Fight.

di Sar_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alfa. ***
Capitolo 2: *** Beauty & a beast. ***
Capitolo 3: *** Chosen. ***
Capitolo 4: *** Demon. ***
Capitolo 5: *** Easy. ***
Capitolo 6: *** Falling. ***
Capitolo 7: *** Good. ***
Capitolo 8: *** Higher. ***
Capitolo 9: *** Innocence. ***
Capitolo 10: *** Jealousy. ***
Capitolo 11: *** Kill. ***
Capitolo 12: *** Love. ***
Capitolo 13: *** Make love. ***
Capitolo 14: *** Not easy at all. ***
Capitolo 15: *** On the edge. ***



Capitolo 1
*** Alfa. ***


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Chapter one: Alpha.


"This is surely not what you thought it would be

I lose myself in a daydream where I stand”

"Questo non è certo questo quello che tu hai pensato sarebbe stato
Mi perdo in un sogno ad occhi aperti dove sono in piedi”

 

Speak Now - Taylor Swift

 


 

 

Il risveglio arrivò dolcemente, accompagnato da uno spiraglio di sole che filtrava dalle finestre.

Sentii i muscoli intorpiditi e doloranti a causa della scomoda posizione in cui mi ero addormentata.

Aprii un occhio.

I popcorn erano lanciati un po' ovunque, a causa della battaglia fatta con i ragazzi del branco. Li avevo invitati la sera prima per vedere un film da me, con l'inevitabile conseguenza di un salotto distrutto. Eravamo troppo stanchi, poi, per ripulire.

Mi stiracchiai e colpii qualcosa con la mano.

Alzai lo sguardo: avevo in pratica tirato un pugno in faccia a Stiles.
 

Oh!
 

Avevo dormito tutta la notte accoccolata su di lui, sul divano.
Ci eravamo addormentati mentre guardavamo la tv, prima che tornasse a casa. Era stato l'ultimo a rimanere, i ragazzi erano andati tutti...

Lo guardai con dolcezza: non si era svegliato. Non bastavano neanche i colpi di cannone a disturbare il suo sonno profondo. La bocca era socchiusa, il braccio destro penzolava (come sempre) giù dal divano, il sinistro era appoggiato sul mio braccio sinistro.

Mi dispiaceva svegliarlo, sembrava un angelo, ma dovevo: era mattina presto, le sei, constatai guardando l'orologio appeso alla parete, e presto i miei genitori si sarebbero svegliati. Avevo promesso che a mezzanotte se ne sarebbero andati tutti, e loro erano andati a dormire. Se fosse rimasta una ragazza sarebbe stato normale, ma Stiles...

Avevo mantenuto con i miei una relazione di silenzio reciproco, dopo la discussione a causa della scoperta fatta il mese prima.

Era stato shockante scoprire che il mio padre naturale era una boccetta di liquido seminale donato da un muta forma probabilmente incredibilmente psicopatico. Dopo quel fatto, avevano cominciato a permettermi di fare più cose. Beh, in realtà, erano completamente disinteressati a qualunque cosa facessi, e me lo lasciavano fare. Non gli avevo comunque raccontato della mia relazione con l'umano: non ero ancora pronta, non sapevo ancora se fossimo realmente una "coppia"... insomma, era la mia prima relazione, e non sapevo bene come funzionasse una storia. Comunque, se mia madre avesse fatto la scoperta non avrebbe detto niente, d'altronde avevamo solo dormito, ma... mio “padre”, invece, sarebbe stato meno gentile, nonostante il litigio e anche il fatto che ci considerasse solo buoni amici.

Mi mossi, passandogli una mano tra i capelli che ormai stavano crescendo.

«Stiles, svegliati. Devi scappare, prima che ti ritrovi un fucile puntato in testa.» sussurrai, sorridente.

Avevo la bocca impastata e una leggera nausea.

Lui si mosse leggermente, biascicando qualcosa.

Mi trascinai un po' più su, arrivando all'altezza del suo viso, e gli stampai un bacio sulla fronte. Poi ripetei la frase accostando le labbra al suo orecchio.
Sbatté le palpebre, confuso, e in pochi secondi si rese conto della situazione.

«Oh-oh» disse, per poi guardarmi e sorridermi.

Soffocai una risata.

Stiles mi rendeva felice. Felice per davvero. Non potevo mai arrabbiarmi con lui, mi metteva sempre di buon umore, e stare con lui era come occuparsi di un cucciolo autosufficiente: era perfettamente in grado di fare tutto da solo, ma coccolarlo era piacevole.

Appoggiai la testa sul suo petto, piegando le gambe e rannicchiandomi su di lui. Mi avvolse con le braccia. Spostai l'orecchio sul punto esatto dove il suo cuore batteva, e lo ascoltai, lasciandomi cullare.

«Allora devo andare o no?» sussurrò, spostando il dito dal mio gomito alla spalla, per poi rifare il tragitto al contrario e ripetere più volte.

Sospirai. Avrei potuto rivederlo dopo poco più di un'ora, essendo sabato, ma la situazione era dannatamente piacevole.

A convincermi ad alzarmi fu il terrore di baciarlo con l'alito mattiniero che avrei potuto ritrovarmi. Mi misi in piedi e mi passai le mani tra i capelli, cercando di sistemarli e girando su me stessa, rimirando la miriade di pop corn sparsi un po' ovunque.

Lui si alzò e si spazzolò i vestiti, lasciandone cadere altri sul tappeto.

«Vuoi che ti aiuti a ripulire?» chiese.

Io scossi la testa, gli baciai la guancia e gli diedi una spinta verso la porta.

«Ti chiamo io, vai a farti una doccia» conclusi.

Lui fece per ribattere, ma io gli avevo già chiuso la porta in faccia.

Rimasi a fissarla per più di un minuto, aspettando di sentire i suoi passi che si allontanavano sul marciapiede e il suono del battito del suo cuore che si affievoliva in lontananza, poi cominciai a correre sul posto per smaltire l'adrenalina, emettendo gridolini idioti di gioia.

Spina mi corse incontro allarmata, girandomi attorno ai piedi.

Andai in cucina saltellando, le riempii la ciotola e l'appoggiai a terra.

La piccola Yorkshire mi trotterellò dietro e cominciò a consumare il lauto pasto voracemente.

«Ti piace Stiles, eh? Sì che ti piace.» sussurrai, facendole dei grattini dietro l'orecchio «Piace a tutti, il mio Stiles. È stato bello, ieri sera. Mi sono divertita. E poi, beh... questo è stato il miglior risveglio della mia vita. Sul serio!» stavo parlando con un cane. Nonostante mi fossi fatta degli amici, non riuscivo decisamente a confidarmici. Così... mi sfogavo parlando con un cane di tre chili.

Mi morsi il labbro, pensierosa, mentre Spina finiva di mangiare e io mi sedevo a gambe incrociate, lasciando che si sedesse in mezzo alle gambe. 
La coccolai, piano con la lieve nausea che si riaffacciava. Probabilmente era un effetto del poco sonno.

«Sai... verrà qua, venerdì prossimo. Sarà l'anniversario di mamma e papà, staranno fuori fino al sabato pomeriggio...» mi sentii avvampare. Era stata Erica, a spingermi a invitarlo. Sarebbe stata una serata come quelle che passavamo a casa sua, sgranocchiando patatine e cibo vegetariano (che lui sopportava per me) solo che... saremmo stati a casa mia, e da soli.

«Oggi pomeriggio è libero dagli allenamenti, andiamo al bowling. Non ci ho mai giocato. Pensavo che la mia coordinazione sarebbe migliorata, ma il cambiamento è stato minimo: forse sono ancora più pericolosa, con una palla da 7 chili in mano. Rimarrò seduta e tiferò per Stiles.» la piccolina mi guardava a occhi sgranati, probabilmente senza capire niente.

«Passeremo tutta la giornata insieme.» finii, gongolante.

«Insieme a chi?» la voce di mia mamma mi fece sobbalzare. Spina abbaiò.

«Sss...cott!»

Scott? SCOTT?S-C-O-T-T?

Mi voltai verso di lei: indossava una vestaglia rosa confetto e un paio di pantofole. I capelli erano scompigliati e lo sguardo curioso.

«Ah, McCall? È proprio un bravo ragazzo! State insieme?» disse, senza mezzi termini.

Cosa potevo rispondere?

Da quando Stiles aveva coperto Scott nella quasi-esplosione del laboratorio di chimica la settimana prima, i miei genitori (membri del consiglio d'istituto) avevano sempre guardato un po' storto il liceale. Certo, alla fine tutto si era risolto senza danni, però quella roba verde appiccicosa era rimasta spalmata sulle pareti del laboratorio per giorni, prima di sciogliersi e colare per terra alimentando la disperazione dei bidelli. Ovviamente non era stata considerata tossica... almeno, non ci era stato detto. E se non le fosse piaciuto? Dovevo aspettare o dirglielo subito? Potevo usarlo come copertura, per uscire senza correre il rischio.
Ma cosa m'importava? Non mi ero mai preoccupata di ciò che loro pensassero di me.
E allora perché non riuscivo a parlare?

«Ehm, no. Usciamo solo... da amici. Con gli altri del branco.»

Poi sbarrai gli occhi. Avevo appena detto "branco"?
Lei annuì, poi mi fece l'occhiolino.

 

«Ah, amici, certo... anche io alla tua età avevo “amici” come lui... e le chiamavamo "bande".» e detto questo uscì dalla stanza, con in mano un bicchiere di latte.

Sbuffai.

«NON STIAMO INSIEME!» esclamai, prima di marciare verso il salotto. Afferrai il nuovo telefono, grande il quasi doppio dell'altro, e digitai il numero di Stiles.

«Emma? Ti manco già?» la voce del ragazzo mi giunse dall'apparecchio che tenevo tra l'orecchio e la spalla, per aver le mani libere di spazzare via i popcorn dal sofà.

«Dolcezza!» lo canzonai con un nomignolo «Ho combinato un casino.»

«Che succede?» chiese lui, allarmato.

Stavo per rispondergli, quando un rumore rimbombò nelle mie orecchie.

Un lungo richiamo, un ruggito stridente e sibilante allo stesso momento. Indescrivibilmente terrorizzante. Il telefono mi sfuggì di mano. In meno di un secondo ero fuori dalla porta.

 

 

 

***

 

 

«Emma! Ti prego!»

 

Sbattei le palpebre. Ero in un bosco... nella riserva di Beacon Hills. Stiles era davanti a me, e mi fissava a occhi sgranati, premuto contro un albero. Aveva la camicia sporca di sangue.

Qualcosa mi prese e mi scagliò lontano. Caddi di schiena, e l'impatto mi svuotò i polmoni. Annaspai tra il fogliame, cercando aria, mentre riordinavo le idee.

Un minuto prima ero sul mio divano a parlare con il mio ragazzo, ora ero nella riserva a difenderlo da un aggressore. Dovevo proteggerlo, chiunque fosse quel bastardo. Mi rivoltai sulla pancia, prendendo dei respiri lunghi, ma venni afferrata per la t-shirt e sollevata in aria. Mi ritrovai faccia a faccia con un Derek piuttosto incazzato.

Era stato lui ad aggredire il mio Stiles?

Notai che avevo già sfoderati zanne e artigli.

Sta diventando tutto più veloce, perfetto, pensai.

Utilizzai tutta la mia rabbia per graffiargli la guancia, affondando nella carne, e il sangue zampillò ovunque. Mi lasciò cadere ringhiando.

«Derek!» urlò Stiles. Ma di lui mi sarei occupata dopo. Feci per correre verso l'umano, ma l' alpha mi prese per le spalle. Reagii d'istinto: tirai una gomitata dietro di me, e colpii il suo ventre. Un rantolo spezzato mi comunicò la riuscita del mio attacco.

Ricominciai a correre verso il ragazzo.

«Stiles!» urlai, e mi scontrai contro di lui, abbracciandolo forte. Notai che non avevo neanche il respiro affannoso. «Ti ha ferito?» c'era sangue sui suoi vestiti, ovvio che era ferito.

Lo presi per le spalle e lo allontanai, squadrandolo varie volte.

«Stai sanguinando tantissimo! Oddio!»

Lui si allontanò, e io lo fissai senza capire.

«Emma?» disse semplicemente.

Mi accorsi solo in quel momento che c'era anche il resto del branco.

«Cosa... cos'è successo?» chiesi, mentre la testa vorticava.

Scott si parò davanti all'amico.

«Sei stata tu, Emma. Tu hai attaccato Stiles.»









I'm back!



*AC/DC in sottofondo*
Beh, eccomi tornata con il sequel di "Fly."! Lo so, il titolo è banale, ma non mi veniva in mente niente di meglio :')
Come avrete visto, ho fatto delle modifiche alla storia: la scrittura è 14 al posto di 15 di grandezza, ho messo un'immagine per la storia (non avete idea di quanto ci abbia messo a trovarla, modificarla e pubblicarla), ho cambiato il rating (hehe, ma comunque non vi preoccupate, sarà per la violenza o al massimo qualche scena particolare, ma niente cose "spinte", non è il mio genere) e la canzone di ogni capitolo è messa sotto una strofa tratta dalla stessa. Mi piaceva di più così *w* (ah, per la cosa delle strofe ringrazio una delle mie autrici preferite, Anto_P, davvero talentuosa, da cui ho preso e modificato a modo mio l'idea).
Insomma, storia nuova, vita nuova!
Ho postato oggi, il primo luglio, perché mi andava lol ma non so quando aggiornerò, probabilmente mi prenderò due settimane per andare avanti con la storia, quindi avete tutto il tempo di rileggere Fly (o leggerla, in caso non l'aveste ancora fatto), recensire e bla bla bla.
Insomma, aspetto i vostri amatissimi pareri! Mi siete mancate/i <3
Un abbraccio,

Sara <3

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Capitolo 2
*** Beauty & a beast. ***


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Chapter two: Beauty & a beast.

 

I never saw it coming, nor did I suspected it
I underestimated just who I was dealing with

Non l’ho mai previsto né sospettato
Ho sottovalutato con chi avevo a che fare


Taylor Swift – Better Than Revenge

 

 

 

«COSA?» esclamai.

Non era possibile. Io non avrei mai fatto del male a nessuno di proposito, e tanto meno a Stiles, il ragazzo che amavo ormai da anni.

«Eri una furia» sussurrò Erica, senza parlare a nessuno in particolare.

Quando mi voltai verso di lei, notai che c'era anche un'altra persona oltre al branco: Allison. Aveva in mano un arco moderno, nero e flessuoso, con una freccia appuntita incoccata. E mirava verso di me.

Alzai le mani, allarmata. C'era sicuramente uno sbaglio.

«Allison? Metti giù quel coso!» esclamai, a occhi sgranati.

Derek si asciugò il sangue dalla guancia, che tra poco avrebbe cominciato a guarire.

«Non ti sai controllare. La luna piena è stanotte, e non sei neanche al massimo delle tue capacità. Dovremo inventarci qualcosa.»

Mi rivolsi a Stiles «sono stata davvero io?» chiesi, mentre già visualizzavo la scena. Come avevo fatto a perdere conoscenza ma allo stesso tempo attaccare il ragazzo che amavo? E perché l'avevo fatto?

Lui annuì.

Scott lo trascinò verso una Camaro parcheggiata sul sentiero, che sembrava terribilmente fuori posto.

«Io lo porto in ospedale per ricucirlo, voi cercate di capire cos'è successo» disse secco, scoccandomi un'occhiata tra il preoccupato e l'arrabbiato.

Derek fece per protestare, ma Erica lo zittì con un gesto «la tua macchina non è la priorità. Abbiamo sentito tutti quel “coso” terrificante, poco fa. È stato quello?» impiegai qualche secondo a capire che la domanda era rivolta a me. I miei occhi erano fissi sulla macchina che si allontanava, e il mio naso era pieno dell'odore del sangue di Stiles mischiato al suo normale profumo.

Erica mi strattonò con forza «Emma!»

La mandai via con un gesto brusco.

«Non lo so! Ditemelo voi!» dissi, massaggiandomi goffamente una spalla. La mia testa vorticava. Non avrei mai potuto perdonarmi, mai.

Derek era visibilmente nervoso.

«Sì, è stato quello. Ne sono certo.» senza fare troppi complimenti, mi prese bruscamente per il braccio e mi trascinò verso quella che avevo imparato a riconoscere come “la vecchia casa Hale”, perché se lui si era stabilito in una casa in città, decisamente più... abitabile.

 

Tutti ci seguirono a ruota. Allison aveva abbassato l'arco, ma la freccia era comunque incoccata. Erica era al mio fianco, dalla parte opposta rispetto a Derek. Boyd e Isaac ci tallonavano. Jackson era l'ultimo, e sembrava faticasse a stargli dietro, come in effetti facevo io. Derek andava troppo veloce, avanzava a grandi falcate, e io continuavo ad inciampare. Soltanto la sua presa ferrea sul mio braccio m'impediva di rotolare per terra. O di andarmene.

«Che vuoi fare?» esclamai, mentre salivamo gli scalini scricchiolanti della casa. Non ottenni risposta.

L'interno della casa puzzava di bruciato, polvere e abbandono.

«Oggi c'è la luna piena. E tu resterai qua.» mi rispose l'alfa finalmente, lasciandomi il braccio attraverso il quale ormai non passava più il sangue.

Sollevai le sopracciglia.

«Ah. Certo, sì... non ci siamo capiti.» risposi, scettica. Gli altri ci accerchiavano.

Derek ringhiò.

«A ogni plenilunio, ogni singola volta negli ultimi tempi devo gestire qualche nuovo cucciolo spericolato. Ora ne ho cinque da controllare. Cinque!» esclamò, con l'aspetto di una casalinga stressata «tu starai qua, e non ti muoverai. Gli altri Argent se ne sono andati, e i Silver non conoscono questo posto. Tanto se non ti sei trasformata prima, probabilmente non lo farai ora. E se lo farai, non andrai da nessuna parte.»

Poi attraversò l'ingresso a grandi passi e si diresse verso un'altra stanza.

«Sei stato tu a trasformarli, genio! Dovevi pensarci prima!» urlai, sapendo che poteva sentirmi benissimo. L'ultima cosa in assoluto che volevo fare quel week-end era stare lì. Quel giorno era tutto dedicato a me e Stiles, dannazione!

Stiles.

Lo stesso Stiles che stava andando in ospedale, per colpa mia.

Sentii di nuovo il senso di colpa che mi assaliva.
Dovevo rimanere lì, per il suo bene.

La mia convinzione venne un po' meno quando Derek tornò con delle lunghissime catene dall'aria pesante e per niente comoda.

Mi sfuggì un gemito strozzato, e qualcuno mi appoggiò la mano sulla spalla. Quando mi voltai, vidi che era stato Isaac. Mi fissò dritto negli occhi.

«Probabilmente non accadrà niente, ma... la prima volta è la peggiore. L'abbiamo passato tutti... non sei sola, almeno.»

Oh, molto rassicurante Lahey. Davvero!

 

 

 

***

 

 

Mi avevano incatenata per bene nella stanza più lontana dalla porta, la cantina. Non c'erano finestre, a parte una piccolissima in alto sul muro, con le sbarre. Non rendeva affatto la situazione più piacevole. Avevo braccia e gambe incatenate in modo che non potessi muovermi o alzarmi. Allison sarebbe restata con me fino alla mattina successiva, con l'arco pronto. Gli altri erano andati in un posto sicuro, dove potersi trasformare senza (si sperava) fare danni. Neir era volato chissà dove, e Isaac (in quanto capace di autocontrollarsi più degli altri) aiutava Derek e Scott a controllare Erica e Boyd. Il dottore e la psicologa/prof di francese erano con loro. Stiles era a casa con suo padre.

Mi avevano lasciato fare un salto a casa per cambiarmi i vestiti, buttando quelli sporchi del sangue di Stiles, farmi una doccia e prepararmi. Indossai il paio di jeans più scadenti che avevo e una felpa grigia semplice, senza stampa. Sopra, una giacca presa a caso. Non volevo rovinare dei vestiti che mi piacessero. Ero sgattaiolata di nuovo fuori lasciando detto che andavo a dormire da Erica.

E ora eccomi lì: in compagnia di una ragazza che non mi stava simpatica e perlopiù pronta a ficcarmi una freccia in testa al primo segnale di pericolo, seduta tra la polvere e senza notizie di Stiles. Tenevo in mano il cellulare (che avevo recuperato a casa), stringendolo con forza. Aspettavo soltanto che squillasse, volevo sapere come stava.

I minuti passavano, e il senso di claustrofobia aumentava. Dopo un po' anche Allison si stancò, e si sedette a gambe incrociate di fronte a me.

«Emma?» la sentii dire, rompendo improvvisamente quel silenzio.

«Allison» le risposi, invitandola a parlare e appoggiando a terra il cellulare.

Lei sembrò esitare, poi parlò «Scott... parla mai di me?»

Strabuzzai gli occhi. Che razza di domanda era? Era stata lei a lasciarlo, semplicemente perché “non riusciva più a gestire la situazione”. Che motivazione del cazzo! Scott si era fatto in quattro per lei, rischiando la pelle numerose volte, passando sopra i suoi scatti di pazzia... e dopo tutto quello che avevano affrontato, lo aveva piantato? Insomma, gestivano da mesi ormai tutto quel casino sui licantropi. Perché lasciarlo proprio in quel momento?

Mi spostai leggermente, mettendomi più comoda possibile, e le catene tintinnarono spiacevolmente. Erano arrugginite, e mi graffiavano i polsi. Ero contenta di essere vaccinata contro il tetano. I mutaforma possono prendere il tetano?

«No. Ma questo... non significa niente. io penso che ti ami, nonostante tutto.» e feci spallucce. Lei mi fissava, visibilmente persa nei suoi ragionamenti. Si stava rigirando la freccia tra le mani, cosa che per me era particolarmente spiacevole, ma per lei era un gesto naturale.

Lei annuì. «Anche io lo amo.» sussurrò, e la sentii chiaramente. «Ma non posso tornare con lui. Quando vi servo io ci sono sempre, siete miei amici, anche se devo mentire a mio padre. Lydia è la mia migliore amica... ed è anche il mio dovere, dopotutto. Difendere la città, come la mia famiglia ha sempre fatto. Ma stargli vicina... succede sempre più spesso, e io non» la sua voce si spezzò.

Per la prima volta, la vidi in modo diverso. Non sembrava più la cacciatrice pazza che vedevo di solito. Era una ragazza a pezzi, abbastanza forte da cacciare licantropi ma non abbastanza per mantenere una relazione con un ragazzo di una “specie” che la famiglia (o almeno i membri rimasti) continuava in precedenza a dirle di eliminare.

Mi sentii in colpa per tutto quello che avevo pensato di lei. In fondo, era umana.

Ops. Parola inappropriata.

Feci per andare ad abbracciarla, ma le catene mi bloccarono, e ricaddi in un tonfo con il sedere a terra colpendo l'osso sacro. Feci una smorfia di dolore.

«Mi dispiace» riuscii solamente a dire. Consolare le persone non era mai stato il mio forte.

Lei si strinse nelle spalle, e il silenzio ripiombò tra di noi. Restammo così per diversi minuti, senza dire o fare niente. Poi, fu di nuovo lei a parlare.

«E Stiles?» chiese, appoggiando il mento sui pugni, china in avanti. Mi salì un groppo alla gola.

«In che senso?» le risposi, tornando a guardarla negli occhi.

Lei fece spallucce «come va la vostra relazione?» sembrava visibilmente interessata. Stavamo legando?

Non facevo praticamente mai una conversazione del genere. La persona con cui avevo la relazione più profonda era Stiles, ma subito dietro di lui c'era Erica. E la nostra era un'amicizia particolare, fatta più che altro di canzonamenti. Ma di sentimenti, non parlavamo mai. Se stavo male me lo tenevo dentro, punto, come avevo sempre fatto.

Non sapevo come rispondere. Come andava? Neanche io ne avevo idea. Cioè, andava tutto bene, fino a quella mattina. Poi tutto era sprofondato di nuovo nel caos.

«Vuoi la verità?» cominciai, appoggiando anche il viso al palmo della mano, quasi imitandola «è un casino.» tagliai corto, e abbozzai un sorriso triste.

Lei ricambiò il sorriso ma non disse niente, incoraggiandomi a continuare. Così lo feci.

«Ho avuto... quanto, tre settimane? Tre settimane di felicità, in tutta la mia vita. Ogni preoccupazione -la scuola, la famiglia- era soppressa, non m'importava più di niente. E ora... salta fuori che sono incontrollabile. Insomma, che vuol dire? È uno scherzo?» allargai le braccia, e le catene tintinnanarono ancora una volta.

Era strano, parlare di queste cose. Soprattutto con lei.

«So che è successo anche a Scott... insomma, anche lui ha quasi ucciso Stiles, ma... era durante la luna piena. E io? Giuda ballerino, la mattina prima!» sbuffai.

E così i minuti passavano: parlammo tanto, scrissi ai miei genitori che avrei passato la notte da un'amica... nessuna delle due parve accorgersi che non stava succedendo niente. Poi, a un certo punto, ebbi la sensazione che qualcuno mi avesse appena dato un pugno nello stomaco. Mi chinai in avanti e sentii un orribile sapore in gola. Sapeva di marcio, polvere e sangue.

«Emma? Che succede?»

Quando aprii la bocca per risponderle, ne uscì un fiotto di sangue. No, non era sangue: era un liquido meno denso e... nero.

«Emma!»

Vomitai quella roba su tutto il pavimento. Era come se il mio stomaco si stesse riducendo a brandelli, seguito da tutti i miei organi interni, riducendosi in poltiglia. Allison cominciò ad armeggiare con le catene, ma io le spostai con un gesto trascinato e impotente le mani.

 

«No» dissi, prima che ne uscisse un altro fiotto. I conati erano così violenti che cominciarono ad uscirmi delle lacrime dagli occhi. Ma quando le vidi gocciolare a terra, realizzai che non erano semplici lacrime. Erano lacrime nere.




Bonjour!


Ho aggiornato un paio di giorni prima, perché avevo voglia di postare. In più non mi aspettavo tutte quelle recensioni, quindi beh, dovevo farlo!
In tante vi eravate chieste come mai Emma avesse aggredito Stiles. Beh, ora lo sapete... più o meno.
Ma tempo al tempo, ogni cosa sarà spiegata,, prima o poi! (Più poi che prima, ma vabè)
Spero stiate passando una bella estate, nonostante il tempo in questi giorni faccia abbastanza schifo!
Ma almeno c'è più fresco, dai. Ecco, ora sto cominciando a parlare del tempo... sono trooooppo noiosa.
Vi lascio, visto che adesso devo anche scappare!
Grazie per aver letto e beh, alla prossima!
Un abbraccio stritolante,

Sara
<3

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Capitolo 3
*** Chosen. ***


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Chapter three: Chosen.


You and I walk a fragile line,
I have known it all this time.

Tu ed io camminiamo su unalinea fragile,
l'ho saputo per tutto questo tempo.


Haunted – Taylor Swift

 

 

 


 

Allison afferrò il suo telefono e cominciò a digitare un numero. «Chiamo Scott, ora lo chiamo...»

Sputai per terra e inspirai profondamente, approfittando della breve tregua che mi era data. «No, Allison. Lui è un licantropo, c'è la luna...» non riuscii a finire la frase che dovetti mettermi di nuovo in ginocchio, con le mani premute sul pavimento freddo, mentre altra schifezza usciva dalla mia bocca, stavolta più lentamente. La differenza era come quando buchi un'arteria e il sangue esce a fiotti, e quando buchi una vena e quello esce lentamente. Era disgustoso allo stesso modo.

Lei sembrò riprendere il controllo di sé stessa, e da Allison la teen-ager diventò Allison la cacciatrice, leader ed autoritaria.

«Derek controlla i licantropi e sono via, e Deaton e la Morrell idem. E quel tipo, Neir... no, anche lui si trasforma, giusto. Stiles è in ospedale. Chi altro...»

Mi fissò.

«Emma, devo portarti da mio padre.»

Sentivo che quel liquido cominciava a scivolarmi fuori dall'orecchio destro.

«Oddio, no...» mormorai, con le braccia che tremavano per lo sforzo di non cadere sulla poltiglia. Avrebbero usato l'elettricità per fermare la "trasformazione"? No, doveva succedere tutto il contrario, altrimenti quello si sarebbe ripetuto...

Dei passi risuonarono al piano di sopra. Terrorizzata, guardai Allison, che ricambiò il mio sguardo e scosse la testa. “Non ho ancora chiamato nessuno”, diceva la sua espressione.

I passi erano lenti, incerti, di una persona umana, come se non sapesse dove cercare. E se era così, non era dei nostri.

Sentii che si avvicinava alla porta della cantina, e cercai di non muovere un muscolo. Combattei fino allo stremo contro quel getto che minacciava di uscirmi dalle labbra, ma ad un certo punto non ce la feci più. Più violento di tutti gli altri, mi uscì senza controllo, seguito dal tintinnio delle catene provocato dal mio movimento convulso e dal rumore di Allison che si slanciava per afferrarmi. Poi mi lasciò andare e ricaddi nella poltiglia nera. Mi mossi per vedere perché lei mi aveva lasciata, e la vidi in piedi davanti a me, voltandomi le spalle, con una freccia incoccata nell'arco. Non vedevo contro chi stesse mirando.

«Vattene» minacciò, a denti stretti.

Tossii forte.

«Sono qui per aiutare» rispose la figura. Riconobbi all'istante la sua voce: Irima.

Afferrai la caviglia della ragazza, ma lei fraintese il mio gesto. Pensò che l'avevo fatto per darle un segnale: “Tira, adesso!”

Alzai lo sguardo appena in tempo per vedere la mano lasciar andare la freccia, e quella fendere l'aria veloce oltre il mio campo visivo. Ci furono alcuni secondi di terrore in cui temetti che l'avesse colpito. Poi vidi la sua espressione sbalordita e mi misi faticosamente a sedere, tossendo.

Irima aveva la mano protesa verso di noi, con la quale aveva afferrato la freccia. Dimenticavo i suoi... qualunque cosa avesse.

«Emma, se vuoi che mi avvicini fammi un cenno.»

Allison si voltò verso di me a occhi sgranati. Io annuii freneticamente, e lui si avvicinò a me a passo veloce.

«Hai un aspetto orribile, uccellino» disse, mettendosi in ginocchio accanto a me e appoggiando la mia testa sulle sue gambe obbligandomi a mettermi su un fianco.

Feci una smorfia che doveva assomigliare a un sorriso.

«Così le fai male» protestò Allison.

«Altrimenti annegherà nel dubh. Direi che è meglio scomoda che morta, cosa dici?» rispose lui con voce piatta. Mi scostò i capelli dal viso, con fare quasi paterno, quindi appoggiò due dita sulla mia fronte.

Sentii le budella contorcersi, e non percepii più neanche quello strano dolore. Però, cominciai a rigettare ancora un po' di quel coso orribile.

Allison distolse lo sguardo, e non la biasimai: doveva essere uno spettacolo disgustoso.

«Respinge la trasformazione?» chiese.

«No, penso sia dovuto al “morso”. La trasformazione sarebbe avvenuta ugualmente, e il processo è stato... rovinato. Ma ci vorrebbe un esperto, e io non m'intendo di questo.»

Il tempo sembrò andare a rilento, mentre affondavo le unghie (o meglio, gli artigli) nei suoi jeans sporchi di quello che aveva chiamato “dubh”.

«Lascialo andare, Emma, su» a mi diede delle piccole pacche leggere sulla schiena. All'improvviso, mi fermai.

Dalla piccola finestra con le sbarre sulla parete filtrarono dei raggi di luna che colpirono il pavimento accanto a me. Mi misi a sedere e guardai la pietra sotto di me, ormai completamente ricoperta di quella schifezza. Irima mi porse un fazzolettino nero. Me lo passai su tutto il viso, e dopo poco capii perché la scelta del colore: non avrei visto tutto ciò che avevo sulla faccia. Delicato da parte sua.

«Ecco. Molto meglio, vero?» non risposi. Mi scostai da lui e mi misi in piedi, poi sputai per terra con una smorfia.

«No, Irima!» risposi, con voce ferma. Ero furiosa. «Ti ho cercato per settimane. Tu non c'eri. Io avevo bisogno di te e tu non c'eri!» man mano che andavo avanti, il mio tono di voce si alzava «Dov'eri finito?» ormai urlavo. Sentivo la gola ancora tutta sporca di quel dubh, ma non m'importava. Ero debole, troppo per i miei gusti, ma allo stesso tempo incredibilmente forte grazie all'adrenalina. Volevo solo sfogarmi su di lui, sfogare tutta la rabbia repressa per tutti gli appelli in cui l'avevo pregato di venirmi in aiuto, e lui non si era mai fatto vivo.

«Emma, non arrabbiarti...»

«Vai a farti fottere, okay?»

«Emma, le catene.»

Dopo un attimo di smarrimento, realizzai che ero in piedi. E le catene? Giacevano a terra, spezzate dai miei stessi artigli. Non mi ero neanche resa conto di averlo fatto.

Un attimo dopo, un dolore lancinante mi costrinse a piegare la schiena. Prima comprendeva tutta la superficie dalla schiena, poi si restrinse alle scapole.

«Ah! Finalmente!» esclamò Irima, afferrandomi un braccio e tenendomi salda. Allison finalmente si riprese, e mi tenne l'altro.

«Che succede?» chiesi. Cercavo di liberarmi per tastarmi la schiena il più possibile, ma loro mi tenevano le braccia ferme.

Un suono squarciò l'aria e fece tremare le pareti. Era lo stesso che avevo sentito prima... prima di attaccare Stiles. Lanciai un'occhiata terrorizzata ad entrambi, e capirono subito la mia angoscia. Sapevo dove si trovava, sapevo e non avrei esitato. Vidi Allison lasciarmi e incoccare una freccia nell'arco, lo sguardo fermo e determinato. Irima non mi lasciava.

Poi non riuscii più a tenere su il muro, e la bestia prese il controllo.

 

 

 

 

***

 

 

 

Dalle sue labbra uscivano le zanne più affilate che Allison avesse mai visto. L'uomo che lei aveva chiamato Irima non la lasciava un secondo, tenendole stretto un braccio. Le pupille divennero più grandi, quasi a riempire l'intero occhio, e le unghie si allungarono fino a diventare lunghi artigli ricurvi. La trasformazione stava per completarsi.

Ma lei era preparata.

Ignorando il senso di colpa, le scagliò una freccia nella coscia. Emma urlò, anche se non si poteva definire proprio un urlo, e scagliò Irima dall'altra parte della stanza. Lui non si lasciò prendere di sorpresa: in qualche modo atterrò in piedi, poi sfrecciò verso la porta e la tenne aperta per la cacciatrice. Corse anche lei, e in pochi secondi erano entrambi appoggiati alla porta, con Emma (o qualunque cosa fosse) che spingeva da dentro.

«Piacere, Irima» disse, puntellandosi con i piedi.

«Allison.»

«Ora te la lascio per un minuto, ok? Non cedere.»

Non le lasciò neanche il tempo di protestare, e corse verso le scale polverose e malridotte della villa per poi scomparire al piano di sopra.

Emma, o quello che di lei rimaneva, se ne accorse.
La ragazza sentì un colpo fortissimo dall'altra parte che, nonostante indossasse la faretra sulla schiena, le fece schizzare in avanti la testa. Poi più niente. 

Respirava affannosamente, fissando l'arco appoggiato ai suoi piedi. Si abbassò strisciando contro la porta, e lo sfiorò con i polpastrelli. Immediatamente ripristinò il suo coraggio, e l'afferrò appena in tempo per sentire un secondo colpo, più forte del primo che scardinava la porta e la scagliava con essa contro il muro. L'impatto le svuotò i polmoni e scorticò la parte destra della faccia.

Allison sentiva il respiro di Emma dietro di sè, sulla porta. Si rimise in piedi e incoccò una freccia nell'arco, nonostante la vista appannata e il sangue caldo che colava dalla pelle. La mise a fuoco vide che inclinava la testa verso destra, con un sorriso orribile. Scagliò la freccia, che le si conficcò dritta nel collo. Poi se ne pentì subito.
Per rallentare e catturare si colpiscono piedi, gambe, braccia. Per eliminare gli organi interni busto, collo, testa.

Il sangue cominciò a fuoriuscire, ma lentamente. Era sangue vero, non quella poltiglia nera come la pece.

«Eh.» buttò fuori l'aria che aveva trattenuto, poi incoccò un'altra freccia «scusa.»

Lei però si lanciò all'improvviso verso la ragazza, che la schivò per un pelo. Intanto, mostro-Emma si catapultava fuori.

Irima comparve dalle scale con una lunga corda sfilacciata in mano. Ne fece un cappio e lo lanciò con un movimento fluido del braccio. Quello mancò la testa di Emma per un pelo, e lei s'inoltrò tra gli alberi.

I due la rincorsero, mentre Allison scagliava frecce a ripetizione, finché una la colpì alla schiena. Cadde e si contorse per toglierla, ma quando realizzò di non poterlo fare si rialzò e ricominciò a correre. Loro però si erano già avvicinati abbastanza perché la cacciatrice potesse mirare ad entrambe le gambe, e farla rotolare nel fogliame. Scagliò altre due volte, per sicurezza.

Irima allargò il cappio e fece in modo da avvolgerle la vita con quella corda, che sembrò bruciarle la pelle al contatto con la ferita alla schiena, esposta da un squarcio che attraversava gli indumenti. Lei urlò di nuovo.

«Cuccia, Emma.»

Allison si leccò le labbra e raccolse i capelli in una coda, osservandola mentre si dimenava a terra come un animale braccato.

«Di cos'è fatta quella corda?» chiese, mettendo le mani sui fianchi e prendendo fiato. Non si preoccupava della faccia sanguinante o del corpo tutto dolorante, si sarebbe fatta medicare dopo, dal dottor Deaton. Così sarebbe stata sicura che il padre non lo venisse a sapere. In teoria, dovevano aver chiuso con i licantropi. Glielo aveva promesso, e lui aveva fatto lo stesso.

«Aconito strozzalupo.» rispose, avvolgendola come un salame e poi caricandosela in spalla.

«Ma non funzionava solo sui licantropi?» chiese, incuriosita. Lo diceva anche il nome, no?

«Evidentemente no. Funziona su tutti e tre i tipi di mutaforma. Più che altro, speravo che funzionasse.» rispose, marciando nuovamente verso casa Hale.






Good morning!


Eccomi tornata, puntuale :)
Allora, giuro che questo è l'ultimo capitolo in cui succedono cose così disgustose (lol) quindi tranquille, hahaha!
Allora, Emma si è quasi trasformata. Ma manca qualcosa, no?
Le ali, acciboccino! E cosa ci vuole per fargliele spuntare? Delle pinze? Nah, ma si vedrà.
Anche se non c'entra niente con la fan fictions, voglio farvi vedere una fantastica gif che ho trovato su tumblr.
Preannuncio che mi ha fatto venire la scintilla per scrivere una storia diversa dal solito... ma è ancora tutto da vedere ;)
Intanto, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, anche se non mi convince tanto :(
Un abbraccio,
Sara <3


(ecco la gif:)



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Capitolo 4
*** Demon. ***


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Chapter four: Demon.

 

I want to hide the truth, I want to shelter you
But with the beast inside there's nowhere we can hide.

 

Voglio nascondere la verità, voglio proteggerti
Ma con la bestia dentro me non c'è posto per nascondersi.

 

Demons – Imagine Dragons

 

 

 

Ripresi i sensi mentre la corda ancora mi bruciava la pelle, ma non ci feci granché caso. Ero troppo impegnata a contare le frecce che mi spuntavano dal corpo.
Una, due, tre...

«Emma?»

Quattro, cinque.

«Emma!»

Sbattei le palpebre e alzai gli occhi. Allison era china su di me, i capelli raccolti in una coda. La luce fioca del mattino entrava dalla finestrella con le sbarre.

«Cosa ti ricordi?»

Ecco il punto. Ricordavo tutto.

Quando avevo attaccato Stiles avevo rimosso tutto, e invece stavolta ricordavo dal primo all'ultimo secondo. Compreso il dolore alle scapole.
In quel momento, realizzai di essere andata vicinissima allo spuntare delle ali, tanto da sfiorarle appena (metaforicamente), ma non era successo.
Frustrata, lasciai che Allison mi slegasse. Appena fui libera dalla corda, la pelle cominciò a rimarginarsi. Entrambe guardammo il processo meravigliate per un paio di minuti, mentre le bruciature e le piaghe diventavano rosee, poi si ricoprivano di pelle sana e infine ogni traccia scompariva.

«Beh, questo era figo!» esclamai.

Allison annuì e afferrò una freccia, strappandola senza troppi complimenti.
Fece molto più male del previsto.

«La tua guarigione è talmente rapida che non ha espulso le punte. Le ha inglobate nella carne. Quindi dobbiamo riaprire le ferite per toglierle.» Irima era comparso sulla porta della cantina, scendendo velocemente le scalette. Lanciai uno sguardo alla finestrella con le sbarre in alto alla parete e mi resi conto che era l'alba.

«Riaprirle?» proprio in quel momento, Allison si voltò a guadare la luce dell'alba che filtrava dalla finestra e vidi che la parte sinistra del suo viso era grattugiata come un pezzo di formaggio. L'avevo lanciata contro il muro, giusto. «Scusa.» mormorai.

Lei fece spallucce «mi è successo di peggio.»

Irima mi prese il braccio e mi fece girare a pancia in giù. Allison prese l'asta della freccia nella gamba sinistra e la fece dondolare avanti e indietro, riaprendo la ferita che cominciò a sanguinare.

Ricacciai un urlo in gola. Aveva il diritto di prendersi una vendetta per averle grattugiato la faccia.

Dopo aver fatto allargare la ferita abbastanza, con uno strattone secco me la tolse dalla gamba. Mi cacciai il pugno in bocca, mordendolo per non dire niente.

Continuarono così anche con le altre frecce, finché non fui ancora più stremata di prima e sanguinante. Irima spiegò che al contrario delle bruciature delle corde le ferite delle frecce erano più profonde, quindi ci avrebbero messo circa un'ora per guarire completamente, cicatrici comprese. Anche se non capivo per niente la meccanica della guarigione, annuii.

I jeans erano distrutti e sporchi di sangue, la felpa stracciata e ricoperta di uno strato curioso di terra e polvere. La giacca era stata gettata in un angolo.

Il cellulare era ancora a terra, ricoperto della sporcizia nera che si era orribilmente solidificata, diventando come uno strato di asfalto. La grattai via con un artiglio dal display e composi due messaggi: nel primo, dicevo a mia madre che mi ero divertita un sacco “stando a dormire da Erica”. Nel secondo, dicevo a Scott che avevo bisogno di stare in privato con lui.

 

 

 

 

***

 

 

Seduta sul letto di Scott a gambe incrociate, lo osservavo mentre chiudeva la porta della sua camera e mi raggiungeva sedendomisi accanto, il busto inclinato in avanti e le mani unite. Era appena tornato da Stiles.

«Di cos'hai bisogno?» chiese, visibilmente incuriosito.

Sparsi un po' ovunque nella stanza c'erano vestiti e, cosa che mi stupì, libri. Si stava davvero impegnando in quell'anno scolastico.

Mi schiarii la voce. «Hem, ecco... sai che mi sono quasi trasformata, no?» c'erano due cose che volevo chiedergli, e la seconda m'imbarazzava da morire.

Annuì, spronandomi ad andare avanti.

 

«La tua... Ancora è Allison. Come hai fatto a trovarla, a capire che era lei? O l'hai deciso tu?» dovevo trovare un'Ancora, altrimenti avrei potuto far del male a qualcuno. Non ci potevano sempre essere una cacciatrice esperta con il gene nel sangue e uno stregone a fermarmi, e da quanto avevo visto le mie doti si raddoppiavano durante la luna piena. Tutte tranne la velocità, anche se non mi spiegavo perché.

Abbozzò un sorriso. Probabilmente stava ricordando come stava quando era l'unico teen-ager licantropo della città, e doveva affrontare tutto questo da solo... quanto era cambiato?

«L'Ancora è un modo per rimanere attaccati al lato umano abbastanza da provare ancora le emozioni umane. Compassione, rimorso, rabbia... amore.» ne parlava come se fosse la cosa più naturale del mondo, e mi resi conto che pensava ad Allison anche in quel momento. L'amava davvero.
E io, sarei mai stata capace di provare un'amore così? O riceverne? Quello che provavo per Stiles era vero amore o una semplice cotta adolescenziale?

La voce di Scott mi riportò alla realtà.

«Emma?» sorrise, divertito da quel mio momento di distrazione. Io annuii per farlo andare avanti.

«Non la scegli, semplicemente capisci che è un motivo per cui devi stare umano.» concluse.

Credevo di aver capito, a quel punto.

«Quindi... dovrei averlo già capito, giusto? Dopo la mia prima luna piena, intendo...» le parole incespicavano l'una sull'altra. Se non avevo ancora trovato l'Ancora, non l'avrei mai trovata?

Lui fece spallucce «non lo so, Erica ci ha messo più lune per trovarla. Derek ci ha dovuto lavorare parecchio. Forse dovresti chiedere il suo aiuto, ne saprà di sicuro più di me...»

Sospirai. Chiedere aiuto a Derek? Sapevo che sarebbe stato particolarmente spiacevole, ma sembrava l'unica via d'uscita. Irima, Deaton e i cacciatori potevano saperne quanto volevano, ma solo un licantropo avrebbe saputo aiutarmi.
Un alfa.

Intanto, però, avevo un'altra cosa da chiedergli.

«Scott?»

«Che altro c'è?» il tono non era scocciato, ma curioso.

Dovevo parlarne con qualcuno, prima o poi. E beh, da quello che avevo capito, Scott era quello più... indicato.

«Quando tu...» mi fermai, poi ripresi «quando tu ed Allison... insomma... il lupo...»

Giuda ballerino. Era più difficile di quanto pensassi.

Scott aggrottò la fronte. Non capiva. Certe volte avrei solo voluto che fosse più perspicace...

«Quando andavi a letto con qualcuna, ti trasformavi?» lo dissi tutto d'un fiato.

E Scott scoppiò a ridere.

«Era questo che volevi chiedermi?» sembrava quasi sollevato, ed era decisamente meno imbarazzato di me. Volevo solo scavare una buca, sotterrarmici e scomparire fino alla vecchiaia.

Si schiarì la gola, accorgendosi che per me era una cosa seria, ma mi stava rendendo tutto ancora più imbarazzante. Sembra con il sorriso sulle labbra, parlò.

«Sì, ma no. È per quello che... di solito... non succede molto spesso. Bisogna avere molto autocontrollo, ecco.»

Nella mia testa, pensavo solo “Bene, ora sa che penso di andare a letto con il suo migliore amico. Grande Emma!”

 

 

 

***

 

 

Giocherellavo con il cellulare che avevo in mano mentre aspettavo che qualcuno mi aprisse. Certo, sarebbe stato più d'impatto saltare dentro una finestra, ma probabilmente mi sarei strappata i jeans, e comunque non sarebbe stato molto educato. Non mangiavo niente dalla mattina prima, e il mio stomaco gorgogliava furiosamente, ma cercai di non farci caso.

Dopo pochi secondi, la porta si aprì e la testa di Isaac fece capolino dall'interno.
Mi ero dimenticata che anche lui vivesse lì, e mi tornarono in mente anche le occasionali visite di Peter. Lui sì che era inquietante.

«Emma!» esclamò sorridente, prima di assumere un'espressione preoccupata «perché sei qui? È successo ancora qualcosa?»

Abbozzai un sorriso e scossi la testa «no, no, tranquillo. Avevo solo bisogno di scambiare quattro chiacchiere con Derek. È qua?»

Isaac alzò un sopracciglio.

«Derek? Davvero? Non sei venuta qua solo per godere della mia personalità?» e sorrise, quel suo sorriso dolce che ti fa venire voglia di sommergerlo di coccole, soprattutto sapendo ciò che aveva passato.

Emma? Coccole, DAVVERO? Non è il momento.

Sapevo che Isaac voleva solo fare il simpaticone, quindi mi limitai ad alzare gli occhi al cielo e farmi strada da sola nella casa. In realtà non avevo idea di dove andare a cercarlo, quindi seguii semplicemente l'odore dell'alfa. Lo trovai in una sala ampia e ben illuminata, con un grande tavolo al centro che dava le spalle a una parte di finestre. Isaac mi tallonava, come per assicurarsi che non ci sbranassimo a vicenda visti i nostri precedenti... “poco piacevoli”.

Esibì il suo solito cipiglio, ma non mi cacciò a pedate.
Era già un buon inizio.

«Vengo in pace» cominciai, ficcandomi le mani nelle tasche posteriori dei jeans.

«Cosa ti serve? Ti senti in colpa per aver attaccato Allison?» chiese, incrociando le braccia. Teneva le gambe leggermente divaricate, e avevo imparato che era un segno di possessione sul terreno e desiderio di supremazia.

Alfa, appunto.

Mi morsi l'interno della guancia, indecisa. Se avessi pronunciato quelle parole, gli avrei fornito una enorme soddisfazione. Ma avevo altra scelta?

«Mi serve il tuo aiuto. Per trovare l'Ancora.» dissi il tutto velocemente, poi incrociai le braccia, imitandolo. Sapevo benissimo che l'effetto su di me era quasi ridicolo, visto che con l'aspetto umano intimidivo meno di un criceto, ma alzai comunque il mento e divaricai anch'io le gambe.

L'espressione sul suo viso mutò completamente. I lineamenti si distesero e, miracolo dei miracoli: sorrise. Un sorrisetto soddisfatto e pieno di grande aspettativa, come prima di una festa che si prospetta molto divertente. Non c'era traccia di cattiveria, fortunatamente.

«Ah, bene! Isaac, vai pure a farti un giro... e trascina fuori anche le chiappe Peter, non m'importa come.» e fece un cenno con la testa indicandomi di avvicinarmi.

Isaac esitò.

«Sicuro di non aver bisogno di aiuto?» e mi lanciò un'occhiata un po' allarmata.

Sembrava che pensasse che l'aiuto sarebbe servito a me. Ma non m'importava di quello che sarebbe successo nelle ore successive, volevo solo trovare quell'Ancora, anche a costo di un po' di ossa rotte e qualche umiliazione.

Più o meno.

«Vai pure, Isaac. Ah, se hai voglia, faresti un salto da Stiles? Penso che ci sia anche Scott, vorrà compagnia.» e gli sorrisi, rassicurante.

Lui fece spallucce e si allontanò. Probabilmente aveva davvero bisogno di prendersi una pausa. Mi girai e feci per parlare, ma Derek mi zittì con un cenno della mano.

Dopo pochi secondi, sentii uno spostamento d'aria, e quando mi girai Peter era proprio davanti a me. Sobbalzai spaventata, e subito dopo ringhiai.

«Cuccia» disse lui, squadrandomi da capo a piedi «Derek, questa non è venuta tanto bene, ora che ci penso.»

Ringhiai ancora, allontanandomi di un passo. «Parla per te, psicopatico!»

Derek rispose con un tono diverso, teso «lei non ha un alfa, Peter. Te ne sei dimenticato? Non è stata trasformata con il morso.»

Peter storse il naso «ah, giusto. Sei una specie di... omega nata. Un caso curioso, forse unico.» sorrise, esponendo le zanne «ti servirebbe una strigliata, però.»

Isaac irruppe nella stanza e prese Peter per il colletto della giacca, strattonandolo indietro. Fu a dir poco esilarante.

Peter gli afferrò il braccio e gli diede una spinta, allontanandolo.

«Fallo di nuovo e te lo stacco, quel braccio. A morsi.» esordì, con tono suadente.

Nonostante tutto, lui e il nipote erano molto simili.

Poi entrambi infilarono la porta.



Hey there!


Sto scrivendo questo angolo autrice a un pigiama party, sono le due di notte e ci annoiamo. Lol. (sono con Commy, una sterek shipper che continua a fangirlare  a caso. Aiuto!) 
n.d. Commy: NON E' A CASO! Sì, certo. Certo
Aiuto, again. Tra poco la obbligherò a leggere il capitolo in cambio alla pubblicità che continua a chiedermi... ok, iniziamo.
VENGHINO SIGNORI VENGHINO! COMMY SCRIVE FAN FICTIONS STEREK (E L'HO ISTRUITA NELLA SCRITTURA QUINDI NON PUO' NEANCHE FAR TANTO SCHIFO), VENGHINOOO!
Ok, penso sia abbastanza LOL 
Eeeeh. Allora, che dire... questo capitolo è un po' sconnesso, con tanti salti, ma non avevo altri modi per farlo. E non posso scrivere dettagli altrimenti questa scema qua in parte capisce tutto, sob. Vabè, spero vi sia piaciuto (soprattutto la parte con Scott, lollino) 
Bene, questo angolo autrice sta diventando chilometrico, quindi meglio che mi fermi... ci sentiamo mercoledì prossimo! klsfkdsfjkdsl
Un bacio,
Sara <3
P.S. Guardate quest'immagine: non è Neir in tutto e per tutto? A volte mi amo.

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Capitolo 5
*** Easy. ***


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Chapter five: Easy.



Walking backwards, I'm gonna try and let the shadows fall.
They'll fall further than all the shadows ever fell before.

 

Camminando all'indietro, proverò a lasciar cadere le ombre.
Cadranno più veloci di come le ombre siano mai cadute prima.

 

Apple Horse - Filthy Halls

 

 

 


Cinque.

Quando dicevo che non m'importava di quante ossa mi fossi rotta nel cercare la mia ancora, non intendevo letteralmente.

Eravamo arrivato a cinque in una decina di minuti. Ci stava andando molto piano. Sapevo che i miei occhi si stavano trasformando, che stavo entrando in “modalità bestia”, ma non sapevo come controllarlo. Attorno a me era legata la corda di strozzalupo, larga, in modo che appena mi muovessi mi bruciasse la pelle. Se stavo ferma, arrivavo a sfiorarla appena.

«Perché dovresti restare umana?» chiese Derek, ad alta voce, seduto a cavalcioni su una sedia davanti a me, le braccia muscolose appoggiate sopra lo schienale e il mento sopra di esse. Le mani erano coperte da dei guanti per lavare i piatti, che lo coprivano fino ai gomiti. Così, non avrebbe rischiato di bruciarsi con la corda. Mi osservava con attenzione, completamente rilassato, come se non stessi reprimendo un mostro che, più di qualsiasi altra cosa, in quel momento voleva staccargli la testa.

«Tu sbagli. Vedi il lupo... cioè, la tua parte da mutaforma...»

«Jahaterbang» lo corressi, a denti stretti. E me ne sorpresi subito. Come diavolo facevo a saperlo? Che lingua era? Non sarei sicuramente riuscita a pronunciarlo di nuovo.

Lui aggrottò le sopracciglia ma non disse niente.

«Ok, tu lo vedi come un'entità separata. Invece sei tu, è una parte di te, siete fusi. È un'arma a doppio taglio, sì, ma devi imparare a tenerla per il manico senza ferirti. Devi capirlo da sola.»

Grazie per il consiglio, boss.

Passai a rassegna per la quattordicesima volta tutti i motivi che avevo elencato.
Numero uno: uccidere le persone non è bello. Per niente. Meglio non sperimentare.
Numero due: Stiles è una persona. E Stiles non si tocca. La Emma-bestia lo vuole uccidere.
Numero tre...

Derek mi storse il polso fino a spezzarlo. Urlai di dolore e mi dimenai, cercando di fargli mollare la presa, ma questo mi bruciò ancora di più la pelle.

Non aveva mai fatto così male, accidenti.

«Smettila!» esclamai, ma lui continuò a girare. La fronte era aggrottata, lo intravedevo tra i lampi di luce che mi annebbiavano lo sguardo.

«L'Ancora, Emma.» rispose lui, con voce calmissima.

Le mie unghie si allungarono fino a diventare artigli.
E all'improvviso, capii.

Stavo facendo il percorso al contrario. Non dovevo pensare ai lati negativi di trasformarmi, no, ma ai lati positivi del non farlo.

Avrei potuto aiutare i miei amici senza essere d'intralcio per loro, integrandomi perfettamente e senza causare danni. Stiles non sarebbe solo stato al sicuro, ma avremmo potuto stare insieme. Insieme insieme. Senza problemi di... autocontrollo. Sì, faceva un po' twilight.

E quello, solo quello, bastò.

E capii qual'era la mia Ancora: la mia famiglia. Stiles, Neir, Scott, Erica, Isaac e Boyd. E perché no, anche Allison, che mi aveva aiutata il giorno della trasformazione insieme ad Irima. E magari anche lui. Derek, anche, che mi aveva fatto da padre più lui in poche settimane che quello “legale” in tutta la mia vita.

Era quel legame, strano e invisibile, che ci univa tutti.

Sentii che la presa si allentava. Aprii gli occhi, e vidi Derek mentre scioglieva la corda che mi avvolgeva.

«Complimenti, Emma.» la buttò a terra, poi mi fermò prima che potessi catapultarmi fuori dalla stanza per andare da Stiles.

Mi voltai, e la sua espressione quasi mi spaventò.

«Non dirlo a nessuno. Né a Stiles, né a Erica, né a chiunque. Neanche a me. Capisci? La tua Ancora può essere anche la tua più grande debolezza. E tu non puoi rischiare.»

Annuii. Se solo avesse saputo...
La consapevolezza mi colpì all'improvviso. Avrei dato la mia vita per la mia famiglia, e la cosa non mi turbava più di tanto. Quello che lo faceva, anzi, mi terrorizzava, era che una volta conosciuta la mia Ancora, una volta saputo che quello che mi legava a loro non era semplice amore ma una vera e propria gabbia per quello che c'era dentro di me, sarebbe stato ancora più facile arrivare a controllarmi. Facendogli del male.

E io non avrei potuto difendere né loro né me stessa.

 

 

 

***

 

 

Nel tardo pomeriggio andai a casa di Stiles, le bruciature completamente rimarginate. Avevo fatto una doccia, messo un po' di trucco e un paio di jeans puliti, con la mia felpa preferita. Nera, con un paio di ali bianche disegnate sulla schiena. Negli ultimi anni non ero cresciuta molto, quindi ce l'avevo da tempo. E anche dopo la trasformazione l'avevo tenuta, nonostante le ali disegnate mi ricordassero costantemente ciò che ero diventata.
Infine, avevo ficcato il cellulare in tasca. Durante il “processo di vestizione”, avevo mangiato un paio di mele senza neanche accorgermene. Avevo bisogno di mangiare cibo vero, ma non volevo sprecare altro tempo. Il cibo poteva aspettare.

Bussai alla porta e lo sceriffo la aprì, il viso pallido e la divisa ancora indosso. Mi salì un groppo in gola.

Sei stata tu, Emma. Non ti senti in colpa? Stanno tutti male per colpa tua. Non ti senti un mostro? Dovresti, sai.

Scacciai quei terribili pensieri dalla mia mente e lasciai che mi guidasse fino alla camera di Stiles, anche se conoscevo perfettamente ogni angolo della casa. La porta era aperta, così decisi di restare sulla soglia e aspettare che si accorgessero di me.

Stiles era steso sotto le coperte -letteralmente, ne era seppellito- e il viso era pallido, ma sembrava stare bene. Scott era seduto sul bordo del letto, e
sorrideva. Chiacchieravano tranquillamente, come due normali migliori amici.
Solo che di normale non avevano proprio niente.
Isaac ridacchiava, appoggiato al muro, dopo chissà quale battuta.

Mi dispiaceva interromperli, ma mi schiarii la gola per annunciarmi. La testa di Stiles scattò verso di me, e sorrise. Il mio stomaco cominciò a fare il trenino con il fegato e la milza, mentre il cuore sembrava voler risalirmi in gola, uscirmi dalla bocca e prendere un aereo per l'Inghilterra.

«Hey» dissi, avvicinandomi al letto.

«Hey!» rispose lui. Sembrava essersi completamente dimenticato di quello che gli avevo fatto.

Fece per mettersi seduto, ma Scott glielo impedì tenendogli un braccio con delicatezza. Sembrava star bene, sì, però era meglio che non si muovesse.
Stiles sbuffò e mi fece segno di sedermi accanto a lui, battendo la mano sul materasso. Mi sedetti a gambe incrociate sulla coperta, attenta a non fargli male. Avevo paura anche solo di sfiorarlo.

«Derek ti ha distrutta? Farete un'altra sessione?» chiese Isaac, una ruga di curiosità sulla fronte.

Scossi la testa, tesa. Non volevo dare altre preoccupazioni a Stiles.
Peccato che avesse sentito benissimo.

Scattò sollevandosi sui gomiti, in viso la sua solita espressione curiosa di quando qualcuno dice qualcosa di troppo.

«Derek? Distrutta? Sessione?»

Scott alzò gli occhi al cielo, io gli rivolsi un sorriso «mi ha aiutato a trovare la mia Ancora. Ora è tutto a posto, spero, non farò più...» mi dovetti fermare, perché non volevo lasciare che la mia voce si incrinasse.

Stiles aggrottò la fronte e aprì le braccia, facendomi segno di abbracciarlo. Senza curarmi di Isaac e Scott, mi lanciai in avanti e mi accoccolai accanto a lui.

Casa.

«Possiamo sapere qual'è?» chiese Scott. Era curioso, ovviamente. Stavo per dirglielo, ma poi mi bloccai.

Non dirlo a nessuno. Né a Stiles, né a Erica, né a chiunque.”

Feci spallucce «nope. Ordini di Derek, mi dispiace.»

Isaac si staccò dal muro e si avvicinò al letto con un sorrisetto che non prometteva niente di buono «ma non è il tuo alpha, quindi in teoria potresti dircelo, vero?»

Roteai gli occhi.

«Isaac. Ti voglio bene, ma non provarci nemmeno. Non posso, punto.»

Lui sbuffò.

Stiles fece scorrere le dita lungo il mio braccio, leggero, e sentii i brividi anche se il suo tocco mi arrivava attraverso la felpa.

Isaac tossicchiò e cominciò a camminare verso la porta.

«Scott? Hai fame?»

Lui fece spallucce «no, grazie.»

Ricevette in risposta un'occhiataccia da parte dei suoi occhi azzurro ghiaccio.

Il moro scattò in piedi e ci guardò. Io non riuscii a trattenere una risata quando Stiles mi avvolse con le braccia e gli lanciò un'occhiata maliziosa «vorremmo un po' di privacy, se non ti dispiace!»

Scott rise e seguì Isaac fuori dalla stanza, avendo la premura di chiudere la porta alle sue spalle.

Sentivo il suo sguardo addosso, quindi girai il viso verso di lui.
Anche dopo quasi un mese, quella vicinanza mi uccideva. Era rivolto verso il lato della stanza della finestra, quindi la luce addolciva ancora di più i suoi lineamenti. I raggi del sole si scontravano sui suoi occhi, trasformando il colore dal marrone nocciola al miele dorato.
Strinsi le labbra e deglutii. Non mi sentivo più le gambe, e fortunatamente non ero in piedi. Sentivo il cuore battermi nel petto come un tamburo.

«Non puoi dirlo neanche a me?» chiese sottovoce, facendo sfiorare le punte dei nostri nasi. Eravamo così vicini...

«No.»

Rise lievemente e tornò a sdraiarsi, facendo però subito dopo una smorfia tirata. Nonostante avesse cercato di nasconderla, l'avevo notata benissimo. La coperta si era spostata, e vidi che indossava una maglia del pigiama chiusa con dei bottoni. Sotto, intravedevo qualcosa di bianco.

Sollevai la schiena e slacciai un bottone, allarmata. Stiles mi prese il polso destro per fermarmi, ma era troppo tardi: avevo già visto le garze che gli fasciavano tutto il petto. Spostai la coperta con un gesto fulmineo, liberandomi il polso.

«Emma...»

Lo ignorai e sollevai leggermente il lembo finale della maglia. Come pensavo: le fasciature continuavano fino alla vita. Mi portai una mano alla bocca.
Non credevo che i danni fossero così estesi, e così importanti da doverli coprire con strati di fasce. Per tutto il busto, dannazione!

«Sono lì solo per non far riaprire le ferite... ma non sono profonde!» si ricoprì frettolosamente «Sto bene, davvero! Non è niente!»

«Stiles...» mi mancavano le parole. Il senso di colpa e l'angoscia mi artigliarono le viscere.

Come potevo essere felice per aver trovato l'Ancora, se Stiles l'avevo già ferito? Che diavolo di risultato era “L'ho ferito, ma almeno non lo ucciderò... probabilmente!”?

Mi prese un braccio e mi tirò verso di lui.

Non volevo toccarlo, neanche sfiorarlo. Mi sembrava che ogni volta che mi avvicinassi a lui potesse succedergli qualcosa di brutto. Di mano mia.

Tenevo lo sguardo fisso sulla coperta, opponendomi alla forza con cui mi tirava verso di lui. Eppure il suo tocco era delicato, e una vocina dentro di me urlava che non me lo meritavo.

Mi spostai più indietro, sfuggendo dalle sue mani, e mi sedetti proprio sulla fine del letto.

Non osavo alzare gli occhi, avevo paura che sarei dovuta scappare via. Da lui e dal senso di colpa che mi provocava.

«Emma?»

Controllati. Così lo fai stare solo peggio. Controllati, glielo devi!

«Emma.» insistette, e mi costrinsi ad alzare lo sguardo. Quello che vidi mi fece inorridire.

Era seduto, e mi fissava negli occhi. La maglia era ricoperta di sangue, completamente, una macchia che si allargava velocemente. Tossì, e altro sangue schizzò sul letto. Ordinavo ai miei muscoli di muoversi, volevo urlare, chiamare aiuto, ma non riuscivo a muovermi. Lo fissavo e basta, gli occhi sbarrati.

Vidi le sue labbra formulare delle parole, ma non sentivo niente. L'unico rumore che mi arrivava alle orecchie era il suo cuore che batteva, e pompava il sangue in tutto il corpo, che usciva e macchiava il letto, il pavimento... troppo sangue, troppo...

Sei stata tu, non ricordi? L'hai appena attaccato, mentre ti abbracciava. Gli hai tagliato la gola, vedi?

Spostai lo sguardo verso la gola. Sì, era vero. Era squarciata. Come avevo fatto a non vederlo prima? E perché non me lo ricordavo?

«EMMA!»

Era Stiles. Ma no, Stiles era lì, e stava morendo... dovevo aiutarlo! Perché non mi muovevo?

«EMMA!»

Isaac? Ma era di sotto, come facevo a sentirlo?

No, sono usciti, giusto? Sono fuori, tutti, sei da sola e non lo stai aiutando. Sta morendo, e tu lo stai a guardare...

No, ero sicura che loro fossero dentro casa. E lo sceriffo non avrebbe mai lasciato solo Stiles a casa in queste condizioni, mai. Non si sarebbe allontanato, neanche se la casa fosse stata piena di paramedici.

Non erano miei quei pensieri. Non ero io, non ero mai stata io.

Emma, non può entrare se non glielo lasci fare. Fallo uscire!

Era Irima, ne ero certa.
La mia testa sembrava una grande piazza piena di gente, in cui ognuno faceva ciò che voleva.

Ma come faceva a sapere cosa stava succedendo? Era sempre nella mia testa? Perché non me l'aveva detto?
E perché Stiles continuava a sanguinare? Non poteva avere tutto quel sangue!

«EMMA!»

La vista mi si annebbiò. Sbattei gli occhi, e mi ritrovai davanti Isaac con il pugno ancora chiuso, a pochi centimetri dalla mia faccia.

Ero rintanata in un angolo della stanza. Stiles era seduto a letto, e accanto a lui Scott gli teneva una spalla. Entrambi ci fissavano stupiti, ma quella più sconvolta ero io. Dov'era il sangue? Stiles stava benissimo.

Era stata tutta un'allucinazione.

Isaac aprì la mano piegando il pollice e me la sventolò davanti alla faccia.

«Quante dita sono queste?»

Piegai la testa di lato «Ventisette?»

Isaac sospirò e rilassò la mano. Mi aveva appena tirato un pugno? Beh, aveva funzionato.

«Quattro. Ma c'eri quasi.»






Wof c:

Hey there! Ok, eccomi tornata con un nuovo capitolo! 
Sono appena andata a prendere i miei occhiali da vista nuovi, KSDJSKFKSJFDSKJ sono bellissimi! E sono di buon umore, quindi non vi romperò con un angolo dell'autrice chilometrico *w*
Allora, Emma sta andando sempre più fuori di testa. Non è colpa sua però, giuro! (è colpa mia e di un personaggio in particolare *ahem*)
Chi sta seguendo la terza stagione di teen wolf? E' PAZZESCO. AVETE VISTO QUELLA NUOVA? AAAAAAAAH! *rotola senza controllo sbavando come un rottweiler ed espellendo fumo dalle orecchie peggio di una ciminiera*
Non faccio spoiler per principio, perché so che molte di voi aspetteranno la terza stagione in italiano (accidenti a voi, ammiro il vostro autocontrollo!)
Bene, avevo promesso che non sarebbe stato chilometrico ma lo è. Fuck.
Vi lascio con una gif senza senzo ma cucciolosa!
Un bacione,
Sara <3



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Capitolo 6
*** Falling. ***


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Chapter six: Falling.



Bring out the worst in the others 
The bad in each other 

Portano il peggio negli altri,

il male l'uno nell'altra.

  The bad in each other - Feist

 



 

 

«E da quanto vanno avanti queste allucinazioni?»

Stiles era furioso. Gli avevo raccontato tutte le terribili allucinazioni, sogni e visioni che avevo avuto. Ne ricordavo ogni minimo dettaglio, erano impresse a fuoco nella mia memoria. Ovviamente, avevo rimosso le parti in cui c'era lui.

«Un po'.» risposi, facendo spallucce.

«Quanto è “un po'”?»

Sospirai. «Dalla sera a casa tua, penso. Sì.»

Scott fissava fuori dalla finestra, in attesa che arrivasse qualcuno degli altri. Chiunque. Il più presto possibile. Isaac camminava avanti e indietro nella stanza. Stiles, ovviamente, era ancora costretto a letto.
E dalla sua espressione sembrava parecchio incazzato.

«Due settimane? Vanno avanti da due settimane e non mi... non ci hai detto niente?»

Sapevo a che sera si riferisse. Due settimane prima, ero andata a casa sua (come molto spesso, ultimamente) a mangiare una pizza e guardare un film, e avevamo cominciato a parlare dei nostri progetti per il futuro. La situazione si era fatta pesante quando mi ero accorta che, guardando solo un anno avanti, vedevo una spessa patina grigia. Invece lui prima aveva parlato di college, divertimento, viaggi. Ma io non potevo permettermelo. E non nel senso economico. Così, avevamo lasciato perdere, ma ci era rimasto l'amaro in bocca per tutta la serata.

«No, non proprio» mi schiarii la voce. Avrebbe dato di matto ancora di più, ma era il momento di dire la verità. «dalla prima sera a casa tua. Ad halloween.»

Spalancò gli occhi e socchiuse la bocca. Era sconvolto.

«La prima...» sollevò le braccia, poi le lasciò ricadere sul materasso «ragazzi, sono l'unico a cogliere la gravità della situazione? Mancate di brio o cosa?»

Scott rispose senza staccare gli occhi dalla strada «sì, potevi avvertirci. Ma adesso abbiamo problemi più urgenti.»

Sì, gli avevo raccontato anche quel piccolo, trascurabile commento riguardo la schifezza nera che avevo vomitato da tutta la mia faccia. Stiles aveva dato di matto anche per quello, anche perché lo sapevano praticamente tutti tranne lui.

Isaac fermò all'improvviso il suo andarivieni, con una scintilla negli occhi. «Ci sono.»

Alzai un sopracciglio. «E hai intenzione di farci aspettare ancora o...»

Il ragazzo assunse un'espressione seria ma palesemente orgogliosa della sua intuizione, qualunque essa fosse.

«Abbiamo detto che tu sei una mutaforma per nascita, giusto? Quindi non serviva il morso (o il veleno di licantropo) per “attivarti”, ma qualcos'altro. E se il veleno avesse solo interferito nella trasformazione, facendoti uscire quella cosa nera, il dubh, e per riparare le cose dovessimo farti succedere quell'altra cosa?»

Rimanemmo tutti in silenzio per qualche secondo.

«Sì, Irima aveva detto qualcosa del genere!»

Poi mi alzai in piedi e lo abbracciai, forte. «Isaac Lahey, io credo di amarti.»

Sentii un gemito di protesta dall'altra parte della stanza «Emma!»

Isaac rise seguito a ruota da me, e quando feci per staccarmi mi tenne stretta. Odiavo quando i ragazzi si punzecchiavano a vicenda, soprattutto quando una metà era di mutaforma con super poteri e l'altra metà umani.

«Tranquillo Stiles, te la prendo in prestito solo giusto un paio di minuti...»

Fece scivolare una gamba sotto le mie in modo da farmi cadere, ma mi stava ancora abbracciando, quindi fortunatamente non caddi. Approfittò però dell'avermi presa alla sprovvista per prendermi in braccio, ammiccando poi a Stiles.

Stavo per intervenire (dopotutto ero anche io dotata dei cosiddetti super poteri da mutaforma, quindi mi sarei potuta benissimo liberare da sola) quando sentii chiaramente Stiles con la “voce da ordine”. Quella che utilizzava per imporsi, insomma.

«Isaac, togli le tue manacce dalla mia ragazza o giuro che ti scuoio vivo. Poi vendo la tua pelliccia per beneficenza.»

La mia ragazza”. Ah, che belle parole!

Isaac mi lasciò andare con un falso borbottio di protesta, e in un secondo ero inginocchiata accanto al letto di Stiles, per posargli un bacio sulla guancia.

«Amo quando fai il geloso.»

Riuscii a strappargli un sorriso, e questo bastò a farmi andare di nuovo nel pallone. E anche la pelle morbida della sua guancia. E il suo profumo, mischiato al profumo del suo shampoo e del detersivo al limone con cui erano state lavate le lenzuola. Maledetto olfatto super sensibile.

Scott spalancò la finestra, e Neir saltò nella stanza. Le ali erano ritirate, quindi doveva aver scavalcato, il che non è una grande mossa in pieno giorno. Indossava dei jeans scuri e una maglia bianca, aderente. Come diavolo faceva a non congelare? In più, sapevo che sulla schiena aveva due tagli nella maglia, lunghi e precisi, paralleli alle due cicatrici bianche che aveva sulla pelle quando le ali erano ritirate. Anche lui si era fatto prendere dalla mania dei capelli lunghi, così gli arrivavano quasi al mento. Questo lo faceva assomigliare ancora di più agli angeli dei dipinti nelle chiese. Solo più... moderno.

«Neir! Non anche tu! Usa quella maledetta porta o giuro che ti spenno!» esclamò Stiles. Tutti lo ignorammo.

Mi alzai in piedi, e cominciai a raccontargli tutto, per la seconda (no, terza) volta in due giorni.

«Sì, concordo con Isaac. Ma per le allucinazioni?»

Sapevano che Irima era in grado di entrare nella mia testa. Ma non lo avrebbe mai fatto, e riconoscevo la sua “impronta mentale”.

«E se fosse il tuo alpha?» esordì Stiles, con un tono lugubre.

Ci voltammo tutti a guardarlo.

«Non ho un alpha, Stiles.»

Lui alzò lo sguardo, più serio che mai. La tensione nella stanza si sarebbe potuta tagliare con un coltello.

«Il veleno con cui sei stata trasformata, Emma. Non sappiamo di chi era. Magari il passaggio consiste in quello.»

Il ragionamento filava. Gerard aveva infilato la siringa, ma il veleno di mutaforma... era quello, che contava.

«È possibile?» chiese Isaac, rivolto a nessuno in particolare.

Neir annuì «penso di sì, ma non ne ho mai sentito prima. Si è sempre usato il morso.» spostò lo sguardo color del cielo da Stiles a me «Devi trasformarti.»

 

 

 

 

***

 

 

La riserva era silenziosa. Il tappeto di foglie aranciate che ricopriva il terreno attutiva ogni passo, sia mio che di Neir, producendo suoni ovattati. Il vento frusciava tra i rami degli alberi ancora secchi, complice il freddo di gennaio. Avevo freddo. Il biondo, invece, con la sua semplice maglietta di cotone, sembrava completamente a suo agio. Le mie mani erano rosse, le labbra screpolate, e sentivo la pelle d'oca sotto le maniche della felpa.

«Sappi che non rovinerò questi vestiti per un'altra stupida e inefficace sessione di allenamento. Non hanno mai funzionato e mai lo faranno.»

Neir m'ignorò completamente. Camminavamo da mezz'ora, e l'orologio nel mio cellulare diceva che erano le sei di sera. Il sole tra un'ora avrebbe cominciato a calare.

Ci trovammo davanti a un ruscello, che tagliava in due il bosco. Storsi la bocca, alzando lo sguardo verso Neir. Lui si voltò e mi sorrise. Socchiuse gli occhi e mosse le spalle in movimenti circolari, come sciogliendo i muscoli. Vidi degli strani movimenti sulla sua schiena, sotto la maglia. L'unica volta in cui gli avevo visto aprire le ali era durante un allenamento, ma era stato veloce e l'avevo visto solo di sfuggita. Tutte le altre volte, o ero distratta o semplicemente non ero presente. Quella volta, invece, ero a due metri da lui, ed ero sollevata del fatto che tenesse ancora la maglietta.

Non fu raccapricciante come mi aspettavo. Attraverso i tagli nella maglietta, intravidi le punte screziate di marrone che facevano capolino dalle sue scapole. Neir fece una smorfia quasi impercettibile. Sembravano molto delicate. Ebbi la tentazione di distogliere lo sguardo, perché sapevo che quel processo era qualcosa di... intimo, in un certo senso. Non era come una semplice trasformazione, era la crescita di una parte di sé. Le ali uscirono, e le espose in tutta la loro imponenza. Il suo viso durante la trasformazione era stato quasi... in abbandono, con le palpebre socchiuse e i muscoli rilassati, il collo leggermente piegato. Adesso, però, aveva chiuso le mani a pugno, facendo tendere i muscoli, gli occhi erano aperti e la postura perfetta. Le sue pupille nere occupavano quasi tutto l'occhio, tranne uno spazio giallo di mezzo centimetro attorno ad esse.

In pochi secondi, ritirò gli artigli e i suoi occhi tornarono normali. Le ali, però, erano ancora lì.

Capii che il mio mentore non doveva essere Irima, né Derek o Scott, ma Neir. Era ovvio, ma non ci ero arrivata.

«Fa male?» chiesi, a mezza voce. Ero affascinata, enormemente, ma anche un po' spaventata.

Lui fece spallucce «Sarò sincero: la prima volta sì.» Si avvicinò, tenendo le ali alte in modo che non strisciassero contro il terreno. Vicino al fiume gli alberi si erano un po' diradati, per fare spazio al corso d'acqua, quindi si poteva muovere con tranquillità. Dopo, però, avrebbe dovuto ritirarle. Ma io non volevo: erano troppo belle. Sentii l'impulso di accarezzarle, ma mi sembrava veramente inopportuno. Chissà cosa voleva dire nel linguaggio corporale degli uccelli? “Mi piaci un -becco”? No, meglio di no.

Con mia sorpresa, mi prese per le spalle e mi girò in modo che gli rivolgessi la schiena.

Scese con le mani fino a sfiorarmi le scapole, e un brivido violento mi scosse la schiena. Era il punto.

«In questo punto esatto» cominciò «si aprono degli squarci» passò le dita avanti e indietro, lievemente, sul profilo delle ossa «le ali escono e strappano qualsiasi cosa tu stia indossando, quindi dovrai trovare un modo per coprirti.» le sue mani scivolarono lungo la mia schiena, e con mia grande sorpresa risalirono. Sotto la felpa.

Sfiorò le scapole, questa volta a contatto con la pelle, e mi accorsi che quelle incrociavano il gancio del reggiseno. Quindi, le ali mi avrebbero davvero strappato via davvero tutti i vestiti sulla parte superiore del corpo.

Carino da parte sua farmelo notare... così avrei evitato una terribile conseguenza, tipo rimanere mezza nuda davanti a un branco di licantropi zeppi di ormoni e il mio ragazzo. E noi due avevamo deciso di andarci piano, quindi... non era il massimo.

«Il dolore è quello che proveresti se le ferite fossero provocate da un coltello. Devono aprirsi. Poi si formeranno delle cicatrici che di chiuderanno e si riapriranno a comando, e farà sempre meno male. Come lo spezzarsi delle ossa per i licantropi.»

Un campanello mi risuonò in testa.

Che diavolo stava facendo Neir? Perché non sembrava esattamente una dimostrazione innocente. E perché glielo stavo lasciando fare? Se Stiles avesse fatto una cosa del genere, io sarei letteralmente esplosa.

Sembrò leggermi nel pensiero, perché ritirò le mani e si allontanò, avviandosi verso il fiume. Mi aggiustai la felpa, sentendomi terribilmente colpevole per chissà quale motivo, mentre fissavo l'acqua e le mie scarpe di tela. Come avremmo oltrepassato il ruscello?

Le possenti ali di Neir si mossero appena, e il suo corpo venne sbalzato sull'altra sponda. Restai a bocca aperta.
La potenza di quelle estensioni era incredibile, eppure sembravano così fragili...

Ma io non le avevo. Quindi, come diavolo l'avrei attraversato?

«Neir. Io non ho le ali.»

Lui mostrò un sorriso sghembo piuttosto soddisfatto «ma davvero? Non l'avevo notato.» si ravvivò i capelli e fece un cenno con la testa «necessità elementare. Senza le ali ti bagnerai, e non lo vuoi. Quindi, ti devono spuntare le ali.»

Facile a dirsi.
Cercai di concentrarmi, di riprodurre quello strano formicolio e dolore alle scapole che avevo sentito più di una volta.

Ma niente.

Sospirai, e lui incrociò le braccia «va bene, va bene. Ci lavoreremo su.»

Si voltò e cominciò a camminare.
E io ero ancora sull'altra sponda.

«Neir! Io non ho ancora le ali!»

«Ma hai i piedi, Emma!»






Warm bodies.



Ciao a tutti! Il titolo di questo angolo autrice deriva dalla mia passione per gli omonimi film e libro (se avete ascoltato la canzone, avrete notato che fa parte della colonna sonora!)
Comunque, parliamo del capitolo: è uno dei miei preferiti. Davvero, mi piace da matti la parte della riserva... e sto gongolando. La mia modestia dov'è finita?
OH, eccola.
No, seriamente, di solito sono sempre insoddisfatta dei miei lavori, mi sembra sempre che ci sia qualcosa che non va... ma la riserva mi piace davvero come ambiente, mis timola la creatività.
Lo so, ho postato un giorno in ritardo... scusatemi! E' che sono talmente presa da Merlin che non capisco più niente cwc
(Avete visto la 3x10 di teen wolf? WOW. STILES. WOW. *inserire spoiler qui*)
Vi chiedo gentilmente, se avete qualche minuto libero (è agosto, dai *occhi dolci*) di lasciare una recensioncina, anche piiiiccolina, per dirmi cosa ne pensate... vi sarei mooolto grata, dolcezze <3
Vi mando un abbraccio!
Sara <3
P.S. Anche se non interessa a nessuno... ho usato l'hennè, e ora sono rossa di capelli! *w*

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Capitolo 7
*** Good. ***


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Chapter seven: Good.

 


You... you would always see the signs, the echos in my head they rhyme.
I felt they never went home at all, tomorrow is another day.

 

Tu... tu dovresti sempre vedere i segni, le voci nella mai testa rimano.
Mi sento come se non fossi mai andata a casa prima, domani è un altro giorno.

 

 

Shell suite – Chad Valley

 

 

 

 


Scivolavo ogni tre per due sulle foglie inumidite dall'acqua che gocciolava dalle mie scarpe. I jeans erano bagnati fino a metà polpaccio, e sentivo ancora più freddo di prima.

«Dove stiamo andando?» chiesi, frustrata più che mai.

Le mani erano graffiate dalla corteccia degli alberi a cui mi aggrappavo per non cadere a terra, visto che Neir non era affatto d'aiuto.

«Hey, gentleman! Ti ho fatto una domanda!»

Faticavo a stargli dietro. Nonostante la trasformazione mi aveva aiutata in forza e resistenza, la velocità corrispondeva ancora a quella umana. Probabilmente dipendeva dal fatto che non mi fossero ancora spuntate le ali.

Una radice “spuntò improvvisamente” davanti al mio piede destro proprio mentre lo sollevavo, e non ebbi neanche il tempo di aggrapparmi a qualcosa che stavo già rotolando in discesa, con le foglie che mi si appiccicavano ovunque e le ossa che scricchiolavano.

Quando mi fermai, tossii e grugnii la mia frustrazione.

Giuda ballerino!

«Io ti odio, pennuto!» esclamai, ancora con il sedere a terra, puntandogli contro il dito.

Sembrava che l'intera riserva si stesse ribellando contro la mia presenza.

«Siamo arrivati!» mi rispose lui, allargando le braccia.

Ero cascata in una specie di radura, un cerchio con un diametro di una ventina di metri che affondava letteralmente nel terreno, come se un gigantesco pollice avesse premuto sulla terra fino a deformarla.

«Qua sotto c'è una miniera, chiusa anni fa per crollo. Il terreno è letteralmente sprofondato, ma la vita quassù è continuata. L'erba è ricresciuta, ma gli alberi si sono tenuti lontani, e menomale! È il posto perfetto per volare senza essere visti: è quasi al centro della riserva ed è perfettamente nascosto.»

Ero affascinata. Forse quella serie di capriole ne era valsa la pena.

Mi alzai, spolverandomi i vestiti con le mani e togliendomi le foglie dai capelli.

«Allora, qual'è il tuo piano?» chiesi, curiosa.

Lui mi fece segno di seguirlo e s'incamminò fino al centro della radura. Del fermento tra le fronde degli alberi al confine con essa mi avvertì che non eravamo soli. Grazie alla vista speciale riuscii a riconoscere un intero gruppo di scoiattoli che correva da un ramo all'altro ad una velocità stupefacente, spaventata da noi due. E non potevo biasimarli: perfino io ero terrorizzata da me stessa.

Lo raggiunsi al centro dello spiazzo erboso, guardando verso l'alto. Il cielo si stava tingendo di arancione e rosa, alcune nuvolette si spostavano sopra le nostre teste grazie a un venticello che alla nostra altezza non arrivava, schermato dagli alberi.

Sentii un fruscio alla mia destra, e quando mi voltai Neir aveva già spalancato le ali.

«Sentilo dentro di te. Il richiamo del cielo, quell'istinto naturale ad alzarti in volo verso l'alto, planare nel tramonto, sfiorare le nuvole e giocare con gli uccelli...»

Neir parlava con voce sognante. Chiusi gli occhi e, con mia sorpresa, sentii una brezza calda sul viso, che mi sciolse le membra e fermò i brividi che mi scuotevano. Era fantastico. Chissà come sarebbe stato volare, per davvero...

Aprii un occhio per controllare se mi fosse successo qualcosa, nonostante Neir mi avesse descritto la trasformazione completa come dolorosa. Infatti, non c'era traccia di piume da nessuna parte.

«Vuoi volare?» chiese il ragazzo, lo sguardo allegro puntato verso l'alto.

«Certo. Ma come...» non ebbi tempo di finire la frase, che mi ritrovai circondata dalle braccia di Neir. Un fruscio, un pesante spostamento d'aria ed fummo sbalzati verso l'alto.

Non potei farne a meno: urlai. Neir scoppiò a ridere, mentre ci sollevavamo di più. Cinque, dieci, venti, trenta metri, nel gelo di gennaio. Urlai ancora, ma di gioia. Sentivo una strana forma di adrenalina scorrermi nelle vene, mentre guardavo Beacon Hills dall'alto. La vista era spettacolare. Il tramonto rendeva il volo ancora più magico, nonostante il freddo.

Avevo la schiena premuta contro il petto di Neir, quindi avevo una visione abbastanza ampia della città che scorreva lentamente sotto di me. Non so come, ma sapevo che si stava trattenendo, e quelle ali potevano andare molto più veloci e molto più in alto.

Le volevo dannatamente tanto.

Ne sentivo il bisogno, ogni cellula del mio corpo le bramava. Cominciai a sentire un pizzicorio doloroso su tutta la superficie della schiena, che poi si concentrò nell'area ristretta attorno alle scapole.

Neir virò verso destra, e facemmo una larga curva nell'aria, fendendola con un fischio. Un uccello ci vide e fece subito inversione, fuggendo a gambe levate. Cioè, zampe.

Tornammo in pochi minuti sopra la radura, ma senza planare.

«Non scendiamo?» urlai, per farmi sentire sopra il fischio del vento.

In tutta risposta, ricevetti un «tu sì!» mentre le sue mani scivolavano via dal mio corpo e mi lasciavano cadere giù, nel vuoto.

L'aria mi riempiva la gola, impedendomi di urlare. Sbattei inutilmente gambe e braccia nel tentativo di rallentare la mia caduta, senza successo. Il mio stomaco era ribaltato. Era un volo di quaranta metri, minimo. E tra trenta mi sarei sfracellata a terra.

Non riuscivo a respirare, e gli occhi erano spalancati.

Sto per morire. Morirò.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Dicono che negli attimi prima di morire ti passi tutta la vita davanti. Per me, non fu così. Vidi le cose più importanti: Stiles.

Lo vidi alle elementari, mentre giocava a palla con un bimbo di nome Scott. Lo vidi al ballo, quando ancora non mi conosceva, mentre io ero lì con un gruppo di amiche e lui gironzolava per la pista, per poi rubare a Lydia quel ballo che mi avrebbe spezzato il cuore. Lo vidi mentre mi baciava per la prima volta, mentre si svegliava, mentre mi diceva che gli piacevo davvero.

Poi vidi la baita in montagna dove andavo con i miei genitori da piccola, durante tutte le vacanze di Natale, in un villaggio dove vivevano i miei nonni. Facevo pupazzi di neve grandi il doppio di me, sprofondando fino alle ginocchia, imbaccuccata il più possibile per proteggermi dal freddo. Era lì che avevo visto un'alce per la prima volta, dove mi ero rotta il primo osso e dove avevo visto per la prima volta un cadavere: quello di mio nonno. Da quel giorno, non avevo più visto la baita.

Alla fine, vidi il viso di un uomo sulla trentina. Aveva dei profondi occhi blu e una zazzera disordinata di capelli castani. Aveva un sorriso bellissimo, abbagliante.

Accadde tutto in qualche frazione di secondo, in flash che mi si stampavano nelle cornee.

Poi, ero a cinque metri dal terreno.
Chiusi gli occhi, aspettando l'impatto.

Che non arrivò.

Un dolore atroce mi squarciò la schiena, aprendo la pelle e la carne, dall'interno. Se avessi potuto, avrei gridato.
Poi venni sbalzata in aria, come se avessi aperto un paracadute. Ero però abbastanza sicura di non averne uno, quando Neir mi aveva lasciata nel vuoto.

Spalancai gli occhi. Il rimbalzo mi slanciò in aria di un paio di metri, proprio quando ero vicina allo sfiorare il terreno. Poi ricaddi giù, di faccia.

Non riuscivo a muovermi. Per lo shock, per l'impatto che comunque era di un volo spanciato di due dannatissimi metri, per la confusione.

«Emma? Oh mio Dio! Emma! Ce l'hai fatta! Lo sapevo, ne ero sicuro! Il tuo corpo non poteva lasciarti morire, dovevano uscire!» esclamò Neir, atterrandomi accanto. Sbattei gli occhi per scacciare la nebbia fitta che m'impediva di metterlo a fuoco.

Sentivo l'erba che mi solleticava la pancia, e qualcosa di pesante che mi schiacciava verso il basso.
Il mio cervello si fermò.

Mi solleticava la pancia?

Come aveva detto Neir, la mia felpa preferita era scomparsa. Al suo posto, un brandello di tessuto era impigliato... sopra un'ala.

Spalancai la bocca e sgranai gli occhi.

Erano ali. Le mie ali.
Ed erano bellissime.

Erano nere, come la pece. Come dei buchi neri, sembravano assorbire la luce e risucchiarla. Feci scorrere lo sguardo sull'ala sinistra, fino alle punte, e mi accorsi che non erano tutte nere. Dopo la metà, sfumavano per qualche spanna in tonalità sempre più chiare di grigio, e poi fino alla fine erano di un bianco ottico accecante, che la luce, al contrario dell'inizio, sembrava rifletterla.

«Wow» riuscii solamente a dire. Poi, mi ricordai che ero mezza nuda. Fortunatamente ero caduta di pancia, così non solo le mie grazie erano al sicuro da sguardi indiscreti, ma le ali non si erano danneggiate.

«Neir. Trovami una maglia. Ora.»

Il suo sorriso si spense e tornò sulla Terra.

«Oh! Certo. Senti, prima devi ritirarle, però. Altrimenti non ti entrano, sai... nella maglia, anche se...» e tossicchiò.

Tornai a rimirarle, e pensai che non avevo assolutamente voglia di ritirarle. Erano bellissime, e ci avevo messo una marea di tempo per farle uscire...

Mi convinsi a ritirarle. Non potevo restare così per sempre, e avrei potuto spalancarle di nuovo appena trovata una maglia e averci fatto dei tagli.

Cominciai a pensare a quelle appendici piumate come parte integrante del mio corpo, come un braccio o una gamba. Non dovevo pensare a come tendere ogni muscolo o tessuto per muoverle, dovevo solo... beh, muoverle. Con la stessa facilità con cui cammini, afferri le cose, respiri.

Così, quelle si mossero. Contemporaneamente, si alzarono e si abbassarono, in un unico movimento fluido. Poi, successe. Le vidi, bellissime, mentre si ritiravano, raggomitolandosi su se stesse, piegandosi, rimpicciolendosi, in uno spettacolo descrivibile con una sola parola: magico.

Pochi secondi dopo, la mia schiena era nuda e libera. A ricordarmi del passaggio delle mie splendide ali, solo due lunghe cicatrici bianche come il latte, che risplendevano sulla mia pelle già pallida.

Girai ancora il viso, e mi ritrovai le scarpe di Neir davanti.

«Tieni. È mia, ne ho sempre qua una di scorta, in caso... succeda qualcosa. Meglio che cominci anche tu, non ne ho centinaia» e lasciò cadere accanto a me una maglia nera a maniche corte, poi incrociò le braccia, in attesa.

Alzai un sopracciglio.

«Ti dispiace?»

Aggrottò la fronte, poi la distese, sbatté gli occhi e si voltò velocemente.

«Scusa.»

Mi alzai, dandogli comunque le spalle, e m'infilai velocemente la maglietta. Era troppo larga, e troppo leggera. Avevo le braccia ricoperte dalla pelle d'oca, e i brividi mi scuotevano. In più, i due tagli sulla schiena erano proporzionati per lui, quindi erano più larghi del dovuto. Era come indossare un pezzo di ghiaccio colorato.

«Sto gelando!» esclamai, voltandomi. Lui fece lo stesso, poi mi venne incontro a braccia aperte.

«Beh, ci scalderemo a vicenda, dai...» con il suo solito sorriso sghembo sulle labbra. Gli volevo bene, ma quando cominciava a fare lo scemo mi faceva saltare i nervi.

Così, lo colpii.

Gli tirai un pugno dritto in faccia sulla parte sinistra, che gli fece scattare il viso di lato.

«Ahia! Emma, ma che...»

«Questo era per avermi lasciata cadere nel vuoto facendomi pensare che sarei morta.»

Si stava ancora massaggiando la guancia sinistra, quando gli tirai un pugno nello stomaco.

Cadde in ginocchio per la sorpresa, per poi rialzarsi subito. Dovevo ancora fare pratica, lui sapeva incassare troppo bene. Troppi addominali.

«E QUESTO COS'ERA?» urlò esasperato, con un'espressione accigliata.

«Ti avevo detto che quella era la mia felpa preferita.»

Sì, cominciavo a prenderci gusto.



Wings!


Finalmente, le ali! Era da un po' che questi poveri ragazzi cercavano di fargliele spuntare, e ora finalmente (anche se con metodi... poco ortodossi) ce l'hanno fatta! Naturalmente non è finita qui: i problemi verranno da altre parti, e non smetteranno di comparire.
Ora, mi scuso per aver fatto (di nuovo) un giorno di ritardo... e probabilmente avrei aggiornato domani, se non fosse stato per
Commy che mi ha spronata a postare. Ecco, speravo in qualche recensioncina in più per sapere i vostri pareri cwc
Ma va benissimo anche così
<3 l'importante è che leggiate, poi tutto il resto è superfluo!
Sono molto indietro nello scrivere questa fan fiction, ho pochi capitoli già pronti, quindi... penso che farò una pausa, tra poco, di qualche settimana. Giusto per andare avanti, revisionare, controllare... solo per il bene della storia, visto questo blocco della scrittrice che mi attanaglia da una settimana ormai, mi spiace +.+
Eh niente, comunque aggiornerò quando raggiungerò le
5 recensioni miei sudditi! (?)
SCUSATE, sono fissata con Merlin. MI DISPIACE che voi dobbiate sopportarmi, ma sappiate che vi amo.
Un bacio,
Sara
<3

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Capitolo 8
*** Higher. ***


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Chapter eight: Higher.

 

 

Flew me to places i’d never been
Now i’m lying on the cold hard ground

Mi hai portata volando in posti dove non ero mai stata
E ora sono a terra, su un pavimento duro e freddo

I knew you were trouble – Taylor Swift

 

 

 

 

Scesi dall'autobus e mi guardai attorno. Gli studenti si spostavano come sciami di api verso l'entrata della scuola, a pochi minuti dalla campanella. Affilai lo sguardo, e la vidi: la jeep di Stiles, parcheggiata poco più in là. Quindi era già arrivato.

In mezzo a tutti quegli adolescenti era difficile utilizzare l'olfatto per trovarlo, e non era strettamente necessario, quindi decisi di aspettare fino alla seconda ora, quando avremmo avuto educazione fisica insieme.

Ai piedi portavo un paio di converse nuove (le altre erano praticamente da buttare, piene di fango e schifezze varie raccolte passeggiando nella riserva), sopra un paio di jeans neri. Una felpa rossa e la mia fedele giacca in eco pelle nera mi coprivano il busto.

«Emma!» mi voltai verso la direzione da cui proveniva la voce, e vidi un'appariscente Erica che mi veniva incontro. Una mini gonna l'avvolgeva sottolineando le sue curve pericolose, e una camicetta azzurra dall'aria molto leggera lasciava veramente poco all'immaginazione. Sopra di essi, un trench blu era lasciato sbottonato. «Ti devo assolutamente parlare!»

Oh, no.

Per carità, non fraintendetemi: volevo bene ad Erica. Ma in certi casi, è meglio scappare a gambe levate anche dalle persone più care. Prima che potessi anche solo considerare una via di fuga, mi prese a braccetto. «Indovina?» esordì, ravvivandosi la chioma bionda.

Ignorai l'invidia perforante e feci spallucce «Sorprendimi, bionda.»

Mi rivolse un sorriso a trentadue denti, tirando le labbra rosso sangue «Boyd mi ha chiesto di uscire!»

Tutto qua? Giuda ballerino, pensavo peggio!

Le scoccai un'occhiata maliziosa mentre ci dirigevamo verso l'interno della scuola «Ah, era scontato! Credevi che non avessi notato come ti guarda? Come tutti ti guardano?»

Appena finii la frase, passammo accanto ad un gruppetto di ragazzi, da cui si levò un lungo fischio di apprezzamento.

Non era per me. Lei aggrottò le sopracciglia.

«Non va bene.»

«Cosa? Hai paura che Boyd s'ingelosisca?»

«No, stupida. Dicevo a te. Tu non hai autostima... e poi oggi hai un'andatura..» si bloccò «AH, HO CAPITO!»

Si fermò, piantandosi in mezzo al corridoio ed obbligandomi a fare lo stesso, vista la presa ferrea con cui mi teneva ancorata al suo braccio.

«Cosa? Smettila di fare l'enigmatica Erica, mi stai facendo venire mal di testa!»

Lei mi trascinò nel bagno delle ragazze, proprio mentre la campanella suonava.

«Devo andare a storia!»

M'ignorò e mi spinse dentro un cubicolo.

Mi squadrò dall'alto in basso, picchiettandosi un'unghia sul labbro. Io incrociai le braccia, impaziente. Harrison mi avrebbe ucciso, con un altro ritardo...

«Sembri... diversa. Ma non diversa da “sono andata a letto con Stiles”, diversa... diversa. Ti stai nascondendo dietro le tue insicurezze, ma allo stesso tempo emani questa strana vibrazione... la tua andatura è più fluida, tieni la schiena dritta e...» il tono di voce era leggero, mentre lo diceva.

Sgranai gli occhi, collegando in ritardo.

«Io andata a cosa con chi?» esclamai, arrossendo di colpo, incurante del fatto che eravamo in un bagno pubblico e potevamo essere sentite da chiunque varcasse la porta, da un momento all'altro.

«Non fare la santarellina, riesco a sentire il tuo odore e il tuo battito cardiaco...» sorrise «ci sono ancora tante cose che devi imparare.»

Poteva capire le emozioni che provavo solo attraverso i sensi?

Sì, dovevo decisamente imparare ancora tanto.

«Comunque, non... noi due non...» cominciai, impacciata. Erica mi zittì con un cenno «Tranquilla, ho capito, hai ancora la grande V tatuata in fronte. Stiles aspetterà, ne sono sicura.»

La grande V?

Oh.

«Ma non era di questo che stavamo parlando. Ti sei... trasformata, giusto?»

L'aveva capito. Cinque minuti di conversazione, e l'aveva capito.

«Sì.»

Lei fece per parlare ancora, ma era il mio turno di zittirla.

«Non dirlo a nessuno, ti prego! Voglio fare una sorpresa a Stiles, e sai che Scott non sa tenere i segreti, lo direbbe almeno ad Isaac e poi lo capirebbe... Stiles lo conosce bene e...» mi attorcigliai le dita tra di loro, delusa dal fatto di essere stata scoperta subito.

Lei mi strizzò l'occhio, conducendomi in corridoio «Tranquilla... è intuito femminile, non lo capiranno mai. Io so mantenere un segreto.»

 

 

 

***

 

La prima ora passò più lentamente del previsto. Cominciai ad innervosirmi già all'entrata in classe, quando mi beccai un'ora di punizione quel pomeriggio per un ritardo di dieci minuti buoni. Al resto ci pensarono Napoleone Bonaparte e i suoi amichetti sui libri di storia.

Quando finalmente uscii e mi diressi verso gli spogliatoi femminili, mi sentivo già stanca. In genere, educazione fisica la saltavo. Odiavo dover indossare costumi da bagno o pantaloncini da corsa, odiavo dovermi muovere e, più di tutto, odiavo le ragazze e i ragazzi che sfruttavano queste cose a loro vantaggio.

Code di cavallo ondeggianti, fisici perfetti, pesi sollevati in modo esemplare. A dir poco insopportabili. Più che una lezione, sembrava ogni volta una sfilata.

L'anno prima, avevo fatto (all'insaputa di tutti, al di fuori di me e il coach) delle lezioni private. Il motivo?Non avevo mai imparato a nuotare.

E non solo per la parte pratica, ma... avevo il terrore di entrare in piscina. Era contro natura, per me. Come dicevo sempre, “se fossimo fatti per nuotare, avremmo pinne e branchie”.

Comunque, le lezioni non avevano avuto successo. E non avevo imparato neanche a correre ad una velocità decente ed arrampicarmi su una fune o su una parete. Così, il coach aveva cominciato ad andarci un po' più piano con me, permettendomi di restare in disparte o addirittura scomparire per ore intere.

Ma con le mie nuove doti... potevo finalmente prendere la mia rivincita contro Madre Natura.

Dopo essermi cambiata in spogliatoio, entrai in palestra. Il riscaldamento permetteva (per mia grande sfortuna) di mettere la nuova “divisa” imposta dalla scuola, e l'avevamo dovuta indossare tutti: per le ragazze, pantaloncini corti bianchi con i bordi rossi e t-shirts rosse. Per i ragazzi, l'inverso (e fortunatamente i pantaloni erano più lunghi).

Appena varcata la porta della palestra, un odore pungente di gomma, sudore e tessuto sintetico mi fece storcere il naso. Ma poi intercettai l'odore inconfondibile di Stiles, e lo vidi: in un angolo della palestra, che chiacchierava con Scott di qualcosa che non riuscivo a cogliere. Erica e Isaac confabulavano vicino ai cesti contenenti i palloni e Lydia e Jackson stavano avvinghiati dall'altra parte della palestra, nascosti alla vista ma non ai miei altri sensi.

Boyd non era nel nostro corso, e Neir... beh, lui (oltre ad essere due anni avanti) non l'avevo mai incrociato a scuola, escludendo il nostro primo incontro. Come non avevo più visto i suoi genitori, che sembravano essere usciti da un film degli anni cinquanta.

Mi avviai a passo veloce verso Stiles e Scott, proprio mentre il coach Finstock faceva la sua comparsa soffiando come un matto nel suo fischietto per riportarci all'ordine.

«Buongiorno!» sussurrai all'orecchio del ragazzo, che sorrise e mi avvolse la vita con un braccio.

«Come mai così entusiasta per educazione fisica?» chiese, conoscendo bene la mia avversione.

Feci spallucce, e il coach riprese a fischiare. Io e i licantropi ci coprimmo istintivamente le orecchie, e Stiles sbuffò «dovremmo infilarci dello strozza-coach in quel coso.» sbottò, provocandomi un sorriso.

Finstock battè le mani e ci fece disporre in fila davanti alle corde. Io ero la quinta della fila, prima di Stiles che a sua volta era prima di Scott. Tanti soldatini che andavano incontro a cadute dolorose.

«Valutazione di metà anno!» esclamò «quella è la corda, quella è la campana, sapete come funziona. Arrampicatevi!»

Il primo fu Isaac. Il primo metro gli causò qualche problema, ma appena capito come doveva mettere i piedi arrivò in cima in una manciata di minuti, grazie alla sua velocità lupesca. In realtà avrebbe potuto impiegarci ancora meno tempo, ma era meglio non esporsi troppo davanti a una classe di umani.

Se non ci eravamo già esposti.

La fila scorreva velocemente, e io passavo il tempo giocherellando con le dita della mano di Stiles, gesto nascosto prudentemente alla vista del coach. Non era un gran fan delle coppiette, forse a causa di una disastrosa situazione sentimentale (oh, io ne so qualcosa).

Dopo un quarto d'ora circa, arrivò il mio turno. Mi voltai verso i ragazzi dietro di me, ed entrambi mi fecero cenni incoraggianti.

«Fino in cima!» sussurrò Stiles.

«Goditi il panorama!» lo canzonai sottovoce, poi mi voltai e artigliai goffamente la corda. Appoggiai i piedi al nodo sul fondo, poi strisciai verso l'alto. Era la prima volta che lo facevo da mesi, e in assoluto con la mia nuova forma. La mia forza era aumentata smisuratamente, e riuscivo ad aggrapparmi senza problemi. Scoprii di volere arrivare il più in alto possibile, più velocemente.

«Emma? Sei troppo veloce.» sbattei le palpebre alla frase di Stiles, appena sussurrata ma che avevo sentito benissimo. Guardai in basso e mi resi conto che ero stata davvero veloce. Troppo. Più di tutti. E non perché fossi la più forte, ma perché mi ero stupidamente lasciata inebriare dall'adrenalina.

La mia testa cominciò a girare, e mi strinsi più forte alla corda. Un forte senso di nausea mi travolse, mentre la vista si offuscava e le mani sudavano incontrollatamente, facendomi scivolare le mani dalla corda. Tenendomi ben salda con i piedi, staccai una mano alla volta per asciugarmele sulla maglietta.

Avanzai, stavolta stando attenta ad andare più lentamente.

Era strano. Non ero malata, e non era quello che mi succedeva durante un'intromissione nella mia mente. Era come se il mio corpo fosse sotto overdose, troppa energia, troppa potenza.

Mi fermai ancora e respirai lentamente, sgranando gli occhi per tenermi lucida, mentre delle goccioline di sudore mi scorrevano lungo la spina dorsale.

«Ligtwood?» mi chiamò il coach. Buttai uno sguardo di sotto, e vidi tutta la classe che mi fissava con la fronte aggrottata. Sull'espressione di Stiles lessi “stai bene?

Annuii un paio di volte, tirai su con il naso e ripresi a fissare la fine della corda e la campana che avrei dovuto suonare per superare il test. Non ci ero mai riuscita.

«Tutto a posto coach! Riprendo fiato.»

Ero decisa più che mai ad arrivare in cima, sia per arrivare dove non ero mai arrivata che per scendere ed andare a vomitare.

Salii ancora di un paio di metri, e mi ritrovai la campana davanti al naso. Quando alzai la mano per afferrare la cordicella e suonarla, vidi che terminava con degli artigli. Lo stupore fu tale che persi la presa e scivolai di un paio di metri, bruciandomi le mani nel tentativo di frenare la caduta. Sotto, sentii qualcuno trattenere il respiro.

«Tutto bene» borbottai, sperando che Scott lo riferisse a Stiles.

Mi trascinai un poco più su e suonai la campanella, poi scesi il più velocemente che potevo, riuscendo a ritirare gli artigli solo all'ultimo secondo.

Rivolsi a Stiles un sorriso, asciugandomi il sudore dalla fronte con una mano e sfiorandogli il braccio con l'altra.

«Ti spiego dopo, tu arrampicati.»

Poi marciai dritta verso la porta, dove Erica mi aspettava.

«Che è successo lassù? Un uccellino che soffre di vertigini?» scherzò lei, sorridendomi.

Abbozzai un sorriso e mi premetti una mano calda sulla fronte. Del ghiaccio sarebbe stato l'ideale, in quel momento.

«Non mi sento tanto bene. L'adrenalina, penso...»

E fu lì, in quel momento, che rividi nella mia mente i miei artigli che strisciavano contro la corda, sfilacciandola proprio sulla punta. Rendendola più sottile e fragile.

E fu proprio in quel momento che mi girai, e vidi Stiles che si affannava per salire sulla corda.

Spostai lo sguardo verso l'alto e vidi la parte sfilacciata che si tendeva, attorcigliava e spezzava, come a rilento.

Il castano allungò la mano per suonare la campana, e alle mie orecchie risuonò chiaramente il rumore dello strappo.

Stiles cadde. Mollò la corda e mulinò braccia e gambe a vuoto, mentre una ragazza urlava. Sotto la corda era stato posizionato un materasso, ma era troppo sottile e troppo duro per attutirgli abbastanza la caduta. Ed era ancora fragile, si era appena tolto le fasciature... chissà quanto male si poteva fare.

In una frazione di secondo, le cicatrici sulla mia schiena si aprirono per lasciare passare le ali, e mi slanciai in avanti. Erica però mi abbracciò da dietro, obbligandomi a fermarmi.

«Non qui! C'è Scott!»

Infatti, Scott era esattamente nel punto giusto quando Stiles fu a meno di due metri da terra. Gli cadde in braccio, e i due cascarono per terra.

Erica mi lasciò e in attimo stavo tirando su Stiles.

«Ti sei fatto male?»

Si massaggiò una spalla e si guardò attorno, poi scosse la testa.

«Cavolo. Forse dovrei mettermi a dieta.»

 

 

 

 

Read below!

 

Prima di tutto, mi scuso per aver aspettato così tanto a postare. Davvero, mi dispiace. Risponderò al più presto a tutte le vostre recensioni, ho appena iniziato (mi scuso anche per questo).

Parliamo del capitolo: la situazione è disastrosa. Niente più visioni? Ok, via con il costante status dopo-sbornia! Emma fa di tutto per tenere Stiles sotto la sua ala protettiva (... capita l'allusione? Pessima, lo so) ma è un disastro: gliene capitano una dietro l'altra. Per fortuna che c'è Scott!

Ora... vi ringrazio nuovamente per aver letto, per aver recensito, per aver illuminato precedentemente un periodo davvero buio della mia vita con i vostri commenti positivi. Grazie a voi, sono riuscita ad andare avanti. Ora, però, mi serve una pausa. Ho finito di pubblicare i capitoli che avevo scritto, e non ho più niente di pronto; tabula rasa. La scuola sta per iniziare, e sarà il mio primo anno di liceo. Sono una ripetente, quindi quest'anno dovrò mettercela tutta e partire subito in quarta. Per questo dedicherò (con tutta la mia sofferenza) sempre meno tempo al computer e, di conseguenza, alla scrittura. Mi concedo minimo un mese di pausa, come vi avevo preannunciato, per scrivere un po' di capitoli con mooolta calma ed ambientarmi a scuola con il minimo stress possibile. Ragazze, anche solo scrivere quella parola con la S mi dà i brividi. Mancano solo due settimane!

Il prossimo capitolo lo posterò il 30 settembre. Mi scuso ancora e vi chiedo gentilmente di aspettare e portare pazienza, senza togliere questa umile e modesta storia delle seguite o altro, perché vi prometto che tornerò più in forma che mai.

Vi dedico l'anno nuovo e vi mando un sacco d'affetto.

Sara <3

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Capitolo 9
*** Innocence. ***


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Chapter nine: Innocence.

 

Gnashing teeth and criminal tongues 
conspire against the odds 
but they haven't seen the best of us yet 

Quando denti denigranti e lingue criminali

cospirano contro le probabilità

Ma loro non hanno ancora visto il meglio di noi

 

this is gospel – panic! at the disco

 

 

 

«Non ci capisco più niente.»

Lo chalet di Irima profumava d'incenso. La temperatura era sui venti gradi, riscaldata dall'enorme caminetto, e permetteva a me e Neir di restare in maniche corte. I due erano seduti sul divano, e io sulla poltrona accanto.

«Prima mi trasformavo incontrollatamente e non del tutto, e chiunque poteva entrare nella mia testa quando voleva. Ora sono più potente e non riesco a comprimere l'energia, mi spuntano le ali e ho chiuso la mia testa al pubblico. Va meglio adesso, giusto? È meglio di prima?»

Entrambi si strinsero nelle spalle, e sbuffai rumorosamente. La situazione era esasperante. Mi rivolsi ad Irima:

«Comunque, non sono tranquilla. Anche se conosco la mia Ancora, anche se dovrei avere il controllo, non ce l'ho realmente. Non funziona sempre. E chiunque fosse quello che mi entrava in testa... io non mi sento al sicuro. Era così potente, e...»

L'uomo alzò una mano, interrompendomi.

«Credo di sapere chi è.»

Io e Neir balzammo in piedi contemporaneamente.

«Come? Perché non...»

«Non ne ero sicuro. Ma se è in grado di provocare in voi delle reazioni così esagerate, allora... sfortunatamente, non ho che pochi dubbi.»

Aggrottai la fronte, mentre lo sciamano si dirigeva verso una delle tante librerie che ricoprivano le pareti.

«Emma, ricordi cosa ti ho detto riguardo alle tue origini? Chi aveva dato i poteri al tuo antenato Misha e ai suoi fratelli?»

Salì su una scaletta fino a raggiungere uno scaffale in alto, arrampicandosi lentamente per non stropicciare il completo elegante color grigio fumo di Armani.

Aggrottai la fronte, cercando di ricordare. Neir mi fissava, ansioso. Forse aveva già capito, ma io ero ancora in alto mare.

«L'Angelo?»

Il ragazzo si passò una mano tra i capelli, risedendosi sul divano. «Brutta storia, brutta, brutta storia» lo sentii borbottare.

Irima tornò a toccare con i piedi per terra, e mi porse un grosso libro. Mi aspettavo di doverne soffiare via la polvere come in un film, talmente sembrava antico, ma era perfettamente pulito come qualsiasi altra cosa nello chalet. La copertina era un'illustrazione di una catena montuosa dall'aspetto impervio, ai piedi della quale si trovava un agglomerato di abitazioni. Sulla punta della montagna più alta, una macchia di luce dall'aspetto umanoide si distingueva grazie a un contrasto di luci e ombre creato dalle nuvole, e dai raggi del sole che ne filtravano attraverso.

«Risale all'anno mille. Non ti preoccupare, è protetto, non si può rovinare.»

Sapevo già quale tipo di “protezione” aveva utilizzato, ma non potei fare a meno di girare la copertina con delicatezza. La carta profumava di antico, inchiostro e lavanda.

Irima cominciò a camminare lentamente, tenendosi il mento con il pollice e l'indice.

«Vai al capitolo otto.»

Eseguii, sfogliando con ammirazione quelle pagine. Neir guardava fuori dalle vetrate imponenti, scandagliando con lo sguardo il paesaggio ghiacciato.

«Leggi il secondo paragrafo. Ad alta voce, per favore.»

Mi schiarii la gola, lanciai un'occhiata ai due e cominciai a leggere.

« “E così i migliori nel portare cacciagione

cercarono i tre fratelli per punirli

e Colui che tutto vede s'infuriò

perché lui li aveva creati

e solo lui poteva giudicarli” »

Quando alzai lo sguardo, con la fronte corrugata, notai che Irima aveva mosso le labbra mentre leggevo, come se conoscesse il paragrafo (o forse il libro) a memoria.

«Continuo a non capire.»

Con mia sorpresa, fu Neir a parlare.

«“I migliori nel portare cacciagione”, in altre parole, “cacciatori”. “Colui che tutto vede”: l'Angelo. Odiava i cacciatori quasi quanto le sue stesse creazioni.»

Parlò indugiando, con tono quasi seccato.

«Come una madre che odia i propri figli, ma anche coloro che li perseguitano.» aggiunse Irima.

Ora cominciavo a capire. Mi risedetti, e riordinai le idee.

«Ok. Ma questo cosa c'entra con me?»

Il silenzio che seguì mi fece rabbrividire. Dopo dei minuti che parvero interminabili, lo sciamano intervenì.

«Crediamo... credo che l'Angelo sia tornato, e voglia farti sterminare la specie dei cacciatori. Per questo hai le visioni, e non riesci mai a controllarti, e ti capitano tutte quelle cose orribili. Vuole farti impazzire, in modo da rendere incerto il confine tra il bene e il male. Ti ha costretta ad immedesimarti nella tua antenata, ti ha fatto vedere ciò che i cacciatori le hanno fatto. E... Emma, ci sta riuscendo.»

Non mi mossi. Tutto acquistava un senso, finalmente, ma era troppo irreale. La figura dell'Angelo la vedevo come una presenza divina, inconsistente, leggendaria. Lì sorse il primo dubbio.

«Tu mi avevi detto che l'Angelo teneva all'equilibrio. Per questo non voleva che i fratelli avessero figli. La storia che mi hai raccontato prima era diversa.»

Irima si leccò le labbra e guardò me, poi Neir, poi ancora me.

«No, è identica. Solo che... temo che l'Angelo abbia un'idea tutta sua, dell'equilibrio. E che il modo in cui lo chiamiamo sia ben troppo benevolo, visto che assomiglierebbe di più ad un demonio. Con il tempo le idee cambiano, e anche la concezione di equilibrio. Il suo potrebbe essere diventato... distorto. I cacciatori, per quel demone, sono d'intralcio.»

Ero confusa. Aveva senso, ma allo stesso tempo no.

«Quindi cosa devo fare?»

Irima mi fissò.

«Devi distruggerlo.»

Rimasi interdetta. Non consideravo minimamente possibile una cosa del genere, non fatta da me. Un essere leggendario... non avrei potuto neanche scalfirlo.

«No, è impossibile. Non posso combatterlo, non sono abbastanza forte!» esclamai, sperando con tutta me stessa che non fosse vero.

Sì, avevo paura. Per tutto quello che stava succedendo, e per l'angosciante sensazione che mi stava divorando lo stomaco.

«Sei molto più forte di quanto tu creda, Emma.»

 

 

 

***

 

 

 

Ci avviammo verso casa di Neir quando ormai il sole era tramontato. Fuori dal loft di Irima, la temperatura scendeva di quasi venti gradi, quindi dovemmo indossare le giacche. Neir impostò il riscaldamento dell'auto al massimo, cosa che la macchina stessa non aveva mai sperimentato prima. Le temperature, in California, stavano bruciando (o meglio, congelando) tutti i record mai registrati.

Io ero rannicchiata sul sedile del passeggero, guardando il paesaggio scarno, ghiacciato e immobile che tanto avevo bramato durante le afose estati californiane. Neir guidava come se avessimo tutto il tempo del mondo, e lo apprezzai tantissimo. Dentro quel SUV di seconda mano, potevamo fingere che tutto fosse normale. Potevamo fingere che la nostra più grande preoccupazione fosse il compito di chimica, e non la possibile morte delle nostre persone più care.

«Hai fame?» chiese, tenendo gli occhi sulla strada.

«M-mh» mugugnai, con lo sguardo fisso fuori dal finestrino, annuendo piano. Mi tenevo le gambe strette contro il petto, tentando di non pensare.

«Ti va del cinese?»

Lo guardai. A volte proprio non lo sopportavo, e lo avrei strozzato con le mie mani. Altre volte, invece, era il fratello/padre che non avevo mai avuto. Apprensivo, attento, che non esitava a schierarsi dalla mia parte.

«Mangiamo da te.»

Non replicò, e riuscii a scorgere l'abbozzo di un sorriso, un leggero movimento dell'angolo della bocca.

Andammo a comprare una quantità esagerata di spaghetti di soia, riso cantonese e pollo all'ananas, poi ci precipitammo a casa sua finché era ancora tutto caldo.

«I tuoi sono fuori?» chiesi, notando che non c'era nessuna macchina parcheggiata.

«No, c'è mia madre» rispose tranquillamente. Allora, provai a sentirla: annusai l'aria, e percepii un aroma vago di detersivo al limone e lacca per capelli. E poi... anche un altro odore, pungente e familiare, ma che mi sfuggiva.

Appoggiammo tutto sull'isola in cucina e ci sedemmo sugli sgabelli imbottiti. Per precauzione, spensi il telefono. Non volevo che quel piccolo momento di normalità fosse contaminato da nessuno, quella serata era solo per noi, adolescenti semi-rapaci con problemi in algebra.

Ero già pratica con le bacchette cinesi, quindi non potei fare a meno di ridere quando Neir si mostrò in difficoltà, facendole cadere a terra.

Stavo ancora ridendo cercando di non sputare gli spaghetti di soia, quando sua madre entrò in cucina. Indossava un vestito a fiorellini, e i capelli erano pettinati in una piega perfetta. Come sempre, sembrava appena uscita da un film degli anni cinquanta.

«Oh, ciao ragazzi! Pensavo cenaste fuori, vi avrei preparato qualcosa di buono...»

Neir sollevò una scatola di riso, mostrandogliela con un sorrisone mentre masticava voracemente.

«Grazie signora, ma ci siamo già procacciati il cibo da soli! Il pollo correva velocemente, ma l'abbiamo acchiappato alla fine!»

Neir emise uno strano suono, da cui potei dedurre che stava ridendo e soffocando insieme.

La donna sorrise, continuando a fissarmi. Poi la sua espressione diventò neutra, illeggibile. Si fissò le mani, le sfregò tra di loro e poi uscì dalla stanza. Notai che le punte erano macchiate di una polvere giallastra, forse zafferano.

Il ragazzo intanto si picchiava il pugno sul petto, tossendo come un matto.

Gli diedi delle pacche sulla schiena per aiutarlo «Calmati, giuda ballerino! Non faceva così ridere!»

 

 

 

 

I'm back again!

 

Scusate, sono in ritardo ancora. Però perdonatemi, dai: oggi è il mio compleanno! 

Tanti auguuuri a me!

Comunque, scusatemi se c'è qualche errore di battitura o qualcosa è sballato (tipo tutta questa sezione, aiuto) ma sto avendo problemi con gli editor, sob.

Quindi, la faccio breve: spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Ho cominciato la scuola partendo in quarta, e sto avendo qualche difficoltà... non nei voti, però, in parole povere, odio i miei compagni.

Yay.

Ma su con la vita, ripeto: oggi, 6 ottobre, compio gli anni! Quindi fanculo tutti, festeggiamo e siamo positivi. Vi mando appunto tutta l'energia, la fortuna e la positività che potete raccogliere. Mi raccomando: non mollate mai. So che può risultare strano o sdolcinato questo consiglio, messo qua in quest'angolo autrice che sa di clichè, ma mi è stato davvero utile, per quanto sappia di frase fatta. E' vero, ragazze: potete sistemarlo, qualunque cosa si sia rotto. Anche voi stesse. E se vi serve, beh, vi do un po' del mio nastro adesivo.

Un bacio,

 

Sara <3          

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Capitolo 10
*** Jealousy. ***


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Chapter ten: Jealousy.

 

I put you high up in the sky and now, you’re not coming down
It slowly turned, you let me burn
And now, we’re ashes on the ground.

I never meant to start a war,
I just wanted you to let me in

 

Ti ho portato in alto nel cielo e adesso non stai tornando giù
Si è girato lentamente, mi hai lasciata bruciare

E adesso siamo cenere sul terreno.

Non ho mai avuto intenzione di iniziare una guerra,

Volevo solamente che tu mi lasciassi entrare

 

wrecking ball – miley cyrus

 

 

 

 

Mi svegliai sotto il tepore delle cinque coperte sotto le quali mi ero accoccolata. Mi stiracchiai e guardai l'ora: le sette precise. Restai ancora un po' rannicchiata, godendomi il calduccio, poi mi misi a sedere. Vidi il cellulare scivolato sul pavimento, lo raccolsi e lo accesi.

Sei chiamate senza risposta: Stiles.

Sbuffai e mi preparai ad una scenata, portandomi il cellulare in bagno e fissando la mia immagine riflessa. La pelle aveva un colorito strano, verdastro, ancora più pallido del solito. Le labbra erano chiare, le occhiaie marcate. Lo stomaco era ancora sottosopra a causa del troppo cibo, ed ero andata a dormire poco dopo, rendendo impossibile la digestione. In più, le ore di sonno erano state in tutto un paio. Risultato: ero uno zombie.

Mi lavai e mi spalmai una dose abbondante di fondotinta per coprire tutto ciò che non andava, ma ero comunque troppo sfatta. Colorai le labbra con un rossetto leggero, e mi sembrava già di essere meno orribile. Mi accontentai; presi un paio di jeans e una felpa, li indossai velocemente e scesi di sotto.

Proprio mentre scendevo l'ultimo scalino il campanello suonò. Andai ad aprire e venni travolta da un corpo che conoscevo bene, e il cui profumo mi inebriò.

«Stiles!»

«Non farlo mai più! Mai più!»

Mi strinse tanto da spaventarmi.

Lo allontanai, e vidi la rabbia e il sollievo nei suoi occhi.

«Cos'è successo?» chiesi, guardandolo da capo a piedi.

Lui alzò le sopracciglia, poi le braccia, in un gesto esasperato.

«Dovrei chiedertelo io! Sei sparita per ore e ore, avevi il telefono spento, e Scott non riusciva a trovarti e neanche gli altri, allora sono venuto a casa tua e non c'era nessuno, e...»

Lo fermai premendogli la mano sulla bocca.

«Stiles, si è fatto male qualcuno?»

Mi scostò la mano e roteò gli occhi, poi si passò le mani tra i capelli. Temetti che stesse per avere una crisi isterica. Gli occhi erano stanchi, e il colorito troppo più chiaro del solito.

«No, tu! Cioè non ti sei fatta male, ma lo pensavamo tutti! Dove diavolo eri finita?»

Oh.

Il mio tentativo d'isolamento innocente lo aveva preoccupato tanto da chiedere all'intero branco di cercarmi. Mi raccontò di quanto mi avessero cercata per tutta la notte, e di come temessero già il peggio.

«Scott il mese scorso mi ha detto che quando una persona...» deglutì, come se quella parola lo soffocasse «muore, il suo odore sparisce dal suo corpo e si trasforma subito. Rimane sui vestiti, ma il corpo...» si fermò e si lasciò cadere di peso sul divano.

Mi sedetti accanto a lui, mentre un silenzio opprimente ci circondava. Dopo dei minuti che sembrarono secoli, si mosse un poco. Mi circondò il busto con un braccio e mi tirò a sé lentamente, senza dire una parola. Restammo così per un po', a stringerci, senza curarci dei minuti che passavano.

«Dove sei stata?» sussurrò, accarezzandomi i capelli.

«Da Neir. Abbiamo mangiato cinese, e...» sentii il suo corpo irrigidirsi. Mi venne voglia di urlare, perché avevamo appena affrontato la nostra prima, breve litigata, e già sentivo il clima tornare freddo. Lo strinsi più forte, ma lui non ricambiò, e mi sentii ghiacciare, sempre di più.

«Sei stata tutta la notte con Neir?» il tono in cui lo disse, era come lo sfregare di una lastra di ghiaccio contro la pietra dura. Mi sollevai, e vidi il suo viso: era strano. Freddo, ma allo stesso tempo mostrava qualcosa. Delusione? Rabbia? Frustrazione? Non avrei saputo dirlo. Era un'espressione nuova, che non gli avevo mai visto addosso, eppure sembrava essere lì da sempre.

«No. Non hai capito.»

Che cosa stupida, da dire. Come “non è come pensi”, o “dobbiamo parlare”. Di quelle frasi che non dovrebbero proprio esistere.

«Hai passato tutto il giorno e la notte con lui. Hai fatto in modo che non ti trovassimo, e ora... hai addosso il suo odore. Mi avevi detto che eri con Erica, invece... l'altro giorno, eri con lui.»

Il mio olfatto non percepiva nessun odore, a parte quello di Stiles. Cominciai a capire quello a cui Neir aveva accennato: il suo profumo era mutato. Lievemente, ma lo aveva fatto. Sentivo il suo cuore battere forte, mentre il mio perdeva battiti.

Quando ero andata con Neir per farmi aiutare con la trasformazione, avevo finto di non volerlo fare per paura di peggiorare la situazione, quindi avevo detto a Stiles, Scott ed Isaac che sarei andata da Erica. Volevo fargli una sorpresa, a lui e a tutto il branco.

Come avevo fatto a dimenticarmene?

Com'era possibile che avessi scordato di dirgli cos'ero riuscita a fare?

«Stiles, io non ho fatto niente. Abbiamo mangiato cinese! Non ti farei mai una cosa del genere, lo sai... dopo tutto quello-» mi interruppi quando, dopo aver tentato di appoggiargli una mano sulla spalla, lui la spostò con un gesto brusco.

Avevo capacità fisiche inimmaginabili. Potevo farmi spuntare le ali, sentire odori e suoni a miglia di distanza... ma in quel momento, mi sentii più fragile di una scheggia di vetro in un'autostrada, di un uccellino caduto dal nido proprio in una tana di volpi. Non era mai stato brusco con me, mai.

Non disse una parola. Uscì e basta.

Lo seguii sul vialetto, con le gambe che andavano avanti da sole.

«Stiles!»

Si girò di scatto, e la sua espressione mi fece ritrarre d'istinto.

«Hai idea di quante notti passo in bianco? Non dormo quasi più. Sono l'unico umano, Emma. L'unico! Avete tutti questi poteri speciali, e fate sempre qualcosa. Io vengo pestato e basta! E tu mi vieni a dire che devo prendere alla leggera una cosa del genere? Tu scompari, non mi dai spiegazioni e vuoi che faccia il cretino come al solito, che non faccia domande e non chieda niente?»

Non sapevo cosa rispondergli. Ricominciai a respirare quando vidi che rilassò le spalle, e il suo sguardo si addolcì.

«Spiegamelo. Spiegami perché passi giornate intere con lui, e hai cominciato a non dirmi le cose. Spiegami perché ogni tanto fai la pazza, e perché... spiegami perché non ti trovavamo.»

Aprii la bocca, ma non ne uscì niente. Volevo dirgli che non lo sapevo perché, ma doveva credermi lo stesso. Ma non uscì niente.

E allora entrò nella jeep e partì.

Guidava spesso, quando aveva bisogno di pensare. Solo che di solito io sedevo accano a lui.

Rimasi lì, paralizzata, senza riuscire a metabolizzare ciò che era appena successo.

 

Stiles, il mio Stiles, pensava che l'avessi tradito con Neir.

Io, che non facevo che pensare a lui e soltanto lui da anni.

Io, che lo amavo, e l'avevo appena capito.

L'amavo, e lui non lo sapeva. Non glielo avevo mai detto.

Mi sedetti a terra sul selciato, e cercai di riprendere a respirare.

 

Pensa, pensa, pensa.

Chiama Neir.

No, non Neir. Tutti tranne Neir.

 

Rabbia.

 

Bruciante, cominciò a riscaldarmi e a scorrermi nelle vene. Non era salutare, ma era meglio del dolore. O forse era entrambi.

Provavo rabbia verso Neir, che mi aveva messa in quella situazione. Non era colpa sua, ma lo era. Lo era e lo odiavo.

Verso Stiles, che non mi aveva creduta, che si era subito messo sulla difensiva. Nessuno dei due era capace a farsi amare, ma lui non ci stava neanche provando. Odiavo anche lui, tanto quanto l'amavo.

Verso Scott, che non mi aveva cercata bene, e con tutto il branco non era riuscito a sentire il mio dannatissimo odore a casa di Neir.

Verso Irima, che mi stava scaricando addosso la responsabilità di tutta quella storia, anche se io avevo solo colpa d'essere nata. No, la colpa era di chiunque mi avesse fatta nascere. Non l'avevo chiesto io, non era colpa mia, no!

Provavo rabbia verso tutto e tutti, perché avevo avuto due, tre tipi di vita, e quella che era diventata perfetta si stava sgretolando. Ero arrabbiata perché mi andava tutto male, incasinavo sempre tutto.

Allora mi alzai, e tirai un pugno alla porta, sfondandola e attraversandola. Poi cominciai a correre, sempre più veloce, senza curarmi di essere vista. Appena feci un passo nella riserva, spalancai le ali mi alzai di quota, finché arrivai dov'è difficile respirare, dove gli arti vanno in ipotermia e la gente rinuncia alle scalate.

Allora cominciai a respirare.

 

 

 

Happy Halloween!

 

Lo so, era ieri, ma vabè :')

Lo so, due settimane di ritardo sono imperdonabili. Però sto diventando sempre più pigra, e già solo il pensiero di litigare con i codici HTML mi ha fatto passare la voglia per giorni di postare la storia... scusate cwc

L'ispirazione mi manca proprio, in questo periodo. Leggo molto e scrivo quasi nulla. Spero che questo "blocco" passi presto, e intanto vi prometto che sfrutterò ogni goccia di sudore che mi rimane in corpo per finire questa modesta fanfic prima della fine dell'anno scolastico.

Detto questo, vi chiedo di lasciare una recensioncina (posto quando ce ne sono minimo 3) e vi mando un bacio!

Sara

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Capitolo 11
*** Kill. ***


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And oh poor Atlas
The world's a beast of a burden
You've been holding on a long time.

E oh povero Atlante
Il peso del mondo è bestiale
E tu lo sostieni da tanto tempo.
 

What the water gave me / Florence & The Machine

 

 

 

 

 

Chapter eleven: Kill.

 

 

 

Faceva freddo. Ero nell'appartamento di Irima, e faceva dannatamente freddo. Le pareti erano rivestite di ghiaccio, come il pavimento. Ogni mobile era coperto di una fitta brina. Appoggiai una mano su un bellissimo cassettone in mogano, ma non sentii niente. La brina non si sciolse, e non ne sentii il contatto. Inspirai a fondo, e non sentii il caldo profumo d'incenso sempre presente nel loft. Era come se ci fossi, ma non ci fossi del tutto. Come un fantasma. Solo che sentivo un freddo acutissimo, che mi faceva tremare come una foglia dalla testa ai piedi, fin nel profondo delle ossa.

C'erano un sacco di persone nel salotto, vestiti di bordeaux. Uomini e donne, vecchi ed adolescenti, e lo stregone era in piedi in mezzo a loro. Nella massa di persone intercettai anche la madre di Neir.

Il silenzio era opprimente ed insopportabile, vedevo le labbra muoversi ma nessun suono mi arrivava alle orecchie. Dopo anche solo un giorno da mutaforma, con i sensi amplificati del cento percento è assurdo non sentire più niente, inconcepibile. Eppure stava accadendo in quel momento, e sembrava proprio reale.

Tentai un passo avanti e non incontrai nessun ostacolo, così mi avviai verso Irima. Gli sventolai le mani davanti agli occhi, urlai, cercai di afferrare un vaso per lanciarlo... ma niente, nessuno si accorgeva di me. Allora mi sedetti per terra e li guardai.

Irima gesticolava e sembrava furioso; non l'avevo mai visto così. La madre di Neir lo fissava con attenzione, senza tradire una sola emozione. Andò avanti così per un po', poi l'odore mi colpì in viso come uno schiaffo: zolfo. Penetrante e asfissiante, mi finì nelle narici e in gola, soffocandomi e costringendomi a tossire. Quando alzai lo sguardo di nuovo, vidi Neir piombare nella stanza con le ali ancora aperte. Lessi ciò che disse sulle sue labbra: Io mi tiro fuori, glielo dico.

Poi venni risucchiata con violenza fuori dalla visione.

 

 

 

 

***

 

 

 

Saltai a sedere sul letto. Quello non era un sogno, decisamente. Quando fosse accaduto però era un mistero: quelle visioni mi avevano proiettato indietro di secoli la prima volta, e anche se sembrava recente non si poteva mai sapere. La madre di Neir e lui stesso stavano combinando qualcosa con Irima a mia insaputa, e io dovevo saperne di più. Prima però, avevo una priorità maggiore.

Scalciai via le coperte e afferrai un paio di jeans e una felpa con i tagli per le ali, li indossai e mi lavai in fretta e furia. Spalancai la finestra, e mi accorsi che fuori era ancora buio: l'orologio del municipio intercettato dalla mia super-vista segnava le quattro e cinquanta del mattino.

Indossai la giacca a vento ed approfittai della protezione delle tenebre per saltare giù dalla finestra e quindi avviarmi verso in-n-out burgher, la catena di fast food preferita da Stiles. Era aperto dalle cinque fino a mezzanotte, quindi non avrei dovuto aspettare molto.

Le strade erano deserte, l'aria fredda e secca. Sembrava quella ad alta quota, e non faceva altro che rendere più sopportabile il peso che sentivo sul petto.

Quando arrivai al ristorante, la saracinesca era ancora abbassata. Mi sedetti sul marciapiede ed aspettai, rigirandomi il cellulare tra le mani. Ero talmente sovrappensiero che all'inizio non sentii la pungente puzza di alcol e sigarette scadenti che precedette l'uomo con il coltellino a scatto che si piantò davanti a me.

«Cellulare e soldi!» disse, e la sua voce era incrinata. Paura? Sbronza? Chi lo poteva dire. Restai a fissarlo per una manciata di secondi, immobile, decidendo cosa fare. Era ovviamente senza speranza contro di me, ma non volevo fargli del male, quindi lo ignorai e basta.

«Sei sorda stronza?» alzai di nuovo lo sguardo, approfondendo l'occhiata. Indossava vestiti sporchi, sgualciti. Avrà avuto cinquant'anni circa, ma poteva tranquillamente dimostrarne dieci in più. Un senzatetto a Beacon Hills era raro, ma d'altronde ero abituata ad uscire esclusivamente di giorno. Si sa, le città cambiano radicalmente quando il sole cala.

Spazientito, allungò la mano sinistra per afferrare il cellulare. Saltai in piedi e mi allontanai di un passo, sperando che se ne andasse. Cosa che ovviamente non fece.

Mosse il coltello in modo casuale, minacciandomi. Aprì la bocca, poi la richiuse, quindi l'aprì di nuovo.

«Ti ammazzo! Lo faccio! Giuro che lo faccio!» scossi la testa e alzai la mano libera con il palmo aperto, e stavo per parlare quando mi colpì. Non me l'aspettavo per niente da un codardo del genere, ma avanzò e conficcò la lama corta nella mia mano sinistra, per poi strisciarlo per lungo. Emisi un gemito di sorpresa e lasciai cadere il cellulare, mentre lui fissava il sangue spaventato. Mentre fissavo il sangue sgorgare dalla mano, afferrò il telefono e si allontanò con andatura incerta. «L'ho fatto! L'ho fatto!» esclamava, a ripetizione.

Mi ci volle poco più di un secondo per percorrere quella decina di metri che ci separavano, e mentre sentivo già il mio corpo che cominciava a riassorbire e ricreare il sangue perduto gli afferrai il polso e strinsi, fino a che non lasciò cadere il coltellino e il cellulare con un gemito strozzato. Lo lasciai e cominciò a correre di nuovo, e mentre riprendevo il telefono ebbi la tentazione di tornare verso il ristorante.

Ma poi sentii l'odore del suo sangue, penetrante e disgustoso... e non resistetti. Almeno, io l'avrei fatto... ma l'Altra Emma, la bestia, non poteva ignorare quello che era successo e poteva succedere. Troppo forte la tentazione, la spinta che sentii. Fu di nuovo facile raggiungerlo. Presi entrambi i polsi stavolta, e li strinsi finché non sentii le ossa sbriciolarsi, tra le sue urla e i suoi deboli tentativi di dibattersi. Avevo una manciata di minuti prima che venissero a controllare. Una parte di me lo voleva risparmiare, ma l'altra si chiedeva se effettivamente aveva ferito altre persone, magari ucciso. Era un atto di misericordia terminare la sua miserabile vita, fatta di furti e cassonetti della spazzatura. La puzza che emanava era insopportabile al mio naso sensibile, così feci in fretta: gli spezzai il collo con un movimento secco delle braccia, facile come bere un bicchiere d'acqua, e lo lasciai afflosciarsi per terra.

In quel momento arrivò la consapevolezza: era morto. Un uomo povero, senza casa, costretto a rubare per vivere, che probabilmente non aveva mai fatto del male a nessuno prima di me... era privo di vita ai miei piedi. Non poteva difendersi, aveva cercato di scappare.

Però l'altra parte era soddisfatta: non avevo versato neanche una goccia di sangue.

Ero terrorizzata e calma, in conflitto con il mio stesso corpo. Mi tremavano le mani mentre lo sguardo stava fermo sul corpo, e dovetti mordermi il labbro a sangue per riprendermi e trovare la forza per occultare il cadavere. Decisi di ignorare tutte le mie emozioni ed agire meccanicamente.

Raccolsi il coltello e glielo pulii sui pantaloni, poi me lo infilai in tasca. Tolsi la giacca a vento e la avvolsi attorno alla vita, lasciando poi passare le ali attraverso gli squarci nella felpa. I lampioni erano assenti in quella frazione di strada, nessuno era in vista... il momento perfetto. Lo presi per i piedi e volai fino alla riserva, lontano dal “posto sicuro” per le trasformazioni e lontano comunque dal sentiero e dal confine. Una volta trovato il punto perfetto, mi armai dei miei artigli e cominciai a scavare. Quando ero a metà dell'opera mi arrivò alle narici un odore dolciastro e disgustoso. Mi fermai e mi guardai attorno: veniva dal cadavere. Si stava decomponendo.

Trattenendo i conati continuai a scavare, sempre più a fondo, senza curarmi degli artigli spezzati contro il terreno duro e ghiacciato che cominciavano a sanguinare. Tanto sarebbero ricresciuti, prima o poi. Buttai il cadavere dentro e ricoprii la buca, pestandola più volte. L'odore si percepiva comunque, quindi strappai un po' dei fiorellini invernali che trovai lì attorno e li sparsi sul terreno. Quando fui soddisfatta, me la filai. Le fitte alla mano continuavano anche ad un'ora buona dal taglio. Quando la guardai, vidi il suo aspetto: non era penetrata tanto a fondo da tagliarmi i tendini, ma oltre al sangue che aveva smesso di sgorgare non vedevo miglioramenti. Quello non rientrato era rappreso tutt'attorno, e avevo sporcato la manica della felpa. Quando la stendevo, riconoscevo il muscolo.

Mi ci volle tutta la mia forza d'animo per non vomitare ad alta quota, e dovetti planare fino a toccare terra quando il sole cominciò a sorgere. Infilai di nuovo la giacca e m'incamminai a piedi verso il fast food, mettendoci il tempo normale per un'umana. Ordinai un doppio cheeseburgher con doppia razione di ketchup, delle patatine piccanti e un milkshake al cappuccino. Quando pagai con la mano sinistra (vagamente sporca di sangue) e la destra ficcata per bene nella tasca, il commesso non sembrò per nulla interessato.

Arrivai davanti a casa di Stiles esattamente alle sette del mattino. Essendo sabato, sapevo che si sarebbe alzato verso le undici, a meno che Scott non l'avesse tirato in qualche situazione pericolosa. Però magari l'odore del cibo l'avrebbe svegliato abbastanza presto da consentirgli di mangiare il pasto caldo. Lo conoscevo abbastanza bene da sapere che per lui non c'era un tipo di cibo relegato a uno specifico pasto della giornata, quindi quello che gli avevo portato l'avrebbe fatto solo felice. Provai ad entrare dalla finestra della sua camera, ma era chiusa. Lo presi come un segno della sua permanente arrabbiatura verso di me, ed entrai da quella del salotto. Salii le scale cercando di essere il più silenziosa possibile, e quando entrai nella sua camera quasi mi si sciolse il cuore. Una mano penzolava come al solito giù dal letto, la bocca era socchiusa e gli occhi ogni tanto sfarfallavano dietro le palpebre, presi dal sogno. Le coperte erano mezze scivolate verso terra, e gli scoprivano tutto il busto. Indossava un pigiama blu a righe bianche. I capelli erano scompigliati, e alzai una mano tanto forte era la tentazione di accarezzarli, per poi farla ricadere lungo il fianco.

Lasciai il cibo accanto il suo letto e tirai su le coperte, il cuore un po' più caldo al sentire il suo battito e il suo respiro. Stavo per lasciare le lenzuola, quando il respiro si fermò e lui divenne immobile. Ebbi il terrore che si stesse svegliando e rimasi ferma per una dozzina di secondi, poi borbottò qualcosa tipo “forza mets!” cambiò posizione e tornò a respirare regolarmente. Sgattaiolai fuori e tornai a casa, sapendo che fosse vuota, per controllare la ferita.

Entrai dalla porta, stavolta. Lanciai la giacca per terra e andai direttamente in bagno, lavando la mano sotto l'acqua fredda. Lavato via il sangue, sembrava meno terrificante. Cercai con la sinistra qualche benda e una pomata nel kit di pronto soccorso in cucina, la spalmai per bene e la avvolsi come mi aveva mostrato Allison ancora settimane prima.

Presi il coltello, sciacquai anche quello e lo fissai. Lo appoggiai contro il palmo della sinistra, spinta da un'ipotesi da confermare. All'inizio sentii solo il freddo della lama. Poi cominciò a bruciare, e quando lo tolsi vidi un leggero segno colorato.

Argento.

Cosa diavolo ci faceva un senzatetto con un coltello a scatto d'argento?

Pulii anche il telefono, disinfettandolo con un batuffolo di cotone per togliere ogni traccia possibile del DNA dell'uomo, quindi mandai un messaggio a Neir:

Dobbiamo parlare. Vieni da me subito!”

Andai in salotto e mi sedetti sul divano, ritirando la lama e rigirandomi il coltello tra le mani.

C'erano troppe questioni in ballo, come se il mondo soprannaturale di Beacon Hills fosse stato infilato in un' asciugatrice e rivoltato per bene, ma lasciando me fuori.

Le unghie delle mie mani erano spezzate come gli artigli che le avevano sostituite, lo smalto nero grattato via per la maggior parte. Le stavo ancora fissando, quando sentii bussare alla porta. Appoggiai il coltello sul tavolino ed aprii, trovandomi davanti Neir. Un taglio gli attraversava per lungo la guancia, partendo da una manciata di millimetri sotto la parte interna dell'occhio e andando fino alla mandibola. Un occhio era cerchiato di nero e appena socchiuso rispetto all'altro. Zoppicò appena mentre si avviava verso il divano e vi si lasciava cadere, il viso indurito a trattenere una smorfia. Ero senza parole: era sempre perfetto, senza un capello fuori posto se non strategicamente, e mai e poi mai l'avevo visto instabile su qualunque terreno. E adesso sembrava appena uscito dall'asciugatrice sopra citata.

«Ma che ca...» «Emma, parlo prima io.»

Si sollevò appena facendo leva sui pugni, mettendosi un po' più dritto.

«Ti hanno mentito.» leccò appena le labbra con la punta della lingua, scoprendo un taglietto all'angolo della bocca «dall'inizio. I tuoi sogni, le tue visioni... zolfo e strozzalupo, nei tuoi cuscini e ovunque andassi. Hanno intossicato perfino me, per arrivare a te. Poi le manipolavano, facendoti fare quello che volevano. Ti hanno plasmata come un mostro, Emma. Volevano che odiassi l'Angelo.»

Mi sedetti sul divano accanto a lui, le parole bloccate in gola.

«Sono loro, vogliono eliminare i cacciatori. Verrà qua tra un'ora esatta dicendoti qualche cazzata su Stiles, dicendoti che l'hanno minacciato i Silver. Zolfo, strozzalupo e bìdibi bòdibi bù, eccoti a decimare le loro fila. Non vogliono mantenere l'equilibrio, vogliono spezzarlo! Vogliono uccidere l'Angelo e ribaltare la natura a loro favore!»

«Ribaltare... cosa? Irima mi ha detto tutto il contrario!» scossi la testa. Non potevo crederci: mi fidavo di Irima, nonostante tutto quello che avevo passato. Mi aveva aiutata a salvare Stiles, mi aveva tirata fuori dai guai...

«È sparito per un po', Emma. Era con loro! Mia madre è con quei fuori di testa... è stata lei a tirarlo in mezzo. Prima era con i Druidi, ora invece... si è schierato con i Necromanti. Io volevo tenerti al sicuro, ma ho fatto un casino... è peggio di prima!»

Parlava velocemente, e quando la sua voce s'incrinò affondò le mani nei capelli e la sua schiena tremò. Non capii se stava trattenendo dei singhiozzi o la trasformazione.

Con la testa che vorticava, mi avvicinai a lui e gli appoggiai una mano sulla schiena.

«Neir... non è colpa tua.» fu la prima cosa che mi venne in mente.

Lui si scostò come scottato dal mio contatto.

«Sì invece! Dovevo dirtelo subito, io...» alzò lo sguardo, e vi lessi profonda vergogna «gli ho dato io il coltello d'argento. Loro l'hanno immerso nello strozzalupo e nello zolfo, e io dovevo... però non ce l'ho fatta, e l'ho fatto fare a lui. Così hai ucciso un innocente.»

Si piegò ancora di più verso il basso, tremando ancora più forte.

La consapevolezza di ciò che era successo arrivò come un pugno. Tutto acquistò senso: ero stata per tutto il tempo sul fronte sbagliato. Ingannata ed avvelenata da chi mi era più vicino. E l'unica persona che non mi aveva mai voltato le spalle, Stiles, mi odiava. O almeno era quello che mi aveva fatto capire.

«Ti hanno ridotto loro così?»

Lui annuì appena.

«Gli ho detto che non volevo farlo, e loro... Irima non voleva e l'hanno mandato via, ma...» rabbrividì. Quel povero ragazzo spezzato, ficcato come me in una guerra troppo grande per lui, si stava torturando per il senso di colpa, quando era stato qualcun altro a torturarlo. Ogni accenno di rabbia e dolore svanì, e provai solo affetto.

Gli accarezzai i capelli delicatamente, sperando che si calmasse, come si fa con i bambini. Perché eravamo quello: bambini cresciuti troppo in fretta.

«Vieni, ti pulisco un po'.»

Lo presi per mano e lo guidai verso il bagno, per poi farlo sedere sul bordo della vasca. Teneva sempre il volto piegato, e per lavargli il viso con l'acqua fresca dovetti alzarlo con la forza, combattendo contro il suo senso di vergogna.

Tamponai l'occhio nero mentre mi raccontava di guanti e tirapugni d'argento, di ventagli allo strozzalupo e diffusori allo zolfo... dovetti parlare io per farlo smettere.

«Un paio di giorni fa ho litigato con Stiles.» dovevamo cambiare argomento, e prima o poi avrei dovuto affrontare la situazione di petto... quello sembrava il momento adatto.

Lui deglutì appena. «Perché?»

Feci spallucce «Una cazzata, ti basti sapere questo. Solo che è arrabbiato, e devo lasciarlo sbollire per un po'.»

Lui annuì, pensoso.

«Quindi non state più insieme.»

Strinsi le labbra e scossi la testa. «Teoricamente. Ma gli passerà.»

Detta così, la situazione sembrava peggiore di come l'avevo dipinta nella mia testa.

«Ne sono sicuro.» disse, con un tono un po' di scherno. Applicai di proposito più pressione di quant'era sufficiente mentre gli tamponavo il taglio all'angolo del labbro, provocandogli un gemito e poi una risata.

«Se è arrabbiato con te è solo scemo. Non capisce quanto tieni a lui e quanto ti sei spezzata la schiena per tenerlo al sicuro... quanto è importante per te. È un cretino cieco. Un crecieco.»

Mi strappò un sorriso, e sorrise anche lui.

Cadde il silenzio, e lo sguardo passò verso un lembo della maglietta strappato con del sangue raggrumato sopra.

Sospirai «alza le braccia» gli ordinai, e lui eseguì con una smorfia.

«Se volevi vedermi nudo bastava dirlo.»

«Zitto, scemo!»

Il busto era colorato da svariati lividi e abrasioni, ma si poteva rimediare. Presi un altro panno, lo inzuppai d'acqua fredda e cominciai a passarglielo sulla pelle, in modo da togliere ogni traccia di zolfo, argento e strozzalupo, che gli impedivano di farlo guarire.

«Emma.» «Silenzio, mi sconcentri!» «È importante.»

Bagnai il panno di disinfettante sperando che stesse zitto, ma l'unico risultato fu un cambiamento del tono di voce, più flebile e dolorante.

«Brucia?» chiesi, mentre passavo sopra un'abrasione con del sangue raggrumato sopra e un alone giallo ancora presente, che sfregai via appena ne sentii l'odore.

«Da morire.» «Bene.»

Accennò una risata.

Quando ebbi finito appallottolai la sua maglietta e la buttai nel cestino, ignorando le sue proteste.

«È ancora piena di quelle schifezze. Te ne vado a prendere una di mio...» mi fermai e liquidai la frase con un gesto della mano «torno subito.»

Andai velocemente verso la camera matrimoniale, aprii un cassetto e tirai fuori la maglietta più grande che vidi. Mio “padre” era sicuramente meno massiccio di Neir, però quella gli sarebbe stata a pennello.

Quando mi raddrizzai intercettai la mia immagine nella specchiera. Ero sfatta, sembravo una “casalinga disperata” a fine giornata. La mano bendata non aiutava affatto a migliorare il quadro generale.

Tirai in dentro la pancia e gonfiai il petto, cercando di imitare il fisico perfetto di Erica. Niente da fare, non mi ci avvicinavo nemmeno. Stavo per tornare di sotto, quando uno sfarfallio colorato catturò la mia attenzione. Tornai a fissare la mia immagine riflessa, e vidi un intenso, accusatorio brillio blu scintillare nei miei occhi, per poi sparire com'era arrivato.

 

 

 

 

 

 

Back in black!

 

Allora... eccomi qua.

Lo so, sono passati quasi due mesi. Mi dispiace un sacco! Però in compenso ho scritto un capitolo "bomba" (ci ho messo tanto proprio per quasto) e più lungo degli altri, in media. 

Spero che vi sia piaciuto! ^-^

Ringrazio le tre buone anime che mi hanno recensito e mi scuso per non aver risposto, ma avevo vergogna a farlo dopo un mese, perché non ero entrata per un po' e non le avevo viste... imploro perdono cwc

Comunque aggiornerò ancora alle tre recensioni, anche se me le fatte tutte in un colpo (?) -almeno spero-

Coomunque è quasi Natale... questo è il mio periodo preferito dell'anno, ho tanto tempo per leggere e scrivere e tra una settimana c'è la nevaH *w* 

Buon Natale a tutti voi, vi auguro il meglio per l'anno nuovo!

Sara <3 

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Capitolo 12
*** Love. ***


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Chapter twelve: Love.

 

 

These lazy days are way too long
Like razor blades, under your tongue

 

Questi pigri giorni sono troppo lunghi

Come lame di rasoi sotto la tua lingua

 

3oh!3 – Streets of gold

 

 

 

 

Tornai di sotto ancora scossa, e lanciai la maglia a Neir senza pensare a quanto sarebbe stato difficile per lui prenderla al volo, visto lo stato in cui era. Infatti la fissò cadere ed afflosciarsi ai suoi piedi, per poi borbottare qualche lamentela e chinarsi a prenderla con una smorfia.

«Devi andartene prima che arrivi Irima. E i miei. Ho un piano, credo. Quelli lì, i druidi, sono i buoni giusto?»

«Non esattamente. Sono neutrali... prendono solo la parte della natura e dell'equilibrio. Né bene né male, né bianco né nero:sono la perfetta tonalità di grigio.»

Lo fissai e basta.

«Ok, sono i buoni. Vai avanti!» sbuffò lui, cercando goffamente d'infilarsi la maglia.

Picchiettai con il dito sul fianco, poi sospirai e andai ad aiutarlo spinta dalla pietà.

«Ecco. Dobbiamo avvertirli di quello che vogliono fare quei pazzi, magari andando a cercare a casa di Irima qualche libro, o registro... senza farglielo sapere, ovviamente.» la testa del ragazzo spuntò fuori dal groviglio di tessuto, e annuì per incitarmi ad andare avanti. Gli piegai un braccio con attenzione per infilarglielo nella manica, e lo vidi mordersi forte il labbro per non emettere un suono. L'avevano ridotto davvero male. «Quindi li aiuteremo, faremo quello che ci diranno... con un intero branco di mutaforma dalla loro parte li faranno a polpette, sicuro. Poi abbiamo i cacciatori... dovremmo convincerli ad aiutarci, ma non credo ci crederanno. Dovranno aver infinocchiato anche loro per poi programmare di farli fuori. Allison dovrà sfoderare quegli occhioni da cerbiatta... scusa!» avevo allungato troppo l'altro braccio. Quando entrambe furono infilate, se l'abbassò da solo permettendomi di allontanarmi verso la cucina per prendere qualcosa da mettere sotto i denti.

«E Stiles?»

Mi bloccai con una bustina di tè a mezz'aria.

«Che intendi?» sapevo benissimo a cosa si riferiva, ma preferivo lasciargli l'imbarazzo della domanda. Così magari non l'avrebbe posta.

«Insomma, credi davvero che quel ficcanaso non voglia partecipare al piano anche se ce l'ha con te? Non dirmi che sei così ingenua.»

Presi il bollitore, lo riempii d'acqua del rubinetto e lo misi sul fuoco «E' per questo che non glielo diremo.» scartai due bustine e le appoggiai sul bancone, per poi andare verso il frigorifero «Lui oggi andrà a scuola con lo stomaco pieno, studierà per diplomarsi e andare al college, avere un lavoro e andarsene via da questa maledetta città-faro.» inghiottii un fiotto di saliva amaro come il veleno e salato come le lacrime mentre affettavo un limone «E se non vorrà, ce lo spedirò a calci.» premetti con troppa forza su una metà del limone, schizzandomelo negli occhi. Imprecai sottovoce e annaspai in cerca del rubinetto, sciacquandomi la faccia con l'acqua gelida in cerca di sollievo.

«E Scott? Credi che gli terrà segreta una cosa del genere?» il mio super-udito percepì un'evidente nota di scherno nella sua voce, che ignorai. Ero troppo distratta dal bruciore acutissimo agli occhi, aumentato dalla sensibilità soprannaturale.

«Se non lo farà gli strapperò il fegato con le mie mani!» esclamai, pur sapendo che non ce n'era bisogno: mi avrebbe sentita benissimo anche sussurrando. Ricevetti in risposta una risata sommessa, e continuai a sciacquare gli occhi finché il dolore non cessò. Quindi tagliai gli spicchi salvabili (ad occhi chiusi, stavolta) spensi il fuoco e misi le bustine nell'acqua bollente, per poi aprire un pacchetto di biscotti.

«Seriamente, però: io non voglio che gli venga fatto ancora del male, né dagli altri...» cominciai, mentre tornavo in salotto.

«Né da te.» finì lui la frase per me, con tono nuovamente serio.

Mi sedetti sul divano ed annuii. Lui si spostò (non senza difficoltà) fino ad arrivarmi abbastanza vicino da potermi circondare con un braccio. Appoggiai la testa sulla sua spalla e chiusi gli occhi, attenta a non fargli male.

«È una merda, lo so.» cominciò «Però possiamo comunque rendere tutto meno difficile, smettere di tirarci addosso questi casini. Cominciare a scegliere le persone giuste, di cui ci possiamo fidare e...» «che non ci dobbiamo fare in quattro per proteggere.»

Mi raggomitolai addosso a lui, ed entrambi sospirammo.

«Andiamocene via. Alle Bahamas, in Nuova Zelanda... dove vuoi. Andiamo agli Harry Potter Studios!» sembrava serio, anche se non potevo vederlo in faccia. La maglietta stava già perdendo l'odore del detersivo usato dai miei, e acquisendo quello della pelle del ragazzo. «A Parigi, a mangiare macarons con il mignolino alzato e fare gli snob.» aggiunsi, strappandomi un sorriso al solo pensiero. «In Germania, ad abbuffarci di torta sacher!» «In Italia, a mangiare talmente tanta pizza e pasta da svenire!» «In Cina a vedere la muraglia!» «A Los Angeles per il comic con!» «Nerd.» lo spinsi di lato in risposta, facendolo cadere a peso morto sui cuscini ridacchiando. Tornò seduto e mi abbracciò di nuovo, passando le dita della mano su e giù sul mio avambraccio. Un flash mi riportò a Stiles, e mi scostai di lato istintivamente.

La cosa non sfuggì a Neir: si voltò a guardarmi e aggrottò le sopracciglia, scuotendo leggermente la testa. Non dissi niente: feci leva sui pugni per alzarmi dal divano, ma il braccio teso del ragazzo mi ributtò a sedere sfruttando l'effetto sorpresa.

«Dicevo sul serio.» disse, con un tono strano, velato d'incertezza. Questa volta l'occhiata confusa toccava a me.

«Vuoi andartene sul serio?» chiesi, mettendogli una mano sul braccio per scostarlo. Non oppose resistenza e mi alzai velocemente, andando in cucina per togliere le bustine dall'infusione.

«No, parlavo dello scegliere... del frequentare persone come noi.» la sua voce aveva ancora quel tono insolito, che senza sapere perché m'inquietava.

«Non credo che funzionerebbe. Stiles...» non finii la frase: le parole mi si erano bloccate in gola. Spruzzai il limone nel thé e lo versai in due tazze, che misi su un vassoio assieme allo zucchero, due cucchiaini e il pacco di biscotti. Portai il tutto in salotto e l'appoggiai al tavolino. Neir era ancora nella stessa posizione di come l'avevo lasciato.

«Stiles è un idiota; l'ho sempre pensato. Crede di sapere tutto, vuole impicciarsi in ogni questione possibile... eppure non riesce neanche a tenere suo padre lontano dai casi, figuriamoci dalla bottiglia...» il suo tono era cambiato di nuovo: coglievo anche rabbia, e quando lo guardai, ad occhi sgranati, aveva la mascella tesa.

«NEIR!» La mia voce bastò a fargli distogliere lo sguardo dal biscotto che si rigirava tra le mani «Non ti permettere neanche...» non mi lasciò finire: balzò in piedi, lasciando cadere a terra il biscotto ridotto in briciole.

«Smettila di difenderlo! Ti ha ferita, ti ha messo i bastoni fra le ruote e tu lo difendi ancora! Sei cieca, per caso? Ti sta rovinando!»

Lo spinsi talmente forte che andò a sbattere contro il muro, crepandolo.

Lui tossicchiò e gemette, sbuffò e si mosse, senza però riuscire a rimettersi in piedi. Mi ero dimenticata delle brutte ferite che gli avevo appena medicato. Dovevo avergli rotto ancora una costola o due. Spinta dalla frustrazione diedi un pugno al muro più vicino a me, lasciando il segno evidente del mio passaggio su un vecchio quadro e spargendo pezzi di vetro ovunque. Lo presi con rabbia e mi allontanai verso la porta a grandi passi.

«Esci prima che arrivino i miei, o dovrai arrangiarti con le spiegazioni. Se vedi Irima digli che sono in Francia.» e con questo uscii, sbattendo la porta dietro di me. Perfino il mio rapporto con Neir si era frantumato, e quando ormai ero alla fine del vialetto mi accorsi che non avevo idea di dove andare. Non avevo una casa, senza Stiles e Neir. Erica stava con Isaac e Boyd, quindi non avremmo potuto parlare in pace, e comunque in quel periodo non eravamo abbastanza vicine da sentirmi completamente al sicuro. Chi rimaneva? Irima? Allison, Lydia, Jackson, Deaton e la Morrell?

Giuda ballerino.

Un'improvvisa sensazione di profonda solitudine mi strinse il petto in una morsa mortale. Cominciai a correre, più veloce che potevo, senza alcuna destinazione. Le mie gambe mi portarono alla Beacon Hills High School. Scavalcai il cancello con facilità e mi diressi verso l'entrata, evitando accuratamente d'incontrare qualche bidello o insegnante e nascondendomi il più possibile alle telecamere. Il tepore dell'edificio mi ricordò quanto facesse freddo fuori, senza una giacca a coprirmi, nonostante il corpo da mutaforma. Seguii l'odore di Stiles tra gli altri mille e più, fino ad arrivare all'aula di storia.

Mi sedetti appena fuori ed ascoltai, tra le decine di sussurri, il graffiare delle penne e il vibrare di un telefono, il fruscio delle pagine e picchiettio delle dita sui banchi. La sua voce mi arrivò come disinfettante su una ferita aperta: dolorosa e dannatamente risanante.

«Dici? Cioè, forse hai ragione, ma lei mi ha mentito!»

«Voleva farti una sorpresa, Stiles! L'ha detto Erica, no?»

«Ah, adesso ci fidiamo della parola di cat woman? Le donne fanno così, cuciono ragnatele, confondono le nostre menti...»

«Fidati di me, con Allison...»

«Giusto, Allison. La ragazza con cui hai un meraviglioso e stabile rapporto, giusto casanova?»

Non riuscii a trattenere un sorriso. Per fortuna che Erica era mia amica; non avrei dovuto sottovalutarla in quel modo. Dicendogli tutto, probabilmente mi aveva salvata.

«Senti, tu sai cosa prova per te. Non te l'ha mai detto apertamente, ma neanche tu l'hai fatto-»

«Perché me la faccio addosso al solo pensiero!»

«Anche con Allison -stai zitto- per me è stato difficile, ma poi... poi è andato tutto meglio! E poi pensa, la tua ragazza ha le ali! Non è la cosa più figa...»

Stiles abbozzò una risata, poi ci fu una pausa. Probabilmente un'occhiataccia del professore. Dopo poco, però, ricominciarono come previsto.

«Allora andrò da lei dopo le lezioni. Ma devo scusarmi?»

«Devi sempre scusarti.»

«Ma io non ho-»

«Devi sempre scusarti.»

«MA IO-»

«Stiles.»

«Donne.»

«Già.»

«Fiori o cioccolatini?»

«Entrambi, l'hai fatta grossa.»

Ci fu una seconda paura, e mi misi a sedere più comoda sul pavimento freddo.

«È che... mi manca.»

«Ti capisco-»

La campanella mi colse alla sprovvista: entro un paio di secondi sarebbero spuntati fuori dall'aula, per non arrivare in ritardo alla seconda ora.

Arrancai a carponi per un paio di metri, poi saltai in piedi e m'infilai di corsa nel bagno delle ragazze. Mentre avevo un piede ancora fuori, Stiles e Scott infilarono il corridoio; ce la feci per un pelo. Con il cuore che pompava sangue furiosamente, mi appoggiai al muro con la schiena e sospirai. Meglio aspettare un paio di minuti, per essere sicura di non incrociarlo nei corridoi.

Lo cercai di nuovo, scandagliando tra le voci degli studenti, e stavolta mi ci volle di più.

«Hai saputo qualcosa poi, della faccenda dell'avvelenamento? Derek ti ha detto niente?»

«No, ma Deaton ha detto qualcosa sullo zolfo... devo andare alla clinica dopo scuola, ha detto che mi deve spiegare una cosa.»

«Me lo dirai, giusto?»

«Ovviamente. Ah, alla fine hai superato quel livello in call of duty?»

«Macchè, quelle fottute granate mi uccidono sempre...»

Li sentii allontanarsi sempre di più, poi la campanella suonò di nuovo (perforandomi le orecchie, che avevo sforzato al massimo) e la conversazione fu troncata.

Deaton sapeva qualcosa, forse. Era molto più sicuro andare da lui, piuttosto che rovistare nell'appartamento di Irima senza sapere neanche cosa cercare. Perché non ci avevo pensato prima?

Ah, giusto. Lo sconvolgimento emotivo.

Sgattaiolai fuori dalla scuola, evitando accuratamente i corridoi coperti dalle telecamere e voltandomi in modo da nascondermi almeno parzialmente. Non avevo mai avuto sanzioni per fughe del genere, ma non si sa mai.

Quando uscii, il freddo era molto in basso nella scala delle mie priorità. Avevo e avrei affrontato di peggio, molto peggio.

Ero stanca, però. Talmente stanca, sia psicologicamente che fisicamente, che quando arrivai davanti a casa mia le mie gambe si fermarono da sole. Indugiai e tesi l'orecchio: nessun suono. Neir se n'era andato, mio “padre” era ancora dal veterinario con Spina e mia madre ancora al lavoro. Avevo poco tempo, quindi dovevo sbrigarmi.

Entrai, e la situazione era peggio del previsto: i pezzi di vetro erano ovunque, striati qua e là del sangue del mio pugno. La crepa lasciata da Neir era evidente, ma recuperabile: coprii la parte ad altezza d'occhio con un quadro, ed il resto era una spanna che sperai non fosse troppo visibile. Raccolsi con la scopa i cocci e rovistai in cantina in cerca di una cornice da sostituire a quella del quadro. Ovviamente, non la trovai. Quindi lo riposi dietro una vecchia sedia a dondolo, sperando che nessuno ne notasse l'assenza.

Il tè era ancora sul tavolino, ormai freddo. Lo rimisi sul fuoco sentendo il bisogno di riscaldarmi le viscere.

Era strano saltare la scuola, ma non mi dispiaceva affatto, anzi.

Andai in camera mia, portandomi dietro il vassoio del tè e un libro che avevo abbandonato da tempo presa dai miei impegni, e mi accorsi che era ancora chiusa a chiave dall'interno. Dovetti fare il giro ed entrare dalla finestra, pregando di non essere vista, per poi richiuderla di nuovo una volta dentro con i miei “bagagli”.

Restai chiusa là dentro per ore, leggendo e bevendo quella delizia bollente, stando rinchiusa nel mio piccolo angolo di calma. Quando mio padre tornò, sentendo dei movimenti venne a chiamarmi: aprii la porta e assunsi l'espressione più dolorante che potevo mostrare, lamentai dei crampi da ciclo ed evitai ulteriori domande, ma lasciai entrare la piccola Spina. Richiusi la porta dietro e tornai al mio libro, rannicchiata sotto il piumone e con il cagnolino in grembo.

Le feci dei grattini dietro le orecchie, sospirando.

«Che vita che fai, eh? Le tue più grandi paure sono i vaccini e la vasca da bagno...» bagno. Doccia. Ne avevo bisogno.

Seguita dallo sguardo curioso della cagnolina, lasciai una scia di vestiti fino al bagno comunicante con la mia stanza, entrando in doccia senza aspettare che l'acqua si riscaldasse. Il getto freddo mi lavò via la stanchezza, trasformandosi via via in acqua bollente dalla quale mi lasciai coccolare. Ne uscii dopo una mezz'ora abbondante, rigenerata ed accompagnata da una nuvola di vapore profumato.

Il cellulare lampeggiava: due messaggi. Entrambi da Stiles.

Scusa.”

Breve e coinciso. Mi strappò un sorriso. Il secondo era ancora meglio:

Vieni da me stasera a cena, regina dei miei pensieri e sovrana della pazienza, tu che mi sopporti e non mi molli, tu che mi porti il cibo senza volere niente in cambio... insomma, vieni. Per favore.”

Saltai il pranzo: avevo lo stomaco accartocciato,e pieno di tè bollente fino a scoppiare.

Aspettai fino alle sei, con una gamba che tremava per nervosismo e le dita che tamburellavano sulla scrivania per l'impazienza mentre cercavo di recuperare qualche lezione, inutilmente.

Alle sei e mezza in punto non ce la feci più. Mi vestii con un paio di leggings neri comodi e una felpa lunga, rossa. Mi truccai un pochino, con una riga d'eyeliner nero e un rossetto di colore naturale.

Ficcai un po' di cose in borsa ed uscii di casa dicendo ai miei che uscivo, ignorando le loro proteste con il cuore che mi martellava nel petto.

Erano passati pochi giorni, ma le mie gambe stesse dicevano quanto mi mancasse, sfrecciando sui marciapiedi fino a casa Stilinski.

Suonai il campanello ed aspettai.

 

 

 

 

Jingle Bells, Sherlock Fell...

 

Heilà! :)

Due settimane di attesa, questa volta. Visto? Sto migliorando u.u

Spero che abbiate passato un buon Natale e che passerete un buon capodanno!

Un multifandom countdown, a chi interessa:

Mancano 4 giorni a Sherlock, 9 alla 3B di Teen Wolf, 10 a Pretty Little Liars, 82 a Divergent, 160 al film di Colpa Delle Stelle, 265 a The Maze Runner (il film con Dylan sdkfjdsjfkds) e 327 a Il Canto Della Rivolta parte 1. 

Grazie per aver letto, vi chiedo gentilmente di lasciare una recensione *-*

Posterò alle 4 recensioni, una in più dell'altra volta, ma credo proprio che le raggiungerete miei piccoli seguaci (?)

Il prossimo capitolo sarà tutto Stemma, quindi preparate cioccolata calda e coperte, perché sarà tutto coccoloso (?)

Un bacio sotto il vischio,

Sara <3

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Capitolo 13
*** Make love. ***


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Chapter thirteen: Make love.

 

 

Everybody told me love was blind
Then I saw your face and you blew my mind
Finally, you and me are the lucky ones this time

 

Tutti mi hanno detto che l'amore è cieco,

Poi ho visto il tuo viso e mi hai fatta impazzire.

Finalmente tu ed io siamo i fortunati, questa volta.

 

Lana del rey – Lucky Ones

 

 

 

 

 

 

 

La bistecca succosa mi fissava dal piatto con sguardo languido, invitandomi a mangiarla. Avevo una fame dannata, il mio stomaco era vuoto completamente da ore ormai e non facevo un pasto decente da giorni. Sapevo anche senza provarci che, se avessi provato a spiegare le ali, non ci sarei riuscita.

Unii le mani in grembo ed aspettai che Stiles si sedesse, tornando dai fornelli. Sapevo che da quando la madre era morta era lui ad occuparsi della maggioranza delle faccende di casa, dalla cucina al bucato. Non immaginavo però che la carne gli riuscisse così fantasticamente bene. Il mio stomaco gorgogliò e lottai per non cominciare a strappare la bistecca con i denti e poi andare a caccia di topi vivi, come il mio rapace interiore mi urlava di fare.

«Come ti sembra?» chiese, e anche se era di spalle e non potevo vedere la sua espressione sentii chiaramente una nota speranzosa nel suo tono di voce.

Indossava un paio di jeans ed una camicia, lasciata fuori dagli stessi, ma non era delle sue solite camicie plaid: era una camicia vera. E aveva pure la cravatta. Una mescolanza perfetta tra elegante e casual, un tocco che avevo apprezzato parecchio. Si era messo in tiro per me, con tanto di capelli spazzolati alla perfezione e acqua di colonia.

«Se non ti sbrighi la divoro subito.» risposi, inebriata dalla mescolanza del profumo del cibo mescolato al suo. Era agitato, lo capivo dal battito del cuore accelerato e dal suo odore lievemente cambiato.

Si sedette con il suo piatto davanti a sé, e finalmente potei cominciare a mangiare.

«Dimmi tutto. Qualsiasi cosa tu non volevi dirmi perché avevi paura della mia reazione, o quello che non ti ho lasciato spiegare, o quello che hai fatto in questi giorni. Dimmi tutto e ti giuro che non ti giudicherò.» il tono era più serio di una pietra tombale.

Mandai giù un grosso boccone e bevvi un sorso d'acqua «Allora, da dove cominciare.» Ho ucciso un uomo ma non ne sento il rimorso. Ho litigato con tutti, se non avvertiamo al più presto i druidi moriremo e invece siamo qua a mangiare e chiacchierare... ah, ti ho parlato del fatto che voglio trascinarti per le orecchie via da questa città e lontano da me?

Tossicchiai fingendo di avere qualcosa di traverso, ma in realtà erano le parole a minacciare di soffocarmi.

Alzai lo sguardo su quegli occhi color cioccolato, e non ce la feci a confessargli di aver preso una vita innocente. Così decisi di lasciarla per ultima, quella notizia, e di parlargli prima di tutto del tradimento di Irima. Gli confessai i miei pensieri e le mie preoccupazioni, gli parlai di tutto e di più.

Quando ebbi finito, la bistecca lui l'aveva appena toccata.

«Merda.» mormorò, passandosi una mano tra i capelli. Mi sentivo in colpa per avergli rovinato la serata, ma me l'aveva chiesto lui...

«Eh già.» dissi soltanto, tornando al mio cibo. Restammo in silenzio per un po', con in sottofondo soltanto il suono delle posate contro i piatti. A stomaco pieno mi sentivo già meglio, ma mi serviva altro cibo. Mi sentivo ancora troppo debole per i miei gusti.

Come se mi avesse letto nel pensiero, portò in tavola una torta al cioccolato fuso.

«Oh Dei!» esclamai appena la vidi, e ridemmo entrambi della mia reazione.

«Mi ricordavo... mi avevi detto che era la tua preferita.»

Con tutti i disastri che stavano accadendo, lui si era ricordato la mia torta preferita.

Ti amo.

Quelle parole erano lì, in fondo alla mia gola, pronte ad uscire. Perché non uscivano?

Mi servii una fetta che era il doppio della sua, usando il tovagliolo ad ogni morso per paura di sporcarmi tutta la faccia di cioccolato, come facevo sempre.

«Mi mancavi da morire.» mormorai, mentre lo guardavo grattarsi via dalla camicia una macchia di cioccolato, a labbra strette come sempre quando era frustrato.

Lui alzò lo sguardo, sorpreso quanto me di sentire delle parole tanto intime. Un conto era scriverle, ma dirle... non ero mai stata in grado di farlo, a parte per qualche eccezione.

Provai un fortissimo istinto di saltare sul tavolo e baciarlo per ore ed ore, ma conficcai le unghie nella mano e restai ferma. Dovevamo ancora affrontare un argomento, delicatissimo, e poi si sarebbe visto.

«Allora Neir...» cominciò, e la tensione era palpabile. Si schiarì la voce e si alzò di scatto, prendendo piatti e tovaglioli e portandoli sul bancone della cucina, per poi farmi segno di seguirlo in salotto. Ci sedemmo uno accanto all'altra sul divano, e solo allora parlò di nuovo. «Mi assicuri che non c'è niente.»

«Te lo giuro.» risposi, all'istante. Io ero sicura di non vederlo in quel modo. Certo, era un bravo ragazzo almeno relativamente, ed era molto bello... il punto era che non era Stiles.

«E lui non...» lo bloccai, prendendogli le mani «Stiles. Anche se fosse un dio, anche se mi facesse tutte le avances possibili ed immaginabili... io sceglierei sempre te. E se non l'hai ancora capito, allora ha ragione a dire che sei un idiota.» lo dissi in tono dolce, ma vidi un lampo di rabbia nei suoi occhi quando in pratica gli confermai che Neir stesso gli aveva dato dell'idiota. Ma poi quello sparì, e finalmente fui libera di baciarlo. M'inclinai verso di lui, e sfiorai le sue labbra con le mie, ma poi l'urgente bisogno di contatto spinse entrambi ad approfondire il bacio. Non ero esattamente leggera come una piuma, ma mi prese per i fianchi e mi sistemò velocemente a sedere sulle sue gambe. Dovetti utilizzare tutto l'autocontrollo che mi era rimasto per non impazzire, visto il modo in cui eravamo intrecciati e tutti quei baci che mi annebbiavano la mente, uno dopo l'altro. Combaciavamo come due pezzi di un puzzle. Tutti quei buoni propositi sul lasciarlo andare, la convinzione che lontano da me sarebbe stato meglio... avevo accantonato tutto. Avevo troppo bisogno di lui in quel momento, fisico e psicologico.

«Emma.» mi allontanò di poco, tanto da lasciarlo parlare. Tenni gli occhi fissi nei suoi, i battiti cardiaci che sgarravano il ritmo continuamente, pronta a qualunque cosa. «In questi giorni ci ho pensato su. Non m'importa che tu sia wolverine, come non mi è importato per Scott.» sorrisi, giocherellando con un ciuffo dei suoi capelli, e sembrò pensarci su per poi riprendere in tono più urgente «Cioè mi è importato, e a volte ero anche invidioso, e avete entrambi tentato di uccidermi, ma...» sospirò e mi avvolse con le braccia, facendo sciogliere dentro di me anche l'ultimo briciolo di tensione che mi rimaneva «per quanto faccia male lasciarsi, stare da soli è molto peggio. Io-»

Lo bloccai velocemente, appoggiando di nuovo le labbra sulle sue. Non mi serviva sentire altro, sapevo tutto. Lui era sempre stato migliore di me.

«Ti amo.» dissi, così vicina che mi sembrò di riuscire a vedere l'universo nei suoi occhi.

Il tempo sembrò fermarsi. Quelle parole erano strane, dolci ed amare allo stesso tempo, ma sembravano fatte apposta per essere pronunciate.

Eravamo sempre più intrecciati, secondo dopo secondo sembravo più vicina a farmi esplodere il cuore dal petto. Era il paradiso, né più né meno. Anzi, di più se si poteva fare.

Il respiro di entrambi era un po' affannato mentre cercavo il contatto con la sua pelle bollente, tenendo una mano sul suo collo e una sul suo viso. Mi teneva così stretta che credevo ci saremmo fusi, e quasi ci speravo.

«Non respiro più» mormorò a due millimetri dalle mie labbra, e ridemmo tutti e due. Armeggiò con la cravatta con le dita che gli tremavano, e dovetti aiutarlo io a sfilarla. Quel gesto portò entrambi allo stesso pensiero, e vidi le sue guance avvampare.

«Io...» lo zitti di nuovo, con un altro bacio. «Lo so.»

Poi lo sentii. Il pizzico alle scapole, il formicolio dei polpastrelli. Mi fermai e lo allontanai tornando a sedere sul divano per calmarmi più facilmente, cercando di fare dei respiri profondi.

«Oh! Ti ho fatto male?» chiese, e quella domanda mi fece sorridere. Lui, l'umano con la pelle pallida e le ossa fragili, quello che si riempiva di lividi a lacrosse e le cui labbra sanguinavano quando arrivava il gelo, chiedeva a me, la mutaforma semi-indistruttibile, se mi avesse fatto male.

Scossi la testa e risi, unendo le mani per nascondere gli artigli semi-formati. La cosa non gli sfuggì.

«Ah.» mise le mani sopra le mie e ne accarezzò il dorso con i pollici, piano.

«Scott ha detto che succede. Adesso... adesso lo sistemo.» borbottai, a occhi chiusi.

Lui continuò a coccolarmi con quel gesto in silenzio, per un paio di minuti.

«Scott ti ha detto altro? Insomma, se mentre-»

«Stiles, così non mi aiuti.» lo zittii, e lui si schiarì la voce. Non potevo vederlo, ma sapevo che era teso e stava trattenendo una risata nervosa.

I secondi passavano, e il processo inverso avveniva lentamente. Dopo un'altra manciata di minuti avevo ripreso il controllo.

Aprii gli occhi e trovai i suoi, ansiosi.

«Fatto?» chiese, liberando le mie mani dalle sue cercando conferma nelle mie unghie tornate normali.

«Fatto.»

Mi prese per i fianchi e con un balzo tornai a sedermi in braccio a lui. Stetti più attenta quella volta, e né artigli né zanne si fecero vedere.

«Ti va di andare di so-» «Subito.»

Mi prese per mano e salimmo le scale più veloci che potemmo, inciampando e aggrappandoci l'uno all'altra con sorrisi larghi da un orecchio all'altro.

Spegnemmo le luci del corridoio ma nella fretta mancammo l'interruttore di camera sua, finendo sul letto nel buio quasi totale. Ci volle un poco per abituare gli occhi all'ombra, e i raggi lunari che filtravano dalla finestra aiutarono a intercettare le sue pupille ora color cioccolato. Un velo d'imbarazzo calò sulla situazione, quando ci rendemmo conto di ciò che stava realmente accadendo. L'unico rumore era quello dei nostri respiri, i corpi immobili e tesi.

«Sei sicura che-» «Sì.» «Ma vuoi lasciarmi parlare?»

La tensione fu spezzata da una risata.

Sì, era lui.

Ed era mio.

Si avvicinò lentamente, lasciando passare i secondi con tutta tranquillità. Avevamo tutto il tempo del mondo. Ogni fibra del mio corpo si tendeva contro di lui, ma mi costrinsi a rimanere ferma.

Mi baciò sulle labbra, dolcemente, poi si spostò sullo zigomo, sfiorò il profilo della mascella, il lobo dell'orecchio.

«Come vado?» sussurrò, e l'unica risposta che riuscii a dare fu una risatina agitata.

Scese ancora con le labbra lungo il collo, accarezzò le clavicole e arrivò al colletto della felpa. Socchiusi gli occhi e buttai la testa all'indietro, inebriata da tutte quelle sensazioni.

«Posso?» mormorò ancora, prendendo il lembo inferiore della felpa. Annuii, e quella volò via. Scese ancora con le labbra, sfiorò il ferretto del reggiseno ma passò oltre. Ombelico, poi il bordo dei leggings. Ormai non respiravo più.

Si fermò, alzò lo sguardo e io abbassai il mio. Questa volta nessuno parlò. Bastarono gli occhi.

Per il resto della notte, non ci fu una parola che non fosse sussurrata o soffocata, mentre tutto il resto esplodeva. Curiosi l'uno del corpo dell'altra, esplorammo, ridemmo, ci dicemmo talmente tanti “ti amo” che persi il conto. Sembrava così perfetto, così... giusto. Ci appartenevamo come mai, ci amavamo come mai prima.

Le mie mani fredde contro la sua pelle bollente sembravano scatenare reale energia elettrica, pura e incontrollabile. Fu la nostra notte, e tutti i cocci tornarono a posto.

Poi il pizzicore tornò, mancando di poco il momento peggiore possibile per comparire.

Era dolore fisico all'altezza delle scapole che mi fece aprire gli occhi e allontanare dalle labbra di Stiles, restando seduta in braccio a lui.

«Wow.» sussurrò, prendendomi le mani e intrecciando le dita con le mie. Si lasciò cadere la schiena sul letto, senza però smettere di fissarmi. Solo in quel momento si accorse della mia bocca stretta e la fronte aggrottata.

«Che succede? Ho fatto qualche...» balzò a sedere di nuovo e mi accarezzò la guancia con il pollice.

«No, è...» mi fermai e gli appoggiai le mani sulle spalle, cercando di fermare le ali.

Non ora, al chiuso poi, dannazione...

«Posso fare qualcosa?» chiese, con quel suo tono preoccupato. Mi scostai da lui velocemente e arrancai fino al centro della stanza. Non ce l'avrei fatta a raggiungere la finestra, quindi era meglio limitare i danni. Il corridoio era troppo stretto, e il salotto lontano. Colpii qualcosa con il piede e caddi, imprecando per il dolore all'alluce. Che ore erano? Le tre?

Lo sentii litigare con le coperte e tentare di avvicinarsi.

«Aspetta! Stai... stai lì.» il letto cigolò rumorosamente, e seppi che era tornato a sedersi.

Uscirono lentamente. Cercai di distenderle negli angoli della stanza, ma erano troppo ampie e dovetti piegarle. Occupavano quasi tutta la camera, e le sentivo spiegarsi con quei meravigliosi fruscii... poi qualcosa cadde. Dal suono ne dedussi che era un portamatite. A quell'oggetto ne seguirono altri, ma non ci detti troppo peso: ero troppo concentrata sulle ali. Inarcai la schiena e con un sospiro spiegai anche gli ultimi centimetri.

«Sono quello che penso?» la sua voce era agitata, ansiosa, come quella di un bambino in viaggio per Disneyland.

«A-ha. Accendi la luce.» risposi, con il sorriso sulle labbra. Avvicinai le ginocchia al petto e appoggiai il mento a un ginocchio, aspettando che lui fosse in grado di vederle.

La luce mi colpì come uno schiaffo, ma i miei occhi si abituarono subito. Si era infilato i pantaloni del pigiama, e le sue labbra erano ancora rosse e gonfie di baci. Lo stesso le guance, rosate. Vidi le pupille luccicanti di Stiles dilatarsi e la sua bocca spalancarsi: gli cadde letteralmente la mascella.

Alzai un sopracciglio, ansiosa. Volevo sapere. Le trovava belle? Troppo grandi, troppo piccole? Come se le immaginava, tutte bianche come quelle di angelo o nere come quelle di un demone?

Spalancò le braccia «Sono vere!» saltò in aria e slanciò il pugno verso l'alto «La mia ragazza ha le ali!» esclamò, senza staccarne gli occhi di dosso.

Risi e misi un dito davanti alle labbra «Shht! Non vogliamo farlo sapere ai vicini!»

Si fermò e giunse le mani «Ah, hai ragione.» Si leccò le labbra e accennò con la testa alle due “nuove arrivate”.

«Posso toccarle?» sussurrò quella richiesta con la brama negli occhi.

«Certo. Ti mancano solo quelle da toccare..» risposi, e la reazione che ottenni fu quella che speravo: sembrò strozzarsi con la sua stessa saliva, sorpreso dalla frecciatina, poi scoppiò a ridere.

Si sedette davanti a me e allungò la mano verso l'ala sinistra. L'accarezzò dolcemente, come se fosse di cristallo.

«Non sono un uccellino, non si rompono.» mormorai, e il suo sorriso si ampliò ancora. Passò la mano su tutta la superficie che riuscì a raggiungere, guardandole con la meraviglia negli occhi.

«Sono bellissime, e... soffici. Sembrano fragilissime, eppure mi hanno distrutto la stanza. Hey, quanto riesci a sollevare in volo? E compaiono dal nulla o sono estese in tutto il tuo corpo? Puoi stare in aria quanto vuoi o c'è un limite di tempo? Sono più scure alla fine perché ti piacciono così o...» incrociò il mio sguardo divertito e si zittì. «Okay, te lo... te lo chiederò dopo.»

Gli presi il viso tra le mani e gli stampai un altro bacio sulle labbra. «Dopo.»

Le ritirai lentamente, in modo da mostrargliele tutte. Aveva i muscoli paralizzati, tanto era attento. L'ultima parte faceva sempre un po' male e solitamente acceleravo, ma stavolta era speciale e avrei sopportato.

«Emma?» «Sì?» «Voglio rimandare ancora un po' le domande.» mi prese per mano, spense la luce scandagliando con la mano sul muro e mi riaccompagnò al letto. «A molto dopo.» 


 




 

All you need is love, love, love *w*

 

Scusate il ritardo, ma il ritorno a scuola si sta rivelando più tosto del previsto >.<

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, l'ho riscritto un paio di vlte perché non mi piaceva mai... poi mi sono arresa e ho partorito l'ultima stesura.

Non sono un'amante delle scene pucci pucci / bow chica bow wow (????) ma per una volta ci voleva. Insomma, ve la devo no? Vi avevo promesso più Stemma, ed eccolo qua!

Grazie mille per le recensioni, il prossimo arriverà tra due settimane circa, alle 4 recensioni come il capitolo scorso.

Spero che stiate bene e che non abbiate insufficienze in tante materie / lavoro in sospeso / problemi di qualsiasi tipo. Se vi serve qualsiasi cosa, sono qui :) Ah, ho anche tumblr, quindi mi trovate anche là. Basta mandarmi un messaggio e vi darò il mio blog -non ricordo se ho aggiornato la scheda umh.-

Spero abbiate passato delle buone vacanze, comunque! 

 ... E se ve lo state chiedendo sì, sono in vena di romanticherie. Sì, c'entra un ragazzo. Sì, non ho speranze. Per cambiare, ugh. Parlatemi della vostra situazione amorosa, magari mi sentirò meglio cwc

 Un abbraccio,

 Sara <3

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Capitolo 14
*** Not easy at all. ***


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Chapter fourteen: Not easy at all.

 

 

 

 

 

Mi svegliai con un piede congelato scoperto dal lenzuolo, la faccia premuta contro il petto nudo di Stiles, accartocciata su me stesse come un armadillo. Mi stiracchiai e sbattei le palpebre un paio di volte, mettendo a fuoco il soffitto della camera del ragazzo. Uno sguardo attorno a me mi confermò che la sera prima avevo fatto un disastro, aprendo le ali. Una penna nera giaceva in mezzo alla stanza, riflettendo la luce flebile che entrava dalla finestra, filtrante dalle tende. Dei soprammobili erano rovesciati sulla moquette, la scrivania inspiegabilmente spostata verso il fondo di una trentina di centimetri. Mi passai una mano tra i capelli annodati e abbassai lo sguardo verso Stiles, ancora immerso nel sonno. Le labbra erano socchiuse, le palpebre distese nella pace onirica. Sorrisi ammirando i capelli scompigliati, il petto che si alzava e abbassava ritmicamente, la linea particolare della mascella.

Mi sembrava impossibile che fossi arrivata a stare con lui, anima e corpo. Eppure eccolo lì, e non volevo più spostarmi. Non resistetti e mi rannicchiai ancora, coprendoci entrambi con le coperte facendo il più piano possibile, e appoggiai l'orecchio sul suo petto. Riuscivo a sentire il suo cuore anche da lontano, ma mi piaceva accostarlo al contatto con la sua pelle profumata di bagnoschiuma, sudore e matite HB. Rimasi così un paio di minuti, poi mi costrinsi ad alzarmi. Lo scavalcai e camminai in punta di piedi fino al suo armadio, raccolsi la mia biancheria da terra e me la infilai velocemente, afferrai una maglia a caso da un suo cassetto e la indossai. Il tessuto mi scivolò addosso immergendomi nel profumo di ammorbidente, e sgattaiolai in cucina chiudendomi la porta alle spalle. Un'occhiata all'orologio mi confermò che erano appena le sette di mattina.

«Buongiorno.» una profonda voce maschile mi fece ghiacciare i muscoli. Strizzai gli occhi e mi morsi il labbro, maledicendomi per non averci pensato prima. Perché mi dimenticavo sempre di lui?

«Buongiorno, sceriffo.» risposi voltandomi, cercando di non far affluire il sangue alle guance.

Era evidente che fosse appena rientrato. Aveva indosso ancora la divisa, e stava mangiando un piatto di uova e bacon davanti al giornale del mattino. Colazione prima di andare a dormire? Mi piaceva il suo stile.

Aggrottai la fronte. «Bacon? Ma Stiles non l'aveva messa a die-» «Tu non dici niente a mio figlio e io non m'intrometto con conversazioni imbarazzanti sulle precauz-» «AFFARE FATTO.» ci fissammo ancora per una manciata di secondi, quindi passai all'attacco a latte e cereali. Facemmo colazione in silenzio, e quando l'altro ebbe finito mise il piatto nel lavandino e salì le scale verso camera sua.

Stiles dormiva ancora, quindi andai a prendere il mio cellulare sul tavolino del salotto e tornai a sedermi, riempiendo il cucchiaino con un'altra montagna di cornflakes. C'era un messaggio da Scott. Il cucchiaio cadde nella tazza con un tintinnio e lanciò schizzi di latte sul tavolo.

Sono passato da Deaton. SOS. Riunione del branco alle otto a casa di Derek.”

Buttai giù quello che rimaneva della colazione e corsi su per le scale, spalancando la porta della camera di Stiles. Rimasi però sulla soglia, indecisa. Avevo promesso di non dirgli più bugie, e così avrei fatto. Gli avevo spiegato tutto, però non intendevo assolutamente metterlo in pericolo. No, non potevo permetterlo. L'avrei tenuto fuori da quella storia, anche a costo di farlo arrabbiare a morte con me. Raccolsi una matita e un blocchetto di post-it da terra, ci scarabocchiai sopra “Urgenza a casa, ti spiego quando ti svegli.” e lo appiccicai sulla porta. Aspettai ancora un secondo, e aggiunsi sotto “Ti amo. Emma” in un angolo. Presi il suo telefono e cancellai il messaggio, che era arrivato anche a lui. Indossai i miei leggings e le scarpe, mi lavai, presi le mie cose e uscii.

 

 

***

 

 

C'erano tutti: Scott, Alison, Lydia, Jackson, Isaac, Boyd, Erica, Derek, Peter, Deaton e, in un angolo, Neir. Evitò il mio sguardo quando entrai, appoggiandosi alla parete con la schiena rigida. Era già guarito completamente con l'aiuto di Deaton, ed era tornato impeccabile. Indossavo ancora la maglia di Stiles, con le mani nascoste dalle maniche più lunghe di quanto mi servisse e il tessuto che ricadeva morbido, e Scott la riconobbe. Lo vidi sgranare gli occhi e sorridere, e sapevo che avrebbe riso a crepapelle se la situazione non fosse stata così tesa. Riconobbi un guizzo anche nello sguardo di Erica, che cercò di comunicarmi qualcosa muovendo le labbra, ma non lo colsi e scuotei la testa per farle capire che non era il momento. Derek si sistemò in mezzo alla stanza, srotolando una pergamena sul lungo tavolo. Deaton si fece avanti e cominciò a spiegare.

«Questa è una copia di una pergamena risalente al quattordicesimo secolo. Illustra i numerosi utilizzi dello zolfo, come mezzo per fertilizzare campi, potenziare incantesimi, proteggersi da svariate creature e per le loro... evocazioni. Questo metallo ha talmente tanti usi che è stato difficile arrivare a quali siano reali e quali leggende. È anche considerato il metallo dell'anima.» la girò verso di noi, appoggiandovi sopra una bottiglietta piena di una polverina giallastra. «Sappiamo tre cose. La prima è che non ci possiamo più fidare degli stregoni, di nessun tipo o schieramento. La seconda è che Beacon Hills è piena di polvere di zolfo: è stata nascosta al vostro olfatto per mesi, con incantesimi di protezione, ma non al mio. Hanno circondato le vostre case, la scuola, porzioni della riserva, l'ospedale... edifici sia privati che pubblici. Neir ci ha aiutato a trovarlo, quindi gli dobbiamo molto.» spostò tutto di lato e gli oggetti nuovi furono un fascicolo della polizia, un reperto medico e una mappa della città. Spalancai gli occhi, e il mio cuore cominciò a battere velocemente. Aguzzai l'udito, e compresi che non ero la sola ad essere agitata; percepivo il battito cardiaco di Lydia come il suono di un tamburo, e Isaac aveva il respiro irregolare. Erica si voltò con un suono disgustato e guardò fuori dalla finestra, facendo ondeggiare la chioma bionda. La fotografia sul reperto della polizia era di un uomo sui cinquant'anni, con i vestiti logori e pieni di terra. Il collo e le braccia erano piegate in modo che sembrava terribilmente sbagliato, le ossa spezzate. Era lui. Il senzatetto che avevo ucciso dopo che mi aveva accoltellato la mano. Mi morsi il labbro per non urlare.

«Questo corpo è stato trovato nella radura, in un cerchio di zolfo. La polvere era appena stato posata quando l'ho trovato. A occhi inesperti potrebbe sembrare un sacrificio umano, ma certamente non lo è. Ci sto lavorando.» spostò anche quello e deglutii, stringendo le labbra. Distese la mappa della città, e indicò i punti segnati. «I cerchi di zolfo in città li ho trovati qui.» passò il dito sulla carta, e ci avvicinammo. Prese un pennarello e unì i punti, formando una grossa stella. «Questo, ragazzi, è un pentacolo. È un simbolo pagano. Con le due punte rivolte verso il basso è un simbolo di protezione e prosperità, mentre con una singola punta richiama il caos, il diabolico. Non sapendo da che parte osservarlo, visto che non ci sono punti di riferimento, non ne conosciamo l'uso. Al centro ci sono dei magazzini e un capannone dove fino a cinque anni fa veniva fabbricata la cera. È tutto recintato, chiuso al pubblico, ma non c'è nessuna rete di telecamere di sorveglianza purtroppo.» Prese un'altra mappa, stavolta della riserva. Tracciò un altro pentacolo con i rilevamenti dei cerchi più piccoli, e riconobbi in alto a destra il punto in cui avevo sepolto l'uomo. Sentivo la bestia dentro di me ridere di gusto. «Eccone un altro. Stanotte ho avuto un incontro con un ambasciatore dei druidi, e sono persone... ferme sulle proprie idee, diciamo così. Mi ha spiegato che Beacon Hills non solo è sempre stato un faro per i mutaforma, ma una calamita al contrario per gli stregoni. È come un repellente, creato per mantenere l'equilibrio ed evitare scontri tra le razze. Per questo sono molto preoccupati, vista la concentrazione di streghe e stregoni delle ultime settimane. Sono quintuplicati, addirittura due clan distinti, non si vedeva un raduno così da...» «Salem.» concluse Peter. Rimanemmo tutti in silenzio per un secondo. Ci guardò, e fece spallucce. «Che c'è?»

«Mi hanno chiesto di dirvi di starne fuori, ragazzi. Ce ne occuperemo io e-»

Scoppiò il caos, e Deaton fu zittito. Tutti cominciarono a parlare contemporaneamente, eccetto me e Neir. Lo fissai e capii all'istante che sapeva. Non so come, ma sapeva cosa avevo fatto. Ma perché non dirlo agli altri? Mi aveva confessato che era stato lui a dare a quell'uomo il coltellino d'argento, per indurmi a uccidere un innocente, come gli avevano detto di fare. Non lo incolpavo per questo, ma perché non dire la verità a Derek, o Deaton?

«Silenzio!» urlò Derek, ricevendo qualche ringhio sommesso in risposta. «Non voglio vedervi gironzolare per quei posti senza il mio permesso. Erica, dì una parola e ti strappo la lingua. Abbiamo fatto tanti errori.» in modo poco gentile, mi fissò per un paio di secondi. Ero stata io a fidarmi di Irima, e concedergli di aiutarmi a liberare Stiles dal quartier generale dei cacciatori, a spiegarmi la mia natura... ancora non riuscivo a crederci completamente. Aveva senso, ma lo rifiutavo. Mi aveva fatta sentire meno anomala, più umana, e invece adesso avevo scoperto che era stato tutto escogitato per rendermi una bestia. Abbassai gli occhi. Non era il mio Alfa, ma non riuscivo comunque a reggere il suo sguardo in quel momento. «Non possiamo permetterci di fare incazzare anche i druidi. Sono gli unici che ci parano il culo, Alison e-» «Non essere volgare, su..» «Chiudi la bocca Peter!»

Tutti cominciarono a parlare nuovamente. Scott prese in disparte il veterinario, Erica gesticolava animatamente mentre parlava con Boyd, Lydia e Alison borbottavano qualcosa che con tutto quel rumore non riuscivo a distinguere. Mi passai una mano tra i capelli, sospirando. Non c'era verso di avere una riunione produttiva, con tutti chiusi in una sola stanza. Eravamo in troppi, e troppo giovani. Come aveva fatto Derek a non fare una strage? Attraversai la stanza con lunghe falcate, lasciai cadere la borsa e saltai sul tavolo. Emisi un ringhio sordo, quindi lo trasformai nel mio ruggito da mutaforma. Derek mi guardò storto, ma me ne fregai. Peter sorrideva.

«V'interrompo per un secondo dai vostri bisticci. Chi è a favore di tenere gli umani fuori da questa storia, visto che voi non sembrate intenzionati a farlo, dica “sono un bravo licantropo”!»

Lydia mi fulminò. «Non ho bisogno di una babysitter! Emma, sono perfettamente in grado di proteggermi e lo sai. L'ho sempre fatto.» sbottò, appoggiando le mani sui fianchi. Alison cominciò a raccogliersi i capelli in uno chignon, stando accanto alla sua amica con una postura tranquilla. «Sì, lo sei, ma non è abbastanza. Mi dispiace, ma tu e Stiles dovreste stare nelle retrovie. Non sapete usare armi, e siete le menti più brillanti della città. Vi terremo informati ovviamente, ma non dovreste scendere in campo» mi guardò, e seppi di aver trovato un'alleata. Nessuno fece osservazioni sull'umanità di Alison: era una cacciatrice, e loro eventualmente sarebbero stati in prima linea, che il branco lo volesse o no.

Isaac s'infilò le mani nelle tasche dei jeans. «Lo credo anch'io.» aggiunse, evitando accuratamente d'incrociare lo sguardo tossico della ragazza. Anche da umana, Lydia era pericolosa quando la si faceva arrabbiare.

«Scott!» chiese aiuto al ragazzo con una punta di disperazione nella voce. Capivo la sensazione di essere senza potere, del sentirsi inutile (l'avevo provato troppe volte per poter fingere il contrario) e mi dispiaceva tantissimo per lei. Non per questo però avrei messo in pericolo lei o, soprattutto, Stiles.

«Scusa Lydia, ma hanno ragione. Tu e Stiles resterete insieme al sicuro come al solito, mentre noi pattuglieremo-» «Nessuno pattuglierà niente!» tuonò Derek. Non era abituato ad essere ignorato, o succedeva talmente spesso che non lo reggeva più?

Scesi dal tavolo, e mi soffiai via una ciocca di capelli dagli occhi. «Tu non sei il mio alfa, quindi non puoi darmi ordini. Starò attenta e non comprometterò nulla, ma non rimarrò con le mani in mano.» gli risposi, con voce il più piatta possibile. Lui ringhiò appena. «Allora vai. Suicidati pure, rovina tutto. Io non farò ammazzare i miei beta per i capricci di alcuni ragazzini curiosi.»

Scandagliai con lo sguardo la stanza. Sapevo che, nonostante i buoni propositi, avrebbero fatto quello che diceva lui. Magari Scott o Erica avrebbero avuto qualcosa in contrario, ma per gli altri avevo seri dubbi. Era normale e non li biasimavo, perché quella era una storia intricata in cui io avevo messo il piede per prima, e dovevo continuare a farlo.

«Concordo.» ripresi la borsa e uscii. Avevo tutto quello che mi serviva, ma dovevo correre a casa per riprodurre la mappa. Avevo la sua immagine stampata nella mente, ma con la mia memoria da pesce rosso si sarebbe sfocata presto.

Ero talmente concentrata, che non sentii nemmeno l'odore di Neir dietro di me fino a quando non uscii in strada.

«Scusa.» disse, la voce profonda che indugiava su quella parola, come se avesse un sapore troppo amaro.

Lo ignorai per un paio di minuti, camminando a passo veloce verso la fermata dell'autobus.

«Andiamo a investigare.» tagliai corto. Non l'avevo perdonato, ma mi serviva un socio, e il coinvolgimento di Stiles era fuori discussione. Lo vidi annuire con la coda dell'occhio, mentre mi affiancava sul marciapiede.

Camminammo ancora per un po', quindi tesi l'orecchio alla ricerca di qualche rumore sospetto, assicurandomi che non ci stesse seguendo nessuno. Arrivammo alla fermata, e cominciai a giocherellare con le maniche della maglia.

«Perché non gliel'hai detto? Stai cercando di depistarli, o cosa?» chiesi, calciando un sassolino e facendolo rotolare in mezzo alla strada.

«Non lo so. Prima che arrivassi, glielo stavo per dire ma... ho pensato che Derek ti avrebbe dovuto...» si leccò le labbra, e sospirò. «Avevo seguito il tuo odore, e l'ho trovato. Lo zolfo non c'era ancora. Ah, era il peggior camuffamento di cadavere che io abbia mai visto.» abbozzò il sorriso, ma non lo ricambiai. Non era il momento di fare umorismo. Lo spense, e tornò vagamente serio. «Ho aggiustato un po' le cose, e me ne sono andato. Tutti facciamo una vittima, prima o poi, e visto che era praticamente colpa mia... te lo dovevo.»

Incrociai le braccia e cominciai a passeggiare avanti e indietro. «Era solo, povero e... disperato. Non se lo meritava, non...» mi passai la mano sul viso. Lo sentii avvicinarsi, ma feci un passo di lato e si fermò. «Okay, basta. Non ne parliamo più. Prendiamo l'autobus, andiamo al capannone e guardiamoci intorno. Deaton ha detto che non ci sono telecamere di sorveglianza, così non potremo avere una sorveglianza costante, ma neanche loro. A meno che non abbiano messo delle telecamere a loro volta... e per proteggere cosa, poi...» mi mordicchiai il labbro inferiore, cercando di mettere insieme le informazioni che si accumulavano. Vedere l'immagine complessiva del puzzle era pressoché impossibile.

«Non lo so, ma lo scopriremo.» aggiunse Neir. Sostenni il suo sguardo per una manciata di secondi, e annuii.

 

Ce la potevamo fare.

Ce l'avremmo fatta.

 

 

 

OMG SCUSATE.

 

 

Avevo detto che la storia l'avrei finita due mesi fa, e guardate dove sono arrivata. Sette mesi senza aggiornare. Sono ingarbugliata da morire, tra storie a metà, vita sociale smangiucchiata e scuola impegnativa... non ci capisco più niente, MA più sono incasinata e più riesco a scrivere. Ora ho capito il meccanismo, ed ho trovato il lato positivo della situazione!

Ho cominciato a scrivere questo capitolo settimana scorsa, grazie a _MiAproAllaChiusura_ , che mi ha riportato alla mente la storia e com'è davvero importante per me. Credevo che non piacesse più a nessuno dopo tutto questo tempo in cui l'ho messa da parte, e invece... non mi deluderete mai, è assurdo. AAAH SE VI VOGLIO BENE, POPOLO DI EFP.

Ho dovuto cambiare la scrittura del titolo, perché cambiando computer mi si sono convertite tutte e non mi accetta più i codici. Sigh, che peccato.

Aggiornerò appena finirò il prossimo capitolo, spero settimana prossima, compiti delle vacanze permettendo :)

Un abbraccio,

Sara

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Capitolo 15
*** On the edge. ***


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Chapter fifteen: On the edge.

 

 

La recinzione era alta un paio di metri, niente che due mutaforma non potessero tranquillamente oltrepassare con un balzo e l'aiuto delle mani. Lo stabilimento era contornato da una strisciolina d'erba prima del marciapiede, ma l'interno era tutto in cemento. I depositi erano edifici squadrati, dei cubotti appoggiati qua e là, e al centro la fabbrica di cera convertita a deposito svettava sugli altri. Era grande il triplo, rettangolare e con più ingressi.

«Senti odore di zolfo?» chiesi a Neir, cercando di affinare i miei sensi. Si sentiva solo odore di polvere, naftalina ed escrementi di uccelli.

«No. E se avessero sbagliato? Cioè, magari questo posto non c'entra niente.» scandagliammo il complesso senza trovare nulla, lasciando la fabbrica per ultima. Il silenzio era opprimente, ma la luce del sole che filtrava attraverso le nuvole aiutava ad attenuare il senso d'inquietudine. Non volava una mosca mentre controllavamo in ogni deposito, e lo spezzare la calma con il rumore delle saracinesche mi faceva sentire a disagio. Nell'ultimo deposito, quello più a nord, finalmente percepii qualcosa: il rumore di tanti cuori che battevano, un respiro, un odore pungente di urina. Alzai il braccio e lo agitai, richiamando l'attenzione del ragazzo a una decina di metri da me. M'indicai l'orecchio e il naso, quindi il box. Lui annuì, e lo vidi concentrarsi. Aggrottò la fronte e mi fece segno di aprire, sistemandosi accanto a me. Si piegò appena sulle ginocchia e spostò le braccia all'indietro: posizione di attacco da balzo a sorpresa. Piegai il lucchetto silenziosamente, quindi spalancai la saracinesca con un movimento secco.

All'interno c'era una cucciolata di cani, spelacchiati e che avranno avuto al massimo un sei mesi ciascuno, la mamma in mezzo ad allattarli. Sospirai e mi passai una mano sul viso, mentre quella saltava in piedi e ci ringhiava, abbaiando un avvertimento.

«Toh. Abbiamo trovato la minaccia più grande di Beacon Hills.» commentò Neir, inclinando il capo e rispondendo al ringhio. La mamma indugiò, poi avanzò di nuovo, esibendo dei denti sorprendentemente affilati.

«Scemo, lasciala in pace.» sbottai, e richiusi il box. M'incamminai verso la ex fabbrica, e il mutaforma mi affiancò dopo una corsetta per raggiungermi.

«Quasi quasi li adotto.» disse, scompigliandosi la zazzera di capelli biondi. «Ma se non sai neanche tenerti una pianta senza ucciderla di una morte lenta e dolorosa?» «Le piante non abbaiano e non posso ricordarmi di innaffiarle, invece un cane...» «Uno magari, ma otto?» «Potrei venirli a trovare nel box, addestrarli e-» «Ma proprio adesso che siamo nella merda fino alle ginocchia?» «Sarebbe una buona distrazione!»

Discutemmo per svariati minuti, mentre ritornavamo al centro dello spiazzo cementato. Entrammo da una porta di ferro arrugginito sul retro. Cercai di scassinarla, ma Neir la scardinò con un calcio, producendo un rumore assordante.

«Neir!» «Ma tanto non c'è nessuno, chi vuoi che ci senta? I cani?»

Ci addentrammo nell'edificio. Il magazzino consisteva in un ampio open space grande circa quanto un campo da calcio amatoriale, ed era in evidente stato di abbandono: minuscoli ciuffetti d'erba si erano fatti strada tra le crepe nel cemento, gli strumenti di produzione erano spostati lungo le pareti a decomporsi, la polvere ricopriva ogni cosa e le finestre disposte in fila poco sotto lo spigolo del soffitto erano quasi tutte rotte, e avevano lasciato entrare le intemperie. Una scala apparentemente inagibile conduceva ad un livello superiore, una specie di soppalco in ferro che chissà come era di norma.

Ma nulla di questo aveva importanza, in confronto alla voragine circolare scavata nel mezzo del pavimento.

Ci fermammo a un paio di metri dal bordo, senza parole.

«E questa.» «Che cazzo è.»

Era dieci volte più grande di un pozzo normale, senza nessuna recinzione o muro di protezione. Sembrava il prodotto di un laser alieno, di quelli che nei film vengono utilizzati per produrre i cerchi nel grano.

Neir avanzò di qualche passo e si sporse a guardare all'interno, e io lo trattenni per la maglietta in un momento di panico.

«Tranquilla, mica mi butto. E poi ho le ali, no?» in effetti aveva ragione. E quell'espressione divertita della mia preoccupazione mi mandava in bestia. Lo lasciai andare, incrociai le braccia e trattenni un brivido di vertigini. Un conto era volare sopra un paesaggio, un altro guardare in una voragine scura della quale magari non si vedeva pure il fondo. Non ci tenevo a verificare.

«E' troppo buio, non capisco dove finisce. Vado a controllare.» «Ma non hai detto che non ti saresti buttato?» «Infatti non mi butto, plano!»

Si tolse la maglietta e fece uscire le ali candide, piano, ruotando spalle e collo e allungando le braccia, tendendo i muscoli. Nonostante il mio cuore fosse interamente di Stiles, non potevo non ammettere che era un bel pezzo di-

«Scendo per dieci secondi, se non ho trovato la fine risalgo. Se urlo vieni a prendermi. Anzi no, chiama gli altri. Ah, ma che te lo dico a fare, tanto non mi dai mai retta.» le ali fremettero. Saltellò per qualche secondo, indietreggiò e prese la rincorsa. Mi spostai a guardarlo mentre compiva un balzo nel vuoto con le ali ancora all'indietro, quindi le spalancava in tutta la loro lunghezza e le batteva lievemente, inclinandole e scendendo lentamente. Ci stava a malapena, ma scendendo in circolo ce l'avrebbe fatta senza grattare le pareti con le piume.

Portò la mano tesa alla fronte per salutarmi, e io feci lo stesso. Allungai l'orecchio e sospirai, sgranchendomi le braccia per allentare la tensione che sentivo nelle ossa. Canticchiava bohemian rhapsody mentre planava, e non riuscii a trattenere un sorriso mentre alzavo gli occhi al soffitto.

Stare lì ferma mi avrebbe portato alla pazzia, quindi camminai tenendomi a una distanza di un paio di metri dal bordo e aggirai la voragine, avvicinandomi alla scala pericolante. Appoggiai il piede sul primo scalino, molleggiai e constatai che reggeva.

Aspettai lo scattare dei dieci secondi, ma lui continuava a scendere.

«Neir, torna su.» «Aspetta un secondo... c'è odore di zolfo, qui.» la sua voce rimbombava lungo le pareti del tunnel, e mi fece drizzare la schiena.

«Sicuro?» da lassù non lo percepivo, ma non erano nuovi certi stratagemmi per nascondere l'odore.

«Sicuro quanto del fatto di essere un figo pazzesco. Credo di essere vicino al fondo...»

Continuai la mia risalita sulla scaletta che cigolava paurosamente, saltando lo spazio vuoto di uno scalino mancante e procedendo lentamente. Neir volava sempre più piano, come aspettando l'impatto con il terreno, cosa che è normale fare quando non si può vedere il punto di atterraggio.

Ero troppo curiosa per fermarlo. Avrei dovuto farlo.

Arrivai sulla cima della scaletta in una ventina di secondi, e realizzai che il soppalco era vuoto. C'erano solamente degli scatoloni sparsi qua e là, ciò che era rimasto del suo utilizzo di deposito prima che fosse trasformato nel luogo ospite di un pozzo inquietante.

Mi avvicinai, e lo sentii anche lì. Non aumentava mentre mi avvicinavo agli scatoloni, né quando mi allontanavo. Sembrava spuntare dal nulla, intensificandosi.

Zolfo.

«Neir?»

Silenzio.

 

 

 

***

 

 

Stiles si risvegliò al suono del campanello della porta. Boccheggiò e scandagliò nelle coperte, alla ricerca di Emma. Non la trovò. Rotolò giù dal letto, scostò le tende e si stropicciò gli occhi. La stanza era in disordine, ancora più del solito. Avrebbe dovuto metterla a posto. Ma prima le cose importanti.

Rovistò in un cassetto della scrivania e ne estrasse un quadernino. Lì annotava tutte le date importanti della sua vita, dal primo assaggio di torta di zucca al giorno in cui aveva scoperto che il suo migliore amico era un licantropo. Non era un vero e proprio diario, la sua agenda ce l'aveva, ma quello era esclusivamente per le date.

Scrisse la data del giorno prima, e ci scarabocchiò accanto una grossa V, quindi ci segnò una croce sopra in rosso. Certe cose sono da segnare, nella vita di un teenager maschio. Quella era sicuramente una.

Rimise tutto a posto e s'incamminò verso la porta. Mise a fuoco il post-it, lo lesse e sorrise. Lo appiccicò di nuovo alla porta e s'infilò un paio di pantaloni e una maglietta a caso, giusto per non andare in giro nudo, e oltrepassò la soglia della stanza.

Solo in quel momento si ricordò che qualcuno aveva effettivamente suonato alla porta, e stava continuando a farlo insistentemente. Diede uno sguardo alla camera del padre, e la porta era chiusa: era tornato. Se fosse andato avanti così, il visitatore l'avrebbe svegliato. Il ragazzo corse giù per le scale ancora scalzo, sbadigliò e aprì la porta, tenendo attaccata la catenella per precauzione.

«Sì?» chiese, sbirciando fuori. Alla porta c'era una bambina sugli undici anni, i capelli rossi raccolti in una coda e indosso quella che sembrava una divisa scolastica di una scuola privata.

«Sei tu Stiles? Il ragazzo di Emma?» chiese con una vocetta acuta, sul limite dell'irritante. Sbattè le palpebre sugli occhioni verdi , squadrandolo dallo spiraglio della porta.

«Chi lo chiede?» sospettoso, ovviamente. Anche se essere definito il ragazzo di qualcuna gli dava una certa soddisfazione.

«Lo prendo come un sì. Sono Agata, mi manda Irima.» e sorrise.

Stiles le sbattè la porta in faccia e chiuse tutto, tirò le tende e corse di sopra. Prese il telefono e digitò il numero di Scott.

La vocetta gli arrivò dalla finestra della sua camera, proveniva dal giardino.

«Daai, non fare così! Sappiamo che avete invaso il cerchio, l'avete sporcato. Ora dobbiamo ripulirlo e ricominciare da capo...»

Stiles non capiva, ma non rispose. Scott rispose dopo qualche squillo.

«Stiles, che c'è?» «C'è una bambina matta in stile esorcista fuori da casa mia che dice di essere stata mandata da Irima, dove sei?» incespicava sulle parole, gettando occhiate alla finestra.

«Da Derek, arriviamo subito, tu sigillati dentro e non lasciarla entrare.» «Non sono idiota, ovvio che non la lascio entrare! Sbrigatevi!» attaccò il telefono, e si sedette sul letto, facendo ballare su e giù la gamba destra.

«Non voglio farti del male, sono solo un'emissaria! Ambasciator non porta pena!» sembrava imbronciata. Stiles non rispose ancora.

«Va bene, allora te lo dico da quaggiù. Maleducato. Dovete portarci il druido che vi guida, o il ragazzo perderà le ali. Sappiamo che sapete, ovviamente, quindi non fate i finti tonti, va bene? Il tempo finisce al tramonto. Niente trucchetti!» e ridacchiò.

Quindi smise di parlare.

Stiles sedette immobile per qualche minuto, quindi balzò in piedi e guardò di sotto. C'era un mucchio di polvere gialla sul davanzale della sua finestra, che puzzava terribilmente.

Zolfo.

 

 

 

 

Ciao a todos

 

In teoria avrei dovuto aggiornare giovedì, però il capitolo ce l'avevo pronto, quindi ho revisionato e ve l'ho postato in anticipo. Giusto perché devo riparare i miei ritardi c': So che non è molto lungo, ma preferivo così piuttosto di farvi aspettare altri due giorni, comunque ditemi cosa preferite voi!

Spero che abbiate passato un buon agosto, nonostante le temperature che a me piacciono ma a quanto pare il resto dell'Italia non sopporta. I nuvoloni mi aiutano a scrivere *w*

Aggiornerò circa tra una settimana, scriverò tra una sessione intensa di compiti delle vacanze e l'altra. Sono parecchio indietro, sob. cwc

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, v'invito come sempre a lasciare una recensione per dirmi cosa ne pensate (credo di avervi lasciato abbastanza spunti) e vi auguro una buona settimana

Sara

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