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Non l’avevo mai notato
prima di oggi. La mia città appare fredda agli occhi di molti, come il mio
paese. La Germania. Gli ignoranti la conoscono solo per ciò che è accaduto
all’incirca settant’anni fa. I più pensano che la nostra lingua abbia un suono
duro, ma non è affatto vero…semplicemente non tutti hanno l’orecchio adatto…Non
tutti sono in grado di percepire la dolcezza all’interno delle cose…Le
possibilità sono due, o nasci così o la vita ti trasforma fino a questo punto.
Un po’ quello che è successo a me…
Ich bin
hier…
Zero gradi centigradi.
Amburgo è la città più calda di Germania, anche se nessuno l’avrebbe mai detto,
essendo posizionata in quello che io definisco “ Profondo Nord”.
Sono qui solo da un
ora. L’aereo mi ha scaricato sul suolo tedesco. Sono salita su un autobus e in
quindici minuti ho raggiunto il centro cittadino.
Provavo una strana
sensazione vedendo le case scorrere lente attraverso il finestrino. Non potevo
non sorridere e poche parole, involontariamente giunsero alle mie labbra.
“Ich bin hier…”
Ho fatto tutto di
fretta e furia, sistemazione in albergo, pranzo, incurante di tutto, gli
sguardi stupiti dei passati, la neve che cadeva. Il mio cuore batteva, i miei
polmoni sembrava non potessero resistere un secondo di più senza essere immersi
in questa città.
Iniziai ad esplorare,
una pazza senza cartina, come sostiene mia madre. Rathaus e poi oltre…fino alla
statua di Otto. Solo l’idea mi faceva saltare come una bambina di dieci anni.
Fu allora che lo vidi.
Stava seduto, occhi e
viso celati sotto una lunga sciarpa nera ed un paio di occhiali da sole enormi.
Il capo coperto dal cappuccio della giacca. Lo osservai piena di curiosità. Se
ne accorse, mi fissò attraverso le lenti, non si mosse.
Ero come pietrificata.
Improvvisamente fu invasa da una sensazione che non provavo da anni. Empatia,
chiamatela come volete. Tristezza, paura, malinconia. Tutto questo si dibatteva
in quella persona. Involontariamente mi lasciai sommergere.
Ab und zu
ist die Traurigkeit als Schnee…
Erano già due ore che
me ne stavo seduto su quella panchina come un automa. Chissà perché poi il
monumento di Otto von Bismark… Forse perché nessuno avrebbe mai pensato di
venirmi a cercare qui. Tra le mani il cellulare spento, un po’ per rabbia ed un
po’ per paura.
Avevo litigato con Tom.
Non mi capitava praticamente mai e non ne ricordavo nemmeno il motivo, ad
essere sincero. Restava solo la sensazione di abbandono in me ed il ricordo
delle sue parole. Sapevo com’era fatto. Ero come lui. Quando eravamo presi
dall’ira dicevamo sempre cose che poi in realtà non pensavamo. Anche le mie
parole non erano state di certo piacevoli da sentire. Sbuffai.
Aveva iniziato a
nevicare. Pensai che il freddo mi avrebbe schiarito le idee. Mi ritrovai a
pensare alla prossima canzone, io che cantavo, Tom, Georg e Gustav al mio
fianco. Rabbrividii. Tornò la paura. E se Tom non sarebbe più stato al mio
fianco?!?
Improvvisamente mi
sentii osservato. Alzai lo sguardo. Il mio cuore per un istante si illuse. Poi
lo ricomposi. Non poteva essere Tom, venuto a chiedere scusa.
Era una ragazza. Una
strana tipa per la verità. So che sembra strano detto da me, ma è così.
Mi fissò per un paio di
secondi e poi…cadde.
Sentii il cuore
battermi nel petto. Non pensai più a nulla. Corsi…
Jenes, das erschreckt, ist nicht das Dunkel aber das, was es darstellt
Hallo!!! Questo è il
secondo capitolo, appena scritto, non appena ho letto le recensioni! Vi
assicuro che non mi aspettavo che il primo piacesse e ho parecchi dubbi su
tutto quello che la mia mente escogita ultimamente…Spero di non deludere
nessuno! Comunque sia…VielDanke!!!
Aprii gli occhi ma
subito dubitai di esserci veramente riuscito. Tutto attorno a me era buio. Non
ricordavo nulla. Non sapevo chi ero, cosa stessi facendo prima di allora.
Niente. Solo buio. Fuori e dentro di me. Improvvisamente qualcosa apparve. Una
figura. Accanto a me. Voltai il volto e capii. Tom.
Presi un respiro
profondo, cercando di calmarmi. Sapevo benissimo cosa sarebbe accaduto fra
breve. Accadeva sempre la stessa cosa, ogni volta. Ogni volta. Da quando avevo
6 anni, nulla era cambiato.
Mio fratello era
piccolo, sei anni per la precisione. Ed io ero come lui. Non avevo bisogno di
guardarmi, anche se adesso ero in grado di farlo. Eravamo io e lui. Soli.
Contro il nulla.
Rabbrividii. Per
l’ennesima volta mi ripetei che non avrei mai più dovuto litigare con Tom. Ogni volta la stessa storia, ed il peggio doveva
ancora venire.
Iniziammo a camminare,
io e lui, mano nella mano, attraverso il nulla.
Sapevo che ben presto
avrei fatto a Tom la fatidica domanda e lui, come le
precedenti migliaia di volte, avrebbe risposto. L’identica cosa.
“Tomi…” piagnucolai,
non potendo far nulla, il me stesso del sogno era recidivo nel volermi far soffrire...
Tom sorrise, tenendomi
sempre per mano, si voltò verso di me.
“Dimmi”
“Che cosa hai risposto
a mamma e papà?” domandai nonostante, dentro di me, urlavo per fermarmi. Poi
cercai di tapparmi le orecchie per non sentire. “Non rispondere, Tom!” pregai ancora dentro di me.
“Che sarei andato…”
Il mio “io” bambino
guardava il fratellino stupito.
“Ed io?” chiese.
“Tu non puoi venire con
me…”
Urlai.
Ma era inutile. Il
sogno non si sarebbe mai interrotto, se non alla fine. Dopo che lui mi avrebbe…
Urlai ancora. Questa
volta il nome di mio fratello. Con tutta la forza che avevo in corpo.
Disperatamente. Sperando, illudendomi, che questa volta, lui non mi avrebbe
abbandonato in mezzo al buio… Allein.
Dannwirdallesgut
Sbarrai gli occhi di
colpo. Intorno a me, la stanza era immersa nel buio. Mi guardai attorno,
cercando di capire dove mi trovassi. Osservai il posto attentamente.
Giacevo su un divano,
in quello che sembrava un soggiorno. Una coperta mi avvolgeva, scaldandomi.
Lasciai che il mio
sguardo vagasse ancora per la stanza. Non avrei saputo dire il motivo, ma non
avevo paura. Nonostante fossi in un luogo a me ignoto.
Guardai il soffitto,
poi il tavolino di fianco a me, un altro divano, l’enorme televisore. Tutto
rigato dalla luce che dal lampione della strana penetrava all’interno,
attraverso le persiane.
Non sapevo come avessi
fatto ad arrivare lì, e nemmeno chi mi ci avesse portato. Ma non mi importava
al momento.
La casa dormiva
quietamente. Poi d’improvviso, la stessa sensazione del pomeriggio. Mi portai
una mano alla testa. Non dovevo lasciarmi dominare da tutto quel dolore, quella
tristezza.
“Neeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeein!”
Qualcuno dietro di me,
urlò. Mi voltai spaventata e capii che era lui. Il ragazzo che avevo visto alla
statua di Otto.
Era sdraiato, anche lui
su un divano, la coperta che aveva addosso era identica alla mia ma a causa del
suo muoversi agitato, oramai celava ben poco del suo corpo.
Si scosse ancora. La
coperta cadde.
“Toooooooooooom!”
Mi alzai gettando tutto
all’aria e mi avvicinai rapidamente a lui. Ovviamente stava avendo un incubo
spaventoso. Non sapevo cosa fare per calmarlo.
Lo toccai. Parlai.
“IstnureinAlptraum…”
E’ solo un incubo…mormorai, tenendogli la mano destra.
Lui parve calmarsi,
strinse la mia mano. Aprì lentamente gli occhi.
“EinAlptraum?” domandò, come se dalla mia risposta
dipendesse la sua vita.
“Ja.”
Lo rassicurai, sorridendo. “ Dannwirdallesgut. Duschläfstjetzt…”
Andrà tutto bene. Ora dormi… ripetei fra me e me, cercando di convincermi.
Lui sorrise. “Danke…” sussurrò prima di addormentarsi.
Zusammen
Mi ero svegliato, o
almeno sembrava così. Una ragazza, pensai, la strana ragazza di oggi. Era lei.
Mi aveva parlato ed io le avevo creduto. Chissà perché poi. Non sapevo nulla di
lei. Ma, coincidenza o meno, questa volta, io e Tom
eravamo insieme. Il buio era alle nostre spalle.
Die Süße brauchtkeineGründe
Il ragazzo del divano
adesso dormiva sereno, un bellissimo sorriso sulle labbra. Non sentivo più
paura ne angoscia. Tirai un sospiro di sollievo.
Mi alzai lentamente,
per non svegliarlo. Tornai al mio divano.
Notai la mia borsa per
terra, sul pavimento. Non ebbi nemmeno il tempo di pensare, ero talmente
sconvolta da ciò che era appena accaduto che mi ritrovai il pacchetto in mano,
senza sapere come ci fosse arrivato.
Lanciai un’altra
occhiata alla stanza. Niente balcone.
“Schwanz…”
mormorai sottovoce, poi tornò il silenzio. Unico rumore, il suo respiro sereno.
Mi voltai. Non potei fare a meno di sorridere, vedendolo così.
Feci qualche passo
nella sua direzione e mi accorsi che non avevo le scarpe e nemmeno il cappotto.
Uscire così sarebbe stato considerato un suicidio per qualsiasi persona
normale. Ma io, non ero mai stata una persona normale.
Raccolsi la coperta che
aveva fatto cadere e lo coprii, facendo il più piano possibile.
“Torno subito”
mormorai, come se avesse importanza. Lui sorrise ancora.
Mi allontanai silenziosamente, uscendo dalla stanza
Hallo!!!
Le riflessioni della mia mente, oggi iniziano qui! Ci tengo a dire che la
storia che mi sono immaginata, come probabilmente chi ha già letto il secondo
capitolo avrà intuito, partiva dal presupposto di una
cosa per me fantomatica…Suspance…i dialoghi in
tedesco! Tuttavia sono lacerata dal dubbio…in parte
perché totalmente priva di qualsiasi conoscenza linguistica al riguardo (non
basatevi sul mio tedesco perché potrei scrivere strafalcioni enormi. Qualsiasi
persona di tale nazionalità potrebbe infatti guardarvi
malissimo e rispondere “Was?”) e poi perché
probabilmente non sono l’unica persona che non conosce questa lingua. Comunque, in conclusione, troverete sicuramente frasi nella
lingua nativa dei nostri eroi…farò del mio meglio per rendere il tuo comprensibile,
armata del mio amato traduttore! Ho finito! VielDanke!!!
HilfMirfliegen…Drei
DiewichtigsteLiebeistdieversteckteLiebe…
Mi allontanai
silenziosamente, uscendo dalla stanza. Mi trovai su un corridoio. Alla mia
sinistra c’era un bagno, alla mia destra un balcone! Cercai di trattenermi
dall’urlare dalla gioia. Sicuramente dietro alle porte che si affacciavano su
quel corridoio, qualcuno dormiva.
Raggiunsi la
portafinestra e l’avvicinai dietro di me, chiudendola. Mi accesi la sigaretta,
tentando di calmarmi.
Il freddo mi aveva
svegliato del tutto. Quello che era accaduto sembrava solo un sogno lontano ed
io ricomincia ad interrogarmi del perché e del come, fossi
giunta in quella casa.
Improvvisamente vidi un
movimento e una luce. Qualcuno era strisciato fino al bagno e ci era entrato. Pochi minuti dopo quel qualcuno uscì.
Di fronte a lui, la
sigaretta accesa, lo studiai.
Mezzo
addormentato, indossava solo un paio di boxer enormi, che evidenziavano ancora
di più la sua magrezza. I lunghi capelli gli ricadevano in un modo
strano. A quella distanza, col buio, lo osservai assai stupita. Sbadigliò, poco
elegantemente, e si fregò un occhio con la mano destra. Quando
lo riaprì guardò nella mia direzione e mi vide.
Adesso urla come una
ragazzina isterica! Mi dissi, abbastanza preoccupata.
Ma lui rimase in
silenzio, limitandosi a scrutarmi. Poi si allontanò, entrando in una stanza. I
piedi nudi percorrevano lesti il pavimento.
Non ebbi nemmeno il
tempo di ricominciare a sentire il freddo, che lui riapparve. Ma stavolta non era più mezzo nudo.
Portava un paio di
jeans enormi ed una felpa extra large. Un sorriso
malizioso stampato sul volto. Si avvicinò, aprendo la finestra.
“He!
GibstdumireineZigarette?”
Ehy! Mi dai una sigaretta? Domandò.
Io scoppiai a ridere, e
lui subito mi imitò.
“Gewiß!”
annuii, porgendogli il pacchetto.
Lui fece un passo verso
l’esterno, rabbrividì e mi gettò un occhiata strana.
Indietreggiò e sparì ancora.
Mi grattai la testa,
esterrefatta. Ancora una volta lo vidi tornare, affrettandosi per il corridoio.
Aveva una coperta enorme fra le braccia.
Uscì sul balcone e la
stese, un pezzo solo a terra, il resto contro il muretto.
“setzsdudichhin!”
disse piano ma con un tono che non permetteva repliche. Io obbedii e mi sedetti.
Il ragazzo si avvicinò, sedendosi e chiuse un pò la
coperta, avvolgendoci.
Prese una sigaretta dal
pacchetto, l’accese, poi scosse la folta chioma che,
solo in quel momento, notai essere composta da rasta.
Lui sorrise ed esclamò,
come se fosse la cosa più ovvia del mondo “Ha! IchbinTom,natürlich!”
Io risi ancora. “Ja, ja. Natürlich!”
risposi.
Lui appoggiò
la testa contro la mia spalla, il volto rivolto verso il cielo. Rimase
in silenzio per un paio di minuti, poi parlò, la sua voce scandiva lentamente
le parole, come se per lui fosse abbastanza difficile pronunciarle “Bill ha già urlato?” chiese.
Io lo guardai un
secondo in volto. Era impassibile, come se stesse parlando del tempo o di ciò
che avrebbevoluto fare l’indomani.
Annuii, capendo immediatamente
a cosa si riferisse. Lui fremette e sospirò,
espellendo il fumo. “Lo sapevo che sarebbe successo…Scheiße. Pensavo che l’avrei sentito anche se avesse dormito in
salotto…Scheiße…Devo andare a vedere come sta…”
iniziò, alzandosi e gettando il mozzicone dal balcone, sulla ghiaia
sottostante.
Per l’ennesima volta,
non seppi cosa fare. Poi pensai che sicuramente si sarebbe sentito meglio,
vedendolo dormire tranquillo, per cui non dissi nulla.
Lui sparì per il corridoio.
Mi accesi un’altra
sigaretta, aspettando un probabile ritorno. Due minuti e fu di nuovo lì. Il
volto esterrefatto. Sorrideva.
“Dorme!” esclamò con
voce allegra e sollevata. Si passo una mano tra i rasta.
Mi sorrise.
Io gli
porsi di nuovo il pacchetto e, mentre lui si infilava la sigaretta fra le
labbra, risposi “Lo so. Non appena ha capito che era un incubo, si è calmato
subito…”
Tom mi fissò esterrefatto.
Per poco la sigaretta accesa non gli cadde sui pantaloni. Chiuse gli occhi, si
ricompose e poi tornò a sorridere. “Perfekt!” disse
“Sarebbe un sollievo se riuscisse a smettere di fare quell’incubo…Per
lui e per me…Sono dodici anni che lo affligge…E la colpa di tutto…comunque è mia…” concluse, la voce seria.
Lo guardai in volto
mentre si alzava. Tornò a sorridere. “VielDanke…” mormorò con voce sincera.
“Bitte…” risposi,
incerta. In realtà non avevo fatto nulla.
Mi diede le spalle,
entrando. Poi si fermò di nuovo a guardarmi.
“Morgen.
ZehnUhr.” Disse soltanto.
Io lo fissai,
interdetta.
Lui mi gettò uno
sguardo malizioso e concluse “IchwerdeunterDuschesein... Ichsage dir ihn,
ichwollteeventuellmitmirkommen...” Sorrise, l’orecchino sul labbro brillò.
Anch’io risi, spiazzata da
tanta malizia, mostrata con disinvoltura. La sua naturalezza era tale, da far
pensare la cosa come ovvia e perfettamente normale.
Hai di fronte un vero maestro, mi dissi.
Tom non aspettò alcuna
risposta, il suo sorriso accattivante ancora sulle labbra. Mormorò solo un
lieve “GuteNacht…” e si
allontanò.
Non appena fu sparito,
mi ritrovai a pensare a ciò che aveva detto. Tradussi la frase nel mio
cervello. Sarò sotto la doccia…te lo dico, in caso
volessi venire con me… Arrossii e scoppiai a ridere.
Mi alzai, chiusi la porta alle mie spalle e tornai in salotto.
Bill riposava, il suo
respiro tranquillo, proprio come quando lo avevo lasciato. Non riuscii a
frenare la curiosità e mi avvicinai. Per guardarlo meglio. Al parco e durante
la crisi di poco prima non avevo avuto molto tempo per
farlo.
Aveva un’espressione
dolcissima sul viso, come un bambino piccolo che dorme
con la madre al suo fianco.
Mi sdraiai di nuovo e
mi coprii, tentando di prendere sonno. Non ci riuscii immediatamente ed uno
strano desiderio si impossessò di me. Mi voltai di
scatto. Lui era lì. Sentii di nuovo una sensazione strana. Questa volta però
non proveniva da lui, ma da me. Arrossii, mi diedi della stupida e mi rigirai,
imponendomi di fissare la porta.
Accanto alla stipite stava Tom, in piedi,
di nuovo con solo il paio di boxer addosso. Mi guardò e sorrise. Salutò con la
mano. Svanì.
Per Selina89: Hallo!!! In realtà…Bill non scappa,
semplicemente corre da lei. Scusa se non ho specificato, ma a me piace lasciare
le cose un po’ in sospeso. Ho tralasciato anche il pezzo in mezzo perché mi
sembrava che la storia sarebbe diventata troppo pesante. Nella mia mente, Bill corre da lei, poi accende il cellulare (che ha tenuto
spento perché aveva paura di non trovare nessuna chiamata di Tom) trova la chiamata di Tom
(gioia immensa!) e poi agisce, ovvero si fa venire a prendere da Georg e la porta via con se, perché non se la sente di
lasciarla lì. (Anche perché, la zona vicino alla statua di Otto
non è molto raccomandabile!) Spero di esserti stata utile! E
sono felice che la storia piaccia! Io comunque faccio
del mio meglio! Per qualsiasi domanda. Sono qui!
Hallo!!!
Scusate la lunga attesa! Ci tenevo soltanto a dire che per il momento non sono
a casa, e non sarò a casa per un bel po’, quindi non potrò aggiornare molto
presto e spesso, ma comunque farò del mio meglio! Promesso!!!
A presto!!! Ah!!! VielDanke!!!
Hilf Mir fliegen…. Vier
Ich willnicht, daß
du nureinandererTraumbist…
“Bill! Bruder!!!”
Sentii la voce di Tom sopra di me. Aprii gli occhi. Mio
fratello sorrideva, una mano sulla mia spalla nuda.
“Finalmente! Sono ore che ti
chiamo!!!” continuò con voce allegra. Lo sguardo ed il
sorriso che aveva sempre quando mentiva.
Io risi. Tom non
sarebbe mai cambiato. Sentii una gioia immensa pervadermi a questa
consapevolezza.
“Non mentire!” esclamai
“Hai quello sguardo!!!”
“Non capisco a quale
sguardo ti riferisci…” iniziò, fingendosi stupito, poi mio fratello rise. Anche
il mio viso si piegò in un sorriso.
Mi stiracchiai
lentamente, spostai la coperta e mi alzai. Mi resi improvvisamente conto che mi
trovavo in salotto e non nella mia stanza.
Un secondo dopo
ricordai tutto il resto. Il litigio. La mia fuga alla statua di Bismarck. La strana ragazza. L’incubo. Il sorriso di lei. La luce.
Gettai un’occhiata
all’altro divano. Era vuoto. Nessun segno che qualcuno ci avesse dormito.
Sgranai gli occhi, iniziando a chiedermi se il ritmo di vita che sostenevo da
quando eravamo diventati famosi non mi avesse fatto impazzire. Del tutto.
Fissai il divano con un espressione talmente interdetta che Tom mi guardò
preoccupato.
“C’è qualcosa che non
va, Bill?” domandò.
Non sapevo cosa dire. E
se in realtà mi ero soltanto addormentato sul divano, stanco dopo l’ultimo
concerto, e avevo sognato tutto?!? Il litigio e il
resto? Questo almeno avrebbe spiegato il normale atteggiamento di Tom. Mi
fissai la mano. Mi sembrava di sentire ancora il tocco della pelle di lei
contro la mia. Il suo sorriso, mentre mi assicurava che sarebbe andato tutto
bene…
Avevo sognato? Non era
reale?
Improvvisamente mi
ricordai che io e Georg avevamo lasciato le sue cose in giro. La borsa per
terra, le scarpe all’ingresso, il suo cappotto, gettato non so dove. Se era
reale, doveva esserci qualcosa!
Scattai come una molla,
in direzione dell’ingresso. Passando gettai un occhiata
vicino al divano. Keine Tasche…Scheiße… pensai.
Non era un buon segno.
Lasciai Tom alle mie spalle. Mi guardava sconvolto, probabilmente si stava
chiedendo se non ero diventato completamente matto. Al momento la cosa non mi
sembrava rilevante. Era indispensabile che capissi, prima di preoccuparmi degli
altri. Sfrecciai davanti a Georg che usciva dal bagno, una maglia nera su un
paio di boxer con dei cagnolini. Totalmente preso dai miei pensieri non mi
fermai nemmeno per prenderlo in giro. Lui se ne accorse, si stupì e mi afferrò
al volo per il braccio, trattenendomi.
“Ehy! Cos’è tutta questa fretta, stamattina? Di solito, prima di aver bevuto tre caffè non sai nemmeno chi sei…”
chiese.
Gli gettai un occhiataccia. Dovevo sapere, se ero pazzo o meno, e lui
mi stava solo facendo perdere tempo!
“Schwanz,
laß michgehen,!” risposi. Lasciami! Ripetei anche nella mente.
Georg mi lasciò
immediatamente. Sconvolto. Ricominciai a correre, verso l’ingresso. Prima di
girare l’angolo, sentii ancora la sua voce. Parlava con Tom.
“Tom, ichweiß, daßesunmöglichscheint, aber Bill sagtegerade ‘Schwanz’!”
Mi venne da ridere
all’idea che il mio amico fosse così sconvolto solo per avermi sentito dire una
parolaccia.
Giunsi all’ingresso.
Frenai. Iniziai a guardarmi intorno. Nulla. Aprì gli armadietti. Niente.
“Schwanz…schwanz…SCHWANZ!” ripetei, come se fosse una litania.
Gustav uscì dalla
cucina, un toast imburrato in mano.
“Sbaglio o hai detto
qualcosa, Bill?” domandò con calma.
Lo guardai esasperato,
non sapendo cosa dire. Avrei dovuto rivelare ai miei amici che ero impazzito
completamente, dunque?!?
“Vuoi un toast?” chiese
ancora Gustav, vedendo che non rispondevo.
Risi. Accidenti…pensai.
Un sogno. Solo un sogno. Accidenti!!!!
Poi
una voce femminile alle sue spalle disse “Gus! WoistMarmelade?”
Sgranai gli occhi,
riconoscendo la sua voce. Investii Gustav in pieno, fissando davanti a me, come
se stessi avendo una visione.
Lei si voltò. Stava
sulla punta dei piedi. Le mani in un armadietto, alla ricerca della marmellata.
Sorrisi. Era reale. Era lì, davanti a me. Se avessi allungato la mano avrei
potuto facilmente sfiorare la sua, come la notte passata..
Lei mi fissò, poi arrossì, sorrise imbarazzata e disse “GutenTag, Bill…” immediatamente si voltò, si sistemò una
ciocca di capelli dietro ad un orecchio, gli occhi fissi sull’armadietto.
Non capii. Avevo forse
fatto qualcosa di male che non ricordavo? La fissai preoccupato, attanagliato dai
dubbi.
Gustav mi scansò,
mordendo il toast. Si avvicinò a lei, aprì un altro armadietto e le porse la
marmellata. Poi si voltò verso di me.
“Sei sicuro che non vuoi un toast?” domandò ancora prima di aggiungere “Ha, solltestjedenfallsanziehen... Dukönntestdicherkranken!”
Sgranai gli occhi e
capii. Ero talmente preoccupato di scoprire se lei esistesse davvero da
dimenticare che non portavo altro che i boxer! Arrossii violentemente e corsi
fuori dalla cucina verso la mia stanza. “Entschuldigemich!” urlai, scusandomi.
Mentre correvo,
oltrepassai Georg e Tom che si avvicinavano alla cucina.
“Ma Bill ha intenzione
di fare il maratoneta se ci va male con la musica?” domandò Georg ridendo.
“Nein…”
rispose Tom. Dalla sua voce capii che stava sorridendo compiaciuto “Esweiß, daß einigeDingenichtweglaufenkönnen...”
Entrai nella mia stanza
e afferrai i primi vestiti puliti che trovai, infilandoli. Nella testa le
parole di mio fratello “Lui sa che da alcune cose non possiamo scappare…”
Per Loryherm:
Hallo! Grazie per i tuoi complimenti, sei stata molto
gentile però per me tutto ciò è strano. Quando scrivo, sinceramente non penso,
agisco. Per questo vengono trasmesse sul foglio solo determinate cose. So che
probabilmente sembrerà bizzarro, ma per me è così. Sinceramente, nemmeno io so
cosa succederà nel prossimo capitolo..
Per qualsiasi domanda
comunque sono qui! Spero di non averti offesa^^! Und VielDanke!
Due minuti. Lo vidi
tornare. Era ancora rosso in viso. Ma anche io, molto probabilmente, non ero da
meno. Varcò la porta per la seconda volta, si fermò, spiazzato ad osservarci,
poi sorrise.
Tom, seduto alla mia
sinistra parlava animatamente. Georg, di fronte a me, ascoltava con vivo
interesse quello che diceva il suo amico. Gustav, appoggiato alle nostre spalle
contro l’armadietto della cucina, era perso nei suoi pensieri. Io invece, mangiavo
pane e marmellata, lottando contro quella famosa legge secondo la quale,
chiamalo caso o sfiga, non appena cerchi di sembrare calmo e rilassato, non
riesci a tenere nulla in mano. Il mio tentativo di limitare il danno,
afferrando il pane al volo, ovviamente non fece che peggiorare la situazione.
Splash!
Georg e Tom risero. Io arrossii ancora di più. Gettai un occhiata a Bill, ancora sulla porta. I nostri occhi si
incontrarono. Pochi secondi. Entrambi scoppiammo a ridere. Gustav girò il viso
verso di noi, un lieve sorriso sulle labbra, ma non disse nulla.
Gli occhi pieni di
lacrime per il troppo ridere, osservai Bill tenersi lo stomaco. Sembrava un
altro. Come se il ragazzo del giorno prima fosse a miglia di distanza. Solo un
brutto ricordo.
Impiegammo cinque
minuti per calmarci. Alla fine Bill si avvicinò a Gustav e si versò il caffè in
una grossa tazza. Si voltò verso di noi e si sedette al tavolo.
“Dove pensi di andare
oggi?” chiese all’improvviso Tom a Georg, mentre guardava intensamente Bill.
“Io? Ho
promesso di vedere degli amici…” rispose l’altro, ridendo senza alcun motivo
apparente.
Sul volto di Tom
apparve un sorriso accattivante. Continuava a fissare suo fratello. “E’ davvero
un peccato…perché io ho un appuntamento e Gustav deve assolutamente tornare a
casa…Bill, tu sei libero giusto?”
Bill abbassò la tazza
di caffè. “Si, perché?” rispose ingenuamente, gli
occhi sgranati.
“Perfekt!” concluse
Tom, strizzando l’occhio a Georg. “Allora noi possiamo andare…”
Si alzò e, dopo aver
lasciato le tazze nel lavandino, si avvicinò alla porta.
“Aber…Tom!” lo chiamò
Bill, attirando la sua attenzione “ich verstand nicht!”
Tom si girò. Scrutò
Bill a lungo, poi spostò il suo sguardo su di me. Intuì che suo fratello non
era l’unico che non avesse capito.
“Die Dank dann!” disse
soltanto. I ringraziamenti poi… Un sorriso malizioso comparve sulle sue labbra.
Uscì.
Io e Bill ci scambiammo
un occhiata, sempre più perplessi. Poi, all’unisono,
ci voltammo verso Georg che si era appena alzato. Lui se ne accorse, rise e
rispose, anticipando la domanda “Ich weiß nichts!” e si affrettò a scaricare le
stoviglie nel lavandino e a fuggire mentre io e Bill urlavamo
contemporaneamente “Georg!!!”
Di nuovo tornammo a
guardarci in volto, più confusi di prima. Un attimo dopo, cercai con lo sguardo
Gustav, vedendo in lui l’ultima possibilità di comprensione. Si stava allacciando
un grembiule intorno alla vita, una scritta sul davanti. “Die Hausfrau küßt”. Non
si accorse nemmeno che lo stavo osservando mentre, spugna in mano, fregava la
tazza dove Tom aveva bevuto il caffè. Capii che era inutile chiedere…
Ist ein
Abschied?
Solo. Uscii dalla mia
stanza. La casa era completamente immersa nel silenzio. Anche Gustav, finito in
cucina, deve essersene andato, pensai. Passando, notai qualcosa alla mia
sinistra, mi voltai ad osservare meglio.
Lei. Seduta in terra su
una coperta, la schiena appoggiata contro il muretto del balcone. Fumava. La
musica nelle orecchie. Il viso sollevato verso l’azzurro cielo d’Amburgo. Gli
occhi chiusi.
Sentii qualcosa
all’altezza dello sterno, e poi più sotto, alla bocca dello stomaco. Un
qualcosa che non aveva spiegazione razionale, ma era reale.
Inspirai e, rosso in
volto, i battiti accelerati, mi avvicinai alla portafinestra. La aprii, lei non si mosse. Per un momento, finché non portò la
sigaretta alle labbra, gli occhi perennemente serrati, temetti che fosse caduta
di nuovo nel “torpore” del giorno precedente. Se ieri non fosse accaduto nulla,
probabilmente non avrei nemmeno badato alla sua esistenza… mi dissi. Anch’io
sollevai il volto verso il cielo e, senza sapere perché, provai il desiderio di
ringraziare, un qualcuno della cui esistenza sono profondamente scettico.
Mi piegai davanti a
lei, appoggiando la mano sul suo ginocchio. Immediatamente spalancò gli occhi,
mi vide, sorrise.
“Ha! Hallo, Bill! Ich hörte dir nicht ankommen...”
Risposi al suo sorriso.
“Tranquilla. Anche ame è successo di non sentirti ieri,
alla statua di Bismarck…” iniziai.
La vidi arrossire ma
non ne capii il motivo. Poi cambiò argomento. “Sei qui per riportarmi alla
statua…” chiese, gli occhi scuri fissi nei miei “…o c’è un altro motivo?”
La guardai sbigottito,
poi mi diedi dell’idiota. Com’era possibile che non mi fosse nemmeno passato
per la mente che lei dovesse andarsene?!? Che potesse
esserci un luogo dove dovesse tornare? Magari anche un qualcuno… Sentii il mio
cuore rallentare.
Lei
sgranò gli occhi preoccupata “Stai male? Improvvisamente sei
diventato pallidissimo!”
“Nein…” risposi,
cercando di suonare convincente “Es geht mir gut…” la rassicurai. Poi mi alzai
e, mentre cercavo di calmare l’ansia che ora mai aveva preso il controllo di me,
le porsi la mano sinistra.
“Gehen wir?”
Lei l’afferrò,
sorridendo.
Per la “gentile”
signorina che ha commentato il capitolo precedente: Non mi pare di aver
obbligato nessuno a leggere la mia storia. Se piace alle persone mi fa piacere.
Se a te però non piace…smetti di leggerla. Io andrò avanti comunque.
Hallo!!!
Scusate il ritardo! In questi giorni ho dovuto studiare per gli esami..e
ovviamente continuavo a pensare alla Fanfiction!
Povera la mia media!!! Comunque sia, grazie a tutte
per essere state così gentili^^!
HilfMirfliegen…. Sechs
Stille…
Seduto al volante di
una piccola bmw nera, Bill
era perfettamente a suo agio. Si muoveva nel traffico, veloce e preciso nelle
manovre. Le lunghe dita appoggiate sul volante. Le stesse che
pochi minuti prima avevano stretto le mie. Per un attimo.
Silenzio. Dopo avermi
detto “Andiamo?” non aveva più aperto bocca. Mi aveva osservato
mentre raccoglievo le mie cose. Si era perfino arrampicato sopra ad una
sedia per recuperare le scarpe che, non si sa bene come, erano
finite sopra l’armadio dell’ingresso.
Approfittai di un
attimo di concentrazione nella guida per osservare il suo volto.
Una maschera. Immobile.
Non capii. Non sembrava arrabbiato solo… No, non poteva
essere.
Avrei voluto sapere, ma
non trovavo il coraggio di interrompere il filo dei
suoi pensieri. Perciò rimasi a contemplare la strada e
il panorama in un silenzio innaturale.
Die Welt insWort “Abschied”…
Parcheggiai. Poi spensi
il motore. Le mani ancora sul volante. Il volto rivolto
verso la strada. Non riuscivo a spostare lo sguardo. Sapevo che mi stavo
comportando da perfetto idiota ma non riuscivo a
guardarla. Tutto ciò era stupido. L’avevo incontrata solo il
giorno prima. Non sapevo praticamente nulla di
lei. Ma, nonostante questo, una parte di me, non poteva accettare che se ne andasse. Che un’altra persona mi
lasciasse.
Anche lei non si muoveva.
Sentivo il suo sguardo su di me.
Iniziai ad irritarmi. La
paura della solitudine stava convergendo in qualcosa di
diverso… Improvvisamente mi ritrovai combattuto fra due forze
contrastanti. Una parte di me voleva che non se ne andasse.
L’altra che, se proprio doveva farlo, almeno si sbrigasse ad
allontanarsi. Avrei voluto restare solo.
Riflettere.
Mi resi conto che era
già un quarto d’ora che stavamo seduti immobili così. Se vuoi andartene, perché non lo fai allora? mi chiesi.
Forse non vuole… rispose la speranza dentro di me. Il mio cuore
ricominciò a battere. Mi
voltai.
DasHerzistflinkeralsdasGehirn...
“WillstzumFlußmitmirkommen?”
Bill improvvisamente si era
voltato verso di me e aveva parlato. Vuoi venire al fiume con me? Quella
domanda inattesa mi spiazzò e, senza nemmeno accorgermi di aver parlato, sentii
la mia voce rispondere “Ja!”, i miei
occhi illuminarsi e il sorriso nascere sulle mie labbra.
DeineHand…
Una giornata stupenda.
Non esistono parole più appropriate di queste.
Mi mimetizzai, prima di
scendere dall’auto. Una vecchia cuffia di Tom,
trovata da lei nel cruscotto, fu davvero provvidenziale. Mi aiutò ad infilare
sotto i miei lunghi capelli. Mentre lo faceva,
entrambi ridevamo. Sembravamo due bambini. Come se non ci
fosse alcuna preoccupazione al mondo. Infilai gli occhiali da sole scuri,
sistemai la sciarpa nera per coprire il tatuaggio, poi scendemmo.
Alcune persone iniziarono
a guardarmi. Per un attimo ebbi paura che qualcuno potesse riconoscermi e
rovinare tutto. Lei lo notò, allora si voltò verso l’hotel e, ridendo, lo
salutò con la mano, parlando in una lingua che non comprendevo.
“Arrivederci Signor
Hotel! Ci vediamo il più tardi possibile”
Gli sguardi si
spostarono immediatamente su di lei. Sentii qualcuno alle mie spalle dire “Fremd...” Sorrisi. Pensavano
fossimo stranieri. Intuizione geniale.
Camminammo per un po’, fianco a fianco, seguendo il corso del fiume. Sembrava
affascinata da ogni piccola cosa. Mi ricordò la prima volta che avevo messo
piede in questa città.
Lei si affrettò, per
avvicinarsi al parapetto. Io, subito dietro di lei. Improvvisamente la vidi
inciampare. Fu una questione di un secondo. Afferrai la sua mano. Quando se ne rese conto anche lei sorrise. Ripensai alla
notte precedente. Era la stessa sensazione ma, al
contrario di allora, pensai che non avrei permesso tanto facilmente a quello
mano, che sembrava così piccola, di lasciare la mia.
DieSchönheitderFreundschaft…
Sprofondai nel comodo
divano. Esausta. Bill mi raggiunse in salotto un
minuto dopo, tra le braccia le coperte che avevamo
usato la notte precedente.
“Aberdu hast keinBett?” chiesi.
Lui mi seppellì sotto alle coperte, prima di rispondere con voce divertita “Solo
perché non mi piace l’idea di saperti da sola in salotto, non vuol dire che io
non abbia un letto!”
“Se
non si fida, perché non glielo mostri?” domandò Tom, un
sorriso soddisfatto sulle labbra, mentre entrava in salotto seguito da Georg.
Io arrossii. Bill, un po’ imbarazzato dal commento del fratello, si sbrigò a cambiare argomento “Sembri davvero soddisfatto questa
sera…” iniziò.
Tom strizzòl’occhio a Georg “IcherweitertemeinenRekord...” risposeallusivo.Georg rise. Bill alzò un attimo lo
sguardo al cielo. Io gettai una veloce occhiata a tutti ma
non ebbi il coraggio di chiedere quale record avesse ampliato Tom…
“Bel bracciale!”
esclamò un secondo dopo Georg. “E’ nuovo?” domandò.
“Ja!”
rispondemmo contemporaneamente io e Bill. Georg, esterrefatto, ci osservò bene e, improvvisamente
esclamò “Avete lo stesso bracciale!” Poi si alzò, afferrò il polso di Bill, e lo tirò verso di lui, per guardare meglio.
“E
pensare che credevo ti chiamassi Bill…” disse,
vedendo che sul bracciale c’era un nome femminile. “Adesso intuisco molte cose…”
continuò allusivo.
Billfece
un movimento secco con il braccio, liberandosi “Proprio tu parli che giri per
casa con dei boxer assurdi!” lo ribeccò ridendo.
Georg non fece attendere a
lungo l’amico, rispondendo subito alla provocazione “Non è
che tu sia da meno…Proprio stamattina hai dato spettacolo di te,
mostrandoti in boxer davanti ad una ragazza!”
Il ragazzo divenne
bordò, non sapendo più come risponde. Il silenzio
cadde sulla stanza per un paio di secondi finché una voce sicura non intervenne
“ZumEnde, daseinzige daß escoolmitnurdenBoxernist, binich!” Tutti ci voltammo verso Tom, il solo che poteva affermare di essere il detentore
del primato del più figo, persino quando indossava
solo dei boxer!
“Immerbescheiden!” rispose suo fratello. Sul “Sempre
modesto!” di Bill scoppiamo a ridere, Tom compreso, mentre Gustav che era appena tornato, si fermò sulla porta del salotto. Il
lieve sorriso di nuovo sulle labbra.
Per Tokietta
94: Sei stata molto gentile! Cercherò di fare sempre del mio meglio! Spero che
il capitolo ti sia piaciuto^^! Cmq… Vieldanke!
Per Selina89:VielDanke
anche a te! Io sono del partito Toccatemi tutto ma non
le mie fanfiction! Cioè, io
capisco le critiche costruttive… certe cose però no… A presto^^!
Per Picchia: Ahaha! Sai…Tom vuole molto bene a
Bill. So che suona strano che abbia rinunciato ad una
ragazza così ma ha visto che il fratello era
abbastanza preso…cmq sia, Tom
è sempre Tom!!! Scusami se non sono chiara nelle
parti in tedesco ma non saprei davvero come rendere meglio di così. Di solito comunque le scrivo subito dopo le traduzioni. Scusami
ancora! E grazie!
Hallo!!! Questo è il nuovo capitolo! D’ora in poi penso di aggiornare
abbastanza in fretta, anche uno al giorno o al massimo ogni due giorni. Dipende
dalla disponibilità di quelle meravigliose persone che mi stanno accanto… Spero
che apprezziate! Comunque l’ultimo capitolo sarà il decimo! A presto! Vieldanke!!!
HilfMirFliegen…. Sieben
DerAustauschvonGlück…
Notte di nuovo. Non
volevo chiudere gli occhi. Non per paura di fare “l’incubo” ma per protrarre la
giornata più a lungo possibile. Lei invece dormiva. Sul divano di fianco. Se
allungavo il braccio destro potevo sfiorare la sua mano. Mi voltai sul fianco.
La guardai. Il sorriso sulle labbra sottili. Mi allungai, toccandole
delicatamente il polso dove, sul bracciale nuovo, spiccava il mio nome.
Li avevo comprati ad una
bancarella mentre lei prendeva le sigarette. La vecchia signora che li
personalizzava, aveva detto che portavano fortuna. Lo sperai. Me li aveva
consegnati dopo un minuto. Quando era tornata, dopo essersi scusata per
l’attesa, aveva allungato la mano verso la mia, come se fosse la cosa più
normale del mondo. Come se lo avessimo sempre fatto.
Avevo afferrato la sua
mano e con dolcezza l’avevo tirata verso di me. Poi le avevo mostrato il
bracciale.
“MeinName und deines” le avevo
spiegato, mostrandoglieli entrambi. Li osservò da vicino, sorridendo.
“Hanno una strana
chiusura, vedi?” iniziò “C’è un piccolo lucchettino con una chiave…”
Avvicinai il viso al
suo per guardare. Non lo avevo notato prima. “Quindi…” cominciai.
“Beh…” rispose “tu lo
metti a me, ed io a te…” concluse, sfiorando con i polpastrelli le lettere in
rilievo che componevano il mio nome.
Mi porse il braccio
destro. Aprii il braccialetto e lo chiusi a chiave, tenendo la parte col nome
rivolta verso il basso. Lo voltò per guardarlo. Rise. “Bill”
disse.
“Ja?”
risposi.
Lei rise ancora. “Stavo
leggendo il nome sul bracciale…” stese di nuovo il braccio di modo che anch’io
vedessi.
Arrossii. Così sembrava
che… Lei sorrise, non sembrava che la cosa la turbasse o le dispiacesse.
“Ti metto l’altro…”
domandò “oppure ti vergogni ad andare in giro col mio nome su un bracciale?”
Stesi con talmente
tanta rapidità il braccio, affinché potesse mettermelo, che entrambi ne fummo
sorpresi. Lei rise ancora.
Me lo mise e poi mi
allungò la chiave. “Tienila tu. Almeno quando vorrai potrai toglierlo…” mi
spiegò, ma non mi chiese la sua.
Alzò ancora il braccio,
per vedere i riflessi del sole brillare sulle lettere del mio nome. Fece
qualche passo avanti, in direzione dei mercatini. Osservava i dolci, dondolando
la testa dolcemente.
Mi avvicinai al parapetto
del lungofiume. Quando vorrai potrai toglierlo… le sue parole nella mia mente.
Allungai la mano oltre il parapetto.
Lei si voltò verso di
me, chiamandomi “Bill! Komme!”
“Ja!”
Avevo aperto la mano lentamente. Un leggero suono mentre la tiravo indietro.
Splash.
Willeistnichtgenügend. Ichmußwirken.
Mi svegliai in piena
notte. Fissai il soffitto un paio di secondi, giusto il tempo di ricordarmi
dove e con chi fossi. Non sentii il respiro tranquillo di Bill,
perciò mi voltai.
“Dubistaufgeweckt...” Sei
sveglia… affermò con voce dolce.
“Und du?” iniziai “Schläfstdunicht?”
“Nein…”
rispose “Non ci riesco proprio a dormire…”
Mi tirai su a sedere,
voltandomi nella sua direzione per guardarlo. Non sembrava nervoso perché non
riusciva a dormire. Al contrario, appariva tranquillo e rilassato.
“Non riesci o non
vuoi?” chiesi improvvisamente, colta dal dubbio.
Lui rise piano, ma non
rispose.
“C’è qualcosa che non
va?” domandai ancora.
Rimase di nuovo in
silenzio. Poi si alzò lentamente, spostando la coperta. Ebbi una nuova visione
del suo corpo seminudo e dei suoi boxer, ma il buio nascose il rossore delle
mie guance.
“Pensavo al discorso di
Tom…” iniziò, dopo essersi inginocchiato per avere il
volto all’altezza del mio.
“Cioè?”
Lui tacque. Si portò la
mano all’altezza della fronte per grattarsi, imbarazzato. Aspettai
pazientemente che trovasse le parole adatte. Gli occhi fissi nei suoi.
“Beh…ecco…mi chiedevo…”
si fermò. Doveva essere davvero una cosa imbarazzante se lui non riusciva a
dirla.
Un altro minuto di attesa
in silenzio. Poi provò di nuovo “Ecco…io…”
“Bill!”
chiamò Tom, avvicinandosi al vano della porta.
Entrambi ci voltammo. Il ragazzo, con dei boxer extra large,
aveva una tazza in mano. “Vieni qua un secondo. Devo parlarti.”
Bill si alzò lentamente e
si avvicinò al fratello. Tom gli fece cenno di venire
più vicino, gli sussurrò piano in un orecchio.
“Non ci provare
neanche!” rispose serio Bill.
“Beh, io ti ho
avvertito…” concluse l’altro, sorridendo, come chi sa di aver già vinto. “Gutenacht…” salutò poi
allontanandosi.
Bill rimase sulla porta
finché non lo vide rientrare nella sua stanza, poi si voltò verso di me. Era
ancora imbarazzato, ma sembrava più deciso di prima. Tornò ad inginocchiarsi
vicino al divano. I suoi occhi scrutavano i miei.
“Cosa stavo dicendo?” chiese,
la voce seria.
“Che pensavi al
discorso di Tom…” risposi subito.
Lui annuì. “Mio
fratello ha ragione… Willeistnichtgenügend. Ichmußwirken.”
Allungò una mano, che
posò fra i miei capelli, sfiorandomi piano il collo. Rabbrividii. Lui sorrise.
Si avvicinò piano. Sentivo il suo respiro contro il mio viso. Poi le sue
labbra, dolcemente sopra le mie…
Mi aveva baciato, con
dolcezza ed io ero crollata. Le lacrime avevano solcato il mio volto, come non
accadeva da anni. Ora era accaduto.
Lui non aveva capito.
Aveva pensato il contrario di ciò che era. Lo avevo letto nel suo sguardo,
spaventato, timoroso di essere andato troppo oltre, troppo presto.
“Entschuldige mich...
ich wollte nicht... nicht weinen, bitte…” aveva mormorato. Un sussurro. Parole
di scusa e la supplica di non piangere. Sentii un’enorme dolcezza invadermi. Le
lacrime aumentarono, proprio per le sue parole. Non poteva essere vero. Il mio
cuore batteva, come non faceva più da anni. Per lui. Bill.
Avevo aperto le
braccia. Lui si era mosso rapidissimo. Non avevo nemmeno avuto il tempo di
vedere l’espressione del suo volto. Sentivo il suo corpo, magro, contro il mio.
Era fragile e forte allo stesso tempo. Le lacrime smisero di cadere, mentre
percepivo l’affetto improvviso che ci univa.
“Ich freue mich...”
Sono felice…
A quelle parole mi
aveva stretta di più. Poi si era alzato piano, mi aveva preso la mano, poi il
viso, baciandomi con dolcezza ogni centimetro di pelle che era stato bagnato
dalle lacrime. Aveva sorriso, io con lui.
Un secondo. Poi di nuovo
le sue labbra. Sopra le mie. Persi la concezione di tutto il mondo. Avrebbe
potuto sprofondare in un istante. Sparire tutto. Non avrei opposto resistenza.
Non avrei potuto. C’eravamo solo noi. Le sue labbra che sfioravano le mie.
Mi parve un’eternità. Quando
si staccò mi ci volle un secondo per ricordarmi chi fossi.
Lui sorrideva. Mi
riprese la mano. Uscimmo dal salotto.
In camera sua. Ci
sdraiammo, lui mi strinse contro il suo petto. Potevo percepire il suo cuore
battere velocemente. la sua mano destra dietro la testa, come per assicurarsi
che non lo lasciassi.
“Gute Nacht…” aveva
mormorato.
Cullata
dai battiti mi ero addormentata.
Jeder Kuß ist eine große Eroberung…
“AH!”
Lei urlò. Preoccupato,
appoggiai velocemente la tazza sul tavolo e mi alzai. Corsi verso il bagno,
evitando per un pelo Tom e Georg che uscivano dalle loro stanze.
“La maratona mattutina
continua…” commentò Georg mentre mi allontanavo.
Gli gettai un’occhiataccia
ma non risposi. Raggiunsi la porta del bagno e, senza nemmeno pensare, la spalancai.
In piedi, in mezzo alla
stanza, stava lei. Addosso una maglia extra large, prestata da Tom. Si voltò
subito a guardarmi. Gli occhi enormi. Il braccio teso indicava l’altro lato del
bagno.
“Ha! Eine Spinne!” urlò
ancora.
Il mio sguardo seguì la
direzione indicata dalla sua mano. Una piccola bestiolina nera dotata di otto
zampe camminava tranquilla vicino al lavandino. Deglutii.
“Ha! Eine Spinne!”
urlai anch’io, non riuscendo a controllarmi.
Un secondo dopo sentii
qualcosa sulla spalla e feci un salto. Georg, dietro di me, rise. Entrò nel
bagno, avvicinandosi al lavandino. “Ha...eine Spinne…” disse tranquillamente
mentre afferrava piano il ragno con una mano e lo buttava fuori dalla finestra.
“Che cos’è successo? Vi
abbiamo sentiti urlare..”
Ci voltammo tutti verso
il corridoio. Tom, seguito da Gustav, un secondo dopo raggiunse il vano della
porta.
“Niente.” Spiegai “Solo
un ragno…”
“Gut…” rispose Tom
guardando oltre la mia testa. Si appoggiò allo stipite, sorrise. “Sehr gut…”
Lo fissai in volto, non
capendo perché avesse risposto Bene…molto bene…
Spostò un secondo lo
sguardo su di me, poi gettò un’altra occhiata più in là. Continuò “Chi avrebbe
mai pensato che una maglia extra large potesse essere così sexy…”
Immediatamente capii a
cosa si riferisse e arrossii “Non ci pensare neanche…” risposi serio.
Lui sorrise, il volto
soddisfatto. Sentii l’irritazione crescere mentre lo spingevo fuori dal bagno.
“Neanche per sogno!” ripetei.
Tom rise. “Georg invece
può?” domandò con voce divertita.
Mi voltai, accorgendomi
solo in quel momento che il mio amico era ancora nella stanza. Indicai il
corridoio con la mano. Georg, rosso in viso, abbassò il capo. Uscì. Gustav, da
fuori, si allungò per afferrare la maniglia. La porta si chiuse.
La guardai. Un minuto,
forse due. Deglutii, rosso in viso. Da quando gli altri erano usciti, il
silenzio era caduto sulla stanza. Sembrava che nessuno dei due sapesse cosa
dire. Soprattutto dopo la notte precedente.
Osservai il suo volto,
i capelli bagnati, tirati indietro, gocciolavano sul pavimento. Non so come, mi
ritrovai vicino a lei. Senza che me ne rendessi conto, il mio viso era ad un
centimetro dal suo. Lei mi guardava negli occhi, immobile. Sentivo le braccia
fremere, come dotate di vita propria. Anche loro, come me, volevano stringerla.
Ridussi ancora la distanza delle nostre labbra, per baciarla…
“Bill…”
Sbuffai, allontanandomi
un po’. “Che c’è?” rispose scocciato.
“Solo una cosa…”
continuò Georg “Non potreste allontanarvi un po’ dalla porta? A quella
distanza, dal buco non vedo nulla!”
Sgranai gli occhi,
indignato. Mi avventai sulla maniglia e con rabbia, spalancai la porta. Nel
corridoio non c’era nessuno. Solo un cellulare per terra. Tom e Georg risero.
Discesi le scale.
Lentamente. La maglia extra large di Tom mi arriva fin sotto alle ginocchia,
impacciandomi nei movimenti.
Mentre stavo seduta sul
divano ad aspettare che Bill finisse di prepararsi, improvvisamente avevo
sentito il suono di una chitarra. Incuriosita, mi ero alzata e mi ero messa a
vagabondare per la casa, per cercare di capire da dove provenisse. Avevo
spalancato una porta e avevo scoperto delle scale. Il suono era aumentato.
Giunsi ai piedi delle
scale. Alla mia sinistra una porta, socchiusa. La aprii lentamente.
Tom stava seduto su uno
sgabello. Suonava. Una canzone molto dolce. Alzò lo sguardo, sorrise,
continuando a suonare. Mi avvicinai, sedendomi su uno sgabello accanto al suo.
“Wenn du dich auf jenem
Hocker setzst, mußt singen.” Disse.
Sgranai gli occhi, all’idea
che per poter star seduta su quello sgabello avrei dovuto cantare. Mi alzai
immediatamente. Tom rise.
Finì di suonare il
brano, io in piedi accanto a lui. Abbassò il braccio, appoggiando la chitarra a
terra.
“Come si intitola
quella canzone?” chiesi curiosa.
“Hilf Mir fliegen…”
rispose una voce dietro di me.
Mi voltai. Una signora
di circa quarant’anni dai corti capelli biondi entrò nella stanza. Si avvicinò
a Tom, le braccia incrociate sul petto.
“Tom…” iniziò “…quante
volte ti ho detto che non devi portare le ragazze a casa? Per quello ti abbiamo
comprato la jeep…”
Non capii a che cosa si
riferisse. Guardai Tom. La sua espressione si era fatta improvvisamente dura.
“Sie ist kein Jeep Mädchen...” Lei non è una ragazza da jeep… rispose.
Silenzio. La donna
spostò il suo sguardo su di me, scrutandomi. Come se in me ci fosse qualcosa
che non riusciva ad inquadrare. Arrossii, imbarazzata.
“Non è stato Tom…”
disse la voce di Bill dietro di me “Sono stato io.”
Era entrato
silenziosamente nella stanza. Il volto di Tom si distese. In pochi secondi Bill
era al mio fianco, circondandomi la vita con un braccio. Gli occhi seri fissi
in quelli di lei.
La donna sembrava
esterrefatta. “Wirklich?” domandò.
Non capii perché fosse
così stupita ma comunque mi sentii di nuovo perfettamente a mio agio. Bill era
lì. Questo bastava.
“Ja.” Rispose soltanto,
risoluto.
“E’ la prima volta…”
continuò lei.
Tom rise, attirando
l’attenzione di tutti su di sé. “Es
gibt immer eine erstes Mal im Leben” disse.
Bill sorrise. “E’ vero,
fratello. C’è sempre una prima volta nella vita!” sentii la sua presa farsi più
forte.
Lei chiuse gli occhi. Un
secondo, poi espirò. “Siete pronti per andare comunque?” chiese, cambiando
argomento.
Bill annuì. Tom si
alzò, riponendo la chitarra. La donna fece strada. Noi la seguimmo fino
all’ingresso, dove si trovavano Gustav e Georg. Entrambi indossavano la giacca.
La donna aprì la porta e la tenne aperta. Un chiaro invito ad uscire. Gustav,
Tom e Georg oltrepassarono la soglia e salirono su un furgone nero dai vetri
oscurati. Bill, giacca di pelle bianca addosso, si voltò verso di me. Un mazzo
di chiavi penzolava dalla sua mano.
“Die Schlüssel…” disse
mentre aprivo la mano, lasciandole cadere.
La donna dietro di lui
alzò gli occhi al cielo. “Faremo tardi, Bill…” iniziò.
“Ja, ja…” rispose lui,
con tono noncurante. Allungò la mano, lasciando scorrere le dita fra i miei
capelli. Poi improvvisamente si piegò, baciandomi con dolcezza sulla bocca.
Solo un attimo. Si staccò e sorrise. “A stasera…” concluse e uscì.
La donna si affrettò
dietro di lui ma non mancò di lanciarmi un’occhiata torva mentre richiudeva la
porta dietro di sé.
Mein Herz ist neben deines…
Mezzanotte. Rientrammo
in casa. Le luci erano tutte spente. Appena messo piede nell’ingresso, Georg
lasciò cadere la giacca per terra. Gustav si affrettò a raccoglierla, in
silenzio. Tom entrò in cucina, si versò un bicchiere di cola e lo scolò. Avevo
una strana sensazione. Tutte quelle luci spente…
“Sie wird schlafen…”
Starà dormendo… disse Tom, appoggiando il bicchiere vuoto nel lavandino.
Sorrisi un istante. Come al solito, mi aveva letto nella mente. “Probabilmente
hai ragione. Vado a letto anch’io…” risposi.
Attraversai la casa ma,
nonostante le parole rassicuranti di mio fratello, non mi sentivo tranquillo.
La casa era sempre la stessa. Come l’avevo lasciata. L’atmosfera però mi
sembrava diversa. Come se mancasse qualcosa. Una strana inquietudine mi invase.
Una stretta al cuore. Le mie gambe iniziarono a muoversi velocissime. Senza che
me ne fossi accorto, mi ritrovai a correre.
“Eccolo che
ricomincia…” disse Georg, vedendomi sfrecciare di nuovo.
Giunto davanti la porta
di camera mia, frenai di botto. Era avvicinata. Il mio cuore batteva
all’impazzata. Mi sentivo un cretino per quella corsa improvvisa ma,
soprattutto, per quella inquietudine irrazionale. La aprii lentamente, temendo
di svegliarla.
Vuoto. Il letto era
vuoto. Lo fissai interdetto per un minuto buono finché Tom, che doveva passare
per andare in camera sua, non mi riscosse dai miei pensieri.
“Che c’è?” chiese.
“Guarda…” mormorai con
voce inespressiva.
Mio fratello guardò,
poi impallidì. Spostò immediatamente lo sguardo su di me.
Mi ritrovai seduto sul
letto. Non seppi mai come ci fossi arrivato. Le mani fra i capelli. Non sapevo
più chi ero. Cosa dovevo fare. Non capivo cosa fosse successo per spiegare quel
letto intatto.
“Bill…ho trovato questa
sul comodino…” Mi parve di sentire la voce di Tom ma sembrava lontana. Anni
luce. Alzai lo sguardo su di lui. Nella sua mano, quella che sembrava una
lettera. Tremai, mentre l’afferravo.
Lieber Bill…
Non so davvero da che
parte iniziare. La verità è che non... Sono una vigliacca. Non ho avuto il
coraggio di guardarti negli occhi e dirti ciò che dovevo. Ogni volta che ci
pensavo, sentivo una stretta al cuore. Alzavo lo sguardo. Tu eri lì, il tuo
sorriso. Diradava le nubi. Ora non è più così. Ma non ho potuto impedirlo. Mi
dispiace. Davvero. Se guardi nel tuo cuore, capirai che è così. Sono stati tre
giorni stupendi. Avrei voluto che durassero in eterno. Purtroppo la realtà è
diversa. Non posso restare, anche se lo vorrei. Ci sono delle persone che
contano su di me. Io non posso deluderle. E non posso nemmeno chiederti di
venire con me. Sebbene lo volessi. Il tuo posto è al fianco di Tom, Georg e
Gustav. Dovete continuare a sognare insieme.
Bill, mein Bill, sei
l’unica persona che è riuscita a entrare nel mio cuore. Hai preso questo
deserto, l’hai trasformato in un giardino. Grazie. Non lo dimenticherò mai,
come non mi dimenticherò di te. Di noi.
So che questo ti farà
soffrire. Ed io non potrò impedirlo. Ma se tu guarderai dentro di te, se non
lascerai che il tuo cuore venga oscurato, ogni volta che vorrai, ti basterà chiudere
gli occhi. Io sarò al tuo fianco. Ti tenderò la mano. Afferrala ti prego. E
sarà come se non fosse accaduto nulla. Noi saremo ancora insieme. E ogni volta
che mi penserai, se sentirai il cuore battere come mai ti è accaduto fin’ora,
sarà una cosa normale. Perché ora possiedi anche il mio. Chiudi gli occhi e lo
sentirai battere. Dentro di te.
Ich bin da, wenn du
willst…Sarò lì, se vorrai…
Chiusi gli occhi. Una
lacrima cadde. Sentii la mano di Tom sulla mia spalla. Poi il mio petto fu
scosso. Come se, al suo interno, i cuori che battessero fossero due…
Venerdì mattina. Mi
alzai, spalancai la finestra e lasciai che l’aria calda di Amburgo entrasse
nella stanza. L’estate era tornata a riempire la mia città di profumi. Sorrisi.
Uscii in corridoio,
consapevole di essere solo in casa. Era un giorno senza impegni, gli altri
l’avrebbero trascorso in giro. Io invece sentivo il bisogno di riflettere, di
scrivere. Magari una nuova canzone.
Pensai a lei. Solo per
un istante. Sentii una stretta al cuore ma sul mio volto apparve un sorriso.
Davvero una strana cosa, pensai.
Raggiunta la cucina,
accesi la macchina del caffè. Gustav si era gentilmente ricordato di
prepararmela, prima di uscire. Mentre aspettavo, allungai la mano ed accesi la
radio, alla ricerca di qualche canzone.
Ripensai a poco prima.
A lei. Ogni volta che mi sforzavo di non pensare a lei, appariva.
Improvvisamente. Nei miei sogni. Sogni dolcissimi e, anche se sapevo che erano
solo sogni, il mattino dopo mi svegliavo felice. Ero stato tentato mille volte
di chiamarla. Avrò composto il numero un migliaio di volte. Ogni volta avevo
chiuso la comunicazione prima che il suo cellulare squillasse, il cuore in
gola. Non sapevo cosa dire e avevo paura. Che qualcosa fosse cambiato. In realtà
avevo scoperto ben presto che era così...
Da quando era entrata
nella mia vita, anche se solo per tre giorni, l’aveva migliorata. Non avevo più
fatto “l’incubo”. Anche se mi era capito di litigare ancora con Tom, com’è
normale che sia, fra fratelli. Anche lui mi era sembrato sollevato, quando se
ne era accorto.
Spensi la macchina e
versai il caffè nella tazza. Iniziai a girare le stazioni della radio, alla
ricerca di una canzone che conoscessi, per scaldarmi la voce. Casualmente su
un’emittente stavano suonando una delle nostre. “Hilf Mir fliegen”. Sorrisi,
canticchiandola con l’altro me stesso del disco.
Driiiiiin!
Il campanello della
porta. Maledissi la sbadataggine di Georg. Sicuramente era uscito un’altra
volta senza le chiavi di casa… Alzai il volume della radio per continuare a
sentire la musica, canticchiando mi avviai all’ingresso.
“Komm und hilf mir
fliegen…Leih mir deineFlügel…” cantai, appoggiando
la mano sulla maniglia.
Spalancai la porta. La voce mi morì in gola.
Das Armband…
Biiiiiiip!!!!
Il metal detector suonò. Un secondo dopo l’addetto sbuffò. Era la dodicesima volta che mi faceva
fare avanti e indietro, senza capire perché suonassi.
“Ha tolto tutto ciò che ha addosso di metallico?” mi chiese nuovamente.
Avevo risposto svogliatamente di sì tutte le altre volte ma, per
mostrarmi interessata, questa volta decisi di gettarmi un’occhiata. A prima
vista, nulla. L’addetto sbuffò ancora, rassegnandosi a utilizzare il metal
detector portatile. Lo fece scorrere, seguendo la linea del mio corpo. Quando
raggiunse il mio polso destro, suonò. L’addetto mi gettò un’occhiataccia.
“Il bracciale…” disse con voce scocciata “…tutto questo casino per un bracciale!
Ma non poteva metterlo in valigia?”
Il mio sguardo si posò sul mio polso. Il braccialetto di metallo. Le
lettere che componevano il suo nome brillavano ancora. Come se fosse passato
solo un giorno. Sorrisi, lasciandomi trasportare dai ricordi. Posai nuovamente
lo sguardo sul mio interlocutore.
“Nella vita, sono poche le cose talmente importanti da non poter
rischiare di perderle…” Il viso di Bill apparve nella mia mente…
Die Dynastie Kaulitz…
Tre anni. Da quando lei è entrata nella nostra vita. Repentinamente era
apparsa e se ne era andata. Allo stesso modo era tornata. Un anno dopo.
Rientrando a casa, quella sera di due anni fa, dalla soglia della cucina. Li
avevo visti. Avevo sgranato gli occhi. Colto alla sprovvista. Una delle poche
volte della mia vita. Mio fratello sorrideva. Come pensavo non avrebbe mai più
sorriso. Quel sorriso che era scomparso dopo il divorzio dei nostri genitori.
Era felice. In ogni particella del suo essere. E lei non era da meno. Seduta in
braccio a lui.
Due anni. A ripensarci sembra quasi impossibile che il tempo sia volato
così velocemente…
Parrebbe una sera come mille altre. Gustav prepara la cena. Io, Georg e
Bill. Seduti al tavolo della cucina, a parlare. Ma percepisco un’eccitazione
irrefrenabile in mio fratello. Non riesce a star fermo e sorride. Io e Georg
ridiamo con lui, senza capire il motivo di tanta felicità.
Lei arriva. Tutti e quattro ci voltiamo a guardarla. Sorride. La scruto
e improvvisamente comprendo perché Bill l’ha scelta. In lei, un’amica, una
madre, un’amante…
Bill si alza subito, andandole incontro. L’abbraccia, poi si volta.
Entrambe le mani sulla pancia di lei. Ridono entrambi. Poi lui ci guarda. Il
sorriso radioso che lei ha riportato alla luce.