I Miserabili

di BogartBacall
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gli Altri ***
Capitolo 2: *** Nero come la notte, viola come... ***
Capitolo 3: *** Tre ***
Capitolo 4: *** Ombre ***
Capitolo 5: *** Lei ***
Capitolo 6: *** Non ridiamo, non piangiamo, non amiamo come voi ***
Capitolo 7: *** Il rumore di chi sa tacere ***
Capitolo 8: *** Chi semina vento... ***
Capitolo 9: *** Tutto scorre ***
Capitolo 10: *** Nulla da vincere e niente da perdere ***
Capitolo 11: *** Era una notte buia e tempestosa ***
Capitolo 12: *** Dentro un pessimo romanzo ***
Capitolo 13: *** Scegliere ***
Capitolo 14: *** Come se fosse per sempre ***
Capitolo 15: *** Finte verità e mezze bugie ***
Capitolo 16: *** Non è tempo per noi ***
Capitolo 17: *** Tradito da un bacio ***
Capitolo 18: *** ... e la battaglia è appena iniziata ***
Capitolo 19: *** Attraverso la tempesta ***
Capitolo 20: *** Prendere ma soprattutto lasciare ***
Capitolo 21: *** Questioni in sospeso ***
Capitolo 22: *** Al mondo sono andato, dal mondo son tornato sempre vivo ***



Capitolo 1
*** Gli Altri ***


Gli Altri

Questa storia non ha eroi, questa storia parla degli altri, i reietti.

Chiusi dentro il vagone di un treno che li porta verso quello che, per la maggior parte di loro, è l'ultimo anno di scuola, ci sono i protagonisti di questa storia, ovvero quelli che tutti, giustamente o meno non sta a noi deciderlo, considerano gli antagonisti.

Sulla destra, isolato dal mondo, come sempre, troviamo il trio che si è guadagnato il titolo di versione verde-argento del trio delle meraviglie, quello Potter-Granger-Weasley.

Dal lato opposto dello scompartimento, c'è lei, la dama nera, occhi viola e capelli color della notte. Cuore di ghiaccio, capace di sciogliersi solo per una persona, guarda il trio con indifferenza: lei ha occhi solo per Lui, anche se ormai è troppo tardi.

Alle sue spalle, i due mastini, i fedeli servitori del Capo o, almeno, quello che negli anni precedenti avevano creduto fosse il più forte. Ora, solo un derelitto rifiuto della società.

Due file più avanti, c'è lei, l'outsider. Colei che nessuno considera, ma che avrà un ruolo chiave, anche se, in questo momento, ancora lo ignora.

Sono loro, i protagonisti di questa storia. Quelli che avrebbero tutto, per essere gli eroi: soldi, fama, ricchezza, talento... ma che, agli occhi dei più, sono solo i Miserabili.

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Capitolo 2
*** Nero come la notte, viola come... ***


Nero come la notte, viola come…

Viola. Era il colore dei suoi occhi. Strano, insolito, irriverente, esattamente come lei. Viola come il suo nome.
Nella cultura popolare il viola è il colore delle persone emotive, di coloro che vogliono essere accettati e piacere agli altri. Si dice che il viola stimoli il desiderio di avere un legame, sia fisico che emotivo, molto intenso con la persona amata.
Una volta ci avrebbe creduto. Solo qualche mese prima avrebbe dato retta a quella stupida leggenda popolare come se fosse un oracolo.

Era cresciuta, Pansy, durante quell’estate, o almeno così credeva. Più cinica, meno disillusa, non era più la ragazzina ingenua che si lasciava abbindolare da un paio di occhi grigi e dalle vanterie di uno spaccone viziato. No, quella Pansy non esisteva più. L’aveva dimostrato poco prima, salendo sul treno.
L’aveva visto, era impossibile non vederlo. Era come se i suoi occhi viola fossero attratti da quelli grigi di lui. Nessuno si era seduto al suo fianco, nessuno eccetto i soliti Tiger e Goyle. Fra coloro che avevano almeno un genitore fra i seguaci del Signore Oscuro, era considerato un inetto, un incapace, un codardo degno erede di suo padre. Per gli altri era un Mangiamorte, uno a cui guardare con sospetto, il rampollo di una dinastia la cui gloria era ormai giunta al capolinea. Per lei, era stato molto, ma ora non poteva più permettersi di apparire al suo fianco, non poteva macchiare la sua reputazione di giovane Purosangue rampante frequentando una persona così apertamente schierata dal lato oscuro, ma soprattutto non tollerava l’idea che il suo nome finisse accanto a quello di lui sulla lista dei falliti. Così, aveva volutamente ignorato il suo sguardo d’intesa, quello sguardo che per anni le aveva rivelato tutto di lui, senza bisogno di parlare. Aveva finto di non vederlo ed era andata oltre, sentendo il suo cuore sgonfiarsi, raggrinzirsi come quello di una vecchia zitella. Per la prima volta in sette anni, aveva ignorato il suo richiamo, sedendosi lontana da lui, fra gli sguardi sorpresi dei loro compagni di casa.

Non c’era stato granché, fra lei e Draco. Qualche bacio, molti meno di quelli che lei avrebbe desiderato. Prima, lui era troppo piccolo per interessarsi alle ragazze. Dopo, aveva cose più importanti a cui pensare.
Il loro primo, impacciatissimo bacio, se l’erano scambiati dopo il Ballo del Ceppo, al quarto anno. Un maldestro scontro di nasi, labbra che a malapena si erano sfiorate. Avevano tentato subito di rimediare, ma il risultato era stato piuttosto deludente. Se le avessero chiesto di definire con un aggettivo quell’esperienza, Pansy avrebbe scelto la parola “bagnaticcio”: a parte la sensazione di umido sulle sue labbra, ricordava davvero poco, se non il fatto che si erano quasi sentiti in dovere di baciarsi, perché tutti gli altri l’avevano fatto. C’erano stati altri baci, in seguito, decisamente più memorabili. Come quello all’inizio del quinto anno. Draco l’aveva trattenuta nello scompartimento del treno dopo che gli altri erano scesi e l’aveva letteralmente aggredita con un bacio mozzafiato, concludendolo con un ghigno beffardo.
“Direi che questo è un bacio degno di nota” aveva detto, allontanandosi da lei.
La sua felicità per quell’approccio inaspettato era stata, però, guastata dall’orribile dubbio che lui avesse fatto pratica con qualcun’altra, nel corso dell’estate. A distanza di anni, la risposta era ancora un mistero, per lei. Draco si era categoricamente rifiutato di rispondere, lasciandola crogiolare nella propria gelosia.
Il quinto anno era stato quello in cui più che mai erano stati vicini ad essere una vera coppia. Complici le ronde di guardia da prefetti e le spedizioni punitive della squadra d’inquisizione, si erano trovati spesso soli, finendo spesso con le labbra incollate le une a quelle dell’altro. A parte quello, non c’era stato altro. Solo baci, fra loro, nonostante quello che si raccontava in giro, voci che lui stesso alimentava con sorrisi sornioni in risposta alle battutine a doppio senso, e che lei non aveva mai smentito, pur di compiacerlo. Pensassero tutti quel diavolo che volevano, a lei importava solo quel che pensava Draco. E quel che Draco pensava era in netto contrasto con le voci di corridoio. Già, perché più di una volta lei aveva tentato di fargli capire che avrebbe potuto avere di più, se solo avesse voluto. Più di una volta aveva guidato le mani di lui lungo il suo corpo, più volte aveva cercato di insinuarsi sotto i suoi abiti… Ma ogni volta, la reazione era stata la stessa: lui che interrompeva bruscamente ogni contatto, allontanandola in malo modo.
Allo stato attuale delle cose gliene fu infinitamente grata. Se solo lui avesse assecondato i suoi istinti di ragazzina in calore, ora si sarebbe ritrovata irrimediabilmente pentita di essere stata tanto avventata. Già si immaginava l’espressione di disgusto del suo futuro, altolocato marito Purosangue quando gli avrebbe dovuto confessare di aver perso la sua verginità con Draco Malfoy, il fallito. Rise al ricordo delle nottate insonni a piangere calde lacrime all’idea che lui non la volesse, che non la trovasse sufficientemente bella, che lei non fosse abbastanza per lui. Credeva di essere lei, quella in difetto, ma il tempo aveva completamente ribaltato le loro posizioni. Ora, era lui a supplicarla di stargli vicino. Ora, era lui a non essere abbastanza. Ora, sarebbe stata lei a farlo sentire una nullità. Una sola cosa li accomunava, in quel momento: nessuno dei due l’avrebbe mai ammesso, per motivi diversi, ma entrambi avrebbero voluto tornare indietro, ai tempi dei loro baci rubati.


Rieccomi! Dopo il primo, cripticissimo capitolo, ho deciso che non potevo lasciare tutto in sospeso per un'intera settimana, non senza dirvi due paroline in merito a questa mia nuova storia.
Come avrete intuito si tratta di una storia sui Serpeverde, ambientata durante il settimo anno, l'anno della Guerra. I protagonisti saranno Pansy, Daphne, Theodore, Blaise, Asteria (sì, io dico Asteria, secondo la versione dell'intervista originale a J.K.R. e non Astoria, come dichiarato dal Times Magazine), più delle piccole parentesi di Tiger&Goyle. Draco Malfoy comparirà, ma solo in relazione alla storia di Pansy e Asteria. Insomma, l'ho relegato al ruolo della comparsa, perchè ho voluto dare voce agli "altri", quelli che vengono etichettati secondo l'abusatissimo cliché Serpeverde=Mangiamorte.
Ad ogni modo, il racconto è costituito da quattro trame, con alcuni punti in comune, ovviamente, e che si legheranno fra loro solo nella parte finale della storia.
La storia è ancora in fase di scrittura, quindi, finché non avrò terminato, pubblicherò un solo capitolo a settimana, il venerdì.
A presto
BB

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Capitolo 3
*** Tre ***


Tre

Tre. Per loro non era mai stato un problema, essere in tre. Forse perché non ci vedevano niente di strano, niente di malizioso. Loro erano tre. Due ragazzi e una ragazza. Blaise Zabini, Theodore Nott e Daphne Greengrass.

Era successo per caso, non si erano cercati, non si erano studiati, semplicemente si erano trovati seduti vicini alla tavolata dei Serpeverde, la primissima sera ad Hogwarts. Erano smarriti, impauriti in mezzo a tutta quella folla festante. Erano poco più che bambini, per la prima volta lontani da casa e ognuno pensava di essere l’unico ad essere triste quella sera. Fino a che si erano guardati e avevano scorto ognuno sui volti degli altri due la stessa, identica espressione di angoscia. Si erano sorrisi, si erano presentati e da allora non si erano più lasciati. Per Blaise e Theo era stato quasi fisiologico, erano compagni di dormitorio, ma mai, mai avevano fatto sentire Daphne di troppo. L’avevano accolta fra loro come se non ci fosse differenza fra loro, come se avessero accidentalmente dimenticato di notare che lei era femmina. Anche se, con gli anni, era diventato abbastanza difficile non rendersi conto che Daphne era una ragazza. Una gran bella ragazza, per giunta. Eppure, per i suoi due migliori amici, la cosa non sembrava avere particolarmente importanza. O forse l’aveva, come insinuavano i maligni, ma loro sembravano non farci caso. Forse perché erano proprio loro a non fare caso agli altri.
In quegli anni se n’erano sempre fregati di tutto e tutti. Non che fossero dei sociopatici asociali, solo non davano peso a tutto quello che usciva dalle labbra dei loro compagni Serpeverde. Soprattutto di quei tempi.

La loro posizione circa la guerra era un’altra delle cose che li univa. Ne avevano discusso a lungo e, alla fine, erano giunti all’unica conclusione possibile, per tre Serpeverde Purosangue: l’indifferenza. Non si ritrovavano negli ideali né dei cosiddetti buoni né dei Mangiamorte, per cui tanto valeva rimanere neutri. Di quei tempi bastava una parola detta al momento sbagliato per essere etichettati come eroi o come reietti. Ne sapeva qualcosa Theo, figlio di un Mangiamorte, che era riuscito ad evitare per un soffio una rissa con alcuni esagitati compagni di casa che lo invitavano a seguire le orme di suo padre. Aveva reagito decisamente male e, se non fosse stato per Blaise, si sarebbe di sicuro ritrovato marchiato a vita come traditore del suo sangue. Zabini conosceva bene il suo amico e sapeva che se c’era una cosa che non tollerava erano le allusioni a suo padre e alla sua appartenenza agli adepti del Signore Oscuro. Gli era bastato vedere la scintilla nei suoi occhi per capire che doveva intervenire prima che si mettesse in guai più grossi di lui. In un attimo gli era stato alle spalle, pronto ad intervenire, se necessario, e Daphne con lui. Era bastata la loro presenza a fargli capire che non valeva la pena controbattere. Perché a lui importava solo che loro fossero dalla sua parte, nonostante tutto. E loro lo sarebbero sempre stati, anche solo in nome di tutto quello che avevano vissuto insieme.

Avevano condiviso tutto, in quegli anni, avevano sempre fatto tutto insieme. Per loro era assolutamente normale rimanere fino a notte fonda a ridere in Sala Comune, studiare insieme, abbracciarsi durante l’esultanza per le vittorie a Quidditch, andare al Ballo del Ceppo insieme, loro tre. Come una coppia. Ma loro non erano una coppia, loro erano tre. E niente e nessuno li avrebbe mai divisi. O almeno così credevano.

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Capitolo 4
*** Ombre ***


Ombre

Un’ombra è una zona oscura, di minore luminosità, della superficie di un corpo. E cos’erano stati, loro, in quegli anni, se non presenze oscure, insignificanti, al fianco di colui che credevano il migliore?

Nessuno li conosceva davvero, nessuno. Per tutti, loro erano solo Tiger&Goyle, i gorilla di Malfoy. Tiger&Goyle, un’unica entità, indistinta, inutile, insignificante. Nessuno sapeva cosa provassero, cosa pensassero realmente, quali pensieri celassero quei due corpi imponenti. Tutti erano convinti che non fossero in grado di provare emozioni, che non fossero in grado di decidere, di prendere una posizione. Eppure, loro, l’avevano presa da anni, una posizione. Avevano scelto di seguire Malfoy perché lui, più di chiunque altro, sembrava intenzionato a seguire gli insegnamenti dei loro padri, appoggiando la causa dell’Oscuro Signore, portando avanti le idee di supremazia dei Purosangue anche in tempi non sospetti. Ai loro occhi era la guida ideale, la mente che avrebbe dovuto guidare loro, le braccia. Invece, pochi mesi prima, proprio quando erano stati ad un passo dal raggiungere il loro obiettivo, lui si era tirato indietro.

L’avevano sempre saputo che era un codardo, alla stregua di suo padre. Ma mai, mai avevano pensato che le cose sarebbero potute finire così.
“E ora?” chiese Gregory, appena fu chiaro che rimanere al suo fianco sarebbe equivalso a farsi trascinare sul fondo, senza possibilità di risalita.
“Ora aspettiamo” aveva risposto Vincent, altrettanto preoccupato. “Prima o poi riusciremo a riscattarci.”
“E con lui? Con lui che facciamo?”
“Non lo so. Ma una cosa è certa. Pagherà. Per tutto.”



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Capitolo 5
*** Lei ***


Lei

Quando qualche mese prima aveva lasciato Hogwarts, Asteria era poco più che una bambina. Ma i fatti degli ultimi mesi l’avevano fatta crescere, o almeno così credeva.
Quello che, fino ad allora, aveva considerato come un problema di qualcun altro, lontano da lei, protetta dalla sua condizione di Purosangue, era entrato prepotentemente nella sua vita, quando Voldemort aveva accettato fra le sue schiere Draco Malfoy, coetaneo di sua sorella Daphne, Purosangue, minorenne. Significava che tutti, lei compresa, erano parte di quella guerra. Nessuno era escluso, nessuno era al sicuro.

Non era mai stata una ragazza popolare, una di quelle che riesce a catalizzare su di sé l’attenzione della gente, come Pansy Parkinson. Era timida, schiva, eccessivamente riservata e, fino a pochi mesi prima, assolutamente anonima, con il suo viso da bambina e il corpo ancora acerbo. Ma durante quell’estate, era come fiorita. Era diventata straordinariamente bella, lo sguardo dagli occhi verdi, affusolati, si era fatto ancora più intenso e profondo, i lunghi capelli castani le incorniciavano il volto da giovane donna fiera e determinata, il corpo esile si era fatto più morbido, perdendo le fattezze da bambina e acquisendo quelle di una donna. Si sentiva diversa, Asteria. Quel che ignorava era che anche agli occhi di qualcun altro era diversa. Per la prima volta, agli occhi di quel qualcuno, Asteria Greengrass era diventata qualcosa di più della sorellina silenziosa e dallo sguardo indagatore di Daphne. Anche qualcun altro aveva notato il suo cambiamento e anche per quel qualcuno non era più solo una mocciosa anonima e fastidiosa. Ora era colei da cui guardarsi, quella che avrebbe portato guai, visto come lui la stava guardando.

Guardando fuori dal finestrino del treno, Asteria non si rese conto di avere più di un paio d’occhi puntati addosso. Perché tutto quello a cui riusciva a pensare era il futuro, così incerto, così nebuloso, così spaventoso. Soprattutto, voleva capire. Voleva capire cosa ne sarebbe stato, di lei, di tutti loro. Voleva capire cosa sarebbe successo, ora. Ma più di ogni altra cosa, voleva capire lui.


Rieccomi con un doppio, rapido aggiornamento! Ho scelto di inserire questi due capitoli contemporaneamente così da poter iniziare con la storia vera e propria a partire dalla prossima settimana.
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito e inserito la storia fra le preferite/seguite/ricordate: mi riempite il cuore di gioia ogni volta!
Alla prossima!
BB


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Capitolo 6
*** Non ridiamo, non piangiamo, non amiamo come voi ***


Non ridiamo, non piangiamo, non amiamo come voi*

“Allora, Daphne…” aveva iniziato Pansy, gettandosi sul suo letto, scomposta “Pensi che quest’anno ti deciderai a scegliere chi, fra cioccolatino e coniglietto, ti ruberà il cuore oppure continuerai a tediarci con la storia che siete solo amici?”
Daphne le restituì uno sguardo di fuoco, lanciando un’occhiata sfuggevole a Millicent Bullstrode, loro compagna di dormitorio, che sghignazzava divertita.
“Millicent…” la richiamò Pansy, cogliendo l’allusione. “Aria!”
Attesero che la ragazza fosse uscita dalla stanza, borbottando frasi sconnesse, poi ripresero il discorso.
“Per quanto credi di riuscire a tenere a bada gli istinti di quei due poveri ragazzi, Daphne? Davvero non ti rendi conto di come ti guardano?”
“No, Pansy…” negò l’altra, convinta. “Non vedo niente di strano…”
“Oh, sì, certo…. Tutte noi abbiamo una coppia di bei ragazzi che venerano letteralmente la terra su cui camminiamo. È una cosa perfettamente naturale, ma, soprattutto, assolutamente disinteressata!” continuò l’altra, imperterrita.
“Pansy…” cercò di zittirla la seconda, annoiata.
“No, Daphne, sul serio. Prima o poi dovrai scegliere. Sì, lo so cosa stai per dire” la interruppe, appena vide che stava per controbattere, “loro non te lo chiederebbero mai. Beh, ti sbagli, di grosso. Là fuori c’è una guerra e una guerra cambia molte cose. Il giorno che si troveranno faccia a faccia con la morte, e succederà a tutti noi, puoi scommetterci, vorranno sapere a chi appartiene il tuo cuore. Per allora farai meglio a capirlo, mia cara. A meno che tu non voglia ritrovarti immischiata in una peccaminosa quanto eccitante relazione a tre, ovvio.”
Daphne si lasciò cadere sul suo letto, sbuffando. “Non credere che non ci abbia mai pensato” iniziò, “è solo che… quando noi tre stiamo insieme… è come se la cosa non avesse importanza. Come se non facesse differenza il fatto che siamo tre, due ragazzi e una ragazza, capisci?”
“No” rispose sincera la Parkinson. “Ma farò finta che questa cosa non abbia generato in me immagini di voi tre altamente compromettenti, se la cosa ti può far stare meglio!”
“Perché dev’essere tutto così complicato? Non potevamo fermarci ai nostri dodici anni, quando nessuno faceva caso al fatto che io fossi femmina?” domandò Daphne, sconsolata.
Pansy la guardò a lungo, con quel suo sguardo indagatore che aveva il potere di mettere soggezione anche a Voldemort in persona. “Io non credo che tu possa davvero lamentarti del fatto che due ragazzi meravigliosi, che darebbero la vita per te, con il passare degli anni abbiano tramutato l’amicizia che vi legava in amore.”
Daphne alzò il capo per riuscire a guardarla negli occhi e arrossì. Non l’avrebbe mai ammesso, ma c’era dolore nelle sue parole.
“Pensi di continuare ad ignorarlo?” chiese, a bruciapelo.
“Chi?” chiese delucidazioni l’altra.
“Lo sai…”
Pansy si alzò, iniziando ad armeggiare con il contenuto del suo baule, dando le spalle all’amica. “Davvero, non ho idea di chi tu stia parlando!”
“Pansy…”
La ragazza si bloccò, stringendo la camicia da notte che aveva appena estratto dal suo bagaglio. “Si è notato così tanto?”
L’altra si alzò a sua volta, raggiungendola e aiutandola a sistemare le sue cose. “Diciamo che era difficile sfuggisse ad un occhio attento!”
“Occhio attento come il tuo?”
“E il suo” aggiunse, cercando lo sguardo dell’amica.
Pansy rimase in silenzio, continuando a frugare fra i suoi abiti, ma a Daphne non sfuggì la sua espressione colpevole.
“Beh, non è affar mio!” sbottò, d’un tratto, allontanandosi.
“Come sarebbe a dire non è affar tuo?”
“Quello che ho detto. Malfoy non è più un mio problema. Ha fatto le sue scelte, ha fallito e ora ne dovrà pagare le conseguenze. Voglio dire, non posso permettere che il mio nome venga associato a quello di un tale perdente!”
Daphne la guardò esterrefatta. “A volte non capisco come tu faccia ad essere così cinica… Pensavo ti importasse qualcosa, di lui. Pensavo provassi qualcosa…”
“Non venire a farmi la morale, Greengrass. Non finché continuerai a fingere di non sapere che i tuoi due migliori amici ti sbavano dietro e che la cosa non ti importi” sibilò, spietata.
“Proprio non capisco come tu faccia, Pansy” replicò l’altra, dopo un iniziale momento di sbigottimento.
“A fare cosa?” chiese l’altra.
“Ad essere sempre così dannatamente stronza” rispose Daphne, voltandole le spalle e lasciandola sola.

Nel frattempo, nei dormitori maschili, Blaise e Theo stavano sdraiati sui rispettivi letti, aspettando l’ora di cena.
“Certo che…” iniziò Theo, lanciando un paio di calzini verso l’alto a mo’ di pallina, “la nostra è davvero una situazione criptica.”
“Sai almeno cosa significa ‘criptica’?” domandò Blaise, un secondo prima di essere colpito da un paio di calzini appallottolati.
“Dico sul serio… Prendi questo momento” continuò.
“Cos’ha che non va, questo momento?” chiese Zabini, incuriosito.
“Eccoci qui… Al nostro ultimo anno di scuola. Fuori c’è la guerra e noi siamo irrimediabilmente innamorati della nostra migliore amica.”
“Sì, e quindi?”
“Beh, tutti si chiedono come possiamo continuare ad essere amici, nonostante tutto!”
“Potremmo limitarci a rispondere loro di farsi gli affari propri, come sempre!”
“Quello sicuramente. Quel che mi chiedevo è… Cosa pensi che direbbe Daphne, sapendo del nostro patto?”
Blaise si sollevò sui gomiti, guardando l’amico di sbieco. “Cosa diavolo stai dicendo, Theo?”
Nott scrollò le spalle. “A me non farebbe molto piacere sapere che i miei due migliori amici mi hanno tenuto nascosta una cosa così importante!”
“In che modo dovrebbe turbarla la scelta di non farci la guerra, nonostante siamo entrambi innamorati di lei? Lo stiamo facendo per salvare la nostra amicizia, per non metterla nella posizione di dover scegliere!” obiettò Zabini.
“Forse lei vorrebbe scegliere… In fin dei conti non sappiamo come la pensi…” spiegò l’altro.
“No, direi proprio che non conosci il significato dell’espressione ‘criptico’…” concluse Blaise, alzandosi.
Theo sghignazzò, cogliendo la volontà dell’amico di chiudere lì il discorso. Ne avevano parlato più volte, negli ultimi due anni, da quando era divenuto palese ad entrambi che Daphne non era solo un’amica, per nessuno dei due. Avevano concluso che l’unica soluzione possibile era quel patto di non belligeranza: nessuno dei due avrebbe mai fatto nulla che avrebbe potuto danneggiare l’altro o rovinare l’amicizia con la ragazza. Per entrambi, gli altri due erano troppo importanti per rischiare di perderli, anche in nome dell’amore.

In quell’istante, Daphne fece bruscamente irruzione nel loro dormitorio.
“Quella lurida, viscida…” borbottò, furiosa.
“Buonasera anche a te, Daphne!” la salutò Theo, divertito. “Hai di nuovo litigato con Pansy?”
La ragazza lo incenerì con lo sguardo, zittendolo. “Siete pronti per la cena?” chiese, guardandosi in giro. “Dov’è Dwayne?” proseguì, guardando il terzo letto del dormitorio.
Theo e Blaise si guardarono, tesi.
“Che c’è?” domandò lei, notando i loro sguardi.
“Dwayne non è tornato a scuola, quest’anno…” iniziò Blaise, “vista la situazione, il nuovo preside… I suoi genitori hanno deciso di non fargli terminare la scuola.”
“Dwayne è Mezzosangue… Sua madre è Babbana” spiegò Theo, teso, in risposta all’espressione interrogativa di Daphne.
“Oh…” esclamò la ragazza, colpita. “Io… Non lo sapevo.”
“Beh, io avrei fatto lo stesso, fossi stato nei suoi. Voglio dire, sapendo che avrebbe diviso il dormitorio con il figlio di un Mangiamorte” constatò Nott, amaro.
“Theo…” lo richiamò Blaise.
“Non dirlo nemmeno per scherzo! Tu non sei come tuo padre! Tu non faresti mai del male a Dwayne!” lo ammonì la ragazza.
“Sì, ma loro che ne sanno? Guarda Malfoy! L’hanno sempre giudicato come un codardo, invece, guarda cos’è riuscito a fare! Nessuno è al di sopra dei sospetti! Ognuno di noi potrebbe essere un Mangiamorte!” sciorinò l’altro, tutto d’un fiato.
“No… non tu. Non noi!” ribatté Daphne.
“Come puoi esserne così sicura? Come puoi essere certa che io non sia uno di loro?” chiese, fissandole gli occhi negli occhi.
“Lo so, perché ti conosco, e so che non faresti mai del male a nessuno, Theo. Sei spaventato all’idea di diventare come tuo padre, ma a te non succederà!”
“Come puoi esserne tanto sicura?” insistè lui, nervoso.
“Perché tu hai noi” intervenne Blaise, “e non permetteremo che tu faccia una stronzata simile. Anche a costo della vita.”
Daphne annuì, convinta.
Theo li guardò e sentì il sangue ricominciare a scorrergli nelle vene: forse non avrebbe mai avuto la donna che amava, probabilmente non avrebbe mai provato la gioia di baciare le labbra morbide di Daphne… Ma se quello era il prezzo da pagare per continuare ad avere al suo fianco i due migliori amici che ci potessero essere al mondo, allora ne sarebbe valsa la pena.



*Ligabue, Non è tempo per noi

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Capitolo 7
*** Il rumore di chi sa tacere ***


Il rumore di chi sa tacere
Il rumore di chi sa tacere*

Non aveva mai avuto veri amici, Asteria. All’inizio era rimasta troppo legata a Daphne, impaurita da quella scuola enorme, da tutte quelle novità. Dopo, non era mai riuscita ad abituarsi al clima di competizione e di falsità che si respirava all’interno della casa di Serpeverde. Non sopportava l’altezzosa spocchiosità delle sue compagne di casa, così come loro la ritenevano troppo eccentrica ed intellettuale.

Non si era mai interessata veramente a quello che accadeva attorno a lei. Fino a pochi mesi prima gli argomenti di discussione più gettonati erano la relazione fra Pansy Parkinson e Draco Malfoy e il presunto triangolo amoroso che vedeva fra i protagonisti sua sorella, entrambi temi verso cui non nutriva il minimo interesse. Eppure, da qualche tempo, sentiva che c’era qualcosa, o meglio qualcuno, all’interno della sua Casa, che meritava di essere ascoltato, di essere conosciuto. Non sapeva ancora se e come sarebbe riuscita nel suo intento, ma confidava nel destino e in una buona dose di fortuna.

La cosa che Asteria amava di più al mondo, complice, forse, il nome che i suoi genitori le avevano attribuito, erano le stelle. Adorava osservare la volta celeste e conosceva a memoria i nomi delle maggiori costellazioni e dei loro astri più importanti. In virtù della sua indole solitaria, fin dal suo primo anno ad Hogwarts, Asteria aveva trascorso i suoi momenti liberi sulla Torre di Astronomia, osservando il moto dei pianeti e ricoprendo metri di pergamena con la rappresentazione esatta dello spicchio di cielo che riusciva a vedere dal suo rifugio. Anche se, dal suo ritorno a scuola, si era dovuta rassegnare all’idea che quello non era più solo il suo rifugio.

Aveva attraversato rapidamente i corridoi della scuola, arrivando ai piedi della scalinata che conduceva all’apice del torrione. Aveva accelerato ulteriormente il passo, superando i gradini due a due, finché era arrivata in cima, ansimante, il cuore che scoppiava di felicità. Rapidamente si era diretta oltre il muretto che fungeva da parapetto all’antro delle scale e si era seduta. Aveva chiuso gli occhi, inspirando profondamente la brezza leggera di fine estate. Amava quel luogo, il suo odore, la particolare visuale che le donava, il lago nero sotto e la costellazione dello scorpione sopra. Lo amava perché era suo e di nessun altro. O almeno così credeva. Di lì a pochi istanti, sentì un rumore di passi diventare sempre più forte, sempre più vicino, finché rallentò, fino a cessare una volta arrivato in cima alle scale. Si appiattì più che poté contro il muro, sperando di scomparire, trattenendo il fiato per non farsi sentire, per far sì che l’intruso non si accorgesse della sua presenza. E fu allora che accadde. D’improvviso, lo sconosciuto iniziò a piangere. Non un flebile lamento, non un pianto sommesso. Quelli che Asteria sentiva da dietro il muricciolo erano veri e propri singhiozzi, un grido di disperazione e angoscia che non avrebbe potuto lasciare indifferente nessuno. Lentamente, cercando di fare il minor rumore possibile, si voltò e si alzò, quel tanto che bastava per riuscire a vedere l’identità del misterioso ospite della Torre di Astronomia. Sgranò gli occhi, incredula. Di fronte a lei, poggiato alla ringhiera, c’era lui, colui che più di ogni altra persona lei desiderava conoscere e capire. Draco Malfoy era lì, nel luogo a lei più caro, e stava piangendo.

Nelle settimane successive il copione si ripeté, identico. Ogni venerdì sera Asteria raggiungeva la torre, si nascondeva dietro al muretto e di lì a pochi istanti Malfoy arrivava, puntuale. Ai singhiozzi della prima sera erano seguite imprecazioni rivolte a Silente, al destino e a se stesso. Da qualche tempo, però, Draco si limitava a salire e ad appoggiarsi alla ringhiera, lo sguardo perso nel vuoto, lo stesso vuoto in cui aveva visto cadere Silente, ucciso secondo quel piano che lui stesso avrebbe dovuto eseguire. Sì, perché tutti sapevano, tutti erano a conoscenza del fatto che lui era un Mangiamorte e che sarebbe spettato a lui eliminare Silente. Per questo veniva guardato con sospetto, per questo tutti fingevano che non esistesse. Non importava che l’esecutore materiale del delitto fosse stato Piton, l’attuale preside di Hogwarts: Draco Malfoy si era macchiato di quell’orrendo crimine nel momento stesso in cui aveva accettato l’incarico affidatogli da Voldemort e poco importava se non aveva avuto altra scelta. Agli occhi di tutti, sarebbe sempre stato un assassino.

“Per quanto continueremo a fingere di essere soli, quassù, Greengrass?” disse Malfoy, senza alcun preavviso, una sera come tante altre.
Asteria rimase a bocca aperta. Ad eccezione di quella prima sera, in cui si era leggermente sporta per capire chi fosse il misterioso visitatore, non aveva più fatto nulla che potesse tradirla. Si era limitata a rimanere seduta dietro il solito muretto, lo sguardo perso nelle stelle sopra di lei, ascoltando il silenzioso grido d’aiuto del giovane.
“Fino a quando saremo pronti a condividere questo posto con qualcun altro” rispose, senza muoversi.
“Io sono pronto, e tu?” ribatté lui, quasi senza lasciarle terminare la frase.
Asteria si stupì di quella risposta, così diretta, inaspettata, assolutamente sincera, ma ancor di più si stupì di quanto desiderasse sentirglielo dire e allo stesso tempo ne fosse spaventata.
Si alzò, voltandosi verso di lui, che ancora fissava il vuoto. “Perché?” chiese, decisa, avvicinandosi piano. “Perché ora, perché qui, perché…”
“Perché tu?” concluse lui, leggendole nella mente.
Lei annuì, debolmente, decisa a non lasciar trapelare il suo turbamento.
“Non lo so. Forse perché in tutte queste settimane non ti sei mai palesata, ma hai comunque continuato ad esserci. Forse perché non ne hai fatto parola con nessuno. O perché sei l’unica che ancora mi guarda negli occhi” continuò, alzando per la prima volta lo sguardo e posandolo su di lei. “Forse dovrei essere io a chiederti perché.”
“Io non ti ho cercato, non sono venuta in questo posto per vedere te. Sono venuta qui perché è il luogo che amo di più nel castello. Sarei rimasta in quell’angolo a fingere di non esistere per il resto dell’anno se tu non mi avessi notata!” sciorinò la ragazza, cercando di celare l’imbarazzo.
“Rimane sempre il fatto che sei l’unica a guardarmi negli occhi…” ripeté lui, con sorriso sornione.
Asteria lo sfidò con lo sguardo “Non sono interessata a te, se è questo che stai insinuando!”
“Se avessi avuto il minimo sospetto che il motivo per cui, ogni volta che siamo nella stessa stanza, i tuoi occhi cercano i miei fosse una tua presunta attrazione nei miei confronti non avrei sprecato ogni mio fine settimana a salire fin quassù, fidati” replicò, fermo.
“Tu… tu sei venuto qui, ogni settimana, per me?” domandò lei, incredula.
Malfoy sorrise, compiaciuto “No. O almeno, non all’inizio. All’inizio avevo bisogno di tornare qui e affrontare i miei fantasmi. Poi, quando ho iniziato a capire che c’era un altro fantasma che cercava di capire, ho deciso di continuare a venire qui, nella speranza di riuscire a capirlo a mia volta.”
La ragazza lo guardò a lungo, senza fiatare. Non riusciva a capire dove volesse andare a parare, cosa volesse da lei. Non si erano mai parlati, per cinque anni lei era stata poco più di una sconosciuta, per lui. E ora voleva farle credere che in tutte quelle settimane aveva continuato a salire alla torre solo perché voleva sapere qualcosa da lei? Per chi l’aveva presa, per una stupida? Se quello era un tentativo di conquista, poteva già ritenerlo fallito. Malfoy non le piaceva, di quello era pur certa. Sorvolando per un secondo sul suo discutibile carattere, non riusciva a trovarlo particolarmente attraente anche fisicamente. Il fisico troppo asciutto, il volto scavato, diafano, i capelli tanto biondi da sembrare quasi bianchi… Non rispondeva di certo al suo ideale di uomo. Ma quegli occhi… I suoi occhi, grigi, freddi e impenetrabili come il ghiaccio, erano l’unica cosa che l’attraevano di lui. E non per una mera questione estetica: quegli occhi gridavano aiuto.
“Per cui, Greengrass…” continuò lui, imperterrito.
“Asteria…” lo corresse, seccata.
Draco sogghignò. “Per cui, Asteria… Ora ti farò una semplice domanda, a cui sei chiamata a rispondere. Dopo di che io ti dirò il motivo per cui ho deciso di coinvolgerti in questa delirante conversazione.”
La giovane lo guardò, i profondi occhi color smeraldo saldamente ancorati ai suoi. Ancora non sapeva a cosa l’avrebbe portata quella decisione, ma di una cosa era più che sicura: doveva rischiare.
“Vada per la domanda…”
Malfoy si sollevò dal parapetto, su cui era stato appoggiato fino a quel momento, mettendosi di fronte a lei, guardandola dall’alto.
“Perché?” si limitò a chiederle, lapidario, conciso, sincero.
Asteria gli restituì uno sguardo fiero e determinato “Perché voglio capire.”
“Capire cosa?”
“Capire perché. Capire te.”
Malfoy sorrise, come se quella risposta fosse scontata.
“Beh?” chiese lei, stizzita.
“Beh cosa?”
“Beh, cos’è quell’espressione?”
“Quale espressione?”
“Quella specie di ghigno malefico!”
“Non ho nessun ghigno malefico!”
“Sì, invece!”
Il ragazzo rise e Asteria non poté evitare di pensare che fosse carino quando rideva. Peccato lo facesse tanto di rado.
“Allora?” la ridestò dai suoi pensieri.
“Allora cosa?” domandò lei, spazientita.
“Non vuoi sapere perché, fra tutti, ho scelto te?” proseguì lui.
Lei sorrise, divertita, sfidandolo con lo sguardo. “Da quando mi avresti scelta, Malfoy?”
“Draco…” la corresse lui, quasi risentito.
La ragazza rimase colpita da quella richiesta. Non si aspettava tanta intimità, la cosa la imbarazzava. Certo, lei stessa poco prima l’aveva invitato a chiamarla per nome, ma con lui… Beh, era diverso. Lui era Malfoy, per tutti. Sarebbe stato strano chiamarlo Draco.
“Sai, Asteria, inizio a credere che non ti interessi poi molto sapere perché ho voluto farti sapere che avevo notato la tua presenza, questa sera…” intervenne lui, confuso “Per cui credo me ne tornerò nei sotterranei, con il tuo permesso…” concluse, voltandole le spalle.
“No, no, scusami…” cercò di rimediare lei, trattenendolo per il braccio, ma mollando istantaneamente la presa non appena gli occhi di lui caddero sulla sua mano.
Inspirò profondamente, poi risollevò lo sguardo, pudicamente rivolto altrove dopo quel contatto inaspettato, e lo incrociò con quello di lui. “Perché?” si limitò a chiedere, secca, come lui pochi istanti prima.
Draco sorrise, con quel sorriso che aveva il potere di mandare su tutte le furie chiunque, ma tornò immediatamente serio.
“Perché vuoi capire. Capire perché, ma soprattutto capire me.”


*Ligabue, "Almeno credo"

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Capitolo 8
*** Chi semina vento... ***


Chi semina vento... Chi semina vento…

Nonostante continuasse a ripetere, soprattutto a se stessa vista la sua scarsa inclinazione all’essere socievole, che tutto andava bene, Pansy sapeva che, in realtà, niente stava andando come avrebbe sperato.
Le prime settimane di scuola avevano reso palese quello che tutti avevano sospettato fin dal primo istante in cui avevano rimesso piede a scuola: senza Silente, Hogwarts non sarebbe mai più stata la stessa. E se da un lato quella notizia poteva non risultare così sgradita a chi, come lei, non era un grande ammiratore di nati babbani e altra gentaglia simile, dall’altro non si poteva certo dire che la nuova atmosfera cupa e spettrale rendesse le giornate particolarmente interessanti. D’altra parte, l’idea stessa di scegliere come nuovo preside l’assassino del predecessore avrebbe dovuto dirla lunga su che genere di orientamento avrebbe preso la direzione della scuola. E la cosa la terrorizzava non poco.

Di Pansy si potevano dire molte cose. Che fosse frivola, cinica, patologicamente stronza, insensibile, particolarmente crudele… ma di certo non si poteva dire fosse stupida. Per quello e per svariati altri motivi, il fatto di non riuscire a tenere fede al suo proposito la stava mandando fuori di testa.
Agli occhi di chiunque altro, non c’era nulla di strano, nell’aria. Ma, come già detto, Pansy non era una stupida e se c’era qualcosa di cui poteva ritenersi sicura, era che conosceva Draco Malfoy come le sue tasche. Gli bastava uno sguardo per capire cosa gli stesse passando per la testa, per riuscire a comprendere ogni suo stato d’animo. E quello che vedeva, non le piaceva per niente. Non sapeva dire come o quando ci avesse fatto caso per la prima volta, ma era successo, e da quel giorno sentiva un enorme peso sul cuore. E accidenti a lei, non sarebbe dovuto succedere, no. Perché lei non amava Draco, a lei non importava nulla di quel ridicolo fallito, lei era superiore, lei poteva avere chi accidenti voleva, non aveva bisogno di lui, non ne aveva mai avuto bisogno, lui era solo una stupida cotta adolescenziale, non poteva sentirne la mancanza… Invece, Draco le mancava, tremendamente. Ogni giorno doveva fare violenza su se stessa per non andare ad occupare il posto che lui si ostinava a tenere occupato per lei al suo fianco, in Sala Grande. Perché, anche se avesse voluto, sapeva che ormai, per lui, lei non era più l’unica. Già, perché il peso sul cuore che la opprimeva da settimane aveva gli occhi verdi e affusolati di Asteria Greengrass.
Se avesse raccontato a qualcuno la ragione del suo turbamento, probabilmente, le avrebbero dato della pazza visionaria e le sarebbero scoppiati a ridere in faccia. Tuttavia a lei non importava, perché lei sapeva cosa aveva visto. In realtà era ben consapevole del fatto che gli elementi in suo possesso, se si fosse trattato di chiunque altro, erano ben misera cosa, per poter formulare un’accusa, ma trattandosi di Draco Malfoy, quello stesso Draco Malfoy che aveva passato tutto l’anno precedente a piangere calde lacrime sulla sua spalla, poteva dire di avere in mano una sacrosanta verità. Quegli sguardi… fugaci, rapidi, impercettibili ad un occhio poco attento… Gli sguardi che ogni mattina si scambiavano, incontrandosi a colazione, che si lanciavano di nascosto da tutti in Sala Comune… Beh, dicevano più di mille parole. Duravano una frazione di secondo, ma Pansy poteva giurare che significassero guai. Soprattutto per lei. Perché a lei, Pansy Parkinson, a detta di tutti la ragazza di Malfoy, lui non aveva mai regalato sguardi di quel tipo, mai.

Benché si fosse imposta di tenersi tutto dentro e fingere che tutto quello non stesse accadendo, o quantomeno che non le importasse, si rese presto conto che ignorare la situazione era impossibile. Quelli che all’inizio chiunque avrebbe etichettato come infondati sospetti, ben presto divennero una certezza.
Il semplice fatto che Malfoy confabulasse con un ragazzino del primo anno le era parso piuttosto strano. Ancora più strano fu vedere il suddetto ragazzino trotterellare con nonchalance in direzione della piccola Greengrass, allungando la mano verso di lei e presentandosi. Meno strano, e decisamente rivelatore, fu, per Pansy, intravedere nella mano di Asteria che lasciava quella del piccoletto, un pezzo di pergamena, che la ragazza di affrettò a nascondere nel libro di Trasfigurazione. Eureka, pensò Pansy. Tutto, finalmente, tornava.
Casualmente, quella stessa sera, Pansy decise di terminare molto prima del previsto la sua ronda di guardia come Prefetto. D’altronde, con i Carrow nel castello, nessuno più osava uscire dal proprio dormitorio, la notte. Eccezion fatta per due persone, ovviamente.
Si sedette sulla poltrona di fronte al caminetto, quella che dava le spalle all’ingresso della Sala Comune e attese, paziente. Quando, un paio d’ore dopo, sentì l’ingresso schiudersi, seguito dai passi leggeri e rapidi di una ragazza, decise di palesarsi.
“Non penso siano questi i tempi per andare in giro per il castello da sola, la notte…” disse, rimanendo seduta.
Sentì il passo della sconosciuta arrestarsi e un ghigno si dipinse sul suo volto “Ma forse, Greengrass, non eri sola, là fuori…” proseguì, alzandosi e voltandosi verso Asteria.
“Non sono affari tuoi, Pansy” rispose l’altra, secca, incrociando le braccia sul petto.
“Oh, ma senti… Da quando hai il dono della parola? Non credo di aver mai sentito la tua voce, prima d’ora, e le prime parole che mi rivolgi sono così piene d’astio?” chiese, inclinando la testa di lato, una finta espressione imbronciata in volto, quasi stesse interloquendo con un bambino. “Non è l’atteggiamento che terrei nei confronti di un Prefetto che mi ha appena trovata fuori dal letto dopo il coprifuoco!” esclamò, portandosi un dito sul labbro, con fare pensieroso.
Asteria sbuffò, spazientita. “Che vuoi, Pansy? Non girarci tanto attorno, se hai qualcosa da dirmi, beh, fallo, non tenerla tanto lunga!”
Il sorriso scomparve dal volto della Parkinson. Si avvicinò pericolosamente alla più giovane, gli occhi ridotti a due fessure. “Non credere di essere tanto furba, mocciosa… Potete fingere con chiunque altro, ma non con me. So esattamente cosa sta succedendo e, sinceramente, non me ne importa un accidenti. Voglio solo che tu sappia una cosa: qualunque cosa succederà, fra voi, sappi che tu sarai sempre la seconda, per lui!”
L’altra levò gli occhi al cielo, annoiata. “Non so neanche di cosa diavolo tu stia parlando, Pansy, sul serio. Va’ a dormire, stai delirando!” ribatté, scansandola e riprendendo la via del suo dormitorio.
“Dici?” continuò Pansy, seguendola con lo sguardo. “Quindi, mi puoi assolutamente giurare che fra poco non entrerà Draco Malfoy, da quella porta?”
Un brivido percorse la schiena della ragazza, che continuò la sua marcia verso la stanza da letto. “Non devo giurare un bel niente, non è affar mio quel che combina Malfoy.”
“Questa risposta mi sa tanto di balla, bella grossa anche…”
La piccola Greengrass si fermò e prese fiato. Girò sui tacchi e tornò verso la sua accusatrice.
“Cosa vuoi, Pansy?”
“Giurami che non eri con Draco!”
“Perché dovrei? Non devo renderti conto di nulla!”
“Tu non ti rendi conto di quello che stai facendo…”
“Oh, sì, certo, ora vuoi farmi credere che lo stai facendo per me? Che vuoi proteggermi?”
“Ho il dovere di informarti di che razza di essere spregevole è Draco Malfoy!”
“Ma fammi il piacere!” urlò Asteria, adirata. “La verità è che sei gelosa. Sei gelosa perché temi che lui ti abbia sostituita con qualcun’altra, non è così?” l’accusò, un ghigno divertito in volto. “Volevi fare la superiore, ignorarlo, fingere che di lui non ti importasse più nulla, ma al suo primo contatto con un’altra ragazza ti infiammi e inizi a delirare! Lascia che te lo dica, Pansy: sei veramente ridicola!”
“Come osi, stupida…”
“L’unica stupida, qui, mi sembri tu!” la interruppe, spietata. “Davvero credevi di uscirne vincitrice? Davvero pensavi che lui sarebbe rimasto con le mani in mano a piangere per te? Il mondo è pieno di ragazze pronte a mettergli le mani addosso, anche solo per quello che la sua famiglia rappresenta, e tu pensavi davvero che sarebbe tornato strisciando da te?” rise.
Pansy inspirò profondamente, infilandosi le unghie nei palmi delle mani, cercando di trattenere l’istinto di sguainare la bacchetta e polverizzare quell’essere insignificante che le stava di fronte.
“Stai girando attorno al discorso, Greengrass” la interruppe, “e questo non fa che confermare la mia teoria: eri là fuori, con Malfoy.”
“E anche se fosse?” rispose l’altra, voltandole le spalle. “Non devo certo rendere conto a te!”
“A me no” replicò, tranquilla, “ma a tua sorella sì!”
Asteria sentì il sangue gelarsi nelle sue vene. Sapeva di aver perso, riusciva a sentire il sorriso trionfante fare capolino sul volto di quella strega. Non poteva rischiare che Daphne lo scoprisse, sapeva come la pensava a proposito di Malfoy.
“Allora?” la incalzò Pansy, “eri o non eri con Draco?”
“No” mentì.
In quello stesso istante l’ingresso della Sala Comune si aprì e il rumore dei passi che aveva imparato a riconoscere si fece sempre più forte.
No. Ti prego no. Non adesso. Fa’ che non sia lui, ti prego, fa’ che non sia lui.
“Oh, che caso!” squittì Pansy, divertita. “Fra tutte le persone che potevano entrare da quella porta in questo preciso istante, chi è arrivato?” chiese, raggiante. “Malfoy! Che fortuita coincidenza!”
“Pansy, cosa diavolo stai dicendo?” domandò lui, con tono stanco.
“Niente, Malfoy, niente… Sono sicura che Asteria, qui, ha capito benissimo a cosa alludessi…” rispose, serafica. “Beh, è stata una conversazione interessante, cara. Credo proprio che Daphne sarà felice di conoscere la tua posizione al riguardo! Buonanotte!”
Si voltò rapidamente, mentre il sorriso beffardo scompariva dal suo volto, lasciando il posto a lacrime che mai avrebbe pensato di poter versare.

Il giorno seguente evitò accuratamente ogni incontro, anche fortuito, con i due ragazzi. Non aveva nessuna voglia di discutere con Draco né, tantomeno, di sentire le insulse giustificazioni di lei. Per quanto la riguardava quei due potevano fare quello che gli pareva, lei aveva ottenuto quel che voleva, ovvero la conferma che fra di loro c’era qualcosa.
Dopo aver passato la mattinata rintanata nel dormitorio, sdraiata a letto, le tende del letto a baldacchino tirate, segnale inequivocabile che voleva essere lasciata in pace, era scesa a pranzo a testa bassa, incenerendo chiunque osasse rivolgerle la parola. Approfittò del fatto che era sabato e, quindi, tutti gli studenti avrebbero invaso il parco del castello per godersi gli ultimi giorni di sole prima dell’inverno, e si recò nel bagno dei Prefetti, con la ferma intenzione di isolarsi dal resto del mondo. Aprì i rubinetti con un colpo di bacchetta e iniziò a togliersi la divisa, rapita dallo scrosciare dell’acqua.
Non si accorse che qualcuno era sbucato alle sue spalle.
“Si può sapere cosa diavolo ti prende?”
Pansy sobbalzò, terrorizzata. Recuperò la camicetta che aveva appena lanciato a terra e si coprì alla bell’e meglio.
“Malfoy!” ringhiò, furente. “Sei completamente impazzito? Vattene!”
“Non finché non mi dirai cosa ti succede!”
“Nel caso non l’avessi notato, razza di stramaledetto idiota, indosso praticamente solo la biancheria intima… Non sono nella posizione di poter fare della conversazione!” sbraitò lei, imbarazzata.
“Non stiamo facendo della conversazione, per Merlino!” ribatté lui, gridando. “Tu mi devi delle spiegazioni! Non puoi pretendere che io ignori il fatto che mi stai evitando!”
“Non sono l’unica ad evitarti, mi pare! Eppure non mi sembra che tu tenda agguati a nessun altro!” replicò Pansy.
“Non me ne importa un accidenti degli altri! È di te che mi importa! Tu sei…”
“Oh ma fammi il piacere, Malfoy!” lo interruppe, ridendo. “Non venirmi a dire che ti importa qualcosa di me! Saresti un grandissimo ipocrita!”
Draco la guardò ferito. “Non pensare nemmeno per un secondo che io non tenga a te, Pansy. Tu, per me, sei…”
“Sono cosa, Draco?” lo zittì lei, di nuovo. “Cosa sono? Dimmelo, perché io, sinceramente, non l’ho mai capito! Sono un’amica? Il tuo trofeo? Il tuo sfogo ormonale? Dimmelo!” incalzò, il tono di voce sempre più alto. “Ho passato sei anni della mia vita ad aspettare che tu definissi in qualche modo la nostra situazione…. Ma non l’hai mai fatto. Hai sempre dato per scontato che fossi a tua disposizione, pronta ad ascoltare i tuoi sproloqui deliranti su Potter, sul sangue puro e tutte quelle altre stronzate di cui mi hai riempito la testa per anni. Ci sono sempre stata quando hai avuto bisogno di me, ho accettato che tu mi trattassi come una puttanella qualsiasi, usandomi quando più ti faceva comodo, ma senza mai avere le palle di dare una definizione alla nostra relazione, anche se mi fa davvero ridere definire relazione quella sottospecie di rapporto che abbiamo avuto… E ora davvero pretendi che io ti rimanga a fianco mentre vai a fondo? Davvero credi che mi esporrò così tanto, nella remota speranza che, un giorno, tu ti accorga di me? No, Draco, mi dispiace. Questa volta non contare su di me.”
“Non posso credere che tu pensi questo, di me… Di noi” sussurrò lui, colpito.
Pansy gli diede le spalle, cercando di trattenere le lacrime. “Non parlare di un fantomatico noi, Malfoy. Non siamo mai stati un “noi” e non lo siamo di certo adesso. Non ora che hai la Greengrass per la testa.”
Un’espressione di puro disprezzo fece la sua comparsa sul volto del giovane.
“Sarebbe questo, il problema?” domandò, retorico. “Asteria?”
Pansy non rispose, limitandosi a raccogliere i vestiti che aveva lanciato poco prima.
“Lei è solo un’amica, Pansy, niente di più” spiegò il ragazzo, in un misto di rabbia e compassione. “Per Merlino, Pansy, è una ragazzina!”
“Anche tu sei un ragazzino, Draco, anche se giochi a fare l’uomo!” replicò. “Davvero credi che non abbia notato come la guardi? Credi davvero che non sappia cosa significa quello sguardo?” chiese, tesa. “Puoi mentire a chiunque, qui dentro, ma non a me! Ti conosco meglio di chiunque altro, so esattamente quello che ti passa per la testa in qualunque momento, riesco a decifrare ogni tua occhiata, e sai perché? Perché io…”
Si fermò, consapevole di essere andata troppo oltre. Dannazione a lei, non riusciva mai a controllarsi, quando si trovava di fronte Draco. Perché diavolo continuava a farle quell’effetto? A lei non importava più nulla di lui. Non doveva importarle più nulla.
D’improvviso si sentì strattonare per un braccio e si trovò con il volto di Draco a pochi centimetri dal suo.
“Dillo!” le ordinò, con fare glaciale.
“Cosa?” finse di non capire, cercando di sostenere il suo sguardo.
“Che mi ami!” rispose lui, gelido.
“Scordatelo!”
“So che stavi per dirlo…”
“Tu stai delirando…” ribatté lei, cercando di allontanarsi. “Lasciami!” gli intimò, bloccata dalla sua presa.
“Non finché non finirai quello che stavi per dire!”
“Non stavo dicendo nulla…”
“Bugiarda!”
“Malfoy, lasciami ho detto!” ribadì, cercando di divincolarsi.
Draco strinse la presa e lei, in risposta, alzò il braccio libero, con l’intento di colpirlo, ma lui fu più rapido. Le immobilizzò anche il secondo braccio e con un gesto rapido, la cinse con le sue braccia, incrociandole le proprie dietro la schiena.
“Cosa diavolo…”
Pansy non fece in tempo a terminare la frase, che le labbra di Draco furono contro le sue. Strabuzzò gli occhi, colta di sorpresa, fermamente decisa a porre fine a quel bacio, ma il ragazzo la strinse ancora di più a sé, afferrandole i polsi con una mano e portando l’altra sulla sua nuca, spingendola verso di sé, strappandole un gemito di disappunto che ebbe il solo effetto di farle schiudere le labbra quel tanto da riuscire a infilare la sua lingua.
Fu un bacio violento, impaziente, esigente. In quel bacio c’erano tutta la rabbia e la frustrazione covati da entrambi per mesi.
Pansy avrebbe tanto voluto dimenarsi, allontanarlo e fuggire, ma il suo corpo sembrava ribellarsi ai suoi pensieri, perché stare fra le braccia di Draco, in fondo, era la cosa che riusciva, più di ogni altra, a farla stare bene.
Sentì le sue ginocchia cedere, accompagnando il suo corpo verso il pavimento, seguito da quello del ragazzo. Fu quando sentì il corpo di lui adagiarsi sul proprio e le sue labbra carezzargli il profilo del collo, prima, e la linea della clavicola, poi, che capì che quello era l’inizio di una discesa, non solo metaforica, verso l’inferno.


So che non dovrei.... ma l'entusiasmo per essere finalmente riuscita a superare il mio blocco creativo è tanta da farmi decidere di pubblicare un nuovo capitolo... E che capitolo!
A venerdì,
BB

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Capitolo 9
*** Tutto scorre ***


Tutto scorre
Tutto scorre

Nei giorni successivi Daphne si ritrovò a fare i conti con l’apparente mancanza di senno di coloro che la circondavano. Tutti quanti sembravano come impazziti. Da Asteria, che girava per il castello con fare circospetto, a Blaise e Theo, che sempre più spesso confabulavano fra loro, zittendosi non appena lei compariva all’orizzonte, per finire con Pansy, che, se possibile, aveva raggiunto nuovi, epici livelli di intrattabilità, tutti avevano deciso di cospirare contro di lei, evidentemente.

Tutto era cominciato una settimana prima circa. Pansy era stata particolarmente taciturna per tutto il fine settimana, passando molte ore chiusa in dormitorio, sola, al buio, con la scusa di un’emicrania lancinante. Tutti avevano dato per buona quella versione, tranne Daphne: lei sapeva che “emicrania” era, per Pansy, sinonimo di “non ho voglia di vedere nessuno, Draco Malfoy ne ha combinata un’altra delle sue”, così l’aveva lasciata tranquilla. Sapeva che, appena si fosse calmata, sarebbe stata lei stessa a raccontarle il motivo del suo turbamento. Di quello era certa: pur avendo uno strano rapporto di amore/odio, sapeva che la ragazza le era affezionata e si fidava di lei. Tuttavia, deludendo ogni aspettativa, il lunedì il prefetto Parkinson emerse dalle tende a baldacchino del suo letto più incattivita che mai e da allora se n’era andata in giro a togliere punti a chiunque e ad infliggere punizioni corporali secondo il credo dei nuovi insegnanti, i fratelli Carrow. Persino Tiger e Goyle erano arrivati a girarle alla larga, fuggendo a gambe levate e con sguardo terrorizzato ogni qualvolta la incrociavano nei corridoi. Ma il fondo lo raggiunse quando Blaise e Theo dovettero intervenire per dividerla da una ragazzina del terzo anno, rea di averle chiesto se sapeva dove potesse trovare Malfoy, dal momento che il preside lo stava cercando: Pansy le si era letteralmente lanciata contro, graffiandola e strappandole ciocche intere di capelli, urlandole contro improperi irripetibili, fino a che Zabini l’aveva sollevata di peso e immobilizzata, mentre Nott metteva al sicuro la ragazzina.
“Ma si può sapere che diavolo ti è preso?” domandò il primo, furioso. “Cosa ti ha fatto di male, per ridurla a quello stato?”
“Niente, Zabini, niente!” urlò lei, furibonda. “Non mi seccare con i tuoi moralismi!”
“Moralismi?” era intervenuto Theodore, costernato. “Hai quasi ammazzato di botte una ragazza per averti chiesto se, in qualità di prefetto, sapessi dove si trova Malfoy, e parli di morale? Ah!”
“Fatti gli affari tuoi, Nott, se non sbaglio sei l’ultimo che può parlare di moralità, in qualità di figlio di Mangiamorte!” ribatté la ragazza, incattivita.
Theo sbiancò, stringendo i pugni. Daphne decise che era arrivato il momento di intervenire.
“Ora basta, tutti quanti!” gridò, cercando di mantenere la calma. “Pansy, sparisci, vai in dormitorio e restaci. Blaise, accompagna la ragazzina in infermeria. Tu, Theo, datti una calmata.”
Riuscì appena a vedere gli occhi di quest’ultimo lanciarle un’occhiata di fuoco, prima di voltarsi e seguire Pansy in dormitorio. Non aveva tempo per Theo e le sue paranoie, avrebbe pensato a lui più tardi, ora doveva capire cosa diavolo stesse succedendo alla sua amica.
Pansy aprì la porta con violenza, facendola sbattere contro il muro, e si diresse a grandi passi verso il suo letto, lanciandosi sopra di esso e tirando le tende con un colpo di bacchetta.
“No, Pansy!” urlò Daphne, furiosa. “Questa volta non ti lascerò chiudere nel tuo solito mutismo! Voglio sapere cosa accidenti ti prende!”
“Niente, vattene!” ribatté l’altra.
Daphne inspirò profondamente, notando per la prima volta la presenza di Millicent, che la fissava confusa.
Si lasciò cadere sul suo letto, frustrata, sbuffando. Quando voleva Pansy riusciva ad essere davvero, davvero insopportabile. Beh, quasi sempre a dire il vero. Almeno agli occhi della maggior parte delle persone. Eppure lei sapeva che quell’atteggiamento era solo un’arma di difesa: Pansy aveva paura. Paura di essere giudicata, di essere abbandonata. I suoi genitori non erano stati molto presenti, troppo presi dalla vita mondana, praticamente era stata cresciuta da una balia, che la madre aveva bruscamente licenziato appena la ragazza aveva iniziato a frequentare Hogwarts. Così, nel giro di pochi mesi, Pansy si era ritrovata senza un vero punto di riferimento affettivo e scaraventata in un mondo completamente nuovo, finendo per costruirsi una corazza emotiva fatta di cinismo e cattiveria. In fondo, però, rimaneva una ragazza insicura e piena di timori, in grado di donarsi completamente alle persone che amava, con l’inevitabile rischio di finire di nuovo delusa e abbandonata. Come era successo con Draco.
La porta della stanza di chiuse, riportando Daphne alla realtà. Millicent, probabilmente intimorita dalla tensione palpabile, era uscita, lasciandole sole. Sospirò piuttosto rumorosamente e si alzò, convinta che nulla avrebbe smosso Pansy. Era ormai arrivata di fronte all’ingresso del dormitorio, quando sentì la voce della compagna.
“Ho fatto l’amore con Draco.”
Daphne si bloccò, girandosi lentamente verso l’origine di quella rivelazione. Vide le tende del letto agitarsi e la ragazza comparire, lo sguardo colpevole.
“Non guardarmi in quel modo, Daphne. E chiudi la bocca, per l’amor del cielo!” le intimò.
La ragazza chiuse gli occhi, cercando di togliersi l’espressione di stupore dal volto.
“Ma come… quando?” balbettò, confusa.
“La scorsa settimana… Mi ha seguita nel bagno dei prefetti, voleva sapere perché avessi deciso di ignorarlo. Abbiamo iniziato a discutere, poi a urlare… poi mi ha baciata. Da lì tutto è degenerato, non sono più riuscita a fermarmi, è stato tutto così dannatamente naturale!”
“Pansy è una notizia enorme! Voglio dire… Tu e Draco!”
“Lo so, lo so… È quello che ho sempre sognato, invece ho rovinato tutto!” dichiarò, buttandosi sul letto.
“Come sarebbe a dire che hai rovinato tutto?”
Pansy sospirò. “Io… È stato tutto perfetto, incredibilmente bello, meglio di quanto mi aspettassi, lo giuro…” iniziò, “ma alla fine… Ho detto delle cose orribili, Daphne, davvero, davvero orribili!”
“Sarebbe a dire?” chiese l’altra, curiosa.
“Sarebbe a dire che gli ho detto che per me era stato solo uno sfizio e neanche dei più memorabili” dichiarò, ferita.
“Oh…” esclamò Daphne “E… era vero?” domandò timidamente, arrossendo.
Pansy si rimise velocemente seduta, per guardarla negli occhi. “Ma certo che no, ovviamente!” ribatté, scandalizzata. “È stata la mia prima, meravigliosa volta e ho voluto che fosse con lui perché è così che doveva essere!”
“E allora perché gli hai detto quelle cose, scusa? Io non capisco!”
La ragazza sospirò, di nuovo. “Perché non posso stare con lui, Daphne, per milioni di motivi!”
“Ad esempio?” chiese Daphne, scettica.
“Per prima cosa, lui è un Mangiamorte: stare con lui significherebbe schierarmi pubblicamente e la cosa non mi piace, nonostante tu sappia benissimo che non amo particolarmente certa marmaglia. Punto secondo, mia madre s’è assolutamente raccomandata di cercare di far fruttare questo mio ultimo anno. Ovvero: trovarmi un fidanzato che tenga alto il nome della famiglia e il mio status sociale. Dice che da questo dipende la mia vita, che non devo assolutamente deluderla. Converrai con me che accasarmi con un Malfoy, in questo momento, non è in cima alla lista delle cose che mia madre vorrebbe. E terzo…” si interruppe, mordendosi il labbro.
“Terzo…?” la incalzò l’altra.
Pansy inspiro profondamente. “Terzo devo stargli lontana, Daphne. Non posso permettergli di spezzarmi il cuore, di nuovo.”
“E perché dovrebbe spezzarti il cuore? Sinceramente, Pansy, credo che le tue motivazioni siano alquanto deboli! Io credo…”
“Questa volta è diverso, fidati. Questa volta ne uscirò davvero col cuore spezzato. Devo mettermi al riparo, prima che sia troppo tardi!” la interruppe, accorata.
“Non posso aiutarti, se non mi spieghi il perché” la esortò Daphne.
Pansy si alzò dal letto, avvicinandosi al caminetto, dandole le spalle. “Lui ancora non se n’è reso conto, ma… Credo che si stia innamorando. Di un’altra ragazza.”
Daphne sbarrò gli occhi per la sorpresa. “Draco? E di chi?”
La Parkinson si voltò, guardandola negli occhi. “Per ora sono solo amici, ma ho visto come la guarda… La guarda come…. Come se non esistesse altro, oltre a loro due. Non mi ha mai guardata così…” aggiunse, triste.
“Sì, ma di chi si tratta?” la incalzò, al culmine della curiosità.
“È tua sorella, Daphne. Credo che Draco si stia innamorando di Asteria.”
Fu come se un fulmine l’avesse centrata. Non era possibile. Non Draco. Ma soprattutto non Asteria. Per Merlino, era ancora una bambina!
“Ora, so per certo che fra loro non è successo nulla, che sono solo amici, ma… mi devi promettere una cosa” continuò Pansy, avvicinandosi e parandolesi di fronte.
“Cosa?” trovò la forza di dire, ancora sconvolta.
“Devi dirle di stargli lontana, almeno finché tutto questo casino sarà finito! So quanto può essere letale Draco Malfoy, non auguro a nessuno quello che sto provando in questo momento… Ma finché la guerra non sarà finita e lui sarà un Mangiamorte, di quelli in fondo alla gerarchia sociale… Beh, dì a tua sorella di non prenderlo nemmeno in considerazione. A meno che non voglia vivere con il terrore costante che lui possa morire in modo atroce solo perché al Signore Oscuro quella mattina girava di traverso.”

Daphne non ci aveva pensato su nemmeno un secondo. Sapeva che avrebbe dovuto aspettare di essersi calmata, ma la sua parte irrazionale, almeno quella volta, aveva voluto prendere il sopravvento. Così, quasi senza rendersene conto, era piombata nella stanza di Asteria.
“Dimmi che non è vero!”
“Non è vero!” rispose la più piccola, senza alzare lo sguardo dal libro che stava leggendo.
“Sono seria, guardami!” la rimproverò, strappandole il volume da sotto gli occhi.
“Hey!” replicò l’altra, stizzita. “Si può sapere cosa ti succede?”
Daphne chiuse gli occhi e prese fiato. “Dimmi che non frequenti Draco Malfoy!”
Asteria rimase a bocca aperta, poi s’incupì. “Come lo sai? È stata Pansy, vero? Quella viscida…”
“A chi importa come lo so?” replicò la maggiore. “Oh mio Dio, quindi è vero? Stai con Malfoy?”
“Io non sto con nessuno!”
“Asteria non mentirmi!”
“Non ti sto mentendo! E mi ferisce che tu creda più a quella serpe gelosa di Pansy che alla parola di tua sorella!”
“Quindi non è vero? Tu non hai niente a che fare con Draco?” le chiese, nervosa.
“Non ho detto questo.”
“Per l’amor del cielo, Asteria, piantala di fare la misteriosa!” urlò, sfinita. “Dimmi se è vero che ti vedi con Malfoy!”
La piccola scattò in piedi, affrontando la sorella con lo sguardo, fiera. “Sì, mi vedo con Malfoy. Ma non perché io sia interessata a lui. Non in quel senso, almeno.”
“E sentiamo, in quale senso saresti interessata a lui?” la incalzò, tesa.
“Voglio capire, Daphne. Qui dentro tutti lo evitano e tutti lo giudicano, per un motivo o per l’altro. C’è chi gli dà dell’assassino, chi del codardo, chi del fallito, chi finge che non esista. Beh, a me nessuna di queste definizioni piace. Voglio capire quale sia la sua versione dei fatti, perché non ci credo che possa essere diventato una persona del genere. Sappiamo tutti che genere di persona sia sempre stato Malfoy: cinico, sprezzante, odioso se vuoi… ma da lui abbiamo sempre visto pochi fatti e molte parole. Quello che voglio capire è cosa lo abbia spinto a fare un passo tanto azzardato.”
“Oh, sì, certo… Come no…” commentò Daphne, ironica.
“Sì, Daphne. Sei libera di non credermi, ma è così. Draco non mi piace. Credo sia solo un ragazzino troppo viziato che ha una visione piuttosto distorta della realtà. Ma sei libera di credere a Pansy, se la cosa ti aggrada maggiormente!” ribatté Asteria.
“Certo che credo a Pansy! Come potrei non farlo? Da quando in qua una ragazzina inizia a frequentare un ragazzo solo per amore della verità? Non vorrai farmi credere che siete solo amici, vero?”
“Certo che sì!”
“Ma fammi il piacere, l’amicizia fra un ragazzo e una ragazza non esiste!” sbraitò Daphne.
“Non dirmi che hai davvero detto quello che ho appena sentito… Non senza che tu voglia renderti completamente ridicola!” rise Asteria.
“Cosa intendi dire?”
“Voglio dire che non puoi tu venire a farmi la predica perché voglio essere amica di un ragazzo, quando sono anni che fingi di non sapere che i tuoi due migliori amici muoiono dalla voglia di baciarti!”
“Quello che c’è fra me, Theo e Blaise è completamente diverso…” tentò di giustificarsi, al culmine dell’imbarazzo. “Tu sei solo una ragazzina. E lui è Draco Malfoy. Draco Malfoy, per Merlino! È un Mangiamorte, Asteria, sai cosa significa?”
“Sì, Daphne, lo so. Ma, al contrario di tutti voi, cerco di vedere anche la persona che sta dietro alla maschera. Ed è un ragazzo come chiunque altro, con le sue paure e i suoi sentimenti. Certo, è molto più facile etichettarlo come criminale e fingere che non esista, piuttosto che ammettere che è lo stesso Malfoy che divideva le giornate con voi fino allo scorso anno, vero? Sai che ti dico, Daphne? Non mi importa. Non mi importa di quello che pensi tu, di quello che pensano mamma e papà e tutti gli altri. Io non gli volterò le spalle. Non farò come Pansy Parkinson, che l’ha sempre venerato, salvo sparire quando le cose hanno preso la piega sbagliata!”
“Quando mamma e papà lo sapranno non ti lasceranno più tornare a scuola!”
“E allora diglielo!” urlò Asteria, sfinita. “Racconta loro tutte le idiozie che ti ha detto Pansy, dì pure loro quel che vuoi. Così la tua coscienza sarà finalmente pulita!”
“Non farmi ricatti morali, sorellina, non mi farai sentire in colpa per averti protetta!” la accusò Daphne.
“Lungi da me farti sentire in colpa… Solo… Hai mai pensato che, forse, il tuo senso di colpa deriva dal fatto che anche il tuo migliore amico è figlio di un noto Mangiamorte?” insinuò, perfida.
Daphne accusò il colpo, sentendosi mancare.
“Sai benissimo che è diverso… Theo non è un Mangiamorte!”
“Solo perché non è mai stato nella posizione di dover accettare il Marchio, per salvare la pelle e la sua famiglia” rispose, gelida. “Ti sei mai chiesta cosa avrebbe fatto, al posto di Draco?”
Daphne tacque, incapace di trovare una risposta. O, forse, non volendo ammettere la realtà.
“Esattamente…” rispose al suo posto Asteria, riprendendole dalle mani il suo libro. “Ora per favore vattene. Non ho altro da dirti.”
La maggiore delle sorelle Greengrass rimase un attimo a fissare l’altra: era cresciuta, Asteria, probabilmente più di lei. Le era piombata in stanza accusandola di qualcosa che Pansy stessa le aveva detto non esistere e lei si era preoccupata più di difendere Draco che se stessa. La ammirava. La ammirava perché, contrariamente a lei, riusciva a distinguere l’amicizia da altri sentimenti, mentre lei ancora non capiva cosa la tenesse tanto legata a Theo e Blaise. Guardò un’ultima volta il volto fiero di sua sorella, fisso sulle pagine del libro che stava leggendo, le lacrime che brillavano ai lati degli occhi, ma strenuamente trattenute per non darle la soddisfazione di vederla piangere. Si voltò e raggiunse la porta, sentendo, mentre stava per accostare l’uscio, la sua piccola, grande sorella dare libero sfogo ai suoi singhiozzi.

Entrò trafelata nella stanza di Theo e Blaise perché aveva veramente bisogno dei suoi amici. Tuttavia quella che si trovò di fronte fu proprio l’ultima scena a cui sperava di assistere. Blaise e Theo stavano litigando.
“Oh, insomma, Theo, datti una calmata!” urlò Zabini.
“Darmi una calmata? Darmi una calmata???” ripeté Nott, ossessivo. “No che non mi do una calmata! Voi siete miei amici! E non avete detto una sola parola!”
“Perché non era necessario! Andiamo, da quando alla gente importa di quello che dice Pansy Parkinson?” ribatté Blaise. “Da quando importa a te?” aggiunse.
“Da quando mi accusa pubblicamente di essere un Mangiamorte!” replicò l’altro, furioso.
“Oh, andiamo Theo. Smettila di essere paranoico! Nessuno ti ha accusato di essere un Mangiamorte! Devi smetterla di vedere complotti ovunque!”
“Paranoico? Io ti…” iniziò, scagliandosi contro l’amico.
“Ora basta!” gridò Daphne.
I due ragazzi si voltarono, notando per la prima volta la presenza della giovane.
“Cosa dannazione prende a tutti quanti? Pansy mi rivela cose sconvolgenti, mia sorella mi accusa di non affrontare la realtà e ora voi due litigate come due bambini!” sciorinò, sull’orlo delle lacrime. “Theo, mi stupisco di te!”
“Oh, certo… Come al solito la colpa è mia, vero?” commentò, sarcastico.
“Sì, finché continuerai ad accusarci di non difenderti!” replicò lei, cercando di apparire comprensiva “Capisco che questa storia ti stia distruggendo, ma è tuo padre, Theo… È normale che la gente faccia insinuazioni di questo tipo! Ma sono solo insinuazioni e noi lo sappiamo, non è questa la cosa importante?”
Theodore non rispose, limitandosi a voltarle le spalle, incurvato su se stesso.
Daphne ripensò alle parole di Asteria e continuò. “Theo, stiamo parlando di tuo padre. È la tua famiglia, prima di essere un Mangiamorte. Non dovrebbe importarti di quello che dice la gente.”
“Invece mi importa, Daphne” rispose lui, ferito. “Mi importa perché è l’unica persona che mi è rimasta al mondo e lui pare non rendersene conto. Se ne va in giro a rischiare la vita, s’è fatto persino rinchiudere ad Azkaban… E ritorna a casa come se niente fosse, fingendo che non sia successo nulla, comportandosi come se io non fossi dovuto rimanere solo per un anno intero, umiliato da tutti!”
“Theo…” cercò di interromperlo Blaise.
“No, no, non mi calmo!” lo bloccò l’altro, intuendo quello che stava per dire. “Io contavo su di voi! Ho rinunciato a tutto, per voi! Voi sapete che sono mesi che non rivolgo la parola a mio padre?”
“Cosa?” domandarono gli altri due, sconvolti, all’unisono.
“E sapete perché l’ho fatto? Perché non voglio più avere niente a che fare con lui, perché lui non è più la mia famiglia. Voi lo siete. O almeno così credevo. Prima di scoprire che per voi sono solo un mitomane paranoico!”
“Theo, non puoi dire una cosa del genere… Sei crudele!” lo accusò Daphne, le lacrime agli occhi.
“Io? Io sarei crudele?” le gridò contro lui. “Ti prego, Daphne, risparmiami la paternale. Non quando prendi le difese di Blaise ogni santa volta!”
“E questo cosa c’entra?” intervenne Zabini, intuendo che la discussione stava degenerando.
“C’entra, perché tutta questa situazione è la dimostrazione pratica che sono di troppo. Nella mia famiglia, in questa scuola… e anche fra voi due” sentenziò, voltando le spalle ai due amici e uscendo dal dormitorio, sbattendo la porta.
Daphne e Blaise rimasero in silenzio, basiti, fissando la porta da cui Theo era appena uscito. Riuscirono a guardarsi solo dopo alcuni, interminabili minuti e, non appena i loro sguardi si incrociarono, Daphne scoppiò in lacrime.
“Hey…” le sussurrò all’orecchio, abbracciandola. “Non è niente, stai tranquilla… Gli passerà, vedrai…”
La ragazza si rannicchiò contro il torace di Blaise, singhiozzando, rendendosi conto che quell’abbraccio così dolce e totalizzante, che tante volte aveva avuto il potere di calmarla, quella volta riusciva, se possibile, a farla stare ancora peggio. Perché stretta fra le braccia di Blaise, Daphne si rese conto che, forse, Theo aveva ragione.



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Capitolo 10
*** Nulla da vincere e niente da perdere ***


Niente da vincere e nulla da perdere
Nulla da vincere e niente da perdere

Asteria entrò trafelata nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
“Sei arrivata” constatò Draco, alzandosi dalla poltrona di fronte al caminetto. “Finalmente” aggiunse, con un lieve tono di disappunto nella voce.
“Sarei arrivata anche prima se tu non continuassi a cambiare il luogo dei nostri incontri!” si difese la ragazza, piccata. “Che razza di posto è questo?” chiese, guardandosi attorno.
Malfoy osservò la stanza a sua volta, compiaciuto. “A occhio e croce direi che è la sala comune di Serpeverde” rispose.
Asteria sbuffò, spazientita. “Questo lo vedo da me. Quel che mi domando è perché tu mi abbia fatta salire fino al settimo piano, impazzendo per trovare lo stupido arazzo di Barnaba il Babbeo, per poi ritrovarci nella sala comune della nostra Casa!”
Draco le si avvicinò, ridendo. “Questa è la Stanza delle Necessità, Greengrass… Mai sentita nominare?”
“A dire il vero no…” replicò lei.
“Beh, come vedi anche oggi sono riuscito a farti scoprire qualcosa di nuovo. Ad ogni modo, d’ora in poi questo sarà il nostro luogo di ritrovo ufficiale, contenta?”
“Non quanto quel ragazzino del primo anno che sfrutti come se fosse il tuo gufo!”
Draco sogghignò, rimettendosi seduto di fronte al camino.
“Com’è andata la tua settimana?” le chiese, facendole cenno di accomodarsi.
“Così così…” rispose lei, vaga.
“Hai voglia di parlarne?” domandò lui, notando il brusco cambio d’espressione della ragazza.
“Non c’è niente di cui parlare!” replicò Asteria, secca.
Draco sbuffò, spazientito.
“Che c’è?”
“Perché voi ragazze dovete essere sempre così dannatamente criptiche?” sbottò Draco, adirato. “Non potreste semplicemente dire cosa vi passa per la testa? Dovete necessariamente complicare le cose ogni santa volta?”
Asteria incrociò le braccia al petto, il sopracciglio alzato, guardando Malfoy con sguardo interrogativo.
“Stiamo sempre parlando di me o stai proiettando su di me il tuo risentimento nei confronti di qualcun altro?” domandò, sfidandolo apertamente.
Draco cercò di sostenere lo sguardo fiero e accusatore di Asteria, finendo inevitabilmente per cedere, abbassando il capo fra le mani, sospirando.
“Sono successe delle cose… con Pansy…” ammise, infine.
“Che genere di cose?” chiese Asteria, angelica.
Draco alzò la testa e la guardò. “Beh… Quel genere di cose!”
La ragazza lo guardò con fare confuso, poi colse l’allusione. “Oh…” esclamò, arrossendo. “Bene…”
“No, che non va bene!” sbraitò Malfoy, alzandosi di scatto. “Non va bene perché sembrava che lei lo volesse quanto me, ma poi ha pianto! Per tutto il tempo! E alla fine ha farfugliato qualcosa sul fatto che si era tolta uno sfizio e che non è stato per niente memorabile!”
“In che senso non è stato memorabile?” chiese delucidazioni la piccola Greengrass.
Draco la fulminò con un’occhiata. “Ha fatto allusioni a fantomatiche passate esperienze… A suo dire molto più interessanti…Tutte idiozie!”
“E l’idiozia starebbe nel fatto che Pansy sostiene di essere stata con altri ragazzi o nella tua prestazione poco memorabile?” lo interrogò l’altra, cercando di vincere l’imbarazzo.
“Pansy non è stata con nessun altro, di questo sono più che sicuro!”
“Come puoi esserne certo? Voglio dire… Voi due avete sempre avuto un rapporto così strano…”
“Sì, ma Pansy… Lei è… Io… Lei…” balbettò l’altro, confuso.
“Draco?” lo interruppe Asteria.
“Che c’è?” rispose lui, frustrato.
“Tu sai definire il tuo rapporto con Pansy, vero?” gli domandò, a bruciapelo.
“Io? Certo che sì!” mentì.
“Allora dimmi cosa siete!” lo incalzò la giovane.
“Noi… Noi siamo… Lei è… Io… Dannazione, non lo so!” sbuffò, rimettendosi seduto scompostamente e guardando la sua interlocutrice.
Asteria lo fissava, seria.
“Forse è proprio questo, il problema.”
“Ovvero?”
“Forse Pansy vorrebbe sentirsi dire, una volta per tutte, cosa significa lei per te!”
Draco la guardò come se fosse improvvisamente diventata un fantasma.
“Io non credo che sia questo che Pansy vuole da me!”
“E cos’altro potrebbe volere, scusa? Mi sembra che tutto quello a cui poteva aspirare, secondo la tua brillante logica, l’abbia già avuto!” controbatté Asteria, arrossendo al pensiero di quello che aveva appena insinuato.
“Sì, ma tu non conosci Pansy! Lei è…” iniziò a giustificarsi Malfoy.
“Lei è una ragazza, Draco” lo interruppe l’amica, “e come tutte le ragazze vuole amare e sentirsi amata!” dichiarò, accorata. “In tutti questi anni hai dato per scontata la sua presenza, non le hai mai detto quanto importasse per te. E scommetto quello che vuoi che non l’hai fatto nemmeno quando avete… beh, quando avete fatto quel che avete fatto!” esclamò, imbarazzata. “Tu l’hai sempre considerata come una spalla, al pari di Tiger e Goyle. Beh, in modo un po’ diverso da loro, forse” si corresse, notando l’espressione accigliata del ragazzo. “Sapevi che, quando ne avresti avuto bisogno, lei ci sarebbe stata. Ma tu per lei, sei stato molto di più. Sei stato il suo primo, grande amore, e ha fatto di tutto per dimostrartelo. Forse avresti dovuto dirle quello che provi, prima di fare l’amore con lei. Tutte le ragazze lo sognano: il ragazzo che ami che ti dichiara i suoi sentimenti mentre state per diventare una cosa sola…” concluse, rossa per l’imbarazzo.
“Io… Io non ne avevo idea…” commentò Draco, sconvolto.
“Sarebbe dovuta essere una cosa naturale, se tu…” si bloccò, temendo la reazione del ragazzo a quanto stava per affermare.
“Sei io?” la sollecitò lui.
“Se tu fossi davvero innamorato di Pansy.”
Malfoy sbuffò, contrariato. “Ovvio che lo sono!”
“Allora dillo!”
“Cosa?”
“Che sei innamorato di Pansy!”
“Io… Io…” balbettò, cercando di dire le restanti fatidiche quattro parole, gettando infine la spugna. “Io le voglio molto bene. Molto più di quanto ne abbia mai voluto a nessun altro qua dentro…”
“Ma non la ami” constatò Asteria.
“Sì. Cioè no! Io… Non lo so!” concluse, prendendosi la testa fra le mani, disperato.
Rimasero a lungo in silenzio, fissando le fiamme nel camino rincorrersi fra loro.
“Sei arrossita…” riprese la conversazione Draco.
“Come, scusa?” chiese spiegazioni lei, confusa.
“Prima, quando hai fatto tutto quel discorso sul fare l’amore e dichiarare i propri sentimenti… sei arrossita.”
“Sì… Beh, io… Non sono molto abituata…” balbettò la ragazza, imbarazzata.
“Non era una critica, tranquilla!” la rincuorò. “La trovo una cosa carina. Voglio dire… Molte ragazze sono fin troppo… dirette… da quel punto di vista!”
Asteria non replicò, troppo a disagio anche solo per riuscire a guardarlo in volto. Non era una ragazza timida o eccessivamente pudica, ma, diamine, si stava parlando di sesso e sentimenti, e lo stava facendo con Draco Malfoy, non con sua sorella o con una sua amica!
“E tu…” riprese parola Malfoy, “tu sei mai stata innamorata?”
La piccola Greengrass lo guardò a lungo, prima di rispondere. Non capiva il senso di quella domanda. Non sembrava che Draco l’avesse pronunciata con malizia o con interesse… Aveva posto quella questione in modo del tutto naturale, esattamente con lo stesso tono con cui, all’inizio, le aveva chiesto come fosse andata la settimana. Eppure, si ritrovò lo stesso a chiedersi il perché di quella domanda tanto intima e personale. Ok, erano amici e lui si era appena scoperto su una questione piuttosto riservata… Ma da quando aveva discusso con Daphne, il tarlo del dubbio si era insinuato nella sua mente: era davvero sicura che anche Draco fosse interessato a lei solo come amica? Lo fissò a lungo, cercando di decifrarne i pensieri attraverso l’espressione assolutamente calma e neutra. Oh, al diavolo Daphne e le sue paranoie!
“No, mai stata innamorata. Mai” ribadì, per rinforzare il concetto.
“Neanche una piccola cotta?” perseverò lui.
“Qualche piccola infatuazione passeggera, niente di più”
“E nonostante questo sei comunque più ferrata di me in fatto di sentimenti…” constatò il ragazzo, stupito.
“Diciamo che noi ragazze nasciamo con il vocabolario dei sentimenti del DNA” scherzò, sorridendogli.
Malfoy la guardò, sorridendole a sua volta.
“Sei una ragazza interessante, Asteria Greengrass. Mi stupisco che nessuno ancora l’abbia notato.”
Asteria arrossì, per l’ennesima volta durante quella serata.
“Beh, tu l’hai notato… Puoi fregiarti del titolo di pioniere, in quest’ambito!” ironizzò, per spezzare via l’imbarazzo.
“Già…” confermò “Anche se io mi riferivo ad un altro tipo di interesse” ammise, guardandola negli occhi. “Interesse che, egoisticamente, spero emerga il più tardi possibile. Mi seccherebbe alquanto rinunciare all’unica persona che si sia mai avvicinata a me senza un secondo fine! Voglio dire… Tiger e Goyle mi hanno sempre visto come una guida, l’erede di mio padre,… Pansy ha sempre voluto più dell’amicizia… Tu, invece… Beh, sei tu. Senza pretese e senza secondi fini, dico bene?” domandò, con una strana luce negli occhi.
“Esattamente” rispose Asteria, dopo un attimo di esitazione, e per un secondo le parve che qualcosa nello sguardo di Draco fosse mutato.
“Bene, s’è fatto parecchio tardi” constatò. “Sarà meglio rientrare nei dormitori.”
Si alzarono entrambi e si avvicinarono all’ingresso della stanza.
“Ci sarai la prossima settimana?” le domandò, speranzoso.
“Ovviamente!” rispose lei, sorridendogli.
“Allora buonanotte, Greengrass!”
“Buonanotte, Draco!”


Rieccomi con il consueto aggiornamento settimanale... La storia sta iniziando a delinarsi in tutti i suoi intrecci, anche se, mi sento in dovere di avvisarvi che nel prossimo capitolo molti equilibri inizieranno a vacillare. Per questo motivo ho deciso di aggiornare sia oggi che domani... giusto per non lasciarvi troppo con il fiato sospeso... O meglio... Perché non vedo l'ora di sapere come reagirete!
Ringrazio tutti coloro che mi stanno seguendo, chi silenziosamente, chi recensendo la storia... Sapere che la storia vi sta piacendo e che la caratterizzazione che ho dato ai personaggi è credibile e viene apprezzata mi riempie di gioia!
A presto!

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Capitolo 11
*** Era una notte buia e tempestosa ***


Era una notte buia e tempestosa
Era una notte buia e tempestosa

Le vacanze di Natale arrivarono più lentamente di quanto Daphne avesse sperato. Theo e Blaise si erano riappacificati il giorno successivo alla loro lite e questo, in condizioni normali, sarebbe bastato per farla stare meglio. In condizioni normali, infatti, Theo le avrebbe quantomeno rivolto la parola.
Non poteva dire che lui la maltrattasse o le fosse particolarmente ostile, semplicemente si limitava ad ignorarla, parlandole a stento e sempre a monosillabi. All’inizio aveva cercato di non darci troppo peso, convinta che fosse una sua impressione, che presto sarebbe tutto tornato alla normalità, ma con il passare dei giorni si era dovuta arrendere all’evidenza: Theodore Nott ce l’aveva con lei. Egoisticamente era anche arrivata a pensare che non era verso di lei che doveva essere risentito, semmai avrebbe dovuto prendersela con Blaise, d’altra parte era con lui che aveva iniziato a discutere, lei era solo entrata nella loro stanza nel momento sbagliato. Eppure Theo continuava strenuamente a non parlarle, deciso a punirla per non si sa quale delitto. Vista da questa prospettiva, l’idea di trascorrere le vacanze di Natale ad Hogwarts in compagnia sua e di Asteria non era delle più accattivanti.
Sua sorella sembrava ancor più decisa di Nott a non rivolgerle mai più la parola. Non poteva certo biasimarla: le aveva mosso accuse piuttosto pesanti, incurante delle sue argomentazioni e dimostrandole una ben misera considerazione del suo senso di giudizio. Era stata molto dura con lei, ne era consapevole, ma l’idea che potesse cacciarsi in qualcosa di molto più grande di lei e sicuramente pericoloso la spaventava a morte. Sapeva che Asteria era una ragazza responsabile e coscienziosa, che non si sarebbe mai messa in una situazione compromettente, ma, dannazione, la sua controparte era Draco Malfoy! Uno che, negli anni, aveva dimostrato più volte di avere a cuore le sorti di una sola persona: se stesso. Era piuttosto inverosimile che proprio in quel momento, così delicato  per sé e per la propria famiglia, Malfoy avrebbe avuto dei riguardi nei confronti di un’altra persona. Bastava pensare a come si era comportato con Pansy, durante gli anni.

La mattina della vigilia di Natale Daphne si alzò di buon’ora, decisa a salutare Blaise prima della sua partenza: a differenza di Theo, che per ovvi motivi preferiva rimanere a scuola piuttosto che passare le feste con il padre, Zabini aveva deciso di tornare a casa e trascorrere le vacanze con la madre. I suoi genitori, invece, avevano ritenuto più prudente fare trascorrere a lei e sua sorella le festività ad Hogwarts, a loro dire più sicura durante quei giorni bui. Evidentemente ai signori Greengrass non era giunta voce del clima spettrale e di terrore che si era instaurato all’interno del castello. Il regno dei fratelli Carrow, fatto di punizioni corporali e magia oscura, aveva fatto rimpiangere a molti studenti di non essere rimasti in mezzo alla guerra: lì, almeno, avrebbero potuto decidere di infliggere incantesimi e maledizioni su un potenziale nemico, piuttosto che su inconsapevoli studenti del primo anno.
“Ciao” una voce familiare la riscosse dai suoi pensieri.
No. Merlino, no. Ti prego, no. Fa che non sia davvero lui.
Si girò, lentamente, trovandosi di fronte Theodore, seduto su una delle poltrone di fronte al caminetto.
“Da quando sei diventata così mattiniera?” le chiese, scrutando con fare confuso l’espressione terrorizzata della ragazza.
“Ehm… Io…” iniziò, prima di essere interrotta dall’apparizione di un terzo personaggio, alle spalle di Theo.
“Non ci credo!” esclamò Blaise, sorpreso. “Ti sei davvero alzata presto per salutarmi!”
Daphne chiuse gli occhi, sentendo qualcosa spezzarsi dentro di lei.
“Oh…” esclamò Theo, dipingendosi sul volto un’espressione indecifrabile. Sembrava… ferito? Divertito? Rassegnato? Tutte quelle emozioni insieme? Difficile dirlo.
Si alzò in piedi, voltandosi verso l’amico. “Ciao, Blaise” disse, asciutto. “Buone vacanze, eh!”
Diede un’ultima occhiata a Daphne, poi uscì dalla Sala Comune, dando una pacca sulla spalla di Zabini.
Blaise si voltò verso la ragazza, una buffa smorfia di disappunto in viso.
“Mi dispiace…” disse, dispiaciuto. “Non avevo notato che lui fosse lì…”
Daphne sbuffò, frustrata, mettendosi seduta sulla poltrona occupata poco prima da Nott.
“Non fa niente” rispose. “Non potevi saperlo. Peccato, però… Era la prima volta che mi parlava, dal ‘fattaccio’” constatò, mimando le virgolette. “Dunque, sei in partenza?”
“Già… Si torna a casa per le vacanze!”
Daphne lo abbracciò di slancio. “Fai buon viaggio... e Buon Natale, Blaise!”
“Buon Natale a te, Daphne…” rispose, respirando il suo profumo. “E cercate di non cruciarvi a vicenda, mentre io sono via!”
La ragazza sorrise, stringendosi nelle spalle. “Cercherò di fare il possibile!”

Per il resto della giornata, Daphne si divise fra il dormitorio e il parco, uscendo solo per un rapido spuntino a pranzo, riflettendo sugli ultimi sviluppi, concludendo… niente. Più si sforzava di capirci qualcosa, più la situazione le appariva nebulosa. Quel pomeriggio di qualche settimana prima, stretta a Blaise, aveva davvero creduto di sentirsi completa, protetta e appagata. Ma quando Theodore aveva smesso di parlarle, esternando il suo risentimento, era come se qualcosa dentro di lei fosse morto. Non riusciva a tollerare l’idea di perdere Theo, era arrivata persino ad avercela con Blaise per essere stato la causa del loro litigio. Insomma, per quanto si sforzasse di trovare una soluzione all’eterno dilemma su chi, fra i suoi due migliori amici, le avesse rubato il cuore, sentiva di essere ben lungi dall’avere una risposta. In modo diverso, provava qualcosa per entrambi e non avrebbe davvero saputo dire quale dei due sentimenti avrebbe finito col prevalere. Forse, il fatto che non riuscisse a capire a chi dei due tenesse di più, era semplicemente una prova del fatto che, in realtà, non era innamorata di nessuno dei due.

Arrivò in Sala Grande per la cena prima di chiunque altro. Asteria fece il suo ingresso poco dopo di lei, andando a sedersi dal lato opposto della tavolata, puntando lo sguardo sul muro di fronte a lei, ben decisa a non perderlo di vista. Daphne alzò lo sguardo sul soffitto della sala, sconsolata. La volta di stelle era oscurata da una spessa coltre di nuvole, analogamente al cielo di quella sera. Abbassò il volto, rendendosi conto che qualcuno si era seduto quasi di fronte a lei.
“Ciao” disse timidamente Theo.
“Ciao…” rispose lei, sorpresa, portando l’attenzione sul contenuto del suo piatto.
Passarono il resto della cena in silenzio, scambiandosi occhiate furtive di tanto in tanto, finché, arrivati al dolce, Nott lanciò il suo cucchiaio nel piatto, attirando l’attenzione della ragazza.
“Io…” iniziò, fiero, ma poi sospirò, guardandola affranto. “Mi dispiace, Daphne. Mi sono comportato come un completo idiota, ti ho volutamente ignorata per settimane… E per cosa? Per una stupida questione di orgoglio!” pronunciò, tutto d’un fiato.
“Theo, non importa…” cercò di interromperlo.
“No, Daphne, importa, importa a me!” continuò. “Ti ho evitata perché l’idea che tu potessi preferire Blaise mi faceva impazzire” confessò, guardandola negli occhi. “Posso tollerare di perdere tutto, il mio nome, la mia famiglia… Ma non posso pensare di perdere anche te. Di perdere voi” aggiunse, grave.
La ragazza lo fissò a bocca aperta, incapace di proferire parola. Era la prima volta che Theodore esprimeva così platealmente ciò che provava per lei e, contrariamente a quanto aveva sempre pensato, la cosa non le dispiaceva per niente, anzi. Aveva sempre creduto che, qualora lui o Blaise avessero deciso di dichiararle il proprio amore, la sua reazione sarebbe stata il panico. Invece, in quel momento, l’unica sensazione che provava era un forte, fortissimo batticuore. L’idea che Theo provasse qualcosa per lei la emozionava come mai le era capitato in vita sua. Sapeva che i suoi due migliori amici provavano per lei qualcosa più dell’amicizia, poteva negarlo a tutti gli altri, ma non a se stessa. Il loro rapporto andava al di là della semplice amicizia, ma ammetterlo avrebbe significato dovergli dare una definizione e la cosa la spaventava a morte. La loro non era una relazione d’amore, perché in un rapporto amoroso esiste anche la componente fisica e la maggior espressione di fisicità che c’era stata finora fra di loro erano stati gli abbracci, o il camminare tenendosi per mano. Niente di più. Non che non ci avesse mai fantasticato sopra. Più volte si era soffermata a pensare a come sarebbe stato baciare Blaise o Theo e, mentre l’idea di baciare Blaise la imbarazzava da morire, facendola arrossire al solo pensiero e rendendole difficile continuare a guardarlo in faccia, il pensiero di assaggiare la consistenza delle labbra di Theo le provocava sensazioni diametralmente opposte. La voce di quest’ultimo interruppe le sue riflessioni.
“So che probabilmente non hai la minima intenzione di perdonarmi, e non ti biasimo per questo, ma volevo solo che sapessi che l’idea di passare il giorno di Natale anche solo guardandoti da lontano è la cosa più bella che potessi sperare mi capitasse.”
Daphne rimase a guardarlo alzarsi, senza trovare le parole giuste per replicare, mentre Theo le regalò un sorriso dolce prima di uscire dalla Sala alla volta dei dormitori.

Un paio d’ore più tardi Daphne era distesa nel suo letto, sveglia. Fuori dal castello il vento fischiava minaccioso, mentre la neve cadeva copiosa. Non riusciva a dormire, non dopo quello che Theo le aveva detto. Come aveva potuto rimanere lì, impassibile, senza dirgli una parola? Come aveva potuto, dopo quello che lui le aveva detto? Quando se n’era andato, si era voltata quasi d’istinto verso sua sorella, che aveva abbassato lo sguardo, dopo aver assistito alla scena, scuotendo il capo contrariata.
D’improvviso, scostò le coperte bruscamente, alzandosi. Raccolse lo scaldacuore adagiato sul baule ai piedi del letto e lo infilò, prendendo la via dell’uscita.
Sgattaiolò furtiva attraverso la sala comune, in direzione dei dormitori maschili. Percorse rapidamente il corridoio, sentendo brividi di freddo percorrerle la schiena, al contatto dei piedi scalzi con il pavimento di fredda pietra, finché giunse di fronte alla porta che stava cercando. Chiuse gli occhi, inspirò profondamente ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle, delicatamente. Il fruscio delle lenzuola le segnalò che Theo era sveglio. Lo sentì cercare tentoni la bacchetta sul comodino e pronunciare “Lumos” illuminando la stanza, chiudendo istintivamente gli occhi per il brusco cambio di luce. Quando li riaprì, un’espressione di stupore si dipinse sul suo volto alla vista della ragazza.
“Non riesco a dormire…” esordì Daphne. “Non sono abituata a dormire sola” aggiunse.
“Non dirmi che hai paura…” disse lui, cercando di abituarsi alla luce.
“La tempesta mi ha sempre spaventata…” ammise lei, ferma sulla soglia.
“Vuoi che ti faccia compagnia?” le chiese, facendo per alzarsi.
Daphne annuì “Dormiresti con me?” domandò lei, a bruciapelo.
Theo la guardò, cercando di capire se stesse dicendo sul serio o meno. Gli occhi imploranti di lei gli confermarono che non stava scherzando.
“Vieni…” disse, facendole spazio.
Daphne corse verso di lui, sdraiandoglisi a fianco.
Con un incantesimo non verbale Theo spense la luce e si coricò.
Per alcuni, interminabili minuti, entrambi rimasero immobili, tesi, cercando di carpire i pensieri dell’altro, finché Nott non si fece coraggio.
“Sei comoda?” domandò.
“Sì, grazie…”
“Beh, allora buonanotte…”
“Buonanotte, Theo.”
Contemporaneamente si girarono sul fianco, dandosi le spalle. Daphne rimase ad occhi spalancati, il cuore che le batteva all’impazzata. Era davvero sdraiata nello stesso letto di Theo? Come diavolo le era venuta quell’idea?
Si rivoltò bruscamente verso di lui, facendosi coraggio.
“Non pensavo tenessi tanto a me” enunciò, tutto d’un fiato.
Sentì il ragazzo irrigidirsi, quasi stesse trattenendo il respiro.
“Voglio dire… So che tieni a me, siamo amici… Solo… Non avevi mai detto o fatto nulla per dimostrarmelo” spiegò, mentre l’altro si voltava lentamente verso di lei.
Non ci fu risposta da parte di Theo, ma, ad un certo punto, sentì il calore del suo respiro farsi sempre più vicino al suo volto, nel buio.
"Theo...?"
"Mmmmh??" mugugnò l'altro.
"Cosa stai facendo?"
"Ti sto per dimostrare quanto tengo a te, di nuovo."
“Oh” esclamò Daphne. "E Blaise?" aggiunse, ricordandosi improvvisamente del terzo membro del triangolo.
Theodore fece una pausa, inspirando profondamente. "Tengo molto anche a lui, ma non credo lo bacerò…"
Il respiro del giovane si fece sempre più vicino, facendole chiudere gli occhi, annusando il profumo della sua pelle.
“Daphne…” la riportò alla realtà.
“Mmmmh??”
“Se vuoi fermarmi… Beh, fallo adesso” disse, praticamente contro le sue labbra. “Dopo non credo sarò più in grado di farlo…”
“Non voglio fermarti” sussurrò lei, quasi supplicandolo.
“Ma se non lo fai cambierà tutto” constatò lui. “Questo lo sai, vero?”
“Lo so” ammise lei. “E lo voglio lo stesso.”
“Oh…” ribatté lui. “Quand’è così…”
In una frazione di secondo entrambi annullarono l’insignificante distanza che era rimasta fra loro e le loro labbra si schiusero in un bacio esigente e intenso. Non ci fu pudore o timidi approcci, entrambi volevano sentire l’altro in tutta la sua passione. Le mani di Theodore cinsero Daphne in vita, stringendola forte a sé. Percorse, poi, con una mano la schiena della ragazza, arrivando alla sua nuca, infilandole le dita fra i capelli. Quella carezza ebbe il potere di farla rabbrividire, facendole sentire l’esigenza di stringersi ancora di più a lui, facendo scontrare i loro bacini, provocando ad entrambi una scossa di eccitazione che li fece bruscamente separare. Si guardarono negli occhi, ansimanti e stupiti e, infine, si diedero un leggero bacio a fior di labbra, voltandosi in modo da darsi reciprocamente le spalle.
“Buonanotte, Daphne…”
“Buonanotte, Theo…”
 

Non dico nulla... Lascio a voi ogni commento!

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Capitolo 12
*** Dentro un pessimo romanzo ***


Dentro un pessimo romanzo
Dentro un pessimo romanzo*

Nei sotterranei di Serpeverde regnava il silenzio, inframmezzato dal respiro lento e cadenzato di due persone.
Bacio.
“Theo…”
Bacio.
“Theo… Sarebbe ora di pranzo…”
Bacio.
“Sì, e allora?”
Bacio.
“E allora ho fame!”
Bacio.
“Mmmh, capisco.”
Bacio. Altro bacio.
“Theo…”
Il ragazzo si sollevò, per poterla guardare in volto.
“Scusami… È solo che vorrei godermi quest’ultima giornata con te, prima che tutti gli altri facciano ritorno…” si giustificò, accarezzandole i capelli.
Daphne sorrise, carezzandogli il volto. “Non stiamo per andare in guerra, Theo… Ricominciano semplicemente le lezioni!”
“Lo so…” sbuffò lui, sdraiandosi al suo fianco, sul letto. “Solo… Mi piaceva passare le mie giornate con te.”
“Nulla ti vieta di continuare a farlo…” cercò di rassicurarlo.
“Non sarà la stessa cosa, lo sai!”
“No, sinceramente credo di non capire dove sia il problema, Theo…”
Nott sospirò, portandosi le mani al viso. “È che mi piaceva… fingere di essere il tuo ragazzo.”
La totale assenza di reazioni da parte di Daphne lo costrinse a voltarsi verso di lei e guardarla.
La ragazza lo stava guardando con estremo disappunto.
“Pensavo fosse chiaro…” disse, lapidaria.
“Lo so, lo so… Non è il caso, con Blaise e tutto il casino che c’è là fuori, però…”
Un dito della ragazza posato sulle sue labbra lo zittì. Incrociò i suoi occhi con quelli di lei, chiedendole spiegazioni.
“Pensavo fosse chiaro che io sono la tua ragazza” dichiarò, fiera.
Theo sorrise, come non lo vedeva fare da tanto, tantissimo tempo, e la baciò di slancio.
“E con Blaise? Come la mettiamo?”
Bacio, questa volta su iniziativa di Daphne.
“Glielo diremo insieme. Probabilmente all’inizio farà un po’ fatica ad accettarlo. Ma vedendoci felici capirà, vedrai” lo rassicurò, convinta.
Bacio.
Theo la strinse forte, ripetendosi per l’ennesima volta che quella non poteva essere la realtà, quello era sicuramente un sogno. E lui, per nessuna ragione voleva essere svegliato.
“Io ti adoro, lo sai, Daphne?”
Bacio.
“Lo so…” rise lei, nascondendosi contro il suo collo.
Bacio.
Bacio.
Bacio.

Blaise e gli altri Serpeverde fecero il loro ritorno al castello quella sera, tutti, chi più e chi meno, turbati dal clima di terrore che si respirava nel mondo magico e non solo.
L’unica che sembrava non curarsi minimamente della guerra in corso era Pansy. Era tornata stranamente felice e spensierata, un umore in netto contrasto con quello di chiunque altro, Draco in primis. Non fu necessario chiederle la ragione di quel buonumore, poiché alla prima occasione, fu lei stessa a rivelarlo.
“Non hai idea di cosa mi sia capitato, durante le vacanze!” esordì, dopo aver lanciato un Incantesimo Sigillante sulla porta del dormitorio, ignorando i pugni di protesta di Millicent, debitamente chiusa fuori.
“Hai finalmente deciso di farla finita con quell’idiozia di ignorare Draco?” chiese Daphne, mentre guardava il tetto del suo letto a baldacchino con aria sognante, ripensando alle mani di Theo lungo i suoi fianchi e la sua schiena, solo qualche ora prima.
“Non essere ridicola, Daphne!” rispose Pansy, agitando una mano davanti agli occhi, come se volesse scacciare quel pensiero, analogamente ad una mosca fastidiosa. “Quella è stata senza dubbio la migliore idea che io abbia mai avuto” dichiarò, soddisfatta, “e quello che mi è successo durante queste vacanze ne è la riprova!”
“Se lo dici tu…” replicò l’altra, sempre più assorta nei suoi pensieri.
“Oh, ma insomma! Vuoi dimostrare un briciolo di entusiasmo per l’evento più interessante che mi sia capitato negli ultimi mesi?”
Daphne si mise seduta, guardando l’amica. “Sentiamo, quale sensazionale evento ha rasserenato la tua vita, durante queste vacanze?” chiese, perplessa.
Pansy le si avvicinò, sedendosi al suo fianco. “Ti ricordi di Kain Montague?”
“Il capitano della squadra di Quidditch?” domandò, sconvolta. “Quel Montague?”
“Esatto, lui!” chiosò l’altra, entusiasta. “Ci siamo incontrati alla tradizionale cena di Capodanno dei miei zii… Suo fratello è il neomarito della mia insopportabile cugina Jade. Beh, ad ogni modo abbiamo parlato molto e il giorno successivo mi ha inviato un gufo in cui manifestava il suo desiderio di rivedermi. Ci siamo visti e… beh, il resto te lo lascio immaginare!”
“Oh…” si limitò a esclamare Daphne, basita.
“Oh???” ripeté, interrogativa. “Ti racconto una notizia sensazionale e tu mi dici solo Oh???”
“Beh, scusa se non sprizzo entusiasmo da tutti i pori!” cercò di difendersi, stizzita.
“Non capisco proprio quale sia il tuo problema, Daphne. Ho incontrato un ragazzo fantastico che dimostra reale interesse per me. Un ragazzo Purosangue, per giunta, e di ottima famiglia. Cosa potrei volere di più?”
“Pansy, stiamo parlando di Montague! Uno che hai sempre detto ricordarti un gorilla scemo! Perdonami se il fatto che tu ora lo adori non mi convince per nulla!” si difese la Greengrass, accorata.
La Parkinson sbuffò, annoiata. “Quello era secoli fa, tesoro. Ora lui è un affascinante giocatore semi-professionista di Quidditch, ricco sfondato, senza tatuaggi di dubbio gusto sull’avambraccio. Direi che questo cambia molte cose, no?” spiegò, dandole le spalle.
Daphne la seguì con lo sguardo. “Dimmi solo che non lo stai facendo per ripicca nei confronti di Draco!”
Pansy si voltò, incenerendola con lo sguardo. “La mia vita” sibilò, scandendo le parole una ad una, “non ruota attorno a Draco Malfoy. E se ho deciso di accettare la corte di Montague è perché penso davvero che sia il miglior partito a cui possa aspirare!” esclamò, decisa. “Tuttavia, se Malfoy dovesse accidentalmente venire a conoscenza della mia nuova relazione, non ti nascondo che la cosa mi farebbe infinitamente piacere.”
“È per questo che non hai insonorizzato la stanza, quando hai chiuso fuori Millicent?” le domandò, incrociando le braccia al petto, con sguardo di sfida.
La mora sorrise, perfida. “Diciamo che me ne sono casualmente dimenticata!” concluse, soddisfatta, prendendo poi la via dell’uscita, dove, con estremo disappunto di Daphne, non c’era più traccia della loro compagna di stanza.

Dopo cena, lei e Theo si fermarono in Sala Comune fino a tarda ora con Blaise. Avevano deciso che avrebbero affrontato l’amico quella sera stessa, rivelandogli la verità sulla loro relazione, e per quel motivo avevano atteso che la sala si svuotasse.
“Bene, ragazzi…” aveva detto Blaise, stiracchiandosi, “io me ne andrei a dormire. È stata una giornata stressante, con il viaggio e tutto il resto!”
Daphne e Theo si erano scambiati un’occhiata complice, visibilmente tesi. Occhiata che non era sfuggita al terzo membro del gruppo.
“Beh?” chiese. “Che succede?”
“Io… Cioè noi… Dovremmo parlarti!” iniziò Daphne, nervosa.
“Ok…” replicò il ragazzo, fissandoli incuriosito, e rimettendosi seduto. “Sentiamo…”
La coppia si scambiò uno sguardo d’intesa, poi la ragazza iniziò.
“Innanzitutto devi sapere che quello che ti stiamo per dire non cambierà nulla, fra noi. Noi tre rimarremo sempre gli stessi, d’accordo?”
“D’accordo…” confermò Blaise, confuso.
“Ci sono cose che succedono, semplicemente perché devono succedere e noi non ci possiamo fare nulla, se non lasciare che accadano” sciorinò, confusa, evitando lo sguardo del ragazzo, “capisci?”
“A dire il vero no!” rispose l’altro, divertito, cercando la complicità di Theo che, però, evitava di guardarlo.
“Uh, dannazione, perché è così difficile?” piagnucolò Daphne.
“Ragazzi, ma cosa diavolo sta succedendo?” domandò di nuovo Blaise.
“Quel che Daphne sta cercando di dire, Blaise,” intervenne Nott, mettendosi a fianco della ragazza, “è che, nonostante le cose cambino, noi rimarremo sempre amici. Sempre” ribadì, convinto.
Zabini fece per aprire bocca per controbattere, quando il suo sguardo cadde in un punto ben definito fra i suoi due amici. Abbassò lo sguardo e scoppiò a ridere.
“Che c’è?” chiese lei, confusa.
“Io… non ci posso credere!” continuò a ridere l’altro.
“Cosa?” continuò la giovane, quasi irritata. “A cosa non puoi credere?”
“Voi due…” indicò le loro mani, saldamente intrecciate. “Voi due vi siete messi insieme?”
I due ragazzi si guardarono, confusi.
“Beh… sì!” confermò Daphne.
“Oh, fantastico!” esclamò, divertito. “E quando?”
“La sera della vigilia di Natale…” rispose Theo.
Blaise smise di ridere e si mise in piedi, di fronte a loro.
“Beh, congratulazioni. Evidentemente in tutti questi anni la mia presenza è stata un ostacolo per la vostra storia!” constatò, sorridendo tranquillo.
“Non dire idiozie, Blaise!” lo ammonì la ragazza. “Nessuno l’aveva programmato. È successo e basta!”
“Mi dispiace, amico…” intervenne Theo, contrito.
Il sorriso sparì dal volto del terzo, il cui sguardo s’incatenò a quello dell’altro.
“Ti dispiace, eh?” ripeté. “Beh, ora che lo so mi sento molto, molto meglio. Anzi, lascia che ti dica una cosa…”
In una frazione di secondo Blaise si scagliò addosso a Theo, iniziando a colpirlo con violenza, imprecando contro di lui. Daphne li osservava, in piedi a pochi passi da loro, incapace di proferire parola, troppo spaventata e sconvolta anche solo per urlare. Fortunatamente le grida di Blaise attirarono l’attenzione degli altri Serpeverde, che uscirono dai dormitori per assistere alla scena, finché Malfoy non fece cenno a Tiger e Goyle di andare a separare i due litiganti.
“Si può sapere cosa sta succedendo, qui?” ringhiò Draco, dopo che i due si furono calmati.
“Niente che ti riguardi, Malfoy!” ribatté Blaise, guardando con astio alternativamente Theo e Daphne.
“Mi riguarda dal momento in cui decidete di svegliarmi con i vostri stupidi litigi!” replicò l’altro, stizzito. “Ora filate in dormitorio, ne riparleremo domattina!” poi, rivolto agli altri studenti: “Lo spettacolo è finito, gente! Tornate nelle vostre stanze. Adesso!”
Blaise si divincolò dalla presa di Tiger, dando le spalle agli amici.
“Blaise…” lo richiamò Daphne, “Blaise, ti prego…”
“State lontani da me!” intimò Zabini, furioso. “Non voglio sentire un’altra parola di scuse da voi due. Soprattutto da te, amico” concluse, calcando la mano sull’ultima parola, e avviandosi verso l’uscita.
Daphne lanciò una rapida occhiata a Theo, sorretto da Goyle, prima di lanciarsi all’inseguimento di Blaise.
“Dovremmo portarlo da Madama Chips…” dichiarò, Tracey Davis, esaminandogli il volto, “credo proprio che il naso sia rotto!”
“Sto bene!” borbottò Nott, tamponandosi il vistoso taglio al labbro con la mano.
“Io non credo proprio!” intervenne Malfoy. “Tu ora vieni con me in infermeria, se non vuoi che ti aggiusti il naso a suon di pugni!”
Il copioso fiotto di sangue che fuoriuscì dalla bocca di Theo, mentre tentava di rispondere a Draco, lo convinse a seguirlo da Madama Chips, nonostante in quel momento non fosse il naso la parte di lui che gli causava maggior dolore.

A circa una settimana di distanza, la situazione era pressoché invariata: Blaise continuava imperterrito ad avercela con i suoi due migliori amici.
La notte in cui gli avevano rivelato della loro relazione, Daphne l’aveva seguito fuori dalla Sala Comune, sperando di poterlo affrontare, ma senza sortire alcun risultato: Blaise sembrava essersi volatilizzato, non era nemmeno rientrato in dormitorio per la notte, ricomparendo solo la mattina successiva alla lezione di Erbologia.
Il sabato mattina, dopo una lunga notte insonne, Daphne scese in Sala Comune, con l’intento di andare a fare colazione, ma i suoi piani vennero sconvolti da una delle cause del suo turbamento.
Theo era seduto su una poltrona a fianco del camino, i piedi sul tavolino di fronte a lui, il libro di pozioni poggiato sulle gambe a mo’ di leggio. Si sedette sul tavolino, posandogli gli occhi sul volto tumefatto. In quello stesso istante Blaise entrò nella Sala Comune, ma, appena li vide, girò sui tacchi e se ne tornò da dove era venuto. Daphne riportò lo sguardo su Theo, sul cui volto era comparso un sorriso sghembo, amaro: lo aveva visto.
“Non hai reagito” disse lei, d’un tratto.
Lui le rispose con uno sguardo interrogativo.
“Quando Blaise ti ha aggredito… Non hai reagito. Sei rimasto fermo, hai lasciato che ti picchiasse. Non hai nemmeno provato a difenderti.”
Era vero. Daphne aveva ripensato centinaia di volte a quella scena, perché era sicura che qualcosa non tornasse. Poi, durante una lezione di storia della magia particolarmente noiosa, aveva capito qual era il particolare insolito: Theo non aveva risposto ai pugni di Blaise. L’occhio pesto, il labbro tagliato, lo zigomo gonfio: il volto di Theodore era la prova inconfutabile che non aveva alzato un dito per impedire all’amico di ridurlo in quello stato.
“Quel che vorrei capire è perché l’hai fatto” continuò imperterrita la ragazza.
Lui sorrise, amaro, di nuovo. “È una lunga storia…” rispose, senza guardarla negli occhi.
“Penso riguardi anche me.”
Theo tolse i piedi dal tavolino, dove gettò il libro di pozioni “Perché ti diverti ad umiliarmi con domande di cui già conosci la risposta?” l’accusò, malinconico.
Daphne trattenne l’istinto di avvicinarsi a lui e abbracciarlo. Sospirò, alzando gli occhi al cielo.
“No, Theo, non conosco la risposta. Quel che so è che avevo due amici, i due migliori che potessi mai sperare di trovare. Poi, uno dei due, improvvisamente mi ha baciata e siamo diventati una coppia. E quando l’altro l’ha scoperto l’ha praticamente massacrato di botte” riassunse, quasi senza prendere fiato. “Scusa se voglio capirci qualcosa!”
Il ragazzo portò una mano agli occhi, ritraendola subito per il dolore causatogli dal contatto con le ferite. Daphne gli si avvicinò, timida, sedendosi al suo fianco e prendendogli la mano, carezzandogli i capelli.
“Avevamo un patto…” iniziò lui, triste.
“Un patto?” chiese lei, incuriosita.
“Nessuno dei due avrebbe dovuto fare niente che potesse rovinare la nostra amicizia” continuò lui.
“Aspetta…” lo interruppe lei, confusa. “Mi stai dicendo che voi due parlavate di me… in quel senso?”
“No…” ribatté lui, tranquillo. “È nato tutto al terzo, forse quarto anno. Sì, al quarto anno… In occasione del Ballo del Ceppo. Avevamo avuto una mezza discussione su chi dei due dovesse invitarti, finché alla fine decidemmo…”
“Di andarci tutti e tre insieme” concluse lei, ricordando.
“Già. Fu allora che stringemmo un accordo: nessuno dei due ci avrebbe mai provato con te. Questo, ovviamente, è successo prima.”
“Prima di cosa?” chiese lei, di getto.
“Prima che mi accorgessi di essere innamorato di te.”
Daphne trasalì. Era la prima volta che lui glielo diceva.
“Non preoccuparti…” continuò lui, evitando di guardarla negli occhi. “Non mi aspetto che tu mi risponda che anche tu mi ami!”
“Theo…” cercò di intervenire lei.
“No, Daphne” la interruppe, brusco, “non dire niente. Non sono un idiota. So capire quando i miei sentimenti non sono corrisposti!”
“Cosa intendi dire?” chiese, ferita.
Nott sospirò. “Sei andata a cercare Blaise…”
“Cosa???” domandò. “Quando?”
“La sera in cui gli abbiamo detto di noi! Sei andata da lui, anziché rimanere con me!”
Daphne incassò il colpo. Sperava che il mancato riferimento a quella sera da parte di Theo significasse che non aveva notato quel suo gesto del tutto fuori luogo. Invece ora, a distanza di giorni, il suo ragazzo le stava facendo notare quella sua mancanza.
“Ho sempre sospettato che, fra noi due, tu preferissi Blaise, ma quando ci siamo baciati, quando hai deciso di essere la mia ragazza, ho pensato che, forse, mi ero sempre sbagliato. Invece, appena lui ha fatto ritorno, non hai perso l’occasione per dimostrarmi che io sarò sempre il secondo, per te” spiegò Theo, malinconico.
“Non puoi pensarlo davvero… Theo, tu sei il mio ragazzo! E io voglio stare con te e con nessun altro!” dichiarò Daphne, contrita.
“Lo spero davvero, Daphne” rispose lui, alzandosi. “Perché nonostante io tema il momento in cui ti renderai davvero conto di preferire Blaise, sono troppo debole per lasciarti andare” dichiarò, carezzandola. “Sono un disgustoso codardo, lo so. Ma sono un codardo innamorato e spero che questo ti basti per decidere di continuare a stare con me.”
Fece per andarsene, ma Daphne lo trattenne per la mano, mettendosi a sua volta in piedi.
“Non c’è niente da decidere, Theo” iniziò. “Io sto con te perché ti amo, non perché mi sono accontentata. E sì,” continuò, in risposta al bagliore comparso negli occhi del fidanzato, “ti amo, e non lo dico perché mi sento di dovere di farlo, ma perché è quello che sento!”
Il cipiglio fiero che si era imposta di assumere in risposta alle accuse oltraggiose di Theo non durò che pochi istanti, prima di essere travolto da un bacio che sapeva di sollievo e felicità.


*Lady Gaga, "Bad Romance"

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Capitolo 13
*** Scegliere ***


Scegliere
Scegliere

La situazione fra Daphne, Theo e Blaise rimase ad un punto morto per settimane. Quest’ultimo non riusciva a capacitarsi del fatto che i suoi due migliori amici, ora, fossero diventati una coppia. Per la verità ce l’aveva più con Theo che con Daphne… in fondo era con lui che aveva stretto il patto, lei non ne sapeva nulla, indi era autorizzata a baciare chi meglio credeva. Anche se, nelle ultime settimane prima di Natale, più volte gli era parso che la ragazza gli riservasse maggiori attenzioni rispetto al solito, lasciando aperta la porta alla speranza di un’evoluzione della loro amicizia. Quel pensiero aveva il potere di innervosirlo ogni volta, risvegliando la voce della sua coscienza: come poteva essere tanto duro con Theodore, se per primo aveva desiderato che Daphne scegliesse lui?
Dei libri sbattuti sul tavolo della biblioteca a cui era seduto lo riportarono bruscamente alla realtà. Alzò il capo, esibendo il suo migliore sguardo trucido, trovandosi di fronte un’agguerritissima Daphne, sopracciglio alzato e braccia incrociate al petto.
“Beh?” gli domandò.
“Beh cosa?” chiese a sua volta.
“Beh quanto hai intenzione di fare durare questa pantomima?”
“Quale pantomima?”
Daphne sbuffò, spazientita. “Quella per cui ce l’hai con Theo e fingi di avercela anche con me.”
“Io non fingo di avercela con te…” si giustificò lui, poco convinto.
“Oh, non credere che non me ne sia accorta, Blaise… Sarebbe un insulto alla mia intelligenza!” dichiarò lei, quasi divertita.
“Accorta di cosa?”
“Accorta del fatto che quando sono con Theo mi ringhi contro, mentre quando lui non c’è ti sprechi in sorrisi!”
“Oh…” esclamò lui, contrito. Beccato.
La ragazza di sedette di fronte a lui.
“Blaise, Theo è il tuo migliore amico…”
“Lo so, Daphne. Ma questo non gli ha impedito di…” si bloccò.
“… non ha impedito di venire meno al vostro patto. So tutto, Blaise” proseguì lei.
“Oh, fantastico…” disse Zabini, fra sé, “vedo che fra voi non ci sono segreti…”
“Ascolta… Non so quali siano i motivi che vi hanno spinti a quel patto e per quale ragione vi abbiate tenuto fede tutti questi anni e di sicuro non lo voglio sapere ora. Quel che so è che Theodore sta veramente male, Blaise. Gli manca la tua amicizia. E se c’è una persona con cui dovresti essere in collera… Beh, quella sono io” confessò, arrossendo.
“Tu? E per quale motivo? Io e te non avevamo patti in merito al baciare Theo!” disse, salvo poi assumere un’espressione perplessa rispetto a quello che aveva appena detto.
“Beh…” proseguì Daphe, volgendo lo sguardo altrove, “diciamo che Theo avrebbe troncato la nostra relazione sul nascere, etichettando tutto come una semplice ‘avventura’, pur di salvare la vostra amicizia. Sono stata io a volere che il nostro rapporto proseguisse.”
Blaise la guardò. Sembrava sincera. Inoltre, sentiva davvero la mancanza di Theodore, era quasi un fratello per lui.
“Promettimi che ci penserai su…” continuò lei, alzandosi. “Non ne posso più di sentirlo struggere per la tua mancanza!” aggiunse, ridendo.
“Ci penserò…” rispose, che voleva apparire poco convinto, ma che lasciava intendere il contrario.
Daphne annuì soddisfatta. “So che non è semplice perdonare… Ma stiamo crescendo e la vita inizierà presto a chiederci di fare delle scelte… Prendila come una prova generale!”
La ragazza raccolse i suoi libri e si allontanò.
“Hey, Daphne!” la richiamò. “Grazie!” concluse, ricevendo in cambio un sorriso che, per un istante, gli fece ricordare perché ce l’aveva così tanto con il suo migliore amico.

Pansy stava seduta alla tavolata dei Serpeverde, martoriando la sua cena, gli occhi fissi su Draco. Merlino, quanto lo odiava! Se ne stava lì, tronfio, a ridere con gli inutili Tiger&Goyle, come se niente fosse, come se fra loro non fosse successo nulla! Avrebbe voluto picchiarlo o, meglio ancora, cruciarlo, per il semplice piacere di sentirlo urlare di dolore, e l’avrebbe fatto se fosse stata certa che l’avrebbe fatta sentire meglio. Perché, nonostante cercasse disperatamente di convincersi che di lui non le importava più nulla, ogni maledetta volta in cui i loro sguardi si incrociavano, anche solo per un istante, sentiva quell’odiosa sensazione al basso ventre che le ricordava che lei, nonostante tutto, gli apparteneva. Lei, Pansy Parkinson, era diventata succube di Draco Malfoy! Lei! Il solo pensiero la faceva ammattire.
Aveva cercato di scacciare dalla mente quel pensiero ridicolo, accettando la corte di quella specie di beota di Montague, che si era fatto più piacente, sì, ma era rimasto comunque incapace di formulare un discorso che fosse composto da più di due frasi, e il risultato era che si era sentita in colpa. Lei, Pansy Parkinson, si era sentita in colpa nei confronti di Draco Malfoy per quello che aveva fatto con Montague! Ah!
“Pansy?” sentì dire a Millicent “Stai bene?”
“Certo che sto bene, Millicent!” ribatté, stizzita, non prima di aver lanciato uno sguardo carico d’odio a Malfoy, che la stava osservando. “Perché non dovrei star bene?”
“Beh, non so…” replicò l’altra, quasi intimidita, “hai appena accoltellato la tua coscia di pollo!”
Pansy abbassò lo sguardo sul piatto, dove, in mezzo a quelle che, una volta, erano state patate al forno, giaceva la suddetta coscia di pollo, orrendamente trafitta.
“Oh, fatti i fatti tuoi, Millicent!” sbraitò, alzandosi e dirigendosi verso l’uscita.
Aspettò di essere fuori dalla portata visiva di chiunque e lasciò libero sfogo alle lacrime e ai singhiozzi che aveva fino a quel momento trattenuto. Raggiunse di corsa la guferia e si appoggiò al muro, col fiato mozzo. Estrasse dalla tasca della divisa un pezzo di pergamena e lo rilesse, accartocciandolo al termine. Deglutì le lacrime e prese piuma e pergamena iniziando a scrivere.

Caro Kain,
        sono felice che la mia compagnia ti abbia divertito, a Natale.  Ti confesso che durante questi mesi ad Hogwarts ho pensato molto a te. Quindi, sarò molto contenta di  esaudire la tua richiesta di vederci durante le vacanze di Pasqua, per proseguire quello che abbiamo iniziato mesi fa.
Non vedo l’ora di rivederti,
a presto
Pansy

Rilesse la lettera, senza poter fare nulla per impedire ai singhiozzi di scuoterla di nuovo, infine arrotolò la missiva alla zampa del suo gufo e la inviò.
Era la decisione migliore, o almeno così continuava a ripetersi. Perché sapeva di non avere scelta, perché, in realtà, qualcosa di più grande aveva già deciso per lei, mentre lei, Pansy, potendo scegliere, avrebbe scelto di rimanere ancora fra le braccia di Draco Malfoy.

Era strano. Curioso. Al di là di ogni immaginazione. Per quanto si sforzassero di capire, Tiger e Goyle, proprio non riuscivano a comprendere il comportamento di Malfoy.
C’era una guerra, là fuori. Non una guerra qualsiasi, ma La Guerra, quella per gli ideali in cui avevano sempre combattuto e creduto. Quella per cui avrebbero dato la vita, quella per cui erano disposti a farsi marchiare. E lui cosa faceva? Niente. Se ne stava lì, apatico, indolente, ad aspettare chissà che. Lui, l’unico a cui era stato concesso l’onore di diventare un Suo adepto. Anche loro si erano immolati, implorando di essere accettati nelle sue schiere, ma la risposta era stata categorica: erano troppo giovani, prima dovevano completare la loro formazione, non si poteva correre il rischio di sprecare prezioso sangue magico solo per inesperienza. Malfoy era un caso a parte, una decisione del Signore Oscuro nel cui merito non avevano il diritto di entrare. Eppure, più passavano i giorni, più si domandavano perché lui sì e loro no. Lui sembrava così… pentito della sua scelta, così del tutto disinteressato… mentre loro morivano dalla voglia di impegnarsi, di combattere sul campo. Invece, lui no. Lui sembrava preso da altre questioni. Tipo Pansy Parkinson, o quella anonima piccola Greengrass, che lo controllava a vista, come un padrone con il suo fedele segugio. Come poteva essere tanto stupido e superficiale? A chi importava delle donne? Un domani, da vincitori, avrebbero avuto tutte le donne che desideravano e senza fare il minimo sforzo. Ma quello, quello era il momento di decidere che tipo di uomini volevano essere. Ancora non sapevano se sarebbero stati eroi o reietti, vincitori o vinti… Quel che sapevano era quello che sicuramente non sarebbero più stati: i suoi gregari.

“Hey!”
Quando era stato svegliato dal suo pisolino pomeridiano da quella voce aveva pensato di essersela sognata. Aveva aperto gli occhi, si era reso conto dell’impossibilità che il suo migliore amico lo stesse chiamando e si era rimesso a dormire, finché non era stato strattonato, nemmeno troppo delicatamente, da qualcuno. Si era voltato, piuttosto infastidito, ed era schizzato in piedi non appena aveva avuto conferma dell’identità del disturbatore: Blaise gli stava davvero parlando.
“Scusa, non volevo svegliarti…” biascicò, “o forse sì, ma non è questo il punto!”
“Blaise…”
“Ascolta, io…”
“Blaise…”
“No, aspetta… devo dirti una cosa importante!”
“Blaise…” insistette l’altro.
“Che diavolo c’è?” sbraitò, infine.
“Mi dispiace.”
“Lo so.”
“Credimi” proseguì Theo “Non l’ho programmato, non è stata una cosa studiata a tavolino. Quel che volevo era riappacificarmi con lei, ma quando me la sono trovata di fronte mi sono praticamente dichiarato. Mi sono sentito un tale idiota! Credevo mi avrebbe evitato come la peste, invece è venuta da me e ci siamo baciati e credevo sarebbe tutto finito lì, invece…” raccontò, quasi senza prendere fiato.
“Sì, lo so…” lo interruppe Zabini “È stata lei a volere una storia…”
Theodore sospirò. “Non che la cosa mi faccia stare meglio… Mi sono sentito un verme, Blaise, come se ti stessi affatturando alle spalle!”
“È esattamente come mi sono sentito, Theo. Tradito” confermò, glaciale.
“Lo so, Blaise, lo so e non ne vado di certo orgoglioso” rispose l’altro “Ma io la amo, Blaise. Ma so che anche tu la ami e voi siete la mia famiglia… Per cui, se vuoi che rinunci a lei…” disse, assumendo un’espressione che voleva essere decisa, ma che lasciava trasparire il suo timore “Beh, non hai che da chiedermelo e lo farò.”
Zabini rimase immobile di fronte a lui, guardandolo di sbieco.
“Beh, stando così le cose…” iniziò, mentre l’altro tratteneva il fiato. “Direi che sei un vero idiota, Nott!”
Theo sgranò gli occhi. “Come prego?”
“Ti pare che potrei davvero chiederti di rinunciare a Daphne? Per chi mi hai preso?”
Nott rimase un attimo a fissarlo a bocca aperta, poi gli si gettò al collo.
“Sei il migliore, amico! Se non fossi sicuro di essere inequivocabilmente eterosessuale farei un pensierino su di te!”
“Hey, hey!” replicò Blaise, cercando di allontanarlo. “Non ti allargare, ora!”
Theo si staccò e lo guardò, raggiante.
“Allora è… tutto sistemato?”
Blaise inspirò e sorrise. “Sì, Theo. Tutto sistemato.”

Draco stava aspettando ormai da mezzora. Era salito nella Stanza delle Necessità subito dopo cena, in largo anticipo rispetto all’orario prestabilito, ma aveva assolutamente bisogno di fuggire da tutto e da tutti. Lo sguardo di Pansy, durante la cena, aveva contribuito non poco ad aumentare il suo stato di ansia, che cresceva man mano si avvicinavano le vacanze di Pasqua.
Finalmente la porta si aprì e Asteria fece la sua comparsa, serena, come sempre. Era strano come il suo sorriso calmo riuscisse ogni volta a tranquillizzarlo, agendo come un balsamo sulle numerose ferite del suo animo tormentato.
“Ciao…” la salutò, alzandosi.
“Sei praticamente fuggito, dopo cena” constatò lei. “Qualcosa non va?”
Draco la guardò, cercando di resistere all’istinto di gettarsi fra le sue braccia a piangere. Davvero non riusciva a capire come facesse quella ragazza a risvegliare certi suoi istinti… A volte gli sembrava che gli evocasse sensazioni che solo sua madre era in grado di fargli provare.
“Draco…” lo richiamò, sfiorandogli la mano, “stai bene?”
Malfoy ritrasse quasi d’istinto la mano, come se si fosse scottato.
“Scusa…” disse prontamente lei, in risposta a quel suo gesto.
Il ragazzo la guardò. Non sapeva che fare. Voleva fidarsi, raccontarle tutto, svelarle il motivo del suo turbamento, ma non sapeva se poteva. Come in altre circostanze della sua vita, si trovava combattuto fra ciò che desiderava e ciò che gli altri credevano giusto, imprigionato nella sua codardia.
Voltò le spalle alla ragazza, chiuse gli occhi e inspirò.
“Fra pochi giorni tornerò a casa, per le vacanze…” iniziò.
“Oh…” esclamò lei, confusa. “Anche io…”
“Non voglio tornare a casa” dichiarò, continuando a darle la schiena.
“Perché?” domandò, con il suo solito candore.
“Sono stanco…”
“Stanco di cosa?”
“Di questo” affermò, girandosi verso di lei e mostrandole l’avambraccio sinistro dove spiccava il Marchio Nero.
Asteria trasalì. Non aveva mai visto il simbolo dei Mangiamorte, non dal vivo, non impresso sulla pelle di qualcuno. Era mostruoso. Sembrava vivere di vita propria, strisciando infido sotto la cute, attraverso la carne, nelle vene.
“Asteria” la richiamò lui, cercando di riportare l’attenzione di lei sul proprio volto, “io non voglio più essere un Mangiamorte” dichiarò, in lacrime, “non l’ho mai voluto, non realmente. Altri hanno deciso per me e ora mi trovo incastrato in una guerra in cui a malapena credo, ma che di sicuro mi spaventa a morte!”
“Draco…” cercò di consolarlo, avvicinandosi di un passo, ma troppo terrorizzata da quel vessillo strisciante per poterlo toccare.
“Lo so, Asteria…” continuò a piangere lui, “Fa paura. Ne ho paura io, nonostante ormai sia parte di me, posso solo immaginare l’effetto che può avere sugli altri…”
“No, Draco!” affermò lei, decisa, “Quella… cosa… non è parte di te. Come può esserlo, se ti fa tanta paura? È qualcosa che ti è stato imposto, che non hai scelto tu…”
“Suonerebbe più credibile se non l’avessi detto tenendo il tuo sguardo terrorizzato fisso sul mio avambraccio…”
La ragazza arrossì, colpita.
“Io sono stanco…” ripeté lui, “stanco degli sguardi di disapprovazione della gente, del terrore negli occhi di mia madre, della vista di mio padre ridotto all’ombra di se stesso, della follia di mia zia, della continua ricerca di qualcosa che possa riscattarci… Vorrei solo sparire, essere lasciato in pace o, meglio, essere dimenticato da tutti. Ma non posso. Non posso perché sono un codardo. Un pazzo, sadico torturatore, ma codardo.”
“Tu… tu non sei nulla di tutto questo, Draco!” cercò di ribattere Asteria.
“Ah, sì?” la sfidò lui. “Allora avvicinati! Avvicinati, abbracciami e dimmi che credi davvero che io non sia quello che questo Marchio rappresenta!” gridò, frustrato.
Asteria trasalì, il cuore in gola. Fece per muovere un passo verso di lui, decisa a dimostrargli che per lei quel simbolo non aveva significato, ma si bloccò non appena il suo sguardo ricadde sul suo braccio sinistro.
“Come volevasi dimostrare…” rise lui, amaro.
“Draco, io…”
“Vattene!” la interruppe.
“Draco…”
“Vattene ho detto!” urlò, dandole le spalle.
La sentì esitare per un istante, poi udì i suoi passi allontanarsi, finché la porta si chiuse alle sue spalle. Non si voltò, mentre, ferito, si accasciava di fronte al caminetto, in lacrime.

A quattro giorni dalle vacanze di Pasqua, Daphne si ritrovò ad affrontare l’argomento “ritorno a casa” con Theo. Ai signori Greengrass doveva essere giunta notizia della condotta dei fratelli Carrow, perché erano stati categorici sulla decisione di far tornare le due figlie a casa per Pasqua. Da un lato Daphne ne era sollevata, aveva bisogno di uscire dall’atmosfera cupa e opprimente di Hogwarts per qualche giorno, anche se non si aspettava che il clima, fuori, fosse migliore. Il problema era dirlo a Theo.
Decise di prendere il coraggio a quattro mani una mattina, a colazione, dove sapeva di poter contare sull’appoggio di Blaise.
“Ehm… Blaise…” iniziò, lanciandogli un’occhiata d’intesa, “che cosa farai durante le vacanze?”
“Tornerò a casa, Daphne” rispose lui, come in una scenetta prestabilita. “E tu?”
“Oh, anch’io…” si limitò ad abbozzare lei, guardando Theo con la coda nell’occhio, mentre si portava il bicchiere del succo di zucca alle labbra.
“Se state cercando di dirmi che rimarrò da solo per le vacanze, sappiate che già lo sapevo” intervenne Nott, senza distogliere l’attenzione dal suo pane tostato.
Daphne appoggiò bruscamente il bicchiere sul tavolo.
“Come sarebbe a dire che lo sapevi?”
“L’ho chiesto ad Asteria.”
“Cosa???” domandò, basita.
“Tu continuavi a darmi risposte sibilline… All’ennesimo ‘Boh, chi lo sa, non lo so’ ho ritenuto opportuno cambiare fonte!” spiegò lui, pacifico.
“Mi dispiace, Theo…” si scusò lei, affranta. “È che non avevo il cuore di dirti che saresti dovuto rimanere qui solo!”
“Lo so…” ribatté lui. “Ma è una mia scelta, quindi ne pagherò direttamente le conseguenze!”
“Ancora nessuna notizia da tuo padre?” si azzardò a chiedere Blaise.
“Oh, sì!” rispose l’altro. “Mi ha inviato un gufo qualche settimana fa.”
“Cosa????” chiesero Blaise e Daphne, all’unisono.
“E cosa ti ha detto?” aggiunse il ragazzo.
“Solite cose…” minimizzò Nott. “Che gli dispiace, che vorrebbe tanto recuperare il tempo perso, dimostrarmi che tiene a me e che vorrebbe che tornassi a casa per Pasqua, perché siamo una famiglia. Solite idiozie.”
“Theo, credo che dovresti accettare!” intervenne Zabini.
“No…” replicò Theodore, passandosi il tovagliolo sulle labbra, “io non credo!”
“Io credo di sì, invece!” ribadì l’amico.
“Anch’io!” s’intromise Daphne, ricevendo in risposta uno sguardo pieno di astio. “Blaise ha ragione! Dovresti dargli questa possibilità. In fondo è tuo padre!”
“È la tua famiglia, Theo… Non ti resta che lui!” constatò il terzo.
“No, non lo è. Voi lo siete…” perseverò Theodore, iniziando ad alterarsi.
“Andiamo, Theo!” sbottò la ragazza. “Blaise ha ragione! La tua vera famiglia è lui, non puoi voltargli le spalle così!”
“Voltargli le spalle?” ripeté lui, alzando la voce. “E lui cosa ha fatto con me, scusa? Mi ha lasciato solo, ricordi? Solo mentre lui inseguiva la sua causa persa!”
“Abbassa la voce, Theo…” gli intimò Daphne, intimorita dagli sguardi incuriositi dei loro compagni di casa.
“No che non l’abbasso! Non me ne frega niente di quello che pensano gli altri! Le uniche persone di cui mi importa siete voi due che, come al solito, vi divertite a coalizzarvi contro di me per farmi sentire inadeguato!” affermò, ferito, alzandosi e allontanandosi.
“Theo, dove stai andando?” domandò un’incredula Daphne, rincorrendolo.
Riuscì a raggiungerlo solo a metà della scala che conduceva ai sotterranei.
“Si può sapere che ti prende?”
“Mi prende che come ogni volta, anziché supportarmi, non perdi occasione per allearti con Blaise e farmi sentire un idiota!” urlò. “Per Merlino, Daphne, sei la mia ragazza ora, mi aspettavo un po’ più di comprensione da parte tua!”
“Sto solo cercando di non farti commettere un errore di cui potresti pentirti!” tentò di difendersi lei.
“Peccato che in tutti questi mesi tu abbia sempre sostenuto che la mia decisione di allontanarmi da mio padre sia stata saggia!”
“Cosa stai cercando di dire?”
“Sto cercando di dire che se Blaise non avesse detto che dovrei dargli una seconda possibilità, a te non sarebbe mai passato per l’anticamera del cervello di dirmi di tornare a casa per Pasqua!”
“Oh mio Dio, Theo!” gridò lei, esasperata. “È questo il problema? Sei geloso di Blaise?”
“E se anche fosse? Da che ci siamo riappacificati, praticamente è come se fossimo tornati ad essere solo amici!” l’accusò lui.
“Non voglio che lui si senta di troppo!” si difese lei.
“Non ti dico di passare le nostre giornate a pomiciare, so anch’io che sarebbe indelicato, ma mi farebbe piacere se non mi allontanassi tutte le volte che ti prendo per mano… o se, ogni tanto, passassi le ore in cui non hai lezione con me, anziché con lui!” continuò Theo.
“Non riesco a credere che tu non ti fidi di me!”
“Non è questione di fiducia, Daphne, è questione di dimostrare all’altro quanto si tiene a lui. Io ti amo, lo sai… Ho messo a rischio l’amicizia con Blaise per poter stare con te, perché sei la cosa più importante che ho. Vorrei poter sapere che anche per te è la stessa cosa” concluse, voltandole le spalle e lasciandola sola e ferita.

La sera prima della partenza Pansy era particolarmente loquace. Continuava a ripetere quanto fosse felice di tornare a casa e rivedere finalmente Montague, entrando in particolari piuttosto intimi sulla loro relazione.
“E tu, Daphne?” chiese, ad un tratto. “A che punto sei arrivata con Coniglietto?”
Daphne sbarrò gli occhi. “Come prego?”
“Oh, andiamo…” la incitò l’amica, curiosa. “Ho debitamente chiuso Millicent fuori dal dormitorio, ho insonorizzato persino la porta… È tutta sera che ti racconto particolari scabrosi sulla mia storia con Montague, nella segreta speranza che tu ti decida a rivelarmi qualcosa su te e Nott… Penso di averne il diritto!”
“Non credo proprio…” rispose l’altra, arrossendo.
“Non essere crudele, Daphne!” l’ammonì. “Dimmi, in che ruolo gioca l’impulsivo Theodore? Battitore, Cacciatore o Cercatore?”
“Cosa diavolo c’entra il Quidditch, ora?”
Pansy sbuffò, annoiata. “È una metafora, Daphne. Il Battitore è quello che fa sì che la squadra non perda, importante, ma fino ad un certo punto, e corrisponde al bacio. Il Cacciatore fa punti, ma non fa una grossa differenza per la partita, quindi lo assocerei a carezze e palpeggiamenti vari. E il Cercatore… Beh, non credo ci sia bisogno che lo spieghi!” chiosò, maliziosa.
“Oh…” esclamò Daphne, colpita. “Capisco…”
“Quindi?” la sollecitò.
“Quindi cosa?”
“Quindi in che ruolo gioca Nott?”
“Io… Non credo di volertelo dire!” arrossì.
“Ok, capisco… Sono questioni personali…” osservò Pansy. “Per farti sentire più a tuo agio, allora, ti dirò che Montague, con me, è arrivato al ruolo da Cacciatore…”
“Che cosa???” chiese, sconvolta. “Pansy, ma vi siete visti si e no cinque volte!”
“Che importa? Ci conosciamo da anni!” si giustificò. “Inoltre, credo che sia l’unico argomento di conversazione che abbiamo… Ad ogni modo, conto di promuoverlo Cercatore al più presto, forse già durante queste vacanze!”
“Ne sei sicura?” osò chiedere Dapnhe. “Voglio dire, non sei obbligata, puoi aspettare…”
“Ma io non voglio aspettare!” ribatté l’altra, piccata. “Voglio essere sicura di legarlo a me in modo da strappargli una promessa di matrimonio entro l’estate!”
“Capisco…” ripeté Daphne, intristita da quella strana evoluzione compiuta dall’amica.
“A questo punto direi che mi devi un po’ di gossip!” continuò Pansy.
Daphne sbuffò. “E sia!”
L’altra emise dei gridolini di giubilo, mettendosi in ascolto.
“Theo è… un Cacciatore” esclamò, arrossendo.
“Un buon Cacciatore?”
“Pansy!”
“Scusa, ma sono curiosa! Ha la faccia di uno che ci sa fare!”
“Beh… Lo è!” affermò, al culmine dell’imbarazzo.
“Cosa?”
“Uno che ci sa fare!”
“E brava Daphne!” la lodò. “E quando pensi di fargli fare il salto a Cercatore?”
“Io…” balbettò, timida. “Io non lo so…”
“Non dirmi che non ci hai mai pensato!”
“Certo che ci ho pensato!” confessò. “Solo… Ho paura.”
“Paura?” chiese Pansy, confusa. “E di cosa?”
“Di non essere pronta… Di non essere all’altezza…”
“Di questo non ti devi preoccupare… Quando sarà il momento, lo saprai. E senza nemmeno rendervene conto vi troverete l’uno dentro l’altra e sarà il momento più bello della tua vita” fece una pausa, guardando l’amica e sorridendole. “Per me è stato così. Quando ho fatto l’amore con Draco è semplicemente successo, senza averlo programmato, senza farmi tante domande. Perché, fidati, se mi fossi fermata a farmi delle domande non sarei di certo andata a letto con Malfoy. Ed è stata una fortuna, perché è stato tutto dannatamente perfetto!” concluse, malinconica.
“Ti manca?” chiese Daphne, a bruciapelo.
“Chi, Malfoy?” chiese Pansy, con fare noncurante.
“Sì, Draco…” confermò l’altra.
La Parkinson si strinse nelle spalle. “Un po’… Ma ora ho altro a cui pensare!”
“Promettimi che ci penserai bene, però…” alluse Daphne.
Pansy le sorrise, di nuovo. “Promesso. Tu, invece, promettimi di non pensare troppo e di seguire il tuo istinto, per una volta!”
“Promesso…”

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Capitolo 14
*** Come se fosse per sempre ***


Come se fosse per sempre

Daphne stava aspettando Asteria, per recarsi al treno che le avrebbe riportate a casa. Era in piedi di fronte al caminetto della Sala Comune, quando sentì delle mani appoggiarsi sulle sue spalle. Sobbalzò, voltandosi di scatto.
“Ciao…”
“Theo!” esclamò. “Mi hai spaventata a morte!”
“Scusa” sussurrò, sfiorandole la fronte con un bacio, “per tutto.”
Daphne assaporò quel contatto dolce, poi si scostò, per guardarlo negli occhi.
“Tutto cosa?”
Il ragazzo sbuffò, passandosi una mano fra i capelli.
“Continuo a comportarmi come un completo idiota, ti investo con la mia immotivata gelosia, ti tedio con il mio assurdo vittimismo… Non sono certo il fidanzato modello!”
“Theo…” cercò di intervenire lei.
“Ho deciso di tornare a casa per le vacanze” dichiarò lui, a sorpresa.
“Oh…” replicò la ragazza. “È una notizia grandiosa, Theo!”
“Devo farlo, Daphne…” spiegò lui, stringendole forte la mano. “Devo chiudere le questioni in sospeso con mio padre, se voglio davvero andare avanti!”
“Qualunque cosa succeda, ricordati che io per te ci sarò sempre, chiaro?” dichiarò lei, cercando il suo sguardo.
“È proprio di questo che ti volevo parlare, in effetti...”
Daphne si irrigidì, colpita da quelle parole.
“Cosa intendi dire?”
Il ragazzo inspirò, cercando il coraggio di dire quanto si era prefissato.
“Ho bisogno di capire, Daphne. Capire se ce la posso fare da solo, se davvero sono capace di rinnegare tutto quello in cui la mia famiglia ha sempre creduto, ma soprattutto capire cosa io significhi davvero per te.”
“E questo cosa vorrebbe dire?” domandò lei, confusa e spaventata. Non le piaceva a piega che stava prendendo quel discorso.
“Sai benissimo quel che provo per te. Se il problema è Blaise, io…”
“No, Daphne, Blaise non c’entra, questa volta” la interruppe. “Questa volta il problema sono io.”
“Theo, ti prego, smettila di parlare per frasi fatte. Dimmi una volta per tutte cosa stai pensando e chiudiamola qui!” sbraitò lei, frustrata.
Nott la guardò negli occhi, serio. “A volte ho come l’impressione che quello che ti tiene legata a me, quello che ti fa credere di preferire me a Blaise, sia il fatto che provi pena per me.”
“Mi auguro che tu stia scherzando!” replicò lei, piccata. “Come puoi anche solo pensare una cosa del genere?”
“No, tesoro!” intervenne lui. “Non sei tu, il problema. Sono io. È il modo in cui mi sono posto in questi mesi. Ho cercato di tenervi legati a me ricordandovi in continuazione che vi consideravo la mia famiglia, impedendovi di fare alcunché che potesse ferirmi. Compreso indagare più a fondo i sentimenti che vi legano.”
“Theo… Mi stai lasciando?” domandò lei, le lacrime agli occhi.
“No, Daphne, no!” negò, convinto. “Ma voglio che tu rifletta attentamente, durante queste vacanze e che ti chieda perché hai scelto me.”
“Theo, io…”
“Non dire nulla, Daphne… Non ora… Promettimi solo che ci penserai su, d’accordo?” le disse, amorevole, carezzandole la guancia rigata di lacrime.
“D’accordo…” rispose lei, tirando su con il naso.
Theodore le diede un bacio a fior di labbra, tenero e famelico al tempo stesso.
“Io ti amo, lo sai vero?” le chiese, ottenendo un cenno del capo in risposta. “E ti amerò qualunque scelta prenderai. Buone vacanze, Daphne.”

Pansy si era rifugiata in uno scompartimento vuoto, tirando le tende per mettersi al riparo da sguardi indiscreti. Non aveva voglia di vedere, né di parlare con nessuno. La conversazione della sera precedente con Daphne l’aveva destabilizzata: tutti i suoi propositi, tutte quelle macchinazioni per arrivare a Montague, di colpo le sembravano ridicole e ripugnanti, se paragonati a quello che c’era fra la sua amica e Nott. Si sorprese ad invidiarli, per la purezza dei loro sentimenti, perché, in fondo, sapeva che avrebbe potuto avere tutto quello, se solo lei e Malfoy fossero stati meno cinici e orgogliosi. Eppure avrebbe dovuto saperlo: da due individui così profondamente simili, non sarebbe potuto nascere niente di buono, ma ci aveva sperato, fino all’ultimo, fino a quando lui aveva deciso di diventare un Mangiamorte. Non che non approvasse la scelta in sé, molti membri delle famiglie Purosangue finivano per diventare seguaci del Signore Oscuro, era l’idea che lui potesse perdere la vita da un momento all’altro a terrorizzarla. Ovviamente non l’avrebbe mai ammesso davanti ad anima viva, men che meno con lui, ma era esattamente quello il motivo per cui aveva deciso di seguire il consiglio di sua madre circa il trovarsi un Purosangue pronto ad impalmarla. Quello e la consapevolezza che, prima o poi, lui si sarebbe reso conto di non amarla, di stare con lei solo per abitudine, finendo per trovarsi un’altra donna, una che potesse veramente amare.
La porta dello scompartimento si aprì di colpo e Pansy non ebbe nemmeno il tempo di realizzare cosa fosse successo che Draco era entrato, aveva lanciato un Incantesimo sigillante sulla porta e gli si era seduto di fronte.
“Io e te ora parliamo!” sentenziò, deciso.
“Scordatelo, Malfoy!” replicò lei, cercando di tenere fede ai suoi propositi.
“Vedi?” proseguì lui, imperterrito. “È proprio questo che mi fa imbestialire! Questo tuo atteggiamento indisponente! Cosa diavolo ti ho fatto, Pansy? Cosa è cambiato rispetto allo scorso anno?”
“Niente!” gridò lei, furiosa. “È questo il punto, Malfoy! Non è cambiato niente! Tu credi ancora che io sia la tua schiava, pronta ad accorrere al tuo cospetto quando nessuno ti considera! Beh, lascia che te lo dica: non è così. Sono stanca di essere considerata alla stregua di un oggetto! Non sono il tuo elfo domestico!”
“Non ho mai pensato che lo fossi, non essere ridicola!” controbatté Draco. “Sai quanto tengo a te!”
“No, Malfoy! È proprio qui che ti sbagli. Io non lo so. Non lo so perché non hai mai ritenuto opportuno dirmelo!”
Per un attimo lui tacque, colpito da quell’affermazione.
“Abbiamo fatto l’amore, Pansy… Credevo che il significato fosse chiaro.”
“No, Draco. Non lo era” affermo la giovane, fiera. “Una ragazza ha bisogno di sentirsi dire certe cose. A volte i gesti non bastano. A volte due piccole, insulse, insignificanti parole sarebbero sufficienti a risolvere molte situazioni.”
“Pansy, io…” iniziò il ragazzo, contrito.
“Oh, non cercare di giustificarti o di rimediare, Malfoy!” lo interruppe lei. “Sappiamo entrambi che ormai è troppo tardi.”
“Tu dici?” chiese lui, brutale. “Sei davvero sicura che sia troppo tardi?”
“Sì, Malfoy” confermò lei, cercando di mantenersi distaccata e fredda, “io ho voltato pagina, ormai.”
“Con Montague? Ma fammi il piacere!” la zittì lui.
“Se non altro con lui non rischio di finire sulla lista dei falliti…” ribatté lei, brutale.
Il sorriso sarcastico sparì dalle labbra di Malfoy, illudendo Pansy di averla avuta vinta. Ma in un attimo, il ragazzo le fu addosso, le labbra ad un soffio dalle sue.
“Dillo!” le intimò.
“Cosa?” finse di non capire lei.
“Che non sei più innamorata di me!”
“Come puoi essere sicuro che lo sia mai stata?”
“Non girarci tanto attorno, Pansy. Dì che non sei innamorata di me e giuro che ti lascerò in pace!”
Pansy gli guardò le labbra, avvicinandosi lentamente, generando un moto di soddisfazione nel ragazzo.
“Perché invece” sussurrò, praticamente sulle sue labbra, “non me lo dici tu? Dì che mi ami, Draco…”
Il sorriso scomparve dal volto del ragazzo, per fare posto ad un’espressione di puro panico.
“Coraggio…” lo incitò la giovane, “dillo…”
Malfoy schiuse le labbra, incerto, cercando il coraggio di dire quelle due piccole, insulse, insignificanti parole, ma dopo una manciata di secondi si vide costretto ad abbassare il capo, sconfitto, incapace di sostenere lo sguardo di Pansy.
“Come volevasi dimostrare…” chiosò la ragazza, soddisfatta.
“Pansy, io…” cercò di giustificarsi lui, afflitto.
“Vattene, Malfoy. Sparisci. Conserva quel minimo di amor proprio che ti è rimasto per il momento in cui il Signore Oscuro dovrà decidere quale, fra i suoi Mangiamorte, è il più patetico bastardo dell’intero Mondo Magico.”
Draco si alzò, evitando di guardare Pansy negli occhi.
“Oh!” intervenne la ragazza, di nuovo. “Salutami la Greengrass… Sono certa che sarà una madre perfetta per i tuoi figli dai nomi improponibili!” lo schernì, mentre Malfoy usciva, cercando di lasciarsi alle spalle quell’umiliazione e quello che erano stati.

Draco scese dal treno per ultimo, deciso ad evitare Pansy, umiliato dal quel loro ultimo incontro. Percorse la banchina rapidamente, a capo chino, diretto verso il luogo in cui sapeva avrebbe trovato i suoi genitori ad aspettarlo, finché non si sentì strattonare per un braccio. Si voltò, pronto ad incenerire con lo sguardo chiunque si fosse reso colpevole di un gesto tanto avventato, ma, prima che potesse fare o dire alcunché, si ritrovò le braccia di Asteria al collo e le sue labbra poggiate sulla sua guancia.
“Stai attento…” gli sussurrò, all’orecchio, prima di correre via fra la folla.

Erano passati ormai tre giorni dalla conversazione con Theo e da allora Daphne non riusciva a chiudere occhio. Continuava a ripensare alle parole del ragazzo, a quella sua assurda convinzione che lei stesse con lui solo per pietà. Era quella l’impressione che gli aveva dato? Di averlo scelto solo perché gli faceva tenerezza?
Era vero, era ancora molto confusa circa i suoi sentimenti per lui e quelli verso Blaise, ma l’aveva scelto, per Merlino, aveva scelto di stare con lui, avrà pur voluto dire qualcosa, no? Quello che provava quando stava con lui… era completamente diverso da quello che sentiva quando era con Blaise. Zabini era un carissimo amico, forse più di Theo, era quasi un fratello. La sola idea di baciarlo la sconvolgeva, era strano pensarlo in un ruolo diverso da quello ricoperto in tutti quegli anni. Theo, invece… Theo riusciva a farle provare emozioni e sensazioni completamente nuove e travolgenti. Riusciva a farle elaborare pensieri talmente peccaminosi da farla arrossire senza motivo ogni volta che le sorrideva. Perché ogni volta che lui l’accarezzava, la sfiorava, o anche solo la teneva per mano, il suo corpo era come pervaso da una violenta scossa elettrica, che le suscitava sensazioni inspiegabili e meravigliose. Come in quel momento, quando, al solo pensiero del tocco di Theo sul suo corpo, le sue mani avevano preso spontaneamente l’iniziativa, addentrandosi ad esplorare zone che fino a qualche mese prima quasi non sapeva esistessero.
Sbuffò, frustrata. Non poteva reggere ancora a lungo tutta quella pressione. Doveva fare qualcosa e doveva farlo subito, nonostante fosse notte fonda. Si alzò, prese il cardigan che giaceva sulla poltroncina in fondo al letto, impugnò la bacchetta e si smaterializzò.

Theo era sveglio, lo sguardo perso sul soffitto della sua stanza, l’orecchio teso ad ascoltare il più piccolo rumore. Non sapeva di preciso cosa stesse aspettando, quei giorni trascorsi a casa erano stati l’ennesima riprova del fatto che, ormai, non aveva più una famiglia. Aveva visto suo padre solo per pochi istanti, la sera in cui aveva fatto ritorno. Non si era nemmeno degnato di andare a King’s Cross a prenderlo, aveva inviato un elfo domestico al suo posto. Nonostante fosse convinto di essersi abituato all’idea che suo padre considerasse la grande causa di Lord Voldemort più importante del suo unico figlio, Theo si era stupito di essere deluso da quell’ennesima mancanza nei suoi confronti. Quella volta, aveva davvero sperato che qualcosa sarebbe cambiato, che sarebbe stato diverso.
Il rumore di una materializzazione lo fece sobbalzare. Si voltò verso la finestra, da cui provenivano rumori di passi. Impugnò la bacchetta, senza alzarsi dal letto, pronto a difendersi. Sentì la serratura scattare sotto effetto di un incantesimo e si preparò a colpire, quando sul suo volto comparve un’espressione sorpresa. Daphne era appena entrata nella sua stanza.
“Ciao…” lo salutò. Theo non mancò di notare che la ragazza esibiva la sua espressione offesa, quell’espressione che lui trovava buffissima e dolce.
“Che ci fai qui?” le chiese, mettendosi seduto e illuminando la stanza.
“Non riesco a dormire…”
Theodore sorrise. “Non ci sono tempeste, stavolta…”
“Pensi davvero quel che mi hai detto?” domandò lei, a bruciapelo. “Che sto con te perché mi fai pena?”
La guardò, scrutandone l’espressione ferita. “Quel che mi interessa è che non sia tu a pensarlo.”
Daphne tacque, guardandolo accigliata.
“Mi dispiace…” si giustificò lui.
“Posso dormire con te?”
Theo sgranò gli occhi. “Non credo che ai tuoi genitori farà piacere trovare il tuo letto vuoto, domattina…”
“Me ne andrò prima dell’alba, promesso!” ribatté. “Ma fammi restare. Ti prego!” aggiunse, in tono supplichevole.
Nott la fissò in tutto il suo splendore. Era ancora più bella quando era imbronciata.
“Vieni…”
Daphne sgattaiolò nel letto, accoccolandosi contro la sua spalla.
“Buonanotte, Daphne” disse, spegnendo la luce.
“Buonanotte, Theo” rispose.
“Mi piace!” esclamò lui, in riposta.
“Cosa?” chiese lei.
“Questa specie di deja-vu!”
Daphne non rispose, ma Theo la sentì allontanarsi da lui, con suo estremo disappunto, finché non la sentì adagiarsi sopra di lui, il suo respiro farsi più vicino, le sue labbra appoggiarsi alle proprie. Si baciarono a lungo, con dolcezza, assaporando quel contatto negato per giorni, finché la ragazza non iniziò a muovere il suo bacino contro quello di lui.
“Daphne…” interruppe il bacio.
“Mmmmh…”
“Cosa stai facendo?” le sussurrò.
“Sto per dimostrarti quanto tengo a te…” rispose, riprendendo a baciarlo.
“Daphne…” la bloccò lui. “Non è necessario… Voglio dire… Non devi…”
“Hai ragione” concordò lei, lasciandogli una scia di piccoli baci lungo la linea della mandibola. “Non devo… Voglio.”
Riprese a baciarlo, mentre Theo ci mise un attimo a realizzare quanto la ragazza aveva appena detto. Rispose al bacio, stringendola forte a sé, facendole capire quanto la desiderasse.
“Sei sicura?” le domandò, di nuovo, accarezzandole i capelli.
“Mai stata più sicura in vita mia…”
Daphne si sfilò la camicia da notte, lanciandola ai piedi del letto, riprendendo a baciare Theo, il cui cuore batteva all’impazzata. La strinse forte, carezzandole la pelle morbida, godendosi quelle sensazioni meravigliose e inaspettate, realizzando che quello era senza dubbio l’inizio di qualcosa che sarebbe durato per sempre.


Ciao a tutti! Dopo questo nuovo capitolo, corale come il precedente,  penso sia opportuno spendere due parole... Le cose stanno evolvendo abbastanza rapidamente, negli ultimi capitoli, tant'è che siamo ormai arrivati alle vacanze di Pasqua. Da qui in poi ho cercato di fare riferimento il più possibile alla storia originale, almeno dal punto di vista cronologico e dei momenti "salienti".
Per quanto riguarda la trama in sé, mi pare superfluo dire che, visto che la battaglia è ormai vicina, c'è ancora molto, moltissimo da raccontare!
Colgo l'occasione per ringraziare tutti coloro che mi stanno seguendo, che hanno inserito la storia nelle preferite/seguite/ricordate e per ringraziare le mie due fedeli recensitrici, lietome_ e Rosmary, che ogni settimana mi regalano le loro dettagliatissime recensioni: grazie mille, siete preziosissime!
A presto
BB

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Capitolo 15
*** Finte verità e mezze bugie ***


Finte verità e mezze bugie
Finte verità e mezze bugie

Asteria era furiosa: il rientro ad Hogwarts dopo le vacanze di Pasqua non era andato esattamente come aveva sperato o, per meglio dire, aveva preso una piega che mai, mai si sarebbe aspettata.

Era successo sull’espresso per Hogwarts, quando il treno era entrato ad Hogsmeade iniziando a rallentare la sua corsa. Era uscita dallo scompartimento verso il corridoio, senza badare se ci fossero altre persone che stavano giungendo, e di colpo si era ritrovata addosso a qualcuno che l’aveva afferrata saldamente per le spalle. Aveva alzato gli occhi, trovandosi di fronte Draco Malfoy, che la fissava con sguardo preoccupato. Per un lungo istante si erano guardati, finché le risatine di scherno e i borbottii di Tiger e Goyle li avevano riportati alla realtà. Malfoy aveva radicalmente cambiato espressione, assumendo il suo cipiglio strafottente, allontanandola da sé.
“Fai attenzione, Greengrass…” aveva finalmente detto, “Ultimamente capita spesso che tu finisca fra le mie braccia” continuò, lanciando un’occhiata d’intesa ai suoi tirapiedi, “non vorrei che stesse diventando un’abitudine…” le sussurrò con fare malizioso all’orecchio, riprendendo la sua marcia verso l’uscita del convoglio.
Asteria era rimasta a bocca aperta. No. Non poteva essere possibile. Non l’aveva detto davvero, non poteva davvero essere. Non lui, non la persona che aveva conosciuto in quei mesi. Eppure, a giudicare dalle risate e dagli sguardi divertiti che le stavano lanciando Tiger e Goyle, sembrava proprio che Draco Malfoy l’avesse davvero umiliata pubblicamente. Si guardò attorno, furiosa: apparentemente nessun altro aveva udito le parole del giovane, tuttavia decise di richiudersi nello scompartimento, in attesa che il treno si fermasse alla stazione di Hogsmeade. Si sedette, stringendo forte i pugni. Di una cosa era certa: lui non l’avrebbe passata liscia.
 
Ad una settimana di distanza, Asteria persisteva nei suoi propositi. Non aveva la minima intenzione di affrontare Malfoy, era troppo offesa per il suo comportamento, a suo dire inqualificabile, e, non volendo fare la figura della ragazzina immatura che gli teneva il broncio, aveva optato per fare la cosa che meglio gli riusciva: essere invisibile. In cinque anni di scuola lei, solitaria e timida, aveva fatto parecchia pratica in quel campo e, se da un lato le dispiaceva l’idea di perdere l’unico amico che avesse mai avuto, dall’altro si felicitava del fatto che avrebbe avuto di nuovo il tempo per dedicarsi alle sue passioni, accantonate per poter dare a Draco la possibilità di farsi conoscere e darle quelle risposte che tanto agognava. In fin dei conti, Malfoy non le sarebbe mancato, di questo era certa, così come era sicura del fatto che lui non si sarebbe nemmeno accorto della sua scomparsa. Certezze che, però, vennero meno il sabato mattina successivo alla ripresa delle lezioni.
La ragazza si era alzata di buon’ora, decisa a iniziare il ripasso in vista dei G.U.F.O., e si stava dirigendo verso la Sala Grande per la colazione, quando qualcosa, o meglio qualcuno, l’aggredì alle spalle, portandole una mano alla bocca e bloccandole le braccia, sollevandola di peso. Asteria si dimenò, cercando di liberarsi, ma il suo aggressore mollò la presa solo dopo essere entrato in un’aula in disuso, chiudendosi la porta alle spalle con un colpo di bacchetta. La ragazza estrasse a sua volta l’arma, puntandola contro il nemico, abbassando la guardia, stupita, non appena ne ebbe svelata l’identità.
“Cosa diavolo vuoi, Malfoy?” sentenziò, senza troppi preamboli.
“Parlare con te” rispose lui, schietto.
“Non ho nulla da dirti.”
“Lo immaginavo, dal momento che ieri sera non ti sei presentata al nostro appuntamento, senza nemmeno degnarti di avvisarmi, peraltro!” l’accusò, offeso.
Asteria lo guardò, sbigottita. “Pensavi davvero che sarei venuta, ieri sera?” domandò, basita.
“Sì” rispose lui, glaciale, “e non c’era motivo per cui tu mancassi!”
“Nessun motivo?” domandò lei, ironica.
“Nessuno” replicò lui. “O, almeno, nessuno che mi sia noto.”
“Ne sei assolutamente certo?”
“Assolutamente.”
“Neanche… vediamo…” proseguì la ragazza, fingendosi concentrata, “il fatto che mi hai umiliata e derisa sul treno?”
Un’espressione sorpresa si dipinse sul volto del giovane.
“Non mi dirai che ti sei offesa!”
“Sì, Malfoy” rispose, “mi sono offesa” confermò, cercando di avvicinarsi alla porta.
Draco le sbarrò la strada “Andiamo, Asteria, non dirmi che non hai capito!”
“No, sinceramente non ho capito. Non ho capito quale fosse il significato recondito del volermi umiliare davanti ai tuoi due scagnozzi per un gesto che credevo ti avesse fatto piacere!”
“… e mi ha fatto piacere, Asteria, non sai quanto!” intervenne lui, “Ma, nel caso non l’avessi notato, Tiger e Goyle avevano iniziato a fare allusioni.”
“Sai quanto me ne importa di quel che pensano quei due trogloditi!” commentò lei, cercando di scansare il giovane.
“Nemmeno a me importa, ma i loro padri sono Mangiamorte! Se dovessero lasciarsi sfuggire qualcosa su di noi… cioè su di te…” si corresse, imbarazzato, “i loro genitori potrebbero riferirlo al Signore Oscuro, che potrebbe usarlo contro di me e non voglio che tu corra dei rischi!” dichiarò, accorato.
“Oh, fammi il piacere, Malfoy!” sbraitò la ragazza. “Credi che sia così ingenua da bermi questa storia ridicola? La storia del povero Draco che è costretto a rinnegare l’amicizia con la piccola Asteria per proteggerla dal Signore Oscuro?”
“Sì, dovresti, perché è la verità!” replicò lui.
“Certo, Malfoy, certo…” annuì lei, sarcastica, “Non c’entrerà, invece, il fatto che dovevi farti bello ai loro occhi, per riconquistare un po’ della fiducia che avevano in te? Davvero credi che io…” iniziò, prima che Draco la zittisse, stringendola a sé e tappandole la bocca con la mano.
Asteria si lamentò, ma il ragazzo le intimò di tacere, sfilando la bacchetta dalla divisa. Le voci di alcuni studenti si fecero sempre più vicine, man mano che percorrevano il corridoio, finché si fermarono proprio di fronte alla porta dell’aula in cui erano nascosti. Draco sussurrò alcuni incantesimi di protezione in direzione dell’uscio, tenendo la giovane stretta a sé finché i ragazzini non ripresero la marcia e il loro vociare scemò fino a scomparire.
“C’è mancato poco…” commentò, lasciando la presa sulla ragazza, “Mi ero completamente scordato di sigillare la porta e di insonorizzarla!” aggiunse, sollevato, spostando lo sguardo su Asteria, che fissava la sua bacchetta.
“Cos’è successo alla tua bacchetta?” domandò, confusa.
“Cosa?” chiese lui, vago.
“La tua bacchetta…” insisté lei, indicando la stecca.
“Oh… questa…” abbozzò “É di mia madre.”
“Che ne è stato della tua bacchetta?”
“È una lunga storia…” cercò di deviare il discorso.
“Draco…” lo richiamò lei, con tono grave, “cosa è successo alla tua bacchetta?”
Il battito del cuore del ragazzo accelerò, tanto che credette di sentirlo scoppiare da un istante all’altro.
“Io…” balbettò, confuso, “io…”
“Draco…” lo richiamò, di nuovo.
Malfoy sospirò, abbassando lo sguardo. “L’ho persa” ammise, affranto. “Sono stato disarmato da Potter durante uno scontro.”
Asteria sgranò gli occhi. “Potter?” domandò, basita, “Harry Potter?”
Il giovane annuì, incapace di guardarla in volto.
“Io non capisco…” proseguì lei. “Se Potter ti ha disarmato vuol dire che stavi duellando con lui… Sbaglio?”
“No” ammise lui “Non sbagli.”
La ragazza scosse il capo “Mi sembrava di aver capito che eri stanco di essere un Mangiamorte… che non volessi più combattere.”
“Non è così semplice, Asteria, credimi.”
“Questo lo so…”
“No! No che non lo sai!” gridò lui. “Credete tutti di sapere cosa significhi, ma nessuno di voi lo sa! Altrimenti non passereste il vostro tempo a guardarmi storto, a giudicarmi, o, peggio, a fingere che io non esista!”
“Io non ti giudico!” ribatté lei, offesa.
“Oh, sì che lo fai! Pensi che il semplice fatto che io non voglia più essere parte di quell’esercito di pazzi basti ad evitare di combattere, ma ti sbagli. Questo” urlò, esibendo il braccio marchiato, “è il simbolo della mia eterna sudditanza a Lui, che lo voglia o meno. Si smette di essere Mangiamorte solo quando si smette di vivere, Asteria. Ma naturalmente, tu, questo non lo puoi sapere!” concluse, sprezzante.
“E questo cosa vorrebbe dire?” incalzò lei, offesa.
“Vorrebbe dire che è facile giudicare, dall’esterno. È facile proclamarsi ferventi sostenitori della supremazia del sangue puro, è facile detestare Babbani e Mezzosangue, è facile, se non hai nulla da perdere. I tuoi genitori non sono Mangiamorte, nessuno si aspetterà mai che tu lo diventi, che tu salvi la tua famiglia dalla gogna. In qualunque momento, in qualunque modo andranno lei cose, tu potrai rinnegare tutto quello in cui hai sempre creduto, senza che nessuno possa recriminare nulla. Ma io no. Io sarò per sempre il giovane Mangiamorte che ha quasi ucciso Silente. E anche se dovessimo vincere questa dannatissima guerra, la mia vita rimarrà comunque un inferno, perché mi porterò dietro il rimorso per aver lasciato che mi marchiassero e che decidessero da che parte dovevo stare. Per cui, fammi un favore, Asteria, non dirmi che capisci, perché non potrai mai capire!” concluse, dandole le spalle, appoggiandosi ad uno dei banchi ammassati contro le pareti.
Seguirono interminabili secondi di silenzio, un silenzio talmente insopportabile da costringere Draco a voltarsi per cercare lo sguardo di Asteria.
La ragazza lo fissava, fiera, anche se gli occhi erano velati di lacrime.
“È questo quello che pensi di me?” chiese, risoluta. “Pensi che sono solo una ragazzina viziata che non potrà mai capirti?”
“Non è quello che ho detto…” tentò di ribattere lui.
“Sì, Draco, è quello che hai detto” lo interruppe. “E sai una cosa? Se davvero la pensi così, non capisco perché tu abbia voluto confidarti con me.”
“Asteria, io…” cercò di giustificarsi.
“Cosa pensavi, Draco? Che fingendoti un povero ragazzo incompreso sarei caduta fra le tue braccia? Che sarei diventata il surrogato di Pansy? Beh, mi dispiace per te, ma io non ci sto. Volevo davvero capire cosa ti passasse per la testa, perché nei tuoi occhi vedevo sofferenza e solitudine, ma evidentemente mi sbagliavo. Non hai bisogno di me” dichiarò, ferita.
“Asteria, ti prego…” disse lui, quando la vide procedere verso la porta.
“Sai qual è la cosa che mi fa più male?” continuò. “È che ho litigato con mia sorella, per causa tua. Ho litigato con Daphne perché ha cercato di farmi capire che non mi avresti mai avvicinata con il solo scopo di essermi amico” ammise. “Ho anteposto te alla mia famiglia perché credevo davvero che avessi bisogno di me, che avessi bisogno di un’amica, e invece, per tutto questo tempo, tu non hai fatto altro che pensare che io fossi una ragazzina stupida e facilmente manipolabile!”
“Non ho mai pensato una cosa del genere” obiettò il giovane Malfoy.
“Non l’avrai pensato… Ma è quello che hai detto” controbatté lei. “E sai qual è la cosa che più mi fa male, Draco? È che credevo davvero che ti fidassi di me, che mi avessi scelta perché mi ritenevi sufficientemente matura da poterti confidare senza che io potessi pensare che lo stessi facendo per interesse nei miei confronti, finendo per innamorarmi di te. Perché davvero, Draco, io non provavo nulla per te, nulla più della stima per aver capito che quello che ci è stato sempre insegnato, forse, non è poi così giusto.”
Malfoy la fissò, incapace di proferire parola. Era così piccola, eppure stava pronunciando quel discorso così profondo, con un tono, però, privo di qualsiasi emozione, come se non volesse dargli la soddisfazione di ammettere che teneva a lui.
“Beh, Draco, arrivederci” si congedò, quando fu ormai chiaro che lui non avrebbe ribattuto alle sue accuse. “Buona fortuna. Ti auguro che, nonostante tutto, questa guerra ti porti a capire cosa vuoi veramente dalla vita.”
Gli passò a fianco, senza degnarlo di uno sguardo, chiudendosi la porta alle spalle, lasciandolo con la consapevolezza di aver appena perso l’unica persona che l’avesse mai capito davvero.


Beh, non potete certo dire che non vi avessi avvisati...
Le cose stanno cambiando, la situazione si fa sempre più tesa e la battaglia è alle porte... Beh, mancano ancora tre capitoli, ma vi assicuro che saranno capitoli intensi! D'altronde, non potevate certo pensare che da qui in avanti andasse tutto liscio, no? Si sa, io amo il dramma!
Ringrazio ancora tutti coloro che mi stanno seguendo, anche in silenzio, e le mie fedeli recensitrici, Rosmary, Lietome_ e il grande ritorno di  EmmeDraiocht!
Alla prossima,
BB

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Capitolo 16
*** Non è tempo per noi ***


Non è tempo per noi
Non è tempo per noi*

Tiger e Goyle avevano atteso pazienti, a debita distanza per non dare troppo nell’occhio. Quando avevano visto uscire la piccola Greengrass si erano scambiati un’occhiata d’intesa e si erano avvicinati, giusto in tempo per arrivare a scortare Malfoy in direzione della Sala Grande.
“Beh?” aveva bofonchiato Tiger.
“Beh cosa?” aveva ribattuto Draco, con fare brusco.
“Cosa avevate da dirvi di tanto importante?”
Malfoy sogghignò, proseguendo la sua marcia spedita. “Non sono affari tuoi, Tiger” rispose, freddo. “Davvero, cosa ti fa pensare che io voglia condividere i fatti miei con voi due?”
“Il fatto che ci obblighi a farti da palo mentre te la spassi con le tue puttanelle, ad esempio.”
Fu un secondo. In un attimo, Draco si fermò, estrasse la bacchetta e la puntò in mezzo agli occhi del compagno.
“Non ti azzardare mai più a chiamare Asteria a quel modo, sono stato chiaro?” lo minacciò, tenendolo per il collo. “Da che mondo è mondo, le cose fra noi sono sempre andate così, ricordi? Io comando e voi ubbidite. Vedi di ricordartelo, Tiger, altrimenti…”
”Altrimenti?” ripeté Tiger, in un sussulto, la voce strozzata dalla vigorosa presa di Malfoy sulle sue corde vocali. “Cosa mi farai Malfoy? Mi lancerai una Maledizione senza Perdono, come hai fatto con Potter?” sghignazzò, malefico.
Draco alleggerì la morsa, colpito nel vivo. “Cosa intendi dire?”
“Quel che ho detto. Non è un mistero che ti sia lasciato sfuggire lo Sfregiato.”
“E dimmi, chi sei, tu, per giudicare? Eri forse presente? Non mi risulta… Mi pare che, invece, fossi a casa a farti viziare dalla tua adorata mammina” lo derise l’altro.
Tiger lo fissò negli occhi, fiero. “Stai pur certo che io non me lo sarei fatto sfuggire. Non ho paura di usare certi incantesimi, io” replicò, enfatizzando il termine, “Se solo Lui mi avesse accettato fra i suoi servitori…”
“Ma non l’ha fatto” lo interruppe Malfoy “perché sa bene quale razza di idiota tu sia, Tiger. Ora sparisci. Anzi, sparite entrambi” concluse, allontanandosi.
I due ragazzi lo guardarono allontanarsi, in silenzio, finché Vincent richiamò Gregory con un cenno del capo.
“Dico, l’hai sentito?” esordì, ritornando verso la Sala Comune di Serpeverde. “Crede ancora di poterci trattare come suoi schiavi!”
“Già…” rispose l’altro, poco convinto.
“Ma non rimarremo a guardare mentre ci trascina verso il fondo” proseguì, imperterrito “non abbiamo bisogno di quel fallito di Malfoy. Quando il Signore Oscuro chiamerà, noi risponderemo. E gli consegneremo Potter!”
“Sì, ma come?” domandò Goyle, più confuso che mai.
“E cosa diavolo ne so?” ribatté Tiger, spazientito. “È ora che anche tu inizi a fare qualcosa, Goyle. Non puoi rimanertene sempre lì, impalato, ad aspettare che altri ti dicano quel che devi fare. Là fuori c’è la guerra. E noi vinceremo. Se dimostreremo all’Oscuro Signore quanto gli siamo leali, ci ricompenserà!” aggiunse, gli occhi che brillavano.
Gregory annuì, mentre varcavano la soglia dei dormitori. Sinceramente, non aveva capito un accidenti di quel che era successo. Sapeva che Malfoy non era ben visto da Voldemort e dagli altri Mangiamorte, ma non vedeva il motivo per cui lui e Tiger dovessero smettere di fargli da spalle. Proprio non capiva perché Vincent ce l’avesse così tanto con Draco: in fin dei conti avrebbero potuto catturarlo insieme Potter, non pensava che al Signore Oscuro sarebbe importato granché se fosse Malfoy, o Tiger, o lui stesso a consegnarlo, l’importante era catturarlo, no?
Certo, lui non aveva ben chiara la situazione, ci pensavano Malfoy e Tiger ad aggiornarlo sull’evoluzione degli eventi, e a lui era sempre andata bene così. Qualcun altro pensava, mentre lui si limitava ad eseguire gli ordini. Ordini che, in genere, contemplavano l’utilizzo della forza fisica e non della mente. Era sempre stato così e non vedeva proprio il motivo per cui sarebbe dovuto cambiare qualcosa in quel momento. Certo, Tiger sembrava davvero convinto di quel che diceva, per cui, probabilmente, avrebbe dovuto ascoltarlo e prendere le distanze da Malfoy. D’altra parte anche quest’ultimo sembrava sapere il fatto suo, dopo tutto era pur sempre uno dei più giovani Mangiamorte di tutti i tempi, no? Ci sarà pur stato un motivo se Voldemort l’aveva scelto!
Si accasciò sul divano, massaggiandosi le tempie per il mal di testa che quei pensieri avevano evocato. A volte, avrebbe voluto davvero essere come leader come Malfoy, o deciso come Tiger. Invece, rimaneva il solito, stupido Goyle. Non gli importava molto della gloria e tutto il resto, non era tagliato per il comando, per quello ci voleva testa, e lui, di quella, ne aveva poca. A lui, Gregory Goyle, bastava avere una figura da seguire: fosse Malfoy, Tiger, il Signore Oscuro, o chicchessia, lui sarebbe sempre stato pronto ad eseguire gli ordini, fedele fino alla fine. Non era ancora giunto il suo momento e nemmeno quello di Tiger e, probabilmente, non ci sarebbe mai stato.


*Ligabue, Non è tempo per noi

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Capitolo 17
*** Tradito da un bacio ***


Tradito da un bacio
Tradito da un bacio

“Hey… Ciao!” esordì Theo.
“Ciao…” sussurrò Daphne, arrossendo.
“Come stai?” chiese, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Sei bellissima!” constatò, infine.
“Grazie…” rispose, perdendosi negli occhi sognanti del ragazzo.
Era la prima volta che si rivedevano da quella sera e l’imbarazzo era palpabile.
“Io…” intervenne Theo, abbassando il tono, guardandosi attorno per verificare che nessuno stesse ascoltando. “Io volevo dire…” balbettò, timido. Inspirò, infine, facendosi coraggio. “È stato… molto bello. Non pensavo minimamente che potesse essere… beh, così.”
Daphne rise, divertita dall’espressione del ragazzo.
“Sì, so che per te non sarà stato il massimo, voglio dire, di solito alle ragazze la prima volta… Beh, non è che piaccia granché… Però ti prometto che rimedierò! Certo, se tu lo vorrai, ovvio!”
“Theo!” si decise ad interrompere quello sproloquio.
Il giovane la guardò negli occhi, intimorito.
“È stato bellissimo anche per me” confessò, sorridendo timida. “E spero davvero che non rimanga un episodio isolato.”
Nott sorrise, abbracciandola stretta, assaporando il suo profumo.
“Io ti amo, Daphne. Ti amo davvero, davvero tanto.”
“Ti amo anche io, Theo” sussurrò, prima di sciogliersi dall’abbraccio e posargli un bacio sulle labbra.

Blaise aveva osservato quella romantica scenetta da lontano, lo stomaco che si contorceva su se stesso alla vista di quella complicità e tenerezza. Non ce la faceva. Si sentiva un verme a provare simili sentimenti nei confronti dei suoi due migliori amici, ma era più forte di lui: continuava a pensare che ci sarebbe potuto essere lui al posto di Theo e lo odiava per questo. I primi tempi, se non altro, erano stati discreti, limitando le effusioni in sua presenza. Ma quello a cui stava assistendo era un chiaro segnale che le cose stavano cambiando e avrebbe fatto meglio ad abituarsi al nuovo corso degli eventi, a meno che volesse rinunciare alla loro amicizia.
Assorto nei suoi pensieri, non si accorse che Daphne gli si era avvicinata.
“Ciao, Blaise!” lo salutò, raggiante, accomodandosi accanto a lui sul divano. “Ti senti bene?” aggiunse, notando il suo strano sguardo.
“Sì…” rispose lui, “sì, sto bene. Sono solo un po’ stanco!” spiegò, stropicciandosi gli occhi.
“Come sono andate le vacanze?”
“Bene… e a te?”
“Molto bene, grazie!” rispose, guardando in direzione di Theo.
“Beh, si vede!”
“Come, scusa?” domandò, confusa.
“Ho detto che si vede che le vacanze ti hanno fatto bene” rispose. “Sei… radiosa. A cosa dobbiamo questo mutamento?”
“A niente!” si affrettò a rispondere la ragazza, arrossendo visibilmente. “Non c’è nessun mutamento, fidati!”
“Sarà…” replicò lui, poco convinto. “Studiamo insieme domani dopo pozioni?”
“Certamente! Approfittiamo della Sala Comune deserta o ci rifugiamo in biblioteca?”
“La Sala Comune andrà più che bene!”
“Bene, allora d’accordo!” confermò, mettendosi in piedi. “Vado a sistemare il mio baule. Ci vediamo per cena, ok?”
“A dopo, Daphne…” la salutò, guardandola correre verso il suo dormitorio.
Era incantevole, ogni giorno di più, e mai come in quel momento avrebbe desiderato essere lui l’origine della sua felicità.

Fissava il suo calderone, pensieroso, rimirando il preparato gorgogliare, rimestandolo lentamente, con la tipica espressione contrariata che aveva quando dormiva troppo poco. Non era riuscito a prendere sonno, quella notte. L’espressione estatica di Theo, il suo insolito buonumore, persino l’espressione serena che aveva mentre dormiva, gli davano i nervi. Avrebbe voluto schiaffeggiarlo, sul serio. Non si riconosceva in quei sentimenti di ostilità, anche se, probabilmente, erano frutto della genetica, nonché il motivo per cui era stato smistato in Serpeverde. Il rumore della solita esplosione provocata dallo stupido Finnigan lo ricondusse alla realtà, aumentando il suo cattivo umore: di fronte a lui, Theo stava dicendo qualcosa all’orecchio di Daphne, facendola sorridere. Ringraziò il cielo quando la lezione terminò, raccolse le sue cose e si portò fuori dall’aula, dove i suoi amici lo stavano attendendo.
“Ragazzi, io me ne vado ad aritmanzia” esordì Theo, lasciando la mano di Daphne. “Mi raccomando, non divertititevi troppo senza di me!”
“Ci vediamo ad erbologia…” lo congedò la ragazza.
Si avviarono in silenzio verso la sede della loro Casa e, una volta entrati in Sala Comune, si accomodarono sui divanetti di fronte al caminetto, estraendo libri e pergamena.
“C’è qualcosa che non va, Blaise?” domandò, d’un tratto, Daphne. “Mi sembri strano, assente…” spiegò, in risposta allo sguardo interrogativo del giovane.
“No…” mentì lui. “No, niente che non vada, tranquilla.”
Annuì, poco convinta, riportando l’attenzione sul tema di trasfigurazione.
“Posso farti una domanda?” intervenne Zabini, dopo alcuni minuti.
“Certo!” acconsentì lei, tenendo gli occhi sulla pergamena.
“Dovrai essere sincera, però…”
“Mi pare di esserlo sempre stata…”
“Hai fatto l’amore con Theo, vero?”
La piuma di Daphne arrestò la sua corsa, mentre la giovane alzava timidamente il capo, lo sguardo fisso di fronte a sé, evitando il contatto visivo con l’amico.
“Io…” balbettò, l’aria che mancava. “Che diavolo di domande sono, Blaise?”
“Una domanda come tante altre, a cui, però, non hai ancora risposto!”
“Io… cioè noi… io...” continuò a farfugliare.
“Andiamo, Daphne, non è difficile: sì o no?”
Lo guardò in cagnesco, poi, vedendo che non accennava a demordere, sospirò e abbassò lo sguardo.
“Sì!”
“Oh…” ribatté lui. “Interessante.”
“In che senso ‘interessante’?” domandò lei, confusa.
“No, niente… Lascia perdere.”
“No che non lascio perdere!” replicò, stizzita. “Mi hai praticamente costretta a rispondere ad una domanda molto personale e ora vuoi lasciarmi così?”
Blaise sbuffò, annoiato. “Diciamo che la cosa un po’ mi stupisce” si giustificò. “Certo, non posso dire che non me l’aspettassi, d’altra parte voi due ormai siete una coppia da un po’ di tempo, ma…”
“Ma…?” lo sollecitò lei, curiosa.
“Pensavo che sarei stato io, il primo, per te” concluse, guardandola negli occhi.
L’espressione di Daphne mutò radicalmente, nei suoi occhi comparve quello che Blaise avrebbe definito panico allo stato puro.
“Blaise… Cosa… Cosa significa?”
Il ragazzo le si avvicinò. “É inutile che continuiamo a prenderci in giro, negando quello che tutti sappiamo: io ti amo, Daphne. Quanto e se non più di Theo. E tu lo sai, l’hai sempre saputo.”
“Sì, ma… perché?” chiese, sconvolta. “Perché me lo stai dicendo ora, sapendo quello che c’è fra me e Theo?”
“Te l’ho detto il perché: credevo che, nonostante tutto, saremmo finiti insieme e che sarei stato io quello con cui avresti avuto la tua prima volta. Sono sempre stato sicuro del lieto fine fra noi, perché ho sempre percepito qualcosa… qualcosa di speciale fra noi. Non so dirti esattamente cosa fosse, ma so per certo che era un sentimento ben più forte di quello che ti ha sempre legata a Theo.”
“Sì, ma io sto con lui, adesso” obiettò la ragazza, spaventata.
“Lo so, ma non posso fare a meno di chiedermi…” s’interruppe, avvicinandosi ancora di più.
“Di chiederti…?” lo incalzò, fissandolo negli occhi.
“… se fossi stato io, a baciarti per primo… Ora io e te staremmo insieme?” domandò, in un sussurro. “É stata una semplice questione di priorità, per cui Theo ti ha baciata per primo ed è diventato il tuo ragazzo, oppure quello che senti per lui è più forte di quel che c’è fra noi?”
“Blaise, che razza di domande sono?” ribatté, spazientita.
“Rispondi” la sollecitò, fermo.
“Non ho la minima intenzione di rispondere, mi dispiace. Anzi, sarà meglio chiudere all’istante questa conversazione!” concluse, riordinando i libri.
Fece per alzarsi, ma Blaise la trattenne per il braccio.
“Aspetta!” la supplicò.
“Lasciami!” gli intimò, offesa.
“Ti prego, Daphne…”
“Ti ho detto di lasciarmi, non ho più nulla da dirti!”
Zabini le strinse il braccio, tirandola a sé, e, prima che potesse rendersene conto, le loro labbra erano le une contro quelle dell’altro. Ci mise qualche secondo a realizzare quel che stava accadendo, ma, quando sentì la lingua del ragazzo carezzare la sua, un brivido le percorse la schiena, facendola indietreggiare ansimante.
“Mi hai baciata!” esclamò, sconvolta.
“Sì, Daphne, ti ho baciata” confermò lui, tranquillo.
“Blaise, tu mi hai baciata!” gridò, disperata. “Cosa diavolo ti è saltato in mente?”
“Daphne, stai tranquilla…” cercò di calmarla.
“Tranquilla?” ripeté lei. “Tranquilla? Nel caso te ne fossi momentaneamente dimenticato, io sto con Theo! Il tuo migliore amico!”
“Questo lo so…” ribatté, annoiato.
“E allora perché diavolo mi hai baciata?”
“Perché volevo farlo!” sbraitò. “E perché ti amo! E tu ami me, questo non puoi negarlo!”
“Ma io sto con Theo!”
Il ragazzo le si avvicinò, minaccioso. “Allora dimmi chiaramente che non provi nulla per me, Daphne, e che stai con Theo perché lo ami. Fallo e ti giuro che non ti importunerò mai più.”
Entrambi tacquero, fissandosi negli occhi. Infine, Daphne cedette, abbassando lo sguardo.
“Mi dispiace, Blaise. Ti voglio molto bene, davvero… Ma ne voglio anche a Theo e se sto con lui è perché lo amo.”
Zabini non reagì, obbligando la ragazza a riportare lo sguardo su di sé.
“D’accordo…” disse, infine. “Se sei veramente convinta di voler stare con lui, allora ti chiedo perdono. Mi dispiace.”
“Anche a me” aggiunse lei, contrita.
“Beh, a questo punto, se non ti dispiace, io me ne andrei in biblioteca a studiare. Credo di aver fatto sufficientemente la figura dell’idiota, per oggi” concluse Blaise, raccogliendo le sue cose e avviandosi verso l’uscita della Sala Comune.
“Ci vediamo, Daphne” si congedò, lasciando la ragazza sola e confusa.


Ciao a tutti! Anticipo di un giorno la pubblicazione perché sarò via qualche giorno... Spero che il nuovo capitolo sia di vostro gradimento!
Ringrazio come al solito chi ha recensito: scusate se non sono riuscita a rispondervi in questi giorni, ma sono piuttosto presa! Conto di rimediare presto!
Alla prossima,
BB

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Capitolo 18
*** ... e la battaglia è appena iniziata ***


...e la battaglia è appena iniziata
… e la battaglia è appena iniziata

Le settimane successive trascorsero lente, troppo lente per i gusti di Daphne.
Doveva sforzarsi di fingere che nulla fosse successo fra lei e Blaise, onde evitare di generare sospetti in Theo. Non aveva avuto il coraggio di rivelargli cos’era successo fra lei e il loro migliore amico. Sapeva che avrebbe dovuto, che non era giusto tenerglielo nascosto, ma proprio non aveva il cuore di dirglielo. Insomma, lui e Blaise erano ritornati ad essere buoni amici e Theo sembrava così felice! Che diritto aveva di turbarlo per uno stupido incidente di percorso?
Sapeva benissimo che tutti quei discorsi erano stupidaggini, che non c’erano giustificazioni al fatto di non avergli confessato di quel bacio, se non la paura tremenda di perderlo e la ferma volontà di non affrontare con se stessa il discorso “Blaise o Theo?”. Ci aveva riflettuto, centinaia di volte si era fatta le stesse domande che le aveva rivolto Blaise, senza riuscire a giungere ad una conclusione. Quel che sapeva era che Theodore le aveva confessato i suoi sentimenti e lei aveva trovato naturale andare da lui, lasciarsi baciare e diventare la sua ragazza, perché lei amava Theo, di questo era più che sicura. D’altronde, sentiva di amare anche Blaise, anche se in modo e in misura diversa.
Theo le suscitava sensazioni straordinarie, anche a livello fisico. Quando gli stava vicino sentiva il suo cuore aumentare la frequenza dei suoi battiti, il suo corpo sussultare, scosso dai brividi che partivano lungo la sua schiena, perdendosi nel suo basso ventre. Baciarlo, sentire le sue mani che esploravano il suo corpo, fare l’amore con lui, erano in assoluto le esperienze più sorprendenti che avesse mai sperimentato. Ogni volta, riusciva ad emozionarla e a farla sentire speciale con le sue mille premure, le sue carezze delicate, le sue parole dolci e piene d’amore. Era un ragazzo fantastico, ne era consapevole, così come sapeva che era estremamente fragile e, pertanto, non poteva correre il rischio di ferirlo in alcun modo.
I sentimenti che provava per Blaise, invece, erano completamente diversi. Con lui era più libera di parlare, di sfogarsi e di confidargli i suoi problemi. Sapeva che lui ci sarebbe sempre stato, nel caso avesse avuto bisogno. Sentiva di essergli intellettualmente più affine di quanto non fosse con Theo, eppure, non riusciva a pensare ad un’evoluzione della loro relazione in senso amoroso. La sola idea di baciarlo la metteva in imbarazzo, perché per lei era quanto di più simile ad un fratello avesse mai avuto. O almeno così aveva sempre pensato, finché lui non l’aveva baciata, quella mattina. Perché, contrariamente a quanto aveva sempre creduto, baciarlo non era stata un’esperienza imbarazzante, tutt’altro. Forse perché era stato tutto molto rapido, quasi non aveva avuto il tempo di rendersene conto… ma il bacio con Blaise era stato quasi piacevole. Strano, completamente sbagliato, ma piacevole.

Il vociare degli studenti nei corridoi la distolse dai pensieri che da settimane le toglievano il sonno. Si alzò dal letto, scambiando un’occhiata perplessa con Millicent, ed entrambe uscirono dalla stanza, dirette verso la Sala Comune. Theo le si fece incontro, seguito da Blaise.
“Che succede?” domandò, spaventata.
“Non ne ho idea…” rispose Theodore, preoccupato.
“Speravamo che tu avessi qualche notizia. Pansy ti ha detto nulla?” s’intromise Blaise.
“No…” rispose, guardandosi attorno. “Veramente non era in camera…”
In quello stesso istante il Prefetto fece il suo ingresso, si portò al centro della stanza, salì su un tavolino e richiamò l’attenzione su di sé.
“La vicepreside ha delle comunicazioni urgenti da fare. Indossate la divisa e avviatevi verso la Sala Grande, in ordine e senza perdere tempo” annunciò, seria.
Mentre i Serpeverde tornavano verso i propri dormitori parlottando fra loro, il trio si avvicinò alla ragazza.
“Che succede, Pansy?” domandò Daphne.
La Parkinson le restituì uno sguardo teso. “Pare che Potter sia nel castello. Lui sta arrivando. La battaglia sta per cominciare, ragazzi” annunciò, con il terrore negli occhi.

Venti minuti più tardi tutti gli studenti di Hogwarts erano riuniti in Sala Grande, dove Minerva McGranitt stava illustrando le modalità di evacuazione quando fu interrotta dalla voce sibilante di Voldemort.
So che vi state preparando a combattere. I vostri sforzi sono futili. Non potete fermarmi. Io non voglio uccidervi. Nutro un enorme rispetto per gli insegnanti di Hogwarts. Non voglio versare sangue di mago.
Silenzio, durante il quale Pansy poteva sentire nitidamente il rimbombo del suo cuore nel suo petto, mentre con lo sguardo cercava l’unica ragione per cui sarebbe rimasta nel castello a combattere.
Consegnatemi Harry Potter e a nessuno verrà fatto del male. Consegnatemi Harry Potter e verrete ricompensati. Avete tempo fino a mezzanotte.
Scrutò i volti di tutti i suoi compagni di casa, finché non lo vide. Pallido, più pallido del solito, terrorizzato. Ma vivo. Per quanto ancora lo sarebbe stato, se la battaglia avesse avuto luogo? Scacciò quel pensiero della mente, volgendo lo sguardo altrove, cercando di non pensare, di ricordare che a lei non importava più nulla di quel fallito. Poi, vide qualcosa, o meglio, qualcuno, e di colpo qualcosa scattò in lei. Si ritrovò in piedi, quasi meccanicamente, il braccio tremante puntato contro Harry Potter.
Ma è laggiù! Potter è laggiù! Qualcuno lo prenda!” si sentì dire.
La reazione che ne seguì fu prevedibile. Ogni membro delle altre Case si Hogwarts si frappose fra Potter e i Serpeverde, a mo’ di scudo e alla professoressa McGranitt non rimase che ordinare l’evacuazione degli studenti verde-argento.

Avevano appena imboccato il tunnel che dalla Stanza delle Necessità conduceva ad Hogsmeade, quando Blaise si avvicinò a Daphne.
“Hai paura?” le domandò, senza preamboli.
“Sì. Tu?” chiese, a sua volta.
Blaise annuì. “Mi dispiace, Daphne. Non avrei mai dovuto osare tanto!”
“Non è il momento per le scuse, Blaise” lo zittì, brusca, controllando che Theo non fosse nei paraggi.
“Sì, invece!” la contraddisse. “Non voglio morire sapendo che ce l’hai con me!”
“Tu non morirai!” minimizzò la ragazza, spaventata da quel pensiero. “Non stanotte, almeno.”
“Come puoi esserne così sicura? C’è una guerra là fuori!” obiettò lui.
“Lo so, ma, nel caso non l’avessi notato, stiamo fuggendo!”
Blaise l’afferrò per un braccio, costringendola a voltarsi verso di lui.
“Detesto quando neghi l’evidenza pur di non affrontare le tue paure!” l’accusò, brutale.
“Non sto negando nessun evidenza, Blaise!”
“Sì, invece!” esclamò lui. “Non vuoi ammettere che stanotte potremmo morire, così come non hai voluto ammettere che non hai fatto nulla per impedirmi di baciarti, perché sai benissimo che era quello che volevi anche tu!”
“Tu stai delirando!” inveì Daphne, riprendendo a camminare.
“Puoi mentire a tutti, Daphne, ma non a me. Ti conosco troppo bene per non sapere cosa significhino i tuoi sguardi, i tuoi silenzi, i tuoi atteggiamenti. E il fatto che tu non l’abbia detto a Theo, è la riprova del fatto che ho ragione!” urlò Blaise.
La ragazza arrestò il suo cammino e si voltò verso l’amico. Si avvicinò, gli occhi ridotti a due fessure.
“L’unico motivo per cui non l’ho detto a Theo è perché non volevo ferirlo per l’ennesima volta, ecco perché. Sai benissimo quanto la nostra amicizia l’abbia sempre fatto sentire escluso, come credi si sarebbe sentito sapendo che il suo migliore amico l’ha tradito?”
“Non lo so, Daphne, dimmelo tu. Come credi che ci si senta?” ironizzò Zabini, incrociando le braccia al petto.
“È diverso, lo sai…” replicò lei, cogliendo l’allusione.
“Ah, sì?” continuò lui. “E dove sarebbe la diversità?”
“Io e te non stavamo insieme quando Theo mi ha baciata. Avevate quel patto, è vero, ma io e te non eravamo una coppia, all’epoca. Baciandomi, non solo hai tradito Theo, ma hai tradito anche me!”
“Ti ho già detto che mi dispiace, cos’altro devo fare?”
“Lasciarmi in pace, ad esempio!” sbraitò lei, sfinita, voltandogli le spalle.
Blaise la guardò a lungo, poi le si avvicinò. “Se è questo che vuoi, d’accordo. Non ne parleremo più. Ma prima, lascia che ti dica una cosa: se stanotte morirò, sappi che lo farò da uomo felice. E sai perché? Perché saprò di essere riuscito a baciarti, almeno una volta.”
“… e se invece sarò io, a morire,” disse una voce alle loro spalle,  “lo farò con il cuore colmo di gioia, visto che ho appena scoperto che il mio migliore amico e la mia ragazza hanno una relazione!”
Il cuore di Daphne mancò un colpo. No. No no no no no no no no. Non può essere vero. Non adesso, non lui.
Blaise si voltò lentamente e la ragazza dopo di lui. Theo era lì, furioso.
“Beh?” incalzò. “Da quanto va avanti questa storia?”
“Non c’è nessuna storia, Theo…” cercò di spiegare, Blaise.
“Tu sta’ zitto” lo mise a tacere, categorico, mantenendo lo sguardo fisso su Daphne.
“Theo… mi dispiace!” si scusò, in lacrime. “È stato solo un bacio, ti giuro, non c’è stato nient’altro!”
“Abbiamo fatto l’amore, Daphne. Ti ho detto che ti amo e tu mi hai risposto che anche tu mi ami, pensavo contasse qualcosa, per te!”
“Ed è la verità, Theo! Io ti amo!”
“Certo, ma questo non ti ha impedito di baciare Blaise, giusto?”
“Non ha significato nulla, te lo giuro…”
“Oh, ma fammi il piacere! Se davvero non ha significato nulla, perché diavolo non me l’hai detto subito?”
“Volevo farlo, ma non sapevo come! Avevo paura di ferirti!”
“Beh, l’hai fatto, Daphne. E anche tu!” urlò, rivolto all’amico. “Come hai potuto farmi questo? Come avete potuto?” si corresse, reprimendo le lacrime. “Voi eravate la mia famiglia! E mi avete tradito! Cosa mi rimane, ora? Eh? Dimmelo, Blaise, cosa mi rimane?” gridò, furioso. “Due amici che non riesco più a guardare in faccia e un padre che molto probabilmente si farà ammazzare questa notte, ecco cosa mi rimane! Beh, sapete che vi dico? Se davvero devo morire stanotte, preferisco farlo sapendo la verità, piuttosto che continuare a vivere circondato dalle vostre bugie e falsità” concluse, dando le spalle ai due ragazzi.
D’improvviso, un pensiero gli balenò nella mente. Iniziò a camminare, spedito, in direzione del castello.
“Theo!” sentì urlare a Daphne. “Dove stai andando? Torna indietro!”
“Devo schiarirmi le idee!” rispose, brusco.
Sapeva esattamente cosa doveva fare. Perché se davvero doveva morire, voleva farlo con la coscienza a posto, e per farlo, doveva prima trovare suo padre.


*Le parti in corsivo sono quelle originali tratte dal capitolo 31 di "Harry Potter e i Doni della Morte"

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Capitolo 19
*** Attraverso la tempesta ***


Attraverso la tempesta

Correva. Correva in direzione contraria rispetto alla folla di studenti impauriti che voleva lasciare Hogwarts al più presto. Correva, senza nemmeno sapere perché stesse correndo, perché lo stesse facendo. Sapeva solo che voleva trovare suo padre e portarlo lontano da lì, anche solo per togliersi la soddisfazione di dirgli in faccia perché lo odiava tanto, perché non provasse alcun rispetto per lui.
Scansò un gruppo di ragazzini del primo anno e si sentì chiamare da una voce femminile.
“Theodore!”
Ignorò il richiamo, continuando a correre.
“Theodore!”
Non poteva fermarsi, non aveva tempo, doveva tornare verso il castello.
“Theo! Fermati!”
Il tono imperativo del richiamo lo costrinse a fermarsi e a voltarsi, scorgendo Asteria che correva verso di lui. La lasciò avvicinare, poi riprese la sua marcia spedita.
“Che vuoi?”
“Dove stai andando?” domandò la ragazzina, di rimando.
“Secondo te?” rispose lui, ironico, “Pensavo di fare una visita di piacere a Gazza!”
“Hai intenzione di combattere?”
Theo sospirò, sentendo il suo cuore accelerare. “Ancora non lo so… Valuterò quando mi troverò nel mezzo dell’inferno.”
“Vengo con te!”
“Scordatelo!” replicò, categorico.
“Andiamo, Theo!” lo supplicò.
“Ti ho detto di no, Asteria! Sei una ragazzina!”
“Non voglio certo combattere!” ribatté lei, ferma.
“Allora perché vuoi tornare?” chiese lui, evitando un gruppo di piccoli Tassorosso.
La ragazza sospirò. “Se Blaise o Daphne fossero là in mezzo, non vorresti essere sicuro che stiano bene? Che siano vivi?” incalzò, ansimando, cercando di tenere il passo del giovane.
Nott rise, amaro. “In questo momento, li lascerei volentieri in mezzo alla battaglia, credimi.”
La giovane gli restituì uno sguardo in tralice.
“E sentiamo,” proseguì lui “chi sarebbe questa persona per la cui incolumità stai rischiando la vita?”
“Un amico” si limitò a rispondere.
“Credevo non vi parlaste più” osservò lui, cogliendo l’allusione.
“Ti ripeto la domanda: se Blaise e Daphne fossero là in mezzo, non vorresti sapere che sono quantomeno vivi?” domandò, di nuovo, fermandosi in mezzo al passaggio gremito di studenti.
Theo la guardò, serio. Capiva benissimo come si sentiva, se aveva deciso di ritornare lì era perché voleva sapere suo padre al sicuro e l’idea dei suoi due amici lontani da tutto quello lo rincuorava.
“E sia. Ma non dovrai entrare nel castello. Andrò io in avanscoperta, cercherò di trovare Malfoy e ti porterò sue notizie.” spiegò. “Per nessuna ragione” proseguì, vedendo l’entusiasmo della ragazza, “dovrai mettere piede nella battaglia. Sono stato chiaro?”
Asteria annuì, decisa, gli occhi che le brillavano per l’emozione.
“Bene” concluse, porgendole la mano. “Sei pronta?”
La piccola Greengrass annuì, afferrandogli la mano, riprendendo la loro folle corsa verso Hogwarts.

Studenti che scappavano terrorizzati da un lato all’altro del castello, professori impegnati ad erigere sistemi di difesa contro gli attacchi esterni, auror e membri dell’Ordine della Fenice che sbucavano da ogni angolo. E loro tre, intrusi fra gli eroi, a cercare di mimetizzarsi il più possibile fra la folla, per quanto potesse essere possibile passare inosservati, a Malfoy, Tiger e Goyle.
“Allora?” sollecitò Tiger “Qual è il piano?”
“Per ora riuscire a salvarci la pelle e non farci notare” rispose Draco. “Almeno finché gli altri non saranno riusciti ad entrare nell’edificio.”
“Ci vorrà molto?” osò chiedere Goyle.
“Non credo” replicò Malfoy. “Si dovrebbero già essere riuniti” aggiunse, massaggiandosi l’avambraccio sinistro, “dovrebbe essere questione di attimi.”
Un fragoroso boato annunciò la caduta delle difese del castello, aumentando il panico. In quello stesso istante, Potter, Weasley e la Granger sfrecciarono lungo le scale che conducevano ai piani superiori. Draco uscì dal nascondiglio in cui si erano rifugiati e, con un cenno del capo, invitò i due tirapiedi a seguirlo.

Erano ore che attendeva, o almeno così le sembrava. Theo non aveva più fatto ritorno, generando in lei il panico. Che avesse brutte notizie da comunicarle? O, peggio, che gli fosse capitato qualcosa? Asteria aveva i nervi a fior di pelle: non riusciva più ad aspettare, ormai, doveva sapere. Si fece coraggio, approfittando dell’apparente momento di calma al di là della porta, inspirò profondamente, e aprì il passaggio che la separava dalla devastazione.

Blaise uscì dalla Testa di Porco, guardandosi attorno, quando Daphne lo raggiunse, ansimante.
“Eccoti, finalmente!” esclamò. “Non sono riuscito a trovarlo, nessuno ha sue notizie da quando ci hanno visti discutere.”
“Asteria è sparita” dichiarò la ragazza, grave.
“Cosa?” chiese Zaini, sconvolto. “Come sarebbe a dire che è sparita?”
Daphne sospirò, distrutta. “Nessuna delle sue compagne di dormitorio l’ha più vista. E un ragazzino del terzo anno sostiene di averla vista correre verso il castello con un ragazzo alto e con i denti da coniglio” aggiunse, le lacrime agli occhi.
“Theo…” confermò Blaise. “Vieni qui…” continuò, attirando a sé la ragazza e stringendola in un abbraccio.
“È colpa mia, Blaise…”
“Non è il momento per i sensi di colpa, ora” la zittì lui “Dobbiamo ritrovarli.”
Si scambiarono uno sguardo d’intesa, si presero per mano e si rimisero sulla strada per il castello.

“Me ne sbatto di quello che pensi tu! Non prendo più ordini da te, Draco. Tu e il tuo papino siete finiti!”
Le parole di Tiger gli rimbombavano ancora nella mente, mentre lo osservava lanciare maledizioni contro Potter e soci, Malfoy che cercava di farlo desistere, ricordandogli che doveva essere il Signore Oscuro ad ucciderlo. Ma Vincent sembrava posseduto, animato da una furia omicida che non gli aveva mai visto prima di quel momento. Non capiva. Non capiva davvero cosa dovesse fare, a chi dovesse dare retta. Osservava la scena come impietrito, incapace di agire, di muovere un muscolo, finché un Incantesimo di Disarmo lo colpì, facendo volare lontana la sua bacchetta. Iniziò a saltare, cercando di recuperarla, mentre riusciva ancora ad udire i battibecchi dei suoi due amici. Perché quello erano, per lui, amici, gli unici che avesse mai avuto. Sentì Tiger lanciare un Anatema che Uccide, senza capire a chi fosse rivolto, intravide Malfoy nascondersi e poi fu il buio.

Cosa diavolo pensava di fare, Malfoy? Voleva prendersi tutti i meriti, anche se era disarmato, terrorizzato, inutile, come sempre. Lui non si sporcava le mani, lui ne usciva sempre pulito e vittorioso, anche se il lavoro sporco toccava agli altri. Ma non quella volta. Quella volta, sarebbe stato lui, Vincent Tiger, ad uscirne vincitore e il Signore Oscuro l’avrebbe premiato. Alzò la bacchetta, deciso ad invocare la Maledizione più potente di cui avesse memoria. Sarebbero morti tutti, orrendamente bruciati da quell’incantesimo. Anche Malfoy, anche Goyle, l’inutile Goyle che se ne stava fermo senza fare nulla, aspettando che qualcuno gli desse ordini. Nessuno di loro meritava di vivere. Evocò la formula, sorprendendosi di essere riuscito a produrre un incantesimo tanto potente, rendendosi immediatamente conto di aver appena firmato la propria condanna a morte.

Come aveva potuto essere così stupida? Uscirsene con quella stupida frase… Davvero credeva che le avrebbero dato retta, che avrebbero consegnato Potter al Signore Oscuro, così, senza combattere? L’unica consolazione era che, così, era potuta fuggire senza dover fingere di voler combattere una guerra di cui, francamente, le interessava davvero, davvero poco. L’unico pensiero di Pansy, in quel momento, era mettere la pelle al sicuro, lontano dalla battaglia, lontano da Malfoy.
Draco… per quanto si sforzasse di non pensarci, la sua mente correva sempre a lui. Era vivo? Era fuggito o stava combattendo? Quando Voldemort aveva lanciato quel messaggio di tregua, aveva davvero sperato di vederlo sbucare fra la folla, fedele alla sua proverbiale codardia, sfruttando la prima occasione di fuga. Invece, di lui non c’era traccia, così come erano spariti Daphne, Zabini e Nott.
Un sordo rumore di esplosione la fece sobbalzare, generando grida di panico fra i ragazzini che la attorniavano. La battaglia era ricominciata e a lei non rimaneva che sperare che non si portasse via le persone a cui più teneva, ma a cui, per orgoglio e per stupidità, non aveva mai avuto il coraggio di confessarlo.

Non riusciva a trovarlo. Aveva perlustrato tutto il castello, ogni corridoio, ogni antro, ma di suo padre non c’era traccia. Uscì nel cortile, per l’ennesima volta, e fu allora che lo vide, impegnato in un duello con un avversario insieme ad un compagno Mangiamorte.
“No!” urlò, vedendo partire un fascio di luce rossa diretto contro suo padre.
Lanciò un incantesimo di disarmo, ma era troppo lontano. Tentò di avvicinarsi, cercando di non perdere di vista il duello, ma c’erano troppe persone fra loro, tutte impegnate in sanguinosi scambi d’incantesimi, da cui doveva cercare riparo.
Vide un fascio di luce rossa partire dalla bacchetta di suo padre, nello stesso istante in cui il giovane mago di fronte a lui produceva un incantesimo scudo.
“No!” si sentì urlare, consapevole di quello che sarebbe successo di lì a poco.
Infatti, nel giro di pochi istanti, lo schiantesimo rimbalzò sulla difesa dell'avversario, facendo rimbalzare indietro suo padre, proprio sulla traiettoria di un Anatema che uccide evocato dal suo complice, nello stesso istante in cui gli occhi di padre e figlio si incrociarono per l’ultima volta, generando un sorriso sul volto del signor Nott, prima di cadere esanime a terra.

Erano piombati in quell’inferno senza quasi accorgersi di quanto accadeva attorno a loro. Quello che gli importava era ritrovare Theo e Asteria, al più presto. Dovevano scappare, ritornare al sicuro, fuggire da tutto quello. Erano arrivati al castello durante la tregua sancita da Voldemort, assistendo impotenti alla sfilata di cadaveri e feriti che venivano condotti verso la Sala Grande, e si erano messi subito alla ricerca dei due ragazzi, senza risultati. Ma ora che la battaglia era ricominciata, trovarli era diventata un’impresa impossibile.
Si erano separati e mai come in quel momento Daphne si ritrovò pentita di aver insistito con Blaise, inizialmente contrario, per prendere quella decisione. Voleva tornare a casa, con Asteria, dimenticare tutto quello, riappacificarsi con Theo e andare avanti con la sua vita.
Un incantesimo di disarmo la colpì. Si voltò trovandosi di fronte un licantropo, lo sguardo lussurioso, che si leccava le labbra, famelico.
Fece per gridare di terrore, ma la voce le si soffocò in gola, mentre il mostro si preparava a compiere un balzo verso di lei.
Chiuse gli occhi, rannicchiandosi su se stessa, preparandosi all’aggressione, udendo uno schianto a pochi passi da lei. Riaprì gli occhi e vide il lupo mannaro giacere privo di sensi, a terra. Alzò lo sguardo e vide Theo, bacchetta sguainata, ansimante, a pochi metri da lei. Le si fece incontro, le porse la mano, la sollevò da terra e la strinse a sé, baciandola con trasporto, come se fosse l’ultima cosa che stava per fare.
“Cosa ci fai qui?” le domandò, grave.
“Sono venuta a cercare te e Asteria.”
Qualcosa mutò nell’espressione del giovane. “Non era nella stanza al termine del passaggio che collega Hogsmeade al castello?”
“No…” rispose l’altra, confusa.
“Dannata ragazzina!” imprecò, furioso. “Dobbiamo trovarla!”
“E Blaise?” domandò la ragazza.
“Troveremo anche lui” la rassicurò. “Ora andiamo!”
Corsero su per le scale, diretti ai piani superiori, verso la Stanza delle Necessità, dove speravano di ritrovare Asteria. D'improvviso un lampo di luce illuminò l'antro delle scale, seguito da una fragorosa esplosione. La terra tremò sotto i loro piedi e Theo si ritrovò a terra, un forte fischio nelle orecchie, mentre un pesante torpore lo avvolgeva.

“Theo...” una voce ovattata lo riscosse. “Theo, svegliati!”
Aprì gli occhi a fatica, trovandosi di fronte il volto di Zabini.
“Grazie al cielo!” esclamò Blaise, sollevato. “Ero al piano di sopra, ho sentito l'esplosione e mi sono affacciato. Ti ho visto a terra e sono corso qui. Come ti senti?”
“Sono stato meglio...” mugugnò, tamponandosi un sopracciglio sanguinante. “Che è successo?” domandò, sentendo canti di giubilo provenire dall'esterno del castello.
“La battaglia è terminata. Potter ha vinto” sentenziò, lapidario. “Andiamo!” lo incitò, aiutandolo ad alzarsi. “Dobbiamo trovare Daphne!” aggiunse, mettendosi in cammino.
“Aspetta!” urlò Theo, trattenendolo per un braccio. “Che significa 'Dobbiamo trovare Daphne'?” chiese delucidazioni.
“Significa che Daphne è tornata indietro con me per ritrovare te e Asteria. Ci siamo separati, ma ora...”
“Questo lo so!” lo zittì l'altro. “Quel che intendevo dire è dove è andata ora.”
“Non ne ho idea.” rispose l'altro, confuso. “Perché, vi siete incontrati?”
“Era con me, prima dell'esplosione” affermò, deciso.
“Ommerda!” imprecò Blaise.
Tornarono sui loro passi, scostando le macerie, senza risultati. Un senso di vertigine colse Theo, che si appoggiò al parapetto semidistrutto, chiudendo gli occhi per attenuare la sensazione di capogiro. Riaprì gli occhi e, finalmente, la vide. Il corpo di Daphne giaceva un paio di piani più sotto, apparentemente privo di vita.
“Blaise!” urlò, “Blaise, l'ho trovata. Corri!” gli intimò, correndo a perdifiato giù per le scale.
Scavalcò i cumuli di macerie, arrivando al corpo della ragazza. Le tastò il polso, sentendo il battito, flebile, ma presente.
“E' viva!” gridò all'amico. “Aiutami a spostarla!”
“Daphne...” le sussurrò, in lacrime. “Daphne, ti prego, non morire, non lasciarmi anche tu, ti prego...”

Camminava tra le macerie, guardando le rovine di quella che, per cinque anni, era stata la sua seconda casa. Non aveva trovato Draco, nonostante avesse perlustrato ogni angolo, ogni anfratto del castello. Temeva davvero che gli fosse successe qualcosa di terribile, ma preferiva crogiolarsi nella speranza che fosse riuscito a fuggire.
Arrivò alla soglia della Sala Grande e indugiò alcuni istanti: aveva evitato di entrarci fino a quel momento, perché sapeva che, durante la tregua, lì erano stati portati i cadaveri dei caduti. Si fece coraggio e varcò la porta.
E lo vide. Stretto ai suoi genitori, come se al mondo ci fossero solo loro, incuranti del fatto di essere circondati da persone che avrebbero potuto linciarli, in quanto “nemici”. Ma, ormai, non importava più nulla a nessuno. Non c'erano più nemici, perché la guerra era finita. E lui era lì, sano e salvo. Vivo.
Non sapeva cosa, di preciso, l’avesse spinta a tornare indietro, nella battaglia, rischiando la sua stessa vita, ma pensò che, probabilmente, si trattava dello stesso motivo per cui, mesi prima, aveva deciso di iniziare a frequentarlo, infischiandosene delle raccomandazioni che i suoi genitori le avevano fatto prima di iniziare l’anno scolastico. Era la persona che, più di altre, andava evitata, di quei tempi. Tutta la sua famiglia era concorde: la neutralità era la scelta migliore. Eppure, lei era andata contro ogni logica, ogni affetto. Ci aveva riflettuto a lungo, concludendo che non le importava di cosa pensassero gli altri, di cosa pensassero i suoi stessi genitori. Lei voleva stare vicina a lui, perché gli credeva, perché teneva a lui.
Per un istante lui alzò lo sguardo e i loro occhi si incrociarono. Le sorrise e lei fece lo stesso, di rimando. Era felice. Perché sapeva che, finalmente, anche lui aveva trovato ciò che stava cercando.


Le parti in corsivo sono tratte da "Harry Potter e i doni della morte"

Buongiorno a tutti! Chiedo immensamente perdono per aver mancato l'aggiornamento della scorsa settimana, ma sono in un periodo particolarmente  frenetico. Ragione per cui ho deciso che , dopo l'aggiornamento della prossima settimana, quello che chiuderà il capitolo "battaglia finale", mi prenderò una lunga pausa, penso fino a dopo l'estate, anche se so che questo attirerà su di me le ire di voi lettori. Mi dispiace davvero molto, ma gli impegni sono davvero moltissimi,, il lavoro mi massacra e l'ispirazione sta venendo meno. Qiuindi, onde evitare di rovinare la storia con capitoli scritti in modo frettoloso e poco sentito, ho deciso di prendermi un po' di tempo.
Ringrazio chi mi ha seguita finora e chi continuerà a farlo, in particolare coloro che mi stanno recensendo: abbiate fede, prima o poi risponderò a tutte le vostre recensioni, promesso!
Alla prossima settimana,
BB

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Capitolo 20
*** Prendere ma soprattutto lasciare ***


Prendere ma soprattutto lasciare
Prendere, ma soprattutto lasciare

Theo e Blaise sedevano in una sala d’aspetto del San Mungo, in attesa. Daphne era stata trasferita all’Ospedale magico insieme agli altri feriti più gravi, considerato che non aveva mai ripreso conoscenza. I guaritori avevano insistito per visitare anche Theo, ma il ragazzo, cocciuto come suo solito, era stato categorico, accettando solo le cure necessarie a far smettere di sanguinare copiosamente il sopracciglio ferito.
Nonostante avessero accantonato le rivalità per soccorrere Daphne, la tensione in quel momento era ancora palpabile.
“Mio padre è morto” disse Theo, d’un tratto.
Blaise lo guardò, esterrefatto. Era sembrato così calmo, mentre pronunciava quelle parole, ed effettivamente non c’era altro termine per descrivere Theo, in quell’istante: era calmo. Straordinariamente calmo.
“Mi dispiace” si limitò a dire, in attesa di un qualsivoglia tipo di reazione da parte dell’altro.
“È stato strano” proseguì. “Quando mi ha visto, un istante prima di morire, lui ha sorriso. Capisci? Ha sorriso. Non ha sgranato gli occhi, preoccupato del fatto che il suo unico figlio fosse in mezzo alla battaglia, rischiando la vita. Ha sorriso. Come se fosse felice del fatto che avessi deciso di mettere a repentaglio la mia esistenza per quella causa che gli ha portato solo guai” spiegò, tenendo lo sguardo fisso sulle sue mani. “Quale padre sarebbe felice di sapere che suo figlio sta andando a morire?” domandò, infine, guardando l’amico in volto.
“Tuo padre ha fatto le sue scelte, Theo. Giuste o sbagliate che fossero, ci ha creduto fino alla fine. Per questo è stato felice di vederti lì: perché ha creduto di essere riuscito a trasmetterti i suoi valori.”
“Avrei preferito essere privo di valori, ma avere ancora un padre” dichiarò.
“Guarda il lato positivo. Almeno sai che è morto felice. E per merito tuo.”
“Non sono tornato indietro per combattere. Sono tornato indietro per dirgli quanto lo odiavo.”
“Ma in quel momento lui ha creduto che fossi lì per spalleggiarlo e ciò l’ha reso felice. A volte è il destino a scegliere per noi, Theo” concluse.
Theodore sospirò, portandosi le mani al volto.
“E le nostre, di scelte?” domandò.
“Quali scelte?” chiese l’altro, di rimando.
Theo rise. “Quelle che ci hanno portato qui.”
Blaise lo guardò a lungo, senza capire dove volesse andare a parare.
“Continuo a pensare che, se non avessi infranto il nostro patto, in questo momento probabilmente non saremmo qui e Daphne sarebbe sana e al sicuro.”
“Questo non lo puoi sapere, Theo…”
“Sarà… Ma avevamo stipulato quel patto allo scopo di proteggerla e non farla soffrire. L’ho baciata, l’hai baciata e ora lei è in quel letto, priva di sensi, a lottare fra la vita e la morte” spiegò, triste.
“Non è perché l’hai baciata che siamo tornati nella battaglia. Siamo tornati perché tu sei voluto tornare a cercare tuo padre e Asteria è venuta con te. Probabilmente sarebbe successo comunque” cercò di consolarlo Blaise.
“Io la amo, Blaise. La amo davvero tanto e tu più di chiunque altro puoi capirmi” disse, guardando l’amico negli occhi. “Ma credo che la soluzione migliore sia allontanarmi da lei. Non voglio che soffra, non voglio che si ritrovi costretta a scegliere. Per lei e per me, perché non sopporterei l’idea che lei scelga te.”
Zabini sospirò. “Forse potremmo rinnovare il patto…”
“Ovvero?” chiese Nott, perplesso.
“Ovvero potremmo decidere che, se Daphne si salva, nessuno dei due rivendicherà il posto di cavaliere al suo fianco” scherzò, per sciogliere la tensione. “Che dici?”
“Dico che è un’ottima idea” concordò, porgendo la mano all’altro.
Blaise rispose all’invito, stringendo la mano di Theo. “Pensi che riuscirai a trattenerti, questa volta, o è meglio stipulare un Voto Infrangibile?” rise.
“Fidati: questa volta manterrò la parola. Spero” aggiunse, ridendo a sua volta.

Per tre settimane, Daphne rimase in coma. Le sue condizioni, gravi, ma stabili, non accennavano a migliorare, generando uno stato di profonda frustrazione e nervosismo in Theo, che Blaise cercava di contenere alla bell’e meglio. Ma una mattina, quando ancora Theodore non era comparso all’orizzonte, un guaritore uscì dalla stanza di Daphne, dichiarando che la ragazza si era svegliata.
Raggiante, il ragazzo aveva atteso che l’amico giungesse, per poter entrare insieme nella stanza della giovane. Tuttavia, dopo aver atteso per più di tre quarti d’ora, si era finalmente deciso a farsi avanti, confidando nel fatto che la buona notizia del risveglio di Daphne bastasse a contenere il disappunto di Theo per il fatto che Blaise l’avesse rivista per primo.
Un tuffo al cuore lo colse alla vista dell’amica: era ancora molto pallida, decisamente smagrita, ma i suoi occhi si illuminarono alla sua vista.
Le corse vicino e l’abbracciò, cercando di non farle male, posandole un bacio sulla fronte.
“E Theo?” fu la prima cosa che disse, guardandolo con occhi carichi di speranza e apprensione.
“Dovrebbe arrivare a momenti…”
In quello stesso istante, un’infermiera bussò alla porta.
“Chiedo scusa… Lei è il signor Zabini?” chiese, timidamente.
“Sì…” rispose, guardando Daphne, confuso. “Sì, perché?”
La donna entrò nella stanza, porgendogli una pergamena.
“Questa è per lei e per la signorina Greengrass. Mi è stato raccomandato di consegnarvela e di assicurarmi che la leggiate insieme.”
“Grazie!” dissero, all’unisono, congedando la donna, che si chiuse la porta alle spalle.
“Cos’è?” domandò Daphne.
“Non ne ho idea…” replicò l’altro, ispezionando la missiva.
Fece saltare il sigillo in ceralacca e scorse velocemente il testo.
“È di Theo!” esclamò, sorpreso.
“Cosa dice?” lo sollecitò l’altra.
Blaise si schiarì la voce e iniziò a leggere.

Caro Blaise, cara Daphne,
            lo so, sono un codardo ad affidare queste parole ad una lettera, anziché dirvele di persona, ma sono sicuro che se avessi tentato di spiegarvi quel che sto per fare avreste sicuramente fatto di tutto per farmi cambiare idea.
Ho deciso di partire. Negli ultimi mesi a scuola, durante i colloqui di orientamento professionale, avevo espresso il desiderio di intraprendere una carriera alla Gringott. Ebbene, nelle scorse settimane mi hanno contattato per offrirmi un periodo di formazione, che si svolgerà per la maggior parte all’estero.
Ho deciso di accettare perché, nonostante le ripetute rassicurazioni di Blaise, mi sento tremendamente responsabile per quello che è successo. Se non ti avessi baciata, Daphne, se non fossi tornato indietro nella battaglia, ora non saresti in quel letto, reduce da una lotta contro la morte.
Mi dispiace, Daphne, davvero. E mi dispiace anche di non aver mantenuto il patto fatto con te, Blaise.
Perdonatemi se ho preso questa decisione senza consultarvi, ma ho davvero bisogno di rimanere da solo, di camminare con le mie gambe e per farlo devo allontanarmi da tutti coloro che associano il mio nome al volto e alla fama di mio padre, anche se questo significa separarmi da voi.
Prenditi cura di lei, Blaise, fallo anche per me.

                                Vi abbraccio
                                    Theo



Lo so, lo so... Sono una persona orribile a lasciarvi con questo capitolo .... d'altra parte ogni serie che si rispetti si prende una pausa estiva! Suvvia, non disperate troppo: il capitolo che vi attende al mio ritorno (ebbene sì, un paio di capitoli sono già pronti) sarà sensazionale, promesso. Un abbraccio a tutti, spero di ritrovarvi a settembre!

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Capitolo 21
*** Questioni in sospeso ***


Questioni in sospeso
I’m coming home, I’m coming home
Tell the world I’m  coming home
Let the rain wash away all the pain of yesterday
I know my kingdom awaits and they’ve forgiven my mistakes
I’m coming home, I’m coming home
Tell the world I’m coming
(Diddy Dirty Money  - Coming home)
Questioni in sospeso

Theo stava in quell’archivio da ore, ormai. Quei dannati folletti ce l’avrebbero messa davvero tutta per farlo ammattire, compreso ideare quell’odioso sistema di protezione con cui doveva litigare ogni santa volta per riuscire a recuperare i documenti con cui quotidianamente doveva lavorare.
“Ne ha ancora per molto, Nott?” chiese con disprezzo un goblin alle sue spalle.
Theo si voltò, abbassando lo sguardo sulla creatura che lo guardava con odio.
“Ho quasi finito, signore” rispose, richiudendo lo scaffale dal quale aveva estratto un fascicolo piuttosto voluminoso, calcando la mano sull’ultima parola.
“Le ricordo che oggi è prevista l’ispezione da parte del Ministero. Veda di non farci finire nei guai, Nott.”
“Certamente, signore!” ribatté, uscendo dalla stanza.
Ecco, quella era la cosa che più odiava del suo lavoro: tutta quella stramaledetta deferenza nei confronti di quelle creature spocchiose e detestabili. D’altronde, dopo due anni di apprendistato, dove gli erano toccati i compiti più umilianti ed impensabili, si era ormai abituato ad essere considerato un essere inferiore. Aveva sempre mostrato un rispetto quasi eccessivo per i suoi superiori, anche se non era tenuto ad essere tanto servile. Ma non gli importava: voleva ripartire da zero, conquistandosi il rispetto delle persone, maghi o folletti che fossero, per quello che era, ovvero un ragazzo come tanti altri, con un’incredibile voglia di ricominciare.

Era rientrato in Inghilterra da poco più di due mesi, assunto a titolo definitivo alla sede centrale della Gringott, in Diagon Alley. Tornare in patria era stato quasi uno shock: abituato a vivere in paesi che non erano stati toccati dalla guerra, aveva faticato molto a convinvere con l’idea che il suo fosse un paese ancora in ricostruzione, nonostante, ormai, i danni della guerra fossero stati quasi del tutto riparati, anche se il ricordo era ancora nitido nei ricordi della gente. Ricominciare ad essere guardato sono sospetto solo in virtù del nome che portava era la cosa che più l’aveva messo a disagio: non era più abituato a convivere con la nomea di figlio di Mangiamorte, così come aveva perso l’abitudine di presentarsi semplicemente come Theodore, anziché come Nott. Sotto quel punto di vista, era felice che i suoi datori di lavoro fossero folletti: per loro, che lui si chiamasse Nott, Malfoy, Weasley o Potter, non faceva alcuna differenza, sempre di feccia si trattava. Anche se, poteva giurarci, quella loro ostinazione a chiamarlo per cognome era un modo velato per provocarlo, consapevoli del fatto che parte della sua decisione di accettare di partire per l’apprendistato era dovuta al fatto di volersi slegare dall’immagine paterna.

“Nott, l’ispettore del Ministero è arrivato cinque minuti fa!” lo richiamò un altro folletto. “Si sbrighi, non è il caso di farlo aspettare!”
Theodore accelerò il passo, entrando nel suo ufficio, trafelato.
“Mi scusi per il ritardo!” iniziò, continuando a scorrere il fascicolo che aveva fra le mani, girando attorno alla poltrona del visitatore, senza guardarlo. “Gli archivi di questa banca sono un autentico labirinto, mi ci sono volute ore per recuperare il materiale che ci avete richiesto!”
“Non c’è problema…” rispose una voce femminile. “Dopo due anni e mezzo di attesa, cinque minuti in più o in meno, che differenza possono fare?”
Theo alzò gli occhi dal fascicolo, tenendoli fissi di fronte a sé. Quella voce… Si voltò verso la sua interlocutrice e i suoi sospetti furono confermati.
“Ciao, Theo…” lo saluto Daphne, visibilmente seccata.
Il ragazzo si lasciò cadere sulla poltrona, esterrefatto. Daphne, la sua Daphne, era lì, di fronte a lui, più bella che mai. Era cambiata, portava i capelli più corti e il viso si era fatto più maturo, ma era sempre lei, Daphne, la ragazza che gli aveva rubato il cuore, quella da cui era fuggito, due anni prima, incapace di sopportare l’idea che non sarebbe più stata sua.
“Ciao…” disse a sua volta, con un filo di voce.
La ragazza rise, amara. “Dopo oltre due anni tutto ciò che sai dirmi è ciao?”
“Io… non mi aspettavo di trovarti qui!” si giustificò. “Aspettavo un ispettore del Ministero!”
“Che è esattamente quello che sono! Quindi, se vuoi farmi vedere quei documenti, grazie!” lo sollecitò, tendendogli la mano.
Nott le porse la cartellina, senza toglierle gli occhi di dosso. La ragazza iniziò a sfogliare i documenti al suo interno, mordicchiandosi il labbro inferiore come quando, a scuola, scriveva i trattati di pozioni.
“Sembra ci sia tutto…” constatò, poco dopo. “Ti farò riavere tutto entro una settimana massimo” aggiunse, infilando il plico nella borsetta. “Ora, però, veniamo a noi!” dichiarò, incrociando le braccia al petto.
“A noi?” domandò lui, spaventato.
“Sì, Theo, a noi” confermò.
“Ovvero…?” balbettò impaurito.
“Non saprei…” finse di riflettere, “ad esempio cos’hai avuto di tanto importante da fare in due anni da non consentirti di inviarmi nemmeno un gufo!” lo accusò lei.
Il giovane sospirò. “Daphne io…”
“Due anni e mezzo, Theo! Due anni e mezzo senza avere tue notizie! Senza contare il fatto che non ti sei fatto vivo nemmeno quando sei rientrato!” sbraitò, furiosa. “Sai come ho saputo che eri tornato? Dai documenti indirizzati al Ministero firmati a tuo nome! Dico, ti sembra normale?”
“Mi dispiace, Daphne, davvero!” si scusò. “Ma non sapevo se volessi vedermi! Credevo… credevo ce l’avessi con me!”
“Infatti ce l’ho con te, ce l’ho con te eccome!” confermò lei, spietata. “Te ne sei andato senza salutarmi! Mi sono svegliata dal coma e tu non c’eri più, al tuo posto una ridicola lettera, oltretutto indirizzata anche a Blaise! Non ci si comporta così, Theo!” lo ammonì, gli occhi lucidi.
“Non sono fiero di come me ne sono andato, ma se vi avessi spiegato di persona avreste fatto di tutto per farmi cambiare idea!” si giustificò.
“Certo che l’avremmo fatto!” esclamò. “Ma questo non giustifica il fatto che sei fuggito come un codardo, senza dare tue notizie per oltre due anni, Theo! Due anni!” ripetè, alzando la voce. “Merlino, Theo, io ero… io sono la tua ragazza!” si corresse.
Di fronte a quell’affermazione il silenzio piombò nella stanza. Theodore la fissava, sbalordito, mentre Daphne aveva abbassato il capo.
“Tu… tu hai continuato ad essere la mia ragazza… per tutto questo tempo?” le chiese, sconvolto. “Io credevo…”
“… che fosse chiaro che avevamo rotto?” concluse la frase. “No, Theo. Non lo era!”
“Ma tu… Blaise… insomma… il bacio!” balbettò lui, confuso.
“Mi hai baciata, durante la battaglia!” esclamò. “Credevo significasse che era tutto risolto, che mi avessi perdonata!”
Theodore si alzò di scatto, andando ad inginocchiarsi di fronte alla ragazza.
“Mi dispiace, Daphne… Io non avevo idea…” disse, sollevandole il volto.
“Non importa, Theo. Non sprecarti in scuse non sentite!”
“Sono davvero dispiaciuto, credimi!” ribatté, colpito.
“Talmente dispiaciuto che non ti sei nemmeno degnato di cercarmi in due mesi che hai fatto ritorno!” l’accusò, sull’orlo delle lacrime.
“Te l’ho detto, Daphne, non sapevo come l’avresti presa!”
“Beh, sai una cosa? Sai qual è l’unico motivo per cui ho continuato a ritenermi la tua ragazza, nonostante fosse palese che per te la storia fosse chiusa?”
Il ragazzo scosse la testa, in segno di diniego.
“L’unico motivo per cui l’ho fatto è stato per potermi prendere la soddisfazione di dirti in faccia che è finita, nonostante le tue grandi dichiarazioni d’amore e le tue grandi promesse!” dichiarò, spietata, alzandosi. “Addio, Theo. Buona fortuna per tutto.”

Girovagò per la Londra babbana a lungo, prima di rientrare a casa. Non voleva correre il rischio di incontrarlo di nuovo ed era troppo nervosa per tornare a casa. Soprattutto, non voleva piangere, non per lui, non di nuovo, non dopo tutte le lacrime che aveva versato in quegli anni, e sapeva che se fosse tornata nella solitudine delle mura domestiche nulla le avrebbe impedito di scoppiare in singhiozzi. Non aveva fatto altro per mesi, quando lui se n’era andato, e solo il conforto e la compagnia di Blaise erano riusciti a consolarla. Amava davvero Theo, e se n’era resa conto solo in quel momento, quando lui era partito. Aveva sperato che fosse tutto uno scherzo, aveva pregato che tornasse, ma più i giorni passavano, più diveniva lampante che la sua era stata una scelta definitiva. Con il passare dei mesi il dolore si era trasformato in rabbia, in desiderio di rivalsa, ma ogni tentativo di instaurare una relazione naufragava irrimediabilmente, perché nessuno reggeva il confronto con Theo, ma soprattutto perché il ricordo di quell’ultimo bacio nella battaglia le ricordava che lei gli apparteneva. Forse era tutta suggestione, forse si era convinta di quella sciocchezza perché il bacio era l’ultima cosa che ricordava prima dell’esplosione, l’unica cosa che l’aveva tenuta in vita, durante le settimane d’incoscienza: l’idea che Theo la stesse aspettando per continuare la loro storia. Invece, al risveglio, aveva trovato Blaise e una lettera, una stupida lettera di scuse in cui non si era nemmeno degnato di dirle quanto l’amasse. Blaise, ancora una volta; l’unico che sembrava capirla veramente, l’unico, anche se, paradossalmente, era stato la causa di tutto quel putiferio.
Quando Zabini aveva deciso di partire a sua volta, ormai un anno prima, il vecchio trauma si era acuito, facendola sprofondare nella disperazione. Era stato allora che si era ripromessa di chiudere ogni ponte con Theo e il loro passato, ma lo avrebbe fatto di persona, illudendolo di averlo aspettato per ricominciare.
Non era stato semplice. Quando se l’era trovato di fronte, l’espressione afflitta, non era stato facile mantenere fede ai suoi propositi, perché l’istinto era stato quello di abbracciarlo, baciarlo e fare di nuovo l’amore con lui, almeno una volta.
Arrivò sotto casa, un complesso Babbano nei pressi del Ministero della Magia, occupato interamente da dipendenti del Ministero stesso, e frugò nella borsa, alla ricerca delle chiavi. Si appoggiò al portoncino d’ingresso, continuando a rovistare, accorgendosi che era aperto. Salì sull’ascensore, che la condusse al terzo piano. Uscì, continuando a cercare il mazzo di chiavi, trovandolo nell’angolo più remoto della borsa. Infilò la chiave nella toppa e aprì. Stava per estrarre la bacchetta per rimuovere gli incantesimi di protezione, quando sentì dei passi alle sue spalle.
“Ciao…”
Si voltò, di scatto, spaventata, trovandosi di fronte Theo.
“Cosa ci fai qui?”
“Ti stavo cercando.”
“Come mi hai trovata?”
Theo sorrise. “Gli archivi della Gringott sanno sempre tutto.”
“Cosa vuoi?”
“Parlarti.”
“Non ho più nulla da dirti. Vattene” tagliò corto, entrando in casa e cercando di chiudersi la porta alle spalle.
“Io sì, invece” obiettò Theo, bloccando la porta col piede.
“Hai avuto due anni di tempo per farlo. Direi che hai perso la tua occasione!” disse, lasciando passare il ragazzo.
“Sai perché me ne sono andato, due anni fa?” proseguì, imperterrito, chiudendosi la porta alle spalle.
“Perché sei un codardo?”
“No, perché io e Blaise avevamo rinnovato il patto di non belligeranza riferito a te!” spiegò.
Daphne si fermò, guardandolo con fare interrogativo.
“Avevamo giurato che se fossi sopravvissuta, nessuno dei due avrebbe più fatto nulla che potesse mettere a rischio la nostra amicizia o farti soffrire” raccontò, avvicinandosi. “Ho accettato, perché mi sentivo tremendamente in colpa. Ma nei giorni successivi mi sono reso conto dell’enormità di quello che avevo fatto. Avevo promesso di non stare più con te, di non baciarti, toccarti, fare l’amore con te. Mai più. Non potevo tollerarlo, così come non potevo tollerare l’idea che qualcun altro lo facesse al posto mio!”
“Quando ti ho rivista, oggi, ho capito che è stata la scelta giusta. Non sarei mai riuscito a resistere, avrei tradito ancora Blaise e ti avrei sicuramente fatta soffrire, di nuovo” continuò. “Perché io ti amo, Daphne. E so di essere una persona orribile, ma l’idea che tu mi abbia aspettato in questi due anni e mezzo mi ha reso felice, perché, in fondo, significa che anche tu mi ami.”
“Io non ti amo…” mentì, con gli occhi pieni di lacrime.
“Sì, tu mi ami…” la contraddisse, avvicinandosi ancor di più.
“Come puoi essere tanto arrogante da presentarti qui e dirmi certe cose, Theo?” sviò il discorso. “Ti ho detto che l’unica ragione per cui ti ho aspettato è stata per poterti dire in faccia ciò che penso di te… E tu hai il coraggio di interpretarla come una dichiarazione d’amore?”
“Precisamente!” confermò, chinandosi su di lei.
“Cos’hai intenzione di fare?” domandò, retraendosi.
“Secondo te?”
“Baciami e ti giuro che ti prendo a schiaffi!” lo minacciò.
“Correrò questo rischio…” sussurrò, annullando le distanze fra le loro labbra.
Chiusero entrambi gli occhi, assaporando quel contatto a lungo negato. Theo si scostò, guardandola. Daphne riaprì lentamente gli occhi, incontrando il sorriso del giovane, e lo colpì al volto.
Theo si massaggiò la guancia, sorridendo soddisfatto, prima che Daphne lo afferrasse per il bavero della camicia e lo investisse con un bacio intenso e passionale. La strinse a sé, carezzandole i capelli, mentre le mani di lei risalivano lungo i suoi fianchi, togliendogli la giacca, poi slacciandogli la camicia. Colse l’invito, togliendole a sua volta il soprabito, poi l’abito.
“Giurami che non c’è stata nessun’altra…” gli sussurrò, mentre le aggrediva il collo, cercando di slacciarle il reggiseno.
“Te lo giuro…” rispose lui, sincero. “Non c’è stato giorno in cui non abbia pensato a te!”
Lo guardò negli occhi, allontanandolo. “Non lasciarmi mai più” ordinò, perentoria.
Theo annuì. “Mai più!” ripeté, riprendendo a baciarla, mentre lei lo trascinava sul pavimento, sopra di lei.


Ciao a tutti!!!
Dopo molto, moltissimo, troppo tempo torno a voi. Ho aspettato molto a pubblicare perchè, sarò sincera, a parte i capitoli che pubblicherò nelle prossime settimane, la storia è ancora ad un punto morto. Non sapete quanto la cosa mi disturbi, visto che mi mancherebbero solo 4 capitoli per terminare... Ad ogni modo, conto di riuscire a sbloccarmi anche grazie al vostro incoraggiamento.
Ci risentiamo fra un paio di settimane (me la prendo comoda, sì)!!

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Capitolo 22
*** Al mondo sono andato, dal mondo son tornato sempre vivo ***


Al mondo sono andato
 Al mondo sono andato, dal mondo son tornato sempre vivo

Il processo era iniziato alla fine di agosto dell’anno della guerra. Eppure, in quei mesi, Draco non aveva pensato al suo futuro, a quello che sarebbe successo in caso fosse stato riconosciuto colpevole. In quei tre mesi, non era passato giorno in cui il ragazzo non avesse pensato all’unica persona che l’avesse mai capito e conosciuto davvero. In quei tre, lunghissimi mesi, non aveva fatto altro che pensare ad Asteria.
Da quando l’aveva rivista, ritta in fronte a lui, in Sala Grande, al termine della battaglia, aveva iniziato a riflettere. Sì, perché quando aveva alzato lo sguardo nella sua direzione, sapeva che lei sarebbe stata lì, perché lui lo desiderava. Era abbastanza strano, difficile da spiegare. Eppure, in quel momento, al termine della battaglia che aveva visto il fallimento dell’uomo a cui aveva ceduto la sua anima, mentre stava abbracciato ai suoi genitori invece di fuggire e nascondersi, sentiva che gli mancava qualcosa, per poter essere veramente felice. E quel qualcosa era lei, Asteria.

La mattina della prima udienza era giunta senza quasi che se ne rendesse conto. I funzionari del Ministero che da mesi pattugliavano la casa dei suoi genitori, nel timore che potessero tentare la fuga prima del giudizio del Wizengamot, l’avevano prelevato dalla villa di buon’ora, strappandolo brutalmente dall’abbraccio di incoraggiamento di sua madre, utilizzando il grande camino del salone come accesso alla metropolvere. Avevano invaso la loro casa, senza nessun ritegno, senza nessuna delicatezza, e loro avevano accettato quella violazione della loro intimità senza fiatare, consapevoli che sicuramente non sarebbe stato peggio di quello che avevano passato nei mesi precedenti.
Arrivato al Ministero, venne fatto accomodare in una stanza adiacente al tribunale, in attesa del suo turno, controllato a vista da due energumeni che lo nemmeno lo guardavano in faccia. Ipocriti. Fino a tre anni prima facevano parte di quella schiera di leccapiedi che si prostrava al solo passaggio di suo padre, mentre ora ostentavano tutto il loro disprezzo.
La porta che dava sull’aula del Wizengamot finalmente si aprì e un minuscolo mago con la faccia da tartaruga comparve sulla sua soglia, invitando con un cenno del capo i suoi due accompagnatori a scortarlo all’interno. La prima cosa che lo colpì fu il gran numero di spettatori presenti: evidentemente nessuno, nel mondo magico, voleva perdersi il momento in cui l’erede dei Malfoy sarebbe caduto in disgrazia. In altre circostanze la cosa l’avrebbe profondamente irritato, ma ormai nulla riusciva a fargli provare emozioni. Niente più rabbia, desiderio di vendetta, senso di superiorità… Draco Malfoy viveva nella più assoluta apatia dal giorno in cui tutta quella follia era terminata, il giorno in cui aveva dovuto iniziare a pensare a quale fosse il suo ruolo in questo mondo. Una delle due guardie lo spintonò verso la sedia posta al centro della stanza, facendolo bruscamente sedere. Incrociò lo sguardo spaventato e velato di lacrime di sua madre mentre i suoi polsi e le sue caviglie venivano cinti dalle catene, legandolo allo scranno. Mentre i membri del tribunale magico ancora discutevano fra loro, in attesa dell’ingresso del Presidente, Draco si voltò verso gli astanti. Non capì mai cosa lo spinse a farlo, fin dall’inizio si era ripromesso di ignorare il pubblico, di non degnarlo di uno sguardo, stanco dei continui sguardi di disapprovazione che la gente gli lanciava. Eppure, si girò e fu allora che la vide. Stava entrando in quel momento, scendendo le scale alla ricerca di un posto per sedersi. Asteria Greengrass era lì, al suo processo.
Si voltò di scatto, iniziando a sudare freddo, e per la prima volta si pose la domanda che avrebbe dovuto farsi molto tempo prima: cosa sarebbe successo se l’avessero dichiarato colpevole? L’avrebbero imprigionato, sì, condannato a chissà quale pena, ma non era quello che voleva sapere. Quel che gli premeva sapere era cosa avrebbe pensato Asteria? Se il Wizengamot l’avesse proclamato reo dei capi d’imputazione a suo carico, esponendo le prove della sua colpevolezza, tutto ciò che aveva cercato di mostrarle, tutte le parole dette sarebbero state vane, schiacciate dall’inconfutabile verità: lui era stato un Mangiamorte, scelto personalmente dal Signore Oscuro per compiere il più efferato e strategicamente importante degli omicidi. L’ingresso del Presidente del Wizengamot non contribuì a diminuire il suo stato d’ansia: da quel momento in poi un gruppo di illustri sconosciuti avrebbe soppesato ogni sua parola, ogni suo atteggiamento, ogni suo sguardo per decidere del suo destino. Si voltò, di nuovo, e non ebbe nemmeno il bisogno di cercarla perché, come poco prima, i suoi occhi caddero automaticamente su di lei. Era lì, era lì davvero. Dopo tre mesi di lontananza, in cui non aveva fatto altro che pensare a lei, era lì, per lui. Per un secondo i loro sguardi si incrociarono e si sorrisero timidamente. Tanto bastò, un sorriso appena accennato, a ridare forza al giovane Malfoy, che si girò verso i suoi inquisitori, fiero.
“Il tribunale del Wizengamot si riunsce oggi, 31 agosto 1998, per giudicare l’imputato Draco Malfoy!” dichiarò Kingsley Shacklebolt, neoeletto Ministro della Magia e Presidente del tribunale dei maghi. “I cui capi d’imputazione sono: adesione al gruppo dei seguaci di Lord Voldemort, altrimenti noti come Mangiamorte, e tentato omicidio di Albus Percival Wulfric Brian Silente.”
Un mormorio terrorizzato percorse la folla al sentir pronunciare il nome del Signore Oscuro, ma il piccolo mago-tartaruga si affrettò a richiamare tutti all’ordine.
“Grazie, Wislow” riprese parola Shacklebolt. “Prima di interrogare l’imputato, andremo ad ascoltare la deposizione di un testimone a difesa del Signor Malfoy” annunciò, fra lo sgomento di Draco e la curiosità generale. “Fate entrare Harry James Potter.”
Il brusio di poco prima di trasformò in un vociare concitato. Draco non era certo di aver ben compreso: Potter? Potter avrebbe testimoniato a suo favore? Doveva sicuramente esserci un errore. Un grosso, enorme, madornale, tragico errore.
Ogni dubbio venne fugato dall’ingresso in aula del Ragazzo che è Sopravvissuto. Occhi bassi rivolti al pavimento, percorse rapidamente il tratto che lo separava dal banco dei testimoni, rivolgendo un sorriso impacciato al Presidente e una fugace occhiata ad un sempre più perplesso Malfoy solo dopo essersi seduto.
“Harry James Potter!” dichiarò il mago-tartaruga, solenne. “Lei è consapevole delle pene previste da questo tribunale nei confronti di chi reca falsa testimonianza?”
“Sì!” si limitò a rispondere, asciutto.
“Può ora dichiarare il motivo della sua presenza” proseguì l’altro.
Potter si schiarì la voce, lisciando ripetutamente i pantaloni con i palmi delle mani. “Sono qui oggi per scagionare l’imputato Malfoy dalle accuse di tentato omicidio e di adesione volontaria alla causa di Voldemort.”

Dopo la deposizione di Potter fu chiaro che il processo avrebbe preso tutta un’altra piega per i Malfoy. Certo, l’idea di essere salvato per l’ennesima volta dall’eroe Potter non riempiva di gioia Draco, ma doveva ammettere che averlo come testimone aveva i suoi lati positivi, come, ad esempio, il fatto che avesse confermato la versione dei fatti che aveva fornito ad Asteria. Oppure il fatto che, dovendo Weasley e la Granger suffragare la sua tesi, ogni udienza venisse fissata nei periodi di sospensione delle lezioni ad Hogwarts, consentendo anche alla piccola Greengrass di presenziare.
Non si erano mai parlati, nemmeno incrociati. Al termine di ogni seduta Asteria scompariva, riapparendo solo a quella successiva, ma a Draco non importava. Il solo pensiero che lei fosse presente, per lui, bastava a dargli la forza di continuare. Perché, nonostante l’aiuto di Potter, il processo fu comunque devastante: le accuse infamanti nei suoi confronti non erano mancate, soprattutto da parte dei “pentiti”, di coloro che puntavano ad ingraziarsi il Wizengamot al solo scopo di sfuggire ad Azkaban, che anche senza Dissennatori rimaneva comunque un luogo terrificante. Fu soprattutto il secondo anno ad essere particolarmente pesante: il fatto che la Granger avesse terminato gli studi aveva fatto sì che le due udienze prima del verdetto finale si svolgessero in periodo di lezioni, impedendo ad Asteria di essere presente. Inoltre, il padre di Tiger, infuriato per la perdita del figlio, aveva portato false prove di colpevolezza di Draco nella tortura e omicidio di alcuni Nati Babbani, al solo scopo di ottenere vendetta.
Era la sera prima dell’udienza finale, quella in cui si sarebbe decretata definitivamente la sua colpevolezza o la sua innocenza, e tutti quei pensieri si affollavano nella sua mente, seduto nella veranda di Villa Malfoy, gli occhi fissi sulle stelle, su quella stessa costellazione dello Scorpione che aveva osservato decine di volte, l’anno precedente, prima di farsi coraggio e decidersi a rivolgere la parola ad Asteria. In quei due, lunghissimi anni, era stata l’unico pensiero in grado di fargli trovare la voglia di continuare e sperava davvero di vederla, l’indomani, anche se questo avrebbe significato doverle dire addio in caso di condanna. Almeno, però, avrebbe potuto rivederla, almeno una volta. Era talmente assorto nei suoi pensieri da non rendersi conto che suo padre gli si era seduto a fianco.
“Quando mi hanno rinchiuso ad Azkaban, dopo la battaglia all’Ufficio Misteri, continuavo a pensare che la cosa peggiore di quell’inferno fosse il non poter più rivedere gli occhi di tua madre” iniziò, fissando a sua volta il cielo. “Eppure, il solo pensiero di lei mi ha aiutato a non impazzire del tutto, a non lasciarmi sopraffare dai Dissennatori.”
Spostò lo sguardo sul figlio, sorridendo, mentre l’altro gli restituiva uno sguardo confuso.
 “Ho visto che la figlia più piccola dei Greengrass è venuta a molte udienze del processo…” continuò il vecchio Malfoy.
“Sì…” confermò Draco. “Sì… Io e lei abbiamo avuto modo di conoscerci durante il mio ultimo anno ad Hogwarts.”
“E lei hai mai detto quello che provi per lei?” domandò Lucius, a bruciapelo.
Il figlio lo guardò, basito. “Cosa… cosa intendi dire?”
“So di non essere stato un padre esemplare, Draco” proseguì, amareggiato. “Sono consapevole anche del fatto che se ti trovi in questa situazione è solo per colpa mia.”
“Padre…” cercò di ribattere il giovane, prima di essere interrotto da un cenno di mano del genitore.
“Sono stato un pessimo padre, Draco, non si può negare. Autoritario, anaffettivo...”
“Io non penso nulla di tutto questo, invece” intervenne, serio. “Sei stato presente, attento, mi hai dato tutto quel di cui ho avuto bisogno e anche di più. Certo, non ti sei mai lasciato andare a pubblici slanci d’affetto, ma dopo la prima guerra hai dovuto ricostruirti una reputazione e la tua posizione non ti consentiva di mostrarti debole. Ma quando ho avuto bisogno ci sei sempre stato, sempre” concluse, accorato.
Lucius gli sorrise, carezzandogli la testa, scompigliandogli i capelli come quando era bambino.
“Quello che sto cercando di farti capire, figliolo, è che quando trovi qualcuno in grado di farti dimenticare le tue sventure, qualcuno che riesce a vedere in te l’uomo, al di là della maschera da Mangiamorte, qualcuno disposto a correre in mezzo alla battaglia solo per poter essere sicuro che tu sia vivo… beh, devi rischiare e dire a quel qualcuno quanto tieni a lei. Non sarò un maestro in sentimenti, Draco, ma so cosa significa amare. E se lo so è perché tua madre è stata quel qualcuno, per me.”
Il vecchio Malfoy si alzò, dando una lieve pacca sulla spalla al figlio. “Non pensare troppo, Draco. Per una volta, fa’ quello che ti viene istintivo. Sono sicuro che non te ne pentirai.”

La mattina seguente il Ministero pullulava di giornalisti e curiosi. Sembrava che tutto il mondo magico si fosse dato appuntamento presso il tribunale del Wizengamot per assistere alla disfatta di Draco Malfoy. Il ragazzo fu scortato nell’aula e fatto accomodare sulla solita sedia molto prima dell’inizio del processo, quasi volessero esibirlo come un qualsiasi fenomeno da baraccone. Il giovane, dal canto suo, sembrava quasi non farci caso: continuava a voltarsi nervosamente verso la folla, nella speranza di scorgervi il volto dell’unica persona che davvero gli importava fosse lì quel giorno. E, proprio quando il solito Wislow, il mago-tartaruga, annunciò l’ingresso del Presidente del Wizengamot, e lui stava per rassegnarsi all’idea che non sarebbe mai arrivata, ecco che Asteria comparve sulla soglia dell’aula, gli occhi bassi, quasi a voler evitare il contatto visivo con lui.
“Imputato Draco Malfoy, in piedi!” intimò Wislow.
Kingsley Shacklebolt attese che gli spettatori si quietassero e si schiarì la voce. “Alla luce di quanto emerso durante questo processo, in considerazione delle testimonianze fornite e delle dichiarazioni rilasciate dall’indiziato, questa corte dichiara l’imputato Draco Malfoy…”
Ci fu un attimo di silenzio, o forse fu solo frutto dell’immaginazione del giovane, che chiuse gli occhi, in attesa del verdetto.
“… non colpevole!”
Draco riaprì gli occhi, incredulo. Vide sua madre e suo padre abbracciarsi, sollevati che almeno per lui le cose fossero andate per il meglio, poi venne abbagliato dai flash dei fotografi, mentre qualcuno lo scortava fuori dall’aula. All’esterno, lo attendeva Shacklebolt, cui strinse la mano in segno di gratitudine, e riuscì ad intravedere Potter, cui fece un rapido cenno del capo: sapeva che gli doveva molto, forse tutto, ma per come erano sempre andate le cose fra loro era il massimo che riuscisse a fare e, a giudicare dallo sguardo soddisfatto dell’altro, era più che sufficiente. Si ritrovò a stringere mani di sconosciuti, a rispondere a domande ridicole di strani individui che affermavano di essere giornalisti delle più improbabili testate, mentre l’unica cosa che desiderava fare era trovare Asteria e abbracciarla. D’un tratto, la vide: stava uscendo dall’aula e gli rivolse uno sguardo fugace, prima di avviarsi a passo spedito verso gli ascensori che conducevano all’uscita. Draco si fece largo fra la folla, scansando chiunque si mettesse sulla sua strada, nel disperato tentativo di raggiungerla. Corse a perdifiato finché la intravide salire su uno degli ascensori.
“Asteria!” urlò, cercando di attirare la sua attenzione. “Asteria, aspetta!”
La ragazza lo vide, nel momento stesso in cui le porte dell’ascensore si stavano per chiudere. Malfoy accelerò, riuscendo ad infilarsi nel vano.
“Draco!” esclamò la ragazza. “Che… che cosa ci fai, qui?”
“Volevo parlarti!” rispose, ansimando.
“Oh…” replicò lei, colpita. “E di cosa?”
“Del fatto che ti amo.”
Asteria sbarrò gli occhi, esterrefatta. “Cosa? Draco, ma che stai dicendo?”
“Quello che ho detto. Ti amo” sospirò. “In questi due anni sei stata l’unica cosa che mi ha dato la forza di andare avanti. E il fatto che tu ci sia stata ogni volta che ti è stato possibile mi ha reso il processo molto più sopportabile. Per questo sono corso subito da te, perché se oggi deve iniziare la mia nuova vita, voglio che tu ne faccia parte. Ho commesso molti, troppi errori in passato, ho sacrificato amicizie, sabotato relazioni, ostacolato la mia stessa felicità. Non voglio più avere dei rimpianti, Asteria, e sapevo che se non fossi corso da te ora, avrei passato tutta la vita a chiedermi come sarebbe potuta andare” concluse, abbassando lo sguardo.
Non riusciva a guardarla negli occhi. Non si era mai chiesto se lei ricambiasse i suoi sentimenti, perché la prospettiva di uscire salvo da tutta quella storia non l’aveva mai davvero convinto. Ma ora, ora che si trovava di fronte a lei, dopo averle dichiarato il suo amore, non sapeva assolutamente come lei avrebbe potuto reagire.
“Non ci vediamo da due anni, Draco, come puoi dire di essere innamorato di me?” chiese lei, quasi impaurita.
“Sei venuta ad ogni udienza. Per me ha significato molto più di quanto tu possa immaginare” rispose, calmo. “So che questa cosa ti sembrerà assurda, ma credimi, io ti amo. E tu sai quanto io abbia sempre faticato ad esprimere i miei sentimenti. So anche se sei giovane, che hai appena terminato la scuola, che hai tutta una vita davanti che non puoi rischiare di infangare lasciando che il tuo nome venga associato a quello di un avanzo di galera che si è salvato solo grazie al provvidenziale intervento di Potter… Non ti sto chiedendo nulla, Asteria, voglio solo che tu sappia che io ti aspetterò: quando e se lo vorrai, io sarò lì, per renderti felice.”
L’ascensore rallentò la sua corsa, le voci dei curiosi e dei giornalisti si fecero via via più forti, mentre la mano della ragazza scivolava in quella di lui, stringendo le piccole dita affusolate alle sue.
Draco trasalì, portando lo sguardo dalla giovane alle loro mani, poi di nuovo alla giovane.
“Se dobbiamo essere felici, non vedo perché dovremmo rimandare!” affermò, decisa.
“Ma… ci vedranno! I giornalisti, la gente…” balbettò, confuso.
“Non m’importa” rispose, decisa. “Vorrà dire che tutti sapranno che ti amo e che ho sempre creduto in te.”
Draco la guardò a lungo, colpito da quanto quell’essere all’apparenza piccolo e fragile potesse essere determinato e forte. Si chinò, infine, su di lei e la baciò dolcemente, mentre le porte dell’ascensore si aprivano. Si staccarono l’uno dall’altra, sorridendosi, si strinsero più forte le mani e si avviarono verso la loro nuova vita insieme.


Care lettrici, cari lettori... Ad un anno dalla redazione di questo capitolo, mi vedo costretta a sventolare bandiera bianca e a dichiarare la storia incompiuta. Mi arrendo, purtroppo, perché non riesco proprio a terminarla e non ritengo possibile riuscirle a farlo nei mesi a venire: aspetto il mio primo bambino e penso proprio che i prossimi mesi, se non addititura anni, saranno impegnati nel suo accudimento.
Mi dispiace molto e lo dico con la morte nel cuore, perché odio lasciare le cose in sospeso, soprattutto quando l'idea è già in me e manca solo l'ispirazione giusta per metterla nero su bianco.
Ringrazio tutti quelli che mi hanno seguita fin qui, nonostante la mia poca costanza e la lungaggine. Se qualcuno di voi desidera sapere come pensavo di finire questa storia, o vuole raccontarmi come si è immaginato potesse finire, può tranquillamente contattarmi sulla posta fi EFP, sarò felicissima di rispondervi.
Arrivederci,  grazie ancora per tutto
BogartBacall



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