1.
Was it love or fear of the cold?
«Signorina
Fabray, siamo lieti che lei abbia accettato il
nostro invito. »
Santana
sospira, le dita che scivolano sulla maniglia e
il cuore che le batte talmente forte che lo sente nella gola.
“Devi
entrare, Santana. Non
puoi rimanere qui per sempre” si dice, rimuginando sulla
possibilità di fingere
un malore e tornare a casa. Ma rivederla dopo tutto quel tempo
è una
prospettiva così allettante.
Allettante
quanto paurosa. Santana non ha idea di come
Quinn potrebbe reagire, a quell’incontro.
La
mano spinge verso il basso e con un’ultima occhiata al
corridoio decide di entrare.
La
prima cosa che vede è l’ampio sorriso si Arthur,
dietro la sua scrivania con in mano una pila di fogli che Santana
immagina
siano le clausole per un eventuale contratto.
«Oh,
Santana, eccoti. Signorina Fabray, mi piacerebbe
presentarle il migliore degli avvocati della mia società.
Santana Lopez. »
Quinn
le da le spalle, ma Santana può comunque vedere la
sua spalla irrigidirsi leggermente. Fa qualche passo avanti, gli occhi
socchiusi. Il tempo che le sembra andare a rallentatore come in uno di
quegli
odiosi film da quattro soldi che passano in televisione durante i
periodi
natalizi.
Quando
si gira, Santana non può fare a meno di constatare
che è perfetta.
Ha
i capelli corti e leggermente disordinati, come
durante il loro ultimo anno di liceo. Se lo ricorda ancora, quel
giorno, quando
Brittany aveva proposto un taglio di capelli per farla distrarre dalle
sue
delusioni d’amore.
Sia
dannato Finn.
Le
labbra rosee, un leggero ghigno che le inclina verso
l’alto. Gli occhi verdi dietro un paio di occhiali da vista.
Un leggero
vestitino addosso. Lei e i suoi dannati vestitini.
Poi
succede qualcosa che Santana fatica a capire.
Quinn
allunga una mano verso di lei e sorride.
«Piacere
signorina Lopez. Io sono Quinn Fabray. »
Santana
rimane per qualche secondo a fissare la pelle
chiara delle dita di Quinn tese verso di lei. Sente lo sguardo di
Arthur su di
sé e si schiarisce la voce. E’ un movimento
meccanico, il suo.
Le
mani si sfiorano. Poi si stringono. Santana scatta
all’indietro, ritirandola quasi istantaneamente.
«Piacere
mio, signorina Fabray. »
***
L’ora
successiva della vita di Santana le sembra una
puntata di qualche telefilm sovrannaturale. Sembra quasi essere stata
catapultata in un’altra vita. Dove quello che è
successo tra lei e Quinn, in
realtà, non è mai successo e realmente si sono
conosciute solo quel giorno.
Quinn
continua a sorridere ad Arthur, annuendo ogni volta
che Santana le chiarisce un punto del contratto.
Le
domande arrivano puntuali e puntigliose. Santana
sembra quasi essersi staccata dal suo corpo. Ma quello è il
suo lavoro. E Quinn
è solo un altro cliente.
Anche
se..
Quando
Quinn chiede ad Arthur un po’ di tempo per
decidere se accettare l’accordo, il capo di Santana sorride e
annuisce,
grattandosi con la mano il mento e complimentando l’altra per
il suo successo
nel campo della fotografia.
Quinn lo ringrazia e Santana vede qualcosa in lei. Qualcosa che le
ricorda
dolorosamente la fierezza che aveva negli occhi quel giorno di tanti
anni
prima.
Quinn
le stringe la mano quando si congeda e Santana
vorrebbe urlare e chiederle che diavolo sta facendo. Ma non
può. Quantomeno non
davanti al suo capo.
«Mi
sembra un bel tipo. »
La
voce di Arthur la riporta alla realtà.
Santana annuisce, distratta e il suo capo la
congeda, ricordandole un paio di casi che dovranno risolvere entro la
settimana.
Santana
lo rassicura e poi esce, il cuore che sembra
volerle uscire dal petto.
Il
vestito di Quinn ondeggia nel corridoio, fermandosi
davanti all’ascensore.
Lo
scatto di Santana è istintivo. Arriva alle porte
dell’ascensore prima che possano chiudersi e si getta dentro
col fiato corto.
Quinn
la guarda, quel dannato sopracciglio sparato in
alto e l’espressione curiosa e infastidita allo stesso tempo.
Quando le porte
si chiudono, Santana si poggia alla sbarra di metallo sul lato della
cabina e
respira lentamente.
«Sta
bene, signorina Lopez? »
COSA?
Santana
alza gli occhi, studiando l’espressione della
ragazza di fronte a lei.
«A
che gioco stai giocando? »
Le
parole le escono dalla bocca prima che possa pensare a
qualsiasi modo per fermarle. Quello è sempre stato
l’effetto di Quinn su di
lei. Le gioca brutti scherzi alla ragione.
Quinn
sorride. O meglio ghigna. Un sorriso che fa
rabbrividire Santana. Poi le sue spalle si abbassano e gli occhi si
fissano in
quelli neri di Santana.
«Ciao
San.. »
La
sua voce è talmente flebile che Santana pensa di
esserselo immaginato, quel saluto.
«Quinn
io-»
Quinn
scuote la testa. Le mani che stringono la borsa in
maniera quasi dolorosa.
«Se
sei preoccupata per il contratto, non esserlo. Lo
firmerò. Non sono stupida. Questa è una delle
società migliori di New York e il
contratto è praticamente un affare per me. Mi piace solo
tenervi un
po’ sulle spine. Anche se immagino che non
appena tornerai in ufficio andrai a dirlo al tuo capo. »
Santana
apre la bocca un paio di volte per risponderle ma
le parole sembrano essersi cristallizzate nella gola. Il viso di Quinn
è
leggermente inclinato, la bocca sciolta in un sorriso. Si schiarisce la
voce e
tenta una risposta.
«Non
era- non volevo parlarti di quello. »
Quinn
si acciglia, fissando i numeri sul display
dell’ascensore.
«Non
abbiamo nient’altro da dirci, mi pare. »
«Quinn-»
«Torna
a lavoro Santana. »
Prima
di avere la possibilità di rispondere, le porte si
aprono e Quinn si fionda fuori, lasciando Santana immobile al centro
della
cabina.
L’ultima
immagine che Santana ha di lei è la sua gonna
che svolazza attorno alle sue gambe che la portano a passo svelto fuori
dall’edificio.
***
«E
quindi è andata via così? Senza dire altro?
»
Santana
rotea gli occhi e butta giù l’ultimo sorso di
birra nel bicchiere. I gomiti poggiati sul bancone di legno e lo
sguardo perso
tra le mille bottiglie dello scaffale di fronte a sé.
«Quale
parte di “Non voglio parlarne, Sebastian” non hai
capito? E comunque non dovresti essere col tuo ragazzo a fare compere
per la
vostra nuova casa? »
Sebastian
schiocca la lingua, arricciando le labbra.
«Mio
marito» la appunta «è
a lavoro. Isabelle ha telefonato stamattina
scusandosi di averlo disturbato nel suo giorno libero, in
realtà doveva
scusarsi di averlo disturbato in molto altro»
Santana
sbarra gli occhi, inorridita.
«Niente
dettagli, risparmiami almeno questo»
Sebastian
ridacchia sorseggiando il suo bicchiere di
vino.
«Comunque,
è dovuto andare via. E non è ancora
tornato» Sbuffa,
un piccolo broncio disegnato sulle labbra sottili. Santana non
può fare a meno
di trovarlo adorabile, anche se sa perfettamente che è solo
una facciata.
Eppure, Sebastian si è guadagnato la sua fiducia, durante
gli anni. La sua
relazione con Kurt l’ha portato sempre più spesso
a New York, fino a quando Santana
non ha potuto fare altro che accettare di vederlo girovagare dentro
casa quasi
tutti i giorni.
Sente
Sebastian sgranocchiare le patatine, osservando i
clienti nel locale.
«Puoi
masticare a bocca chiusa, Smythe? Prima che ti
infili queste cannucce nel naso e ci giochi a shangai? »
Sebastian
sorride. Un sorriso mellifluo e accomodante che
a Santana mette i brividi.
«Qualcuno
è nervoso. » Mormora.
«Qualcuno
dovrebbe farsi i fatti suoi» Sibila in risposta
Santana.
Un
leggero colpo di tosse li distrae.
Puck
è dietro il bancone che li osserva con uno sguardo
accusatore. Le braccia incrociate e il grembiule di traverso sulla
spalla.
«Sapete,
i vostri continui battibecchi sarebbero
accettabili se voi pagaste effettivamente tutto quello che bevete.
»
Sia
Sebastian che Santana aprono la bocca, indignati.
«Ma
se siamo i tuoi migliori clienti. »
Puck
punta un dito verso entrambi e assottiglia la voce.
«Smettetela
di fare i bambini. »
Sebastian
si lamenta, muovendosi in maniera scomposta
sulla sedia. Santana si limita a fissare il suo migliore amico, alzando
le
spalle. Puck la osserva. Ha i capelli rasati, Santana ce l’ha
fatta alla fine,
a fargli tagliare via quel gatto morto che si ritrovava in testa.
E’
cresciuto, Puck. Paradossalmente più di tutti
loro. Il suo bar
è diventato uno dei più
rinomati di New York e loro non perdono mai occasione di andare a
trovarlo,
quando i loro lavori gli lasciano il tempo necessario.
«E’
colpa di Santana. E’ nervosa per via di Quinn. »
La
testa della ragazza si gira talmente in fretta a
fissarlo, che Sebastian può giurare che sia un miracolo che
non le si sia
staccata dal collo. Abbassa lo sguardo e Santana sa che si sente in
colpa. Non
ne ha parlato con Puck, non ancora.
«Oh.
»
“OH”?
Pensa Santana “Che diavolo significa OH?”
OH.
La
realizzazione le fa spalancare gli occhi.
«Aspetta
un attimo, TU LO SAPEVI? »
Puck
si ritrae lentamente , fino a toccare con la schiena
lo scaffale dietro di lui. Lo sguardo negli occhi di Santana non
promette
niente di buono e negli anni ha imparato come affrontare certe tempeste.
Sebastian
li guarda entrambi e si mette in piedi.
«Io
direi che vado a cambiare l’acqua alle olive»
Santana
geme, fissandolo.
«Ma
perché devi essere sempre così idiota?
» Ringhia.
Sebastian
scrolla le spalle e le bacia la fronte.
«Perché
mi ami così come sono Lopez. »
Sinuoso
come un gatto si allontana lasciandoli da soli.
Santana riporta lo sguardo su Puck, intento a preparare un paio di
drink da
servire a uno dei tavoli alle loro spalle.
«Da
quanto lo sai? » Chiede. La voce ridotta ad un
sussurro rauco.
«Da
qualche giorno. Mi ha chiesto se potevamo andare a
trovare Beth una volta che fosse atterrata a New York. »
Santana
annuisce. Doveva aspettarselo. Una fitta di
gelosia le attraversa lo stomaco. Sa che è infantile e
stupido, ma quel legame che
intercorre tra il suo migliore amico e Quinn la infastidisce.
Perché è un
legame difficile da spezzare, un figlio.
«San
lo so che avrei dovuto dirtelo, ma mi ha chiesto di
non farlo. »
Santana
si morde le labbra. Gli occhi che si riempiono di
lacrime.
«Avete
parlato? »
La
ragazza scuote la testa, fissando il fondo vuoto del
suo bicchiere.
«Non
me ne ha dato la possibilità. »
Puck
aggrotta le sopracciglia.
«E
da quando Santana Lopez aspetta che siano gli altri a
darle una possibilità? » Chiede, confuso.
Santana
ride e batte il bicchiere di vetro sul legno.
«Mi
dai un’altra birra o no? »
***
«Santana?
»
La
voce di Quinn viene fuori alta e stridula. Ha gli
occhi spalancati mentre si tiene alla maniglia della porta. Santana la
fissa
con la sua solita aria strafottente. O almeno ci prova. Prova a
mascherare il
sudore sulle mani, o il tremolio delle sue gambe.
«Ciao.
»
Si
guarda intorno. Quinn non si muove. E non sembra
volerlo fare.
Quella
è stata sicuramente una cattiva idea.
Maledetto
Puck e i suoi maledetti consigli.
«Vuoi
dare spettacolo al pianerottolo o mi fai entrare,
Q? »
Quel
nomignolo suona talmente familiare e tenero che
entrambe non possono fare a meno di sorridere. Quinn si risveglia dal
torpore,
accostandosi e permettendole di entrare.
Casa
sua è esattamente come Santana se l’era
immaginata.
Piena di libri e fotografie. Piccola e accogliente. E così
ordinata che Santana
stenta quasi a credere che lì dentro ci viva effettivamente
qualcuno.
«Come
mi hai trovata? »
Alza
le spalle, osservando le fotografie alle pareti.
«Faccio
l’avvocato Q, ho i miei informatori. »
Non
la vede, ma capisce che Quinn sta sorridendo.
«Vuoi
qualcosa da bere? Niente di alcolico però, quello
mi pare che tu l’abbia già bevuto. »
Santana
inarca le sopracciglia.
«Solo
un po’ di coraggio liquido. Non sono ubriaca, se è
questo che ti spaventa» Risponde, la mano che sfiora i bordi
di una cornice appesa
alla parete. Il soggiorno di Quinn è poco illuminato e non
estremamente grande.
Ci sono solo un paio di poltrone e un divano, di fronte al quale
è sistemato un
televisore , incastonato nell’enorme libreria sulla parete.
«Coraggio
per fare cosa? »
Lo
sa. Certo che lo sa. Quinn l’ha sempre saputo.
«Per
chiederti scusa»
Il
sospiro di Quinn è talmente greve che Santana sente il
petto stringersi in una morsa dolorosa.
«Ascolta,
mi dispiace va bene? Lo so che sono passati sei
anni e ho mandato tutto a puttane ma mi dispiace Q. Ero spaventata. Mi
stavo
innamorando di te ed è successo tutto così in
fretta. »
Le
parole sembrano uscirle di bocca in un unico fiato.
«E
Brittany mi aveva lasciato solo da pochi mesi. E se la
distanza aveva rotto il nostro rapporto, cosa poteva fare a me e a te
che ci
siamo prese a schiaffi praticamente da sempre? Dovevo scegliere Q e
farlo in
fretta. E tentare mi spaventava talmente tanto che ho preferito mollare
tutto.
Ma mi dispiace. Ho sbagliato. »
Gli
occhi di Quinn sono rossi e lucidi. La voce di
Santana flebile e spezzata.
Sono
ai lati opposti della stanza, eppure, Santana non l’ha
mai sentita così vicina.
«Sei
anni Santana. Ho dovuto aspettare sei anni per
sentirtelo dire. »
Poi
qualcosa si spezza. Quella bolla scoppia non appena
il rumore di una chiave nella toppa non si fa spazio in quel silenzio
rassicurante.
Santana
volta lo sguardo. Un ragazzo alto e dai
lineamenti marcati entra in casa. Una camicia a quadri e un sorriso
sulle
labbra.
Solo
allora Santana nota la piccola fascetta d’oro
all’anulare
della mano sinistra di Quinn.
E
quando realizza è ormai già troppo tardi. Quinn
sta
parlando.
«Ehi
Ted. Questa è Santana, il mio avvocato. Santana,
questo è Ted, mio marito.»
Angolo
degli alcolisti anonimi.
Mi
chiedevo, no, si può pubblicare a distanza di tre
giorni? Poi mi sono detta, massì, chissene frega, tanto la
storia è quasi già
tutta scritta. Che cosa devo aspettare, la manna dal cielo?
AH, E IO VI RINGRAZIO TUTTI PERCHE’ SIETE DELLE PERSONE
MEGLIO. Sapevatelo. Mi
esplode il cuore per tutto il seguito e i complimenti per la storia.
Siete
tutti troppo buoni. *scuoricina A LOT*
E uhm, che altro devo dirvi? Ah, si. NON ODIATEMI VI PREGO VI SUPPLICO.
E non odiate
nemmeno Ted *lo pettina*
E basta, spero che tutto ciò abbia senso. E se non ce
l’ha ditelo liberamente.
Sarebbe strano il contrario u_u
Perdonate eventuali errori /o\ ho letto e riletto e spero non sia
sfuggito
nulla, in caso fustigatemi a sangue.
VI SCUORICINO AGAIN E VI RINGRAZIO. <3
PS: Il kurtbastian non so da dove sia saltato fuori. Però platonicamente mi garba molto, ecco. Don't look at me like that. TEARS.
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