Tra le mura delle condanne.

di Virginia Of Asgard
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - le visioni ***
Capitolo 2: *** Who Are John e Jonatan, Erin sure Don't Know. ***



Capitolo 1
*** I - le visioni ***


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Erin Bridget Bishop.
Capitolo I


L’estate era ora mai agli sgoccioli. Dalla morte Rita, nessuno aveva più avuto notizie della giovane Erin Bishop.
Erano passati due lunghi anni, nel qual frattempo Erin s’era trasferita con la famiglia (la madre e la nonna) in Ungheria, per una capricciosa esigenza della diciassettenne: odiava Dooms Village[1], a partire dal nome, ed a finire con le montagne e la troppa, maledetta “pace” che l’invadeva innoqua, senza mostrare la doppia faccia di quell’orrenda città, piena di ripugnanti persone dai mille pregiudizzi; ricolma di gente impicciona che non sapeva tenere un solo segreto dentro di se, piena di spazzatura; della quale Erin, si sarebbe volentieri sbarazzata.
Ma ora si trovava nella situazione ricorrente di dovervi fare ritorno.
«Erin, per favore, fa almeno un piccolo sorrisetto, suvvia!» l’incitò Claudia, la giovane madre prematuramente vedova.
«Dovevamo perforza tornarci, in quella merda di paese?» domandò acida la ragazza, che dentro di se, nurtiva un gran cocktail di odio e disprezzo verso il genere umano, che popolava Dooms Village. L’unico lato positivo era che la sua casa, era estraniata dal Destiny Woodland (nome al quanto insolito, rispetto al nome del villaggio) , il piccolo boschetto che andava crescendo, verso la cima del monte sulla quale era sorta quell’orrenda cittadina, frivola ed insignificante.
«Modera il linguaggio, ragazzina! E, dunque, vedi di comportarti bene con i nuovi vicini!» Repplicò la madre.
Erin fece cadere lo scatolone che aveva in mano, causando il rovesciamento istantaneo di tutti gli oggetti ed oggettini al suo interno. «Vicini?» domandò perplessa. La sua casetta nel bosco non aveva alcun vicino. Com’era possibile, qualcuno aveva occupato il castello Nero? Quale anima stupida ed ingenuamente sciocca, avrebbe mai comprato quel lotto di terra maledetto? Andiamo! Il giardino era occupato da un centenario cimitero di famiglia! Com’era possibile che qualcuno fosse stato tanto macabro, da avere le palle di infilarsi in quel castello, e di viverci come nulla fosse?
«Esattamente, hanno venduto il castello nero» disse la madre, intenta a raccogliere le cianfrusaglierie che quella stupida diciassettenne aveva gettato a terra.
«Ottimo! I nostri vicini Vampiri avranno sicuramente gradito, la vista Necrofila che dà il castello. Ammenoché non se li vogliano mangiare, quei poveri defunti!» fece del sarcasmo, come al suo solito, ma la madre non la badò troppo. ‘ sono gli ormoni, Claudia!’ si disse tra sé e sé.
***
La macchina saltellava e faceva un rumore dannatamente fastidioso ed irritante, ma nonstante tutto Erin era calata in un sonno profondo. Mancavano ora mai pochi minuti – il tempo di risalire il monte – all’arrivo nell’odiata destinazione. Nonnina fissava il vuoto fuori dalla finestra, non osò proferir parola. Le labbra erano strette in una smorfia di disappunto, che dipingeva puntualmente quello sguardo perso dall’Alzheimer galoppante, ed i capelli brizzolati erano raccolti da una disordinata coda. La collana di denti di Volpe continuava a tintinnare sul suo collo, ed i piccoli occhietti asiatici si erano fatti gialli e scuri. Nonnina era una donna di origini Nativo-Americane; La sua famiglia discendeva dalle prime tribù che erano state condannate dalla Nuova Inghilterra che aveva colonizzato quella che un tempo era casa dei nativi.
Un dosso troppo alto fece sobbalzare la giovane Erin, che si trovò in un attimo, poggiata pigramente sul finestrino, a fissare i boschi che correvano sotto i suoi occhi.
Per un attimo le parve addirittura di intravedere una figura, fra i rami e gli alberi in movimento. No! Non le era parso! C’era davvero qualcuno!
Qualcuno di davvero insolito. Qualcuno che aveva già visto e rivisto per anni ed anni. Una ragazza, avrà avuto sui diciassette anni, i capelli erano neri e lunghi, ondulati e morbidi, cadevano sulle clavicole; due profondi occhi blu, labbra rosse e carnose, ed un volto velato dalle lentiggini.
Erin deglutì, e spalancò gli occhi terrorizzata. Quella ragazza, tra le foreste era niente meno che…Erin Bridget Bishop.
«Mamma!» Gridò terrorizzata ed in preda al panico. «Frena!», continuò urlando. La madre obbedì senza domandare nulla, e frenò di colpo.
La ragazza aprì la portiera dell’auto e corse, corse verso quella ragazza che tanto le somigliava, se non fosse per gli abiti lievemente…seicenteschi.
La figura la fissava, con un mezzo sorrisetto enigmatico, un sorriso che appariva quasi come un ghigno. Immaginatevi il voltro perso della Giconda di Leonardo: ecco come la guardava.
Ecco come si guardava.
Le grida ed i richiami di sua madre non servirono a distogliere Erin dal suo percorso.
La figura scomparve fra i rami, seguita da un’insolita nebbia per nulla usuale.
«Hey!!» gridò la ragazza, tentando di richiamare la donna; «Hey dove diavolo sei andata?» la richiamò nuovamente, ma nulla. Era come…scomparsa; scomparsa nel nulla.
Tra i rami ed i tronchi, le foglie ed i licheni apparvero delle rovine antiche, forse Eri s’era spinta troppo in la. La ragazza si girò: poteva ancora tenere sott’occhio la macchina nera di sua madre; non si era ancora persa. Certo si era spinta ben oltre il dovuto, ma non si era persa.
“Erin” una voce chiamò il suo nome tutt’un tratto. La ragazza si voltò, ma non vide nessuno. Scosse la testa, sel’era immaginato, questa volta.
“Erin Bishop!” la voce la chiamò fermamente ed autorevolmente. «Ma che diavolo…?» mormorò la giovante, tra sé e sé. Una figura fuggiasca si proiettò velocemente fra le mura, così velocemente da impedirle di decifrarne i lineamenti.
Erin poggiò una mano su uno di quei massi in rovina, e senza accorgersene cadde velocemente in uno stato di Trance, davvero sospetto.
Vedeva delle donne, vecchie e raggrinzite, danzare mano nella mano attorno ad un fuoco. Dietro quelle donne appariva una cripta, una cripta che seguiva le forme delle rovine nella quale Eri si era ritrovata senza volerlo.
«Satana, nostro signore, il vero Dio, noi ti veneriamo!» gridò una, con voce stridula. «Mostratevi, sorelle!» ordinò sghignando e ridendo amaramente ed acidamente; allora tutte le vecchie si levarono le vesti, rimanerndo nude. Erin chiuse gli occhi, non voleva vedere certi orrori, ma le fu misteriosamente impedito. Nonostante avesse gli occhi chiusi, continuò a vedere quelle immagini di quelle vecchie che danzavano attorno al fuoco, nude e rugose.
«Fate venire avanti la strega!» esclamò dopo varie ed inquetanti preghiere, recitate al contrario, colei che sembrava a capo di tutto. «Strega!» esclamò una delle veecchie, ridendo di gusto; «Strega, ahahahahaha!» la seguirono in coro le altre, canzonando e deridendo la ragazza dai capelli neri e gli occhi azzurri, la stessa ragazza del bosco. Erin, se stessa, o chiunque diavolo fosse.
«Spogliati, Strega!» ordinò la meretrice a capo del gruppo.
La tenevano incatenata, la gemella strana di Erin, quella stramba copia che stava vedendo. Era incatenata e legata, ed aveva strani simboli lungo tutte le estensioni del corpo. Si denudò con difficoltà, impedita dai legamenti e le fastidiose corde.
«A te, oscuro signore offriamo, questa giovane donna innocente, avanti o potente Lucifero, stringi il tuo patto!» le fimme del suoco si alzarono all’istante ì, ed un zampillo di fuoco ne uscì briuciando lievemente la ragazza, che urlò per il dolore.
«Raccoglilo!» ordinò la vecchia nuda. «No, no!» si ribellò la giovane agitandosi. «Raccoglilo, ho detto!» le comandò picchiandola violentemente. La fece inginocchiare a terra, nuda su i sassi ed i detriti che la fecero sanguinare. «Raccoglilo.» ripetè la vecchia un’ultima volta, riferendosi al lapillo infuocato. La giovane simile ad Erin, si avvicinò, e tremante raccolse il piccolo fuocherello, che dopo aver ustionate le mani tremanti e sporche della giovane, si divulgò lascuando fra le sue mani un solo rotolo di pergamena. Apparentemente stupita, la giovane spalancò gli occhi, seguira dalle risa sadiche, delle vecchie sataniche.
Colei che ne stava a capo, la vecchia più brutta, dopo aver riso di gusto prese il palmo bruciato della mano della giovine, e lo tagliò brutalmente, facendola sanguinare, e gridare dal dolore.
«Perché a me?» domandò la ragazza, tra urla e pianti.
«Basta, brutte luride baldracche!» Gridò Erin, accorrendo in soccorso della giovane, ma nessuno si accorse della sua presenza. «Finitela di torturarla!»gridò, mentre vedeva la vacchia trascinare la povera mano della ragazza, infondo al lato destro del foglio, che bruciò all’istante, un attimo dopo essere stato firmato, col sangue.


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Note dell'autrice!
Salve a tutti, sono qui con la mia prima storia di genere Romantico/Soprannaturale, che non riguardi la sezione Beatles.
Non so che cosa ne penserete, neppure se recensirete o continuerete a seguire.
Fatto stà che io vi avverto: nulla, nella mia storia, accadrà per caso, e tra l'altro ho studiato molto, prima di iniziare a scrivere una storia che riguardasse l'argomento a me caro, della strage di Salem.
Spero continuerete a seguirmi, magari farò un ingesso decente, nel genre Romantico!

A bien tois,

Je vis pour elle_


[1] Paesino immaginaro, fra i monti del Massachusetts, inventato da me.

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Capitolo 2
*** Who Are John e Jonatan, Erin sure Don't Know. ***


        
A Destra Joseph Morgan As Jonathan Corwin; A Sinistra Johnny Depp As John Hathorne.

Capitolo II

«Erin!» Fu la voce terrorizzata della madre, a risvegliare la ragazza, che traumatizzata  si allontanò lentamente.
«andiamocene via!» sussurrò un po’ troppo enfaticamente. Claudia la fissò;  perché c’era qualcosa che non andava in sua figlia? Perché era così strana? Perché non aveva amici?
D'altronde si era sempre chiesta che diavolo avesse sbagliato con lei. Era forse stata l’assenza di un padre nella sua vita? Andiamo! Anche lei era cresciuta senza un padre, eppure era una donna normalissima! Una donna che si sfondava di lavoro dalla mattina alla sera, per mantenere Erin e sua suocera – quella vecchia pazza e mezza muta – eppure non aveva ricevuto nulla in cambio.
«La vita a volte è ingiusta…» commentò freddamente, mentre si faceva strada – seguita da Erin – per fare ritorno all’auto. Nessuno osò parlare di ciò che era appena successo, né Claudia decise di domandare che cosa diavolo avesse fatto sua figlia in quei dieci minuti tra i boschi. Era certa di non volerlo sapere.
In effetti sua madre aveva ragione, però non poteva dire che Erin fosse senza amici! Un’amica, in verità, l’aveva: Rita, la ragazza che si impiccò nella sua taverna, dopo una dura delusione d’amore.
In ogni caso l’auto era arrivata a destinazione, il camion degli immobili sarebbe arrivato poco più tardi. Nel frattempo in cui la madre e Nonnina si davano da fare con quei pochi – ma pesanti – scatoloni caricati nell’auto, Erin pensò bene di allontanarsi per fare un giretto nel bosco. Giusto per andare a spiare un po’, i nuovi, pazzi vicini di casa.
Il sentiero che divideva la sua modesta casa, dal gran Castello Nero, era piuttosto corto e semplice, se non fosse stato tutto, completamente, in pendenza verso l’alto. Un orrore di salita, ma si sa che la discesa talvolta è anche più faticosa e pericolosa della salita!
A pensarci bene, non aveva nemmeno una torta o un presente da portare con se, almeno una piccola scusa per presentarsi così, all’improvviso… senza alcuna scusante logica.
Lungo il piccolo cammino che stava seguendo, Erin s’imbatté senza volere, contro  una lapide fredda e marmorea.
«Oh scusa Mortimer, non volevo calpestarti!»
 
Il gran castello appariva trionfante, al disopra di quel colle costellato da anni ed anni di parentela defunta e putrida.
Davvero, Erin non riusciva proprio a capire quale diavolo di un pazzo, non si sarebbe sentito lievemente in soggezione, da quelle centinaia di pietre funebri!
Il campanello in ottone lucidato ( da poco ), mostrava due grandi lettere, seguite da un punto, e poi da un cognome.
Diceva precisamente: “J. Hathorne & J. Corwin”. Per un attimo, la ragazza, fu addirittura tentata nel suonare il campanello, giusto per curiosità, giusto per sapere chi aveva come vicino inquietante e macabro. Tutto qua. Ma non lo fece, al contrario si affrettò ad andarsene, tutte quelle lapidi erano davvero inquietanti!
Distrattamente e presa dalla fretta, Erin si trovò ad inciampare impacciatamente sul piede di qualcuno, cadendo a terra rovinosamente. Possibile che fosse incappata proprio nel cupo abitante del Castello?
La ragazza alzò il suo sguardo verso due iridi stranamente scure, impressionati e penetranti come lame d’acciaio, erano nere e buie come la notte, non riusciva nemmeno a distinguere la differenza fra l’iride e la pipilla! Erano due occhi piccoli, dal taglio lungo ed affusolato; L’uomo avrà avuto sulla trentina d’anni, biondo dai capelli lunghi e mossi, ed una lieve barba incolta a fior’ di pelle. Erin rabbrividì, era davvero un bell’uomo!
«Mi… mi scusi, signore…» balbettò da terra. Oh Mio Dio, era ancora spiaccicata a terra, dannazione!
«No, scusami tu, non ti avevo vista!» Esordì l’uomo, aiutandola ad alzarsi. Erin si schiarì la voce, imbarazzata «Hem…g-grazie» asserì confusa la ragazza, c’era stato qualcosa che era scattato dentro di lei, nonappena quel tizio le aveva stretto la mano. Una sottospecie di visione orrenda: una donna che bruciava viva, con una pesante maschera di ferro sul volto. La ragazza chiuse velocemente gli occhi, per evitare di incrociare lo sguardo con quell’uomo, o peggio, sfiorarlo nuovamente.
«Hey ragazzina, va tutto bene?» sentì la sua voce profonda, richiamarla ad aprire gli occhi. «Tutto bene, grazie. Ah, lei è il nuovo…”vicino”?» domandò in un attimo di pura lucidità mentale. Non voleva sembrare… “quella strana” per l’ennesima volta!
L’uomo sorrise porgendole la mano, «Jonathan Corwin, piacere!» asserì nel momento in cui Erin – timorosa – gli aveva stretto la mano.
«Erin Bishop, pi-piacere mio» disse la ragazza, levando velocemente la mano da quella stretta pericolosa.
All’udire quel nome, qualcosa scattò all’interno delle memorie del Giovane Jonathan Corwin. Quel cognome, stranamente non gli era poi così nuovo. Non gli restò altro che guardare la ragazza negli occhi – due grandi iridi color cielo in tempesta – e così poté rimembrare dove diavolo avesse mai sentito quel nome. In effetti non gli era mai sembrato poi così estraneo, quel volto.
***
Il giovane Corwin accorse alle sue stanze, dopo aver conosciuto la sua vicina di casa.
«John!» esclamò il ragazzo, chiamando più volte il suo coinquilino. «John, vieni, presto!»gridò, in modo da farsi sentire per bene.
«Diamine, Jonathan, che vuoi?» domandò  l’uomo dai capelli scuri – legati in una coda – ed una comoda tenuta da casa; «Tentavo di dormire, sai, è giorno!» ringhiò infastidito, e piuttosto innervosito.
«Taci e piantala di lamentarti, John! C’è una ragazza, una ragazza che ho conosciuto prima, per strada…» l’uomo non fece a tempo a concludere la sua fantomatica frase, che l’amico lo interruppe con l’intento di tornarsene a letto, a dormire; «te la vuoi scopare, molto bene, mi fa piacere, ora Buona Notte Jonathan.» esordì  John, tentando di tornare alle sue stanze. «Frena, Amico! Avrà meno di quindici anni! Ma non centra nulla, cazzo! Quello che voglio dirti è che si chiama Bishop, di cognome, ti dice nulla?!» asserì l’altro con pieno sarcasmo. Allora John si fermò, e spalancò gli occhi, e la bocca, formando una perfetta ‘O’ per lo stupore.
Si erano trasferiti li, al Dooms Village, dopo essersi accertati che, in effetti, quelle donne Sataniche si stavano ripopolando. Non era bastato, Trecentoventuno anni fa, uccidere tutte quelle Streghe, perché qualcuna di loro era comunque riuscita a dare alla luce un’erede donna, prima di bruciare, senza essere poi scoperta. Qualche bastarda come poteva essere stata quella Locandiera di Bridget Bishop! Quella lurida, Satanica puttana del Diavolo, era riuscita a dare al mondo un’altra infetta piaga del male! La rabbia e lo stupore di John si stavano miscelando in qualcosa di al più presto distruttivo.
«Mi vuoi dire che abbiamo trovato… una presunta antenata?» domandò John, più interessato alla questione. John non rispose, incerto.
«Un’altra servitrice di Satana» esclamò Jonathan, con una smorfia tra lo schifato ed il contrariato.
«Non ne siamo certi,  Jonathan. Non ne siamo per nulla certi!»  ribadì l’amico, contrariato dalla reazione forse troppo avventata dell’ex Reverendo John Hathorn.
«Ricomincia la caccia, finalmente!» esclamò John con una strana luce malefica negli occhi, una luce perversa e piena di piacere sadico, una luce che batteva dentro di lui; Non vedeva l’ora di ricominciare a vedere quei corpi bastardi, bruciare sotto le SUE fiamme ardenti.



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Angolo dell'autrice;
Ecco a voi presentati John e Jonathan, i due cacciatori di streghe, Che dire, John è il mio preferito, perché è cattivo, figo, ed interpretato da quel gran pezzo di bell'uomo di Johnny Depp, per cui, non saprei che dire se non, spero di avervi almeno un po' incuriositi ;)

A bien Toi,

Je vis pour elle_

 

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