Una finestra sul Reno

di itsbrie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Parte ***
Capitolo 2: *** Seconda Parte ***
Capitolo 3: *** Ultima Parte ***



Capitolo 1
*** Prima Parte ***


Salve a tutti! 
Ebbene sì, manco su EFP da un anno buono e me ne dispiaccio molto.
Ho avuto un periodo piuttosto complicato, esami di stato, università, trasferimenti, voglia di scrivere che altalenava nel vuoto cosmico.
Sono consapevole di essere alquando unpopular su questo sito (sempre per mea culpa) ma scrivere è una passione che mi sento di condivedere, per questo ho deciso di postare questo racconto per molto importante.
E' una trama semplice, forse un pò banale, ma ci ho messo tutta me stessa e spero si capisca.
E' una storia a capitolo unico, sono in tutto 24 pagine e per il momento, posterò le prime 12.
Con la speranza che possa piacervi, vi lascio alla "prima parte".
Vi invito dal profondo del mio cuore a commentare se leggete, ovviamente, sia critiche sia incitamenti, ho davvero bisogno di sapere cosa ne pensiate.
Un grazie per l'attenzione e un abbraccio a tutti.
Let:)


Una finestra sul Reno.

 a voi che siete stati ispirazione inconsapevole, degli amici sinceri, veri /
a voi, dedico questo racconto.


perché niente è come te
e me insieme
niente vale quanto te e me insieme
siamo due respiri
che vibrano vicini
oltre il male e il bene
niente è come me e te
insieme
(Chiara – Due Respiri)


Sono poche le persone che lasciano in noi tracce visibili del loro passaggio, sono poche le persone in grado di farci ricordare il loro nome subito dopo averle conosciute.
Sarà stato forse per il sorriso, per gli occhi vispi o misteriosi, oppure semplicemente perché quella persona ci è simpatica.
Sono tanti i volti che incrociamo ogni giorno, tra mezzi e luoghi pubblici, ci passano di fronte così tante persone che neanche ce ne accorgiamo.
E’ così difficile ricordarsi di qualcuno, a meno che non sia speciale.
Quando si incontra una persona speciale si riconosce subito; innanzitutto perché sarà una persona bella – in generale, non solo fisicamente – avrà una voce particolarmente profonda, farà dei gesti ipnotici ed organizzati – che risulteranno assolutamente spontanei e naturali - .
E’ facile perdersi nei gesti delle persone, ammesso che siano speciali, perché insieme alle loro parole ed ai loro particolari sguardi, ci dimentichiamo del resto.
Sempre perché è difficile incontrare persone speciali al giorno d’oggi, dovremmo essere ben pronti  a riconoscerne una, perché altrimenti, quando la incontriamo, potrebbe scappare via senza neanche averla potuta osservare per bene.
Prima di conoscere bene una persona, bisogna osservarla bene, altrimenti si rischia di restare ingannati dal bell’aspetto o da quell’attraente modo di fare.
Quante volte ci è capitato di perderci negli sguardi di qualcuno che è seduto di fronte a noi nella metro o in bus? Quante volte abbiamo desiderato spezzare il loro – ed anche il nostro – silenzio con una solo parola?
In un giorno come un altro, molto probabilmente non ci accorgeremmo nemmeno di incontrare una persona speciale, perché di solito siamo sempre troppo presi da altro.
Ed è incredibile come, fra tutte le persone che incontriamo, ci sarà sempre quella che attirerà la nostra attenzione in modo non inequivocabile.


 << Che cosa ti fa credere che ti accompagnerò alla festa di stasera? >> mugugnò Marco, passandosi una mano tra i capelli castani.
<< Il fatto che ci sarà Sara, che avanti, lo sappiamo tutti che ti piace >> ribattè divertito Andrea.
<< Non sei un vero amico se mi ricatti in questo modo >> rispose il primo, incrociando le braccia, in segno di disappunto. La grande bocca si piegò in un sorriso e alzò le spalle << Preferirei andare a bene un po’ di vino da Claudio, non ho voglia di ubriacarmi e perdere il controllo >>
<< Come se da lui questo non succedesse >> puntualizzò Andrea come se fosse stata appena pronunciata un’eresia.  Si aggiustò meglio gli occhiali tondi e spessi sugli occhi e attese una risposta soddisfacente.
Marco sospirò << Senti, ci ho pensato >>
<< A cosa? >>
<< A Sara, al fatto che mi sono stancato di mandare la mia vita a puttane, nel vero senso della parola >> affermò con un certo sconforto, come se le sue parole esprimessero una grande angoscia interiore.
<< Beh sono vent’anni che lo fai, che differenza fa? >>
<< C’è che mi sono seccato! Sono anche stanco di passare da una ragazza all’altra senza neanche accorgermene, sono stanco di guardare una ragazza e pensare se potrei farmela o meno >>
Andrea storse il naso << E dunque qual è la morale della favola? >>
<< Che non verrò con te stasera, o almeno non vorrei >>
Gli occhi di Marco si persero un attimo nel grande atrio dell’università, molto probabilmente alla ricerca di qualche sguardo su cui appoggiarsi.
Ma c’erano solo sconosciuti.
Che pensiero strano aveva avuto quella mattina, che cosa strana aveva appena detto al suo amico.
Eppure era da un po’ di tempo che pensava alla sua vita, al fatto che niente in essa fosse veramente stabile a parte la famiglia, gli amici lo sport o qualche scarsa abitudine.
Lui infatti non era tipo da abitudine, eppure faceva tennis e nuoto da una vita, fumava da un po’ di tempo, guidava da due anni e al mare ci andava sempre alle due di pomeriggio.
Tutti questi impieghi non erano per lui abitudini, ma più modi di essere, come se si affezionasse a una qualunque di quelle  perché gli piacevano e non perché voleva farla proprie.
Invece, non si era mai accorto di essersi abituato ad essere quel tipo di Marco, non ad un ragazzo qualunque.
Era quel Marco che beveva litri di vino, che amava le feste con tante gente, che quando abbassava lo sguardo  rideva sempre e quando si passava la mano tra i capelli diceva sempre “Non sono bellissimo?”.
Eppure, da un tempo tutte queste cose, che amava lo stesso, non gli sembravano abbastanza.
Nella sua interpretazione delle cose, stava semplicemente cercando di cambiare stile di vita e darsi una regolata, ma la verità era che aveva bisogno di un’altra abitudine – o meglio, una  nuova cosa a cui affezionarsi.
In quella città, dove arrivavano fiumi di persone, ogni volta si domandava se ci fosse la sua potenziale donna ideale, quella che gli avrebbe fatto perdere la testa e impazzire.
Aveva visto tutti innamorarsi di qualcuno, ma lui no, lui voleva fare l’innamorato, ma non ci riusciva.
Si infatuava delle ragazze, le corteggiava, si divertiva, gli piaceva passare tempo con loro, ma dopo un po’ si accorgeva che non era questo che cercava.
In realtà neanche lui sapeva cosa cercava, la verità era che era semplicemente innamorato della vita, dell’allegria, delle belle ragazze, dell’estate, del chiasso, della musica, del rumore.
Non c’era silenzio nella sua vita, il silenzio distrae e frastorna, proprio come fa il sole quando sorge.
<< Sono certo che varcherai la soglia del locale più in forma che mai >> concluse Andrea.
<< Beh staremo a vedere amico mio, in caso ti devo un bicchiere di birra >>
<< Come mai mi salti il vino, questa volta? >>
<< Perché hanno aperto un pub irlandese nuovo e dobbiamo assolutamente andarci >>
Andrea rise di gusto e si domandò perché lo sguardo di Marco si fosse fissato nel vuoto.

 Bologna era un città che pullulava di ragazzi, che pulsava di vita da tutte le parti.
“Bologna la rossa” così la chiamavano comunemente, per un motivo politico, eppure a Chiara sembrava che fosse chiamata così perché rosso era il colore della passione, dell’euforia, della gioia, e per questo Bologna era rossa, perché era vitale e splendente.
Quando scese dal treno si accorse che la sua permanenza lì sarebbe stata come al solito, perfetta ed in sintonia con se stessa.
Perché quel posto le trasmetteva calma, la rassicurava e la cullava.
Amava uscire per i vicoli che pian piano si incrociavano e si perdevano; amava guardare i ragazzi che si abbandonavano all’euforia della sera e urlavano felici; amava guardava quel posto attraverso il cristallo lucente dei bicchieri di vino che abbondavano.
Come se quello fosse il posto a cui appartenesse da sempre, si diresse verso l’indirizzo del bed&breakfast dove avrebbe alloggiato per le successive settimane.
Era sempre lo stesso, non lo aveva mai cambiato.
Gestito da un anziano signore e la sua altrettanto anziana – quanto scaltra e vivace – sorella.
Non lo sceglieva solo perché le regalavano sempre la pasta fatta in casa o perché le facevano pagare una sciocchezza, ma perché quel luogo era riuscita a darle una casa in un posto che non era il suo.
Quell’odore di vecchia casa misto agli invitanti odori della cucina, garantivano serenità e affetto incondizionato.
E per Chiara, che faticava tanto a fidarsi delle persone, era una mano santa.
Era dura per lei illudersi di avere una vita normale, illudersi avere le stesse abitudini dei suoi coetanei, e immaginarsi - anzi sapere - che ci fosse qualcuno che come lei si era visto strappare una parte della sua giovinezza, una delle più belle.
Non era colpa di suo padre se si era ammalato, neanche di sua madre che era morta più di dieci anni prima.
Eppure non si era mai lamentata, non ci aveva mai provato a prendersela con il mondo per quanto le era capitato, non voleva che le sue disgrazie infierissero con il suo modo di vedere la vita, così straordinario e unico. Perché lei era così, amava la vita tutto e per tutto.
Troppo appassionata, vivace, allegra, sincera, attenta.
Era così che era vista Chiara, troppo onesta nei confronti di se stessa, sciolta dalle briglie di qualunque pregiudizio, amante delle piccole cose, credente nella forza di cuori grandi, dei desideri puri e dei sorrisi veri e lucenti.
Non poteva descriversi in altro modo Chiara, era semplicemente appassionata.
Così, era tornata a Bologna per darsi alcuni esami, e forse sarebbe rimasta lì più delle altre volte in quanto sua zia Gilda si sarebbe presa cura di suo padre per darle modo di fare tutto con calma.
Sarebbe stato difficile per lei una volta tornata affrontare la quotidianità e la malattia di suo padre, ma avrebbe fatto tutto con la dedizione e l’amore lui si meritava.
Come sempre, da tanto tempo.
Per adesso pensava a godersi una Bologna gelida a fine Novembre.
<< Finalmente ti terremo qua più di dieci giorni! Dolce Chiara, era da tanto che mancavi! >>
La ragazza sorrise alla signora anziana che, tutta indaffarata nella sua cucina, faceva valanghe di pasta fresca per sé ed i suoi ospiti.
<< Prometto che stavolta la aiuterò a fare i tortellini! In famiglia si lamentano perché non ho ancora imparato a farli >>
La signora rise << Ora Giovanni è uscito, ma quando tornerai, avrai per tu un delizioso banchetto >>
<< Gli altri ospiti non saranno gelosi del trattamento che mi riservate? Un giorno qualcuno lo farà >>
La signora Elena fece una piccola smorfia divertita << Il giorno in cui qualcuno oserà farlo, stai certa che qui non sarà più il benvenuto! >>
<< Oh su, ora non esageriamo! Prometto che non dirò a nessuno delle torte con doppio cioccolato che mi fa trovare in cucina a colazione.. >>
Entrambe scoppiarono in una risata allegra, e in quel momento a Chiara sembrò quasi di essersi scordata dei dolori che portava con sé.
A Bologna non conosceva troppa gente e non sapeva neppure se valesse la pena conoscerne visto il poco tempo che vi trascorreva.
Molte volte qualcuno le chiedeva per quale motivo venisse a Bologna solo per darsi gli esami e diciamo che, indirettamente, le chiedevano perché sprecasse tutti quei soldi – visto che lei era di Roma e poteva benissimo starsene a casa sua – e ogni volta, lei rispondeva che valeva la pena stare lì anche solo per un’ora!
Insomma, come spiegare ad un estraneo che tuo padre è malato di Alzheimer  e che, anche se volessi, non lo lasceresti mai e, anche se fosse, sono sfatti suoi e non degli idioti che non capiscono nulla?
Per lei era importante staccare un po’ la spina, respirare un po’ d’aria nuova, ma questo ipotetico estraneo, come avrebbe potuto capirlo?
Come avrebbe potuto anche solo comprendere un minimo di quello che provava?
Forse era un suo problema non riuscire a aprirsi, forse era colpa sua se di fronte ad uno sconosciuto aveva sempre paura di venire giudicata o anzi – peggio – di venire compatita ed essere considerata sfortunata.
Ma sfortunata di cosa? Per aver sofferto?
Beh in fondo tutti soffrono, chi prima, chi dopo, a lei era successo e non poteva davvero farci  nulla.
Lo accettava perché era così, cos’altro poteva fare?
Tanto nessuno avrebbe compreso il suo struggimento, nessuno avrebbe intuito la sua infelicità, data la sua – nonostante tutto - incredibile gioia, nessuno avrebbe compreso il vuoto che c’era nei suoi occhi.
Quando si accorse che era arrivato il momento di uscire, sospirò.
<< Vado a liberarmi di questo esame. O la va o la spacca >> disse.
La signora Elena le fece l’occhiolino << La va, la va >>
E Chiara ci credette davvero.
 
***
L’università di Bologna si presentava come un luogo aperto e limpido, brulicante di cultura, sorprese,  delusioni, soddisfazioni, rivincite, ma soprattutto, di vita.
Chiara si ricordava  ancora la prima volta che vi mise piede e quello che provò.
L’aria elettrica, l’ambiente stimolante di una università che accoglieva persone di tutti i tipi e che le vedeva passare giorno dopo giorno.
Molte volte si sentiva come un pesce fuor d’acqua, ma poi, quando le capitava di incrociare lo sguardo di una qualunque persona, capiva di essere lì per il suo stesso motivo, e che non aveva nulla da temere se non il professore che avrebbe dovuto affrontare tra breve.
Entrò nel grande atrio della facoltà di Giurisprudenza e si guardò intorno spaesata.
Non aveva idea di dove fosse l’aula che le serviva.
Anzi, non sapeva neanche quale aula le servisse.
Nel gabbiotto all’ingresso avevano disertato tutti e, invano, tentò di chiedere informazioni a qualcuno.
Tutti le rispondevano male, tutti erano nervosi, e capitava che quando qualcuno si accorgeva che lei stesse per parlare, subito si allontanasse per evitarla.
Non aveva beccato la giornata giusta per gli studenti della facoltà.
Con la borsa che le stava tranciando una spalla, si avviò a controllare le innumerevoli bacheche in cerca di qualche informazione.
Ma neanche questa ricerca produsse il risultato sperato.
Stanca e spazientita, decise di fermare il ragazzo che stava venendo nella sua direzione.
Per un attimo si fermò ad osservarlo : alto, mani grandi, spalle larghe e sguardo profondo.
Molto probabilmente però, neanche lui si sarebbe fermato per darle una mano.
Diede un’occhiata all’orologio e vide che aveva a disposizione ancora una buona mezz’ora.
Il problema era che fino a che avesse trovato l’aula, sarebbe passata ancora dell’altro tempo, lei avrebbe fatto tardi e forse il professore non le avrebbe fatto sostenere l’esame.
D’accordo – si disse respirando appena, e decisa come poche volte, fermò quel ragazzo.
<< Scusami >> disse farfugliando – e sperò con tutta se stessa di aver parlato una lingua conoscibile e non avesse solo aperto la bocca per belare come una pecora - << Ho bisogno di sapere dove si trova l’aula dove il professor Tomasi farà gli esami >> terminò la frase mordendosi l’interno della guancia.
Lo sguardo che le rivolse quel ragazzo non fu di sdegno, quanto di divertimento.
Infatti, alzò le spalle e ridacchiò appena << Certo che lo so, ho fatto l’esame un’oretta fa >>
Lei sorrise come non le era ancora capitato di fare quella mattina e sospirò << Meno male, mi stai salvando la vita >> ammise guardandosi intorno << Tutte le persone che ho fermato mi hanno risposto che non lo sapevano oppure dicendomi “Ti pare che non sai l’aula dove devi fare l’esame?” >>
Il giovane rise di gusto, ammirando la scioltezza della ragazza che senza nemmeno conoscerlo, aveva iniziato a parlargli come se fossero amici da sempre.
La guardò negli occhi – verdi, intensi - e scosse il capo << Comunque l’aula è al primo piano, proprio di fronte l’aula studio. Hai presente? >>
Chiara iniziò a fare mente locale, sforzandosi di ricordare il più possibile i luoghi indicati dal ragazzo.
In quell’aula studio del primo piano aveva passato quasi un intero anno della sua vita, certo che se lo ricordava. E’ vero che non vedeva quella università da un po’ di tempo, ma ancora non aveva perso la memoria.
<< Si, si certo! Intendi l’aula C, vero? >> domandò per avere conferma.
<< Esattamente! >> ribadì il ragazzo con una certa enfasi << Ma sbaglio o non sei frequentante? Non mi sembra di averti mai vista in giro >>
Dopo aver detto quelle parole Marco si rese conto di aver fatto la figura di quello che ci stava provando, cosa che in realtà non gli era neanche passata per l’anticamera del cervello.
Per questo, si affrettò ad aggiungere << Giusto per darti una dritta per l’esame, tranquilla >>
Chiara sorrise e annuì << Si, non ho mai frequentato, mi sono preparata da sola >>
<< Che coraggio, e se mi permetti, devi essere molto brava, io per capirci qualcosa di processuale civile ho dovuto sforzare il mio intelletto davvero di tanto >>
Lei arricciò il naso << Mi sono preparata molto effettivamente >>
Marco si passò una mano tra i capelli castani – ma non disse che era bellissimo -  << In ogni caso è fissato con il processo cautelare uniforme e processo sommario di cognizione, te li chiederà senz’altro, sono le sue domande standard >>
Chiara memorizzò tutto mentalmente, sentendosi segretamente grata a quel ragazzo che la stava aiutando così spontaneamente senza troppe domande.
Forse era stato l’unico estraneo che le aveva trasmesso qualcosa che non fosse solo timore.
<< Sei un angelo, grazie mille! Ora devo andare, altrimenti mi boccerà e mi toccherà tornare al prossimo appello, e sinceramente non posso permettermelo >> sospirò appena, senza farsi sentire << Ti ringrazio di nuovo e ti auguro una buona giornata! Ciao! >> gli sorrise – ancora, a trentadue denti, serena e sollevata – e si avviò quasi correndo verso le scale.
Marco rimase lì, interdetto.
Avrebbe almeno voluto sapere come si chiamava.


Chiara uscì dall’aula C con un bel trenta sul libretto e un mucchio di soddisfazione che sollevarono il suo umore in un modo che neanche lei era capace di decifrare.
Prese il cellulare e chiamò sua zia Gilda per informarla del risultato, poi parlò con suo padre, che stranamente non ebbe bisogno di chiarimenti o spiegazioni per ricordarsi dell’esame di sua figlia.
<< Sei stata veramente brava piccola mia, ora perché non torni a casa a festeggiare? >>
Senza che Chiara se ne accorgesse, i suoi occhi si velarono di tristezza, rivelando tutta quella fragilità che almeno per un paio di ore non si era manifestata.
<< Papà tra un paio di giorni ho un altro esame, sono a Bologna, ci vediamo tra un po’ >> rispose lentamente.
Dall’altro capo del telefono udì un brusio confuso.
Molto probabilmente sua zia Gilda stava spiegando a suo padre che sarebbe tornata solo al termine dei suoi esami, a fine mese.
<< Chiara, scusami, non me lo ricordavo proprio! Al tuo ritorno ci saranno molte cose da festeggiare, però! Salutami i miei amici bolognesi, so che sei da loro >>
<< Certo papà, non temere. Ora stacco, ci sentiamo più tardi? >>
<< Mi raccomando, chiama anche la mamma >>
Chiara fu certa di sentire una lacrime attraversarle il viso.
<< Certo papà, lo farò subito. A dopo >>
Premette il tasto rosso del suo telefonino di vecchia generazione e chiuse gli occhi, iniziando ad immaginare come sarebbe stata la sua vita se le cose non fossero andate come sono diventate.
Immaginò come sarebbe stata la sua vita se sua madre non fosse morta quando aveva sette anni; immaginò come sarebbe stato se suo padre non si fosse mai ammalato due anni prima; immaginò come sarebbe stata la sua vita se avesse visto le cose con occhi più disinteressati e cuore meno pieni di voglia di vivere.
Sicuramente sarebbe stata più semplice, sicuramente avrebbe sofferto di meno e avrebbe sorriso un po’ di più, ma ora come ora non era importante.
Era arrivata ad essere la giovane donna forte che era per tutto quello che aveva passato, era diventata una ragazza appassionata dell’amore e della vita perché ne conosceva – forse non completamente – il vero valore, e voleva conservarla integra e intatta fino a che le fosse stato possibile.
Riaprì gli occhi, le sembrava essere passata un’eternità quando in realtà erano trascorsi solo un paio di secondi.
Si guardò intorno per assicurarsi di non essere stata scambiata per una matta e in fretta, si avviò verso l’uscita della facoltà con un peso in meno.


Marco era stanco di sentirsi cosa fare o cosa non fare, soprattutto non sopportava che a dirglielo fossero i suoi amici che non si rendevano conto di niente, poiché per bastava divertirsi e ubriacarsi, e se non si stava con un paio di ragazze a sera non si era fighi.
Era stanco di vite preconfezionate senza nessun rimborso.
Una volta resi conto dell’errore si poteva tornare indietro?
Anche lui aveva sbagliato a sprecare la sua vita dietro a cose effimere senza niente, si era lasciato trasportare in un vortice che lo aveva risucchiato e dal quale ora, faticava ad uscire.
Aveva acconsentito ad andare alla festa quella sera, aveva acconsentito ad una nuova serata in cui non era importante dove e con chi, ma bisognava darci dentro.
Era stanco, stanco come lo si può essere dopo una settimana di insonnia, stanco come lo si era quando si bruciano tutte le tappe e dietro di te c’è solo un tumulo di cenere.
<<  Ci troviamo alle dieci mezza sotto casa di Andrea e andiamo >> annunciò Paolo.
Tutti annuirono.
Anche Marco sembrò acconsentire nel suo silenzio.
I ragazzi si congedarono e lui non gli rivolse neppure una parola.
Non era arrabbiato con loro, non ne aveva motivo, era semplicemente arrabbiato con se stesso.
Studiare a Bologna non era stata la sua prima scelta, ma la delusione di non essere stato preso a Milano – per la Bocconi, si intende, lui ci teneva tanto – lo aveva indotto a cambiare frontiera.
Così, da Roma era arrivato nella città rossa, che lo aveva accolto con calore.
Non si era mai pentito di quella scelta, anzi, grazie al disguido della città del Nord, si era accorto che la scelta di Bologna era in assoluto la migliore che avesse potuto fare.
Aldilà dell’università, lì persone erano fantastiche – o perlomeno lo erano quasi tutte – e non ci si annoiava mai.
Lui non si era mai annoiato, si era sempre divertito anche nei periodi di esami, aveva sempre tirato fuori da quella città il meglio che potesse dargli.
Così la sua vita non era mai stata grigia o monotona.
Perché in fondo anche lui era così, anche lui amava vedere la sua vita piena di colori, di emozioni forti.
Ma adesso non gli bastava più, adesso aveva bisogno di più certezze, di più tranquillità e stabilità, aveva bisogno di avere un punto fermo nella sua vita.
Certo, aveva la sua famiglia e gli amici, ma non credeva più negli altri, non credeva più nella fiducia di qualcosa di nuovo che non aveva mai conosciuto che potesse cambiargli la vita.
Forse erano state le delusioni o le botte in testa, forse era il suo autocontrollo o troppa attenzione alle cose ad averlo reso così.
Questo non lo sapeva, era troppo difficile conoscere se stesso e farsi una ragione delle proprie ragioni.
Eppure si sentiva incompleto, come poteva sentirsi la luna senza le stelle o l’amore senza gli amanti.
Ma non era così bravo da capirsi totalmente, non era così bravo da decifrare il suo io.
Questi erano i pensieri che lo accompagnavano nel suo tragitto a casa, che mai come quel giorno era costellato di pensieri e vaghezze.
Tra l’altro, era anche a piedi a causa di una ruota bucata della sua bicicletta.
Anche se il tratto non era lungo, ma stava morendo di fame e come sempre dopo un esame, necessitava di una dormita pomeridiana di almeno tre ore.
Imboccò via Zamboni senza indugi e affrettò il passo per non incappare in qualcuno che conosceva.
Seduta ad un tavolo del Caffè Zamboni, però, intravide la ragazza con cui aveva parlato un paio di ore prima.
Il suo primo istinto fu quello di raggiungerla e chiederle dell’esame, ma si trattenne.
Se ne stava seduta lì, tutta sola a sfogliare distrattamente le pagine di un libro che non stava neppure guardando.
Si chiese perché fosse lì senza compagnia, perché faceva di tutto per evitare gli sguardi estranei, fino a che non incrociò il suo.
Si sentì un idiota, perché la stava fissando da un po’ e sperò di riuscire ad abbassare lo sguardo e filare dritto. Ma non fu quello che successe.
Chiara lo fissò, cercando di capire se fosse davvero lui, poi gli sorrise.
Lui ricambiò con un gesto della mano e senza aspettare risposta, andò via esattamente come aveva fatto lei poco prima, lasciando entrambi con un nodo alla gola.

****

Venerdì, a Bologna splendeva il sole, e uscita dall’università – dopo aver dato il secondo esame della settimana – Chiara si sentiva decisamente più leggera.
Bisognava stringere i denti un altro po’ e poi sarebbe stata libera per quel semestre, che sperava di concludere massimo per metà Febbraio.
Così sarebbe stata a casa fino a Maggio, da suo padre, dalle corse in ospedale, da sua…
No, assolutamente non doveva pensarci, non per quella mattinata almeno.
Ripose i libri nella borsa e si fermò a bere un goccio d’acqua dalla fontana appena fuori dalla facoltà.
Fu in quel momento che intravide il ragazzo che l’aveva aiutata giorni prima, e come se fosse la cosa più giusta o semplicemente perché voleva parlare con qualcuno, gli si avvicinò.
<< L’esame è andato bene alla fine, mi ha fatto anche le domande che mi avevi detto tu, quindi grazie >>
Marco la guardò senza capire per un paio di secondi, sorpreso dal gesto e dalla naturalezza con cui era stato compiuto.
Neanche l’aveva vista quella giovane con i capelli castani, che lei lo aveva sorpreso con pochissime parole.
Di gratitudine tra l’altro, che si ricordasse mai nessuno lo aveva fatto prima.
<< Beh era mio dovere >> rispose incerto << D’altronde ti serviva davvero una mano >>
Chiara annuì << Certo, e non mi vergogno di ammetterlo! Sai, potrei anche dirti che hai avuto un’impressione sbagliata su di me o che so io, ma ci hai davvero preso, bravo >>
Marco ridacchiò << Si beh, devo avere un certo talento >>
Lei alzò le spalle << Non saprei, sicuramente ti devo un favore per avermi predetto le domande dell’esame >>
<< Beh ma qui era risaputo che si orientasse su quelle, diciamo che sono andato a colpo sicuro >>
<< Certo, tu lo sapevi, ma io no, già era tanto se sapevo com’era fatto Tomasi, figuriamoci se potevo immaginarmi le domande >>
<< Giusto, avevo dimenticato che tu non hai frequentato >> aggiunse Marco, avendo avuto paura di un possibile risentimento della ragazza per le sue parole.
<< Ora ho appena dato l’esame di Vicenzi, e poi mi informerò per gli appelli di Gennaio di Borghese, speriamo bene >> gli disse la ragazza, continuando a comportarsi come si conoscessero da troppo tempo.
Marco non sapeva come comportarsi, perché di solito ci avrebbe già provato, le avrebbe già chiesto di offrirle un caffè o di andare alla festa la sera stessa, ma questa volta era davvero bloccato.
Anzi, la parola esatta era paralizzato.
Si sentiva paralizzato dal tono di voce così vivace della ragazza, dal suo sorriso così sincero, dalla risata cristallina e soprattutto dagli occhi – profondi, un po’ misteriosi - .
<< Sei davvero coraggiosa, te lo ripeto, io Vicenzi non ci penso neanche a darlo adesso, e Borghese mi sta di una tale antipatia che potrei insultarlo prima ancora di trovarmi davanti la sua faccia >>
Chiara scoppiò a ridere << Vedi i vantaggi di non frequentare? Almeno se trovo antipatico Borghese lo trovo antipatico per una mezz’ora, tu invece quando ti troverai all’esame di fronte a lui vorrai solo ucciderlo e sarai troppo occupato a pensarci per tutto il tempo >>
Marco annuì divertito << In caso volessi farlo mi aiuteresti? >>
Lei ci pensò su un attimo << Certo, solo dopo aver preso il mio dignitoso voto >>
<< No così non vale, non ha proprio senso, scusami >> protestò lui con un mezzo sorriso.
Chiara storse le labbra << Allora penso proprio che farai a meno del mio aiuto >>
<< Magari, se finalmente mi dici come ti chiami potrei ritirare questa stupida idea di sabotare Borghese e dimenticarcene per sempre, che ne pensi? >>
Marco la guardò negli occhi, stavolta di appurò che anche stesse facendo lo stesso.
E di fatti i loro sguardi si trovarono fusi per un tempo che non seppero determinare.
<< Io sono Chiara >> iniziò a dire << La ragazza che non ti aiuterà a commettere un omicidio >>
<< E io sono Marco, il ragazzo a cui hai appena infranto uno dei più grandi sogni >>
Entrambi sorrisero, arricchiti da uno scambio di occhiate che li stava travolgendo totalmente.
A Chiara sembrò di parlare con l’anima di Marco in quegli istanti, sembrò di comunicare con lui per raccontargli i suoi segreti più intimi, per rivelargli le più nascoste emozioni.
Per dirgli che era l’unica persona di cui si stava fidando senza neppure conoscerla.
Si stavano dicendo un sacco di cose, si stavano parlando nel modo più profondo possibile si stavano scambiando le anime e i pensieri.
<< Non sei di Bologna, Marco, vero? >> osservò Chiara, stavolta con più esitazione.
<< No, esattamente. Sono di Roma, e tu? >>
Lo sguardo della ventenne si illuminò improvvisamente << Oh mio Dio, davvero? >>
Lui la guardò senza capire << Davvero davvero, perché? Non ci credi? >>
<< Certo che ti credo, se però prima tu credi al fatto che sono anche io di Roma >>
Marco sorrise, felice << Questa sì che è una bella notizia >>
<< Lo vedi quante cose che si scoprono? >>
<< Senti, Chiara, risulto sfacciato se ti chiedo di prendere un caffè con me? >>
Lei scosse il capo, decisa << Avrei pensato il contrario se non lo avessi fatto >>
<< In che senso scusa? >> domandò lui, mentre con i suoi passi, la guidava fuori dall’università.
<< In nessun senso, ti sto solo dicendo che mi sarei risentita se tu non lo avessi fatto >>
Marco era spiazzato, semplicemente .
Marco era semplicemente sollevato, perché per la prima volta aveva incontrato una persona che lo stesse smuovendo, che lo avesse richiamato sulla terra facendogli capire che era giusto avere fiducia nelle persone.
Perché lo sentiva che Chiara era una persona speciale.
E perché senz’altro aveva percepito il pensiero di Chiara.
Anche Marco era speciale per lei, non lo sapeva con esattezza, ma - sì -, lo sentiva con tanta forza.
Ed era certa che conoscerlo le avrebbe fatto solo tanto bene.
Ma questo ancora non poteva immaginarselo.

****

<< Se tu mi avessi detto prima che avevi intenzione di trascinarmi in giro per tutto il giorno sarei tornata a posare le mie cose >> borbottò Chiara, quando alle quattro e mezza del pomeriggio, girava per Bologna con Marco, che voleva farle vedere la “vera” città.
<< Beh ci andremo adesso se vuoi >> propose lui vivace << In fondo non credo che ci costi >>
Chiara non seppe che rispondere.
Se lui l’avesse riaccompagnata a casa sua avrebbe scoperto che non era una vera casa e avrebbe dovuto dargli troppe spiegazione e non se la sentiva di parlarne.
O almeno non adesso.
Si erano appena conosciuti, non voleva già adesso fargli pena.
<< No, Marco. Restiamo in giro, in fondo non è così pesante >> disse laconica, senza che lui potesse ribattere in alcun modo.
<< Va bene, come vuoi >> convenne il ventenne senza indagare troppo sul motivo del suo rifiuto.
Certo doveva esserci una giustificazione particolare per essergli costata una risposta così dura.
Ma non voleva rovinare l’armonia di quel pomeriggio, si stava trovando troppo bene con lei per fare in modo che le cose peggiorassero.
Non voleva assolutamente mandarla via.
<< Perché non mi parli di te? Io prima ti ho detto un sacco di cose e tu niente, quindi penso di meritarmi un po’ di notizie sul tuo conto >> disse Chiara risoluta.
Marco ridacchiò appena << Che cosa vuoi sapere? >>
<< Chi sei >> rispose semplicemente la ragazza.
In quel momento si guardarono negli occhi e lui sentì di poter essere sicuro di tutto.
<< Ho vent’anni, mi chiamo Marco Accursi, sono al terzo anno di giurisprudenza e.. >>
<< Hai fatto la primina? >> domandò Chiara.
<< Si, perché? >> ribattè lui.
<< Anche io, ma adesso continua >> ordinò la ragazza con un sorriso.
<< .. Ho un fratello e una sorella, d’estate andiamo a fare le vacanze in Abruzzo, al mare ovviamente. Ho fatto nuoto e tennis, seguo il calcio ma dopo un po’ mi stufa e mi piace tanto il vino >>
<< Il nuovo erede di Bacco >> ironizzò Chiara ridendo.
<< Ma non eri tu che volevi sapere “chi sono”? >>
<< Beh si, è vero, ma questa non poteva tenermela. Scusa >> si salvò lei alzando le spalle doloranti per il peso che stava portando.
<< Dammi i tuoi libri, li porto io >> disse poi Marco, allungando una mano verso di lei.
Le sfiorò il collo appena scoperto, lo sfiorò proprio dove la sciarpa di Chiara era scivolata non coprendola.
La sfiorò proprio dove Chiara sentì i brividi percorrerle tutto il corpo.
Quel contatto le provocò calore, quasi come se le mani di Marco bruciassero.
Si ritrasse involontariamente, intimorita dalla reazione che quel gesto aveva provocato in lei.
<< Dai, se non vuoi andare a posarli, almeno dalli a me >>
Chiara lo guardò negli occhi, che erano diventati quasi lucidi.
Non sapeva perché stava reagendo in quel modo, ma le era quasi sembrato che Marco avesse scoperto la sua fragilità e gliel’avesse mostrata.
Marco aveva appena rivelato la debolezza di Chiara con un solo gesto e non se ne era neppure accorto, aveva appena oltrepassato il confine che lei aveva posto sin dall’inizio.
Aveva fatto in modo che Chiara fosse messa di fronte alla verità.
E non ne era consapevole.
Così rimase ferma, con i piedi incollati al suolo, incapace di muoversi.
<< Ti senti bene? >> chiese lui allarmato.
La sentiva ribellarsi da dentro, ma senza avere la forza di reagire.
Ma lei scosse il capo.
No, no – si ripetè nel cuore e in testa, che le ordinava di chiedergli scusa.
Ma non lo fece.
<< No, sto bene >> disse solo.
Lo guardò negli occhi e Marco capì che mentiva.
<< Vuoi andare via? >>
Il giovane era totalmente impreparato ad una cosa del genere, non gli era mai successa.
Percepiva che Chiara non stava bene ma non sapeva perché, avrebbe voluto scavalcare il muro che lei aveva improvvisamente alzato tra loro ed abbracciarla.
Ma non lo fece.
<< No, per favore >> lo supplicò Chiara.
Marco rimase lì.
<< Per favore >>

****

Quando sulla città calò la sera, di colpo tutti i colori sbiadirono dissolvendosi nel buio di una serata troppo fredda, con il gelo negli angoli e nel cuore.
Chiara era di fronte a Marco che stava fumando una sigaretta con aria passiva.
Si conoscevano da sempre, loro lo sapevano. Lo avvertivano.
<< Non penso che mi sia mai capitata una cosa più strana di questa >> disse Chiara, e Marco non distinse da quale direzione provenisse la sua voce.
<< Che cosa? >> chiese il ragazzo.
<< Non mi è mai capitato di conoscere una persona e in un giorno solo trascorrere insieme a lei tutto questo tempo. E’ strano, Marco, non so se mi intendi >>
Il giovane rimaneva sempre incredulo dalle parole di Chiara, che sembrava parlare anche per i suoi pensieri.
Come aveva fatto quella ragazza ad intrufolarsi nella sua vita in quel modo così particolare proprio non lo sapeva. Non riusciva a spiegarselo, era un insieme di emozioni, silenzi, risate e respiri che si mescolavano e attraversano entrambi in una maniera che non si poteva tradurre in parole.
I silenzi di Chiara lo stordivano, perché urlavano tutte le parole che non poteva dirgli, perché in fondo lo sapeva anche lui che era tutto inverosimile perché potesse funzionare.
<< Lo capisco, ma mi pare che ci siamo troppo dentro per lasciare le cose così come sono >> osservò Marco, dicendole che in realtà avrebbe voluto soltanto che lei restasse.
<< Così come? >> ribattè Chiara, troppo conscia di quello che lui voleva dire.
<< In sospeso! Ma insomma, l’hai detto anche tu che è assurdo, ma intanto siamo qui, è successo, vorresti dirmi che torneresti indietro? >>
Quelle parole riempirono la testa di Chiara di paura e timori.
Da troppo tempo aveva dimenticato di trovare un ragazzo con cui sprecare un po’ del suo tempo, da troppo tempo aveva dimenticato come ci si sentiva con una persona che ti piace semplicemente per come è.
Guardò Marco, con la sua camicia troppo larga coperta da un maglione che non era sufficiente per il freddo che li circondava.
<< Non hai freddo? >>
<< Chiara rispondimi >> disse Marco troppo serio da spaventarla.
<< Non lo so, la verità è tra noi è successo tutto troppo in fretta! Non sono neanche in grado di capire se mi piaci o meno, ho semplicemente troppo da capire e poco tempo per farlo >> ammise con un sospiro.
Marco le si avvicinò senza toccarla << Ti posso dare una mano >>
<< Non baciarmi >> gli ordinò con una espressione più rilassata.
Lui scosse il capo << Non era questo quello che volevo fare, volevo solo darti una mano dicendoti che tu a me, piaci. Mi piaci abbastanza, Chiara >>
La ragazza tremò impercettibilmente.
Nell’oscurità cercò gli occhi di Marco e quando li trovò abbassò il capo << Non so più comportarti così mettendomi di fronte a queste cose, ho bisogno del mio tempo, ma se tu non vuoi darmelo me ne farò una ragione >>
Marco alzò le spalle << Per te stasera ho rinunciato ad una bevuta con i miei amici e ad una possibile scopata con una ragazza qualunque, perché invece di farti problemi non ti ritieni fortunata? >>
<< Perché purtroppo non è abbastanza. Ti conosco da troppo poco tempo per lasciarmi andare >>
<< Non ti sto dicendo che dobbiamo necessariamente innamorarci l’uno dell’altra >> le fece notare Marco, stavolta avvicinandosi al suo volto.
La carezzò il collo, consapevole che ormai il peggio era passato.
<< Ma se accadesse? >>domandò lei, inchiodando i suoi occhi in quelli del ragazzo.
<< Che cosa ci sarebbe di male? >>
Solo allora Chiara sentì sulle sue spalle il peso della sua storia, del suo presente e del suo passato.
Fu in quel momento che impose a se stessa di non provare per Marco niente di niente, perché non poteva permettersi una relazione nella sua condizione.
Non poteva lasciare che anche lui la guardasse dall’alto al basso e pensasse “quanto è sfortunata”, non voleva questo. Non lo voleva da lui.
<< Non guardarmi così >>
Marco scosse il capo << Smettila di darmi ordini >>
Così, accarezzò la pelle di Chiara lentamente, quasi come se sentisse che lei dipendeva da questo.
Le guance, le labbra, di nuovo il collo.
Chiara reagì provando a spostarsi, ma non riuscì.
<< Perché non mi guardi più? Hai paura? Ma non eri tu quella che amava la vita? >> la provocò Marco con un mezzo sorriso.
Ma lei non gli diede soddisfazione << Finiscila, ti prego >>
<< Non voglio >> rispose semplicemente il ragazzo.
<< Beh adesso basta >> decretò Chiara, liberandosi dalla presa del ventenne per allontanarsi di qualche passo.
Respirava affannosamente, e non sentiva più paura, ma un semplice terrore.
<< Te ne vuoi andare così? >> disse Marco con un tono di voce leggermente più basso, quasi ad evidenziare il suo rammarico o anzi, la sua delusione.
<< Neanche mi conosci, non sai quello che provo >>
<< Perché non me lo dici? >>
<< Non posso più sostenere il tuo sguardo >> disse Chiara tutto d’un pelo << Devo andare adesso, Marco >>
Lui alzò le mani in segno di resa << Mi prometti che ci rivedremo? >>
<< Non lo so, forse no >> restò in silenzio – agghiacciante, forte, quasi doloroso - << Anche se so che non lo farai, non cercarmi, non mi troveresti, sono un’estranea qui. Come voglio esserlo per te >>
Quelle parole ferirono Marco che non ebbe la forza di rispondere.
Devastato da quella ragazza che gli piaceva davvero molto si ritrovò di nuovo da solo.
<< Ciao Marco, stammi bene >> sussurrò infine Chiara tra le lacrime.
<< Qualunque cosa sia successa tra noi io non me ne sono pentito >> le disse, e fu certo che lei sentì, perché Chiara singhiozzò forte.

****

Quando si perde la cognizione del tempo i giorni non passano, le ore sono infinite, i secondi eternità.
Non ci sono distrazioni, non ci sono stagioni che trascorrono, non c’è niente che possa in qualche migliorare o fermare il tempo che trascorre.
Dicembre aveva portato con sé un mucchio di malinconia e di freddo in più, freddo che si era accumulato nel cuore tanto da trafiggerlo completamente.
Dalla finestra della sua camera del bed&breakfast Chiara vedeva la pioggia scagliarsi violenta sui tetti delle case, sulle piante dei balconi, sugli ombrelli delle persone.
Era stanca, lo era così tanto che aveva perso totalmente il conto dei giorni.
Magari era arrivato il momento di tornare a Roma e lei non se ne era accorta.
Dentro di lei si era creata una voragine incolmabile.
Da quando aveva scacciato Marco dalla sua vita – l’ennesima persona, l’ennesimo rifiuto, l’ennesima sfiducia – si era accorta di aver buttato al vento molto più di quanto credesse.
Si era convinta di aver fatto la cosa giusta, ma la verità era che non riusciva a capacitarsene, non riusciva a capire come avesse fatto ad essere così sciocca e avventata.
Eppure, le era sembrato così giusto mandarlo via, non sapeva neanche chi fosse quel ragazzo dagli occhi castani – così vivi, sinceri – che in un giorno solo aveva catturato la sua attenzione, facendole totalmente scordare di sé stessa e degli altri.
Tranne quando l’aveva toccata, quando le aveva sbattuto il faccia la verità.
Chi era Marco? Perché era piombato nella sua vita così all’improvviso?
Non credeva al destino, non credeva nelle fortuite condizioni della vita, semplicemente, quel giorno aveva conosciuto un ragazzo simpatico ed affettuoso – quasi speciale - .
Perché aveva avuto così tanta paura di lui? Perché aveva pensato che liberandosi di lui, tutto sarebbe stato più facile? Forse se non lo avesse conosciuto proprio la sua vita sarebbe stata come sempre, difficile e monotona di sicuro, ma non avrebbe avuto altro a cui pensare.
Adesso che Marco la tormentava in continuazione, non sapeva da che parte andare.
Ma soprattutto, non aveva idea di dove fosse, se trovarlo ancora all’università o rinunciare.
Non voleva tornare indietro sui suoi passi, non voleva inciampare nell’errore, ma non sopportava più l’angoscia che l’assaliva ogni volta che il pensiero di Marco la sfiorava.
E così soffriva, si pentiva, si logorava.
Come sempre, di più.
Si sentiva come se avesse perso davvero tutto e non le fosse concessa una seconda possibilità.
Ed era questo che pensava quando stanca di piangersi addosso, prese il giubbotto verde – di montone, caldo, come lo aveva da bambina – ed uscì di corsa.
<< Tesoro dove vai? >> domandò la signora Elena.
Lei esitò un attimo << Mi sono ricordata di dover consegnare dei moduli in università, ci vediamo più tardi >>
La donna annuì poco convinta e la lasciò andare.

Marco si guardava intorno, distrattamente pensava a cosa avrebbe dovuto fare quella sera.
La lezione trascorreva lenta, proprio come a ricordargli che il tempo non è a sua disposizione.
Prendeva qualche appunto sul foglio bianco, esattamente come sentiva la sua vita in quel momento : vuota, senza inchiostro, priva dell’essenza che tanto tempo fa avvertiva pregnante.
Quando si divertiva, quando bastava poco per cambiare la giornata.
Quando bastava una festa, la gonna corta di una ragazza – il suo  collo un po’ scoperto, gli occhi verdi un po’ riservati ma invitanti - , i suoi capelli legati in una coda – o lasciati sciolti sulle spalle, un po’ disordinati-.
Stava di nuovo pensando a Chiara, al suo sorriso sincero, allo sguardo smarrito del primo giorno, alla sensazione che aveva provato quando gli parlò di nuovo, al sorriso che si scambiarono in via Zamboni quel giorno.
Sembrava quasi che stesse ricordando una sua vecchia fidanzata, una a cui era rimasto particolarmente affezionato, e invece stava solo ricordando una ragazza che per un giorno gli aveva preso l’anima per lasciare il suo marchio – particolare, unico – e lui non era riuscito a liberarsene.
Era passata quasi una settimana da quando lei gli aveva voltato le spalle.
Nel momento esatto in cui lei si allontanò dal suo cammino, a Marco era sembrato di sprofondare, di essere lasciato da solo senza rimedio.
Quella sera stessa era andato ad una festa, aveva bevuto così tanto stordirsi e star male.
Non aveva idea di quello che avesse fatto, di quello che fosse successo, e non voleva saperlo, perché non voleva immaginare fino a che punto fosse arrivato.
E perché? Per una stupida ragazza sconosciuta che lo aveva rifiutato?
Chi era Chiara? Cos’era Chiara?
Si interrogava spesso su questo, perché Chiara gli aveva spostato la vita.
Era un’espressione forte, ne era consapevole, ma era così che si sentiva, era così che la vedeva.
Possibile che un solo giorno insieme lo avesse scosso tanto?
Cosa aveva quella ragazza di tanto eccezionale da farlo sentire messo in discussione per la prima volta?
Desiderò di sparire, annullarsi del tutto per tornare al giorno insieme, agli sguardi che si erano scambiati, all’amore ancora troppo acerbo per manifestarsi, alla sensazione di benessere che aveva provato quando lei lo guardava negli occhi.
Era splendente Chiara, esattamente come lo erano stati i suoi occhi nel buio della sera.
Perché mentre Chiara gli parlava di sé, lui la sentiva nuda, nuda come se lei gli stesse rivelando chi fosse veramente, senza bugie, senza alcuna falsità.
Non gli aveva mentito, perché gli aveva dato in mano il suo cuore e lui lo aveva sentito.
Eppure cos’era davvero successo tra di loro? Cosa c’era stato se si erano appena toccati?
Si erano guardati tanto, avevano condiviso il silenzio, avevano mangiato parole.
Erano stati insieme in un senso intimo e sincero, che Marco non era mai stato in grado di sperimentare.
Forse per lui, la visione più completa di intimità era spogliarsi davanti ad una ragazza, ma non aveva capito cosa voleva dire mettere a nudo i sentimenti e rivelarli senza paura.
Con Chiara era stato così, ma era durato troppo poco perché fosse vero.
Aveva letto la paura negli occhi di lei, paura che ci fosse qualcosa di più grande, di incontrollabile.
Ma niente era mai valso quanto il tempo trascorso insieme.
Fu in quel momento che decise di non rispondere alla sua richiesta e di cercarla.

  

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Capitolo 2
*** Seconda Parte ***


Questa storia è finita da mesi ormai, ma ho sempre scordato di aggiornarla!
Posto la penultima parte, così che il terzo capitolo sia il prologo!
Spero che qualcuno di buon cuore legga e commenti! :-)
Al prossimo capitolo!
Leti.


Chiara aveva corso tanto, aveva il fiatone e le faceva già male la testa.
L’ombrello le si era rotto per strada e sicuramente con quella pioggia, il cappuccio del suo giubbotto non le sarebbe stato poi così utile.
Arrivò davanti l’università totalmente fradicia.
Magari non l’avrebbe trovato lì, magari non lo avrebbe mai trovato, ma non importava.
Per la prima volta nella sua vita aveva preso una decisione avventata, aveva preso in mano le redini del suo destino e stava provando a cambiarlo.
Raggiunse la facoltà a passi troppo lenti, che le fecero pensare di tornare indietro e cancellare tutto.
Ma un altro impulso – quello più vero – pilotava il suo passo in avanti.
Pioveva così tanto che i pochi che si aggiravano in giro scappavano da una parte all’altra senza guardare.
Iniziò a pensare che anche se fosse stato lì non lo avrebbe mai trovato.
In fondo non aveva idea delle lezioni che seguisse, degli orari, delle aule.
Tutte questi pensieri iniziarono ad ingolfarsi dentro di lei e a farle venire un macigno alla gola.
Insopportabile e amaro.
Aveva paura, di nuovo.
Tanta paura di soffrire – per cosa, non lo sapeva - .
Restò ferma di fronte l’ingresso della facoltà senza muovere neanche un dito.
Il suo respiro era leggero, ma il battito del suo cuore era irregolare – forte.
Si appoggiò al muro e prese a domandarsi perché fosse lì, perché avesse fatto una cosa così priva di senso.
Ma quando le vennero in mente le parole confuse di suo padre sulla sua felicità, che doveva prescindere da qualunque cosa – per questo Chiara non doveva farsi fardello delle disgrazie che le erano toccate – e che non doveva lasciarsi condizionare da niente.
La felicità viene naturalmente, non è un fine, una semplice condizione di vita in cui si annullano tutti i dolori, i rimpianti, le noie, le tristezze e si da finalmente spazio a sé stessi.
All’amore, alla sincerità, alla spensieratezza.
Lei quel giorno con Marco era stata felice, per questo doveva ritrovarlo.
Doveva almeno dirgli grazie.
E se l’aveva resa felice per qualche ora, cosa sarebbe successo se gli fosse stato accanto per tanto tempo?
Decise di andare fino in fondo, decise che ne valeva la pena.
Non sapendo che fare, nel dubbio entrò nella facoltà per controllare se ci fossero orari che potessero esserle utili.
Ovviamente la sua ricerca fu vana, ma quando chiese all’ingresso – stavolta al gabbiotto nessuno aveva dissertato – le dissero delle lezioni del terzo anno, una delle quali sarebbe finita tra pochi minuti.
Non sapendo se Marco seguisse quella, decise di aspettare.
Le sue mani erano gelate e le punte dei suoi capelli erano letteralmente bagnate.
Alzò le spalle in segno in resa e si disse che poi ci avrebbe pensato.
Improvvisamente tanti ragazzi iniziarono ad uscire e il suo cuore mancò di un battito.
Qualcosa le disse che Marco era lì.
Per questo quando lo vide uscire, distratto con occhi assenti, la borsa le scivolò dalle mani.
Non si chinò a prenderla, il suo sguardo aveva già incrociato quello del ragazzo.
Non seppe se ridere o scoppiare a piangere, mentre Marco si affrettava a raggiungerla.
Rimasero fermi. Le loro anime si parlarono.
Non avevano idea di quello che si stavano dicendo, ma era davvero tutto troppo coinvolgente e violento.
<< Mi avevi chiesto di non cercarti >> sussurrò Marco.
Lei annuì << Ma non era stato detto il contrario >>
Lui ridacchiò << Questo è vero. Ma non pensavo che tu saresti tornata >>
Chiara ebbe diverse esitazioni a rispondere, si sentiva colpita – ed affondata – dalle sue parole,  perché erano troppo vere.
<< Invece l’ho fatto, Marco. Ho sbagliato, sono venuta a chiederti scusa >> disse.
In quel momento la sua mano cercò il viso del ragazzo.
La posò con delicatezza sulla sua guancia.
Aveva bisogno della sua pelle, di un contatto che la facesse rabbrividire.
Infatti fu così, perchè quella carezza le prese l’anima e il cuore.
<< La verità è che ti ho aspettata, speravo che tornassi >> ammise Marco lentamente, sorpreso da ciò che stava dicendo.
<< Ti prego >> disse appena Chiara << Dimentica quello che ti ho detto l’ultima volta, dimenticalo. Sono stata solo una sciocca ragazza spaventata, ma non avrei dovuto esserlo >>
Perché anche se lui l’avesse delusa, lei lo avrebbe saputo perché lo aveva vissuto e non solo perché lo aveva pensato o supposto.
Se quella storia si sarebbe rivelato un fiasco, tanto vale passarci sopra.
Ma bisogna viversi per saperlo.
<< Mi sono chiesto perché lo avessi fatto tante volte, ma non ne sono mai venuto a capo.. Non penso che adesso importi, vero? >>
Marco voleva solamente baciarla, toccarla, accarezzarla.
E poi baciarla ancora, e ancora.
<< No, non è importante >> confermò serenamente << Andiamo via di qui, ci meritiamo un po’ di riposo >>

****

Su Bologna la pioggia continuava a scendere veloce e prepotente, non dava tregua a nessuno.
Il vento si era placato, ma il freddo non era diminuito.
In un portico troppo distante dalle persone, troppo nascosto perché si vedesse, Chiara e Marco stavano parlando animatamente e ridendo come due bambini.
<< Quindi mi stai dicendo che viviamo anche abbastanza vicini e non ci siamo mai visti? >> fece lui, sorpreso dalle tante cose che stavano scoprendo.
<< Esattamente! Ma Roma non è Bologna, non è tanto facile incontrare un persona per più di una volta, se accade forse è meglio iniziare a farsi due domande >> rispose lei con un sorriso.
<< Quindi se a noi è successo a Bologna non vuol dire nulla? >>
<< No, è solo che è più probabile >>
Lui annuì, beandosi della naturale bellezza della ragazza di fronte a lui.
Chiara alzò le spalle, sentendo che prima o poi avrebbe dovuto dirgli dei suoi genitori, e magari lui l’avrebbe compatita – o forse no - , ma non se ne preoccupava.
Marco non avrebbe detto nulla.
Le parole andavano avanti da sole, nessuno dei due badava alla reazione dell’altro, perché nessuno era lì per giudicare l’altro, erano lì solo per conoscersi, per volersi bene.
Per amarsi – ma ancora non lo sapevano.
Quando Marco parlò della sua famiglia, dei suoi fratelli, Chiara si morse il labbro, consapevole.
Si stava mettendo alla prova.
<< Si beh.. Sai mia madre è morta tanto presto >> bisbigliò, accompagnando l’affermazione con un piccolo sorriso triste.
Al suono di quelle parole Marco si sentì sprofondare.
Proprio come se gli avessero dato uno schiaffo in pieno viso o gettato addosso un secchio di acqua gelida.
Avvertì il calo della voce di Chiara, ma non disse nulla.
Che forza, che amore, che vita che era Chiara..
Lasciò che lei andasse avanti.
<< Avevo sette anni, non preoccuparti >> disse con una mezza smorfia << Adesso mio padre è malato di Alzheimer, è per questo che non posso frequentare. Ora ti ho svelato il mio mistero >>
Marco era attonito, sconvolto da tutte quelle verità che Chiara si era sforzata di svelargli.
Lo aveva fatto perché si fidava lui, perché poteva dirglielo.
Lesse nei suoi occhi una sofferenza che non credeva possibile da una ragazza così bella, così allegra.
Non credeva che una ragazza come Chiara potesse soffrire di un male così radicato e agonizzante, perché il suo sorriso lo faceva sentire un cretino e perché la sua risata lo rimbambiva.
Eppure una creatura così meravigliosa aveva dovuto soffrire davvero troppo.
Di slancio, si mosse dalla sua posizione per avvicinarsi a lei.
Prese le sue mani, lasciando che Chiara lo avvolgesse nelle sue braccia in un gesto disperato.
Fu in quel momento che Marco ebbe esatta coscienza dei suoi sentimenti verso di lei.
Ma non si disse nulla.
L’abbracciò più forte che potè ed ebbe quasi paura di farle male.
Sentiva il suo respiro addosso ed una lacrima perforargli la pelle.
Sollevò il viso da Chiara dal mento e la baciò in fronte.
<< Non avrei mai potuto immaginare una cosa del genere, Chiara, ed hai avuto il coraggio di dirmelo >>
La ragazza tremò, mentre le labbra di Marco raggiungevano le sue.
Chiara si abbandonò a quel bacio, che le regalò un po’ di calore e di vita smarrita.
Le sembrava di essere più leggera, di avere liberato dal suo corpo qualcosa di nuovo ed incredibile.
Per lei, così amante della vita, quel gesto significò vita e passione.
Significò riscatto, tornare a respirare.
Carezzò la guancia di Marco per poi appoggiarsi alle sue spalle.
Quando le loro labbra si separarono, andò alla ricerca del suo respiro, incanalando la sua stessa aria.
Quel ragazzo era stato una salvezza, qualcosa di troppo grande e stupendo.
Che magnifico regalo, che inaspettata sorpresa.
I battiti dei loro cuori si sincronizzarono.
Le mani di Marco avvolsero la vita di Chiara.
Sorrisero, profondamente consapevoli del cambiamento che avevano appena avviato.
La ragazza prese un po’ di aria e abbassò la sguardo, un po’ troppo emozionata per reggere lo sguardo di Marco, che dal canto suo si sentiva come lei, ma non avrebbe voluto interrompere il bacio.
<< Scusa >> sussurrò appena Chiara << Avevo bisogno di un po’ d’aria >>
Ma lui scosse il capo, ridendo – felice, svuotato dall’angoscia - << Ha anche smesso di piovere >>
La ventenne sospirò sollevata << Meno male, sono anche senza ombrello >>
<< Ti accompagnerò io >> si propose subito Marco, senza riserve.
<< No, è lontano da qui >> ribattè la giovane scuotendo il capo.
<< E’ mio dovere >> sottolineò il ragazzo con aria divertita.
<< Lo so, ma tra le altre cose, io non voglio tornare adesso. Tu? >>
Lo sguardo di Marco si illuminò per l’ennesima volta in quella giornata, si illuminò di una luce così forte che sembrò quasi intimorire Chiara.
<< No, neanche io >> rispose.
Così, Marco intrecciò la sua mano con quella di Chiara e vi posò le labbra di sopra.
<< Ho temuto di averti persa, il nostro tempo insieme è stato così breve che per trovarti avrei cercato in lungo e largo >> disse, compiendo un grande sforzo verso sé stesso.
Non gli era mai capitato di ammettere la verità con così tanta scioltezza, specialmente ad una ragazza, e soprattutto quando le stava dicendo che provava qualcosa per lei.
Ma con Chiara questi problemi non esistevano, lei non era come tutte le altre ragazze, ogni canone con lei era stato annullato e rimpiazzato da qualcosa di nuovo e stupefacente.
Perché a lui non era mai capitato di sentirsi così legato ad una persona appena conosciuta, non gli era mai capitato di sentirsi così libero – felice, appagato, sereno, timoroso, insicuro, ingenuo – come stava succedendo con lei.
Non aveva sentito neanche la necessità di chiedersi perché fosse successo, in fondo, Chiara era lì, proprio di fronte a lui, e per questo, un motivo doveva esserci per forza.
Ed era questo, e non altro.
Un amore incerto, ancora, come un fiore pronto a sbocciare od anzi, a rinascere.
Chiara era pronta a lasciarsi andare.
Si dimenticò perfino del fatto che ci fossero così tante razionalità a separarli.
Quando lo ribaciò, tutte queste razionalità sparirono nei loro respiri fusi.
<< Sono stata una sciocca, una stupida, quante volte ancora vorrai sentirtelo dire? >>
Marco scoppiò a ridere << Basta così, te lo giuro >>
Lei sorrise, allontanandosi un attimo.
La via era totalmente deserta, controllo se stesse arrivando qualcuno e poi si voltò verso Marco  << Allora ti sbrighi? Sto morendo di fame! Andiamo! >>
Lui non seppe come sentirsi al suono di quelle parole.
La guardò, e si domandò che tipo di benedizione fosse Chiara.
C’era in lei qualcosa di speciale, innaturale, indescrivibile.
Chiara era semplicemente la ragazza di cui si stava innamorando.
La raggiunse, prendendola per mano.

****

Gli attimi vissuti insieme sono realmente trascorsi, le ore passate insieme sono realmente intense, i giorni trascorsi insieme sono l’unicità che si ricerca nella vita.
Questo pensavano Marco e Chiara mentre stavano insieme, alla meravigliosa intesa che avevano, agli sguardi ricolmi d’amore e di gratitudine.
Nessuno dei due avrebbe pensato di ricevere dalla vita un regalo simile, un privilegio così raro e ricercato: quello di un amore sincero e puro.
Proprio come quello descritto nei libri e narrato nelle fiabe.
La luce del giorno appena sorto illuminava il corpo di Chiara che, distesa nel letto, non aveva chiuso occhio per quasi tutta la notte.
Si girata e rigirata su se stessa per un miliardo di volte, senza darsi pace, tormentata dai pensieri, dalle domande, dalle preoccupazioni.
Ma anche dalle gioie, dalle felicità, dalla sensazione di calore che la pervadeva quando si rendeva conto di essere distesa di fianco a Marco, che dormiva ancora placido.
Quello che era appena trascorso era stato un giorno importante per Chiara e Marco, era stato il giorno in cui si erano ripromessi il cielo, la gioventù, le speranze.
Era successo tutto troppo in fretta perché si accorgessero del tempo che era trascorso dal primo incontro, dai pochi giorni che separavano Chiara dalla sua partenza.
La partenza che avrebbe spezzato ogni incanto e ogni progetto.
Perché non ci aveva pensato prima? Perché si era gettata così a capofitto in una relazione che non avrebbe potuto portare avanti?
Insomma, una volta tornata a Roma i suoi problemi non si sarebbero cancellati, anzi, si sarebbero ingranditi e le sarebbero pesati molto più di prima.
Perché adesso era innamorata, e non aveva la testa per dedicarsi totalmente a suo padre e a tutto quello che aveva fatto prima.
Perché era successo? Perché aveva incontrato Marco?
Marco, l’unico ragazzo vero della sua vita, l’unica che l’aveva accarezzata – toccata, baciata – come una donna, come se al mondo non ci fosse altro di più bello.
Aveva collezionato le sue parole, le sue frasi dolci, le sue attenzioni e i sui baci, li aveva tutti impressi nella mente così da ripercorrerle quando avrebbe avuto bisogno di lui in sua assenza.
Già sapeva che le assenze di Marco sarebbero state più delle sue presenze, ma non poteva cambiare le cose, perché non ne aveva il potere e la capacità.
E così, ecco spezzato l’incanto del primo amore – forse non il primo, ma era in assoluto il primo a cui si era data totalmente.
Era durata troppo poco, quindici giorni non sono nulla, che cosa sono in confronto agli anni trascorsi insieme di tante altre coppie?
Il problema era che loro non erano affatto convenzionali.
Quindi, dopo soli quindici giorni, Chiara si trovava stesa nel letto di Marco e lo osservava dormire.
Prima di fare l’amore con lui aveva avuto paura – imbarazzo, timore, ansia, paranoia – e pensava che per lui sarebbe stata una delusione, che non sarebbe stata all’altezza delle aspettative o delle precedenti esperienze di Marco. 
Invece, ricordava perfettamente le parole di Marco, un minuto dopo – “Chiara, sei la persona più straordinaria della mia vita, credo di amarti, ora però non ridere” – e sorrise.
Si sentiva felice, proprio come si era sentita la prima volta che lo aveva visto.
Stretta nel pigiama troppo largo che Marco le aveva prestato, si alzò dal letto e si affacciò dalla finestra.
Diciassette Dicembre, Bologna alle nove di mattina pullulava di persone e il freddo non lasciava scampo a nessuno. Un brivido la scosse quando inspirò l’aria gelida della mattina.
Tra quattro giorni sarebbe tornata e non aveva idea di quando avrebbe rivisto Marco – se lo avesse rivisto, ovviamente.
Perché era questa la vera ed unica paura di Chiara, che lui si potesse scordare di lei così come temeva e che si rendesse conto che quello che provava per lei non era così grande come pensava.
Così l’avrebbe lasciata andare, sarebbe sparito e lei avrebbe avuto il cuore vuoto ancora una volta.
Chiara lo amava, questo lo sapeva, e non riusciva a sopportare l’idea di poterlo perdersi o separarsi da lui senza che lei lo volesse.
E lei non lo voleva, non lo voleva assolutamente.
Non poteva perdere di nuovo qualcuno di così necessario – non poteva perdere Marco, che le aveva strappato l’anima, il cuore, la vita – e fondamentale. 
Un paio di lacrime le attraversarono il viso stanco e sospirò.
Decise che gliene avrebbe parlato, solo affrontando la paura l’avrebbe superata.
<< Per fortuna che sei ancora in pigiama, altrimenti avrei pensato che mi avessi lasciato come succede nei film >> disse Marco alle su spalle, accompagnato da una dolce risata.
Chiara non si voltò, ascoltò le farfalle nel suo stomaco e sospirò.
<< Ti senti bene? >> domandò ancora il coraggio.
Lei annuì << Sì >> disse solo.
Ma Marco non era convinto – percepì nella sua voce l’insicurezza, la preoccupazione, la paura – per questo si alzò e la raggiunse.
Con una mano, accarezzò il suo collo, lasciandosi attraversare dal suo profumo, lo stesso che adesso era  rimasto impregnato nelle sue lenzuola, sul suo cuscino, nelle fibre del suo pigiama.
Nelle sue cellule, nella sua anima.
Non appena Chiara avvertì la presenza di Marco alle sue spalle, si voltò di scatto – gli occhi lucidi, le mani tremanti - << Marco io non so cosa fare >> 
Lui la guardò senza capire, spaventato << Che vuol dire? >>
<< Che Marco io ti amo, sono innamorata, di te. Tanto anche. Non avrei mai pensato di dirlo, il solo pensiero mi avrebbe inorridito, invece lo sto facendo, lo sto dicendo proprio a te. Te che conosco da così poco tempo, ma che temo di amare più di un amico di una vita. E tu dirai “che c’è di male?” ed io ti rispondo subito >> prese fiato e continuò << C’è di male che ho paura di non poter sostenere la relazione quando tonerò a Roma, quando tu starai a Bologna ed io mi prenderò cura di mio padre. Insomma, guardati, per come sei, quanto ti costerebbe trovarti un’altra ragazza? Marco io ho una tremenda paura di perderti oppure di mandare questa storia a puttane quando i problemi mi sembreranno troppe e le soluzioni poche >> mise fine al suo discorso mordendosi il labbro, sperando con tutta sé stessa che lui potesse capirla.
Marco la guardò da capo a piedi, elencando mentalmente tutti i motivi per i quali si era innamorato di lei.
Nessuna domanda, nessun timore, nessuna incertezza su Chiara, solo la sicurezza di averla di fianco a sé ogni giorno dal loro primo incontro – il giorno che gli aveva stravolto la vita - .
Riavviò una ciocca di capelli di Chiara dietro l’orecchio e la baciò appena sulle labbra.
Quello che provava per lei era strano, ma incredibilmente forte e sincero.
Era certo di non aver mai fatto pensieri simili o provato emozioni così travolgenti.
Emozioni che lo catturavano ogni volta che lei sorrideva, rideva, lo abbracciava, gli si stringeva come una bambina per proteggersi dal freddo.
Era questo Chiara.
La baciò con l’energia che aveva, con la passione che lo pervadeva.
Passò le mani sul corpo della ragazza.
Al termine, entrambi respiravano affannosamente.
<< So che lei tue parole sono lecite, giuste, ed è normale che tu le senta, ma devi fidarti di me. Devi fidarti di me quando ti dico che ti starò affianco, anche se non ci credi, perché è giusto che sia così, Chiara. Ci conosciamo da troppo poco tempo perché tu possa davvero capire quello che ti voglio dire, ma mi devi credere quando ti dico che ti amo anche io, e che non potrei fare a meno della tua presenza nella mia vita. Ed è così incredibile che penso di essere diventato uno stupido per colpa tua >>
Entrambi risero, così in sintonia, così insieme.
Marco fu certo di sentire il cuore di Chiara battere forte tanto da farle male.
Le posò un altro bacio sulla labbra, poi sulla fronte << Chiara non voglio che tutto quello che abbiamo passato insieme svanisca, non posso, non voglio permetterlo >>
Lei gli sorrise << Smettila di essere così sentimentale, so che in fondo non sei così >>
Marco rise << Ne sei davvero sicura? >>
<< Ovviamente no >> ammise la ragazza << Però ti credo, mi fido di te e farò del mio meglio affinchè tutte le mie paure si attenuino, in fondo è giusto che io le abbia, ma non è giusto che non mi lascino andare >>
<< Chiara sei bellissima con i capelli arruffati e il mio super pigiama >>
<< Per questo ti meriti un bacio >>
Così si alzò in piedi per avvolgere il collo di Marco con le braccia e baciarlo con tutta se stessa.
Realizzò che la vita era un dono, prezioso e rarissimo, che è in grado di darci tanto se solo sappiamo accettarlo.
Perché c’è vita ovunque, ma soprattutto nelle persone, così straordinarie ed incredibilmente fantastiche.
Marco era così per Chiara, una rivelazione nel mezzo di una notte buia, Marco era il suo cuore, la sua paura e la sua certezza più immensa.
Si domandò come potesse essere tante cose simili e contrastanti allo stesso momento, come potesse essere l’amore e l’incognita più grande.
<< Buongiorno anche a te Chiara >> le disse, regalandole un altro bacio.
Chiara disse a se stessa che tutte quelle domande non erano necessarie.
<< Oggi voglio farti vedere un posto, il mio posto preferito in assoluto >> le disse, mentre prendendole le mani, la conduceva verso il letto per adagiarla lì di nuovo << E se ci sei già stata ci rimarrò malissimo, ma farò finta di non darlo a vedere, ma soprattutto tu fingi che sia una cosa nuova e bellissima va bene? >>
<< Va bene, ti prometto che sarà speciale >>

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Capitolo 3
*** Ultima Parte ***


Ecco che ritorno a proporvi il finale della storia di Chiara e Marco!
Nonostante non abbia ricevuto recensioni, la cosa non mi scoraggia e desidero regalare il finale a chi vorrà anche solo leggere :)
Grazie a tutti!
Alla prossima :)
M.L.


****

La sciarpa che aveva indosso Chiara le copriva praticamente tutto il volto, lasciando scoperti solo il naso e gli occhi; mentre Marco si affrettava a raggiungere un punto preciso di via Piella.
Erano le dodici, e per strada le persone che circolavano erano tante, ma lui era certo che lì, non ci sarebbe stato nessuno.
Ciò che voleva mostrarle era una cosa che poteva passare quasi inosservata, ma non può assolutamente sfuggire ad un occhio attento.
Quella mattina in cui Dicembre prometteva solo troppo gelo, Marco si sentiva riscaldato dalla presenza di Chiara e dal suo passo incerto dietro di lui.
Ancora non ci credeva, ancora restava incredulo davanti a quegli occhi verdi in cui amava sprofondare.
E mai – assolutamente, veramente mai – avrebbe pensato di cadere vittima di un sentimento così appassionante e trascinante.
Perché era così, lui si sentiva trascinato da Chiara, dal suo carisma e dalla sua allegria, dal suo modo così spensierato eppure troppo esperto, di vedere le cose.
Amava gli occhi di Chiara quando lasciavano trasparire le emozioni, quando comunicavano l’immenso e glielo regalavano senza il peso delle parole.
Amava anche i suoi silenzi, il riflesso della luna sulla sua pelle chiara.
Amava il modo così impacciato di camminare o arrotolare la pasta intorno alla forchetta, il tono di voce che cambiava quando le faceva una domanda imbarazzante.
Amava il fatto che Chiara interpretasse i suoi silenzi e non li giudicasse, ma li facesse suoi.
“A cosa pensi quando abbassi lo sguardo e sospiri? Pagherei oro per saperlo”.
Chiara si guardava intorno, troppo cosciente del fatto di aver attraversato quella strada milioni e milioni di volte, quindi certa di aver già visto ciò che Marco voleva mostrarle.
Le teneva forte la mano, glissando abilmente tra le persone, facendosi largo sulla via.
Marco non riusciva a levarsi dalla testa il fatto che tra quattro giorni Chiara sarebbe ripartita senza avere la conferma di poterla vedere subito.
Lui sarebbe ritornato a Roma solo due giorni dopo di lei, ma non sapeva se lei avrebbe lasciato suo padre nelle vacanze per passare un po’ di tempo con lui.
Già quel suo soggiorno a Bologna era durato più del solito, figuriamoci se a Roma avrebbe avuto un attimo di respiro..
Chiara era così buona che si sarebbe sentita troppo in colpa anche se l’avesse lasciato per due secondi.
Era solo da apprezzare la devozione e la cura che Chiara dedicava alla sua famiglia, ma sperava in cuor suo, che trovasse del tempo per lui anche a Roma.
Marco sperava che le cose tra loro potessero andare bene perché non sopportava il pensiero di perdere l’unica vera certezza della sua vita.
Quella che aveva cercato e perseguito per un tempo che gli era sembrato infinito.
Ora  che l’aveva conquistata – ora che era lì a respirare e sorridere proprio di fianco a lui – non voleva che andasse via, on voleva rinunciare a tanto amore.
Avevano ancora così tanto tempo da passare insieme..!
<< Ma insomma, mi vuoi portare dall’altra parte o prima o poi ti fermerai? >> gli chiese Chiara ridacchiando.
In realtà sentiva un gran freddo alle mani, e seppure non facesse altro che sfregarle l’una contro l’altra, sentiva ancora più freddo di prima, rabbrividendo.
Non era troppo abituata al freddo – anche se lo preferiva al caldo, ma l’estate non le dispiaceva affatto – e per questo le temperature di Bologna, molto spesso, la spiazzavano.
<< Siamo quasi arrivati, te lo giuro >>
Mossero un paio di altri passi, quando Marco si fermò davanti ad un muro ricoperto di scritte, senza niente che potesse far pensare a Chiara che li ci fosse qualcosa di straordinario.
Nelle mente di Marco si materializzarono tutti i momenti trascorsi con la giovane, capendo che quello che a cui era in assoluto più legato, era in assoluto il loro scambio di sguardi in via Zamboni.
Preferiva quell’immagine a tante altre perché fu proprio in quell’istante che capì che Chiara era speciale, che Chiara si meritava la sua parte migliore, quella che faticava ad esternare.
E forse era proprio questo il disagio che aveva avvertito prima incontrarla, l’impossibilità di liberarsi di tante cose inutili per prendersi dalla vita una certezza solida.
E poi era arrivata lei, proprio come un lampo a ciel sereno o una stupida macchia sulla camicia di lunedì mattina.
Chiara era la certezza che aveva sempre cercato, l’affetto – l’amore – che gli mancava.
Lui, che dalla vita aveva avuto davvero tutto, aveva sentito la necessità di qualcosa che lo smuovesse dal suo vecchio posto in quella vecchia abitudine per renderlo nuovo e finalmente appagato.
Adesso era così, e non voleva perdere Chiara.
L’avrebbe aspettata, le avrebbe dato il suo tempo per adeguarsi e non importava quanto sarebbe trascorso, perché già sapeva che lei avrebbe fatto comunque parte della sua vita.
Comunque sarebbe andata tra di loro, bene o male non importava, perché comunque Marco avrebbe portato Chiara con sé per tanto.
E sapeva che il motivo era molto più semplice di quanto credesse.
La conosceva da poco, ma cos’era il tempo in confronto all’amore che provava?
Cos’era il tempo in confronto alla sensazione che provava ogni volta che si guardavano?
Era felice di non aver perso la sua occasione, non se lo sarebbe mai perdonato.
<< Quindi? >> fece la ragazza.
<< Ma non ti fidi proprio di me! >> esclamò Marco scuotendo il capo << Adesso guarda con attenzione >>
Con un gesto deciso, allungò una mano verso il muro e lo spinse indietro, convincendo Chiara di star commettendo chissà quale atto vandalico, e invece, non successe nulla.
Sotto il portico, nel muro, una finestrella di legno – quella che Marco aveva appena “spostato indietro” – si apriva sul Reno.
Chiara rimase a bocca aperta.
A primo impatto questa stranezza non sembrava avere nulla di straordinaria, ma quando la ragazza si sporse per veder meglio, le sembrò di scorgere una città nuova, incantata.
Una Bologna quasi vecchia, quasi magica, quasi troppo lontana nel tempo.
Il Reno scorreva lento e illuminato dal sole d’inverno e tutto, sembrava appartenere ad un’altra dimensione, fiabesca ed incantevole.
<< Sapevo che ti sarebbe piaciuto >> disse Marco soddisfatto.
<< Questo è.. Bellissimo >> riuscì a dire Chiara con un sorriso sincero e allegro.
<< Una finestra sul Reno, la mia finestra sul mondo >> affermò lui << Se ti volti a destra vedrai più ampiamente il fiume e il paesaggio dall’altra parte, ma questo è meglio >>
Lei fece come gli disse, per poi tornare a guardare dalla sua parte << La tua finestra sul Reno è decisamente più bella >>
Marco l’abbracciò da dietro, mentre si faceva cullare da un solo pensiero.
Sempre Chiara.

****

 I could put a little stardust in your eyes
Put a little sunshine in your life
Give me a little hope you’ll feel the same
And I wanna know will I see you again
Will I see you again

Funny, how the time goes rushing by
And all the little things we leave behind
But even then in everything I do
Is a little bit of me
And a little bit of you

When will I see you again
(Mika – Stardust)

 

Quel giorno c’era il sole, era tutto tranquillo, la città ancora addormentata si godeva gli ultimi attimi a riposare.
Dicembre era quasi finito, ma il Natale, ancora alle porte, rendeva tutto diverso.
La sua valigia si reggeva in piedi per miracolo, in stazione la giornata era già iniziata.
Chiara tossì dal freddo e lasciò cadere le mani lungo i fianchi, scoraggiata.
E così, la sua avventura stava volgendo al termine, era finito il tempo dei sogni.
Tra un paio di ore sarebbe ricominciato tutto.
Involontariamente gli occhi le si inumidirono, mentre con tutta se stessa, si imponeva di non guardare Marco – al suo fianco, stanco e assonnato - .
Si alzò dalla panchina sulla quale erano seduti e si guardò intorno.
Quante volte le era capitato di andare in quel posto e di non interessarsi mai di quando ci sarebbe ritornata, dei giorni che avrebbe trascorso lontana da Bologna.
Ma era tutto diverso adesso.
Quando sarebbe tornata? Quando avrebbe rivisto Marco? Quando?
Domande del genere non l’avevano mai sfiorata, tutto le scivolava addosso con indifferenza, come fossero solo gocce d’acqua superflue.
Ma a quella volta erano lacrime che copiose, le rigavano il volto rosso dal freddo.
Chiara non temeva il buio, né tantomeno la luce.
Aveva solo paura di inciampare, inciampare nel tramonto, magari.
E di respiri sospesi a mezz’aria non ce ne sarebbero mai stati abbastanza, e di secondi colmi di fiato non ci sarebbe stato il tempo.
Perché Chiara aveva finalmente ritrovato se stessa e con se, i lunghi respiri, i sorrisi, le carezze.
Il suo cuore cedette alla tristezza, lasciandole immaginare tutti gli attimi insieme, tutto quello che aveva lasciato fermo in un angolo del tempo, lì dove nessuno le avrebbe mai preso niente, lì dove solo loro avevano accesso.
In quello spazio del cuore in cui solo chi ama riesce a penetrare.
Ma Chiara avrebbe aspettato, sapeva di poterlo fare.
Il tempo non avrebbe mai perduto due cuori innamorati, neanche se avesse voluto.
E per questo non rinunciò a Marco nemmeno nella sua mente.
Non rinunciò al suo amore e alla sua vita.
Che senso avrebbe avuto adesso, il mondo, senza di lui? Cosa avrebbe significato, adesso, vivere e andare avanti, senza quella luce?
Non sarebbe stato possibile pensare ad una vita senza luce – la sua, quella di Marco, luminosa e scintillante - avrebbe significato morire, dissolvere ogni senso, gesto, compromesso.
La vita, dopotutto, ti frega in questo modo.
Ti colpisce l’anima mentre sei ancora addormentato, poi, lascia dentro di te qualcosa, che sia un odore, un’immagine, una persona.  Te li scolpisce dentro, non si levano più.
Capisci solo troppo tardi che quelle era la felicità, mentre già intanto sei lontano da quell’odore, immagine, persona. Sei completamente perso.
A loro era successo proprio come all’asilo, quando incontri quell’unico bambino che divide con te la merenda, facendoti sorridere.
Magari poi, si diventa amici.
Magari poi, finisci anche per amarla quella persona.
E loro si amavano, in un modo spropositato e sincero – appassionante, lacerante, forte, indissolubile- .
Si voltò verso Marco e gli sorrise felice.
Sorridere le piaceva, era facile distendere i muscoli e liberare la tensione, specie a lui, che era stato – e sentiva che avrebbe continuato ad essere - la sua gioia più immensa .
Nel corso del tempo si era abituata a studiare gli occhi delle persone, gli sguardi secondari, quelli che nessuno nota, quelli che tutti nascondiamo senza neanche accorgercene.
Loro avevano imparato a guardarsi dentro e a leggersi dentro in così poco tempo.
Com’era possibile?
A questa domanda non sapevano rispondere.
Ma le parole non sempre servono, non sempre sono necessarie, ma ci sono dei momenti in cui sono essenziali.
Eppure non ce la fanno, muoiono ancora prima di essere pensate o pronunciate.
Come si fa, però, a confessarle? Come si fa a dirle?
<< Marco >> sussurrò flebile << Sei pronto? >>
Il ragazzo fu certo di non intendere cosa volesse dire << A cosa? >>
<< L’inverno >> rispose lei.
<< Vedrò di coprirmi bene, sta’ tranquilla >> ribattè il giovane con un mezzo sorriso.
Chiara si risedette vicino a lui e scosse il capo << No, non intendevo questo. Intendendo l’inverno lungo che ci aspetta, separati o uniti che saremo >>
Marco era innamorato di Chiara, della prima ragazza che aveva imparato a conoscerlo e volergli bene, la prima persona che gli aveva regalato un po’ di vita.
Lei era come un gioiello – prezioso, unico, suo – una sorta di regalo che non avrebbe restituito a nessuno.
Era la prima persona che gli fosse appartenuta davvero, che si era lasciata andare a lui con fragilità e sorpresa – eppure con determinazione e volontà.
Le sarebbe mancata, come al cielo di notte mancano le stelle.
La vita l’aveva sentita solo con Chiara, sfiorando le sue labbra, toccando la sua pelle, respirando la sua aria, vivendo – immaginando, sognando, ridendo, correndo, ballando, giocando, - e amando con lei.
Con lei sola.
Con Chiara.
<< Non permetterò mai di lasciarti andare, devi capirlo >> disse con forza.
Voleva urlare.
<< E se non ci riusciamo? >>
<< Ci proviamo, Chiara, siamo in due, ce la possiamo fare >> la rassicurò dolcemente.
Lei sembrò credergli e appoggiò la testa al suo petto.
E Marco sapeva che si erano amati troppo e in maniera incondizionata anche solo per dimenticarsi una virgola, un qualunque ed insignificante particolare.
Per la prima volta in vita loro, avevano amato senza pensare, senza aver paura del presente o del futuro, l’unica cosa che importava era esserci, viversi.
Che di sogni, ne avevano avuti tanti, di baci ce n’erano stati troppi, ma mai abbastanza per fermarsi.
<< Quando torni a Bologna prometto di portarti fuori porta, una volta >> fece Marco, incrociando le gambe.
<< Mi porti anche a qualche festa? >>
<< E me lo chiedi? Andiamo anche a quel locale a fare degustazione di vini >>
<< Senza che ti ubriachi come l’altra volta >> aggiunse Chiara ridendo.
Lui si unì alla sua risata e alzò le spalle << Toccherà a te >>
<< La signora Elena dice che devi fare la pasta con lei >>
<< Basta che mi regala una cinquantina di torte >> la guardò con un’espressione divertita e rilassata << E poi vi porto a cena fuori >>
<< L’importante è che non fai ubriacare la signora Elena >>
<< Fuori pericolo >>
Entrambi risero.
Ormai avevano risvegliato ciò che dormiva nelle loro anime, dando spazio a nuove sensazioni.
Sarebbe stato tutto diverso, e avrebbero ricominciato, insieme.
Lei sorrise appena, accogliendo il vento che le carezzò il viso e i capelli << Spero che almeno i sogni non muoiano al calar del sole>> 
<< No, quelli non muoiono mai>> così, Marco decise di stringerle la mano.
Lei non oppose resistenza.
Trovare una persona come Marco era sempre stata un sogno, un’immaginazione lontana ed impossibile.
<< Che cosa ci resterà allora domani?>> domandò Chiara, quando sentì in lontananza il fischio del treno in arrivo.
Marco sorrise << Una prova di vita vissuta per il meglio>> 
<<  E se non rimarrà nulla?Se domani cambia tutto? >> 
Improvvisamente Chiara si sentì invadere dalla paura e dall’angoscia che lui potesse scordarsi di lei e di tutto quello che avevano avuto insieme.
<<  Io domani non cambierò>> 
Marco conosceva la debolezza di Chiara e avrebbe voluto dedicarle tutta la sua sicurezza, tutta la consapevolezza che aveva di lei e del suo amore.
<<  Non è così, tu riprenderai la tua vita e sarà tutto diverso >> disse lei con le lacrime agli occhi tremando.
<< Ho firmato un contratto? Io voglio solo stringerti la mano>> sussurrò Marco al suo orecchio.
Lei rabbrividì.
<<  Perché non lo fai? >> stavolta Chiara lo guardò negli occhi e non ebbe paura.
<<  È che ti amo, volevo dirtelo ancora >> 
La baciò, una, due, tre volte.
Con i respiri di nuovo intrecciati.
<<  Forse non è così scontato>> puntualizzò la ragazza con una mezza smorfia.
<<  Non voglio lasciarti sola,dammi la tua mano, per favore>> 
In quegli istanti insieme, in quegli istanti che battezzavano il loro amore di fronte la prima grande difficoltà, l’inverno sembrò essere meno freddo.
Chiara si strinse nelle braccia di Marco, lasciandosi cullare proprio come aveva fatto fin dalla prima volta.
Si era fidata, si era lanciata e non se ne era pentita.
Ora era pronta, perché sarebbe andato tutto bene, lo sapeva.
Adesso, per davvero.
<< Aspettami in via Zamboni, la prossima volta >>
<< Sarò lì, puoi contarci >>
Lei annuì, poi si chinò a prendere la sua valigia e sorrise felice.
<< Devo andare >> il groppo alla gola si faceva sentire prepotente, ma sarebbe passato.
Marco non si scompose, aiutandola.
<< Fammi sapere quando arrivi >> le raccomandò.
<< Non preoccuparti >>
Chiara si allungò per baciarlo e dischiudere le labbra in un sorriso.
<< Non divertirti troppo senza di me >>
<< Sarà difficile >> constatò Marco ridendo felice.
L’ultimo avviso ai passeggeri, l’ultimo richiamo alla realtà.
L’ultimo sguardo – quellopiùintensolungoappassionanteverocolmod’amore- prima di salutarsi.
La promessa viva nei loro occhi, nei loro cuori.
Sempre – forte.
<< Ci vediamo a casa,  Marco >>

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