A Caccia di Monsoni

di Claire DeLune
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ciliegio D'Inverno ***
Capitolo 2: *** La Promessa ***
Capitolo 3: *** Il Rimorso del Rasetsu ***
Capitolo 4: *** Nemici/Amici ***
Capitolo 5: *** Battaglia D'Acqua ***



Capitolo 1
*** Ciliegio D'Inverno ***


Gradisco volentieri ogni tipo di critica e consiglio.
Spero che vi piaccia e che mi aiuterete a migliorare.
Siate liberi di darmi spunti e di farmi notare eventuali errori di battitura (quando scrivo di fretta capita)
Mi auguro davvero che il mio stile di scrittura sia piacevole. Buona lettura :)

A Caccia di Monsoni

Ciliegio D'Inverno


Raiting: Giallo
Genere: Fluff; Sentimentale; Triste.
Avvertimenti: Contenuti forti; Tematiche delicate
Note: Lime; Missing moments; Movieverse
Tipo di coppia: Het
Personaggi: Chizuru Yukimura; Toshizou Hijikata

 

   “Hijikata-san”, pronunci in un fil di voce intimorito. Scuoti lievemente le spalle del giovane uomo prostrato nel tuo grembo. Respira a fatica.

   Ripeti il suo nome tante, tante volte. Forse troppe.

   Perdere la vita in battaglia era inevitabile in periodo di guerra, è un dato di fatto. Tutti lo sanno. Tutti lo accettano, finché la morte non prende i tuoi cari. 

   Piangi, ma sopporti. 

   Poi la sua mano gelida si tende verso l’uomo di cui sei innamorata da sempre. 

   No! Lui no! 

   Ti attacchi alla promessa che vi eravate scambiati in un momento di tenerezza. Momenti del genere con Hijikata erano rari. 

   Hijikata è un buon comandate, il migliore, combattivo, carismatico, riluttante ai sentimenti, come se essi non dovessero essere riservati nei suoi confronti. 

   Non si era mai concesso di amare e sperava che nessuno l’amasse. Se non ami non soffri. 

   Con te fu diverso, inevitabile. I tuoi caldi occhi di cioccolato si erano immersi nei suoi, il terrore angosciante che vi vedeva in quel momento lo scossero nel profondo. Doveva proteggerti, lo sentiva dentro senza riconoscerlo.

   Lo guardi. Ha gli occhi chiusi, il viso leggermente corrucciato dal dolore. Mantiene quel broncio perenne che ti ha sempre fatta impazzire.

   L’avevi già visto così, una volta. Dopo l’ennesima battaglia. Ricordi che era scoppiato un incendio, Hijikata era svenuto, l’avevano riportato con varie ustioni agli arti ed innumerevoli ferite di katana.

   E’ bastato guardarlo per capire chi l’aveva ridotto così: Chikage Kazama. Il tuo “pretendente”. Era stato lui, ne eri sicura. Riconoscevi i tratti demoniaci della sua spada Oni, gli stessi che avresti lasciato anche tu. Li rivedevi anche adesso a mo’ di conferma ai tuoi sospetti.

   Siete uguali, tu e Chikage, stessa natura, eppure opposti. Egli è crudele e cinico, tu gentile e fragile, ma siete entrambi demoni. O almeno, lo eravate prima dell’ultimo scontro.

   Avevi sperato ardentemente di non doverlo più vedere in quel modo: capelli di morbida neve appena caduta, occhi insanguinati. Non ti spaventava il suo aspetto, ma la sua debole forza. Sapevi che con quelle sembianze le sue energie si esaurivano troppo velocemente e la sua vita si accorciava.

   Avevi pregato che non accettasse la sfida del demone. Saresti vissuta volentieri nella vergogna, sapendo che sarebbe stato con te. Alla occidentale, come i suoi nuovi abiti.

   Ma egli non è occidentale. E’ giapponese, e come tale non avrebbe sopportato né la sconfitta né la fuga. 

   Hijikata è un guerriero, un rōnin, un samurai.

   Lacrime egoiste ti accecano la vista, vorresti urlare ma non ci riesci.

   Ripeti, ancora, per l’ennesima volta il suo nome, tenendo le palpebre serrate.

   Una mano ti sfiora la guancia, togliendoti una lacrima scesa a tradimento.

   Sbarri gli occhi. Quel gesto ti strappa dall’ultima immagine che avevi dell’ordine Shinsengumi: ti davano le spalle pronti a farti da scudo tutti insieme, ancora una volta.

   “Toshi, Chizuru”, dice esausto, “Ti ho detto che ti amo, basta formalità”.

   Hijikata... No... Toshizou sorride a bocca chiusa, ricambi ancora scossa dalla pioggia salata seccata sul tuo viso. 

   Sorridere è un’altra delle cose che fa raramente, tuttavia con te è sempre stato gentile e accondiscendente. A suo modo ti dimostra ciò che prova.

   “L’ho battuto, Chizuru. E’ finita”.

   Era vero. Chikage non avrebbe più cercato di separarvi. Eppure capisci che ci è riuscito comunque.

   Senti il corpo di Toshizou infreddolirsi e appesantirsi tra le tue braccia. Cerchi di toglierti la giacca per coprirlo meglio, ma lui ti ferma dicendo che ti ammaleresti.

   “Guarisco in fretta, lo sai”, replichi risoluta.

   Sospira, “Non si può discutere con una donna di Edo”. Sorridi pensando a quante volte te l’ha ripetuto, senza mai una traccia di fastidio o permalosa lamentela.

   Poi uno spasmo, Toshizou contrae il corpo dolorante, tossisce e uno spruzzo di sangue macchia il tappeto di petali.

   Le viscere ti si attorcigliano su se stesse. Soffri vedendolo. Ripensi a Okita-san mentre lottava contro la tubercolosi. Eppure non è equiparabile allo strazio che provi ora.

   “Mi dispiace, Chizuru. Non sono riuscito a mantenere la promessa”.

   Anche questo era vero.

   Scuoti la testa sorridente, “La manterrò io per te”.

   Il suo sguardo violaceo s’indurisce, sapeva già, conoscendoti, cosa stavi per fare. Non dice nulla, sarebbe inutile: sei talmente ostinata.

   Cerchi la katana corta, vuoi ferirti nuovamente. Ti afferra il braccio, “No”.

   Scivoli via dalla presa imperterrita.

   “Chizuru”.

   Il gesto abituale viene meno. Non avevi mai sentito quel tono. Ti sta supplicando silenziosamente. 

   Abbandoni la spada a terra, poi scosti una ciocca corvina dagli occhi. I suoi bellissimi occhio purpurei.

   Ti chini su di lui, scoccandogli un bacio delicato, appena accennato. Temi di fargli male, però stavolta Toshizou non si accontenta. Se fosse stato l’ultimo, sarebbe dovuto valere l’esaurimento delle sue energie.

   La sua lingua lambisce le tue labbra prepotente, quasi con violenza, per poi farsi strada tra di loro. Le sue mani si posano e premono dolci e appassionate su parti del corpo che non aveva mai osato toccarti prima. E’ un uomo onorevole.

   Dentro di te la bramosia, che timidezza e ingenuità avevano sempre represso, monta.
   Vuoi di più, vuoi tutto. 

   Anche le tue mani scivolano. Lo tieni avvinghiato a te per la vita, ma non vai oltre. Già una volta avevi preso l’iniziativa mettendolo in imbarazzo.

   I corpi si incastrano uno all’altro. Toshizou geme dolente e desideroso. 

   Sai bene che dovreste fermarmi, sta patendo. Tuttavia non lo fate.

   Percepisci dei rantoli soffocati, quando Toshizou interrompe il bacio digrignando i denti, per poi ricominciare.

   Non ti aveva mai abbracciata né tantomeno baciata così.

   Hijikata era tutto d’un pezzo, serioso e autorevole. Toshizou invece è un uomo che sceglie finalmente di essere felice.

   Proprio quando stai per perdere il contegno, lui si ricompone. Le dita abbandonano i tabù e accarezzano di nuovo le tue gote, la lingua si ingentilisce.

   Percepisci un sorriso soddisfatto a fior di labbra. Spalanchi lentamente gli occhi: ti sta fissando con intensità.

   Rimanete così, senza dire nulla. Le bocche appoggiate l’una all’altra, guardandovi.

   Poi Toshizou Hijikata socchiude gli occhi, addormentandosi per sempre.

   Prendi amorevolmente il suo viso tra le mani e lo baci un’altra volta. Non ricambia. E’ ancora caldo, ma non c’è più.

   Lo abbracci, abbandonandoti ad un pianto liberatorio tanto disperato quanto breve.

   Ti blocchi di colpo. Lui non lo vorrebbe.

   Appoggi con grazia il suo capo sul terreno rosato, ti inginocchi composta, slacci il laccio rosso tra i tuoi capelli e lo leghi saldo intorno alle ginocchia, afferri di nuovo la wakisashi. Ti ci specchi e per un attimo hai l'impressione di vedere l’espressione contrariata di Toshizou. Non approverebbe il gesto, ma vi eravate fatti una promessa, “Resteremo insieme”.

   Lo fai per amore e per onore, da vera donna giapponese, da vera samurai.

   Non ti è permesso fare seppuku, ma farai jigai. Non hai un coltello tantō, nemmeno un kaiken. Ti arrangerai come puoi.

   Sollevi la lama all’altezza della giugulare, chiudi gli occhi e immagini lui che ti tende una mano. Sorridi immaginando che Toshizou ti sta aspettando.

   “Arrivo, Toshi”, sussurri al vento.

   Con un taglio netto recidi la gola, abbastanza a fondo da non guarire. I vestiti imbrattati di sangue ti si appiccicano al corpo. 

   Ripensi ancora all’Hijikata coi capelli d’onice raccolti in una lunga coda - coda sostituita poi da un taglio corto adulto e austero -, rivedi il suo volto illuminato dalla luna invernale, mentre soffici fiocchi di neve calavano dal cielo. Sembrava di stare all’ombra di un albero fiorito troppo presto, o troppo tardi, in inverno.

   L’aroma di ruggine si mischia al profumo dei fiori del vostro albero. Non ti nausea.

   Eri convinta che facesse male, invece è una morte piacevole.

   Cadi a terra di fianco al tuo amato rōnin, le vostre mani si incontrano.

   Ora ne sei sicura.
   Starete insieme per sempre.

   Da qualche parte.

   Sotto un ciliegio d’inverno.

 


Termini
Oni: figura mitologica del folklore giapponese simile ai demoni occidentali, non necessariamente malevoli.
Rōnin: letteralmente "uomo alla deriva" o "persona che impara a diventare samurai", è un dispregiativo che designava una categoria di guerrieri senza padrone e mercenari. Ma nel 1701, grazie all'episodio dei "Quarantasette rōnin", essi diventarono l'esempio vivente dell'etica bushidō samurai.
Seppuku: conosciuto anche come harakiri, è rituale maschile di suicidio per espiare una colpa o sfuggire alla morte o alla sconfitta per mano dei nemici. Consisteva nello sventramento dell'addome, in quanto si credeva che lì vi risediesse l'anima.
Jigai: equivalente femminile del seppuku, rituale che veniva compiuto prima di una sconfitta militare imminente e/o per evitare lo stupro. Le donne si legavano le ginocchia per rimanere composte mentre recidevano la giugulare.
Tantō: arma da taglio tipica del Giappone con lama da 30 cm.
Kaiken: arma da taglio tipica del Giappone con lama da 15 cm.
Wakisashi: katana corta.

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Capitolo 2
*** La Promessa ***


 

A Caccia di Monsoni

La Promessa


Raiting: Giallo
Genere: Generale; Slice of life; Mistero
Avvertimenti: Gender Bender
Note: Lime; Missing moments; Movieverse
Tipo di coppia: Shonen-ai; Crack Pairing
Personaggi: Amagiri Kyuuju (narratore); Chikage Kazama; Kyo Shiranui; Kaoru Nagumo

 

   Kazama era stranamente pensieroso. Non è mai stato di molte parole, ma oggi pareva turbato.
   “A cosa state pensando?”, domandai. La sua mancanza di arroganza mi insospettiva.

   Kazama si voltò lentamente, mi guardò senza vedermi sul serio e disse, più a se stesso che a me, “Devo sposarmi, Kyuuju-san”.

   Non potei evitare di strabuzzare gli occhi a quella affermazione. Da quando il suo cinismo aveva lasciato spazio ai sentimenti?

   “Vi siete innamorato?”, chiesi incredulo, al ché mi rispose con una risata sprezzante, “Certo che no. Devo farlo per la linea di successione. Non penserai che voglia mischiare il mio sangue con la teppa umana?”.

   Avrei dovuto immaginarlo.

   “Avete già trovato l’Oni giusta?”.

   “Mmm... No, ma ne ho in mente una perfetta: molto giovane”.

   Molto giovane... “La principessa Sen?”, era possibile. Sarebbero andati d’accordo data la presunzione di un titolo inesistente.

   “Quella mocciosa frigida non mi interessa. Non sprecherò tempo a corteggiare qualcuno che mi disprezza da sempre”. Si portò l’indice alla bocca, stava riflettendo.

    Rimasi zitto. Sapevo bene che era una pessima idea interromperlo mentre rimuginava qualcosa. In fondo cos’avrei potuto dire?

    Il suo sguardo scarlatto s’illumino, “Il clan Yukimura ha due eredi gemelli, di cui uno è femmina, giusto?”.

    “Sì, ma gli Yukimura si sono separati da tempo, dopo l’attacco di un dojo umano a Kyoto”

    “E’ vero, Koudou-san è tornato a Edo con solo uno dei due”.

    “La ragazza?”.

    “Probabile. Sapeva che era l’unica Oni purosangue rimasta, e anche lui mi conosceva bene. Però...”, si bloccò di nuovo nella medesima posizione. Cosa stava macchinando?

    “... un uomo premuroso cerca di proteggere i propri cari da vicino, mettendoli inevitabilmente in pericolo. Ma un uomo intelligente li allontana. Per quel che ricordo, Koudou-san era scaltro. La figlia è rimasta a Kyoto”.

    Le sue considerazioni erano coerenti, tuttavia conoscevo Yukimura da decenni: era sì astuto, ma, dopo la nascita dei gemelli, era diventato tremendamente protettivo, sentimentale e guardingo. Perciò non condividevo appieno la tesi di Kazama.

   “Hai detto che ti conosceva bene, dunque sapeva che avresti fatto questo ragionamento”.

   “Può darsi. Beh c’è solo un modo per scoprirlo: la cercheremo in entrambe le città. Tu ti occuperai di Kyoto, mentre Shiranui andrà a Edo. Partirete domani mattina”.

   Mi inchinai. Il principe dell’Ovest aveva appena impartito un ordine.

   Con un gesto del capo, Kazama mi congedò.

   

   3 mesi dopo

 

   Noi Oni, a differenza degli umani, siamo più rigorosi nel rispettare i nostri obiettivi, perciò non fu difficile trovare la ragazza. Benché fosse quella sbagliata...

   Circa un mese dopo l’inizio delle ricerche, ricevetti una lettera da Shiranui con scritto che la casa di Yukimura era disabitata: Koudou era tornato a Kyoto per conto dello Shogunato - Koudou-san stava lavorando ancora su quell’elisir? - e che, dopo qualche mese, anche la figlia era partita per cercare il padre. Immaginavo già il modo in cui il mio violento collega avesse estorto la verità ai passanti, ma non avevo tempo per preoccuparmi di questo, non era la priorità.

   Kazama si sbagliava, come al solito, eppure gli eventi avevano voluto che il suo errore si trasformasse in verità. 

   Che fortuna sfacciata, pensai.

   Bene ora toccava a me cercarla. Non sarebbe stato difficile, anche in mezzo al puzzo umano, il profumo demoniaco spiccava, perciò, da bravo sgherro, sarei andato a naso.

    Ci misi ben due mesi a setacciare l’intera capitale, ovviamente il principino non aveva mosso un dito per conto proprio, ma poi, finalmente, trovai una traccia a Shimabara, il quartiere a luci rosse della città.

   “Shimabara, eh?”, sogghignò Kazama.

   “Sì, ma potrebbe essere una falsa pista”.

   “Shiranui, immagino che tu sia stanco dato il viaggio che hai compiuto per me”, affermò suadente Kazama, “Che ne dici di rilassarci con qualche deliziosa fanciulla?”.

    Shiranui sorrise allusivo, assaporando l’idea di poter giocare a “Quanti strati ha il tuo kimono” con delle povere maiko indifese.

    “Vado subito a prenotare una stanza”, disse entusiasta quest’ultimo prima di uscire.

    La mia espressione non riuscì a contenere il mio disappunto. 

    “Sei fin troppo serio, Kyuuju-san”.

    “Non è il mio genere di divertimento”.

    “Lo so, ma verrai comunque. Quando si tratta di giovani donne, Shiranui-kun diventa inaffidabile”.

    Annuii.

 

   Shimabara

 

   Quella sera arrivammo al lotto dei piaceri dell’arte e dell’alcol.

   “Sakè”, ordinò Shiranui malizioso alla geiko. 

   Detesto ammetterlo, ma Kazama aveva ragione su di lui.

   “Fate entrare le intrattenitrici, mi annoio”, si lamentò volutamente Kazama. Si poteva dire qualunque malignità sul suo conto, tranne che non odiasse questo genere di locale o quanto fosse ansioso di andarsene al più presto.

    La fortuna era a nostro favore, quando le maiko entrarono, riconobbi l’aroma percepito la mattina stessa. Il principe ed io ci scambiammo uno sguardo d’intesa, mentre Shiranui era già in procinto di palpeggiare le natiche di una delle due ragazzine.

    Le due si portarono al centro della stanza, una suonava e l’altra danzava tenendo dei ventagli con cui si nascondeva il volto, lasciando scoperti gli occhi con fare provocante.

    La ballerina si muoveva sinuosa, risultato di dure giornate di pratica, avvicinandosi sempre più a noi. Kazama l’afferrò per le gambe, facendola scivolare in braccio a lui. Doveva essere lei la Oni.

    Le accarezzava una guancia con il dorso della mano, avvicinando il suo viso al proprio, incatenandola con lo sguardo. I nasi si sfiorarono, la ragazza socchiuse gli occhi convinta che l’avrebbe baciata, però lui parlò.

    “Che pelle soffice, morbida come seta. Come ti chiami, mia leggiadra farfallina?”.

    Leggiadra farfallina?!

    “Kaoru, mio signore”.

    “Kaoru”, ripeté lui, “Nome soave. Degno della donna nel mio grembo”.

    La ragazza arrossì.

    Era la prima volta che assistevo ad un corteggiamento di Kazama, ed ero allibito da quanto potesse essere ammaliante un uomo così calcolatore.

    “Da quanto lavori qui?”.

    “Sono diventata apprendista da poco”.

    Per ora le nostre informazioni combaciavano.

    “E dimmi, non vorresti essere libera?”.

    La giovane si rabbuiò, “Libera?”.

    “Sì”, rispose spazientito Kazama. Detestava ripetersi.

    “La massima aspirazione per una maiko è trovare un protettore”.

    “Sarei volentieri il tuo protettore, ma non sopporterei l’idea di doverti condividere con gli altri uomini. Sono troppo romantico”.

     Sei troppo possessivo, pensai ammonitore.

    “Vi piaccio così tanto?”, domandò Kaoru abbassando gli occhi timidamente.

    “Non credi nei colpi di fulmine?”, continuò lui.

    Lei rialzò il capo, sostenendo lo sguardo di Kazama con decisione, “Sì, ci credo”.

    “Allora ti libererò”.

    La ballerina sorrise colma di allegria, non aveva la minima idea di cosa le sarebbe capitato una volta legata a Kazama.

    Tuttavia quel colpo di fulmine era destinato a morire con la stessa velocità con cui era nato.

     I due si baciarono per suggellare silenziosamente la loro promessa. Kazama la strinse più forte, appiccicandola a sé. Ancora più stretta, ancora più stretta, Kaoru si modellò al corpo del suo amante ansimante. 

   Il principe stava cominciando a prenderci gusto, quando improvvisamente si frenò, strabuzzando gli occhi come se avesse sentito qualcosa.

    La ragazza continuava ad amoreggiare con lui, infilando le dita sottile tra i suoi capelli, inumidendogli leggera il collo, non si era ancora resa conto dell’irrigidimento del giovane. 

    Egli posò la mano tra le cosce di lei cercando conferma di qualcosa. Lo sentì.

    Kazama scattò fulmineo in piedi, urlando, “Tu! Tu razza di scherzo della natura, la pagherai per avermi imbrogliato! Un Oni mantiene sempre le sue promesse”.

    Poi fece scorrere la porta ed uscì come una furia. Gli corsi dietro, trascinando Shiranui per la scomposta coda cianotica.

    Lo raggiungemmo ad un ponticello. La luna illuminava la sua figura, dandogli un’aspetto malinconico.

    “Cos’è successo?”, chiesi.

    Disgustato il principe si voltò verso di me e disse, “Era un Oni, ma non era una femmina”. Tornò a guardare l’orizzonte ardendo dalla rabbia.

    Sbarrai gli occhi, “Cosa?”.

    “Era un travestimento”, fissava l’acqua del ruscello imbestialito, “Kaoru, maledetto impostore, non ha idea di chi ha scatenato l’ira. Ho promesso che lo libererò, eccome se lo farò: a colpi di katana!”.

 

    


Termini
Geiko: sinonimo di geisha (dialetto di Kyoto).

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Capitolo 3
*** Il Rimorso del Rasetsu ***


A Caccia di Monsoni

Il Rimorso del Rasetsu


Raiting: Verde
Genere: Slice of life; Introspettivo; Flash-fic
Note: Missing moments; Movieverse
Personaggi: Keisuke Sannan

 

Sangue. 

   Non penso ad altro.

   Sete. 

   Ho la gola secca, nonostante Chizuru mi abbia appena portato una tazza di rinfrescante Tamaryokucha - è brava a fare il tè quella ragazzina, ma se mi offrisse un suo polso l’apprezzerei molto, molto di più... Non mi azzardo ad immaginare cosa mi farebbe Hijikata-kun se ci provassi.

   Ah, povero fratello d’acciaio, hai scelto la tua rovina, infatuandoti di quella donna. Ti ucciderà. 

   Ouch! 

   Brucia! 

   Non vuole placarsi. Sto per perdere il controllo, me lo sento. Percepisco la follia che tenta di soggiogarmi.

   Non l’avrei mai immaginata in questo modo. Pensavo fosse un mutamento lieve, un virus che man mano si diffonde nelle membra, annidandosi nelle ossa, debellandoti irrimediabilmente dall’interno. Invece i semi del male germogliano repentini direttamente nell’intelletto, sfumandone la ragione.

   Durante le mie ricerche avevo letto, su quelle poche pergamene tradotto dalle lingue europee, di bevitori di sangue simili a noi, ma nulla era riportato su una qualche insolita medicina creabile chimicamente. L’unica cosa riconducibile ad un elisir, non era altro che un’estratto di sangue peccatore, contaminato dallo stermino di vite innocenti, come il mio.

   Anche adesso, rinchiuso nella mia semplice stanza dalla mobilia essenzialista, continuo imperturbabili la mia inchiesta sull’Ochimizu e sugli strozzini della notte.

   Ci sono delle analogie.

   Questi mmm... come li chiamano... ah sì! Vampiri.

   Questi vampiri non sopportano la luce a tal punto da poterne morire -  quest’ultima parte con noi non c’entra: il sole ci indebolisce e basta.

   Arsione perenne.

   Pelle diafana, occhi innaturali iniettati di sangue. 

   Per essere uccisi devono essere trafitti al cuore da un paletto di frassino. Nel nostro caso è sufficiente anche un tantō, basta che colpisca un organo vitale, sebbene possiamo essere rallentati nella guarigione da armi e proiettili fatti in argento - similitudine con altri demoni occidentali dall’aspetto animalesco, denominati licantropi o lupi mannari. 

   Una volta morti, si tramutano in cenere.

   Rasetsu e vampiri sarebbero pressapoco affranti dalla stessa maledizione, se non fosse per alcune discrepanze. Per esempio, le sanguisughe dell’Ovest devono essere rese tali da un membro della stessa natura demoniaca attraverso un morso o uno scambio di sangue, ovvero grazie all’inquinamento di tutto ciò che il credo shintoista ci impone di preservare. Mentre per i Rasetsu è sufficiente bere un elisir, ritenuto inizialmente di origine occidentale, quando in realtà è solo una mera imitazione di un ricavato rubicondo mefistofelico. 

   Un’emulazione. L’ennesimo richiamo che la Shinsengumi è una parodia di sognatori: samurai fittizi, Oni fittizi. Esistenza fittizia, effimera, precaria, caduca, vana.

   Ma la più grande differenza tra Rasetsu e vampiri, è che il corpo di questi ultimi si bloccano all’aspetto attuale alla loro corruzione, ponendo fine così ad invecchiamento e stanchezza, frenando persino la morte. La loro vita inaspettatamente diventa immortale, nonostante il dispendio di energia.

   Perché a noi no? Cosa abbiamo sbagliato per meritarci il contrario? In fondo erano umani anche loro prima.

   “Sì, però la loro trasformazione, come continui a sottolineare, è un creato infernale, mentre la vostra è una caricatura alchemica, umana”, le voci nella mia testa dicono sempre così... E’ la verità? Suppongo di sì.

   Maledetto Kodou Yukimura!

   Maledetto Shogunato! 

   Maledetto Ochimizu! 

   Ma sopratutto maledetto me, sono stato un vero idiota.

   Il sole è già calato. E’ ora di proseguire la strada verso la dannazione.

   Da quando ho ingurgitato l’elisir, senza rendermene conto, ho cambiato nome.
   Da quel giorno, in gran segreto, mi chiamo: Sannan Baka.

Termini
Tamaryokucha: è un tipo di tè verde estratto dalle stesse foglie con cui si fa il Sencha (altro tipo di tè verde), però ha un sapore più fresco e leggero di quest'ultimo. 

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Capitolo 4
*** Nemici/Amici ***


 

A Caccia di Monsoni

Nemici/Amici


Raiting: Giallo
Genere: Azione; Guerra; Slice of life
Avvertimenti: Triangolo; Violenza
Note: Missing moments; Movieverse
Tipo di coppia: Het; Crack Pairing
Personaggi: Kyo Shiranui (nattatore); Sanosuke Harada; Chikage Kazama; Principessa Sen



   Szock.

   Una testa rotola, poi un’altra. La lancia di Harada trafigge il petto dell’ennesimo Rasetsu.

   Nel frattempo mi occupo, a colpi d’arma da fuoco, di quelli che lo attaccano alle spalle. Potranno battersi anche di giorno ora, ma rimarranno comunque delle rozze copie. Feccia.

   Harada combatte. E’ veloce per essere un patetico umano. 

   Di solito non mi schiererei a favore di uno di loro, specialmente quando sono guerrieri valorosi, eppure, per qualche strana ragione, nutro della simpatia nei suoi confronti: è spericolato come me. In più questa è una condizione eccezionale. 

   Penso che in altre circostanze saremmo stati amici, noi due, ma siamo nati per scontrarci. Questa è la punizione per aver trasformato la figura dell’Oni in un mito da abbattere.

   Oh no! Comincio a parlare come quel montato di Chikage. 

   E’ anche colpa sua e della sua testardaggine, se mi trovo in questa posizione. Non poteva accontentarsi di una graziosa ragazza normale? O di una mezzosangue? Di semidee ne è pieno il mondo, e la maggior parte di loro ha un destino glorioso - oltre ad un aspetto appetibile -; per una meticcia una relazione con lui sarebbe stata l’impresa epica, la degna fatica ercoliana su cui si sarebbero composte ballate in suo nome. 

   Invece no. Chikage deve avere Chizuru, Oni purosangue, protetta della Shinsengumi e pseudocompagna del loro vicecomandante Rasetsu, che ovviamente non lo fila per niente.

   Dannato Chikage, non è proprio cambiato nulla da quando eravamo bambini: ogni volta che si ostina su qualcosa, io finisco automaticamente nei casini. Come quella volta che si era deciso a voler spiare Sen mentre si cambiava.

   “Solo un’occhiatina, Kyou. Non ho ancora mai visto una donna, è ho sedici anni!”.

   “Ma tu non esci mai di casa?”, domandai sarcastico.

   “Posso alludere una cosa senza essere triviale”, rispose seccato.

   “Tzé, e cosa ti aspetti di vedere sotto quel kimono da pivella? Sicuramente non ha un minimo accenno di tette”. Ero indispettito, consideravo Sen una stupida ragazzina ben lontana dall’essere aitante. Anche se adesso non la penso più così...

   “Vedila come una lezione di anatomia allora”. Era inutile discutere con Chikage, la sua natura di capo era palpabile già all’epoca, seppure ci considerassimo amici in quel periodo.

   Architettammo un piano semplice quanto idiota. Avremmo aspettato il calare della sera, quando tutti cominciavano ad andare a dormire, consapevoli che Sen, da brava bimba, si sarebbe coricata alla buon ora. Successivamente, alla luce di una lanterna, ci saremmo avvicinati, avremmo fatto scivolare la porta-finestra con grande cautela, e avremmo dato pace alle curiosità malate di Chikage.

   Il futuro principe dell’Ovest era talmente ansioso da decidere di agire la sera stessa. Tutto andò come dovuto all’inizio...

   Chikage si era posizionato in avanti per poter vedere meglio il corpo seminudo di lei, lo scansai leggermente. Se proprio dovevamo rischiare, volevo godermi anch’io lo spettacolo.

   Rimasi basito. Sen era procace per essere una quattordicenne, più di quanto mi aspettassi. Lo stupore mi fece perdere l’attenzione sulla torcia che tenevo in mano, abbastanza da far andare fiamme il separé della camera di Sen.

   Terrorizzata, ella si voltò verso di noi e scorse me mentre la fissavo. Naturalmente avevo spinto via Chikage proprio nel momento in cui lei si era girata nella nostra direzione e, naturalmente, tutta l’impetuosità di quest’ultima, credendomi artefice della situazione, si era riversata su di me.

   Pensandoci, la memoria dei suoi schiamazzi mi fa ancora sanguinare le orecchie.

   Maledetto Chikage.

   “Dietro di te!”, urla improvvisamente Harada. Ruoto la testa quel tanto da permettimi di vedere con la coda dell’occhio le fauci animalesche del Rasetsu avvicinarsi in un ghigno alienato.

   La bestia è a un palmo di distanza da me, quando un’agghiacciante risata psicotica si leva dalla gola di quest’ultimo.

   “Sangue. Dammi il tuo sangue”, dice tra le risa.

   Ti piacerebbe, penso.

   Piego a sinistra, spostando tutto il mio peso da un piede all’altro una frazione di secondo prima che il Rasetsu mi afferri, poi lo colpisco energicamente alla schiena con il calcio della pistola. 

   “Sangue”, ripete mentre torna all’attacco.

   Turbino ancora, premendo il grilletto. Clic.

   Cosa?

   Merda, la pistola è scarica!

   Continuo a muovermi ad ogni attacco, cercando munizioni tra i miei abiti. Niente, sono a secco.

   Afferro la katana. Mi sento stranito con un’arma da taglio in mano, non sono più abituato ad utilizzare la spada se non come fattuale ornamento.

   La presa sull’elsa è troppo instabile. 

   No, un Oni non può essere battuto da un’imitazione, è inammissibile.

   Sento il fetore del vampiro appropinquarsi sempre più.

   Szock.

   Qualcosa di argenteo fuori esce dal petto del Rasetsu all’altezza del cuore nella mia direzione, alzo il capo e intravedo gli occhi ambrati carichi di tensione di Harada.

   “Sei lento”, afferma schernendomi, mentre estrae la lancia dal cadavere.

   Rido, “Li ho fatti fuori praticamente tutti io”.

   “Ma l’ultimo l’hai concesso a me, che onore!”.

   “Combatti bene, te lo concedo. Dovremmo farlo più spesso”.

   “Se fosse per me, combatteremmo in continuazione”, sogghigna.

   “Appena tutto questo finirà, finirà anche la nostra tregua”.

   “Se è così, cercherò di tenerti vivo per la prossima ondata”.

   Ghigno ancora più forte, tirandogli una pacca sulla spalla.

   Harada è il miglior nemico/amico che io abbia mai avuto.


Note d'Autore
Mentre scrivevo, continuavo a dirmi che volevo Harada come protagonista. Ma alla fine la mia indole egocentrica si è riversata in Kyou che ha trascinato episodi passati con Kazama, personaggio di cui temo di parlare fin troppo spesso... La mia fantasia mi si ritorce contro ahahah.

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Capitolo 5
*** Battaglia D'Acqua ***



A Caccia di Monsoni

Battaglia D'Acqua

  


Raiting: Verde
Genere: Slice of life; Comico; Generale
Note: Missing moments; Movieverse
Personaggi: Chizuru Yukimura (narratore); Toshizou Hijikata; Souji Okita; Sanosuke Harada; Shimpachi Nagakura; Hesuke Todou; Hajime Saito; Isami Kondou; Keisuke Sannan


   Terzo mese del primo anno dell'era Genji (aprile 1864)

 

   Erano passati tre mesi da quando avevo iniziato a vivere nel quartier generale della Shinsengumi e ancora il vicecomandante non si fidava di me a sufficienza da farmi uscire oltre le mura della tenuta. Quando sarei potuta andare a cercare mio padre? Cominciavo a credere che non ci saremmo mai ritrovati.

   Ero appoggiata al davanzale della finestra che dava sull'aia interna, reggendomi con le mani il capo puntato verso il cielo sgombro, in modo da godermi, ad occhi chiusi, il caldo sole primaverile. Ferma in quella posizione, rimuginavo su quanto fosse imprevedibile la vita: sei mesi prima vivevo serena con mio padre a Edo, indossando sobri abiti femminili, mentre ora abitavo circondata da guerrieri senza padrone, di cui solo gli ufficiali conoscevano la mia vera identità, costretta a travestirmi da uomo - camuffamento poco riuscito a mio parere, essendo così minuta.

   Ogni tanto cercavo di immaginare mio padre. Il suo sorriso affettuoso, il suo sguardo gentile, il suo viso scarno e la sua silhoutte smilza. Tuttavia quella fantasia veniva sempre sostituita da una figura matronale, ma raffinata, da un volto affusolato, da occhi aspri, lividi, obbligati in un'espressione livorosa. Il vicecomandante Hijikata, terribile come un Oni e bello come un attore. Non potevo fare a meno, ora che lo conoscevo, di essere d'accordo con questa descrizione: Hijikata era davvero tanto burbero quanto suggestivo, abbastanza da essere inenarrabile - anche se sospettavo che fosse solo apparenza.

   "A cosa stai pensando? Sembri così assorta", domandò improvvisamente qualcuno. La voce proveniva da sotto la mia finestra.

Trasalii, "Okita-san!".

   Okita sogghignò, "Scusa, non volevo spaventarti". Era sardonico?

   "Sei qui da molto?".

   "Dobbiamo tenerti d'occhio, l'hai dimenticato?".

   Abbassai lo sguardo sulle mie unghie scorticate dal nervosismo. Non ero mai sola. Mai. C'era sempre qualcuno di turno a controllarmi. Come ho già detto, Hijikata non si fidava affatto di me.

   "Certo che fa proprio caldo oggi", si lamentò il mio secondino, "Non ti va di uscire in cortile a prendere un po' d'aria?". Mi limitai a sorridergli.

   Chiusi la finestra, aprii il separé della porta e, mentre mi dirigevo fuori accompagnata da Okita, vidi Hesuke e Nagakura rincorrersi l'un l'altro con dei secchi colmi d'acqua.

   "Ci risiamo”, borbottò Harada dagli scalini del portico. Stava seduto scompostamente, quasi sdraiato, massaggiandosi una tempia a palpebre serrate.

   "Ancora, eh?", disse Okita accomodandosi accanto ad Harada nella medesima posizione e allentando leggermente la giacca del keikogi. Io rimasi in piedi dietro di loro, "Ecco...".

   "Che c'è?", chiese Harada, scrutandomi confuso.

   "N-no... E' solo che... Cosa sta succedendo?".

   "Ti riferisci ai secchi?", mi interrogò Okita. Annuii.

   "Lo fanno sempre nelle giornate afose come oggi", iniziò a spiegare Harada, "Shimpaci lancia uno schizzo d'acqua addosso ad Hesuke, Hesuke risponde con una coppa e...".

   "E poi degenerano" lo interruppe Okita, "inzuppandoci inevitabilmente tutti".

   "Ma non è certo questo il problema", continuò Harada.

   "Ah no?", domandai.

   "No", dissentì Okita, "Di questo passo non ci vorrà molto prima che Hijikata-san scopra tutto".

   "Ah che seccatura!", senteziò Hesuke, che era appena arrivato fradicio dalla testa ai piedi, "Ci aspetta una bella predica, tutti riuniti e seduti, sull'importanza di non sprecare l'acqua".

   "Hesuke-kun! Dovresti andare ad asciugarti". Rise.

   "Non preoccuparti, Chizuru".

   "Se sarà solo una predica...".

   "Che vuoi dire, Souji", lo interrogò Nagakura, giungendo anch'egli al portico completamente madito.

   Okita continuò, "Trattandosi di Hijikata-san, si parla di katana, pugni e botte".

   Nagakura scoppiò in una fragorosa risata, "Esagerato! Vorrei proprio vederlo!", indi versò il contenuto della bacinella che teneva ancora tra le dita su Harada, che, con i capelli amarantini appiccicati al viso, scattò in piedi al tocco dello zampillo ghiacciato, serrando i pugni. "Ora basta!", sputò e attaccò Nagakura.

   Okita sospirò: "E' iniziata, Hajime-kun"; riservò un sorrisino balbo a Saito in piedi di fianco a me,  - Sussultai, quand'era arrivato? - prima di dirigersi spavaldo al pozzo al centro del cortile e tornare verso di noi pure lui con un catino. Ci guardò per qualche frazione di secondo, decidendo su chi riversare il suo scherno. Infine beffardo fece la sua scelta: lanciò il liquido addosso a Saito, ma quest'ultimo rimase impassibile alla sfida.

   L'espressione ironica di Okita si dissolse, "Come sei sostenuto, Hajime-kun".

   Saito ridacchiò impercettibile, successivamente mostrò le braccia che teneva dietro la schiena, esponendo una pentola colma, sperai d'acqua, e rovesciò una miscela di riso e pezzi di pesce raffreddati su Okita.

   "Oh, questa volta ti uccido!", dichiarò il nigiri umano con un ghigno, correndo nuovamente al pozzo.

   La battaglia era ufficialmente cominciata.

In men che non si dica, tutti erano integralmente bagnati, tranne me che osservavo divertita la scena, quando...

   "Cosa state facendo?", tuonò il timbro baritonale di Hijikata.

   Tutti si arrestarono all'istante nelle loro pose innaturali, chi con i secchi a mezz'aria, chi chinato per evitare il getto d'acqua.

   "E questi sarebbero i valorosi ufficiali della Shinsengumi...", proseguì sconsolato il vicecomandante, coprendosi metà viso con la mano, "Accidenti! Uomini adulti che sprecano risorse come dei ragazzini. Ma che combinate?".

   "Non essere così severo, Toshi", disse conciliate il comandante alle sue spalle.

   Hijikata si voltò verso di lui, inarcando un sopracciglio, "Cosa dici Kondou-san?".

   Kondou si avvicinò a Hesuke, gli rubò il secchio e colò parte del contenuto sul vicecomandante, per poi poggiargli la bacinella tra le mani. "Dovresti divertirti ogni tanto".

   Hijikata sputacchiò un po' d'acqua, mentre cercava di scostarsi delle ciocche bagnate che gli impedivano la vista.

   I volti dei presenti erano fossilizzati in una maschera di incredulità.

   Non riuscii ad evitare di sghignazzare rumorosamente, smorzando il silenzio che si era creato.

   "Cos'hai da ridere?", mi sgridò Hijikata accompagnato da un'occhiataccia che sembrò trapassarmi. 

   Cominciò ad avvicinarsi. In altre circostanze, avrei trovato le sue movenze, ridotte dagli indumenti zuppi, buffe, ma lui era Hijikata Toshizou, l'uomo terribile come un Oni, non si poteva scherzare, perciò rimasi immobile, pietrificata.

   Era sempre più vicino, eppure non arretrai, non ne avevo il coraggio.

   Mi sembrò una passeggiata lenta, infinita, un'attesa logorante. Temevo la sua punizione più delle minacce di morte di Okita.

   Finalmente arrivò, mi fissò dall'alto al basso con aria sprezzante per essermi azzardata a deriderlo. 

   Mi esaminò per un tempo indecifrabile.

   Poi accadde l'impossibile.   

   Hijikata abbandonò la sua ostilità per mostrarmi un sorriso accomodante. In seguito  una cascata gelida mi piovve contro: Toshizou mi aveva appena innaffiata con ciò che restava all’interno del secchio.

   Nessuno riusciva a credere a ciò a cui avevano appena assistito. 

   Hijikata-san che fa uno scherzo?!, era il pensiero comune.

   Poi il vicecomandante scoppiò a ridere, posandomi una mano sui capelli, "Non fare quella faccetta, pulcino bagnato, e vieni a svagarti un po'".

   In principio nessuno distolse lo sguardo da noi, ancora sorpresi dalla scena, ma l'accenno di Hijikata smosse di nuovo gli animi, "Beh, cos'avete da guardare?".

   Ci fu un gran viavai qual pomeriggio, tra cucina, pozzo e cortile. Venne sparsa acqua da tutte le parti e, ovviamente, la sera dovemmo ripulire ovunque, ma almeno, quel giorno, fu la prima volta che mi rasserenai davvero dopo la scomparsa di mio padre. Mi sentii di nuovo a casa.

   In più mi sembrò di udire il comandante affermare di non aver mai visto così di buon umore Hijikata fino al mio arrivo.

   "Che sia cambiato qualcosa in Toshi?", chiese quasi in un soffio a Sannan, il quale gli rispose con un leggero sorriso eloquente.

 


Termini
Edo: attuale Tokyo.
Keikogi: uniforme da allenamento nelle arti marziali.
Nigiri: pezzi di pesce su polpettine di riso (tipo di sushi).

 

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