Mio fiore di gelsomino

di Elis_Ginger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Labbra rosse come papaveri ***
Capitolo 2: *** Carillon ***
Capitolo 3: *** L'Orsa Bianca ***
Capitolo 4: *** Veleno ***



Capitolo 1
*** Labbra rosse come papaveri ***


01/01/1939

 

Caro diario,

mamma dice sempre che è utile scrivere i propri pensieri su carta, perché così, quando si diventa più grandi, si può rileggerli e riportare alla mente i momenti vissuti in passato. Mamma dice anche che sbocciano fiori ogni volta che si scrive una parola. Chissà quanti nuovi prati ci saranno! Che poi io non so neppure cosa sia un prato. La signora Katalina mi mostra sempre le foto del ‘suo amore’, come dice lei, durante le sue spedizioni in giro per il mondo. E mentre lei racconta di quello che lui le ha scritto nelle lettere, io sbircio un po’ il paesaggio dietro. Qualche volta c’è la panna montata in cielo, altre c’è il mare che si è fatto uno sciampo e c’è tutta la schiuma. Una volta c’era un elefante; dice che il suo amore ne ha montato uno. Quella giornata quante volte me lo ha ripetuto! Ma di prati non ce n’è neanche l’ombra. La signora Katalina mi ha spiegato che i prati sono belli, verdi e con tanti fiori colorati e profumati. Ma poi la maestra a scuola mi ha spiegato che possono essere anche gialli o neri. Dice che quelli gialli sono deserti, e quelli neri sono strade. Mamma però non ci crede, lei si che li ha visti veramente quei posti, e allora di lei mi fido. Oggi è il primo del nuovo anno e per festeggiare siamo andate ad una festa. Mamma si è fatta bella e sopratutto non mi ha messo il grasso di foca: questa era la cosa più importante. Ormai il grasso non lo sopporto più, perché è puzzolentissimo. Si è vista anche l’aurora boreale; è sempre bella e non smette mai di stupire. Miron, il figlio della Katalina, pensa che l’aurora boreale sia la luce di Dio che ci augura un buon anno nuovo. Ma io non ci credo neanche se mi paga; ‘Miron! L’aurora boreale c’è tante volte all’anno, non solo il primo!’. Poi c’è il nonno di Miron che ogni volta che vede l’aurora boreale si mette a cantare. Mamma dice di lasciarlo cantare, perché è felice nel ricordare i tempi passati, ma io una volta gli ho chiesto perché cantava. Allora ha indicato un punto in mezzo alla valle e mi ha risposto: «Ci siamo persi una volta. Faceva tanto freddo e non avevamo più da mangiare; allora ci siamo messi a cantare.» e cantava.

C’è anche un giovane simpatico in paese; si chiama Arefi, ma tutti lo chiamano Arf, ma a me Arf non piace, e lo chiamo Arefi. Lui qualche volta mi accompagna con la slitta a vedere il lago ghiacciato a nord. Quando ci sono i mesi di sole mi fa anche pattinare. Pattinare con lui è bellissimo, perché sembra di volare sul ghiaccio. Io però cado sempre e poi mi fa male al sedere. Ma Arefi continua a dire che basta sapersi rialzare e ricominciare, e prima o poi diventerò brava come lui.

Quando ci sono i mesi di buio le giornate invece sono molto noiose, perché fa troppo freddo e non si può uscire di casa se non con grasso di foca, ma puzza troppo quindi preferisco annoiarmi. Poi c’è anche papà; io non l’ho mai conosciuto e lui non ha mai conosciuto me. Mamma dice che se mi guardo allo specchio vedrò l’immagine riflessa di una parte di papà.

«Stessi occhi e stesse labbra - dice mamma - e stesso cuore.» e sorride.

Una volta le ho chiesto se potevo andare a salvarlo dalla guerra, ma ha detto no, e quando è no, è no. Che poi, io non so neanche cosa sia la guerra.

«Mamma cos’è la guerra?» ho chiesto una volta mentre mi pettinava i capelli.

«Una cosa brutta.» ha risposto.

«Come le tristi avventure del nonno di Miron?»

«No - ha riso - di meno.»

«Per fortuna! Se no sarebbe stata veramente molto brutta!»

Ma il giorno dopo a scuola l’ho chiesto anche alla maestra. La maestra mi ha guardato male per un paio di secondi e poi secco secco ha detto che non era affar mio. Chissà perché la maestra è sempre un po’ cattivella con me; ogni volta che facciamo una marachella si arrabbia e mi guarda con i suoi occhi scuri scuri. Tempo fa facevo anche gli incubi; ma poi è venuta una volta a cena da noi, e da allora mi sta più simpatica. Così ho capito che magari vuole solo avere un prato su cui distendersi, guardando la panna montata nel cielo. Certo, un prato verde, né giallo, né nero, né bianco.

Miron invece pensa che la guerra sia una specie di gioco. Due o più squadre e tanti giocatori; vince chi riesce a raggiungere per primo la bandiera del campo avversario.

«Guarda che la bandiera è lontanissima - dice - per raggiungerla bisogna avere tanti cani così - e apre le mani in un gesto per spiegarmi quanti cani - e si deve camminare e camminare miglia e miglia. Però non sai mai dove cercarla, perché potrebbe anche saltarti addosso all’improvviso.» così gli ha spiegato la Katalina. Io so che alla Katalina piace scherzare e tutti dicono che quando si è tristi basta andare a trovarla. È un po’ goffa e grassottella e quando ti abbraccia, ti avvolge in un miscuglio di bene; sembra quasi una coperta.

Arefi la guerra l’ha vista con gli occhi e una giornata di un mese buio al lago gli ho chiesto:

«Arefi, cos’è la guerra?» e lui ha risposto:

«Qualcosa di brutto.»

«Anche mamma dice così. Ma cosa si fa? È un gioco come quello della Katalina?»

«Quasi.»

«Tu l’hai trovata la bandiera?»

«No, ma c’ero andato vicino vicino.» e mi sorride.

«La tua squadra ha vinto?»

«Si hanno vinto tutti. Tutti sono arrivati alla bandiera.»

«E perché tu no?»

«Perché se fossi arrivato alla bandiera adesso non sarei qui, ma sarei ricco a festeggiare in un posto bellissimo. Ma io preferisco essere qui.»

«E perché?»

«Se fossi in quella città non ti avrei conosciuta.» e mi aveva abbracciata.

Arefi è dolcissimo; ha più del triplo degli anni di me (l’ho studiato oggi in matematica a scuola) ma quando parlo con lui mi sembra di essere grandissima. Lui lo dice sempre che sono una piccola donna. Una volta gli ho chiesto se ci saremmo sposati e lui mi ha detto di si. Da quel giorno ogni volta che ci vediamo per giocare mi porta un fiorellino di carta di sua nonna. La nonna di Arefi si chiama Natasha e dicono che da giovane fosse la donna più bella del mondo. Una volta mi ha mostrato un album con tutte le sue foto ed era veramente bella: capelli chiari mossi, occhi blu come l’acqua del lago con un po’ di verde e labbra rosse come papaveri. Anche i papaveri non li ho mai visti, ma nelle foto della Katalina ne ho trovati alcuni.

«E questi cosa sono?» le ho chiesto.

«Il mio amore dice papaveri. Sono fiori magici.»

«E perché?»

«Perché possono essere di colore diverso a seconda del tuo umore.»

«Cambiano colore d’improvviso?»

«No, con il tempo. Più sei felice e più sono rossi.»

«E se si è tristi?»

«Bianchi o rosa.»

Poi a casa ho chiesto a mamma se fosse solo uno scherzo della Katalina, ma lei ha detto che veramente possono avere colori diversi:

«Quando eravamo piccole, io e mia sorella ci divertivamo a cercare i papaveri ancora chiusi, che ancora non erano sbocciati. E poi giocavamo a indovinarne il colore; e allora ci domandavamo ‘pulcino, gallo o gallina?’. Se era pulcino era bianco, gallo rosso e gallina rosa. Se una di noi due indovinava poteva esprimere un desiderio.»

«Hai mai indovinato?»

«Si, alcune volte si.»

Mamma non lo dice, ma secondo me è perché ha imbrogliato un po’. Cioè, come mi ha spiegato la Katalina, basta essere felici e dopo un po’ il colore cambia. Quindi mamma avrà fatto finta di essere felicissima e poi avrà detto ‘gallo’. Si, secondo me è stato proprio così. Caro diario, ora è tardi, ormai nella valle si è alzato il silenzio e dorme anche Balto, il mio cane tiratore di slitta. Mi piacerebbe continuare a scrivere, ma fa freddo fuori dalle coperte. Notte caro diario,

 

tua Jasmine.



Spazio Autrice: ciao a tutti ^^ Vi avviso, è la prima storia a capitoli che comincio a scrivere intenzionata a finirla. Solitamente mi blocco a metà :) Spero che il fatto di doverla pubblicare mi costringa a scriverla. Mi impegnerò ad aggiungere un capitolo ogni settimana, scuola permettendo. Se non otterrò critiche, o se negavite, eliminerò la storia. Spero di no ^^ Ciao Bacio ♥

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Capitolo 2
*** Carillon ***


02/01/1939
 
Caro diario,
oggi Miròn aveva voglia di fare l’antipatico. Di mattina presto è entrato nella mia stanza e mi ha svegliata.
«Jasmine! Sveglia! Vieni, c’è una sorpresa!»
«Miròn…» 
«Dai vieni!»
«Uffa, Miròn…»
«Pigrona! Alzati, c’è una sorpresa!»
«Ma io ho sonno…»
«È bellissimo, vieni!»
«Più bello dell’aurora boreale?» gli avevo domandato.
«Si, molto di più. Dai vieni, vedrai è fantastico!»
E alla fine di tutta fretta mi sono alzata dal letto per seguirlo nell’altra stanza, dove la mamma e la Katalina stavano chiacchierando.
«Dobra utra.» ha detto la Katalina. E io le ho sorriso. La Katalina dice sempre che le piace il mio sorriso.
«C’è una sorpresa - ha detto mamma venendomi incontro - Guarda.» e mi ha dato un pacchetto.
Mamma una volta mi ha raccontato che, quando era piccola, con l’anno nuovo riceveva un regalo; ma in mezzo a questa neve di Siberia, non pensavo ne arrivassero. Mamma pensa che io creda ci sia il folletto che porta i regali, ma di folletti non ne ho mai visti. Una volta ho chiesto anche a Miròn:
«Secondo te c’è il folletto che porta i doni?»
«Ovvio, chi pensi che li porti se no?»
«Forse i soldati.»
«No impossibile, i soldati sono troppo impegnati a giocare, ricordi?»
«Si, ma allora perché non ne abbiamo mai visto uno, di folletto?»
«Perché - ha detto sottovoce - si divertono a giocare a nascondino. Se li vuoi vedere devi andare fuori una giornata buia e guardare in un specchio, perché solo attraverso lo specchio li possiamo vedere. Ma non dirlo a nessuno, è un segreto.»
E allora forse il dono l’ha portato il folletto.
«L’ha portato il folletto?» ho chiesto quindi a mamma.
«Si certo. Aprilo.»
«Cos’è?»
«Aprilo.» ha detto con voce dolce.
Quando mamma parla con la voce dolce è bellissimo, perché sembra quasi di essere cullati dalle stesse sue parole. Una volta Arefi è rimasto a bocca aperta nell’ascoltarla. Eravamo io, lui e mamma davanti alla stufa con il fuoco acceso e mamma raccontava una storia. E Arefi l’ascoltava, incantato, come se fosse tutto magico. Quando poi la mattina mi sono svegliata, mi sono ritrovata in braccio ad Arefi che dormiva. Era così bello addormentato! Sembrava un pupazzo. Anche se di pupazzi non ne ho mai visti, la Katalina mi ha mostrato una foto del suo amore, dove abbracciava un grosso orso di peluche. Mi piacerebbe veramente conoscerlo il suo amore, perché dev’essere veramente intelligente, e con tutti i posti che ha visitato potrebbe spiegarmi tutto perfettamente. Per esempio potrebbe dirmi perché alcune volte il cielo è blu, altre è grigie e altre è nero. In una foto c’era perfino il cielo rosso. Ricordo che quella volta pensavo fosse fuoco.
«È fuoco quello rosso?» avevo chiesto alla Katalina.
E lei era andata in camera a prendere l’ultima lettera che le aveva mandato il suo amore, e me l’aveva letta.
 
‘Cara Katalina,
ti mando una mia foto con il cielo infuocato. Qui fa molto caldo e il Sole picchia forte, ma gli spettacoli che ci offre la natura placano ogni nostra sofferenza. Lo vedi il cielo rosso dietro di me? È per te, mi auguro ti piaccia. Spero di tornare tra i ghiacci siberiani al più presto; il giorno bruciacchia un po’. Ti amo,
il tuo Fred.’
 
Quanto aveva pianto la Katalina quel giorno! Infatti sono dovuta andare a chiamare mamma perché la consolasse un po’; ma la Katalina è sempre allegra e alla fine si era messa a ridere e mi aveva fatto il solletico.
Quindi il cielo poteva essere anche rosso. La sera, prima di dormire, mamma mi ha dato un bacino in fronte come al solito, e poi ha aggiunto:
«Si dice che ‘rosso di sera, bel tempo si spera’. Significa che quando il cielo, di sera, prima di andare a dormire, è rosso, il giorno dopo sarà azzurro, senza nuvole né pioggia.»
«Tu l’hai mai visto rosso, mamma?»
«Certo, tesoro. Sembrava tutto infuocato.»
«E il giorno dopo era azzurro?»
«Si, talmente tanto azzurro che ci si poteva perdere nel guardarlo, tanto era bello. Senza neanche una macchiolina bianca di nuvole.»
«E cos’è una nuvola?»
«La panna montata nel cielo - e mi aveva sorriso - sogni d’oro.»
Che poi, neanche l’oro l’ho mai visto veramente. E questo non c’è mai nelle foto della Katalina. Mamma diceva che erano i sogni ad essere d’oro; Miròn era convinto che fosse una cosa buona da mangiare e la Katalina si metteva a ridere e mi faceva il solletico. L’ho chiesto anche alla maestra, ma mi aveva solo guardata, facendo segno di ‘no’ con la testa.
«Arefi, cos’è l’oro?»
«Una cosa bella.” aveva detto lui.
«Più bella dell’aurora boreale?»
«Forse, ma neanch’io l’ho mai visto.Dovresti chiedere a Ginger, la moglie del minatore. Lei ha dell’oro, ma lo tiene ben nascosto.»
«E dove l’ha trovato?»
«Suo marito, quand’era giovane, faceva il minatore. E un giorno oltre al carbone ha trovato un po’ d’oro. O almeno così raccontano.»
E quel giorno Arefi mi aveva accompagnata da Ginger, che abita nella casa più isolata del nostro paesino. Abbiamo suonato il campanello ed è venuto ad aprirci un bambino piccolo piccolo che stava mangiando un biscotto. Com’era dolce! Poi è arrivata Ginger e mi ha sorriso. Arefi pensa che io sia piccola e che non possa capire, ma negli occhi di Ginger l’ho vista anch’io la tristezza. Se ne vede molta da queste parti; anche mamma qualche volta è triste. Lei sorride lo stesso, come aveva fatto Ginger, ma nel cuore (sempre d’oro quello di mamma) c’era la tristezza, e la si vede dagli occhi. La mamma io l’abbraccio quand’è triste, e allora lei imita la Katalina e si mette a raccontare storie buffe. Ma Ginger non mi ha raccontato una barzelletta, mi ha offerto un the.
Dunque Arefi era andato in giro con i cani da slitta, con la promessa che sarebbe tornato poi a riportarmi a casa, e io bevevo il the con Ginger, mentre il suo piccino giocava con il biscotto che aveva in mano.
«È vero che tu tieni dell’oro?» le avevo chiesto.
«Forse, perché?»
«Perché io non so cosa sia l’oro. Arefi una volta ha detto che luccica ed è giallo. Come il Sole, quindi.»
«No! - aveva riso - non è come il Sole. È molto più bello.»
«Me lo fai vedere?»
E si era alzata, per tornare dopo un po’ con un cofanetto in mano. Lo aveva aperto, e aveva tirato fuori un qualcosa avvolto nella stoffa. Me lo aveva dato, e aveva sorriso, con un velo di tristezza negli occhi. Le era scesa anche una lacrima e io subito le ho sorriso, ricordando le parole della Katalina: ‘Quando vuoi fare qualcuno felice, regalagli uno dei tuoi sorrisi.’
«Perché sei triste?» le ho chiesto.
«Perché mio marito se n’è andato subito dopo avermi dato quell’oro.»
«E dov’è andato?»
«In cielo.»
«In cielo? E che ci fa in cielo?»
«Vive una vita bellissima.»
«Allora è quello il posto che aveva detto Arefi! Quando si trova la bandiera e si vince il gioco, si va in cielo!»
«Brava, ora guarda l’oro.»
E l’ho tirato via dalla stoffa. Era bellissimo. Sembrava la cacca colorata di giallo di una foca. Solo un po’ più dura e non puzzolente.
«Sicura che non si cacca?»
«No no - aveva riso lei - è oro vero!»
«È bellissimo.» e le avevo sorriso.
Quindi l’oro era quel sasso là, giallo e luccicante. Aveva anche un buon odore.
Ma tra tutte queste cose belle, oggi ne ha vista una ancora più bella. Più che vista l’ho sentita, una musica. Era da molto tempo che mi domandavo su cosa fosse la musica e stamani mamma mi ha regalato un carillon. È un cofanetto di legno con delle decorazioni colorate, e dentro ci sono un sacco di foto di paesaggi, da quelle con la panna montata o con i papaveri, o quelle con il cielo rosso fuoco. Ma la cosa più bella è che se si gira la manovella affianco si sente una musica dolce. Miròn quando l’ha sentita ha detto che il folletto l’aveva rubata sicuramente a un ricco signore. A me sembra la stessa musica che canta il vento. Quel soffio di tristezza che porta le bufere di neve, un vento gelido ma che sa cantare. È bello come una musica possa cambiare tutta l’atmosfera, fare tristi le persone allegre ed allegre le persone tristi.
«Mamma, io ho un papà?» le ho chiesto.
«Si certo! Stessi tuoi occhi e tue lebbra.»
«E stesso cuore.» ha aggiunto Miròn.
«Ma perché non è qui? Sta giocando a cercare la bandiera?»
«No tesoro, è rimasto bloccato dalla guerra.»
«E non possiamo andare a liberarlo?»
La mamma ha guardato la Katalina e mi ha fatto segno di ‘no’ con la testa.
È strano come bastino anche solo le parole per far triste una persona. Papà deve essere per forza una persona fantastica se mamma piange ogni volta che lo nomino. Avrebbe bisogno di vedere un’altra aurora boreale, quelle mettono felicità. Ma tanto lo so che mamma è forte, e poi farà ancora un sorriso e continuerà come sempre a raccontarmi le favole.
Buona notte caro diario,
 
tua Jasmine.
 
 
 
Nota autore: spero che il capitolo vi piaccia. Mi scuso per l'attesa.
Grazie se commentate.
Nel caso non sappiate il significato di 'Dobra Utra', significa 'Buon Giorno' in russo.
A presto. ^^

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Capitolo 3
*** L'Orsa Bianca ***


04/01/1939

 

Caro diario,

oggi mamma ha avuto una bellissima idea: andare a prendere papà. Io rimarrò con la Katalina e Miròn, e sono sicura che mi divertirò tantissimo.

Ieri Arefi mi ha raccontato la storia della sua famiglia ed è stato molto interessante. Suo nonno era un principe arabo un po’ mattacchione, e si divertiva a scherzare, come la Katalina. Viaggiava spesso in lungo e in largo per tutto il mondo, e una volta era perfino venuto qui da noi, in Siberia, perché era curioso di vedere l’aurora boreale. Purtroppo il suo compagno di viaggio si era perso per strada tra la neve, e in seguito ad una tormenta rimase solo. Si dice che ci siano ancora i fantasmi delle sue guardie che si aggirano tra la neve e spesso vagabondi raccontano di averli incontrati. Li descrivono come uomini molto alti e vestiti da solo alcuni stracci, con un bastone nella mano sinistra e una lancia nella destra, che urlano delle parole incomprensibili. Comunque il nonno di Arefi era stato trovato appena in tempo per essere salvato, e dopo una settimana già si era abituato alle temperature gelate.

«Ma poi è tornato a casa sua?» ho chiesto ad Arefi.

«No, ha trovato una perla ed ha deciso di rimanere qui.» ha sorriso lui.

«Una perla?»

«Una ragazza, bella come una perla.»

E poi era nato il papà di Arefi, un bambino intelligentissimo e molto vivace. Che poi, la Katalina mi ha sempre raccontato che i bambini li portano le grandi orse dal pelo bianco brillante. Sono gli animali più belli e sopratutto sono molto dolci, basta che non abbiano fame.

«Arefi, ma i bambini non li porta l’orsa bianca?»

«No, no. Chi te lo ha detto?»

«La Katalina.» e lui aveva ridacchiato 

«Lo sai che alla Katalina piace fare la birbante! I bambini nascono dalla mamma.»

«E come fanno?»

«Allora, quando mamma e papà si vogliono bene possono decidere di avere un figlio. E dopo nove mesi dal grande pancione di mamma esce un bimbo.»

«E ci sta tutto dentro?»

«Certo, è piccolissimo.»

«Ma funziona così per tutti?»

«Certo, perché non dovrebbe?»

«Pensavo che per la Katalina fosse diverso. Magari lei è stata portata dall’orsa bianca.»

«No, no, funziona per tutti nello stesso modo.»

Quindi il nonno e la nonna di Arefi avevano deciso di avere un figlio, la pancia della nonna si era gonfiata e dopo nove mesi era nato il papà di Arefi.

«E tua mamma?»

«Mamma ha una storia più complicata e più triste.»

E mi ha raccontato che suo nonno e sua nonna da parte di mamma abitavano in Europa ed avevano molti figli. Purtroppo però il nonno perse il lavoro e la famiglia diventò povera. Talmente tanto povera che per sopravvivere dovettero vendere alcuni dei figli. E così la mamma di Arefi era stata venduta ad una nobile signora francese molto cattiva, che spesso la picchiava e la sgridava. Ma la signora francese perse l’unico figlio che aveva e non riuscendo ad averne altri fu costretta a considerare come sua figlia la mamma di Arefi, dandole un nuovo nome: Jasmine.

«Come me!»

«Infatti un po’ mi ricordi mamma.»

«E poi cos’è successo?»

«Mamma è stata rapita, e i manigoldi hanno chiesto il riscatto. Ma i soldi che chiedevano erano troppi, e la signora francese non li pagò, anzi gliene inviò alcuni solo perché se la tenessero loro.»

«Evidentemente mamma era molto birbante!» e lui aveva riso.

«Brava, voleva sempre averla vinta.»

«Poi i suoi rapitori, che erano della Russia europea, la abbandonarono, all’età di tredici anni, in un treno diretto in Siberia.»

«Quindi poi è arrivata qui! Che bello!»

«Si, ma dopo tutte queste peripezie non era molto felice.»

«In che senso?» ho chiesto.

«Nel senso che tentò più volte di uccidersi.»

«Ma non lo fece mai veramente, vero?»

«Forse.. ma quando conobbe papà, le tornò il sorriso.»

Comunque mi rimaneva il dubbio su come nascessero i bambini. Siamo andati a pranzo dalla Katalina, e dopo aver mangiato sono andata a giocare con Miròn.

«Miròn, secondo te da dove vengono i bambini?»

«Li porta l’Orsa Bianca.» ha risposto secco lui.

«Arefi mi ha detto che non è così.»

«Secondo te chi li porta allora?»

«Nessuno, Arefi dice che nascono dal pancione della mamma.»

«Ma e allora l’Orsa Bianca cosa fa?»

«Non lo so, forse avrà anche lei una famiglia a cui badare.»

«Dopo chiedo a mamma.»

Ovviamente la Katalina ha ripetuto che è l’Orsa Bianca a portarli.

«Visto? Cosa ti avevo detto?» mi ha rinfacciato Miròn.

Tanto lo so che la Katalina è una grande birbante ed ha molta fantasia.

Comunque oggi mamma ha cominciato a preparare il necessario per partire ed andare a prendere papà. Mi ha detto che dovrà fare un viaggio lunghissimo, quasi lungo tutto il mondo.

«Mamma, quanto è grande il mondo?» e lei mi ha sorriso.

«Tanto e poco, dipende.»

«E da cosa dipende?»

«Se sei piccolo, ti sembrerà enorme; se sei grande, ti sembrerà minuscolo.»

«Io sono grande o piccola?»

«Piccola e grande, anche qua dipende.»

«Cioè sono grande rispetto ad una foca cucciolo, ma sono piccola rispetto ad un tricheco adulto. Ho capito.»

A mamma piace tantissimo quando le dico ‘ho capito’. Non so se rida perché faccio una vocina strana o perché quelle parole le ricordano qualcosa di divertente.

«Mamma?»

«Si?»

«Ma te, hai ricordi di un evento molto felice?»

«Si certo. E tu?»

«Non lo so… dicono che la felicità è troppo grande per una bambina sola.»

«Chi, lo dice?»

«Ginger.»

«È quella donna che vive lontana? Quella donna che ha - ha sussurrato - la pietra d’oro?»

«Si, lei! E l’ho anche vista la pietra, è bellissima.»

«Bellissima quanto?»

«Bellissimissimissima. Con taaaaaaaante esse.»

«Bellissssssssssssss…»

E siamo scoppiate a ridere tutt’e due. Forse sono questi i momenti più belli della mia vita. Sono quelli passati con la mamma. Quando lei mi fa il solletico; quando viene a controllare se dormo e mi rimbocca le coperte dandomi un bacio sulla fronte; quando fuori fa tanto freddo e lei mi abbraccia tutta e mi racconta le storie di paura; o quando è triste e si mette a piangere. Quando piange, mamma sembra il cielo. Sembra l’universo tutto, con le Nuvole, il Sole, le Stelle e la Pioggia. Tanta pioggia che scende dai suoi occhi. Una volta mi sono persino ‘persa’ (come dice Arefi) a guardarla negli occhi. E sono rimasta a bocca aperta per un sacco di tempo, perché erano veramente bellissimi. Quasi come la pietra d’oro.

«Mamma?»

«Dimmi.»

«Tu e papà, come vi siete conosciuti?»

«Uhm… è una storia lunga. Io pulivo i camini nelle case delle persone ed una volta sono andata a casa sua.»

«Pulivi i camini?»

«Si, per guadagnare un pochino facevo la spazzacamini. E papà era figlio di una famiglia ricca. Quando sono andata a casa sua la prima volta, lui stava brontolando perché voleva andare in vacanza. Allora i suoi genitori mi hanno chiesta se io ci andavo in vacanza.»

«E tu che cosa hai risposto?»

«Di no. E così mi hanno chiesto se volevo rimanere a cena da loro, io ho detto di ‘si’, e pian piano ci siamo conosciuti. Devo dirti un segreto: papà inizialmente era proprio brutto e antipatico. Ma ricorda: mai giudicare una persona a prima vista!»

«Lo dice anche la Katalina: i pregiudizi ingannano. Ma alla fine come hai scoperto che era diverso?»

«Un giorno eravamo a casa io e lui da soli perché i suoi genitori erano andati a fare le spese insieme alla sorellina piccola. Lui si stava lamentando perché non aveva niente da fare, e si annoiava e uffa di qua e uffa di là… insomma gli ho detto se, dato che non sapeva cosa fare, voleva aiutarmi a pulire il camino.»

«E lui ti ha aiutata?»

«Non ci crederai, ma mi ha detto subito di si. Gli ho insegnato tutto e abbiamo chiacchierato. A fine giornata mi era già più simpatico.»

«Che birbante…»

E mamma poi è partita, ormai dall’ora di cena. Ha detto che tornerà sicuramente. Miròn sta già a dormire e la Katalina russa dalla grande. Per fortuna che è venuto anche Arefi a farmi compagnia, ed adesso è in cucina che mi prepara una tazza di the caldo. È brutto sapere che nel mondo ci siano le guerre, e spero tanto che la mamma non arrivi alla bandiera, perché mi manca già. Comunque, come dice la Katalina, basta un sorriso e tutto cola via, come le lacrime insomma. Notte caro diario, salutami la mamma.

 

tua Jasmine

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Capitolo 4
*** Veleno ***


25/01/1939

 

Caro diario,

è da molto tempo che non scrivo e spero di non esserti mancata troppo, ma in questo periodo non ho proprio avuto tempo per fare nulla. Mamma è ancora via, e non sappiamo quando tornerà. La Katalina mi ripete sempre di non preoccuparmi, che mamma è forte, ma a me manca tanto tanto. E poi è successa una cosa molto strana, e a forza di pensarci mi sono dimenticata tutto il resto. Un giorno stavo andando a fare la mia passeggiata a trovare la ragazza dalla pepita d’oro, Ginger (siamo diventate molto amiche), e quando le ho chiesto se il papà del bimbo sarebbe tornato dalla sua vacanza in cielo, e mi ha detto di no, sono diventata molto triste. Adesso ho paura che mamma decida anche lei di giocare, magari trovi la bandiera e vada in cielo. Piacerebbe tantissimo anche a me. Comunque poi ho chiesto a Ginger perché suo marito non voleva tornare da lei, ma lei mi ha detto che non è che non vuole, è che non può.

«E perché non può?» le ho chiesto.

«C’è una grande porta dorata, altissima, che separa questo mondo dal cielo.»

«E la porta è chiusa?»

«Si, e non si può aprire.»

«Neanche con le chiavi?»

«No.»

«Ma allora come si fa ad entrare?»

«Si può solo entrare. C’è un signore che fa la guardia e lui ha le chiavi. Lui può aprire la porta, e far entrare le persone che arrivano.»

«Ma non si può convincere l’uomo ad aprirle anche a quelli che escono?»

«No, mi dispiace.»

Ma io mi chiedo come può essere bella la vita in cielo se si viene chiusi in gabbia. Mi ricordo di un dipinto che la Katalina mi ha mostrato, che rappresentava il suo amore appoggiato ad una gabbia con dentro un leone. E mi ricordo che quel leone aveva gli occhi tristi, e la bocca piegata in giù, come stesse per piangere. 

 

Un po’ di giorni dopo sono andata da Arefi, che ormai è diventato il mio fidanzato ufficiale anche se è molto più grande di me (dice che l’età in amore non conta), e gli ho chiesto di che colore fosse la bandiera. Io me la immaginavo rossa con delle strisce dorate (come il colore del cancello per arrivare al cielo), invece lui mi ha spiegato che era una cosa diversa.

«È una metafora, la bandiera, non ha colore.» ha detto lui.

«Una metafica?»

E lui è scoppiato a ridere. «No, una metafora. Me-ta-fo-ra.»

«E cosa significa?»

«È difficile da spiegare. Ma non è materiale. Non c’è una vera bandiera.»

«Ma allora perché proprio una bandiera, se non è una bandiera?»

«Perché la bandiera rappresenta la fine, o l’inizio di qualcosa di diverso.»

«Quindi come si fa ad arrivare in cielo, se non c’è una bandiera?»

«Si… muore.»

«Muore? Non è il nome di uno di quei cibi che sogna sempre la Katalina?»

«More? No!» ed era scoppiato a ridere di nuovo.

Poi siamo andati al lago ghiacciato, e siamo rimasti fermi, abbracciati sotto le coperte a guardare il cielo. Se non fosse il mio fidanzato e se io non avessi già un papà, vorrei che fosse lui il mio papà.

 

Le altre giornate le ho passate a fare i compiti che la maestra mi ha dato per punizione perché le avevo chiesto se anche lei aveva un marito che era in cielo. Poi quando sono andata da Ginger mi ha spiegato che la maestra è una donna molto sensibile e ha sofferto molto. Non mi ha voluto dire perché, ma mi ha promesso che avrebbe detto alla maestra di perdonarmi. Oggi infatti mi ha chiamato in disparte e si è scusata, allora io le ho detto che non c’era nessun problema, ci siamo abbracciate, e siamo tornate amiche. La cosa più bella però era il profumo che avevano i suoi capelli. Sembrava che li avesse dipinti con il miele, ma erano morbidissimi come sempre, quindi non so cosa ci avesse fatto. 

Ricordo che una volta Miròn mi aveva fatto un regalo per il compleanno che era tutto profumato. Era un cofanetto con stoffa rossa che conteneva una catenella bianca bellissima. Ce l’ho sempre al collo, anche perché mi ricorda quelle della mamma. Però quello aveva un odore caldo, simile a quello delle torte della Katalina. Forse la maestra è rimasta molto tempo vicina al miele.

Poi oggi ho deciso una cosa. Provando a leggere uno dei libri della mamma, anche se non ho capito molto, ad un certo punto ho trovato la parola morte, che proprio non conoscevo. Allora sono andata da Arefi (la Katalina si arrabbia se le chiedo il significato di parole nuove, perché spesso non lo sa neanche lei) e lui mi ha spiegato che ha lo stesso significato di muore.

Allora ho continuato a leggere il libro. Parlava di un signore a cui piacevano molto i fiori, e dopo averli legati assieme con uno spago, li portava al cimitero (altra parola che devo chiedere ad Arefi quando torna) e li metteva sopra una tomba. Spiegava poi che la tomba era grigia come i sassi, e fredda, e ricordava tantissimo la morte. Il libro diceva che sopra c’era scritto “Qui giace K.D.”. Devo chiedere ad Arefi cosa sia una tomba. Secondo me viene messa in ricordo delle persone che vanno in cielo. Un po’ come allo zoo dove il proprietario si annota su un libricino di tutti gli animali che sono rinchiusi in gabbia. Poi il racconto diventava triste, ma non si capiva molto. Il signore decideva di raggiungere K.D. in cielo bevendo da una bottiglietta di vetro un liquido rosso: il veleno. 

Quindi mi è venuta in mente una bella cosa da fare, e sono sicura che la mamma approverebbe. Mi fa molto triste sapere che il marito di Ginger è rinchiuso in cielo, e ho deciso che andrò anch’io in cielo e sicuramente con il mio sorriso riuscirò a convincere il signore che tiene le chiavi della porta a liberare tutti quanti. Per cui questo pomeriggio sono andata a scuola e ho preso uno dei veleni nascosti nella stanza personale della maestra (un giorno mi ero fatta male, sono andata a cercarla lì e ho trovato quelle bottigliette di veleno).

Quindi adesso ti saluto caro diario, ci sentiamo domani e ti prometto che con me ci sarà anche il marito di Ginger e magari anche i compagni di Arefi. Buonanotte,

Tua Jasmine.

 

 

Stappa la fiala sotto il cielo stellato, ne beve il liquido rosso, e cade a terra, con ancora un timido sorriso che s’azzarda sulle sue labbra. 

 

 

FINE

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