Chrysalis of Pain.

di soulofthemusic
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo I. ***
Capitolo 3: *** Capitolo II. ***
Capitolo 4: *** Capitolo III. ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV. ***
Capitolo 6: *** Capitolo V. ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI. ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


«Come ti chiami?»
«Io non ho un nome piccola. Il nome è solo
un insieme di lettere, che pretendono di
classificare una persona. Non affidarti mai
alle lettere Noemi, sono cattive consigliere.»
«E se avessi bisogno di te come faccio a
chiamarti?»
«Non serve un nome per chiamarmi, quando
Avrai bisogno di me sarà il tuo cuore a
chiamarmi, e io accorrerò da te.»
L’angelo si avvicinò alla bambina baciandola
sulla fronte, poi sparì lasciando dietro di sé
una piuma delle sue magnifiche ali.
Era grande quanto la mano di un bambino,
morbida e fragile. Alcuni non erano riusciti a
vedere in una vita tutti i colori che quel
prezioso oggetto racchiudeva. Era uno scrigno,
uno scrigno che Noemi accostò al cuore per
non dimenticare.
Ormai il suo cuore era diventato il custode del
meraviglioso ricordo, un guardiano più forte
del vento, più caldo del sole, più vivo della
natura.

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Capitolo 2
*** Capitolo I. ***


I.

 

Noemi era così: donava amore e attenzioni a tutti, che loro ricambiassero o meno, che se lo meritassero o meno. Era una di quelle persone che con la sua semplicità e innocenza riusciva a sciogliere anche i cuori più gelidi, un sole che faceva breccia nelle giornate più nuvolose. Non aveva molti amici, ma grazie a Gael conosceva  molte persone. Tutti quelli a cui era stata presentata si ricordavano di lei: la ragazza piccola, con gli occhi verdi e il tatuaggio. Non se lo spiegava, ma rimaneva come un marchio nella testa delle persone. Lei che non aveva niente a distinguerla dalle tante altre ragazze che giravano intorno al suo migliore amico, lei che non si piaceva, lei che si trovava mille difetti. Lei che si sapeva imperfetta.
«Buon giorno piccolo angelo, il sole stanotte è scappato dai tuoi occhi ed è già in cielo.»
 Parole sussurrate nel buio della sua stanza, mani che le accarezzavano i capelli, labbra che le sfiorarono la fronte. Gael.
«Buon giorno tesoro.» disse stiracchiandosi e regalando un sorriso al suo migliore amico.
 «Grazie amore.» Gael si sentiva speciale quando Noemi gli sorrideva, quando donava un sorriso solo a lui, perché era unico, speciale. Come lei. Il ragazzo si allontanò così Noemi si alzò piano e andò a scostare le tende che coprivano tutta la parete vetrata della sua stanza, ed eccola lì. Neve. Lo spettacolo più affascinante che l’inverno potesse offrire. La sua città quel giorno era avvolta da un manto bianco, un manto freddo che abbracciava ogni cosa e che il sole rendeva luccicante, pieno di riflessi. Ed ecco ancora una volta la sua mente vagare tra gli stretti corridoi dell’infanzia, attenta ad evitare i ricordi dolorosi, quelli che ormai avevano vestiti di polvere per arrivare al ricordo bianco, quello fatto di mille riflessi, come la neve.
 La ragazza si portò istintivamente la mano dietro all’orecchio, là dove due piume nascevano per morire a metà del suo collo.
 Pochi secondi dopo una dolce melodia la riportò alla realtà, era un messaggio di sua madre, il buon giorno senza cui Noemi non usciva di casa.
Buongiorno principessa... leggeva sullo schermo.
«Buon giorno regina.» mormorò la ragazza sollevando gli angoli della bocca.
 Noemi si vestì con calma poiché la fretta non faceva parte di lei, non la caratterizzava e non l’avrebbe mai fatto perché considerava la calma come un lusso nel mondo in frenetica agitazione di cui faceva parte. Si sistemò i capelli color cioccolato come meglio poteva e andò in cucina dove l’aspettava un bicchiere di acqua fredda. Ecco la premura di Gael, i piccoli gesti fatti di grandi dimostrazioni. Lui però era in camera, così la ragazza ne approfittò per prendere il pacchetto che aveva preparato di nascosto la sera prima e lo infilò furtiva nello zaino, poi bevve l’acqua ed entrò nella camera dell’amico. Abbracciandolo da dietro Noemi sussurrò: «Andiamo?» Il suo tono non era spazientito o rude, era soave e leggermente assonnato. Restò stupita quando Gael si voltò, con il viso a pochi centimetri dal suo. Si guardarono negli occhi, il cioccolato fronteggiava lo smeraldo, lo smeraldo rifletteva il cioccolato finché, per paura di sgretolarsi a causa della dolcezza del cioccolato, gli occhi color smeraldo si chiusero e affondarono nella spalla del ragazzo, lì dove le labbra lasciarono un bacio delicato. Quando Noemi si scostò provò freddo, già le mancava il calore del corpo davanti a sé, ma si girò e andò in salotto per lasciare a Gael il tempo di finire di prepararsi.
Quando fu pronto i due si avviarono alla fermata del pullman, ma quando salirono sul mezzo c’era solo un posto libero così Gael si sedette prendendo in braccio Noemi, che gli ricordò tanto una  bambina e gli fece sussurrare: «La mia piccola.». Arrivati a scuola la ragazza fu subito tratta in disparte da una studente un po’ più alta di lei, con i capelli spettinati e biondi e gli occhi azzurri. Gael lasciò la sua mano a malincuore e andò dai suoi amici continuando a guardarla.
 «Allora? Novità?!» chiese la bionda.
«Ti riferisci alla storia inesistente che c’è tra Gael e me, Evelin?» chiese pazientemente Noemi. L’amica le chiedeva ogni giorno con più entusiasmo come procedeva tra lei e Gael, ma tra loro non c’era niente e Noemi cominciava a stufarsi della continua insistenza di Evelin.
«Dai Emi, è da un mese che non va con nessuna! Questo come me lo spieghi?»
«Semplicissimo: magari si è stufato di andare con tutte quelle che gli capitavano e si sta prendendo un periodo di pausa!» nonostante il suo tono deciso gli occhi tradivano dell’insicurezza che Evelin percepì subito.
«Quindi non ti ha detto niente eh, chiediti il perché Noemi e apri gli occhi ti prego. Sareste una bellissima coppia!»
«In effetti hai ragione, glielo chiederò quando saremo soli, ma adesso per favore smettila e andiamo dagli altri altrimenti si capirà il motivo per cui mi hai rapita.»
Evelin si rassegnò così le due ragazze si diressero verso il tavolo nel cortile interno dov’era seduto Gael con i suoi amici. Appena arrivò il ragazzo prese la mano di Noemi attirandola a sé e facendola sedere in braccio a lui per scaldarla, cominciando a baciarle i capelli.
«Allora venerdì vieni alla Rosa, Gael?» chiese un ragazzo piuttosto alto e snello, i capelli ricci e castani.
Gael scostò il viso dai capelli di Noemi e sorridendo disse: «Solo se viene anche lei.» indicando la ragazza tra le sue braccia.
«Lo sai che venerdì lavoro tesoro.» disse rivolta a Gael.
«Ma dai sarà fantastico! Noe, lui ci deve essere!» disse il ragazzo di prima.
«Tranquillo Adam, lo convinco io.» così dicendo fece l’occhiolino a Adam e sorrise a Gael. La campanella suonò e tutti si diressero alla propria classe.
Non appena Noemi si sedette al suo posto vide Gael discutere con la sua compagna di banco e sorrise pensando che Evelin aveva torto marcio, ma proprio quando si girò per guardare fuori dalla finestra due braccia la strinsero contro un petto familiare.
«E come staresti pensando di convincermi ad andare venerdì?» chiese una voce soave vicino all’orecchio della ragazza baciandone poi il lobo.
«Ad esempio potrei convincere Cassia a venire con te, che ne dici?» affermò Noemi pensando di avere la situazione in pugno.
«E cosa ti fa pensare che se Cassia venisse con me io ci andrei?» rispose la voce un po’ stranita.
«Beh, non la stavi invitando prima, scusa?»
«Stavo semplicemente barattando il mio posto con il suo e qualcosa mi dice che non le dispiace affatto.» mentre parlava Gael sorrideva.
«Non dirmi che.. davvero?!?» esclamò Noemi sciogliendo l’abbraccio e girandosi sorpresa verso l’amico.
«Credo proprio di sì: alla tua compagna di banco piace Martin. Sorpresa?»
«Beh Martin è un bel ragazzo, ma non pensavo che le piacesse.»
Gael non poté fare a meno di chiedersi se Martin piacesse anche a Noemi, la gelosia cominciava a farsi strada verso il suo cuore quando la ragazza lo abbracciò sussurrandogli all’orecchio «Anche perché tu sei molto più bello di Martin.». Una gioia incontenibile invase il ragazzo che ricambiò l’abbraccio immergendo il viso nei capelli color cioccolato dell’amica e  riempendosi i polmoni del suo profumo. «Ti voglio bene piccola mia.» disse. La risposta non tardò ad arrivare, flebile poiché la bocca di Noemi era appoggiata contro il maglione del ragazzo: «Anche io amore, sempre.».
 Il professore entrando si schiarì la voce e tutti si ricomposero per la lezione che stava per cominciare. Noemi tirò fuori dal suo zaino un blocco di fogli bianchi e cominciò a disegnare. Quando disegnava si sentiva libera, lontana dal mondo sensibile e più vicina al mondo platonico delle idee. Nuotava tra pensieri, parole, immagini, flash e la sua mano li trasformava in disegni. Senza nemmeno accorgersi le ore di scuola passarono e si ritrovò fuori dall’edificio in un attimo, così propose a Gael: «Hai voglia di venire al parco con me?»
 «Veramente ho detto a Martin che sarei andato con lui a vedere il nuovo tatuaggio che vuole farsi… Potresti venire anche tu visto che sei molto più esperta!»
«Peccato avevo preparato una sorpresa per te… Sarà per la prossima volta! Io vado lo stesso, ho bisogno di quanto più verde possibile. A stasera!» terminò Noemi con il suo solito entusiasmo.
«A stasera.» sussurrò Gael mentre lei si allontanava. Avrebbe davvero voluto accompagnarla, scoprire la sorpresa che aveva in serbo per lui, ridere e scherzare come solo con lei poteva fare, ma aveva fatto una promessa ed era il genere di ragazzo che manteneva la parola data.
Guardò Noemi mentre se ne andava, era bella da togliere il fiato. Piuttosto piccola, molto magra ma così aggraziata da sembrare una dea che fluttuava sulla neve senza lasciare traccia. I capelli lunghi si intravedevano nonostante la pesante sciarpa che si era messa e il capello le stava d’incanto, le dava un’aria infantile.
Forse, pensò Gael, Noemi ha un'aria da bambina perchè la sua infanzia le è stata rubata.
Sapeva la sua storia, il divorzio dei genitori quando aveva poco più di 6 anni, l’anoressia provocata dalle accuse del padre di aver fatto finire il matrimonio, l’immenso amore della madre che cercava in ogni modo di aiutare sua figlia, i sacrifici  fatti per una famiglia in rovina. Adesso suo padre si era trasferito in Francia con la sua nuova fiamma mentre lei si era spostata a Utrecht per studiare e sua madre era rimasta a Amsterdam. Gael ricordò che quando si erano conosciuti, non avrebbe mai immaginato che la ragazza dagli occhi di smeraldo avesse una storia così triste e che i due ormai migliori amici avevano in comune solo la passione per la musica, passavano ore ad ascoltare i loro artisti preferiti, cantare a squarciagola le parole dei brani che erano entrati loro nel cuore. Musica-dipendenti, così si definivano. Successivamente erano nate altre passioni comuni come il disegno, fino a giungere a un affetto che superava ogni limite, che rasentava quasi l’amore e che faceva sì che i due si sentissero completi solo in presenza l’uno dell’altra. Gael nella macchina dell’amico e Noemi per le antiche strade della cittadina, due persone a metà, due anime che soffrivano la separazione come un’astinenza.

 



Piccolo angolo della scrittrice:
Buongiorno (o buonasera) a tutti quelli che hanno letto questo capitolo. Ho mille domande per voi, ad esempio qual'è il personaggio che vi è piaciuto di più, qual'è quello che vi incuriosisce maggiormente, con quale vi identificate di più ecc. Ma vi chiedo solo un favore: recensite e fatemi sapere che ne pensate della storia, mi farebbe molto piacere sapere la vostra opinione! :) Inoltre ringrazio per le visite del prologo e per la bellissima recensione di Sofi ( spero di non aver deluso le tue aspettative <3). Un bacio, Maddy :)

 

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Capitolo 3
*** Capitolo II. ***


II.

 
L’aria era fresca e pura, ma i suoi adorati alberi erano coperti da vestiti bianchi e sfarzosi, modelli fantastici che ogni giorno erano nello stesso posto per rallegrare la gente. Le stesse persone che davano tutto per scontato, che non si meravigliavano più di nulla, che erano insensibili  a ogni spettacolo la natura mettesse loro davanti.
La ragazza dai capelli cioccolato attraversò lentamente il ponte deserto gustandosi ogni momento, il canale era ghiacciato e non aveva dubbi che se anche il giorno dopo avesse fatto freddo i bambini avrebbero potuto cominciare a pattinare sulla patina formata dalla neve.
Noemi adorava il freddo, era la sua temperatura. Il caldo la faceva star male, le toglieva tutte le energie e la inchiodava in casa spesso e volentieri. Il freddo invece la faceva sentire viva, piena di energie e aperta alla vita. Toccare con la mano nuda la candida neve sulla panchina la fece rabbrividire, era una sensazione che adorava e agognava da tempo.
Si sedette a gambe incrociate e tirò fuori dallo zaino il pacchetto che aveva preparato la sera prima, tutte le cose da mangiare risposte all’interno erano in coppia perché sperava che Gael la accompagnasse, ma purtroppo aveva fatto una promessa a Martin e a lei andava bene così, anche se doveva ammettere che la sua mancanza si faceva sentire.
D’un tratto davanti alla panchina passò un gruppo di militari in uniforme che molto probabilmente si stava allenando visto gli usuali cori. La folla continuava la sua lenta corsa mentre un individuo continuò la corsa sul posto, distaccandosi dagli altri.
Si avvicinò alla ragazza intenta a mordere un sandwich e con voce incerta disse: « Nemi?»
Noemi si bloccò all’istante, il sangue nelle vene le congelò. C’era solo una persona che la chiamava in quel modo e quando alzò gli occhi la vide chiaramente.
«Bastian?!?»
«Cucciola, ma da quanto tempo non ci sentiamo?»
«Mio Dio, un’eternità!» disse la ragazza dagli occhi smeraldo con entusiasmo, alzandosi e coprendo i pochi passi che la separavano dal suo vecchio amico d’infanzia per poterlo abbracciare. «Guarda qui che muscoli accidenti! E sei anche diventato più bello di quanto già fossi.» aggiunse con un sorriso radioso.
«Così mi fai arrossire scricciolo. Guardati, sei raggiante e un po’ più alta di come ti ricordassi.» scherzò lui, piacevolmente sorpreso di aver ritrovato una parte di lui che aveva perso tanto tempo fa.
«Allora, devo presupporre che tu sia un soldato adesso?» chiese la ragazza alzando un sopracciglio.
«Direi proprio di sì. Ho già concluso alcune missioni con successo e adesso sono tornato per un periodo di allenamento.»
«Cavolo soldato, datti una regolata: ricordati che stai parlando con una vecchia amica, non con un tuo superiore.» disse Noemi ridendo, « Inoltre se mi prometti che parlerai normalmente è probabile che ti chiederò di vederci ancora.»
«Signor sì, signora!» disse sorridendo e portandosi la mano vicino al viso in un segno militare.
«Conosci il bar vicino all’università?»
«Quello con l’insegna bianca? Certo!»
«Bene allora ci vediamo là domani pomeriggio alle 18. Ora devo andare al lavoro, a domani!» disse Noemi allontanandosi.
«A domani, ti penserò quando riceverò la punizione per essere in ritardo.» aggiunse Bastian sorridendo.
 
 
«Allora? Che te ne pare?» chiese Martin notando l’aria assente dell’amico mentre guardava il disegno del suo prossimo tatuaggio.
«Cosa?» rispose Gael interrompendo la lunga fila di pensieri che affollava la sua mente da quando  aveva lasciato Noemi. «Oh, è fantastico. Dove vorresti farlo?»
«Sulla schiena. Ricordi? Te l’ho detto cinque minuti fa.»
«Scusa amico, è solo che… non so, sono un po’ perso.»
«Stai pensando a lei, vero?»
«E tu come lo sai?!» chiese Gael con un po’ di panico nella voce. Da quando era diventato un libro aperto?
«Beh oggi mi hai scaricato per starle vicino, non vieni più alle feste se non c’è lei, ho notato il modo in cui la guardi e la tratti, sai? Non l’hai mai fatto con nessun’altra.»
«Da quando sei tu lo psicologo e io il paziente? Piuttosto come va con Cassia?»
«Da quando, per la prima volta, sei tu ad avere un problema in tema “ragazze”. Insomma, siamo amici da quando andavamo alle medie, Gael, penso di conoscerti abbastanza bene. Comunque non capisco la domanda: fra me e lei non c’è niente, se cercavi di cambiare argomento non funziona.»
«Oh, ma lei vorrebbe che ci fosse qualcosa. Garantito.» Martin sapeva che Gael non sbagliava mai in fatto di donne e sentimenti, a parte quando si trattava di se stesso.
«Staremo a vedere. Ti piace vero?»
«Non mi piace soltanto, Martin, io penso di provare qualcosa per lei. Per anni sono uscito tutte le sere a far festa, ho detto alle ragazze quello che volevano sentirsi dire, ho aggiunto qualche parola dolce, qualche complimento e sono cadute tutte tra le mie braccia. Ogni sera nel mio letto c’era una ragazza diversa. Ma adesso… adesso non voglio nessun’altra che non sia lei. Ci ho provato a essere il Gael di sempre, ma non ci riesco. Ogni complimento che esce dalle mie labbra è diretto a lei, ogni parola dolce che mi passa per la mente la vorrei sussurrare a lei, penso sempre a lei, cerco sempre di trattarla come merita di essere trattata. Ma che mi succede?» disse Gael scuotendo la testa, appoggiando poi il viso tra le mani.
Martin era scosso: il ragazzo seduto di fronte a lui era il suo migliore amico, lo conosceva da tanto tempo, ma ora non lo riconosceva. Era cambiato e la differenza più grande la vedeva in quel momento: non c’era mai stato un solo istante in cui Gael si era mostrato debole, mentre in quel momento era esattamente così, indifeso e confuso.
«Perché non le parli e le dici quello che hai detto a me? Se è un problema per te posso farlo io…»
«No!» lo interruppe bruscamente l’amico «Se c’è una persona che deve parlarle quella sono io. Solo che ho paura di rovinare tutto. Non voglio perderla, sarebbe la fine di tutto ciò che sono.»
«Gael ti prego, ti parlo non da amico, ma da fratello. Parlale. Non puoi andare avanti con la paura e il desiderio che si danno battaglia ogni volta che la sfiori, non sei più tu. Stai vivendo a metà e io non voglio che accada, Noemi non vuole che accada. Parlale il più presto possibile. Fallo per te, fallo per voi.»
 
 
Da piccola le piaceva associare ad ogni persona un colore. Sua madre era istintiva e affettuosa come la gradazione più intensa del rosso. Suo padre era blu, abbastanza calmo da trasformare il rosso acceso in un viola vivace.
Il primo sprazzo di verde nella sua vita l’aveva portato Bastian. Non sapeva bene come descrivere il carattere che collegava a quel colore, forse non era qualcosa di definito, forse per lei il verde significava semplicemente salvezza, pace.
Ricordava benissimo la prima volta che vide il suo miglior amico d’infanzia. Si era appena trasferito, era in giardino e si guardava intorno stralunato, come se fosse appena atterrato su un pianeta alieno e avesse paura che qualcuno lo stesse per rapire. Lei andò a salutarlo e spigliata com’era riuscì a far sciogliere la timidezza del bambino e a diventare sua amica.
Passarono quattro anni da allora, e il giorno del suo decimo  compleanno Bastian se ne andò, si trasferì in un’altra città e la lasciò di nuovo sola con il rosso e il blu.
Una lacrima scese  sul volto della ragazza  che era quasi arrivata all’edificio dove faceva la volontaria tre volte a settimana, e ancora una volta affiorò la domanda a cui per anni aveva cercato risposta: qual era il colore che le apparteneva? Avrebbe voluto rispondersi che era il verde, ma si sarebbe detta una bugia. Lei non era la sua salvezza, lei da sola non avrebbe trovato la pace, sarebbe piombata di nuovo nell’abisso nero di un paio di anni fa.
Si asciugò la guancia ed entrò in ospedale cercando di mantenere un sorriso accettabile sulle labbra. Si cambiò con una lentezza straziante, Bastian aveva aperto ferite non ancora cicatrizzante, aveva portato alla luce ricordi di quando i suoi genitori andavano d’accordo e lei si sentiva ancora parte di una famiglia.
Uscì dallo spogliatoio e cominciò il suo giro di pazienti, dopo un paio d’ore finì di distribuire le pillole e di risistemare alcuni dei letti rimasti vuoti quella mattina. Lasciava sempre per ultima la camera di Althea, voleva concedersi un momento per stare un po’ con lei e parlare, era sicura che lei le avrebbe reso la mente limpida: Althea era giallo brillante, luce che avvolge ogni cosa.
Si avviò verso la sua camera, ma cominciò a innervosirsi quando vide Mischa, un’infermiera con cui spesso e volentieri scambiava due chiacchiere davanti a un the caldo, con una cartellina in mano e uno sguardo basso e triste.
«Noemi..» cominciò lei non sapendo come continuare.
«Ciao Mischa, tutto bene?» chiese la ragazza un po’ perplessa.
«Sì. Cioè no… Althea ieri notte è venuta a mancare, mi dispiace Noemi.»
Noemi sapeva che la sua coetanea era affetta dal cancro, ma non pensava che stesse peggiorando così in fretta, aveva ancora tantissime cose da dirle, tantissime cose da apprendere da lei, ma lei non c’era più.
Entrò nella stanza piano, si avvicinò al letto e cominciò ad accarezzare le coperte. Come poteva essere? Come poteva la terra toglierle un dono così prezioso? Perché ogni volta che qualcuno si avvicinava a lei finiva sempre per allontanarsi? Sembrava che il cielo fosse contro di lei, non aveva idea di cosa sarebbe successo andando avanti, ma la sua vita fino a quel momento era stata riempita da perdita e dolore e non si aspettava che il destino avesse in serbo qualcosa di diverso. E l’angelo? Ora aveva bisogno di lui con tutte le sue forze, ma lui non c’era. Forse era il suo cuore, forse era difettoso, Noemi avrebbe voluto cambiarlo. Avrebbe voluto cambiare quel momento, avrebbe voluto essere lì quando Althea esalava il suo ultimo respiro, avrebbe voluto dare la sua vita per salvare quella dell’amica.
Le lacrime ormai lottavano per uscire dagli occhi come un fiume in piena, non voleva cedere, non voleva arrendersi un’altra volta alla vita, ma alla fine perdeva sempre.
Mischa entrò nella stanza e vedendo lo stato di shock di Noemi la abbracciò, ma lei non era giallo e nemmeno verde, lei era rosa pallido, non poteva guarire il nero che stava sgorgando dal corpo di Noemi.
«Tesoro meglio se per un paio di settimane ti prendi del tempo per calmarti, poi, se te la sentirai, potrai tornare qui ad aiutarci.» disse Mischa.
Noemi non aveva la forza di rispondere, annuì e con lentezza si avviò verso lo spogliatoio e poi verso casa. Dentro non c’era nessuno, era sola un’altra volta. Sapeva che non poteva ricascare nei vecchi sbagli, avrebbe deluso ancora le persone che più amava al mondo, ma la tentazione era grande e il bisogno immenso. Droga e alcol erano stati i suoi più grandi amici durante il divorzio dei suoi genitori, l’anoressia era venuta da sé.
La porta cigolò, e davanti a sé trovò Gael con un’espressione addolorata. Lei era lì, avvolta con una coperta, sul divano, con gli occhi gonfi che si ostinavano a fissare oltre la finestra per non affogare nelle lacrime. Due braccia la avvolsero è d’un tratto ricordò cosa significava il verde per lei: salvezza.

 
 

 
Piccolo angolo della scrittrice:
Mi scuso per il ritardo, avrei dovuto pubblicare ieri, ma ho avuto alcuni problemi e non sono riuscita a finire di scrivere il capitolo. Spero di essere puntuale con il prossimo :) Ringrazio tutti quelli che mi seguono, recensiscono e che hanno inserito la storia tra le seguite, il vostro supporto per me è importante <3
Vi svelo anche un piccolo segreto: ho cominciato tante storie, ma non sono mai riuscita ad arrivare a scrivere il secondo capitolo, ho sempre avuto un blocco quindi questo è un grande traguardo per me. Detto ciò non vi annoio oltre, mi raccomando fatemi sapere cosa ne pensate! Un bacio, Maddy :)

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Capitolo 4
*** Capitolo III. ***


III.

 
 
Noemi si era sempre chiesta a cosa servono le lacrime. Ogni volta che finivano le lasciavano dentro un vuoto incolmabile e allora diventava fredda, incapace di sentire qualsiasi emozione. Pur avendo provato quella sensazione tante volte non riusciva ancora a capacitarsene, la trama della sua vita era intessuta di emozioni, sentimenti. Le lacrime portavano solo grossi buchi in quel tessuto già pieno di toppe.
Quando si svegliò non aprì gli occhi, voleva prendersi ancora un momento.
Percepiva un respiro tra i suoi capelli, delle braccia che la avvolgevano, la sua mano posata su un petto muscoloso. Lo riconosceva, aveva passato minuti interi a delineare la forma di quel petto così scolpito, la rilassava e le dava un senso di protezione. Aprì gli occhi e scoprì il viso di Gael vicino al suo, i suoi occhi si soffermarono sulle labbra che avevano attratto la mano della ragazza ad accarezzarle dolcemente.
Piano piano anche gli occhi di Gael si schiusero, quando il ragazzo percepì il calore delle dita di Noemi sulle sue labbra vi posò un lieve bacio e sorrise incantandola.
«Grazie, davvero.» gli disse, e in quel momento nei suoi occhi si poteva leggere la più completa gratitudine all’amico che anche in quella situazione le era rimasto accanto.
«Lo sai che non vorrei mai vederti nello stato un cui ti ho trovata ieri sera Noe.» Gael aumentò la presa delle sue braccia attorno alla ragazza avvicinandola finché i loro visi non furono a pochi millimetri di distanza. «Ma… non dubitare mai del fatto che io per te ci sarò sempre.»
Noemi restò affascinata guardando negli occhi di Gael così profondi e sinceri, la vicinanza tra di loro le mozzava il fiato, si chiedeva cosa diamine le stesse succedendo, ma la sua mente era troppo stanca per elaborare  qualsiasi tipo di risposta. L’amico si alzò dal letto mentre lei si soffermava a guardare le sue spalle larghe come se non le avesse mai viste prima e le portò una tazza di the alla menta, il suo preferito, quello che aveva sempre bevuto se aveva bisogno di calmarsi.
«Noemi, devo parlarti.» disse lui abbassando lo sguardo e d’un tratto Noemi si fece prendere dal panico. Il suo migliore amico l’aveva chiamata con il suo nome intero, cosa che non faceva mai, il suo tono era tormentato, i suoi occhi bassi. La scena si ripeteva ancora una volta.
 
«Noemi, devo parlarti. Vieni qui per favore.» la voce di sua madre trasudava preoccupazione e la bambina non voleva ascoltarla. Pochi secondi prima era immersa nel mondo di “Alice nel Paese delle Meraviglie”, uno dei suoi libri preferiti, e adesso era in cucina, seduta davanti alla donna che le aveva dato la vita a chiedersi di cosa volesse parlarle. I voti a scuola erano soddisfacenti, in classe andava d’accordo con tutti e a casa non aveva combinato nessun guaio da almeno un paio di mesi.
«Tesoro… Ecco…» la donna annaspò per trovare le parole, ancora affranta dalla lite con suo marito. «Io e papà non andiamo più molto d’accordo e abbiamo deciso che… per un periodo è meglio se restiamo… separati.»
La figlia restò in silenzio per qualche secondo, si ricordò che nemmeno lei andava d’accordo con una sua compagna di classe all’inizio dell’anno, ma alla  fine avevano cominciato a parlare e tra una merendina all’intervallo e una figurina dell’ultimo cartone erano diventate amiche. Voleva dirlo a sua mamma, raccontarle della sua compagna, dirle di parlare con suo padre, ma quando alzò lo sguardo sul viso della donna non ne ebbe il coraggio, così annuì, si alzò piano e se ne andò nella sua stanza buttandosi sul letto. Non sapeva quante lacrime avesse versato, non le contò, non sapeva quanto grande fosse il buco che quella notizia aveva procurato, non ci badò, si limitò semplicemente a nascondere quello che provava e andò avanti con la sua vita cercando di non essere un peso per sua madre perché come le aveva successivamente  più volte ripetuto lui stesso, per suo padre lo era.
 
Noemi si lasciò sfuggire una sola parola: «No.». Dannata voce, dannate lacrime, dannata vita. Si rifiutava di ascoltare, di affrontare un’altra perdita, di veder scolorire un altro colore.
Gael notò gli occhi lucidi, la voce spezzata e non voleva che lei piangesse, non a causa sua.
«Hei, hei, ascoltami ti prego. Non dirò assolutamente niente che ti faccia star male, davvero.» salì sul letto e cominciò ad accarezzare il volto della ragazza «Senti, ti prego.»  e così dicendo posò la mano di Noemi sul suo petto, all’altezza del cuore. Il contatto fece rabbrividire entrambi, Gael chiuse gli occhi cercando di trovare dentro di sé la forza per dire a Noemi ciò che provava, gli batteva forte il cuore e questo stupì la ragazza che fissò gli occhi sul volto dell’amico aspettando una  spiegazione.
« È per te che batte, è per te che i miei polmoni respirano, è a te che dedico ogni istante. Giuro piccola, non mi è mai capitato e all’inizio non sapevo nemmeno che cosa mi stesse succedendo, ma sei finita troppo spesso tra i miei pensieri e le mie braccia hanno agognato troppe volte di stringerti per non capire che io ho bisogno di te.» aprì gli occhi puntandoli sulla sua mano, un sorriso triste fece capolino sulle sue labbra, «Non sai quante volte avrei voluto baciarti, baciarti davvero, dimostrarti che tu per me sei tutto, che senza di te sarei lo stesso ragazzo di due anni fa, quello che pensava solo ad ubriacarsi e scoparsi tutte le ragazze che conosceva. Sì, perché un po’ mi hai salvato Noemi… tu che sei fragile e hai bisogno di protezione, proprio tu, con quel sorriso  che sembra venire da un altro pianeta, con quel profumo che mi manda fuori di testa, con quel carattere che adoro. Tu sei l’unica, l’unica che voglio, l’unica che vedo, l’unica che amo con tutto me stesso.» si avvicinò all’orecchio della ragazza perché quelle due parole  erano solo per lei, quelle due parole erano tutto ciò che Gael provava da quando l’aveva conosciuta, quelle due parole erano sangue che scorreva nelle sue vene: «Sono tuo.».
 
Esther era in cucina, aveva passato circa un’ora a decidere cosa preparare da mangiare e alla fine aveva optato per le zucchine in crosta che aveva appena infilato in forno. Dopo i problemi con l’anoressia sua figlia si era trasferita a Utrecht e non aveva potuto seguirla sul suo percorso per uscirne, però la sentiva ogni tanto al telefono. In quei momenti le chiedeva notizie su come si sentiva e se stesse ancora combattendo, una volta le aveva confessato che ormai mangiava un po’ di tutto, ma quando si trovava davanti cibi fritti o molto oleati provava ancora un senso di repulsione. Poteva capirla, una volta la vedeva mangiare solo tre banane o tre mele in tutta una giornata, era stata un’agonia per lei, si sentiva inutile, non sapeva cosa fare, come aiutarla.
Successivamente scoprì anche i problemi legati all’alcol  e gli sporadici usi di droga, fu a quel punto che decise di intervenire: si documentò su internet, lesse testimonianze di ragazze che avevano gli stessi problemi di sua figlia, contattò le mamme di queste ragazze e chiese consigli, suggerimenti. Cominciò a sostenere sua figlia come una colonna e da allora ha sempre continuato a farlo.
La donna ricordava ancora la sera in cui la vide guardarsi allo specchio seminuda: le costole sporgevano lasciando in bella vista la cassa toracica, anche le ossa del bacino sembravano voler bucare la pelle, ma quello che la colpì di più era il viso smunto della ragazza, non riusciva a ricordare l’ultima volta che aveva visto sua figlia sorridere e si rese conto per la prima volta che pessima madre fosse stata per tutti quegli anni. Entrò nella stanza e abbracciò sua figlia che nel frattempo cominciò a piangere tra le sue braccia.
Era stata in apnea per almeno quattro anni nell’oceano di problemi che suo marito le aveva creato intorno, ora doveva riemergere e dare una vita migliore a sua figlia. Purtroppo solo poco tempo dopo vennero a galla le intimidazioni del padre verso Noemi: Vincent l’aveva accusata di aver fatto finire il loro matrimonio, di essere un peso per entrambi i genitori, la rimproverava per sciocchezze o spesso senza motivo ogni volta che si trovava a dover stare da lui per ordine del tribunale. Fu così che Esther chiese l’affidamento esclusivo, fece rimanere quasi a secco le finanze di quel bastardo che non si poteva definire né padre né marito e, un anno più tardi, incontrò la sua anima gemella.
 
Noemi percepiva il freddo proveniente dalla parete del vagone mentre il treno era in corsa, guardava le tremule luci che scorrevano sotto i suoi occhi vacui e pensava. Era confusa, la dichiarazione di Gael l’aveva scossa: sapeva con certezza di provare qualcosa per lui, ma aveva paura che quel qualcosa nascesse dal fatto che l’avesse sostenuta tante volte e dal terrore di perderlo. Non voleva essere egoista, voleva pensare prima a lui e mettere lei stessa in secondo piano, non voleva che soffrisse a causa sua. Gliel’aveva spiegato quando era riuscita a rompere il muro di sorpresa che l’aveva fatta rimanere senza parole e lui, seppur con tristezza, aveva acconsentito a lasciarle qualche giorno per pensare mentre era da sua madre.
Aveva preso il treno della sera chiamando Esther per avvertirla, era stata impulsiva e si rimproverava per questo. Avrebbe dovuto presentarsi all’appuntamento con Bastian quel pomeriggio e non avendo il suo numero  non era nemmeno riuscita ad avvertirlo, dubitava perfino che i soldati avessero un cellulare, inoltre doveva avvertire Evelin, sapeva già che al suo ritorno le avrebbe fatto il terzo grado. Mentre si stava perdendo nei bui corridoi della sua mente sentì una canzone famigliare: era la suoneria del telefono e sullo schermo compariva la foto della sua migliore amica. Esitò a premere il tasto verde del suo BlackBerry bianco, ma alla fine si convinse che doveva darle una spiegazione e rispose:
«Pronto?»
«Hei, ciao tesoro, sono Evelin. Come stai?»
«Vuoi dirmi che non sei arrabbiata?»
«Dovrei? Gael mi ha raccontato tutto, adesso siamo alla festa di Adam e ci manchi da morire. Gael è stano Noe,  è successo qualcosa? Non lo vedevo così preoccupato da un bel po’ di tempo, non beve nemmeno!»
«Ti racconto tutto quando torno, ok? E digli queste parole per favore:See problem isn’t you, it’s me I know, I do this every single time, I’ll push you away. I get so afraid. » in fin dei conti Gael non le aveva raccontato proprio tutto, un motivo in più per essergli grata.
«È una canzone, vero? Comunque va bene, qui ti salutano tutti e ti mandano un bacione. Mi raccomando rispondi ai messaggi questo fine settimana!»
«Prometto, a presto tesoro.» riattaccò con il sorriso dipinto sulle labbra, doveva prendere una decisione, e in fretta.
Rimettendo il cellulare nella borsa si accorse che sul tavolino davanti lei era comparso  un biglietto in contrasto con tutto ciò che lo circondava: il vagone era vecchio, arrugginito in alcune parti e le luci a neon rischiaravano a malapena l’ambiente, il tutto dava un senso di vecchio. Ma il biglietto no, era bianco, nuovo e sembrava risplendere di luce propria.
Lo prese tra le dita facendo attenzione, avendo paura che da un momento all’altro si sarebbe dissolto davanti ai suoi occhi. Sopra c’era solo una scritta:
 

A stasera, dolce Noemi.
Caliel.

 


Piccolo angolo della scrittrice:
Bungiorno (o buonasera) miei cari lettori, questo capitolo è stato un tormento continuo quindi aspetto con ansia le vostre recensioni per sapere se sia comunque passabile o se pensate che questa storia non dovrebbe andare avanti. Questo capitolo è dedicato a Martina, per il suo supporto morale e a Greta, per il suo continuo sostegno, senza di voi questo capitolo non esisterebbe nemmeno. Un grazie di cuore anche a tutti quelli che hanno letto, hanno inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate e un grazie speciale a tutte le persone che hanno recensito, ha significato davvero tanto per me! Un bacio, Maddy :)

 

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Capitolo 5
*** Capitolo IV. ***


IV.

 
Il treno si fermò alla stazione e ,scendendo, Noemi respirò profondamente per scacciare l’odore di ruggine che aveva invaso i suoi polmoni per tutta la durata del viaggio. Odiava gli ambienti chiusi, in particolare quelli intrisi di strani odori. Salì su un taxi logoro, l’unico che trovò e si diresse verso l’indirizzo che le aveva lasciato sua madre.
«Ciao mamma.»
Esther era andata ad aprire la porta ed era rimasta sconvolta dalla ragazza che si ritrovò davanti. Sotto gli occhi le occhiaie erano sparite, gli angoli della bocca erano contratti in un sorriso appena accennato e gli occhi… gli occhi erano pieni di vita, l’ombra di tristezza e rassegnazione che vi aveva scorto per tutta la loro adolescenza era scomparsa.
Davanti a sé c’era sua figlia.
Non riuscì a trattenersi, la strinse a sé e sussurrò vicino al suo orecchio: «Ciao amore.»
«Mamma, ma stai piangendo?» chiese Noemi con tono stranito.
«No tesoro, sono solo un po’ commossa. Sei bellissima.» affermò la donna lasciando la presa, «Prego, entra. Sarai affamata.»
Noemi si sedette al tavolo della cucina e ringraziò il cielo che il nuovo fidanzato di sua madre avesse insistito affinché si trasferisse a vivere con lui, non avrebbe sopportato di dover trascorrere due giorni nella casa in cui aveva visto la sua vita crollare un mattone alla volta. Le pareti avrebbero deriso i momenti in cui si era illusa di essere felice. Le coperte avrebbero contato per l’ennesima volta le lacrime versate in solitudine. No, non avrebbe mai potuto rimettere piede in quell’orrore.
«Allora amore, come stai? Ieri sera quando ho chiamato mi ha risposto Gael, mi ha spiegato ciò che è successo…»
«Beh, sai com’è…. Non sono mai stata brava a gestire il dolore.» la ragazza portò alla bocca un pezzo della pietanza preparata dalla madre  mentre una lacrima le solcava il viso.
«Noemi…» disse la donna abbracciandola di nuovo, «Ascolta, non c’è bisogno che tu mangi qui, mi fido di te, e non c’è bisogno che tu ne parli, ma… sappi che qualsiasi cosa di cui tu possa aver bisogno è proprio vicino a te.»
Si sbagliava, Noemi sentiva che qualcosa mancava, lo sentiva e doveva assolutamente capire cos’era perché sapeva che non appena lo avesse trovato avrebbe potuto abbandonarsi all’illusione della felicità.
Esther la guidò in giardino e si fermò davanti a un miniappartamento che sostituiva le pareti con spesse lastre di vetro, era arredato con gusto moderno, con colori neutri e qualche sprazzo di rosso intenso nei mobili.
La donna appoggiò il piatto con la cena sul tavolino davanti al divano e baciò la fronte della figlia dicendo: «Buonanotte tesoro, cerca di dormire.».
«Buonanotte, grazie.»
Esther sorrise prima di tornare in casa e Noemi si avvicinò a una delle enormi portefinestre che davano sul canale, la aprì e si sedette sull’erba coperta di neve. Guardò l’acqua incresparsi sotto il suo sguardo, le luci di Amsterdam accendersi per combattere il buio, il vento travolgere ogni cosa si trovasse sul suo cammino. C’erano delle barche lì vicino, Noemi si chiese cosa ne sarebbe stato se ne avesse presa una e fosse scappata per un po’, se fosse scappata dalle costanti della sua vita: lacrime e dolore.
Prima che il suo istinto prendesse il sopravvento rientrò e finì la porzione di zucchine in crosta, cercando di non deludere sua madre, poi si sedette sul letto abbracciando le gambe e posando il viso sulle ginocchia. Guardava ancora fuori dalla finestra, aspettava che succedesse qualcosa, non sapeva esattamente cosa. Si cambiò e andò a prendere il biglietto nella sua borsa, vedendo una lucina prese anche il telefono, era Gael:

So when you’re restless I will calm the ocean for you, in your sorrow I will dry your tears.
When you need me I will be the love beside you, I’ll take away all your fears.

Questo vale qualsiasi decisione tu prenda, ma torna da me.

 
 
Era difficile non averla intorno, abbracciarla, sentirne il profumo. Gael era lì, bloccato a una stupida festa e lei era a mezz’ora di distanza. Si era pentito di averle detto la verità, se avesse saputo la sua reazione avrebbe lasciato perdere e si sarebbe accontentato di starle vicino da amico. Si era maledetto per la sua testardaggine, per il suo egoismo, ma non poteva più tornare indietro. Prese una scusa e andò a casa, tutti i suoi amici l’avevano guardato con sospetto, non aveva detto a nessuno di ciò che aveva fatto perché nessuno dei suoi amici, a parte, forse, Martin, sarebbe riuscito a capire il suo gesto e le sue parole.
Entrato nell’appartamento si diresse subito verso la stanza di Noemi e si stese sul suo letto. Il suo profumo, intriso nelle coperte e nell’aria, faceva sentire un po’ meno la sua mancanza a Gael, posando la testa sul cuscino su cui lei dormiva ogni notte la sentiva un po’ più vicina. Immaginò che lei fosse lì, vicino a lui, che lei avesse scelto di stare con lui, di fidarsi, e il suo cuore accelerò i battiti. Illusione, era facile farsi abbindolare da lei e dalla speranza. No, Gael doveva essere lucido, doveva prepararsi alla situazione opposta, doveva prepararsi a un rifiuto della sola ragazza che avesse mai amato. Solo così il suo cuore sarebbe sopravvissuto.
 
 
Il viso della ragazza era abbandonato sul cuscino bianco del divano, gli occhi chiusi, le labbra rosse, martoriate dai denti a causa del nervosismo. Aveva aspettato tutta la sera, aveva aspettato qualcosa di cui non conosceva nemmeno l’entità. Alla fine non era arrivato niente e lei aveva pensato ad uno scherzo mentre la musica esalata dalle sue cuffie la portava lentamente tra le braccia di Morfeo.
D’un tratto però qualcosa la fece risvegliare, era luce, bianca e eterea, che si rifletteva sull’acqua del canale. Si avvicinò cauta alla finestra per scrutare meglio ciò che stava accadendo e a poco a poco da un fascio stellare comparve lui. Colui che spesso e volentieri aveva popolato i suoi sogni, colui che aspettava di rivedere da sempre, colui che avrebbe potuto dare una svolta diversa alla sua vita.
«Noemi.» non era più di un sussurro, ma lei lo percepì come miele sulle labbra e subito aggrottò gli occhi per cercare di vederlo meglio. «Sono qui piccola, non temere.»
Era lui. Riconosceva la voce che aveva un effetto tranquillante su di lei, quando lo vide meglio riconobbe anche l’unico dettaglio che era rimasto impresso nella sua mente: le piume. Quella visione non la deluse, anzi, la stupì ancora una volta perché nonostante gli anni fossero passati loro erano rimaste sempre le stesse.
D’un tratto la luce sparì, e Noemi riuscì a vedere distintamente Caliel che si avvinò e le posò una mano sul cuore mentre con l’altro braccio la attirava a sé in una sorta di abbraccio. «Scusa il ritardo tesoro, sono davvero imperdonabile.»
L’umana sorrise, non aveva un motivo preciso, ma il solo fatto che qualcuno si fosse ricordato di lei la mise di buon umore e abbassando gli occhi sul suo petto scorse un bagliore, proveniva dal suo corpo, era caldo, afrodisiaco e sapeva che non appena quella sensazione fosse finita Noemi avrebbe avvertito la sua assenza come un’astinenza. No, non voleva ricadere negli errori che aveva fatto in passato, doveva godersi la sensazione il più a lungo possibile, il futuro poteva attendere.
«Dove sei stato? Avevo bisogno di te…» disse timidamente senza il coraggio di guardarlo negli occhi, ma lui sciolse l’abbraccio posando una mano sotto il suo mento, alzandole il viso, scrutando fino alla sua anima e rispose: «Credimi, non avrei mai voluto lasciarti. Non avrei mai desiderato questa vita per te, ma c’è qualcuno più in alto di me le cui decisioni sono irremovibili e non ho potuto fare niente. Il paradiso aveva in serbo questa vita per te, piccola mia, perché tu potessi forgiare il tuo carattere e diventare la meravigliosa creatura che ora si trova davanti a me.»
Noemi rimase senza fiato, la sua voce era nutrimento per l’anima, rassicurazione per il cuore e mistero per la mente. Si allontanò di un passo e non appena la mano di Caliel si scostò dal suo cuore tutte le sensazioni meravigliose che aveva provato fino a quel momento scomparvero, sostituite da un senso di mancanza. Lo guardò finalmente, analizzando ogni più piccolo dettaglio. Partì dal suo corpo, muscoloso e slanciato che le ricordava molto quello di Gael, si accorse che portava solo un paio di pantaloni ed il torso era nudo, non provò imbarazzo, ma solo ammirazione.
Spostò lo sguardo verso il suo viso e capì che mai volto umano avrebbe eguagliato la sua perfezione. Lasciò per ultime le ali, la parte di lui che più la affascinava e in un gesto involontario tese la mano in avanti, cercando il contatto per assaporare la consistenza della sua immortalità.
Nello stesso momento, quasi leggendole i pensieri, le ali si protesero verso la sua mano. La contiguità tra i due risultò familiare, calda e rassicurante per tutto il corpo di Noemi, non c’era cellula che non reagisse. Per lei, quelle ali erano una scossa benefica.
Un sorriso increspò le labbra dell’angelo, ma il tono della sua voce era amaro: «Non mi parli più?»
«Sì, cioè non so, sono solo un po’…confusa.» 
«Sai, da piccola eri più intraprendente.»
«Da piccola non ne avevo passate così tante…» disse la ragazza, ancora beata dalla contiguità che aveva con l’angelo. Voleva di più, voleva rivivere le sensazioni provate un istante prima quando lui aveva attinto al suo cuore.
«Basta chiedere piccola.» disse lui ripetendo l’azione che Noemi tanto agognava.
«Perché proprio adesso?» chiese con voce spezzata dando sfogo alla sua curiosità.
«Perché in questo momento mi è stato permesso di riavvicinarmi a te, perché sei oro dolce Noemi, il trofeo di una guerra tra Paradiso e Inferno. Chi riuscirà a conquistare la tua anima vincerà il mondo.»
«Perché proprio io..?»
«Troppi perché e troppe emozioni per una sola sera, non credi? Dormi Noemi, avremo tutto il tempo per parlare. Giuro che questa volta sono tornato per restare.»
Le palpebre si fecero pesanti, le gambe molli, stava per cadere ma due braccia possenti la sollevarono appena in tempo portandola sul letto. Dormiva, ma poteva sentire distintamente il suo respiro sulla guancia, le sue ali avvolgerla, la sua voce sussurrare una dolce cantilena. Questa volta, se lui avesse detto un’altra bugia, lei ne sarebbe morta.
 
 
In lontananza, dall’altra parte del canale un demone dalle fattezze umane guardava ciò che stava avvenendo nella vita di Noemi. Caliel aveva approfittato della situazione per farsi vivo, il demone doveva pensare al più presto alla contromossa. Aveva un piano preciso, ma quell’umano, Gael, l'aveva sconvolto con la sua dichiarazione. Gliel’avrebbe fatta pagare, questo era certo, ma era ancora troppo presto, il momento giusto sarebbe arrivato. Buttò la sigaretta ormai finita, piccolo vizio umano che a volte si concedeva, e sparì nella notte. Il bene aveva fatto la sua entrata in scena, la guerra poteva definirsi aperta.
 

 
 


 
Piccolo angolo della scrittrice:
Buonasera (o buongiorno) a ogni lettore che sia arrivato fino a qui. Questo penso che sia davvero il mio capitolo preferito e nonostante ami davvero alla follia Gael devo dire che Caliel si sta lentamente facendo spazio fino al mio cuore. Voi che dite? Come procederà la storia? Vi piace Caliel? Chi pensate che sia il demone dall’altra parte del canale? Fatemi sapere! Inoltre comincio già ad anticiparvi che il 20 io parto e torno nel mio paese, resterò lì per tre settimane e sono piuttosto certa che non avrò internet a disposizione, quindi mi dispiace davvero dirvi che non potrò aggiornare. Scusatemi :'( *si nasconde dietro Caliel*
Vorrei ringraziare di cuore tutti voi che vi state appassionando alle mie parole, tutti voi che mi fate sapere cosa ne pensate delle idee di questa adolescente un po’ fuori di testa. Grazie davvero. Inoltre grazie a una ragazza che mi ha fatto capire che non è tanto importante il numero di recensioni che ricevi, quanto la soddisfazione che tu trai da ciò che crei. Grazie Marty <3  Al prossimo capitolo, che sarà l’ultimo prima di partire. Un bacio, Maddy :)
 
P.s. La canzone del messaggio che Gael manda a Noemi si chiama “Temple of Thought” dei Poets of the Fall, lo stesso titolo che ho dato alla storia. E quella del capitolo precedente "Stomach Tied In Knots" degli Sleeping With Sirens.

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Capitolo 6
*** Capitolo V. ***


V.

 
Noemi era ancora addormentata, rinchiusa in quella dimensione dove l’inconscio prende il sopravvento, dove le paure si manifestano nelle forme più crude e spaventose. La volontà viene relegata da sbarre robuste e i desideri prendono il sopravvento, scandendo il corso del tempo.
I sogni sono da sempre il modo in cui la mente annuncia agli umani ciò di cui hanno bisogno, ma la ragazza ne aveva raramente, i suoi desideri si erano dissolti a poco a poco e ad un certo punto aveva smesso di formularne. Solo uno la attanagliava ancora come un anaconda: la speranza.
Quella grazie alla quale Noemi non aveva più tanta paura del futuro, per cui l’avvenire diventava raggiante, caratterizzato da immense distese di grano, fiori con i loro profumi, alberi con la loro ombra benefica, amici con i loro consigli e il loro supporto sempre sotto al braccio. Era un futuro ideale, ma la speranza diminuiva la sua utopia.
Ed era proprio lì che lei si trovava, in mezzo a quel campo di grano, distesa a guardare un cielo azzurro immenso da dove apparve Caliel. Ripercorse i loro due incontri, analizzò le parole, allora capì. Anche il bene, a volte, è meschino.
A quella rivelazione la sua mente si risvegliò e per lei fu come riemergere dal fondo dell’oceano: tutta l’acqua che era al di sopra del suo corpo la stordì e capì che non era quello il momento di affrontare un dialogo con l’angelo. Si alzò dal letto e si diresse verso il bagno ignorandolo, ignorando la sua espressione attonita, ignorando le braccia e le ali che erano avvolte a lei come uno scudo quando si era svegliata. Indifferenza, un’arma a doppio taglio e Noemi doveva stare attenta a non tagliarsi: quando ignorava era sempre in fredda un modo di essere che non le si addiceva. Le emozioni, quelle indomabili come il fuoco, istintive e naturali, quelle le si addicevano. L’indifferenza no, era come le lacrime. Si espandeva, occupava tutto il suo essere e non lasciava posto alle emozioni. Le rapiva e la ricattava per riaverle, sapeva che l’unica condizione per farla sparire sarebbe stato parlare con Caliel.
Si lavò in fretta e quando uscì dal bagno sul suo volto era dipinta un’espressione neutra.
«Buongiorno Noemi. È successo qualcosa di cui non sono a conoscenza stanotte?»
«Diciamo solo che non sono così stupida come pensavi Caliel. Mi avevi fatto una promessa quando ero piccola, non l’hai mantenuta, non mi sei stato vicino quando ne avevo bisogno. Adesso c’è una guerra in corso, la mia anima è quella che decreterà il vincitore e chissà perché tu riappari all’improvviso. Sappi che non me la strapperai così facilmente. Te lo ripeto: non sono stupida!» le parole sgorgarono come acqua da una sorgente, corsero impetuose nel letto del fiume e si calmarono all’immissione nel mare.
«Non ho mai detto o pensato che lo fossi piccola, davvero.» l’angelo si alzò dal letto e si avvicinò alla ragazza allungando la mano per attingere ancora una volta al suo cuore e calmarla «Non mi hai lasciato…»
«Tieni giù le mani o giuro che ti faccio male.» lo interruppe Noemi con voce e sguardo glaciale.
«Penso che tu sia l’unica persona, a parte Dio, a potermene fare. Sono qui Noemi, lo so, non ho mantenuto la parola data e sapevo che tu saresti arrivata a questa conclusione, ma ti giuro che non è vero. Se può farti sentire meglio fammi del male, so di meritarlo.»
«Lo dici solo perché sai che non ne sarei capace.»
«Invece ti stupiresti di tutto quello che puoi fare, di tutto il potere che hai dentro di te. Puoi proteggerti Noe, sia dagli angeli che dai demoni. Sei l’unica che può.»
Noemi si sedette perché le rivelazioni non erano finite e lei non sapeva se sarebbe riuscita a reggerle tutte sulle sue spalle. Era il contrario di un pacchetto regalo, quello lo apri con calma e a ogni pezzo scoperto resti sempre più sorpreso mentre lei restava sempre più sconcertata.
«Se… Se posso  difendermi vuol dire… Vuol dire che cercheranno di farmi del male.» disse esitante, sperando che l’angelo avrebbe smentito la sua ipotesi. Sperava con tutto il cuore che la rassicurasse, che quei poteri si trovassero dentro di lei solo per uno scherzo del destino, che tutta la storia della guerra fosse una barzelletta di pessimo gusto, che lui cominciasse a ridere. Non lo fece. Abbassò semplicemente lo sguardo posandolo sul pavimento, Noemi aveva ragione.
«Perché? Perché proprio io diamine?!?! Non erano abbastanza felici lassù della vita di merda che ho vissuto? Vogliono versarne ancora? Quando finirà tutto questo?» Gridò, non riuscì a controllarsi, le lacrime fecero la loro apparizione sul volto che presto ne fu fradicio.
Si prese il viso tra le mani e le appoggiò alle ginocchia, raggomitolandosi sul divano.
«Tesoro…» disse Caliel dolcemente.
«Fallo, ti scongiuro.» la sua voce era supplichevole, l’angelo non poté resistere al suo dolore così la prese con delicatezza tra le sue braccia, come se fosse cristallo, e posò delicatamente la mano sulla sua schiena cominciando a irradiare in lei il calore divino che aveva sempre dissolto ogni sorta di male.
 
Aprì gli occhi, era ancora sul suo letto, respirava ancora il suo profumo, ma Noemi non era ancora tornata. Doveva affrontare la giornata senza di lei e, ancora sdraiato, si chiese dove trovare la forza di alzarsi se sapeva che quel giorno una parte di lui mancava. D’un tratto sentì la porta d’ingresso aprirsi, qualcuno stava velocemente attraversando il salotto per dirigersi verso la sua camera. Sentì una bestemmia e i passi ricominciare, questa volta si dirigevano nella direzione giusta.
«Avrei anche potuto essere un ladro o un assassino Gael, reagisci diamine! So che gliel’hai detto.»
In tutta risposta il ragazzo chiuse gli occhi, ignorandolo, così l’amico prese una tazza di acqua fredda e gliela gettò addosso.
«Martin! Ma che diavolo fai?!?»
«Ti salvo da te stesso. Ora sbrigati, non ti permetterò di cadere in depressione.»
Gael, preoccupato di ricevere un’altra tazza di acqua gelata in testa si alzò e si preparò in fretta. L’auto di Martin era molto più comoda dell’autobus e il profumo che vi alleggiava decisamente più buono. «Forza, andiamo amico. La campanella è già suonata.»
Entrarono in classe e si sedettero ai soliti posti, ma quel giorno Gael era perso nei suoi pensieri. I professori non osarono fargli domande e ringraziò il cielo per quel trattamento di favore, la scuola ora era il suo ultimo problema. Aveva sempre saputo dare il giusto peso alle cose, ai problemi, alle persone, ma sembrava che Noemi fosse riuscita a mandare all’aria tutto il suo buon senso.
Le ragazze non erano mai state al primo posto in quella scala valori, al gradino più alto avevano sempre campeggiato la famiglia e gli amici, successivamente apparivano in ordine la salute, la scuola e loro sullo scalino più basso.
Lei però non era nella categoria delle ragazze.
La sua era una classificazione a parte.
Lei aveva messo l’ancora sul podio del suo cuore e della sua mente.
Esisteva una donna che fosse mai stata così importante per un uomo come Noemi lo era per Gael? Lui non ci credeva, era impossibile.
All’intervallo il suo filo di ragionamenti fu interrotto da Charlotte, una compagna di classe con cui aveva scambiato un paio di parole una notte, prima di condurla nel suo letto.
«Hei Gael, c’è qualcosa che non va?»
«Niente per cui tu possa aiutarmi Charlotte.» il suo tono era distaccato.
«Sicuro? Abbiamo passato dei bei momenti insieme, ricordi?» disse lei sfoggiando il sorriso più malizioso del suo repertorio, sedendosi e accavallando le gambe sul suo banco.
Una volta avrebbe approfittato della situazione, l’avrebbe condotta in bagno e avrebbe fatto sesso con lei finché non ne avesse avuto abbastanza. Si sarebbe sistemato poi, e l’avrebbe lasciata lì senza dirle nulla. Era solo un giocattolo nella sua lunga collezione. Adesso però la situazione era capovolta, ora il giocattolo era lui e la proprietaria della collezione era Noemi.
«Non hai nulla che mi possa interessare Charlotte, smettila di annoiarmi.» si avviò al piano inferiore, il suo stomaco implorava pietà.
 
Evelin guardò ancora una volta fuori dall’auto, solo così riusciva a rendersi conto della velocità che manteneva il conducente.
«Bastian rallenta!» disse esasperata, era da quando erano partiti che glielo ripeteva.
«Che c’è piccola? Non ti fidi?» rispose lui con un ghigno da mozzare il fiato.
Era proprio quel ghigno che l’aveva conquistata la sera prima alla festa. Non che l’aspetto fisico non la affascinasse: capelli scuri, occhi azzurri, addominali scolpiti, ma la bellezza la possedevano innumerevoli ragazzi. Il ghigno no, quello era solo suo e l’aveva resa schiava.
«Sì, ma non mi hai ancora detto dove mi porti…»
Era una pazzia quella, lo sapeva. La notte precedente aveva dormito con lui, aveva lasciato che si impadronisse di ogni parte del suo corpo, aveva cercato di ricambiare tutto il piacere che lui le dava e di essere all’altezza. Eppure era uno sconosciuto, cos’avrebbe detto Noemi  quando gliel’avrebbe confidato? L’avrebbe considerata una sgualdrina. Sperava che non accadesse.
Quella mattina invece lui le aveva proposto una gita insieme e lei aveva accettato senza esitare troppo. Solo dopo, vedendo il modo in cui lui guidava e non sapendo la loro meta, si era pentita. Aveva saltato la scuola e sapeva che al ritorno la aspettava una ramanzina da sua madre, ma era una donna ormai, aveva 18 anni e poteva fare quello che voleva.
«È una sorpresa.» disse facendole l’occhiolino.
Alzò la musica, come se non fosse già abbastanza alta e continuò a guidare quella costosa macchina attraverso l’autostrada olandese.
«Siamo arrivati, scendi, ti offro la colazione.»
Fece come le aveva ordinato. Erano arrivati a Haarlem, una splendida città che era ingombra per metà, se non di più, di edifici storici. Il cielo era nuvoloso, minacciava altra neve, ma non se ne preoccupò molto.
«Perché mi hai portata proprio qui?»
«Per non andare sempre nei soliti posti tesoro, così possiamo scoprire una nuova città e intanto conoscerci meglio.» rispose prendendola per mano e sfoderando un sorriso disarmante.
Non voleva sapere altro, desiderava solo passare la giornata lontana dalle preoccupazioni quotidiane e immergersi piano piano nella vita di Bastian.
 
«Vedo che non ti sei mai dimenticata di me.» affermò l’angelo mentre con mano ferma accarezzava il tatuaggio della fragile creatura che era seduta in braccio a lui.
«È stato un incontro che non si scorda facilmente.» rispose immergendosi nei suoi occhi viola. «Aspetta, perché i tuoi occhi sono viola?»
«Tutti gli angeli hanno gli occhi viola Noemi, è normale.»
«E non cambiano mai?»
Lui si scompose in una risata prima di rispondere « No, mi dispiace deluderti. Conserviamo sempre questa forma, quindi non possono cambiare né gli occhi né qualsiasi altra caratteristica fisica. Mi dispiace distruggere tutti i racconti che fino ad adesso ti sono stati raccontati, ma noi non possiamo assumere una forma umana.»
«Ma un po’ umano lo sei.» sussurrò la ragazza appoggiando una mano sul suo petto. Percepì un bagliore, lo stesso che lui era riuscito a sprigionare dal suo petto la notte precedente. Ne rimase affascinata come allora e lo guardò  con aria interrogativa.
«Oltre al fatto che puoi difenderti possiedi anche alcuni poteri angelici e demoniaci. Questo è un potere angelico, sprigiona il calore divino. Serve a cancellare il dolore, tesoro.»
«Quindi adesso sto cancellando il dolore che c’è in te?»
«Non esattamente piccola… Io sono un angelo, in me non c’è dolore, ma solo pace eterna.»
«Capisco.» rispose lei un po’ delusa, allontanando la mano.
Lui la fermò e la ricollocò dov’era posata poco prima: «Questo non vuol dire che non mi infonda piacere.» sorrise.
«Dovrai raccontarmi tutto Caliel, devo sapere cosa ne sarà della mia vita.»
«Con calma ti spiegherò tutto tesoro, ma ora hai una faccenda importante da risolvere. Non giocare con i sentimenti Noemi, ci rivediamo più tardi.» così dicendo le posò un bacio delicato sulla fronte e si dissolse.
Aveva ragione, aveva delle idee da chiarire e delle risposte da dare. Erano la sua prerogativa.
 
Finalmente le lezioni finirono, l’ultima campanella suonò e un senso di sollievo lo attanagliò. Vide Martin dirigersi nella sua direzione: «Amico ti arrabbi se ti chiedo di prendere il pullman? Ho promesso a Cassia di darle un passaggio e…»
«Tranquillo, tutto a posto! A domani.» esclamò ritrovando il sorriso.
Arrivò finalmente a casa, sperava di trovarla lì, con il sorriso sulle labbra e gli occhi illuminati dalla gioia, ma non vi trovò nessuno, tutto era come l’aveva lasciato prima di andare all’università.
D’un tratto, mentre la delusione si stava impossessando di lui, sentì delle braccia esili e timide avvolgerlo, un piacevole calore sulla schiena, un volto che si appoggiava delicatamente. La gioia lo invase come se fosse luce e lui un grande rosone, tavolozza di colori vivi, si girò e abbracciò Noemi lasciandole una miriade di baci sui capelli. Lei si avvicinò al suo orecchio e mormorò: «Sei mio, ricordi?».
Erano tre parole, ma le erano costate ore di meditazione, ore di pellegrinaggio da una supposizione a un’altra. Alla fine era riuscita a pronunciarle, ma sapeva che non sarebbero bastate, ne servivano anche altre..
«Finché tu mi vorrai. Ti amo piccola mia.» sussurrò lui, come se avesse paura che parlando ad alta voce quella magia si infrangesse.
Lei scostò il viso e lo guardò negli occhi prima di dirgli con tutto l’affetto di cui era capace: «Voglio amarti Gael. Io l’amore non l’ho mai conosciuto.» ed era vero. Non aveva mai conosciuto l’amore, solo sua madre gliene donava, era poco e indotto dai legami di sangue, ma le era sempre bastato. Ora non voleva più accontentarsi, voleva davvero, con tutto il suo cuore, amarlo. Lui rappresentava tutto ciò che avrebbe sempre voluto avere.
«Avrò pazienza e ti aiuterò ad amarmi Noe, abbi fiducia in me.» disse con la voce spezzata dalle lacrime di gioia che non era più riuscito a trattenere.
Noemi lo guardò, era una visione celestiale, era tutto il mondo che da quel momento avrebbe imparato a conoscere. Si avvicinò alle sue labbra esitante e vi posò un leggero bacio che la fece trasalire. Sì, aveva fatto la scelta giusta. Ora aveva trovato il pezzo mancante nella sua vita e poteva permettersi l’illusione della felicità.


 

 
Piccolo angolo della scrittrice:
ce l'ho messa tutta per finire questo capitolo in tempo, giuro. Ho cercato di renderlo più lungo degli altri e di non lasciarvi col dubbio sulla decisione di Noemi, spero che non sia venuto un pasticcio... Questo è ufficialmente l'ultimo capitolo che pubblico prima di andare in vacanza, per tre settimane non potrò aggiornare, spero però di aver pronto il sesto capitolo per mercoledì/giovedì della settimana che ritorno. Una buona vacanza a tutti e mi raccomando fatemi sapere cosa ne pensate, le mie domande sono sempre le stesse: Cosa ne pensate di Caliel: torna solo per la guerra o per Noemi? Vi aspettavate Evelin e Bastian insieme? Che ne dite di Martin e Cassia, scoppierà la scintilla? Ma soprattutto, non trovate che Gael e Noemi siano dolcissimi? *-*
Un grazie come sempre a tutti i lettori e a chi inserito la storia nelle seguite/ricordate e un grazie ancora più grande a chi recesisce, soprattuo a chi mi segue dall'inizio come Lisa e Marty, grazie <3 Spero di non aver deluso le aspettative di nessuno e che la storia continui a interessarvi perchè non è affatto finita qui ;)
Un bacione grande grande a tutti quelli che sono arrivati fino a qui, Maddy :)

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Capitolo 7
*** Capitolo VI. ***


VI.
 
Bastian lavorava di fantasia, era come se stesse facendo un bricolage di tutte le storie che aveva sentito fino a quel momento. Evelin gli stava chiedendo della sua vita: scavava, voleva portare a galla un’esistenza, ma non si rendeva conto che tutto quel che otteneva con i suoi sforzi erano bugie e illusioni.
Doveva sembrare tutto verosimile, in modo da non attirare l’attenzione o suscitare eventuali sospetti. Così, su due piedi, decise di raccontarle della sua migliore amica ai tempi dell’infanzia: il modo in cui si trovavano bene a stare insieme, i guai che combinavano, le lamentele e le ramanzine da parte dei genitori seguite dalle loro risate incontrollate appena se ne andavano. Lei lo aveva sempre compreso, sapeva come prenderlo, cosa fare in qualsiasi situazione. Non parlava se lo vedeva arrabbiato, lo abbracciava. Non se ne andava se la feriva, lei restava e lo torturava con il suo silenzio. Non piangeva anche se moriva dentro, rideva con lui. Non aveva più trovato una ragazza così, un’amica così, e l’unica che avesse mai avuto l’aveva persa. Noemi ora gli sembrava una meta irraggiungibile, ma doveva riuscirci. Doveva convincerla a donargli la sua anima, doveva vincere la guerra altrimenti il Bene avrebbe cominciato a imporre le sue regole sul mondo. Guardò negli occhi Evelin, era così ingenua. Pensava di essere forte, affascinante, di avere il mondo ai suoi piedi. Non era molto diversa dalle altre umane che Bastian aveva avvicinato negli anni, inebriate dal suo profumo e dalla sua bellezza. Solo una cosa la distingueva: lei gli serviva. Era parte del suo piano, l’elemento fondamentale.
«Hai freddo piccola?» le chiese con voce sommessa notando che la ragazza si sfregava freneticamente le mani guardando all’orizzonte.
«Un po’.» fu la sua risposta. A quel punto Bastian la abbracciò e delicatamente la fece sedere in braccio a lui. Ci sapeva fare con le donne, sapeva cosa volevano e come agire per farle emozionare. La ragazza si strinse contro il suo petto dopo avergli posato un bacio sul collo e aver sussurrato: «È ora di tornare, purtroppo.»
«Tranquilla piccola, staremo ancora insieme come abbiamo fatto oggi.»
Lo sperava davvero, sperava di riuscire a scoprire di più su di lei. Fino ad ora sapeva molto sulla sua famiglia – un matrimonio felice e una sorella minore a cui badare -, ma davvero poco su di lei. Nonostante il suo compito, però, Bastian voleva conoscerla meglio anche per altri motivi che la sua mente si ostinava ancora a non voler ammettere.
 
Sembrava che tra Noemi e Gael il tempo sparisse. Non semplicemente catturato o sottomesso, ma completamente annientato. I secondi, i minuti, le ore. Concetti estremamente astratti per appartenere loro che insieme formavano qualcosa di infinitamente concreto. Avevano la consapevolezza l’uno dell’altra, come se fossero fusi in un unico, grandioso essere. Erano sicurezza e ingenuità, coraggio e paura, miscela e composto, semplice paradosso. Quello che distrugge il sistema e glorifica la vita.
I sussurri si perdevano, sfumavano in teneri baci o in dolci carezze.
«Gael, cambierà qualcosa tra di noi?» voce insicura, bassa, spaventata.
«Solo in meglio tesoro, lo sento.» voce determinata, consapevole, bugiarda.
Una menzogna, perché Gael sentiva in quel momento un interrogativo farsi strada nella sua testa. Una paura celata da un viso e una voce comparabili a quelli di attori veterani.
Il timore di perdere Noemi cingeva con braccia di ferro il cuore e la razionalità che gli appartenevano, ma non voleva uscire allo scoperto, ancora perso nel suo calore.
«Avrei voluto sempre abbracciarti così Noe. Senza limiti o restrizioni, perché sono stati gli unici nemici della felicità che ora sta affluendo in tutto il mio essere. Grazie per esserti fidata di me.» sussurrò posando un bacio sulla fronte della fragile creatura che stava stringendo tra le braccia.
Il divano, testimone del loro affetto, percepiva il flusso costante che sgorgava dai due ormai amanti. Nemmeno il vento osava interrompere la silenziosa oasi formatasi attorno a loro.
Tutto partecipava alla loro serenità. Una serenità che ben presto sarebbe stata messa a dura prova.
 
Cassia passeggiava ammirando il paesaggio innevato. I lunghi capelli corvini soffocati da una sciarpa piuttosto ampia, una di quelle che lei tanto adorava, e gli occhi color mare intenti a scrutare ogni piccola meraviglia. Occhi meravigliosi che scrutavano dietro le apparenze che tanto detestava. A volte le sembrava di essere l’unica ad averlo capito, la mimetizzazione che chiunque poteva assumere in quel mondo immenso s’intende. Sembrava che tutti gli altri fossero accecati dalla luce sulla superficie, troppo meravigliati per scavare più a fondo, troppo timorosi di veder scomparire quel bagliore. Eppure lei, questo mondo, se lo sarebbe divorato brandello per brandello pur di non scorgere più bagliori accecanti che celavano un buio atroce. Era quella la sua ambizione più grande, diceva che un giorno avrebbe navigato mari inesplorati, visitato terre dimenticate e sapeva che se ci fosse riuscita avrebbe lasciato parti della sua anima ovunque, distruggendosi pur di soddisfare quegli occhi che troppe volte avevano pianto.
Sì, perché Cassia era proprio uno di quei fasci accecanti, il più brillante forse, che dietro nascondeva un buio assoluto e vuoto, che odorava di stantio e riecheggiava di un battito accelerato. E che lei disprezzava con una determinazione assordante.
Era sempre sorridente fuori di casa, piena di vita e di energie. Forse perché mentre si trovava tra quelle quattro mura le sembrava sempre di essere in un perenne stato di pausa, fatto di genitori inesistenti e un fratello che spacciava a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Aveva tentato si salvare almeno lui, ma aveva rischiato di essere stuprata per questo e da allora stava alla larga dal suo stesso sangue e dai suoi amici. Era la scelta migliore per tutti, anche per i suoi genitori perennemente in apnea con una bottiglia di qualche nuovo alcolico.
Ora però era fuori, respirava, sorrideva e non le importava di chi o cosa l’avrebbe aspettata a casa. Una chioma bionda le si parò davanti senza avviso e, non avendola vista in tempo, andò a sbattere contro un corpo tonico, che perse l’equilibrio e accompagnò anche lei nella sua caduta.
«Scusami tanto! Io.. non ti ho visto.. e.. scusa!» diceva, annaspando per cercare di rialzarsi.
«Tranquilla, è colpa mia!» disse il ragazzo ancora steso a terra tra una risata e l’altra.
Quella risata arrivò alle orecchie di Cassia sciogliendole il cuore. Non aveva ancora concepito il motivo, ma c’era qualcosa in quel ragazzo che l’attirava. Non lo conosceva bene, si incontravano a scuola e parlavano raramente, beveva e fumava, ma stranamente aveva attirato la sua attenzione. Martin d’altronde, dopo Gael era il ragazzo più bello dell’università.
«Davvero, sono.. dispiaciuta..» farfugliò mentre gli tendeva la mano per aiutarlo a rialzarsi.
«Davvero, tranquilla. Non è un problema.» mormorò il ragazzo accarezzando quella pelle immacolata che contrastava così tanto con i capelli corvini. Un sorriso cominciava a dipingersi sul suo volto mentre vedeva le sue guance scurirsi e diventare di un rosso adorabile. Quella ragazza gli addolciva l’anima.
«Mi permetti di portarti a prendere un frappè per farmi perdonare? Per favore.» le chiese prendendola per mano.
«Ehm… va bene.» rispose lei torturandosi il labbro e abbassando lo sguardo.
Doveva andare fino in fondo, scoprire tutto di quella ragazza.
 
«È diffidente, ma fragile.» disse l’angelo, parlando con un’entità che solo lui poteva sentire.
«Devi riuscirci Caliel, è l’unica salvezza per la terra. Se il male dovesse impossessarsene.. sai già le conseguenze, non serve che te le ripeta.»
«Sì, le so. Ma non voglio trattarla come un oggetto, un semplice trofeo. Non è giusto.»
«Non devi assolutamente affezionarti a lei, è una missione Caliel. Non ti affezioni alle missioni, ma al fine ultimo.»
«Questo è pensare da demone, Aniel.»
«Non ti permettere. Siamo angeli, dobbiamo fare quel che è meglio per gli esseri umani. L’interesse di tutti, non di uno solo. Completa la missione, altrimenti dovrò mandare qualcuno a sostituirti. Intesi?» la voce adesso era dura, piena di severità.
«Intesi.» mormorò, e sapeva che il discorso era concluso.
Saltò dal tetto su cui si era appostato per fare rapporto e atterrò in una delle viuzze di Utrecht. Il cielo era nuvoloso, nascondeva la luna e una soffice e umida nebbia affollava le strade, rapendo le case e le persone nel suo abbraccio. Pensava incessantemente, la sua mente era capace di formulare diversi ragionamenti alla volta sui temi più diversi, ma in quel momento tutto convergeva verso Noemi.
Era ancora una bambina dopo tutto, e il modo in cui si era accoccolata tra le sue braccia ne era la prova. Una bambina racchiusa in una crisalide di dolore. Ne era quasi uscita, aveva avuto una forza ammirabile, ma la strada per ridurla a un polveroso ricordo era ancora lunga, e Caliel tutto quel tempo non ce l’aveva. Il Male era lì, nell’ombra di una lacrima e il tempo era un lusso che non poteva permettersi.
Ricordò la riunione di 100 anni fa, Bene e Male riuniti sulla terra per porre fine a una guerra che affondava le sue radici nella nascita dell’universo. Ma si sa, sono opposti, non potranno mai andare d’accordo e il patto che ne è scaturito ribadisce l’insensatezza di questo contrasto. Che bisogno c’era di mettere in mezzo una bambina innocente? Solo per decretare un vincitore. Uno stupido trofeo, ecco come consideravano Noemi. Ma lui l’avrebbe protetta, avrebbe fatto di tutto per vederla felice.
Le domande continuavano a susseguirsi e non si accorse di essersi imbattuto in una figura accovacciata sulla strada piena di ciottoli. Tremava e singhiozzava, riuscì a capire che si trattava di una donna. Piangeva, i suoi abiti erano strappati e sul suo meraviglioso viso stavano comparendo dei lividi scuri che le avrebbero portato alla mente ciò da cui era scappata. Poggiava le mani sulla pancia tesa, abbondante. Era il regalo che la vita aveva in serbo per lei, un dono per colmare il vuoto che adesso si era formato.
Lei non poteva vederlo, nessuno poteva e se si fosse rivelato avrebbe infranto le regole che aveva contribuito ad affermare nel corso dei secoli. Si piegò su di lei, la avvolse nelle sue ali per infonderle coraggio e conquistò il suo premio: le lacrime avevano smesso di scorrere, la paura e lo sconforto avevano abbandonato il suo viso e il suo corpo smise di tremare.
«Scappa. Vai in un posto sicuro, io ti proteggerò.» le sussurrò all’orecchio, e lei seguì i suoi consigli. Era questa l’idea che Caliel aveva di un angelo: qualcuno che aiuta, non usa e degrada.

 

 
Piccolo angolo della scrittrice:
eccomi finalmente, per favore non lanciatemi i pomodori :(
I motivi per cui ho aggiornato così tardi è che 1. non avevo ispirazione e 2. avevo ancora tutti i compiti delle vacanze da finire D: quindi vi chiedo pietà per una ragazza che ha il cervello fuso a forza di compiti :'( Vorrei anche avvertirvi che cambio il tempo di aggiornamento: ormai comincia la scuola e non avrò più tanto tempo per scrivere, quindi aggiornerò diciamo una volta al mese, senza un giorno preciso. Spero che non abbandonerete la lettura per questo, ma se lo faceste non vi porterei rancore ;) Ringrazio tutti voi di cuore per la pazienza e per il supporto che mi riservate nonostante la mia assenza, vi adoro dal primo all'ultimo <3
Un bacio, Maddy :)

 

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Capitolo 8
*** Capitolo VII. ***


VII.

Noemi si sentiva strana, pensava, la sua mente vagava e connetteva concetti per poi scinderli e riporli sugli stessi scaffali immaginari. Cercava di elaborare le emozioni, di capire il confine tra amicizia e amore e non riusciva a trovare una conclusione che la soddisfacesse. Provava miriadi di sensazioni quando era con Gael, praticamente tutte positive , ma quando avrebbe potuto dire di amarlo? La spaventava la risposta.
Non era mai stata sicura di se stessa, delle sue azioni, ma mentre percorreva la strada per andare dalla sua amica tutto di lei le sembrava scontato e senza senso. I capelli perennemente mossi, le iridi verdi che in alcuni sprazzi di buon umore arrivavano perfino a piacerle e poi il carattere. Quel carattere che aveva faticato a costruire, a modificare, a perfezionare. Si era sempre detta che migliorava per stare meglio con se stessa, ma in quel momento realizzò che forse era cambiata in funzione delle persone che conosceva.
Come può una sola persona condizionare tutte le tue scelte? Era questa la domanda principale che riecheggiava prepotente nel suo cranio.
La mattinata a scuola era passata tra mille attenzioni e carezze, non avrebbe dovuto sentirsi in soggezione, eppure era l’unico modo che aveva per descrivere come si sentiva. Non era più sicura di niente, non aveva mai ricevuto tante attenzioni in vita sua, ottenuto così tante promesse come negli ultimi giorni, messo alla prova la sua maschera sorridente per così tanto tempo. Lo sentiva, lo si poteva leggere nei suoi occhi, dentro stava morendo.
E la domanda principale a ogni passo continuava a cambiare: è giusto sentirsi così sbagliati? Eppure tra le braccia di Gael si era sentita perfettamente al suo posto, al sicuro e protetta, invincibile. La solitudine, era quella che la uccideva. La annientava come la lama di un coltello affondata nel cuore. La solitudine metteva tutto in discussione, le dava la possibilità di guardarsi dentro. Peccato che là tutto fosse in continua evoluzione. Un cambiamento troppo veloce perfino per lei, ma allora chi avrebbe mai potuto vedere dentro la sua anima e salvarla? Sì, perché era arrivata ad ammettere che un’ancora, forse, serviva anche a lei.
Svoltato l’angolo della via principale si ritrovò davanti alla grande casa rossa che le era tanto familiare. L’edificio era formato da due piani di cui conosceva quasi ogni angolo e in cui aveva passato giornate intere. Entrò nel vialetto, piacevolmente sorpresa di vedere che la neve era stata spalata e bussò alla porta. Non dovette aspettare molto: Evelin le aprì subito la porta.
«Hei Noe!» disse con voce squillante, sembrava piacevolmente sorpresa che fosse arrivata. Un sorrido prorompeva dalle sue labbra, lasciando intravedere i denti bianchissimi. Forse anche la neve avrebbe fatto una brutta figura a confronto.
«Ciao Evi. I tuoi sono in casa?» chiese Noemi titubante. «Non vorrei disturbare...»
«Ma che ti sei mangiata a pranzo? Sei impazzita? Entra, forza!» rispose l’amica.
Noemi si torturava le unghie, si percepiva nell’aria che era agitata, si vedeva, si poteva quasi toccare la tensione che c’era intorno a lei. Quando Evelin tornò nella stanza in cui aveva lasciato la sua ospite poggiò le due tazze di the alla menta sul piccolo tavolino e lanciò un’occhiata torva alla sua  amica. «Sputa il rospo Noe, cosa c’è ce non va?» Aveva scoperto qualcosa riguardante lei e Bastian? L’aveva giudicata per quello che aveva fatto? Ma come aveva fatto a venirne a conoscenza?!?
«Evi, cos’è l’amore?» sussurrò Noemi con voce tremante e sguardo basso. Eveline rimase di sasso. L’amore.. Quel sentimento che lei pensava di aver provato almeno due volte nella sua vita, difficile da spiegare quanto da vivere.
«L’amore. Non lo tocchi e non lo ascolti. O forse sì, forse lo ascolti. Sai, ho sempre creduto a una di quelle sciocchezze sdolcinate, quelle che dicevano che l’amore ha il suono del battito di cuore della persona che senti tua. E forse c’è una parte vera in questo: l’amore è la persona che senti tua. Non tua proprietà, ma una parte di te come potrebbe essere l’aria: non la controlli, non c’è scritto il tuo nome quando la ispiri, ma sai che ti serve, che senza muori e in qualche modo ti appartiene. L’amore cura, cancella paura e insicurezza.» le parole arrivarono alle sue labbra spontaneamnete, era quello che sentiva, il modo migliore in cui avrebbe potuto descrivere qualcosa di così potente. Ripensò alla mattinata a scuola, a Gael e Noemi insieme e continuò: «Ti ho vista con Gael stamattina. Non ti sei accorta di come stai bene con lui? Di quanta sicurezza trovi nelle sue braccia? Come tutto il mondo sparisca quando stai con lui? Noe, qual’è il problema, mi sei sembrata così felice...».
«Lo sono infatti!» si affrettò a rispondere la ragazza con gli occhi di smeraldo, «L’unica cosa è che... Non voglio fargli del male, non voglio illuderlo. Se non fosse amore quello che provo? Se fosse infatuazione? Se fosse solo bisogno di una via d’uscita?» parole rapide, quasi incapibili se la sua ascoltatrice non fosse stata attenta.
«Io ho fiducia in te. Hai fatto una scelta, non sei egoista, Gael non è una via d’uscita. Non è come l’alcol e la droga Noe, lui è bene, non è male. L’unico problema, conoscendoti bene, è che non ti senti abbastanza per ciò che lui ti offre.»
Colpita e affondata. Come aveva fatto a non rendersene conto? Dopotutto era lei la padrona della sua mente, eppure ci era voluta la sua amica per portare a galla forte e chiaro il suo problema. Chiuse gli occhi. Forse, dopo tutto, la sua vita non era completamente persa, forse uno spiraglio c’era e valeva la pena aggrapparvisi con tutte le forze.


Il vicolo era buio, scuro, come la sua anima impregnata di male. L’aveva venduta, non gli apparteneva più, la sua anima ora era del demonio e lui non poteva più rivendicare alcun diritto su di essa. La vendita l’aveva fatto sentire invincibile anni addietro, ma poi la sensazione era cambiara, era vuoto e senza scopo. Aveva solo ordini a cui obbedire, niente sogni o desideri nel cassetto. L’aveva allettato il fatto di poter rivedere Noemi, quella bambina innocente e allegra che aveva animato la sua infanzia per quache annetto e che poi lui aveva abbandonato. Era diventata una donna, segnata da grandi problemi, questo è vero, ma pur sempre bellissima e, a quanto pare, amata da un umano.
Sapeva tutto dei suoi ultimi mesi di vita, l'aveva guardata da lontano ripensando a quando erano piccoli, a tutte le loro risate e alla complicità.
 
«Noemi attenta! No!» aveva gridato prima che il pallone raggiungesse il vaso. Nonostante il suo avvertimento, però, quel prezioso cimelio di familia si era sgretolato in mille pezzi. Erano sembrati piccoli brillanti mentre  "volavano" nella luce pomeridiana, ma appena arrivati a terra erano diventati cocci.
Quello era il vaso che la famiglia di sua madre si tramandava da tre generazioni, ci teneva molto, sognava di regalarlo un giorno alla donna che suo figlio avrebbe scelto come moglie. Il suo sogno era in frantumi, letteralmente.
Dopo alcuni minuti di silenzio, in cui a Noemi erano spuntate le lacrime agli occhi, nella stanza, un immenso soggiorno in stile barocco, apparve sua madre. I suoi occhi erano preoccupati, ispezionò con lo sguardo i due bambini che avevano l'aria angosciata e successivamente vide la tragedia. Il suo vaso, il suo preziosissimo vaso era a pezzi e le lacrime cominciarono a scendere lungo le sue guance rosee mentre pendeva in mano acuni pezzi di cristallo.
«Bastian, quante volte ti ho detto di non giocare a palla in casa?!» gridò in preda alla disperazione.
«Mi... mi dispiace mamma, è tutta colpa mia, mi..» balbettò, ma non riuscì a terminare la frase perchè nel frattempo sua madre si era avvicinata e gli aveva dato uno schiaffo. «Noemi ti invito cortesemente ad andare a casa, perfavore. Io e Bastian abbiamo un paio di cose di cui discutere.» disse lei con voce fredda.
Noemi se ne andò e non potè tornare prima che passassero tre settimane: sua madre l'aveva tenuto in casa in castigo e non gli permetteva di vedere la sua amica. La punizione sarebbe dovuta durare tre settimane, ma il ragazzo scappava e andava a trovare la sua amica quasi ogni giorno. Aveva ancora dei lividi sulla guancia, perchè sua madre non si era risparmiata con gli schiaffi, ma sorrideva perché nonostante tutto era in compagnia della sua migliore amica.


«Come sta procedendo la missione Bastian?» La voce di Agares lo colse impreparato e lo distolse dai suoi pensieri.
«Agares.» disse in segno di rispetto e come forma di saluto, «Il piano procede forse un po' a rilento, ma per il termine ultimo sarà concluso.» affermò Bastian pensando al termine prefissato che si faceva sempre più vicino.
«Se ci saranno problemi non mi farò scrupoli a sostituirti, c'è una fila di demoni che aspetta di prendere il tuo posto perciò datti da fare! Il nostro Signore aspetta risultati Bastian!»
«E li avrà presto, Agares.»
Una volta pronunciata quella promessa il messaggero scompare tra le pieghe del buio, quelle che riuscivano a nascondere qualsiasi cosa, anche la disperazione.


Cassia era stesa sul suo letto, rimuginava sui capelli morbidi in cui le sue mani si erano avventurate mentre le sue labbra assaporavano un gusto dolce di fragola. Il frappè le era sembrato amaro dopo aver esplorato le bocca di Martin in un bacio lento, premuroso. Non se lo immaginava così, non credeva che potesse essere così delicato e intenso, eppure era vero, l'aveva trattata con attenzione meticolosa. Quella sera, inoltre l'aveva invitata all' After Death, il locale frequentato dalla maggior parte degli studenti dell'università. Era preoccupata, non gli piaceva molto frequentare i locali: non era pratica di quelle usanze da studenti e non sapeva nemmeno cosa mettersi! Guardava ad uno ad uno i vestiti riposti in perfetto ordine nell'armadio e alla fine trovò un tubino nero che poteva essere adatto all'occasione. Era presto però, perciò si sdraiò sul letto guardando il soffitto e l'ordine della sua stanza che riusciva a infonderle sicurezza. La porta era chiusa a chiave così che nessuno potesse minare la sua serenità, il suo porto sicuro. Tutta quella casa era piena di persone di cui non si fidava, di cose che non le appartenevano. Si sarebbe sentita meglio se avesse scoperto di essere stata adottata, sarebbe stato tutto molto più facile, si sarebbe sentita più felice.
La sua unica speranza era il suo lavoro, aspettava di avere l'aumento che aveva chiesto da un mese, così avrebbe potuto coprire le spese di un appartamento tutto suo e dell'università in contemporanea. Aveva programmato di uscire di scena senza dire nulla a nessuno, forse un giorno se ne sarebbero accorti della sua assenza... o forse no. A lei comunque non importava più, voleva smettere di pensare a loro, alla sua "famiglia" prima che a se stessa quando loro nemmeno si accorgevano della sua esistenza.
Poteva sembrare egoista, ma ne aveva avuto abbastanza di quella vita, meritava anche lei di essere felice, meritava di essere normale e di non avere sempre paura che al suo ritorno a casa avrebbe trovato solo dei cadaveri ad aspettarla. Era semplicemente stanca. Tempo per lei. Era tutto quello che chiedeva.


Il volume della musica era a malapena sopportabile, l'odore di alcol e fumo creava un'atmosfera "sporca", non riusciva a trovare un'altra parola per definirla. Eveline era appena entrata all'After Death e con lo sguardo cercò i suoi amici che, come al solito, erano seduti al tavolo vicino al bar. Si poteva dire che quello, in effetti, era il loro tavolo. Quello a cui si erano seduti sera dopo sera a festeggiare anche senza motivo, per il semplice gusto di stare bene tutti insieme. 
La ragazza si avvicinò al tavolo dove Gael e Noemi stavano parlando allegramente. Appena arrivata si sedette vicino alla sua amica facendole l'occhiolino e ricordandosi della loro chiacchierata mattutina. 
Scrutò Noemi come se non l'avesse mai vista prima di allora e fu analitica: i suoi capelli lunghi color cioccolato legati in una coda scompigliata le stavano d'incanto, gli occhi verdi erano così profondi che incantavano chiunque. Era bassa, sì, ma era anche magra, troppo forse. Il suo passato infelice aveva lasciato i segni, ma ora il suo sorriso non nascondeva più ombre e il suo cuore si stava colmando dell'amore che aveva sempre meritato. Era felice per lei: le voleva bene e vederla così sorridente scaldava anche il suo cuore.
«Ciao Eve! Sei da sola?» le chiese Gael distogliendo per poco l'attenzione dalla sua amata. Mentre le parlava però continuava a tenere il braccio intorno a lei e ad accarezarglielo, un gesto impregnato di dolcezza e desiderio di proteggerla.
«Veramente il mio accompagnatore dovrebbe arrivare a momenti.» rispose lei sorridendo e continuando a guardare l'entrata del locale.
La musica trap riempiva l'ambiente, era quasi asfissiante. Dopo pochi minuti arrivarono anche Martin e Cassia che si tenevano per mano. La ragazza aveva le guance rosse che contrastavano con il tubino nero che indossava. Evelin doveva ammettere che quei due come coppia non erano davvero niente male. Sembrava si fosse già creata della complicità tra di loro, un legame speciale anche se debole che, ne era sicura, col tempo sarebbe evoluto e sfociato in qualcosa di meraviglioso.
Ad un tratto l'attenzione della ragazza fu attratta dalla capigliatura bionda corredata da un corpo muscoloso che si avvicinava alla comitiva. Un sorriso le spuntò sulle labbra: era arrivato il ragazzo di cui si era invaghita e per cui, molto probabilmente, aveva perso la testa. 
«Bastian!» urlò lei per farsi sentire sopra la musica ed attirare la sua attenzione. Lui la salutò con cenno e quando fu vicino passò un braccio attorno alla sua vita.
«Ragazzi vi presento...»
«Bastian!»
Eveline non fece in tempo a finire la frase poichè Noemi l'aveva preceduta. 
Eveline e Gael cominciarono a guardare in modo interrogativo i due che a quanto pare si conoscevano. Nel frattempo con la coda dell'occhio Eveline scorse Cassia allontarsi e Martin seguirla.


«Cassia aspetta! Ho detto qualcosa che non va?!» Martin inseguiva la ragazza dai capelli corvini e gli occhi abbaglianti che lo avevano stregato.
«Fermati! Dove pensi di andare puttanella? Mi devi aiutare!» d'un tratto una voce maschile risuonò dietro di loro, proprio quando i due avevano raggiunto l'uscita del locale.
«Vattene via!» gridò la ragazza in tono disperato. 
Il ragazzo dietro la coppia era visibilmente drogato, fuori controllo, senza alcuna capacità logica. Cercò di afferrare Cassia, ma Martin fu più veloce e, una volta assicuratosi che non potesse toccare la ragazza, lo colpì con un pugno che lo fece barcollare e stava per caricarne un altro se non fosse stato per una voce: «Fermati, è mio fratello!».

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Angolo scrittrice:
Sento già fischi e urla di disapprovazione ç.ç Sono ben 2 anni (o forse sono diventati 3) che non aggiorno questa storia. Eppure mi è rimasta nel cuore e adesso che ho ritrovato il tempo e la serenità per ricominciare a scriverla vorrei sentire il vostro parere. Aggiornerò una volta al mese: so che è tanto, ma è proprio per essere regolare con gli aggiornamenti che lo faccio :) Nel frattempo, per chi non lo sapesse, sto anche scrivendo un'altra storia: A Love Like War che aggiorno ogni 2 settimane. Mi farebbe piacere se continuaste/cominciaste a seguire le storie dei miei personaggi. Un bacio a tutti, grazie per essere passati. Al prossimo capitolo, il 2 Ottobre! :D

 
Maddy


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