Una finestra sul Reno di itsbrie (/viewuser.php?uid=78116)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Parte ***
Capitolo 2: *** Seconda Parte ***
Capitolo 3: *** Ultima Parte ***
Capitolo 1 *** Prima Parte ***
Salve a
tutti!
Ebbene
sì, manco su EFP da un anno buono e me ne dispiaccio molto.
Ho
avuto un periodo piuttosto complicato, esami di stato,
università, trasferimenti, voglia di scrivere che altalenava
nel vuoto cosmico.
Sono
consapevole di essere alquando unpopular su questo sito (sempre per mea
culpa) ma scrivere è una passione che mi sento di
condivedere, per questo ho deciso di postare questo racconto per molto
importante.
E'
una trama semplice, forse un pò banale, ma ci ho messo tutta
me stessa e spero si capisca.
E'
una storia a capitolo unico, sono in tutto 24 pagine e per il momento,
posterò le prime 12.
Con
la speranza che possa piacervi, vi lascio alla "prima parte".
Vi
invito dal profondo del mio cuore a commentare se leggete, ovviamente,
sia critiche sia incitamenti, ho davvero bisogno di sapere cosa ne
pensiate.
Un
grazie per l'attenzione e un abbraccio a tutti.
Let:)
Una finestra sul Reno.
a
voi che siete stati ispirazione inconsapevole, degli amici sinceri,
veri /
a voi, dedico questo racconto.
perché niente
è come te
e me insieme
niente vale quanto te e
me insieme
siamo due respiri
che vibrano vicini
oltre il male e il bene
niente è come
me e te
insieme
(Chiara – Due
Respiri)
Sono
poche le persone che lasciano in noi tracce visibili del loro
passaggio, sono poche le persone in grado di farci ricordare il loro
nome subito dopo averle conosciute.
Sarà
stato forse per il sorriso, per gli occhi vispi o misteriosi, oppure
semplicemente perché quella persona ci è
simpatica.
Sono
tanti i volti che incrociamo ogni giorno, tra mezzi e luoghi pubblici,
ci passano di fronte così tante persone che neanche ce ne
accorgiamo.
E’
così difficile ricordarsi di qualcuno, a meno che non sia
speciale.
Quando
si incontra una persona speciale si riconosce subito; innanzitutto
perché sarà una persona bella – in
generale, non solo fisicamente – avrà una voce
particolarmente profonda, farà dei gesti ipnotici ed
organizzati – che risulteranno assolutamente spontanei e
naturali - .
E’
facile perdersi nei gesti delle persone, ammesso che siano speciali,
perché insieme alle loro parole ed ai loro particolari
sguardi, ci dimentichiamo del resto.
Sempre
perché è difficile incontrare persone speciali al
giorno d’oggi, dovremmo essere ben pronti a
riconoscerne una, perché altrimenti, quando la incontriamo,
potrebbe scappare via senza neanche averla potuta osservare per bene.
Prima
di conoscere bene una persona, bisogna osservarla bene, altrimenti si
rischia di restare ingannati dal bell’aspetto o da
quell’attraente modo di fare.
Quante
volte ci è capitato di perderci negli sguardi di qualcuno
che è seduto di fronte a noi nella metro o in bus? Quante
volte abbiamo desiderato spezzare il loro – ed anche il
nostro – silenzio con una solo parola?
In
un giorno come un altro, molto probabilmente non ci accorgeremmo
nemmeno di incontrare una persona speciale, perché di solito
siamo sempre troppo presi da altro.
Ed
è incredibile come, fra tutte le persone che incontriamo, ci
sarà sempre quella che attirerà la nostra
attenzione in modo non inequivocabile.
<< Che
cosa ti fa credere che ti accompagnerò alla festa di
stasera? >> mugugnò Marco, passandosi una mano
tra i capelli castani.
<<
Il fatto che ci sarà Sara, che avanti, lo sappiamo tutti che
ti piace >> ribattè divertito Andrea.
<<
Non sei un vero amico se mi ricatti in questo modo >>
rispose il primo, incrociando le braccia, in segno di disappunto. La
grande bocca si piegò in un sorriso e alzò le
spalle << Preferirei andare a bene un po’ di
vino da Claudio, non ho voglia di ubriacarmi e perdere il controllo
>>
<<
Come se da lui questo non succedesse >>
puntualizzò Andrea come se fosse stata appena pronunciata
un’eresia. Si aggiustò meglio gli
occhiali tondi e spessi sugli occhi e attese una risposta soddisfacente.
Marco
sospirò << Senti, ci ho pensato
>>
<<
A cosa? >>
<<
A Sara, al fatto che mi sono stancato di mandare la mia vita a puttane,
nel vero senso della parola >> affermò con un
certo sconforto, come se le sue parole esprimessero una grande angoscia
interiore.
<<
Beh sono vent’anni che lo fai, che differenza fa?
>>
<<
C’è che mi sono seccato! Sono anche stanco di
passare da una ragazza all’altra senza neanche accorgermene,
sono stanco di guardare una ragazza e pensare se potrei farmela o meno
>>
Andrea
storse il naso << E dunque qual è la morale
della favola? >>
<<
Che non verrò con te stasera, o almeno non vorrei
>>
Gli
occhi di Marco si persero un attimo nel grande atrio
dell’università, molto probabilmente alla ricerca
di qualche sguardo su cui appoggiarsi.
Ma
c’erano solo sconosciuti.
Che
pensiero strano aveva avuto quella mattina, che cosa strana aveva
appena detto al suo amico.
Eppure
era da un po’ di tempo che pensava alla sua vita, al fatto
che niente in essa fosse veramente stabile a parte la famiglia, gli
amici lo sport o qualche scarsa abitudine.
Lui
infatti non era tipo da abitudine, eppure faceva tennis e nuoto da una
vita, fumava da un po’ di tempo, guidava da due anni e al
mare ci andava sempre alle due di pomeriggio.
Tutti
questi impieghi non erano per lui abitudini, ma
più modi di essere, come se si affezionasse a una qualunque
di quelle perché gli piacevano e non
perché voleva farla proprie.
Invece,
non si era mai accorto di essersi abituato ad essere quel tipo di
Marco, non ad un ragazzo qualunque.
Era
quel Marco che beveva litri di vino, che amava le feste con tante
gente, che quando abbassava lo sguardo rideva sempre e quando
si passava la mano tra i capelli diceva sempre “Non sono
bellissimo?”.
Eppure,
da un tempo tutte queste cose, che amava lo stesso, non gli sembravano
abbastanza.
Nella
sua interpretazione delle cose, stava semplicemente cercando di
cambiare stile di vita e darsi una regolata, ma la verità
era che aveva bisogno di un’altra abitudine – o
meglio, una nuova cosa a cui affezionarsi.
In
quella città, dove arrivavano fiumi di persone, ogni volta
si domandava se ci fosse la sua potenziale donna ideale, quella che gli
avrebbe fatto perdere la testa e impazzire.
Aveva
visto tutti innamorarsi di qualcuno, ma lui no, lui voleva fare
l’innamorato, ma non ci riusciva.
Si
infatuava delle ragazze, le corteggiava, si divertiva, gli piaceva
passare tempo con loro, ma dopo un po’ si accorgeva che non
era questo che cercava.
In
realtà neanche lui sapeva cosa cercava, la verità
era che era semplicemente innamorato della vita,
dell’allegria, delle belle ragazze, dell’estate,
del chiasso, della musica, del rumore.
Non
c’era silenzio nella sua vita, il silenzio distrae e
frastorna, proprio come fa il sole quando sorge.
<<
Sono certo che varcherai la soglia del locale più in forma
che mai >> concluse Andrea.
<<
Beh staremo a vedere amico mio, in caso ti devo un bicchiere di birra
>>
<<
Come mai mi salti il vino, questa volta? >>
<<
Perché hanno aperto un pub irlandese nuovo e dobbiamo
assolutamente andarci >>
Andrea
rise di gusto e si domandò perché lo sguardo di
Marco si fosse fissato nel vuoto.
Bologna
era un città che pullulava di ragazzi, che pulsava di vita
da tutte le parti.
“Bologna
la rossa” così la chiamavano comunemente, per un
motivo politico, eppure a Chiara sembrava che fosse chiamata
così perché rosso era il colore della passione,
dell’euforia, della gioia, e per questo Bologna era rossa,
perché era vitale e splendente.
Quando
scese dal treno si accorse che la sua permanenza lì sarebbe
stata come al solito, perfetta ed in sintonia con se stessa.
Perché
quel posto le trasmetteva calma, la rassicurava e la cullava.
Amava
uscire per i vicoli che pian piano si incrociavano e si perdevano;
amava guardare i ragazzi che si abbandonavano all’euforia
della sera e urlavano felici; amava guardava quel posto attraverso il
cristallo lucente dei bicchieri di vino che abbondavano.
Come
se quello fosse il posto a cui appartenesse da sempre, si diresse verso
l’indirizzo del bed&breakfast dove avrebbe alloggiato
per le successive settimane.
Era
sempre lo stesso, non lo aveva mai cambiato.
Gestito
da un anziano signore e la sua altrettanto anziana – quanto
scaltra e vivace – sorella.
Non
lo sceglieva solo perché le regalavano sempre la pasta fatta
in casa o perché le facevano pagare una sciocchezza, ma
perché quel luogo era riuscita a darle una casa in un posto
che non era il suo.
Quell’odore
di vecchia casa misto agli invitanti odori della cucina, garantivano
serenità e affetto incondizionato.
E
per Chiara, che faticava tanto a fidarsi delle persone, era una mano
santa.
Era
dura per lei illudersi di avere una vita normale, illudersi avere le
stesse abitudini dei suoi coetanei, e immaginarsi - anzi sapere - che
ci fosse qualcuno che come lei si era visto strappare una parte della
sua giovinezza, una delle più belle.
Non
era colpa di suo padre se si era ammalato, neanche di sua madre che era
morta più di dieci anni prima.
Eppure
non si era mai lamentata, non ci aveva mai provato a prendersela con il
mondo per quanto le era capitato, non voleva che le sue disgrazie
infierissero con il suo modo di vedere la vita, così
straordinario e unico. Perché lei era così, amava
la vita tutto e per tutto.
Troppo
appassionata, vivace, allegra, sincera, attenta.
Era
così che era vista Chiara, troppo onesta nei confronti di se
stessa, sciolta dalle briglie di qualunque pregiudizio, amante delle
piccole cose, credente nella forza di cuori grandi, dei desideri puri e
dei sorrisi veri e lucenti.
Non
poteva descriversi in altro modo Chiara, era semplicemente appassionata.
Così,
era tornata a Bologna per darsi alcuni esami, e forse sarebbe rimasta
lì più delle altre volte in quanto sua zia Gilda
si sarebbe presa cura di suo padre per darle modo di fare tutto con
calma.
Sarebbe
stato difficile per lei una volta tornata affrontare la
quotidianità e la malattia di suo padre, ma avrebbe fatto
tutto con la dedizione e l’amore lui si meritava.
Come
sempre, da tanto tempo.
Per
adesso pensava a godersi una Bologna gelida a fine Novembre.
<<
Finalmente ti terremo qua più di dieci giorni! Dolce Chiara,
era da tanto che mancavi! >>
La
ragazza sorrise alla signora anziana che, tutta indaffarata nella sua
cucina, faceva valanghe di pasta fresca per sé ed i suoi
ospiti.
<<
Prometto che stavolta la aiuterò a fare i tortellini! In
famiglia si lamentano perché non ho ancora imparato a farli
>>
La
signora rise << Ora Giovanni è uscito, ma
quando tornerai, avrai per tu un delizioso banchetto >>
<<
Gli altri ospiti non saranno gelosi del trattamento che mi riservate?
Un giorno qualcuno lo farà >>
La
signora Elena fece una piccola smorfia divertita << Il
giorno in cui qualcuno oserà farlo, stai certa che qui non
sarà più il benvenuto! >>
<<
Oh su, ora non esageriamo! Prometto che non dirò a nessuno
delle torte con doppio cioccolato che mi fa trovare in cucina a
colazione.. >>
Entrambe
scoppiarono in una risata allegra, e in quel momento a Chiara
sembrò quasi di essersi scordata dei dolori che portava con
sé.
A
Bologna non conosceva troppa gente e non sapeva neppure se valesse la
pena conoscerne visto il poco tempo che vi trascorreva.
Molte
volte qualcuno le chiedeva per quale motivo venisse a Bologna solo per
darsi gli esami e diciamo che, indirettamente, le chiedevano
perché sprecasse tutti quei soldi – visto che lei
era di Roma e poteva benissimo starsene a casa sua – e ogni
volta, lei rispondeva che valeva la pena stare lì anche solo
per un’ora!
Insomma,
come spiegare ad un estraneo che tuo padre è malato di
Alzheimer e che, anche se volessi, non lo lasceresti mai e,
anche se fosse, sono sfatti suoi e non degli idioti che non capiscono
nulla?
Per
lei era importante staccare un po’ la spina, respirare un
po’ d’aria nuova, ma questo ipotetico estraneo,
come avrebbe potuto capirlo?
Come
avrebbe potuto anche solo comprendere un minimo di quello che provava?
Forse
era un suo problema non riuscire a aprirsi, forse era colpa sua se di
fronte ad uno sconosciuto aveva sempre paura di venire giudicata o anzi
– peggio – di venire compatita ed essere
considerata sfortunata.
Ma
sfortunata di cosa? Per aver sofferto?
Beh
in fondo tutti soffrono, chi prima, chi dopo, a lei era successo e non
poteva davvero farci nulla.
Lo
accettava perché era così, cos’altro
poteva fare?
Tanto
nessuno avrebbe compreso il suo struggimento, nessuno avrebbe intuito
la sua infelicità, data la sua – nonostante tutto
- incredibile gioia, nessuno avrebbe compreso il vuoto che
c’era nei suoi occhi.
Quando
si accorse che era arrivato il momento di uscire, sospirò.
<<
Vado a liberarmi di questo esame. O la va o la spacca >>
disse.
La
signora Elena le fece l’occhiolino << La va, la
va >>
E
Chiara ci credette davvero.
***
L’università
di Bologna si presentava come un luogo aperto e limpido, brulicante di
cultura, sorprese, delusioni, soddisfazioni, rivincite, ma
soprattutto, di vita.
Chiara
si ricordava ancora la prima volta che vi mise piede e quello
che provò.
L’aria
elettrica, l’ambiente stimolante di una università
che accoglieva persone di tutti i tipi e che le vedeva passare giorno
dopo giorno.
Molte
volte si sentiva come un pesce fuor d’acqua, ma poi, quando
le capitava di incrociare lo sguardo di una qualunque persona, capiva
di essere lì per il suo stesso motivo, e che non aveva nulla
da temere se non il professore che avrebbe dovuto affrontare tra breve.
Entrò
nel grande atrio della facoltà di Giurisprudenza e si
guardò intorno spaesata.
Non
aveva idea di dove fosse l’aula che le serviva.
Anzi,
non sapeva neanche quale aula le servisse.
Nel
gabbiotto all’ingresso avevano disertato tutti e, invano,
tentò di chiedere informazioni a qualcuno.
Tutti
le rispondevano male, tutti erano nervosi, e capitava che quando
qualcuno si accorgeva che lei stesse per parlare, subito si
allontanasse per evitarla.
Non
aveva beccato la giornata giusta per gli studenti della
facoltà.
Con
la borsa che le stava tranciando una spalla, si avviò a
controllare le innumerevoli bacheche in cerca di qualche informazione.
Ma
neanche questa ricerca produsse il risultato sperato.
Stanca
e spazientita, decise di fermare il ragazzo che stava venendo nella sua
direzione.
Per
un attimo si fermò ad osservarlo : alto, mani grandi, spalle
larghe e sguardo profondo.
Molto
probabilmente però, neanche lui si sarebbe fermato per darle
una mano.
Diede
un’occhiata all’orologio e vide che aveva a
disposizione ancora una buona mezz’ora.
Il
problema era che fino a che avesse trovato l’aula, sarebbe
passata ancora dell’altro tempo, lei avrebbe fatto tardi e
forse il professore non le avrebbe fatto sostenere l’esame.
D’accordo
– si disse respirando appena, e decisa come poche volte,
fermò quel ragazzo.
<<
Scusami >> disse farfugliando – e
sperò con tutta se stessa di aver parlato una lingua
conoscibile e non avesse solo aperto la bocca per belare come una
pecora - << Ho bisogno di sapere dove si trova
l’aula dove il professor Tomasi farà gli esami
>> terminò la frase mordendosi
l’interno della guancia.
Lo
sguardo che le rivolse quel ragazzo non fu di sdegno, quanto di
divertimento.
Infatti,
alzò le spalle e ridacchiò appena
<< Certo che lo so, ho fatto l’esame
un’oretta fa >>
Lei
sorrise come non le era ancora capitato di fare quella mattina e
sospirò << Meno male, mi stai salvando la vita
>> ammise guardandosi intorno << Tutte le
persone che ho fermato mi hanno risposto che non lo sapevano oppure
dicendomi “Ti pare che non sai l’aula dove devi
fare l’esame?” >>
Il
giovane rise di gusto, ammirando la scioltezza della ragazza che senza
nemmeno conoscerlo, aveva iniziato a parlargli come se fossero amici da
sempre.
La
guardò negli occhi – verdi, intensi - e scosse il
capo << Comunque l’aula è al primo
piano, proprio di fronte l’aula studio. Hai presente?
>>
Chiara
iniziò a fare mente locale, sforzandosi di ricordare il
più possibile i luoghi indicati dal ragazzo.
In
quell’aula studio del primo piano aveva passato quasi un
intero anno della sua vita, certo che se lo ricordava. E’
vero che non vedeva quella università da un po’ di
tempo, ma ancora non aveva perso la memoria.
<<
Si, si certo! Intendi l’aula C, vero? >>
domandò per avere conferma.
<<
Esattamente! >> ribadì il ragazzo con una
certa enfasi << Ma sbaglio o non sei frequentante? Non mi
sembra di averti mai vista in giro >>
Dopo
aver detto quelle parole Marco si rese conto di aver fatto la figura di
quello che ci stava provando, cosa che in realtà non gli era
neanche passata per l’anticamera del cervello.
Per
questo, si affrettò ad aggiungere << Giusto
per darti una dritta per l’esame, tranquilla >>
Chiara
sorrise e annuì << Si, non ho mai frequentato,
mi sono preparata da sola >>
<<
Che coraggio, e se mi permetti, devi essere molto brava, io per capirci
qualcosa di processuale civile ho dovuto sforzare il mio intelletto
davvero di tanto >>
Lei
arricciò il naso << Mi sono preparata molto
effettivamente >>
Marco
si passò una mano tra i capelli castani – ma non
disse che era bellissimo - << In ogni caso
è fissato con il processo cautelare uniforme e processo
sommario di cognizione, te li chiederà senz’altro,
sono le sue domande standard >>
Chiara
memorizzò tutto mentalmente, sentendosi segretamente grata a
quel ragazzo che la stava aiutando così spontaneamente senza
troppe domande.
Forse
era stato l’unico estraneo che le aveva trasmesso qualcosa
che non fosse solo timore.
<<
Sei un angelo, grazie mille! Ora devo andare, altrimenti mi
boccerà e mi toccherà tornare al prossimo
appello, e sinceramente non posso permettermelo >>
sospirò appena, senza farsi sentire << Ti
ringrazio di nuovo e ti auguro una buona giornata! Ciao!
>> gli sorrise – ancora, a trentadue denti,
serena e sollevata – e si avviò quasi correndo
verso le scale.
Marco
rimase lì, interdetto.
Avrebbe
almeno voluto sapere come si chiamava.
Chiara
uscì dall’aula C con un bel trenta sul libretto e
un mucchio di soddisfazione che sollevarono il suo umore in un modo che
neanche lei era capace di decifrare.
Prese
il cellulare e chiamò sua zia Gilda per informarla del
risultato, poi parlò con suo padre, che stranamente non ebbe
bisogno di chiarimenti o spiegazioni per ricordarsi
dell’esame di sua figlia.
<<
Sei stata veramente brava piccola mia, ora perché non torni
a casa a festeggiare? >>
Senza
che Chiara se ne accorgesse, i suoi occhi si velarono di tristezza,
rivelando tutta quella fragilità che almeno per un paio di
ore non si era manifestata.
<<
Papà tra un paio di giorni ho un altro esame, sono a
Bologna, ci vediamo tra un po’ >> rispose
lentamente.
Dall’altro
capo del telefono udì un brusio confuso.
Molto
probabilmente sua zia Gilda stava spiegando a suo padre che sarebbe
tornata solo al termine dei suoi esami, a fine mese.
<<
Chiara, scusami, non me lo ricordavo proprio! Al tuo ritorno ci saranno
molte cose da festeggiare, però! Salutami i miei amici
bolognesi, so che sei da loro >>
<<
Certo papà, non temere. Ora stacco, ci sentiamo
più tardi? >>
<<
Mi raccomando, chiama anche la mamma >>
Chiara
fu certa di sentire una lacrime attraversarle il viso.
<<
Certo papà, lo farò subito. A dopo
>>
Premette
il tasto rosso del suo telefonino di vecchia generazione e chiuse gli
occhi, iniziando ad immaginare come sarebbe stata la sua vita se le
cose non fossero andate come sono diventate.
Immaginò
come sarebbe stata la sua vita se sua madre non fosse morta quando
aveva sette anni; immaginò come sarebbe stato se suo padre
non si fosse mai ammalato due anni prima; immaginò come
sarebbe stata la sua vita se avesse visto le cose con occhi
più disinteressati e cuore meno pieni di voglia di vivere.
Sicuramente
sarebbe stata più semplice, sicuramente avrebbe sofferto di
meno e avrebbe sorriso un po’ di più, ma ora come
ora non era importante.
Era
arrivata ad essere la giovane donna forte che era per tutto quello che
aveva passato, era diventata una ragazza appassionata
dell’amore e della vita perché ne conosceva
– forse non completamente – il vero valore, e
voleva conservarla integra e intatta fino a che le fosse stato
possibile.
Riaprì
gli occhi, le sembrava essere passata un’eternità
quando in realtà erano trascorsi solo un paio di secondi.
Si
guardò intorno per assicurarsi di non essere stata scambiata
per una matta e in fretta, si avviò verso l’uscita
della facoltà con un peso in meno.
Marco
era stanco di sentirsi cosa fare o cosa non fare, soprattutto non
sopportava che a dirglielo fossero i suoi amici che non si rendevano
conto di niente, poiché per bastava divertirsi e ubriacarsi,
e se non si stava con un paio di ragazze a sera non si era fighi.
Era
stanco di vite preconfezionate senza nessun rimborso.
Una
volta resi conto dell’errore si poteva tornare indietro?
Anche
lui aveva sbagliato a sprecare la sua vita dietro a cose effimere senza
niente, si era lasciato trasportare in un vortice che lo aveva
risucchiato e dal quale ora, faticava ad uscire.
Aveva
acconsentito ad andare alla festa quella sera, aveva acconsentito ad
una nuova serata in cui non era importante dove e con chi, ma bisognava
darci dentro.
Era
stanco, stanco come lo si può essere dopo una settimana di
insonnia, stanco come lo si era quando si bruciano tutte le tappe e
dietro di te c’è solo un tumulo di cenere.
<<
Ci troviamo alle dieci mezza sotto casa di Andrea e andiamo
>> annunciò Paolo.
Tutti
annuirono.
Anche
Marco sembrò acconsentire nel suo silenzio.
I
ragazzi si congedarono e lui non gli rivolse neppure una parola.
Non
era arrabbiato con loro, non ne aveva motivo, era semplicemente
arrabbiato con se stesso.
Studiare
a Bologna non era stata la sua prima scelta, ma la delusione di non
essere stato preso a Milano – per la Bocconi, si intende, lui
ci teneva tanto – lo aveva indotto a cambiare frontiera.
Così,
da Roma era arrivato nella città rossa, che lo aveva accolto
con calore.
Non
si era mai pentito di quella scelta, anzi, grazie al disguido della
città del Nord, si era accorto che la scelta di Bologna era
in assoluto la migliore che avesse potuto fare.
Aldilà
dell’università, lì persone erano
fantastiche – o perlomeno lo erano quasi tutte – e
non ci si annoiava mai.
Lui
non si era mai annoiato, si era sempre divertito anche nei periodi di
esami, aveva sempre tirato fuori da quella città il meglio
che potesse dargli.
Così
la sua vita non era mai stata grigia o monotona.
Perché
in fondo anche lui era così, anche lui amava vedere la sua
vita piena di colori, di emozioni forti.
Ma
adesso non gli bastava più, adesso aveva bisogno di
più certezze, di più tranquillità e
stabilità, aveva bisogno di avere un punto fermo nella sua
vita.
Certo,
aveva la sua famiglia e gli amici, ma non credeva più negli
altri, non credeva più nella fiducia di qualcosa di nuovo
che non aveva mai conosciuto che potesse cambiargli la vita.
Forse
erano state le delusioni o le botte in testa, forse era il suo
autocontrollo o troppa attenzione alle cose ad averlo reso
così.
Questo
non lo sapeva, era troppo difficile conoscere se stesso e farsi una
ragione delle proprie ragioni.
Eppure
si sentiva incompleto, come poteva sentirsi la luna senza le stelle o
l’amore senza gli amanti.
Ma
non era così bravo da capirsi totalmente, non era
così bravo da decifrare il suo io.
Questi
erano i pensieri che lo accompagnavano nel suo tragitto a casa, che mai
come quel giorno era costellato di pensieri e vaghezze.
Tra
l’altro, era anche a piedi a causa di una ruota bucata della
sua bicicletta.
Anche
se il tratto non era lungo, ma stava morendo di fame e come sempre dopo
un esame, necessitava di una dormita pomeridiana di almeno tre ore.
Imboccò
via Zamboni senza indugi e affrettò il passo per non
incappare in qualcuno che conosceva.
Seduta
ad un tavolo del Caffè Zamboni, però, intravide
la ragazza con cui aveva parlato un paio di ore prima.
Il
suo primo istinto fu quello di raggiungerla e chiederle
dell’esame, ma si trattenne.
Se
ne stava seduta lì, tutta sola a sfogliare distrattamente le
pagine di un libro che non stava neppure guardando.
Si
chiese perché fosse lì senza compagnia,
perché faceva di tutto per evitare gli sguardi estranei,
fino a che non incrociò il suo.
Si
sentì un idiota, perché la stava fissando da un
po’ e sperò di riuscire ad abbassare lo sguardo e
filare dritto. Ma non fu quello che successe.
Chiara
lo fissò, cercando di capire se fosse davvero lui, poi gli sorrise.
Lui
ricambiò con un gesto della mano e senza aspettare risposta,
andò via esattamente come aveva fatto lei poco prima,
lasciando entrambi con un nodo alla gola.
****
Venerdì,
a Bologna splendeva il sole, e uscita
dall’università – dopo aver dato il
secondo esame della settimana – Chiara si sentiva decisamente
più leggera.
Bisognava
stringere i denti un altro po’ e poi sarebbe stata libera per
quel semestre, che sperava di concludere massimo per metà
Febbraio.
Così
sarebbe stata a casa fino a Maggio, da suo padre, dalle corse in
ospedale, da sua…
No,
assolutamente non doveva pensarci, non per quella mattinata almeno.
Ripose
i libri nella borsa e si fermò a bere un goccio
d’acqua dalla fontana appena fuori dalla facoltà.
Fu
in quel momento che intravide il ragazzo che l’aveva aiutata
giorni prima, e come se fosse la cosa più giusta o
semplicemente perché voleva parlare con qualcuno, gli si
avvicinò.
<<
L’esame è andato bene alla fine, mi ha fatto anche
le domande che mi avevi detto tu, quindi grazie >>
Marco
la guardò senza capire per un paio di secondi, sorpreso dal
gesto e dalla naturalezza con cui era stato compiuto.
Neanche
l’aveva vista quella giovane con i capelli castani, che lei
lo aveva sorpreso con pochissime parole.
Di
gratitudine tra l’altro, che si ricordasse mai nessuno lo
aveva fatto prima.
<<
Beh era mio dovere >> rispose incerto <<
D’altronde ti serviva davvero una mano >>
Chiara
annuì << Certo, e non mi vergogno di
ammetterlo! Sai, potrei anche dirti che hai avuto
un’impressione sbagliata su di me o che so io, ma ci hai
davvero preso, bravo >>
Marco
ridacchiò << Si beh, devo avere un certo
talento >>
Lei
alzò le spalle << Non saprei, sicuramente ti
devo un favore per avermi predetto le domande dell’esame
>>
<<
Beh ma qui era risaputo che si orientasse su quelle, diciamo che sono
andato a colpo sicuro >>
<<
Certo, tu lo sapevi, ma io no, già era tanto se sapevo
com’era fatto Tomasi, figuriamoci se potevo immaginarmi le
domande >>
<<
Giusto, avevo dimenticato che tu non hai frequentato >>
aggiunse Marco, avendo avuto paura di un possibile risentimento della
ragazza per le sue parole.
<<
Ora ho appena dato l’esame di Vicenzi, e poi mi
informerò per gli appelli di Gennaio di Borghese, speriamo
bene >> gli disse la ragazza, continuando a comportarsi
come si conoscessero da troppo tempo.
Marco
non sapeva come comportarsi, perché di solito ci avrebbe
già provato, le avrebbe già chiesto di offrirle
un caffè o di andare alla festa la sera stessa, ma questa
volta era davvero bloccato.
Anzi,
la parola esatta era paralizzato.
Si
sentiva paralizzato dal tono di voce così vivace della
ragazza, dal suo sorriso così sincero, dalla risata
cristallina e soprattutto dagli occhi – profondi, un
po’ misteriosi - .
<<
Sei davvero coraggiosa, te lo ripeto, io Vicenzi non ci penso neanche a
darlo adesso, e Borghese mi sta di una tale antipatia che potrei
insultarlo prima ancora di trovarmi davanti la sua faccia
>>
Chiara
scoppiò a ridere << Vedi i vantaggi di non
frequentare? Almeno se trovo antipatico Borghese lo trovo antipatico
per una mezz’ora, tu invece quando ti troverai
all’esame di fronte a lui vorrai solo ucciderlo e sarai
troppo occupato a pensarci per tutto il tempo >>
Marco
annuì divertito << In caso volessi farlo mi
aiuteresti? >>
Lei
ci pensò su un attimo << Certo, solo dopo aver
preso il mio dignitoso voto >>
<<
No così non vale, non ha proprio senso, scusami
>> protestò lui con un mezzo sorriso.
Chiara
storse le labbra << Allora penso proprio che farai a meno
del mio aiuto >>
<<
Magari, se finalmente mi dici come ti chiami potrei ritirare questa
stupida idea di sabotare Borghese e dimenticarcene per sempre, che ne
pensi? >>
Marco
la guardò negli occhi, stavolta di appurò che
anche stesse facendo lo stesso.
E
di fatti i loro sguardi si trovarono fusi per un tempo che non seppero
determinare.
<<
Io sono Chiara >> iniziò a dire
<< La ragazza che non ti aiuterà a commettere
un omicidio >>
<<
E io sono Marco, il ragazzo a cui hai appena infranto uno dei
più grandi sogni >>
Entrambi
sorrisero, arricchiti da uno scambio di occhiate che li stava
travolgendo totalmente.
A
Chiara sembrò di parlare con l’anima di Marco in
quegli istanti, sembrò di comunicare con lui per
raccontargli i suoi segreti più intimi, per rivelargli le
più nascoste emozioni.
Per
dirgli che era l’unica persona di cui si stava fidando senza
neppure conoscerla.
Si
stavano dicendo un sacco di cose, si stavano parlando nel modo
più profondo possibile si stavano scambiando le anime e i
pensieri.
<<
Non sei di Bologna, Marco, vero? >> osservò
Chiara, stavolta con più esitazione.
<<
No, esattamente. Sono di Roma, e tu? >>
Lo
sguardo della ventenne si illuminò improvvisamente
<< Oh mio Dio, davvero? >>
Lui
la guardò senza capire << Davvero davvero,
perché? Non ci credi? >>
<<
Certo che ti credo, se però prima tu credi al fatto che sono
anche io di Roma >>
Marco
sorrise, felice << Questa sì che è
una bella notizia >>
<<
Lo vedi quante cose che si scoprono? >>
<<
Senti, Chiara, risulto sfacciato se ti chiedo di prendere un
caffè con me? >>
Lei
scosse il capo, decisa << Avrei pensato il contrario se
non lo avessi fatto >>
<<
In che senso scusa? >> domandò lui, mentre con
i suoi passi, la guidava fuori dall’università.
<<
In nessun senso, ti sto solo dicendo che mi sarei risentita se tu non
lo avessi fatto >>
Marco
era spiazzato, semplicemente .
Marco
era semplicemente sollevato, perché per la prima
volta aveva incontrato una persona che lo stesse smuovendo, che lo
avesse richiamato sulla terra facendogli capire che era giusto avere
fiducia nelle persone.
Perché
lo sentiva che Chiara era una persona speciale.
E
perché senz’altro aveva percepito il pensiero di
Chiara.
Anche
Marco era speciale per lei, non lo sapeva con esattezza, ma -
sì -, lo sentiva con tanta forza.
Ed
era certa che conoscerlo le avrebbe fatto solo tanto bene.
Ma
questo ancora non poteva immaginarselo.
****
<<
Se tu mi avessi detto prima che avevi intenzione di trascinarmi in giro
per tutto il giorno sarei tornata a posare le mie cose >>
borbottò Chiara, quando alle quattro e mezza del pomeriggio,
girava per Bologna con Marco, che voleva farle vedere la
“vera” città.
<<
Beh ci andremo adesso se vuoi >> propose lui vivace
<< In fondo non credo che ci costi >>
Chiara
non seppe che rispondere.
Se
lui l’avesse riaccompagnata a casa sua avrebbe scoperto che
non era una vera casa e avrebbe dovuto dargli troppe spiegazione e non
se la sentiva di parlarne.
O
almeno non adesso.
Si
erano appena conosciuti, non voleva già adesso fargli pena.
<<
No, Marco. Restiamo in giro, in fondo non è così
pesante >> disse laconica, senza che lui potesse
ribattere in alcun modo.
<<
Va bene, come vuoi >> convenne il ventenne senza indagare
troppo sul motivo del suo rifiuto.
Certo
doveva esserci una giustificazione particolare per essergli costata una
risposta così dura.
Ma
non voleva rovinare l’armonia di quel pomeriggio, si stava
trovando troppo bene con lei per fare in modo che le cose peggiorassero.
Non
voleva assolutamente mandarla via.
<<
Perché non mi parli di te? Io prima ti ho detto un sacco di
cose e tu niente, quindi penso di meritarmi un po’ di notizie
sul tuo conto >> disse Chiara risoluta.
Marco
ridacchiò appena << Che cosa vuoi sapere?
>>
<<
Chi sei >> rispose semplicemente la ragazza.
In
quel momento si guardarono negli occhi e lui sentì di poter
essere sicuro di tutto.
<<
Ho vent’anni, mi chiamo Marco Accursi, sono al terzo anno di
giurisprudenza e.. >>
<<
Hai fatto la primina? >> domandò Chiara.
<<
Si, perché? >> ribattè lui.
<<
Anche io, ma adesso continua >> ordinò la
ragazza con un sorriso.
<<
.. Ho un fratello e una sorella, d’estate andiamo a fare le
vacanze in Abruzzo, al mare ovviamente. Ho fatto nuoto e tennis, seguo
il calcio ma dopo un po’ mi stufa e mi piace tanto il vino
>>
<<
Il nuovo erede di Bacco >> ironizzò Chiara
ridendo.
<<
Ma non eri tu che volevi sapere “chi sono”?
>>
<<
Beh si, è vero, ma questa non poteva tenermela. Scusa
>> si salvò lei alzando le spalle doloranti
per il peso che stava portando.
<<
Dammi i tuoi libri, li porto io >> disse poi Marco,
allungando una mano verso di lei.
Le
sfiorò il collo appena scoperto, lo sfiorò
proprio dove la sciarpa di Chiara era scivolata non coprendola.
La
sfiorò proprio dove Chiara sentì i brividi
percorrerle tutto il corpo.
Quel
contatto le provocò calore, quasi come se le mani di Marco
bruciassero.
Si
ritrasse involontariamente, intimorita dalla reazione che quel gesto
aveva provocato in lei.
<<
Dai, se non vuoi andare a posarli, almeno dalli a me >>
Chiara
lo guardò negli occhi, che erano diventati quasi lucidi.
Non
sapeva perché stava reagendo in quel modo, ma le era quasi
sembrato che Marco avesse scoperto la sua fragilità e
gliel’avesse mostrata.
Marco
aveva appena rivelato la debolezza di Chiara con un solo gesto e non se
ne era neppure accorto, aveva appena oltrepassato il confine che lei
aveva posto sin dall’inizio.
Aveva
fatto in modo che Chiara fosse messa di fronte alla verità.
E
non ne era consapevole.
Così
rimase ferma, con i piedi incollati al suolo, incapace di muoversi.
<<
Ti senti bene? >> chiese lui allarmato.
La
sentiva ribellarsi da dentro, ma senza avere la forza di reagire.
Ma
lei scosse il capo.
No,
no – si ripetè nel cuore e in testa, che le
ordinava di chiedergli scusa.
Ma
non lo fece.
<<
No, sto bene >> disse solo.
Lo
guardò negli occhi e Marco capì che mentiva.
<<
Vuoi andare via? >>
Il
giovane era totalmente impreparato ad una cosa del genere, non gli era
mai successa.
Percepiva
che Chiara non stava bene ma non sapeva perché, avrebbe
voluto scavalcare il muro che lei aveva improvvisamente alzato tra loro
ed abbracciarla.
Ma
non lo fece.
<<
No, per favore >> lo supplicò Chiara.
Marco
rimase lì.
<<
Per favore >>
****
Quando
sulla città calò la sera, di colpo tutti i colori
sbiadirono dissolvendosi nel buio di una serata troppo fredda, con il
gelo negli angoli e nel cuore.
Chiara
era di fronte a Marco che stava fumando una sigaretta con aria passiva.
Si
conoscevano da sempre, loro lo sapevano. Lo avvertivano.
<<
Non penso che mi sia mai capitata una cosa più strana di
questa >> disse Chiara, e Marco non distinse da quale
direzione provenisse la sua voce.
<<
Che cosa? >> chiese il ragazzo.
<<
Non mi è mai capitato di conoscere una persona e in un
giorno solo trascorrere insieme a lei tutto questo tempo. E’
strano, Marco, non so se mi intendi >>
Il
giovane rimaneva sempre incredulo dalle parole di Chiara, che sembrava
parlare anche per i suoi pensieri.
Come
aveva fatto quella ragazza ad intrufolarsi nella sua vita in quel modo
così particolare proprio non lo sapeva. Non riusciva a
spiegarselo, era un insieme di emozioni, silenzi, risate e respiri che
si mescolavano e attraversano entrambi in una maniera che non si poteva
tradurre in parole.
I
silenzi di Chiara lo stordivano, perché urlavano tutte le
parole che non poteva dirgli, perché in fondo lo sapeva
anche lui che era tutto inverosimile perché potesse
funzionare.
<<
Lo capisco, ma mi pare che ci siamo troppo dentro per lasciare le cose
così come sono >> osservò Marco,
dicendole che in realtà avrebbe voluto soltanto che lei
restasse.
<<
Così come? >> ribattè Chiara,
troppo conscia di quello che lui voleva dire.
<<
In sospeso! Ma insomma, l’hai detto anche tu che è
assurdo, ma intanto siamo qui, è successo, vorresti dirmi
che torneresti indietro? >>
Quelle
parole riempirono la testa di Chiara di paura e timori.
Da
troppo tempo aveva dimenticato di trovare un ragazzo con cui sprecare
un po’ del suo tempo, da troppo tempo aveva dimenticato come
ci si sentiva con una persona che ti piace semplicemente per come
è.
Guardò
Marco, con la sua camicia troppo larga coperta da un maglione che non
era sufficiente per il freddo che li circondava.
<<
Non hai freddo? >>
<<
Chiara rispondimi >> disse Marco troppo serio da
spaventarla.
<<
Non lo so, la verità è tra noi è
successo tutto troppo in fretta! Non sono neanche in grado di capire se
mi piaci o meno, ho semplicemente troppo da capire e poco tempo per
farlo >> ammise con un sospiro.
Marco
le si avvicinò senza toccarla << Ti posso dare
una mano >>
<<
Non baciarmi >> gli ordinò con una espressione
più rilassata.
Lui
scosse il capo << Non era questo quello che volevo fare,
volevo solo darti una mano dicendoti che tu a me, piaci. Mi piaci
abbastanza, Chiara >>
La
ragazza tremò impercettibilmente.
Nell’oscurità
cercò gli occhi di Marco e quando li trovò
abbassò il capo << Non so più
comportarti così mettendomi di fronte a queste cose, ho
bisogno del mio tempo, ma se tu non vuoi darmelo me ne farò
una ragione >>
Marco
alzò le spalle << Per te stasera ho rinunciato
ad una bevuta con i miei amici e ad una possibile scopata con una
ragazza qualunque, perché invece di farti problemi non ti
ritieni fortunata? >>
<<
Perché purtroppo non è abbastanza. Ti conosco da
troppo poco tempo per lasciarmi andare >>
<<
Non ti sto dicendo che dobbiamo necessariamente innamorarci
l’uno dell’altra >> le fece notare
Marco, stavolta avvicinandosi al suo volto.
La
carezzò il collo, consapevole che ormai il peggio era
passato.
<<
Ma se accadesse? >>domandò lei, inchiodando i
suoi occhi in quelli del ragazzo.
<<
Che cosa ci sarebbe di male? >>
Solo
allora Chiara sentì sulle sue spalle il peso della sua
storia, del suo presente e del suo passato.
Fu
in quel momento che impose a se stessa di non provare per Marco niente
di niente, perché non poteva permettersi una relazione nella
sua condizione.
Non
poteva lasciare che anche lui la guardasse dall’alto al basso
e pensasse “quanto è sfortunata”, non
voleva questo. Non lo voleva da lui.
<<
Non guardarmi così >>
Marco
scosse il capo << Smettila di darmi ordini
>>
Così,
accarezzò la pelle di Chiara lentamente, quasi come se
sentisse che lei dipendeva da questo.
Le
guance, le labbra, di nuovo il collo.
Chiara
reagì provando a spostarsi, ma non riuscì.
<<
Perché non mi guardi più? Hai paura? Ma non eri
tu quella che amava la vita? >> la provocò
Marco con un mezzo sorriso.
Ma
lei non gli diede soddisfazione << Finiscila, ti prego
>>
<<
Non voglio >> rispose semplicemente il ragazzo.
<<
Beh adesso basta >> decretò Chiara,
liberandosi dalla presa del ventenne per allontanarsi di qualche passo.
Respirava
affannosamente, e non sentiva più paura, ma un semplice
terrore.
<<
Te ne vuoi andare così? >> disse Marco con un
tono di voce leggermente più basso, quasi ad evidenziare il
suo rammarico o anzi, la sua delusione.
<<
Neanche mi conosci, non sai quello che provo >>
<<
Perché non me lo dici? >>
<<
Non posso più sostenere il tuo sguardo >>
disse Chiara tutto d’un pelo << Devo andare
adesso, Marco >>
Lui
alzò le mani in segno di resa << Mi prometti
che ci rivedremo? >>
<<
Non lo so, forse no >> restò in silenzio
– agghiacciante, forte, quasi doloroso - <<
Anche se so che non lo farai, non cercarmi, non mi troveresti, sono
un’estranea qui. Come voglio esserlo per te >>
Quelle
parole ferirono Marco che non ebbe la forza di rispondere.
Devastato
da quella ragazza che gli piaceva davvero molto si ritrovò
di nuovo da solo.
<<
Ciao Marco, stammi bene >> sussurrò infine
Chiara tra le lacrime.
<<
Qualunque cosa sia successa tra noi io non me ne sono pentito
>> le disse, e fu certo che lei sentì,
perché Chiara singhiozzò forte.
****
Quando
si perde la cognizione del tempo i giorni non passano, le ore sono
infinite, i secondi eternità.
Non
ci sono distrazioni, non ci sono stagioni che trascorrono, non
c’è niente che possa in qualche migliorare o
fermare il tempo che trascorre.
Dicembre
aveva portato con sé un mucchio di malinconia e di freddo in
più, freddo che si era accumulato nel cuore tanto da
trafiggerlo completamente.
Dalla
finestra della sua camera del bed&breakfast Chiara vedeva la
pioggia scagliarsi violenta sui tetti delle case, sulle piante dei
balconi, sugli ombrelli delle persone.
Era
stanca, lo era così tanto che aveva perso totalmente il
conto dei giorni.
Magari
era arrivato il momento di tornare a Roma e lei non se ne era accorta.
Dentro
di lei si era creata una voragine incolmabile.
Da
quando aveva scacciato Marco dalla sua vita –
l’ennesima persona, l’ennesimo rifiuto,
l’ennesima sfiducia – si era accorta di aver
buttato al vento molto più di quanto credesse.
Si
era convinta di aver fatto la cosa giusta, ma la verità era
che non riusciva a capacitarsene, non riusciva a capire come avesse
fatto ad essere così sciocca e avventata.
Eppure,
le era sembrato così giusto mandarlo via, non sapeva neanche
chi fosse quel ragazzo dagli occhi castani – così
vivi, sinceri – che in un giorno solo aveva catturato la sua
attenzione, facendole totalmente scordare di sé stessa e
degli altri.
Tranne
quando l’aveva toccata, quando le aveva sbattuto il faccia la
verità.
Chi
era Marco? Perché era piombato nella sua vita
così all’improvviso?
Non
credeva al destino, non credeva nelle fortuite condizioni della vita,
semplicemente, quel giorno aveva conosciuto un ragazzo simpatico ed
affettuoso – quasi speciale - .
Perché
aveva avuto così tanta paura di lui? Perché aveva
pensato che liberandosi di lui, tutto sarebbe stato più
facile? Forse se non lo avesse conosciuto proprio la sua vita sarebbe
stata come sempre, difficile e monotona di sicuro, ma non avrebbe avuto
altro a cui pensare.
Adesso
che Marco la tormentava in continuazione, non sapeva da che parte
andare.
Ma
soprattutto, non aveva idea di dove fosse, se trovarlo ancora
all’università o rinunciare.
Non
voleva tornare indietro sui suoi passi, non voleva inciampare
nell’errore, ma non sopportava più
l’angoscia che l’assaliva ogni volta che il
pensiero di Marco la sfiorava.
E
così soffriva, si pentiva, si logorava.
Come
sempre, di più.
Si
sentiva come se avesse perso davvero tutto e non le fosse concessa una
seconda possibilità.
Ed
era questo che pensava quando stanca di piangersi addosso, prese il
giubbotto verde – di montone, caldo, come lo aveva da bambina
– ed uscì di corsa.
<<
Tesoro dove vai? >> domandò la signora Elena.
Lei
esitò un attimo << Mi sono ricordata di dover
consegnare dei moduli in università, ci vediamo
più tardi >>
La
donna annuì poco convinta e la lasciò andare.
Marco
si guardava intorno, distrattamente pensava a cosa avrebbe dovuto fare
quella sera.
La
lezione trascorreva lenta, proprio come a ricordargli che il tempo non
è a sua disposizione.
Prendeva
qualche appunto sul foglio bianco, esattamente come sentiva la sua vita
in quel momento : vuota, senza inchiostro, priva dell’essenza
che tanto tempo fa avvertiva pregnante.
Quando
si divertiva, quando bastava poco per cambiare la giornata.
Quando
bastava una festa, la gonna corta di una ragazza – il
suo collo un po’ scoperto, gli occhi verdi un
po’ riservati ma invitanti - , i suoi capelli legati in una
coda – o lasciati sciolti sulle spalle, un po’
disordinati-.
Stava
di nuovo pensando a Chiara, al suo sorriso sincero, allo sguardo
smarrito del primo giorno, alla sensazione che aveva provato quando gli
parlò di nuovo, al sorriso che si scambiarono in via Zamboni
quel giorno.
Sembrava
quasi che stesse ricordando una sua vecchia fidanzata, una a cui era
rimasto particolarmente affezionato, e invece stava solo ricordando una
ragazza che per un giorno gli aveva preso l’anima per
lasciare il suo marchio – particolare, unico – e
lui non era riuscito a liberarsene.
Era
passata quasi una settimana da quando lei gli aveva voltato le spalle.
Nel
momento esatto in cui lei si allontanò dal suo cammino, a
Marco era sembrato di sprofondare, di essere lasciato da solo senza
rimedio.
Quella
sera stessa era andato ad una festa, aveva bevuto così tanto
stordirsi e star male.
Non
aveva idea di quello che avesse fatto, di quello che fosse successo, e
non voleva saperlo, perché non voleva immaginare fino a che
punto fosse arrivato.
E
perché? Per una stupida ragazza
sconosciuta che lo aveva rifiutato?
Chi
era Chiara? Cos’era Chiara?
Si
interrogava spesso su questo, perché Chiara gli aveva
spostato la vita.
Era
un’espressione forte, ne era consapevole, ma era
così che si sentiva, era così che la vedeva.
Possibile
che un solo giorno insieme lo avesse scosso tanto?
Cosa
aveva quella ragazza di tanto eccezionale da farlo sentire messo in
discussione per la prima volta?
Desiderò
di sparire, annullarsi del tutto per tornare al giorno insieme, agli
sguardi che si erano scambiati, all’amore ancora troppo
acerbo per manifestarsi, alla sensazione di benessere che aveva provato
quando lei lo guardava negli occhi.
Era
splendente Chiara, esattamente come lo erano stati i suoi occhi nel
buio della sera.
Perché
mentre Chiara gli parlava di sé, lui la sentiva nuda, nuda
come se lei gli stesse rivelando chi fosse veramente, senza bugie,
senza alcuna falsità.
Non
gli aveva mentito, perché gli aveva dato in mano il suo
cuore e lui lo aveva sentito.
Eppure
cos’era davvero successo tra di loro? Cosa c’era
stato se si erano appena toccati?
Si
erano guardati tanto, avevano condiviso il silenzio, avevano mangiato
parole.
Erano
stati insieme in un senso intimo e sincero, che Marco non era mai stato
in grado di sperimentare.
Forse
per lui, la visione più completa di intimità era
spogliarsi davanti ad una ragazza, ma non aveva capito cosa voleva dire
mettere a nudo i sentimenti e rivelarli senza paura.
Con
Chiara era stato così, ma era durato troppo poco
perché fosse vero.
Aveva
letto la paura negli occhi di lei, paura che ci fosse qualcosa di
più grande, di incontrollabile.
Ma
niente era mai valso quanto il tempo trascorso insieme.
Fu
in quel momento che decise di non rispondere alla sua richiesta e di
cercarla.
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Capitolo 2 *** Seconda Parte ***
Questa
storia è finita da mesi ormai, ma ho sempre scordato di
aggiornarla!
Posto
la penultima parte, così che il terzo capitolo sia il
prologo!
Spero
che qualcuno di buon cuore legga e commenti! :-)
Al
prossimo capitolo!
Leti.
Chiara
aveva corso tanto, aveva il fiatone e le faceva già male la
testa.
L’ombrello
le si era rotto per strada e sicuramente con quella pioggia, il
cappuccio del suo giubbotto non le sarebbe stato poi così
utile.
Arrivò
davanti l’università totalmente fradicia.
Magari
non l’avrebbe trovato lì, magari non lo avrebbe
mai trovato, ma non
importava.
Per
la prima volta nella sua vita aveva preso una decisione avventata, aveva
preso in
mano le redini del suo destino e stava provando a cambiarlo.
Raggiunse
la facoltà a passi troppo lenti, che le fecero pensare di
tornare
indietro e cancellare tutto.
Ma
un altro impulso – quello più vero –
pilotava il suo passo in avanti.
Pioveva
così tanto che i pochi che si aggiravano in giro scappavano
da una
parte all’altra senza guardare.
Iniziò
a pensare che anche se fosse stato lì non lo avrebbe mai
trovato.
In
fondo non aveva idea delle lezioni che seguisse, degli orari, delle
aule.
Tutte
questi pensieri iniziarono ad ingolfarsi dentro di lei e a farle venire
un macigno alla gola.
Insopportabile
e amaro.
Aveva
paura, di nuovo.
Tanta
paura di soffrire – per cosa, non lo sapeva - .
Restò
ferma di fronte l’ingresso della facoltà senza
muovere neanche un dito.
Il
suo respiro era leggero, ma il battito del suo cuore era irregolare
– forte.
Si
appoggiò al muro e prese a domandarsi perché
fosse lì, perché avesse fatto
una cosa così priva di senso.
Ma
quando le vennero in mente le parole confuse di suo padre sulla sua
felicità, che doveva prescindere da qualunque cosa
– per questo Chiara non
doveva farsi fardello delle disgrazie che le erano toccate –
e che non doveva
lasciarsi condizionare da niente.
La
felicità viene naturalmente, non è un fine, una
semplice condizione di vita
in cui si annullano tutti i dolori, i rimpianti, le noie, le tristezze
e si da
finalmente spazio a sé stessi.
All’amore,
alla sincerità, alla spensieratezza.
Lei
quel giorno con Marco era stata felice, per questo doveva ritrovarlo.
Doveva
almeno dirgli grazie.
E
se l’aveva resa felice per qualche ora, cosa sarebbe successo
se gli fosse
stato accanto per tanto tempo?
Decise
di andare fino in fondo, decise che ne valeva la pena.
Non
sapendo che fare, nel dubbio entrò nella facoltà
per controllare se ci
fossero orari che potessero esserle utili.
Ovviamente
la sua ricerca fu vana, ma quando chiese all’ingresso
– stavolta al
gabbiotto nessuno aveva dissertato – le dissero delle lezioni
del terzo anno,
una delle quali sarebbe finita tra pochi minuti.
Non
sapendo se Marco seguisse quella, decise di aspettare.
Le
sue mani erano gelate e le punte dei suoi capelli erano letteralmente
bagnate.
Alzò
le spalle in segno in resa e si disse che poi ci avrebbe pensato.
Improvvisamente
tanti ragazzi iniziarono ad uscire e il suo cuore mancò di
un
battito.
Qualcosa
le disse che Marco era lì.
Per
questo quando lo vide uscire, distratto con occhi assenti, la borsa le
scivolò dalle mani.
Non
si chinò a prenderla, il suo sguardo aveva già
incrociato quello del
ragazzo.
Non
seppe se ridere o scoppiare a piangere, mentre Marco si affrettava a
raggiungerla.
Rimasero
fermi. Le loro anime si parlarono.
Non
avevano idea di quello che si stavano dicendo, ma era davvero tutto
troppo coinvolgente
e violento.
<<
Mi avevi chiesto di non cercarti >> sussurrò
Marco.
Lei
annuì << Ma non era stato detto il contrario
>>
Lui
ridacchiò << Questo è vero. Ma non
pensavo che tu saresti tornata
>>
Chiara
ebbe diverse esitazioni a rispondere, si sentiva colpita – ed
affondata
– dalle sue parole, perché erano troppo
vere.
<<
Invece l’ho fatto, Marco. Ho sbagliato, sono venuta a
chiederti scusa
>> disse.
In
quel momento la sua mano cercò il viso del ragazzo.
La
posò con delicatezza sulla sua guancia.
Aveva
bisogno della sua pelle, di un contatto che la facesse rabbrividire.
Infatti
fu così, perchè quella carezza le prese
l’anima e il cuore.
<<
La verità è che ti ho aspettata, speravo che
tornassi >> ammise
Marco lentamente, sorpreso da ciò che stava dicendo.
<<
Ti prego >> disse appena Chiara <<
Dimentica quello che ti
ho detto l’ultima volta, dimenticalo. Sono stata solo una
sciocca ragazza
spaventata, ma non avrei dovuto esserlo >>
Perché
anche se lui l’avesse delusa, lei lo avrebbe saputo
perché lo aveva
vissuto e non solo perché lo aveva pensato o supposto.
Se
quella storia si sarebbe rivelato un fiasco, tanto vale passarci sopra.
Ma
bisogna viversi per saperlo.
<<
Mi sono chiesto perché lo avessi fatto tante volte, ma non
ne sono mai
venuto a capo.. Non penso che adesso importi, vero? >>
Marco
voleva solamente baciarla, toccarla, accarezzarla.
E
poi baciarla ancora, e ancora.
<<
No, non è importante >> confermò
serenamente << Andiamo
via di qui, ci meritiamo un po’ di riposo >>
****
Su
Bologna la pioggia continuava a scendere veloce e prepotente, non dava
tregua a nessuno.
Il
vento si era placato, ma il freddo non era diminuito.
In
un portico troppo distante dalle persone, troppo nascosto
perché si vedesse,
Chiara e Marco stavano parlando animatamente e ridendo come due bambini.
<<
Quindi mi stai dicendo che viviamo anche abbastanza vicini e non ci
siamo mai visti? >> fece lui, sorpreso dalle tante cose
che stavano
scoprendo.
<<
Esattamente! Ma Roma non è Bologna, non è tanto
facile incontrare un
persona per più di una volta, se accade forse è
meglio iniziare a farsi due
domande >> rispose lei con un sorriso.
<<
Quindi se a noi è successo a Bologna non vuol dire nulla?
>>
<<
No, è solo che è più probabile
>>
Lui
annuì, beandosi della naturale bellezza della ragazza di
fronte a lui.
Chiara
alzò le spalle, sentendo che prima o poi avrebbe dovuto
dirgli dei suoi
genitori, e magari lui l’avrebbe compatita – o
forse no - , ma non se ne preoccupava.
Marco
non avrebbe detto nulla.
Le
parole andavano avanti da sole, nessuno dei due badava alla reazione
dell’altro, perché nessuno era lì per
giudicare l’altro, erano lì solo per
conoscersi, per volersi bene.
Per
amarsi – ma ancora non lo sapevano.
Quando
Marco parlò della sua famiglia, dei suoi fratelli, Chiara si
morse il
labbro, consapevole.
Si
stava mettendo alla prova.
<<
Si beh.. Sai mia madre è morta tanto presto >>
bisbigliò,
accompagnando l’affermazione con un piccolo sorriso triste.
Al
suono di quelle parole Marco si sentì sprofondare.
Proprio
come se gli avessero dato uno schiaffo in pieno viso o gettato addosso
un secchio di acqua gelida.
Avvertì
il calo della voce di Chiara, ma non disse nulla.
Che
forza, che amore, che vita che era Chiara..
Lasciò
che lei andasse avanti.
<<
Avevo sette anni, non preoccuparti >> disse con una mezza
smorfia << Adesso mio padre è malato di
Alzheimer, è per questo che non
posso frequentare. Ora ti ho svelato il mio mistero >>
Marco
era attonito, sconvolto da tutte quelle verità che Chiara si
era sforzata
di svelargli.
Lo
aveva fatto perché si fidava lui, perché poteva
dirglielo.
Lesse
nei suoi occhi una sofferenza che non credeva possibile da una ragazza
così bella, così allegra.
Non
credeva che una ragazza come Chiara potesse soffrire di un male
così
radicato e agonizzante, perché il suo sorriso lo faceva
sentire un cretino e
perché la sua risata lo rimbambiva.
Eppure
una creatura così meravigliosa aveva dovuto soffrire davvero
troppo.
Di
slancio, si mosse dalla sua posizione per avvicinarsi a lei.
Prese
le sue mani, lasciando che Chiara lo avvolgesse nelle sue braccia in un
gesto disperato.
Fu
in quel momento che Marco ebbe esatta coscienza dei suoi sentimenti
verso di
lei.
Ma
non si disse nulla.
L’abbracciò
più forte che potè ed ebbe quasi paura di farle
male.
Sentiva
il suo respiro addosso ed una lacrima perforargli la pelle.
Sollevò
il viso da Chiara dal mento e la baciò in fronte.
<<
Non avrei mai potuto immaginare una cosa del genere, Chiara, ed hai
avuto
il coraggio di dirmelo >>
La
ragazza tremò, mentre le labbra di Marco raggiungevano le
sue.
Chiara
si abbandonò a quel bacio, che le regalò un
po’ di calore e di vita
smarrita.
Le
sembrava di essere più leggera, di avere liberato dal suo
corpo qualcosa di
nuovo ed incredibile.
Per
lei, così amante della vita, quel gesto significò
vita e passione.
Significò
riscatto, tornare a respirare.
Carezzò
la guancia di Marco per poi appoggiarsi alle sue spalle.
Quando
le loro labbra si separarono, andò alla ricerca del suo
respiro,
incanalando la sua stessa aria.
Quel
ragazzo era stato una salvezza, qualcosa di troppo grande e stupendo.
Che
magnifico regalo, che inaspettata sorpresa.
I
battiti dei loro cuori si sincronizzarono.
Le
mani di Marco avvolsero la vita di Chiara.
Sorrisero,
profondamente consapevoli del cambiamento che avevano appena
avviato.
La
ragazza prese un po’ di aria e abbassò la sguardo,
un po’ troppo emozionata
per reggere lo sguardo di Marco, che dal canto suo si sentiva come lei,
ma non
avrebbe voluto interrompere il bacio.
<<
Scusa >> sussurrò appena Chiara
<< Avevo bisogno di un po’
d’aria >>
Ma
lui scosse il capo, ridendo – felice, svuotato
dall’angoscia - << Ha
anche smesso di piovere >>
La
ventenne sospirò sollevata << Meno male, sono
anche senza ombrello
>>
<<
Ti accompagnerò io >> si propose subito Marco,
senza riserve.
<<
No, è lontano da qui >> ribattè la
giovane scuotendo il capo.
<<
E’ mio dovere >> sottolineò il
ragazzo con aria divertita.
<<
Lo so, ma tra le altre cose, io non voglio tornare adesso. Tu?
>>
Lo
sguardo di Marco si illuminò per l’ennesima volta
in quella giornata, si
illuminò di una luce così forte che
sembrò quasi intimorire Chiara.
<<
No, neanche io >> rispose.
Così,
Marco intrecciò la sua mano con quella di Chiara e vi
posò le labbra di
sopra.
<<
Ho temuto di averti persa, il nostro tempo insieme è stato
così breve
che per trovarti avrei cercato in lungo e largo >> disse,
compiendo un
grande sforzo verso sé stesso.
Non
gli era mai capitato di ammettere la verità con
così tanta scioltezza,
specialmente ad una ragazza, e soprattutto quando le stava dicendo che
provava
qualcosa per lei.
Ma
con Chiara questi problemi non esistevano, lei non era come tutte le
altre
ragazze, ogni canone con lei era stato annullato e rimpiazzato da
qualcosa di
nuovo e stupefacente.
Perché
a lui non era mai capitato di sentirsi così legato ad una
persona appena
conosciuta, non gli era mai capitato di sentirsi così libero
– felice,
appagato, sereno, timoroso, insicuro, ingenuo – come stava
succedendo con lei.
Non
aveva sentito neanche la necessità di chiedersi
perché fosse successo, in
fondo, Chiara era lì, proprio di fronte a lui, e per questo,
un motivo doveva
esserci per forza.
Ed
era questo, e non altro.
Un
amore incerto, ancora, come un fiore pronto a sbocciare od anzi, a
rinascere.
Chiara
era pronta a lasciarsi andare.
Si
dimenticò perfino del fatto che ci fossero così
tante razionalità a
separarli.
Quando
lo ribaciò, tutte queste razionalità sparirono
nei loro respiri fusi.
<<
Sono stata una sciocca, una stupida, quante volte ancora vorrai
sentirtelo dire? >>
Marco
scoppiò a ridere << Basta così, te
lo giuro >>
Lei
sorrise, allontanandosi un attimo.
La
via era totalmente deserta, controllo se stesse arrivando qualcuno e
poi si
voltò verso Marco << Allora ti
sbrighi? Sto morendo di fame!
Andiamo! >>
Lui
non seppe come sentirsi al suono di quelle parole.
La
guardò, e si domandò che tipo di benedizione
fosse Chiara.
C’era
in lei qualcosa di speciale, innaturale, indescrivibile.
Chiara
era semplicemente la ragazza di cui si stava innamorando.
La
raggiunse, prendendola per mano.
****
Gli
attimi vissuti insieme sono realmente trascorsi, le ore passate insieme
sono realmente intense, i giorni trascorsi insieme sono
l’unicità che si
ricerca nella vita.
Questo
pensavano Marco e Chiara mentre stavano insieme, alla meravigliosa
intesa che avevano, agli sguardi ricolmi d’amore e di
gratitudine.
Nessuno
dei due avrebbe pensato di ricevere dalla vita un regalo simile, un
privilegio così raro e ricercato: quello di un amore sincero
e puro.
Proprio
come quello descritto nei libri e narrato nelle fiabe.
La
luce del giorno appena sorto illuminava il corpo di Chiara che, distesa
nel
letto, non aveva chiuso occhio per quasi tutta la notte.
Si
girata e rigirata su se stessa per un miliardo di volte, senza darsi
pace,
tormentata dai pensieri, dalle domande, dalle preoccupazioni.
Ma
anche dalle gioie, dalle felicità, dalla sensazione di
calore che la
pervadeva quando si rendeva conto di essere distesa di fianco a Marco,
che
dormiva ancora placido.
Quello
che era appena trascorso era stato un giorno importante per Chiara e
Marco, era stato il giorno in cui si erano ripromessi il cielo, la
gioventù, le
speranze.
Era
successo tutto troppo in fretta perché si accorgessero del
tempo che era
trascorso dal primo incontro, dai pochi giorni che separavano Chiara
dalla sua
partenza.
La
partenza che avrebbe spezzato ogni incanto e ogni progetto.
Perché
non ci aveva pensato prima? Perché si era gettata
così a capofitto in
una relazione che non avrebbe potuto portare avanti?
Insomma,
una volta tornata a Roma i suoi problemi non si sarebbero cancellati,
anzi, si sarebbero ingranditi e le sarebbero pesati molto
più di prima.
Perché
adesso era innamorata, e non aveva la testa per dedicarsi totalmente a
suo padre e a tutto quello che aveva fatto prima.
Perché
era successo? Perché aveva incontrato Marco?
Marco,
l’unico ragazzo vero della sua vita, l’unica che
l’aveva accarezzata –
toccata, baciata – come una donna, come se al mondo non ci
fosse altro di più
bello.
Aveva
collezionato le sue parole, le sue frasi dolci, le sue attenzioni e i
sui
baci, li aveva tutti impressi nella mente così da
ripercorrerle quando avrebbe
avuto bisogno di lui in sua assenza.
Già
sapeva che le assenze di Marco sarebbero state più delle sue
presenze, ma
non poteva cambiare le cose, perché non ne aveva il potere e
la capacità.
E
così, ecco spezzato l’incanto del primo amore
– forse non il primo, ma era in
assoluto il primo a cui si era data totalmente.
Era
durata troppo poco, quindici giorni non sono nulla, che cosa sono in
confronto agli anni trascorsi insieme di tante altre coppie?
Il
problema era che loro non erano affatto convenzionali.
Quindi,
dopo soli quindici giorni, Chiara si trovava stesa nel letto di Marco e
lo osservava dormire.
Prima
di fare l’amore con lui aveva avuto paura –
imbarazzo, timore, ansia,
paranoia – e pensava che per lui sarebbe stata una delusione,
che non sarebbe
stata all’altezza delle aspettative o delle precedenti
esperienze di
Marco.
Invece,
ricordava perfettamente le parole di Marco, un minuto dopo –
“Chiara,
sei la persona più straordinaria della mia vita, credo di
amarti, ora però non
ridere” – e sorrise.
Si
sentiva felice, proprio come si era sentita la prima volta che lo aveva
visto.
Stretta
nel pigiama troppo largo che Marco le aveva prestato, si
alzò dal letto
e si affacciò dalla finestra.
Diciassette
Dicembre, Bologna alle nove di mattina pullulava di persone e il
freddo non lasciava scampo a nessuno. Un brivido la scosse quando
inspirò
l’aria gelida della mattina.
Tra
quattro giorni sarebbe tornata e non aveva idea di quando avrebbe
rivisto
Marco – se lo avesse rivisto, ovviamente.
Perché
era questa la vera ed unica paura di Chiara, che lui si potesse
scordare
di lei così come temeva e che si rendesse conto che quello
che provava per lei
non era così grande come pensava.
Così
l’avrebbe lasciata andare, sarebbe sparito e lei avrebbe
avuto il cuore
vuoto ancora una volta.
Chiara
lo amava, questo lo sapeva, e non riusciva a sopportare
l’idea di
poterlo perdersi o separarsi da lui senza che lei lo volesse.
E
lei non lo voleva, non lo voleva assolutamente.
Non
poteva perdere di nuovo qualcuno di così necessario
– non poteva perdere
Marco, che le aveva strappato l’anima, il cuore, la vita
– e
fondamentale.
Un
paio di lacrime le attraversarono il viso stanco e sospirò.
Decise
che gliene avrebbe parlato, solo affrontando la paura
l’avrebbe
superata.
<<
Per fortuna che sei ancora in pigiama, altrimenti avrei pensato che mi
avessi lasciato come succede nei film >> disse Marco alle
su spalle,
accompagnato da una dolce risata.
Chiara
non si voltò, ascoltò le farfalle nel suo stomaco
e sospirò.
<<
Ti senti bene? >> domandò ancora il coraggio.
Lei
annuì << Sì >> disse
solo.
Ma
Marco non era convinto – percepì nella sua voce
l’insicurezza, la
preoccupazione, la paura – per questo si alzò e la
raggiunse.
Con
una mano, accarezzò il suo collo, lasciandosi attraversare
dal suo profumo,
lo stesso che adesso era rimasto impregnato nelle sue
lenzuola, sul suo
cuscino, nelle fibre del suo pigiama.
Nelle
sue cellule, nella sua anima.
Non
appena Chiara avvertì la presenza di Marco alle sue spalle,
si voltò di
scatto – gli occhi lucidi, le mani tremanti -
<< Marco io non so cosa
fare >>
Lui
la guardò senza capire, spaventato << Che vuol
dire? >>
<<
Che Marco io ti amo, sono innamorata, di te. Tanto anche. Non avrei
mai pensato di dirlo, il solo pensiero mi avrebbe inorridito, invece lo
sto
facendo, lo sto dicendo proprio a te. Te che conosco da così
poco tempo, ma che
temo di amare più di un amico di una vita. E tu dirai
“che c’è di male?” ed io
ti rispondo subito >> prese fiato e continuò
<< C’è di male che ho
paura di non poter sostenere la relazione quando tonerò a
Roma, quando tu
starai a Bologna ed io mi prenderò cura di mio padre.
Insomma, guardati, per
come sei, quanto ti costerebbe trovarti un’altra ragazza?
Marco io ho una
tremenda paura di perderti oppure di mandare questa storia a puttane
quando i
problemi mi sembreranno troppe e le soluzioni poche >>
mise fine al suo
discorso mordendosi il labbro, sperando con tutta sé stessa
che lui potesse
capirla.
Marco
la guardò da capo a piedi, elencando mentalmente tutti i
motivi per i
quali si era innamorato di lei.
Nessuna
domanda, nessun timore, nessuna incertezza su Chiara, solo la sicurezza
di averla di fianco a sé ogni giorno dal loro primo incontro
– il giorno che
gli aveva stravolto la vita - .
Riavviò
una ciocca di capelli di Chiara dietro l’orecchio e la
baciò appena
sulle labbra.
Quello
che provava per lei era strano, ma incredibilmente forte e sincero.
Era
certo di non aver mai fatto pensieri simili o provato emozioni
così travolgenti.
Emozioni
che lo catturavano ogni volta che lei sorrideva, rideva, lo
abbracciava, gli si stringeva come una bambina per proteggersi dal
freddo.
Era
questo Chiara.
La
baciò con l’energia che aveva, con la passione che
lo pervadeva.
Passò
le mani sul corpo della ragazza.
Al
termine, entrambi respiravano affannosamente.
<<
So che lei tue parole sono lecite, giuste, ed è normale che
tu le
senta, ma devi fidarti di me. Devi fidarti di me quando ti dico che ti
starò
affianco, anche se non ci credi, perché è giusto
che sia così, Chiara. Ci
conosciamo da troppo poco tempo perché tu possa davvero
capire quello che ti
voglio dire, ma mi devi credere quando ti dico che ti amo anche io, e
che non
potrei fare a meno della tua presenza nella mia vita. Ed è
così incredibile che
penso di essere diventato uno stupido per colpa tua >>
Entrambi
risero, così in sintonia, così insieme.
Marco
fu certo di sentire il cuore di Chiara battere forte tanto da farle
male.
Le
posò un altro bacio sulla labbra, poi sulla fronte
<< Chiara non
voglio che tutto quello che abbiamo passato insieme svanisca, non
posso, non
voglio permetterlo >>
Lei
gli sorrise << Smettila di essere così
sentimentale, so che in fondo
non sei così >>
Marco
rise << Ne sei davvero sicura? >>
<<
Ovviamente no >> ammise la ragazza <<
Però ti credo, mi
fido di te e farò del mio meglio affinchè tutte
le mie paure si attenuino, in
fondo è giusto che io le abbia, ma non è giusto
che non mi lascino andare
>>
<<
Chiara sei bellissima con i capelli arruffati e il mio super pigiama
>>
<<
Per questo ti meriti un bacio >>
Così
si alzò in piedi per avvolgere il collo di Marco con le
braccia e baciarlo
con tutta se stessa.
Realizzò
che la vita era un dono, prezioso e rarissimo, che è in
grado di darci
tanto se solo sappiamo accettarlo.
Perché
c’è vita ovunque, ma soprattutto nelle persone,
così straordinarie ed
incredibilmente fantastiche.
Marco
era così per Chiara, una rivelazione nel mezzo di una notte
buia, Marco
era il suo cuore, la sua paura e la sua certezza più immensa.
Si
domandò come potesse essere tante cose simili e contrastanti
allo stesso
momento, come potesse essere l’amore e l’incognita
più grande.
<<
Buongiorno anche a te Chiara >> le disse, regalandole un
altro
bacio.
Chiara
disse a se stessa che tutte quelle domande non erano necessarie.
<<
Oggi voglio farti vedere un posto, il mio posto preferito in assoluto
>> le disse, mentre prendendole le mani, la conduceva
verso il letto per
adagiarla lì di nuovo << E se ci sei
già stata ci rimarrò malissimo, ma
farò finta di non darlo a vedere, ma soprattutto tu fingi
che sia una cosa
nuova e bellissima va bene? >>
<<
Va bene, ti prometto che sarà speciale >>
|
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Capitolo 3 *** Ultima Parte ***
Ecco
che ritorno a proporvi il finale della storia di Chiara e Marco!
Nonostante non abbia ricevuto recensioni, la cosa non mi scoraggia e
desidero regalare il finale a chi vorrà anche solo leggere :)
Grazie a tutti!
Alla prossima :)
M.L.
****
La sciarpa che aveva indosso Chiara le copriva praticamente tutto il
volto,
lasciando scoperti solo il naso e gli occhi; mentre Marco si affrettava
a
raggiungere un punto preciso di via Piella.
Erano le dodici, e per strada le persone che circolavano erano tante,
ma lui
era certo che lì, non ci sarebbe stato nessuno.
Ciò che voleva mostrarle era una cosa che poteva passare
quasi inosservata, ma
non può assolutamente sfuggire ad un occhio attento.
Quella mattina in cui Dicembre prometteva solo troppo gelo, Marco si
sentiva
riscaldato dalla presenza di Chiara e dal suo passo incerto dietro di
lui.
Ancora non ci credeva, ancora restava incredulo davanti a quegli occhi
verdi in
cui amava sprofondare.
E mai – assolutamente, veramente mai – avrebbe
pensato di cadere vittima di un
sentimento così appassionante e trascinante.
Perché era così, lui si sentiva trascinato da
Chiara, dal suo carisma e dalla
sua allegria, dal suo modo così spensierato eppure troppo
esperto, di vedere le
cose.
Amava gli occhi di Chiara quando lasciavano trasparire le emozioni,
quando
comunicavano l’immenso e glielo regalavano senza il peso
delle parole.
Amava anche i suoi silenzi, il riflesso della luna sulla sua pelle
chiara.
Amava il modo così impacciato di camminare o arrotolare la
pasta intorno alla
forchetta, il tono di voce che cambiava quando le faceva una domanda
imbarazzante.
Amava il fatto che Chiara interpretasse i suoi silenzi e non li
giudicasse, ma
li facesse suoi.
“A cosa pensi quando abbassi lo sguardo e sospiri?
Pagherei oro per
saperlo”.
Chiara si guardava intorno, troppo cosciente del fatto di aver
attraversato
quella strada milioni e milioni di volte, quindi certa di aver
già visto ciò
che Marco voleva mostrarle.
Le teneva forte la mano, glissando abilmente tra le persone, facendosi
largo
sulla via.
Marco non riusciva a levarsi dalla testa il fatto che tra quattro
giorni Chiara
sarebbe ripartita senza avere la conferma di poterla vedere subito.
Lui sarebbe ritornato a Roma solo due giorni dopo di lei, ma non sapeva
se lei
avrebbe lasciato suo padre nelle vacanze per passare un po’
di tempo con lui.
Già quel suo soggiorno a Bologna era durato più
del solito, figuriamoci se a
Roma avrebbe avuto un attimo di respiro..
Chiara era così buona che si sarebbe sentita troppo in colpa
anche se l’avesse
lasciato per due secondi.
Era solo da apprezzare la devozione e la cura che Chiara dedicava alla
sua
famiglia, ma sperava in cuor suo, che trovasse del tempo per lui anche
a Roma.
Marco sperava che le cose tra loro potessero andare bene
perché non sopportava
il pensiero di perdere l’unica vera certezza della sua vita.
Quella che aveva cercato e perseguito per un tempo che gli era sembrato
infinito.
Ora che l’aveva conquistata – ora che era
lì a respirare e sorridere
proprio di fianco a lui – non voleva che andasse via, on
voleva rinunciare a
tanto amore.
Avevano ancora così tanto tempo da passare insieme..!
<< Ma insomma, mi vuoi portare dall’altra parte
o prima o poi ti
fermerai? >> gli chiese Chiara ridacchiando.
In realtà sentiva un gran freddo alle mani, e seppure non
facesse altro che
sfregarle l’una contro l’altra, sentiva ancora
più freddo di prima,
rabbrividendo.
Non era troppo abituata al freddo – anche se lo preferiva al
caldo, ma l’estate
non le dispiaceva affatto – e per questo le temperature di
Bologna, molto
spesso, la spiazzavano.
<< Siamo quasi arrivati, te lo giuro >>
Mossero un paio di altri passi, quando Marco si fermò
davanti ad un muro
ricoperto di scritte, senza niente che potesse far pensare a Chiara che
li ci
fosse qualcosa di straordinario.
Nelle mente di Marco si materializzarono tutti i momenti trascorsi con
la
giovane, capendo che quello che a cui era in assoluto più
legato, era in
assoluto il loro scambio di sguardi in via Zamboni.
Preferiva quell’immagine a tante altre perché fu
proprio in quell’istante che
capì che Chiara era speciale, che Chiara si meritava la sua
parte migliore,
quella che faticava ad esternare.
E forse era proprio questo il disagio che aveva avvertito prima
incontrarla,
l’impossibilità di liberarsi di tante cose inutili
per prendersi dalla vita una
certezza solida.
E poi era arrivata lei, proprio come un lampo a ciel sereno o una
stupida
macchia sulla camicia di lunedì mattina.
Chiara era la certezza che aveva sempre cercato, l’affetto
– l’amore – che gli
mancava.
Lui, che dalla vita aveva avuto davvero tutto, aveva sentito la
necessità di
qualcosa che lo smuovesse dal suo vecchio posto in quella vecchia
abitudine per
renderlo nuovo e finalmente appagato.
Adesso era così, e non voleva perdere Chiara.
L’avrebbe aspettata, le avrebbe dato il suo tempo per
adeguarsi e non importava
quanto sarebbe trascorso, perché già sapeva che
lei avrebbe fatto comunque
parte della sua vita.
Comunque sarebbe andata tra di loro, bene o male non importava,
perché comunque
Marco avrebbe portato Chiara con sé per tanto.
E sapeva che il motivo era molto più semplice di quanto
credesse.
La conosceva da poco, ma cos’era il tempo in confronto
all’amore che provava?
Cos’era il tempo in confronto alla sensazione che provava
ogni volta che si
guardavano?
Era felice di non aver perso la sua occasione, non se lo sarebbe mai
perdonato.
<< Quindi? >> fece la ragazza.
<< Ma non ti fidi proprio di me! >>
esclamò Marco scuotendo il capo
<< Adesso guarda con attenzione >>
Con un gesto deciso, allungò una mano verso il muro e lo
spinse indietro,
convincendo Chiara di star commettendo chissà quale atto
vandalico, e invece,
non successe nulla.
Sotto il portico, nel muro, una finestrella di legno – quella
che Marco aveva
appena “spostato indietro” – si apriva
sul Reno.
Chiara rimase a bocca aperta.
A primo impatto questa stranezza non sembrava avere nulla di
straordinaria, ma
quando la ragazza si sporse per veder meglio, le sembrò di
scorgere una città
nuova, incantata.
Una Bologna quasi vecchia, quasi magica, quasi troppo lontana nel tempo.
Il Reno scorreva lento e illuminato dal sole d’inverno e
tutto, sembrava
appartenere ad un’altra dimensione, fiabesca ed incantevole.
<< Sapevo che ti sarebbe piaciuto >> disse
Marco soddisfatto.
<< Questo è.. Bellissimo >>
riuscì a dire Chiara con un sorriso
sincero e allegro.
<< Una finestra sul Reno,
la
mia finestra sul mondo >> affermò lui
<< Se ti volti a destra
vedrai più ampiamente il fiume e il paesaggio
dall’altra parte, ma questo è
meglio >>
Lei fece come gli disse, per poi tornare a guardare dalla sua parte
<< La
tua finestra sul Reno è decisamente più bella
>>
Marco l’abbracciò da dietro, mentre si faceva
cullare da un solo pensiero.
Sempre
Chiara.
****
I could
put a little stardust in your eyes
Put a little sunshine in your life
Give me a little hope you’ll feel the same
And I wanna know will I see you again
Will I see you again
Funny, how the
time goes rushing by
And all the little things we leave behind
But even then in everything I do
Is a little bit of me
And a little bit of you
When will I see
you again
(Mika – Stardust)
Quel
giorno c’era il sole, era tutto tranquillo, la
città ancora addormentata si
godeva gli ultimi attimi a riposare.
Dicembre era quasi finito, ma il Natale, ancora alle porte, rendeva
tutto
diverso.
La sua valigia si reggeva in piedi per miracolo, in stazione la
giornata era
già iniziata.
Chiara tossì dal freddo e lasciò cadere le mani
lungo i fianchi, scoraggiata.
E così, la sua avventura stava volgendo al termine, era
finito il tempo dei
sogni.
Tra un paio di ore sarebbe ricominciato tutto.
Involontariamente gli occhi le si inumidirono, mentre con tutta se
stessa, si
imponeva di non guardare Marco – al suo fianco, stanco e
assonnato - .
Si alzò dalla panchina sulla quale erano seduti e si
guardò intorno.
Quante volte le era capitato di andare in quel posto e di non
interessarsi mai
di quando ci sarebbe ritornata, dei giorni che avrebbe trascorso
lontana da
Bologna.
Ma era tutto diverso adesso.
Quando sarebbe tornata? Quando avrebbe rivisto Marco? Quando?
Domande del genere non l’avevano mai sfiorata, tutto le
scivolava addosso con
indifferenza, come fossero solo gocce d’acqua superflue.
Ma a quella volta erano lacrime che copiose, le rigavano il volto rosso
dal
freddo.
Chiara non temeva il buio, né tantomeno la luce.
Aveva solo paura di inciampare, inciampare nel tramonto, magari.
E di respiri sospesi a mezz’aria non ce ne sarebbero mai
stati abbastanza, e di
secondi colmi di fiato non ci sarebbe stato il tempo.
Perché Chiara aveva finalmente ritrovato se stessa e con se,
i lunghi respiri,
i sorrisi, le carezze.
Il suo cuore cedette alla tristezza, lasciandole immaginare tutti gli
attimi
insieme, tutto quello che aveva lasciato fermo in un angolo del tempo,
lì dove
nessuno le avrebbe mai preso niente, lì dove solo loro avevano
accesso.
In quello spazio del cuore in cui solo chi ama riesce a penetrare.
Ma Chiara avrebbe aspettato, sapeva di poterlo fare.
Il tempo non avrebbe mai perduto due cuori innamorati, neanche se
avesse
voluto.
E per questo non rinunciò a Marco nemmeno nella sua mente.
Non rinunciò al suo amore e alla sua vita.
Che senso avrebbe avuto adesso, il mondo, senza di lui? Cosa avrebbe
significato, adesso, vivere e andare avanti, senza quella luce?
Non sarebbe stato possibile pensare ad una vita senza luce –
la sua, quella di
Marco, luminosa e scintillante - avrebbe significato morire, dissolvere
ogni
senso, gesto, compromesso.
La vita, dopotutto, ti frega in questo modo.
Ti colpisce l’anima mentre sei ancora addormentato, poi,
lascia dentro di te
qualcosa, che sia un odore, un’immagine, una
persona. Te li
scolpisce dentro, non si levano più.
Capisci solo troppo tardi che quelle era la felicità, mentre
già intanto sei
lontano da quell’odore, immagine, persona. Sei completamente
perso.
A loro era successo proprio come all’asilo, quando incontri
quell’unico bambino
che divide con te la merenda, facendoti sorridere.
Magari poi, si diventa amici.
Magari poi, finisci anche per amarla quella persona.
E loro si amavano, in un modo spropositato e sincero –
appassionante,
lacerante, forte, indissolubile- .
Si voltò verso Marco e gli sorrise felice.
Sorridere le piaceva, era facile distendere i muscoli e liberare la
tensione,
specie a lui, che era stato – e sentiva che avrebbe
continuato ad essere - la
sua gioia più immensa .
Nel corso del tempo si era abituata a studiare gli occhi delle persone,
gli
sguardi secondari, quelli che nessuno nota, quelli che tutti
nascondiamo senza
neanche accorgercene.
Loro avevano imparato a guardarsi dentro e a leggersi dentro in
così poco
tempo.
Com’era possibile?
A questa domanda non sapevano rispondere.
Ma le parole non sempre servono, non sempre sono necessarie, ma ci sono
dei momenti
in cui sono essenziali.
Eppure non ce la fanno, muoiono ancora prima di essere pensate o
pronunciate.
Come si fa, però, a confessarle? Come si fa a dirle?
<< Marco >> sussurrò flebile
<< Sei pronto? >>
Il ragazzo fu certo di non intendere cosa volesse dire <<
A cosa?
>>
<< L’inverno >> rispose lei.
<< Vedrò di coprirmi bene, sta’
tranquilla >> ribattè il giovane
con un mezzo sorriso.
Chiara si risedette vicino a lui e scosse il capo << No,
non intendevo
questo. Intendendo l’inverno lungo che ci aspetta, separati o
uniti che saremo
>>
Marco era innamorato di Chiara, della prima ragazza che aveva imparato
a
conoscerlo e volergli bene, la prima persona che gli aveva regalato un
po’ di
vita.
Lei era come un gioiello – prezioso, unico, suo –
una sorta di regalo che non
avrebbe restituito a nessuno.
Era la prima persona che gli fosse appartenuta davvero, che si era
lasciata
andare a lui con fragilità e sorpresa – eppure con
determinazione e volontà.
Le sarebbe mancata, come al cielo di notte mancano le stelle.
La vita l’aveva sentita solo con Chiara, sfiorando le sue
labbra, toccando la
sua pelle, respirando la sua aria, vivendo – immaginando,
sognando, ridendo,
correndo, ballando, giocando, - e amando con lei.
Con lei sola.
Con Chiara.
<< Non permetterò mai di lasciarti
andare, devi capirlo >>
disse con forza.
Voleva urlare.
<< E se non ci riusciamo? >>
<< Ci proviamo, Chiara, siamo in due, ce la possiamo fare
>> la
rassicurò dolcemente.
Lei sembrò credergli e appoggiò la testa al suo
petto.
E Marco sapeva che si erano amati troppo e in maniera incondizionata
anche solo
per dimenticarsi una virgola, un qualunque ed insignificante
particolare.
Per la prima volta in vita loro, avevano amato senza pensare, senza
aver paura
del presente o del futuro, l’unica cosa che importava era
esserci, viversi.
Che di sogni, ne avevano avuti tanti, di baci ce n’erano
stati troppi, ma mai
abbastanza per fermarsi.
<< Quando torni a Bologna prometto di portarti fuori
porta, una volta
>> fece Marco, incrociando le gambe.
<< Mi porti anche a qualche festa? >>
<< E me lo chiedi? Andiamo anche a quel locale a fare
degustazione di
vini >>
<< Senza che ti ubriachi come l’altra volta
>> aggiunse Chiara
ridendo.
Lui si unì alla sua risata e alzò le spalle
<< Toccherà a te >>
<< La signora Elena dice che devi fare la pasta con lei
>>
<< Basta che mi regala una cinquantina di torte
>> la guardò con
un’espressione divertita e rilassata << E poi
vi porto a cena fuori
>>
<< L’importante è che non fai
ubriacare la signora Elena >>
<< Fuori pericolo >>
Entrambi risero.
Ormai avevano risvegliato ciò che dormiva nelle loro anime,
dando spazio a
nuove sensazioni.
Sarebbe stato tutto diverso, e avrebbero ricominciato, insieme.
Lei sorrise appena, accogliendo il vento che le carezzò il
viso e i capelli
<< Spero che almeno i sogni non muoiano al calar del
sole>>
<< No, quelli non muoiono
mai>> così, Marco decise di
stringerle la mano.
Lei non oppose resistenza.
Trovare una persona come Marco era sempre stata un sogno,
un’immaginazione
lontana ed impossibile.
<< Che cosa ci resterà allora
domani?>> domandò Chiara, quando
sentì in lontananza il fischio del treno in arrivo.
Marco sorrise << Una prova di vita vissuta per il
meglio>>
<< E
se non rimarrà nulla?Se
domani cambia tutto? >>
Improvvisamente Chiara si sentì invadere dalla paura e
dall’angoscia che lui
potesse scordarsi di lei e di tutto quello che avevano avuto insieme.
<< Io
domani non cambierò>>
Marco conosceva la debolezza di Chiara e avrebbe voluto dedicarle tutta
la sua
sicurezza, tutta la consapevolezza che aveva di lei e del suo amore.
<< Non
è così, tu riprenderai la
tua vita e sarà tutto diverso
>> disse lei con le lacrime agli occhi
tremando.
<< Ho firmato un contratto? Io voglio solo stringerti la
mano>> sussurrò
Marco al suo orecchio.
Lei rabbrividì.
<< Perché
non lo fai? >> stavolta
Chiara lo guardò negli occhi e non ebbe paura.
<< È
che ti amo, volevo dirtelo
ancora >>
La baciò, una, due, tre volte.
Con i respiri di nuovo intrecciati.
<< Forse
non è così
scontato>> puntualizzò
la ragazza con una mezza smorfia.
<< Non
voglio lasciarti sola,dammi
la tua mano, per favore>>
In quegli istanti insieme, in quegli istanti che battezzavano il loro
amore di
fronte la prima grande difficoltà, l’inverno
sembrò essere meno freddo.
Chiara si strinse nelle braccia di Marco, lasciandosi cullare proprio
come
aveva fatto fin dalla prima volta.
Si era fidata, si era lanciata e non se ne era pentita.
Ora era pronta, perché sarebbe andato tutto bene, lo sapeva.
Adesso, per davvero.
<< Aspettami in via Zamboni, la prossima volta
>>
<< Sarò lì, puoi contarci
>>
Lei annuì, poi si chinò a prendere la sua valigia
e sorrise felice.
<< Devo andare >> il groppo alla gola si
faceva sentire prepotente,
ma sarebbe passato.
Marco non si scompose, aiutandola.
<< Fammi sapere quando arrivi >> le
raccomandò.
<< Non preoccuparti >>
Chiara si allungò per baciarlo e dischiudere le labbra in un
sorriso.
<< Non divertirti troppo senza di me >>
<< Sarà difficile >>
constatò Marco ridendo felice.
L’ultimo avviso ai passeggeri, l’ultimo richiamo
alla realtà.
L’ultimo sguardo –
quellopiùintensolungoappassionanteverocolmod’amore-
prima di
salutarsi.
La promessa viva nei loro occhi, nei loro cuori.
Sempre – forte.
<< Ci vediamo a casa, Marco
>>
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