Journey Into Marketing

di Obliviosa Black
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La caduta ***
Capitolo 2: *** L'aiutante. ***
Capitolo 3: *** La pietra magica, vol.1 ***



Capitolo 1
*** La caduta ***


 

"In effetti la ragione non c'era perché era andata un attimo a farsi un bagno"
Douglas Adams, Guida Galattica per gli autostoppisti.

N.d:A  questa fanfiction si colloca tra Journey Into Mystery 632 e 633.
 

1. La caduta.

Ad Asgardia terrestre, in Oklahoma, gli oggetti cadono a terra con la stessa accelerazione di gravità della terra. Eppure quando il telefono cellulare si stacca inavvertitamente dalla mano guantata di Loki, di Loki l’ingannatore, di  Loki il mutaforma, sembra fluttuare nell’aria.
Il cellulare volteggia nell’aria, cattura la luce del sole descrivendo falci argentee con il suo movimento. È un bell’effetto ottico, gli spicchi argentati che si stagliano sui bagliori color arcobaleno che circondano Asgardia: Loki il mutaforma, Loki l’ingannatore, ha tutto il tempo per apprezzarne ogni sfumatura, tanto  il cellulare sembra cadere piano.
Loki l’ingannatore, Loki il mutaforma, protende la mano che l’ha tradito in un ultimo sforzo ma le sue dita si chiudono sul nulla.  Poi sente un rumore che gli fa scendere un brivido lungo la schiena, lo stesso brivido che senti quando righi la Wolkswagen nuova di tuo padre.
Loki, il Dio degli Inganni di Asgard cerca di ingannare se stesso: si copre gli occhi con le mani, sperando che, quando aprirà una fessura tra le dita, scorgerà il suo telefono integro.
Esistono situazioni quando una bugia – o una speranza, che è poi la stessa cosa- coincide con la realtà: ma Loki l’astuto aveva già fruito di questa gustosa occasione in passato e queste sono occasioni più rare di non trovare coda alla poste.
Quando aprì gli occhi, vide una ragnatela di crepe stendersi sul touch screen del cellulare.
Dalla bocca di Loki l’ingannatore, Loki l’astuto, uscì un’imprecazione talmente antica che quando era passata di moda Odino, il padre degli dei, gattonava ancora; un’imprecazione talmente primitiva che non ascoltandola attentamente si sarebbe potuta scambiare per il muggito di un montone delle nevi.
-Che cosa ho fatto?- si domandò il dio.
Una gazza volteggiò sopra la sua testa con pigri cerchi sempre più piccoli, per poi posarsi sulla sua spalla:- Il caos. Come sempre.
Loki l’ingannatore, Loki l’astuto, Loki il maledetto, parve riprendersi dall’accaduto:- Ikol?
La gazza ruotò il capo in modo che il suo sguardo fosse in linea con quello del giovane dio.
Se avessimo potuto stoppare la scena per qualche istante ed avvicinarci senza che nessuno dei due architetti qualche inganno a nostro danno e loro vantaggio, avremmo notato che gli occhi della gazza avevano la stessa tonalità di verde di quelli di Loki.
Per il dio sarebbe stato come guardare i suoi stessi occhi, cosa che solitamente evitava di fare: se vi portaste a presso una parte di voi stessi con la quale siete in conflitto e se questa parte del vostro io avesse degli occhi, dubito che la guardereste in faccia con tanta facilità.
-Ikol- riprese Loki il maledetto – Hai sbagliato battuta.
La gazza tenne lo sguardo fisso su di lui, osservandolo con quella solennità tipica degli animali che riteniamo più stupidi. O, in questo caso,  della parte più remota del proprio essere.
-Hai ragione Loki. Perdonami, ma il narratore è in vacanza.
Il dio aggrottò le sopracciglia e borbottò qualcosa dal significato incomprensibile che stavolta non assomigliava ad alcuna imprecazione norrena, bensì a “Maledetto Gillen”.
Ikol planò sul cellulare, facendo sentire un altro brivido inquietante a Loki.
-E' artistico con queste crepe…- commentò l’uccello.
Loki l’ingannatore, Loki il maledetto, si chinò e sollevò lentamente il cellulare.
-Si accende ancora però con lo schermo ridotto in queste condizioni è inutilizzabile- osservò premendo alcuni tasti. Del resto, rifletté, era scampato all’assedio di Dark Asgardia, alla discesa ad Hel e a Muspelheim praticamente illeso – salvo i bordi scheggiati e qualche insignificante graffio sul touch screen; la caduta doveva avergli dato il colpo di grazia.
Lo schermo si oscurò, segno che lo screensaver funzionava ancora correttamente.
-E' uno Stark-phone giusto? Potresti chiedere a tuo fratello, lui e Stark sono amici- suggerì Ikol.
Loki l’ingannatore, Loki l’astuto  lo degnò di un fugace sguardo per poi concentrarsi sul suo riflesso o meglio i suoi riflessi, visto che ogni spicchio creato dalla crepa rifletteva la sua immagine, seguendo ogni suo cambio di espressione, ogni suo movimento.
Un esercito di Loki, pensò il dio.
Si alzò stancamente e ripose cautamente lo Star-phone in una tasca della sua blusa.
-Andiamo Ikol.- ed aggiunse sottovoce - Per questo lavoro basta un solo Loki.

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Capitolo 2
*** L'aiutante. ***


"Le vendite crollano sempre con il numero due.
E' un classico. siamo spacciati."
Warren Ellis riguardo le vendite del secondo numero di Transmetropolitan

2. L'aiutante.
Ogni leggenda che si rispetti ha un protagonista forte, bello, possente, dalla natura divina o semidivina, ereditata per una serie di relazioni spesso illecite che farebbero impallidire i protagonisti di Beautiful.
Ma una bella statua non potrebbe essere considerata tale senza una che faccia letteralmente cagare, perciò una leggenda che si rispetti ha  un cattivo  brutto e malvagio che ostacola la sua missione Buona© e Giusta© ( copyright delle industrie del bene). Ma del resto una statua necessita anche di chi le allestisca una mostra: per questo il nostro eroe ha un aiutante, meno figo ma sempre guidato dalla bontà e dalla giustizia.
Queste caratteristiche sembrano per noi mortali regole inventate da un linguista russo in buie serate d’inverno, quando la vodka scarseggiava e non c’era la televisione; in realtà esse influenzano veramente la vita di creature divine o fantastiche così come il brutto tempo, la pubblicità, essere disturbati di domenica mattina dai testimoni di Geova o un caffè troppo  debole influenzano la vita degli uomini.
Loki, pur essendo separato da un muro invisibile dai suoi simili, non era escluso da queste regole.
Tralasciando il suo passato scuro come le penne di Huginn e Muninn, il sogghigno ambiguo che sfoggiava ancora troppo spesso per sembrare degno di fiducia agli occhi degli asgardiani, che la sua ombra sottile e sinuosa, proiettata sulle strade di Asgardia, ricordava tutto tranne che la forza, che quando s’inerpicava sui monti attorno al regno degli Aesir non era certo per trarre in salvo la prole di Odino da qualche minaccia ancestrale; tralasciando tutti questi dettagli che - sotto un certo punto di vista-  potevano essere insignificanti,  Loki avrebbe potuto essere un eroe.
Ovviamente, l’eroe della sua storia.
Anche se per compiere la sua missione si stava inoltrando in una grotta buia, il suo obiettivo splendeva più del sole sopra Broxton, in Oklahoma, a mezzogiorno.  Cosa che è vera solo se vista sotto quel certo punto di vista cui si accennava prima.
Inoltre la sua missione grondava di giustizia, ma attenzione: parliamo di quel genere di giustizia che porta un bambino di tre anni a strillare perché la pallina di gelato è caduta dal cono.
Quindi, se Loki Laufeyson poteva benissimo essere un eroe possente, bello, assetato di giustizia, chi poteva essere così folle da diventare il suo aiutante?
 
Il fuoco gettava baluginii luminosi sul volto di Leah di Hel, che si rincorrevano, sparivano come se stessero giocando a nascondino con l’oscurità della grotta.
In mezzo a tutto quel movimento i suoi occhi erano fermi, imperturbabili e la luce del fuoco faceva risaltare ancora di più il loro colore; colore cui menestrelli e poeti avrebbero dedicato poesie se solo la loro proprietaria non avesse osservato con muto disgusto qualsiasi cosa.
-Capisci Leah?- Loki alzò lo sguardo sull’ancella di Hel, che aveva ascoltato tutto il racconto sulla sua ultima disavventura stando in piedi, diritta e rigida come un manichino.
La risposta fu un impercettibile movimento dell’angolo della bocca e :- Capisco che sia possibile che quell’oggetto si rompa, capisco la tua volontà di ripararlo, ma non capisco perché io debba aiutarti.
Loki lasciò cadere la mandibola con eccessiva enfasi per poi sbuffare. Non era solito a simili comportamenti ma quello faceva parte – così come il rifiuto di Leah- di un piano complesso e raffinato che lo avrebbe portato al successo.
-Non hai avuto bisogno di me quando l’hai comprato, non vedo perché tu necessiti di me per comprarne un altro- proseguì l’ancella.
-La ragazza non ha tutti i torti, Loki- sussurrò Ikol che era appollaiato sulla spalla del ragazzo – Poi sai bene che genere di rapporto abbia Leah con ogni oggetto di provenienza Midgardiana.
-Oh, Ikol non sapevo che quello si potesse definire rapporto. Solitamente in un rapporto le cose o le persone interagiscono tra loro.
Lo sguardo di Leah guizzò attraverso la grotta fino a colpire Loki, una freccia che lacera la carne.
Il dio la ignorò e sospirando disse: -Invero Ikol è or..
Se Ikol avesse potuto avere sopracciglia, le avrebbe inarcate:- Invero?
Loki era alquanto irritato dagli interventi dell'uccelloi: la cosa che lo faceva andare in bestia maggiormente era il fatto che quella gazza era una parte di sé e ad ogni suo commento voleva tirarsi un pugno in faccia.
-Si, invero Ikol, è una parola; non l’hai mai sentita? Strano perché sono sicuro che hai tuoi tempi venisse già largamente utilizzata quindi non comprendo le ragioni del tuo stupore. Ti prego di illustrarmele visto che sono soltanto la reincarnazione del tuo io più giovane e quindi ingenuo, inesperto e bla, bla, bla!
Se Ikol avesse potuto avere anche delle ciglia,  avrebbe continuato a sbatterle con tranquillità:- In realtà volevo solo complimentarmi: finalmente il tuo lessico inizia ad essere all’ altezza di una saga epica.
Leah non si era mossa di un millimetro dalla sua posizione:- Loki? Tutto ok?
Loki la rassicurò e tenne il visto fisso a terra per qualche istante, facendosi scudo con la sua chioma ribelle.
Poi dai riccioli neri emerse un triangolo di pelle chiara, poi due occhi che, catturando la luce del fuoco, scintillarono ed infine la semioscurità del luogo delineò un naso pronunciato e delle labbra sottili.
“Tutto come avevo pensato” pensò Loki. Aveva calcolato la posizione giusta affinché il suo viso fosse semi illuminato, concedendogli un’aria affascinante e misteriosa.
-È ora di dare spettacolo.- sussurrò. Estrasse da una tasca della blusa il disgraziato cellulare, allungò la mano dietro di sé per posizionarlo su un supporto rettangolare; dopodiché schiacciò un tasto dello Stark-phone e si alzò.
-Leah- esordì- Ho bisogno del tuo aiuto perché…
Nella grotta iniziarono a diffondersi le note di Always di Bon Jovi.
La canzone provocò un tale sconcerto che l’espressione di Leah cambiò radicalmente( per i suoi standard, s’intende) mentre Loki si voltò più volte verso il proprio cellulare, come se non credesse alle proprie orecchie.
Scoccò un’occhiata irritata ad Ikol, che per tutta risposta tenne lo sguardo “se avessi le ciglia le sbatterei tranquillamente e con aria innocente”:- Non guardarmi così. Non sapevo ti volessi dichiarare a Leah.
Il dio degli inganni si gettò sul telefono e premette su touch screen con tale violenza da peggiorare la situazione dello schermo.
Loki si allontanò dal cellulare ruotando su sé stesso e descrivendo dei cerchi, mentre le mani seguivano le note iniziale de La cavalcata delle Valchirie di Wagner.
Quando la melodia attaccò con il ritornello, Loki si voltò di scatto, affrontando Leah con un'espressione decisa che nella sua immaginazione era un’imitazione perfetta di Silvester Stallone in Rambo.
-Ascoltami, Leah di Hel: tu mi devi aiutare - puntò un dito verso di lei – E se guardi bene dentro il tuo cuore oscuro e raggrinzito come una prugna secca, vedrai che è la cosa giusta da fare.
Loki fece un’elegante piroetta su sé stesso, dando le spalle alla sua interlocutrice:- Rifletti Leah e fai appello all’immancabile senso del dovere che la tua padrona ha instillato in te, come un cacciatore educa i figli a cacciare: sei forse qui per tua volontà? Non è stata forse la tua padrona ad ordinarti di assistermi fino al saldo dei miei debiti con Hel?
Non sprecare parole a rispondere mia cara perché entrambi sappiamo benissimo quale è la risposta.
Leah ascoltava compunta, mentre la melodia scemava in note sempre più basse ed acute.
-Ma vedi,- sospirò Loki, adattando la sua voce alla musica –Senza il mio potere, non potrò mai saldare quei debiti.
-Potrebbe Thor, il possente, il dio del Tuono- urlò- Difendere Asgardia senza il martello Mjolnir? Indubbiamente ci proverebbe seguendo la sua testardaggine e la sua cecità mentale ma cosa otterrebbe: un vano sforzo che porterebbe rancore a lui e morte agli Aesir.
E quindi chiediti Leah, quale risultato consegnerebbe Loki in seno alla casa dei morti senza il suo potere? La furia della tua padrona, il tuo fallimento.
Lungi da me creare queste condizioni, ma i fatti sono questi. Se la mia vecchia reincarnazione otteneva incantesimi, spunti per inganni sempre più sofisticati dai libri dalle copertine impolverate, da pergamene consumate dalle dita di tutte le persone che le hanno consultate, io ho un’arma in più.
Loki si fermò, osservando Leah con un sorriso sornione, mentre il componimento di Wagner spronava gli ascoltatori ad invadere la Polonia o un villaggio vietnamita o ad aiutare un giovane dio degli inganni.
-Io ho la nuova magia di questo mondo, la magia che con un semplice tocco permette di raccogliere migliaia e migliaia di informazioni- proseguì mentre l’orchestra esplodeva come un temporale estivo che squarcia il cielo.
-Con questo potere potrei restituire alla tua infernale padrona ciò che le spetta e regalare ad Hel altri onori, altri fasti.
Loki fece il giro del focolare e si avvicinò a Leah, come se fosse a capo della cavalcata cui si riferiva il brano.
-Se il tuo senso del dovere vacilla – posso capirlo, la mia vicinanza non aiuta di certo a mantenere vive queste qualità, io posso offrirti qualcosa di più appetibile della semplice obbedienza: la possibilità di scegliere. Per un solo istante, con una semplice risposta potrai stabilire perché sei veramente qui: per volere di Hela, signora di Hel? No, per volere tuo.
Loki la guardò serio e se non fosse stato per i nomi e le qualità poco lodevoli che gli venivano attribuite, avrebbe potuto sembrare  veramente sincero.
-Perché tu sei la mia G.A.P.S. Leah e i Grandi Amici Per Sempre, si aiutano in ogni situazione.
L’orchestra di Wagner attaccò l’ultima parte del suo ritornello e Loki alzò le braccia pronto a sfoggiare il piatto forte delle sue argomentazioni:- E perché senza un nuovo smarthphone non possiamo battere il record a Temple Run di Mefisto!
-Sarebbe un vero peccato- commentò Ikol.
L’ancella di Hel sembrò riprendersi dall’aplomb che solitamente  la caratterizzava, fece un segno stizzito con entrambe le mani in modo che dio e gazza si zittissero.
-Devo ammettere che stavolta il  tuo sproloquiare ha un fondo di verità- disse. Il ragazzo sorrise: nessuno poteva resistere senza Temple Run.
-Quindi, sarò per l’ennesima volta tua complice  in una delle tue malefatte.
Loki si sistemò il cappuccio sulla testa:- Oh, G.A.P.S. sei il massimo!

Ogni leggenda che si rispetti ha sì un eroe bello e forte, un cattivo meno bello ed incredibilmente malvagio, degli amici in grado da spalleggiare il buono nella sua missione Giusta©, ma manca ancora un requisito fondamentale: l’oggetto magico, l’unico in grado di cambiare il destino in favore del Bene© o del Male©.

-Ed ora Loki?
Leah si era seduta su una roccia: si stava preparando all’ennesima avventura – o meglio disavventura- al fianco di Loki e aveva un principio di mal di testa, probabilmente causato dalle ciance del dio; per un buon cinquanta per cento aveva accettato per farlo smettere di parlare.
Per la l’altro cinquanta per cento, Leah credeva che dopo tutto quello strumento potesse essere servito e servire a qualcosa.
La ragazza non conosceva di preciso le potenzialità dello Stark-Phone ma Loki ci perdeva parecchio tempo e nelle loro passate missioni l’aveva utilizzato più volte, dicendo che era l’unico modo per sfuggire a delle scimmie inferocite e raccogliere il maggior numero di monete, o qualcosa del genere..
Nel frattempo lo smarthpone stava tenendo duro e riproduceva ancora la Cavalcata delle Valchirie, che ormai si avviava alla conclusione.
Loki accostò le mani, inclinò le dita, con un’abilità di coordinazione da fare invidia al team olimpico cinese di nuoto sincronizzato, in modo che si toccassero; i guanti neri che le fasciavano le facevano sembrare più lunghe, come tentacoli che avvolgevano tutto nelle loro spire, per portare la preda ormai inerte al loro mostruoso proprietario.
-Ora, Leah- disse - Ci serve la pietra magica.

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Messaggio pubblicitario da parte dell'autrice:
Chi avrà letto la citiazione posta come incipit di questo capitolo, penserà che stavolta non avevo nessuna frase seria ed inerente al raccontro da scrivere e che tanto valeva che andavo sul profilo Facebook di qualche bella ragazza che vuole rendersi più intelligente con citazioni di Albert Einstein e William Shakespeare allegate alla sua foto seminuda.
Mi dispiace, ma i saldi al discount delle frasi cliché sono finite. In compenso ho citato questo commento ( riportato nella bellissima premessa di Garth Ennis a Transmetropolitan) perché questo capitolo è meno: meno divertente dell'altro, meno diretto. Insomma, è meno, brutto, è fuori come direbbe Flavio Briatore.
Quindi immagino che le recensioni caleranno da due a... a una facciamo (per essere positivi). Ma Warren Ellis si sbagliava quell'ottobre del 1997 (se non lo conoscete, cercate in google il suo nome: scoprirete che il thriller R.E.D con Bruce Willis è tratto da un suo fumetto). Io non sono Ellis, non sono mister cinismo e non ho alle spalle collaborazioni da fare girare la testa, ma spero di sbagliarmi. E spero che mi direte se ho ragione o meno.
Obliviosa Black.

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Capitolo 3
*** La pietra magica, vol.1 ***


"Alcune cose cambiano.
 Le persone, invece... rimangono uguali.
Ci sono imbrogli che fun­zionano sempre,
altri che vengono inghiottiti anche troppo presto dal tempo e dal mondo."

Mr Wednesday in American Gods, di Neil Gaiman.

N.d.A: questo capitolo è pieno di  riferimenti più o meno casuali e più meno evidenti(probabilmente lo sono solo per la mente contorta dell'autrice. Chi li trova tutti vince un  buono per  una cena gratis al Diner)

3.
Il fuoco crepitava, scoppiettava  mentre abbrustoliva qualcosa che doveva essere stato  uno scoiattolo, un topo o un roditore di quel genere. L’animale era in posa statica, come se gli fosse stata scattata una fotografia nel momento in cui il suo assassino si era precipitato su di lui, in un guazzabuglio di zampe, artigli e occhi che illuminano le tenebre, occhi con quell’inquietante luce rossa di quando non va l’ADSL e stai vedendo l’ultima puntata di Fringe in Streaming.
Lo scoiattolo è lì, in quella posa da modello per Vogue Macabre America, e un bastoncino lo infilza dove non batte il sole per poi sbucare aguzzo dalla sua bocca socchiusa. Il bastoncino sbuca a sua volta da una mano guantata, che lo rigira tra pollice ed indice. A sua volta la mano sbuca da un braccio, leggermente piegato e volto verso il fuoco, che sbuca da un ragazzo.
Dal ragazzo sbucano poi tante cose: un paio di gambe piegate, un altro braccio che le circonda ed una testa. Sembrerebbe sia fissa sullo scoiattolo, in posa per il suo servizio fotografico, ma a tratti scatta in avanti e con un veloce movimento del collo, guarda al di là  delle braci.
Ed intanto parla; gira e rigira lo spiedino, controlla che l’animale sia ben cotto, che il grasso sia colato per terra ed occasionalmente alza la testa.
- Potevo andare a Broxton e procurarmene un altro nel tempo in cui abbiamo discusso. Purtroppo mi manca un requisito essenziale, un requisito che persino le mie doti nell’arte dell’inganno faticano a rimpiazzare così su due piedi.
Le sue parole erano accompagnate da alcune note di una canzone pop, quasi fosse ad un qualsiasi campeggio con gli amici; ma nessuno campeggerebbe lì, non in quella grotta arroccata su una rupe aguzza come l’artiglio di un’aquila, a metà tra l’America e un luogo la cui storia si è persa nei milleni.
Le note della canzone pop erano a loro volta seguite da un ringhiare sommesso e da un urlo roco:- Cibo! Voglio Cibo!
Intanto il ragazzo alzò ancora la testa e il suo sguardo attraversò la grotta, anzi prese l’autostrada, accelerò ed uscì all’unico casello disponibile.
La ragazza  lo ricevette e raccogliendo con le dita affusolate ed appuntite i lembi del suo vestito, si accomodò su una roccia. Con l’altra mano portò alla bocca un collega del roditore sullo spiedino: qualche minuto in suo compagnia sul fuoco non gli avrebbe fatto male, ma la fanciulla non sembrava avere problemi a mangiare al sangue. Addentò molto lentamente l’animale, strappò un pezzo di carne e una goccia di sangue  le sporcò l’angolo delle labbra. Sembrava  una di quelle bambole di porcellana, quelle dai vestiti ridicolmente pieni di sottovesti e dai cappellini ridicolmente pieni di fronzoli. Le mancavano solo i codini, boccoli e cappello, poi era perfetta: lo sguardo vitreo c’era, l’impressione che potesse prendere vita da un momento all’altro e squartarti pure.
In sottofondo continuava il ringhiare sommesso, le imprecazioni contro l’assenza di altri ratti da uccidere e ovviamente le note pop della canzone.
La ragazza strappò un altro pezzo sanguinolento:- Come avevi fatto a procurartelo l’altra volta?
Il ragazzo allontanò lo spiedino dal fuoco, ci soffiò sopra per farlo raffreddare:- Ah, giusto. Tu non c’eri. Gioco d’azzardo coi nani. Mi ero recato lì pensando “Giocherò onestamente. Guadagniamoci qualcosa come tutti, affidandoci al caso, al destino.” Sarebbe stato un bel cambiamento. Ma i nani baravano. E siccome erano pieni di stupidità e birra fino al midollo, ho avuto pietà: ho mostrato loro come si bara veramente.
Era inutile specificare chi avesse vinto.
-Sfortunatamente la somma ottenuta ha coperto tutte le mie- esitò un attimo mentre avvicinava il roditore alla bocca– spese.
Guardò la bambola assassina. Sapeva che si riferiva al conto Diner.
Il ragazzo proseguì tra un boccone di topo e l’altro:- Ma stavolta ho un piano migliore e più veloce. Perché vedi, mia cara, la pietra magica che stiamo cercando non perde mai valore; mai. Alcuni Midgardiani ne controllano il prezzo ogni giorno, tuttavia la maggior parte di loro non reagisce bene alla sua presenza grezza, si spaventa come se avesse visto le Tre madri di mattina, appena svegliate, senza trucco.
La ragazza parve perplessa. Le note della canzone pop erano cessate, sostituite da qualcosa di tintinnava, uno strano frullio ed un assolo di basso.
- Ma allora cosa usano come merce di scambio se la pietra li terrorizza così tanto?
Aveva intravisto le Tre madri di prima mattina ed esteticamente parlando, preferiva di gran lunga il topo che stava gustando.
Il ragazzo mise da parte il suo pasto e frugò nelle tasche di una blusa verde e nera.
Ne estrasse qualcosa di accartocciato, che sembrava un pezzo di pergamena rettangolare.
Quando passò sopra il fuoco la ragazza notò che era bianco con dei dettagli verdi. Lo prese, lo distese e lo osservò per dieci secondi buoni.
Guardò il ragazzo che era tornato al suo topo mentre una batteria e una chitarra si aggiungevano al tintinnio, al frullio e all’assolo di prima.
-Cos’è?- chiese indicando la pergamena da dove un tizio con un parrucca riccia la guardava con aria di superiorità, come se tutti lo conoscessero.
-Sono soldi, Leah.
E Syd Barret cantò:- Money, get away.


Una fanficition di
OBLIVIOSA BLACK

con
LOKI LAUFEYSON
LEAH DI HEL
THORI
E la straordinaria partecipazione di
IKOL LA GAZZA

In
LA PIETRA MAGICA.
Vol.1

 

Zobediah Peck si sentiva come un adolescente. Non perché fosse in forma smagliante quel giorno, tutt’altro, bensì perché gli pareva di essere tornato ragazzo, quando si divideva tra la scuola e il lavoro alla fattoria del padre.
Quanto era dolce il ricordo di quegli anni! Quasi quanto le crostate cucinate dalla madre e gli sguardi adoranti  che gli scoccavano le ragazze; quella stessa dolcezza  che lo aveva sostenuto durante i lunghi mesi nei fangosi campi francesi, all’epilogo della guerra.
Tuttavia c’era una sola cosa che macchiava quegli anni, come una goccia d’inchiostro fuori posto su un testo scritto in un elegante ed elaborato corsivo: la totale avversione di suo padre per ogni sua iniziativa personale.
“Padre che ne diresti se provassi a guidare io l’auto per fare quella consegna?” chiedeva il piccolo e ambizioso Zob;  “Padre, non sarebbe utile se iniziassi anche io ad avere a che fare con i clienti?” chiedeva il ragazzino che sognava di gestire la propria fattoria senza stare sotto le direttive di nessuno, mentre riverniciava lo steccato come gli aveva ordinato papà.
Col passare di varie vicissitudini nei suoi ottantasei anni, il testo si era scolorito, l’inchiostro un po’ scrostrato e per vedere la macchia bisognava avvicinare il viso alla macchia e strizzare gli occhi.
Quel giorno però era stato come se qualcuno avesse messo a Zobediah gli occhiali da presbite che tanto si ostinava a non indossare. Quel qualcuno erano i suoi figli.
L’anziano appoggiò la cassetta degli attrezzi  davanti ad un armadio che in quanto a vicissitudini e macchie varie gli dava del filo da torcere; a coronare l’apparenza- e l’essenza- di vecchiume contribuiva un’anta che sembrava un uomo sul bordodi un grattacielo, in procinto di buttarsi. Ogni volta che si apriva o si chiudeva l’anta era come se l’uomo si sentisse punto sul vivo, si voltasse e dicesse “Hei, stai pronto che ora  mi butto”.
Durante la cena di Natale suo figlio John aveva notato le condizioni dell’armadio e si era  subito offerto di venirlo a riparare prima di rientrare al lavoro. Zob aveva ribattuto che non doveva preoccuparsi,  che aveva già tante cose per la testa e grazie a Dio che aveva le vacanze per passare del tempo coi bambini, che sai, sono piccoli, chiudi gli occhi e in un attimo crescono mentre tu sei troppo preso da armadi rotti e questa sarebbe stata una buona battuta di uscita se non fosse intervenuta la figlia Kirsten.   Aveva richiamato sull’attenti il marito – che discuteva della sua nuova televisione in 3D con il cognato più giovane- e aveva detto al suocero che Bob era a casa fino a gennaio, non aveva nulla da fare, salvo testare qualche ridicola funzione di quella televisione esageratamente cara.
Avevano discusso dieci minuti buoni su chi dovesse riparare l’armadio ma su una cosa concordavano: non potevano lasciare che il vecchio riparasse l’anta da solo.
Così come suo padre non si fidava ad affidargli le mansioni più complesse, i suoi figli non lo ritenevano più  capace di riparare un mobile, anzi ciò significava che era ormai considerato un nonnetto rincitrullito e pappamolla, il che era persino peggio.
Preso dalla foga di quel pensiero Zobediah estrasse un cacciavite dalla cassetta degli attrezzi e frugò come un avvoltoio nei resti di una carcassa, per portare alla luce una vite.
L’uomo si mise all’opera: aprì l’armadio con un inquietante cigolio – avrebbe fatto bene a dare un po’ di olio, finito il lavoro- ed esaminò il punto che congiungeva il cardine all’anta dove le viti stavano cedendo. Si stava dando il suo bel daffare con il cacciavite quando cambiò qualcosa nella fioca luce della stanza. Sentì un risucchio, come quando togli il tappo dal buco del lavandino e l’acqua scende in un mulinello e poi la sua mano, il cacciavite, le viti e il legno assunsero una sfumatura verdastra.
Zob si voltò in direzione di quel rumore ma, incredibilmente visto che aveva chiuso le finestre, una folata di vento fece sbattere l’anta contro la sua faccia, bloccandogli la visuale e schiacciando il dito della sua mano sinistra, rimasto in prossimità della fessura tra sportello e scaffale.
-Uomo di Midgard, mostrati!- esclamò una voce- Asgardia chiede il tuo aiuto.
Zobediah sgusciò fuori dall’armadio tenendosi il dito dolorante e gemendo. La luce verde era intensa, sembra di essere in piena estate invece che in inverno e l’uomo dovette strizzare gli occhi per mettere  a fuoco la figura che emergeva da un globo di luce, sospeso a mezz’aria e formato da volute verdi che giravano pigramente.
-Chi sei?- chiese Zob.
In mezzo al globo una gazza sbatteva pigramente le ali, fluttuando come un aquilone nero  in mezzo ad un cielo dalla sfumatura altrettanto insolita, una gazza. Il vecchio rimase sorpreso quando la vide aprire il becco e dare risposta alla sua domanda.
-Io sono un umile messaggero di Asgardia. Sai quella città sospesa con tizi vestiti strani che sembra essersi fermata all’anno mille…
Zobediah annuì; anche se per i suoi figli era ormai un vecchio rincitrullito, gli era impossibile ignorare la presenza di quel luogo, di quegli esseri alti come una montagna che sovente camminavano per le strade di Broxton, commentando estasiati le automobili, le antenne sulle loro case, i drive-in ed esprimendosi in un inglese pressoché incomprensibile a  causa dei continui “invero” “Oh, figlio di (inserire il nome di una divinità norrena a caso)” “Midgard” “orsù” “possente” e altri epiteti dal significato oscuro.
-Ebbene Asgardia ha bisogna del tuo aiuto Broxtoniano- gracchiò la gazza.
L’uomo rimase sorpreso. Da quando gli dei – se poi dei erano veramente- aveva abitato la piana deserta attorno a Broxton, lui e i suoi amici pensionati passavano i pomeriggi ad osservare la città sospesa, criticando come fossero costruiti quei pinnacoli o la mancanza delal giusta quantità di calcestruzzo nella ricostruzione di un palazzo.
Molti dei suoi coetanei non sopportavano gli Asgardiani, considerandoli alla stregua degli immigrati messicani, invece Zobeadiah li trattava con indiferrenza e sovente con indulgenza, soprattuto quando uno di “quei poveri figlioli” non riusciva ad aprire la lattina di Budwaiser che avevano ordinato. Tuttavia la sua connessione con quel mondo terminava lì.
-Davvero?- chiese.
-Invero, si. Il grande Odino, il padre di tutti...
Un coro di voci giovanili fece da eco:-Il padre di tutti...
-Vita e morte di Asgard...- proseguì l’uccello.
-Vita e morte di Asgard...- replicò il coro.
-è in esilio-concluse finalmente  la gazza – e non può muoversi. Tuttavia la sua fornitura di salmone è appena arrivata dalla Norvegia e deve essere pagata. Ma è addolorato nel ricontrare che non può affidarsi ai suoi figli perché tra di loro serpeggia l’avidità, il dissenso e la cucina vegana.
Ma degli umani...
La gazza avanzò e si posò sulla spalla di Zobediah. L’uomo notò che gli occhi della gazza erano verdi, di un verde limpido e compatto, molto più umano che animalesco, il che lo lasciò perplesso visto che ricordava fossero neri.
-Degli umani si può fidare. Non come i suoi figli, che inviati in New Mexico per prendere una bevanda calda alla locande della Donna Medusa, così da allietare il sonnellino pomeridiano del Padre, non sanno fare altro che farsi ripetutamente investire, ricoverare in ospedale, farsi requisire le proprietà di Asgard da dei paranoici vestiti di nero ed utilizzarle per farsi scaramuccie a vicenda, al futile fine di decidere chi sarebbe stato l’eletto, colui che avrebbe portato la sacra bevanda al capezzale del padre.
E poi aggiunse sottovoce:- Ovviamente spettava al fratello minore; era molto più figo. Lo dicono pure su Tumblr.
-Oh, che sciagurati- concordò Zobediah – Ma guardi, con i figli è sempre così. Se al suo padre, vita e morte eccetera eccetera serve una mano, chieda a me. Quando mia nipote Tiffany piangeva perché non voleva andare all’asilo, dicevo a mia figlia:” Portala qua da me. Vedrai poi come avrà voglia di andare all’asilo”
La gazza non proferì ulteriori parole e si limitò ad osservare l’uomo con uno sguardo che sopperiva la mancanza di una mimica facciale umana talmente bene, da rendere il suo disappunto palpabile.
-Quindi un uomo come te...
-Di carattere- sottolineò Zobediah; amava definirsi così quando i suoi figli gli facevano notare quanto fosse cocciuto o logorroico o entrambe le cose.
-Di carattere- disse il coro di voci giovanili, seguito da un ululato.
La gazza ruotò la testa in direzione del globo e mormorò qualcosa come “Idioti”.
-Quindi, un uomo di carattere come lei- riprese l’uccello –Può benissimo pagare antipacitamente i 300$ per la fornitura del Padre di tutte le cose. Un Broxtoniano, che segue l’esempio del suo pastore, immolatosi alla persecuzione della forma senza fame e stanchezza dell’araldo di Galactus.
Gli occhi di Zob si illuminarono: parlava del Reverendo.
Quell’uomo davanti all’incognita degli dei aveva provato a rassicurare tutta la comunità, tentato di aprire un dialogo con quella gente e per trasformarsi infine in un mostro argentato che viaggiava su – tenetevi forte- una tavola da surf nello spazio.
Lui e i suoi amici – quando non erano troppo presi dall’edilizia asgardiana- ne discutevano dal barbiere, al bar e quel ragazzo di colore, che aveva lasciato il posto al reverendo, aveva tentato di spiegar loro qualcosa a proposito dello spazio profondo, della velocità della luce, dell’energia cosmica, della difficoltà di un certo Galactus nel trovare un ristorante che lo sazi come si deve ma loro lo avevano zittito con un cenno secco e qualche borbottio ; non puoi dare peso ad un barman che non sa farti un whiskey decente.
Alla fine di quelle chiacchierate, Zob ammirava sempre di più il gesto del loro pastore: egli aveva dimostrato che se un uomo accorato e di chiesa come lui poteva accettare, gestire e fare persino parte di quel gran casino fatto di entità stellari e divine, allora pure loro potevano farlo.
- Conferirvi una forma del genere non nella giurisdizione di colui che tutto vede, come rettificato dall’articolo 21.3a bis del codice D.A.S.Q.E.C.*; tuttavia si premurerà di resituire la somma corrispondente, aggiungendo la quantità equivalente al suo peso in oro.
Inoltre, come ringraziamento per questo servigio alla sua immortale persona, il mio signore vi promette qualsiasi cosa voi desideriate e che sia sotto la giurisdizione dei suoi poteri, come si legge nella postilla trentasette dell’articolo 22.9 bis del codice D.A.S.Q.E.C.*
Zobediah si era perso alla menzione di un certo articolo 21 e qualcosa, ma le parole oro, desideri, somma resero la proposta ancora più allettante di quanto già fosse e lo convinsero ad accettare.
-Affare fatto. Pago direttamente a te? O devo fare una di quelle cose in banca?
La gazza chinò la testa:- Le pratiche sono parzialmente avviate ed Asgardia non vuole disturbare ulteriormente i vostri affari; basterà consegnarmi il contante.
Zobediah trascinò la sua carcassa stanca ed ammaccata fino alla camera da letto dove, frugando in un cassetto del comodino, estrasse dei soldi.
-Tenete- disse infilando il denaro nel becco della gazza- E salutatemi il vostro padre. Sembra una così brava persona.
La gazza spalancò le ali e si librò in aria mentre la luce verde del globo fendeva le sue piume nere.
Quello spettaccolo ricordò a Zob quelle figure intagliate nel legno dei vecchi film sugli indiani d’america – come si chiamavano?- e si chiese come quel semplice uccello, che si definiva come un umile messaggero, potesse suggestionarlo a tal punto.
La gazza osservò per qualche istante l’uomo con quegli occhi che luccivano febbrili e poi si rituffò nel globo dal quale era uscita. Le volute di luce iniziarono a girare, prima piano, poi veloce e sempre più veloce, mentre la macchia nera dell’uccello scemava nel verde fino a non lasciare più traccia della sua presenza.
Per un istante, Zobediah parve scorgere delle ombre, di un verde più scuro e opaco; strizzò gli occhi chiedendosi se stesse diventando miope o se quella era veramente una mano ossuta e se quello era il profilo di un uomo, o forse un ragazzino; no, era un viso, un viso nelle cui ombre si scorgeva una bocca che si stirava, si incurvava, evidenziando gli zigomi e fossette quasi infantili, si alzava scoprendo appena i denti.
Il gorgo scomparve in un lampo di luce bianca accecante e per qualche secondo l’uomo vide solo dei fastidiosi pallini sovrapporsi al suo soggiorno, al vecchio armadio, alla cassetta con tutti gli attrezzi nelle scatole sbagliate.
Poco dopo l’effetto dovuto al passaggio dalla luce al buio scomparve ma  quella notte Zobediah Peck sognò quel ghigno senza volto che, avvolto da spirali verdi, pareva beffarsi di lui.

*Dèi Altruisti Solo Quando E’ Comodo


Spazio autore (o qualcosa che ci assomiglia. Da lontano. Di notte. In una notte, molto buia e nebbiosa).
Oh, miei prodi recensori , penso che sia arrivato il momento in cui io torno da voi con la coda tra le gambe e vi faccio un sermone degno della maestosità di Thor e con la stessa proprieta dialettica di Demostene. Ebbene, mie care, vi devo delle scuse: non per la mia lontananza dal regno di EFP, per carità, ci sono così tante regioni da esplorare ed avventure da affrontare, bensì per la mia pigrizia. Ahimé, ero schiava della tiranna Madre, che mi sfidava ogni giorno con prove domestiche da casalinga cintura nera, nonché dell'infida Afa Padana (spero che non viviate in Pianura Padana: l'umidità in estate è talmente pesante che ti schiaccia al suolo).
Complice il ribasso delle temperature, sono riuscita a fare ordine tra le varie idee per questo capitolo, sintetizzare il succo, spalmarlo per bene su carta e ritoccare qua e là la forma.
Ora che la mia pessima arringa e la mia valanga di frottole sono terminate, vi lascio con un'avvertenza: questa è solo la prima parte del capitolo terzo. Ho preferito dividerlo per vari motivi: in primis, volevo dedicare il giusto tempo alla ricerca del denaro, visto che le successive fasi della missione di Loki &co occuperanno almeno due capitoli ciascuna; inoltre, mi sono resa conto di essere stata eccessivamente prolissa: ciò era già successo nel secondo capitolo ma ero riuscita a tagliare più facilmente inutili descrizioni, cosa che,  forse per mia cocciutaggine, non mi è stata possibile fare qui. Infine, sto scrivendo due versioni diverse del Vol. 2 poiché voglio trovare la strategia narrativa migliore per rendere la storia piacevole ed interessante.
Ma per fare questo, ho anche bisogno di vostre critiche e consigli: forza, ragazze, mettetevi al lavoro con quelle tastiere.
Obliviosa Black

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