La Morte ha gli occhi d'oro

di Helektra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La visita della Morte ***
Capitolo 2: *** Un'allegra riunione di famiglia ***
Capitolo 3: *** La morte negli occhi ***
Capitolo 4: *** Vicini all'oblio ***



Capitolo 1
*** La visita della Morte ***


Note dell'autrice: il primo capitolo mi è venuto in mente una sera, mentre non stavo facendo niente e spero di continuarlo, anche se non so quando potrà succedere... Per favore è la mia prima vera storia, quindi vi prego abbiate pietà di me, ma se avete consigli e suggerimenti sono tutta orecchi per migliorare ogni giorno :) Adesso vi lascio al primo capitolo di una storia che spero che vi appassioni come sta appassionando me mentre la scrivo :)

 
Il ragazzo era seduto sulla sua scrivania, curvo, come se il peso della responsabilità lo schiacciasse e lo deprimesse sempre di più. Si prese la testa tra le mani, mentre osservava il fascicolo che aveva davanti gli occhi, cercando di trovare un nesso in quella storia senza spiegazioni, senza nessun punto di appiglio, di un caso che riguardava una bambina scomparsa nel nulla durante un’uscita con i genitori. Erik osservò attentamente la foto della piccola bambina di otto anni, con i codini e un sorriso sbarazzino sulla faccia, il nasino all’insù e un piccolo buco nel sorriso, dove mancava un dente appena caduto. Sbatté il pugno sul tavolo, preso dalla profonda frustrazione, cercando di sfogare in qualche modo la sua rabbia. Come si faceva a rapire una bambina? Come si faceva a lasciare i genitori in quella disperazione profonda che regnava in quel momento nella loro famiglia?
Erik scosse la testa, ancora una volta, portando una mano tra i capelli e scuotendoli leggermente, come faceva sempre quando era nervoso o pensieroso, ma nulla in quel momento avrebbe potuto aiutarlo a comprendere qualcosa su quel caso: la bambina era scomparsa nel nulla, senza lasciare tracce, mentre la polizia vagava nell’ombra, come lo stesso giovane investigatore che non aveva testimoni con cui parlare o indizi su cui ragionare. Decise di prendersi un attimo di pausa, per cercare di fare mente locale e sperare che in quel modo avrebbe intravisto qualche indizio minuscolo che in quel momento gli sfuggiva.
<< Jasmin! Preparami un caffè! >> Erik aveva una segretaria, una ragazza che studiava criminologia, simpatica e con cui non faceva altro che scherzare, facendo anche battute abbastanza spinte nonostante la ragazza fosse sposata da un anno. Era una bionda formosa, senza veri e propri gusti in fatto di musica o film, ma era abbastanza intelligente per la sua età e lo aveva aiutato in molti casi.
Jasmin entrò di corsa nello studio, saltellando da una mattonella all’altra, cercando di fare lo slalom tra i fascicoli di carta che erano sparsi sul pavimento.
<< Quando ti deciderai a mettere tutto in un computer come si deve e a mettere da parte tutti questi fascicoli di casi risolti? >> La ragazza sorrise, mentre la camicetta troppo stretta e troppo trasparente metteva in mostra le sue forme abbondanti.
Il ragazzo scosse la testa a quel tentativo banale di metterlo in difficoltà e sorrise indicando i suoi vestiti: << E tu quando capirai che non servono magliette scollate o trasparenti per conquistare un ragazzo? >>
Lei rise di gusto e poggiò il caffè sull’unico punto della scrivania dove non c’erano fogli sparsi e in disordine.
<< Ovviamente mai! >> Si sventolò con la mano, sbattendo più colte le ciglia, poi scoppiò a ridere, contagiando anche Erik che per un attimo si distrò.
<< Sei impossibile! Come sta tuo marito? >>
<< Sta benissimo. Un po’ stanco per il lavoro in ufficio, ma sta lottando per diventare un uomo importante, quindi non posso far altro che appoggiarlo. >>
Erik annuì e le sorrise. << Quanto ti manca alla laurea Jasmin? >>
<< Sto preparando la tesi in questo periodo. Ho deciso di concentrarmi su quell’omicida misterioso che sta girando adesso in città. Il modus operandi è sempre lo stesso, ma i posti in cui gli omicidi avvengono sono sempre diversi e anche il modo in cui uccide. Non c’è un rituale. Sembra che l’assassino vada davanti alla sua vittima e la uccida senza tante cerimonie. >> Jasmin sospirò << In più è importante notare come l’assassino si limiti ad uccidere solo grandi imprenditori che erano stati sospettati di accordi con la malavita. Non uccide neanche le guardie delle sue vittime. È strano e sarà divertente provare a capire cosa vuole davvero. Di sicuro deve essere un ottimo miratore, forse un ex cecchino dell’esercito? >>
Lei annuì, mentre usciva fuori dalla stanza, pensando e rimuginando tra se e se e ogni tanto parlando ad alta voce. Erik scosse la testa, divertito dal comportamento di Jasmin che, fortunatamente, riusciva a distrarlo quando aveva un attimo di pausa. Il ragazzo non voleva ricominciare a lavorare subito sul suo caso, perciò accese la tv, solo per far finta di vedere qualche programma. Casualmente la tv si accese su un telegiornale, che trasmetteva la notizia di un importante uomo d’affari che avrebbe passato la serata in un locale della città, in attesa di ripartire per incontrare i ministri del parlamento italiano. La notizia non avrebbe significato nulla se la reporter non avesse detto che l’uomo era stato sospettato di contatti con la malavita e che quindi si temeva l’attacco dell’assassino che aveva terrorizzato tanti malviventi.
Il giovane investigatore chiamò Jasmin che subito corse a sentire la televisione, fremendo e tremando per l’eccitazione.
<< Capo! Io questa sta sera non ci sarò! Devo presentarmi alla discoteca e cercare di entrare per vedere se ci sarà la Morte! >>
Erik scoppiò a ridere vedendo l’eccitazione della ragazza, che sembrava una bambina davanti ad un lecca-lecca gigante. Le scompigliò i capelli sulla testa e Jasmin si imbronciò proprio come una bimba di cinque anni, poi scoppiò a ridere.
<< E cosa dirà tuo marito quando saprà che sei andata in una discoteca quando dovresti tornare a casa a badare a lui? >>
Jasmin sbuffò, facendo sorridere ancora di più Erik. << Beh gli dirò che mi ha costretto il mio capo se questo non manterrà il segreto! >>
Erik sorrise ancora, poi la curiosità di cercare di scoprire chi fosse la Morte lo sorprese e d’impulso decise che quella notte sarebbe andato in una discoteca, non per cercare qualche bella ragazza con cui divertirsi, ma per assistere ad un assassinio.
<< Verrò con te! >> A quella esclamazione la segretaria rimase così sconcertata che strabuzzò gli occhi tanto che divennero tutti bianchi.
<< Che c’è? Sono ancora giovane! Ti ricordo che ho solo 26 anni! >>
Detto questo Erik spense la tv e le luci, poi i due si separarono e si andarono a preparare per quella serata.
 
 
Tre ore più tardi, verso le otto di sera, si ritrovarono entrambi davanti all’entrata della discoteca più piena della città. Grazie ad un vecchio amico di liceo di Erik, i due giovani erano riusciti ad entrare senza tanti problemi, ricevendo solo qualche occhiataccia dalle persone che stavano attendendo in fila.
Dentro la sala era buia, mentre le luci stetoscopiche e l’alta musica distraevano e confondevano i nuovi arrivati, che aspettarono che i loro occhi si adattassero all’oscurità. Come sempre Erik fece un giro del locale per accertarsi che ci fossero uscite di emergenza in caso di pericolo e per controllare la sicurezza del luogo. Siccome un ricco imprenditore di malaffare come Edmund Mhoone aveva deciso di passare la serata in discoteca, le guardie si erano disposte in cerchio per osservare attentamente tutto il grande perimetro della discoteca, mentre altre, esattamente cinque, si trovavano vicino ad Edmund, impedendo a chiunque di passare, a meno che non fosse stato lo stesso ricco e avvenente uomo a decidere di far entrare nel suo circolo qualche persona. L’uomo in questione si trovava seduto su un divanetto di pelle, senza indossare alcuna maglietta, rimanendo a petto nudo e mostrando a tutti i suoi pettorali, mentre tre ragazze, tutte vestite in modo troppo appariscente, lo accarezzavano e gli sorridevano maliziose. Il riccone aveva i capelli tra il biondo e il castano e aveva un paio di occhiali da sole calati sul lungo naso,nonostante fosse all’interno di un luogo chiuso e buio. Erik storse la bocca disgustato da quell’uomo che gli ricordava troppo la sua famiglia di appartenenza e decise di sedersi al bancone, mentre teneva d’occhio Jasmin che ballava e osservava la possibile vittima cercando di non farsi notare.
Passarono sei ore ed il giovane investigatore si stufò di aspettare. Non era successo ancora niente e sospettava che niente sarebbe accaduto. Oramai erano le due del mattino e la stanchezza cominciava a sentirsi, perciò decise di cercare con lo sguardo Jasmin per dirle che sarebbero tornati a casa. E proprio in quel momento il suo sguardo si fissò su una figura al centro della sala, perfettamente immobile.
La figura in questione era quella di una ragazza stupenda, che Erik non aveva mai visto prima. Stonava con gli altri presenti in sala, forse perché, nonostante fosse immobile, aveva l’aria di essere pronta a scattare e a colpire, pronta ad azzannare alla gola chiunque le si fosse avvicinato. Attorno a lei non c’era nessuno, quasi come se tutti avessero paura di avvicinarla, così da permettere ad Erik di osservarla, mentre il suo respiro si spezzava e il suo cuore accelerava i battiti.
La ragazza aveva l’aspetto giovane, aveva venti anni al massimo. Il suo corpo era snello e atletico, elastico, nonostante non facesse nulla per dimostrare ciò. Gli aderenti pantaloni di pelle nera le fasciavano le gambe e i glutei, rendendo stupende quelle gambe lunghe e fine, da modella, mentre gli stivali di pelle con il tacco a spillo slanciavano la sua figura. Una maglietta nera le rimaneva addosso come un fidanzato ossessivo, ma le lasciava scoperta il ventre piatto e con un piercing all’ombelico che scintillava ogni volta che veniva illuminato dalle luci dello stetoscopio, mentre un giacchetto di pelle le proteggeva le spalle e le braccia. I lunghi capelli castani le scendevano lungo le spalle e lungo la schiena, fluenti e mossi come le onde del mare, in netto contrasto con la pelle chiara che la rendeva simile ad una bambola di porcellana, fragile e da accudire con cura. Le sue labbra rosse e carnose avevano gli angoli leggermente sollevati all’insù, come se fosse sul punto di sorridere in quel preciso momento. Ma la cosa più stupefacente erano i suoi occhi. Quella ragazza aveva uno sguardo capace di entrare nell’anima di una persona, di scrutarla, di analizzarla nei minimi particolari, come se volesse decidere chi fosse degno di vivere o no.
Erik sentì un brivido corrergli lungo la schiena, mentre si chiedeva chi diamine fosse quella sconosciuta e mentre si domandava in quale modo avrebbe potuto parlarle. Non avevo mai avuto quel genere di problemi prima d’ora: aveva un fisico asciutto e atletico, capelli biondi abbastanza lunghi da permettere ad ogni ciocca di stare come gli pareva, conferendogli quell’aspetto da ribelle, accresciuta dall’orecchino all’orecchio destro che aveva deciso di portare all’età di sedici anni e che attirava molte ragazze, mentre i suoi occhi azzurri e il sorriso sbarazzino diminuivano leggermente quell’aria di ruvido fascino e lo facevano sembrare un ragazzo apparentemente ribelle, ma anche fragile e dolce, conferendogli l’aspetto di misteriosità e profondità d’animo che attrae ogni ragazza nel giro di cento metri. Come se non bastasse apparteneva per nascita ad una famiglia facoltosa e quindi era popolare, sempre al centro dell’attenzione o in tv accanto alla sua famiglia. Inoltre la camicia mezza slacciata, bianca e semi trasparente anche in un locale del genere, e i jeans azzurri rendevano evidenti il suo fisico e, come gli aveva fatto sempre notare Jasmin, il suo posteriore da favola.
Molte erano sempre state le ragazze che ci avevano provato con lui, anche quella sera, e molte erano le ragazze che erano cadute sotto il suo fascino quando aveva deciso che le avrebbe conquistate. Ma nessuna, nessuna di loro, aveva mai fatto sentire quelle reazioni in lui. Era abituato a sentire il cuore aumentare i battiti, ma solo quando pensava a quello che ci sarebbe stato dopo un suo bacio. Invece in quel momento la sola vista di quelle sconosciuta gli aveva fatto venire il batticuore e mozzare il respiro in gola. Una tremenda curiosità si era impadronita di lui, spingendolo a scoprire chi fosse la ragazza e a conquistarla e renderla sua.
Ma quella era scomparsa nel nulla. “ NO! La devo trovare! ” Pensò, ma subito si pentì, perché la vide mentre si avvicinava sinuosa ed elegante al ricco milionario. Aveva il passo di un predatore: elegante ed affascinante, “ Come una tigre che prima ti ammalia con la sua bellezza e poi ti azzanna. ” Pensò ancora.
Ma la ragazza non si era avvicinata ad Edmund Mhoone per conquistarlo e ricevere qualche favore. No. La sconosciuta tirò fuori da sotto il giacchetto di pelle una pistola nera e fece fuoco mirando tra le guardie del ricco imprenditore, centrando in pieno petto Edmund, mentre tutte le luci della discoteca scoppiarono, coprendo il suono dello sparo.
L’ultima cosa che il ragazzo vide, prima che le luci di spegnessero, furono due occhi che si erano fissati nei suoi, che lo sondarono, poi il nulla assoluto.
Nella sala regnava un silenzio innaturale, mentre tutti si domandavano cosa fosse successo.
<< Signori, la Morte è venuta a farvi visita! >> una voce sensuale proruppe nell’improvviso silenzio, poi le urla cominciarono e nel buio scoppiò il caos quando le persone capirono cosa era appena accaduto.
 
 
 
Due ore più tardi, verso le quattro di mattina, Erik stava pensando ancora a quello che aveva visto, anche se gli era molto difficile, visto che Jasmin aveva avuto una crisi nervosa dovuta allo shock e in quel momento stava borbottando al alta voce e scrivendo su un blocco note che aveva sempre con se. Erik scosse la testa, mentre la osservava e cercava di capire come avesse potuto assumere una ragazza così. Scosse la testa, poi si prese una sigaretta dal pacchetto che portava sempre con se e la accese, aspirando una lunga boccata. La mente gli si schiarì un poco e poté ragionare.
Si chiese come mai non avesse detto alla polizia della ragazza che aveva visto sparare, ma si era limitato a dire di aver sentito la voce pronunciare quelle parole e poi aveva cercato di calmare la folla impazzita per la paura non appena le luci di servizio si erano accese e tutti avevano visto il corpo senza vita di Edmund, mentre una macchia rossa si espandeva sui suoi vestiti. Erik aveva avuto modo di vedere il cadavere appena la situazione si era calmata ed era arrivata la polizia. Era stato inutile cercare il battito cardiaco dell’uomo, poiché era chiaro che era morto. Giaceva mezzo disteso sul divanetto dove proco prima si trovava con le donne, gli occhi aperti che fissavano il nulla, un sorriso sicuro di se stampato sul volto, impresso per sempre sulla sua faccia. Sembrava che non si fosse reso conto della morte che era venuto a prenderlo. Erik, dopo aver visto il cadavere aveva provato e ricordarsi, senza farsi notare, la posizione della sconosciuta, che ora identificava con il nome di Morte, e quella delle guardie.
Quando aveva sparato, la ragazza non si trovava ad una distanza eccessiva della sua vittima, ma il fatto che fosse riuscita a colpire il petto di Edmund senza colpire le guardie che lo proteggevano indicava che la sconosciuta era una brava tiratrice.
“ E’ ovvio! E’ riuscita ad uccidere tre malavitosi senza rimanere uccisa e senza colpire a morte nessuna guardia! Deve essere un mito in fatto di armi e di mira! ”
Ma la cosa che stupiva di più il giovane era che la sconosciuta era scomparsa subito dopo l’uccisione e la polizia non aveva trovato tracce di auto o moto partite in tutta fretta, eppure sapeva che una ragazza con i tacchi a spillo, per quanto atletica e brava, non riusciva a correre per tanto tempo.
“ Ma allora dove è finita? Probabilmente avrà lasciato un’auto da qualche parte non eccessivamente lontano da qui e se ne è andata in tutta tranquillità per evitare di destare sospetti. ”
<< Aaaaaah! Basta pensarci! >>
Lo scatto improvviso del ragazzo aveva fatto sobbalzare Jasmin che lo guardò stravolta. Lui si scusò e le disse che sarebbe andato a perlustrare i dintorni della discoteca per vedere se fosse riuscita a notare qualche traccia che ai poliziotti era sfuggita, anche se sapeva che non avrebbe detto niente alla polizia nel qual caso avesse trovato qualcosa. Stranamente nutriva uno strano senso di protezione verso quella sconosciuta dall’anima guerriera, ma che esteriormente sembrava dovesse essere protetta da una teca di vetro.
Andò dietro alla discoteca, senza neanche osservare la terra in cerca delle impronte di tacchi a spillo, poiché era sicuro che oramai la ragazza fosse lontana chilometri e che non l’avrebbe più rivista.
“ Ma perché mai una ragazza così bella dovrebbe uccidere tutti i malavitosi? ” Era questa la domanda che più gli premeva e che gli aveva fatto venire un mal di testa incredibile. Si fermò perfettamente dalla parte opposta dell’entrata della discoteca e osservò attorno a se. C’era una scaletta che portava al terrazzo della discoteca, protetta da una ringhiera che qualsiasi persona avrebbe potuto facilmente scavalcare. Erik diede le spalle a quella scaletta e si mise ad osservare la landa desolata dietro la costruzione, simbolo di una campagna perduta per far posto a giovani che volevano divertirsi, poi aspirò un’altra boccata dalla sigaretta e la stava per gettare a terra, visto che era arrivato al filtro, quando una voce sensuale, proveniente da dietro di lui, lo fece irrigidire e spaventare.
<< Non dovresti fumare, fa male ai polmoni. >> La voce era la stessa che aveva avvertito in discoteca prima che si scatenasse il pandemonio, infatti quando si voltò di scatto si ritrovò davanti la bellissima ragazza, la Morte.
Mentre nel locale gli occhi della sconosciuta gli erano parsi di un semplice castano, in quel momento, illuminati dalla luce della luna piena, brillavano di un intenso giallo, come quelli di un felino. Quegli occhi lo fissavano spudoratamente, con ostentazione, mentre un sorriso sarcastico era stampato su quel magnifico volto. Erik si accorse che la ragazza, da vicino, sembrava ancora più piccola di quanto avesse immaginato.
“ Mio dio! sembra un’adolescente! ”
Quando il giovane si accorse di avere la bocca spalancata per lo stupore la richiuse prontamente e la giovane di fronte a lui scoppiò a ridere. L’assassina indossava gli stessi vestiti di due ore prima, segno che non era andata alla sua dimora, ma che era rimasta tutto il tempo nelle vicinanze della discoteca.
<< Come ha fatto la polizia a non scoprirti? >> Alla sua domanda la sconosciuta rise e si poggiò sulla ringhiera, in una posa naturale e rilassata, ma dal guizzare dei muscoli si capiva che sarebbe stata pronta a scattare al minimo segno di pericolo. Messa in quel modo, con una gamba poggiata dietro di se, nonostante il suo giacchetto fosse aperto, non si vedeva la pistola.
“ Dove l’ha nascosta? ”
La ragazza sorrise con aria strafottente << Sotto gli occhi di tutti. >> Senza cambiare posizione la sconosciuta modificò la sua espressione. Gli occhi le si riempirono di lacrime e sembrò scioccata e spaventata. << Oh dio… cosa sarà successo? Io..io stavo… ballando e poi…poi la luce è andata via…e quella voce >> Cominciò a singhiozzare e si coprì il volto con le mani. Il giovane, colto alla sprovvista, si avvicinò alla sconosciuta per confortarla, ma quella alzò di scatto la testa e lo guardò di nuovo con aria strafottente e sicura di se.
<< Come vedi mi viene facile fingere e i poliziotti non credono mai che una ragazza come me possa essere una spietata assassina. La polizia mi ha interrogata mezz’ora fa. >> La sconosciuta tirò fuori un portafogli e lo aprì. Era un portafoglio da uomo, di pelle marrone. Dentro c’erano pochi contanti e documenti. La ragazza tirò fuori la carta di identità e l’aprì e osservò il nome e la foto del documento del ragazzo di fronte a lei.
<< Dopo tutto ci eri cascato anche tu, Erik Mc Tavish. >> Erik spalancò gli occhi, senza capire quando la ragazza avesse avuto l’opportunità di prendergli il portafogli che solitamente si trovava nella sua tasca posteriore. Si tastò i pantaloni, ma quello che aveva davanti era chiaramente il suo portafogli. La ragazza glielo consegnò, non prima di aver preso un biglietto da visita e averlo fatto sparire da qualche parte.
<< Perché non mi hai ucciso? Potrei svelare chi sei alla polizia. >> Il tono di Erik era sarcastico ed imbarazzato, poiché nessun ladro era riuscito a rubargli qualcosa e poi quella ragazza, sbucata dal nulla, l’aveva fregato due volte.
Lei si limitò a sorridere, alzando la mano sinistra e poi un dito alla volta. << Primo: ti ho tenuto d’occhio e ho visto che non hai detto niente di me alla polizia, nonostante avresti potuto e dovuto. Secondo: se provi a farlo in qualsiasi momento io lo saprò e tu sarai morto e la tua denuncia scomparsa prima che tu abbia il tempo di capire cosa stia succedendo. Terzo: sei una preda interessante. Forse voglio catturarti vivo. >>
I due si soppesarono un attimo con lo sguardo, come a voler capire quanto l’uno e l’altro fossero seri.
<< Perché nessun poliziotto è riuscito a trovare le tue impronte nel database della polizia? >>
La ragazza ghignò, mentre il suo sguardo si trasformava. Per un attimo il ragazzo pensò di vedere scorrere negli occhi dell’assassina un lampo del suo passato, un lampo di paura e odio.
<< Perché sono morta da molto tempo. >> Quella risposta lasciò spiazzato il ragazzo, che però decise di non insistere.
<< Chi sei? >>
<< La Morte. >>
Quella risposta, schietta e seria, non poteva che confermare del tutto quello che aveva pensato dal momento in cui l’aveva vista sparare, ma che forse il suo cervello aveva già accettato da quando aveva esaminato tutte le prove della serata. L’unica cosa in sospeso rimaneva una domanda aperta, a cui, forse, quella sconosciuta non avrebbe mai risposto.
L’investigatore si avvicinò a lei, anche se ogni neurone nel suo cervello gli gridava di non farlo, poi la fissò negli occhi, cercando di capire le sue intenzioni.
<< Come ti chiami? >>
La sua voce fu un sussurro, eppure un grido nella notte silenziosa. << Methin. Piacere di conoscerti Erik Mc Tavish. >>
Il ragazzo non rispose, la fissò negli occhi, la guardò e si perse in quell’ambra dorata, in quel mondo d’oro del suo sguardo, mentre il suo corpo si muoveva senza che il cervello glielo avesse ordinato. Prima che se ne rendesse conto si era avvicinato drasticamente alle labbra della ragazza e le stava per toccare con le sue. Pensò che in quel momento sarebbe morto, forse per colpa del suo cuore che batteva troppo forte, o forse per un colpo di Methin, che lo avrebbe ucciso appena avesse capito cosa voleva fare. Ma la ragazza non si mosse, anzi forse si avvicinò al giovane e Erik si sentì pervadere da una strana felicità quando le loro labbra di toccarono, mentre quelle carnose e morbide della ragazza prendevano vita sotto le sue e le sue mani si impigliavano nei suoi capelli.
Quando entrambi si staccarono avevano il fiatone. Lei sorrise. Era un sorriso vero, non sarcastico o un ghigno malvagio come quelli che aveva mostrato prima. Le trasformò tutto il viso: per un attimo non sembrò più una spietata assassina che avrebbe potuto uccidere il mondo intero e rimanere illesa, ma una semplice adolescente che ha baciato il ragazzo che le piace. Eppure in quel sorriso, guardando bene, c’era qualcosa del suo passato. Infatti era uno di quei sorrisi che spuntano quando ciò che hai vissuto è oscuro e pieno di dolore, ma sai che ormai è passato. Era il sorriso di una ragazza che sapeva che stava facendo qualcosa non solo per vendetta personale, ma per il mondo intero.
Methin si staccò definitivamente da Erik, ma sentì un improvviso freddo al cuore, come se per la prima volta qualcuno l’avesse scaldata dall’interno. Il suo sorriso scomparve e il suo sguardo si rabbuiò, quando si rese conto di quello che era appena successo e di cosa avesse provato e prima che Erik potesse dirle qualcosa lei saltò sulle scalette del muro della discoteca e si aggrappò con le mani ad un tubo, issandosi sul muro della discoteca e scomparendo, mentre il ragazzo si domandava come facesse ad avere un’agilità così nonostante i tacchi alti. Erik si voltò verso il cielo, verso quelle stelle luminose eppure così sbiadite rispetto a prima e pensò quanto fosse buia la notte, senza quel mondo d’oro accanto.

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Capitolo 2
*** Un'allegra riunione di famiglia ***


Erik si maledisse ancora una volta, mentre si trovava davanti allo specchio della sua camera da letto, tentando di aggiustarsi il nodo della cravatta, come se fosse un boia che sistema il nodo del cappio del condannato, solo che la vittima in quel momento era lui.
Quando aveva ricevuto quella telefonata, due pomeriggi prima, non era riuscito a parlare, ascoltando la voce al telefono che gli diceva solamente che due giorni dopo si sarebbe dovuto presentare alla vecchia casa della sua famiglia, perché si sarebbe tenuta una riunione di tutti i parenti e lui, essendo sempre figlio di Lucan Mc Tavish, era tenuto a partecipare.
Il ragazzo non aveva potuto far altro che accettare, mentre tanti ricordi gli si affacciavano nella mente, soprattutto della piccola sorellina Evelyn e della madre Anne.
La sorellina di appena dieci anni aveva i capelli neri e lisci talmente lunghi che le coprivano la schiena, intensi occhi castani mentre un nasino alla francese e labbra carnose e rosse completavano il volto leggermente arrotondato della bimba. Evelyn, per la sua età, era molto matura tanto che era stata lei a consigliare al fratello maggiore di lasciare la casa. Inoltre era una vera ribelle, tanto che nessuno riusciva a farle fare qualcosa se lei stessa non ne aveva voglia. Ci avevano provato con le buone e con le cattive alcune volte perfino Lucan aveva tentato di convincerla usando quel suo sguardo che avrebbe fatto obbedire chiunque, ma la piccola si era sempre limitata a fissarlo apertamente negli occhi e a rispondere con un secco e definitivo ‘ No ‘ prima di uscire dalla stanza. Anche quando Lucan aveva vietato a chiunque di mettersi in contatto con Erik lei era riuscita a comprare un telefono cellulare da dove tutte le sere chiamava o riceveva le telefonate del fratello maggiore e alcune volte era riuscita perfino a convincere la madre per andare a trovarlo.
Ad Erik mancava molto anche la madre, Anne, con lunghissimi capelli neri e ricci, la carnagione scura e gli occhi di un marrone talmente scuro che si confondeva con il nero della pupilla mentre le labbra erano chiarissime e fine rispetto al resto. La madre era natia dell’Africa, ma poi era stata adottata da una famiglia ricca che non aveva avuto figli e così era diventata l’erede di una grandissima somma di denaro e di molte proprietà che poi erano accresciute quando aveva sposato Lucan Mc Tavish, per amore. Anne sembrava molto simile al cioccolato al latte: era dolce e gentile con chiunque, anche con persone che non aveva mai conosciuto. Erik ricordava gli abbracci della madre capaci di riportargli il sorriso anche se qualche secondo prima avrebbe voluto uccidere qualcuno, per l’esattezza suo padre. Il giovane sorrise al ricordo delle due ragazze che quel giorno avrebbe rivisto, poi prese le chiavi di casa e della macchina, si aggiustò la giacca che si era messo e uscì dalla porta di casa.
 
Nello stesso momento, ma in un luogo diverso, una ragazza si stava osservando allo specchio cercando di sistemare gli ultimi dettagli prima di uscire di casa.
I lunghi capelli castani erano sciolti e le scivolavano lungo la schiena, ma le ciocche davanti erano state raccolte in due treccine che le scorrevano lungo la testa e scendevano fino alla nuca, in modo che non le avrebbero coperto la visuale in caso di un’azione pericolosa.
Indossava un vestito blu scuro aderente lungo il busto mentre la gonna si allargava dopo i fianchi anche se era lunga solo fino al ginocchio, presentava un leggero spacco sul lato destro dove lei aveva legato una fondina dove poter mettere la sua adorata pistola. Un paio di orecchini in oro bianco con una pietra azzurra e un bracciale abbinato nascondevano rispettivamente una cuffia e un microfono con cui avrebbe potuto parlare con il suo stretto collaborato, nonché suo fratello minore che in quel momento stava entrando nella stanza e la stava osservando attraverso lo specchio.
Lei ruotò su se stessa per farsi ammirare, mentre il fratello le sorrideva ammirato.
<< Sei bellissima questa sera sorellina. >>
Methin sorrise mentre osservava la figura del fratello che si trovava di fronte a lei. Con i tacchi di circa dieci centimetri arrivava quasi a guardarlo negli occhi e Raphael era alto un metro e ottanta, centimetro più centimetro meno. Era un paio di anni più piccolo di lei, che ne aveva compiuti da poco ventiquattro, ma non lo dimostrava affatto, anzi era lei che sembrava più piccola di fronte a lui. Aveva i capelli lunghi per la moda del momento, tanto che alcune ciocche spesso gli andavano a finire davanti agli occhi. Definirli neri, però, non era dare una vera definizione. Ad essere precisi i suoi capelli era di un nero profondo e cupo come le notti senza Luna di un tempo in cui non c’era ancora l’elettricità e le candele non potevano niente contro il buio. I capelli spesso andavano a coprire leggermente quei suoi bellissimi occhi verdi intensi e profondi, del colore degli smeraldi, capace di fissarti e di scovare ogni minimo segreto della tua anima. La pelle era scura di suo e non frutto di numerose ore passate a prendere il sole perché Raphael non passava moltissimo tempo alla luce, ma quasi tutto il giorno lo trascorreva di fronte ad uno schermo del computer per creare nuovi programmi e nuovi virus. Raphael era infatti un hacker eccezionale in grado di entrare nei siti di tutti i servizi segreti di tutto il mondo, grazie anche al velocissimo computer che avevamo installato in una stanza della casa e che era costato tantissimi soldi che avevamo guadagnato.
Era stato proprio grazie a lui che la giovane era riuscita a procurarsi l’invito di cui avevo bisogno per entrare nella casa lussuosa per la missione e sempre lui era stato in grado di inserire il suo nome falso sulla lista degli ospiti. Nonostante Raphael passasse molto tempo davanti al computer aveva un vista perfetta e una mira altrettanto perfetta: quando ancora era un bambino praticava il tiro con l’arco ed era già un ottimo tiratore e dopo gli insegnamenti e gli allenamenti della loro madre adottiva era in grado di usare perfettamente un fucile da cecchino e di prestare soccorso nei casi di emergenza nelle missioni di Methin.
Come se non bastasse, poi, Madre Natura gli aveva concesso una memoria fotografica e ogni istante della sua vita era oramai un impronta marchiata a fuoco nel suo cervello. Alcune volte, però, la memoria può essere un cattivo bagaglio e si preferirebbe dimenticare soprattutto per chi aveva vissuto esperienze come quelle del ragazzo e di Methin.
Anche se occupava la maggior parte della giornata passandola davanti ad un computer, il ragazzo dedicava parte della propria giornata all’addestramento del corpo e al ripasso delle tecniche di combattimento corpo a corpo, insieme alla sorella maggiore, perché la madre adottiva aveva sempre insegnato loro che ‘ Un buon ladro ha sempre un corpo allenato per affrontare ogni tipo di evenienza. ‘
<< Che ne dici, sono pronta? >>
Il ragazzo la fissò dall’alto verso il basso, controllando ogni minima cosa, perfino le scarpe abbinate al vestito, poi le sue labbra si aprirono in un sorriso malizioso. << Farai svenire qualcuno, questa sera. >>
Methin sorrise, pensando ad Erik, ma sapendo che quella sera non ci sarebbe stato. La ragazza non aveva raccontato al fratello di Erik, altrimenti si sarebbe presa una strigliata e delle domande che avrebbero necessitato delle risposte. Il problema era che neanche la ragazza sapeva cosa le era preso quella sera in discoteca. Sapeva che si sarebbe dovuta allontanare subito dopo che la polizia le aveva fatto quelle domande, invece aveva aspettato che la polizia finisse di interrogare il ragazzo e che poi lui esaminasse il cadavere, osservandolo da lontano e capendo che era un bravo investigatore. Aveva compreso anche che l’aveva vista sparare, visto che si era messo esattamente nella posizione in cui si era trovata lei per lo sparo. Avrebbe dovuto ucciderlo nell’istante in cui si era resa conto che lui l’aveva riconosciuta, invece aveva aspettato, osservandolo da lontano e rimanendo sorpresa quando lui non aveva detto niente alla polizia. Cosa gli era saltato in mente? La ragazza non capiva il modo di comportarsi di quello strano e avvenente da ragazzo bello e a quanto pare anche intelligente, così aveva deciso di parlargli. Aveva aspettato che lui fosse andato a fumare dietro la discoteca, quasi come se la aspettasse, poi si era presentata davanti a lui e aveva risposto alle sue domande come se fosse una ragazzina alle prime armi. E poi lui l’aveva baciata e lei non aveva fatto niente per allontanarsi, anzi si era stretta a lui come se fosse un’adolescente al suo primo bacio. E ancora ricordava quelle sensazioni fantastiche! Ancora pensava a quel bacio, ne sentiva il sapore sulle labbra e il profumo sulla pelle. Sperava di non incontrarlo ancora una volta, soprattutto quando aveva fatto delle ricerche su di lui e aveva scoperto chi era. Si era decisa a lasciarlo perdere, ma in cuor suo sapeva che era impossibile non rivederlo, anzi si immaginava che presto le sarebbe ricomparso davanti agli occhi quando meno se lo sarebbe aspettato.
Raphael non disse niente mentre la sorellina era presa dai suoi pensieri e si limitò a sorridere e ad osservarla. C’erano sempre state tra loro delle cose che non si erano detti, primo fra tutti quello che avevano passato da bambini. Quando si erano appena conosciuti aveva trovato una sera la ragazza a letto in posizione fetale che piangeva come una bambina di cinque anni. Era la prima volta che aveva ucciso e sapeva come ci si poteva sentire, perciò si era limitato a stringerla al petto e a consolarla senza chiedere spiegazioni e senza fare lo psicologo. Quel giorno erano stati molto più uniti di prima e avevano cominciato a considerarsi fratello e sorella eppure nessuno dei due aveva mai raccontato all’altro i segreti più profondi della loro anima. Questo però non impediva loro di fidarsi della propria famiglia più di chiunque altro tanto che, nonostante i segreti che avevano, sapevano di poter contare sempre l’uno sull’altra.
Raphael guardò l’orologio e sorrise, era in ritardo di cinque minuti ed era ora di cominciare la missione così poggiò una mano sulla spalla della sorella prima di rassicurarla su quanto fosse bella e su quanto fosse già in ritardo.
Methin sorrise, contenta che il fratello l’avesse momentaneamente distolta dai suoi pensieri, lo salutò con un cenno della mano e scese in garage dove dovette abbandonare la sua stupenda moto da corsa nera e prendere una Lamborghini nera e lucida appositamente noleggiata per l’occasione perché, come le aveva sempre insegnato sua madre, ‘Non ci si può presentare ad una riunione di ricchi in taxi. ‘
Sorrise ripensando agli insegnamenti della madre, che le aveva anche salvato la vita, poi accese il motore della macchina e accelerò un attimo per sentire il rombo del motore. Sorrise ancora: adorava la velocità a l’adrenalina. Aspettò che la serranda si alzasse prima di partire a tutto gas in retromarcia, bloccare il freno a mano di colpo e girare il voltante mentre la macchina ruotava su se stessa con uno stridore di freni, prima che la ragazza la lanciasse nuovamente a massima velocità uscendo dalla villetta dove abitavano lei e il fratello e sfrecciando tra le vie della città, dirigendosi verso la missione con un ghigno stampato sul volto.
Rallentò solo quando giunse nei pressi della villa per non attirare troppo l’attenzione. Si fermò di fronte ad un enorme cancello in ferro battuto, con due piccoli leoni seduti su due colonne ai lati del cancello. La guardia all’ingresso le chiese il nome e l’invito da presentare e Methin sfoderò un sorriso timido prima di rispondere: << Sono Lucinda Tail. >>
Poi prese la borsetta dello stesso colore del suo vestito e cominciò a frugare tranquillamente, come se avesse tutto il tempo a disposizione e come se fosse abituate al fatto che la gente attendeva sempre lei.
Tirò fuori un invito di carta resistente e con le scritte d’oro e lo consegnò alla guardia all’ingresso, che lo osservò un secondo, guardò la sua lunga lista e annuì porgendole nuovamente l’invito.
<< E’ un piacere averla a questa serata, signorina Tail. >>
La ragazza sorrise, poi aspettò che l’uomo le aprisse il cancello, prima di accelerare leggermente e di entrare nell’enorme villa. Un parcheggiatore la fermò subito e le sorrise chiedendole se volesse che le parcheggiasse la macchina, ma Methin sorrise timida prima di rifiutare dicendo che si divertiva a parcheggiare. Proseguì dritta fino a che non trovò il posto che le piaceva: abbastanza vicino all’entrata della villa, tra alcune auto simili, eppure non lontanissima dall’entrata della casa in modo che se avesse dovuto scappare avrebbe fatto in tempo a correre.
<< Raphael, sto entrando, disattivo il microfono. >>
<< Ricevuto sorellina. >>
Methin scese dalla macchina e osservò la splendida villa che aveva davanti: piccole fontane si trovavano a distanza uguali, a forma di conchiglie enormi dove vi abitavano tritoni che, con i loro tridenti, fulminavano con lo sguardo chiunque osasse avvicinarsi troppo alle sirene che ridenti giocavano con i delfini che spruzzavano dalla bocca e dallo sfiatatoio fontanelle di acqua, creando giochi sempre diversi insieme alle luci che cambiavano colore. Il giardino era perfettamente tagliato e non mancavano delle siepi perfettamente potate e piccoli cespugli di rose di tutti i colori.
La costruzione della villa, dal canto suo, era semplicemente stupenda. Era enorme con tante finestre una di seguito all’altra e alcuni avevano addirittura un balconcino personale. L’ingresso era costituito da un patio sorretto da tre archi a tutto sesto, con colonne a fusto liscio e capitello corinzio. Tutto sorreggeva un balcone più grande degli altri al primo piano, con una balaustra in marmo bianco composta da piccole colonnine sempre a fusto liscio.
Lungo il vialetto per entrare nella casa ai lati c’erano due leoni enormi, simbolo della famiglia, posizionati come le sfingi, ma di marmo bianco. Il muso era leggermente ruotato verso il viale così che chiunque passasse avesse la sensazione che i leoni lo stessero osservando e che fossero sul punto di attaccarlo. Methin si fermò un secondo ad osservare quei leoni, sorridendo tra se e pensando che fossero davvero fatti bene, con la criniera talmente perfetta che sembrava muoversi alla debole brezza che si era alzata mentre si vedevano i muscoli scolpiti, in tensione, che conferivano ancora di più alla statua la sua verosimiglianza con un animale vero.
Methin sorrise ancora mentre accarezzava una grossa zampa del felino che aveva alla sua sinistra, prima di continuare a camminare e di fermarsi di fronte ad una seconda guardia del corpo che la squadrò un secondo e le chiese nuovamente il nome e l’invito mentre con uno strano congegno verificava che non ci fossero microspie.
‘ Chissà perché, ma ad una festa del genere controllano che le persone non hanno microspie, ma non controllano che nessuno porti un’arma da fuoco. ‘
<< Spero che si diverta questa sera, signorina Tail. >>
<< Credo che mi divertirò moltissimo, mio caro. >> Dopo un sorriso dolce che disarmò completamente la guardia, Methin si apprestò ad entrare nell’enorme sala attraverso una porta composta da due vetrate che era stata spalancata e che era larga quando lei era alta.
Subito la sua vista fu catturata dal soffitto della sala dove stupendi e caldi colori davano vita ad una scena idilliaca in cui vi erano Adamo ed Eva nel paradiso terrestre, circondati da animali e alberi. La scena era rappresentata in modo molto realistico, con la presenza del chiaroscuro che dava profondità al dipinto.
Methin restò semplicemente a bocca aperta: era una ladra a pagamento e le era capitato di vedere delle case di ricchi e di rubare documenti importanti e anche soldi ma non aveva mai e poi mai visto un dipinto così grande e di tale splendore.
‘ Il contorno in oro sarà oro vero? ‘ Ogni cosa in quella casa era semplicemente costosissima e serviva per far capire ai presenti quanto la famiglia fosse ricca e prospera.
‘ Come pensavo il circolo non dà solo fama, ma anche soldi guadagnati con traffici illegali. ‘
Methin camminò lentamente nella sala facendo finta di salutare e di conoscere alcune delle persone che erano presenti e che la salutavano sorridendole con aria gentile. Fortunatamente c’era Raphael che all’orecchio le sussurrava le condizioni della famiglia della persona che aveva davanti in modo che sapesse cosa doveva chiedere e nessuno fino a quel momento si era chiesto chi fosse e sembrava avere sospetti su di lei. All’improvviso Methin sbiancò in volto e si paralizzò tanto che la persona con cui stava parlando in quel momento le chiese se si sentisse male.
<< No… grazie, sto benissimo. >> Sorriso. << Credo di aver avuto solo un giramento di testa. Se vuole scusarmi credo sia meglio che vada a sedermi. >>
<< Vuole che l’accompagno signorina? >>
Lieve scuotimento di testa. << Grazie, ma mi sento già alquanto meglio. >>
Senza dire una parola Methin camminò verso il rinfresco, cercando una sedia, quando in realtà stava seguendo una persona che credeva non avrebbe mai visto in quella sala. Lo osservò mentre salutava una bambina di circa dieci anni e una donna dall’aria dolce come il cioccolato. I biondi capelli erano stati sistemati e indossava un vestito elegante che metteva in risalto i suoi occhi azzurri che in quel momento erano riscaldati dall’amore per la propria famiglia. Erik Mc Tavish stava parlando allegramente con la madre mentre la sorellina gli girava attorno ridendo felice.
‘ Cosa ci fai qui Erik? Tu non avresti dovuto avere nessun contatto con la tua famiglia. Perché invece sei qui? ‘
Con un leggero movimento della mano si sistemò i capelli in modo che il bracciale le si trovasse davanti alla bocca mentre sussurrava a Raphael di fare delle ricerche dettagliate su un certo Erik Mc Tacish e gli chiedeva se avesse avuto contatti telefonici con un numero intestato alla sua famiglia negli ultimi giorni.
Nel frattempo continuava ad osservare la scena che aveva davanti mentre mille domande le percorrevano la mente e nessuna trovava una risposta. La madre sembrò dire qualcosa a bassa voce alla bambina poi quella se ne andò via saltellando allegramente. Lo sguardo di Erik divenne subito freddo e serio e a Methin venne un brivido guardando la sua espressione: l’odio e la rabbia avevano completamente invaso il suo sguardo rendendolo simile ad una belva affamata che ha avvistato la propria preda facendo capire alla ragazza il motivo per cui la sua famiglia aveva come stemma il leone.
Sentì qualcuno tirarle leggermente la gonna e quando si girò trovò due profondi occhi scurissimi che la fissavano.
<< Sei innamorata del mio fratellone? >> Methin si bloccò, non sapendo cosa fare: se avesse detto di si allora molto probabilmente la piccolina l’avrebbe riferito al fratello, fornendogli anche una sua descrizione e permettendo ad Erik di riconoscerla. Se avesse detto di no avrebbe destato troppi sospetti.
<< Si, sono innamorata di lui, ma vedi lui non lo deve sapere altrimenti potrei perderlo per sempre. >>
<< Non farai del male a nessuno oggi, vero? >> Methin sgranò gli occhi alle parole della piccola, mentre lei continuava a parlare. << Ti ho notata prima, sai? Hai negli occhi l’odio e la rabbia, la vendetta, tranne adesso che stai guardando me e quando guardavi il fratellone. >>
Quella bimba era davvero perspicace. Come faceva a distinguere i sentimenti che si agitavano nei suoi occhi anche quando nessun altro alla cena era riuscito a capire chi fosse e perché fosse davvero in quel posto?
<< No, oggi non farò del male a nessuno. >>
La bimba annuì, seria in volto, prima di andarsene, senza aver detto l’ultima cosa. << Il fratellone sta andando da papà. Lo trovi alla fine del corridoio a destra, se riesci a passare. >> Guardandola un’ultima volta negli occhi la bimba la sconcertò sempre di più. << Non fargli troppo male, ok? >>
Methin annuì bianca in volto e senza parole mentre la piccola se ne andava via per la sua strada, poi come una macchina si alzò sapendo quello che doveva fare e dicendo a Raphael che era il momento. Appena le guardie si allontanarono dall’ingresso del corridoio la ragazza seguì silenziosamente Erik che era appena entrato nello studio del padre, si avvicinò alla porta per osservarli e magari ascoltare la loro conversazione.
Methin rimase sconcertata per quanto i due si assomigliavano fisicamente nonostante la differenza di età: come Erik anche Lucan Mc Tavish era un uomo alto e piantato, dal fisico snello e asciutto con alcuni muscoli frutto di un allenamento quotidiano.
I capelli biondi, però, erano radi e leggermente più chiari rispetto a quelli del figlio mentre le rughe attorno agli occhi e agli angoli della bocca gli conferivano un’aria ancora più seria e severa di quanto Methin ricordasse.
Ma erano gli occhi quelli che Methin non avrebbe mai potuto scordare. A differenza di Erik, che li aveva color del cielo in estate o del mare profondo, quelli del padre erano di un azzurro chiarissimo, freddi come il ghiaccio che nascondevano un’anima fredda e calcolatrice. Methin si ricordava perfettamente quegli occhi che la scrutavano da capo a piedi, con fare calcolatore e provando a pensare a quanto avrebbe fruttato. Si ricordava ancora perfettamente il brivido di paura che aveva provato quando, ancora bambina, si era ritrovata di fronte a quello sguardo. Adesso lei era cresciuta e quello che provava non era più paura ma rabbia, una rabbia profonda dovuta alla conoscenza. Conoscenza delle terribili azioni di quell’uomo che era padre e che era stato in grado di accarezzare i suoi figli, dare loro la buona notte con le stesse mani con cui aveva compiuto atti disumani. La ragazza avrebbe tanto farla finita lì, ucciderlo in quell’istante davanti ad Erik e dirgli quali orribili azioni era stato in grado di compiere l’uomo che un tempo aveva chiamato ‘Padre’, ma non poteva, lo sapeva anche lei, altrimenti avrebbe perduto per sempre l’opportunità di entrare nel Circolo e di uccidere tutte le persone che ne facevano parte perché persone così non meritavano di vivere ma meritavano solo una morte dolorosa e atroce.
L’uomo si sedette dietro ad una scrivania ricolma di fogli e di documenti ed Erik lo imitò e lo fissò tranquillamente anche se la posa rigida delle spalle e della schiena tradivano la sua agitazione. Quando il padre cominciò a parlare il ragazzo non mostrò la minima reazione corporale.
<< Ti voglio ingaggiare per indagare sulla Morte. >>
<< Voglio ventimila euro, indipendentemente dal risultato delle indagini. >>
L’uomo sembrò sorpreso,poi sorrise e chiese al figlio perché non avesse chiesto spiegazioni e in quel momento fu il turno di Erik di sorridere compiaciuto. Il suo fu più un ghigno che un sorriso vero prima che la sua voce riempisse la sala.
<< Quando mi hai chiamato sapevo che c’era qualcosa sotto, così ho svolto le mie indagini. Buffo che la Morte abbia ucciso dolo i tuoi amici d’affari vero? Ed è ancora più buffo che anche loro prima di morire abbiano chiamato degli investigatori privati, non credi? >> Il ragazzo non la smetteva di sorridere, come se la cosa lo divertisse immensamente mentre poggiava i gomiti sulla scrivania senza curarsi dei fogli che stropicciava.
<< Quando ho capito le motivazioni per cui mi avevi chiamato ho compreso anche una seconda cosa: la polizia non sa niente, ecco il motivo degli investigatori privati. Ma anche loro non hanno scoperto niente. Sono la tua ultima risorsa. >>
Per la prima volte Methin riuscì a distinguere qualche emozione che si agitava negli occhi di Lucan. Per quanto il suo volto si mantenne inespressivo i suoi occhi si erano riempiti di un calore nuovo, strano su quel viso. Era forse orgoglio? Orgoglio e amore per un figlio che aveva rinunciato a tutto pur di seguire la propria strada e che si era dimostrato un ottimo investigatore ed osservatore sin dall’inizio?
Quell’uomo che tanto tempo prima aveva pensato essere solo un contenitore di freddi calcoli matematici adesso rivelava dei sentimenti, un cuore forse, ma questo non cambiava le cose. Le colpe di cui si era macchiato erano troppo orribili per riuscire a scalfire il cuore di Methin, che era diventato freddo come il ghiaccio, congelato da una vendetta fredda e spietata che avrebbe consumato fino all’osso tutti i colpevoli. Perché ogni persona che era coinvolta, in quel momento sapeva che prima o poi sarebbe arrivata la sua ora, senza sapere però quando. Il freddo della paura avrebbe tolto loro il sonno e la vita lentamente, molto prima dell’arrivo della Morte che avrebbe posto fine alle loro torture. Perché quella era la vendetta che si era concessa: la tortura psicologica, quella portata dal terrore, quella che leva il sonno e che uccide molto più lentamente di un ferro rovente, quella che si infila nei più piccoli spazi tra un pensiero e l’altro e alla fine condiziona tutto l’essere. Una vendetta atroce, senza possibilità di vie di uscita.
Nel frattempo che quei sentimenti accrescevano l’odio ma anche la pregustazione della ragazza, Lucan Mc Tavish aveva preso un assegno da dentro un cassetto e l’aveva firmato per poi darlo al ragazzo di fronte a lui che lo prese e lo mise in tasca.
<< Avrò bisogno dei documenti della polizia e degli investigatori precedenti. Potrei sempre trovare qualcosa che loro non hanno visto. >> Si voltò senza più dire una parola, ma il padre lo fermò.
<< Figliolo io… >>
<< No. Hai perso la tua opportunità Lucan. Non sono più tuo figlio, non lo sono più da quando sono uscito da quella porta dieci anni fa. Porto ancora il tuo nome e il tuo sangue scorre nelle mie vene ma non sono più tuo figlio. Non chiamarmi mai più così. >> Detto questo il ragazzo uscì dalla porta dello studio del padre, mentre l’uomo fissava quella schiena dritta e orgogliosa che si allontanava provando al contempo rimpianto e orgoglio per quel figlio e per se stesso. ‘ L’ho tenuto lontano da tutto questo. L’ho tenuto lontano da te. ‘
Si accese un sigaro e sorrise nella solitudine più totale.
 
Quando il ragazzo era uscito dallo studio del padre, dopo aver pronunciato finalmente quelle parole, si era sentito più leggero.
Stava per tornare dalle due donne della sua vita quando notò un guizzo azzurro alla fine del corridoio dal quale era entrato. Si concentrò sulla figura di una ragazza che si era fermata e che lo stava osservando. Il vestito blu risaltava la cascata di capelli castani che scendevano lungo la schiena, poi la pelle pallida quando la ragazza si voltò per fissarlo e rimase sconcertato nell’incontrare un paio di occhi color dell’oro. La Morte lo guardò con un sorriso di sbieco su quelle dolci labbra carnose poi si allontanò dal corridoio, certa che il ragazzo l’avrebbe seguita.
 
Camminava per la sala con passo spedito senza voltarsi perché tanto sapeva che il ragazzo la stava seguendo. Si stava dirigendo verso un terrazzo dietro la casa, al primo piano, perché era l’unico luogo che non era sorvegliato dalle telecamere e perché nessuno sarebbe andati a disturbarli lì.
Mentre camminava Methin si chiedeva perché si stesse comportando in quel modo: Erik la stordiva, non la faceva agire come avrebbe dovuto, ma in modi che non si sarebbe mai aspettata. Si era ripetuta tante di quelle volte che avrebbe dovuto farla finita che avrebbe dovuto andarsene e non farsi rivedere più da lui! Invece eccola lì, a camminare lungo una sala sapendo che lui non l’avrebbe persa di vista e sapendo che aveva commesso un altro errore.
Uscì nel terrazzo e respirò l’aria fresca della sera, aprendo le braccia e chiudendo gli occhi per godersi quell’aria serale e quando Erik la raggiunse lei se ne accorse prima ancora che lui cominciasse a parlare, prima ancora che i suoi passi risuonassero in quel silenzio soprannaturale: lei poteva avvertire il peso del suo sguardo, poteva sapere quando lui entrava nella sua stessa stanza e questo la spaventava perché non le era mai successo con nessuno.
<< Methin sei… sei davvero tu? >>
La ragazza sorrise anche se era di spalle e non poteva essere vista. << E chi altro potrebbe essere? >>
Il ragazzo si mosse lentamente facendo un passo alla volta e con una pausa di qualche secondo tra un movimento di piede e l’altro come se si trovasse di fronte ad una cerbiatta spaventata che avrebbe potuto scappare ad ogni minimo passo falso. Però Methin non era una cerbiatta e si girò per osservarlo attentamente senza paura e senza muoversi di un millimetro. Lo trovava davvero un ragazzo stupendo: i capelli erano pettinati e ordinati e faceva davvero un’ottima figura con quel vestito elegante anche se l’orecchino d’acciaio che portava all’orecchio stonava un po’ con il suo aspetto da nobile.
Improvvisamente le tornò nella mente il ricordo vivido del loro bacio, di come le sue labbra avessero preso vita e di quel calore che aveva sentito espandersi in lei mentre Erik la abbracciava durante. Le era mancato molto quel calore nei giorni seguenti e spesso si era ritrovata a toccarsi le labbra con la punta delle dita come se volesse ricordare il tocco del ragazzo di fronte a lei. Quando si accorse che ancora una volta stava ripetendo lo stesso gesto, si costrinse a portare le mani lungo i fianchi e a chiuderle a pugno.
Erik nel frattempo era giunto di fronte a lei e le accarezzò lievemente il lato del volto dalla tempia fino al mento, poi fino alle spalle e di nuovo su, un paio di volte. A quella dolce carezza Methin chiuse gli occhi mentre la pelle diveniva bollente sotto il tocco leggero del ragazzo, che aveva portato la mano dietro la nuca di lei e che adesso la stava attraendo verso di se senza che lei facesse niente per reagire. La baciò, di nuovo, prima dolcemente, un solo sfiorare di labbra poi più intensamente, facendo riprendere vita a Methin che sentì che la piccola fiamma che prima le si era accesa dentro in quel momento esplodeva riempiendola di calore, un calore a cui non sapeva dare un nome e che la travolgeva come un fiume in piena. Immerse le dita nei suoi capelli, come aveva fatto la volta precedente sentendo tra i suoi polpastrelli quelle ciocche bionde e morbide, mentre lo attraeva verso di se. Il tempo si fermò o forse accelerò, Methin non seppe dirlo, seppe solo che quando Erik si allontanò da lei entrambi avevano il respiro affannoso.
<< Sei qui per uccidere mio padre? >>
Cosa avrebbe potuto rispondere la ragazza a quella domanda? Anche se quella volta non si era intrufolata alla festa per un omicidio, presto o tardi avrebbe dovuto uccidere il padre del ragazzo di fronte a lei perché il ricordo in lei era troppo vivido per essere cancellato, i suoi occhi che la osservavano le erano rimasti impressi nella mente e niente avrebbe potuto impedirle di compiere la sua vendetta non solo per se stessa, ma anche per Raphael e per altre persone che avevano perso la vita e l’infanzia e che non erano riuscite a scappare.
<< Mi fermeresti? >> Quella era l’unica cosa che le era venuta in mente: non avrebbe potuto rispondere alla domanda anche perché lui non avrebbe capito e lei non avrebbe voluto spiegare la sua storia.
Methin immaginava che il padre gli avesse chiesto di investigare perché sapeva che avrebbe trovato tutte le risposte da solo e solo allora avrebbe potuto decidere di per se cosa fare e da che parte stare. Aveva visto l’orgoglio che brillava negli occhi dell’uomo mentre guardava suo figlio tanto simile a lui nell’aspetto eppure tanto differente nell’animo e si era molto meravigliata quando aveva visto l’affetto e il rimpianto che riempivano lo sguardo di Lucan: aveva sempre pensato che un uomo così crudele non potesse provare amore per la propria famiglia e per il proprio figlio, né tantomeno rimpianto. Perché quando Erik si era girato, poco prima che Methin abbandonasse la sua postazione alla porta, lei aveva visto una smorfia di dolore e di rimpianto e rammarico che aveva preso possesso del volto del padre,deformando il suo viso altrimenti serio e austero.
Ma rimpianto per cosa? La risposta di Erik la lasciò stupefatta e la mente le si svuotò.
<< Ci proverei credo. Fa pur sempre parte della mia famiglia, ma non credo che tu lo uccideresti se non ti avesse fatto qualcosa di sbagliato. Aiutami a scoprire cosa c’è tra te e mio padre. >>
Non poteva dirglielo, Methin lo sapeva. Non avrebbe mai potuto rivelargli la verità in quel modo, altrimenti non gli avrebbe creduto. Le persone credevano sempre ai fatti, dimostrati e concreti, scritti con l’inchiostro con carta e penna e non credevano quasi mai alle persone che avevano accanto, per quanto potessero fidarsi di loro. Erik neanche la conosceva davvero, non le avrebbe mai creduto e il dubbio si sarebbe insinuato nella mente dell’investigatore, impedendogli di vedere la verità, di scorgerla e capirl, perciò si limitò a scuotere la testa e ad allontanarlo.
<< Non posso. Adesso vattene, devo lavorare. >> Il tono le era uscito più amaro di quanto volesse: per la prima volta in vita sua voleva dire qualcosa della sua vita ad un estraneo, voleva confidare il suo passato, le sue paure ed i suoi orrori e invece non poteva farlo altrimenti lo avrebbe perso per sempre.
<< Potrei aiutarti o proteggerti! >> Una strana risata proruppe dalle labbra della ragazza mentre lo osservava. Sapeva di aver ferito l’orgoglio maschile di Erik ma non avrebbe potuto fare altro: nessuno in quegli anni l’aveva mai protetta. Sua madre l’aveva salvata, era vero, ma le aveva subito insegnato a proteggersi da sola e da allora non aveva avuto più bisogno di un vero e proprio scudo su cui fare affidamento: c’era Raphael, vero, ma lui era un compagno, un collega che l’aiutava con i mezzi informatici e che si appostava nei palazzi accanto a dove lei agiva solo per precauzione ma su cui alla non aveva mai pensato di poter contare più di tanto nelle missioni: lui era il cervello, lei il braccio per l’azione. Methin lo fissò un attimo prima che un ghigno le si stampasse sul volto, prima che attaccasse come un serpente, senza che Erik potesse fare niente per proteggersi.
Con un passo avanti la ragazza portò avanti il braccio sinistro, con il palmo verso l’altro, colpendo sotto il mento di Erik che per cercare di tenersi in equilibrio fece qualche passo indietro, sbilanciato e agitando le braccia in aria. Prima che si potesse riprendere Methin fece un secondo passo, mettendo il corpo lateralmente poi unì la mano destra chiusa a pugno con il palmo sinistro e diede una gomitata nello stomaco di Erik che a quel punto, senza fiato e senza equilibrio cadde a terra e si ritrovò a guardare le stelle mentre l’aria entrava nei suoi polmoni.
Si tastò la mandibola per vedere se con quel colpo Methin gli avesse rotto qualcosa, ma evidentemente si era trattenuta perché il dolore stava rapidamente scemando e nel giro di poco tempo riuscì nuovamente ad alzarsi a sedere. Quando la vide si spaventò perché la ragazza stava in piedi sulla balaustra, con le braccia spalancate, reggendo in mano le scarpe con i tacchi che pochi secondi dopo lasciò cadere a terra. Il ragazzo fu atterrito quando Methin fece un passo indietro lasciandosi cadere nel vuoto, così si alzò di colpo, appoggiandosi alla balaustra per vedere se l’assassina si fosse rotta qualcosa e tirò un sospiro di sollievo quando la vide aggrappata ad un’asta a cui avrebbe dovuto essere legata una bandiera con lo stemma di famiglia. L’assassina si dondolò tre o quattro volte per prendere lo slancio poi lasciò la presa e compì una capovolta in aria con il corpo teso, mentre il movimento le attaccava la gonna del vestito al corpo. Dopo un volo di meno di due metri la ragazza atterrò, piegando le gambe e poggiando le mani a terra poi si alzò, si infilò le scarpe mentre Erik la fissava allibito e infine lo osservò dal basso, con un ghigno stampato sulle labbra. Lei portò due dita della mano sinistra sulla fronte e compì il saluto militare poi se ne andò nuovamente dentro casa a compiere la sua missione.
Erik era appoggiato alla balaustra dello stesso balcone, a pensare, quando notò una Lamborghini nera allontanarsi dalla casa. Pochi secondi dopo un suono perforante e continuo, segno di un avvenuto furto, riempì il silenzio della notte. 




Note dell'autrice:
Salve ragazzi! Questo capitolo è stato molto riflessivo e c'è stata poca azione, lo ammetto, ma credo che mi sia servito per il continuo. Mi dispiace di averci messo così tanto tempo per pubblicare questo capitolo e spero che continuerete a leggere e che non vi abbia annoiato troppo.
Spero d pubblicare un nuovo capitolo il prima possibile! 
A presto!!!
 - Hel -

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Capitolo 3
*** La morte negli occhi ***


La bimba è felice e per dimostrarlo saltella lungo la strada del ritorno da scuola. Anche se è piccola e va ancora alle elementari ha avuto l’autorizzazione a tornare a casa da sola perché la mamma non può muoversi e deve badare al piccolo Josh e il papà deve lavorare e spesso viaggiare lontano. Di parenti che abitano da quelle parti non ne hanno e la mamma e il papà non possono permettersi una babysitter che la possa controllare. Ma va bene così, lei è grande e sa trovare la strada di casa.
La bimba stringe al petto un pacchetto regalo comprato per il papà con i pochi risparmi. Ha lavorato nelle case dei vicini per tre mesi per permettersi quella piccola sorpresa che ora stringe orgogliosa tra le piccole manine paffute. Oggi è il compleanno del papà e la mamma le ha promesso che loro due gli avrebbero preparato una torta e poi avrebbero festeggiato tutti insieme.
È felice la bimba mentre sale le scalette che conducono alla sua porta e prende le chiavi da dentro una tasca laterale del suo zainetto.
Apre l’uscio pesante e comincia a chiamare i propri familiari, ma capisce subito che c’è qualcosa che non va.
C’è silenzio. Troppo silenzio. Nella sua casa non c’è mai stato silenzio. La mamma canta sempre e ride e scherza.
<< Ma’? Pa’? Dove siete? >>
La bimba sente che sta succedendo qualcosa di brutto e percepisce qualcosa di freddo scivolargli lungo la schiena e farla rabbrividire. Paura. La bimba ha paura, ma deve essere forte, andrà tutto bene. Chiude la porta ed entra.
Va in salotto, mentre nessuno la viene a salutare. Dove sono tutti? Dove sono gli urli di Josh e le risate della mamma e del papà che scherzano e si prendono in giro?
Seduta sul divano c’è un’ombra che si alza e si volta. Freddi occhi azzurri come il ghiaccio si fissano nei suoi e lei si sente gelare.
<< Ciao bimba, lo sai che hai degli occhi davvero interessanti? >>
La bimba lo guarda e si sente atterrita da quel signore sconosciuto che in quel momento si sposta e lascia intravedere una figura dietro di se.
Ha lunghi capelli castani e quando alza il volto un rivolo di sangue le scende lungo il bordo delle labbra. La mamma sussurra una parola sola, mentre una macchia rossa si ingrandisce sotto di lei.
<< Sca…pa… >> Poggia la testa a terra e non si muove più. Solo in quel momento la bimba lascia cadere a terra il regalo per il papà e urla, mentre degli omoni in nero la prendono in braccio e la portano via.
 
Methin si alzò a sedere e si ritrovò seduta sul divano, lontana anni e anni da quel giorno che le aveva cambiato completamente la vita. La gola le doleva molto quindi doveva aver gridato mentre sognava, così si alzò e andò a bere un sorso d’acqua in cucina.
<< Non avrei mai pensato che i suoi occhi mi avrebbero tormentato ancora. Io ti ucciderò, Lucan Mc Tavish, fosse l’ultima cosa che faccio. >>
La giovane si avvicinò alla porta chiusa dello studio di Raphael, sentì il rumore di dita sulla tastiera e sbuffò: erano tre giorni che si era rinchiuso nel suo studio per decriptare i documenti che lei aveva rubato con successo alla villa dei Mc Tavish.
Sapeva che sarebbero stati protetti, ma non avrebbe mai immaginato che neanche un genio come Raphael con un super computer come quello che aveva un po’ comprato e un po’ fabbricato da solo, avrebbe trovato difficoltà a decifrare dei documenti. La ragazza sospirò, cosa che aveva fatto spesso negli ultimi tempi poi guardò l’orologio e quando si accorse che era l’ora di pranzo perciò cominciò a preparare qualcosa da mangiare sia per lei che per il giovane fratello.
Per lei preparò della semplice pasta con il tonno mentre per Raphael cucinò delle piccole polpette di carne e verdure abbastanza dure all’esterno da non sbriciolarsi e morbide all’interno, le infilzò con degli stuzzicadenti in modo tale che lui avrebbe dovuto solo masticare e mise tutto dentro un piatto. Prese anche una bottiglia di acqua dal frigo e aprì la porta che conduceva nel mondo del fratello.
La sala era quadrata, grande ed incredibilmente illuminata in modo tale che la vista di Raphael non venisse danneggiata. Tre pareti erano occupate da processori larghi quanto armadi a tre ante, intervallati da finestra rettangolari che andavano dal pavimento al soffitto per garantire la luce adeguata. Al centro del soffitto, altrimenti vuoto, c’erano numerose lampade che si accendevano automaticamente quando un sensore all’interno della stanza avvisava che la luce solare era diventata insufficiente. La scrivania era al centro della camera ed immensamente larga e con una figura concentrata sullo schermo mentre le sue dita tamburellavano sui tasti senza che lui di preoccupasse di guardare dove andavano a pigiare i suoi polpastrelli. Come per lei la pistola era il prolungamento del suo arto, per il ragazzo i computer erano parte di lui.
Raphael era concentrato sul suo compito e non si accorse neanche dell’ingresso nella stanza della sorella.
Methin era sicura che non si sarebbe accorto di niente fino a che non avesse terminato il suo compito perciò gli si avvicinò e gli picchiettò due volte sulla spalla per avvisarlo che avrebbe poggiato il pranzo accanto a lui, aspettò che il giovane mangiasse tutto per passargli una bottiglietta d’acqua che lui si scolò in un paio di sorsi. Terminato tutto Methin se ne andò tranquillamente senza neanche salutare sapendo che Raphael non avrebbe risposto.
Si sdraiò nuovamente sul divano stupita del fatto che nonostante il sogno che aveva fatto, o meglio il ricordo che aveva sognato, non era uno sguardo di ghiaccio che l’aveva riempita di paura quello che incontrava quando chiudeva gli occhi ma erano di un azzurro più caldo, come il cielo estivo. Era ancora più meravigliata del fatto che quello che provava in quel momento era un fuoco dentro di lei: non il fuoco della rabbia o della voglia di vendetta ma una passione ardente e sfrenata che la portava a desiderare quei baci impetuosi dell’unico ragazzo che era in grado di infiammarla così. 
Methin sbuffò di nuovo e scossa la testa prima di alzarsi dal divano con un movimento agile e leggero e correre verso la cucina per scrivere un post-it al ragazzo chiuso nella stanza vicina.
 Era il loro modo di comunicare visto che entrambi, appena tornavano a casa o si liberavano da qualche impegno, si ritrovavano davanti al frigo per mangiare o bere qualcosa.
Appena Raphael avrebbe finito il suo lavoro avrebbe sicuramente festeggiato con una birra.
“   Raphael, sono uscita.
Chiamami se hai novità e non sono tornata.
                                      M.  “
Attaccato il post-it sul frigo si diresse nella sua camera da letto dove si mise qualcosa di adeguato per la situazione: una semplice canottiera bianca con lo scollo a v , un giacchetto di pelle nera senza dimenticare la fondina ascellare con dentro la sua amata pistola con colpo in canna e la sicura. Un paio di pantaloni di pelle lunghi e degli stivali dello stesso materiale e neri, alti fino alla caviglia e con un leggero tacco di pochi centimetri con cui avrebbe potuto correre e muoversi bene in caso di necessità. Lasciò i capelli completamente sciolti, poi corse verso la porta prendendo le chiavi di casa e quelle della Lamborghini che aveva noleggiato per rubare i documenti di Lucan e che ancora non aveva restituito. Scese in garage dove accarezzò leggermente la sua amatissima moto da corsa e sorrise alla vista del pickup di Raphael completamente sporco di polvere, poi aprì il garage e partì sgommando verso la città.
 
In dieci minuti arrivò nel luogo in cui si trovava lo studio di Erik, un posto tranquillo eppure di alta classe e di sicuro costoso. La ragazza parcheggiò l’auto nel posteggio riservato ai clienti dell’investigatore che sarebbe stato vuoto se non ci fossero stata la macchina vecchia che aveva parcheggiato vicino a lei alla villa dei Mc Tavish.
Lei ghignò poi scese dall’auto ed entrò nell’ingresso fermandosi qualche secondo lì per provare a sentire se ci fosse qualche novità. Un angolo delle sue labbra non poté fare a meno di piegarsi verso l’altro quando sentì Erik che da una qualche stanza gridava a quella che doveva essere chiaramente la sua assistente e segretaria:
<< Jasmin! Fammi una ricerca su tutti i bambini scomparsi tra gli ultimi ventisei e sedici anni e mettili in relazione con gli spostamenti degli amici di mio padre! Soprattutto quelli assassinati dalla Morte! >>
 ‘ Allora non sei solo un bel faccino e un bel corpo, Erik Mc Tavish. ‘ Si ritrovò a pensare tra se e se la giovane ladra assassina.
Entrò nello studio e trovò una giovane ragazza bionda che stava digitando qualcosa ad un piccolo computer portatile posto al centro di una scrivania rovinata e graffiata ai bordi, come se avesse subito diversi traslochi. Di fronte la scrivania della segretaria c’era un’unica poltrona di pelle con l’imbottitura pienamente in vista mentre il muro delle pareti aveva bisogno di una nuova verniciata.
‘ Mmmm il posto non sembra essere molto curato. L’ arredamento è scarso e di poco valore e probabilmente molte sono le persone entrate dalla stessa porta che hanno supposto che se l’investigatore se la passava così male forse non era bravo come si pensava’.
Storse la bocca pensando che forse avrebbe potuto fare il Babbo Natale della situazione senza che Erik se ne accorgesse. Era praticamente milionaria e qualche spicciolo in meno non le avrebbe cambiato la sua situazione economica mentre evidentemente l’avrebbe cambiata ad Erik e alla sua assistente.
Forse alla sua assistente no. La guardò attentamente quando si avvicinò a lei senza farsi notare: belle forme, dall’aspetto intelligente ma dalla camicia troppo aperta per i suoi gusti. Un pizzico di gelosia le inondò le vene e Methin si ritrovò a pensare di torturare lentamente la donna che aveva di fronte se avesse osato toccare con un dito Erik.
‘ Ma che pensieri faccio? ‘ Si costrinse ad assumere un tono di voce gentile e dolce e a rilassare il volto atteggiandolo a quella di una normale borghese.
<< Tu devi essere Jasmin. >> L’assistente si interruppe e alzò lo sguardo sgranando poi gli occhi per la sorpresa e rimanendo a fissarla per due secondi con la bocca aperta prima di annuire senza parole.
<< Sto cercando l’investigatore privato Erik Mc Tavish. >> La ragazza si limitò ad indicare la porta alla sua sinistra che in quel momento era chiusa poi tornò a fissarla.
L’assassina annuì e sorrise lasciando ancora più di stucco la ragazza. << Credo che faresti meglio a tornare a lavoro prima che le urla del tuo capo si sentano anche da fuori. Sai, spaventa i clienti. >>  
Si costrinse a sorridere gentilmente anche se dentro di lei ribolliva una strana rabbia che non riusciva a capire bene da dove provenisse. Forse dal fatto che aveva scoperto che alla segretaria si vedeva perfettamente tutto dall’altezza a cui si trovava lei e sapeva che anche Erik sarebbe stato in grado di vedere ogni centimetro della scollatura della donna di fronte a lei. Jasmin riportò l’attenzione sullo schermo del suo computer cercando di non degnare di un ulteriore sguardo quella strana ragazza che si era presentata all’improvviso davanti a lei e che le aveva fatto gelare il sangue nelle vene.
‘ Pericolo! ‘ le aveva urlato il suo sesto senso. Come se non bastasse tutte le donne che si rivolgevano ad Erik e che quindi avevano soldi da spendere di solito facevano sentire la loro presenza e il loro arrivo perché desideravano essere sempre al centro dell’attenzione, invece questa era stata completamente silenziosa nonostante i tacchi che portava. Qualcosa dentro di lei le diceva che quella donna che stava aprendo in quel momento la porta dello studio di Erik non era una persona normale.  
Erik era seduto al centro di una grande scrivania ingombra di documenti su documenti mentre a terra c’erano tantissimi fascicoli di casi risolti da tempo. Aveva la testa china e i suoi capelli biondi ricadevano su un foglio che stava leggendo così attentamente che non si era nemmeno accorto che la Morte era entrato nella sua stanza.
Methin si sedette su una delle due poltrone di pelle finta e rovinate come quella che si trovava nell’altra stanza, di fronte a lui, accavallando le gambe e osservandolo mentre leggeva accuratamente il suo fascicolo.
<< Avrei potuto ucciderti e non te ne saresti neanche accorto. La Morte sussurra al tuo orecchio Mc Tavish e dovresti stare più attento se non vuoi esalare il tuo ultimo respiro. >>
Erik sobbalzò alla voce di Methin e alzò la testa di scatto incontrando un paio di occhi dorati. Quel giorno, però, la sfumatura di quegli occhi aveva un qualcosa di spaventoso come se la stessa assassina che sedeva davanti a lui avesse la morte negli occhi. Sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena mentre osservava sguardo dorato gelido e freddo. Ogni volta che aveva visto la ragazza aveva pensato solo ad una bella bambolina senza ricordare che era lei quella che aveva spaventato suo padre a tal punto da ingaggiare suo figlio per scovarla. In quel momento, con quegli occhi fissi su di lui, seppe cosa avevano provato le persone quando si erano accorti che quella sarebbe stata l’ultima persona che avrebbero visto. Cercò di stamparsi bene in testa che la persona che aveva di fronte non era una semplice ragazza ma una spietata assassina con dietro di se anni di addestramento e di orrori. 
<< Avresti potuto uccidermi talmente tante volte che anche se fossi stato un gatto ci sarebbe già stato il mio funerale. >>
A quelle parole l’assassina scoppiò a ridere e i suoi occhi tornarono normali: liquidi e dorati e stupendamente affascinanti, come Erik li aveva sempre visti.
Il ragazzo la osservò attentamente e notò un piccolo particolare che non aveva notato le volte precedenti: al collo della ragazza pendeva una catenina d’argento con un ciondolo che brillava scarlatto in contrasto con la canottiera bianca: il ciondolo era legato alla catenina tramite una base sempre d’argento che si avvolgeva in spirali attorno ad una pietra rossa cremisi a forma di sfera. Era troppo brillante per essere un rubino e rifletteva la luce in modo particolare.
Methin si accorse dove lui stava guardando e sorrise, prendendo in mano il ciondolo e girandoselo tra le dita. Ricordava perfettamente quando sua madre le aveva regalato quel ciondolo e anche le parole che le aveva detto. Non avrebbe mai potuto dimenticarle.
<< Tu sei come questo ciondolo, piccola mia. Alcuni potranno dire che sei imperfetta, che vali di meno degli altri, proprio come questo diamante vale di meno rispetto a quello ‘puro’. Ma ricorda, piccola mia, che solo perché per gli altri un oggetto vale di meno perché ‘imperfetto’ non vuol dire che sia davvero così. Tu sei come questo diamante. Imperfetta e macchiata dal sangue, ma sei resistente come nessun altro: sia nel fisico che nello spirito. Ma ricorda, piccola mia, che non devi mai far si che l’omicidio ti macchi l’anima. Quando con un omicidio cominci a provare piacere per il dolore che causi tutto diventa nero. Non far mai diventare la tua anima nera. >>
Methin si riscosse da quel ricordo e osservò il ragazzo che aveva di fronte e i suoi occhi così simili ad un uomo che aveva giurato di uccidere ma che nel frattempo erano così diversi. Non provava gusto in quello che faceva. Non le piaceva mettere a tacere una vita ma sapeva anche che se avesse semplicemente fatto arrestare i colpevoli di quello che era successo a lei e a tante altre persone questi sarebbero semplicemente usciti di prigione prima della fine del processo, facendo scomparire tutte le prove che li avrebbero incastrati. Erano troppo potenti perché la legge riuscisse a sradicare un’erba così malvagia e l’unica soluzione che aveva trovato era quella di ucciderli tutti.
Erik sorrise leggermente anche se un brivido di paura gli era sceso lungo la schiena una seconda volta quel giorno: da quel bel sorriso d’amore il suo sguardo era diventato di ghiaccio. Probabilmente aveva ripensato agli uomini che l’avevano resa ciò che era.  Il giovane si nascose come meglio poté dietro la sua scrivania cercando di non far notare alla persona che aveva di fronte che gli tremavano le gambe e che era mortalmente spaventato. Methin aveva ragione, lei avrebbe potuto ucciderlo in qualsiasi momento e lui non se ne sarebbe neanche accorto e questa era la prima volta che il giovane si sentiva così indifeso davanti ad una persona. Anche quando litigava con il padre era sicuro che lui non avrebbe mai esagerato invece con la ragazza che aveva di fronte era tutta un’incognita. Prese in mano il fascicolo che aveva davanti e si ritrovò un sorriso sbarazzino e due occhi castani che lo guardavano sorridendo e gli si gelò il sangue nelle vene.
La bambina nella foto, quella scomparsa da poco, aveva all’incirca otto anni. Osservò la ragazza di fronte a lui e cominciò a fare qualche calcolo. Nonostante sembrasse un’adolescente l’assassina doveva avere circa venti anni, forse ventidue e per diventare così agili e bravi a sparare e a combattere servivano anni di addestramento.
Ammettendo che avesse ventidue anni e che si fosse allenata per dieci o quindici anni il risultato veniva all’incirca sette anni e all’improvviso sbiancò in volto e si sentì mancare: possibile che quella bambina scomparsa senza lasciare traccia fosse stata rapita dalle stesse persone che avevano trasformato la persona che aveva di fronte in una spietata assassina?
Erik poggiò il fascicolo sul tavolo e lo fece strusciare sulla scrivania in direzione di Methin che lo prese e lo osservò attentamente leggendo il documento.
Mano a mano che leggeva le mani cominciarono a tremarle e una rabbia cieca si impadronì di lei.
<< Ancora una volta? Tutto quello che sto facendo non basta ancora per fermarli? >>
Se Erik aveva provato compassione per quegli uomini che erano stati uccisi in quel momento tutta la sua pietà se ne era andata: nessuno doveva permettersi di rovinare la vita di un bambino. Tantomeno quella di più bambini innocenti.
Si sentì improvvisamente male: le persone uccise erano tutte a stretto contatto con suo padre che gli aveva chiesto di indagare sul caso e di scovare l’assassino. Ebbe un conato di nausea quando realizzò che probabilmente suo padre era uno di quelli che avevano partecipato in qualche modo al rapimento di quella bambina e si ritrovò a pensare che forse l’uomo che l’aveva cresciuto si era trovato di fronte ad una spietata assassina quando era ancora una bambina spaventata dal mondo.
La guardò notando che era pallida, stravolta e pensò che le servisse un po’ di aria perciò prese il pacchetto di sigarette dal suo cassetto e si alzò dicendo che aveva un bisogno incredibile di fumare. Methin annuì mentre con le labbra strette tra i denti saliva delle strette scalinate che conducevano ad un terrazzo sopra il palazzo.
Il terrazzo in se era un semplice quadrato di mattonato con la struttura quadrata da cui erano usciti i due che si trovava perfettamente al centro della costruzione e con una piccola tettoia che serviva a schermare dal sole chiunque avesse deciso di avventurarsi in quel posto dimenticato in qualsiasi periodo dell’anno o del giorno. Poco distanti da loro si trovavano altri palazzi più alti mentre a pochi metri da loro, sul terrazzo, c’era quello che sembrava un’enorme ventola di un condizionatore che lasciava uscire aria calda in continuazione e che era ricoperta da un materiale di plastica dura. Erik si riparò dal sole e si appoggiò al muro in modo tale da avere l’astro alle spalle. Con un piede sul muro insieme alla schiena prese una sigaretta dal pacchetto e la accese per aspirare profondamente una boccata di fumo. Methin nel frattempo si era messa accanto a lui e in modo tale che il fumo non le andasse nei polmoni.
<< Dovresti smettere di fumare. Davvero. Fa male. >> Era un vano tentativo di distrazione perché le immagini della sua memoria da bambina le stavano tornando alla mente, sempre più vivide e vicine.
Erik sorrise e la distrasse dai suoi ricordi mentre toglieva la sigaretta dalla bocca e la guardava.
<< Ho cominciato per una stupida ribellione adolescenziale e adesso non riesco più a smettere. >>
Methin sollevò un angolo della bocca ma poi lo osservò farsi più cupo. << Mio padre ti ha cambiato la vita, vero? >>
Annuì solo perché in quel momento non aveva abbastanza forza per parlare del suo passato, di quegli incubi che la tormentavano giorno e notte e che solo la vendetta, forse, avrebbe potuto acquietare. Sapeva che prima o poi le avrebbe fatto quella domanda, ma era fin troppo stupita che il ragazzo ci stesse mettendo davvero poco a fare due più due e incastrare tutti i pezzi del puzzle che la collegava alla sua famiglia.
 ‘ La mia piccola preda è davvero intelligente. ‘
<< Mi dispiace. >>
Una risata amara le uscì dalle labbra prima ancora di riuscire a fermarla. << Non ti devi scusare per quello che ha fatto tuo padre con me. Le colpe dei padri non ricadono sui figli. Se pensassi davvero che fosse colpa tua ti avrei già ucciso la prima volta che ci siamo incontrati. >>
Erik annuì senza guardarla ma fissando invece le volute di fumo che si avvolgevano in spire per poi scomparire nell’alto, nell’aria. Anche Methin le fissò e il suo sguardo andò a finire sul palazzo di fronte a loro e con un terrazzo più alto rispetto al punto in cui si trovavano loro. Istintivamente pensò che quella era una posizione perfetta per un cecchino che avesse voluto mirare a dove si trovavano i due: buona visuale e copertura, mentre la possibile vittima non avrebbe avuto quasi nessun posto per nascondersi e non avrebbe potuto tornare all’interno del palazzo senza prima esporsi pericolosamente. Se ci si fosse messi sotto un porticato neanche il sole avrebbe dato tanti problemi per un cecchino esperto. Sentì un brivido correrle lungo la schiena quando notò il riflesso di uno specchietto proprio di fronte a lei: quello era l’unico inconveniente perché una persona addestrata al combattimento e alle armi come lei avrebbe notato il riflesso. Prima che se ne rendesse conto stava prendendo Erik per una spalla e lo stava buttando dietro l’unico nascondiglio possibile in quello spazio aperto e completamente scoperto: dietro la ventola del condizionatore. Purtroppo però non fece in tempo perché sentì uno sparo risuonare nell’aria e subito dopo Erik si accasciò contro di lei mentre gemeva per il dolore.
<< No! >> ‘ Ti prego non morire! Non morire! ‘ Depositò Erik a terra perfettamente nascosto e notò una macchia rossa che si allargava velocemente all’altezza della spalla destra.
<< Erik se ti azzardi a morire giuro che ti ammazzo! >> La ragazza tirò fuori dalla fondina la sua arma, tolse la sicura e poi cercò di spiare dal bordo del suo nascondiglio prima che un colpo le fischiasse vicino alle orecchie.
<< Maledizione! >> Doveva fare in fretta perché il sangue usciva copioso dalla ferita del ragazzo e non poteva muoversi finchè non metteva K.O. l’avversario. Respirò a fondo e immaginò dentro la testa il perimetro del terrazzo e dove aveva notato il riflesso dello specchietto. Una volta fatto questo pensò a dove si trovava lei in quel momento e come avrebbe dovuto sparare. Respirò ancora una volta profondamente mentre un altro sparo perforava l’aria e il proiettile si incastrò nel pavimento leggermente alla sua sinistra.
Si alzò di scatto e sparò prima di tornare al suo posto di protezione. In risposta un altro sparo rimbombò nell’aria. L’assassina imprecò leggermente e osservò il ragazzo sdraiato accanto a lei che respirava affannosamente e che cercava di arrestare l’emorragia premendo la mano sinistra sulla ferita.
<< Bravo, così Erik. Non mollare. Vedrai che m sbarazzo di questo bastardo in poco tempo e poi ti curo. >> Osservò un secondo i suoi occhi che lentamente si stavano appannando. L’assassina digrignò i denti mentre sparava un altro colpo per poi rifugiarsi di nuovo dietro la ventola del condizionatore.
<< Voglio… il…  vestito… da infermiera… >> Erik sorrise da solo al verso di disgusto dell’assassina. All’inizio aveva sentito un forte dolore alla spalla e aveva pensato che si era fratturato qualcosa o addirittura rotto un osso. Si era poggiato la mano sulla ferita che subito aveva cominciato a sanguinare abbondantemente e aveva cercato di arrestare l’emorragia pur sapendo che non si sarebbe fermata. Lentamente però il dolore stava diminuendo come anche i rumori. Non sentiva quasi più il rombo degli spari dell’assassina e delle sue imprecazioni visto che non riusciva a mirare al cecchino. Stava forse morendo? Probabilmente si. Sentiva il sangue che inzuppava la sua camicia e il freddo della morte che gli rendeva insensibili le punte delle dita. La vista gli si offuscò lentamente e cominciò a respirare con un po’ di difficoltà anche se la mente rimaneva abbastanza vigile, tanto da ragionare lucidamente.
‘ Ma certo sto morendo dissanguato per colpa del proiettile. Le speranze di sopravvivere sono poche e ancora di meno se il proiettile è andato a fermarsi in qualche organo. Methin sarà l’ultima persona che vedrò? ‘ Cercò di fissarla bene in quel momento. I lunghi capelli erano agitati al vento creato dai suoi spostamenti veloci per evitare che il cecchino potesse colpirla. La posizione semi acquattata e la pistola puntata verso l’alto quando aspettava lo sparo del nemico. Un movimento veloce, uno sparo e poi tornava alla sua posizione acquattata e sicura. Lei si girò verso di lui e l’oro dei suoi occhi colorò tutto il suo mondo che si stava facendo sempre più scuro a partire dai bordi. ‘ Sto morendo. Tanto vale dire qualcosa di indimenticabile. ’
Erik pensò di aver sorriso ma non ne fu sicuro perché non riusciva più a percepire le sua labbra.
<< Assassina… che ne dici… di un bel bacio… della Morte? >>
‘ Questa è l’idea che ho di qualcosa di indimenticabile? Erik eri solo un cretino’.
<< Per favore… di a mia madre e alla … m- mia piccola… sorellina che le ho amate. Tanto… >> Pensò di aver sorriso ancora e poi le labbra di lei furono su di lui in un bacio dolce e leggero. Era solo la sua immaginazione? Non riusciva a dirlo perché tutto si era fatto buio. Buio in cui galleggiava e in cui non c’erano spari, non c’era dolore.
Solo pace.
 


Note dell'autrice:
Scusate se ci ho messo tanto! Avevo scritto questo capitolo prima dell'inizio della scuola, ma poi per un motivo o per un altro non l'ho mai pubblicato!
Che dire, i capitoli e la storia sono in continua evoluzione e mi accorgo che ogni capitolo che aggiungo alla fine è completamente diverso da come l'avevo immaginato. Forse la storia ha un carattere un pò troppo riflessivo, ma penso che almeno per il momento sia giusto approfondire il carattere e i sentimenti dei personaggi e spero di riuscire ad aggiungere un pò di azione per ogni capitolo che posterò! Spero che vi piaccia :)
Sto seriamente amando i miei personaggi. Più la storia va avanti e più si crea nella mia testa e più vedo ogni personaggio come una persona vera e reale. Li vedo accanto a me mentre scrivo dei loro pensieri. (si ok sono pazza lo so!) Spero che anche voi pensiate quello che penso io. Che dire? Non vi rivelo niente della storia e spero di poter aggiungere il prima possibile un altro capitolo :)

A presto!
 - Hel -



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Capitolo 4
*** Vicini all'oblio ***


Non riesce a capire molto. Passa da uno stato di dormiveglia, in cui percepisce solo poche parole, ad uno in cui c’è solo uno spazio nero e cupo, senza pensieri. Pensa di essere morto anche se non si ricorda esattamente chi o cosa sia. Una mano fresca che si posa su di lui. Dei rumori in sottofondo, forse due persone giovani che litigano, una voce maschile e l’altra femminile.
<< Raphael! Sarebbe morto se l’avessi lasciato lì! >>
<< Ma almeno adesso sapremmo chi ha cercato di ucciderti e perché! >>
<< Non è detto che abbiano tentato di uccidere me, ma lui! >>
<< Sorellina sei cambiata da quando quel ragazzo è entrato nella tua vita. >>
<< Smettila di dire stupidaggini Raph. Io non cambio mai. Io sono morta. >>
Poi di nuovo oblio. Un luogo di pace e di buio, spaventoso e desiderabile allo stesso tempo. Ancora una volta dormiveglia, il suono di una voce dolce e di alcune mani fredde che lo toccano.
 
<< La febbre sta salendo. Dobbiamo chiamare il dottore. >>
<< Lascialo morire. Non ci servirebbe a nulla comunque. >> Un suono. Uno schiaffo, forse.
<< Chiama il dottore Raphael. >>
Il rumore di una porta che si chiude ed un sospiro vicino a lui. Le mani tornano a toccarlo e sente un dolore lancinante da qualche parte del corpo. Geme per il dolore e sente la voce scusarsi. L’oblio è la salvezza dal dolore.

 
Lentamente si rese conto di essere qualcosa di diverso dal semplice dolore. Adesso sapeva di avere delle braccia e delle gambe. Aprì gli occhi, consapevole di averne un paio, e si ritrovò in una stanza illuminata dalla luce del mattino. Mosse la testa e si accorse di trovarsi in un letto enorme, matrimoniale, disteso tra lenzuola e coperte calde e confortevoli. Accanto a lui, sulla destra, c’era un comodino con due cassetti e una lampadina, mentre più lontano da lui c’era un muro coperto da assi di legno e con due porte agli estremi opposti. Di fronte a lui la parete presentava una scrivania enorme, con un computer e diversi documenti sparsi attorno. Quelli che sembravano dei raccoglitori erano disposti su quattro mensole al lato della scrivania. La parete che doveva essere esposta ad est, invece, era composta da un’unica intera vetrata che in quel momento era coperta con semplici tende per evitare che il sole del mattino colpisse direttamente il letto.
Erik continuò a ruotare la testa fino a che non trovò una distesa di capelli castani accanto al suo braccio. Sotto di essi scorse un volto addormentato e sorrise quando gli tornò tutto alla memoria. La giovane doveva averlo salvato dal sicario che lo aveva colpito alla spalla ed evidentemente, a giudicare dal bendaggio, doveva averlo tenuto in vita a costo di spendere molte ore di sonno. Con un leggero brivido si accorse di essere stato mortalmente vicino alla morte e quando si rese conto del suo pensiero represse un sorriso per il suo umorismo alquanto tetro. Si osservò attorno e notò la stanza ordinata, senza vestiti sparsi o ammucchiati da qualche parte, senza niente fuori posto. Guardò nuovamente la ragazza addormentata accanto a lui e si sentì immensamente grato che un’assassina come lei avesse perso del tempo per tenerlo in vita anche se per lei non avrebbe dovuto avere molto valore. Cercò di accarezzarle il volto ma per sbaglio usò la spalla ferita e gli uscì dalle labbra un leggero gemito. A quel suono lei si svegliò e i suoi occhi vigili e perfettamente svegli si posarono su di lui, sondandolo sin nel profondo. Subito dopo si aprì una delle due porte che davano sulla stanza e un bel ragazzo si presentò sull’uscio. Erik si raggelò sul momento e lo fissò, spaventato e immobile come un cervo che avvisti un lupo, ma Methin sorrise come una bambina davanti alle caramelle, tranquillizzandolo e facendolo rilassare un po’.
<< Raph! Finalmente si è svegliato! >>
Il ragazzo fissò freddamente la giovane che mostrò un’espressione leggermente imbronciata da bambina, mostrando un atteggiamento completamente diverso da quello che aveva sempre mostrato davanti all’investigatore che, dal canto suo, si sentì subito geloso di quel ragazzo, così bello ed evidentemente così al centro della vita di Methin. Però Erik proveniva da una famiglia nobile e la prima cosa che gli avevano insegnato era il contegno, perciò si limitò ad osservarlo freddamente senza mostrare nessuna emozione e cercando di analizzarlo.
 Era coetaneo di Methin o forse più grande, con capelli neri e mossi e profondi occhi verdi. Dal fisico atletico e muscoloso pensò che si allenava tutti i giorni per molto tempo, quindi ipotizzò che potesse compiere lo stesso mestiere di Methin e al quel punto si permise di rabbrividire di paura. Si sentiva come un topo circondato da leoni: era nella stessa stanza con due assassini professionisti, che però, stranamente, l’avevano tenuto in vita.
<< Lo vedo. Sorellina. >> Erik si sentì sospirare con un respiro tremulo, che non si era accorto di stare trattenendo. Perché si sentiva tranquillizzato da come il giovane aveva chiamato Methin?
<< Non fare il freddo con  me Raph. Non cambio idea. >>
<>
Methin gli sorrise proprio come una bambina davanti ad i genitori e poi tornò a guardare Erik.
<< Sei stato incosciente per due giorni e due notti. Le ferita era più grave di quanto immaginassimo e avevi perso molto sangue, quindi abbiamo dovuto chiamare un medico e farti curare il più in fretta possibile. Mi ha detto che una volta sveglio avresti dovuto cercare di muovere il meno possibile il braccio e la spalla, almeno per i primi tempi. >>
<< Methin ha vegliato su di te per tutto il tempo, rinunciando perfino a dormire, finché non hai cominciato a stare meglio. Non avrebbe dovuto farlo. >>
<< Smettila di rimbeccarmi come se fossi mio padre e vai a farmi un caffè, Raph. >> Il ragazzo la fissò male, sbuffò, ma fece come la ragazza gli aveva ordinato e se ne andò dalla stanza lasciandoli soli, anche se la sua rabbia si poteva intuire sentendo le ante della cucina che sbattevano violentemente.
<< Non mi dà l’idea che mi abbia preso in simpatia. >>
Methin scosse leggermente la testa, cercando di non guardarlo negli occhi, poi osservò il muro come se potesse vedere attraverso di esso fino a scorgere le spalle incurvate di Raph, arrabbiato e triste anche se lei non riusciva a capire perché.
<< Raph odia tutti coloro che non fanno parte della famiglia ma entrano nella mia vita. >> Si soffermò a pensare un attimo e poi sorrise. << A dir la verità prima di te nessuno era mai entrato davvero nella mia vita. >>
Erik la guardò un attimo stupito. << Vorresti dire che hai vissuto da sola fino ad ora? >>
Un’altra anta sbatté in cucina e si sentì la voce di Raph che borbottava a voce troppo alta. 
<< Non da sola. Ho vissuto con mia madre e Raph. >> Erik continuò ad osservarla e le sembrò davvero stanca.
<< Raphael aveva ragione. Avresti dovuto lasciarmi lì. Non dovevi rischiare la tua vita per me. >> A quelle parole la ragazza si girò di scatto verso di lui e lo fissò con occhi di fuoco.
<< Non azzardarti neanche a dire una cosa del genere! Non dopo che ho rischiato di morire per difenderti! Non dopo che… >> La voce le mancò e le parole le morirono in gola quando finalmente si rese conto di quello che aveva fatto.
Lei, Methin, ragazza senza cuore, aveva salvato una persona che non faceva parte della sua famiglia, rischiando la sua vita e infrangendo le regole più importanti che la madre le aveva insegnato.
<< Te ne sei pentita? >> La voce di Erik aveva una nota di tristezza ma sembrava anche risoluta. Con movimenti lenti cercò di alzarsi dal letto sperando di non far vedere quanto soffrisse. La stanza cominciò a vorticargli attorno e l’assassina lo prese per le braccia, attenta a non fargli troppo male, e lo fece appoggiare a dei cuscini adeguatamente sistemati in modo tale che potesse stare seduto.
<< No. Non me ne sono pentita. E tu vedi di non cadere ai piedi del letto e fai il bravo paziente. >>
In quel momento tornò Raphael con una tazza di caffè fumante in mano che porse gentilmente all’assassina.
<< Vai a riposarti, qui ci penso io. >>
Methin sorrise mentre beveva il caffè. << Mia la preda, mia la cura. >>
Raphael storse la bocca in una smorfia di disapprovazione e se ne tornò nell’altra stanza dicendo solamente che sarebbe andato ad allenarsi.
La ragazza sbuffò e tornò a concentrarsi sul suo caffè, chiudendo gli occhi e portando indietro la testa, come se stesse davvero godendosi quella bevanda calda. Ora che la osservava bene Erik poté notare dei cerchi scuri sotto gli occhi, segno evidente che aveva davvero vegliato su di lui finché non aveva cominciato a migliorare.
Un rumore strano provenne dal suo stomaco e si accorse di avere fame. Sorrise per scusarsi con Methin e lei sorrise di rimando mentre si alzava e posava la tazza di caffè sulla scrivania.
<< No, tranquilla. Posso aspettare. Tu mi hai salvato la vita, posso permetterti di bere il tuo caffè in santa pace. >>
Lei rise di gusto mentre il caffè le scaldava lo stomaco e il sollievo le alleggeriva il cuore. Non aveva mai usato la sua forza e la sua abilità per salvare delle persone, non così almeno. Sapeva che quello che stava facendo era per tutte le persone che avevano visto la propria vita finire in quelle oscure camere, per tutte le famiglie spezzate e anche per tutti i bambini che così avrebbero potuto vivere una vita felice invece di essere rapiti come lei. Ma non aveva mai e poi mai accudito una persona come aveva fatto con Erik. Perfino quando la mamma si era presentata a casa con Raphael lei non se ne era curata molto all’inizio, anzi lo aveva trattato così male che la mamma non faceva altro che rimproverarla. Solo dopo più di un anno in cui Raph stava a casa loro lei lo aveva finalmente accettato come membro della sua famiglia. Allora cosa c’era di diverso in Erik? Sapeva che lui aveva una famiglia tutta sua, che aveva una madre e delle sorelle e dei fratelli, che non lo considerava un fratello, ma allora perché aveva rischiato la vita per lui? Scosse la testa e quando si accorse che il caffè era finito andò a preparare il pranzo per il suo paziente.
‘ Erik non è un mio paziente e tantomeno è mio. Devo smetterla di comportarmi così. Io sono morta e i morti non provano niente. ‘
 
 
Da quando Erik si era svegliato migliorava a vista d’occhio. Nel giro di due giorni riusciva già ad alzarsi e ad andare in cucina e in bagno senza aiuto. Come aveva avuto modo di notare, la seconda porta della camera di Methin conduceva al suo bagno personale. Dopo una settimana il dottore venne a far loro visita. Era un uomo anziano, sulla cinquantina, con i capelli bianchi, il pizzetto e dei profondi occhi marroni, dolci e gentili che trattava Raphael e Methin come se li conoscesse da tanto tempo.
Dopo un’altra settimana Erik fu un grado di camminare tranquillamente anche se non poteva ancora muovere il braccio che rimaneva coperto da alcune bende. Da quello che diceva il dottore entro un mese la ferita si sarebbe quasi del tutto rimarginata e nel giro di qualche altro tempo avrebbe potuto ricominciare a muovere l’arto, anche se non avrebbe potuto sforzarlo, ma avrebbe cominciato la fisioterapia e presto avrebbe riacquistato tutte le normali funzionalità. Erik non sapeva come passare le giornate: dopo un po’ stare a letto lo annoiava e non se la sentiva di interferire con le missioni e gli affari di Methin e Raphael, perciò la maggior parte del tempo si metteva in giardino a leggere o a fare esercizio fisico che non richiedesse l’uso dell’arto lesionato. Un giorno Raphael lo vide fare i suoi esercizi e uscì in giardino sorridendo e con l’aria di sfida.
<< Perché ti dedichi all’esercizio fisico? >> Gli aveva chiesto con un sorrisetto ironico sulle labbra.
<< Perché voglio dare una mano a te e a Methin. >>
A quel punto Raphael era scoppiato e ridere così tanto che si era dovuto sedere a terra.
<< Ma ti prego! Non ci riuscirai mai! >>
Il giovane si era arrabbiato e gli aveva rivolto uno sguardo di fuoco e di sfida che avrebbe spaventato tutti. Tutti tranne un assassino addestrato, naturalmente.
<< Vedi non puoi farlo per due motivi. Il primo è che prima o poi la tua famiglia verrà distrutta dalle nostre azioni e tu non potrai aiutarci. Per il secondo motivo… beh… seguimi e lo vedrai con i tuoi occhi. >>
Raphael si era alzato da terra con un movimento fluido ed elegante che aveva lasciato Erik di stucco, poi gli aveva fatto cenno di seguirlo. Si muoveva come un serpente: senza fare rumore strisciava e attendeva il momento propizio per attaccare.
Erik lo osservò mentre lo conduceva al piano inferiore della casa, dove il giovane ferito non era mai stato, fino ad una porta di ferro molto pesante che il ragazzo aprì come se fosse pesante quanto una piuma. I due si ritrovarono in un’ampia sala divisa in due zone; la prima era attrezzata come una normale palestra con pesi e accessori vari per potenziare la muscolatura, la seconda invece aveva un tatami enorme al posto del pavimento e tutte le pareti erano riempite con ogni tipo di arma. Al centro del tatami l’assassina stava ripassando delle mosse di arti marziali si bloccò quando entrarono i due giovani. I capelli erano raccolti in una coda di cavallo, tranne per alcune ciocche ribelli che erano sfuggite al laccio, mentre un leggero strato di sudore imperlava la fronte della ragazza che sorrise allegra quando vide i due uno accanto all’altro.
<< Vedo che finalmente state facendo amicizia! >> Raphael mentì spudoratamente alla sorella, mentre il suo sorriso diventava un ringhio.
<< Volevo mostrare al ragazzo la casa ma visto che ci siamo, ti dispiace se facciamo un combattimento? >>
Methin annuì felice e, mentre il giovane dalla chioma corvina si toglieva la giacca di pelle che aveva portato, la ragazza prese un secondo elastico e intrappolò la chioma fluente in un chignon, rispondendo allo sguardo interrogativo di Erik.
<< Quando combatti e sei una donna o tieni i capelli corti o li leghi in modo tale che il nemico non li possa usare contro di te. I capelli lunghi nel corpo a corpo sono uno svantaggio perché diventato come un altro braccio con cui puoi essere presa dal nemico, ma che non può essere usato per attaccare. >>
Detto questo si mise in posizione e attese l’attacco di Raphael che cominciò a girarle attorno come avrebbe fatto un predatore con la sua preda, cercando un punto difensivo. Erik notò le labbra incurvate dell’assassina che evidentemente sapeva che si sarebbe divertita, ma quando lo scontro cominciò rimase completamente senza fiato. Nonostante le apparenze, se Raphael era un serpente, agile e flessuoso, l’assassina si muoveva come una leonessa: non sprecava nessun tipo di attacco e si muoveva con velocità e forza che non avrebbe mai visto in una ragazza. Ruotava su se stessa e si spostava quando l’avversario tentava di colpirla, cercando di sfruttare non solo la sua forza ma anche quella del fratello per vincere. I colpi si succedevano senza un attimo di tregua mentre il sudore cominciava ad imperlare la pelle di entrambi. Ad un tratto perfino Erik notò che Raphael aveva fatto un passo falso, lasciando scoperto il fianco sinistro e Methin ne approfittò e tentò di colpirlo. Ma era solo una finta e la ragazza se ne accorse troppo tardi quando oramai l’avversario aveva parato il colpo e si apprestava a darle un pugno in faccia, sfruttando il suo sbilanciamento. Ma Methin era un’assassina che lavorava sul campo, abituata a quel tipo di lotta, mentre Raphael non combatteva quasi mai se non con lei. Quando si accorse della mossa di Raph, semplicemente sfruttò il suo sbilanciamento per buttarsi a terra usando come perno la spalla destra e rotolando. Quando si rialzò in ginocchio mirò un pugno allo stomaco dell’avversario, abbastanza forte da farlo indietreggiare di un passo, poi con una spazzata lo fece cadere rovinosamente a terra ed infine tirò fuori un pugnale da chissà dove e lo puntò alla gola del fratello.
<< Ho vinto io! >> L’urlo contento di Methin risuonò nella palestra, come se fosse una bimba di cinque anni che avesse appena vinto il peluche tanto desiderato.
Erik si sentiva pietrificato. Fu quello il momento in cui non solo comprese le parole che gli aveva rivolto prima Raphael, ma anche i suoi sentimenti.
Erik sarebbe stato quasi del tutto inutile in un combattimento, soprattutto in confronto all’addestramento di Methin e del fratello che probabilmente era durato anni e anni. Inoltre molto probabilmente Raphael aveva ragione: i due assassini puntavano all’uccisione di qualcuno o qualcosa e di mezzo c’era anche suo padre. A favore di questa ipotesi non c’erano solo gli amici di famiglia e del padre uccisi dalla persona che aveva di fronte, ma anche la paura di Lucan, l’uomo freddo come il ghiaccio, che aveva deciso di parlare al figlio dopo anni di silenzio per prendere l’assassino che lo aveva spaventato.
Di mezzo a tutto quello c’era lui. Il solito ragazzo scontato, il figlio che nessuno avrebbe voluto avere: ribelle e odioso, ricco ed intelligente e donnaiolo che non aveva fatto altro che causare problemi alla sua famiglia e che in quel momento avrebbe dovuto decidere se rimanere dove era e contribuire all’uccisione del padre o se andarsene e denunciare Raphael a Methin, con la certezza che loro sarebbero morti, prima o poi, ma anche con la sicurezza che Erik non se la sarebbe mai perdonato. Non perché sapeva cosa era giusto e cosa sbagliato, no. In quella storia non aveva capito ancora quasi niente ed era fortunato se, per qualche strano motivo, Methin non aveva deciso di ucciderlo quando aveva scoperto che l’aveva vista compiere la propria vendetta.
No.
Vedendola combattere aveva cominciato a capire cosa si agitava dentro di lui. Senza rendersene conto aveva cominciato a pensare a Methin come alla ragazza più bella che avesse visto, non solo per l’aspetto fisico, senza dubbio eccezionale, ma anche per come era lei. Era una guerriera con le idee ben chiare di cosa fosse giusto e sbagliato, di cosa fosse disposta a compiere per una giustizia che apparteneva solo a lei e al fratello. Non era il genere di ragazza che aveva incontrato fino a quel momento: ragazzine abituate ad avere il mondo ai propri piedi, che non sapevano come comportarsi alla prima avversità e finivano nelle mani della droga o dell’alcool.
No.
Methin era diversa. Era un’assassina, una ragazza capace di ridere e scherzare come le altre, ma anche capace di mettere la propria vita da parte per la vendetta.
No. Non era possibile. Mentre la osservava combattere aveva capito che avrebbe distrutto tutto ciò in cui aveva sempre creduto, aveva compreso che quella ragazza eccezionale era arrivata fino a lui per un motivo ben preciso: aprirgli gli occhi. E lui, figlio ripudiato di un criminale, rampollo di una famiglia che non aveva mai compreso, si stava innamorando di un’assassina.
Non fu per il bene ed il male che decise, ma fu per amore di quella ragazza, quella donna, che si mise seduto a terra e continuò ad osservarla mentre si scambiava colpi con il fratello, sapendo di aver condannato il padre, lui, tutti.
Il giorno dopo nella casa c’era aria di novità. Sin da quando si era alzato dal letto Erik se ne era reso conto: Methin sembrava allegra e la sentiva canticchiare mentre Raphael lo trattava meno male del solito. All’improvviso la ragazza entrò nella sua camera da letto di corsa, accese il computer e cominciò a picchiettare delicatamente sulla tastiera, prendendo ogni tanto appunti su un foglio bianco.
<< Raph! Vieni a vedere! >> Di corsa l’assassino entrò nella stanza senza badare al giovane seduto sul letto che li guardava incuriositi. Le teste dei due assassini erano vicine l’una all’altra e li sentiva borbottare tra loro mentre a turno indicavano qualcosa sullo schermo del computer.
<< Le perlustrazioni hanno dato buon esito. Qui c’è un’entrata. Potrei... >> Il resto della conversazione si perse mentre Methin indicava altri punti e bisbigliavano fra loro di qualche missione.
<< I documenti sono qui. Abbiamo bisogno dello schermo grande per prepararci. >> La ragazza in quel momento si ricordò di Erik e si voltò verso di lui sfoderando un sorriso caldo e gioioso prima di dargli una spiegazione.
<< Abbiamo avuto un ingaggio dopo tanto tempo. E la casa dove devo rubare contiene anche dei documenti importanti sugli spostamenti del nostro prossimo target!>> Erik la guardò con aria ancora più incuriosita di prima.
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Raphael lo guardava con un sorriso di scherno e derisione, mentre prendeva qualcosa dalla tasca dei pantaloni e se la rigirava tra le dita. Erik impallidì quando notò che quello con cui giocava Raphael era il suo tagliacarte, scomparso pochi giorni dopo aver conosciuto Methin, pochi giorni dopo averla vista uccidere.
In quel momento si sentì nella stanza un respiro strozzato da parte di Methin che rimase raggelata davanti allo schermo del computer. Subito Raphael si girò verso la sorella e il più velocemente possibile Erik si diresse verso i due, cercando di capire cosa stesse succedendo.
All’inizio non riusciva a capire cosa stava succedendo. C’era una sua foto sullo schermo del computer e accanto la vista di una ricompensa con un numero di zeri che a lui parevano infiniti.
<< Cosa sarebbe?>>
Methin si voltò verso di lui. Aveva gli occhi spalancati ed era mortalmente pallida. << Erik… c’è… c’è una taglia su di te. Qualcuno ti vuole morto. Maledettamente morto. >>







Note d'autrice:
Scusate se ci ho messo tanto a caricare, ma lo studio e gli esami mi hanno impegnato tantissimo e questo è stato il primo giorno libero dopo tanti passati a studiare come una matta :S Per tutti i ragazzi e le ragazze che stanno affrontando gli esami: "in bocca al lupo ragazzi! E non dimenticatevi che dovete sempre leggere! (Non necessariamente la mia storia, anzi un bel libro, con delle pagine vere magari è meglio :p) 
Per tutti i ragazzi e le ragazze che invece hanno avuto gli esami... beh! che dire? godetevi le vacanze, il mare, il sole, il caldo e i libri che potete leggere in santa pace! 
Spero di riuscire a caricare presto un nuovo capitolo :) 
Ci vediamo presto!
-Hel

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