Freezing Hell

di fanny_rimes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Roxbury ***
Capitolo 2: *** La notte di Guy Fawkes ***
Capitolo 3: *** La mia regina ***



Capitolo 1
*** Roxbury ***


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A Roxbury succedevano strane cose.
Dopo i recenti avvenimenti, all’uscita del Palazzo Comunale era stata affissa un’enorme bacheca su cui sfilavano i volti di giovani scomparsi o morti in circostanze misteriose; quando le vecchiette del paese, acconciate nei loro abiti scuri e casti, vi passavano davanti, non potevano evitare di mormorare una preghiera, facendosi il segno della croce.
Nessuna delle autorità di Roxbury sapeva dare una spiegazione a ciò che stava accadendo: il sindaco Davis si ostinava a mantenere la calma, mentre il Sergente Martin – capo della polizia - ripeteva ai cittadini che la teoria di un serial killer che viveva in città era del tutto infondata.
La verità era che tutti brancolavano nel buio.
Nell’ultimo anno era stata registrata la scomparsa di tre ragazze e due misteriosi decessi per quelle che sembravano aggressioni di un animale – tutti giovani vittime appena maggiorenni.
Nonostante gli esperti si stessero dando da fare con le indagini, perlustrando il bosco alla ricerca di grossi predatori che potessero essere colpevoli delle aggressioni, niente sembrava dare una spiegazione agli avvenimenti.
Nel frattempo, in paese, era cominciata a girare la voce che a Roxbury si fosse fermato il Demonio. Tra i bambini, ma anche tra i più grandi, si era diffusa una macabra filastrocca che oramai tutti conoscevano a memoria:

When she embraces, your heart turns to stone
She comes at night when you’re all alone
And when she whispers, your blood shall run cold
You better hide before she finds you.1

 

Elisabeth Davis viveva in una piccola villetta in stile coloniale. Suo padre, il sindaco, nonostante cercasse di controllare il panico che si era scatenato in paese, era spaventato quanto gli altri cittadini e aveva fatto istallare grosse sbarre alle finestre, a detta sua, per difendersi dai ladri.
Beth adorava dormire tenendo le ante spalancate: l’aria fresca delle sere autunnali la cullava durante il sonno, i suoni provenienti dal bosco vicino la rallegravano e il primo sole del mattino la svegliava dolcemente. Ora, all’alba, la rossa palla di fuoco che si alzava nel cielo proiettava sul suo letto inquietanti ombre a righe e lei preferiva tenere tirate le tende.
Anche quella sera faticò ad addormentarsi al buio della sua stanza. Chiuse gli occhi mentre si rannicchiava tra le lenzuola e cercò di concentrarsi sul bubolare di un gufo in lontananza e sul lieve frusciare delle foglie.

Era china su un prato, intenta a raccogliere margherite. Il suo abito bianco era spiegato attorno a lei, macchiato di verde all’altezza delle ginocchia.
Anche se attutiti dall’erba, avvertì subito i passi alle sue spalle.
«Alex!» esclamò voltandosi di scatto, il sorriso stampato sul piccolo viso rotondo.
«Ti stavo aspettando» mormorò il ragazzo di fronte a lei, scoprendo i denti bianchissimi e perfetti per rispondere al suo saluto.
La aiutò ad alzarsi e lei si ripulì alla meglio dai fili d’erba.
«Ho rovinato il vestito» si scusò chinando la testa.
Alex le posò due dita alla base del viso, sollevandole il mento. «Ora non più» disse.
Beth diede un’occhiata al proprio abito e si accorse con stupore che le macchie erano sparite. «Come hai fatto?»
Il giovane ammiccò, passandosi teatralmente una mano tra i corti capelli scuri. «Ehi, è o non è il mio sogno?»
La ragazza si puntò le mani sui fianchi, fingendosi indignata. «Credevo che fosse il mio sogno!E poi, come mai questi abiti?»
Alex si sistemò la marsina nera, da cui sbucavano le vaporose trine increspate della camicia, in stile XVIII secolo. «Diciamo che… sono un’amante delle vecchie tradizioni.»
Beth abbassò di nuovo lo sguardo sul suo abito pomposo: Il corsetto rigido le metteva in risalto i seni attraverso l’ampia scollatura merlettata; l’ampia gonna, formata da più strati, era fatta di una stoffa pesante e doveva tirarla su ad ogni passo per non inciampare.
«Non è di tuo gradimento?» chiese il ragazzo sollevando un sopracciglio. «Ed io che mi sono dato tanta pena per sceglierlo» si finse offeso.
«Non è che non mi piaccia» si affrettò ad aggiungere l’altra. «Solo… avrei preferito qualcosa di più comodo. Magari avrei potuto fare una corsa sul prato.» I suoi occhi s’illuminarono. «O avresti potuto addirittura trovare un cavallo!»
Alex scoppiò a ridere. «Cavalli e corse sui prati? Forse il settecento è davvero un’epoca che non ti si addice.»
Mentre parlavano, avevano iniziato a passeggiare. Beth scorse un giovane arbusto su cui cinguettavano piccoli uccelli multicolori; a pochi metri da loro, una grande fontana di marmo bianco, che non aveva notato prima, iniziò a gorgogliare piano, poi cristallini fiotti d’acqua presero a fuoriuscire dalle bocchette a forma di piccoli puttini alati.
Alex si staccò da lei, sedendosi all’ombra dell’albero e, battendo con la mano dalle dita affusolate su un fazzoletto d’erba accanto a lui, la invitò a raggiungerlo.
Mentre si sedeva, Beth inalò il dolce profumo dei fiori che li circondavano. Non ricordava di aver mai percepito odori nei suoi sogni e, se lo aveva fatto, di sicuro non erano mai stati così intensi e reali.
Raccolse una margherita e prese a rigirarsela tra le dita. «Come facciamo a incontrarci tutte le notti?» chiese d’improvviso.
Il ragazzo recuperò il fiore dalla sua mano, poi intrecciò le dita a quelle di lei. «Sei tu che lo fai accadere» confessò.
Lei gli rivolse uno sguardo interrogativo.
«Io ho fatto in modo che ci incontrassimo la prima volta… e adesso, ogni sera, quando chiudi gli occhi, pensi a me» continuò l’altro, «e questo ti fa arrivare qui.»
Beth scosse la testa sorridendo. «Ma non ha senso!»
«E chi ha detto che deve avere un senso?»
La ragazza ritirò piano la mano, mordicchiandosi le unghie come faceva spesso quando era nervosa. «Quindi… io ti costringo a stare con me.»
Alex scoppiò a ridere per la seconda volta, spostando la testa all’indietro. «Sei davvero un tipo buffo, lo sai? Se vuoi sapere se anch’io sono qui perché desidero vederti, perché non me lo chiedi direttamente?»
Elisabeth prese un profondo respiro per farsi coraggio. «Anche tu pensi a me prima di addormentarti?»
Alex afferrò di nuovo la sua mano, portandosela alle labbra e baciandole la punta delle dita una a una. «Io penso a te ogni istante della giornata. Direi quasi che sono ossessionato da te. Ogni volta che ci separiamo, conto i minuti che mancano per rivederti» sussurrò, fissando le iridi color ghiaccio in quelle di lei.
Quelle parole la fecero arrossire e rabbrividire allo stesso tempo. Lo osservò chinarsi verso il suo viso, schiudendo piano le labbra rosee.
«È un desiderio folle, lo so, ma non ho mai avuto così tanto l’esigenza di essere vicino ad un essere uma…»
Beth avvertì d’improvviso la sua stretta farsi meno salda. Le immagini iniziarono a perdere la loro nitidezza e la frase rimase sospesa nell’aria mentre la sua voce si affievoliva e un fastidioso formicolio le attraversava la schiena.
Poi aprì gli occhi.

Il prato era sparito, il profumo dei fiori scomparso e il tocco della sua mano sembrava ormai un ricordo lontano.
Rimase per un attimo a crogiolarsi tra le lenzuola. Sarebbero bastati solo pochi secondi, ma non era riuscita a rimanere addormentata. Solo pochi istanti e lui l’avrebbe baciata.


NOTA 1 : Quando ti abbraccia, il tuo cuore si tramuta in pietra
Arriva di notte quando sei tutto solo
E quando sussurra, il tuo sanguesi fa gelido
Farai meglio a nasconderti prima che ti trovi.
(Ice Queen, Within Temptation)

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Capitolo 2
*** La notte di Guy Fawkes ***


 


Quando i primi fuochi d’artificio scoppiarono nel cielo stellato, Elisabeth aveva appena raggiunto i suoi compagni di classe accanto al falò scoppiettante.
«Credevo che tuo padre non ti lasciasse venire!» esclamò Rob scolandosi qualcosa di non identificato da un bicchiere di carta.
«Ed io credevo di non essere più capace di scivolare giù dalla finestra di camera mia attraverso l’albero di arance, e invece…» ammiccò divertita in direzione del suo migliore amico.
«E le sbarre alle finestre?»
Elisabeth tirò fuori dalla tasca dei jeans una piccola chiave d’ottone. «Cassetto della biancheria di mia madre» dichiarò sorridente.
Rob, nel frattempo, aveva rimediato da bere anche per lei. «Agli alberi d’arance e ai genitori che non sono capaci di trovare nascondigli decenti!» annunciò, sollevando il suo bicchiere in aria proprio mentre una pioggia di stelle dorate colorava il cielo.
Beth bevve tutto d’un fiato quella che sembrava vodka alla frutta. «Adoro la notte di Guy Fawkes2» confessò. «Non me la sarei persa per niente al mondo.» Si avvicinò un po’ di più al fuoco, tendendo le mani per scaldarsi. La temperatura era calata e, nella fretta di uscire, aveva dimenticato di prendere il suo golfino.
«Hai freddo?» Rob si avvicinò alle sue spalle, appoggiandovi il suo giubbotto di pelle e strofinandole le braccia con i palmi per mandare via la pelle d’oca.
In quel momento, Beth avvertì un brivido lungo la nuca, come se qualcuno la stesse osservando da lontano. Voltò la testa verso il bosco e le parve di scorgere un’ombra scura nascosta tra gli alberi.
A pochi metri da loro, alcune famiglie si erano sistemate su delle coperte, nell’attesa che il grande falò al centro della piazza fosse pronto ad ardere il fantoccio di Guy.
Poco distante, alcuni bambini giocavano a spaventarsi. Una di loro, avvicinandosi al fratellino con finta aria minacciosa, iniziò a canticchiare la nenia ormai conosciuta da tutti in paese:
 
When she embraces, your heart turns to stone
She comes at night when you’re all alone
And when she whispers, your blood shall run cold
You better hide before she finds you.

 
Beth si sentì improvvisamente mancare: le girava la testa e il suo corpo era attraversato da brividi come se avesse la febbre. Si passò una mano sulla fronte e si accorse che era imperlata di sudore gelido.
«Stai bene? Sei pallida.» Rob le rivolse un’occhiata preoccupata.
«Sì» mormorò. «Forse dovrei allontanarmi un po’ dal fuoco.»
Fece qualche passo nella direzione del bosco, poi si appoggiò contro il tronco di un albero, alla ricerca di quell’ombra misteriosa. Dopo gli ultimi avvenimenti, a nessuno sarebbe venuto in mente di avventurarsi lì dentro di notte… ma forse era solo qualche ragazzino ubriaco.
«Vuoi che ti accompagni a casa?» Rob l’aveva raggiunta e continuava a fissare preoccupato il suo viso pallido.
Beth scosse la testa, poi avvertì un rumore alle sue spalle, come di qualcuno che si faceva largo tra le foglie, e voltò la testa di scatto.
Il bosco quella sera era stranamente silenzioso: non si udivano le cicale né i gufi bubolare; sembrava che nemmeno le foglie mosse dal vento facessero rumore.
Quando Beth tornò a guardare l’amico, Rob era sparito.
Avvertì una goccia di sudore gelido scorrerle lungo la spina dorsale e lo stomaco si contrasse. Poi, senza pensare, prese un profondo respiro e si addentrò nel bosco.
Immersa tra gli alberi, il silenzio era ancora più inquietante; sembrava che qualcuno avesse apposto una gigantesca campana di vetro, esiliando all’esterno il resto del mondo. Beth poteva vedere i lampi di luce in lontananza che rischiaravano il cielo, ma non riusciva a sentire né i fischi né gli scoppi dei fuochi d’artificio.
Più s’immergeva nella vegetazione, più il panico si faceva strada dentro di lei. Non riusciva a togliersi dalla testa quella dannata filastrocca agghiacciante.
Pestò una radice, che scricchiolò sotto la sua scarpa, facendola sobbalzare. Vide due piccoli occhietti gialli fare capolino da una tana nel tronco di un albero e immaginò che ci fossero molti altri animali lì intorno… allora perché nessuno di loro emetteva alcun suono?
Era ormai quasi al centro del bosco, dove la vegetazione era talmente fitta da impedire di penetrare anche ai raggi della luna, quando finalmente udì qualcosa: sembrava un lamento.
Prese a correre in direzione di quel suono; più si avvicinava, più era sicura che quello che udiva fosse un pianto: c’era un ragazzo che piangeva.

Scavalcò un tronco caduto, si strappò il giubbotto impigliandosi a un ramo sporgente. Le mani erano graffiate nei punti in cui avevano cercato di farsi largo tra le foglie e i rovi. Quando giunse in una piccola radura, quasi completamente buia, il fiato le si mozzò in gola.
Rob era disteso al suolo, ricoperto di foglie, terra umida e… sangue.
Aveva un lungo taglio che partiva dall’orecchio destro e si perdeva oltre lo scollo della maglietta, completamente macchiata.
Era rannicchiato in posizione fetale, le mani strette intorno al collo nel vano tentativo di calmare il dolore e piangeva sommessamente, come se non avesse abbastanza fiato in gola da gridare.
Quando Beth gli sfiorò una spalla, sussultò violentemente.
«Rob, sono Elisabeth. Cos’è successo?» Continuava ad alternare lo sguardo dalla ferita al bosco attorno a loro, attenta a cogliere un qualche movimento.
Il ragazzo non rispose, continuando a lamentarsi.
«Rob, dobbiamo andarcene di qui!» Provò invano a tirarlo su, ma il ragazzo gemette di dolore. Le lacrime iniziarono a scorrerle copiose sul viso, appannandole la vista.
«Rob, ti prego!» Le sembrava tutto così surreale, come se fosse un altro dei suoi sogni.
Invece era vero: Rob stava morendo sul serio.
In un attimo di lucidità, infilò le mani nelle tasche, alla ricerca del suo cellulare. Digitò in fretta le tre cifre sul display, macchiando l’apparecchio d’impronte vermiglie.
«Sono Elisabeth Davis» esclamò, tentando di controllare la voce. «Ho bisogno di un’ambulanza, nel bosco. C’è un ragazzo ferito, sta perdendo moto sangue.»
«Cos’è successo?» chiese la voce dall’altro capo.
«Non lo so!»
«Cerchi di tamponare la ferita, i paramedici stanno già arrivando.»
Beth si sfilò il giubbotto dalle spalle, poi lo premette forte contro la ferita dell’amico.
«Sta’ tranquillo, Rob, stanno venendo ad aiutarci.»
Sembrava passata un’eternità quando i paramedici arrivarono. Non c’era alcun sentiero che portasse all’interno del bosco e Rob fu caricato sulla lettiga e portato via a piedi attraverso la vegetazione.
Beth li seguiva in coda, accanto ad uno degli uomini, che continuava a farle domande a cui lei non sapeva rispondere.
Mentre attraversavano il bosco, illuminato solo dalla fioca luce della luna e da alcune torce elettriche, Beth continuava ad avere la sensazione di essere osservata. Erano quasi giunti all’ambulanza, quando quel fastidioso formicolio alla nuca si fece più intenso. Si voltò di colpo e scorse, appena dietro un cespuglio, qualcosa che le fece mozzare il fiato in gola: un’ombra amorfa e due occhi scarlatti che la fissavano. Strappò una delle torce elettriche dalle mani di un paramedico, puntandola in quella direzione, ma quando il fascio di luce illuminò la zona, l’ombra sembrava essersi volatilizzata nel nulla.
 

«Cosa diavolo credevi di fare?» Le urla di suo padre riecheggiarono nella stanza da letto.
«Io… volevo solo andare a quella festa!»
«Ma io te l’avevo proibito!»
Beth non riusciva a credere che la sua voce potesse alzarsi ancora di qualche tono. «Era solo una festa» protestò. «C’erano decine di persone…»
«E Rob è quasi morto lo stesso.» La sua espressione era mutata. Sembrava stanco e spaventato nello stesso tempo. Beth scorse le rughe profonde che gli contornavano gli occhi e le labbra piegate in una smorfia preoccupata.
Il sindaco si sedette sul bordo del letto su cui lei era rannicchiata. «Poteva succedere qualcosa di peggio, lo capisci? Se ti accadesse qualcosa, Elisabeth… ne morirei anch’io.»
Beth sentì gli occhi riempirsi di lacrime.
«Tutto questo…» continuò l’uomo indicando le sbarre alla finestra, «Non è per tenerti prigioniera, ma per proteggerti.» Le prese dolcemente la mano.
«Difendermi da cosa? Chi è che ha fatto questo a Rob?»
Suo padre assunse un’espressione turbata. «Lui dice che è stato un animale…»
«No!» Beth scattò a sedere. «Non era un animale, papà, io l’ho visto. C’era un uomo nascosto tra gli alberi.»
Il sindaco scosse la testa. «Quella ferita non è stata provocata da un’arma.» Parlava piano, intuendo che la ragazza era scioccata. «I medici dicono che sembrano segni di artigli.»
La ragazza scosse violentemente la testa.
«Eri spaventata, tesoro» insisté l’uomo.
Beth aveva le guance rigate dalle lacrime. Si sentiva impotente se nemmeno suo padre le credeva. «Papà, ti prego. Io l’ho visto» singhiozzò.
«Eri sconvolta, piccola, e capisco che tu creda di averlo visto.»
«No, tu non capisci!»
«Credo che sia meglio che tu ti riposi, Beth. È stata una lunga serata.» Le carezzò i capelli, come faceva sempre quando lei era piccola, poi si diresse fuori dalla stanza. «E non dimenticarti di chiudere le finestre.»
Beth annuì, ma avrebbe voluto urlare. Provò a ricacciare indietro le lacrime, tentando di non pensare a quanto si sentisse spaventata e amareggiata.
Infilò le mani nelle tasche anteriori dei jeans, poi in quelle posteriori, poi ancora sul davanti.
Niente. La piccola chiave d’ottone era sparita.



NOTA 2: Viene celebrata la sventata Congiura delle Polveri, quando un gruppo di cattolici (comprendente anche Guy Fawkes) progettò di far saltare il Palazzo di Westminster.
Oggi la ricorrenza non ha più alcun significato politico-religioso ed è diventata un'occasione per fare festa. Nei parchi di paesi e città viene allestito un falò e viene posto sopra di esso un fantoccio chiamatoGuy.
Le persone si radunano nelle piazze e possono assistere a bellissimi spettacoli pirotecnici con fuochi d'artificio di ogni genere.

 

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Capitolo 3
*** La mia regina ***


 

Beth aveva ancora gli occhi gonfi di pianto quando si addormentò. Nemmeno l’ormai familiare profumo di fiori e il cinguettare degli uccelli riuscirono a tirarla su.
«Ehi, passerotto, che succede?»
«Oh, Alex!» Senza pensarci, Beth si gettò tra le braccia del ragazzo, che rimase interdetto per un istante.
Lei avvertì la sua stretta e le mani carezzarle piano i capelli, mentre una strana sensazione la attraversava.
«Cos’hai?» le chiese, quando lei si fu calmata.
«È stata la peggior serata della mia vita» confidò. «Il mio migliore amico è stato aggredito nel bosco ed io… io ho visto qualcuno, lì vicino.» Fece un profondo respiro. «Ma nessuno mi crede. Mio padre pensa che me lo sia immaginato, ma io so che c’era!»
Alex la abbracciò ancora.
«Non so cosa sia successo, ma forse tuo padre ha ragione. Dovevi essere sconvolta e…»
«No.» Beth si divincolò. «Non darmi della pazza anche tu» sbottò.
«Non sto dicendo che sei pazza.»
«Solo che ho le allucinazioni!» Incrociò le braccia sul petto. «Era reale, Alex. Proprio come me e te, proprio come…»
“Tutto questo”, stava per dire, ma la voce le si spezzò. Si lasciò ricadere sul prato. «Ma tutto questo non è reale» sussurrò. «Sto davvero diventando pazza.» Per un istante s’immaginò distesa nella stanzetta di un ospedale psichiatrico.
Alex la raggiunse, sedendosi accanto a lei, poi le diede un pizzicotto.
«Ahi!» protestò lei, massaggiandosi un braccio. «Ma come può essere vero?»
«Non lo so, ma lo è. Anzi, qui è molto meglio della realtà che conosci.» Le sorrise. «Chiudi gli occhi. Qui puoi essere tutto quello che desideri…»
Quando Beth li aprì, indossava un leggero abito rosso: le maniche svasate, somigliavano a piccole ali cremisi e i capelli erano decorati da piccole rose colorate.
La ragazza fece una piroetta su se stessa, facendo ondeggiare l’orlo della gonna.
Si voltò verso il ragazzo e s’immobilizzò di colpo: Alex indossava una strana armatura, da cavaliere medievale e gli sorrise dolcemente mentre si sfilava l’elmo dal capo.
«Non è proprio quello che immaginavo, ma se ti piace…» disse lei.
Alex finse un’espressione indignata. «Credevo che tutte le ragazze sognassero un bel cavaliere pronto a proteggerle?»
Beth rise, lisciandosi le pieghe dell’abito. «In realtà, sono più il tipo da principe azzurro con cavallo bianco.»
«Be’, a questo possiamo rimediare.» Si avvicinò di più a lei. Nonostante abbigliamento, si muoveva in modo molto elegante. «Pensa intensamente a quello che desideri.»
La ragazza chiuse gli occhi. Un attimo dopo avvertì un lieve nitrito accanto a lei.
C’era uno splendido purosangue: la sella e le redini dello stesso colore del suo abito, spiccavano sul manto nero e lucido.
«Non è bianco» si lamentò.
«Ti ci vuole solo un po’ di pratica» la rassicurò lui.
Beth chiuse ancora gli occhi, raffigurandosi mentalmente lo specchio di un lago, monti fioriti ergersi all’orizzonte e il chiarore del sole al tramonto. Quando schiuse le palpebre, il panorama attorno a loro le tolse il fiato.
Alex la osservò compiaciuto. «Vedi che ne sei capace?»
La aiutò a montare a cavallo, poi, in silenzio percorsero alcuni metri sul prato.
«Alex?» lo chiamò lei.
Il ragazzo si voltò. «Cosa c’è?»
«C’è un’altra cosa che desidero.»
Lentamente, chinò la schiena, avvicinandosi piano a lui. Aveva immaginato tante volte di baciarlo, l’aveva desiderato ardentemente nelle ultime sere. Credeva che sarebbe stato magico, speciale, dolcissimo, indimenticabile. Invece non fu così. Quando le labbra di lui premettero sulle sue, l’unica cosa che avvertì furono il gelo e le tenebre.
«Tu!» Beth non sapeva com’era finita sull’erba, ma il panorama attorno a lei era mutato di nuovo.
Il cavallo era sparito, il suo abito ora era nero come la notte e attorno a loro solo silenzio e desolazione.
La ragazza trattenne un conato di vomito mentre le immagini che aveva appena visto le si ripetevano nella testa: Alex che attaccava un giovane in un vicolo, Alex che dilaniava un'altra vittima nel bosco, gli occhi pieni di lacrime di una ragazza che Beth ricordava aver visto tra le persone scomparse.
E poi Rob, tremante tra gli alberi, mentre lui lo aggrediva, ferendolo con i denti appuntiti.
«Sei stato tu!» urlò in preda al panico, alzandosi da terra e indietreggiando.
Alex fece un passo verso di lei, ma la ragazza urlò ancora. «Sta’ lontano da me! Tu sei un mostro.»
Il ragazzo non disse una parola. Beth scorse i suoi occhi cambiare: l’azzurro si trasformò in cremisi, le pupille si dilatarono, il suo sorriso le gelò il sangue.
«Non puoi scappare da me, Elisabeth» sussurrò con voce tagliente.
Beth chiuse gli occhi, raffigurandosi mentalmente la sua stanza: il copriletto verde, le tende a fiori, le sbarre alle finestre che ora le sembravano così rassicuranti, pian piano si fecero più nitide.
Avvertì quel familiare formicolio sotto la pelle e, quando le braccia di Alex si strinsero attorno a lei, le passarono attraverso.
Un attimo dopo era nel suo letto.
Era salva.
Era sveglia.
 
 

«Allora, come stai?» Rob se ne stava accanto alla finestra, osservando da lontano il sole tramontare.
I genitori di Elisabeth non erano in casa, ma a lei era proibito uscire dopo gli ultimi avvenimenti.
«Dovrei chiedertelo io.» Beth si sollevò a sedere sul letto, appoggiando la schiena ai cuscini.
«Be’, sto bene, direi. Niente che un cerotto e qualche punto di sutura non abbiano risolto» tentò di scherzare.
La ragazza gli rivolse un’occhiataccia, mostrando di non apprezzare l’ironia.
«È di te che mi preoccupo» continuò l’altro. «Ultimamente sei strana, sembra quasi che tu mi stia evitando.»
Beth aggrottò le sopracciglia. «Per quale motivo dovrei evitarti?»
“Siete voi che dovreste evitare me, perché sto diventando pazza”, aggiunse mentalmente.
«Per tutto quello che è accaduto.» Rob assunse un’espressione imbarazzata, spostandosi più vicino a lei e mettendosi a sedere ai piedi del letto.
Elisabeth gli prese una mano. «Non è stata di certo colpa tua» disse.
«Be’, ero io quello ubriaco che ha avuto la geniale idea di avventurarsi nel bosco da solo. Se non fossi stato così idiota, quell’animale non mi avrebbe aggredito, tu non saresti stata costretta a cercarmi e adesso non saresti nei guai con tuo padre.»
La ragazza lo scosse, fissando gli occhi nei suoi. «Non è stata colpa tua» ripeté con tono deciso.
Forse a lui poteva raccontarlo. Forse Rob le avrebbe creduto invece di chiamare un’ambulanza per un TSO.
Rob le rivolse uno sguardo riconoscente. «Non so cosa farei senza di te» mormorò allungandosi verso l’amica. Le posò le mani sul viso, avvicinandosi lentamente.
Beth rimase interdetta per un momento, intuendo le sue intenzioni. «Rob, io non…»
Non riuscì a terminare la frase, perché un rumore improvviso li costrinse a voltarsi di scatto verso la finestra. Il cancello era spalancato e, in piedi sul davanzale, completamente vestito di nero contro lo sfondo scuro della sera, c’era Alex.
Rob ebbe appena il tempo di urlare, poi fu scaraventato sul pavimento.
«Non fargli del male!» Beth si stupì di aver elaborato quella frase. Si sentiva stordita e non riusciva a muovere un solo muscolo.
Alex aveva il piede schiacciato sulla nuca del ragazzo che, rosso in viso, faceva fatica a respirare.
«Non avresti dovuto farlo» sussurrò Alex con voce dura in risposta.
Beth raggelò al pensiero di quanto aveva desiderato che quel ragazzo la abbracciasse, che la baciasse, di incontrarlo nella realtà e non solo nei suoi sogni. Ora che era accaduto, invece, le sembrava di star vivendo un incubo.
«Io… non ho fatto niente» rispose tentando di apparire calma. Sapeva che gli bastava una leggera pressione e avrebbe spezzato il collo a Rob.
«Mi hai abbandonato.» Il rosso delle iridi rifletteva tutta la sua rabbia. «Ti ho aspettata, per due lunghe notti, ma non sei mai venuta. Così ho deciso di venire a prenderti e ti trovo con questo!» Pronunciò l’ultima parola con una smorfia di disgusto.
Rob graffiò il pavimento con le unghie, tentando invano di riempire i polmoni di ossigeno e producendo un rantolo soffocato.
«No» urlò lei in preda al panico tendendo una mano nella sua direzione. «Ti prego… io, io verrò con te, davvero. Solo noi due, nel nostro prato.»
«È troppo tardi. Quello non mi basta più, ormai.» Il tono della sua voce le provocò un brivido lungo la schiena. «Stavolta verrai con me per sempre.»
Beth si portò le mani alla bocca, cercando di trattenere i singhiozzi. «Per sempre?» ripeté. «Dove?»
Alex lasciò finalmente la presa, poi fece qualche passo verso di lei. «In un posto tutto per noi, dove potrai avere tutto ciò che desideri; dove non invecchierai mai e sarai la mia regina per l’eternità. E non sarai sola. Ci saranno le tue compagne umane... altre ragazze proprio come te.»
«Le ragazze scomparse. Tu lei hai portate via…»
«Loro hanno accettato di seguirmi, Elisabeth. È così che funziona» la corresse. «Anche se ho dovuto usare un po’ di persuasione.» Alex sollevò una mano dalle dita affusolate e Beth vide le sue unghie trasformarsi in sottili artigli affilati; dal labbro superiore spuntarono lunghi canini, che scivolarono oltre quello inferiore. «Vediamo, Elisabeth, quante morti vuoi causare prima di deciderti a venire con me.»
Il giovane volse lo sguardo verso Rob, ancora paralizzato sul pavimento, scosso da violenti colpi di tosse.
«Lui basterà?» continuò l’altro, piegando la testa di lato. «Oppure dobbiamo aspettare che rientrino anche i tuoi genitori?»
Beth scosse la testa, lentamente, rassegnata a ciò che stava per accadere. Si costrinse a guardare quello scherzo della natura di fronte a lei, spostando lo sguardo in quelle due pozze cremisi che erano i suoi occhi e che le stavano promettendo l’eternità. Un'eternità di infelicità e oscurità.
«Va bene» mormorò con voce atona. «Sarò la tua regina, verrò con te.»
Alex sorrise: un sorriso gelido, maligno, che distorse il suo viso mentre allungava una mano verso di lei. «Brava, passerotto.»
Un attimo dopo, erano spariti.
 

Rob si trascinò per le scale e oltre la porta. Il cervello reagiva per istinto nel compiere quei piccoli passi, ma in realtà la sua mente si rifiutava di funzionare in modo normale.
Riuscì appena a fare qualche metro in strada, che le gambe gli cedettero, facendolo stramazzare sull’asfalto.
«Ehi, ragazzo, stai bene?» Un paio di uomini accorsero in suo aiuto.
Rob era immobile, ad eccezione di un lieve tremito che non la smetteva di scuoterlo. Aveva il volto pallido e imperlato di sudore e i suoi occhi erano vitrei e spalancati, fissi verso il cielo.
Non riusciva a muoversi, non riusciva a pensare. L’unica cosa che riuscì a fare quando una piccola folla si radunò attorno a lui fu dischiudere le labbra e mormorare una ormai nota filastrocca.
 

A nightingale sings his song of farewell
You'd better hide from her freezing hell.
3 

 


 



NOTA 3: Un usignolo canta la sua canzone di addio
Faresti meglio a nasconderti dal suo inferno di ghiaccio.
(Ice Queen, Within Temptation) 



 

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