Dead eyes.

di p a n d o r a
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Primo capitolo. ***
Capitolo 3: *** Secondo capitolo. ***
Capitolo 4: *** Terzo capitolo. ***
Capitolo 5: *** Quarto capitolo. ***
Capitolo 6: *** Quinto capitolo. ***
Capitolo 7: *** Sesto capitolo. ***
Capitolo 8: *** Settimo capitolo. ***
Capitolo 9: *** Ottavo capitolo. ***
Capitolo 10: *** Nono capitolo. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Dead eyes.
- Prologo.





Mi chiamo Harry Styles, ho sedici anni e sono un fiero ragazzo omosessuale. Sì, esatto e non me ne vergogno nemmeno un po’. Tutti nella mia scuola lo sanno. C’è chi mi guarda male, ma non mi interessa, omofobi del cazzo. C’è chi mi prende d’esempio per il mio coraggio. Ci sono ragazze deluse e ragazzi curiosi. In effetti sono un ragazzo di bell’aspetto. Magro, abbastanza alto, occhi verdi, guancie abbastanza paffute e capelli ricci castani. Le ragazze mi reputano ‘un grande spreco’, dicono cose tipo “tutto quel ben di dio sprecato” oppure “ma i ragazzi di oggi sono tutti gay? Soprattutto quelli belli?” ma a me non interessa più di tanto.
La cosa buona è che nessuno mi ha preso in giro o trattato male finora, sarà che hanno un certo rispetto nei miei confronti? Anche se effettivamente non sono nessuno, ma nemmeno di questo m’importa. Ho i miei amici e sto bene come sto. I miei due migliori amici si chiamano Zayn e Liam. Sono due tipi a posto. Liam è abbastanza taciturno e forse un po’ secchione, l’altro invece ha un ego smisurato però è buono e disponibile,  in più, non si fanno problemi della mia sessualità, anche perché ho espressamente detto che non sono i miei tipi.
Saluto mia madre prima di scendere dalla macchina e dirigermi verso la scuola. Le schiocco un bacio sulla guancia dicendo: «Ci vediamo stasera, vado a ripetere da Liam oggi pomeriggio.» dopodiché chiudo lo sportello della macchina e faccio per iniziare a camminare quando sento due braccia avvinghiar misi al collo. Mi giro e trovo due occhi color nocciola a guardarmi. «Buongiorno Demetria.» ridacchio. «E dai! Quante volte ti avrò detto di non chiamarmi così. Mi da fastidio.» sbuffa offesa quella che non è altro che la mia migliore amica. Mi trovo bene con lei, sono felice perché lei dice che la vera bellezza della gente si trova dentro e non fuori, rispetto molto il suo modo di pensare ed è stata una delle persone più vicine a me quando sono uscito allo scoperto. Le accarezzo i capelli scompigliandoglieli mentre lei si lamenta ed io rido.
Ed è in quel lasso di tempo che mi giro verso una macchina che ha appena parcheggiato e vedo scendere l’essere più bello che io abbia visto nel corso della mia vita. Sembra uno di quei modelli di quelle riviste snob, preso, staccato e trasportato nel mondo reale. Bruno, occhi azzurri, viso magro e ben delineato, un po’ basso ma non stona con il contesto del suo corpo. Scende da una monovolume nera lussuosissima indossando un maglione grigio, un pantalone nero attillato da sopra la caviglia che gli mette in risalto il sedere sodo, scarpe basse bianche e un cappello grigio di lana. Dall’altro lato scende il preside Tomlinson quindi deduco che quello sia il figlio.
Do un’ultima occhiata al ragazzo che si trascina visibilmente triste verso l’edificio prima di essere riportato alla realtà da Demi e noto, solo in quel momento, che quando si accorcia leggermente la manica del maglione con la mano, c’è qualcosa che non va, ma non riesco a prestarci molta attenzione che la voce e le mani spiaccicate sulle mie guance della mia amica bruna mi distraggono: «Ehi, bello addormentato! Dobbiamo andare in classe, è suonata.» Io borbotto un “si” distratto mentre lei mi trascina dentro la scuola strattonandomi. Tornato in balia delle mie facoltà, mi fermo davanti al mio armadietto per prendere i libri, lei mi aspetta. Prima ora. Algebra. Demi è nel tuo corso. Bene. Come volevasi dimostrare appena chiudo l’armadietto mi si para davanti guardandomi negli occhi, nonostante sia più bassa di me. «Chi stavi guardando con quell’aria da rimbambito?» Sento le mie guance tingersi di porpora e non so il perché. Mi limitò a rispondere un «Nessuno, mi ero solo incantato.» Ma so che non se la beve.
Fortunatamente, o sfortunatamente, in quel momento si parano dall’altro lato del corridoio il ‘re’ della scuola e la sua banda. Re. Pft, non so nemmeno perché lo definisco così visto che non è altro che un buffone. Justin Bieber. Il ragazzo più montato che io abbia mai visto in tutta la mia vita. A fianco, come un cagnolino, quella specie di ragazzo che si fa trattare da schiavetto personale credendosi figo, Niall Horan. E dall’altro lato la sua ragazza, Selena Gomez. Una volta Demi faceva parte di quella banda, usciva con Niall e Justin e Selena erano i suoi migliori amici, ma poi accadde un episodio spiacevole e da quel giorno non si parlarono più, sarà passato circa un anno ormai, io ero in secondo e lei in terzo (si, sono andato a scuola un anno prima). Quei tre passano vicino a noi e Justin per poco non mi fa cadere, stronzo. Ma come ho detto prima, non mi importa, di niente. Penso solo a farmi i miei restanti due anni e mezzo di liceo per poi potermene andare da quello schifo di posto. Suona la seconda campanella, segno che dobbiamo andare in classe.
Una volta arrivati mi siedo ad uno degli ultimi banchi in fondo all’aula, non ho voglia di seguire stamattina, non algebra almeno. Sono distratto da qualcos’altro, ma cosa? All’improvviso i miei pensieri tornano al ragazzo che quella mattina è sceso dalla monovolume nera, il figlio del preside. Credo si chiami Louis. Suo padre lo elogia sempre durante le assemblee “Louis ha una media molto alta, punta a Yale.” Oppure “Oggi mio figlio è diventato presidente di tre club, fondato quattro associazioni e partecipato a cinque concorsi, tutti vinti ovviamente.” Ma c’è qualcosa stamattina che non mi ha convinto in quel ragazzo, il modo moggio con il quale si trascinava dentro. L’espressione triste, angosciata, quasi depressa, sul volto. Ora mi è venuto in mente.
La manica alzata, quel qualcosa che non mi convinceva. Quel ragazzo era incredibilmente magro, tanto magro, troppo. Il suo polso era paragonabile allo spessore di un telecomando. Ok, faccio schifo nei paragoni, ma era per intenderci. Era D-A-V-V-E-R-O magro. Faceva quasi impressione. La professoressa che si schiarisce la gola per ottenere attenzione mi riporta alla realtà. «Styles, siamo pensierosi oggi, eh?» Io guardo verso Demi che è ai primi banchi in cerca di aiuto ma lei mi guarda con aria interrogativa così torno con lo sguardo sulla prof, sorridendo. «Sì, mi spiace. Da adesso starò più attento.» I professori mi adorano, si fanno imbambolare dalle mie fossette. Come volevasi dimostrare la professoressa e tornata a sedersi e io torno ai miei pensieri soltanto per un attimo prima di iniziare a seguire. Perché quel ragazzo è così magro?










angolino autrice:
allora, ehm, ecco... salve!
ecco una long larry che sto scrivendo da parecchio tempo e che, boh, sento molto come personale, ci sto mettendo molta me stessa qui dentro e l'ho pubblicata solo per fare la felicità di @ehirobert_ 
questo sarà l'unico angolo autrice in tutta la storia quindi: spero vi piaccia la fan fiction, spero che non sia troppo depressa, se c'è qualche errore fatemelo sapere e, soprattutto, se leggete recensite, per favore. :)
se volete cercarmi su twitter sono @xunionjsvoices

a presto xx
vì.

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Capitolo 2
*** Primo capitolo. ***


Dead eyes.
- Primo Capitolo.



Appena suona l’ultima campanella mi precipito fuori dall’aula di letteratura e vado verso il mio armadietto. Sento un braccio avvolgermi le spalle e quando mi giro sorrido al mio amico Liam: «Sei pronto per il recupero di chimica made in Payne?» sorride a sua volta e io annuisco energico. «L’importante è che non mi uccidi.» Ridacchio. «Tranquillo!» Mi fa l’occhiolino dandomi una pacca sulla spalla e «Ci vediamo fuori fra dieci minuti, vado a salutare Dianelle. Oggi ha la sesta ora.» dice, allontanandosi da me mentre io richiudo il mio armadietto ed esco fuori nel cortile ad aspettare il mio amico-innamorato.
La mia mente torna per un attimo al ragazzo di stamattina e continuo a chiedermi come può essere possibile. Avete presente quando vi entra in testa una canzone oppure un verso di un libro e non ne esce più fin quando non rimpiazzate quel pensiero? Ecco, questo è quello che mi sta accadendo in questo preciso istante solo che, stranamente, ho una voglia matta di non rimpiazzarlo, ma capirlo, conoscerlo, approfondirlo. Ho voglia di sapere tutto di quel ragazzo, come mai è così magro, perché aveva quell’espressione, com’è la sua famiglia e, persino, quanto porta di scarpe. E’ una sensazione strana ma piacevole allo stesso tempo. Voglio conoscerlo.
Senza nemmeno rendermene conto mi precipito di nuovo dentro la scuola e inizio a guardarmi intorno in cerca del fantomatico sconosciuto da cui sono ossessionato da circa cinque ore, ma niente, nessuna traccia. Vedo Zayn venire verso di me tenendo per mano la sua ragazza, Perrie, e capisco che ogni speranza di rintracciare il moro è persa, ora i miei amici attaccheranno con la loro parlantina e addio. Quando mi ricordo che Liam mi aspetta fuori in cortile, perciò, appena Zayn apre la bocca per salutarmi, io mi giustifico con un «Scusa, devo andare. Liam mi sta aspettando.», gli sorrido e mi dileguo attraverso la marea di studenti che trafficano il liceo. Come volevasi dimostrare, Liam è sulle scalinate di fronte alla mia scuola che gioca con un filo d’erba trovato da qualche parte in mano. Quando sente i miei passi in avvicinamento butta l’erbaccia verso un punto indefinito, si alza e «Andiamo?» mi chiede sorridendo. Io, in tutta risposta, annuisco iniziando a camminare verso la macchina della madre del mio amico. Appena saliamo nella vettura la madre di Liam ci sorride allegra. «Buongiorno ragazzi!» E’ una donna molto simpatica e socievole. Io le rispondo con un ‘buongiorno’ quasi sussurrato mentre il figlio le da un bacio sulla guancia. «Harry caro, oggi non ho avuto molto tempo per cucinare visto che sono stata a lavoro fino a tardi, vi accontentate di un panino?» mi guarda attraverso lo specchietto retrovisore, visto che sono seduto dietro, ed io «Certo, non c’è alcun problema.» rispondo. Stiamo quasi per uscire dal parcheggio della scuola quando all’improvviso una macchina ci taglia la strada e per poco non ci prende in pieno.
Entrambe le vetture si fermano di botto e io e Liam veniamo sbalzati verso il paraurti, grazie al cielo abbiamo la cintura. Passano un paio di secondi prima che mi riprendo, ma quando lo faccio ed alzo lo sguardo, non posso fare a meno di rimanere stupito nel vedere che, la macchina che ci ha tamponati, è la monovolume nera di stamattina. La mamma di Liam scende dalla macchina per andare a discutere con l’autista e il mio amico inizia ad imprecare dicendo «Cazzo, quella è la macchina del preside.  Ci mancava solo che mia madre discutesse con il preside!» mi viene da ridere, ma evito. Non è il caso. Guardo verso la donna scesa dalla macchina, sta parlando vicino ad un finestrino e noto qualcosa. Il cappello grigio! Due occhi azzurri. Quel ragazzo. Sento Liam chiedermi «Cosa stai guardando?» ma sono troppo impegnato e incantato per rispondere. Osservo l’espressione del figlio del preside alle grida di collera della mamma di Liam. Sembra, non lo so, infastidito, forse? No, è più.. Come se fosse.. Impaurito? I due occhi si girano verso di me. SBAM. Ho un colpo al cuore. Sento le guance farsi calde e lo stomaco contorcersi, ma di nuovo, quando gli occhi vengono rimpiazzati dal finestrino chiuso e sento la portiera sbattere, segno che la discussione è finita, penso che in quelli occhi c’era qualcosa che non andava, per niente. Non era lo sguardo di un normale ragazzo adolescente, per niente.
Le macchine ripartono e si dirigono verso le loro rispettive mete. «Che assurdità. Chi gli ha dato la patente?» borbotta rabbiosa la donna al volante e «Mamma, quello era il preside.» la informa il figlio seduto accanto a lei, ma l’altra non si smentisce «Non me ne frega, potrebbe essere anche Johnny Depp ma gli manderei comunque a casa il conto della riverniciatura del parabrezza.» io e il mio amico ridiamo e lei, che all’inizio non capisce, dopo un po’ ride con noi. Passiamo il resto del viaggio verso casa a parlare del più e del meno. Come va a scuola, a casa. Cose così. Poi, quando stiamo per arrivare Liam prende parola «Stasera viene Danielle a cena.» la madre sorride e «Oh, che bello! Non vedo l’ora! Adoro quella ragazza!» risponde, più a me che a suo figlio. Poi si rivolge ufficialmente a me «E tu Harry? Sei single? Non hai ancora trovato la ragazza giusta?» io mi gratto il capo un po’ nervoso alla parola ‘ragazza’. Certo parlare della mia sessualità con mia madre o con i miei amici è un conto, ma parlarne apertamente con una persona adulta che non conosco bene è un altro. Liam, notando il mio disagio interviene «E no, ha gusti un po’ particolari.» dice ridacchiando per sdrammatizzare un po’ e, per fortuna, la madre gli crede senza chiedere spiegazioni.
Parcheggiamo la macchina nel giardino di casa e scendiamo dalla macchina. La porta si apre facendo affacciare il padre del mio amico che ci saluta calorosamente e da dietro le sue gambe spunta un cagnolino che corre verso Liam che urla «Loki! Vieni qui bello, vieni!» mentre il cucciolo gli salta in braccio. Io rido e poi seguo il ragazzo in casa. Saliamo le scale ed andiamo in camera sua. Lui poggia lo zaino a terra e mi invita a fare lo stesso e, sempre con Loki in braccio, si butta sul letto sospirando per poi alzarsi sui gomiti due secondi dopo. «Dunque, sei pronto?» Io mi metto le mani in faccia sorridendo «Ho scelta?» ridiamo insieme. Ci sediamo alla scrivania, ma mentre apriamo i libri vedo che Liam è un po’ irrequieto. «Che succede?» È strano vederlo così, perciò vorrei una spiegazione. Lui mi guarda per un po’, indeciso se parlare o meno, poi finalmente prende parola. «Harry, lo sai che a me non piace il gossip o cose del genere.» Io lascio andare un respiro, che non pensavo di aver trattenuto, ridacchiando. «O mio dio, mi hai fatto prendere un colpo! Pensavo che fosse successo qualcosa.» Lui sorride, meno nervoso di prima. «Beh, sai che a me non piacciono queste cose quindi non mi trovo a mio agio a parlarne.» Io annuisco comprensivo invitandolo a continuare. «Si tratta di te.» Sputa fuori facendomi rimanere leggermente stupito. «Me?» lui annuisce. «E’ stata Demi a parlarmene, dice che da stamattina sei strano, che ti incanti facilmente e ho notato che è successo anche prima in macchina, perciò mi è venuto qualche sospetto. C’è qualcosa che dovrei sapere?» Mi guarda con sguardo accusatorio ma fraterno contemporaneamente.
Io non so che rispondere, non posso certo dire ‘ah si, sai, c’è questo ragazzo che ho visto scendere da un’auto nera stamattina, non so perché ma ne sono ossessionato, vorrei sapere perché è così magro come ho visto e perché ha uno sguardo sempre triste.’ «No, non c’è nulla. Te lo avrei detto se no.» Mi limito a dire, mi guarda poco convinto e poi mi  dice qualcosa che, da lui, non mi sarei mai aspettato. «Harry, sai che, anche se sono più grande di te, puoi fidarti e dirmi tutto, qualunque cosa accada?» rimango sorpreso da quelle parole, io non sono bravo con le frasi ma lui si e mi ha appena dimostrato che effettivamente non mi considera un ‘teenager gay patetico e ignorante in chimica’, mi vuole davvero bene. Io annuisco e non so perché mi alzo per abbracciarlo. Non ho mai avuto contatti fisici con i miei amici, me ne sono tenuto sempre abbastanza alla larga per paura che potessero fraintendere. Mi abbraccio solo con le ragazze, anzi, solo con Demi. Ma in questo momento ho sentito il bisogno di far capire a Liam che anche io gli voglio bene quanto lui ne vuole a me. Lui non si rifiuta. Sembriamo due fratelli ai quali hanno appena detto che si separeranno per sempre e che non vogliono lasciarsi, perché, in un certo senso è così, per me Liam è come un fratello maggiore. Stiamo circa due minuti abbracciati, poi mi stacco. «Ora torniamo seriamente a studiare.» scherza lui, prima di aprire il libro e iniziare a spiegarmi le molecole.

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Capitolo 3
*** Secondo capitolo. ***


Dead eyes.
- Secondo Capitolo.



n.d.a. - mi scuso per la lunghezza del capitolo, ma non ho avuto molto tempo per scrivere, prometto che il prossimo sarà più lungo. - vì.





Il pomeriggio è volato e, devo essere sincero, non credo che la mia mente da chimico si sia ingrandita. Sono dovuto andare via perché, essendo le sette, Liam doveva prepararsi per l’arrivo della sua ragazza. Povero ragazzo innamorato. Oddio, sembra il titolo di un film.
Nonostante sia abbastanza tardi, nel cielo ci sono ancora delle sfumature viola del tramonto rendendolo ancora più meraviglioso. Iniziano a spuntare le prime stelle. Una, due, tre…
SBAM! Sono andato a sbattere contro qualcuno. Ma chi ci può essere a quest’ora in giro? Abbasso lo sguardo che ho tenuto alzato finora per contare le stelle e mi tuffo in due diamanti ancora più belli, azzurri come il cielo a mezzogiorno. Ci metto un po’ a realizzare chi è. Il figlio del preside, Louis Tomlinson. Oggi siamo proprio destinati a tamponarci, eh? Vedo che guarda prima me e poi i libri che, evidentemente, gli ho fatto cadere nell’impatto. Mi abbasso per prenderli e lui fa la stessa cosa, dopodiché gli porgo quelli che ho raccolto io. Avrà circa setto o otto libri tra le braccia, come diavolo fa essendo così magro? Il mio sguardo cade sulle maniche del maglione, abbassate fino all’altezza delle nocche. Si sta nascondendo. Lo guardo di nuovo negli occhi e cerco di non perdermi nel loro azzurro per non fare la figura del babbeo. Mi scuso dicendo «Scusami, non ti avevo visto, sono un po’ distratto.» mi passo una mano tra i ricci esibendo uno dei miei sorrisi migliori tutto denti e fossette. Perché ci tengo tanto a sembrare perlomeno ‘carino’? E’ un istante o forse solo la mia impressione, ma mi sembra di vedere un velo di rosso coprirgli le guance. Abbassa lo sguardo, mi supera e se ne va senza pronunciare parola. Che ragazzo strano. Mi volto per guardarlo e lo vedo andare a passo spedito verso la fine della strada così, notando che è abbastanza lontano, «Non male come primo incontro.» dico a me stesso, dandomi uno schiaffo da solo per aver posato gli occhi sul suo sedere come un maniaco. Mentre mi dirigo verso il punto in cui mia madre ha detto che mi sarebbe venuta a prendere mi viene in mente il quasi incidente di oggi e lo paragono all’incontro di qualche minuto fa. C’era qualcosa che non mi convinceva stamattina nel suo sguardo e finalmente ho capito cosa. E’ spento. Non c’erano emozioni, non aveva gli occhi lucidi, niente. Se non mi fosse parso di vedere il velo di rosso sul suo volto avrei giurato che quel ragazzo fosse morto. La luce nei suoi occhi non esisteva.
Sono arrivato al punto d’incontro e mia madre è già lì con la sua minuscola macchinetta rossa. Salgo in macchina sorridendole mentre lei mi scompiglia i capelli e mette in moto chiedendo «Come sono andate le ripetizioni?» con quel suo fare dolce e determinato che la caratterizza. Se le dicessi che è andato male mi costringerebbe a studiare chimica tutta la notte così mi limito a un «Il chimico non è il lavoro per cui faccio il tifo.» Lei ride e io con lei. Amo la sua risata, mi rallegra sempre le giornate. Quando ride vedo nei suoi occhi verdi, come i miei, una luce diversa, un luccichio meraviglioso. La stessa luce che negli occhi di quel ragazzo era praticamente inesistente. So che non dovrebbe importarmene nemmeno a me, figuriamoci a mia madre, però non resisto dalla voglia di chiederglielo. Il perché. Mi faccio serio per un attimo e lei lo nota così «Mamma, cosa vuol dire quando gli occhi di qualcuno sono spenti?» dico. Lei mi guarda alzando un sopracciglio, forse non mi sono spiegato bene, sono un disastro con le parole. «Cioè, voglio dire. I nostri occhi, quando parliamo, ridiamo, piangiamo. Sono lucidi, brillano. - faccio per guardare i miei nello specchietto della macchina per poi tornare a guardare mia madre - Cosa vuol dire quando ciò non succede?» siamo appena arrivati nel giardino di casa nostra, lei spegne la macchina e poi mi risponde, prima di scendere «Può significare tante cose, ma la maggior parte delle volte vuol dire che una persona è triste, ma non una tristezza qualunque. Una tristezza continua, che non finisce mai.» mi sorride dolcemente accarezzandomi la guancia, poi prende la borsa e il giubbino poggiati sul cruscotto della macchina e scende. Io la seguo in modo che lei possa chiudere la vettura.
Entro in casa e trovo mia sorella Gemma spaparanzata sul divano a fare zapping estremo, la saluto con un ‘ciao’ sfuggito e salgo in camera mia. Ho bisogno di una doccia, magari così riesco a far sparire tutti quei pensieri su quel ragazzo dalla mia testa. Mi spoglio in fretta e mi fiondo nel bagno. Apro l’acqua fredda che subito aggredisce la mia pelle provocandomi brividi di freddo e di piacere allo stesso tempo. Sarò anche un po’ sadico ma sto bene quando, in un certo senso, mi faccio del male. Dopo un po’ l’acqua non mi fa più effetto, mi insapono, mi risciacquo, vado avanti così per quattro o cinque volte, all’ultimo risciacquo chiudo il getto e mi appoggio con la fronte al muro freddo della doccia. Stare là sotto per circa un’ora non mi ha fatto bene, anzi ha solo peggiorato il tutto. Quei due diamanti, seppur spenti, non la smettono di torturarmi la mente.
All’improvviso penso a quel piccolo corpicino esile, a come sarebbe bello appoggiarlo lentamente sul letto, riempirlo di baci e sento qualcuno lì sotto risvegliarsi, così esco dalla doccia nella speranza che, scendendo giù, mia sorella inizi a parlare delle baggianate che combina a scuola per distrarmi. Mi metto un paio di boxer, che equivalgono al mio pigiama, e scendo le scale per andare in soggiorno. Mi trovo molto a mio agio a girare per casa senza vestiti addosso, è una specie di liberazione. E poi, le mie donne di casa non si lamentano. Faccio per sedermi sul divano accanto a mia sorella quando suona il campanello della porta.
Le faccio segno di andare a vedere chi è, viste le mie condizioni di abbigliamento. Lei si alza, sbuffando, ma si alza e va alla porta. Apre e sento un’altra voce femminile, dopodiché la vedo togliersi una delle trecento felpe che ha addosso e lanciarmela facendomi segno di indossarla. Io la infilo e quando i miei occhi spuntano dal buco per testa vedo appoggiata allo stipite della porta Demi con le braccia incrociate e con una borsa in spalla. So che vuol dire. Mi alzo dal divano e le vado incontro facendole segno di andare per la strada che conosce. «Cos’è successo?» dico mettendole una mano sulla spalla per poi farla entrare in camera mia. «Le mie sorelle dormono da delle amiche e i miei tornano stanotte, tardi.» Ecco, l’avevo immaginato. Inizio a cacciare un letto da sotto il mio mentre la mia amica posa la borsa in un angolo della stanza. «Grazie Harry.» mi sorride teneramente e io interrompo i lavori di modellamento della stanza per andarla ad abbracciare. Poi lei mi spinge sul letto e inizia a farmi il solletico mentre io rido e mi dimeno a crepapelle. Adoro quando è costretta a dormire da me, è come se, a mia sorella, se ne aggiungesse un’altra. Però con lei è diverso. Lei sa molte più cose di me. Lei è come la mia gemella.

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Capitolo 4
*** Terzo capitolo. ***


Dead eyes.
- Terzo Capitolo.




La sera prima siamo rimasti alzati fino a tardi a ridere e scherzare ed io ho perfino confessato a Demi il mio incontro/scontro con quel ragazzo. Alle otto e dieci mia madre è salita in camera a svegliarci perché eravamo in un ritardo pazzesco. Infatti, ora, stiamo correndo come forsennati per non rimanere fuori visto che la mia cara mammina ci ha congedati con un «La prossima volta guardate l’orologio.» mentre se la rideva. Ma in fondo stiamo ridendo anche noi mentre cerchiamo di non inciampare o sbattere da nessuna parte ritrovandoci a fare acrobazie migliori dei praticanti di parkour.
Purtroppo non riusciamo comunque ad arrivare in tempo, ciò vuol dire che dovremo entrare alla seconda ora, così ci sediamo sulle gradinate in cortile a parlare delle materie che avremo avuto l’ora dopo, dei compiti, della scuola in generale. Mentre discutiamo del più e del meno vediamo un ragazzo biondo passare davanti alla scuola e superarla insieme ad altri due o tre ragazzi.
Il ragazzo è quel Niall Horan. «Ha di nuovo marinato la scuola, idiota.» sbotta la mora accanto a me. Mentre si avvolge le ginocchia con le braccia, vi ci appoggia sopra la testa e guarda “l’idiota” passare a qualche metro di distanza da noi. «Ti piace ancora?» chiedo sorridendo teneramente. Lei torna a guardarmi in faccia arrossendo. «Cosa? No! No, no. Solo che quando stava con me era uno studente molto più diligente.» Io ridacchio. «È perché tu sei una secchiona!» la stuzzico e lei mi da uno schiaffo dietro la nuca in un tempo da record. «No, perché lo tenevo a bada, idiota. - Fa finta di aggiustarsi una ciocca di capelli - Sai qual è il bello?» dice tornando a guardare il ragazzo ormai lontano da noi. Io scuoto la testa per indurla a continuare il discorso. «È stato lui a dichiararsi a me la prima volta. Io non lo conoscevo nemmeno. Venne vicino a me dicendo “Ciao, ehm. Mi chiamo Horan, cioè Niall, di cognome Horan.” e mi diede una lettera in cui c’era scritto che gli piacevo, da parecchio, e che probabilmente io non sapevo nemmeno che esisteva. Cosa vera tra l’altro. - ridiamo insieme - Decisi di dargli una possibilità, così uscimmo un paio di volte. Ci baciammo la sera prima che succedesse tutto quel macello con Justin. Mi stavo affezionando. Ma forse è stato meglio che è finita sul nascere..» la interrompo «Altrimenti non avresti conosciuto me!» Sorrido sentendo le fossette formar misi sul volto e lei ride. «Esatto, non avrei incontrato il mio sfigatello omosessuale che mi presta il suo letto quando ne ho bisogno!» ridiamo insieme. Ma la mia risata viene spenta da una figura che intravedo andare verso la porta della scuola. Un ragazzo.
All’inizio non lo riconosco però mi alzo, seguito da una Demi confusa, e mi dirigo verso la porta della scuola nella quale quel ragazzo è appena entrato. Era uno studente ne sono sicuro. Arrivo alla porta e faccio per entrare ma il custode mi blocca. «Mi dispiace ragazzino, devi aspettare la seconda campana per entrare.» io inizio ad innervosirmi e Demi inizia a capire perché mi sono alzato e perché sto facendo questo. «Ma quel tizio prima è entrato! La legge è uguale per tutti no?» Il custode fa finta di non sentirmi e cerca di allontanarmi dalla porta mentre io mi dimeno per entrare. «Quello era uno studente! Ne sono convinto! Perché noi dobbiamo stare qui al freddo mentre quel tipo è entrato?» Do uno strattone al custode e mentre lui si riprende io mi precipito al di là della porta, ma mi blocco all’improvviso.
Il ‘tizio’ che è entrato poco prima è rimasto dietro la porta a guardare la mia scenata. Il ‘tipo’ che è entrato poco prima ora mi sta davanti e mi ha congelato con i suoi diamanti azzurri spenti. Ha uno sguardo stupito, ma lo stesso senza emozioni. Ha solo gli occhi leggermente più allargati del normale ma comunque spenti, morti. Io lo guardo con un misto di confusione, sorpresa e, si, forse anche un po’ di disperazione? Anche se non so perché. Il secondo dopo sento la mano del custode sulla mia spalla mentre mi spintona oltre il ragazzo dicendomi «Ora voi due andate dritti dal preside.»
Sto circa una mezz’oretta davanti alla porta del preside con Demi. «Scusa se ti ho trascinato in questo guaio. Colpa della mia impulsività.» lei scuote il capo e poi mi sorride. «Tranquillo, ho spintonato anche io il custode per far si che tu potessi entrare.» Io sgrano gli occhi, voglio ribattere ma in quel momento esce la segretaria che si rivolge a noi due «Signorino Styles, può accomodarsi.» Rivolgo un ultimo sguardo alla mia amica ancora seduta sulla sedia e poi entro dentro. Il preside è giusto davanti a me e sa già che predica infliggermi. Lo guardo attentamente, non ascolto nemmeno cosa dice, sono impegnato a pensare ad altro. Guardo i suoi occhi, i suoi lineamenti, i suoi capelli. Non si somigliano. Lui e suo figlio intendo. Non si somigliano nemmeno un po’. Impossibile, eppure è suo padre, giusto? Allora perché non gli somiglia? Lui conclude la ramanzina con un «Siamo d’accordo?» Io annuisco distrattamente però, dopo che lui mi congeda, non mi alzo dalla poltrona, sulla quale non mi ero nemmeno accorto di essermi seduto. Lui mi guarda interrogativo. «Posso fare qualcos’altro per te?» mi chiede. Io davvero non so come le parole mi escono da bocca visto che sono in uno stato di trans assoluto. Sono sicuro che sembro un ritardato in questo momento. «Perché suo figlio non le assomiglia?» Subito dopo che ho pronunciato la domanda, mi sono pentito. Ora sicuramente mi dirà di farmi gli affari miei e mi manderà in detenzione, se non l’ha già fatto. Non lo so perché non ho prestato molta attenzione alle sue parole. Lui invece non si scompone, rimane freddo ed indifferente. «Perché non è mio figlio.» risponde dopodiché mi fa segno di essere occupato e con un “Se ora mi scusi.” mi congeda definitivamente.






angolino autrice:
ehm.. allora, salve. sì, lo so che avevo detto che non avrei più fatto 'angoli autrice' però questo mi serve poiché ho un annuncio per voi.
ho creato insieme ad una mia amica QUESTO
account perché abbiamo presto intenzione di iniziare un'altra fan fiction long larry, che scriveremo insieme, il cui titolo sarà 'love, lust, faith, dreams', yep, come il cd dei 30 seconds to mars (non so chi li conosce.)
non so in quanti ci seguiranno ma spero siano in molti, quindi, a presto :) xx
vì.

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Capitolo 5
*** Quarto capitolo. ***


Dead eyes.
- Quarto Capitolo.




Ne io, ne Demi siamo destinati alla detenzione. Da quello che mi ha detto la segretaria almeno, che, dopo che le ho chiesto se ero stato o meno punito, mi avrà preso per un cretino, abbiamo avuto un semplice richiamo. A me però, nella testa, rimbombano ancora le parole ‘Perché non è mio figlio.’ Che voleva dire? Cioè, lo elogia sempre come se fosse una coppa oppure una medaglia, ripete sempre ‘mio figlio’ a destra e ‘mio figlio’ a manca e ora mi viene a dire che non è suo padre? Cosa cazzo-? La pacca di Zayn sulla mia spalla mi fa riprendere dai miei pensieri. «Mi hanno detto che sei stato dal preside.» dice sorridente «Vedo che le notizie corrono!» gli rispondo io. «Dai, seriamente bad boy. Cosa hai fatto? Rubato una rana da laboratorio? Cambiato la combinazione dell’armadietto a qualcuno?» io ridacchio, davvero mi considera così sfigato da non avere neppure un valido motivo per andare dal preside? Ora gliene do io uno. «Ho visto un ragazzo entrare dentro prima che suonasse la seconda campana e ho provato ad entrare pure io, però c’è stato un disguido con il custode.» Ragazzi, la sua faccia è da oscar. Vorrei fare una foto per poi incorniciarla. Rido a crepapelle. Mentre lui cerca di comporre la frase «Harreh, quando ti chiamo ‘bad boy’ lo faccio per scherzare, chiariamo.» io rido ancora più forte e devo prima riprendermi per poter rispondere. «Certo non l’ho fatto per dimostrare a te che merito quel soprannome, chiariamo.» A quel punto lui si rilassa e sorride a sua volta, poi torna a punzecchiarmi. «Allora, futuro carcerato, cosa hai fatto dal preside?» io assumo un’espressione sbalordita e «O mio dio, la mia reputazione è deglassata così tanto in cinque minuti?» esclamo fingendomi offeso. Lui ride e io sorrido per poi rispondere. «Niente, mi ha fatto una ramanzina di cui non ho ascoltato mezza parola.» «Come mai? Si ascolta la gente mentre parla.» dice all’improvviso lui. «Si proprio come stai facendo tu.» ribatto io dopo un po’ indicando Perrie che è arrivata da circa mezzo secondo ma che già gli ha ficcato la lingua in gola. La bionda ride ed io sorrido. In fondo sono carini, strani, ma carini. Si amano, si vede. «Comunque, ero distratto dal suo aspetto.» dico. Stavolta è la ragazza del mio amico a prendere parola. «Oh, Harreh. Non è un po’ troppo grande per te?» ridacchia e io le do un leggero schiaffo sulla coscia amichevolmente. «E Zayn non è troppo modesto per te?» ridiamo tutti e tre insieme. «Lo guardavo perché non assomiglia affatto al figlio.» Appena pronunciata quella frase le risate e i sorrisi scompaiono dai volti della coppia davanti a me. Zayn diventa improvvisamente serio e la ragazza sgrana gli occhi in maniera esagerata, nemmeno avesse visto un fantasma. «Cosa ti ha detto, Harry?» Zayn ha assunto una voce dura ed incredibilmente fredda. «Gli ho chiesto come mai non si somigliassero e lui mi ha risposto semplicemente che non è suo padre.» rispondo un po’ impaurito. Vedo la mano di Perrie raggiungere la sua bocca mentre sul volto si forma un espressione preoccupata. Sposto lo sguardo sul mio amico che mi mette una mano sulla spalla e mi guarda con i suoi occhi castani dritto nei miei. «Harry, stai lontano dalla vita privata del preside e di suo figlio.» La sua voce mi fa accapponare la pelle. Vedo Perrie alzarsi e cercare la mano del ragazzo mentre gli dice «Forse è meglio che andiamo.» Lui la segue senza fare storie, non mi saluta nemmeno. Ma che diavolo!? Perché mi ha detto quella cosa? Perché con quella voce? Perché è cambiato in quel modo quando ho parlato di quell’argomento? Ho paura. Tanta paura. Era solo una semplice domanda, no? Allora perché si è arrabbiato in quel modo? Perché Perrie ha assunto quell’espressione così preoccupata? Cosa cazzo c’è che non va nella famiglia Tomlinson? Sono felice che la mia giornata scolastica sia finita, perché non avrei sopportato un’altra lezione, non dopo quello che è appena successo. Mia madre oggi non viene a prendermi, le ho chiesto di poter tornare a piedi così che potessi fermarmi nel parco a leggere un po’, magari. Il parco è molto vicino alla mia scuola quindi non corro, me la prendo con calma. Appena arrivato scelgo un bell’albero sotto il quale leggere. L’aria è abbastanza fresca così apro il mio zaino e ne estraggo una felpa che mi ero precedentemente tolto. La indosso e faccio salire la zip. Beh, direi che sono abbastanza stile secchione. Felpa rossa e bianca, pantalone di jeans beige e converse rosse. Ah, non può mancare il mio cappello bianco di lana. Sì, esatto, un tipico secchione. Sto circa un’oretta a leggere un giallo. Amo questo genere, il modo in cui gli investigatori mettono impegno nel trovare indizi, come sbrogliano ogni singolo caso. E’ affascinante. All’improvviso sento una palla sbattere contro un muretto abbastanza distante da me. Alzo lo sguardo e lo vedo. Maglia a righe a collo alto bianca e blu, felpa blu legata da una due piccoli lacci all’altezza delle clavicole, pantaloni bianchi attillati rigorosamente da sopra la caviglia, un paio di mocassini blu, non esattamente adatti per giocare a calcio e cappello bianco. Eccolo. La perfezione. Louis Tomlinson sta giocando a palla a pochi metri da me. Scusate, la perfezione sta giocando a palla a pochi metri da me. Per un attimo mi scordo tutto ciò che è accaduto qualche ora prima. Vedere quel ragazzo così perfetto, nei suoi movimenti così perfetti, mi fa dimenticare tutto. Perché dovrei aver paura di una creatura così bella? Ma poi i miei occhi vanno a posarsi sui suoi polsi appena scoperti. Così magri, talmente magri che potresti spezzarli come un ramoscello. Guardo le sue caviglie, la stessa cosa. All’improvviso lo vedo inciampare nella palla e cadere. Scatto subito in piedi e, non so perché, mi precipito ad aiutarlo. Lo vedo sbattere un pugno a terra così accelero e quando sono abbastanza vicino gli porgo la mano e «Ehi, stai bene?» gli chiedo. Lui mi rivolge il suo sguardo, all’inizio mi guarda spaventato, ma quando gli sorrido sembra sciogliersi un po’. Esita un po’ ma poi mi afferra la mano e, mentre si rialza, io guardo le nostre mani. Si congiungono così bene, come il pezzo di un puzzle che coincide perfettamente con il resto. Poi i miei occhi si spostano sul suo braccio, avambraccio, polso. Rabbrividisco, lui se ne accorge e si abbassa la manica della felpa lasciandomi la mano. Nel frattempo che si pulisce il pantalone, io gli chiedo di nuovo «Stai bene?» lui si limita ad annuire, nient’altro. «Ero lì - indico il luogo dov’ero seduto - Ti ho visto cadere e pensavo avessi bisogno di aiuto.» Niente, nessuna risposta. Ma che-? Il gatto ti ha per caso morso la lingua? Si limita ad annuire, prendere il pallone e superarmi andandosene. Cosa diavolo?! Perché si comporta così? Se ne va, di nuovo. Per l’ennesima volta. E mi lascia in balia di mille domande che si aggiungono alle precedenti. Perché è così magro? Quando l’ho sollevato, al confronto, una piuma sembrava pesare un quintale. Perché non parla? Mi intimorisce quest’essere taciturno. È reale quello che ho visto prima che abbassasse la manica della felpa? Erano.. tagli? Rabbrividisco di nuovo al solo pensiero. E mi ritorna in mente la domanda che mi sono fatto appena l’ho visto giocare. Perché dovrei aver paura di una creatura così bella? Già, così bella e così fragile. Sono passati circa cinque di giorni dall’incontro al parco, ma di Louis, a scuola, nemmeno l’ombra. Che si stia nascondendo da me? Oppure è semplicemente malato, con la sua corporatura non mi stupirei. Non ho la minima voglia di trascinarmi a scuola, ma faccio uno sforzo. Mi sento sorprendentemente positivo oggi. Mi vesto con le prime cose che trovo. Una magli bianca dei Kiss, felpa verde da sopra, noto che ha due lacci come quella di Louis e la lego come fa lui, pantaloni neri e converse bianche. Scendo velocemente e chiedo a mia madre di accompagnarmi. Mi da un passaggio fino a pochi metri dalla scuola visto che deve svoltare alla curva prima dell’incrocio, dove si trova l’edificio, per andare a lavoro. Sento un urlo venire da lontano «Haaaaaaaaaaarry!» mi giro e Demi mi salta addosso tanto che per poco non cadiamo entrambi a terra. Io rido «Come mai tutta questa emozione?» lei all’inizio arrossisce poi si calma dal respiro affannato e mi spiega «Ieri Niall mi ha mandato un messaggio!» Smanetta con il telefono per poi spiaccicarmelo quasi in faccia per fami vedere il fantomatico messaggio. Sullo schermo c’era scritto: “Non è il modo migliore per dirlo però mi manchi. Niall xx” io leggo il messaggio e poi sbuffo «In effetti non è il modo migliore per dirtelo.» Lei sospira e poi torna a spiaccicarmi il telefono in faccia «Lo so! Ma mi ha scritto! Che gli manco tra l’altro!» Io rido annuendo «Ho capito! Ho capito!» cerco di calmare la sua euforia e nel frattempo arriviamo nel cortile della scuola. In effetti la mattinata è iniziata bene, e stava per migliorare. Infatti, quando faccio per andare verso la porta sbatto di nuovo contro qualcuno. Abbasso leggermente lo sguardo e ritrovo davanti a me un piccolo puffo moro dagli occhi azzurri. Quanto mi era mancato in questi cinque giorni in cui non l’ho visto. Balbetto un «Scusa, davvero. Non ti avevo visto.» ma lui mi ignora di nuovo e mi supera. La felicità provata nel rivederlo è sparita del tutto, rimpiazzata dalla rabbia. Ne avevo piene le scatole di essere ignorato. Mi giro verso di lui e urlo. No, davvero, urlo letteralmente. «Ehi tu! - lui si ferma ed io continuo sotto lo sguardo stupito della mia amica al mio fianco - SI TU!» lui si gira, ma anche se ha l’espressione di un cucciolo bastonato non riesco più a trattenermi. Mi da fastidio essere ignorato. «Perché mi ignori? Perché non parli? Dimmi almeno qual è il tuo nome!» sputo fuori con tutto il fiato che ho in corpo, metà cortile ci guarda incredulo, ma non me ne frega. Sento un sussurro, appena percettibile. «Louis.» Mi ha risposto? Sì, mi ha risposto! Mi avvicino in fretta a lui e gli porgo la mano. «Piacere, io sono Harry.» Cerco di sorridere nel miglior modo possibile. Nessuno resiste ai miei sorrisi. Nessuno fin’ora. «Sì, lo so.» Un altro sussurro. Non sono riuscito nemmeno a sentire bene la sua voce, ma è troppo tardi perché ha già girato i tacchi e se n’è andato. Demi mi raggiunge allarmata. «Cosa ti è saltato in mente?» mi sta.. rimproverando? Cosa ho fatto di male? «Andiamo!» mi prende per mano e mi trascina via come se fosse una mamma che porta via il proprio figlio da una rissa fra coetanei. Mi porta in una parte isolata del cortile e mi guarda con fare da rimprovero «Cosa ti è venuto in mente?» io la guardo stupito «Cosa ho fatto?!» sbotto contrariato. Lei mi guarda come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «Hai parlato con Louis Tomlinson!» Io mi innervosisco ancora di più. «E allora? Cosa c’è di male? Non capisco perché siete tutti contro di lui! Tu, Zayn, Perrie! Cosa vi ha fatto?» urlo, non riesco a trattenere la rabbia. «Avete davvero scocciato, tutti quanti!» Concludo urlando e girandomi per andarmene. Sento la mano di Demi bloccarmi per un polso ma la strattono liberandomi dalla presa e dirigendomi verso l’interno della scuola. Sono arrabbiata, furioso. Non so come definirmi. Non ho voglia di seguire le lezioni, non oggi, non con questo umore. Non voglio vedere nessuno. Né Demi, né Zayn, nessuno. So già cosa mi direbbe Zayn “Ti avevo detto di non impicciarti della vita di Louis Tomlinson e tu che hai fatto?” Che nervi. Non capisco perché ce l’abbiano con lui. E’ una creatura così piccola ed indifesa, fragile e debole, solo contro il resto del mondo. In effetti, ora che ci penso non l’ho mai visto con nessuno. Sempre da solo, con se stesso. Non l’ho mai visto parlare con uno studente, mai prima d’oggi con me. Perché lo evitano tutti? Cos’ha fatto? Balenato da questi pensieri mi ritrovo in biblioteca. Non so come mai sono arrivato qui, forse perché era l’unico luogo che la mia mente, offuscata dalla rabbia com’era, è riuscita ad individuare. O forse perché appena entro lì dentro vedo ad un tavolo, immerso in un libro, con la sua ragazza seduta di fronte a lui anch’essa impegnata a leggere, Liam. Non so perché ma ho il disperato bisogno di parlare con lui, sento che è l’unico con cui posso parlare con calma senza agire d’impulso. Mi avvicino frettolosamente al tavolo attirando la sua attenzione. Lui cerca di salutarmi ma io lo interrompo prima che possa iniziare e «Ho bisogno di parlarti.» dico guardandolo negli occhi. Danielle capisce di essere di troppo e si sposta a qualche tavolo di distanza, a quest’ora c’è poca gente in biblioteca, perciò i tavoli sono tutti liberi. Mi siedo al posto di Danielle e guardo Liam, che nel frattempo aveva messo il libro da parte e mi aveva rivolto il suo sguardo, dritto negli occhi. «Ricordi quando mi hai detto che potevo fidarmi di te e dirti tutto qualsiasi cosa accadesse?» Lui, un po’ incredulo, annuisce senza però perdere la calma. «Raccontami quello che sai su Louis Tomlinson.» Un attimo, un lampo nei suoi occhi e un sorriso provocatorio, di quelli che non gli ho mai visto addosso in vita mia, ed è scattata la scintilla.






angolino autrice:

allora, scusate per il ritardo imperdonabile però ultimamente sono impegnata con il lavoro (ho iniziato a lavorare con mio padre) e con il trasferimento di scuola quindi ho molto poco tempo per scrivere.
eccovi un capitolo un po' più lungo e spero che un ritardo così non si verifichi più. :) (vi ho anche aumentato il carattere in modo che sia più leggibile c:)
vi avviso in oltre che ho un'altra long e una one shot in cantiere, mentre per quanto riguarda "love, lust, faith, dreams".. beh, dovrete aspettare. siamo entrambe impegnate quindi è un po' complicata la situazione :c
a presto :) xx
vì.
p.s. per chi volesse seguire la nuova long eccola qui

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Capitolo 6
*** Quinto capitolo. ***


Dead eyes.
- Quinto Capitolo.




Credo che attendesse da tempo questo momento. Come se non avesse desiderato altro per tutta la vita che parlare di quel ragazzo, ma prima di rispondere mi rivolge una richiesta un po’ strana. «Prima di iniziare, devi dirmi cos’è per te Louis.» io arrossisco, ne sono certo, e sento di nuovo lo stomaco contorcersi «P-Perché lo v-vuoi sapere?» Da quando sono diventato un balbuziente?! Lui sospira. «In base alla tua risposta saprò quante informazioni dovrò darti.» Ok, sono sempre più confuso, ma non posso certo dirgli “Beh, sai, ho visto questo ragazzo una settimana e mezzo fa per la prima volta, non l’avevo mai notato prima però mi ha colpito, l’ho soprannominato ‘perfezione’ perché ogni volta che lo vedo il mio amichetto in mezzo ai pantaloni si risveglia, ogni volta che incontro i suoi occhi azzurri, nonostante siano spenti, quasi morti, sento qualcosa che mi divora lo stomaco e inizio ad arrossire e balbettare, anche se effettivamente ho anche paura di lui perché quando l’ho aiutato a sollevarsi da terra nel parco ho notato che pesava meno di una piuma e ho visto dei tagli che partivano dall’avambraccio fino al polso, nonostante questo credo che mi piaccia.” Decisamente non posso dirgli questo. Così decido di mentire «Voglio essere suo amico.» Liam mi guarda leggermente di sottecchi però poi parla. «Se è soltanto questo allora posso dirti molto poco. Sappi solo che Louis non ha una bella situazione familiare, è stato abbandonato dal vero padre quando aveva due anni. - BINGO! Una delle mie domande ha trovato risposta. - Quello attuale è il patrigno. Sta spesso solo e non parla con nessuno. L’ultima volta che lo ha fatto disse che non gli piaceva la sua voce, ma non so quanto questo sia attendibile. - Un’altra risposta. - E ora la sua voce non è sentita più da nessuno.» Ho trovato due risposte, ma non riesco ad accontentarmi, voglio sapere di più. Voglio saziarmi della storia di Louis, voglio saziarmi di lui. Non so perché ma ne ho un bisogno disperato. Liam mi guarda incuriosito. «Perché sei arrossito quando ho parlato di lui?» sorride. «Perché sei così impiccione ultimamente?» ribatto. Lui ridacchia ma poi si fa serio e appoggia una mano sulle mie distese sul tavolo. «Harry, se devi innamorarti, non ti consiglio di farlo di Louis. È meglio se lo lasci perdere, anzi, forse è meglio se lo eviti.» Di nuovo quell’affermazione, anche se sussurrata come un consiglio fraterno è meno fastidiosa, mi fa innervosire. Alzo lo sguardo verso Liam, lo guardo determinato. Non capisco come faccia a leggermi come un libro aperto. «Non ci riesco.» dico. Perché è vero, non riesco ad evitarlo. Non da quando ho visto lui, il suo corpo, i suoi occhi e le sue ferite. Nonostante lui mi eviti e, forse, dopo l’episodio di oggi, non mi parlerà mai più. Nonostante tutto, so che dietro quegli occhi morti c’è qualcuno che ha bisogno d’aiuto. E poi, diciamocelo, non sono stato mai il tipo che segue i consigli della gente. Mi alzo sotto lo sguardo rassegnato di Liam che sa che non getterò la spugna. Sono determinato a diventare, secondo lui, amico di Louis e ci riuscirò. Non importa cosa accadrà. Ma siamo sicuri che voglio essere solo suo ‘amico’? Non importa, ora voglio solo ritrovare quel ragazzo. Esco di nuovo in cortile, non so perché sono duramente convinto che abbia saltato le lezioni. Mi reco nella zona verde di quel cortile che, nel complesso, è più grande di uno stadio da football, e mi guardo un po’ in giro. Ed è lì che lo trovo. Appoggiato con la schiena al muro, un libro tra le mani, il suo abbigliamento strano ma ineguagliabile e gli occhi che percorrono velocemente riga dopo riga il testo. È possibile che in una settimana sono arrivato a notare i più piccoli particolari di un ragazzo che fino a due settimane fa non avevo mai visto? È forse possibile che se non sento i suoi occhi, nonostante spenti, su di me per più di un giorno, sto male? È forse possibile che Liam abbia ragione? Che mi sto … innamorando? Non faccio in tempo a rispondere a tutte queste domande perché lui si accorge della mia presenza e alza lo sguardo posando i suoi diamanti azzurri sul mio corpo, facendomi sentire un piccolo granello di polvere, debole, indifeso. Mi avvicino mentre lui sgrana leggermente gli occhi nel vedermi eseguire quei movimenti, infatti, quando sono abbastanza vicino, si sposta. «Tranquillo, non mordo mica.» dico con un sorriso, forse uno dei più dolci che abbia mai fatto, infatti vedo che si rilassa. Mi siedo accanto a lui e «Che leggi?» chiedo cercando di iniziare una conversazione. Lui torna con lo sguardo sul suo libro, non mi degna di risposta. Sono davvero così ripugnante da snobbarmi in questa maniera? Mi irrito, ma visto che non riesco a rimanere arrabbiato nei suoi confronti a lungo, azzardo semplicemente una domanda. «Perché non mi parli?» lui mi guarda arrossendo, stavolta l’ho visto, ne sono convinto. È arrossito. Prende il suo zaino, lo apre e lo scombussola in cerca di qualcosa. Cosa? Ne tira fuori un pezzo di carta e una penna. Scarabocchia qualcosa e poi me lo passa. “Non sei tu il problema.” Che scrittura sottile, elegante e delicata, proprio come ci si poteva aspettare da un tipo come lui. Ma non riesco comunque a capire quale sia il problema. «E allora qual è?» chiedo leggermente confuso. Lui mi strappa il foglio di mano, scrive qualcos’altro e poi me lo ripassa. “Non mi piace la mia voce, non voglio sentirla.” Mi incanto per qualche minuto, di nuovo, a guardare la sua scrittura così accurata e ordinata. Poi mi concentro sulla frase. Che vuol dire? Anche io non vado matto per la mia voce, ma non per questo faccio il finto muto. «È assurdo! Prima però hai risposto, hai anche detto di sapere già il mio nome.» lo vedo irrigidirsi e arrossire. Chiude il libro, lo ripone nello zaino e fa per alzarsi, come se volesse scappare, ma io glielo impedisco. Questa volta non fuggi, caro mio. «Aspetta!» mi alzo accompagnandomi da questa frase mentre lo blocco per un polso. Lo sento tremare sotto la mia presa e, forse, mi è sembrato di vedere che per un secondo ha chiuso gli occhi, ha forse paura? Paura di … me? Ma di cosa? Paura di essere … maltrattato? Voglio rassicurarlo. Non voglio che abbia paura di me. Non voglio che sia questo il sentimento che provi per me. No. «Voglio soltanto essere tuo amico.» lascio la presa, ma lui non se ne va. La mia affermazione lo ha tipo congelato. Non si muove, non sbatte le palpebre, mi sto chiedendo se almeno respira. Per un attimo ho l’impressione che stia per cadere a terra, ma poi lui abbassa lo sguardo. Sento qualcuno da dietro le mie spalle chiamarlo. «Louis. Che ci fai qui? Andiamo.» Vedo che stringe lo zaino alla spalla e se ne va a testa bassa. Sento qualcosa bagnarmi la mano quando lui mi oltrepassa. Mi giro verso la voce di poco prima e trovo il preside in piedi ad aspettare che il ‘figliastro’ lo raggiunga, dopodiché se ne vanno insieme verso il parcheggio. Mi guardo la mano, un po’ umida. Due gocce. Ci scommetterei la pelle e so che vincerei. Quelle sono lacrime.
Quando torno a casa sbatto la porta un po’ troppo forte e mia madre se ne accorge. Le mie sorelle non ci sono in casa, chissà che fine avranno fatto. Lei mi si avvicina alzandosi dal divano. «Tutto bene, tesoro?» Io butto lo zaino a terra e mi levo il cappotto appendendolo all’attaccapanni, poi mi tuffo tra le sue braccia e la costringo ad andarci a sedere di nuovo sul divano. Lei non parla, sa che, non appena sono pronto, parlerò da solo. Infatti, dopo qualche minuto rimasto ad abbracciarla, «Mamma, esiste un amore sbagliato?» chiedo. Non so che espressione fa perché sono troppo occupato a fissare un punto indefinito della stanza, ma sento la sua stretta intorno a me farsi più forte. «Beh - inizia - No, credo di no. L’amore è sempre una cosa bella, qualunque esso sia. Non credo esista un amore sbagliato. Se una persona ne ama un’altra è perché sa che c’è qualcosa in quella persona di buono, qualcosa che solo tu puoi capire e comprendere. Qualcosa che non si può spiegare a parole. Quindi no, non esiste un amore sbagliato.» Mi accarezza i capelli. «C’è qualcosa che dovrei sapere?» dice poi. Io arrossisco e mi irrigidisco. Lei lo nota e mi costringe a guardarla negli occhi. «Harold?» bene, ha usato il mio nome di battesimo. È determinata a sapere e guardandomi così non fa altro che generare l’aumento del mio rossore. Io mi arrendo, so di non poter tenerle testa. «Beh, c’è un ragazzo.» Mi fa strano dire quella frase, la mia omosessualità è risaputa, ma io l’ho capito quando mi sono ritrovato a sbavare su un modello delle tante riviste di mia sorella. Parlarne così, come un adolescente alla sua prima cotta, non mi era mai capitato. In effetti, non ho mai avuto una cotta. «Si chiama Louis.» continuo. Nel pronunciare quel nome sento che qualcosa all’altezza dello stomaco si muove, come se ci fosse qualcosa che svolazzasse. «Beh, effettivamente non so nemmeno io cosa provo. Semplicemente da quando l’ho visto, cerco di avvicinarmi a lui. I miei amici dicono tutti che è meglio stargli alla larga, ma proprio non ci riesco. Sento come una sensazione che mi spinge a sapere tutto quello che posso su di lui.» Mia madre mi guarda comprensiva e quando finisco, mi accarezza i ricci dicendo «Sarà che hai visto qualcosa in quel ragazzo che gli altri non vedono. Va tutto bene fin quando stai bene, ma non devi cacciarti nei guai, nemmeno per amore.» Amore. Questa parola mi vortica in testa da un po’. Che sia questo l’amore? Che sia il bisogno di sapere sempre cosa una persona stia facendo, programmando o anche solo pensando? Che sia il momento in cui ti accorgi che magari anche la più piccola cosa, come una lacrima caduta sulla tua mano oppure il pantalone leggermente più lungo rispetto a quello che indossava il giorno prima, fa la differenza? È davvero questo ciò che tutti chiamano “amore”? Annuisco a mia madre e mi alzo dal divano dirigendomi verso la mia stanza. Chiudo la porta a chiave e mi butto sul mio letto. I mille pensieri che mi vorticano nella mente mi invadono il cervello non appena la mia testa tocca il cuscino, ma hanno tutti lo stesso soggetto. LOUIS TOMLINSON. Penso a cosa possa aver passato per odiare la sua voce, per avere degli occhi così spenti, per aver iniziato a piangere quando gli ho detto di voler essere suo amico, per stare sempre e ovunque da solo, per avere tutti quei tagli. Deve avere davvero una vita orrenda. Ma allora perché voglio conoscerla? Perché voglio scoprirla? Perché vorrei poterlo abbracciare dicendogli che, qualsiasi cosa gli sia successa, ora ci sono io e che non ha bisogno di preoccuparsi? Perché vorrei poterlo prendere in braccio, appoggiarlo sul mio letto e riempirlo di baci? Afferrarlo sotto le coperte e non lasciarlo più andare? Perché? Non capisco cosa mi passa per la mente. Più lui mi evita, non mi parla, mi fa capire che non devo avvicinarmi a lui, e più io lo cerco, lo guardo, lo desidero. Più lui mi allontana, più io mi innamoro.






angolino autrice:

dunque: SCUSATE. SCUSATE. SCUSATE. so di essere in ritardo e anche molto, ma ho dovuto lavorare e poi c'è stato il gleeffoni, quindi non ho avuto proprio tempo.
nonostante tutto ecco qui il nuovo capitolo. spero di non fare più un ritardo simile. buona lettura e scusate ancora!
a presto :) xx
vì.

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Capitolo 7
*** Sesto capitolo. ***


Dead eyes.
- Sesto Capitolo.




La mattina dopo, mi alzo, controvoglia, ma mi alzo. Mi trascino in bagno e faccio una doccia veloce, apro l’armadio e sto lì davanti per circa un quarto d’ora. Ho voglia di parlare di nuovo con Louis, oggi, e voglio fare una bella figura. Arrossisco e scuoto la testa al pensiero che devo davvero sembrare una ragazzina al suo primo amore, ma ci tengo davvero a non fare la figura del trascurato. Lui, anche se non credo metta molto impegno nell’abbigliamento, ha sempre uno stile abbinato, un modo di vestirsi tutto suo, che lo rappresenta. Non potrei mai tenergli testa. Così, dopo aver osservato a lungo l’armadio aperto, prendo un maglioncino blu, pantalone bianco e toms blu. Scendo le scale abbastanza in fretta, indosso il cappotto e prendo lo zaino. Mi faccio accompagnare da mia madre per non ritardare ancora di più. Arrivo a scuola giusto in tempo prima che suoni la campanella. Non voglio andare ne da Demi, ne da Zayn. Ieri, lei mi ha bombardato di messaggi e chiamate alle quali, ovviamente, non ho risposto, mentre lui si è limitato ad un messaggio su Twitter dicendo “Sei sempre il solito, non cambierai mai.” Quindi non ho proprio voglia di parlare con loro o anche solo vederli. Mi guardo in giro alla ricerca di Liam, ma lo vedo impegnato a parlare con la sua ragazza quindi non infierisco. Prendo un respiro. Non pensavo di doverlo incontrare fino alla fine delle lezioni, ma non ho altra scelta. Provo ad andare laddove l’ho trovato il giorno prima ed, infatti, eccolo. Seduto al solito posto, in tutta la sua perfezione, a leggere il libro che ha iniziato il giorno prima. Rimango a guardarlo imbambolato per qualche minuto poi lui, alza lo sguardo verso di me, i suoi occhi pari al ghiaccio si posano su di me e sento un calore alle guance e un bruciore all’altezza dello stomaco; Poi fa un gesto che non mi sarei mai aspettato: picchietta con la mano l’erba al suo fianco. Mi sta ... invitando a sedermi? … Vicino a lui? Non esito nemmeno un secondo e mi precipito accanto a lui. Gli rivolgo un sorriso e «Buongiorno.» dico sedendomi. Lui prende dallo zaino un altro foglio di carta, ma noto che non trova la penna, così scatto a frugare nella mia borsa per porgergliela. Scribacchia qualcosa. “Pensavo che dopo ieri non mi avresti più rivolto la parola.” Rimango un po’ stupito da quell’affermazione. «Perché non dovrei?» Scrive. “Non vado molto a genio ai tuoi amici.” Ecco, di nuovo quella morsa allo stomaco. Sento i nervi scendermi giù per il braccio e devo chiudere la mano in un pugno per trattenermi. Abbasso lo sguardo. «Sono degli idioti.» I miei occhi vengono nascosti dai miei ricci perciò riesco a notare la sua espressione stupefatta, meravigliata, quasi non credesse alle sue orecchie. Sento la sua mano sulla mia coscia e mi irrigidisco. Alzo lo sguardo e vedo che mi sta rivolgendo un sorriso. È il suo primo sorriso che vedo ed è stupendo. Potrei drogarmi con quel sorriso, resterei a guardarlo sorridere per il resto della mia vita. I miei occhi incontrano per un attimo i suoi ma, a differenza della sua bocca, non stanno sorridendo, sono ancora spenti, tristi. Perché non riesco a provocare un luccichio in quelli occhi? Perché non ci riesco? Voglio vedere quei due diamanti illuminarsi e sapere che ne sono io la causa. Lo desidero con tutto me stesso. Purtroppo però quel sorriso dura poco, troppo poco; e la sua mano lascia la mia gamba presto, troppo presto. Torna a concentrarsi sul libro e io ne approfitto per guardarlo, in tutta la sua bellezza. Non sembra dargli fastidio oppure è troppo concentrato a leggere per darmi attenzioni, quando io, tutte quelle che ho a disposizione, le sto dedicando a lui. Quando finisce il quarto capitolo, chiude il libro e si alza. Io lo assecondo. Fa cenno di saluto con la mano e cerca di superarmi, ma io lo fermo bloccandolo per il polso. Sento un senso di deja vu. Ho compiuto la stessa azione il giorno prima, ma oggi, è un po’ diversa perché, appena alza lo sguardo nella mia direzione, «Domani posso tornare qui a guardarti mentre leggi?» dico. Sono stupito io stesso delle mie parole. Arrossisco ma non smetto di guardarlo negli occhi, sono in stato di trans. Tutta quella perfezione mi fa male. Lo vedo arrossire pesantemente, molto pesantemente. Annuisce come un forsennato, si libera dalla mia presa e scappa via. Appena è abbastanza lontano mi riprendo giusto il tempo per darmi uno schiaffo in faccia. Ma cosa mi è venuto in mente?! Devo essergli sembrato un maniaco. Però ha annuito, perché? Ultimamente la mia vita è incentrata su troppi ‘perché’ e su troppo Louis Tomlinson. Sento una mano posarsi sulla mia spalla strappandomi ai miei pensieri. Mi giro trovandomi davanti due occhi marroni. «DOVE CAZZO TIENI IL TELEFONO?!» La voce squillante di Demi quando è arrabbiata mi rimbomba nelle orecchie. Io la guardo con un sopracciglio alzato mentre lei si impegna a farmi la predica. «TI AVRÒ CHIAMATO CIRCA VENTINOVE VOLTE E TI HO LASCIATO SETTANTASEI MESSAGGI!» Io la supero per entrare nell’edificio. Ho saltato le prime due ore e ieri non sono proprio entrato. Mi conviene farmi le restanti tre ore se non voglio che il preside chiami mia madre. Sento che la mia amica mi corre dietro, raggiungendomi e «PERCHÉ NON HAI RISPOSTO?» urlando. Io mi giro solo un secondo verso di lei, più serio che mai, congelandola con i miei occhi verdi. «Ti è balenata nel cervello l’idea che non avevo voglia di sentire la tua voce?» concludo voltandomi e entrando dentro. La lascio lì, da sola, senza aggiungere altro, ma non mi interessa. Non voglio vederla, non dopo che mi ha rimproverato per aver parlato con Louis, non dopo che lei, colei che non discrimina mai nessuno, che dice che la bellezza si trova dentro e non fuori, che non si giudica un libro dalla copertina, sì, proprio lei, ha criticato quel ragazzo. Non voglio sentire la sua voce, non voglio sentire la voce di nessuno, nemmeno la mia. Vorrei poter sentire quella di una persona soltanto, ma non essendomi possibile, non voglio sentire quella di nessun altro. Forse è per questo che supero la mia classe e vado a rinchiudermi nel bagno, rimanendo là fin quando non suona l’ultima campanella di quella mattinata.

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Sono due settimane che ripeto sempre la stessa routine e che non parlo con nessuno dei miei amici, forse saluto solo Liam. Giorno per giorno. Sempre la stessa cosa. Mi alzo, mi lavo, mi vesto, vado a scuola e salto l’ultima ora per andare nel cortile, sedermi accanto a Louis e guardarlo leggere. Non si lamenta, non dice niente, non ci muoviamo, a stento respiriamo. E per quanto poco possa sembrare tutto ciò, a me basta. Mi basta poterlo guardare mentre i suoi occhi scorrono veloci sulle pagine, mi basta poter vedere apparire il suo sorriso quando nel testo succede qualcosa di comico, mi basta accorgermi che ogni tanto il suo sguardo slitta su di me come per controllare che sono ancora lì, che non me ne sia andato. Mi basta poterlo sentire vicino a me, non importano più le parole, non importano i gesti. Non conta più nulla. Anche se un’altra domanda mi sta balenando in testa da tre giorni a questa parte: perché se ne va sempre in anticipo? Voglio dire, anche se è il figlio del preside, è un normale studente come gli altri. Allora, perché se ne va sempre prima? Non aspetta mai la sesta campanella come i suoi compagni di quinto. Come mai? Non riesco a capire. È questo il pensiero che tormenta il mio cervello mentre, tanto per cambiare, lo guardo intento a leggere il suo terzo libro da quando abbiamo iniziato questi incontri un po’ strani. Sto cercando di persuadere la mia lingua affinché stia zitta, ma sento che non riuscirò a controllarla ancora per molto, mi ci vuole qualcosa per distrarmi. Prendo un quaderno da dentro il mio zaino e una penna e gliela porgo. Lui mi guarda con un sopracciglio alzato, naturale. «Parlami di te.» dico sorridendo. Lui si irrigidisce, me ne accorgo. Ho forse toccato il suo punto debole? Cazzo, devo riuscire a non spaventarlo. «Intendo … i tuoi hobby, progetti per il futuro, gusti. Cose così.» Vedo che tira un sospiro di sollievo. Inizia a scribacchiare, poi mi passa il quaderno. “Beh, studio per diventare dottore … In realtà pediatra, mi piacciono i bambini.” «Abbiamo una cosa in comune!» esclamo non appena finisco di leggere. «Anche io amo i bambini. Sono così puri e innocenti, e poi, riesco a stabilirci subito un contatto, meglio delle persone grandi.» lui mi regala un altro sorriso come quello che mi ha rivolto qualche settimana fa. Dio! Potrei morire per quei sorrisi. Come fa un ragazzo così semplice, così taciturno, così strano ad essere contemporaneamente l’individuo più bello della Terra? Mi prende il quaderno da mano e continua a scrivere: “Io non sono molto bravo a fare amicizie, ma quando succede, giuro fedeltà a quella persona, qualsiasi cosa accada.” Capisco che quella frase non è solo una considerazione dell’argomento ‘bambini’. Capisco che quella frase, in un certo senso, è diretta anche a me. Ha forse paura di farsi amici? Ma perché? Cosa c’è di male nel farsi qualche amico? O forse non riesce a fare amicizia perché nessuno vuole essere suo amico? Non capisco come fanno a dirmi di stare lontano da lui, quando l’unica cosa che sento di volere è proprio di restare accanto a lui per il resto della mia vita. Mi passa di nuovo il quaderno. “Se … se ti faccio sentire la mia voce, prometti di non ridere?” Me l’ha davvero chiesto? Vorrebbe farmi sentire la sua voce? So che può sembrare assurdo ma è come se mi avesse chiesto di sposarlo, credetemi. Non esito ad annuire immediatamente. Lui prende un respiro, mi guarda negli occhi e «Posso chiamarti Hazza?» chiede. La sua voce è così sottile, elegante, proprio come la sua scrittura. È un po’ femminile, forse è per questo che se ne vergogna? Ma non importa. È perfetta. Lo rende perfetto. Ancora più perfetto della perfezione stessa. Sfido chiunque a trovarmi qualcuno o qualcosa più perfetto di Louis Tomlinson al mondo e, se qualcuno ci riuscisse, dovrei morire nel preciso istante in cui la vedo. Rimango incantato da quella voce così cristallina per qualche minuto. Poi però mi ricordo della domanda che mi ha fatto e «Hazza?» ribatto. Lui arrossisce un po’ e abbassa lo sguardo sorridendo. Mai visto nulla di più dolce. «Sì, è un soprannome per il nome Harry.» di nuovo quella voce così calda e dolce, mi sa di casa. Potrei stare ad ascoltare il suono melodico con cui dice ‘hazza’ per ore e ore senza stancarmi mai, ma mi viene in mente che questa settimana non abbiamo mai parlato e che lui già sapeva il mio nome. «Come facevi già a sapere che mi chiamo Harry?» Dei brividi percorrono la sua schiena e arrossisce ancora di più. Non vuole rispondermi, ma, caro mio, hai trovato la persona sbagliata alla quale non rispondere. Detesto essere lasciato nel dubbio. Agisco d’impulso, come al mio solito, e gli afferro il polso. Vorrei stringerglielo per spronarlo a parlare, ma non me la sento a fargli del male. Appena le mie dita entrano in contatto con la sua pelle sento che è liscia, morbida però è fredda e soprattutto piena di … cicatrici? Lui ritira il braccio e sospira. Si alza e fa per andarsene ma, prima di superarmi e andare via, si ferma e mi guarda. «Non sei l’unico a cui è permesso osservare gli altri.» conclude andandosene verso la macchina che lo sta aspettando. Sento il rosso che mi vela le guance, degli elefanti mi stanno calpestando lo stomaco, ne sono certo, sento il cuore leggero, che batte incredibilmente veloce, sento un sorriso enorme fiorirmi sulle labbra. Metto una mano laddove ci dovrebbe essere il mio cuore per controllare che sia ancora lì e che non se ne sia scappato dalla gola. Mi sento felice, leggero, positivo. Non so bene come mi sento, so solo che potrei morire anche in questo preciso istante e starei bene, stupendamente. Perché sai cosa hai fatto Louis? Sai cosa hai combinato? Caro Louis Tomlinson, mi hai appena colpito dritto al cuore; e se prima non capivo bene cosa mi passava per la testa, mi vergognavo di sembrare una ragazzina cotta, non volevo dirlo a nessuno, ora non è più così. Ora non me ne infischio di cosa posso sembrare agli occhi degli altri, ora vorrei gridarlo al mondo perché ora ho capito cosa è successo, caro Louis: mi sono innamorato.

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Capitolo 8
*** Settimo capitolo. ***


Dead eyes.
- Settimo Capitolo.




Sono passati un bel po’ di giorni da quando Louis mi ha rivolto la parola. Saranno due settimane oggi? Sì, credo proprio di sì. Sto lentamente perdendo la concessione del tempo e dello spazio, ma probabilmente è questo l’effetto che fa Louis Tomlinson alla gente, credo che prima o poi mi dimenticherò anche il mio nome se continuo così. Come al solito, siamo seduti nel solito luogo, alla solita ora a fare quello che facciamo di solito. Lui legge, io guardo. Ha tutto un equilibrio così perfetto, tutto ciò è così perfetto che stento a credere che sia reale. Durante queste due settimane ho scoperto poche cose di lui, ma allo stesso tempo sembrano tante, e, soprattutto, mi sono innamorato sempre di più di lui. Ho fatto pace con Demi che cinque giorni fa si è presentata in lacrime a casa mia dicendomi che era dispiaciuta, che non ce la faceva a non parlarmi e che, se Louis mi rende felice, per lei va bene, lo accetterà. Zayn non si è fatto ancora sentire, mi ha soltanto mandato un messaggio tramite Liam dicendomi di stare attento. Liam invece è sempre più curioso di sapere cosa provo DAVVERO nei confronti del ragazzo seduto davanti a me, ma non credo che glielo dirò molto presto. Stasera devo uscire con lui, Danielle, Demi, Zayn e Perrie. “Un’uscita di riconciliazione” come la chiama Danielle, anche se io, con Zayn, non ho molta voglia di riconciliarmi. Dovrò sopportare anche Niall, che ovviamente porterà anche Justin, che porterà la sua ragazza. Tutte coppiette. Ora, ditemi cosa ci sto a fare io? Io che non faccio parte di nessuna ‘coppietta’. Cosa cazzo ci devo fare in mezzo a loro?
Pensando a questo i miei occhi cadono sulla mano di Louis che sta girando la pagina del libro. Quant’è bello. È così semplice, ma allo stesso tempo così complicato. «Cosa fai stasera?» dico senza nemmeno rendermene conto. Lui alza lo sguardo all’improvviso. «Come?» Io mi aggiusto i ricci, leggermente nervoso, ultimamente quando parlo con lui, soprattutto quando faccio domande, sono in uno stato di trans pazzesco, quando mi ‘risveglio’ mi accorgo di quello che ho combinato. «Ho chiesto sei hai qualcosa da fare per questa sera.» Sorrido sentendo le fossette affiorare sul mio viso. Lui, all’inizio non sa cosa rispondere, poi mi rivolge uno sguardo un po’ strano, un misto tra il provocatorio ed il curioso. «Perché?» Strano che la domanda che mi sono fatto tutto questo tempo sul suo conto, ora sia lui a rivolgermela. «Volevo chiederti se ti andava di uscire. - Arrossisce ed io mi affretto a correggermi. - Intendo con me ed altri miei amici.» Il rossore scompare e lui abbassa lo sguardo visibilmente triste. «Ehi, che succede?» Appoggio la mia mano sulla sua e lo sento rabbrividire. La sua mano è così morbida, anche se fredda. Vorrei poterla afferrare, stringerla, riscaldarla. Vorrei poter afferrare lui tra le braccia e non lasciarlo più andare. «Non credo che i tuoi amici mi accetterebbero.» Dice malinconico, così agisco con il mio famoso impulso. Prendo il suo mento tra le dita e gli alzo la testa in modo che possa guardarmi negli occhi, sorrido. «Ci divertiremo! Andremo al parco giochi. E poi ci sono io.» Lui mi guarda dubbioso. «Ti fidi di me?» Che domanda stupida. Certo che non si fida! Insomma, sono una specie di sconosciuto per lui. Ma cosa mi è saltato in mente?! «Sì.» Mi sorprende con un sorriso. Davvero? Davvero si fida di me? Sento un calore immenso all’altezza del cuore. Un calore che mi riempie, che mi fa sentire completo.
Poi lo fa: ride. Non l’ho mai sentito ridere e, credetemi quando vi dico che, la sua risata, è la più bella del mondo, perché non esagero. La sua voce cristallina rende la sua risata così dolce e delicata che ti verrebbe voglia di strapazzarlo di coccole appena lo senti. «Non siete un po’ troppo grandi per il parco giochi?» dice alla fine e rido anche io. Vedo, per un millesimo di secondi, qualcosa nei suoi occhi, per la prima volta. Un … luccichio? Dura troppo poco, talmente poco che non riesco a capire bene cosa sia precisamente. «In effetti, ma siamo solo dei bambini troppo cresciuti.» Scherzo, ma lui non sembra prenderla allo stesso modo, infatti la sua risata si trasforma in un sorriso sforzato, ma sta cercando in tutti i modi di non farlo capire, così gli reggo il gioco. «Quindi è un sì?» chiedo. Lui mi sorride, di nuovo, e stavolta non è forzato, per niente. Anzi, è uno dei più bei sorrisi che mi abbia mai rivolto. È così dolce. I suoi occhi, anche se di nuovo spenti, sono dolci come quel sorriso. Annuisce. È come una specie di appuntamento, solo che lui non lo sa. Sono così felice che mi lascio scappare un gridolino di vittoria e lui ride di nuovo. Pagherei per poter vedere e sentire la sua risata in eterno, lo giuro. Mi alzo e gli do una mano per farlo alzare, sento la sua macchina avvicinarsi, cristo! Proprio non potete ritardare, eh? «Allora ti faccio sapere tutto io! Se magari mi dai il tuo numero di telefono, così ti dico anche dove venire.» Lui ride perché parlo velocemente, tutto d’un fiato. Non voglio dimenticare di dire niente e il tempo è poco perché il clacson della monovolume nera ha suonato già due volte e Louis dice che non deve arrivare alla terza, ma oggi non sembra preoccuparsene più di tanto. Prende una penna di sfuggita, mi alza la manica della giacca e dalla maglia e mi scrive quello che dovrebbe essere il suo numero sul braccio proprio mentre la macchina suona per la terza volta, poi mi rivolge un ultimo sorriso e si precipita nella vettura lasciandomi, come al solito, imbambolato a guardarlo mentre sgomma via, lontano da me, stavolta con una piccola parte di lui scritta sul braccio. Una parte di lui, che, ne sono certo, avrei imparato a memoria prima di stasera.







angolino autrice:

EBBENE SI. SEMBRA IMPOSSIBILE, MA CE L'HO FATTA. HO AGGIORNATO. CON TRE MESI DI RITARDO, MA HO AGGIORNATO.
dunque, so che questo capitolo fa schifo e ora vi starete chiedendo "questa torna dopo tre mesi e pubblica 'sta schifezza?".. beh sì. PERO', non disperate miei cari prodi, ho già scritto e preparato i prossimi due capitoli, per cui, aggiornerò al più presto.
se volete, vi consiglio di seguire l'altra long che ho iniziato oppure leggere una one-shot sul mio profilo "pandosea". :-)
cercherò di aggiornare appena posso.
a presto!
panda.


p.s. sì, ho cambiato nome. prima ero "p e r v i n c a". lol

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Capitolo 9
*** Ottavo capitolo. ***


Dead eyes.
- Ottavo Capitolo.




Che faccio? Chiamo o non chiamo? Devo chiamarlo, ma ho troppa vergogna. Sono seduto da circa mezz’ora sul mio letto, sul telefono c’è digitato il numero di Louis ma ogni volta che cerco di premere il tasto di chiamata l’imbarazzo prende il sopravvento. Devo chiamarlo per forza, quindi adesso o dopo che cambia? Prendo un respiro profondo e prima che il mio cervello faccia spostare di nuovo il mio dito premo il pulsante verde. Sta squillando. «P-Pronto?» Ha risposto! Forza Harry, parla. «Ehi, Louis!» Sento la sua voce sorpresa e … singhiozzante? «Oh, Harry? Scusa, non ho il tuo numero salvato. Hai chiamato in fretta. Hai già parlato con i tuoi amici?» C’è qualcosa nel suo tono di voce che non mi convince, per niente. Ho paura. «No, loro non escono più, ma noi usciamo lo stesso, vero?» Sto … mentendo? In realtà l’ho fatto anche stamattina quando ho messo in mezzo il parco giochi, ma era a fin di bene, no? Perché lo sto facendo di nuovo? Perché ho la strana voglia di stare con lui da soli? «Capisco. Certo che usciamo.» Sorrido e arrossisco, meno male che non può vedermi attraverso il telefono. «Bene. Allora puoi venire verso le otto a casa mia, andiamo a mangiare qualcosa e poi andiamo dove ti ho detto stamane. Va bene?» Sono abbastanza eccitato all’idea di passare un’intera serata in sua compagnia. «Va benissimo. Mandami un messaggio con il tuo indirizzo, così non lo dimentico. A stasera!» Cerco di rispondere con un ‘a dopo’ ma lui chiude troppo in fretta, quasi come se stesse cercando di nascondermi qualcosa.
Digito in fretta il messaggio, deglutisco ed invio. Sono agitato, tremo e ho una strana sensazione. Compongo in fretta un altro messaggio: “Demi. S.O.S. - A casa mia fra 10 min.” Mi sento tanto ridicolo nell’inviare quel messaggio, però non ho altra scelta. Mi butto con la testa sul cuscino ma, non appena chiudo gli occhi, sento suonare il campanello della porta. È stata rapida. Mi precipito giù e appena apro la porta, trovo una Demi con il fiatone sullo zerbino e dietro di lei un Niall altrettanto affannato. «Cosa succede?!» Per poco non urla. «Calma, non volevo farti spaventare così.» Capisco che erano in giro a fare una passeggiata, vista la rapidità con cui sono arrivati. «Beh, lo hai fatto. Cosa è successo!?» Io vorrei parlare ma rivolgo uno sguardo al ragazzo biondo dietro di lei. «Ehm...» Lei guarda dove porta il mio sguardo e capisce. «Scusami un attimo.» Gli stampa un bacio sulle labbra, lo spinge dietro di lei, entra in casa e chiude la porta alle sue spalle. «Allora?» Mi incita a parlare, ma io non trovo le parole. Ho troppa vergogna, eppure non sono un tipo da imbarazzo, per niente. «Ecco … In realtà, ecco, io … Stasera avrei un … chiamiamolo, appuntamento.» È stato più difficile che mangiare ciò che cucina mia madre, e quello è difficile, credetemi. Lei sgrana gli occhi e poi sorride, un sorriso a trentadue denti. Riapre la porta e fa entrare Niall, fa come se fosse casa sua. In effetti è come se lo fosse. Prende per mano il ragazzo e ci trascina nella mia stanza. Mi costringe a sedermi sul letto e fa sedere il biondo sulla sedia vicino alla scrivania. Per un attimo vedo due fuochi nei suoi occhi, fa paura. Spalanca il mio armadio e mentre inizia a guardare i miei vari vestiti «Chi è il fortunato?» chiede. Guardo verso Niall, non soltanto perché una mia maglia è appena volata sul pavimento vicino ai suoi piedi. «Lo sa tutta la scuola, Harreh, non credo che Niall sia così stupido!» Mi arriva una maglia in testa accompagnata da un ‘questa è carina’ di Demi. Guardo di nuovo il ragazzo e lui mi sorride scoprendo quello che sembra essere un apparecchio, anche se non mi sono mai accorto che lo aveva. «Tranquillo, fai come se non ci fossi.» Sento, non so il perché, il mio stomaco alleggerirsi e gli sorrido di ricambio. Poi sento un urlo e mi volto verso la mia migliore amica che ha un pantalone nero, una camicia bianca, una giacca marrone ed un papillon rosso tra le mani. «Cosa cazz? Oh no, no no! Demi no!» Lei annuisce più che convinta mi prende per una mano e mi butta nel bagno lanciandomi dietro i vestiti. «Non uscire fin quando non sarai pronto.» Mi arrendo. Non posso tenerle testa. Non a Demetria Devonne Lovato. Lei è una delle poche persone, come mia madre, contro le quali non riesco a controbattere quando si mettono in testa qualcosa. Mi infilo i pantaloni, la camicia e mi sistemo il papillon. «Scarpe!» Urlo da dentro il bagno. Sento un po’ di rumori, sta frugando nell’armadio. La porta si apre e per poco un paio di converse rosse non mi colpiscono in pieno. Non faccio storie, le indosso, mi sistemo i ricci, prendo la giacca ed esco.
Appena fuori vedo Niall sorridere e Demi battere le mani saltellando sul posto. Le do la giacca e mi giro. Tiro le braccia verso l’indietro e lei me la infila, mi rigiro per farmi aggiustare il colletto. Lei si alza leggermente sulle punte per darmi un bacio sulla guancia. Sembriamo proprio una coppietta felice, se solo non ci fosse un piccolo particolare. Il mio piccolo particolare. Sorride fiera e incrocia le braccia dicendo «Non è stupendo?» il biondo annuisce e «Sta bene.» dice. «Sta bene? Meh. Se non fosse gay lo stuprerei ora.» Molto diretta la mia amica. «Invidio chiunque uscirà con te stasera. A proposito, non hai risposto alla mia domanda di prima!» Sbotta indispettita. Cazzo, speravo se ne fosse dimenticata. Faccio finta di guardare l’orologio, dopodiché spingo fuori dalla stanza entrambi, li trascino giù per le scale e li spintono fuori dalla porta congedandoli con un «È tardi, devo finire di prepararmi. Buona continuazione di serata!» Sorrido e chiudo la porta. Vado a sedermi sul divano, continuo a scompigliarmi ed aggiustarmi i capelli in continuazione. Perché sono così nervoso?! Ho forse paura di fare una brutta figura? Sto iniziando a pensare che questo completo sia ridicolo. Mannaggia Demi! Cazzo, mi sento ridicolo. Sono troppo formale. Questo non è nemmeno un vero e proprio appuntamento. Merda. Mi alzo per andare in camera e cambiarmi, ma sento il telefono vibrare. Un messaggio, mittente: Louis. “Sono qui fuori. :)” Perfetto, è la fine.







angolino autrice:

AVVISO: i capitoli sono già pronti, sì, ma sono corti poiché ero partita dal presupposto di farne uno solo, ma per evitare di lasciarvi a "bocca asciutta" per troppo tempo, l'ho spezzettato in più capitoli.. corti.
spero vi piaccia, cercherò di aggiornare l'altro che ho già scritto al più presto possibile.
a presto!
panda.

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Capitolo 10
*** Nono capitolo. ***


Dead eyes.
- Ottavo Capitolo.




Sistemo per la milionesima volta il papillon, prendo un respiro profondo e abbasso la maniglia della porta. Mia madre arriva nel preciso istante in cui la apro. Al centro del mio vialetto c’è la perfezione che sta prendendo a calci un piccolo filo d’erba. È incredibilmente bello. Così semplice, ma allo stesso tempo sembra così irraggiungibile ed io, io che al suo confronto sono un granello di sabbia nell’oceano, io sto per uscire con lui. Ha una maglia bianca a righe blu, un pantalone rosso (si, rigorosamente sopra la caviglia), vans bianche, una felpa rossa appoggiata al braccio ed un cappello blu, stranamente abbassato fino alla guancia. La mia adorata mammina si accorge del fatto che sono rimasto imbambolato a guardarlo e ne approfitta per mettermi in ridicolo. «E così tu sei Louis.» Lo vedo sobbalzare mentre mia mamma si avvicina a lui. «Sì.» Sorride e le stringe la mano. «Mio figlio parla spesso di te.» Sono sicuro che adesso sono rosso fino alla punta delle orecchie. «Lo stesso figlio che ora -si gira verso di me alzando la voce - è imbambolato sulla veranda e non muove il culo ad uscire con te.» Ridacchia. Dio, quanto amo la sua risata. Mi riprendo dallo stato di trans nel quale ormai cado sempre quando c’è lui e mi precipito verso di loro. Mia madre mi sorride e si dilegua. «Andiamo?» Propongo. So che in realtà è dietro alla tenda del soggiorno a spiarmi. Ti conosco troppo bene, mammina cara. Louis annuisce. Ci incamminiamo. È di qualche passo più avanti di me, trema. Si abbassa il cappello ogni due secondi visto che risale. Vorrei tanto prendergli la mano e poter passeggiare accanto a lui, abbracciato a lui. Vorrei potergli togliergli il cappello per vedere cosa nasconde e potergli dire, qualsiasi cosa ci sia, che ora non deve più preoccuparsi. «Cosa ti va per cena?» L’ansia mi fa venire fame, molta fame. «Oh, ehm.. in realtà non ho molta fame.» Cazzo. Non posso mangiare solo io, che figura ci farei?! Perché non vuole mangiare? Non ci credo che non ha fame. Camminando arriviamo in una rosticceria, entro e ne esco due minuti dopo con una busta piena di crocchette di pollo, ketchup e maionese. Mi dirigo verso una panchina, come se fossi solo. Aspetto che si sieda. «Mi dispiace, ma stasera mangerai anche tu.» È stupito. Tutto secondo i miei piani. Quali piani? Non lo so, sto agendo d’impulso visto che è l’unica cosa che so fare. «Ma non ho fame!» Si giustifica. Io prendo una crocchetta e la immergo nella maionese, ho come la strana sensazione che non gradisca l’altra salsa rossa, chiamiamolo intuito. Gliela piazzo davanti alla bocca, non la accetta, ma posso sentire a kilometri che il suo stomaco brontola. «Apri!» Trattengo una risata perché un pensiero perverso mi è balenato in testa. Scuote la testa. Mi ficco la crocchetta in bocca, e «L’hai voluto tu.» dico. Caccio una lattina di Coca-Cola che fino a quel momento avevo nascosto, la agito e la apro. Indovinate su chi è finita la bevanda? Esatto! Il signorino che si rifiuta di mangiare. Mi guarda allibito. Avrò esagerato? Poi scoppia a ridere e, sotto il mio sguardo confuso, prende della maionese sul dito e me la spiaccica sul naso. Vuole la guerra? Ebbene l’avrà. Prendo anche io della maionese e gliela spiaccico sulla guancia. Ridiamo come due stupidi, continuando a sporcarci di salse e lanciandoci crocchette e Coca-Cola. Mi alzo di scatto dalla panchina e raggiungo la fontana al centro della piazza, lui mi raggiunge. Lo guardo per qualche secondo e lui guarda me, senza smettere di ridere, poi, lo faccio. Lo butto nella fontana. All’inizio non ci capisce molto, è solo confuso. Poi, mi guarda con aria di sfida, vendetta e un pizzico di maliziosità. Mi prende per una manica della giacca e, anche se ha poche forze, riesce a tirarmi nell’acqua. C’è un piccolo intoppo. Quando apro gli occhi, mi ritrovo letteralmente ‘disteso’ su di lui e le sue labbra sono così … vicine. Avrei sette milioni cinquecentoventicinquemila modi per descriverle, ma in quel momento, per me, sono soltanto vicine, molto vicine, pericolosamente vicine. Sento che qualcosa nei miei pantaloni si muove e non è l’acqua della fontana, perciò decido che è meglio alzarsi. Per un attimo mi sono specchiato nei suoi occhi color ghiaccio, ho sentito il suo respiro aumentare sotto di me e la sua anima così vicina alla mia. Mi alzo e gli do una mano ad alzarsi, usciamo dalla fontana ed è lì che lo osservo meglio. Anche bagnato è stupendo, ovviamente. Anzi, ora lo è ancora di più perché le piccole goccioline gli percorrono ogni centimetro di pelle, rendendolo ancor più estremamente sexy. «Domani ci verrà un accidente.» dice ridacchiando. «Chi se ne!» Sbotto io. Perché, in effetti, quando sto con lui, non mi frega di niente. Potrebbe finire il mondo in questo preciso istante ma non me ne accorgerei, perché credo che sia questo che effettivamente fa l’amore. Ti fa stare talmente bene che non ti rendi nemmeno conto del tempo che passa. Solo in quel momento, dopo che Louis si toglie il cappello di lana dalla testa per strizzarlo e nonostante si volti per non farmi vedere, solo in quel istante vedo qualcosa che avrei preferito non vedere. «Louis..» Lo chiamo con voce tremante, lui si volta ed io indico la sua guancia. Abbassa lo sguardo sforzando un sorriso. «Oh, questo. - Si porta una mano sul livido che gli ricopre la guancia destra. - Sono sbattuto vicino alla credenza. Non è niente.» Sei un bugiardo. Perché mi menti? Si vede benissimo che ti hanno picchiato. Perché non me lo dici? Mi avvicino senza dire niente e appoggio la mia mano sulla sua poi gli accarezzo pian piano la parte viola della guancia. «Chi è stato?» Non lo guardo negli occhi, li eviterebbe comunque. Guardo quel livido gigante, deve far male e parecchio. Ora che lo osservo meglio noto che al centro della macchia violacea c’è anche una ferita. Ha addirittura sanguinato. Vedo lui guardarmi senza capire. «Ne ho avute di queste ferite, da mio padre.» Dico io. Non so perché gliel’ho detto di solito non mi piace parlare di quel capitolo della mia vita; però lui sembra così bisognoso di aiuto e conforto e, soprattutto, non riesce a capire come faccia io a sapere che quello non è un incidente. «Chi è stato, Louis?» Sposto il mio sguardo nei suoi occhi color cielo, come previsto cerca di distogliersi ma glielo impedisco prendendogli il mento con l’altra mano. «Louis?» Il suo nome appena sussurrato da il via alla discesa delle sue lacrime. Non so perché, ma in quel momento il mio impulso non centra niente, eppure lo libero dalle mie prese e lo abbraccio. Lo sento singhiozzare sulla mia camicia perciò lo stringo ancora di più, mi distrugge vederlo così. Piccolo, ferito, debole, impotente, senza aiuti. Si stacca improvvisamente dal mio abbraccio, fa un sorriso non poco, non molto, troppo forzato. «Mio padre diventa un po’ violento quando la macchina arriva al terzo richiamo di clacson.» La mia mente torna alla mattina. Il padre ha suonato per tre volte e lui non aveva nemmeno intenzione di muoversi, questo perché era con me. Si è fatto picchiare per me? Anzi, no. Il padre lo ha picchiato per … questo!? Che razza di stronzo. Sento i nervi risalirmi lungo la schiena e devo chiudere la mano in un pugno per trattenermi. Come si fa a picchiare una creatura così fragile come Louis solo perché ti ha fatto aspettare un minuto in più? Che razza di mostro si deve essere? E non voglio immaginare perché lo ha ridotto a tagliarsi. Non ce la faccio, perché appena ci provo sento la rabbia farsi strada e la nausea invadermi. Perché ormai l’ho capito, già. Quei tagli. Non ci vuole un genio a capire cosa siano. Non bisogna essere tanto intelligenti per capire che quelli li ha procurati una lametta passata sulla pelle dalla mano tremante di un Louis in lacrime. Non posso pensarci, non credo nemmeno di riuscirci. Anche se siamo entrambi zuppi, ho bisogno di distrarre la mia mente. Lo prendo per mano, senza nemmeno rendermene conto, e lo trascino verso un posto nel quale, per la prima volta dopo tanto, riuscirò a farlo divertire, senza preoccupazioni, senza lacrime. Solo noi due, nient’altro. Gli lascio la mano solo una volta dopo essere arrivati, e dopo essermi accorto che effettivamente gliela stavo tenendo, portandomi le mie sui fianchi e sorridendo orgoglioso. Mi giro verso quella perfezione (perché lui non è un ragazzo, è la perfezione) e «Benvenuto nel luogo più divertente del mondo.» esordisco. Vedo una piccola risata affiorargli sulle labbra mentre realizza che l’ho trascinato al parco giochi.







angolino autrice:

evviva, finalmente! anche l'ultimo dei tre capitoli già pronti è stato pubblicato. *si asciuga le goccioline di sudore*
mado', peggio d'un parto. lol
sapete questo che vuol dire? che non ho più capitoli già pronti e, visto che ho di nuovo un blocco per la storia, dovrete aspettare di più.
chiedo venia :(
spero vi piaccia! se volete, lasciate una recensione e se volete seguirmi su twitter sono @deidalex :)
a presto (si spera).
panda.

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