Una tela da dipingere insieme

di firelight_96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Born to dance ***
Capitolo 2: *** A bad day ***
Capitolo 3: *** Mai giudicare un libro dalla copertina ***
Capitolo 4: *** Rigorosamente verde ***
Capitolo 5: *** Opera di Zeus ***
Capitolo 6: *** Una prossima volta ***



Capitolo 1
*** Born to dance ***


Cuffie, play. Boom! Andata. Completamente andata.
Felice, triste, incazzata nera, qualunque sia il mio umore, sento la necessità di farlo.
E’ così che quotidianamente, almeno per un’ora al giorno, vago per la casa a vuoto, con le cuffie nelle orecchie ( volume al massimo ovviamente) e cammino. Una reazione strana la mia, sì. Mi sento un po’ come un tizio del mio piccolo paesino meridionale che vaga per l’intero complesso cittadino scroccando sigarette ai più fessi. Toby lo chiamano. Perennemente con le cuffie, col telefono sempre sintonizzato su telegiornali o … radio Maria.
Ma per mia fortuna non sono ancora arrivata a questo punto e, spero, di non arrivarci mai.
Questo è l’effetto che la musica ha su di me. Per quanto mi sforzi a rimanere incollata alla sedia o a qualsiasi altra superficie orizzontale rispetto al pavimento, proprio non riesco a resistere.
Il perché? Non l’ho ancora capito. L’ unica mia consapevolezza è che amo ballare. Amo tutto ciò che ha a che fare con la musica accompagnata da un movimento corporeo.
Ballo da anni ormai, si può dire da sempre.
Non so da quando questa passione abbia preso il sopravvento ma mia madre dice che quando non avevo poco più di sette mesi, seppur col girello, non appena sentivo musica provenire da qualsiasi dispositivo, correvo, mi piazzavo dinnanzi a quella fonte musicale e ballavo (per quanto mi fosse possibile). Bizzarra come cosa!
E’ per questo che trascorro gran parte del tempo alla scuola di ballo. Più che un luogo per svagare e professare ciò che di più amo fare al mondo, quel luogo è per me una seconda casa.
La sala prove non è molto spaziosa ma è una tela abbastanza capiente capace di contenere le pennellate d’emozioni di noi tutti.
Accendi lo stereo, parte la musica, il tuo corpo freme, non può, non vuole stare fermo, DEVE muoversi. Le gambe incominciano a compiere piccoli passi,sole, creano piccole pennellate su quella tela. Ora non si muovono solo le gambe, si muovono le braccia, le mani, il viso, gli occhi, si muove tutto il corpo. L’ emozione si fa sentire dalle punta dei piedi sino ad ogni singolo capello. E si continua a dipingere, sempre più, fin quando la punta del pennello non scrive più ed ha bisogno d’intingere la sua estremità di colore, le gambe non reggono e cadi a terra, sfinito.
La magia più grande è quella di poter condividere tali emozioni con altre persone, persone che coltivano la tua stessa passione, persone che capiscono il desiderio che avvolge il tuo corpo non appena la musica parte, persone che dipingono assieme a te quella grande tela, persone alle quali devo molto.
Come ogni scuola che si rispetti, difatti, anche la scuola di ballo che frequento è suddivisa in gruppi. Il gruppo a cui appartengo è il più numeroso, quasi più di una squadra di calcio (riserve comprese).
Timida, estremamente timida. Questo è uno dei miei più grandi difetti. Nonostante stia lavorando su questo mio tallone d’Achille, nonostante provi ad essere sfacciata, proprio non mi riesce. Certo, sto facendo passi avanti ma sono ancora lontana da quello che si definisce loquace.
Perché devo molto alla ‘Born to dance’? Semplice, qui ho conosciuto alcune tra le persone più importanti della mia vita, le quali mi erano sempre stati vicini e sapevo, avrebbero continuato a farlo fino alla fine dei loro giorni: i miei migliori amici, una seconda famiglia. Ero incosciente del fatto che da lì a poco, mi avrebbe fatto un altro dono, forse quello più importante…
 

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Capitolo 2
*** A bad day ***


A bad day







Era un giorno nero, nero in tutti i sensi. Era nuvoloso e il cielo non accennava a smettere di piovigginare. Avevo preso un brutto voto al compito di greco, essendo assente la prof di filosofia, facemmo due ore di educazione fisica ( come se una non bastasse). Qual’era il problema? Io odiavo educazione fisica.
Come ho detto in precedenza sono molto timida e questo mio lato caratteriale influisce in tutto quello che faccio, compresa motoria.
Avevo rotto il cellulare che , misteriosamente, non mi permetteva di chiamare.
E per completare tutto in bellezza, era venerdì. Odiavo il venerdì.
Avevo sempre odiato questo giorno della settimana , ma questo disgusto venne alimentato da un qualcosa che accadde due settimane addietro, di venerdì appunto.

 
Era il 6 Settembre. Le scuole si sarebbero aperte da li a qualche settimana. Era il giorno prestabilito, era il giorno che speravo restasse un ‘futuro’ anche se sapevo che prima o poi, sarebbe diventato un ‘presente’. Ero lì, dinnanzi a lui e meditavo, pensavo a quando ci sarebbe voluto affinché potessi riabbracciarlo come in quel momento, affinché quelle valige non simboleggiassero una partenza  ma un ritorno. Lorenzo era qualcosa di più che un migliore amico: era la persona che mi conosceva meglio di quanto io conoscessi me stessa, era la persona che aveva sempre una parola buona per tirarmi su di morale, era la persona più bella che conoscessi, era il fratello maggiore che avevo sempre desiderato e che non avevo mai avuto. Nonostante fossimo figli di genitori diversi, nonostante il dna e le leggi dello stato dichiarassero il contrario, noi eravamo fratelli, inseparabili.
Ci conoscevamo da sempre, entrambi uniti dalla fiamma che arde dentro di noi, l’amore per la danza.
Ne era passato di tempo, eppure era giunta l’ora. Quel giorno Lorenzo si sarebbe trasferito, avrebbe seguito i suoi studi in un indirizzo universitario. Quella partenza che , speravo, avrebbe portato tanta fortuna al mio caro e vecchio Lorenzo, era inversamente proporzionale alla mia felicità. Sapevo per certo che con lui, sarei partita io, non col corpo, con l’anima, con il cuore. Il mio corpo sarebbe entrato in un tunnel, buio, e chissà quando i miei occhi avrebbero rivisto la luce.
Per non essere troppo drastica e ,soprattutto, troppo egoista, cercai di scacciare via quei pensieri pensando a quella bellissima carriera che, dalla parte opposta della penisola, stava aspettando il mio fratellone. Cercai di allontanare il terrore dai miei occhi ed indossai la maschera più falsa che possedevo e tutto sarebbe andato per il verso giusto se solo, di fronte a me, non ci fosse Lorenzo che, come sempre riuscì a scavare nel più profondo dei miei pensieri facendo riemergere la ‘vera’ maschera, la vera versione dei fatti che solo lui poteva cogliere senza che aprissi bocca o sbattessi ciglia. L’unica cosa che fece fu un abbraccio. Tra le sue braccia mi sentivo al sicuro, tra le sue braccia ero la piccola sorellina indifesa. Mi guardò negli occhi e , quello sguardo d’intesa, in quel momento così delicato, valeva più di ogni singola parola.
Subito dopo, inaspettatamente, scoppiai a piangere. Piansi da morire, piansi come una fontana, piansi come non mai. Mi sorpresi di me stessa, fredda agli occhi di tutti, che non piangeva mai se non di nascosto e portava il dolore impresso sul cuore , incominciai a piangere, nonostante provassi a chiudere quel rubinetto che rigava le mie guancia, quel rubinetto che solo allora notai possedeva una quantità industriale di lacrime le quali per la prima volta ebbero la meglio rendendomi più debole di quanto già non fossi. Alzai gli occhi posandoli su quella figura che si trovava dinnanzi a me, quella figura gigante rispetto alla mia piccola statura, e nonostante avessi gli occhi annebbiati dalle lacrime, notai un particolare che mi lasciò di stucco. Anche lui piangeva.
Lui ,quell’uomo che odiava farsi vedere in momenti di debolezza, mise da parte l’orgoglio denudandosi dinnanzi a tutti i parenti più stretti.
Mi sentivo come un anziano al quale avevano tolto il bastone e non poteva più muoversi. C’era una differenza però: bastava comprare un bastone nuovo che l’anziano poteva ricominciare ad incamminarsi senza provare nostalgia dell’ altro, io, ne ero certa, non avrei più trovato quel bastone che mi avrebbe sorretto.

 
Venerdì.
Era pomeriggio ed il mio stato d’animo non aveva fatto altro che peggiorare.
Guardai l’orologio: erano le sei e trenta. Mi alzai di scatto, ero terribilmente in ritardo.
Presi il mio borsone, salutai a stento mia madre e mia sorella e corsi via. Corsi più forte che potei fin quando non mi ritrovai dinnanzi alla porta della ‘Born to dance’. Mi soffermai per qualche secondo per riprender fiato, subito dopo spalancai la porta. Per fortuna Antonio, il professore di danza, era arrivato da poco e la lezione non era ancora iniziata.
Non appena feci qualche passo in avanti, per raggiungere i miei compagni i quali circondavano Antonio che , avrei supposto, stesse dando loro qualche notizia, si levò un
‘Eccola! ‘ provenire da lì. Dal fondo della cerchia infatti avanzò la proprietaria di quella voce, bellissima come sempre Antonella mi corse incontro abbracciandomi.
Antonella era la classica ragazza capelli sempre in ordine, trucco mai sbavato. Apparteneva al gruppo dei ‘popolari’ ma, al contrario di quei film americani dove le ragazze più ‘in’ sono bionde, tutte tette e senza cervello, Antonella aveva le curve nei punti giusti, era la tipica bellezza mediterranea (capelli neri ricci, labbra carnose, alta) ed era bella sempre, anche in pigiama o senza trucco.
Era la mia migliore amica, l’adoravo. Non riuscivo ancora a capire il come io avessi legato con una delle più popolari. Forse perché lei non era come le altre, era diversa: simpaticissima, sempre con una battuta pronta, non si dava mai delle arie nonostante avesse tutta quella perfezione che le avrebbe consentito di farlo, era molto ambiziosa e ballava divinamente.
Ricambiai l’abbraccio. Le volevo troppo bene e sapevo di averla trascurata in quell’ ultimo periodo. Pensai che mi sarei fatta perdonare. Mi guardò di sottecchi come per rimproverarmi. Sapeva il perché avevo il broncio e sul suo viso intravidi un velo di tristezza. Nel frattempo i miei compagni si erano girati ad osservarmi. Conoscevo tutti e non mi vergognavo neanche un po’. Eravamo una grande famiglia ed avevo un ottimo rapporto con tutti loro fatta eccezione di due elementi.
Il primo è Sara, la tipica ragazza tutta tette e niente cervello sopracitata. Mi aveva preso ad odio e forse avevo capito anche il perché. Siamo l’esatto opposto: lei ama stare al centro dell’attenzione, io odio avere gli occhi di tutti puntati sul mio corpo, incomincio a diventare più impacciata di quanto già non sia e faccio le classiche figure di merda. Purtroppo, ogni qualvolta che qualcuno mi osserva ballare, è come se il mio corpo fosse bloccato e delle catene mi impediscano di muovermi e dare il meglio di me stessa. Credo che sia questo il motivo per cui Antonio mi abbia messo al centro, in prima fila, soggetta allo sguardo di tutti, per superare questo mio punto debole e, non so come abbia fatto ma sta funzionando alla grande. Ed è lo stesso motivo per cui Sara mi odia così tanto: le persone non possono ammirare il suo bel sedere se ci sono io che impedisco la visuale (nonostante sia minuta e di piccola statura). Sotto questo punto di vista credo d’aver fatto del bene all’ intera umanità. Avete presente Mino Franciosa*? Si somigliano così tanto quando incominciano a scatenarsi che mi son venuti sospetti circa una loro parentela nascosta.
L’altro elemento è Alessandro. Era nuovo e non l’avevo ancora ben identificato. Le uniche volte che avevamo parlato, era stato per chiedere ‘che ore sono?’ oppure ‘ ripeti il passo, non l’ho capito ‘.
Tutte quelle volte che avevo origliato uno dei suoi discorsi, parlava di calcio. Estremamente antipatico. Non che il calcio non mi piacesse, anzi, solo che non riuscivo a sopportare quei ragazzi che non parlavano d’altro dalla mattina alla sera.
Era amico con Sara. Doppiamente antipatico.
Nonostante avesse una bellezza da mozzare il fiato, non mi andava a genio.
Raggiunsi il gruppo che mi accolse con un grande sorriso caloroso. In quel momento come non mai avevo bisogno di loro. Abbozzai un sorriso di rimando e rivolsi uno sguardo ad Antonio il quale subito accennò a spiegarmi – Flavia, ho appena finito di spiegare ai tuoi amici ciò che dovrete fare entro la prossima settimana, vedetelo come un compito per casa. Oggi vi insegnerò un pezzo, voi dovrete adattarlo a canzoni diverse che vi assegnerò fra poco. Fate ben attenzione: sarà molto difficile , quindi prendetevi tutto il tempo che volete e, soprattutto, ascoltate la musica, se riuscite a cogliere questo mio consiglio, siete a buon punto. Mi aspetto grandi cose. – concluse osservandomi. Una tela bianca sulla quale dipingere, insomma. Il mio pensiero volò da Lorenzo, che avevo sentito poco prima per telefono. Lui, al contrario di me, avrebbe saputo cogliere quel prezioso suggerimento e avrebbe fatto la performance migliore.
-Ah, dimenticavo … Flavia, tu ballerai con Alessandro! – .
Sentite quelle parole si dipinse sul mio volto una smorfia più che evidente la quale provocò una grande ilarità in Alessandro tale che scoppiò a ridere di gusto e terminò dicendo
-Ho la sensazione che ci divertiremo da matti –
-Certo, come no- fu la mia risposta seccata.
Quello era proprio il colmo. Sapevo che non avrei resistito a lungo . Non vedevo l’ora che quel ‘compito per casa’ finisse. Non immaginavo come avrei fatto a sopportarlo una settimana intera,  per lo più soli!
Tornata a casa mi sdraiai sul letto e, solo allora mi ricordai della strana sensazione che ebbi non appena varcai la porta della scuola di ballo: degli occhi nuovi, che mi scrutavano, uno sguardo caldo, rassicurante.  Agitai il capo velocemente scacciando via quel pensiero. Cosa mi stava succedendo? Stavo diventando pazza. Diedi la colpa di quella strana sensazione alla rabbia che aveva preso il possesso di me sin dalla mattina. Decisi di mandare a quel paese tutto e mi coricai.
 
 
 
 

 
 
 
*Mino Franciosa: un tizio che carica video su youtube mentre balla. Vi consiglio vivamente di andare a vederlo, è troppo divertente e… capirete come balla Sara.
 
Ciao ragazzi,
sono nuova su EFP e questa è la prima storia che pubblico. Spero vi piaccia. Mi scuso in anticipo per eventuali errori e sono pronta a ricevere qualsiasi critica, anche quelle negative.
Lasciate un commento se vi va e fatemi sapere cosa ne pensate.
Un bacione, alla prossima :)

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Capitolo 3
*** Mai giudicare un libro dalla copertina ***


                                                  NON GIUDICARE MAI UN LIBRO DALLA COPERTINA
 




Ero appena uscita da scuola e, nonostante fosse la fine di Settembre, c’era un sole che spaccava le pietre.
Era stata una giornata molto pesante: interrogazione a tappeto di latino, compito in classe di inglese , chimica e ben due ore di matematica.
Tornai a casa distrutta. Buttai la cartella sul divano, salutai i miei e incominciai a mangiare progettando un sonnellino pomeridiano.
Non appena mi stesi sul divano vibrò il telefono. Un messaggio. Aprii

 
‘Scimmia, ci vediamo oggi pomeriggio alle 16.30 e non fare ritardo! :P ‘
 

Un numero che non conoscevo.
 
‘Chi sei?’ chiesi di rimando, anche se avevo un vago sospetto.
 
‘ Alessandro, dovresti ritenerti onorata’
 
‘Sì, certo, proprio onorata’ dissi tra me e me.
Un momento.
 Stop.
 C’era qualcosa che non mi tornava: Chi aveva dato il mio numero a quel caprone? E soprattutto : come osava chiamarmi scimmia? Da quando tutta quella confidenza? Lui che non mi aveva mai rivolto parola?
Ahimè credevo d’avere la risposta alla prima domanda: Antonella. Non poteva essere stata altro che lei. La conoscevo bene ormai e sapevo cosa aveva intenzione di fare, quella furbacchiona. Non mi ero mai fidanzata e la mia migliore amica, quando si mostrava la ben che minima occasione, organizzava inciuci tra me ed altri ragazzi di sua conoscenza ma io mi ero sempre tirata indietro. Se sperava che tra me e quella zucca vuota nascesse qualcosa, stava sbagliando di grosso.
Questa volta l’aveva combinata grossa. Sapeva benissimo che Alessandro mi stava antipatico e non l’avrebbe passata liscia.
Mi venne un sorriso nel pensare che la mia migliore amica si facesse in quattro per trovarmi un’ anima gemella anche se, a dirla tutta, osservando i risultati, non era molto portata nel fare Cupido.
Erano ancora le 14.00 ma quello stupido mi aveva fatto passare la voglia di dormire. Decisi di chiamare Antonella e insieme organizzammo di andare a prenderci un caffè, per passare il tempo e soprattutto, per chiacchierare.
Arrivai al bar e Lella era già lì seduta, come sempre circondata da molti ragazzi che non le davano un attimo di tregua. Aveva sul viso una smorfia infastidita che si sciolse non appena il suo sguardo mi scorse. Così cacciò via tutti, mi abbracciò come sempre e ci sedemmo l’una di fronte all’altra bevendo il caffè.
Iniziammo a parlare del più e del meno, della scuola, di Lorenzo, di Sara e le sue avventure e… di ragazzi, come sempre.
Non appena toccammo quest’ultimo argomento, la mia mente raggiunse quel Caprone che avrei visto da lì a poco e subito mi precipitai a dire – come ti sei permessa?-.
Antonella mi guardò stranita – A cosa ti riferisci, scusa?-
-Sai benissimo a cosa mi riferisco!- risposi, con una smorfia da finta offesa.
-Non so proprio di cosa tu stia parlando- .
- Numero di telefono, caprone, ti dice niente?- .
-Non ho dato io il tuo numero ad Alessandro!- rispose con la faccia da vittima, ruolo che in quella circostanza proprio non le si addiceva.
- Sì sì, come no!- dissi sorridendole divertita.
Il tempo passò in un batter d’ occhio. Era da tanto che non dedicavo del tempo alla mia migliore amica e mi sentii molto in colpa. Lei non l’avrebbe mai fatto. Mi invitò a dormire a casa sua ed io non le feci finire di formulare la domanda che subito risposi
-Certo, ci vediamo stasera.- Così la salutai, schioccandole un bacio sulle guancia e porgendole un sorriso a trentadue denti.
Prima di sparire in quell’angolo della strada che portava a casa sua, Lella si girò gridandomi
-Flavia , dimenticavo: buttati che è morbido!- terminò facendomi l’occhiolino. Non feci neanche in tempo a contestare che già era sparita.
Guardai l’orologio. Erano le 16.00. Decisi d’incamminarmi. Magari, se fossi arrivata prima, avrei potuto incominciare a lavorare ed ero più che sicura che, non appena mister Tuttofare si sarebbe presentato, non sarebbe stato nient’altro che d’ intralcio al compito per casa che ci avevano assegnato e avrebbe rallentato il tutto.
Quando arrivai, iniziai a frugare nel borsone alla ricerca delle chiavi. Solo cinque minuti dopo ricordai che erano in possesso del principino e non potevo far altro che aspettarlo, così mi sedetti sulle scale.
Per fortuna il Caprone non si era fatto attendere molto, al contrario di ciò che avevo pensato. Appena arrivò, mi salutò a stento e lo guardai infastidita. Colse il mio sguardo d’accusa e si precipitò nel dire – Ti avevo detto di non fare ritardo, non di presentarti un’ ora prima, scimmia!’ .
Quello era davvero il colmo. Stavo per scoppiare ma decisi di fare la persona civile e optai nell’ ignoralo completamente.
Inserii il cd nello stereo, alzai il volume al massimo e mi sdraiai a terra. Alessandro mi guardò stranito e disse –Scimmia, cosa ti salta in mente? Dobbiamo lavorare, non riposarci. Per quello ci sarà tempo più tardi.-
-Oh che bravo ragazzo volenteroso. Taci, sdraiati, chiudi gli occhi e ascolta la musica.- dissi
-Ma andrà a finire che mi addormenterò- ribatté sempre più stranito.
-Se ti concentrerai, non accadrà nulla di tutto ciò. Ora ascolta quello che ti dico: Antonio ci aveva detto di ascoltare la musica, giusto? Quindi facciamolo.- .
Finalmente decise di ascoltarmi, si sdraiò al mio fianco e chiuse gli occhi.
-Senti la musica? Ora immagina la coreografia che ci ha insegnato Antonio!- dissi interrompendo il silenzio.
Dopo qualche minuto, Alessandro gridò –Ci sono!- e balzò in piedi.
Incuriosita aprii gli occhi e lo vidi ballare, lo faceva in modo ridicolo,incominciò ad imitare Sara, come se volesse rompere quel muro di ghiaccio che si era creato tra noi sin dal primo giorno e, stranamente, riuscì nel suo intento.
Scoppiai a ridere, risi di gusto come non facevo da fin troppo tempo. Mi scesero le lacrime dalle grasse risate. La risata fu contagiosa.
Sì butto per terra e si rialzò solo quando le risate finirono, circa un quarto d’ora più tardi.
Quando si riprese, si alzo, mi porse la mano e mi aiutò a tirarmi su. Poi con aria seria incominciò a dire – qui, potremmo velocizzare il tutto per poi…-
-Concludere rallentando l’ultimo pezzo. – risposi. – sai, credevo fossi un Caprone più stupido-.
-Ed io credevo che fossi una Scimmia stronza. Mi sono ricreduto.-
-Davvero?- risposi con una punta d’incredulità.
-Sì, sei solo una scimmia!- scoppiò a ridere.
Scoppiai a ridere anche io. Per una giornata il mio corpo, immerso dal buio del tunnel, aveva scorto uno spiraglio di luce, forse c’era ancora una piccola speranza di salvataggio, forse.
 

Erano le nove. Ero tornata a casa, avevo fatto la doccia, avevo preso il pigiama ed il cambio che avrei messo il mattino successivo. Mi ritrovai davanti alla porta di casa di Lella con l’indice appoggiato sul campanello mentre pensavo a quello che era accaduto poco fa con Alessandro.
-Amore caro, non sono sorda, ora puoi togliere l’indice dal campanello per favore?- mi disse non appena aprì la porta.
Inizialmente non capii a cosa si stesse riferendo, poi seguii il suo sguardo puntato sul campanello e lo tolsi imbarazzata. Mi ero persa nei miei pensieri, con lo sguardo nel vuoto e non mi ero accorta che il mio dito continuava a pigiare incessantemente quel bottone.
Quella notte non dormimmo neanche per mezz’ ora. Fummo troppo impegnate nel parlare di quello ch’ era accaduto il pomeriggio.
-Ti piace?- mi chiese Antonella
-Certo che no!- risposi senza pensarci neanche un nanosecondo. Lella mi conosceva abbastanza bene da sapere che stavo dicendo la verità. – Non è il mio tipo ma, durante tutto il tragitto di casa non ho fatto altro che darmi della stupida per aver tirato conclusioni troppo affrettate. Lo consideravo scorbutico ed arrogante ma, oggi pomeriggio, mi ha dimostrato il contrario.- .
Dopo poco mi raccontò di uno dei suoi ammiratori che, tempo addietro , aveva raggiunto la sua scuola e con la musica ad alto volume le aveva dedicato una canzone a ‘mo di serenata sotto la finestra e dell’intervento dei carabinieri subito dopo.
Accendemmo il pc, facemmo la videochiamata con Lorenzo che, alle due di notte era ancora pimpante come se fosse pieno giorno ed in fine, guidati dalla fame, ci recammo in cucina, mangiammo della frutta ed il nostro stomaco, ancora non sazio, ci spinse nell’ optare per una spaghettata, abbondante.
Arrivammo in camera sazie, divertite e stanche morte.
Ci addormentammo alle sette del mattino.
Sul pavimento.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Salve ragazzi!
Lo so, sono stata abbastanza veloce a terminare questo capitolo mah , sapete com’è, è estate e non sapevo cosa fare.
Flavia è alle prese con un ragazzo, Alessandro, che a pelle proprio non le piace ma si dovrà ricredere… cosa ne pensate? Vi piace Alessandro? Potrà mai nascere del tenero tra loro?
Lo scoprirete nel prossimo capitolo. Spero d’essere altrettanto veloce nell' aggiornare.
Alla prossima :D

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Capitolo 4
*** Rigorosamente verde ***


Capitolo 4         


 

                                    RIGOROSAMENTE VERDE











 
Ero stesa sul letto, col telecomando nella mano destra e il diario in quella sinistra.
Cambiavo canale come un ebete alla ricerca di qualcosa d’interessante da guardare e solo mezz’ora più tardi, dopo aver spulciato tra i cinquecento canali e il dito iniziò a farmi male , mi decisi a pigiare quel pulsante rosso in alto a sinistra.
Nel frattempo il diario mi cadde dalla mano e non mi sforzai minimamente di andare a raccoglierlo e soprattutto di aprirlo. Confesso, avevo paura del contenuto. Non volevo proprio starmene lì a studiare.
Alla fine presi coraggio e aprii quella dannata agenda che, più che un  oggetto nel quale riportare i compiti da fare per casa, pareva un vocabolario tanti erano gli esercizi che ci rifilavano ogni giorno.
Sgranai gli occhi quando vidi , sotto il venerdì, non che il giorno successivo, la scritta ( rigorosamente in caratteri cubitali) ‘ASSEMBLEA D’ ISTITUTO’ tradotto in lingua degli studenti : ozio per tutta la giornata.
L’assemblea d’ istituto era una benedizione che veniva concessa a noi studenti una volta al mese nel quale si dovrebbe parlare delle problematiche della scuola eccetera. Appunto, dovrebbe. Beh, almeno un punto a nostro favore.


-Flavia, anticipati i compiti per sabato!- gridò mia madre dall’ altra stanza. La raggiunsi, aprii il diario e la osservai seria, riabbassai lo sguardo e scoppiai a ridere.
Io? Anticiparmi i compiti? Quella si che era una bella battuta.
Certo, a scuola me la cavavo ma , ogni volta che si poteva evitare di fare versioni di greco e la stechiometria di chimica, lo facevo con piacere.
Insomma, non ero una di quelle persone che si anticipavano i compiti, ecco.
Decisi così di spassarmela al massimo.
Quando mi sarebbe capitato un altro giorno come quelli? Chissà, sicuramente il mese prossimo, in occasione dell’assemblea successiva.
Optai dunque nell’accendere il pc e connettermi su face book. Ero più che sicura che avrei passato l’intero pomeriggio incollata a quello schermo. No, vabbè, l’intero pomeriggio no, sarei dovuta andare a fare le prove.
Ci sarebbe stato anche Alessandro.
 

Alessandro.
 
Quel pomeriggio ci saremmo dovuti incontrare per provare, l’ultima volta prima della performance davanti ad Antonio e agli altri, l’operato di un intera settimana di lavoro.
Quella era stata una settimana pesante, anzi pesantissima.
Perché Antonio ci aveva assegnato quel compito? Voleva rovinarmi la vita? Ci era riuscito alla grande.
Non c’erano stati momenti in cui io e quel Caprone del mio compagno non avevamo  litigato.
C’erano momenti in cui volevo strangolarlo.


Bugia.

Tutto bugia, tranne sul fatto che a volte vorrei strangolarlo,sia chiaro.
La settimana era passata così in fretta che non ero ancora riuscita a imprimermi nella mente ‘Io, Caprone, amici.’
I pomeriggi trascorsi con quell’ essere erano stati belli. Ci eravamo divertiti tanto, avevamo lavorato sodo e ( mi duole ammetterlo) era stato un ottimo compagno.
Avevamo addirittura preso in giro Sara. La imitava talmente bene che il giorno precedente gliela feci ripetere per ben dieci volte.
 

Pensavo a questo mentre mi connettevo sul social network più in voga dell’ intera specie umana.
Venni richiamata sul pianeta Terra da un rumore fin troppo conosciuto. Mi avevano contattata.
Curiosa di sapere chi mi stesse cercando, mossi lo sguardo in basso a destra dove si era aperta una piccola finestra: Giorgia.
 

Giorgia era una mia compagna di scuola. Le volevo bene, sì, ma era strana ed era talmente secchiona che dire che studiasse tutti i libri a memoria è un eufemismo.
 
‘Bianchi, già finito di studiare? Sei veloce!’ Mi chiamava sempre per cognome quando voleva prendermi in giro.
 
‘Certo Esposito. Perché tu no?’
 
‘Ma come, dici davvero? Io devo ancora anticiparmi i compiti per lunedì’.  Ecco, avete presente quando ho detto che non ero il tipo che si anticipava i compiti? Giorgia era il mio esatto opposto.
 
‘Giorgia ma che scherzi? Credevo mi conoscessi abbastanza da capire che ti stavo prendendo in giro!’
 
‘In effetti mi sembrava un po’ strano’.
 
Questo fu solo l’inizio di una lunga conversazione. Mi divertivo da matti a prenderla in giro e le inviavo così le foto di ragazzi (poveretti non è colpa loro se sono nati così) brutti e ridevo dietro lo schermo immaginando la sua espressione ogni qual volta apriva i link.
Era davvero strana.
La pelle bianca, come il latte.
Sembra uscita da una di quelle puntate in bianco e nero de ‘La famiglia Adams’. Se avessero fatto i casting, l’avrebbero presa senza la necessità di partecipare ai provini. Sembra nata per far quello.
Non si vestiva proprio maluccio ma inseriva sempre qualcosa nel suo outfit che rovinava tutto ed era un pugno nell’ occhio come uno di quei bracciali strani che usa di solito oppure quella cinta che non userebbe neanche uno di quei casi disperati che vanno da Enzo e Carla in ‘Ma come ti vesti?’.
L’indumento che mi fece rimanere di stucco , però, fu un cappotto , un cappotto rigorosamente nero che arrivava a metà gamba con vari ghirigori strani, a mo’ di mago. Gliel’ avevo visto indosso solo una volta, a Natale. Credo lo usasse solo nelle occasioni importanti.
Iniziai a credere che frequentasse una scuola di magia, di nascosto. Aveva un fiuto per certe cose, un fiuto che solo coloro che praticano la magia possono avere.
Inquietante è l’aggettivo giusto per definirla.
 
Come avevo immaginato, avevo passato quasi due ore al pc e ringraziai mentalmente Giorgia per essere quel tipo che proprio non si può non prendere in giro.
 

‘Prego.’
 
Ci rimasi secca.
Prego? Era come se mi avesse letto nel pensiero.
Inquietante.
Quella sembrava esser la prova di tutte le mie supposizioni riguardo alla scuola di magia.
Andai a rileggere la conversazione e notai, per fortuna, che quel ‘ prego’ era la risposta ad un qualcosa che le avevo chiesto prima.
Tirai un respiro di sollievo, spensi il computer e scossi la testa.
Ero diventata matta, altro che Giorgia!
 

 
Ero alla ‘Born to dance’ e girovagavo per l’intera sala con l’intento di trovare lo scotch. Ero arrivata un quarto d’ora prima, giusto perché non volevo sentire mia madre che continuava a ripetermi ‘Flavia, anticipa i compiti per sabato!’.
Antonio aveva lasciato una scatola sul tavolo, piena di foto. Essendo gli unici che facevamo le prove alla ‘Born to dance’ ( le altre coppie avevano trovato un posto tutto loro a disposizione), l’insegnante ci aveva chiesto di appendere le foto di noi tutti. Ce n’erano a bizzeffe. Erano circa cinquanta, se non di più. Nonostante le mie continue richieste ( proprio non volevo che fossero appese mie foto, non sono per niente fotogenica) non vollero sapere di darmela vinta e, sapendo di non poter competere contro tutti loro, decisi di acconsentire a testa bassa. Presi così una scala e dopo aver trovato quello che cercavo, salii su di essa e incominciai ad attaccare le foto lungo le pareti.
Ad un tratto sentii la porta aprirsi. Dopo qualche secondo una sensazione. Ancora quella sensazione strana. Uno sguardo nuovo che scrutava, uno sguardo caldo.
Non era la prima volta che avevo quella sensazione. Quando l’avevo sentita?
Ci pensai un po’ su, poi ricordai.
Venerdì.
Quel venerdì in cui ero più che nera.
Quel venerdì in cui Antonio ci aveva assegnato il famoso ‘compito’.
Quel venerdì  avevo creduto che fosse solo un sintomo dell’ ira.
Ma non era ira.
Quel giovedì ero più che serena.
Cos’era allora?
Forse Alessandro.
Lo immaginai entrare in quella sala. Alto, fisico d’atleta, perfetto.
Immaginai la sua mano possente spingere la maniglia. Immaginai il suo sorriso. Immaginai i suoi occhi color miele e i suoi capelli rigorosamente biondi.
Non sentendo alcun saluto (cosa alquanto strana) e nessun rumore, decisi di girarmi.
Avevo dimenticato un piccolo dettaglio. La scala.


Non appena feci per muovermi il piede andò storto e caddi. Chiusi gli occhi pensando all’esito di quella caduta. Rimasi con gli occhi chiusi per qualche nanosecondo, fin quando non sentii un tocco. Qualcuno mi aveva afferrato.
Qualcuno mi aveva salvata.
Quella strana sensazione era sempre più vicina ed il cuore iniziò a battere forte.
Aprii gli occhi e non immaginate la mia sorpresa quando mi persi in quella distesa di verde. Erano gli occhi più belli che io avessi mai visto. Restai li, con le sue braccia che circondavano il mio stretto girovita, per qualche minuto sospesa a mezz’aria. Sentivo il suo sguardo nel mio. Era lui. Quella fonte di calore.
Quel verde.
Saremmo restati così per un altro paio di minuti , chi lo sa, forse anche per ore, se solo qualcuno non ci avesse interrotto.

-Scimmia! Possibile che non posso lasciarti un attimo da sola che subito cerchi di rimorchiare mio cugino?-
‘Merda’ pensai. Vi avevo già detto che c’erano volte in cui volevo strangolarlo? Ecco, questa era una di quelle.
-T-Tuo cugino?-  chiesi.
-Sì, mio cugino. Lo so, lo so, sono più bello io.- disse con aria modesta. – ma come, ti butti nelle braccia di un ragazzo senza neanche presentarti? Certo che non ti credevo così gattamorta - continuò.
Feci per rispondere ma le parole mi morirono in gola. Proprio non riuscivo a reagire. Iniziai a temere di Giorgia: che non mi avesse lanciato un’ incantesimo per vendicarsi di averla presa in giro?
Ero diventata un ottima amica di E.T. e, ultimamente, andavo spesso a trovarlo. Quella volta, a riportarmi sul Pianeta Terra, fu il cugino che, sempre osservandomi negli occhi, mi porse la mano e accompagnato da un sorriso a trentadue denti, disse – Piacere, Francesco.-
Era estremamente bello.
Afferrai la sua mano e mi persi ancora una volta in quel verde.
Aveva una mano calda quanto il suo sguardo. Una presa forte. Doveva essere un ragazzo molto determinato e coraggioso.
-Flavia- risposi ricambiando il sorriso, cercando di sfornane uno dei migliori anche se, ne sono più che sicura, ne usci uno da ebete.
-Ahh e… Flavia, mio cugino è IMPEGNATO.- ci interruppe nuovamente Alessandro scandendo bene l’ultima parola.

 
Accendemmo lo stereo. Solo al pensiero di dover ballare sapendo della presenza di un Francesco che non passava certo inosservato, incominciai a sudare e fui tentata nel chiamare Giorgia e chiederle di farmi sparire. Purtroppo però era troppo tardi ed Alessandro afferrò il mio polso trascinandomi in centro pista.
Francesco nel frattempo si sedette sulla sedia dalla quale aveva la visuale di tutto l’edificio. Nonostante ciò estrasse dalla tasca dei pantaloni il telefono , l’ultimo modello dell’ iphone e a mezz’ aria incominciò ad armeggiarlo serio. Mi tranquillizzai, ero più serena ed avevo maggiore possibilità di non sbagliare la coreografia.

 
Dopo poco più di mezz’ ora finimmo e Alessandro s’ infilò negli spogliatoi per cambiarsi. Rimanemmo da soli. Feci finta di continuare ad attaccare foto anche se sapevo che da lì a poco avrei fatto qualche figura di merda. Sentii dei passi avvicinarsi sempre più e soffermandosi al mio fianco incominciò a vedere le foto che avevo appeso, interessato. Vidi il suo sguardo posarsi su una foto e gli si dipinse sulle labbra un sorriso che riuscì a gestire molto bene. Seguii la traiettoria dei suoi occhi e per poco non scoppiai dalla vergogna quando mi accorsi che, la foto che stava da un po’ osservando, ritraeva me , Antonella e Lorenzo in una posa strana.
Ero imbarazzata e quel silenzio non faceva altro che alimentare il tutto.
-Non ti sei ancora rassegnata , eh?- disse rompendo il silenzio e continuando ad osservare le foto.
-N-no- risposi sorridendo rossa come un peperone. Capacità di nascondere le proprie emozioni? Zero. Ottimo Flavia.
Per la prima volta in quella nostra ‘lunga’ conversazione, staccò gli occhi dalla parete e li puntò su di me. Ricambiai lo sguardo e continuò dicendo – Avresti dovuto vederti, sembravi un sacco di patate!- scoppiamo a ridere entrambi.
Che denti, perfetti. Che sorriso. Era perfetto.

 
Sentimmo la porta dello spogliatoio chiudersi e prima che Alessandro potesse raggiungerci , Francesco si piegò un po’ ( era ad occhio e croce più del metro e ottanta. Quasi venti centimetri di differenza) e con l’indice toccò l’ estremità del mio naso e disse quasi con una punta di preoccupazione nella sua voce – Mi raccomando, attenta.-
Detto questo mi salutò con un cenno della mano e sparì assieme a quel Caprone del cugino.
Lo osservai allontanarsi fotografando la sua immagine nella mia mente.
Quanto mi piacevano i suoi capelli neri. Okay, dovete sapere che ho un debole per i capelli maschili. Non tutti, sia chiaro.

 
Tornai a casa più che stordita.
La testa non faceva altro che rimbombarmi.
Quel verde. Porca miseria quel verde.
Tutta quell’ immagine si smontava non appena mi tornava in mente un piccolo particolare, per niente superfluo.
‘IMPEGNATO’.
Tutti si stavano prendendo gioco di me quella sera, persino Madre Natura.
Appena varcai il cancello di casa intravidi quella macchina che tanto odiavo, la panda : verde.
Varcai la soglia e trovai per cena l’insalata: verde.

 
-Hai capito Flavia?-
Accennai un sì con la testa.
-E cosa ho detto?- si precipitò nel chiedere mia sorella, poco convinta che l’avessi ascoltata.
-uhm?-
-Ecco, lo sapevo, non hai ascoltato neanche una parola di quello che ho detto!-

 
Mi connessi su face book e vidi che una mia compagna di classe mi aveva inviato la foto del suo nuovo acquisto. Una maglia. Verde.
Mi infilai le cuffie. La musica che mi aveva fatto sempre da sedativo, sarebbe riuscita a calmarmi anche quella volta. Almeno così credevo.
Ascoltai ‘paint it black’ sperando che anche i miei pensieri si dipingessero di nero ma i Rolling Stones fecero da culla a quel verde insistente.
Basta, non c’era niente da fare.

 
 
-Sto male.- dissi
-Tesoro cos’ hai?- chiese Antonella preoccupata dall’altra parte della cornetta.
-Ho le allucinazioni-
- E cosa vedi?-

-Verde.-
 
 









 
Angolo autrice:
 
Ciao ragazze, come va?
Eccomi qui con la continuazione. Spero di non avervi fatto aspettare molto. Come leggerete, se lo farete, ci sarà un colpo di scena. Cosa ne pensate?
E cosa ne pensate di Giorgia? Strana ,eh?
Spero vi sia piaciuto.
Vorrei ringraziare tutti quelli che mi seguono, che mi sostengono e che recensiscono.
Un bacione, alla prossima :D

 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Opera di Zeus ***


                          Opera di Zeus

 
 
                                                                             
 
 
 
Ero lì, nella mini sala della Born to dance. In piedi aspettavo impaziente il mio turno come un salame appeso nella cantina della nonna.
La lezione era iniziata da dieci minuti e incominciai a tamburellare le dita sulle gambe con l'intento di smozzare l'ansia che, poco alla volta, si faceva più viva e s'impadroniva  del mio gracile corpo.
Si erano già esibite due coppie e i miei occhi si posarono ora sulla terza che si stava riscaldando . Non appena Antonio fece cenno loro di iniziare, incominciarono a saltellare da una parte all' altra, non facevi neanche in tempo ad individuarli che già si trovavano nella parte opposta del campo visivo. Sembravano professionisti, continuavano a ballare come se fosse l'ultima cosa che stavano facendo, senza fermarsi. I loro corpi avevano impugnato la musica che faceva loro da pennello e si fermarono solo ad opera finita. Più li guardavo più l'ansia cresceva: se poco tempo prima ero convinta che il nostro lavoro fosse impeccabile, ora i dubbi incominciavano a scimmiottare quello che meno di un' ora prima avevo definito 'perfetto'.
Come potevo essere così masochista? Non potevo continuare a guardare, dovevo a tutti i costi concentrarmi su un altro obbiettivo o muovermi che so, andando in bagno, prendendo il cellulare e giocherellare, qualsiasi cosa pur di non continuare a sottopormi a quella tortura cinese. Eppure, nonostante la mia forza di volontà, non riuscii a muovermi.Voltai la testa osservando quella figura che mi aveva affiancata da ormai più di un quarto d'ora senza aver detto una parola se non un saluto appena arrivato. Alessandro, come tutti del resto, aveva gli occhi fissi sui due ballerini. Il volto sereno, le labbra socchiuse, tutti i muscoli del suo corpo erano rilassati, erano indice di sicurezza. Mi obbligai a pensare ad altro. La mia mente incominciò a volare, sfiorando la giornata trascorsa a scuola, arrivando al regalo che avrei dovuto comprare a mia cugina per il suo compleanno , si soffermò sulla torta che avevo intenzione di preparare non appena sarei tornata a casa per poi posarsi lì dove non avrei voluto, alla sera precedente.
Verde.
'Di male in peggio' pensai.
Incominciai ad innervosirmi. Quel pensiero mi aveva tormentata anche nel mondo dei sogni e non appena riuscivo a liberarmene, riaffiorava come se non avesse nient'altro da fare che rompere i maroni alla sottoscritta.
Okay, lo ammetto, sono alquanto masochista. Scelsi così, tra le due vie infernali, quella meno dolorosa e incollai nuovamente gli occhi sulla nuova coppia che era entrata in scena. Più che coppia la definirei un trio: Massimo e le poppe di Sara.
Tanto per cambiare la Papera indossava pantaloncini mini e una canotta che definirla scollata è un eufenismo: rigorosamente rosa perché, voglio dire, lei ama il rosa e coincidenza delle coincidenze è il colore che più odio al mondo; le dita laccate di rosso e tutta la latteria in esposizione, come se avesse aperto un’ industria di latticini.
Tutto ma proprio tutto si muoveva durante la loro esibizione tranne quello che avrebbe dovuto muoversi. Quegli enormi cocomeri che le impedivano la visuale non facevano altro che rimbalzare su e giù , per non parlare del suo sedere che ondeggiava da una parte all’ atra e mandava in fibrillazione gli ormoni del pubblico maschile. Osservai Massimo e mi dispiacque per lui. Sapevo quanto ci teneva al ballo ed avevo la certezza che , oltre ad aver faticato il doppio, facendo sia la sua parte che quella di Sara, si era impegnato al massimo. Il risultato, per colpa della Biondatinta, non era stato uno dei migliori ma, ne ero più che sicura, Antonio avrebbe tenuto conto degli sforzi e della passione che quel diciottenne metteva in tutto ciò che gli veniva chiesto.
Le mie dita continuavano a tormentare senza dare un attimo di tregua alle cosce ormai rosse. L'unico spiraglio di luce era stato lo sguardo di Antonio. Certo era rimasto compiaciuto da alcune esibizioni ma , conoscendolo si può dire da sempre, non aveva ancora trovato ciò che desiderava.
- Alessandro, Flavia, è il vostro turno-
Sprofondai, come se mi trovassi sulle sabbie mobili.
-Non preoccuparti, andrà benissimo, siamo i migliori- mi sussurrò Alessandro nell’orecchio sinistro. Quelle parole mi diedero una marcia in più e con una carica che non credevo di possedere, ritornai a galla . Mi diressi verso il centro della sala , chiusi gli occhi per una manciata di secondi con l’intento di concentrarmi anche se non ci riuscii molto.
Incominciammo a muoverci sotto le note di ‘Secrets’ degli One Republic per poi continuare con ‘Afterlife’ degli Avenged Sevenfold e concludere con ‘In the End’ dei Linkin Park. Non appena la musica iniziò, aprii gli occhi e incominciai a ballare. Voltandomi trovai Alessandro che , muovendosi mi sorrideva. Ci bastò uno sguardo per capire che entrambi ci stavamo divertendo e questa era la cosa più importante di tutte. Quando finimmo la nostra esibizione non riuscii a trattenere un lieve sorriso. Volevo ballare ancora. Voltai lo sguardo verso Antonio e lo vidi in piedi, che applaudiva, guardandoci compiaciuto.
-Ecco, era questo che cercavo, questo!- gridò euforico, raggiungendoci al centro della pista. – Siete stati fenomenali .Sono orgoglioso di voi- concluse scoccandomi un bacio sulla fronte.
Ero felice come una Pasqua. Volevo dimostrare a me stessa che forse, in fondo, non ero poi così buona a nulla e riuscii nel mio intento, nonostante il mio scetticismo.
Alessandro era al settimo cielo. Mi abbracciò dandomi un bacio sulla guancia destra.  –Cosa ti avevo detto? Siamo i migliori.- gridò e trascinandomi fuori disse – coraggio, vieni, devo dirti una cosa!-
Rimasi sorpresa da quel bacio inaspettato e incominciai a correre il più veloce che potevo, anche se non riuscii a tenergli il passo,continuai a correre. Essendosene accorto, mi afferrò di polso e mi trascinò. Temetti di cadere, tanto correva veloce. Si fermò solo quando raggiungemmo, nel cortile, l’angolo ‘fumatori’. Estrasse dal pacchetto una sigaretta, l’accese e con un sorriso a trentadue denti, euforico disse –devo dirti una cosa di vitale importanza-.
Continuai a guardarlo negli occhi, curiosa di sapere quale fosse tale fonte di vivacità e mi affrettai nel dirgli – su, spara! Non tenermi sulle spine.-
Finalmente, dopo un po’ di tempo (lo aveva fatto a posta il Caprone) si decise a parlare.
Prendendomi entrambe le mani mi disse – Non ho mai avuto una migliore amica, nonostante l’abbia cercata ovunque ma, come ben sai, gli amici non si trovano nei pacchi delle patatine…-.
Interruppi il suo ‘maestoso’ discorso con una fragorosa risata. Mi guardò male e continuò dicendo – non interrompermi, sto dicendo cose serie. Dovresti segnare questa data sul calendario perché credo che un’occasione come questa non si ripeterà mai più e se continuerai a ridere e prendermi in giro, lascio tutto in sospeso e…-
-No, dai, è l’ultima cosa che vorrei, continua!-
-Allora, dicevo, tutte le amicizie che ho avuto con persone di sesso opposto sono finite male…uhm… come dirti? Sono finite appunto… uhm… a letto, ecco! Non è colpa mia se sono troppo bello, uffa. Questa volta però sono sicuro di aver trovato qualcuno che, povera, non ne capisce niente di bellezza maschile - continuò toccandosi i capelli –  riesce a resistere al mio fascino, anche se non ho ancora capito come faccia.-
-Finalmente una persona intelligente.- dissi e ricevetti come risposta una smorfia. – scherzavo, scherzavo! Continua, dai-
-Ho trovato la mia migliore amica.-
‘E cosa vuole da me ora?’ pensai sempre più dubbiosa.
-Quella persona sei tu.- disse lasciandomi di stucco. Anch’io mi ero affezionata tantissimo a lui e assieme ad Antonella, era stata la mia ancora di salvezza in quel periodo buio della mia vita data dalla lontananza di Lorenzo. Lo abbracciai.
-Ti voglio bene.- mi disse con gli occhi sinceri.
-Anch’io Caprone- mi affrettai a rispondergli.
Affondò una mano nella matassa di ricci biondi che circondavano il mio viso e guardandomi negli occhi disse -Non è tutto.-
-Dai, spara!-
- Mi sono innamorato.- buttò lì, come se niente fosse.
-Ti sei innamorato? E me lo dici così? Chi è?- chiesi sorridendo, ero davvero felicissima per lui.
-Si chiama Giusi, è una ragazza che frequenta la mia scuola. Se solo la vedessi. E’ bellissima. – Gli si illuminò il viso mentre parlava di lei. – L’ho invitata ad uscire!- continuò arrossendo.
-Ma è fantastico!- gridai saltellando da una parte all’altra come se quella che avesse un appuntamento con la persona di cui era innamorata fossi io.
Lo fissai, non lo avevo mai visto arrossire per una ragazza. ‘E’ proprio cotto’ pensai, sorridendo.
 
 
La lezione si era conclusa e dopo essermi cambiata, mi diressi verso l’ uscio della porta impregnata dal via vai della gente. Subito dopo aver salutato gli amici, nel cortile sentii degli occhi che mi scrutavano. ‘ Oh no!’ pensai riconoscendo quella sensazione che mi aveva tormentato la notte prima. Avvampai non appena ritrovai quegli occhi verdi che si distinguevano nonostante il buio che popolava la strada. ‘Questa proprio non ci voleva’. Mi persi per la quarta volta nel giro di due giorni nell’ abisso di un estraneo, quell’ abisso di verde infinito, sincero, quel verde cristallino. ‘’ Ignoralo Flavia, ignoralo. Non è la prima volta che provi questa sensazione. Credi che sia una cotta? Non credo proprio, neanche lo conosci e per lo più gli sei del tutto indifferente. Certo, ti fissa. Sai perché lo fa? Semplice: lo guardi come se avessi Marchisio al tuo cospetto. E’ solamente attrazione fisica. Passerà e neanche te ne accorgerai.’’ Diceva il mio grillo parlante.
‘Hai ragione. Ho diciassette anni, ho avuto tre cotte ( ‘’cotte? Erano solo attrazioni fisiche. Non hai mai parlato con nessuno di quei tre’’) e mi sono sempre limitata ad osservarli da lontano. Certo, spesso ricambiavano i miei sguardi ed io cosa facevo? Costruivo castelli in aria senza fondamenta e bastava un soffio di vento, che tutto crollava ed io sprofondavo nell’abisso infernale delle illusioni. Questa volta resisterò. Francesco è uno dei tanti. Passerà e non me ne accorgerò neanche.’ Ero convita, determinata. Sarei passata al suo fianco e non gli avrei rivolto neanche il più inutile dei miei sguardi. Niente. Almeno questo è quello che pensavo di fare ma come spesso accade, l’istinto ha avuto la meglio sul mio grillo parlante. ‘Dai, solo una guardatina. Una veloce. Non se ne accorgerà nessuno!’.
‘‘Stai ricadendo nella tana del lupo, Flavia. Non guardare, non guardare.’’
Cosa feci? Ovviamente guardai.
Diedi così la guardatina veloce che veloce non fu. Non avevo mai avuto un immagine di ‘perfezione’. In quell’ istante capii che, se avessi cercato quella parola sul vocabolario avrei trovato il nome ‘Francesco Rossi’. Era opera di Zeus. Splendido. Uno di quegli dei che non passavano inosservati, uno di quegli che gli scultori non potevano fare a meno di ritrarli per cristallizzare la bellezza e renderla eterna. Pareva una statua marmorea: ogni  millimetro del suo corpo pareva scolpito accuratamente da Fidia. La sua pelle era baciata dalla luna la quale giocherellava con i chiaro scuri e le ombre che mettevano in risalto la bellezza surreale che, credevo, esistesse solo nei miti greci o nei libri. Qualche passo ci separava ed il mio cuore incominciò a tamburellarmi nel petto, mentre lo stomaco si attorcigliava ed iniziai a sudar freddo. Il mio sguardo si spostò giù, vidi una sanguisuga, una sanguisuga bassina che ancheggiava da una parte all’ altra e tentava invano di richiamare la sua attenzione. Solo allora ricordai dell ‘impegnato’ scandito da Alessandro. Doveva esser senza alcun dubbio la sua ragazza.
Cosa mi aspettavo? Che la mia immagine l’avesse tormentato tutta la notte come la sua aveva tormentato me? A quel pensiero i lembi delle mie labbra si mossero dando vita ad un sorriso amaro.
‘’ Te lo avevo detto io. Tu no. Mai una volta che mi ascolti.’’
La mia vocina interiore aveva ragione, come sempre del resto. Se l’avessi ascoltata, mi sarei risparmiata quest’ ennesima delusione. Uno starnazzo attirò la mia attenzione e non potei fare a meno di non assistere alla scena.
-Amore mio, da quanto tempo! Sei la mia vita, ti amo da impazzire.-
-Anche io amore! Ma proprio tanto tanto. Sei la luce dei miei occhi. Come farei senza di te?-
Le due papere si erano incontrate. Avrei dovuto immaginare che si conoscessero. Sara e la Papera n2 si abbracciavano e baciavano. Una scena pietosa. Probabilmente si conoscevano da meno di un’ ora ed erano passate dal ‘Piacere Fintabionda’ a ‘Amore ti amo’. Rimasi senza parole. Come era possibile una cosa del genere? Proprio non riuscivo a capire. Forse perché non ero una dai ‘ti amo’ facili e, detto tra noi, quella parola non era mai uscita dalla bocca. Spostai lo sguardo, Francesco mi fissava ma feci finta di nulla. Era la prima volta che davo ascolto al mio subconscio e mi sentivo quasi bene, leggera. ‘Dimostrerò a me stessa di essere donna e le donne non creano castelli in aria’. Voltai lo sguardo e vidi Alessandro, intento a messaggiare. Quando alzò gli occhi e mi vide mi sorrise, rosso in viso. Capii al volo che stava messaggiando con Giusi, proprio come un bambino che era stato sorpreso nel mangiare Nutella. Mi voltai, dovevo tornare a casa.
 
-Fla, aspettami. Vuoi un passaggio?-
-Grazie tante cara. Sono proprio stanca.-
-sì, ho visto! Ehi sei stata bravissima. Forse l’esibizione di oggi è stata la migliore nella tua carriera da ‘apprendista ballerina’.-
-Grazie Anto. Cosa c’è?-
-Hai visto il cugino di Alessandro? Niente male eh?- disse dandomi una gomitata.
-Sarà tutto fumo niente arrosto, come tanti del resto. Basta vedere la sua ragazza per confermare tutta la mia tesi.-
- Sì, certo. Ti piace.-
-Ma cosa dici? Come può piacermi una persona che non conosco?-
-Guarda che ho visto come ti fissava , non gli sei per niente indifferente.-
-Sì, come non ero indifferente ad Alessandro ed è andata a finire che mi ha dichiarato bene eterno incoronandomi sua migliore amica.-
-Ma questa volta è diverso, fidati. Ho fiuto per certe cose.-
La guardai male.
-Va bene. Mi arrendo, mi arrendo!- disse alzando gli occhi al cielo come segno di resa. La stuzzicai facendole il solletico.
 
 
 
 
 
Tentai goffamente di inserire i libri nella cartella e si poteva dire cosa fatta quando, ad un tratto squillò il telefono.
-Ma vaffanculo!- imprecai suscitando l’ilarità di quei pochi compagni che erano rimasti in aula. Cercai in fretta di raccogliere tutto il materiale scolastico sparpagliato sul pavimento come pezzi di puzzle da ricomporre e quando terminai presi il telefono che, in quel preciso istante terminò di riprodurre l’ultima nota della suoneria.
-Merda- mormorai.
-Sai, in questi giorni sei alquanto strana.-
‘Da che pulpito viene la predica’ pensai alzando un sopracciglio avendo udito la voce macabra di Giorgia.
-Io strana? E perché mai?-
-No, sai, in questi giorni sei più impacciata del solito e , cosa più grave, sei perennemente con la testa tra le nuvole. Non sarà per caso che c’entri qualche ragazzo?-
-Ragazzo? Ma che scherzi? Sai bene che dopo l’ultima ‘cotta’ ho deciso di metterci una pietra sopra e di dedicarmi allo studio ed al ballo.-
-Sarà…-
-Andiamo,dai, si è fatto tardi.-
Puntai lo sguardo sul cellulare che , ancora nella mia mano, non aveva più squillato. Una chiamata persa di Alessandro.
‘ Alessandro? Che sarà accaduto qualcosa?’ pensai. Chattavamo in continuazione e mi mandava messaggi. Mi chiamava poche volte, solo nelle necessità più estreme.
Lo richiamai.
-Ohh Fla, ma il telefono lo tieni come optional?-
- Ah ah, non è divertente. Stavo mettendo i libri nella cartella, poi… vabbè, dai, lascia stare. Cos’è successo?-
-Sei impegnata oggi pomeriggio?-
-Veramente volevo…-
-No, annulla tutti gli appuntamenti. Oggi pomeriggio passa da me. Sai questa sera devo uscire con Giusi e mi serve un parere femminile-.
-D’accordo ci sarò, a più tardi.-
-A dopo Scimmia.-
 
Osservai l’orologio. Erano le 15.30 quando suonai al campanello dei Rossi. Aspettai per un po’, fin quando la porta non si decise ad essere aperta.
-Ma che cappero stavi facendo? Eri per caso sul cess…- .
Non terminai la frase. Volevo scappare.
-Scusa, ho sbagliato appartamento, tolgo subito il disturbo.- feci per andarmene ma una presa salda me lo impedì. Nella trappola del lupo. Ancora.

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Capitolo 6
*** Una prossima volta ***


Una prossima volta

 




Cercai di svincolarmi inutilmente. La presa era troppo salda e le mie forze, al cospetto delle sue, si annullavano completamente.
-Dove credi di andare?- mi domandò e con una mossa agile mi fece voltare e puntò i suoi occhi nei miei.
-Vado a casa di Alessandro.- risposi con ovvietà, abbassando lo sguardo come se fossi stata sorpresa nel fare qualcosa che mi era stato proibito.
-Chissà in che appartamento andrai a sbattere. Coraggio, entra. Il tempo di infilarmi le scarpe e darmi una risciacquata e ti accompagno io.-
Ero più tesa di una corda di violino e sudavo freddo. Possibile che la sua vicinanza mi facesse tale effetto? Dovevo squagliarmela ora che potevo.
-Quanti altri Rossi abitano in questa via? La possibilità di capitare in un appartamento sbagliato è pari ad una su un milione-
Ma le mie furono parole al vento. Senza mollare la presa mi trascinò in casa senza il benché minimo sforzo, chiuse la porta alle sue spalle e voltandosi ad osservarmi mi invitò ad accomodarmi indicando con la mano l'enorme divano bianco di pelle dall'aria confortevole che si trovava al centro della stanza.
Spalancai la bocca. Non avevo mai visto una casa talmente bella. Francesco sghignazzò e chinandosi su di me disse -Ehi, chiudi la bocca altrimenti entreranno le mosche- e con l'indice fece una lieve pressione sul mio mento. Sobbalzai dall'improvviso gesto ed incominciai ad agitarmi. Eravamo talmente vicini che sentii il suo profumo. Volevo avvicinarmi  ed affondare il mio viso nel suo petto imponente ispirando il suo odore fino allo sfinimento.
Durò qualche attimo. Subito dopo si allontanò e con un sorriso mesto salì le scale sparendo nel piano superiore. Mi diedi della stupida per aver anche solo minimamente pensato ad un possibile contatto fisico con quello 'sconosciuto'.
 Quella casa era stata arredata da una persona esperta dal gusto impeccabile: si alternavano ovunque il bianco, il nero ed il grigio. Dinnanzi al divano s' intravedeva un tavolino rigorosamente di vetro ed una televisione da sessanta pollici la quale si adattava perfettamente a quel salotto meraviglioso. In una vetrinetta facevano la loro bella presenza oggetti d'argento, bomboniere in esposizione ed un servizio da tè che aveva tutta l'aria di costare un occhio della testa. Un tappeto immenso ricopriva gran parte del pavimento. L'intero soggiorno era illuminato da un balcone coi vetri oscurati dal quale s'intravedeva il giardino che attirò la mia attenzione e curiosa mi avvicinai ad osservare il panorama.
 Decisi di seguire il suo consiglio dato che, ne ero più che sicura, il nostro caro Francesco non avrebbe accettato obiezioni. Raggiunsi il centro della sala ed affondai in quell'abisso di comodità. Quel divano non aveva deluso le mie aspettative, sarei voluta restare lì per ore ad oziare ma un rumore proveniente dal piano di sopra mi riscosse portandomi coi piedi per terra.
-Scusa se ti ho fatto aspettare. Ti posso offrire qualcosa? Non so, un caffè, un gelato,un...-
-Un bicchiere d'acqua andrà più che bene, grazie.- Avevo la bocca secca, come se avessi percorso tre chilometri sotto il sole cocente dell' Egitto.
Sparì nel buio del corridoio per poi ricomparire con un vassoio colmo di dolci ed il mio bicchiere d'acqua. Solo allora mi focalizzai su ciò che indossava: pantaloni jeans stretti che gli mettevano in risalto il sedere ( e che sedere!) ed una maglia verde a mezze maniche che mettevano in risalto il suo sguardo.
Incominciai a sudar freddo quando si sedette al mio fianco e con il sorriso più bello del mondo mi porse il bicchiere d'acqua ed insisteva nel dover prendere almeno uno di quei dolciumi che erano nel vassoio. Bevvi con un attacco compulsivo l'acqua e quando la sua gamba sfiorò la mia per poco non ci rimettevo la pelle. Per fortuna bloccai in tempo il mio istinto di sputare il liquido che da un po' alloggiava nella mia bocca e, convulsivamente terminai l'acqua in un batter d'occhio. Nonostante avessi bevuto tanto, la bocca non cessava d'esser secca.
-Hai mangiato sardine?-
-Come scusa?-
-Hai mangiato sardine? Hai mangiato salato? Bevi come un cammello!-
Se prima ero rossa, ora il mio viso aveva preso le sembianze di un pomodoro, sia in colore che in forma. Questa reazione suscitò grande ilarità in Francesco che si stese sul resto del divano e rise a crepapelle. La risata era più che contagiosa ma riuscii a reprimerla, anche se non del tutto, e con la mia solita espressione da ebete , facendo la finta offesa dissi - Ehi, non ridere. E poi, io odio le sardine!.-
 
 
Durante tutto il tragitto piombò un silenzio tombale che m’imbarazzò ancor più di quanto avrei immaginato ed il mio grillo parlante ne approfittò per frinirmi nell’orecchio.
Dopo che aveva portato per la prima volta alla Born to dance la sua Papera personale, avevo evitato lui ed il suo sguardo e credevo che la ‘cotta’ mi fosse passata, anzi ne ero stata più che convinta, almeno fino a quel momento. Avevo dato ascolto ad il mio ego, per la prima volta nella vita, e mi sentivo bene. Ma, come i tossicodipendenti, dopo quella stretta vicinanza, ricaddi in quel tunnel profondo. La testa mi diceva di non pensare alla gamba che sfiorava la mia, di non concentrarmi sul suo profumo inebriante, di resistere al suo sguardo; il mio cuore diceva di buttarmi nelle sue braccia , guardarlo negli occhi ed affondare il naso inalando il profumo della sua pelle.
Mentre pensavo a tutto questo, arrivammo a casa di Alessandro e mentre Francesco suonava il campanello si girò dicendomi – Ti saresti persa secondo me.-
-Io dico che sarei arrivata subito-
-Sì, certo, come no- disse con una smorfia sul viso
Ricambiai la smorfia più acida che mai e m’infilai in casa di Alessandro che mi aspettava con il suo solito sorriso a trentadue denti.
 
-Io dico la camicia bianca-
-Io dico quella nera-
Ci fulminammo con lo sguardo.
-Che ne dite di questa ?-
-Non vorrai mica sembrare un ricchione?- gridammo contemporaneamente.
-Non riesco ancora a capire come cazzo ti dice la testa. Con quale coraggio hai comprato quello schifo di maglia da finocchio?- disse guardandolo di traverso
-Ehi, ammetto che il colore non è uno dei migliori però mi piaceva il modello.-
-Quindi, quale indosserai?- chiesi, più che sicura del fatto che avrebbe scelto la maglia consigliata da me
-Quella bianca- mi caddero le braccia. ‘ Che cazzo mi ha chiamata a fare se deve seguire i consigli di questo qui? E poi come ho fatto a pensare d’essermi presa una cotta per Francesco? COME? Abbiamo gusti opposti.’
-Quali pantaloni: jeans o quelli neri con questa fantasia?- Disse mostrandoci le sue due opzioni.
-Quelli neri. La fantasia mi piace da morire.- dissi
-Decisamente i jeans.-
Ci fulminammo ancora una volta con lo sguardo.
-Aggiudicato per quelli neri.-
‘Yeah’ pensai guardando Francesco con un sopraciglio alzato.
Alessandro andò a prepararsi. Volevo squagliarmela, il pensiero di restare sola con Francesco m’inquietava, ma non potei – davi vedermi ad opera finita.- mi diceva Alessandro.
Non potendo rifiutare, decisi di sedermi e di ignorare completamente quell’essere che, ancora una volta, era seduto al mio fianco. Sbirciai le sue mosse con la coda dell’occhio: aveva il suo iphone in mano e come sempre stava facendo qualcosa che attirava completamente la sua attenzione. Stufa di starmene lì senza far niente, mi alzai dal letto e girovagai per la camera di Alessandro osservando le foto appese sulle pareti. A destra c’erano quelle di quando era bambino, a sinistra c’erano quelle più recenti. Mi avvicinai al comodino ed osservai una foto in cui erano ritratti due bambini, un biondino con gli occhi blu che sorrideva all’obbiettivo e l’altro con i capelli neri e gli occhi verdi intento a giocare con il pallone. Erano adorabili.
-Ero più bello di lui anche da piccolo.- disse senza alzare gli occhi da quello stupido telefono.
Mi voltai ad osservarlo. Ancora una volta aveva spezzato il silenzio che aveva preso il sopravvento nella camera. Gli voltai le spalle ricambiandolo con la stessa moneta; più acida che mai dissi:
-A quanto pare la modestia è una caratteristica dei Rossi.-
-Non si tratta di modestia, questo è realismo!- disse facendomi l’occhiolino e scoppiando a ridere.
Il mio sguardo che fino ad allora era contratto in una smorfia acida, si sciolse come un gelato al sole e presi a ridere anche io. Quel piccolo frangente di tenerezza venne interrotto dall’ entrata in camera di Alessandro, tutto impupato e gellato che, come se fosse nato sulle passerelle, incominciò a sfilare da una parte all’altra della camera per poi fermarsi dinnanzi a noi e chiederci  -Allora? Non sono figo?-
-La porterai a letto, cugino!-
-Ehi, Giusi non è come quelle che frequenti tu.-
-Wowowo frena, frena! Cosa stanno sentendo le mie orecchie. Ti sei innamorato.-
-Ma no, cosa dici?-
-Sì, ti sei innamorato!- grido Francesco incredulo scoppiando a ridere e correndo verso Alessandro lo pizzicò dandogli un potente schiaffo sulla nuca.
‘Maschi, pensano sempre e solo al sesso.’ Pensai.
 
 
‘Non è come quelle che frequenti tu’
Non c’era da sorprendersi. Basta osservare la Papera numero 2 per capire che razza di ragazzo sia. Ed io che, come sempre, mi ero illusa di aver trovato una persona seria. Sì, certo, una persona che cambia ragazze come se fossero paia di mutande è proprio una persona seria. Beh, una cosa era certa: non era gay.
Eppure avvertivo una sensazione per niente piacevole.
Facebook era diventata la mia droga oramai. Era l’unica medicina capace di distrarmi per un paio d’ore ma, nello stesso tempo, era un’arma mortale. Avrei passato tutta la giornata sul suo profilo, lo sapevo, ed era proprio per quello che non gli avevo mandato la richiesta di amicizia e mi ero detta che non l’avrei mai e poi mai fatto. La situazione però mi prese in contropiede. Non appena effettuai l’accesso trovai una richiesta d’amicizia : Francesco Rossi.
‘Ed ora cosa faccio?’
Accettai.
Ehi, avevo detto che non l’avrei mai mandata, non che non l’avrei accettata qualora me l’avesse chiesta lui!
Ero sul profilo di Giorgia ed osservavo le foto che da poco aveva caricato. Le osservai tutte. Era quello che facevo per tirarmi su di morale. Sapere che c’erano persone che stavano messe peggio di me mi confortava. Sentii il suono della chat. ‘Giorgia, tempismo perfetto ‘ pensai. Quando chiusi l’album mi accorsi che del resto, Giorgia non era poi tanto ‘maga’ come mi aspettavo: non era lei.
Era Francesco.
Mi aveva inviato un link. Curiosa aprii. Era la foto di Alessandro assieme a Giusi. Come erano belli insieme. La mia attenzione però si concentrò sull’abbigliamento di lui; stava davvero bene e, in parte, era anche merito mio. La chat risuonò ancora
-Se avesse ascoltato il mio consiglio ed avesse messo i jeans, sarebbe stato un figurino e a quest’ora sarebbero stati impegnati in qualche camera d’albergo-
-Io invece dico che se avesse ascoltato il MIO di consiglio, ora avrebbero annunciato al mondo intero che si amano alla follia-
-Voi donne, sempre le solite sognatrici-
-Voi uomini, sempre i soliti affamati di sesso, come se nella vita non esistesse nient’altro. Dai però siamo stati bravi entrambi con Alessandro.-
-Sì, dai, un po’ più io, però, tutto sommato…-
-Ma smettila!-
Mi inviò come risposta una sua foto che lo ritraeva mentre faceva l’occhiolino. Arrossii.  M’incantai a guardarlo per circa mezz’ora, poi mi ripresi e decisi di liquidarlo con una scusa qualsiasi ma fu lui che prese le redini facendo ciò che avevo progettato.
-Ci vediamo presto, ciao- disse mandandomi uno stupido adesivo di una scimmia che salutava. Risi da sola dinnanzi allo schermo come una stupida. Una cosa mi fece rallegrare: ‘ci vediamo presto’, ci sarà una prossima volta.

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