Zio Natale

di xla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** il silenzio degli occhi ***
Capitolo 2: *** Non ci sei per capirmi ***
Capitolo 3: *** Alla tua salute, zio ***



Capitolo 1
*** il silenzio degli occhi ***


Zio Natale

-il silenzio degli occhi-

[ I atto ]

 

Mi sveglio. E’ Natale; me ne ricordo per inerzia. Quando per anni fai sempre le stesse cose alla fine ti escono spontanee, no? Potrei pensare a tutti i regali che mi aspettano. Vestiti; una tavola di colori scelti da me stessa; un profumo che ho preso io; un paio di stivali marroni col tacco, solo in queste occasioni posso ricevere cose del genere; un ciondolo d’oro con lo stemma di un leone al collo che ho preso ieri; due penne strane di quella matta di mia zia, invece… no. Non penso a tutte queste cose…

Invece di pensare ai regali, al pranzo, ai parenti che vedrò… penso a chi non vedrò… Incredibile; è passato più di un anno e ancora sto ridotta così. Merda; è morto, non c’è più! Quando me ne farò una ragione? Quando anche io morirò, eh? Ma no, mi lamenterò anche lì perché lui non c’è a vegliare su di me. E a chi gli va di alzarsi e di stamparsi in faccia il solito sorrisino di scherno? A me no di certo e scusate la franchezza! Preferisco di gran lunga mettermi al pc e scrivere fino a che le dita non mi fanno male e le mie orecchie implorano pietà: basta con questo tic tic tic dei tastini, mi devono dire! Al massimo posso guardare il mio orologio da polso, ma chi ci vede senza occhiali, non mi va neanche di muore il braccio. Ma, soprattutto, chi ci vede con gli occhi impegnati a piangere?

Non voglio ricordare? Ma perché l’essere umano è dotato di memoria; perché ricordo? Di solito non ricordo nulla…

Dove è l’interruttore off?

Mi ritrovo nel mio corpo di bimba di cinque anni, sono regredita di undici anni, e le cose sembrano tutte così grandi. Vedo mio nonno come un gigante che si china su di me e mi dice che ora arriva Babbo Natale. No nonno, non lo voglio, non ora, non ora! Se mi vuoi bene; perchè mi fai questo?

Corro a nascondermi da brava bimba dietro un mobile, e mia zia, tra le risate, dice

-Ma no amore, che fai lì? Esci, dai, che ora arriva una persona speciale- mi tende la mano.

Ma perché nessuno vuole capire; non ci arrivano? So che sta arrivando qualcuno di molto speciale, ed è per questo che mi nascondo, altrimenti non lo farei. Non sono tipa.

Suonano al campanello. Din dlon. E il mio cuore non batte più.

Mi sembra di essere la protagonista di uno di quei film orror che la notte non ti fanno dormire. Dove non ti puoi fidare di nessuno, ogni angolo e ogni svolta è un pericolo; attenta alle spalle!

-Ma chi è? Ma chi sarà?- e ora mi rendo conto che a mia nonna è sempre mancata qualche rotella, perché mi parla così anche a sedici anni, ogni tanto.

So io chi è nonna, e farai meglio a non aprire. Non m’importa se non avrò i miei regali, non lo voglio rivedere. Babbo Natale si, ma mio zio no. Non di nuovo.

La porta viene aperta, e un ammasso di tessuto rosso e bianco,con un grosso sacco alle spalle si muove tra i quadri e i gingilli di quella casa che pare avere millenni. Non è neanche stanco, e si che portare quel sacco deve essere faticoso. Povero zio. Ma lui è forte.

Babbo Natale posa il sacco sotto l’albero di Natale, dalla quale mi hanno sempre tenuto a debita distanza per non fare la fine di quei video natalizi di Paperissima, e si siede sul divano stile romano vicino ad esso.

Mia madre mi sorrise; non mi ricordavo che il suo sorriso fosse così bello, è anche truccata,

-Ehi Gin, hai visto chi c’è?- mi mette una mano dietro alla schiena e mi indica l’uomo appena entrato. Se avessi avuto uno specchio a portata di mano mi sarei stupita di quando grandi fossero i miei occhi… anzi; se solo ci fosse stato uno specchio alla mia altezza, lo avrei potuto fare…

Si mamma, ho visto… e per questo voglio che se ne vada.

Mia zia mi si avvicina, e indica anche lei –Dai Gin, avvicinati- l’uomo mi tende le braccia e io mi faccio prendere da lui che mi mette sulle sue ginocchia. Seduta, ora, vedo i suoi occhi, il resto del viso è coperto dalla barba bianca. Sono celesti, bellissimi, limpidi. E sento il suo respiro; pesante. Sembra lui… ma forse perché è lui? So che mi sorride, si capisce dai suoi occhi e mi viene da dire; perché sei qui? Ma non dico nulla, lo esploro con le mani. E lui sta lì, mi tiene in braccio, fermo. Muto.

Parlami!

Dimmi che sono la tua principessa. Che sono la tue streghetta; ti faccio tutte le magie che vuoi; ma tu non mi lasciare!

Parlami; ti prego! Voglio sentire la tua voce!

Un botto mi risveglia dai miei ricordi. Sono caduta dal letto. Sono sul pavimento e, come sempre, sogno troppo.

La davo smettere. Per me… per lui.

 

I atto

Fine

 

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Capitolo 2
*** Non ci sei per capirmi ***


Zio Natale

-non ci sei per capirmi-

[ II atto ]

 

Mi squilla il telefono. Sono i messaggi di auguri, tutti uguali. Auguri di un Buon Natale. Ma mi spiegate cose c’è di buono in un Natale che si fa solo perché altrimenti tuo nonno si arrabbia? Quello che ogni anno vivo io di certo, non si può definire un Felice Natale. Neanche più una tradizione. Questi eventi esistono per radunare la cosi detta famiglia, no? E questa famiglia tu la vedi tutti i santi giorni, che senso ha allora questa sottospecie di riunione di condominio dove nessuno sopporta nessuno. Alla fine tutto si fa per non sentire rogne… sì, si può dire che è così.

Mi vesto con un paio di pantaloni di una tuta, ma che si possono confondere bene con un paio di un certo tessuto, quindi sembrano eleganti, quando poco vicino alla tasca sinistra hanno una corona stile medioevale e una croce greca verde con dei strani riflessi e i contorni dorati, una maglia qualunque. La prima che trovo. E le immancabili scarpe che mi ha portato la cara zia pazza da Barcellona; rosse, coi strass dello stesso colore, del fuoco disegnato ai lati e una pallina per due lati con le ali. Che ricorda molto il Boccino d’Oro che io amo. Mi lego i capelli che fanno un po’ compassione e dallo specchio vedo le punte rosso fuoco che danzano da una parte all’altra, come quelle di Leto, il cantante dei 3STM nel video di From Yestarday. Davvero un bravo cantante, oltre che attore.

Mia madre mi urla che mi trucco da nonna perchè non c’è più tempo: ci credo! Ti svegli alle undici e mezza e poi dici che è tardi e che è colpa mia! Sfido io che tuo padre ti tratti ancora come una bimbetta a quarant’anni e passa.

Mi metto il giubottino corto nero, ci metto il cellulare, i trucchi e il profumo Cavalli alla vaniglia nella borsa di mamma, ci tolgo un pacchetto di Lion che metto su un mobile all’entrata e controllo che la famosa letterina di Natale per il nonno sia ancora integra. Di che parlo? Ma della letterina che ogni anno viene messa sotto il piatto fondo di mio nonno e che lui ogni anno fa finta di non aspettarsela. La cosa è molto semplice; mia madre e mia zia scrivono e io leggo come se fosse mia e mi becco i soldi… questo fino a qualche anno fa, dopo di che ho preso in mano le redini di questo piccolo e monotono carro e mi sono messa ogni anno a scrivere io. Alla fine sono sempre le solite quattro cose buttate lì, giusto per fare piacere. Le due sorelle più che altro lo facevano per i soldi e… sì: leccavano al capezzolo del potere. Peccato che a me non me ne importi un beneamato di tutto questo, ma credo che sia facile parlare per me che ho avuto tutto da subito. Tutto; tranne le solite cose che contano veramente. Quali, si sanno. Quando io e mia madre arriviamo a casa dei nonni, io mi chiudo in stanza loro e mia madre va ad aiutare ad apparecchiare. Ovvero; lei sta seduta e io apparecchio, ecco la sua concezione del lavoro. Sta sfruttatrice! Non l’ho mai denunciata al Telefono Arcobaleno per pura bontà. Poi mi ricordo che devo scrivere in bella copia la letterina e quindi prendo un foglio di carta, una penna che magicamente scrive e…

 

Capita che ridi pensando brutta e cattiva la vita.

Piangi pensando bello e buono il mondo.

 

Sei apatico pensando agli amici, angeli con ali invisibili, a chi ami e a chi ti è vicino.

Perchè cose che si hanno quotidianamente… non ci si accorge della fortuna che si ha.

 

A parer comune, le parole sono più forti e taglienti di una lama affilata.

Le mani abolite.

Perché pesanti quasi quanto le parole.

 

Ma è ignaro al popolo che è meglio l’odio che l’indifferenza.

Non si sussurra.

Perché i sussurri sono più insopportabili delle parole.

Inutile appioppare scuse penose per aver comprensione dagli altri.

 

E’ Natale, siamo tutti più buoni.

Ma sapete che vi dico? E’ comodo così.

Si è buoni per qualche giorno e poi basta. Coscienza apposto.

 

Invece, a pensarci bene;

Ma non è meglio fare le cose per bene e non a metà?

 

Siamo buoni tutto l’anno e non se ne parla più!

 

Ma che parlo a fare? E voi; zii e nonni, che ascoltate a fare. Applaudite; ma avete almeno capito cosa vi voglio dire?

Ma madre, a capo tavola davanti a me dall’altra parte ha capito, e non batte le mani. A metà lettera l’ho sentita.

-Puro riferimento, eh?- ma solo io l’ho sentita, perchè lei non ha mosso le labbra. Che io sia una Legilimens; posso leggere nel pensiero altrui, oltretutto senza neanche sforzarmi? Mi ero bloccata a dire;

-Che c’è?- verso di lei, ma tutti parvero stupiti.

Mio nonno, a capo tavola, con un braccio attorno al mio fianco, che gli avrei volentieri tagliato, mi fa –Nessuno ha parlato Gin, tesoro- Dio; ogni volte che dice “ Gin, tesoro “ è un punto a suo favore. Non so perché; ma ogni volta che lo dice ha vinto. Su cosa lo ignoro. Io so solo che ho perso e io, detesto perdere.

Mia madre ha i gomiti sul tavolo. Ci fissiamo. Le mani sul mento,

-Evidentemente mi ha letto nel pensiero-.

Ho sempre ragione…

E tutta questa gente dovrebbe lavarsi meglio le orecchie, prima di uscire di casa.

Ma lui mi avrebbe capito, come sempre. Lui mi capisce. Lui…

 

II atto

Fine

 

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Capitolo 3
*** Alla tua salute, zio ***


Zio Natale

-alla tua salute, zio-

[ III atto ]

 

Il mio sogno è portemi alzare dal tavolo, con lo sguardo deluso di mio nonno e quello curioso dei presenti addosso, e poter dire; no signori miei, quest’anno niente lagne, ma carte in tavola… chi di voi è bravo? Ovviamente nessuno. L’unico che sapeva giocare a carte eri tu zio, ma non ci giocavi mai. Avevi fatto una promessa un tuo amico e l’hai mantenuta fino all’ultimo. Sei stato tu ad insegnarmi a giocare a carte, le basi, almeno a riconoscere le carte. Mio padre, per te come un fratello, mi ha insegnato a prendere la forchetta, a chiedere per piacere, per favore, eh sì; altrimenti non si beveva! A giocare a dada, scacchi, dadi, a poker, ramino, scala quaranta e tutti gli altri giochi di carte. Ma almeno voi avete la voglia di starmi appresso. I giochi di società; ci ho sempre giocato solo con voi. Come quel giochino dell’archeologo; ti sei messo con martello e scalpello e hai spaccato tutto, per trovarmi i pezzi del vaso da costruire.

Però credo che quel giorno, il Natale senza la lettera, sia ancora molto lontano. E si che mi sono sempre immaginata la mia uscita di scena così: me ne vado e nessuno sa dove tranne che io. Magari! Ma troppo bello per essere vero temo.

Quindi mi devo armare di nervi saldi e sorridere, stando bene attenta a non ringhiare. Altrimenti sarei poco convincente, no?

Credo che nessuno qua dentro abbia colto il vero sento delle mie parole, a parte mia madre, ovvio. Il nonno mi voleva dare i soliti soldi, ma stavolta non li ho voluti; lui me li ha messi in mano;

-Vorrà dire che ci comprerò l’ultimo di Harry Potter- mormoro come se non vedessi alternative e avere quei soldi in ano fosse un grande sforzo. Infatti, non so perché, impressione mai magari, ma questi pezzi di carta colorata pesano più del solito; sarà perché mi hanno insegnato che i soldi non rendono un uomo felice? Spesso leggo frasi fatte come: coi soldi si può comprare tutto, e io aggiungo sempre; che cazzata. Mi risiedo al mio posto e finisco di mangiare la pasta al forno che sa d’acido e perchè non so; la lascio. Non me ne volete, ma ieri sera ho fatto il pieno di pasta. Ho mangiato tutto vegetariano. IO, che osanno la carne al sangue, come ho fatto non chiedetemelo; so solo che la pasta al forno verde era molto buona e preferirei di gran lunga un vassoio di quella piuttosto che questa con la carne, anche a costo di scoppiare. Dopo arriva la carne; e Dio solo sa quanto avanza roba come essa da quando non ci sei tu che rosicchi le ossa a mò dei Flinstons. Io non la tocco, non ho più fame. Tutti ingrassano alle feste; io calo. Buffo, no?

Il mio cellulare è impazzito; non mi manda più i messaggi, e io devo rispondere a quelli che mi hanno mandato. Ma quanta gente usa il telefono portatile oggi? Devo anche avvisare mio padre che non vado da lui e il solo pensiero mi mette mal di testa; già me lo immagino, tutto ingrifato e con la voce da suocera che ti rompe perché non vai a casa sua la domenica a pranzo. E si che un tempo non era così, era più… più… allegro, si. Oppure ero io ad avere le fette di salame sugli occhi, oltre agli occhiali, ed è sempre stato così. Fatto sta che ora dice un bel po’ di parolacce quando sta con me, e poi mi ripete che “ le parolacce in bocca a una donna sono sempre brutte “ e a un uomo no, eh?

Alla tv danno un bel film, ma tutti parlano troppo per poter sentire qualcosa di concreto, quindi senza dire nulla mi dirigo in cucina, dove ci sono mia zia e mia nonna;

-Io vado di l’ha, non mi sento molto bene- loro mi danno l’ok, più che altro è un invito per togliermi dalle palle, ma io faccio finta di nulla; sarà l’abitudine, e vado in camera da letto dei miei nonni, sedendomi sul letto mi accorgo che pochi giorni prima era alla parete di fronte. E’ stato spostato e non mi hanno detto nulla… perché sono sempre l’ultima a sapere le cose, mi verrebbe da dire, però la mia mente si accende e si accorge di un’altra piccola cosa: manca una vecchiaccia che mi rincorre per casa brandendo un bastone e minacciando di darmelo in testa, cosa che tra l’altro è capitato più di qualche volta, per poi lamentarsi che le fanno male le gambe. Oh, io l’andavo solo a chiamare, mica che altro! Quel martedì nessuno le disse nulla, neanche mercoledì, ai funerali alla chiesa sotto casa, che tra l’altro non vedo perché si sono dovuti fare qua visto che tu non ci sei nato, ti sentivi un emarginato tra noi, volevi scappare. Rapirmi, portarmi al tuo borgo, che è anche il mio, oppure eliminare le nostre tracce e fuggire in treno tra la neve candida e asfissiante della Transiberiana. Quante volte me lo hai detto, eh? Quante promesse mi hai fatto? E quante ne hai mantenute?... Sto ancora aspettando che mi porti a quel ristorante cinese a Roma, che facciamo la gara di chi cucina la miglior pizza, che mi accompagni al tiro al bersaglio, che m’insegni meglio come si spara; credo che qua ci penserà papà, che mi porti a farmi fare i tatuaggi; quando l’ho detto tutti hanno fatto storie, l’unico che mi ha detto sì, andiamo, come sempre, sei stato solo tu, che mi porti in Giappone, che mi prendi la luna, che apri i cancelli del mondo per me… ho aspettato quindici anni per questo, ora ne ho sedici… posso ancora aspettare un po’, no? Ma mi sorge un dubbio; che mi prenderà al volo quando casco, chi si butterà sulla strada o su un cumolo di neve con me, chi mi salverà dalle persone cattive, chi mi porterà in moto al massimo della velocità anche nelle curve, chi mi porterà una mega coppa di gelato in cristallo quando sarà a letto con la febbre, chi sarà la mia ancora al mare quando affogo, chi mi farà guidare il gommone, chi m’insegnerà ad andare giù con le bombole, chi si tufferà in mare vestito solo per prendermi un cappello di paglia, chi m’insegnerà la differenza tra bene e male, chi mi strafogherà di patatine e hamburger fino a scoppiare, chi andrà in cucina a prendermi la coca quando gli altri se la dimenticano; mi dimenticano, chi mi ascolterà senza fiatare, chi starà sempre dalla mia e… meglio che mi fermo, perché le cose rimaste in sospeso sono troppe e io ho troppa matita intorno agli occhi. Però una cosa, un’ultima, c’è, cioè… c’è da chiederselo. Chi preparerà gli aperitivi ora? Nessuno. Infatti abbiamo brindato con… con… champagne? Spumante? Bò, non lo so e neanche m’interessa, perché io non ho brindato. E non c’entra nulla il fatto che odio queste bevande, quanto il fatto..; che diamine c’è da festeggiare in un branco di poveri deficenti falsi e voltagabbana?

Credo che a zia gli siano brillati un po’ gli occhi. Sì, perché gli aperitivi li hai sempre fatti tu.

Mi ricordo quando mi portavi con te, nessuno mi voleva tra i piedi, quindi mi caricavi tu e mi dicevi di consigliarti quale tra le tante cose che nonno ha nel frigo nello sgabuzzino era meglio mischiare. Io indicavo delle cose alla rinfusa e tu… mi viene da ridere, perché tu le prendevi e le mischiavi sorridendo e facendomi l’occhiolino. Qualcuno cosa fosse. Indicavo Rum limone e salame? Tu mischiavi rum, limone e salame. Alla faccia di chi non mi prendeva e non mi prende tutt’ora in considerazione! Però… la cosa bella di te è che non te ne importava un cazzo del pensiero altrui; tu andavi avanti, qualunque cosa accadesse e poi… poi… mi mettevi sempre mille gradini sopra agli altri, nei tuo pensieri ero sempre la prima. Anche prima di tua moglie. Non so se questa è una cosa razionale o meno ma non me ne frega nulla. Sono felice… certo non nel senso vero del termine ma… so che hai vissuto come volevi quindi; perché piangere?

Ma ripensandoci bene; non mi manchi tu, la tua persona sempre presente, le tue curvone in auto da capogiro, le tue corse in autostrada, le volte che mi hai fatto sbattere la faccia ai cartelli stradali, quella volta che mi hai fatto inciampare sui san pietrini con imitarti in uno strano sgambetto, i risvegli con te che sapevano di cornetto alla nutella, le nostre abbuffate con le bistecche e le nostre bevute… no… mi manca il fatto che non ho più nessuno con me che mi comprenda e per questo cono una grande bastarda e lo ammetto senza problemi. E non credo che posso nascondere il tutto col mio vizio del gioco d’azzardo; anche perché l’unico che mi poteva portare lì eri tu.

Mia madre passa e si affaccia – Non vai con tuo padre? –

Già… papà… la dovrei smettere di perdermi nei miei voli mentali. Però non me la sento;

-No-

-E perché?-

-Non mi sento bene- e se ne va.

Mando un sms a mio padre sperando che gli arrivi e che le linee telefoniche si siano un po’ svuotate. Sono una povera illusa. Però capirà che non vado; se non mi sente. Non mi va di andarci, non mi sento niente bene e il motivo lo so, ma chissene se il mio cervellino e il mio cuore non l’accettano!

Solo ora mi accorgo di avere in mano un bicchiere. Dentro c’è della coca. Mi guardo in giro e non c’è nessuno, tutti di la in sala a ocheggiare, mia madre in primis, ora lo posso anche fare. Alzo il bicchiere in aria. Al vento

-Alla tua salute, Luciano- corri tra il tempo e ruba le chiavi dei cancelli ai diavoli e agli angeli, in sella alla tua moto mi verrai a prendere. Nessuno sa che sono stata la prima a salirci.

-Alla tua salute, zio – ripeto – Perchè la mia se ne andata assieme a te-

Bevo alla goccia, fino all’ultimo sorso di coca.

-Qui ci manca il rum- Ci manchi tu.

 

III atto

ThEnd

 

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