Before I Die.

di Larrystattoos
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio della fine. ***
Capitolo 2: *** Verità. ***
Capitolo 3: *** Desideri irrealizzabili (o forse no?). ***
Capitolo 4: *** Dubai. (Parte 1) ***
Capitolo 5: *** Dubai. (Parte 2) ***
Capitolo 6: *** Tokio. ***



Capitolo 1
*** L'inizio della fine. ***


Leucemia.
Una parola, una sola parola che mi aveva fatto bloccare di colpo e sgranare gli occhi. Ecco spiegati tutti quegli svenimenti, quelle sensazioni di malessere e quei dolori. La causa era una malattia e, come se non bastasse, era anche molto grave. Da quel momento avevo smesso di ascoltare il dottore, che, con il solito tono freddo e distaccato tipico di tutti i medici, continuava a parlare in termini specifici, senza preoccuparsi di stare usando un linguaggio a me sconosciuto. La mia mente registrava solo poche parole di quel discorso. “Avanzamento rapido.” “Incurabile.” “Sei mesi di vita.”  Mi avevano diagnosticato la leucemia, era incurabile e come se non bastasse non mi restava molto tempo da vivere. Non riuscivo a crederci, pur avendo davanti quelle carte che testimoniavano la verità. Speravo fosse solo un brutto sogno, da cui presto mi sarei risvegliato, ma, più passava il tempo, più la cosa si faceva meno probabile. Avevo paura, una fottutissima paura di morire, ma soprattutto, non volevo lasciare lui. Il mio migliore amico, il mio confidente, l’unica persona che mi era rimasta dopo la morte dei miei genitori. Louis Tomlinson.  

Ci siamo conosciuti quando eravamo molto piccoli, essendo vicini di casa. Abbiamo sempre avuto un rapporto speciale. Passavamo tutti i giorni insieme,io a casa sua o viceversa, fin da quando io avevo tre anni e lui cinque. Lui viveva da solo con il padre, dato che la mamma era morta dandolo alla luce; ma, quando a sei anni i miei erano morti in un incidente d’auto, Mark (era questo il nome del padre di Louis), non ci aveva pensato due volte a prendermi in affidamento. Da allora erano passati 13 anni, e il rapporto con Louis non era cambiato. Anzi, si era rafforzato sempre più. Dopo qualche anno Mark se n’era andato abbandonandoci a noi stessi, e da allora abbiamo continuato a vivere insieme e a farci forza l’un l’altro. Mai il nostro rapporto aveva vacillato, mai eravamo stati separati per più di due giorni di fila, ed ora sarei stato costretto ad abbandonarlo, per sempre. L’avrei lasciato di nuovo da solo, senza una spalla, un vero amico, una persona fidata. In fondo, era questo ciò che faceva più male.
 
Dopo aver avuto un lungo colloquio con quel medico, con le carte in mano e le prescrizioni degli innumerevoli medicinali che avrei dovuto prendere, uscii. In sala d’attesa, mi stava aspettando il mio Louis. Appena mi vide mi venne incontro, chiedendomi spiegazioni. Non risposi, mi limitai a lanciarmi addosso a lui, stringendolo forte e cercando di non piangere.
-Harry, allora? Cos’hai? Dimmi che non è nulla di grave, ti prego. Mi stai facendo preoccupare, cazzo.-
Ancora una volta rimasi in silenzio, stringendolo più forte a me. Non doveva sapere. Non sapevo come avrebbe reagito, e non volevo saperlo. Mi avrebbe abbandonato, o si sarebbe preoccupato troppo per me, o chissà cos’altro. E io non volevo vivere sapendo di essere un peso per lui. Volevo vivere normalmente, come un qualsiasi ragazzo di 19 anni, felice e spensierato. Ma purtroppo questi due aggettivi non esisteranno più per me. Dopo qualche tentennamento, accennai un sorriso e gli dissi: -Niente di grave, ti spiego meglio a casa.-
Lui allora annuì, e ci dirigemmo verso la sua macchina.
Il tragitto in auto fu carico di tensione, che traspariva dai numerosi sguardi preoccupati che mi lanciava Louis. Nonostante gli avessi detto che non era nulla di grave, era ancora preoccupato. Non sapevo se sarei riuscito a mentirgli per quei pochi mesi che mi restavano.
 
Una volta a casa ci sedemmo sul divano, e Louis parlò.
-Allora Harry? Cos’hai?-
Dopo aver preso un respiro profondo, e radunato tutte le forze che avevo, mi decisi: -Niente di grave Lou, solo un po’ di anemia e un aggravamento dell’asma. Devo prendere qualche medicinale per qualche tempo e poi ritornerà tutto normale.- Dissi tutto d’un fiato per poi accennare un lieve sorriso.
Vidi Louis rilassarsi visibilmente, e l’ombra di un sorriso scaturire dalle sue labbra sottili. –Meno male, pensavo di peggio! Non so cos’avrei fatto se fosse stato grave, probabilmente non avrei retto.-
A quelle parole, sentii il mondo crollarmi addosso. Allora avevo fatto bene a non dirgli niente, non avrei sopportato di vederlo soffrire a causa mia. Sotto il peso dei sensi di colpa, riuscii a sussurrare: -Vado in bagno-, per poi scappare e chiudermi dentro. Lì riuscii finalmente a sfogarmi per bene. Dal momento che entrai, tutte le lacrime che avevo trattenuto fino a quel momento uscirono fuori, e in men che non si dica mi ritrovai a singhiozzare appoggiato alla porta del bagno. Non sapevo come sarei riuscito a reggere per tutti questi mesi con un  fardello simile, non sapevo se sarei riuscito a farcela da solo, senza qualcuno che mi aiutasse e mi consolasse; ma soprattutto, non sapevo come avrebbe preso Louis la notizia della mia morte. Perché sarei morto e lui lo avrebbe saputo soltanto una volta successo, o al massimo qualche giorno prima, quando sarei stato così debole da non riuscire neanche a muovermi. E allora probabilmente sarebbe stato anche peggio. Ma ciò di cui non riuscivo a capacitarmi era il motivo per cui dovevo dare una scadenza alla mia vita. A cosa serve sapere che morirai quando vorresti soltanto vivere per sempre? A cosa serve mettere una scadenza alla propria vita, come se essa fosse un prodotto alimentare? La vita non è un alimento, la vita è essere, è speranza, è sfida, è crescere e conoscere, è imparare; la vita è amare ed essere amati. E, cosa più importante, la vita è essere vivi. Ma, una molta messa la parola fine al nastro della vita, come si può anche solo pensare di vivere serenamente? Ci sarà sempre, nel profondo della tua anima, quella vocina che ti dirà: “Guarda che manca poco alla fine, a cosa serve fare tutto questo? “ E, nonostante avessi tanti desideri e tante cose che avrei voluto fare, sapevo che non sarei riuscito a fare nulla.
Ecco perché volevo tenere tutto nascosto a Louis, non volevo farlo finire nel baratro profondo della mia malattia, non volevo renderlo partecipe del mio dolore e volevo che continuasse a vivere come se nulla fosse. Lo conoscevo, e sapevo che, se gli avessi detto tutto, avrebbe smesso di vivere la sua vita per dedicarsi alla mia. E, una volta che me ne fossi andato, per lui sarebbe stato ancora più difficile tornare alla normalità. Se ne fosse stato all’oscuro, invece, sarebbe stato più facile per lui riprendersi e andare avanti. Non dico subito, ma di certo in modo più rapido.
Mentre questi pensieri vagavano confusamente nella mia testa, un paio di colpi alla porta mi fecero trasalire.
-Hazza, stai bene? Non farmi preoccupare, rispondi!-
 Respirai profondamente, asciugando i residui delle ultime lacrime versate, che ancora spiccavano sulle mie guance. Successivamente misi su uno dei miei migliori (e più falsi) sorrisi e aprii la porta. –Sto bene.- Dissi sorridendo.
Che la farsa abbia inizio. 




Ciao a tutti! 
Questa è la prima long che scrivo, per cui già so che non sarà granché. Ovviamente questo è solo il primo capitolo, che è venuto malissimo, ma dettagli (credo), per cui credo sia un po' noioso. Man mano però la storia inizierà a prendere forma e spero che piaccia a qualcuno.
Al prossimo capitolo, spero. :)

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Capitolo 2
*** Verità. ***


Una settimana era passata, senza grandi cambiamenti. O meglio, senza grandi cambiamenti visibili.
Louis mi stava sempre addosso, chiedendomi ogni momento: -Tutto bene, Harry?-, -Hai bisogno di qualcosa, Hazza?-, -Come stai, Babycakes?- e cose così. Per me era sempre più difficile fare finta di niente e dire: -Sto bene, Lou. Non preoccuparti.- Perché io non stavo bene, anzi, stavo sempre peggio, non solo a livello fisico. Lo stress mentale andava ad aggravare le mie condizioni fisiche; inoltre, spesso la notte mi ritrovavo in lacrime. Non avevo però il coraggio di andare da Louis, per paura che capisse che qualcosa non andava. Non dormivo quasi più, e, quando ci riuscivo, facevo incubi in cui mi ritrovavo a vedere il mio funerale. In una chiesa vuota. E Louis in casa, solo e disperato. Con quest’ultima immagine mi svegliavo sempre, già in lacrime. Ciò che ne ricavavo da queste notti insonni era un paio di occhiaie violacee e ancora più spossatezza fisica. Forse era per quello che Louis si preoccupava tanto. Sapesse cosa gli sto nascondendo..

Era una mattinata di 8 giorni dopo la diagnosi. Stavo peggio del solito, probabilmente per la stanchezza. La notte precedente non avevo dormito per niente, anzi, avevo scritto una lista di cose che avrei voluto fare ma che non avrei mai fatto. 10 desideri irrealizzabili, 10 sogni infranti, 10 richieste che la vita mi aveva negato e che la morte avrebbe cancellato. Avevo scritto anche i miei pensieri, estraniato la paura dal mio corpo per imprimerla sulla carta e sperare in una consolazione che non era arrivata.
Avevo poi nascosto il foglio sotto il cuscino, per evitare che Louis lo vedesse e facesse domande. Sfortuna volle però che quella mattina mi alzassi e non mi accorgessi che mi era scivolato da sotto il nascondiglio di fortuna che avevo utilizzato.
Mi diressi in cucina, dove trovai Louis ai fornelli. Non era mai stato bravo a cucinare, ricordavo quella volta in cui, cercando di fare il caffè, fece esplodere la caffettiera. Per fortuna era in salotto con me e non ci furono danni per nessuno dei due, ma, da quel giorno, lui tocca i fornelli solo in mia presenza e sotto la mia stretta vigilanza.
Perciò, un po’ preoccupato, mi avvicinai. -Lou..? Cosa fai in cucina?-
Louis si girò sorridendo. –Non preoccuparti Babycakes, solo un po’ di the ad entrambi. Almeno quello lo so fare.-
Effettivamente era l’unica cosa che sapeva fare. –Beh, allora va bene.-
Sorrise. –Hai fame?-
-No, Louis.-
-Dai, mangia un po’, non tocchi cibo da giorni! So che la mia cucina fa schifo, ma almeno prepara tu qualcosa e mangia!-
-Non ho fame Lou, punto.- Dissi innervosito.
-Okay, okay, scusa.-
Mi lasciai sfuggire un piccolo sorriso. –Non fa niente.-
Louis ricambiò il sorriso e allargò le braccia. –Vieni qua, piccolo.-
Non me lo feci dire due volte, in un attimo mi trovai circondato dalle sue braccia, perso in quell’abbraccio. Da lì tutto passava in secondo piano: la malattia, la paura, persino la morte sembravano niente quando ero tra le braccia dell’unica persona che mi faceva sentire bene.
Mi strinsi forte a lui e trattenni le lacrime, sussurrandogli con la voce rotta: -Ti voglio bene, Lou.-
-Anch’io Harry, anch’io. Non sai quanto.-
Sorrisi di nuovo e mi staccai, un po’ riluttante. Louis mi diede un bacio sulla fronte e finì di preparare il the, che bevemmo sul divano, seduti uno vicino l’altro.

Passammo la giornata così, seduti sul divano a ridere, scherzare e giocare alla Play. Ero felice, felice davvero. Era ormai sera quando mi disse: -Vado un attimo in bagno, aspettami qui.-
Annuii in risposta e lui salì. Passarono diversi minuti, poi sentii la sua voce chiamarmi. –Harry.- Aveva un tono di voce strano, era molto.. Serio, forse. Confuso. Arrabbiato. Non lo capii finché non arrivai sul pianerottolo e lo trovai inginocchiato davanti camera mia, con un foglio in mano. Lì compresi tutto. Aveva trovato la lista, che inconsciamente avevo fatto cadere quella mattina. Lo guardai spaventato e lui ricambiò lo sguardo. Era indecifrabile. Con ancora il foglio in mano, mi fece segno di seguirlo. Così feci, cercando di inventarmi nel frattempo qualche scusa credibile, ma niente suonava convincente. Mi sentivo tanto un ragazzo scoperto a fare qualcosa di proibito, che deve fornire spiegazioni valide e reali. Avevo paura. Cosa gli avrei detto?

Arrivammo in salotto, si sedette sul divano e mi fece cenno di sedermi affianco a lui. Obbedii, e a quel punto lui parlò. Una sola parola, detta con un tono freddo e controllato, la parola che in quel momento temevo di più. –Spiegami.-
Non avevo scelta, dovevo dirgli la verità. Presi un respiro profondo, preparandomi a dirgli tutto. Ma, prima che potessi emettere un solo suono, scoppiai a piangere. Louis mi strinse forte, come aveva fatto la mattina, per confortarmi ed incitarmi contemporaneamente. Nel calore protettivo delle braccia del mio migliore amico, finalmente trovai la forza di parlare. -Leucemia, Lou. Ho la leucemia, non c’è più niente da fare. Mi resta poco tempo, un massimo di sei mesi, da vivere.- Dissi tutto d’un fiato, come a liberarmi di quel peso opprimente posizionato nel mio petto. Ma, a sostituirlo, ne venne subito un altro mille volte più gravoso per il mio cuore. A quelle parole, infatti, Louis si staccò, privandomi di quella breve bolla di protezione in cui mi ritrovavo ogni volte che mi abbracciava. -Leucemia? Dio, Harry, perché..? Come non c’è più niente da fare? Ti prego, dimmi che stai scherzando. Non puoi lasciarmi, non anche tu! Perché non me l’hai detto?-
-Non volevo farti stare male prima ancora di.. Morire.- Mi era ancora difficile associare quel verbo a me stesso, non riuscivo ancora a crederci del tutto. -Volevo godermi gli ultimi mesi della mia vita normalmente, come se non fosse niente, e volevo viverli con te affianco. Lo sai quanto vorrei che fosse solo uno stupido scherzo, ma non è così. Lasciarti è la cosa peggiore di tutta questa situazione. Perciò non te l’ho detto..- La mia voce si affievolì, mentre stavo in piedi davanti a lui, ancora in lacrime.
Ma Louis sembrava aver perso la lucidità. –No Harry, vi siete messi tutti d’accordo per farmi rimanere solo! Prima mia madre, poi i miei nonni, poi mio padre che improvvisamente se ne va di casa senza farmi sapere più niente, e ora scopro che anche tu mi lascerai solo come un cane! E per giunta lo avresti fatto senza neanche avvisarmi! Vi odio, vi odio tutti!- Disse prima di sciogliersi in lacrime e correre in camera.
Non riuscivo a crederci. Davvero pensava tutte queste cose? Come se fosse colpa mia, poi. Io non volevo morire, e soprattutto volevo continuare a stare con lui. Neanche dipendesse da me il fatto di dover morire. Anche se, ora che Louis aveva deciso di non starmi accanto in quest’ultimo periodo, non sembrava poi una cosa così insopportabile. Senza Louis, la mia vita era inutile. Era questo il motivo per cui non volevo dirglielo. In questo modo io ero solo, lui era solo e, nonostante fossimo entrambi coscienti del fatto che ci rimaneva poco tempo da passare insieme, lo sprecavamo.
Preso da questi sconfortanti pensieri, mi addormentai lì, sul divano, con il foglio ancora in mano.
Feci un incubo. Ero solo in una stanza d’ospedale, stavo male ma nessuno sembrava accorgersi della mia presenza. Ad un tratto arrivò Louis che iniziò ad urlarmi contro cose che non riuscivo a ricordare. L’unica cosa che ricordai è un ‘ti odio’, il cui eco continuò a risuonarmi nelle orecchie anche quando mi svegliai urlando. Subito sentii dei passi risuonare veloci lungo il corridoio, e la voce dolce di Louis che mi chiamava allarmata. Quando sentii le sue mani calde sulle mie guance riuscii finalmente a calmarmi e a smettere di urlare. -Harry.. Harry, calmati, sono qui. Sarò sempre qui. Io ci sono, non ti lascerò da solo. Ti voglio bene, piccolo.-
Io, ancora scosso, mi limitai ad annuire. Subito dopo Louis mi strinse in una morsa protettiva, iniziando a scusarsi continuamente per ciò che mi aveva detto prima. Scuse che troncai subito quando, iniziando a stringerlo anche io, gli dissi: -Non sei obbligato, se non vuoi ti capisco.-
Lui scosse la testa, dicendo: -No, io ci sarò. Fino alla fine. Risolveremo tutto come abbiamo sempre fatto, da quando eravamo piccoli. Insieme. –
 





Okay, non è granchè, ma è un capitolo di passaggio. Spero vi piaccia. Fatemi sapere come vi sembra e se è degna di essere continuata. :)
Alla prossima. :)

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Capitolo 3
*** Desideri irrealizzabili (o forse no?). ***


Quando aprii gli occhi era mattina. Louis era disteso affianco a me, con un suo braccio sul mio stomaco. Lo guardai a lungo, era davvero bellissimo. Non avevo mai fatto caso a quanto il mio migliore amico fosse cresciuto e cambiato. Se quando eravamo piccoli lui era “il Capo” perché più grande, sia fisicamente che per età, con il tempo i ruoli si erano invertiti. Certo, la differenza di età era rimasta, ma Louis non era più quel ragazzino gracile con i capelli a scodella e una strana ossessione per Cristiano Ronaldo. Adesso io lo superavo di molto in altezza e in fisico (anche se ultimamente la malattia mi stava logorando), ma, nonostante tutto, ero sempre io quello più debole e Louis era rimasto la mia ancora di salvezza.
Avevo sempre pensato a Louis come il bambino con cui giocavo anni prima, o come il ragazzo che mi era sempre stato vicino; ma non mi ero mai soffermato molto a guardarlo, ad osservarlo per davvero. Quella mattina mi ritrovai a fissarlo intensamente, rendendomi conto di quanto fosse bello, anche quando dormiva, nonostante una piccola rughetta di preoccupazione tra le sopracciglia che dava al suo volto un’espressione corrucciata ma bellissima. Presi la mano che era posata sulla mia pancia. Era così piccola rispetto alle mie, ma anche così calda e morbida. Mi ricordava le mani di mia madre, così piccole e morbide, calde e dolci, che con una sola carezza riuscivano a frenare i pianti e a farmi calmare. Quando realizzai che Louis aveva fatto esattamente le stesse cose non potei fare a meno di sorridere,stringendogli la mano, che ancora tenevo stretta tra le mie, e portandomela su una guancia. Questo movimento svegliò Louis, che mi guardò ad occhi socchiusi, e, una volta svegliatosi del tutto, mi chiede con la voce ancora impastata dal sonno: -Buongiorno Haz. Come stai?-
Sorrisi della sua espressione, era davvero tenero. –Buongiorno anche a te. Sto bene.-
Mi sorrise di rimando, per poi togliere delicatamente la sua mano dalla mia presa e alzarsi. –Vado a farti un the, aspettami qui.-
Ma io lo trattenni per la maglia del pigiama, costringendolo a sedersi accanto a me. –Non serve, rimani qui.-
-Va bene piccolo, come vuoi.-
Ebbi un fremito al sentirmi chiamare “piccolo”, ma non capii il motivo di quella reazione. Insomma, mi chiamava spesso così, ma era la prima volta che avevo una reazione del genere. Scossi la testa, scacciando quei pensieri. Dovevo smetterla di fare il filosofo, non era da me. Così, leggendo l’espressione interrogativa di Louis al mio gesto, lo tranquillizzai sorridendogli dolcemente per poi fiondarmi tra le sue braccia, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo. Lui in risposta mi strinse di più a sè, sussurrando tra i miei capelli: -Come farò una volta che tu non ci sarai più?-
Alzai la testa, trovandomi pericolosamente vicino al suo volto. L’azzurro dei suoi occhi era velato di lacrime mal celate, ghiaccio che sembrava fondersi, arrendendosi al calore troppo forte di un’emozione. Mi persi in essi, annegando e ammirando ogni singola sfumatura di quegli occhi che, mi resi conto in quel momento, amavo.
Quando trovai la forza di rispondere, gli dissi: -Non ci pensare per ora. Abbiamo ancora sei mesi da passare insieme e voglio che li trascorriamo come se non ci fosse nulla di strano. Voglio passare quel che mi resta da vivere come un normale diciannovenne, senza stupide malattie in mezzo. E’ l’unica cosa che ti chiedo. Ti prego..-
Le lacrime minacciavano di uscire contro la mia volontà, ma le trattenni. Abbassai lo sguardo e aspettai la risposta di Louis, che non tardò ad arrivare. Infatti, lo sentii stringersi di più a me e sussurrarmi con voce rotta: -Ti prometto che ci proverò.-
E io non potei fare altro se non lasciarmi cullare da quelle braccia che ormai consideravo casa, addormentandomi nel calore rassicurante che solo la presenza di Louis riusciva a darmi.
 
Mi svegliai che era pomeriggio inoltrato. Louis non era vicino a me, così silenziosamente mi alzai e iniziai a cercarlo. Quando sentii dei lamenti provenire dalla camera di Louis non esitai a entrare. Lo trovai rannicchiato in un angolo della stanza, con la testa poggiata sulle ginocchia e il corpo scosso da violenti singhiozzi. Appena sentì la porta aprirsi alzò di scatto la testa, e, asciugandosi frettolosamente le lacrime, venne verso di me. –H-Harry, hai bis-sogno di q-qualcosa?-Diceva, tra singhiozzi che non riusciva a fermare. –Dim-mi cosa devo fa-a-re..-
Non lo lasciai finire che lo avvolsi tra le mie braccia e gli dissi semplicemente: -Sfogati.-
E lui lo fece. Pianse fino a non avere più lacrime, singhiozzò per un tempo che mi parve infinito, mi strinse fino quasi a soffocarmi. E io lo lasciai fare, sapendo che poi sarebbe stato meglio. Mi faceva male sapere che il mio migliore amico era in questo stato a causa mia, che si stava disperando al pensiero che tra qualche mese mi avrebbe perso. Vederlo stare così faceva stare male anche me. Il suo dolore era il mio, le sue lacrime erano lo specchio delle mie, sepolte nel profondo della mia anima, le sue paure le stesse che perseguitavano me. Il nostro era un rapporto speciale, sembravamo legati da un filo che univa corpi e menti, che li legava come fossero soltanto uno. E la mia morte lo avrebbe spezzato, cambiando le cose in maniera definitiva.
Continuai a stringere Louis per un tempo che mi parve infinito, in silenzio; cullandolo, accarezzandolo, cercando di infondergli un po’ di calma, quel tanto che bastava a sopportare questa situazione. Ecco il motivo per cui non volevo che sapesse della malattia. Immaginavo un crollo di questo tipo, ed egoista com’ero, avrei preferito fosse avvenuto alla mia morte. Ma non avevo messo in ballo il fatto che poi non ci sarebbe stato nessuno a consolarlo, nessuno a cullarlo, nessuno a prendersi cura di lui. Soltanto così riuscii a convincere me stesso del fatto che fosse stato giusto dirgli tutto ora.
Quando finalmente Louis si calmò, mi guardò negli occhi mormorando con la voce ancora roca dal pianto: -Non avresti dovuto vedermi così. Scusa.-
Gli sorrisi, rassicurandolo. –No Louis, non devi scusarti. E’ normale che tu abbia reagito così, anch’io l’avrei fatto al tuo posto. E poi, meglio sfogarsi, no?-
Lui annuì, accennando un sorriso. Allora, rassicurato, cercai di apparire il più felice possibile. –Dai, andiamo a cucinare! Stasera pasta, ti va?-
-Certo!-
E, mettendomi un braccio attorno alle spalle, ci dirigemmo in cucina. Dopo cena, andammo sul divano, cercando qualcosa da vedere. Mi accoccolai sul petto di Louis, riuscendo a percepire il battito del suo cuore.  Era rassicurante, come una ninnananna. Infatti, sprofondai in un piacevole torpore, finchè la voce dolce di Louis non mi riscosse. –Haz, riguardo alla lista che delle cose che volevi fare..- disse, prendendola da una tasca e mostrandomela.
-So che è irrealizzabile Lou.- Dissi mestamente.
-No piccolo, farò in modo di farti esaudire tutti i desideri espressi qui sopra.-
Ebbi di nuovo un brivido quando pronunciò la parola ‘piccolo’, ma lo ignorai.
-Lou, non possiamo..-
Mi interruppe. –Fammela leggere. Vedremo cosa possiamo fare.-
La aprì e iniziò a leggerla.
 
COSE DA FARE PRIMA DI MORIRE:
1)      Girare il mondo
2)      Scrivere una canzone
3)      Salvare una vita
4)      Bunjee Jumping
5)      Fare un tatuaggio o un piercing
6)      Vedere il Titanic dal vivo
7)      Fare qualcosa di illegale
8)      Scrivere un libro
9)      Innamorarmi
10)   Morire senza rimpianti
 
-Beh.- disse, una volta finito. –Ci si può lavorare.-
Lo guardai stupito. –Lou, ti rendi conto che il primo punto della lista è “girare il mondo”? Dove pensi di trovare i soldi necessari?-
Mi guardò, un sorriso furbesco disegnato sul volto. Poi semplicemente disse. –Papà.-
-Cosa c’entra Mark ora?- Iniziai a pensare che fosse impazzito.
Il ghigno sul suo volto si allargò. –Deve darci lui i soldi. Ci ha abbandonati, ce li deve.-
-Ma..- Provai a protestare, ma lui mi mise un dito sulle labbra, zittendomi.
Quando lo tolse dissi: -Okay okay, vada per Mark.-
Mi sorrise, felice come poche volte l’avevo visto. E spontaneamente un piccolo sorriso sbocciò anche sul mio viso. Era incredibile l’effetto che mi faceva quel ragazzo.
-Bene, allora inizia a pensare a dove vuoi andare.-
Sorrisi, emozionato all’idea di girare le città più prestigiose del mondo con la persona più importante della mia vita. Iniziai ad elencare le varie città in cui sarei voluto andare. –New York. Buenos Aires. Rio. Sydney. Le Hawaii. Roma. Verona. Amsterdam. Tokio. Barcellona. Città del Capo. Dubai. E Parigi. Direi che può bastare.-
-Poche direi.- rise Louis.
-Se sono troppe possiamo toglier..-
-Vanno benissimo, tranquillo Haz.-
Lo guardai con le lacrime agli occhi. –Grazie Lou.. Di tutto.-
Louis mi sorrise dolcemente. –E di cosa? Sei il mio piccolino, voglio solo renderti felice, per quanto posso.-
 Non resistetti oltre e mi fiondai su di lui, stringendolo forte, mentre una lacrima bastarda mi solcava il viso. Lui la vide e con un pollice me la asciugò, poi si limitò a stringermi. Dopo un po’ mi lasciò e, con un sorriso luminoso, disse: -Inizia a preparare le valige, partiremo presto.-
 
 
 
 
 
 
 

Ecco qui il terzo capitolo!
A dire la verità non mi piace per niente, ma non avevo proprio idea di come renderlo migliore. Dal prossimo capitolo inizierà la ‘vera’ storia, spero di riuscire a fare di meglio di questi tre capitoli.
Fatemi sapere cosa ne pensate. :)
Alla prossima! :)

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Capitolo 4
*** Dubai. (Parte 1) ***


Una settimana dopo quella sorta di discussione eravamo pronti per partire. Mark aveva acconsentito a pagarci le spese dopo aver saputo della mia malattia. Perciò, io e Louis ci trovavamo in aeroporto pronti a iniziare un nuovo viaggio verso le città più prestigiose del mondo. La prima tappa era Dubai.
Io e Louis avevamo deciso di girare un po’ a caso, senza seguire una vera e propria rotta. Quindi, in base ai nostri desideri, potevamo trovarci un giorno in Europa, il giorno seguente in America e quello dopo ancora di nuovo in Europa. Eravamo dei pazzi, lo so. Louis, inoltre, mi aveva proposto di esaudire i miei ultimi desideri direttamente in giro per il mondo, senza aspettare di finire il nostro piccolo tour mondiale; in modo da poter passare più tempo in ogni località; ed io avevo accettato entusiasta.
 
-Il volo per Dubai è in partenza, si prega i passeggeri ancora a terra di dirigersi verso il Gate C.- Una voce femminile proveniente da un altoparlante mi fece sobbalzare leggermente. Louis rise della mia espressione persa e mi prese la mano, guidandomi verso il nostro volo. Quel tocco leggero mi fece venire la pelle d’oca, o forse la causa era solo l’aria refrigerata dell’aeroporto. Stavolta c’era qualcosa di diverso in quel gesto. Ci tenevamo per mano molte volte, ma mai mi ero sentito così.. Confuso. Protetto. O, più semplicemente, strano.
Una volta entrati in aereo e trovati i nostri posti, Louis mi lasciò la mano. Subito sentii un senso di vuoto sprigionarsi nel mio petto. Qualcosa nel mio sguardo dovette far capire a Louis che c’era qualcosa che non andava, perché mi chiese: -Haz, tutto bene?-
Misi su un sorriso e risposi: -Si Boo, sono solo un po’ stanco.-
Mi guardò, poi, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, disse, aprendo le braccia: -Allora dormi!-
Presi quelle braccia spalancate come un invito a buttarmici dentro, cosa che feci volentieri. Mi accoccolai sul suo petto, chiudendo gli occhi e stendendo le gambe sul mio posto, mentre lui mi avvolgeva con le sue braccia. Mi sussurrò un: -Dormi bene, piccolo.- che io udii appena, perché già pronto a lasciarmi cullare da Morfeo. Nel giro di due minuti dormivo profondamente, sicuro della presenza di Louis accanto a me.
 
-Ehi, bell’addormentato, svegliati, siamo arrivati!-
Mugugnai appena, aprendo gli occhi. Il volto sorridente di Louis mi si parò davanti e per poco non feci un salto. Era vicino, troppo vicino. Lui vide la mia reazione e sghignazzò. –Faccio così paura che quando mi guardi ti spaventi? Peccato per te che mi vedrai ogni giorno.-
Alzai gli occhi al cielo. –Non fai paura, però quando mi sveglio non metterti così vicino al mio viso.-
Rise, per poi acconsentire.
Scendemmo dall’aereo, e, dopo aver recuperato i bagagli, ci dirigemmo verso l’uscita. Una volta fuori, Louis iniziò a gridare: -DUBAIII SIAMO QUIIII!!!-
Un sacco di gente si girò a guardarci, ma Louis, indifferente, continuava a urlare. Risi fino a lacrimare, per poi dire: -Tu sei tutto matto!-
Mi guardò con cipiglio a metà tra il serio e il divertito. –Lo so.-
Scossi la testa, divertito dal suo comportamento un po’ infantile. Gli presi la mano, come aveva fatto lui con me in precedenza, e ci dirigemmo verso un taxi. Dopo il breve viaggio fino al nostro albergo, scendemmo. –Lou, non dormiremo certo qui, vero?- Dissi, girando la testa per ammirare il Burj Al Arab, il lussuosissimo albergo a 7 stelle.
-Certo che si dolcezza, cosa credevi, che ti avrei portato in un albergo banale?-
Lo guardai a bocca aperta. –Ma Lou, ti costerà una fortuna..-
Mi zittì e mi fece cenno di entrare. Da quando misi piede nella hall non feci altro che guardarmi attorno con la bocca spalancata, perché, insomma, era tutto magnifico. Anche Louis, accanto a me, guardava il tutto con ammirazione.
Dopo aver preso la camera, ci dirigemmo verso gli ascensori. Louis aveva prenotato una camera all’ultimo piano. Non osai nemmeno pensare a quanto gli fosse costata.
Quando entrai in quella camera, per un attimo mi si bloccò il respiro. Al mio lato, sentii Louis avere la mia stessa reazione. Era esattamente come una di quelle che si descrivono ne Le Mille E Una Notte. Era dir poco enorme. Un grande letto troneggiava al centro della stanza, con tanto di cuscini e baldacchino, il pavimento era decorato con disegni orientali, dei bellissimi comodini ai lati del letto su cui erano poggiate delle lunghe lampade bianche. Di fronte al letto c’era una Tv enorme, sotto al quale faceva mostra di sè un piccolo divano viola, e di fronte ad esso un tavolino di cristallo. Ad un lato della stanza c’era un armadio enorme, addossato all’altra parete c’era uno scrittoio di legno. Le sedie che erano vicino erano riccamente decorate, più che sedie sembravano troni. Al lato dello scrittoio c’era la porta che conduceva ai bagni. Con Louis dietro di me, aprii la porta. Come mi aspettavo, anch’essi erano immensi, con un box doccia grandissimo e pieno di pulsanti, tra cui la sauna e l’idromassaggio. C’era addirittura una vasca da bagno. Tornai nella camera da letto e osservai di nuovo il tutto, sempre a bocca spalancata. Quando trovai la forza di parlare, dissi: -Quanto ti è costato tutto questo, Lou?-
Mi guardò e scosse la testa. Me l’aspettavo che non volesse dirmi niente.
Ci svestimmo e ci sdraiammo nel letto, che era a dir poco comodissimo. Cinsi il corpo di Louis con le braccia e in pochi secondi ci addormentammo felici.
 
Il giorno seguente lo passammo in giro per Dubai. Ci procurammo una cartina e decidemmo di visitare qualche spezzone importante della città. O perlomeno, quello era il piano iniziale, poiché passammo il primo giorno della nostra permanenza negli Emirati Arabi a fare shopping al Dubai Mall e al Mall of The Emirates. Non so come, ma convinsi Louis a fare sci nella pista artificiale contenuta in quest’ultimo centro commerciale, rischiando di spezzarci qualche arto non sapendo sciare. Tutto sommato, a parte qualche rovinosa caduta e l’indolenzimento delle membra, ce la siamo cavata abbastanza bene.
Volevo anche andare al cinema, ma Louis mi fece ricordare che eravamo in Arabia e quindi i film non erano in inglese, perciò rinunciai. Andammo però all’acquario contenuto all’interno del centro e ci godemmo uno spettacolo fantastico con esibizioni di squali, mante e tanti altri pesci che non avevo mai visto.
In quella fantastica giornata comprammo un mucchio di roba e scattammo migliaia di foto: a noi due, all’ambiente, a qualche artista di strada, allo spettacolo acquatico.. Ero davvero soddisfatto di come era andata la prima giornata della nostra ‘gita’; nonostante le continue preoccupazioni di Louis riguardo il mio stato di salute. Stavo davvero bene, non mentivo.
 
Il secondo giorno decidemmo di passarlo davvero in giro per la città. Per prima cosa, andammo a Dubai Marina, il quartiere più moderno della città. Per tutto il tempo io e Louis stemmo con il naso in aria, ammirando i grattacieli che vi erano in quel luogo; fin quando non arrivammo al porto. Lessi sulla ricerca che avevo fatto in una delle sale computer dell’hotel, per poterci muovere meglio e capire cosa vedere e dove andare:
-“Conosciuto anche come Nuova Dubai, Dubai Marina è uno dei quartieri centrali di Dubai interamente creato dall’uomo e la zona portuale artificiale più grande al mondo.” Wow.-
Facemmo un giro lungo il porto, osservando la lunga fila di yacht che vi era, poi prendemmo un taxi e arrivammo nel quartiere di Bastakiya. Rimanemmo a bocca aperta di fronte alle bellezze orientali che ci circondavano. Era tutto così strano, così etnico. Rimanemmo affascinati dalla gente, dagli strani vestiti che indossavano, ma soprattutto dalle costruzioni tipiche di quel posto, in particolare dalle cosiddette torri del vento, che in antichità costituivano una sorta di aria condizionata. Girammo vari negozietti e finimmo col comprare un sacco di piccoli gadget. In uno di questi facemmo anche una foto vestiti da sultani, con tanto di turbante e pesanti gioielli. Ci fu un momento di imbarazzo quando la donna che ci scattò la foto ci chiese da quanto tempo stessimo insieme, ma Louis lo spezzò con una battutina un po’ nervosa.
Venne la sera, e con essa il momento di tornare in albergo. Mentre percorrevamo il tragitto verso l’albergo, però, decidemmo di fare una piccola deviazione verso il Burj Khalifa, l’edificio più alto al mondo; ai piedi del quale c’era lo spettacolo delle “fontane danzanti”.
Arrivammo giusto in tempo per vederne uno. In un’immensa piscina, con una musica orientale in sottofondo, iniziarono a spuntare dei getti d’acqua che si muovevano a ritmo di musica. Rimasi a bocca aperta, arrivando fino al bordo per poter vedere meglio. Louis sorrise, per poi abbracciarmi da dietro, poggiando la testa sulla mia spalla e sussurrandomi all’orecchio: -E’ davvero stupendo.-
Cercai di ignorare i brividi che conseguirono a quel contatto e risposi: -Già, è bellissimo.-
Ci godemmo lo spettacolo delle fontane, poi Louis sciolse l’abbraccio, facendo nascere uno strano senso di vuoto dentro di me. Ci girammo ad osservare la torre dietro di noi: era davvero enorme, anche piegando la testa non riuscivamo a vederne la fine. Fu allora che mi venne un’idea.
-Lou?-
-Mh?-
-Stavo pensando.. E’ qui che voglio fare bunjee jumping. Su questa torre.-
Il mio migliore amico mi guardò sconvolto. –Qui? Ti vuoi lanciare da più di 800 metri?-
-Si.- dissi risoluto. –Voglio rendere quest’esperienza indimenticabile, e quale modo migliore se non lanciarsi dalla struttura più alta del mondo?!-
Louis sembrò pensarci su, poi disse: -E va bene. Domani veniamo a chiedere se si può fare. Ma già so che me ne pentirò.-
Ignorai la sua ultima affermazione e gli saltai al collo, urlandogli nell’orecchio: -GRAZIE GRAZIE GRAZIE! Sei il migliore amico del mondo Lou!-
Mi sorrise, prendendomi le gambe e facendomele allacciare intorno la sua vita. -Lo so lo so, ma ora andiamo in hotel che domani sarà una giornata psicologicamente pesante e voglio prepararmi al meglio.- Mi fece scendere, poi, prendendomi la mano e guidandomi verso l’ennesimo taxi della giornata, disse: -Muoviti temerario, andiamo.-





Okay, questo "capitolo" fa leggermente schifo. L'ho diviso perchè era troppo lungo, quindi è rimasta solo la parte 'iniziale' e noiosa. Il prossimo sarà meglio, ve lo assicuro!
Alla prossima. :)

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Capitolo 5
*** Dubai. (Parte 2) ***


 -Harry, non sono sicuro di volerlo fare..-
Girai la testa e vidi Louis al mio fianco. Due uomini lo stavano aiutando ad indossare tutti i cavi e le protezioni possibili per quello che stavamo per fare. Mi rivolse un’occhiata impaurita. Anzi, non impaurita: lo sguardo che incontrai in quel momento era di puro terrore. Lentamente, a causa dell’imbracatura ingombrante, avanzai qualche passo verso di lui e gli carezzai una guancia.
-Andiamo Lou, cosa c’è che non va? E’ normale avere paura, ma stai tranquillo che appena ci lanceremo ti passerà.-
-No Harry, non è vero. A me.. Harry, io soffro di vertigini. Ecco, l’ho detto.-
Lo guardai sconvolto. In tanti anni che ci conoscevamo non me n’ero mai accorto. Ma in quel momento quella mia mancanza non era la cosa più importante. –E allora perché sei qui, a più di 800 metri d’altezza, in procinto di buttarti giù?- lo rimproverai.
-Per te.- Mi rispose semplicemente, con una schiettezza e una naturalezza che mi lasciarono basito per un attimo.
-Avrei potuto farlo da solo Lou, non voglio che ti prenda un infarto solo per farmi felice.- mormorai, a metà tra il meravigliato e il triste.
-Ti ho promesso che avremmo fatto tutto ciò che c’è nella lista insieme, e così sarà.- ribattè. Assunse un’espressione pensierosa, poi disse, con un sorriso a 32 denti: -Salti tu, salto io, ricordi?-
Lo guardai, cercando di capire il senso di questa sua affermazione. Quando finalmente ricordai dove l’avevo già sentita, scoppiai a ridere così forte che grosse lacrime scesero sulle mie guance. Mi piegai in due a causa di una fitta al fianco e continuai a sghignazzare, accompagnato dalla risata cristallina di Louis. Tra le risate riuscii a dire: -Lou, sei un coglione.- Louis per tutta risposta rise ancora più forte, provocando accenni di risatine anche ai due ragazzi che prima ci avevano aiutato ad indossare l’imbracatura.
Diversi minuti dopo, quando finalmente riuscimmo a riprendere il controllo, mi alzai da terra e, asciugandomi le lacrime, chiesi a Louis: -Pronto?-
-Mica tanto, ma prima lo facciamo, meglio è.- fu la sua risposta.
Sorrisi, poi, lentamente, mi affacciai dalla piccola pedana da cui ci saremmo buttati tra poco. Tutto sembrava così piccolo da lassù.. Si vedeva tutta Dubai, era uno spettacolo bellissimo. La città di notte, forse, era anche più bella che di giorno, così illuminata.
Distolsi lo sguardo da quello spettacolo mozzafiato per rivolgerlo a uno ancora più bello. Aspettate, cosa avevo appena pensato di Louis?! No no, sarà l’adrenalina, è il mio migliore amico, non mi può piacere.. Comunque sia ora non è né il luogo né il momento adatto per pensarci. Cercai di scacciare dalla mente quei pensieri strani e rivolsi uno sguardo a Louis, che tremava leggermente.
Mi avvicinai gli presi la mano. –Insieme?- gli chiesi, stringendola.
Strinse più forte la presa, mi guardò negli occhi e annuì. –Insieme.-
Chiesi il permesso di saltare ai due ragazzi che erano con noi e, quando ci fu accordato, sussurrai:  -Al mio tre allora.-
-Okay.- disse, la voce leggermente rotta.
-Uno, due..-
-Tre.- Sussurrò Louis al mio posto.
Spiccai un salto e mi lanciai nel vuoto, senza lasciare la mano di Louis. Sentivo l’aria schiacciarmi, facevo fatica anche a respirare, ma la sensazione di libertà che provai fu bellissima. Per quei 15 secondi di caduta libera non riuscii a trattenere un urlo di eccitazione, che sentivo in gola.  Strinsi la mano di Louis ancora più forte, mentre vedevo la terra diventare sempre più grande man mano che ci avvicinavamo. Neanche quando toccammo di nuovo terra, aiutati da due ragazze, lasciai la presa. Appena fummo stabili e liberi dai cavi di protezione, sentii la mano di Louis sfuggire alla mia presa e ancorarsi alla mia spalla. –DI NUOVO HARRY, FACCIAMOLO DI NUOVO!- mi urlò in un orecchio.
Un sorriso si fece spazio sul mio volto mentre mi districavo dalla sua morsa. –Non urlare coglione! E poi, non soffrivi di vertigini tu?-
-Si, ma che posso farci, è bellissimo lanciarsi nel vuoto!-
Louis era entusiasta, non l’avevo mai visto così emozionato per qualcosa. Anch’io morivo dalla voglia di rifarlo e di riprovare l’ebbrezza e la sensazione di libertà del lanciarsi nel vuoto, così chiesi alla ragazza vicino a me se era possibile rifarlo, e, quando lei ci diede una risposta affermativa, ci fiondammo per le scale pronti a rifarlo. Per la seconda volta nel giro di 10 minuti ci lanciammo dal Burj Khalifa, e per la seconda volta lo facemmo tenendoci per mano.
Alla fine ci lanciammo anche una terza e ultima volta, poi, a causa dei miei capogiri ma non solo, smettemmo.
Dopo aver ringraziato tutti e aver chiamato un taxi, tornammo in albergo. Louis era preoccupato per le mie condizioni, nonostante continuassi a ripetergli che stavo bene, che era solo un po’ di mal di testa, e solo quando gli promisi di prendere un’aspirina si calmò un po’.
Arrivati in camera, senza neanche svestirmi mi lanciai a peso morto sul letto, invitando Louis a sdraiarsi vicino a me. In pochi secondi mi fu accanto e mi avvolse nelle sue braccia, facendomi posare la testa nell’incavo del suo collo. Rimanemmo molto tempo così, in un piacevole silenzio, prima che Louis si alzasse e si dirigesse verso la valigia, porgendomi, oltre alle solite pillole che dovevo prendere, anche un’aspirina. Presi tutto per non farlo preoccupare, poi parlai. –Grazie Lou, di tutto.- dissi sincero.
Louis sorrise, per poi abbracciarmi di nuovo e dire: -Non devi ringraziarmi, lo faccio con piacere.-
Ricambiai la stretta. -Non sembravi così contento prima di lanciarci per la prima volta .- Ghignai.
 -Ma poi lo sono stato, no? Ed è stata una cosa positiva se ora non ho più le vertigini. E’ tutto grazie a te. Sono io che devo ringraziarti.- strinse la presa e io non potei far altro se non abbracciarlo a mia volta cercando di non piangere. Fu solo quando mi convinsi che non avrei pianto che mi staccai.  –Ora possiamo cancellare una cosa dal nostro elenco.- dissi sorridendo.
Louis sorrise di rimando e prese la lista da sopra al tavolino, insieme ad una penna.
-Già, allora cancelliamo questo punto.-
“Bunjee Jumping” √ FATTO.







Ciaoo! c:
Ecco qui un altro capitolo, tutto per voi. lol
E' abbastanza corto ma a me piace. 
Spero piaccia anche a voi. Alla prossima! :)

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Capitolo 6
*** Tokio. ***


Una settimana era passata e io e Louis ci apprestavamo a lasciare Dubai. Era stata la settimana più divertente della mia vita e sinceramente un po’ mi dispiaceva andarmene, con la consapevolezza che non avrei potuto più tornarci.
-Allora riccio, ora dove vuoi andare?- La voce di Louis mi riscosse dai miei pensieri. Ci pensai a lungo prima di rispondere. –Tokio.-
Louis sorrise. –E Tokio sia.-
 
Due giorni dopo prendemmo l’aereo che ci portò in Giappone. Il primo giorno lo passammo in albergo, troppo stanchi per fare qualunque altra cosa. Il secondo andammo al tempio buddista, un esempio lampante di architettura giapponese. Era davvero bello, e ne approfittammo anche per rilassarci e comprare dei souvenir lì vicino.
Il terzo giorno ci dedicammo alla visita della città. Tra grattacieli immensi e piccole casette, sembrava di vivere in un altro universo.
-Mi sono innamorato di questa città.- dissi a Louis quel giorno.
-Anche io Haz. E’ davvero un bel posto, ma non credo riuscirei a viverci. Troppo caotica.-
-Forse hai ragione.- concordai.
 
Il giorno dopo decidemmo di visitare una redazione di manga. Io li adoravo e ne leggevo sempre, di tutti i tipi. Era l’unica cosa che leggevo a dire la verità.
Un ragazzo gentile con un forte accento giapponese ci accompagnò lungo il nostro percorso, spiegandoci, con uno stentato inglese, le varie fasi della creazione di un manga. Rimasi incantato per quasi un’ora a guardare una ragazza che disegnava, era davvero brava e le sue linee erano sicure e precise; finché lei alzò la testa e mi sorrise, facendo segno di avvicinarmi. Mi sedetti incerto accanto a lei ed ella mi prese la mano, per poi farmi impugnare la penna e iniziare a disegnare, guidato da lei. Disegnammo almeno una decina di vignette, prima che fossi costretto ad andarmene. Ringraziai la ragazza e andai via, continuando il piccolo tour nella redazione.
La sera, in hotel, Louis si distese accanto a me dicendo: -Sono sfinito.-
Risi, accarezzandogli i capelli. –Povero piccolo!- esclamai. –Dai, dormi allora.-
Louis emise un mugugno soddisfatto, abbandonandosi alle mie carezze, finché non si addormentò. A quel punto, crollai sfinito anche io, la mano ancora tra i suoi capelli.
 
Passammo i successivi cinque giorni in giro per Tokio. C’era qualcosa di diverso nel nostro rapporto da quella volta che facemmo bunjee jumping, me ne stavo rendendo conto, solo che non capivo cosa.
L’ultima sera della nostra permanenza in Giappone andammo in un ristorante giapponese a mangiare sushi. Entrammo e subito venimmo accolti da due ragazze in kimono che ci salutarono con un inchino, a cui noi rispondemmo impacciati, che ci guidarono lungo un tavolo appartato. Prendemmo posto e, dopo qualche minuto, ordinammo due tipi di sushi e altre specialità nipponiche.
Quando arrivarono le nostre pietanze, iniziammo a mangiare velocemente. Era tutto delizioso.
-Me lo fai assaggiare?- chiese Louis alludendo al Takoyaki, una polpettina di polpo buonissima.
Annuii e gli porsi la mia forchetta (avevamo notato subito che i bastoncini non erano il nostro forte). Lui portò la bocca a mordere la polpettina e annuì in assenso. –Buona.- disse, con la bocca ancora piena.
Sorrisi, mentre prendevo la sua mano che reggeva un Tayaki e ne davo un morso. Era ottimo, notai.
 
Passammo gran parte di ciò che restava della cena ad imboccarci a vicenda, provando di tutto.
Tornati in albergo, sazi e soddisfatti, ci fermammo a pensare a questa tappa del nostro viaggio.
-Mi è piaciuta molto Tokio.- mormorai, appoggiando la testa sulla spalla di Louis.
Lui, quasi come fosse automatico, mi passò un braccio intorno alle spalle attirandomi a sé. –Anche a me.- acconsentì.
Sospirai, accoccolandomi meglio sul mio migliore amico. –Domani andiamo a Sydney, sei d’accordo?-
Non riuscii a vederlo data la mia posizione, ma sentii il sorriso sulle sue labbra dal tono in cui parlò. –Tutto quello che vuoi, piccolo.-
Contento, passai le braccia intorno alla vita di Louis e me lo tirai contro, chiudendo gli occhi e addormentandomi quasi all’istante, rassicurato della sua presenza. 






Parto col dire: scusate il ritardo! Ero in vacanza e non avevo il computer, sono tornata soltanto ieri.
Comunque, questo capitolo è orrendo, di una lunghezza imbarazzante ed estremamente noioso. Mi scuso di nuovo, il prossimo sarà migliore, promesso!
Alla prossima, spero. :)

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