
parti
Le parole si alternarono nella mia mente, facendomi chiudere
di riflesso le palpebre , diventate all’improvviso pesanti.
Sei la mia testa
Sei il mio cuore
Nessuna luce, nessuna
luce nei tuoi brillanti occhi blu
Non sapevo che la
luce del giorno potesse essere così violenta
Una rivelazione alla
luce del sole
Non puoi scegliere
quello che rimane e quello che scompare
Ma io farei di tutto
per farti rimanere.
Pensai subito al
ragazzo seduto a meno di mezzo metro da me, rividi nel testo della canzone i
miei sentimenti per lui, così vivi, così forti, come una marea fin troppo alta
che mi stava trascinando giù, nell’abisso di un amore pericoloso.
Riaprii gli occhi
quando un tocco gentile ma deciso mi sfiorò il braccio, riscuotendomi dal
torpore sul quale mi ero adagiata.
Con uno scatto
sorpreso mi girai verso Emanuele, ancora sorridente.
“Dobbiamo scendere”
Annunciò inclinando leggermente il viso.
“Uh, va bene” Risposi
frettolosamente in procinto di alzarmi.
Stavo giusto posando
un piede nello stretto corridoio, quando sentii nuovamente la presa del ragazzo
sul mio braccio, questa volta con più
forza.
Lo guardai
interrogativa.
Cosa voleva ora?
“Aspetta…” Sussurrò
rapido, prima di strattonarmi verso di lui e stamparmi un bacio al sapore di
menta sulle labbra tremolanti.
Il tutto durò un
battito di ciglia, ma fu abbastanza per far capitolare irrimediabilmente il mio
cuore instabile.
“Ora va meglio.” Mi
guardò indecifrabile, prima di superarmi con uno scatto e scendere dall’autobus.
“Ehi Sofia!” Mi
richiamò dopo qualche secondo Greta in prossimità dell’uscita centrale.
“Arrivo!” Dichiarai risoluta, raggiungendola e incespicando sui miei stessi passi rischiando
di cadere.
Maledetto Emanuele…Prendermi
così alla sprovvista!
“E’ successo
qualcosa? Sembri stravolta” Rise scherzosamente lei una volta scese, ignara di
quanto accaduto meno di cinque minuti prima.
Ovviamente di mister-mi-piace-procurare-infarti
alla fermata nemmeno l’ombra, e fu un
bene, considerato il mio stato confusionale momentaneo e le mie guance ancora
accaldate.
Rivolsi a Greta un
sorriso altrettanto scherzoso, dandomi una botta teatrale sulla fronte.
“La temperatura
elevata mi procura forti disturbi comportamentali.” Mi giustificai con una
risatina, placando i suoi sospetti.
Eclissai il mio
strano comportamento con battute e prese in giro per tutto il tragitto verso
scuola.
Mi fermai solo quando
intravidi una testa rossa familiare tra la folla di studenti.
“Ora devo proprio
andare” Annunciai velocemente alla ragazza al mio fianco, incamminandomi con
passo spedito verso l’atrio ed evitando di farmi vedere da lui.
“Ehi, dove stai
scappando?” Mi beffeggiò la voce del rosso.
Appunto.
“Non sono affari
tuoi.” Sputai acida, ignorando la sua figura a pochi passi da me.
Mi afferrò per un
braccio, facendomi voltare.
Un flashback di
quella mattina mi si presentò prepotentemente, facendomi vacillare.
Per un momento accostai
il viso di Emanuele a quello di Alessandro, e di scatto spostai il braccio
dalla sua presa, come scottata.
Lo vidi per un attimo
perplesso, poi si riprese e tornò alla carica.
“Pronta per la
partita?” Chiese con un sorrisetto.
“Assolutamente.”
Risposi a denti stretti.
“Bene.” Se possibile
il suo sorriso si allargò ancora di più.
Tutta la sua
sicurezza mi irritava parecchio, ma soprattutto mi irritava la sua faccia da
schiaffi.
Chissà, forse dovevo
davvero prendere in considerazione l’idea di usarla come sacco da boxe.
Non gli risposi
nemmeno, gli diedi le spalle dirigendomi verso la mia classe.
Quel che non sapevo
era che Eleonora De Fio aveva assistito a tutta la diatriba giusto qualche
metro più in là.
Con le unghie laccate
di rosso infilate nei palmi delle mani e gli occhi furenti.
Aspettai
pazientemente l’inizio della ricreazione per raccontare del bacio –ancora
suonava strano dirlo- a Sara ed Alice.
Le trascinai giù in
cortile, descrivendo loro la vicenda guardandomi furtivamente attorno.
Le vidi sbiancare,
allibite, forse fin troppo.
“Ehi, è così assurdo
che uno come Emanuele abbia baciato una come me?” Chiesi risentita.
“No no!” Si riprese
Sara “E’ solo…Wow, davvero non me l’aspettavo.” Pronunciò con una nota
incredula.
“Già, nemmeno io.
Eppure è successo. Tre volte” Specificai con un po’ di orgoglio.
“Cosa? Tre volte?” Mi
assalii subito Alice alzando il tono della voce, guardandomi dubbiosa.
“Shh non urlare!” La ammonii “Comunque sì, oltre ai
due baci dell’altro giorno, ce n’è stato uno sull’autobus stamattina. Dopo che
una stupidissima ciglia ha infangato la mia dignità.” Sospirai.
“Una…ciglia?”
Proseguì con un sopracciglio arcuato Sara.
“Oh sì lunga storia”
Sminuii quell’inconveniente con un gesto della mano.
Controllai che
nessuno avesse ascoltato la conversazione, constatando che erano tutti
impegnati a chiacchierare tra loro con qualche sigaretta qua e là.
“Quindi ora…cosa
siete? Fidanzati?” Pronunciò con tono incuriosito la mia amica bionda.
“Bella domanda…Se
solo lo sapessi! Aspetto questo momento
da mesi, e ora che finalmente è scattato qualcosa, non so come comportarmi!”
Riflettei sconsolata.
“Datti tempo, il
resto verrà da sé” Mi rassicurò lei con un sorriso.
“La pazienza non è il
mio più grande pregio.” Scherzai.
“Piuttosto, come
pensi di comportarti oggi con l’altro?”
Mi ricordò apprensiva.
“Mi comporterò come
se non fosse nessuno, come se non mi avesse mai piegata…” Momento di silenzio
“…Come se non mi avesse mai distrutta.” Conclusi guardandola negli occhi
preoccupati.
Ma era davvero così?
Sarei riuscita a metter su la maschera di indifferenza che ormai incorniciava
il mio viso da mesi?
Dannato rosso….
“Ohi Sofiuccia” Mi
riscosse dai miei pensieri una voce fin troppo familiare.
“Che vuoi?” Chiesi seccata
ad Amanda.
“Ehi, non mi piace
per niente questo tono!” Mi rimbeccò scherzosamente.
“Certo, certo. Cosa
c’è?”
Mi rivolse un sorriso
smagliante.
“Oh beh niente,
volevo solo sapere come stavi visto che stamattina stavi dando di matto.” Mi
fece presente ironicamente.
“E ci credo! Dopo il
bacio con Emanuele!” Esclamò Alice, non consapevole di aver appena fatto
esplodere una bomba.
“Il cosa?!” L’urlo di
mia sorella fece girare molte teste, così le intimai di darsi una calmata.
“Una calmata? Come
faccio a calmarmi dopo che mi hai nascosto una cosa del genere?” Pronunciò con
risentimento.
“Non te l’ho
nascosto…Cioè, l’ho solo omesso temporaneamente…” Indugiai colpevole.
“Quando è successo?”
Mi interrogò subito.
“Martedì pomeriggio,
quando sono uscita a cercare…” Mi interruppi non appena incontrai lo sguardo
inquieto di Sara.
“Sì insomma, quando
sono uscita a fare una cosa.”
“E lui cosa
c’entrerebbe in tutto questo?”
Sentivo che si stava
spazientendo.
“E’ successo per
caso, lui era lì, io ero lì e…”
“E cosa? La fata
turchina vi ha appiccicato le labbra?” Mi interruppe bruscamente.
Abbassai lo sguardo,
non sapendo come spiegarle gli avvenimenti senza mettere in mezzo la mia
migliore amica.
Scorsi proprio
quest’ultima aprire la bocca per venire in mia difesa, quando la campanella
suonò, togliendoci da quella imbarazzante conversazione.
Guardai Amanda, che
mi dedicò un’occhiata ferita prima di avviarsi verso un’amica.
“Si risolverà tutto.”
Mi consolò Alice strofinando la mano lungo il mio braccio.
“Lo spero.” Proferii
rammaricata osservando Amanda procedere all’interno della scuola.
Ci incamminammo anche
noi, in un quieto silenzio.
“Ehi Sofia.” Mi
richiamò la mora una volta superato il cortile ed essere rientrate
nell’edificio.
“Mh.” Grugnii
pensierosa.
“Alessandro ti sta
fissando.” Mi riferì guardando alla sua destra.
Mi voltai di scatto,
incontrando due occhi che sembravano contenere all’interno un mare in tempesta,
tormentati e seri.
Scorsi con la coda
dell’occhio anche un Luca Gervasi
intento a riferire probabilmente quella che era una battuta, palesemente
ignorato dal rosso, la quale attenzione era interamente riservata a me.
Indurii lo sguardo,
non lasciando che il suo tormento coinvolgesse anche la sottoscritta, già
provata dal battibecco con Amanda.
Indifferenza Sofia.
“Andiamo.” Dissi alle
mie amiche girandomi nella direzione opposta.
Acconsentirono senza
proferire parola, seguendomi lungo le scale.
Pur non vedendolo,
sapevo che mi stava ancora fissando, sentivo il suo sguardo sulla mia pelle
improvvisamente rabbrividita.
Cosa sarebbe successo
quel pomeriggio?
Quattro e dieci.
Era quello l’orario
che indicava il display del mio cellulare, controllato sin troppe volte da
quando ero arrivata a scuola.
Dalla discussione
avvenuta a ricreazione non avevo più avuto modo di parlare con mia sorella,
dato che ero rimasta a scuola senza tornare a casa.
Le avevo mandato
diversi messaggi, ma non avevo ottenuto alcuna risposta.
Per non parlare di
quell’altro decerebrato, che a partita quasi cominciata, ancora si faceva vivo.
Non che mi
dispiacesse ovviamente, ma la sua squadra contava solo cinque persone e se non
si fosse presentato la partita sarebbe stata vinta da noi a tavolino.
Ho dovuto sprecare tempo prezioso del
mio tempo e del mio coraggio per un suo stupido capriccio?!
Mi sedetti sul bordo
del tappetino disposto sulla superficie sporca della palestra, incrociando le gambe
e controllando ancora una volta il
telefono.
Osservai controvoglia
alcuni miei compagni di squadra chiacchierare a qualche metro di distanza, e
posai lo sguardo sui miei avversari.
Notai come alcuni
fossero impazienti, e come uno di loro stesse imprecando a bassa voce contro il
cellulare, probabilmente perché il suo interlocutore non rispondeva alle sue
chiamate.
Non sono l’unica
persona a provare irritazione nei suoi confronti allora!
Sorrisi leggermente a
quella consapevolezza, decidendo di alzarmi per raggiungere i miei compagni.
“Alessandro! Grazie
al cielo!” Sospirò sollevato lo stesso ragazzo che pochi secondi prima stava
imprecando contro di lui.
Sentii le mie gambe
bloccarsi, ma con grande sforzo cercai di apparire disinteressata.
Feci il grande errore
di girarmi nella sua direzione, facendo una scoperta sgradevole: con lui c’erano Eleonora ed un
altro ragazzo della sua classe.
Divenni pallida come
un lenzuolo, lo sguardo furbo di Eleonora a sondarmi da cima a fondo.
La parola vendetta
lampeggiava come una sentenza di morte dinanzi a me, bloccandomi per un secondo
il respiro.
“Bene ragazzi, si può
cominciare visto che non manca nessuno!” Pronunciò entusiasta il professor
Gatti, riscuotendomi dal mio stato d’ansia.
Cominciarono uno dopo
l’altro ad uscire dalla palestra per dirigersi verso il campo da pallavolo,
spintonandosi con spallate amichevoli e rivolgendosi sorrisi di sfida.
Mi avviai anch’io
ansiosa, trovando Alessandro al mio seguito.
Non avevo ancora
superato la porta della palestra, quando percepii un movimento rapido alle mie
spalle e subito dopo la voce bassa del
rosso direttamente sul mio orecchio.
“Buona fortuna, te ne
servirà molta.” Affermò malizioso, il respiro caldo sul mio collo.
Mi attraversò un
brivido, ma lo mascherai con un colpo di tosse.
Lo guardai torva,
girandomi appena.
I nostri visi quasi
si sfioravano, e fui costretta a
seppellire la fastidiosa sensazione di inquietudine dietro ad un sorriso
forzatamente arrogante.
“Non ti preoccupare
per me, pensa a moderare la tua sicurezza piuttosto, al tuo posto non sarei
così spavalda.”
E dopo avergli
rivolto un sorrisetto beffardo, girai i tacchi e raggiunsi il resto della mia
squadra.
Si decise che a
battere sarei stata io.
Prima di farlo
osservai la formazione della squadra avversaria, intravedendo Alessandro in
zona quattro, poco distante dalla rete, ed Eleonora in zona cinque, dietro di
lui.
Ti pareva!
Dopo la rapida
occhiata, mirai ad un punto vuoto in zona uno, procedendo alla battuta.
Se avessi mandato la
palla in quella zona era fatta.
Ed infatti fu così, il
giocatore non era arrivato in tempo.
Ed il primo punto della partita va a Sofia,
ovviamente!
Notai con grande
soddisfazione come Eleonora avesse imprecato stizzita, mentre Alessandro si
limitò a rivolgermi un ghigno, come se quel punto non avesse avuto alcun valore
per lui.
Molto bene, staremo a vedere.
La battuta seguente
fu ricevuta da Eleonora stessa, che indirizzò la palla all’alzatore, già pronto
a riceverla.
Quando vidi che la
stava passando ad Alessandro, mi misi in posizione di difesa, attendendo la sua
schiacciata con trepidazione.
Tira su di me se ne hai il coraggio!
Come se mi avesse
letta nel pensiero, schiacciò nella mia postazione, ma il colpo fu così veloce
che nemmeno correndo riuscii a prenderlo.
Uno sguardo furbo gli
attraversò lo sguardo, facendomi infuriare.
E va bene, vuoi la guerra? E guerra
sia!
Procedemmo con quel
ritmo per due set, il primo vinto dalla mia squadra ed il secondo vinto dalla
sua.
Prefissammo una pausa
per riprenderci dallo sforzo, ed io ne approfittai per raggiungere lo
spogliatoio e darmi una rinfrescata.
Presi la mia
bottiglietta d’acqua e la mandai giù in pochi secondi, assetata ed in tensione.
Ero ancora intenta a
bere, quando dei passi risuonarono chiari nel piccolo spogliatoio.
Mi girai all’istante,
corrugando la fronte alla vista di Eleonora.
“Stanca?” Domandò
sarcasticamente.
“Non più di tanto.”
Risposi cauta asciugandomi con una mano una gocciolina sulla fronte bagnata.
La vidi avvicinarsi,
il sorriso più ampio.
“Davvero credi che
lui possa avere un qualche interesse nei tuoi confronti? Se non sbaglio non ci
ha messo molto a rimpiazzarti.” Mi fece presente lei.
“Cosa vuoi?” Andai al
dunque.
Altro passo da parte
sua.
“Voglio che tu gli
stia alla larga.” Proferì con tono duro.
“Altrimenti?” La
beffeggiai con un sorrisetto.
“Altrimenti ti
rimetto al tuo posto, tra i rifiuti
della scuola.” Mi minacciò.
“Ma fammi il
piacere.” Le voltai le spalle decisa ad ignorarla, avviandomi verso la mia
sacca un metro più in là.
Di certo non mi sarei
mai aspettata che cogliesse l’occasione per colpirmi energicamente sulla
caviglia con un calcio, provocandomi un dolore acuto che mi attraversò tutte le
viscere.
Caddi rovinosamente
sul pavimento grigiastro, e accucciandomi su me stessa massaggiai la parte
lesa.
“Ma sei impazzita?!”
Imprecai contro la sua figura
soddisfatta.
“Hai avuto quel che
meritavi.” Mi guardò dall’alto con le mani sui fianchi.
“Non la passerai
lisc-“ Cominciai indignata.
“Non vorrai davvero
farti vedere in queste condizioni da lui, vero? Si prenderà gioco di te e ne
approfitterà per vincere” Mi interruppe lei piegandosi sulle ginocchia ed
arrivando alla mia altezza. “Il tuo orgoglio da sfigata sconfitta ne
risentirebbe, non è così?” Continuò senza riguardo, facendomi ingoiare un
groppo amaro.
Mantenni il contatto
visivo, senza però riuscire a ribattere.
“Come pensavo.” Disse
rialzandosi.
Si lisciò le pieghe della
maglia bianca, mostrandomi un’ultima volta il sorriso vittorioso ed uscendo
dallo spogliatoio.
Ero in trappola.
Il tempo della pausa
era finito da poco, contrariamente al dolore lancinante alla caviglia.
La pelle era
diventata di un rosso acceso, e per rialzarmi mi servì tutta la forza di
volontà che possedevo.
Mi accinsi con fatica
verso il campetto, cercando di mascherare il pulsante fastidio con un sorriso
forzato.
I miei compagni
notarono subito la chiazza rossa sulla mia pelle, e non mancarono le domande al
riguardo.
Le liquidai tutte con
un “Sono andata a sbattere accidentalmente contro la panchina dello
spogliatoio” ed una smorfia più o meno convincente.
Mi guardarono
incerti, ma non aggiunsero altro.
Alessandro dal canto
suo mi studiò attentamente, così schivai i suoi occhi per tutto il tempo.
“Va bene, direi che si può dare inizio al terzo ed ultimo
set!” Annunciò il professore allegro.
Dai Sofia, un ultimo sforzo.
Mi posizionai vicino
alla rete, e non fu un caso che Eleonora mi si pose davanti, fronteggiandomi
con un sorriso fiero.
Brutta strega, non ti darò la
soddisfazione di vedermi crollare.
Alessandro si collocò
dietro, e mi fissò ancora una volta.
Il fischio del
professore mi salvò da quello sguardo, dando il via alla battuta della mia squadra.
Ricevette la palla
proprio il rosso, una ricezione perfetta che arrivò dritta nelle mani del
palleggiatore.
La schiacciatrice
opposta ad Eleonora si preparò per l’attacco, ma dallo sguardo che si erano
scambiati l’alzatore e la prima di queste, intuii che sarebbe stata lei ad
attaccare.
Ignorai il dolore e
seguii l’azione, pronta a murare Eleonora.
Saltai proprio quando
la mia avversaria si apprestava a colpire la palla, come sospettato.
Mi si gelò il sangue
per la fitta che conseguì il salto, e stringendo i denti bloccai la palla con
determinazione, mandandola nel campo avversario e facendo punto.
I miei compagni mi si
avvicinarono dandomi pacche sulle spalle e sorridendomi incoraggianti, e
sorrisi di rimando.
Rivolsi un’occhiata
ad Eleonora, furiosa nel suo atteggiamento distaccato.
I punti successivi
furono più impegnativi da conquistare, soprattutto perché fui rallentata nei
movimenti.
Eravamo dunque giunti
ad un punteggio di 14-13 per noi, un punto e avremmo vinto.
Respirai affannosamente
mentre la palla veniva difesa da un mio compagno ed in seguito alzata dal
palleggiatore verso di me.
Era il mio momento,
potevo e dovevo farcela.
Resisti ancora un po’, mi dissi mentalmente, facendo la
rincorsa e saltando quanto più potevo.
La mia nemica mi sovrastava
imperiosa, una rete a dividerci.
Immaginai che la
palla fosse la sua faccia, ed impiegai una forza fino ad allora sconosciuta.
Schivai le sue mani e
centrai un punto vuoto in zona sei.
Ce l’ho fatta,
sorrisi stancamente durante la discesa del salto.
Non feci in tempo ad
elaborare il pensiero, che la mia caviglia già provata ed instabile mi fece
perdere l’equilibrio al contatto col suolo.
Caddi con un tonfo
sull’asfalto, l’ambiente circostante che girava vorticosamente nella mia mente
ed un dolore sordo che mi procurò un annebbiamento della vista.
Udii voci concitate
avvicinarsi alla mia figura distesa al suolo, passi veloci e il richiamo del
professore.
Boccheggiai in cerca
d’aria, immobile e semi-incosciente in mezzo a tutta quella folla.
Una testa rossa in
particolare attirò la mia attenzione, occhi seri e vicini mi cercarono
ripetutamente.
Osservai quegli occhi
chiari, mi aggrappai a loro prima di chiudere le palpebre e sprofondare nel
buio più totale.
-Note autrice-
Holaaaa! Esco allo scoperto dopo
essermi rintanata nell’ombra per un po’ di tempo!
Anyway, spero che questo capitolo vi
sia piaciuto, come è piaciuto a me scriverlo.
Ve l’aspettavate la vendetta di
Eleonora?
Io no ahahah
Sono stati i personaggi a
raccontarsi, io ero all’oscuro di tutto ç.ç
Il bacio inaspettato di Emanuele
come vi è sembrato? Io adoro la sua figura, non c’è niente da fare!
Alessandro invece come al solito ha
fatto lo sbruffone, ma è risaputo che oltre l’apparenza c’è di più.
Non dico altro eheh
Vi lascio con un caloroso saluto,
alla prossima,
Coglilarosa
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Capitolo 9 *** Love the way you lie ***
Capitol 8 WAU
Capitolo
8
La sofferenza è forse l'unico mezzo valido per rompere il
sonno dello spirito.
Saul Bellow, Il re della pioggia,
1984
Gruppo facebook
Riaprii a fatica gli occhi, il respiro pesante e la mente
confusa.
Un soffitto bianco e incrostato apparve alla mia vista.
Sbattei più volte le palpebre, le mie mani a cercare un
contatto con la realtà.
Un tessuto grinzoso incontrò il loro tocco curioso, e subito
pensai al lenzuolo di un letto.
Provai a tirarmi su, ma il senso di vuoto che mi colse nel
momento in cui lo feci mi costrinse a riaffondare nel cuscino.
Cercai quindi di ricordare come fossi finita sul letto di quello che sembrava essere un
ospedale, ma i miei ricordi si fermarono a quando il mio sguardo aveva
incrociato quello di Alessandro.
Alessandro?!
Non potei evitare di alzare il busto di scatto, il respiro
improvvisamente accelerato e la bocca secca.
“Sofia!” Mi richiamò la voce familiare di mia madre qualche
metro distante.
“Ehi.” Mi rivolsi
stancamente alla figura che aveva appena varcato la soglia della mia
stanza.
Ora che ero più lucida il dolore alla caviglia si era
ripresentato, facendomi mancare l’aria.
Faceva male, eccome se faceva male.
“Come ti senti?” Mi chiese la mia genitrice carezzandomi
leggermente la guancia.
“Un po’ frastornata, ma tutto sommato bene.” Tentai di
nascondere il dolore alla caviglia con un sorriso tirato, ma mia madre non si
lasciò scappare il cipiglio cupo che adornava la mia fronte.
“Mi hanno detto i dottori che hai una distorsione alla
caviglia, non grave ma comunque da tener sotto controllo.” Cominciò perplessa.
Abbassai subito lo sguardo sul lenzuolo candido del mio
letto.
“Amanda e papà?” Chiesi, cambiando immediatamente discorso.
Non volevo che uscisse fuori la storia di Eleonora.
Era una questione tra me e lei, punto.
“Papà è a lavoro, ma verrà quanto prima, Amanda invece sta
arrivando con la macchina. Era da un’amica quando ha saputo che eri in
ospedale. Si è spaventata molto, come me e tuo padre d’altronde.” Mi informò,
occhi preoccupati a cercare i miei.
“Non è niente mamma, stai tranquilla. Piuttosto, quando
potrò uscire dall’ospedale?” Domandai ansiosa.
“Domani, ma dovrai indossare per una settimana delle bande
contenitive per evitare di compiere movimenti sbagliati.”
Annui lentamente, irritata dal dover indossare delle bande
contenitive, ma mi rimproverai mentalmente quando pensai che potesse andarmi peggio.
“Come ti è successo?” Chiese la donna, osservandomi
attentamente.
“E’ stato un incidente, ero nello spogliatoio e sono andata
a sbattere contro una panchinetta senza
rendermene conto. Credo che ad aggravarlo sia stato il fatto che abbia
continuato a giocare.” Parlai frettolosamente, ma con voce convincente.
“Ma a cosa stavi pensando?! Dovevi fermarti subito!” Mi riprese lei
severamente, il volto contratto.
“Mh mh hai ragione. Chi ha chiamato l’ambulanza comunque?”
Pronunciai distrattamente, intrecciando le mani all’altezza dello stomaco.
Distese il viso, rilassandosi lievemente.
“Credo sia stato lo stesso ragazzo che era qui poco fa.”
Persi un battito a quelle parole, non potendo non pensare a lui.
“Ah, e com’era questo ragazzo?” Evitai lo sguardo attento di
mia madre, guardando fuori dalla finestra della mia stanza.
“Alto, con una chioma tra il rosso ed il dorato. Aveva una
faccia conosciuta ora che ci penso.” Rispose, cercando di ricordare.
E ci
credo che ha una faccia conosciuta, è il mio ex fidanzato!
“Sofia, grazie al cielo!” Si intromise nei miei pensieri la voce di Amanda, facendomi sobbalzare.
Notai le sue guance arrossate, i capelli arruffati e gli
occhi carichi di preoccupazione.
Vederla in quello stato mi fece sentire ancora più in colpa
per come l’avevo trattata.
“Ciao.” Biascicai, le mie labbra ridotte ad una linea retta.
Senza preavviso le sue braccia mi circondarono con foga, e
vari singhiozzi si infransero sul mio collo.
“Piano Amanda, ha le flebo!” La redarguì mia madre.
Oh giusto, nemmeno mi ero accorta di averle.
Osservai mia sorella staccarsi cautamente, i suoi occhi
bagnati dalle lacrime mi scaldarono il cuore.
“Mi hai fatto davvero preoccupare, lo sai?” Sussurrò in modo
tale che potessi sentirla solo io.
“Scusa.” Ammisi mortificata.
“Vi lascio da sole, io sono al bar di sotto se vi serve
qualcosa.” Si congedò con un sorriso nostra madre.
Aspettammo che uscisse, per poi guardarci in silenzio.
“Mi dispiace davvero Amanda, non volevo farti spaventare” Mi
giustificai, asciugando le ultime lacrime sul suo volto con le mie dita. “E mi
dispiace per averti nascosto una cosa importante come il bacio con Emanuele,
non so davvero cosa mi passasse per la testa.”
“Ti perdono, ma non farlo mai più.” Mi sorrise dolcemente.
Annuii senza remore, allungando le mie braccia indolenzite
per le flebo verso di lei e carezzandole
la testa.
Rimanemmo in quella posizione per qualche minuto senza
proferire parola, fino a quando Amanda si sollevò dal mio petto e mi scrutò sospettosa.
“A proposito, mi spieghi come sei finita in ospedale? E non
inventarti cazzate, quelle risparmiale per nostra madre.” Finì con una risatina.
Risi leggermente anche io, decidendo di raccontarle la
verità.
Le spiegai tutto dal principio, dall’astio di Eleonora nei
miei confronti fino alla sua vendetta.
“Che stronza! Posso tirarle un pugno sul naso quando la
incontro? Almeno le faccio capire cosa significhi perdere i sensi.” Accompagnò
la frase con una faccia buffa, un misto tra rabbia ed irritazione.
Una grossa risata fuoriuscì dalle mie labbra, e scossi il
capo divertita.
“Non mi perderei per nulla al mondo una scena del genere, lo
sai, ma non voglio che si creino altri casini.” La feci ragionare, stringendole
le mano posata sul mio grembo.
Sbuffò infastidita, ma non mi sfuggì il suo sorrisino.
“Eh va bene, ma non è giusto che la passi liscia dopo quello
che ha fatto.”
“Suppongo che ci penserà il senso di colpa a torturarla.”
Alzai le spalle come se non mi interessasse.
“Alessandro cosa ha fatto invece?” Mi interrogò con tono
sarcastico.
Non le stava molto a genio da quando ci eravamo lasciati, e
non potevo che essere pienamente d’accordo con lei.
“Ha detto mamma che è stato lui a portarmi in ospedale.”
Raccontai atona.
Apparentemente, perché dentro ero invasa da troppe emozioni
a cui non riuscivo a dare un nome.
Aggrottò le sopracciglia, incredula.
“Stai scherzando vero? E perché avrebbe dovuto? Non gliene
importa nulla di te.”
Non riuscii a mascherare a me stessa la morsa allo stomaco
che mi attanagliò alle sue parole.
Era vero, assurdamente vero, a lui non importava nulla di
me. Si divertiva a giocare, a cacciare come un abile predatore, voleva
confondermi per poi infliggermi il colpo mortale.
Io ero
la sua vittima.
Il peso di quella consapevolezza mi schiacciò senza che lo
volessi, portandomi ad abbassare lo sguardo.
“Scusa, non volevo essere così diretta.” Si scusò Amanda
rammaricata.
“Non devi scusarti, in fondo hai solo detto la verità.”
Accennai ad un sorriso, uno di quelli dolorosi, che ti svuotano dentro.
Non aggiunse altro, si limitò a spostarmi una ciocca
invadente dietro l’orecchio.
“Sai, forse questo potrà risollevarti il morale.” Disse con
una ritrovata allegria, cacciando dalla borsa una barretta di cioccolato alle
nocciole.
Mi illuminai alla sola vista, afferrando la mia salvezza.
Scartai l’involucro, e addentai il primo pezzo.
“Glaffie.” Ringraziai mia sorella prendendo un altro morso.
Scosse la testa compiaciuta, ravvivandosi i capelli ancora arruffati.
Udimmo improvvisamente dei passi veloci e umidicci sul
pavimento piastrellato dell’ospedale.
“Ah Amanda ci sei anche tu.” Affermò affannato mio padre,
sorreggendosi con un braccio allo stipite della porta.
Entrò poi nella stanza, una profonda ruga d’apprensione a
ricoprirgli il volto leggermente sbiancato.
“Come ti senti?” Mi domandò con voce carezzevole.
“Ora bene, non volevo farvi preoccupare così tanto.” Mi
strinsi la barretta al petto, la fame
scomparsa.
Lo udii sospirare, e con la coda dell’occhio lo vidi
portarsi indietro i capelli un tempo folti e neri.
“Ascoltami” Mi richiamò.
Incrociai i suoi occhi, quanto mai espressivi.
“L’unica cosa che conta è che tu stia bene. Non pensare a
nient’altro. Intesi?”
Annuii lentamente, ancora immersa negli occhi dell’unico
uomo che mi avrebbe sempre rispettata e amata incondizionatamente.
Mi sorrise di un sorriso caldo, accogliente.
Davanti a quel
sorriso tutte le paure evaporarono dalla mia mente.
Mi sentivo protetta, e non c’era sensazione più appagante.
Se ne andarono solo quando l’orario delle visite finì,
assicurandomi la loro presenza l’indomani.
Mi premurai di mangiare il cibo poco invitante
dell’ospedale, per poi sistemare il cuscino infossato del letto.
Mi ci sistemai sopra, prendendo a fissare il soffitto.
Già mi mancava la mia famiglia.
In fondo si trattava di una sola notte da sola, ma allora
perché stavo tremando?
Chiusi gli occhi, decisa a dormire, ma il sonno tardava a
sopraggiungere.
L’oscurità aumentò la sensazione di disagio, la solitudine a
fare da spettatrice.
Una volta avevo sentito dire che il buio portasse con sé i
mostri più temibili, quelli della mente.
Speravo non fosse vero, non ero pronta ad affrontare i miei.
Ma come richiamati dal silenzio e dal tremore della mia pelle
scottante, si presentarono a me sotto forma di flashback.
“Sei
una stupida!” Mi denominò rabbiosamente Alessandro venendomi incontro a passo
spedito.
“Ah io
sarei la stupida? Non mi pare che sia io quella che nasconde le cose al proprio
ragazzo!” Sputai con astio, guardandolo dritto negli occhi di un blu più scuro
del solito.
“Non
sai niente! Smettila di saltare a conclusioni azzardate!” Mi riprese rudemente,
la mandibola contratta.
“Oh io
so tutto caro! So che hai passato il sabato sera ad ubriacarti con i tuoi amici
nel pub della città e Dio sa cos’altro!” Gli puntai il dito contro, convinta
delle mie parole.
Aprì la
bocca per dire qualcosa, ma la richiuse in fretta a corto di parole.
“Sono
stanca, stanca delle tue bugie, stanca di dover curare le tue ferite dopo una
rissa, stanca di aspettare qualcosa che non arriverà mai!” Gli gettai addosso
tutto il mio risentimento, liberandomi di un macigno presente da fin troppo
tempo.
Un
tempo in cui avevamo smesso di comunicare.
Un
tempo in cui avevo perso la speranza di
riuscire a cambiare il suo temperamento.
Un
tempo in cui il divario tra i nostri animi aveva cominciato a farsi troppo grande.
Un
tempo in cui l’orgoglio premeva per farsi sentire.
Un
tempo in cui il cuore aveva detto basta.
Gli
rivolsi un ultimo sorriso rassegnato, prima di dargli le spalle.
“Aspetta!”
Mi richiamò, facendomi voltare.
“Non
andartene…” Nella voce una supplica.
L’attesa
aleggiò tra noi densa e pesante.
Ero
stufa di fermarmi, dovevo andare avanti, io…
“Io ti amo.”
Un
sussurro appena udibile che ebbe l’eco di un uragano.
Lo
guardai spiazzata, i suoi occhi limpidi e sinceri.
Mai
tale espressione aveva lasciato le sue labbra.
Arrancai
nelle mie paure ancora una volta, le sue parole a calpestare le mie certezze.
Ci fu
un momento in cui il silenzio apparve l’unica soluzione.
Ma non
si basa una vita sul silenzio, e ce n’erano stati fin troppi nella nostra
relazione.
Gli
stampai un bacio che sapeva di addio sulle stesse labbra che poco prima mi
avevano inflitto il colpo fatale.
“A
volte l’amore non basta.” Sentenziai con vuota consapevolezza, un sorriso amaro
a marchiare il mio viso bagnato dalle prime lacrime.
Voltai
le spalle a lui, al mio amore cresciuto da poco in una terra incontaminata;
voltai le spalle alla mia più grande debolezza.
Le lacrime si rincorsero lungo le mie guance, rendendo il
respiro irregolare.
Avevo evitato per così tanto tempo quella sofferenza che era
come se la stessi provando per la prima volta.
Perché ora? Perché la ferita si era aperta proprio quando
era comparso Emanuele?
Strinsi i pugni intorno al lenzuolo, sfogando la mia
frustrazione sulla notte, sperando che il giorno avrebbe ripulito ogni
traccia di vulnerabilità come una mamma
comprensiva.
In mezzo alle lacrime intravidi il sorriso di Emanuele, che
presto si sovrappose a quello di Alessandro.
Scossi la testa furiosa con i miei stessi pensieri.
“Oh, al diavolo!” sibilai tra i singhiozzi.
Sarebbe stata una lunga notte.
La mattina seguente mi sentivo debole, spossata, troppe
lacrime erano state versate quella notte.
9:30.
Guardai l’orario sul mio telefono, che mi fece presente l’arrivo dei miei un paio
d’ore dopo.
Che
noia.
La colazione mi fu subito servita, ma la specie di brodaglia
che mi portarono non era assolutamente paragonabile ad un succo di frutta, e la
mela aveva avuto tempi migliori.
Feci una smorfia disgustata, avrei sicuramente rimediato una
volta tornata a casa.
Una vibrazione mi avvisò dell’arrivo di un messaggio, che
prontamente aprii.
Ehi
caviglia rotta come ti senti? Si sente la tua mancanza sappilo, ma non dire a
nessuno che ho osato dirtelo eh! Ti saluta anche Alice comunque :D
Sorrisi alle parole sullo schermo.
Scossi la testa.
Sempre
la solita, pensai.
Anche se non volevo
ammetterlo, quelle due mi mancavano più del dovuto.
Sbuffai sonoramente, esprimendo tutto il mio disappunto
verso gli ospedali.
Neanche
mi nutrivano come si deve!
Ricontrollai l’orario, erano le 10 in punto.
A quest’ora iniziava l’orario delle visite.
Tanto non sarebbe venuto nessuno a trovarmi.
Pensai ad Emanuele.
Era assurdo che non avessi nemmeno il suo numero di
telefono.
Ci
siamo baciati e nemmeno posso scrivergli!
Forse quella mattina si era chiesto che fine avessi fatto,
forse si era pentito di non avermi chiesto il numero, anche se dubitavo mi avrebbe
scritto in ogni caso, conoscendolo.
Sbuffai esasperata una seconda volta, strofinandomi gli
occhi e decidendo di andare al bagno per darmi una rinfrescata e magari fare
anche la pipì.
Chiamai l’infermiera per farmi togliere le flebo, che ormai
non avevano più alcuno scopo se non quello di farmi irritare maggiormente.
Ringraziai l’anziana signora con un sorriso, per poi
dileguarmi nel bagno con un po’ di fatica a causa della caviglia.
Avevo tutta l’intenzione di non incrociare il mio riflesso
nello specchio, ma un impulso incontrollato mi spinse a farlo.
Ah- ah,
grosso errore.
Sembravo reduce da un bombardamento, i capelli scompigliati
e le occhiaie che ricoprivano metà volto.
Menomale che non mi avrebbe visto nessuno in quello stato!
Mi sciacquai il viso, e con le dita stirai un po’ i capelli,
che comunque rimasero una catastrofe.
Finii col bagno ed uscii zoppicando, appoggiandomi al muro
adiacente al letto per non cadere.
Tenni lo sguardo basso tutto il tempo, ma l’ombra di una figura mi costrinse ad alzarlo.
Tutto si bloccò nell’istante in cui lo feci.
Non era possibile.
Non poteva esserlo.
Non lui.
Perché era lì?
E perché mi guardava in quel modo?
Un rantolo si infranse muto sulle mie labbra, strette e
incapaci di dire qualcosa.
Alla fine mi feci coraggio e lo affrontai.
“Cosa ci fai qui?” Chiesi duramente al ragazzo dalla chioma
rossa dinanzi a me.
Lo vidi alzare le mani come a volersi giustificare.
“Vengo in pace.” Rispose ironicamente.
“Preferirei il contrario.” Sillabai sarcasticamente a voce bassa.
Mi sedetti cauta sul letto, facendo attenzione a poggiare la
caviglia ancora un po’ gonfia.
Notai che anche lui rivolse la sua attenzione lì, ed
intravidi il cipiglio cupo che gli percorse il viso a quella vista.
“E’ solo una caviglia.” Mi difesi inconsapevolmente.
Mi dedicò un’occhiata di rimprovero che non mi piacque per
nulla.
A quel punto distesi la coperta sulle mie gambe per coprire l’oggetto
incriminato e mi poggiai stancamente alla testiera del letto.
Almeno non avrebbe più assunto quell’espressione
preoccupata.
Preoccupata?
Ma davvero?
Ricordai le parole di Amanda:
“Non
gliene importa nulla di te.”
Aveva ragione, era lì non perché fosse preoccupato, ma
perché perfino i bastardi come lui provavano pietà.
Ed io non volevo essere commiserata.
Non sarei
stata la sua vittima.
Il mio sguardo si accese di rabbia e le parole uscirono
rapide e taglienti come un vento freddo d’inverno.
“Carino da parte tua venire a trovarmi. Cos’è, finalmente il
senso di colpa per essere uno stronzo si è fatto sentire?”
Indurì la mascella, gli occhi scuri e furenti.
Rimase in silenzio. Un silenzio carico di parole sottintese.
Non
andare oltre, sembrava dirmi.
“Ah giusto, dimenticavo che tu non hai una coscienza. Sei
meschino, egocentrico nella tua spavalderia, pensi sempre e solo a te stesso,
dimenticandoti dei sentimenti altrui.”
Strinse i pugni, ma oramai la mia bocca aveva vita propria.
“Credi di essere invincibile, ma sei soltanto un povero
illuso, non ti rendi conto di essere solo, solo nella folla di amici che ti circonda,
solo nel dolore che hai seminato intorno a te,” Presi fiato e lo colpii nella sua debolezza “Solo, da sempre e per sempre”.
Lo vidi incassare il colpo, il suo corpo che tremava per la
rabbia e lo sguardo che per un attimo si dipinse di nero.
Arretrò di un passo, continuando a rivolgermi uno sguardo
sprezzante e carico di risentimento.
Ma non mi importava, si meritava tutto quello che gli avevo
detto.
Arretrò ancora, un passo, due passi, fino a voltarsi
completamente per lasciare la stanza.
Mise le mani nelle tasche della sua giacca, e seguii i suoi
movimenti fino a quando non uscì dal mio campo visivo.
Presi un profondo respiro, chiudendo per un secondo gli
occhi.
Nel momento in cui li aprii, un pezzo di carta bianca fece
capolino sul pavimento dove poco prima era passato Alessandro.
Incuriosita mi alzai e con lentezza quasi esasperante lo
raggiunsi.
Era un fogliettino accartocciato, un fogliettino
probabilmente sfuggito dalla tasca del ragazzo.
Lo raccolsi e lo spiegai con il respiro improvvisamente affannato.
Buona guarigione Sofia.
Riconobbi la sua scrittura disordinata, e notai come il
breve messaggio fosse stato buttato giù di fretta, come se l’avesse scritto
quella stessa mattina.
Ma allora questo voleva dire che…
…Aveva
saltato la scuola solo per venirmi a trovare in ospedale?
-Note autrice-
Hola chicas :D
Mi scuso per il ritardo, ma questa volta sono state
cause maggiori a non permettermi di pubblicare prima (come la mancanza di
connessione internet ad esempio) u.u
Questo è un capitolo un po’ più breve del solito, ma
con dei punti importanti per lo sviluppo della storia.
Abbiamo un flashback di Sofia e finalmente anche il
vero face to face dei due!
Cosa ne pensate?
Let me know :D
Alla prossima,
Coglilarosa
ps: Vi lascio con un'immagine di Alessandro imbronciato eheh
|
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Capitolo 10 *** Confessioni ***
capitolo 9 wau
Capitolo 9
Se lui deve fare una scelta, che la faccia subito. Così lo aspetterò.
Oppure lo dimenticherò.
Aspettare è doloroso. Dimenticare è doloroso. Ma non sapere quale
decisione prendere è la peggiore delle sofferenze. (Paulo Coelho)
Driin.
Driin.
Afferrai malamente il mio telefono, il pigiama nell’altra mano.
Erano passate sei ore dall’incontro
con Alessandro, e quel pomeriggio avevo deciso di restare a casa a
leggere un po’; non che potessi fare altro d’altronde.
Non guardai nemmeno chi fosse, ancora stordita per lo scontro con il rosso.
“Pronto?” Risposi con voce asciutta.
“Ciao, Sofia.” Un tono divertito mi fece trasalire, non mi dire che era…
“E-Emanuele?” Mi si formò un groppo alla gola, era davvero lui?!
“Esattamente.” Percepii il suo sorriso dall’altra parte del telefono.
“Come…Come fai ad avere il mio numero?” Trattenni il fiato per un momento, giusto il tempo di un arresto cardiaco.
“Non importa come.” Riconobbi il tono canzonatorio in quelle labbra morbide, soffici….
Sofia! Ti pare questo il momento di fantasticare sulle sue labbra perfet…ehm perfettamente normali?
Presi coraggio per
rispondergli piccata –per quanto potesse essere piccato il tono
di una ragazza con il cuore impazzito-, quando lui mi precedette.
“Ad ogni modo, carina la tua assenza stamattina.”
“Non sono stata molto…molto bene ecco.”
Non balbettare, non balbettare…
“Davvero? Ed io che pensavo ti fossi storta la caviglia.”
Aspetta un attimo, lui sapeva?!
Ma come diamine?
“Sei uno stalker?!” Domandai con circospezione.
“No Sofia, non lo sono. Puoi fare sogni tranquilli ora che lo sai.”
Ah beh, nei miei sogni ci sei sempre tu, per cui mi dovrei preoccupare ugualmente, pensai tra me e me facendo ben attenzione a non dirlo ad alta voce.
“Simpatico.” Lo appellai sarcasticamente.
Rise per qualche secondo. “Come stai?” Continuò subito dopo.
Come sto eh?
Ah, dimmelo tu, sono divisa tra la voglia di picchiare qualcuno e la voglia di picchiare me stessa!
“Bene grazie.” Risposi invece con un sorriso stentato che lui non avrebbe comunque potuto vedere.
“Mi fa piacere. Magari la prossima volta mettici un po’ più di impegno a far finta che sia la verità.”
Annaspai in cerca di parole, ma come faceva a capire il mio stato d’animo anche attraverso un telefono?!
“Non è vero!”
“Ora devo chiudere la chiamata, ma ci sarà un’altra occasione, non ti preoccupare.”
Si stava forse prendendo gioco di me?!
Dal suo tono capii che sì, si stava effettivamente prendendo gioco di me.
Ma tu guarda!
“Buona guarigione, Sofia.” Me lo disse con voce carezzevole, appena un sussurro.
Boccheggiai.
Chiamata terminata.
Buona guarigione, Sofia.
Anche Alessandro mi aveva riservato le stesse parole.
Strinsi il pigiama ormai stropicciato tra le mani e lo schiacciai contro la faccia.
Basta, basta, basta!
Le emozioni sembravano farsi guerra
tra loro, la felicità della chiamata di Emanuele si scontrava col senso
di colpa e l’angoscia per la discussione con Alessandro.
Mi sentivo stupida, stupida perché
non riuscivo a conciliare me stessa, non riuscivo a venirne a capo, ero
soggiogata dal mio stesso cuore.
Emisi un verso strozzato, il pigiama ancora premuto in faccia.
Mi gettai sul letto, sotterrando ancora di più il mio viso e le mie emozioni nelle lenzuola gialle.
“Sofia io sto uscen-’’ La voce di Amanda si arrestò non appena mi vide.
“Cosa stai facendo esattamente?” Mi interrogò, le sopracciglia inarcate.
Mi trovavo in una posizione piuttosto strana, metà corpo sul letto e l’altra metà sospesa, tra il materasso ed il pavimento.
Grugnii, incapace di emettere alcun suono.
“Farò finta di non aver appena
constatato la tua instabilità mentale.” Il sarcasmo proprio non le
mancava “Comunque volevo solo dirti che sto uscendo con Luca.” Il suo
tono assunse una sfumatura più dolce sull’ultima frase.
Dolce eh?
E’ questo l’effetto dell’amore, cosa che tu a quanto pare non conosci.
Ma smettila! Io sono sempre allegra, gentile, affettuosa…
…Bugiarda.
“Va beh, io vado. Ti lascio deprimere in pace.” Cinguettò prima di abbandonare la stanza.
Aspettai che chiudesse anche la porta di casa, prima di fiondarmi zoppicando in cucina.
Aprii il frigorifero, e appena scorsi l’oggetto dei miei desideri mi si illuminarono gli occhi.
Afferrai la barretta di cioccolata al latte, scartando il suo involucro e sorridendo a trentadue denti.
Nel mio tragitto verso la camera notai Annie guardarmi con gli occhioni spalancati dalla sala.
“Shh, che rimanga un segreto tra noi.” le sussurrai poggiando l’indice sulla bocca e facendole l’occhiolino.
Lei di risposta mi si avvicinò, un chiaro suggerimento a darle un biscotto come pegno.
“E va bene, ti darò un biscotto. Certo che sei furba tu!” Rammentai prima di fornirle quanto mi aveva silenziosamente richiesto.
“Beh d’altra parte, tale padrona tale cagnetta no?” Sorrisi.
Dal suo canto Annie andò a stendersi sul materassino, ignorandomi bellamente.
“Ah, i cani di oggi!”
Il pomeriggio seguente vennero a casa Sara ed Alice per farmi compagnia.
Le accolsi con un sorriso ed un barattolo di nutella in mano.
“Che fantastico benvenuto!” Rise Sara “Permesso!” Aggiunse poi entrando in casa seguita da Alice.
“Chi saluti se non c’è nessuno in casa?” La schernii con un ghigno.
“Scusa tanto se sono educata!” Mi rispose facendomi la linguaccia.
“Si si certo, venite in cucina.” Feci un cenno con la mano libera.
“Non c’è nemmeno Annie?” Chiese sorpresa Alice.
“No, se la sono portata dietro i miei genitori.” Spiegai.
La vidi mugugnare in assenso.
Ci sedemmo tutte e tre intorno al tavolo, prendendo una cucchiaiata di nutella di tanto in tanto.
“Allora, di cosa dovevi parlarci? Dal messaggio sembrava una cosa piuttosto importante.” Venne al dunque Sara.
“Beh, ecco…Diciamo che ieri sono successe un paio di cose…” Divagai un po’, tacendo subito dopo.
“Dai, non metterci sulle spine!” Mi riprese Alice contrariata.
Presi un respiro profondo.
In fondo non sapevo nemmeno io cosa pensare del giorno precedente.
Era accaduto tutto così velocemente che non ero riuscita a tenere il passo.
La notte precedente mi ero posta
domande, mi ero arrovellata su come comportarmi, mi ero chiesta quali
emozioni fossero giuste e quali sbagliate.
In cuor mio sapevo quali emozioni fossero sbagliate, ma era come se non riuscissi ad accettarlo.
“Ieri mattina….E’ venuto Alessandro in ospedale.” Rivelai cupamente.
Vidi le mie amiche sbarrare leggermente gli occhi, stupite della notizia.
Notai il loro silenzio e cominciando ad agitarmi le spronai a dire qualcosa.
“Sono senza parole.” Disse
Sara “Insomma, sappiamo entrambe come si è comportato fino ad ora, come
si comportava allora, per cui non riesco a comprenderlo.” Scosse la
testa con disappunto.
“Già…” Abbassai il capo sconfortata.
“Secondo me, prova ancora qualcosa.” Scandì lentamente Alice, come se il solo affermarlo fosse qualcosa di estremamente grave.
La mia risata espresse tutta la mia riluttanza a credere ad una simile ipotesi.
“Secondo me invece lo fa perché vuole confondermi, per farmi impazzire.” Spiegai rigirandomi il cucchiaino tra le dita.
Passò qualche minuto di silenzio, ognuna persa nelle proprie idee.
“Qual era l’altra cosa?” Chiese Sara nuovamente interessata.
Mi fermai con il cucchiaino di nutella a mezz’aria, le guance rosse per l’imbarazzo.
“Beh….Mi ha chiamata Emanuele ieri pomeriggio.” Riferii con voce timida.
“Lo sapevo, lo sapevo!” Trillò entusiasta Sara.
“Lo sapevi, ma cos-?”
“Ieri all’uscita da scuola ho visto
un ragazzo che dalle foto che mi avevi mostrato pareva proprio
Emanuele. Sembrava cercasse con gli occhi qualcuno, così mi sono
avvicinata e gli ho domandato se fosse lui e se ti cercasse. Mi ha
rivolto solo un cenno affermativo e dato che sembrava non volesse
aggiungere altro, quasi fosse a disagio, gli ho riferito cosa era
successo. Dovevi vederlo! Appena ho nominato la parola
‘ospedale’ ha leggermente dilatato le pupille, un movimento quasi
impercettibile, ma che grazie ai miei riflessi attenti ho potuto
cogliere.” Raccontò allegra.
“Oddio….” Abbassai lo sguardo sulla tovaglia.
Tutto tornava! Il fatto che sapesse della caviglia, che avesse il mio numero…
“Aspetta, gli hai dato tu il mio numero?” Le chiesi improvvisamente.
“Diciamo che ho fatto in modo che
casualmente mi sentisse mentre lo pronunciavo con aria distratta ad
Alice.” Spiegò in tono complice.
Mi poggiai una mano sulla faccia, incredula.
“L’espressione di Emanuele è stata impagabile! Ha accennato ad un sorriso scuotendo la testa.” Disse Alice tra le risate.
“Oh mio dio….ma che amiche ho?” Pensai ad alta voce.
“Ehi, queste amiche di cui tanto ti
lamenti ti hanno fatto guadagnare una telefonata da parte sua!” Mi
rimbeccò Sara fintamente offesa.
Sorrisi rassegnata, “Già.” Mi ripresi “Ma dimmi un po’ Sara, con Stefano?”
Il rossore sulle sue guance si accentuò non appena pronunciai quel nome.
“Ma guarda guarda! Sara che non riesce ad emettere alcun suono, che evento!” La presi in giro dandole una gomitata.
“Non è vero, mi hai solo presa alla sprovvista!” Obiettò con troppa enfasi.
“Non c’è nemmeno bisogno di risponderti, le tue guance parlano per te.”
“E va bene! Ci stiamo frequentando, ma per ora nulla di più. Voglio andarci cauta.” Sospirò.
Come biasimarla, in fondo la sua prima relazione era stata un disastro.
Ricordavo chiaramente il fidanzato
di Sara, un ragazzo tranquillo, ma che nell’ultimo periodo era
diventato parecchio possessivo e geloso, tanto che aveva costretto la
mia amica a non uscire più in presenza di ragazzi.
Era stato molto difficile per lei lasciarlo, ma alla fine aveva compreso che era la cosa migliore da fare.
Le strinsi la mano, e lei mi rivolse un sorriso di ringraziamento.
“E a me nessuno pensa?” Borbottò Alice con le braccia incrociate.
“Perché, hai qualcosa da raccontare?” Le rispose ironicamente Sara.
“Certo! Non sapete chi mi ha scritto ieri sera in chat!” Gongolò la mora.
“Evan Peters?”
“Orlando Bloom?”
“Ah no aspetta, lo so! Chris Evans!” Esclamai io con un dito puntato verso Alice.
“Ah ah, davvero simpatiche. Preparatevi… perché è Alberto Della Croce*!”
Mancava poco che mi rotolasse la mascella fino al pavimento.
“Cosa?!” Urlammo io e Sara basite.
“Alberto….” Cominciai io.
“…Della Croce.” Esalò la bionda.
“Esattamente.” Ghignò la nostra amica.
“Ma quell’Alberto? Lo stesso nerd con cui mi sono sentita un paio d’anni fa?” Domandai io in cerca di conferme.
“Già, non ci potevo credere neppure
io. Insomma, non credevo che potessi interessargli, visto che ha sempre
avuto occhi solo per te.”
“In quale perverso mondo una
persona dimostra di tenere ad un’altra diffondendo la voce che sia una
poco di buono?” Chiesi scettica.
“Ma dai Sofia! Era palese che stesse solamente rosicando perché lo avevi snobbato per Alessandro.”
Non la pensavo esattamente allo stesso modo.
Insomma, è vero che per lui non doveva essere stato un bel colpo, ma se Alessandro mi aveva affascinata che colpa potevo averne?
Scossi la testa per non pensarci ulteriormente.
“E tu?” Chiesi invece “Cosa provi per lui?”
“Ammetto che un minimo di interesse c’è sempre stato da parte mia…” Abbassò lo sguardo.
“E me lo dici solo ora?” Sbottai.
“Io…Non sapevo bene come dirtelo…Temevo l’avresti presa male.” Soffiò fuori colpevole.
“L’unico motivo per cui potrei
contestare questa cotta è che conosco il soggetto e non vorrei non ti
trattasse come meriti.” Spiegai risoluta guardandola dritta negli occhi.
“Beh, mi guarderò bene dal permetterglielo.” Mi sorrise.
Sorrisi anche io più serena.
Era strano immaginare Alice insieme ad Alberto, erano due elementi che in un qualche modo sembravano non potersi incontrare.
Ma chissà, a volte i pezzi di un incastro perfetto non andavano cercati in superficie, bisognava scovarli nell’ombra.
“Dicevi quindi che Alberto ti ha scritto…” Riprese Sara curiosa.
Accoccolata nel mio letto guardavo pensierosa la bacheca di Alberto.
Il suo interesse per Alice era
stato del tutto inaspettato, proprio lui che tanto mi aveva criticata
per essermi presa una cotta per Alessandro, uno dei suoi amici più
stretti, ora stava facendo esattamente la stessa cosa.
Okay, forse la situazione era un
po’ diversa, considerato il fatto che io per lui non provavo
assolutamente nulla, se non un leggero fastidio per come mi aveva
giudicata, mentre lui probabilmente aveva smaltito la cotta per me più
lentamente.
Sbuffai, quella situazione mi rendeva inquieta e non mi piaceva affatto esserlo.
Chiusi Facebook, controllando la mia rubrica telefonica.
Il nome Emanuele Montebello
spiccava su tutti gli altri come un’insegna a neon, e io non potei fare
a meno di chiedermi se anche lui in quel momento mi stesse pensando.
Che idiozia, pensai divertita, di certo Emanuele non sembrava il tipo da sciocchi pensieri adolescenziali.
Sembrava quasi impossibile collocarlo in quella fase, era troppo maturo per poter essere paragonato ai suoi coetanei.
Altro che Alessandro, che invece pareva più un bambino capriccioso, sempre bisognoso di attenzioni.
Eppure il bambino capriccioso non ti dispiace affatto.
Non è vero! Non lo sopporto!
Ma vallo a raccontare a qualcun altro! Sono la tua mente, chi meglio di me può saperlo?
Non ribattei, in fondo non avevo
argomentazioni valide per schiodarmi da quella che assomigliava più ad
una condanna che ad una semplice constatazione.
Chiusi semplicemente gli occhi, venendo assorbita dal flusso dei miei ricordi.
“Cosa hai fatto alla mano?” Domandai agitata ad Alessandro.
Le sue nocche erano praticamente spaccate, così come il suo zigomo destro.
“Nulla che abbia importanza.” Evitò il mio sguardo.
“Vuoi dirmi che questo non ha importanza?” Gli presi la mano martoriata e la sollevai.
Emise appena un gemito di dolore alla mia stretta, e io ritirai la presa in fretta, come scottata.
“Guardami.” Lo esortai cupamente.
Ci mise qualche secondo a fare come gli avevo detto, ma appena lo fece la mia lucidità vacillò.
“Non farlo più.” Voleva sembrare un ordine, ma ne uscì fuori una sorta di supplica.
Lui si limitò a guardarmi, per poi avvicinarmisi puntando alle mie labbra.
Lo respinsi tenendolo per il petto, non poteva cavarsela in quel modo.
“Devi promettermi che non ti metterai più in certe situazioni.”
Nel suo sguardo lessi frustrazione, dolcezza, rabbia, affetto.
Erano troppe le sensazioni che mi stavano trasmettendo i suoi occhi, ma rimasi ferma sulle mie posizioni.
Al suo silenzio rinforzai la presa sulla sua maglietta.
“Promettimelo.” Imperai con decisione.
“Te lo prometto.” Pronunciò con voce calda prima di baciarmi.
Soffocai la mia collera e la mia delusione in quel bacio, soffocai me stessa, ancora una volta.
*Vedasi capitolo 2
-Note
autrice-
Chi non muore si rivede! Eheh *tossicchia con aria colpevole*
Non mi dilungherò in giustificazioni chilometriche, sappiate solamente che non
era mia intenzione farvi aspettare così tanto (questo capitolo l'ho dovuto
pubblicare così corto per non farvi aspettare ulteriormente).
Purtroppo l'ispirazione non è arrivata per molto tempo, e tra la scuola
massacrante e i vari problemi ho trascurato la storia.
Spero capiate le mie ragioni!
Cosa aggiungere, ringrazio chi è rimasto e non biasimo chi se ne è
andato, credendo che ognuno abbia la proprie motivazioni :)
Alla prossima,
Coglilarosa
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