I know the sun must set to rise

di Low_Armstrong
(/viewuser.php?uid=163305)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I was scared, I was scared, tired and underprepared ***
Capitolo 2: *** Home, home where I wanted to go ***
Capitolo 3: *** If you go, if you go and leave me down here on my own… ***
Capitolo 4: *** I had to find you, tell you I need you ***
Capitolo 5: *** Nobody said it was easy ***
Capitolo 6: *** And I will try to fix you ***



Capitolo 1
*** I was scared, I was scared, tired and underprepared ***


I KNOW THE SUN MUST SET TO RISE



I was scared, I was scared, tired and underprepared

Avrei dovuto saperlo. Avrei dovuto saperlo che c’era qualcosa che non andava, qualcosa di sbagliato. Avrei dovuto saperlo. Perché sono stata così ingenua? Come ho potuto credere che sarebbe andato davvero tutto bene? Mi sono illusa, di nuovo. Il fatto che stava andando tutto bene, ci ho creduto. Perché il mio sogno non può realizzarsi? Ho già avuto troppo in questa vita? Credo che non sia ancora abbastanza, però. Sono io quella sbagliata, forse. Credevo che avremmo potuto farcela, anche questa volta. Ci credevo davvero.
Forse non avrei nemmeno dovuto dirglielo.


Senti la voce dell’assistente del regista distrattamente, non percepisci che un suono indistinto. Probabilmente sei pallida sotto quei chili di trucco che hai addosso da ore ormai per somigliare a un’affascinante eroina fantascientifica. Le mani tremano incontrollate, le gambe si intorpidiscono di colpo. C’è qualcosa che non va.

Apri gli occhi. Sei stesa e probabilmente in movimento. Un uomo parla di parametri vitali, privacy e dell’emorragia interna “che pare tu possa avere”. Senti un pizzico al braccio e vedi l’immagine sfocata di un altro uomo vestito di rosso che ti attacca un tubicino al braccio. Il primo uomo incrocia il tuo sguardo confuso, spaventato e quasi assente.
«Non si agiti, signora Paltrow. Ha avuto un malore, la stiamo portando in ospedale. I suoi bodyguard sono nell’auto dietro di noi. C’è qualcuno che possiamo chiamare per lei?»
«Il mio bambino», sussurri a fatica prima di perdere nuovamente i sensi.


«Gravidanza extra-uterina, estesa emorragia interna, dobbiamo operare subito se vogliamo salvare almeno lei».










ANGOLO DELL’AUTRICE
Ecco qua, spero vi sia piaciuto questo primo capitoletto misero misero.
Fatemi sapere che ne pensate (tenendo conto che fa semi-quasi-decisamente schifino ma mi serviva per introdurre la storia)!
A prestissimo con il prossimo!

Lally_Weasley

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Home, home where I wanted to go ***


I KNOW THE SUN MUST SET TO RISE



Home, home where I wanted to go

Una banale suoneria non cattura la tua attenzione. Il cellulare vibra su un tavolo lontano da te. Ovviamente, non ti accorgi della chiamata in arrivo se non per lo schermo illuminato, il casino del soundcheck copre ogni rumore.
«Un attimo. Vedo chi è», sorridi al chitarrista.
Il numero è quello del secondo telefono di tua moglie, quello che spesso lascia ai bodyguard in caso di bisogno. In caso di bisogno.
«Pronto».
«Signor Martin, devo parlarle». Il tono di Keath, uno di quegli energumeni che Gwyneth ha assunto “per sentirsi più sicura”, ti sembra solo freddo, ma cortese.
«Gwyneth le ha detto di chiamarmi?»
«No, ma mi è stato chiesto di farlo».

«Chris, tutto ok?» La voce di Jonny sembra provenire da miglia e miglia di distanza. La percepisci a malapena. Senti che scende veloce dal palco e ti raggiunge alle spalle. Tieni gli avambracci appoggiati sul tavolo del backstage, mentre con le mani ti copri il viso, il naso sfiora il piano di legno scuro. Ti appoggia una mano sulla spalla, sa che non è tutto ok. Guarda verso gli altri due, sa che niente è ok.
«Chris, che cazzo è successo?» Ti stringe entrambe le spalle, Guy e Will vi raggiungono. In un moto di disperata rabbia, ti sollevi, afferri il telefono e cammini verso il corridoio del backstage. Chiamata rapida, tasto 2. Provi due, tre, dieci volte. Nessuna risposta. Corri con non sai quale forza in corpo dagli altri tre.
«Devo andare. Devo tornare a Londra. Subito», in un sussurro, urli. Parli violentemente, ma hai gli occhi pieni di lacrime, le guance copiosamente bagnate, il cuore spezzato, il cervello in tilt. «Annullate il concerto». I tuoi amici sono quasi come te, distrutti, perché, in fondo, voi siete un tutt’uno. Will compone velocemente il numero del vostro autista sul touch screen del cellulare, si allontana per parlargli; Guy fa preparare un piccolo aereo nell’aeroporto di Parigi, tutelando la privacy di cui a te non frega nulla ormai.
Con Jonny raccatti un po’ della roba che hai in giro, in silenzio. Piangi, piangi e ogni tanto ti fermi ad ascoltare il tuo cuore per essere sicuro di essere ancora vivo. Il suo batte ancora? Ha ancora senso continuare a respirare? Ti siedi con la testa fra le mani per qualche secondo, mentre il tuo amico mette nel tuo borsoncino di tela colorato una maglia, dei pantaloni e delle scarpe coi laccetti in colori fluo che ti eri portato nel backstage.
«Gwyneth ha avuto un aborto spontaneo, qualcosa non ha funzionato», sputi fuori bisbigliando, forte e ferito, mentre ti asciughi la faccia sulla t-shirt come un bambino, proprio nello stesso modo in cui lo fa Moses. Jonny stringe gli occhi, mentre sospira e ti si avvicina. «Stanno cercando di salvarla. Non c’è niente di sicuro». Jonny ti stringe la mano e accosta la spalla destra alla tua sinistra.
«Andrà tutto bene, Chris».

Il telefono di Will vibra.
«L’autista è qui fuori», dice atono il batterista.
«Ci vediamo a Londra, Chris».










ANGOLO DELL’AUTRICE
Beh, no words. Spero vi piaccia!

Lally_Weasley

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** If you go, if you go and leave me down here on my own… ***


I KNOW THE SUN MUST SET TO RISE



If you go, if you go and leave me down here on my own…

Il viaggio nell’auto nera verso l’aeroporto sembra eterno. Eppure una piccola parte di te vorrebbe che lo fosse davvero. Codardo, vigliacco. Hai paura, una paura folle. A quest’ora potresti già essere solo al mondo. Il pensiero ti sfiora e ti brucia dentro come una fiamma sulla pelle. Il cellulare ti trema tra le mani mentre continui a chiamare meccanicamente, sistematicamente quel Keath. Vuoi solo che ti dica che sta bene. Che stanno bene. No, questo è impossibile. Non può esserci un plurale. Non più. Ma questo puoi sopportarlo, a questo puoi… potete sopravvivere. Potrai avere un altro bambino, non un’altra Gwyneth. È semplice, è logica.

L’autista accosta, scende, prende le poche cose che hai con te e con un agente della sicurezza dell’aeroporto ti scorta fin sul tuo piccolo velivolo. Sarà un volo solitario, triste, penoso. Il più duro della tua vita. Non sei pronto. Eppure vuoi che il pilota decolli in fretta, senza indugi. Che lasci pure che ti giri la testa e ti si tappino le orecchie. Che ti si annebbi il cervello, per un attimo almeno. Spegni il cellulare, lasci che scivoli sul sedile accanto al tuo.

La terra è troppo vicina. Vedi il Tamigi, i campi, le piazze. Viri sempre più in fretta. Riconosci il Parlamento, le stradine che si diramano qua e là, il tetto della vostra villa da lontano. Apple e Moses saranno là con la vostra baby-sitter. Devi andare a prenderli? Devi portarli da lei? Devi spiegar loro che cosa sta succedendo? Devi pensare di imparare a prendertene cura da solo? Il cuore ti si spezza. Ancora una volta in una manciata di attimi.

Un’altra auto nera, un altro uomo che di professione è l’autista di Chris Martin, un altro tragitto tra strade trafficate e caotiche, snervante e doloroso come il primo. Chiami di nuovo l’ultimo numero nel registro chiamate. Squilla.

«È ancora in sala operatoria, i chirurghi migliori si stanno occupando di lei».
Non parli. Chiudi gli occhi, una sola lacrima hai ancora da piangere a quelle parole.
«Signor Martin, è un buon segno…» prova a dire Keath, mantenendo distacco solo in apparenza.
«Che cosa? Che cosa è un buon segno? Che mia moglie si sta dissanguando su un cazzo di tavolo operatorio e io non posso fare niente di niente per aiutarla?» Sei violento, quasi urli a quell’armadio in completo nero che è più vicino a tua moglie di quanto lo possa essere tu, imbottigliato nelle strade di Londra, e che, inaspettatamente, ti legge dentro dall’altro capo del telefono.
«È un buon segno il fatto che non si siano arresi. Può e, con tutto il rispetto, deve continuare a crederci, perché non è vero che non può fare niente per sua moglie. Non so se lei ci crede a queste cose, ma io sì: credo che, in qualche strano, indecifrabile modo, le persone che si amano, che si amano davvero, nell’anima siano unite, connesse e che talvolta questo legame è tutto ciò che serve per restare qua, anche se volesse dire andare contro ogni legge, contro ogni logica che comprendiamo».










ANGOLO DELL’AUTRICE
Grazie per aver letto :3
Fatemi sapere che ne pensate se vi va!

Lally_Weasley

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** I had to find you, tell you I need you ***


I KNOW THE SUN MUST SET TO RISE



I had to find you, tell you I need you

Una svolta netta, capisci. Vuoi solo correre, e lo fai, con il tuo borsone colorato in spalla, e due bodyguard di cui non ti importa niente che ti affiancano. Chirurgia d’urgenza, chirurgia d’urgenza, i cartelli si susseguono, corri più in fretta che puoi tra le persone che ti riconoscono di sfuggita, altra cosa che non ti importa. Un uomo vestito di nero è in piedi in una sala d’attesa, ti dà dapprima le spalle, ma come sente qualcuno arrivare si volta. Con lui, altri due uomini della piccola scorta di Gwyneth aspettano in una stanza bianca, asettica. L’hanno fatta sgomberare, ti rendi conto solo ora di essere in una piccola area dove hai privacy. Ti indicano la direzione in cui si trova la sala operatoria. Lasci cadere a terra il borsone che stringevi forte in mano, le nocche sbiancate, i segni profondi dei manici di cuoio sul palmo. Cammini, piano, tremando, verso quella porta che blocca l’accesso alla zona vietata a… te. Appoggi la mano sinistra contro il piano freddo, vicino alla piccola finestrella rettangolare che si trova all’altezza del tuo viso. Guardi dall’altra parte, guardi il corridoio su cui si affaccia, a destra, la porta della stanza operatoria di Gwyneth. Il tuo sguardo si sposta, poi, veloce, inconsapevole. L’anello d’oro che porti all’anulare. È solo un segno, un segno e basta. Perché niente può rappresentare ciò che hai dentro. In quel momento e sempre.

La mano sudata scivola appena su quella porta che vi divide, la traccia umida che le tue dita vi hanno disegnato svanisce in un battito di ciglia. Non ti muovi da quasi un’ora, sei immobile, appoggiato a quel confine, incapace di compiere un singolo movimento, i muscoli indolenziti di cui non sembri curarti nemmeno inconsciamente. Di tanto in tanto ripensi alle parole di Keath, riprendi coscienza del fatto che devi aiutarla, e che forse è vero che proprio il pensare di sopravvivere ci permette di sopravvivere davvero. Lei sopravviverà, sopravviverà, sopravviverà. Lo ripeti come uno stupido, cantilenante mantra nel tuo cervello, giusto una tacca più razionale del tuo cuore. Sopravviveremo. Lo supereremo. Ma a volte nella disperazione non c’è posto per il futuro.


Il cellulare continua a vibrare nella tasca del borsoncino da ore, senza che tu lo senta. No, in realtà lo senti una volta o due, solo che non lo ascolti. Non lo vuoi ascoltare. Percepisci Keath allontanarsi per parlare al suo di cellulare. Quello di Gwyneth, in realtà. I tuoi amici sono all’altro capo, lo sai. Solo loro hanno quel numero, oltre a te. E sai anche che le chiamate perse sullo schermo del tuo telefono sono tutte loro. Ma un’altra cosa che sai è che ce ne saranno tre o quattro al massimo, loro sanno quando non romperti le palle. E che se non rispondi, la maggior parte delle volte è perché non vuoi, non perché non senti la vibrazione.

«I suoi colleghi saranno qui stasera, intorno alle dieci. Le sono vicini, ma immagino che questo lo sappia già». Keath ti dà una piccola pacca sulla spalla, una di quelle che ci si permette di dare quando la situazione è tanto drammatica, triste e snervante da mandare completamente a puttane ruoli e rapporti professionali. Ti è amico, quel Keath. Ha mandato via al posto tuo gli altri due uomini che erano con Gwyneth, sa che non vuoi gente non strettamente necessaria in giro quando… beh, quando la situazione è drammatica, triste e snervante.










ANGOLO DELL’AUTRICE
Aspetto i vostri commenti/insulti/consigli/tutto quello che vi va di scrivermi!

A presto,
Lally_Weasley

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Nobody said it was easy ***


I KNOW THE SUN MUST SET TO RISE



Nobody said it was easy

Ore 19.30. Sei in piedi da almeno due ore, come paralizzato, quando vedi un chirurgo uscire dalla sala operatoria di Gwyneth. Si sfila la cuffietta blu che nasconde i capelli neri rigati qua e là di un bianco sporco, poi la mascherina bianca che gli copre buona parte del volto. Indecifrabile, stanco, imperturbabile. I tuoi piedi meccanicamente ti allontanano dalla porta a cui per ore eri rimasto appoggiato, indietreggi, mentre l’uomo vi si avvicina lungo il corridoio che vedi al di là della finestrella. La porta si apre, il chirurgo ti si avvicina, con ancora indosso il camice di protezione di un tenue azzurro, ti porge la mano destra.
«Venga, sua moglie si sta svegliando».
Chiudi gli occhi, stringi le palpebre, le lacrime ti solcano le guance, ti mordi le labbra nervosamente mentre il sapore salato di un esausto sollievo le inumidisce. Stringi con più vigore la mano dell’uomo che è probabilmente la persona a cui tua moglie, tu, i tuoi figli dovete la vita. Keath ti dà un’altra pacca sulla spalla, mentre ti mette nella mano sinistra il borsoncino colorato. Ti sorride, anche il chirurgo di fronte a te lo fa, lo avverti senza guardarli, mentre anche tu sorridi, tenendo il viso nascosto da entrambi. Sciogli la lunga stretta di mano di ringraziamento, di sostegno, di comprensione e ti passi veloce il palmo destro sul viso, ad asciugarti le lacrime di ansiosa dolcezza che lo hanno inondato prima che potessi fermarle.
«Grazie», riesci soltanto a dire in un bisbiglio, rivolto al chirurgo, a Keath, a Dio se un Dio c’è, al quel profondo, inspiegabile, incomprensibile legame che ti stringe a Gwyneth.

I morbidi capelli biondi tra cui dieci, cento, mille volte hai passato le dita, che hai sfiorato e accarezzato ogni notte negli ultimi dieci anni incorniciano un volto pallido, in un sonno di disperazione, umido e poi subito curato con tutto l’amore, il dolore, le stesse tue segregate lacrime, la forza del tuo cuore straziato. Chiudi gli occhi, Chris, chiudi gli occhi. Lei è qui, è tutto ciò che conta. Lei ce l’ha fatta, ce la farete.

La stanza post-operatoria è un asettico ibrido. C’è luce, ma non troppa. È calma, ma non troppo. È quel limbo che separa l’agitazione, gli attimi concitati, la speranza dalla certezza, dal definitivo. Quel limbo tra la vita e la morte. Il borsoncino ti scivola inconsapevolmente di mano, appena oltrepassi la porta. Fai pochi passi in fretta, senza fare rumore. C’è una sedia accanto al letto, forse, non ci fai nemmeno caso. Le stringi la mano, il braccio adagiato lungo il fianco, le carezzi il viso stanco e provato, la fronte. Ti avvicini e le posi le labbra incurvate nel dolore sulla tempia, mentre un’unica tua ultima lacrima si perde tra le sfumature dorate dei suoi capelli.
Le palpebre si aprirono piano lasciando gli occhi già velati liberi di vedere, di vederti, seduto all’altezza della sua vita e chino su di lei. Deglutisce e si inumidisce le labbra nel tentativo di parlare, sente la tua mano stringere la sua più forte. Non riesce a guardarti, non vuole incrociare il suo sguardo col tuo. Sbatte le palpebre sugli occhi ora di un cupo azzurro ancora una volta e, non appena, lentamente, le riapre, le lacrime più amare li abbandonano con forza inarrestabile, mentre finalmente trova le tue iridi, umidi e salde, che la lasciano annegare sicura.










ANGOLO DELL’AUTRICE
Ecco il penultimo capitolo, spero vi piaccia!

A presto,
Lally_Weasley

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** And I will try to fix you ***


I KNOW THE SUN MUST SET TO RISE



And I will try to fix you

«Chris». La sua voce è più spenta di un sussurro, più lontana della gioia, più colpevole della confessione di un assassino.
«Sono qui, amore», bisbigli atono nella voce ma con tutta l’intensità che puoi mettere insieme. È banale, è stupido, lo vede che sei lì, non è un’idiota. Ma è tutto ciò che riesci a dire, mentre speri che i vostri cuori continuino semplicemente a battere tra la devastazione.
«Chris… è stata colpa mia?» chiede piano, spaventata, senza guardarti. La stretta intorno alla sua mano si fa più serrata, mentre con la sinistra le carezzi la guancia che non ti porge e la fai voltare piano verso di te. Cerchi i suoi occhi terrorizzati e affranti, non ancora umidi di nuovo.
«Era una gravidanza extra-uterina. Dicono che non a volte non si riconosce ed è solo questione di tempo prima che si verifichi l’emorragia e tutto il resto. Non c’è modo di evitarlo, chiaramente». Che cazzo stai facendo, Chris? Tua moglie è quasi morta in una cazzo di sala operatoria, avete perso il vostro bambino perché… perché vi è andata male, è ad un passo dal colpevolizzarsi di tutto, anzi dentro di sé lo sta già facendo, dovresti semplicemente rincuorarla e invece che fai? Le parli come un medico piombato nella stanza da meno di trenta secondi con in mano una cartella letta al volo prima di sfoggiare il frutto di quindici anni di studio e tirocinio.
Respiri.
Ti avvicini col viso al suo, lo poggi sul cuscino, i capelli biondi ti sfiorano la guancia. Le accarezzi la testa, il polpastrello del pollice sulla morbida pelle della fronte.
Rimedi.
«È andata male, Gwyn, è vero. Ma non potevamo farci niente, nessuno poteva, ok? È il caso, il destino, Dio, chi ti pare, che ha voluto così. La cosa importante è che tu sei qui, con Apple, con Moses, con me. Piccola, possiamo riprovarci, ok, noi non ci siamo mai arresi. Lo sai questo, che noi non ci arrendiamo mai, vero?» La vedi annuire piano, continui, sei un fiume in piena. «Andrà tutto bene, tu sei qui, ce l’hai fatta, e se ce l’hai fatta tu, possiamo farcela insieme. Non so a far che, poi, ma ce la faremo. Ascoltami, abbiamo un sacco di belle cose insieme, tu sei la più bella di tutte, e questa è una sbavatura in un grande quadro… Voglio dire, chi se ne frega se una singola pennellata non è un granché quando il dipinto è magnifico? E lo so, lo so che sto dicendo solo un mucchio di stronzate, che i pennelli e i quadri sono una pessima metafora della vita, che sto straparlando, ma Gwyn, fidati di me, ti prego… Andrà tutto bene, superiamo insieme anche questa, ok?»










ANGOLO DELL’AUTRICE
Et voilà! Scusate, rileggendo il tutto mi rendo conto che appare smielato e banale oltre misura, ma la verità è che la storia era nata come una piccolissima one-shot scritta più per passare il tempo che per altro, totalmente senza pretese. Non me la sono sentita di andare a rimetterci le mani dopo settimane e settimane per aggiungere un “post-evento” che non so quanto mi sarebbe riuscito bene. Detto questo, spero di leggere qualche vostro commento, positivo o negativo che sia! Intanto, grazie di cuore a tutti quelli che hanno letto e apprezzato… oppure no!

A presto,
Lally_Weasley

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1904965