Fino a perdere il fiato.

di diciannovegennaio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due. ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno. ***


Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in alcun modo.
Riferimenti a persone o fatti sono puramente casuali.


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< E’ una lunga storia. >
 < E’ una bella storia? >
< E’ una storia lunga e complicata. >


 

 Capitolo uno.
 

 Studiò con attenzione la sottile linea di luce che si era creata sulla superficie fredda e scura della scrivania. Entrava dalla finestra socchiusa, proprio di fronte a lui, e percorreva il suo cammino illuminando tutto ciò che incontrava, come se tutto fosse destinato a essere riscaldato: i fogli, i libri, le penne. Come se tutto fosse suo. Anche lui, seduto sulla poltrona nera di pelle, sentiva il suo calore. Con lo sguardo prese a percorrere tutta la scia di luce fino a che, nella sua visuale, entrarono le sue grandi mani, immobili sopra la scrivania. Lentamente iniziò a muovere le dita senza toglierle dal fascio di luce, incurante del resto della stanza che rimaneva al freddo e al buio. Sentiva i polpastrelli scaldarsi e spostando la testa di lato, anche i suoi occhi furono presi d’assalto. Li socchiuse per poi riaprirli e godendosi quell’offuscamento luminoso. 
Era divenuto anche lui una semplice presenza che quella linea di luce era riuscita a fare sua. Già una volta aveva calzato quei panni. Già una volta si era ritrovato a essere investito da una luce così potente da renderlo cieco. 
L’amore. 
Non avrebbe mai detto che l’amore, proprio quello che rendere tutto ancora meraviglioso, lo avrebbe strappato alla realtà per poi gettarlo in un burrone di malinconia. Il suo cuore sentiva ancora la stretta irremovibile di una forza ancor più grande di lui e di tutto quello che lo circondava.  Si sentiva ancora succube di una presenza che però era assente, e viveva di un amore ormai morto.
Come faceva? I ricordi. 
I ricordi erano il suo ossigeno, e allo stesso tempo la lama che lo trafiggeva ogni volta che si allungava al desiderio di toccarsi. Ancora una volta. Magari per sempre.
Respirò l’aria che, invisibile, galleggiava per tutta la stanza. Chiuse gli occhi e si concentrò solamente sul calore di cui solo una piccolissima superficie della sua pelle poteva godere. In quei momenti era impossibile non domandarsi il perché. Qual’era il senso di tutta la sua vita? Quella era ormai una domanda fissa, che lo faceva stare sveglio la notte e che lo trascinava in un mondo parallelo. Spesso li capitava di scordarsi di ogni cosa, anche del suo nome. Solo una parola rimaneva stampata nella sua mente; solo una domanda. Perché?
 < Qual è lo scopo di tutto questo? > domandò con voce bassa, quasi timoroso di spezzare quel silenzio, ormai amico.
 < Non lo so. Tu che scopo pensi che abbia, Zayn? > 
Già, qual’era lo scopo? Se lo domandava nell’arco delle sue giornate, ma mai era riuscito a trovare una risposta. Com’era arrivato a quel punto?
 Si alzò, sotto lo sguardo attento del Dott. Thompson. Continuò a seguire la linea di luce, prima con lo sguardo poi camminandoci sopra, percorrendola. Arrivò alla finestra e allungando le sue mani, toccò le fini tende di seta. Afferrandole le fece scorrere; una destra e l’altra a sinistra. Fu investito totalmente dalla luce tiepida del tramonto. Osservò come il sole si lasciava nascondere dai palazzi alti della bella Londra. Era stato baciato da un raro raggio di sole.
 < Credo che si sia scordato di raccontarmi qualcosa. > intervenne il dottore. Si voltò a guardare l’uomo con un cipiglio confuso. Il Dottor Thompson era un uomo panciuto con la barbetta, e un paio di occhiali tondi che ricadevano sul naso lungo. Era vecchio e questo si poteva notare dai capelli bianchi e dalle rughe delle guance: aveva sessant’anni ma una mente brillante.
 < Non la seguo, Dottore.> ammise. 
 < Chiamami Julio. >
 < Che cosa intendi dire? > domandò.
L’uomo si sistemò meglio sulla sua poltrona, senza staccare i suoi occhi azzurri da quelli color caramello di Zayn.
 < Mi hai parlato della tua insoddisfazione. Hai detto che ti senti costantemente vuoto e che la tua vita ha perso di senso. Adesso dimmi cosa ti ha portato a sentirti così. >
Le spalle di Zayn s’irrigidirono. Non voleva parlare della causa. Non voleva rivivere i ricordi. Voleva solo liberarsi da quel peso sullo stomaco, voleva solo continuare a vivere senza sentire quel vuoto dentro di sé. 
 < Non voglio. > disse.
 < Zayn, non posso aiutarti se non mi racconti tutta la storia. >
Il suo piede picchiettava sul pavimento tentando di trovare una soluzione. I suoi denti trovarono le sue stesse labbra cercando qualcosa da dire. I suoi occhi facevano su e giù per la stanza desiderando una via di scampo.
 < Vuoi fuggire? >
Zayn si fermò e guardò Julio. < No, io ... >
 < Bene, perché scappare non ti aiuterà. Puoi pure uscire da qui per non volerne parlare, ma il tuo tormento non si placherà. Devi affrontarlo, guardarlo negli occhi e comprenderlo. Devi conoscere il tuo “nemico” e cercare di combattere contro di lui. >
 < Questo significherebbe combattere contro di me. > rispose.
 < No, significherebbe trarre forza dalle tue paure, dai tuoi dolori per poter trovare la pace. >
Continuò a fissarlo per un paio di secondi che parvero interminabili, e poi spostò lo sguardo di nuovo fuori dalla finestra, oltre quel vetro appannato. Osservò le strade affollate dal sesto piano di quell’edificio e si meraviglio di quanto gli essere umani fossero piccoli.
 < Sai perché mi sono trasferito a Londra? > domandò.
 < No. >
 < Perché una persona che conoscevo mi diceva sempre che era il suo sogno. Diceva che a Londra tutte le cose sono migliori: le persone, i negozi, il cibo. Mi diceva che questa è la città dove avrebbe vissuto, un giorno. >
 < Questa persona... E’ una persona importante, nella tua vita? >
Zayn rise: una risata amara e del tutto priva di allegria. 
 < E’ una lunga storia. > rispose.
 < E’ una bella storia? > chiese.
 < E’ una storia lunga e complicata. >
 < Non hai risposto. >
 < Non so se ‘bella’ è l’aggettivo corretto. >
 < E che aggettivo useresti? > 
Zayn posò di nuovo lo sguardo sul dottore per poi tornare a sedersi sulla poltrona di pelle nera. Di nuovo la scia di luce lo illuminò. Non si era spostata di un solo millimetro, l’aveva aspettato paziente.
 < Non saprei. > rispose.
 < Pensaci. Chiudi gli occhi e pensa a un aggettivo. > lo spronò Julio con pazienza, accavallando le gambe.
Zayn lo ascoltò e chiuse i suoi occhi, lasciando che la sua mente si aprisse. Ripensò per l’ennesima volta a tutto quanto. Ripensò a ogni cosa che aveva vissuto e a ogni cosa che invece aveva perso. Ripensò a tutte quelle volte che aveva pregato che la sua vita non cambiasse mai, e a quelle in cui invece aveva sperato essere qualcun altro.
 < Caotica, molto. E abbastanza felice. Però è anche difficile, una di quelle storie che devi vivere per capirle fino in fondo. C’era sempre qualcosa che ti fa toccare il cielo con un dito, ma di conseguenza qualcosa ti fa sfracellare a terra. Devi correre. Non puoi permetterti di fermarti a prendere fiato perché potresti perderti per la strada. Devi stare al passo, perché è una storia imprevedibile e confusa. Neanche io ci ho capito molto. So solo che viverla ha fatto si che cambiassi la visione delle cose. Però .. >
 Zayn si fermò, abbassando lo sguardo e cercando le parole giuste da dire. Era così difficile rendere giustizia ha quello che aveva vissuto. Era così ingiusto che dovesse raccontarlo e non più viverlo. Ci pensava sempre, ogni volta che restava solo ma anche quando la folla lo circondava. Li mancava ogni cosa, ogni attimo anche il più arduo. 
 < Però? > lo sollecitò il dottore.
 < Quando questa storia ha avuto la sua fine, ho smesso un po’ di vivere, limitandomi a sopravvivere. >
 < Hai voglia di raccontarmela? > chiese Julio.
 < Fa male. >
 < Il miglior modo di abbattere il dolore è affrontarlo. > 
 < Forse sono troppo debole per rivivere tutto di nuovo. >
L’uomo sorrise, comprensivo. < Sei giovane, è normale aver paura. Ma io starò qui. Non mi muoverò.>
 < Davvero? >
 < Davvero. >
Zayn guardò l’uomo negli occhi, leggendoci la sincerità e l’incoraggiamento che li stava dando. 
 < Si chiamava Hadelaide Bennett. – cominciò perdendosi nei ricordi. – Io non sapevo neanche che si chiamasse così. A scuola era conosciuta semplicemente come ‘La Bennett’. Cosa assurda, a parer mio: Hadelaide è un nome bellissimo, non credi anche tu Julio? > domandò rivolgendosi all’uomo che, annuendo, sorrise.
 < Lei e i suoi amici erano la ‘feccia’ dell’intera scuola. Si dicevano molte cose brutte su di loro e soprattutto su Hadelaide. – Zayn sorrise, sinceramente divertito. – E’ incredibile: mi sono innamorato di lei nonostante tutti quei pettegolezzi, fossero veri. >
Si perse di nuovo tra i ricordi, i sorrisi, le lacrime, le gioie e gli addii. Quegli addii che sgraffiano l’anima, il cuore e tutto ciò che ti resta. Rendendo malandata e insignificante ogni cosa, come la vita. Soprattutto la vita.

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Capitolo 2
*** Capitolo Due. ***


  Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in alcun modo.
Riferimenti a persone o fatti sono puramente casuali.




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Preferivo di gran lunga una ragazza da proteggere,
mentre La Bennett era più il tipo dal quale
 dovevo proteggere me stesso.



Capitolo due.


San Francisco,
10 Settembre 2012
 
 Quella mattina la mia sveglia era suonata alle 6:30. Questo particolare stava a significare soltanto che la scuola era cominciata, come ogni Settembre. Avevo fatto la doccia, mi ero sistemato i capelli e indossato la maglia bianca che fasciava alla perfezione il mio addome, con i miei jeans preferiti. Me li aveva regalati mia madre per il mio compleanno, insieme a una nuova automobile.
Non ero un ragazzo viziato, però non avevo motivo per sentirmi dire no: andavo bene a scuola, per il semplice motivo che per i miei genitori il motto era “vai bene a scuola e avrai tutto quello che vuoi”.
Fatta una veloce colazione, salutai la mia famiglia e con la mia nuova macchina raggiunsi la San Francisco High School. Parcheggiai in quello che ormai era diventato il mio posto e mi specchiai nello specchietto prima di scendere. Il ciuffo corvino, quella mattina, copriva la fronte, e qualche ciuffo cadeva anche sugli occhi scuri. Mi piacevo. Sapevo di essere un bel ragazzo, ma conservavo gelosamente la mia indole introversa e riservata. Nonostante questo avevo una vita sociale abbastanza movimentata: avevo molti amici e questo non ho mai capito se dipendeva dal mio ruolo di capitano nella squadra di Pallacanestro o per la mia faccia. Non parlavo molto e mi facevo gli affari miei per la maggior parte del tempo, ma questo non sembrava causarmi problemi.
A passo sicuro entrai nel cortile, fermandomi spesso a salutare persone che non ricordavo neanche di conoscere.
 < Ehi Malik! Da questa parte! >
Vicino all’ingresso, poco distante da me, c’era il mio migliore amico: Liam James Payne. Ci conoscevamo dal primo anno di Liceo ed era uno apposto. Al suo fianco, Niall James Horan mi sorrideva contento.
Mi avvicinai a loro e con delle pacche sulle spalle ci salutammo.
 < Ti sei tagliato i capelli. > dissi, notando che i ricciolini castani di Liam erano spariti. Lui si giustificò con un’alzata di spalle, sorridendomi. Mi voltai verso Niall che mangiava una brioche alla crema. < E tu sei ancora più biondo. > ridacchiai.
Lui mi guardò con i suoi occhi azzurri e ridacchiò, a bocca piena. < Nuova tinta. Me l’ha comprata mia madre, ma deve aver sbagliato. >
Ridemmo. Aspettando il suono della campanella decisi di accendermi una sigaretta.
 < C’è sempre la solita gente. > borbottò Niall.
 < Ti aspettavi una new entry ? > chiese Liam.
 < In effetti si. >
 < Ciao ragazzi! !> tutti e tre ci voltammo. A guardaci sorridente, con lunghi capelli biondi e occhi verdi, c’era Annabelle Watson.
 < Ehi Anna. Come va? > domandò Liam.
 < Tutto bene, voi? >
Dovetti abbassare lo sguardo per non ridere di fronte al biondo, al mio fianco, che arrossiva.
 < Benissimo! Quest'anno ho deciso di iscrivermi al corso di musica! > ci annunciò, esaltata. Annabelle era sempre stata dall'asilo una ragazza piena di vitalità e di entusiasmo. Non avevo mai capito da dove prendesse tutta quell'energia.
 < Oh, anche il nostro Horan frequenterà quel corso. > dissi, mostrando i miei denti bianchi in un sorriso divertito. Niall mi fulminò con lo sguardo ma dovette presto spostare l'attenzione sulla bionda che si voltò a guardarlo. Arrossì ancora di più, se possibile.
 < Che bello! Saremo compagni di banco, non è splendido? > rispose elettrizzata.
Niall si grattò il braccio, nervoso. < Oh si, sarebbe .. >
 < Bene! Adesso vado a prendere l’orario dei miei corsi prima che ci sia la folla. Ci vediamo in giro.> si congedò, salendo i pochi scalini per entrare nell’edificio.
Mi voltai verso Niall e scoppiai a ridere.
 < Vaffanculo, Zayn. > borbottò.
 < Ehi ragazzi. Guardate chi c’è anche quest’anno. > sussurrò Liam, indicando con un cenno del capo un punto indefinito davanti a noi.
Guardai attentamente, cercando di capire cosa intendesse, finché non la vidi. Era appena entrata dal cancello con indosso un paio di pantaloncini a vita alta e una maglia senza maniche incalzata dentro. In testa il suo berretto rosso con “NY” scritto in nero e ai piedi un paio di Blazer rosse. La prima cosa che attirò la mia attenzione – e quella di tutti gli altri – furono i numerosi tatuaggi sulle braccia che sembrava si fossero moltiplicati a distanza di pochi mesi. Uno era comparso perfino sulla coscia destra.
 < Non era stata rinchiusa in un carcere minorile? > domandò Niall.
 < E questa chi te l’ha detta? > chiese Liam, scettico.
 < Ben, quello del corso di Arte dell’anno scorso. > spiegò il biondo.
Non li ascoltavo. Io continuavo a guardare il modo sicuro e dritto con cui camminava. Molti avevano smesso di parlare solo per guardarla, altri invece avevano cominciato a fare le peggio congetture. Tuttavia La Bennett non li considerava minimamente, probabilmente abituata ai pettegolezzi che si dicevano su di lei. Non la conoscevo personalmente, l’avevo solo intravista nei corridoi e ne avevo sentito parlare. Si vociferava che fosse nel giro della droga e che fosse una ragazza facile. Tuttavia nessuno era in grado di smentire o confermare queste voci, visto che tutti in quella scuola la evitavano come la peste. Tutti tranne Harold Edward Styles, che proprio in quel momento la raggiungeva con una leggera corsa, chiamato comunemente Harry. Lui, nonostante la sua brutta reputazione acquisita essendo amico della Bennett, aveva un clamoroso successo con le ragazze. Era capitato più di una volta che si scatenasse qualche rissa perché Styles era andato a letto con qualche ragazza fidanzata. Non aveva mai perso, comunque. Quindi, anche se scoprivano di esser stati traditi con lui, i ragazzi si limitavano a mollare la ragazza in questione e odiare Styles mantenendo la giusta distanza.
Non mi sono mai piaciuti quei due. Non sapevo - neanche mi interessava – se quello che si diceva su di loro era vero, ma era impossibile dire che fossero brave persone. Styles aveva la faccia da stronzo, anche se a volte riusciva a camuffarla con un sorriso innocente. Ma La Bennett aveva uno sguardo che diceva solo “guai”. Non ero il tipo da giudicare qualcuno senza conoscerlo, ma lei aveva un non so cosa di pericoloso, e si vedeva da come sorrideva. Un sorriso che non era proprio tale. Una smorfia, un ghigno di superiorità, che faceva trasparire pensieri maligni o comunque sia amari, cinici. Era un peccato. La Bennett era davvero una ragazza bellissima. Aveva dei lunghi e mossi capelli castani, che a tratti si potevano scambiare per ramati. Gli occhi erano sempre truccati appena, solo un po' di matita agli angoli, ed erano grandi di un colore chiaro, simile al marrone. Non avevo mai indagato sul colore dei suoi occhi, perché per quanto potesse essere attraente non era il mio tipo.
Preferivo di gran lunga una ragazza da proteggere, mentre La Bennett era più il tipo dal quale dovevo proteggere me stesso.
 < Ti ha detto perché ? > chiese Liam.
 < Sembra che abbia picchiato una ragazza, ma non so se sia vero. > rispose il biondo.
La campanella prese a suonare insistentemente e la massa di studenti si mosse tutta insieme verso l'entrata. Noi rimanemmo fermi, appoggiati alla ringhiera dei tre scalini, aspettando che un po' di quella confusione si calmasse per poter raggiungere la segreteria in tranquillità.
Gettai la mia sigaretta in terra, poco di distante da me, allungai il piede per poterla pestare, ma una Blazer rossa fu più veloce delle mie Nike.
Alzai lo sguardo e i trovai gli occhi della Bennett che mi perforavano la testa da una parte all'altra.
 < Scusa, non ti avevo visto. > dissi educato, visto che praticamente le avevo gettato il mozzicone addosso.   Mantenni comunque sia un certo distacco.
Non rispose, mi guardò per un altro paio di secondi con quel paio d'occhi freddi e distaccati, che mi mandavano a fanculo e mi facevano sentire piccolo come una formica.
Poco dopo si allontanò, ma io continuavo a vedere i suoi occhi davanti a me, come se fossero ancora li, a scrutarmi.
 < Pensavo che ti avrebbe ucciso con lo sguardo. > borbottò Niall che aveva ripreso a respirare. Non lo ascoltai perché mi stavo ancora domandano come fosse possibile avere degli occhi così.
 < Adiamo, o faremo tardi. > intervenne Liam.
Erano gialli.


***
 
 Avevamo cantato il Pledge of Allegiance, ovvero il giuramento di fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti che avremmo dovuto intonare ogni mattina alle 7:30, all'inizio delle lezioni. Il primo corso a cui avevo assistito era quello di Spagnolo, ma l'unica cosa che avevamo fatto era parlare delle nostre vacanze estive. Ero bravo in quella lingua. Quindi la cosa non mi preoccupava minimamente. L'ansia era leggermente salita quando, a Fisica, la professoressa – che sarebbe morta di una morte lenta e dolorosa – ci aveva annunciato un compito a sorpresa. Il primo giorno!
Tutta la classe aveva protestato ma lei si era giustificata dicendo: < Non dovete preoccuparvi ragazzi. Questo è un modo per vedere dove avete le lacune, e cosa dobbiamo riprendere. I voti non avranno molto valore. >
Bella stronza.
Era andata abbastanza bene, comunque. Non il miglior compito della mia carriera scolastica, ma poteva andare peggio. Fisica era una di quelle materie, insieme a Letteratura, con cui ci perdevo più tempo perché mi riuscivano meno. Per questo, non avendo ripassato niente durante l'estate, non potevo che esser contento per quel compito.
Io avevo un buon rapporto con la scuola. Certo, avrei preferito restare a casa e dormire, ma visto che ero obbligato a farlo, accettavo la situazione di buon grado, non come Niall che mentre mangiava la sua pizza, nella pausa pranzo, si lamentava.
 < Niall è il primo giorno di scuola. Se ti lamenti ora fra due mesi cosa farai? > li feci notare.
 < Probabilmente mi ucciderò. > rispose.
 < Sarebbe un'idea, Horan. >
Liam, che fino a quel momento ridacchiava in disparte, si voltò insieme a me, mentre Niall si irrigidiva. Dietro di noi Styles sorrideva beffardo.
 < Che vuoi? > domandai.
Non mi guardò neanche.
 < Voi siete amici di Annabelle Watson, vero? > chiese.
 < Lasciala in pace Styles. > sbottò Niall, guardandolo gelido.
 < Oh, oh! Toccato un tasto dolente, biondo? >
 < Perché non te ne vai a infastidire qualcun'altro? >
Mi ero alzato dalla sedia e mi ero messo davanti a lui, guardandolo dritto negli occhi verdi e perfidi.
Anche se per tutto questo tempo l'avevo evitato, non mi faceva paura. Poteva anche mettermi le mani addosso, di certo non mi sarei tirato indietro.
 < Non fare il coraggioso con me, Malik. > rispose ridacchiando.
 < Non sto facendo il coraggioso con nessuno, io. Ti sto solo dando soddisfazione, perché è questo che vuoi vero? Vuoi solo stare al centro dell'attenzione. > dissi, allargando le braccia.
Non fiatò, però si avvicinò a me e mi guardò con una rabbia disumana.
 < Vuoi rogna? >
 < No, e tu? >
 < Non mi spaventi, Malik. >
 < Nemmeno tu, sai? Sei solo un ragazzino con le manie di protagonismo. >
Fu veloce e in secondo mi ritrovai addosso al muro vicino a noi con le sue mani che stringevano il mio colletto.
 < Non ti conviene fare il furbo con me. >
 < Harry. >
Quella voce arrivò alle nostre orecchie bassa ma decisa. Styles si voltò, verso l'unica persona che lo chiamava con quel nome.
La Bennett.
 < Andiamo. > disse calma. Styles tornò a guardare me, seriamente indeciso tra darmi un pugno o dare retta all'amica. Scelse la seconda.
 < Non finisce qui. > sussurrò, mentre le sue grandi mani lasciavano la mia maglia e passavano a sistemarsi i boccoli castani, sulla testa.
Si voltò, sorpassando La Bennett che invece di seguirlo mi guardo. Ebbi l'occasione di osservare meglio i suoi occhi, da quella distanza. Pensavo di essermi sbagliato, ma i suoi occhi erano davvero gialli. Dorati era più corretto. Mi sembrava di vedere scaglie di un marrone più scuro, in quelle iridi, a contrasto con quella tonalità d'oro che sembrava brillare. Tuttavia, rimanevano impenetrabili e freddi come il ghiaccio.
 < Che c'è? > chiesi, altamente irritato. Non mi piaceva come mi guardava.
Mi pentii di essere stato gentile quella mattina.
Lei non si scompose, si limitò a sorridermi divertita e maligna, ma poi si voltò anche lei e seguì il riccio fuori dalla mensa, dove ormai tutti si erano fermati a guardare la scena.  Mi misi seduto come prima, sentendo gli sguardi di Niall e Liam sulla mia nuca.
 < Mi dispiace. > sussurrò ad un certo punto Niall, a testa china.
 < Non dire minchiae. L'avresti fatto anche tu per me. > risposi convinto.
 < Che voleva da te? > domandò Liam, preoccupato e abbastanza arrabbiato.
 < Non ne ho idea. Al corso di musica io e Anna eravamo seduti vicini ma poi Styles è venuto e ha cominciato a darle fastidio. Quindi li ho detto di andarsene. L'ha fatto, ma probabilmente solo perché c'era Anna. > spiegò.
 < Quello andrebbe rinchiuso da qualche parte. Insieme a quella! > sbottò Liam.
Non dissi più niente per tutto il tempo. Mangiai in silenzio, mentre intorno a noi l'atmosfera si alleggeriva. Quando la campanella suonò eravamo tornati tranquilli, tranne io che continuavo a pensare al modo in cui La Bennett mi aveva sorriso.
Perché aveva fermato Styles? Perché non aveva semplicemente lasciato che mi desse un pugno? Dal suo sorriso avevo capito che, se l'avesse fatto, ne sarebbe persino stata contenta. Allora perché fermarlo?.
Forse non voleva che mi picchiasse e quel sorriso era sono un modo per confondermi? Ma che sto dicendo? La Bennett mi odiava, ma probabilmente lei odiava tutti. Forse ha impedito a Harry di mettermi le mani addosso solo per non farlo andare nei casini. Già, doveva essere esattamente così.
Convincendomi delle mie teorie mi ero avviato verso la prossima lezione, salutando i miei amici con un cenno del campo. Proprio mentre passavo davanti ai bagni, la vidi. Di nuovo.
Appoggiata allo stipite della porta, con le braccia incrociate e il capello in testa, La Bennett mi stava guardando.
E poi sorrise.











Salve a tutti.
In anzi tutto vorrei ringraziare chi mi ha recensito il capitolo, ieri. E volevo ringraziare tutti voi per le numerose visite.
Ho postato presto il secondo capitolo e questo è un miracolo, fidatevi. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, vi va? Lasciatemi una recensione
con tutti i vostri pareri.  Se vedo che vi piace, aggiornerò più in fretta.
Un bacione, a presto.
Elena xx

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