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Giardini che nulla hanno da invidiare alla reggia di Versailles
Prima di tutto una precisazione.
Questa fanfiction non ha pretese di essere un capolavoro (anche se posso dire di essermi impegnato per
cercare di darle una forma decente): l’ho scritta come regalo di compleanno per
una mia amica che è una grande fan di due manga, Death Note e Ouran High
School Host Club di Bisco Hatori, ed è questo il motivo per cui ho scelto
questo cross-over. I personaggi originali che appaiono in questa fanfiction
(vale a dire Keito, Meiko ed Hane) sono trasposizioni di persone reali, e lo
dico perché altrimenti la loro presenza potrebbe sembrare un po’ strana.
Detto questo, spero che la storia vi piaccia, ma se la
giudicate negativamente vi invito ad esprimere
ugualmente le vostre critiche senza timore di offendere.
Enjoy!
CAPITOLO I
Giardini che nulla hanno da invidiare alla reggia di Versailles.
Edifici magnifici che svettano
come giganti del passato, saggi e maestosi, le loro finestre come spalle su cui
i nani del presente possono issarsi per guardare in avanti e vedere più lontano
nel panorama della sapienza.
Aule di musica il cui ingresso è
come una porta verso un’altra dimensione fatta di vibrazioni paradisiache, dove
i sensi fluttuano cullati dalle note di Bach, Beethoven, Chopin, Tchaicokvskij.
Corridoi dove bidelli
elegantissimi sono pronti a porgere aiuto con il sorriso sulle labbra.
Porticati e gazebo per ripararsi
dal sole troppo forte, fontane che danno ristoro dal caldo, allietano la vista
e riempiono l’aria del suono fresco dell’acqua che zampilla, panchine lucenti e
intarsiate per riposare le membra stanche da ore di studio, stanze ampie e
luminose, biblioteche ricche dei tomi più preziosi.
“... e non una
cazzo di bancarella da cui sgraffignare una mela”
Il flusso dei pensieri di Keito
era l’unica cosa in grado di rovinare la dolcezza che la vista dell’Accademia
Ouran sapeva instillare anche nel cuore più duro, ma per fortuna di tutti quei
pensieri restavano nel chiuso della sua mente e non erano udibili da alcun
essere umano. Del resto, nemmeno lui era visibile ai damerini incravattati e
alle ragazze ridicolmente agghindate con abiti dalle gonne gonfie che sarebbero
stati fuori moda ai tempi delle loro nonne, e invece
lì venivano adottate addirittura come divise scolastiche. Cosa
avevano di sbagliato le uniformi alla marinara con minigonne inguinali che
erano adottate in tutte le altre scuole del Giappone (stando a quanto dicevano
i manga)? Troppo plebee per quella scuola di ricchi?
Che visione distorta: non sapevano, quegli amanti del barocco, che nella culla
della bellezza moderna, l’Ottocento neoclassico francese, gli uomini e le donne
più potenti del tempo posavano senza remora nudi per
statue che avrebbero tramandato ai posteri la loro fama? Ovviamente, se a
spogliarsi così pubblicamente non fosse stato l’imperatore Bonaparte o sua
sorella ma un qualsiasi popolano, delle guardie a cavallo sarebbero
giunte per portare l’impudente in una cella per oltraggio alla cristiana
morale, ma quello era un altro discorso.
Keito si fermò di fronte
all’ingresso dell’Accademia, compiaciuto dalla propria erudizione (che era
vasta quasi quanto la sua vis polemica). Nel mondo
degli shinigami era tutta sprecata, ma in quello degli umani avrebbe
potuto metterla a frutto, in qualche modo. Ma
come, se nessuno poteva vederlo, sentirlo o toccarlo?
Un metodo c’era, ovviamente. Il death note.
Keito lo aveva lasciato cadere
nel mondo umano, aspettando che qualcuno lo raccogliesse. Quel qualcuno sarebbe
stato in grado di vederlo e parlargli, e lui lo avrebbe manipolato a piacimento
per i suoi scopi. Un ottimo piano, che però aveva un punto debole: a causa di
una delle fisime del vecchiaccio che dettava legge tra
gli shinigami, non aveva potuto scegliere a chi dare il quaderno, ma si era
dovuto limitare a lanciarlo, lasciando che fosse il caso a decidere il
fortunato – o lo sfortunato – scopritore. Keito aveva provato a fare un calcolo
inferenziale per determinare la probabilità con cui il death note sarebbe
finito nelle mani di una persona adatta, ma dopo qualche ora di
emicrania aveva rinunciato: odiava
la statistica, e a parte quello il numero di variabili era troppo elevato per
riuscire a ottenere qualche probabilità realistica. Così si era affidato al
caso incrociando le dita, meno scientifico ma molto più comodo.
Purtroppo, anche inefficace.
Infatti
il quaderno era finito in quella scuola assurda, dove tutti sembravano così
incredibilmente ricchi e sfaccendati, nonché viziati all’inverosimile, che ben
difficilmente avrebbe trovato qualcuno per lui utile. Anzi, forse avrebbe avuto
difficoltà anche solo a trovare chi accettasse la sua esistenza senza fuggire
urlando. Però ormai era andata in quel modo e non serviva a niente fasciarsi la
testa prima di essersela rotta: avrebbe cercato la persona che aveva trovato il death note, e poi l’avrebbe valutata.
Con un sospiro, Keito varcò
l’ingresso dell’Accademia di Ouran.
Con qualche perplessità,
Ayanokouji si rigirava tra le mani quello strano quaderno che aveva trovato nel
cortile della scuola.
La copertina era totalmente nera,
tranne che per una scritta, “Death note”, che in inglese doveva significare
qualcosa come quaderno della morte. Una di quelle stravaganze crasse e volgari
dei quaderni plebei, che invece di avere sobrie copertine bianche o con motivi
floreali liberty farcivano le pagine di riferimenti
agli argomenti più disparati, dallo sport alla musica passando per telefilm di
successo e altre cose simili. E però, se era davvero quello il caso, i grafici
avevano davvero esagerato, visto che oltre a quel primo tocco gothic dark,
avevano anche aggiunto delle pagine interne con fantomatiche “istruzioni per
l’uso” a dir poco inquietanti: l’umano il
cui nome sarà scritto su questo quaderno morirà; questo quaderno non farà
effetto a meno che chi scrive non abbia in mente il
viso della persona mentre scrive il suo nome. Quindi, persone che condividono
lo stesso nome non verranno colpite; se la causa della
morte viene scritta entro 40 secondi dopo aver scritto il nome della persona,
si verificherà; se la causa della morte non è scritta, la persona morirà semplicemente
di infarto… e ce ne erano altre, in un tripudio di cattivo gusto.
Ma non
era semplicemente quello. Fosse stato solo un esempio di kitsch, Ayanokouji si
sarebbe limitato a gettarlo senza più pensarci, ma
quel quaderno esercitava su di lei un fascino strano. A volte si sorprendeva a
pensare che forse era davvero un quaderno in grado di
uccidere, anche se sapeva benissimo che era impossibile. E
allora perché non lo buttava? Sarebbe stata la cosa più sensata, dato che
bastava la vista di quell’oggetto a renderla inquieta
al punto da impedirle di studiare o anche solo di concentrarsi e seguire le
lezioni.
Ripose il quaderno nel vano sotto
il suo banco, e cercò di tornare a seguire la professoressa di storia, ma senza
successo. Così iniziò a vagare con lo sguardo, fino a che i suoi occhi non si
posarono su ciò che accadeva al di là delle finestra,
nel cortile interno. E lì lo vide.
Era un uomo… un uomo? Forse era più corretto dire un essere, perché anche se
aveva attributi chiaramente umani – gambe e braccia, viso, andatura eretta, dei
vestiti e persino un tatuaggio I fuck dead girls
– il suo aspetto complessivo non poteva definirsi tale, e anche quegli elementi
che lo accomunavano agli uomini sembravano essere qualcosa d’altro piegato con
la forza ad assumere una parvenza antropomorfa: era alto almeno due metri e
mezzo, e questo anche senza considerare le gambe arcuate e il busto proteso in
avanti. Le braccia gli arrivavano alle ginocchia, una lunghezza scimmiesca,
anche se le dita delle mani – artigliate – si muovevano in continuazione in un
gesto da sgraffigno molto poco da primate. Aveva la
barba, lunga e divisa in tante treccine che arrivavano al petto. Sia la barba che i vestiti, che sembravano usciti da un film
western, erano di color rosso bordeaux, mentre rossa, ma di una tonalità più
accesa, era la pelle. Infine, il volto, in cui sembrava concentrarsi il
contrasto tra l’umanità e la mostruosità di quella creatura: occhi grandissimi
dalle pupille feline, orecchie a punta, naso schiacciato praticamente
ridotto a due fori, bocca cristallizzata in un ghigno beffardo.
La cosa che più sconvolgeva
Ayanokouji era che quell’essere camminava nel cortile
della scuola senza che nessuno tra i ragazzi e le ragazze lì presenti
reagissero minimamente. Se lei, dalla finestra del terzo piano, aveva potuto
osservarlo in tutti i dettagli ricavandone uno spavento terribile, si aspettava
che quelli più vicini come minimo fuggissero a gambe
levate. Almeno alcuni.
Invece
non solo nessuno fuggiva, ma nemmeno lo osservavano; persino quelli a cui la
creatura passava vicinissimo non si scomponevano, come se non si accorgessero
della sua presenza. Ayanokouji iniziò a pensare di essere
vittima di una allucinazione, ma anche se sbatteva le palpebre o se distoglieva
un po’ lo sguardo per poi tornare a guardare il cortile, la creatura era sempre
là, anche se ogni volta in un punto diverso, e si muoveva sempre in direzione
dell’ingresso dell’edificio fino a che non scomparve dal campo visivo di lei. A
quel punto la ragazza si impose, con grande
difficoltà, di non pensare a quella apparizione e di seguire la professoressa.
Ma al termine della lezione,
quando tutti gli studenti abbandonarono le aule per raggiungere la mensa,
l’essere riapparve a Ayanokouji, e stavolta molto più
vicino a lei: nel corridoio del terzo piano.
Quando se lo vide arrivare
incontro, la ragazza fremette di terrore, sia perché da vicino era ancora più
orripilante, sia perché era chiaro che era lei il suo
obiettivo. Tuttavia, in qualche modo riuscì a non gridare né a scomporsi: era
ormai sicura che solo lei riusciva a vederlo, e allora se si fosse messa ad
urlare o scappare tutti l’avrebbero presa per pazza, e non avrebbe ricevuto
alcun aiuto. Così si girò e tornò verso l’aula. “Ho dimenticato un libro, vi
raggiungo dopo” disse alle amiche che la guardavano interrogative.
Pochi minuti dopo, come aveva
previsto, l’essere mostruoso era di fronte a lei, nell’aula. Poteva sentire il
sudore colarle lungo la schiena.
L’esordio del mostro, tuttavia,
fu alquanto spiazzante.
“I miei omaggi, milady” disse infatti, abbozzando un grottesco inchino. La sua voce era rauca, sembrava il growl di certi cantanti metal.
“Co… come?” balbettò Ayanokouji,
sconcertata.
“Non è così che ci si saluta fra
voi umani dell’alta società?”
“Sì, ma…” si interruppe,
temendo di offenderlo se gli avesse spiegato che quella formula era del tutto
incongrua nel contesto. Comunque, fu l’essere a
toglierla dall’imbarazzo portando il discorso su binari più concreti.
“Ti starai chiedendo chi e cosa
sono”
“Eh… infatti”
“È presto detto. Io mi chiamo
Keito, e sono uno shinigami”
“Shinigami?”
“Sì, un dio della morte. Nel
nostro mondo mi chiamano tutti Keito, in quello degli umani, che poi è questo,
solitamente mi chiamano Shinigami Keito o, per abbreviare, Skeito. Però se vuoi
chiamarmi semplicemente Keito mi va benissimo”
“D’accordo, ma… perché sei qui?”
“Perché
tu hai preso il death note, ovvio”
Ayanokouji ripensò al quaderno e
le mancò il fiato.
“Vu… vuoi dire
che davvero…?”
“Davvero che?”
“Davvero quel quaderno può uccidere
la gente?”
“Per la precisione, si può usare
quel quaderno per uccidere altre persone, nel rispetto delle regole scritte in esso”
“Oddio… se avessi scritto qualche nome sarai diventata un’assassina…”
“Beh, che c’è di male?”
“Come sarebbe a dire che c’è di male?!”
“Quello che ho detto. Intanto,
usando il quaderno nessuno potrebbe risalire a te, no? Quindi
ad usarlo non corri alcun rischio”
Keito cercava di incoraggiarla ad
usare il death note. Quando l’aveva vista tra la folla
degli studenti aveva pensato di non essere stato così
sfortunato: la ragazza aveva l’aspetto di una disposta ad usare ogni mezzo per
raggiungere i suoi scopi. Naturalmente tra il dire e il fare c’è la stessa
differenza che separa gli shinigami dagli umani, ed era normale che la prospettiva
di uccidere la mettesse a disagio, ma Keito pensava di poterla convincere: se
lei si fosse rifiutata di usare il death note, lui non
avrebbe potuto manipolarla ai propri fini.
“Non è questione di essere
scoperta” disse Ayanokouji “è proprio l’idea di commettere degli omicidi che
non posso accettare”
“Suvvia, non mi dirai che una ragazza intelligente come te ha paura”
“Ma che paura e paura!” scattò
lei “E poi perché fai questi discorsi? Vuoi che io
uccida qualcuno?”
“No, ti propongo uno scambio”
“Che
scambio?”
“Io ti do il quaderno, e quindi
la possibilità di uccidere chi vuoi, e in cambio tu accetti di agire per conto
mio in alcuni affari che, a causa della mia natura di shinigami, non posso
condurre autonomamente”
“Che genere di affari?”
“Non pensare a patti faustiani, sono molto più materialista: voglio giocare nella finanza!
Le mie conoscenze e intuizioni sui movimenti di capitale globali
sono infinitamente superiori a quelli di qualsiasi affarista umano. In più, la
mia profonda preparazione in antropologia e sociologia mi permettere di
valutare perfettamente gli impatti sociali delle scelte economiche, e quindi so
dove e come investire al meglio. Per farla breve, se agisci in economia seguendo le mie indicazioni diventerai ricca
sfondata… o meglio, diventeremo, visto che la maggior parte dei soldi me li
prenderò io, ma comunque anche un venti per cento dei profitti ti basterà a
superare in ricchezza la tua stessa famiglia”
“Addirittura?”
“Noi shinigami, a differenza
degli umani, siamo perfettamente consci delle nostre capacità, per cui non pecchiamo di spacconeria, almeno nei nostri
rapporti con voi. Ma se anche non mi credi, considera che comunque
non ci perderesti niente. Alla fin fine, a te conviene accettare lo scambio”
“Ma che
cosa se ne fa dei soldi un dio della morte?”
“Dei soldi in sé, niente. Ma di certe cose che posso comprare con il denaro, molto”
Ayanokouji pensò a misteriosi strumenti demoniaci o a sostanza magiche. In
realtà, Keito aveva in mente solo vagonate di mele.
“Lo scambio sembra vantaggioso”
disse la ragazza “Ma proprio non me la sento di
uccidere qualcuno per interesse”
“Ovvio, se pensi ad uccidere in
generale. Ma prova a pensare a qualcuno che per te
merita di morire, e vedrai come tutto sembrerà più facile”
“Ma
chi…” iniziò ad obiettare lei, ma si bloccò. Qualcuno che per te merita di morire, e la
sua mente iniziò a riempirsi di istantanee che credeva di aver rimosso.
Un ragazzo dal volto femmineo che
le aveva rubato il suo lord.
Un sapientone dallo sguardo di
ghiaccio e due gemelli diabolici che l’avevano innaffiata d’acqua in pubblico.
Il lord che avrebbe dovuto amarla
ed invece l’aveva umiliata di fronte a tutti.
L’associazione che aveva ardito
di trattarla come una donnetta da poco: l’Host Club.
Loro meritavano di morire. Morire
sotto i suoi occhi.
Quell’insulso Honey con il suo
gigante stupido. Quegli orribili gemelli. Quel nero demonio di Kyouya. E soprattutto loro, quel maledetto Haruhi e Tamaki, il
traditore.
Avrebbero
dovuto essere uccisi tutti.
Poteva farlo lei?
Ancora non aveva formulato la
domanda nella sua mente e già sapeva di poterlo fare. Di volerlo fare.
Alzò lo sguardo sullo shinigami.
“Accetto”
Gli occhi di Keito si accesero di
trionfo. Aveva vinto, era stato più forte del caso lo
aveva dirottato su quella scuola di fighetti, il suo piano era iniziato.
“Allora uccidi” disse.
Ayanokouji non se lo fece
ripetere due volte. Estrasse il death note dalla borse
e lo aprì alla prima pagina, ancora intonsa. Poggiò con feroce delicatezza la
punta della sua Monte-Blanque sul foglio, e iniziò a scrivere.
Tam
Si fermò a metà del nome.
Keito immaginò che fosse un
residuo della riluttanza precedente, e pensò a qualche frase di
incoraggiamento, ma poi lo guardò in volto e vide un’espressione di
gioia sadica che non poteva conciliarsi con alcuna indecisione.
“Perché
non scrivi?”
“Che
fretta c’è?” rispose lei.
Perché
ucciderli così, su due piedi? Non si sarebbe goduta la sua vendetta. Ma non sarebbe stato abbastanza piacevole nemmeno vederli
agonizzare per ore. Era altro, quello che lei voleva. Voleva vedere l’Host Club
disfarsi lentamente e sotto i suoi occhi, voleva
vedere i gemelli vivere l’esperienza della separazione e del rimorso (Kaoru
morto per colpa di Hikaru, perché no?), Kyouya perdere la sua sicurezza e
dibattersi impotente, Haruhi subire il disprezzo che lei stessa aveva
sperimentato e tornare, prima della morte, a quello che era il suo posto
naturale, la plebe.
E infine
Tamaki… lui non sarebbe morto. Sarebbe precipitato in un
tunnel nero vedendo la sua creazione in rovina, avrebbe gustato la
prostrazione più profonda, assaggiato un dolore inimmaginabile. E, una volta toccato il fondo, sarebbe tornato strisciando da
lei, dalla donna che aveva umiliato pubblicamente, supplicandola di perdonarlo.
E Ayanokouji sarebbe tornata la principessa incontrastata dell’accademia di Ouran.
Se Keito aveva attraversato
l’accademia di Ouran senza che nessuno lo notasse, ben più trambusto fecero il
giorno dopo due ragazze del primo anno, che attirarono l’attenzione di tutti
gli studenti che incontrarono. Non tanto per l’aspetto, pur essendo entrambe
molto carine, ma per il modo in cui si muovevano: la prima correva vivacemente
per i corridoi tirandosi dietro l’altra, che sembrava molto più riluttante e
cercava di frenarla.
“Ha… Hane-chan, fermati!”
“Ma no, siamo quasi arrivate”
“Ma ti ho detto che non voglio!”
“Su, Meiko, non fare la bambina”
Si fermarono di fronte
all’ingresso della terza aula di musica.
“Eccoci arrivate” disse Hane,
raggiante “Non sei emozionata?”
La domanda era rivolta a Meiko,
ma Meiko si stava già allontanando nella direzione da cui erano venute. L’amica
la richiamò all’ordine con un colpo di harisen che la lasciò a terra esanime.
“Non avrai intenzione di
piantarmi in asso dopo tutta la fatica che ho fatto per portarti qui!” la
rimproverò Hane appena si fu ripresa.
“Ma io ti ho detto in tutti i
modi che non volevo essere portata qui! Non me la sento…”
“Andiamo, Meiko-chan, cos’è
questa timidezza?”
“Non sono timida, sono realista;
so che se entro farò una figuraccia, con questi capelli arruffati, questi
fianchi…”
Avrebbe potuto continuare per ore
con l’elenco dei difetti che credeva di avere, ma non si era accorta che,
mentre parlava, Hane aveva aperto la porta e l’aveva spinta dentro. E così,
eccola davanti all’Host Club al completo senza avere idea di cosa fare.
“Benvenute, mesdames!” salutarono
all’unisono i membri del club con la loro voce più suadente. Hane era già
andata in visibilio, Meiko era paralizzata.
I primi a muoversi furono i due
gemelli: Hikaru prese la mano destra di Hane, Kaoru la sinistra di Meiko, e con
delicatezza le fecero avanzare verso il centro della sala. O meglio, ci
provarono, visto che per riflesso condizionato Meiko puntò i piedi come un
mulo.
Il lord del club, Tamaki, se ne
accorse.
“Oh, la nostra cliente è pudica?”
Senza aspettare risposta, in due
passi le fu di fronte e con mano aggraziata le sollevò il viso (ormai di un
colore simile a quello di Keito) portandolo vicino al suo.
“I massimi poeti dicono che la
verecondia è il più luminoso segnale della virtù di una fanciulla…” le mormorò
con voce languida.
Le dita di lui sulle sue guance,
i capelli lisci e biondi che volteggiavano a pochi centimetri da lei, gli
occhi, la voce, il profumo, le parole che aveva detto… Un complesso di delizie
che sarebbe stato sufficiente a sciogliere qualsiasi ragazza con un minimo di
autostima in più rispetto a Meiko; ma lei non aveva nemmeno quel minimo, e così
la sua reazione fu solo di enorme imbarazzo, e cercò automaticamente di
allontanare Tamaki. Nelle sue intenzioni voleva allontanarlo con gentilezza, ma
il suo disagio era tale che non riusciva a controllarsi del tutto, così gli
diede una manata sulla fronte che lo fece volare in fondo alla stanza, dove si
schiantò contro il prezioso pianoforte lì situato, riducendolo a pezzettini.
Immediatamente nella stanza calò
un silenzio gelido, rotto solo dal rumore della penna di Kyouya che calcolava
l’entità dei danni.
Pochi minuti dopo, una mortificatissima
Hane si profondeva in inchini di scusa verso gli altri sei membri dell’Host
Club (Tamaki era rannicchiato in un angolino in preda allo sconforto). Meiko
era di nuovo piombata nella paralisi. Lo sapeva che sarebbe finita così: aveva
fatto una figuraccia, aveva deturpo il bel volto del lord. Ora sarebbe stata
cacciata, per tutto l’Ouran si sarebbe diffusa la voce del maschiaccio
scarmigliato e manesco, sarebbe stata emarginata, disprezzata, derisa…
“Chiedo umilmente perdono”
ripeteva intanto Hane, inchinandosi sino a toccare il pavimento con la fronte
“Meiko-chan non l’ha fatto apposta, è solo incredibilmente timida”
“A me non sembrava solo
timidezza” osservò Haruhi.
È andata subito al punto pensarono all’unisono i gemelli.
“Vero” confermò Kyouya “La
reazione violenta è scattata ai complimenti”
Meiko iniziò a rimpicciolirsi.
“Vuol dire che Meicchan non ama i
complimenti?” chiese Honey.
“Probabilmente è indice di scarsa
fiducia in sé stessa” sentenziò Kyouya.
Meiko era ormai tutt’uno con il
parquet. Hane, impietosamente, confermava tutto quello che gli host dicevano.
“Sì! Sì! Non solo è timidissima,
ma crede di essere buffa, poco fotogenica, con brutti capelli, grassai, di cattivo carattere…”
Hikaru e Kaoru tornarono ai lati
di Meiko e la rialzarono per studiarla.
“Si crede brutta?” disse Hikaru.
“Ma se è così carina” disse
Kaoru.
“È meglio di molte nostre
clienti” disse Hikaru.
“Forse è per via dei capelli un
po’ arruffati” disse Kaoru.
“O magari per i fianchi un po’
rotondetti” disse Hikaru.
“O forse è che l’uniforme non si
confà alla sua bellezza” disse Kaoru.
“Per cui crede di apparire strana
e quindi buffa” disse Hikaru.
“Sarà questo che la rende
insicura e quindi la fa sembrare scorbutica” disse Kaoru.
Ma quegli stupidi si rendono conto che stanno mettendo il dito nella
piaga? pensò Haruhi, scuotendo la testa. Evidentemente i gemelli non se ne
rendevano conto, perché continuavano.
“So già cosa dirà il lord” disse
Hikaru.
“Sì, darà il via al piano ‘Fare
emergere la bellezza nascosta di Meiko’” disse Kaoru.
“E sappiamo anche chi chiamerà”
disse Hikaru.
La terra iniziò a tremare, al
centro della sala si aprì un varco; accompagnato dal rumore di un motore a
piena potenza e da una risata malefica, emerse un piedistallo, su cui svettava
trionfante (e ridente) Renge-chan.
Hane era al settimo cielo, Meiko
sentiva avvicinarsi un colpo apoplettico, Haruhi sospirò.
“Eccomi qui!” esclamò Renge “Con
i miei consigli non ci sarà alcun problema nel trasformare Meiko-chan nella più
bella ragazza dell’Ouran. Con un semplice trattamento chimico i suoi capelli
arruffati diventeranno rapidamente, e per sempre, lisci e luminosi. E basterà
qualche piccola modifica all’uniforme femminile dell’accademia per rendere la
sua silhouette sinuosa e sensuale! Il mio sarto di famiglia a Parigi non avrà
problemi a farlo. E risolti i problemi fisici, quelli caratteriali verranno da
sé”
Basterebbe lei a smentire questa frase pensò Haruhi. Ma i gemelli
applaudivano entusiasticamente le parole di Renge.
“Sìì, rendiamo Meicchan bella!”
gioiva Honey.
“La spesa per i capelli e il
vestito sarà niente male” disse Kyouya “Ma se avremo successo, saremo ripagati
in termini di prestigio. E poi, comunque, i costi andranno sul conto di Haruhi”
“Ma che c’entro io?!”
“Fermi tutti!”
Quest’ultima esclamazione bloccò
gli schiamazzi. A pronunciarla era stato Tamaki, che aveva abbandonato
l’angolino e ora li osservava fieramente.
“Cosa dite voi, stolti? Far
emergere la bellezza nascosta di Meiko? Ma siete forse obnubilati dalla vostra
vanità, se non riuscite a vedere che la sua bellezza già rifulge, qui e ora?”
Così dicendo, riprese di nuovo il
volto di Meiko tra le mani, e stavolta lei non lo respinse: era troppo stupita
da quelle parole.
“Forse non riuscite a vederla
perché nemmeno lei la vede” continuò il lord “Ma io la vedo, e non permetterò
che essa venga stravolta da trucchi artificiosi. Quindi il vero piano sarà
‘Rendere Meiko conscia della propria presente bellezza’!”
“Senpai…” mormorò Haruhi,
incantanta.
Avrebbero iniziato anche subito,
ma le lezioni stavano per ricominciare, e così si aggiornarono alla mattina
seguente. Il primo incontro tra Meiko e l’Host Club era durato una mezzora
scarsa, ma in quel breve lasso di tempo avevanogià deciso il suo destino. E lei non aveva pronunciato una parola.
La notizia della nuova cliente
dell’Host Club e del piano di azione deciso da Tamaki fece rapidamente il giro
della scuola, e suscitò i commenti più disparati. Una persona in particolare si
interessò molto alle vicende di Meiko: Ayanokouji.
Questa nuova arrivata sembrava
fare proprio al caso suo: sapeva bene come Tamaki si appassionasse nelle sue
iniziative a favore degli altri, e nulla meglio di un fallimento poteva
aprirgli la strada della disperazione, in particolare se fosse stato un
fallimento catastrofico.
Un suicidio, ad esempio.
Si era fatta spiegare da Keito
tutti i modi in cui era possibile usare il death note, e la flessibilità di
quello strumento di morte le rendeva possibile approntare i piani più complessi
ed efficaci. Se Meiko si fosse suicidata lasciando un biglietto in cui accusava
l’Host Club di averla ingannata suscitando in lei false speranze sarebbe stato
un bel colpo, un buon modo per iniziare il suo piano.
Tuttavia, nemmeno stavolta
Ayanokouji mise subito in atto i suoi propositi: la presenza di Meiko le era di
grande aiuto, ma per farla suicidare doveva aspettare che i tentativi degli
host iniziassero, altrimenti la morte sarebbe risultata poco credibile, e
sarebbe stata attribuita non al comportamento del club, ma ad una instabilità
psichica della ragazza. E del resto, prima di farla morire, doveva architettare
per bene le mosse successive, altrimenti sarebbe stato tutto inutile.
Ma ce l’avrebbe fatta. Non c'era
fretta.ma di farla morire, doveva
architettare per bene le mosse successive, altrimenti sarebbe stato tutto inutile.
Uno che invece
un po’ di fretta l’aveva era Keito. In realtà, tra tutti, era quello che
meno avrebbe dovuto preoccuparsi del tempo: gli
restavano ancora duecento anni da vivere e avrebbe potuto aggiungerne altri
indefinitamente, usando il death note. Ma si sa, chi ha tempo non aspetti
tempo, o almeno, questo era il suo motto, e pertanto
avrebbe voluto iniziare il prima possibile le sue attività finanziarie.
Tuttavia, non c’era modo di cominciare finché Ayanokouji non avesse messo a punto il suo piano contro l’Host Club. La ragazza
era certamente intelligente, ma non avrebbe mai potuto
diventare una giocatrice di scacchi: i tempi che impiegava per valutare tutte
le possibili reazioni delle sue vittime alle sue gesta erano piuttosto lunghi,
anzi, decisamente troppo. Ma era perfezionista e
meticolosa, e quindi voleva essere sicura di non tralasciare nessun dettaglio o
eventualità. Quella prospettiva sembrava troppo ambiziosa persino per Keito, e
lo shinigami avrebbe voluto farglielo notare, ma preferì lasciar
perdere: finché non avesse ucciso la sua prima persona usando il death
note Ayanokouji avrebbe potuto sempre rinunciare allo scambio, quindi meglio
non contrariarla sino ad allora. D’altra parte, se la ragazza avesse usato
scientificamente il quaderno per i suoi scopi, a lui non poteva venirgliene che
bene: sarebbe stata meno distratta una volta impegnata nel progetto
finanziario. Non occorreva affrettare i tempi.
Tuttavia, circa
una settimana dopo il loro primo incontro, Keito decise di incitarla
all’azione.
“Non pensi che te la stai
prendendo troppo comoda?” le disse mentre lei, scesa
dalla limousine di famiglia, si apprestava a raggiungere il cancello della
scuola.
“La fretta è cattiva consigliera”
rispose Ayanokouji “E poi, già il solo architettare il piano è incredibilmente
soddisfacente”
“Mi fa piacere che tu ti diverta, ma attenta a non esagerare prima del tempo. Il tuo
piano dovrà pur essere messo in atto, per vedere se funziona o
meno”
“Tranquillo che funzionerà. Ci
sto mettendo tanto tempo appunto per essere preparata ad ogni evenienza”
“D’accordo, ma con il tempo che
passa aumentano anche le evenienze che non trovano spazio nel tuo piano. Non
puoi pretendere di avere sotto controllo ogni cosa”
“Non ogni cosa, ma il necessario
sì. Ti preoccupi troppo, Keito”
“Dovresti preoccuparti più tu di
me. Se usi il death note ma il tuo piano fallisce, sei
comunque vincolata al patto con me”
“Sembri un uccello del
malaugurio” disse Ayanokouji con una smorfia “Cos’è
tutto questo pessimismo?”
“Non sono pessimista,
semplicemente ti faccio notare che più passa il tempo e più può accadere
qualcosa che non rientra nei tuoi piani. Ad esempio, se l’Host Club riesce a
rendere Meiko soddisfatta di sé stessa, tutta l’idea
del suicidio perderà di credibilità”
“E tu ti
preoccupi di quello? Abbiamo tutto il tempo che vogliamo! Quella ragazza è
dura, ostinata, per ottenere risultati tangibili ci vorrà almeno…” si interruppe di botto, sbarrando gli occhi.
“Che
succede?” chiese Keito. Ayanokouji non rispose: la bocca spalancata in una muta
esclamazione di meraviglia, lo sguardo fisso davanti a sé, osservava lo
spettacolo del cortile dell’Ouran.
Un gran numero di ragazzi e
ragazze, come di consueto. Ma le ragazze che andavano e venivano
chiacchieravano di Michelangelo e altre frivolezze
esibendo orgogliosamente le loro acconciature all’ultima moda, tutte
rigorosamente arruffate.
“Allora, che ve ne pare?” chiese
Tamaki, sorridendo con orgoglio.
Haruhi e Meiko erano a dir poco
sconvolte.
“Non era esattamente questo che
mi aspettavo…” disse Meiko.
“Più che altro, come diavolo
avete fatto a convincerle tutte?” chiese Haruhi.
“È stato facile” rispose Kyouya
“è bastato pubblicare un numero speciale della fanzine dell’Host Club in cui
abbiamo inserito una rubrica di moda. Lì abbiamo scritto che la tendenza di
quest’anno è il capello riccio e disordinato et voilà, il gioco è fatto”
Su quell’ultima frase apparve
Honey, con la chioma sparata in aria come quella di Liz Taylor.
“Mitsukuni, l’articolo si
riferiva alle acconciature femminili” gli disse Mori, iniziando a pettinarlo.
“Ma
questo è un imbroglio!” scattò allora Meiko “Volevate convincermi che io fossi
bella, e invece avete semplicemente fatto assomigliare le altre a me”
“Certo, e ora le altre pensano di essere belle” disse Tamaki, imperturbabile “Perché non
dovresti pensarlo anche tu di te stessa?”
“Ma lo
pensano perché glie l’avete detto voi!”
“Perché,
a te l’ha detto qualcuno che l’unica bellezza è quella con il capello liscio?”
Meiko non rispose.
“Che
siano i capelli o i fianchi, il discorso cambia poco” riprese Tamaki “Non
esiste un canone di bellezza universale, è sempre la maggioranza che decide; e
spesso e volentieri cambia opinione, come hai visto in piccolo qui all’Ouran. Se la maggioranza decide che il tuo aspetto è un canone di
bellezza, allora tu sei bella, quale che sia la tua opinione in proposito”
“Ma se
ragioniamo così” intervenne Haruhi “ allora aveva ragione lei, visto che al di
fuori dell’Ouran la maggioranza continua ad avere un’opinione diversa sulla
bellezza”
Gli sguardi assassini
di Tamaki e dei gemelli fecero capire ad Haruhi che la sua naturale sincerità
in quel caso era stata di troppo.
“Ecco, vedete?” disse Meiko “È
come dice Haruhi, mi avete dimostrato che ho ragione io” e, voltate le spalle,
se ne andò.
“Aspetta, Meiko-chan!” cercò di fermarla Tamaki “Tu sei bella dentro!”
“Meglio ancora! In pratica hai
ammesso che non sono bella fuori, come dico sempre io”
“No, non…” ma Meiko era già
uscita sbattendo la porta.
Di quel primo tentativo rimase
solo un aumento di un decimo del debito di Haruhi.
Ayanokouji comunque
non poteva sapere che l’introduzione della nuova moda si era risolta in un
fiasco, ed era furente con tutto e tutti. Con l’Host Club in particolare, anche
se la vera rabbia era rivolta a sé stessa.
Aveva sottovalutato le capacità
di quel gruppetto, e ora sul serio il suo piano rischiava di andare all’aria. Ma quello che la faceva infuriare era la nuova umiliazione
che aveva subito a causa loro. Stavolta non era stata pubblica, e in effetti nemmeno loro sapevano di averla ancora
ridicolizzata, ma in certo senso quello rendeva il tutto ancora peggio, perché
la ragazza restava da sola con la propria magra figura, e non poteva scaricare
la propria frustrazione su altri se non su sé stessa.
C’era un solo spettatore, ed era
Keito. Quella era un’altra spina nel fianco di Ayanokouji:
nel momento in cui lei stava vantando la bontà e la solidità del suo piano, era
arrivata la mazzata della mossa dell’Host Club che aveva rimesso tutto in
discussione. Lei con una sicurezza assoluta aveva garantito allo shinigami che
non c’era un problema di tempi, ed ecco che i fatti l’avevano smentita
all’istante. Cosa avrebbe pensato Keito di lei? Forse
ne rideva, e bastava il pensiero a farla impazzire di rabbia e vergogna; o forse
iniziava a dubitare di lei, e magari avrebbe rinunciato al suo patto per
cercare una persona più affidabile.
Quella prospettiva le faceva
venire i brividi. Non tanto perché temeva che Keito l’avrebbe
fatta uccidere dal nuovo prescelto (che pure sarebbe stata una possibilità
logica, visto che lei era l’unica a sapere del death note), ma perché avrebbe
perso la sua unica possibilità di vendicarsi dell’Host Club. In passato
aveva cercato di dimenticare il trattamento che Tamaki e gli altri le avevano riservato. Era un rospo duro da mandar giù, ma le alternative erano poche: o dimenticare, o vivere per sempre
in compagnia di un rancore che l’avrebbe portata alla follia. E così, seppure con fatica, era riuscita a relegare tutto
nel passato e a riprendere una vita di studentessa di buona famiglia, diligente
negli studi, non troppo appariscente. Ma il dio della morte le aveva portato un
quaderno il cui potere era in grado di aiutarla a sistemare i vecchi conti, e
allora i ricordi erano riapparsi senza difficoltà (ma
erano mai spariti veramente?). Adesso, se avesse fallito, non sarebbero più
tornati nell’oblio, quali che fossero stati i suoi sforzi. E
allora non restava che una scelta: velocizzare tutto.
Non avrebbe rinunciato al piano,
questo no: farlo avrebbe significato riconoscere la propria inferiorità
all’Host Club. Ma se prima l’aveva presa con calma,
ipotecando un paio di settimane per organizzare il tutto, ora si diede un
limite massimo di tre giorni. Non erano molti, ma se si fosse impegnata a fondo
sarebbero stati sufficienti, e comunque una volta che
avesse iniziato ad uccidere avrebbe avuto lei in mano le redini del gioco.
Quello che doveva fare era raccogliere quante più informazioni possibili sugli
host, in modo da colpirli nelle loro debolezze. Era da sola a farlo, e non
poteva indagare apertamente per non destare sospetti, ma comunque
era in grado di ottenere risultati accettabili. Del resto, poteva permettersi
di esporsi un po’, tanto chi mai avrebbe potuto immaginare l’esistenza
di un death note? Quella era l’unica prova che potesse condurre a lei, e
comunque avrebbe manipolato le vittime in modo da
sviare ogni sospetto di una mano esterna.
Nulla era perduto, finché aveva
il quaderno e nessuno conosceva le sue intenzioni omicide aveva un vantaggio
che avrebbe sfruttato fino in fondo.
I tre giorni successivi furono densi di febbrile attività, di
appostamenti nei luoghi del club, di appunti presi in tutta fretta, di notti
insonni, di lezioni seguite distrattamente, di ore trascorse inseguendo
un’idea, di schemi tracciati al computer, d
CAPITOLO IV
I tre giorni successivi furono
densi di febbrile attività, di appostamenti nei luoghi
del club, di appunti presi in tutta fretta, di notti insonni, di lezioni
seguite distrattamente, di ore trascorse inseguendo un’idea, di schemi
tracciati al computer, di fogli riempiti e poi accartocciati, di riflessioni
pensose e intuizioni improvvise, di attimi di scoramento e attimi di
esaltazione. Ma al termine di quelle settantadue ore il piano di Ayanokouji era completo e pronto per essere messo in
atto. Lei stessa, dopo tutto l’impegno che ci aveva messo, stentava a credere
di essere ad un passo dalla vittoria. Eppure, nel
momento in cui avesse scritto il primo nome sul quaderno, la vendetta sarebbe
iniziata.
Già, i nomi. L’ordine delle
vittime era ben definito:
Meiko
Honey
Mori
Kaoru
Hikaru
Kyouya
Haruhi
Anche il lasso
di tempo tra una morte e l’altra era più o meno fissata, se pur con un
margine di incertezza dovuto alle possibili reazioni impreviste. Comunque, tutto si teneva: il suicidio di Meiko con lettera
accusatoria nei confronti del club avrebbe iniziato l’opera per screditare gli
host; ma forse non sarebbe bastato a mandarli in crisi, e allora dopo una
settimana ecco l’improvviso collasso fisico del tenero Honey: credibile,
considerati tutti i dolci che mangia, no? E nei lunghi giorni di agonia precedente la morte deprecherà la sua scelta di
aderire all’Host Club, pentito di aver abbandonato il rigore della famiglia.
Naturalmente, il giorno dopo il decesso, Mori deciderà
di seguire il padroncino con il più tradizionale gesto dei samurai: l’harakiri.
E così
tre morti nel giro di pochi giorni, e già sarebbe sufficiente a far crollare
miseramente i sopravvissuti. Ma non basta, occorre
andare sino in fondo. Con una bella lite tra fratelli, ad esempio: un litigio
degenerato in rissa violenta in cui Kaoru troverà la morte
mentre Hikaru, gravemente ferito, agonizzerà per giorni in preda al
dolore e al rimorso. Il movente dell’alterco? Non c’è bisogno
di specificarlo, tanto tutti attribuiranno quell’incredibile rottura del
rapporto fraterno ai luttuosi eventi di pochi giorni prima. A quel punto, tutti
vedranno l’Host Club come un buco nero di perversione e mali repressi, e i
superstiti ne saranno travolti. Primo tra tutti Kyouya, il
cui noto cinismo gli si rivolgerà contro: sarà facilmente identificato come il
responsabile della degenerazione del club, e di certo il padre non gli
perdonerà di essersi fatto coinvolgere in un simile scandalo. Il suo
destino sarà segnato, e a quel punto nessuno si stupirà di un ennesimo
suicidio.
Chi resta? Ah, sì, Haruhi e
Tamaki. Per Haruhi le cose si faranno particolarmente dure: in una simile
tragedia, chi sopravvive è sempre malvisto, e figuriamoci se ha su di sé il
marchio della diversità, in questo caso la classe sociale inferiore.
Probabilmente, il preside dell’Ouran gli chiederà di abbandonare l’istituto per
tutelarne il buon nome, e quella notizia, debitamente pubblicizzata da lei,
sarà la giusta punizione per l’umiliazione di molto tempo prima. E se non ci fosse l’espulsione? Beh, in quel caso interverrà
lei con il death note per indirizzare gli eventi nella
giusta direzione, tanto dopo la prima sfilza di morti i superstiti saranno così
storditi da non poter reagire come si deve.
Una volta
uscito di scena Haruhi, trovare una morte adatta a lui non sarà
difficile. E allora resterà Tamaki, solo, povero e
pazzo. Niente death note per lui: Ayanokouji userà le sue arti femminili per
riprenderlo in suo potere, e farne uno schiavo
d’amore.
La prospettiva le dava i brividi
di gioia. Anche Keito aveva detto che il piano non
faceva una grinza, quindi aveva le spalle protette. Ora non restava che
scrivere il primo nome insieme alla modalità del decesso. Mancava poco: il
tempo che l’orologio segnasse le otto, che l’autista la accompagnasse
a scuola, che lei vedesse Meiko di fronte a sé, per godersi l’inizio del
dramma.
Scese dalla limousine.
Raggiunse l’ingresso della
scuola.
Colpo di fortuna: Meiko era
proprio davanti all’ingresso, e per di più in compagnia dei membri dell’Host Club. Sembrava che stesse litigando con Tamaki:
ottimo! Il suicidio sarebbe stato più credibile.
Si impose
di restare calma, anche se il cuore le batteva all’impazzata. Se solo ci fosse stato anche Keito! Ma
lo shinigami amava andarsene in giro, e raramente si faceva vedere da lei, se
non di sera. Pazienza, avrebbe fatto senza di lui. Si sedette su una panchina a
pochi metri dagli host, estrasse il death note dallo
zaino e prese una penna. Iniziò a scrivere.
Non scriveva.
“Dannazione, scrivi!” mormorò a
denti stretti. Passò più volte la penna sul foglio, ma nulla,non una traccia di inchiostro. Eppure era una stilografica nuova, e l’aveva ricaricata
pochi giorni prima. Spazientita, l’agitò più volte per farla riprendere.
Fu allora che esplose.
Si spezzò in due, e una bolla di inchiostro nero le impiastrò il volto, le mani, il
vestito, lo stesso quaderno. Ayanokouji lanciò un grido di stupore e
raccapriccio che le attirò addosso gli sguardi di
tutti.
Che
fare? In quelle condizioni non poteva certo mettersi a scrivere come se nulla
fosse, a meno di non voler passare per fuori di testa.
Intanto era conciata in maniera ridicola di fronte a tutti, così corse, con il death note sotto il braccio, verso il bagno
femminile più vicino, imprecando contro la sua cattiva sorte: ogni volta che
aveva a che fare con l’Host Club faceva una figuraccia in pubblico! Tanto
peggio, li avrebbe uccisi senza osservarli, ma non avrebbe rinunciato al piano,
fosse stata l’ultima cosa che avrebbe fatto.
Il bagno era vuoto, per fortuna.
Poggiò il death note sul lavandino, si sciacquò il
volto cercando di togliersi quanto più inchiostro possibile, e intanto pensava
a come gestire la situazione. Poteva addurre le macchie sul vestito come scusa
per tornare a casa, e lì avrebbe ucciso Meiko in tutta
tranquillità: si sarebbe persa la scena, ma almeno sarebbe stato ancora più
impossibile risalire a lei. E in fondo, se doveva
perdersi la morte di una che nemmeno conosceva non era un gran sacrificio…
Quelle riflessioni furono
brutalmente interrotte da una figura che apparve nello specchio del bagno. Era
Kyouya. E, dietro di lui, apparvero gli altri host.
“Che ci
fate qui?” strillò Ayanokouji “Questo è il bagno delle donne!”
“C’è anche una donna con noi”
dissero Hikaru e Kaoru. E non intendevano Haruhi, ma
Meiko, che entrò subito dopo.
“Che… che significa tutto questo?!”
“Significa che ti abbiamo
scoperta” disse Kyouya.
“Scoperta? Ma
cosa? Siete impazziti?” ma il bluff non poteva durare,
perché anche Keito fece la sua apparizione.
“Keito!” gridò
Ayanokouji “ Mi hai tradito?”
“Lascia che sia io a risponderti”
tornò a parlare Kyouya “Ti sei tradita da sola, cara”
“Come sarebbe?”
“Sarebbe che nei giorni scorsi mi
sono accorto del fatto che ci spiavi. Ti ho visto girare nei pressi della sede
del club, ho notato come ci ascoltavi in mensa, e mi sono anche accorto che mi
avevi seguito a casa con la tua auto. Così, mi sono incuriosito e ieri mi sono
preso la licenza di frugare tra le tue cose mentre tu
eri a lezione di ikebana, e ho trovato il tuo death note”
“No… non è possibile” balbettò
Ayanokouji.
“Non mi credi? Eppure
io posso vedere lo shinigami Keito e parlargli, vero Keito?”
“Verissimo” confermò il dio della
morte.
“Ecco. E come me lo possono
vedere anche gli altri host e Meiko, visto che ho strappato una pagina che ho
fatto toccare a tutti loro in un meeting di emergenza
stanotte”
Meccanicamente, Ayanokouji
afferrò il quaderno e lo sfogliò sino a notare che una delle ultime pagine era
stata davvero strappata.
“Maledetto…” mormorò.
“Ho ritenuto di doverlo fare”
riprese Kyouya “perché quando Keito mi è apparso mi ha raccontato il tuo
progetto di ucciderci tutti, e quindi era necessario avvertirli, ma se non
l’avessero visto non mi avrebbero mai creduto. Così stanotte ho mandato alcuni
degli agenti speciali della mia famiglia a manomettere tutte le tue penne, in
modo da impedirti di scrivere. E infatti, eccoti qui”
“Ma… ma…
Keito, perché hai raccontato tutto? Hai fatto saltare il tuo stesso patto!”
“Lo so, ma non ci perdo niente”
ghignò Keito “Nei giorni scorsi avevo notato la grande intelligenza e abilità
di Kyouya, e ho pensato che sarebbe stato un buon partner per il mio progetto,
ma finché avevi tu il quaderno non potevo contattarlo, per
cui mi ero rassegnato a lasciar perdere. Solo che ieri è stato lui
stesso a toccare il death note, dimostrando di avere
ancora più acume di quanto avessi immaginato, e allora non ci ho pensato due
volte: gli ho raccontato tutto e gli ho fatto una proposta alternativa che lui
ha accettato. D’ora in poi lavoreremo insieme, non mi limiterò a dirgli cosa
fare, e anche se la mia percentuale sarà minore, guadagnerò comunque
più di quanto avrei guadagnato con te”
Vuol dire che Kyouya è intelligente quanto un
dio della morte?si chiese Haruhi deglutendo.
“Non è giusto…” disse flebilmente
Ayanokouji.
“È colpa tua” disse
Keito “Hai temporeggiato troppo. Se avessi ucciso sin da subito saresti diventata a tutti gli effetti la proprietaria
del death note, e io non avrei potuto dire nulla a Kyouya, e quindi ti avrei
supportato attivamente”
“Questa regola non me l’avevi detta!”
“Naturale, no? Ti pare che io
vada in giro a dire le regole che mi legano le mani?”
“Maledetti…” ripeté con odio la
ragazza.
“Maledetti?” intervenne allora
Tamaki “Tu stavi per ucciderci tutti e sette per soddisfare un tuo capriccio di
vendetta, e hai l’ardire di pensare che siamo noi i
maledetti?”
“Stai zitto!” gridò lei, e,
aperto il death note, iniziò a passare freneticamente
sulla carte le dita ancora bagnate di inchiostro fresco, cercando di scrivere
il nome di Tamaki. Ma non era arrivata alla seconda
lettera che Honey, con un balzo felino e un calcio volante, le aveva fratturato
il polso e scagliato il quaderno in un angolo del bagno. Con un urlo da animale
selvaggio Ayanokouji si lanciò allora contro Tamaki, e l’avrebbe colpito se
Meiko non le si fosse parata innanzi,
immobilizzandola.
“Lasciami, troia! Perché difendi quel verme? Ha ingannato anche te con le sue
storie!”
“Non mi ha ingannata”
rispose Meiko “Anche se non sono d’accordo con lui e gli altri host, so che i
loro tentativi di convincermi sono sinceri, esprimono quello che pensano
veramente. Nessuno li ha obbligati ad aiutarmi, ma loro ci hanno provato lo
stesso. Hanno sbagliato? E che importa? Io ho capito
che sono persone generose e sensibili, e non permetterò che tu faccia loro del
male!”
“Dannazione!” ansimò Ayanokouji
“Come fate voi… voi…” ma non aggiunse altro: con un
violento strattone riuscì a liberarsi dalla presa di Meiko, ma solo per
gettarsi a terra e piangere convulsamente. Tutti la osservavano in silenzio,
mentre Keito ridacchiava e pensava che aveva ragione il suo vecchio amico Ryuk
a dire che gli esseri umani erano davvero divertenti.
“Ero
io la prima nella lista delle persone da uccidere, vero?”
“Sì”
“Tu
avevi fatto manomettere tutte le penne di Ayanokouji per impedirle di scrivere.
Ma se l’altro giorno lei ne avesse usata un’altra, oppure una matita?”
“Mmm…
ora che me lo fai notare, è una eventualità a cui non
avevo pensato”
“Cosa?! Allora vuol dire che se non sono morta è solo per una
questione di fortuna?!”
“Beh,
diciamo che questo è un possibile punto di vista sulla questione”
“Povera
me… ha ragione Haruhi-kun a dire che siete un branco di idioti”
“Tanto
ormai Ayanokouji è innocua, rinchiusa in un centro di cura. E poi, siamo idioti
con cui Haruhi si trova bene”
“Lo
capisco. Devo ammettere che anche io mi trovo bene con voi”
“E
scommetto che ti trovi anche più a tuo agio col tuo corpo, vero?”
“E
sempre su quell’argomento tornate”
“Non
hai risposto alla domanda”
“Eh…”
“Sto
aspettando”
“Sì,
hai ragione, quando sto con voi non mi sento brutta! Contento
ora?”
“Certo
che sono contento, vuol dire che abbiamo raggiunto il nostro obiettivo di host”
“Mica
tanto: quando sono fuori dal club l’effetto svanisce”
“Quella
non è competenza nostra. Noi ti abbiamo aiutata a fare il passo da zero a uno, e cioè ad accettare l’esistenza della possibilità. D’ora in poi tocca a te”
“Allora
se dipende da me sto fresca”
“Non
essere disfattista. Tu non sei come Ayanokouji, dietro le tue incertezze hai
una forza d’animo notevole”
“Dici?”
“L’abbiamo
capito tutti quando hai detto quelle cose ad Ayanokouji. Sei una ragazza
speciale”
“Oddio,
non mi sarei mai aspettata di sentirti dire cose simili, Kyouya-kun”
“Infatti di solito non le dico. Vedi che
sei speciale?”
“Scemo!
Allora era un trucco!”
“Parli
sempre dei trucchi come se fossero qualcosa di scorretto. Prova a vederli come
mezzi non convenzionali per far emergere la verità, ti facilita le cose”
“Sei
sempre così filosofo?”
“In
realtà no. Questa frase me l’ha detta Keito”
“Ah,
lo shinigami. Ma allora state davvero lavorando insieme?”
“Sì,
nei fine settimana. È una compagnia interessante, anche se mi tortura i timpani
ascoltando a ripetizione la cover dei Graveworm di Fear of the dark”
“Povero!”
“Ridi,
ridi. Anzi, ora che ci penso devo andare a controllare lo stato dei primi
investimenti”
“Peccato,
mi stavo divertendo a parlare con te”
“Avrai
altre occasioni, se tornerai come cliente”
“Non
dubitarne. A presto, Kyouya-kun; e grazie”
“Grazie a te. In bocca al lupo, Meiko”
FINE
Iniziato a scrivere a
Foggia, il 21 dicembre 2007
Terminato di scrivere a
Cerenzia, Crotone, il 25 dicembre 2007