Is everybody going crazy?

di DDimples
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alla faccia del Viaggiare è meglio che arrivare ***
Capitolo 2: *** Persino Seb si arrende ***
Capitolo 3: *** Latte o cappuccino? ***
Capitolo 4: *** Lo strano caso del dottor Pierre e mister Patrick ***



Capitolo 1
*** Alla faccia del Viaggiare è meglio che arrivare ***


Ebbeeeeene, questa è la mia prima fanficiton. Vi dico subito che non aggiornerò con regolarità la storia, visto che siamo in estate e sarò spesso via, e anche che la mia ispirazione va e viene quando gli pare.
Ma, basta parlare, leggiamo piuttosto.
Aurevoir *saluta con la mano* 

*




~~Instabilità. Questo è tutto quello che ricordo del volo, visto che dormì per tutta la durata tranne i primi dieci minuti. Questo perché volammo in piena notte, e non perché mi sentissi tranquillo. No, non lo ero per niente, dato che era un aereo vecchio e mal ridotto. Ma che ci vuoi fare, sono voli last minute.
Ah, un’altra cosa ricordo. Che Pierre crollò sulla mia spalla prima ancora di decollare, e che a fine tragitto mi aveva lasciato una chiazza di bava e una spalla dolorante. Quando arrivammo a Roma fui il primo di noi sei a scendere dall’aereo, trattenendomi a stento dal baciare il terreno. Fu David a farlo. Si inginocchiò e poi si distese con eleganza sulla bella pista sporca dove c’erano passate centinaia di ruote di aerei. E naturalmente la baciò.
-Oh, ehi, David!- Esclamò Seb scendendo dall’aereo ancora assonnato. –Hai trovato finalmente una ragazza! Complimenti amico!-
-Stà zitto.- Ribatté David.
-Per favore! Cerchiamo di non attirare troppo l’attenzione.- Sbottai io.
-Rilassati Chuck.- Mi rispose Pierre sbadigliando con una calma irritante. –Siamo in vacanza!-
Già. Una rilassante vacanza. Questo doveva essere.
Ci avviammo dentro l’aeroporto per prendere le nostre valigie, e dato che non c’è mai fine al peggio, persi anche la valigia. Non bastava il volo in piena notte, con una grandissima possibilità di cadere da un momento all’altro, e i sedili scomodi, no! Dovevo anche perdere la valigia.
Una volta informatomi, scoprì che la valigia era stata caricata sul volo sbagliato, e che a qualunque aeroporto fosse arrivata l’avrebbero rispedita all’indirizzo scritto nell’etichetta. Già, peccato che l’indirizzo fosse quello di casa mia, e quindi mi resi conto che la valigia sarebbe andata in Canada mentre io mi facevo una vacanza in Italia. Menomale che le cose importanti erano nel bagaglio a mano.
-Allora Jeff, - Disse Patrick mentre ce ne stavamo uscendo dall’aeroporto. –Dove ci aspettava il tuo amico?
-Ha detto che ci avrebbe aspettato fuori.- Rispose Jeff.
Più che amico, era un suo lontano, lontano, lontano parente che di cognome faceva comunque Stinco. Si era offerto di ospitarci, così che potessimo risparmiare sull’Hotel.  Non appena uscimmo dall’aeroporto fummo abbagliati da un sole primaverile quasi estivo delle dieci, e ci accorgemmo che era un po’ troppo caldo per essere maggio. Non facemmo in tempo a chiedere a Jeff dove diavolo si fosse cacciato il suo amico che lui corse ad abbracciare un ragazzo sui vent’anni, o forse la stessa età di Jeff, cioè ventuno. No, parliamoci chiari. Sarebbero stati ventuno ad agosto. Il ragazzo aveva una folta chioma mossa, a differenza di Jeff, di colore castano chiaro, e due grandi occhi verdi.
-Ragazzi,- Disse Jeff sorridendoci. -Lui è Samuele, mio…lontano parente!
-È un piacere per me conoscervi, - Ci disse. –Jeff mi ha detto che state pensando di fare musica.
-Già!- Risposi io. –La band ce l’abbiamo, ma ci manca un contratto con una casa discografica! Ci stiamo lavorando.
-Lui è Chuck, quello è Pierre, poi c’è David, Sébastien, che puoi chiamare Seb, e infine c’è Patrick, che non suona nessun strumento ma che ci aiuta.- Spiegò Jeff indicandoci uno ad uno.
-Ok, se per voi va bene direi di avviarsi a casa, così potrete posare i vostri bagagli e mettervi qualcosa di più leggero e non soffrire il caldo.- Disse Samuele quasi leggendomi nel pensiero.
Chiamò due taxi (poiché in quel momento non erano disponibili taxi da otto posti) i cui tassisti, caricarono le nostre numerose valigie senza riuscire a trattenere qualche lamentela o offesa in dialetto. Uno era un po’ più grande, mentre l’altro più piccolo. Entrambi da cinque posti ciascuno. Decidemmo di dividerci tre e quattro, e nel taxi più grande ci montarono Jeff, Samuele, Pierre e Patrick. Mentre io, Seb e David, da poveri sfigati, entrammo in quello piccolo. Poiché dopo aver viaggiato tutta la notte le nostre menti sono sveglie, a nessuno di noi venne in mente di occupare il posto davanti, e ci stringemmo come idioti tutti e tre dietro. Feci il tremendo errore di mettermi in mezzo, e fu un viaggio infernale. Penso che la cosa che mi diede più fastidio, peggio dell’aria condizionata assente, fu il tassista che, con la radio a tutto volume cercava di intonare le canzoni che passavano. Quindi, oltre ad essere tutti e tre bagnati di sudore, avevamo i timpani fracassati.
L’unica nota positiva era che, sia io, sia Seb e sia David eravamo magrolini e con spalle di modeste dimensioni, così un po’ più larghi riuscimmo a stare. Anche se mancava l’aria, Seb era sul punto di svenire. La conclusione fu che non appena scendemmo dal taxi, considerammo che era stato un viaggio peggiore della traversata in aereo dove avevamo rischiato di morire.
Mmh. Non male direi.
Entrammo dentro la casa, di modeste dimensioni. Una volta entrati dentro ci accolse un ampio salotto, con tanto di televisore a quaranta pollici, mentre a sinistra c’era una tavola rettangolare che precedeva la cucina. Nel mezzo fra il salotto e la sala da pranzo c’era una porta, attraverso la quale si andava nel corridoio. Samuele ci mostrò nel corridoio due bagni e le due camere da letto. Disse che lui avrebbe dormito al piano di sopra, al quale si accedeva tramite una scala a chiocciola posta in fondo al corridoio, e poi precisò che i letti erano cinque, tre e due, e che uno si sarebbe dovuto accontentare del divano. Pierre si offrì volontario, ed io non protestai. Andai in camera con Jeff e Patrick, ultra contento di non dormire insieme a David, dato che l’ultima volta che lo avevo fatto non avevo dormito tutta la notte a causa del suo continuo parlare nel sonno. Informai tutti che mi sarei fatto vedere solo dopo essermi fatto una doccia, e anche Seb e David fecero lo stesso. Samuele ci aspettò in salotto e nonostante mi fossi fatto una doccia e me la fossi presa comoda, quando lo raggiunsi mi resi conto che ero stato il secondo. Nel salotto c’erano solo Samuele e Jeff, che parlavano un po’ degli anni passati. Mi avvicinai a loro, cercando di non inciampare nei vestiti che erano quelli che Patrick mi aveva prestato, e quindi ci sguazzavo dentro da quanto mi erano larghi. Quando mi vide, Samuele mi lanciò un sorriso.
-Oh! Bene Chuck! Pare che gli altri ancora non si siano degnati di raggiungerci! Comunque che dici? Pronto a divertirti?
Aveva una luce folle negli occhi, e ciò non mi piacque per niente.
-Direi di andarci piano con le cavolate!- Mi venne d’istinto dire.
-Si, beh, lui è molto…responsabile…- Disse Jeff notando lo stupore di Samuele.
-Oh, tranquillo Chuck! Responsabili lo saremo tutti, ognuno delle proprie azioni! Ci divertiremo un po’ e basta!- Rispose Samuele –Tanto siete tutti maggiorenni no?
-Beh, no, Seb non ancora!- Mi affrettai a rispondere io, sperando di aver buttato giù un folle piano di Samuele, anche se, se fosse stato qualcosa di folle, Seb sarebbe stato il primo ad andargli dietro. Era più per me il problema.
-E quanti anni ha?
-Diciassette! Diciotto a giugno!- Risposi io.
-Eh allora! È il quindici maggio! Sono diciotto per me!
-Non legalmente!- Ribattei io. Jeff mi guardò con aria di supplica, quasi per chiedermi di interrompere la conversazione. Per fortuna scesero tutti gli altri.
 -Allora, immagino sarete pronti per il divertimento!- Esclamò Samuele mentre gli lanciavo un’occhiataccia.
-Prontissimi!- Esclamò Seb, con gli occhi che gli brillavano.
-Cominceremo col vedere la città! Avete mai visitato Roma ragazzi? No? Beh, rimedieremo.-
Samuele, alzatosi, afferrò un mazzo di chiavi da sopra una mensola e se li mise in tasca, poi spalancò la porta di casa e ci fece cenno di uscire. Una volta fuori respirai profondamente.
“Che la nostra vacanza abbia inizio” pensai.
 

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Capitolo 2
*** Persino Seb si arrende ***


Avete presente quando vi sentite stanchi, anzi distrutti, dopo una giornata di intensa attività fisica? Ecco, in quel modo mi sentivo io. E c’era un problema. Erano solo le tre del pomeriggio.
Samuele ci aveva fatto girare mezza città in poche ore, sempre senza sosta. Verso l’una e mezzo ci eravamo fermati per mangiare un panino al volo e poi ripartire subito. In compenso però vedemmo tante belle cose: il Colosseo, la Colonna di Traiano, il Pantheon, Piazza Navona e anche tanti negozi veramente curiosi. Per me furono ore interessanti, dove, con Samuele come guida, imparai tante cose. Samuele era orgogliosissimo di mostrarci ogni singola cosa della sua città, e si fermava anche per parlarci dei piccioni. Jeff, anche lui, da persona con un minimo di cultura, aveva trovato le ore spese belle e interessanti. Pierre, Seb e David sembravano cani bastonati. All’inizio mostravano solo scarso interesse, poi cominciarono a sentire la stanchezza e allora i loro sguardi cambiarono da “Si ok, basta, possiamo andare via” a “Vi prego buttatemi sotto un tram”. Patrick fu il più indifferente di tutti. Restò tutto il tempo con la faccia incollata alla videocamera, per filmare ogni secondo della gita, e ogni tanto si allontanava per riprendere qualcosa riuscendo a fuggire alle lunghe e dettagliate spiegazioni di Samuele.
Il sole picchiava ed era un caldo tremendo, tanto che, fra tutti finimmo dieci bottigliette d’acqua. Il vento non voleva saperne di soffiare, e quindi sembrava un tempo da agosto. Io per fortuna avevo la maglietta di Patrick, dove ci stavo largo, e non soffrì tanto il caldo. Verso le cinque, per grazia di Samuele, ci fermammo in una gelateria, e ci rimpinzammo di gelato, per recuperare le energie spese durante il giorno, e devo dire che ci piacque parecchio. Poi, a fine giornata, verso le sette e mezzo, tornammo a casa in taxi, sebbene Samuele avesse proposto di tornare a piedi e noi lo avessimo fulminato con lo sguardo. Così montammo su un taxi da otto posti e osservammo in silenzio gli alberi e le case che via via sparivano dalla nostra vista.
 
 

-Avrei una proposta da farvi.- Disse Samuele mentre attraversavamo il vialetto per entrare a casa sua.
-Spara!- Esclamò Jeff, non tanto entusiasta perché stanco.
-Un mio amico dà una festa…è una casa grande, una villa! Roba da sballo! E naturalmente noi…-
-Non ci pensare! Io non ho intenzione.- Saltai su subito io. Ecco questo era il vero Samuele. Di giorno finge di essere una persona intelligente e responsabile, e la sera si fuma le canne quando vuole rimanere leggero.
-Oh, questo è quello che pensi tu, Chuck! Magari gli altri hanno voglia.- Continuò speranzoso Samuele mentre apriva la porta di casa con un mazzo di chiavi enormi. Penso che contenesse anche le chiavi della bicicletta quel coso. –Tipo, che ne dici Seb?-
Lo guardai acido. Aveva raccolto una serie di occhiate stanche che rispondevano no alla sua richiesta, e allora da vigliacco era andato a beccare il nostro punto debole: Seb. Lui si faceva trascinare ovunque, era sempre pronto per le feste e anche peggio. Ma lui, con la meraviglia di tutti, non degnò nessuno di uno sguardo, oltrepassò la soglia di casa, si sdraiò sull’unico divano (non che il letto di Pierre) e affondò la testa in un cuscino, facendoci capire che non l’avrebbe rialzata fino a mezzogiorno del giorno seguente.
 
 

-Che facciamo, lo lasciamo lì?- Domandò David qualche ora più tardi, alludendo a Seb, mentre stava divorando selvaggiamente uno spicchio di pizza.
-Beh, che vuoi fare, hai intenzione di portarlo di peso nel suo letto?! Spiegamelo!- Ribatté Pierre, ultra contento di poter dormire in un letto e non sul divano.
-Forse dovremmo svegliarlo e dirgli che sono arrivate le pizze…- Azzardai io.
-Svegliarlo?! No, vuole dormire non gli interessa di mangiare!- Esclamò Patrick, mentre stava risucchiando la mozzarella da un pezzo di pizza ed aveva già messo gli occhi sulla scatola che conteneva quella di Seb. –Ce la dividiamo. Un po’ per uno.-
Poiché quella pizza era buona decidemmo che “per lui” era meglio non svegliarlo. E in poco tempo, ognuno di noi finì la sua pizza e si prese un sesto della pizza di Seb.
-Allora, cosa ci farai fare domani?- Chiese Jeff mentre tagliava a spicchi più sottili la sua parte della pizza di Seb.
-Beh…domani me lo direte voi…io vi programmo solo la serata! Maxi festa…e no! Non puoi rifiutare Chuck!- Rispose Samuele, dopo aver visto come lo guardavo. –Andiamo! Sarà una festa stupenda! Giulio Baratti è il proprietario della villa, che ha persino due piscine. Capite ragazzi? Due piscine! È il figlio di un politico, penso, e ha due ville tutte per se! Quella gli è stata regalata per il suo diciottesimo compleanno, cinque anni fa!-
-E come fai a conoscerlo?- Domandai io.
-Conoscerlo? A che serve! A quelle feste si potrebbe imbucare anche un coccodrillo, sballati come sono non se ne accorgerebbero nemmeno. E poi lo sa anche Giulio, che naturalmente ci sarà un sacco di gente che non conosce. Funziona così! Lui lo dice ai suoi amici, che a loro volta lo dicono ai loro amici… e così via!- Spiegò tranquillo Samuele.
-Già…e poi ti ritrovi mezza Roma in casa…- Concluse Pierre a bassa voce. Non aveva intenzione di svegliare Seb, aveva intenzione di dormire nel letto quella notte.
-Esatto! Ma quando sei ricco sfondato non te ne accorgi nemmeno. E poi voi dovrete abituarvi! Siete i Simple Past! Sapete…-
-Plan, Samuele, Simple Plan.- Lo corresse Jeff.
-Oh, fa lo stesso! Volevo dire, sapete a quante feste dovrete andare, quando sarete rock star! Io vi ci vedo fra un paio d’anni, a girare per il mondo e tutte le sere in discoteca, a bere o a pomiciare con una ragazza diversa tutte le sere.-
-Beh, quando gireremo per il mondo ne riparleremo!- Esclamai io, inorridito a quell’idea della pomiciata diversa ogni sera. –Adesso me ne vado a letto!-
-A letto?- Esclamò Samuele, più che deluso, sconvolto. –Ma sono solo le dieci e mezzo!-
-Beh, non è che oggi è stata una giornata rilassante! E poi ricordati che noi abbiamo viaggiato tutta la notte e dormito poco.- Risposi.
-Io ho dormito.- Disse tranquillo Pierre.
-Già.- Dissi io. –Comoda la mia spalla Pierre? A me fa ancora male!-
Pierre abbassò lo sguardo.
-Andiamo Chuck! Un altro po’ e basta, poi ce ne andiamo a letto tutti!- Propose Samuele.
Fu così che accettai. E meno male. Uscimmo fuori per prendere una boccata d’aria, e non appena varcammo la soglia di casa, Samuele si accese una sigaretta. Mi accorsi in tempo che Pierre ne aveva presa una da Samuele e gli stava chiedendo l’accendino, e gliela sfilai di bocca. Era da tempo che stavo cercando di convincere Pierre a smettere di fumare, e ci ero quasi riuscito. Quella sigaretta avrebbe vanificato tutti i miei sforzi.
-Andiamo, Chuck, solo per stasera!- Mi supplicò Pierre.
-Eh no!- Risposi io, ricordandomi della mia fatica per tenerlo lontano dalle sigarette. Fu una cosa rapida, come una ceretta. Chiesi il suo consenso per aiutarlo a smettere di fumare, e quando mi dette l’ok presi tutti i pacchetti di sigarette che aveva in quel momento e glieli nascosi. Fu difficile sopportarlo in quei giorni, e qualche volta mi ha anche minacciato, ma lo feci per il suo bene e basta. Fu Jeff a prenderne un’altra e ad iniziare a fumarla, e così mi ripromisi che, finito con Pierre, sarei passato a lui.
 


Quando ebbero finito le sigarette, rientrammo dentro, anche perché cominciava a fare freddo fuori. Si misero a giocare a carte, nella tavola di cucina, anche se Pierre li aveva supplicati di non farlo, per paura che si svegliasse Seb. Siccome non lo ascoltarono, lui se ne andò a letto, di modo che se  Seb si fosse svegliato, avrebbe trovato il letto occupato. Io lo seguì, e in una frazione di secondo mi infilai fra le lenzuola un po’ ruvide che però profumavano di lavanda. Non mi addormentai subito. Rimasi un po’ a pensare alla giornata passata, e alla festa che ci attendeva la sera seguente. Io odiavo le feste, sempre odiate. Anche quando ero un’adolescente e i miei amici andavano in discoteca o alle feste io rimanevo a casa. Quando invitavano anche me, stavo in ansia per tutto il giorno. E così mi sentivo in quel momento.
Sentì, un’ora o due più tardi, Jeff e Patrick entrare in camera, e con punto riguardo nel fare un po’ di silenzio, li sentì paralare e sparare cavolate. Poi pian piano le voci si fecero per me sempre più lontane, fino a che non le sentì più, e mi addormentai.
 

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Capitolo 3
*** Latte o cappuccino? ***


Saaalve. Ringrazio pensosoloSP, per avermi fatto tornare l'ispirazione per continuare,e ti dedico questo capitolo. Mi scuso per la brevità, ma preferisco non concentrare troppe cose in un capitolo solo. Beh che altro vi devo dire... spero che vi piaccia. Buona lettura!

                                                                            ***


Bip-Bip.
Cavolo.
Bip-Bip. Bip-Bip. Bip-Bip.
Devo cercare la sveglia a tastoni per spengerla. Un’altra mattinataccia mi attende. Cavoli, non mi piace la mia scuola.
Bip-Bip. Bip-Bip.
Sinceramente non mi piace proprio la mia vita in questo momento. Questa scuola mi distrugge ogni giorno sempre di più.
Bip-Bip. Bip-Bip.
Poi, fra l’altro, adesso ci si mette anche Pierre. Va bene che é nervoso e stressato, per la storia della sua ragazza e per colpa della scuola, ma ogni giorno mi risponde male.
Bip-Bip. Bip-Bip.
L’altro giorno mi ha anche acceso una sigaretta in faccia, e sa che odio il fumo. Ma perché mi devo alzare…non mi piace la scuola, non mi piace la compagnia…Ma dove accidenti è la sveglia?
 

Si, pensai questo, non appena suonò la sveglia. Jeff scattò in piedi in un attimo e la spense. Ecco! Era stato Jeff ad aver messo la sveglia. Pian piano tornai alla realtà. Avevo finito la scuola ed adesso avevo una band. Pierre, David, Seb, io e Jeff. Jeff ci aveva fatto fare una vacanza in Italia, a Roma, ed avevamo conosciuto quel pazzo di Samuele, che quella sera voleva portarci alla festa. Già, la festa! Scattai a sedere alzando finalmente la testa dal cuscino e guardai gli altri. Jeff si stava infilando un paio di jeans, mentre Patrick era ancora con la testa affondata nel cuscino e la coperta fino alle orecchie.
-Che ore sono?- Chiesi sbadigliando e stropicciandomi gli occhi.
-8,30! Ma il mattino ha l’oro in bocca!- Disse Samuele entrando in camera, allegro e vivace.
-Sparategli.- farfugliò Patrick con ancora la faccia nel cuscino.
-Cosa?- Domandò Samuele. Patrick allora alzò la testa e lo guardò.
-Come fai ad essere così di buon umore ad ogni ora del giorno?-
Samuele, infatti, il giorno precedente era rimasto carico ed attivo tutto il giorno, era andato a letto per ultimo, ed adesso alle 8,30 di mattina era allegro e vivace. Beh, un lato positivo ce l’aveva, almeno.
-Jeff, perché hai messo la sveglia così presto?- Domandai io, senza avere ancora la forza di alzarmi dal letto.
-Beh, me lo ha detto Samuele!- Si difese lui, perché aveva notato che lo stavo guardando con uno sguardo acido.
-Perché?- Domandò Pat, sconsolato. –Hai detto che la mattinata ce la saremmo dovuti organizzare da soli, no? Bene, io la mia l’ho già organizzata.- E tutti gli sforzi che aveva fatto per tirarsi su dal letto e mettersi seduto si vanificarono mentre si ributtava sul cuscino stile balenottera azzurra.
-Stanotte non sono riuscito a dormire per pensare!- Spiegò Samuele, ignorando del tutto la reazione di Patrick. –Vedete, io ieri sera vi ho detto che la mattinata ve la sarete dovuti organizzare da soli, e vi ho visti persi e indecisi. Così, ho preso in mano la situazione, e pensa pensa, alla fine ho trovato cosa farvi fare stamani!-
-Cosa?- Domandai io con scarsissimo entusiasmo, mentre ormai rassegnato, mi stavo infilando i pantaloni di Pat, e una delle poche maglie che avevo infilato nel mio bagaglio a mano.
-Eh, no! La spiegazione a dopo, quando ci saranno anche gli atri- E detto questo uscì dalla stanza, senza dimenticarsi di tirar via le coperte a Patrick di modo che si alzasse. Io e Jeff lo seguimmo in corridoio, e passammo davanti alla stanza di David e Seb, dove per quella notte ci aveva dormito Pierre. Samuele bussò un paio di volte poi aprì la porta. La stanza era ancora immersa totalmente nel buio, tranne che per quella poca luce che filtrava dalle persiane. David era tutto raggomitolato su se’stesso, i capelli biondi spettinati e il lenzuolo e la coperta sparsi giro per la stanza. Pierre invece dormiva a pancia all’in su con la coperta fino al mento, e russava di gusto.
-Sveglia, ragazzi!- Samuele battè le mani un paio di volte, poi andò ad aprire le persiane per fare entrare la luce piena. Tutti e due, contemporaneamente, infilarono la testa sotto il cuscino senza pensarci due volte.
-Coraggio!- Esclamò Samuele (l’unico di noi che mostrava entusiasmo e che era sveglio. Io e Jeff avevamo troppo sonno, e Patrick non si era ancora degnato di uscire dalla stanza) tirando via la coperta  a Pierre.
-Si, cinque minuti....- Farfugliò Pierre, riprendendo la coperta e ritirandosela addosso.
-Ok, ma non fatemi ritornare qui! Ho metodi molto convincenti io…- Disse Samuele, sorridendo e uscendo dalla stanza. Poiché noi non avevamo voglia di restare lì a guardare il lento risveglio di quei due babbuini, uscimmo dalla stanza, seguendo Samuele, e per miracolo divino ci raggiunse anche Patrick. Entrammo nel soggiorno collegato alla cucina, e trovammo Seb ancora addormentato sul divano, ancora nella posizione in cui lo avevamo lasciato la sera prima. Si, lui non si spostava di un centimetro mentre dormiva.
-Cosa vi preparo?- Domandò Samuele mentre si avviava verso la cucina. –Latte, tè, cappuccino…?-
-Cappuccino, per me, grazie! Con un’ abbondante dose di caffè!- Disse Patrick, stropicciandosi gli occhi e sbadigliando.
-Lo stesso!- Disse Jeff con un cenno della testa avvicinandosi alla tavola.
-Anche per me!- Aggiunsi io.
-Bene, consideratelo fatto…e oh! Ci pensate voi a svegliarlo?- Disse Samuele indicando Seb.
-Si, certamente!- Pat che si era appena ripreso dallo sbadiglio, si avvicinò al divano vuoto, e con la grazia di un elefante in un campo di margherite, tirò a Seb uno dei cuscini. –Buongiorno!-
Seb si riscosse e alzò la testa di scatto, si girò verso Patrick, fece due conti, e lo fulminò con lo sguardo.
-La prossima volta potrebbe essere l’ultima.- Disse Seb malignamente rivolto a Patrick, tanto che ebbe l’istinto di allontanarsi dal divano.
-Buongiorno!- Pierre sbucò dalla porta del corridoio trascinandosi dietro David, che sembrava essere fortemente convinto di potersi trovare ancora nel suo letto.
-Allora, vuoi spiegarci il motivo di questa levataccia?- Disse Patrick, mentre rubava dal vassoio che gli era stato messo davanti una manciata di biscotti al cioccolato.
-Ebbene, se ieri siete convinti di aver visto tutta Roma vi sbagliate di grosso!- Spiegò Samuele mentre portava i cappuccini in tavola.
-C’è dell’altro?- Domandò Pierre con la faccia disperata.
-Oh, si!-
-Oh no!- Seb appoggiò la testa sul tavolo disperato, ma Samuele lo ignorò.
-Ieri avete visto i monumenti, la città storica, e tutte queste cose…oggi vedremo i negozi di Roma!-
Se fosse stata notte, si sarebbero sentiti i grilli cantare. Il nostro entusiasmo era pari a zero. Mi sentivo come quando a scuola la nostra prof di religione entrava in classe e allegramente, quasi saltando di gioia, ci diceva che avremmo fatto la “mitica verifica”. –Oh andiamo ragazzi! Questo è un vantaggio anche per voi! Sono sicuro che in valigia non avete nemmeno un abito decente.-
-Beh ne abbiamo altri come questi…- Disse Jeff toccandosi la maglina.
-…si appunto.- Continuò Samule. –Il problema è che stasera dobbiamo andare ad una festa no? Vi ci vuole qualcosa che attiri le ragazze, abiti da veri duri…non da sfigati!-
-Vuoi portarci in giro per i negozi a comprare vestiti per stasera?- Domandò Seb tirando le somme. –Ma non sono cose da ragazze?-
-Potranno anche essere cose da ragazze, ma stasera, se non fate come dico io, nessuno si avvicinerà a voi! Fidatevi, so come stanno le cose.-
-Eh va bene…se la metti così.- Disse Jeff perplesso.
-Ah, grandioso! Bene, appena avremmo finito…- Cominciò Samuele super entusiasta.
-Sarà il caso di frenare l’entusiasmo.- Cercai di riportare tutti alla realtà con questa frase, anche se ormai sembrava una cosa impossibile. –Non abbiamo poi così tanti soldi!-
-Chuck…devi rilassarti.- Samuele mi guardò con una faccia scocciata. –Ho pensato anche a quello…-
-E…?-
-E conosco negozi dove i prezzi sono anche per noi comuni mortali!-
-Speriamo…-
-Bene, adesso. Mangiamo!-
-Si mangia?- David alzò la testa dal tavolo ritornando in quel preciso istante dal mondo dei sogni.
-Oh benvenuto fra noi!- Disse Pierre ridendo.
-Che mi sono perso?- Domandò allungando una mano verso il vassoio dei cornetti e prendendone uno al cioccolato.
-Veramente stavi ancora dormendo?- Domandò Jeff guardandolo perplesso.
-Si, perché?-
-Sei un caso perso David…- Mi limitai a dire.
-Insomma, mi volete spiegare cosa avete detto? Riassumere, almeno.-
Nessuno di noi aveva intenzione di ricominciare da capo il discorso, e nemmeno di riassumerlo. Ci volevamo provare, ma la sintesi di Seb, accompagnata da un sorriso, ci spiazzò tutti:
-Latte o cappuccino?-
 

 

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Capitolo 4
*** Lo strano caso del dottor Pierre e mister Patrick ***


Non mi piacciono le feste. No, per niente.
Una sensazione di bruciore mi invase lo stomaco mentre buttavo giù in un solo sorso tutto il contenuto di un piccolo bicchiere.
-Non ti è piaciuto vero Chuck?- Samuele rise.
-Cos’era?- Domandai cercando con la saliva di mandarmi via quel saporaccio dalla bocca.
Samuele si avvicinò a me e mi guardò negli occhi. –Jack Daniel’s-
-Oh cavoli.- Mormorai fra me.
-Un altro!- Esclamò Samuele alzando il bicchiere vuoto e David, Seb e Patrick ne sembrarono entusiasmi.
-Si, fate pure senza di me.- Dopo il terzo pensai che era meglio mettersi buoni e rimanere lucidi per poter portare via tutti gli altri che continuavano a bere. Tanto succedeva sempre così alle feste.
Guardai Samuele, David, Pat e Seb che brindavano e continuavano a bere, poi mi guardai intorno alla ricerca di Jeff e Pierre. La casa era immensa. Ogni stanza era colorata con tonalità chiare, il bianco il panna e il beige, e vistosissimi lampadari pendevano dal soffitto. Nel salone, dove me ne stavo io seduto su un divano color panna, c’era un enorme caminetto (per fortuna senza fuoco, altrimenti qualcuno un po’ troppo fatto ci si sarebbe lanciato in mezzo) e un grande tavolo portato lì dalla cucina dove c’erano tutti i super alcolici e i baristi che preparavano cocktail.
Vidi Pierre. Indossava i vestiti che Samuele aveva appositamente scelto per lui, perché secondo lui Pierre era quello che in quella serata era destinato a rimorchiare di più, ma sulla sua testa indossava sempre il suo cappello che non aveva voluto togliere per niente al mondo. Parlava con due ragazze, una bionda, con le curve apposto e un po’ troppo rossetto sulle labbra, l’altra con i capelli castani molto più tranquilla e con un po’meno davanzale in evidenza. Sembravano completamente assorte da quella faccia a carciofo che Pierre sfoderava quando voleva fare conquiste e stranamente funzionava. Parlava sorridendo e ogni tanto schioccava le dita come se qualche parola di inglese non gli venisse bene in mente, cosa che naturalmente faceva apposta per cercare di essere più adorabile. Conoscevo i suoi trucchi per rimorchiare, ormai. Gli avevo fatto da spalla per anni, interpretando la parte dell’amico sfigato che cerca ragazza e che deve essere aiutato nelle conquiste, quando poi era lui ad andarsene via con una ragazza attaccata alle labbra. Menomale che a quella festa non mi aveva utilizzato.
Vidi dopo un po’ che la conversazione aveva preso un tono differente. Era diventata più un gioco di sguardi e sorrisi fra Pierre e la bionda, così tanto che la ragazza castana capì di essere di troppo e se ne andò. I due nemmeno si accorsero che se ne era andata e continuarono indifferenti.
Come capii come si sentiva quella ragazza.
-Non è un granché questa festa, vero?- Ero così impegnato a ricordare i tempi passati quando Pierre mi trascinava con se’, che non mi accorsi che la ragazza mi si era seduta accanto parlandomi in inglese e mi stava porgendo un bicchiere di qualcosa. Guardai riluttante quel bicchiere, non volevo ubriacarmi, anzi non potevo.
-Tranquillo. È un po’ di Malibù con molto succo d’ananas.- Sorrise. –Capisco che non puoi ubriacarti perché devi tenere d’occhio i tuoi amici. Siamo nella stessa situazione.-
Rimasi stupito dallo spirito d’osservazione di quella ragazza. Afferrai il bicchiere e bevvi un sorso dalla cannuccia.
-Spalla?- Gli domandai io, ricordando come mi ero identificato per tanti anni.
-Anche tu?-Disse lei con un sorriso amaro.
-Stasera per fortuna no.- Dissi lanciando un’occhiata a Pierre.
-Ah, è lui il tuo amico.- Bevve un sorso. –Simpatico.- Disse annuendo.
-Sii sincera.-
-Okay, no, per niente.- Io scoppiai a ridere e lei fece lo stesso. –Scusami ma non è il mio tipo. Naturalmente spero che tu non glielo riferisca.-
-Assolutamente no, questa è la mia rivincita dopo anni da “spalla”.-
Rise di nuovo, poi mi porse la sua mano.
-Emma.-
-Chuck.- Risposi senza pensarci e stringendogli la mano.
-Chuck? Sei americano?-
-No, in realtà mi chiamo Charles Andre e sono Canadese, ma è molto più semplice Chuck.-
-È un piacere Charles.- Sorrise e poi bevve un altro sorso del suo drink. –E che ci fai così lontano da casa?-
-Beh in realtà siamo qui per fare una vacanza…-
-Ehi Chuck!- Pat mi crollò addosso con la sua mole e con la sua immancabile grazia di elefante in un negozio di cristalli,  facendomi rovesciare tutto il drink addosso a Emma.
-Patrick!- Lo afferrai prima che potesse cadere a terra e me lo levai di dosso. –Sei un idiota. Guarda cosa hai fatto.-
-Eh scusami ma…-Era completamente ubriaco e lo feci sedere al mio posto mentre io mi alzai e mi rivolsi ad Emma, che scattata in piedi, stava cercando di asciugare l’alcol con un fazzoletto dal suo vestito verde. -…ma stavo dicendo…cioè ero venuto qua a farti i complimenti…pensavamo io e i ragazzi…l’hai rimorchiata davvero carina questa volta. Ottimo acquisto.-
Emma rimase un attimo sbigottita per le parole di Patrick, quindi andò in bagno senza dirmi una parola.
Signori e signori ecco la puntualità di Patrick Langlois. Lui è sempre puntuale, anche quando non dovrebbe presentarsi affatto.
-Grazie mille Patrick, hai rovinato tutto.- Gli dico portandogli via il drink che aveva fra le mani. –Resta buono lì finchè non torno.-
Corsi per la casa fino al bagno e trovai Emma intenta a pulire la macchia con un fazzoletto bagnato.
-Ehi…mi dispiace.- Mi azzardai a dire.
-Oh non preoccuparti.- Mi disse sorridendo. –Certo uno simpatico e carino come te come ha fatto a circondarsi di persone come loro?-
Per un attimo non mi sembrò vero che avesse detto quelle cose e nemmeno a lei, poi se ne accorse ed arrossì tutto d’un tratto. Distolse lo sguardo dal mio e mi oltrepassò a capo basso.
-Scusami devo andare.-
-Ma te ne torni a casa da sola? Lascia che ti accompagni.- Stupidamente peggiorai la situazione.
-No, Chuck, grazie. Basta così. Io dovevo tornare a casa entro le tre e sono quasi le quattro perciò temo di essere in ritardo terribile.-
Si diresse all’appendiabiti e si infilò un cappotto nero.
-Fareste meglio ad andarvene anche voi, prima che questa festa degeneri.-
-Che vuoi dire?-
-Emma te ne vai già?- La bionda arrivò in tutta fretta vedendo la sua amica andare via, trascinandosi dietro e per una mano Pierre. Aveva il collo pieno di segni di rossetto e un’aria sperduta. Non so se era dovuto all’alcol o il troppo tempo con la tizia.
-Pierre stai bene?- Gli domandai.
-Mai stato meglio.- Sfoderò un sorriso ad ebete, e cercai di tralasciare.
-Eddai Emma! Non andartene aspetta ancora un po’.-
-Giada, scusami, non ho nessuna voglia di rimanere.-
-Ma non puoi andartene.- Fu molto insistente con quella frase, e non so come convinse, per la gioia di entrambi a far rimanere Emma. Sospirò e si sfilò il cappotto.
-Giada, io non sono come te. Ho il coprifuoco.- Disse Emma lasciandosi prendere a braccetto dalla sua amica che aveva mollato la mano di Pierre.
-Lo so, ma sono convinta che tuo padre è a letto e non si accorge di niente. Dai vieni, Pierre mi ha fatto conoscere i suoi amici, e a quanto pare Chuck è l’ultimo che mi rimane da conoscere. Vieni, dovresti presentarti anche tu a loro.-
Lo sguardo di Emma era preoccupato ma si lasciò comunque condurre verso il salotto dove seduti su un divano c’erano David e Seb in condizioni a dir poco pietose, Jeff che si stava baciando con una ragazza dai capelli scuri e Patrick nella situazione in cui lo avevo abbandonato prima. Io, Pierre ed Emma ci sedemmo su un altro divano mentre Giada sparì in cucina, tornando qualche istante dopo seguita da Samuele.
-Ho portato qualcos’altro da bere.- Disse Giada poggiando sul tavolino alcune bottiglie di alcolici che non mi misi a riconoscere uno per uno. Naturalmente, data la mia fortuna, fra me ed Emma c’era Pierre, che con il suo sguardo inebetito fissava Giada mentre questa sistemava le bottiglie sul tavolino.
Sospirai e mi misi una mano sulla fronte. Accidenti a Samuele e alle sue feste. Questa doveva essere la nostra vacanza rilassante. Chiusi gli occhi e cercai di distrarmi, anche perché iniziai a sentire un fortissimo mal di testa e anche un po’ di freddo.
Fu quando riaprii gli occhi che fu terribile.
Ero nel mio letto.

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