Starcrossed

di lumieredujour
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Never lose hope ***
Capitolo 2: *** Due anni dopo ***
Capitolo 3: *** Bitter cold ***



Capitolo 1
*** Never lose hope ***


"Star-crossed lovers" definisce una coppia di amanti il cui rapporto è spesso ostacolato da forze esterne. La storia di Sirius e Aspasia, ahimè, rientra perfettamente in questa definizione.

Never Lose Hope


– Madama Ravenwood? – Al, il mio elfo domestico, entrò in camera da letto.

Aveva le orecchie basse e lo sguardo timoroso e io mi sentii, come sempre, un po’ in colpa. Al serviva la mia famiglia da tempo immemore, ricordavo ancora quando da bambina gli tiravo le orecchie e lui rideva, ma con le lacrime agli occhi. E io non capivo come si potesse ridere e piangere allo stesso momento. Allora non capivo.

-Dimmi Al- dissi, guardando il mio freddo riflesso nello specchio mentre mi spazzolavo i capelli per inerzia.

Mi sembrava di rivedere mia madre: la pelle dorata, gli occhi bruni e i capelli neri. Ma la mia fiamma, la mia focosa anima latina ormai dormiva sotto piani di lacrime e dolore, spenta dalla consapevolezza che il mio era un amore sbagliato, perché amavo un assassino. Ma il riflesso della donna che dovevo essere mi fece vedere quanto mi facesse male accostare a Sirius il termine “assassino”. Al mio Sirius.

-C’è qualcuno al…. ehm- tentennava e questa non era mai una cosa positiva.
-Al, cerca di dirmelo entro l’anno. O rischio di morire prima-
-Mi scusi madama Ravenwood, Al non voleva farla spazientire, ma c’è un uomo che l’attende.- si stava torcendo le orecchie.
Lo fissai dal riflesso dello specchio con un’espressione seriamente confusa. Un uomo? A quest’ora?
-Un uomo? E lo hai fatto entrare?-
Al continuava a torcersi le orecchie, come se ne fosse stufo, come se le volesse strappare e bruciare.
-Al non può far entrare l’uomo, Madama.-
- E perché no?- ora ero preoccupata davvero. Non avevo mai visto Al così teso. Ed era un elfo molto ansioso
-Perché l’uomo è nel camino Madama- mi fissò con i suoi enormi occhi grigi, incapace di muovere un singolo muscolo.

E anch’io, Aspasia Ravenwood, non riuscii a muovermi. Fissavo il vuoto, la bocca vermiglia leggermente socchiusa, l’ombra di un nome tra le labbra.
“solo una persona potrebbe mettersi in contatto con me in questo modo”
Ripensare a Sirius mi faceva male. Tanto male. Era una tortura, ma negli anni avevo capito che ero diventata solo una stupida masochista. Con gli occhi ancora fissi nel vuoto, dissi:

-Arrivo Al. Fa in modo che nessuno ci disturbi e che nessuno ci senta- e solo dopo aver sentito l’elfo sparire mi permisi di riguardarmi allo specchio.

Avevo gli occhi lucidi, una patina trasparente come l’acqua cristallina che fuoriesce dalla sorgente, ma in quegli occhi si stava riaccendendo una fiammella. Era una flebile fiamma, il ricordo di ciò che un tempo era. Il ricordo di ciò che lui mi faceva sentire. Lasciai la spazzola – o forse la feci cadere, non importava- e mi alzai meccanicamente. Uscii dalla sua stanza come un automa e scesi le scale. Arrivai davanti alla porta del salotto e un flashback mi riempì la mente: dodici anni fa, quando ero ancora viva, nel vero senso della parola, avevo attraversato quella porta e avevo ascoltato un Auror che mi comunicava l’impensabile: Sirius – il mio Sirius – era stato mandato ad Azkaban. Perché aveva tradito. Perché aveva ucciso. Ero rimasta in quella stanza in catalessi per circa due settimane, con Al che mi forzava a mangiare e bere. Ma io mi chiedevo sconcertata a cosa servisse rimanere in vita se la persona di cui mi fidavo di più era capace di tradire, di uccidere. Non mi sembrava vero, così come non mi sembrava vero che al di là della porta del salotto vi fosse la speranza; la speranza di rivederlo ancora, di sentire la sua voce.
Con la mano tremante abbassai la maniglia ed entrai. Tutto era familiare, come la luce che illuminava la sala, i quadri appesi alle pareti e i tappeti che attutivano i miei passi. E nel camino c’era la mia speranza.
Era il suo viso, ne ero sicura: gli occhi luminosi, la bocca piegata come al solito in un sorriso ironico, la forma sicura della mascella. Tutto, tutto mi fece crollare nel vero senso della parola: caddi in ginocchio davanti alla brace e inziai a singhiozzare il suo nome.

-Aspasia, mia dolce Aspasia- la sua voce era roca, come se avesse gridato costantemente per anni e anni. E forse era così. Ma era la sua voce. L’avrei riconosciuta tra mille.
- Sirius, io non ci credo. Sei tu, sei davvero tu, sei tornato- il sorriso che feci a quella brace mi fece venire da ridere.
 E risi, perché era da tanto che non sentivo le mie corde vocali ballare. Ma, mentre ridevo, mi resi conto che niente in realtà era cambiato: quello poteva essere uno scherzo, o forse un sintomo della follia. Era troppo bello per essere vero, sarei stata contattata dal Ministero se il suo unico amore fosse stato liberato. Il fatto che fosse innocente era un qualcosa di innegabile per me: non avevo mai pensato, nemmeno per un secondo, che il mio Sirius fosse capace di tanto. Il mio Sirius, l’uomo più leale, altruista, ironico e dolce del mondo. E allora che cos’era successo?
Chiusi gli occhi e li riaprii, per accertarmi che lui fosse ancora là: sì, la sua immagine era ancora impressa nella brace.

-Ascolta mia adorata Aspasia, sono successe tante cose questa notte. Troppe per essere raccontate attraverso il tuo camino. Ti chiedo un favore: vienimi incontro. Incontriamoci fra un ora a casa mia. Ti ricordi l’indirizzo di casa mia, vero?- la sua voce era frettolosa, allarmata e per un attimo mi prese il panico.
- Sì, sì. Ricordo. Oh amore, come posso- e qui mi bloccai in preda ai singhiozzi, ma con il sorriso sulle labbra.
E piangevo e ridevo allo stesso tempo.
E mi accorsi che anche Sirius piangeva e rideva con me. Amavo condividere le mie emozioni con lui e anche dopo dodici anni mi sentivo capita, mi sentivo giusta. E lo amavo, lo amavo come se non fosse passato nemmeno un giorno, come se questi dodici anni fossero stati cancellati dal suono della sua risata.

-Lo so amore mio, ora andrà tutto meglio. Sarà tutto migliore. Tra un’ora, mia adorata. Ricorda, tra un’ora esatta.Ti amo- e mentre diceva queste due ultime parole sparì con un sonoro pof.
Per un attimo ebbi il timore che fosse stato solo un sogno, che quelle braci fossero rimaste così com’erano e che avessi immaginato tutto. Avevo solo un modo per scoprirlo.
-Al preparami i vestiti, devo uscire.-







Spero che questo capitolo piaccia, credo che la storia sarà composta da due, tre capitoli al massimo. Fatemi sapere cosa ne pensate. Tanti cuori,
Em

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Capitolo 2
*** Due anni dopo ***


DUE ANNI DOPO

 

 
I due anni più belli della mia vita passarono troppo in fretta. Dopo dodici anni di separazione, io e SIrius vivevamo in simbiosi. Perché l’amore non sempre è un’azione incredibile e sensazionale. Molte volte l’amore e la felicità si ritrovavano nella quotidianità, nei gesti dolci e silenziosi.
Ero felice se ripensavo a quando la mattina intrecciavo la mia mano alla sua per svegliarlo, a come avessimo vissuto di piccole cose, di appuntamenti nei posti più strani, di voli clandestini in groppa a Fierobecco. Ero entrata a far parte della sua vita ancora una volta, avevo vissuto con lui a casa sua, nella sede dell’Ordine della Fenice. Avevo rincontrato i suoi amici più cari, Lupin, la famiglia Weasley.
Mi chiesi perché avevo tagliato i ponti anche con loro. Loro avrebbero capito il mio dolore, ma forse io volevo consumarmi in quel dolore da sola. Che egoista. Volevo che esso mi annientasse perché, per quanto fossi sicura che Sirius fosse innocente, sapevo che entrare ad Azkaban significava morire. E non volevo aspettare la notizia della sua morte, volevo morire prima. Per amore. Per dolore.
E ogni volta ero sull’orlo delle lacrime quando mi presentava ai suoi nuovi compagni: vedevo il suo sguardo fiero, il suo sorrisino accennato e il mio cuore traboccava di gioia, di pura gioia.
Quando mi presentò Harry Potter piansi. Ricordavo tante cene fatte con James e Lily, e rivedere loro figlio mi fece uno stranissimo effetto. James era uno dei suoi migliori amici di Sirius. E quel ragazzino magro con quei capelli disordinati e quegli occhiali era identico a lui. Perfino Sirius si commosse e, quando abbracciò entrambi, disse:
-Le persone che amo di più. Non pensavo che un giorno sarei riuscito a riabbracciarvi.- e io piansi. Piansi perché era questo l’uomo che amavo.
Era sera, stavamo cenando in salotto, davanti al caminetto. Il fuoco illuminava il suo viso e io mi perdevo in quel gioco di luci ed ombre. Sirius era sempre stato un bellissimo ragazzo con i suoi tratti aristocratici ed ora mi ritrovavo davanti un bellissimo uomo, bello e tormentato dai fantasmi di un passato che non meritava. Lui era ancora ricercato, perciò non potevamo uscire alla luce del sole senza aver controllato molte volte che fosse sicuro, eppure vivevamo come tutti vivono una storia d’amore. Insieme.
Il suoi capelli lunghi cadevano attorno a me quando si chinava a baciarmi. Le sue labbra erano perennemente piegate in quel sorrisino che mi spingeva ad abbracciarlo e a non lasciarlo andare. Com’è possibile che un uomo così forte potesse risultare anche così fragile? Era come un diamante: duro, infrangibile, ma bisognava comunque maneggiarlo con cura perché si poteva scheggiare facilmente.
Entrò Kreacher, il suo elfo domestico. Avevo sempre cercato di ricordare a Sirius che non serviva a niente trattare male Kreacher. Lui non mi ascoltava mai: mi sorrideva e mi diceva che Kreacher era stato infettato dalla parte malvagia dei Black e che lo trattava male solo per quello. Credo che volesse far pagare a Kreacher quello che la sua famiglia gli aveva sempre fatto patire.
-Signore, il ragazzo- anche lui, come Al, si torturava le orecchie.
Questa scena si presentò ai miei occhi come un deja-vu, solo che quella volta non stava accadendo a me.
Sirius si girò e gli lanciò un’occhiata di fuoco. Quando si parlava del suo figlioccio, diventava geloso e protettivo, come se fosse figlio suo. Credo che lo amasse come un figlio, se non di più.
-Cosa? Cos’è successo? Dimmelo stupido elfo!- si era alzato e avanzava minacciosamente verso Kreacher.
-E’ al Ministero della Magia. E’ caduto in una trappola del Signore Oscuro. L’Ordine ha inviato un patronus ad avvisarla.- e sparì, forse temendo la reazione di Sirius.
Mi girai a guardarlo, era furioso. I suoi occhi erano diventate pozze di petrolio, ma in un attimo tutto questo sparì. Vidi nei suoi occhi non più rabbia, ma paura. Iniziò a tremare e mi disse, con una voce sottile:
-Aspasia io devo andare. Lo capisci, vero? Non- Non posso lasciarlo. Non posso abbandonarlo, non un’altra volta. – aveva gli occhi pieni di lacrime.
La somiglianza di Harry con James gli faceva male: se non fosse stato per quegli occhi verdi, Harry sarebbe stato identico a suo padre. E vederlo lo straziava e lo rendeva felice allo stesso tempo.
Chissà come mai le cose che ci portano gioia e ci rendono più felici, ci portano anche del dolore. Come se dovessimo pagare per essere felici.  Ma ne vale davvero la pena?
-Io ti accompagno. Non ti lascio solo.- presi la mia bacchetta dalla mensola sul camino.
Sirius rise, come se avessi detto una battuta molto divertente. Era bellissimo quando rideva.
-Ma io non andrò solo. Ci sarà tutto l’Ordine con me.- fece una pausa e il suo tono si fece serio – non voglio che rischi la vita. Non potrei combattere sapendo che tu sei lì. Ti prego. Resta.- mi tese la mano e mi fece risedere affianco al camino.
Mi sentivo una bambina, perché doveva trattarmi così? Glielo chiesi. Gli dissi anche che volevo andare con lui.
-No, ora ti stai comportando da bambina. Rimani qui Aspasia, fallo per me. Morirei sapendo che tu non sei al sicuro.- si avvicinò e riuscii a vedere quel barlume di disperazione e follia che trovava in fondo ai suoi occhi da quando era uscito da Azkaban, come se oltre a tutte le ferite fisiche, ci fosse anche questo a ricordargli il suo passato.
-Questa notte sto già rischiando di perdere Harry. Ti prego, non- ma s’interrupe e fece parlare i suoi occhi.
 Annuii tristemente, sconfitta dal suo sguardo disperato. Eppure pensavo avrebbe capito. Io volevo andare con lui perché saperlo vicino mi avrebbe rasserenato. Perché anch’io avevo delle cicatrici interiori che quei dodici anni di disperazione mi avevano lasciato, ma non gli dissi niente. Mi limitai ad annuire, ad augurargli buona fortuna e a baciarlo. Lui mi sorrise, mi passò una mano fra i capelli e si Smaterializzò. Come potevo sapere che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrei rivisto? 



salve a tutti. sono indecisa se mettere un ultimo capitolo o no. mmmh dimeti voi. grazie a chiunque ha recensito/seguit/ricordato/preferito la storia. vi voglio bene
em

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Capitolo 3
*** Bitter cold ***


BITTER COLD

 
Buio. Disperazione. Terrore.
Era quasi estate e allora perché stavo tremando? Aprii gli occhi e quello che vidi mi sorprese: quel soffitto mi era familiare. Cos’era successo? Perché ero in camera di Sirius e lui non c’era? Com’ero arrivata in camera sua?
Mi toccai la fronte e feci una smorfia di dolore causata dal mal di testa più brutto che abbia mai colpito un essere vivente. Mi sentivo come se avessi aperto una galleria in una montagna col solo ausilio della mia testa. Spostai le lenzuola e misi i piedi a terra. Freddo. Istintivamente gridai appena, un grido che in tutto quel silenzio riecheggiò per la casa.
Presi la bacchetta da sotto il cuscino e la puntai verso la porta di cui, nella penombra causata dalle spesse tende alla finestra, vedevo solo i contorni, come se fosse rimasto solo quello della realtà. Un contorno. E tutto quello che riempiva quella porta fosse svanito, come se non fosse mai esistito. Questo pensiero si fece pensante, si posò sul mio stomaco e mi fece tremare la mano. Forse avrei dovuto rischiarare tutto, anche la mia mente, con un bel Lumos, ma avevo paura di quello che avrei potuto vedere alla luce. Almeno il buio mi teneva lontana, in una specie di limbo temporaneo tra vita e sogno. Chiusi gli occhi e mi sforzai di respirare profondamente. Stavo prendendo coraggio o perdendo tempo? Forse entrambi.
- Homenum revelio. – dissi e la mia voce tremò un poco.
Non successe nulla e il freddo che avevo sentito appoggiando i piedi sul pavimento era nulla in confronto a quello che stavo sentendo ora dentro di me. Era successo qualcosa, perfino quelle strane emozioni che avevano attanagliato la mia anima nel cuore della notte me lo avevano detto ancora prima che mi svegliassi. Decisi di scendere dal letto e uscire da quella stanza, dalla stanza del mio Sirius. Che non era a casa.
Con i piedi scalzi e la camicia da notte addosso scesi le scale e l’unico rumore che sentii furono i borbottii del quadro coperto, del quadro della signora Black.
Il salotto era proprio come lo avevo lasciato ieri sera (ma quando l’avevo lasciato?), ma il camino era spento.
“L’unica cosa che rimane del fuoco è la cenere.”
Questa frase mi saltò in mente mentre con fare distaccato guardavo il fondo del camino, dove la cenere era rimasta. Era fredda anch’essa. Cercai di farmi forza, cercai di non trarre subito conclusioni e, con la voce più fredda e distaccata che riuscii a produrre, chiamai ad alta voce il mio elfo domestico.
-Al! Al dovunque tu sia, vieni immediatamente qui!- gridai.
Un angolino della mia coscienza rimase scioccata dal mio tono rabbioso, ma scrollai le spalle in modo indifferente e feci scivolare nel buio quel pensiero. Con un sonoro *pop* Al si Materializzò davanti a me e mi fece un inchino.
-Al, vai a cercare Sirius.- vidi il suo sguardo titubante – Ora.-
Era partito prima ancora che finissi di parlare.
Non so cosa successe per tutto il giorno nel resto del mondo, perché avevo troppa paura. Tra le mura di quella casa potevo far finta che niente fosse cambiato, che Sirius fosse uscito a cavalcare Fierobecco e che il mondo magico fosse lo stesso. Tra quelle quattro mura ero in uno stato di trance.
Al tornò solo in serata, ma con lui non c’era Sirius. Si presentò davanti a me un uomo alto con il naso lungo e degli occhiali a mezzaluna. L’unico uomo che avevo paura di vedere, perché vedere lui significava accettare la sensazione di freddo che ormai aveva ghiacciato il mio cuore.
-Aspasia io…- mi guardò con fare stravolto e fui tra le sue braccia a piangere prima ancora che riuscisse a trovare il modo di dirmelo.
Sirius era morto. Non era ad Azkaban, non era in qualche paese lontano, era morto. E io non l’avrei rivisto più. Stavo per perdere i sensi, o forse vomitare.
Silente mi mise un braccio attorno la testa con fare protettivo e mi disse, in tono triste:
-Aspasia respira. Ricordati che devi respirare-
Nascosi il mio viso tra il suo mantello e continuai a piangere per quelle che mi sembrarono ore. In modo distaccato una parte di me si chiedeva da dove venissero tutte quelle lacrime, visto che in tanti anni pensavo di averle consumate quasi tutte.
Alzai la testa per incontrare quegli schietti occhi azzurri e chiesi:
-Come?-
-E’ passato attraverso L’Arco dei Morti. Non ha sofferto-
Ora non riuscivo più a chiudere gli occhi, perché le lacrime erano sparite. Tutto era sparito, perché lui non c’era più. La consapevolezza di ciò mi diede il colpo di grazia mentre mi accasciavo al suolo in preda ai singhiozzi. Ma non piangevo semplicemente perché piangere era troppo poco. Se avessi pianto sangue, allora sì avrei provato a piangere, ma le semplici lacrime non bastavano per lui.
-So che stai soffrendo e so che dirti che è in un luogo migliore non ti aiuterà a prendere bene questa perdita, ma prima che tu cada in un eterno dolore devo dirti che non sei sola. Non sei l’unica che ha perso la sua figura di riferimento.-
Lo fissai e, con una voce che non riconoscevo nemmeno, dissi:
-Il ragazzo. Voglio vedere il ragazzo.-
Mi aggrappai alla veste di Silente, mentre tutto il mondo spariva e la pressione si faceva sempre più forte, ma non chiusi gli occhi. Arrivammo nello studio di Silente subito, io ancora piegata a terra e lui che cercava di alzarmi come un padre amorevole. Mi girai con gli occhi sbarrati verso tutte le persone che prima non avevo notato: Lupin che piangeva in silenzio, i Weasley che si abbracciavano l’uno l’altro, perfino Malocchio Moody aveva chinato il capo sul suo bastone, con le spalle che sussultavano al ritmo dei suoi singhiozzi silenziosi. E nell’ombra vidi il volto di Harry, che esprimeva esattamente come mi sentii io.
Persa. Sola. Vuota. Fredda.
Mi avvicinai a lui, che alzò i suoi occhi verdi. Mi vedeva, ma non mi guardava, non riusciva a mettermi a fuoco, come se nel fondo dei miei occhi ci fosse qualcosa da vedere. Lo abbracciai e, quando con sorpresa notai che aveva iniziato a singhiozzare anche lui, lo abbracciai ancora più forte e mi permisi di chiudere gli occhi.
Nero dentro, come nero non era mai stato. Sentii un grido agghiacciante, di puro terrore ed aprendo gli occhi notai che ero stata io a emetterlo. Mi aggrappai ad Harry ed insieme ci mettemmo a piangere e ci guardammo negli occhi senza vederci, come a voler vedere fin dove arrivava il profondo pozzo della disperazione all’interno dei nostri occhi.
Rimanemmo così, accasciati uno nelle braccia dell’altra per quelli che mi sembrarono mesi, mesi interi a fissare la pura disperazione del quindicenne che avevo tra le braccia. Quella disperazione che sentivo anch’io dentro di me.
Ci salvammo così, io ed Harry. Io consumai la sua disperazione e lui la mia, finché non ci alzammo e voltammo verso Silente. Se n’erano andati tutti, perfino la notte se n’era andata e la luce del mattino entrava dalle finestre. Io, che avevo voluto il buio per poter rimanere nell’ombra, cercavo ora un raggio di sole pronto a riscaldarmi. Silente ci sorrise, triste e disse:
-Pensavo, e a quanto pare non avevo torto, che vi sarebbe servito incontrarvi. Entrambi avete perso ciò che vi stava più a cuore e solo voi potevate comprendervi. Come vi sentite?-
Mi voltai verso Harry e vidi che ancora non riusciva a parlarne, che non sapeva nemmeno come esprimere come si sentiva. Ero io la persona adulta, fra noi, perciò risposi:
-Male. Così male che la parola “male” non basta. Ci vorrà tempo per- esitai con le lacrime agli occhi – elaborare il lutto. Credo.- annuii e cercai di non piangere.
La mia voce graffiò le mie orecchie come carta vetrata e mi resi conto che dovevo essere forte.  Non per me, ma per Harry, che lo aveva amato almeno quanto me. E non solo. Mi voltai verso il ragazzo e gli sussurai all’orecchio un “ce la faremo” molto poco convincente, prima di vederlo congedarsi.
Silente, dopo aver salutato Harry, si voltò verso di me.
-Cosa vuoi fare ora, Aspasia?-
-Vorrei che tu mi facessi dimenticare tutto. Sirius, il dolore, il freddo, la perdita. Tutto. Vorrei dimenticare anche il mio nome. Ti prego, Albus, fammi dimenticare- le ultime parole furono quasi un sussurro.
-Aspasia, lui non avrebbe mai voluto che tu dimenticassi. Lui non se n’è andato completamente. Lui è dentro di te – sobbalzai e il freddo che avevo allo stomaco si fece pungente.
- Tu. Tu, come l’hai capito?- ero spaventata e mi portai istintivamente le mani in grembo.
Silente spalancò gli occhi, colpito dalla consapevolezza del peso delle sue parole. Della verità che aveva inconsciamente detto attraverso le proprie parole.
-Lui lo sapeva?- mi chiese ed io negai.
-Non ero nemmeno sicura di esserlo.- dissi, come scusandomi.
-Non puoi dimenticare, Aspasia. Sii forte, cerca di esserlo per Harry. Per lui- e mi indicò la pancia.
-Harry- dissi tremando – voglio che Harry venga a vivere con me. Io non voglio rimanere sola in quel posto, non riuscirei a sopportarlo. Non- conclusi farfugliando parole senza senso.
-Non posso Aspasia. Harry è minorenne e deve vivere con gli zii. Capiscimi- Silente pronunciò l’ultima parola soffrendo, come se fosse colpa sua.
- Come farò?- mi piegai sotto il peso delle consapevolezze che, man a mano che la mia mente si schiariva, mi si presentavano davanti.
Sirius non c’era più. Ero sola. Sola ed incinta. E lui non l’avrebbe mai saputo.
Perché non gliel’avevo detto subito? Magari non avrebbe rischiato tutto per starmi accanto. Magari ora sarei chissà dove con lui.
-Io ti consiglio di non ritornare a Grimmauld Place per un po’. Potresti andare alla Tana dai Weasley o a casa di Lupin o potresti rimanere con Tonks. O – titubò prima di dire la decisione che presi.
 
***
Harry dopo un sonno disturbato e terrificante si svegliò, si mise gli occhiali e notò, affianco alla sua bacchetta, una lettera con su scritto solo il suo nome. L’aprì con il cuore in gola e la lesse lentamente:
Caro Harry,
so già che appena aprirai questa lettera, io non ci sarò più. Ho deciso di partire, andarmene da questo paese che mi porta alla memoria ricordi troppo dolorosi. So che mi chiamerai codarda, o che mi colpevolizzerai per essermene andata, per averti lasciato solo. Se avessi potuto, ti avrei portato con me molto volentieri, ma sei ancora minorenne e io non sono niente per te, se non una donna che condivide il tuo senso di perdita e il tuo dolore. Da quando ho appreso di Sirius (mi fa male anche scrivere il suo nome), ho iniziato a sentire freddo. Un freddo cupo e denso, che mi fa tremare l’anima e che, ne sono sicura, mi porterà alla pazzia o peggio, all’autodistruzione. Perciò ti dico che sto cercando il caldo, sto cercando un luogo che non mi ricordi lui. Ma io avrò sempre con me una parte di lui e avrei preferito dirtelo a voce. Io aspetto un bimbo da Sirius. Harry, voglio far nascere questo bambino nel calore e nella tranquillità più assoluta, lontano da tutti quei pensieri che influenzerebbero male la mia gravidanza. C’è speranza, figliolo. Non siamo completamente soli.
Questo non è un addio, ma solo un arrivederci. Appena nascerà, sarai il primo a vederlo, te lo prometto. Ma fino ad allora, spero che molte cose siano cambiate e che le  tenebre del lutto si siano dissipate dal tuo cuore.
con affetto infinito,
Aspasia
 
P.S. se avessi bisogno di conforto o se semplicemente volessi esprimere i tuoi sentimenti a chi ti può capire, non esitare a scrivermi e mandare la lettera al Professor Silente. Lui farà da intermediario fra me e te, così che le emozioni dell’una non influenzino quelle dell’altro. Sei il Prescelto Harry e so che farai grandi cose. Sirius era e sarà fiero di te.”


In quella tiepida mattina di primavera Harry Potter lesse questa lettera macchiata qua e la dalle lacrime asciutte di chi l’aveva scritta e dalle lacrime fresche che cadevano dai suoi occhi verdi, la strinse al petto e iniziò a sentire di nuovo un tiepido, flebile calore all’altezza del petto.


**
Non pensavo sarei riuscita a completare questa storia senza portarmi al suicidio. Ma perchè mi vengono in mentre smepre e e solo storie tristi dico io? ammetto di essermi commossa un paio di volte. come avrete notato, la fine non è una fine completa, ho preferito lasciare un spiraglio affinchè siate voi a scegliere il finale giusto. Aspasia tornerà o no? Sta a voi decidere. Vi prego, non prendetela per una codarda, a volte solo la fuga ci può aiutare a voltare pagina. vi voglio bene
em

 

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