Nobody's perfect

di Beels
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Everything starts from something ***
Capitolo 2: *** 2. Appearances can be deceptive. ***
Capitolo 3: *** 3. Bad idea. ***
Capitolo 4: *** Stole my heart. ***



Capitolo 1
*** 1. Everything starts from something ***


Liam James Payne.
Lui è la causa di tutti i miei problemi, non è altro che un ragazzo viziato, prepotente, egoista, egocentrico, montato, superficiale che si vuole solo divertire e con una faccia da angelo che impedisce a tutti di vedere chi è realmente.
Il puttaniere di turno insomma.
Ah, ho già detto che è mio fratello?
Beh, non siamo proprio fratelli: mia madre e suo padre si frequentano da un po’ di tempo.
Oliver, il compagno di mia mamma, ha ricevuto una promozione e dopo essersi sposati in comune le ha chiesto di fare un passo molto importante: vivere insieme.
Mia mamma ha voluto prima discuterne con me, le è sempre interessato di me e della mia opinione e io le ho detto che andava bene, anche se non era vero ma lei ci teneva a Oliver, con lui era felice e questo mi bastava.
Non ho niente contro di lui, è un tipo a posto: un bell’ uomo, generoso, simpatico ma, cosa più importante, è gentile ed educato; non urla mai e cerca sempre di trovare una soluzione parlando nonostante il carattere irrequieto di Liam, che farebbe spazientire Dio in persona.
E’ proprio lui il problema, lui odia me ed io odio lui.
I nostri genitori non sanno di quest’odio che c’è tra di noi, cerco sempre di non litigare con lui quando ci sono loro perché sono entusiasti di questa nuova “famiglia” dopo tutto ciò che hanno passato, e sinceramente non me la sento di rovinare tutto per quel cretino di James.
Sono nata e cresciuta in Italia, a Brindisi, una piccola città Pugliese e ora ci stiamo trasferendo a Doncaster, una cittadina a me  totalmente sconosciuta nella contea del South Yorkshire, in Inghilterra.
Vorrei che questo nuovo inizio ci regalasse una nuova vita, una vita migliore per ognuno di noi ma ho imparato a non sperare, o forse semplicemente non ne ho il coraggio.
- Siamo arrivati! - dice Oliver con entusiasmo distogliendomi dai miei pensieri, mentre sveglia mia mamma.
- Belinda, sveglia Liam per favore - aggiunge dopo.
Lui è vicino a me e russa come un orso strafatto di miele; lo scuoto diverse volte ma non vuole saperne di svegliarsi così faccio la cosa che avrei voluto fare molto tempo prima: lo prendo a schiaffi.
Oliver mi guarda e inizia a ridere dicendomi di scendere prima che Liam si fosse svegliato del tutto poiché sarebbe stato capace di uccidermi per quel gesto.
Lo ascolto e scendo fermandomi a guardare la nuova casa.
E’ una villetta a due piani, molto carina in legno, con un giardino molto grande e curato e persino un gazebo.
Dopo aver preso tutte le valigie entriamo in casa, è molto spaziosa e luminosa.
La sala ha una parete fatta in vetro dalla quale si può vedere il giardino, davanti ad essa c’è un divano a u, sulla moquette c’è un tappeto e sopra di esso un tavolino e dei soprammobili.
Sulla parete laterale c’è un televisore enorme inserito nel muro e sotto di esso un mobiletto sul quale ci sono dei libri mentre nell’angolo in fondo alla stanza c’è un bellissimo pianoforte a coda.
Dopo essere passata a vedere la grande cucina salgo al piano superiore, dalle scale a chiocciola, alla ricerca della mia camera da letto seguita da Liam che cercava la sua.
La mia camera è molto grande e c’è anche il bagno, i colori sono vivaci e sul muro ci sono le luci, simili a quelle natalizie che ho sempre voluto.
Mi ricordano molto quelle che ha Bella, la protagonista di Twilight, nella sua.
C’è una scrivania bianca con sopra un pc e dei libri, ma mentre mi avvicino per leggere i titoli sento Oliver e mamma che chiamano me e Liam.
-Dobbiamo parlarvi un minuto- dice mia mamma quando tutti e due arriviamo.
Odiavo quando dicevano “dobbiamo parlarvi” l’ultima volta ci hanno detto che avremmo dovuto vivere insieme e trasferirci.
- Cosa c’è? – chiese Liam con la solita aria scocciata.
- Beh, non preoccupatevi non è niente di grave – disse mia mamma sorridendoci
- E’ solo che per qualche giorno io e Daniela dobbiamo tornare in Italia per sistemare delle cose, quindi starete da soli - aggiunse Oliver
- Ah..-
Fu l’unica cosa che riuscì a dire, qualche giorno da sola con lui? Questo vuol dire litigare dalla mattina alla sera, vuol dire che dovrò subirmi i suoi insulti che non aiutano la mia scarsissima autostima.
- E dov’è il problema? – rispose Liam – ho 19 anni so badare a me stesso
- Beh, non vedo il problema, siamo abbastanza grandi da cavarcela senza baby-sitter.- risposi alla fine con il mio solito finto sorriso che a volte convinceva persino me.
Loro erano contenti di noi, loro speravano davvero in una vita migliore, ci credevano; non volevo distruggere le loro speranze e nemmeno Liam, per quanto potesse essere egoista, lo voleva.
Sistemammo tutte le nostre cose e quando finimmo diedi la buonanotte a tutti e andai nella mia stanza a infilarmi  sotto le coperte calde dopo la giornata estenuante, cercando di non pensare al giorno successivo nel quale avrei dovuto affrontare il primo giorno di scuola, dove non conoscevo nessuno a parte mio fratello che mi odiava.





Io sono Beels, lo so che non è niente di speciale per ora ma è solo il primo capitolo la storia deve iniziare a svolgersi quindi mi farebbe piacere se l'aggiungeste alle preferite o alle seguite per vedere come continua e magari, se vi va, potreste lasciare una piccola recensione.
Ora vado, non voglio annoiarvi.
Baci, Beels Xx

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Capitolo 2
*** 2. Appearances can be deceptive. ***


- Chi cazzo sei tu per dirmi cosa fare? – mi urlò Liam venendomi incontro minacciosamente.
Lo odiavo quando si comportava così, perché non poteva parlare come una persona civile?
Oh giusto, non si può chiedere a un animale di non comportarsi come tale.
- Abbassa la voce, mamma e Oliver sono nell’altra stanza – risposi stringendo i denti andandogli incontro  – ti sto solo chiedendo di accettare questa storia senza farne un dramma!-
- Hai idea di ciò che ci hanno appena detto? – rispose con la stessa rabbia di prima ma fortunatamente senza urlare. – Dobbiamo trasferirci, sai che vuol dire o il tuo stupido cervello non ci arriva? -
-Pensi che a me piaccia l’idea di cambiare città, di andare dove non conosco nessuno e dove si parla una lingua che non è la mia? – replicai mentre lui mi osservava attentamente senza rispondere.
- Mia mamma è finalmente felice e non sarà un imbecille come te a impedirle di esserlo, chiaro? – non appena finì di pronunciare l’ultima parola me ne pentii, non avrei mai dovuto chiamarlo in quel modo, mi avrebbe sicuramente uccisa ma mentre lui stava per reagire entrò Oliver per chiedere se fosse successo qualcosa, per fortuna Liam trovò una buona scusa e andammo a cena.

Questa conversazione mi tormentò per buona parte della notte insieme ai ricordi, mi rivoltavo nel letto da quando mi ci ero messa.
Come poteva non capire che anche a me faceva male l’idea di abbandonare la mia casa? Lì avevo trovato delle amicizie fantastiche esattamente come lui ma a differenza sua io non mi sarei trovata subito bene nella nuova città.
Liam, per quanto odiassi ammetterlo, era un bel ragazzo e giocava a rugby, baseball, basket, praticava nuoto sin da piccolo; si sa che le scuole inglesi sono divise in piccole classi sociali e certamente lui non avrebbe avuto problemi ad arrivare in cima.
Io al contrario  ero una ragazza normale, non molto alta, per niente sportiva e purtroppo non ero una modella. Niente in contrario con la forma del mio corpo sarebbe stato perfetto se non fosse stato per qualche chilo di troppo.
Liam mi aveva sempre presa in giro per questa cosa, sapeva che mi faceva soffrire infatti andava sempre a toccare quel tasto quando voleva ferirmi…
Presi la sveglia per vedere l’ora; erano le due e quaranta e siccome non riuscivo a dormire decisi di alzarmi a prendermi un bicchiere d’acqua e andare fuori.
Era una notte bellissima, le stelle brillavano in cielo e non c’era alcun tipo di rumore così mi sedetti sul dondolo.
Mi era sempre piaciuta la notte: la frenesia del mondo che andava avanti senza pietà nonostante tu lo implorassi di fermarsi finiva con il suo arrivo; l’unica cosa che detestavo erano i pensieri e i ricordi che tornavano a tormentarmi come se già non stessi abbastanza male.
Ero talmente persa nei miei pensieri che quasi non mi accorsi che qualcuno si era seduto vicino a me, era Oliver.
- Hey, che ci fai qui fuori a quest’ora? – disse sedendosi al mio fianco.
Non riuscivo a dormire.– risposi timidamente.
Sì, forse non era normale sentirsi timidi per una domanda del genere, ma per me era ancora strano parlare con lui, parlare con un uomo; non c’era mai stato un padre nella mia vita anche se, a dire il vero, ne avevo sempre sentito il bisogno.
Non che mia madre non mi avesse amata abbastanza, ma mi era sempre mancato qualcosa.
Avevo sempre avuto bisogno di protezione, di due braccia forti pronte a sorreggermi quando cadevo, di qualcuno che mi amasse come solo un padre può amare sua figlia.
Ero stata privata di quell’amore, l’uomo che avrebbe dovuto volermi bene mi aveva sempre odiata, e me lo aveva rinfacciato parecchie volte.
-Allora, come stai? – sussurrò Oliver osservandomi, sembrava che gli interessasse davvero, era davvero così?.
Come sto? Mh, mi sono appena trasferita, devo iniziare una nuova vita, tuo figlio mi odia e ho paura.
Paura di non essere abbastanza.
Paura di fallire, di deludere te e mamma.
Paura di affrontare la gente lì fuori.
Paura che non mi accettino.
Avrei dovuto dirglielo?
- Sto bene, sono solo un po’ stanca.– dichiarai sorridendo, non era il caso di parlarne con lui. - Tu invece, che ci fai qui? -
-Ho sentito dei rumori e sono venuto a controllare -
Gli sorrisi, non sapendo cos’altro fare, rigirando il bicchiere tra le mani. Parlare non era mai stato il mio forte.
-Allora andiamo a dormire, sarà una giornata impegnativa e devi riposarti – disse accarezzandomi la guancia.

 




La sveglia suonò perforandomi i timpani.
Avevo la tentazione di prenderla e buttarla dall’altra parte della stanza, ma controvoglia dovetti alzarmi per non arrivare tardi.
Aprii l’armadio e dopo averlo messo sottosopra optai per un paio di jeans, un largo maglione grigio e le solite vans; prendendo poi un cappellino di lana e il woolrich da indossare prima di uscire.
Poi andai in bagno a truccarmi: fondotinta, ombretto, rimmel, blush; le solite cose.
Avrei preferito non usarne, la mia voglia di truccarmi era pari a zero, ma non potevo uscire struccata si sarebbero spaventati pure i sassi!
Aggiustai i miei ricci ribelli e scesi a fare colazione, stanca di guardarmi allo specchio e vedere chiaramente la differenza tra me e le altre ragazze.
Com’era quella frase? “L’autodistruzione inizia quando ti guardi allo specchio e ti dici che nessuno mai ti amerà” Non c’era niente di più vero.
- Buongiorno piccola – la voce dolce di mia mamma mi accolse, tranquillizzandomi momentaneamente.
- ‘Giorno mamma – risposi andandole in contro per abbracciarla.
- Tutto apposto? – disse tornando a mettere tavola.
-Si mamma, quando partite tu e Oliver?
-Partiamo oggi, verso mezzogiorno – rispose Oliver entrando in cucina seguito da Liam.
Dovevo ancora abituarmi al fatto che rispondesse lui alle domande che rivolgevo a mia madre o viceversa.
Gli sorrisi e lui si avvicinò per salutare mamma, lo sentì mormorare “buongiorno amore” mentre gli lasciava un dolce bacio sulla fronte.
Poi il suo sguardo si posò su di me, dopo un po’ di incertezza mi si avvicinò e mi abbracciò, impacciato.
Dopo aver fatto colazione io e Liam salutammo mamma e Oliver e andammo a scuola.
Durante il tragitto in macchina nessuno dei due disse niente, non ci eravamo neanche detti un buongiorno quella mattina.
Arrivammo a scuola alle otto meno dieci e non appena ebbe parcheggiato, Liam scese dalla macchina.
Io lo seguì, eravamo fianco a fianco e, mentre camminavamo per il cortile, sentivo gli sguardi degli studenti addosso, accompagnati da un fastidiosissimo mormorio.
Non riuscivo ad alzare lo sguardo  per osservare ciò che succedeva intorno a noi, Liam notò il mio disagio e una volta dentro finalmente parlò
- Ehi smettila di preoccuparti, andrà tutto bene.-  disse, ma il suo tono era freddo e distaccato, come al solito.
- Io non sono preoccupata.- risposi continuando a evitare di alzare lo sguardo.
Ci recammo in segreteria dove una donna di mezz’età, visibilmente annoiata e seccata, ci diede il foglietto con i nostri orari e le chiavi per gli armadietti; nessun sorriso o un  “benvenuti ragazzi”.
Liam mi disse che aveva francese la prima ora e che ci saremmo visti all’uscita per tornare a casa insieme; facendomi intendere, senza dirlo apertamente, che non mi voleva nei dintorni, così, dopo esserci separati, andai a cercare la mia aula.
Avevo matematica, l’inizio non era dei migliori.
Camminavo in mezzo alla massa di studenti che si affrettavano per raggiungere le loro classi, non accorgendosi di me. Forse era meglio così, odiavo essere al centro dell’attenzione.
Quella scuola era un enorme labirinto, non riuscivo a trovare la classe giusta, e ormai gli alunni erano spariti.
- Hei! – disse qualcuno posandomi la mano sulla spalla, distraendomi dal mio centesimo tentativo di capire quella cosa chiamata cartina.
Mi voltai e incontrai due occhi magnificamente azzurri di cui il cielo stesso sarebbe stato invidioso, se avesse potuto.
- Ehm, ciao – risposi, timida come sempre, osservando quel ragazzo che sembrava quasi un angelo.
- Tu devi essere la ragazza nuova, io sono Louis – disse allegramente, porgendomi  la mano.
- Piacere, io sono Belinda – risposi stringendogliela, mentre lui mi sorrise di nuovo, facendomi arrossire.
- Hai bisogno di aiuto? -  chiese gentilmente.
- ehm, si grazie.. Sto cercando l’aula di matematica ma non capisco questa piantina.– ammisi un po’ imbarazzata.
- Si lo so, sono solo pezzi di carta inutili! Comunque, anche io ho matematica, vieni con me!
Annuii e lo seguì.
L’aula non era lontana, ma  durante quel poco di strada non smise di parlare un secondo.
Mi parlò di  Miss. Lincoln, la prof. di matematica, descrivendola come una cinquant’enne zitella con due facce: dolce e gentile con i genitori; stronza e acida con gli alunni.
Nonostante ci conoscessimo da pochissimo, Louis mi piaceva, mi ispirava simpatia.
Forse per il fatto che non aveva smesso di sorridere un secondo da quando ci eravamo incontrati, e che sorriso!
Uno di quelli difficili da dimenticare.
Quando entrammo in classe, Miss. Lincoln mi presentò alla classe che mi accolse con un “ciao” generale e mi fece sedere accanto a Louis, fortunatamente.
Lui continuò il suo discorso sulla gerarchia scolastica non appena ci sedemmo.
- Devi sapere che se vuoi sopravvivere in questa scuola devi rispettare una piccola regola – mormorò lui osservandomi.
- Cioè?- risposi ridacchiando.“Sopravvivere” Oh andiamo, dov’eravamo, nella giungla?
-Stai lontana dal ragazzo di Katherine Pierce; sarebbe capace di portare la tua reputazione ad un livello molto, molto basso. – Disse serio.
- E chi sarebbe questo qui? -
-Lo riconoscerai di sicuro: è un “figo da paura”,come dicono le ragazzine, ed il quarterback. Alto,  biondo, con gli occhi azzurri e.. sembra un angioletto. -
-Il principe azzurro ha un nome? – scherzai, in realtà poco interessata.
-Io direi il cavaliere nero, e comunque si chiama Niall Horan.-
- Scommetto che, da bravo quarterback quale è, si è fatto mezza scuola.-
Lui rise alla mia affermazione e poi parlò – Sai già come funzionano le cose, vedo.-
- Beh, è la tipica scuola americana/inglese. – risposi come se fosse una cosa ovvia.
-Ehi, ora non offendere la mia scuola – dissemettendo il broncio, facendo il finto offeso. Dovetti soffocare una risata, visto che la prof ci aveva già richiamati un paio di volte.
-Quante scuole hanno il secchione bello da far paura, quello bello e divertente e …–
- Tomlinson alla lavagna. – Disse la Lincoln interrompendo la conversazione.
Louis rimase per il resto dell’ora alla lavagna, cercando di risolvere equazioni, disequazioni e radicali che la professoressa continuava ad assegnargli, e di tanto in tanto mi guardava con aria da cucciolo bastonato.
Quando suonò la campanella corse verso di me per prendere i libri e accompagnarmi nella prossima aula, era evidente che non vedeva l’ora di uscire.   
Le seguenti ore passarono velocemente con Lou, forse non sarebbe stato poi così male lì.
Ci stavamo dirigendo verso l’uscita quando, non so come, mi trovai per terra; dovevo essermi scontrata con qualcuno che iniziò a scusarsi ma si fermò.
Louis mi aiutò ad alzarmi e quando vidi chi avevo di fronte capii.
-Potresti anche degnarti di chiedere scusa – disse Louis infastidito, a quel cretino di Liam di fronte a noi, che aveva accanto una finta bionda in divisa da cheerleader.
- Lou, lascia stare non importa – gli dissi, lui stava per ribattere ma lo interruppi – Lou, non mi chiederà scusa. Lascialo stare. – Lou mi guardava senza capire.
-Oh, comunque non torno a casa per ora. – disse Liam.
-E io come faccio scusa?-
-Ti fai una bella camminata che non ti fa male – disse prima di andarsene, dandomi una pacca sulla spalla, acido come sempre.
Ma che simpatico, sempre lì deve andare a parare?
- Chi era quello? – mi chiese Lou, ancora irritato.
-Oh, lascialo perdere, è solo mio fratello. – beh, quasi fratello.
-Tuo fratello, e ti pianta in asso così? -
-Mi ci sono abituata – dissi nascondendomi dietro il solito sorriso, se così si poteva chiamare.
Non è vero che ci si abitua è solo che dopo che hai sopportato troppo arriva il momento in cui non te ne frega più niente.





Hei dolcezze!
Spero vi piaccia questo capitolo, magari se vi va lasciate una piccola recensione per dirmi cosa ne pensate!
Accetto critiche, basta che non siano insulti :)

-Beels.

@Onedjoverdose su twitter c:

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Capitolo 3
*** 3. Bad idea. ***


Louis  si era offerto di riaccompagnarmi a casa ma rifiutai, Liam aveva ragione, dovevo iniziare a fare più attività fisica e dovevo iniziare subito.
Conoscendomi non sarei durata più di un paio di settimane.
Quando arrivai non c’era nessuno; mamma e Oliver erano partiti e Liam era fuori, forse con la biondina che era con lui all’uscita di scuola.
Eravamo in quella città da meno di ventiquattro ore e già aveva iniziato ad aggiungere persone alla sua lista delle ragazze da una botta e via? Forse sarei dovuta essere stupita, ma da lui ci si poteva aspettare di tutto.
Andai in camera a studiare per cercare di recuperare parte del programma che avevo perso essendo arrivata a metà trimestre ma, come avevo previsto, la voglia di studiare non durò più di un paio d’ore così andai a sdraiarmi sul letto.
Ero sola.
Come sempre in quel periodo.
Avevo perso tante persone, erano sparite, una dopo l’altra.
Forse era vero che ero diventata insopportabile: rispondevo, non cercavo nessuno, mi isolavo.
Forse era vero che, come mi avevano detto, avevo creato un muro attorno a me; ma era anche vero che loro si erano messi lì davanti a osservarlo senza neanche provare ad andare oltre.
Avevo bisogno di qualcuno che lottasse per me, per non perdermi, come io avevo fatto con tutti loro prima che la mia vita si distruggesse portandomi a toccare il fondo.
E solo tre persone lo avevano fatto fino ad allora, solo loro avevano lottato contro il mio stupido istinto di autodistruzione: Mia, Juls e Anne; le mie migliori amiche.
Avevo paura di perdere anche loro per colpa della distanza.
Ero sempre stata forte, forte davvero, avrebbero potuto urlarmi contro le peggiori cose che gli passavano per la testa e sarei stata lì ad ‘ascoltarli’.
Avrei potuto perdere miliardi di persone e non me ne sarebbe importato niente, non finché lei avesse continuato ad amarmi incondizionatamente.
Ma da quando lei non c’era più avevo bisogno di sentirmi amata, apprezzata, accettata da tutti; eppure nessuno sembrava farlo.
Non come lei.
Avevo provato a non farmene una colpa, ma se nessuno ti ama non puoi far altro che pensare che sia colpa tua, dei tuoi difetti, del tuo non essere abbastanza.
La cosa peggiore era che dovevo affrontare ogni singolo giorno sorridendo, parlando con le persone come se tutto fosse normale, come se perdendola non avessi perso la parte migliore di me.
Stavo per addormentarmi quando sentii un leggero rumore provenire dal comodino. Il cellulare stava vibrando. Un nuovo sms, lessi sullo schermo.
Non aspettarmi per cena, torno tardi.
Liam.
Rimasi un po’ delusa dal testo del messaggio, ma che mi aspettavo? Gli unici momenti in cui mi parlava, senza insultarmi, erano quando mi diceva che non sarebbe tornato o per supplicarmi di nascondere qualcosa a Oliver e mamma.
Decisi di andare a fare un giro, ero stanca di quelle quattro mura, perciò andai di sotto e quando aprii la porta respirai a pieni polmoni l’aria mite dell’inverno inglese.
Iniziai a camminare senza una meta precisa, avevo solo bisogno di vedere gente, di sentirmi parte di quel mondo che per molto tempo mi era parso un nemico.
Dopo un’oretta buona mi ritrovai ad un piccolo parco: il giardino era incolto, buio, tetro …
Mi portava a pensare a qualcosa di malsano e triste, come la gente che c’era.
Erano quasi tutti malvestiti, sporchi, alcuni ubriachi se non addirittura drogati.
Dovevo andarmene, non era un bel posto, non di sera.
Attraversai la strada quasi correndo per mettere più distanza tra me e quei tizi, ma ovviamente mi notarono.
Cercai di ignorare il terrore che mia travolse nel vedere che si stavano avvicinando.
Non avevo molte alternative se non correre via, urlando e sperando che qualcuno mi sentisse o restare calma e disinvolta.
Optai per la seconda, correre con era il mio forte.
-Hei dolcezza!- disse il moro, con un orribile ghigno sul volto.
Lui e il suo amico mi sovrastavano, cosa non molto difficile visto il mio metro e sessantatre.
-Che ci fa una ragazzina come te, in un posto come questo?- bofonchiò.
Il suo alito -un misto di alcool e dio solo sa cosa- mi attraversò le narici.
Che schifo.
Non riuscì a rispondergli, ero pietrificata.
-Che c’è, non rispondi piccola?- disse il biondino, anche lui evidentemente ubriaco.
Piccola. Anche lui mi chiamava così.
-Allora?- mi incitò.
-Fottiti.- gli ringhiai contro.
Il moro alzò un sopracciglio e solo allora mi accorsi di ciò che avevo detto.
Non avevo mai avuto un briciolo di coraggio e strafottenza in tutta la mia vita, perché proprio in quel momento?
Vaffanculo.
Il moro si avvicinò, trafiggendomi con quegli occhi azzurri come il ghiaccio.
-Non c’è bisogno di essere stronzi.- sibilò portandomi una mano al collo e sollevandomi qualche centimetro da terra.
Provai ad aggrapparmi con le mani al suo polso perché mi liberasse, ma quel gesto non fece altro che fargli aumentare la presa, bloccandomi il respiro.
Sentii le risate del biondino nel vedere l’altra mano del moro stretta in un pugno, quello si che mi avrebbe fatto male e non solo fisicamente.
Non volevo provare quella sensazione, non di nuovo, quella volta mi sarei uccisa piuttosto.
Ci avevo messo anni a dimenticare, a superare tutto e ora lui stava per farmi ricordare ciò che avevo provato a scordare per anni.
Iniziai a sudare quando vidi il pugno del moro avvicinarsi e chiusi gli occhi, come se ciò avesse potuto aiutarmi.

Harry’s Pov

Tolsi le cuffie dell’ iPod guardandomi intorno attentamente. Un parco, tetro, lurido, malandato, e la gente non era meglio.
Ma cosa potevo aspettarmi da Jack e Christian? Tanto sporchi erano i loro affari quanto i posti in cui riscuotevano.
Per fortuna quella sera avrei saldato il mio debito. Mi avevano avvertito varie volte, me lo avevano detto di non fare affari con loro e non avevo mai ascoltato nessuno; non ero mai contento se prima non sbattevo il muso.
Guardai l’orario sul mio iPhone, erano le nove;  ero in ritardo di mezz’ora e loro non c’erano, eppure erano sempre puntuali quando si trattava di soldi.
Sentii la risata di Jack, era inconfondibile e, da quel poco che avevo sentito, lui era totalmente ubriaco.
Mi  voltai in direzione del suono e lo vidi sul marciapiede dall’altra parte della strada.
Ma ciò che attirò la mia attenzione fu Christian che picchiava qualcuno.
Iniziai ad avvicinarmi con cautela per vedere chi dei loro clienti, se così si potevano chiamare, era lo sfortunato.
Ma ciò che vidi era completamente diverso da ciò che mi aspettavo.
La scena era straziante, Christian continuava a colpire una ragazza facendola sbattere contro il muro alle loro spalle; il viso di lei era coperto dai lunghi ricci bagnati di lacrime e sudore. Lui non si fermava nonostante le urla della ragazza. Sembrava il diavolo in persona.
Mi lanciai contro Christian e lo presi per una spalla, non appena si voltò nella mia direzione gli diedi un pugno nello stomaco che lo fece piegare in due; lo colpii altre due, tre, quattro volte finché non cadde per terra e gli rifilai un paio di calci.
Gli gettai addosso il pacchetto con i soldi che gli dovevo, schifato da ciò che aveva fatto. Jack si avvicinò all’amico per aiutarlo e quando si rialzò lo convinse ad andarsene capendo che era meglio starmi lontano in quel momento.
Mi avvicinai alla ragazza che nel frattempo si era raggomitolata su se stessa abbracciandosi le ginocchia e mi inginocchiai al suo fianco.
Lentamente provai a spostarle i capelli dal volto, ma al contatto si irrigidì e cercò di spostarsi.
- Voglio solo aiutarti.- sussurrai osservandola.
Lei alzò lo sguardo che fino ad allora era rimasto fisso sul pavimento e mi scrutò, ancora tremante.
Era ancora terrorizzata, anche se aveva quasi smesso di piangere, glielo si leggeva negli occhi. Forse voleva solo andare a casa.
-Vuoi che ti accompagni a casa?- mormorai, senza ottenere una risposta da parte sua.
Mi voltai quando sentii qualcuno urlare.. un nome forse? Un ragazzo alto e muscoloso, con i  capelli castani  correva verso di noi.
-Belinda - disse una volta arrivato - Che è successo?-
Lei si voltò a guardarlo e  scoppiò nuovamente in lacrime buttandosi tra le braccia del ragazzo che dopo qualche momento di incertezza la strinse a se.
-Che cazzo le hai fatto?- mi ringhiò contro.
-Hei calmati amico- ribattei – stavo solo cercando di aiutarla.-
Lui la osservò come per cercare conferma che non so come ricevette.
La prese in braccio e la portò con se in macchina, senza neanche degnarmi di uno sguardo.

 
 
 
 
 
Ciao ragazze c:
Allora che ne pensate del capitolo?  Lo so ci ho messo un po’ ad aggiornare purtroppo ho avuto da fare.
lo so che è breve ma spero che vi piaccia e per i prossimi mi impegnerò di più!
Beels 

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Capitolo 4
*** Stole my heart. ***


Liam’s Pov.



Occhi rossi e gonfi per le lacrime fissi nel vuoto, labbra sanguinanti per i pugni e per quel suo vizio di morderle, torturandole a sangue. Le gambe raccolte al petto come a formare uno scudo.
Non l’avevo mai vista in quel modo: così indifesa, ferita, spaventata.
Io e lei non eravamo mai andati d’accordo e molto probabilmente non saremmo mai riusciti a sopportarci ma dopotutto non potevo non aiutarla sapendo la verità.
Papà me ne aveva parlato dopo avermi detto che usciva con Daniela, la madre di Belinda, perché sperava che mi sarei comportato bene con loro.
Sapevo che per lei non era la prima volta: suo padre era uno stronzo, nevrotico, psicolabile in poche parole era un animale.
-Vuoi che chiami mamma e papà? - le chiesi, meno freddo del solito pensando alla sua situazione.
Lei voltò quasi impercettibilmente il volto verso di me per poi muoverlo nel senso opposto.
-Posso fare qualcosa? – insistetti, ma ottenni la stessa risposta.
Il silenzio invase la macchina ed io non sapevo cosa dire, se lei volesse sentirmi parlare o meno.
Quando arrivammo a casa salì le scale senza neanche parlarmi o ringraziarmi o solamente guardarmi.
Forse era normale, non avevo mai affrontato niente di simile; mio padre non aveva mai toccato mia madre se non per accarezzarla e farla sentire amata.
Ma decisi ugualmente di seguirla, non potevo lasciarla sola.
Entrai in camera sua e rimasi sotto la porta, era seduta sul suo letto con la testa tra le mani.
Quando alzò lo sguardo per osservarmi quasi non la riconobbi: sembrava fredda e distaccata; per qualche istante i suoi occhi nonostante guardassero me parevano essere persi nel vuoto più totale.
- Che vuoi? – sussurrò alla fine.. fredda?
Chi vuoi ingannare piccolina?.
- Sto solo cercando di essere gentile. – risposi imitando il suono della sua voce.
- Non voglio la tua pietà. – avevo ragione, non era fredda, stava solo fingendo di esserlo.
- La mia non è pietà, voglio solo aiutare mia sorella. – Sorella? Ma che diamine mi è preso, devo essere davvero fuori di me stasera.
- Sorella – sussurrò, quasi come a voler soppesare quella parola. – non mi hai mai chiamata così, pensavo non te ne fregasse niente di me. – ribatté lei, era sul punto di scoppiare in lacrime, lo vedevo chiaramente.
- Oh andiamo, non è che d’ora in poi ti dirò che ti amo o che sei tutta la mia vita ma non ti lascerò da sola. Lo so di essere uno stronzo ma non sono senza cuore. – le risposi fermamente.

Belinda’s Pov

- Non ho bisogno di te, me la cavo benissimo da sola.-
Cogliona, al diavolo te e la tua testardaggine. Per la prima volta che ti tratta come una persona tu lo respingi?
Stupida.

Quanto odiavo quella stupida vocina nella mia testa, com’è che la chiamano? Coscienza, giusto?
Non finì neanche di pronunciare la frase che due braccia forti mi strinsero in un forte abbraccio.
- Devi smetterla Belinda. Dici a me di essere orgoglioso quando tu sei la prima che indossa una stupida maschera per non mostrare di aver bisogno di aiuto. – sussurrò nel mio orecchio.
Non potevo crederci, Liam che mi abbracciava e mi capiva perfettamente.
Non risposi, onestamente non seppi che dire.
Aveva ragione e lo sapevo bene in più mi sentivo protetta tra le sue braccia.
Le lacrime iniziarono a scorrere sul mio viso, forse per sue parole o per quello che era successo quella sera, per tutto quello che era successo nella mia stupida vita.
Non so quanto tempo rimanemmo in quel modo prima che lui interrompesse l’abbraccio per osservarmi.
- Hai bisogno di qualcosa? – disse fissandomi negli occhi, e che occhi. Erano rassicuranti e caldi, come la sua voce in quel momento. La sua vera voce e non quella che usava di solito con me.
Per la seconda volta non gli risposi ma mi lanciai nuovamente tra le sue braccia stringendolo forte a me.
- Liam, dormi qui stanotte? – sussurrai ad un certo punto – Per favore non lasciarmi sola. -
- Non preoccuparti, non vado da nessuna parte. – sussurrò a sua volta, stringendomi più forte.
Nessuno dei due parlò dopo quella frase, ci addormentammo abbracciati; per la prima volta da quando ci eravamo conosciuti.





Mi svegliai di soprassalto, completamente sudata.
Ci si erano messi anche gli incubi, non bastava tutto quello che era successo.
Mi voltai per vedere l’ora, erano le sei e mezza e dovevo andare a scuola.
Accidenti.
Mi alzai controvoglia e con ancora più riluttanza di tutte le altre mattine mi diressi in bagno per prepararmi.
Controvoglia feci una doccia, veloce e senza capelli per poi andare a prendere i soliti jeans e uno degli abituali maglioncini.
Guardandomi allo specchio mi rilassai, non ero messa poi così male: una piccola ferita sul sopracciglio destro, il labbro inferiore un po’ gonfio e segnato da qualche taglietto e qualche livido qua e là.
Niente che un po’ di trucco non potesse coprire e riportare tutto ad una caduta.
Una volta finito mi diressi di sotto rendendomi conto che Liam non era accanto me al mio risveglio.
- Ehi, dove hai intenzione di andare tu? – la sua voce mi costrinse a girarmi; era in cima alle scale con i capelli bagnati. Probabilmente aveva fatto anche lui la doccia.
- Beh, è martedì mattina e, se non ricordo male, abbiamo scuola. – risposi abbozzando un sorriso.
- Non vuoi riposarti e stare tranquilla per un po’?- replicò ormai a pochi centimetri da me.
-E perché dovrei? – continuai a camminare verso la cucina, dirigendomi verso il frigo, sapendo che era dietro di me.
-Beh, pensavo che dopo quello che è successo ieri volessi startene per conto tuo. – controbatte.
- Vuoi del succo all’ananas? - chiesi per deviare il discorso, stava per replicare ma capì che era inutile continuare a discuterne.
-Sì, grazie.. Stai bene?-
Gli porsi il bicchiere di succo e poi risposi – Certo. – alzò un sopracciglio, come a dirmi che non mi credeva.
- Dimentichi con chi stai parlando. Mi sono allenata a cadere e rialzarmi per tutta la vita.- non gli diedi il tempo di rispondere, presi lo zaino e andai fuori -Andiamo o faremo tardi!- urlai dal giardino, ottenendo come risposta una risata.
In macchina nessuno dei due aprì bocca, come sempre e forse era un bene.
Quando arrivammo fu tutto come il primo giorno: il fastidiosissimo mormorio degli studenti, Liam che se ne andava per conto suo e Louis.
- Ehilà Belinda!- gridò quando mi vide venendomi in contro.
- Ehi Lou! – lo salutai timida.
- Come v.. che ti è successo?- disse portando la mano sul mio viso sfiorando le ferite.
Come al solito arrossì, ero proprio un caso disperato.
- Oh, non preoccuparti, sono solo caduta dalle scale. – risposi sorridendo.
- Caduta dalle scale? – chiese alzando un sopracciglio; certo che facevano tutti la stessa espressione, ma la fantasia dov’era finita?
-Si, proprio tipico di me. - la campanella, fortunatamente, ci interruppe e dovemmo correre nell’edificio.
Le prime ore passarono velocemente dal momento che io e Lou parlammo tutto il tempo, fondamentalmente di cazzate ma lui riusciva a rendere tutto migliore.
Abbandonai l’ora di francese un’ora prima del dovuto, mi ero sentita poco bene.
Dopo aver gironzolato per la scuola decisi di andare in mensa e aspettare che l’ora finisse per stare con Louis, almeno lì sarei stata sola, o perlomeno era ciò che mi aspettavo, ma non era così.
Mi sedetti a due tavoli di distanza da un ragazzo con i capelli neri, aveva il capo rivolto su un libro e doveva essere davvero concentrato per non avermi sentita entrare.
Forse avrei dovuto smettere di fissarlo, perché entro poco se ne accorse.
Alzò lo sguardo e mi fissò con quegli occhi color caramello.
Dio, era perfetto: capelli neri, pelle ambrata, labbra piene e occhi che avrebbero potuto illuminare la notte più buia.
Gli sorrisi istintivamente facendolo arrossire.
Un ragazzo del genere che arrossisce?
Il moro mi sorrise per educazione, si vedeva che era a disagio ed effettivamente era una situazione alquanto imbarazzante.
Fummo salvati dalla campanella e dalla marea di ragazzi che entrò in mensa di conseguenza.
Cercai Louis tra quella massa di gente e lo trovai, era accanto la porta, gli feci cenno di avvicinarsi e lo fece.
- Hey, stai meglio ora?- chiese stringendomi in un abbraccio che ricambiai volentieri.
-Si, grazie. – dissi alla fine sorridendo.
- Hey cioccolatino, non vieni a salutarmi?.- Cioccolatino? Chi diavolo è cioccolatino?
- Lou, ti ho detto centinaia di volte di non chiamarmi così. – era una voce maschile, e dio quant’era sexy.
Quando mi voltai lo vidi, allora il bel moro aveva pure una voce fantastica.
- Che fai non ti presenti?- disse Louis, sinceramente con seppi con chi dei due stesse parlando. – allora lo faccio io. Belinda, lui è Zayn, il mio migliore amico. - disse e nel pronunciare le ultime due parole gli si illuminarono gli occhi, come se ne fosse immensamente fiero.
Ci stringemmo la mano in totale imbarazzo e mentre stavo per parlare Lou mi interruppe. – Lui è il famoso secchione figo da far paura. – disse poi ridendo insieme all’amico.
Lui, secchione? Lo osservai bene e non sembrava affatto un secchione, se non me lo avesse detto lo avrei preso per il ‘cattivo ragazzo’ della scuola.
La mia attenzione fu attirata da un angolo della mensa in cui sembrava essere passata la morte; non c’era nessuno fatta eccezione per un ragazzo seduto ad un tavolo; era solo.
Conoscevo quella faccia, la conoscevo bene.
Mi scusai con Louis e Zayn e mi diressi verso di lui.
- Sparisci. – disse senza neanche alzare lo sguardo. Possibile che fosse così scontroso? Sembrava quasi un altro.
- Ehm, ciao. – insistetti, tanto non avevo niente da perdere.
Lui fu costretto ad alzare lo sguardo e quando mi vide assunse una strana espressione, sembrava quasi che avesse visto un fantasma.
- Hey. – disse poi meno scontroso di prima.
- Hai un minuto?. - continuai poi, ricevendo come risposta un cenno del capo.
- Ecco io … - oh, andiamo devi solo dire delle parole, non puoi non riuscire a mettere insieme una frase di senso compiuto!Io volevo ringraziarti per ieri. -
Sembrò sorpreso dalle mie parole e l’unica cosa che seppe dire fu un patetico ‘ok’ per poi tornare a usare il suo cellulare.
Rimasi lì in piedi come un imbecille aspettandomi un gesto, uno qualsiasi invece lui fece per andarsene quando si girò nuovamente verso di me puntando i suoi occhi verdi, più simili a degli smeraldi che a dei comuni occhi, nei miei.
- Comunque io sono Harry, piacere. -
Gli sorrisi – Belinda. -
sorrise a sua volta mostrando dei denti perfetti e delle dolcissime fossette. -Allora ci si vede, Belinda. – presi quelle parole come una promessa e improvvisamente sentii qualcosa nello stomaco.
Fame? Deve essere per forza quello, è da ieri che non tocchi cibo.



Ciao babieeeeeeees!
Okay, lo so di essere in assoluto ritardo ma sono rimasta in vacanza una settimana in più del dovuto e ho dovuto studiare :c
Allora, che ne pensate del capitolo?
Fatemi sapere se questa storia fino ad ora vi piace o se dovrei proprio cancellarla!
Baci, Beels.
Ps_ mi perdonate se vi metto questa bellezza?

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