Zio Natale di xla (/viewuser.php?uid=20868)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** il silenzio degli occhi ***
Capitolo 2: *** Non ci sei per capirmi ***
Capitolo 3: *** Alla tua salute, zio ***
Capitolo 1 *** il silenzio degli occhi ***
Zio
Natale
-il
silenzio degli
occhi-
[
I atto ]
Mi
sveglio. E’ Natale;
me ne ricordo per inerzia. Quando per anni fai sempre le stesse cose
alla fine
ti escono spontanee, no? Potrei pensare a tutti i regali che mi
aspettano.
Vestiti; una tavola di colori scelti da me stessa; un profumo che ho
preso io;
un paio di stivali marroni col tacco, solo in queste occasioni posso
ricevere
cose del genere; un ciondolo d’oro con lo stemma di un leone
al collo che ho
preso ieri; due penne strane di quella matta di mia zia,
invece… no. Non penso
a tutte queste cose…
Invece
di pensare ai
regali, al pranzo, ai parenti che vedrò… penso a
chi non vedrò… Incredibile; è
passato più di un anno e ancora sto ridotta così.
Merda; è morto, non c’è più!
Quando me ne farò una ragione? Quando anche io
morirò, eh? Ma no, mi lamenterò
anche lì perché lui non c’è
a vegliare su di me. E a chi gli va di alzarsi e di
stamparsi in faccia il solito sorrisino di scherno? A me no di certo e
scusate
la franchezza! Preferisco di gran lunga mettermi al pc e scrivere fino
a che le
dita non mi fanno male e le mie orecchie implorano pietà:
basta con questo tic
tic tic dei tastini, mi devono dire! Al massimo posso guardare il mio
orologio
da polso, ma chi ci vede senza occhiali, non mi va neanche di muore il
braccio.
Ma, soprattutto, chi ci vede con gli occhi impegnati a piangere?
Non
voglio ricordare?
Ma perché l’essere umano è dotato di
memoria; perché ricordo? Di solito non
ricordo nulla…
Dove
è l’interruttore
off?
Mi
ritrovo nel mio
corpo di bimba di cinque anni, sono regredita di undici anni, e le cose
sembrano tutte così grandi. Vedo mio nonno come un gigante
che si china su di
me e mi dice che ora arriva Babbo Natale. No nonno, non lo voglio, non
ora, non
ora! Se mi vuoi bene; perchè mi fai questo?
Corro
a nascondermi da
brava bimba dietro un mobile, e mia zia, tra le risate, dice
-Ma
no amore, che fai
lì? Esci, dai, che ora arriva una persona speciale- mi tende
la mano.
Ma
perché nessuno vuole
capire; non ci arrivano? So che sta arrivando qualcuno di molto
speciale, ed è
per questo che mi nascondo, altrimenti non lo farei. Non sono tipa.
Suonano
al campanello.
Din dlon. E il mio cuore non batte più.
Mi
sembra di essere la
protagonista di uno di quei film orror che la notte non ti fanno
dormire. Dove
non ti puoi fidare di nessuno, ogni angolo e ogni svolta è
un pericolo; attenta
alle spalle!
-Ma
chi è? Ma chi
sarà?- e ora mi rendo conto che a mia nonna è
sempre mancata qualche rotella,
perché mi parla così anche a sedici anni, ogni
tanto.
So
io chi è nonna, e
farai meglio a non aprire. Non m’importa se non
avrò i miei regali, non lo
voglio rivedere. Babbo Natale si, ma mio zio no. Non di nuovo.
La
porta viene aperta,
e un ammasso di tessuto rosso e bianco,con un grosso sacco alle spalle
si muove
tra i quadri e i gingilli di quella casa che pare avere millenni. Non
è neanche
stanco, e si che portare quel sacco deve essere faticoso. Povero zio.
Ma lui è
forte.
Babbo
Natale posa il
sacco sotto l’albero di Natale, dalla quale mi hanno sempre
tenuto a debita
distanza per non fare la fine di quei video natalizi di Paperissima, e
si siede
sul divano stile romano vicino ad esso.
Mia
madre mi sorrise;
non mi ricordavo che il suo sorriso fosse così bello,
è anche truccata,
-Ehi
Gin, hai visto chi
c’è?- mi mette una mano dietro alla schiena e mi
indica l’uomo appena entrato.
Se avessi avuto uno specchio a portata di mano mi sarei stupita di
quando
grandi fossero i miei occhi… anzi; se solo ci fosse stato
uno specchio alla mia
altezza, lo avrei potuto fare…
Si
mamma, ho visto… e
per questo voglio che se ne vada.
Mia
zia mi si avvicina,
e indica anche lei –Dai Gin, avvicinati- l’uomo mi
tende le braccia e io mi
faccio prendere da lui che mi mette sulle sue ginocchia. Seduta, ora,
vedo i
suoi occhi, il resto del viso è coperto dalla barba bianca.
Sono celesti,
bellissimi, limpidi. E sento il suo respiro; pesante. Sembra
lui… ma forse
perché è lui? So che mi sorride, si capisce dai
suoi occhi e mi viene da dire;
perché sei qui? Ma non dico nulla, lo esploro con le mani. E
lui sta lì, mi
tiene in braccio, fermo. Muto.
Parlami!
Dimmi
che sono la tua
principessa. Che sono la tue streghetta; ti faccio tutte le magie che
vuoi; ma
tu non mi lasciare!
Parlami;
ti prego!
Voglio sentire la tua voce!
Un
botto mi risveglia
dai miei ricordi. Sono caduta dal letto. Sono sul pavimento e, come
sempre,
sogno troppo.
La
davo smettere. Per
me… per lui.
I
atto
Fine
|
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Capitolo 2 *** Non ci sei per capirmi ***
Zio
Natale
-non
ci sei per capirmi-
[ II atto ]
Mi
squilla il telefono. Sono i messaggi di auguri, tutti uguali. Auguri di
un Buon
Natale. Ma mi spiegate cose c’è di buono in un
Natale che si fa solo perché
altrimenti tuo nonno si arrabbia? Quello che ogni anno vivo io di
certo, non si
può definire un Felice Natale. Neanche più una
tradizione. Questi eventi
esistono per radunare la cosi detta famiglia, no? E questa famiglia tu
la vedi
tutti i santi giorni, che senso ha allora questa sottospecie di
riunione di
condominio dove nessuno sopporta nessuno. Alla fine tutto si fa per non
sentire
rogne… sì, si può dire che
è così.
Mi
vesto con un paio di pantaloni di una tuta, ma che si possono
confondere bene
con un paio di un certo tessuto, quindi sembrano eleganti, quando poco
vicino
alla tasca sinistra hanno una corona stile medioevale e una croce greca
verde
con dei strani riflessi e i contorni dorati, una maglia qualunque. La
prima che
trovo. E le immancabili scarpe che mi ha portato la cara zia pazza da
Barcellona; rosse, coi strass dello stesso colore, del fuoco disegnato
ai lati
e una pallina per due lati con le ali. Che ricorda molto il Boccino
d’Oro che
io amo. Mi lego i capelli che fanno un po’ compassione e
dallo specchio vedo le
punte rosso fuoco che danzano da una parte all’altra, come
quelle di Leto, il
cantante dei 3STM nel video di From Yestarday. Davvero un bravo
cantante, oltre
che attore.
Mia
madre mi urla che mi trucco da nonna perchè non
c’è più tempo: ci credo! Ti
svegli alle undici e mezza e poi dici che è tardi e che
è colpa mia! Sfido io
che tuo padre ti tratti ancora come una bimbetta a
quarant’anni e passa.
Mi
metto il giubottino corto nero, ci metto il cellulare, i trucchi e il
profumo
Cavalli alla vaniglia nella borsa di mamma, ci tolgo un pacchetto di
Lion che
metto su un mobile all’entrata e controllo che la famosa
letterina di Natale
per il nonno sia ancora integra. Di che parlo? Ma della letterina che
ogni anno
viene messa sotto il piatto fondo di mio nonno e che lui ogni anno fa
finta di
non aspettarsela. La cosa è molto semplice; mia madre e mia
zia scrivono e io
leggo come se fosse mia e mi becco i soldi… questo fino a
qualche anno fa, dopo
di che ho preso in mano le redini di questo piccolo e monotono carro e
mi sono
messa ogni anno a scrivere io. Alla fine sono sempre le solite quattro
cose
buttate lì, giusto per fare piacere. Le due sorelle
più che altro lo facevano
per i soldi e… sì: leccavano al capezzolo del
potere. Peccato che a me non me
ne importi un beneamato di tutto questo, ma credo che sia facile
parlare per me
che ho avuto tutto da subito. Tutto; tranne le solite cose che contano
veramente. Quali, si sanno. Quando io e mia madre arriviamo a casa dei
nonni,
io mi chiudo in stanza loro e mia madre va ad aiutare ad apparecchiare.
Ovvero;
lei sta seduta e io apparecchio, ecco la sua concezione del lavoro. Sta
sfruttatrice! Non l’ho mai denunciata al Telefono Arcobaleno
per pura bontà.
Poi mi ricordo che devo scrivere in bella copia la letterina e quindi
prendo un
foglio di carta, una penna che magicamente scrive e…
Capita
che ridi pensando brutta e cattiva la vita.
Piangi
pensando bello e buono il mondo.
Sei
apatico pensando agli amici, angeli con ali invisibili, a chi ami e a
chi ti è
vicino.
Perchè
cose che si hanno quotidianamente… non ci si accorge della
fortuna che si ha.
A
parer comune, le parole sono più forti e taglienti di una
lama affilata.
Le
mani abolite.
Perché
pesanti quasi quanto le parole.
Ma
è
ignaro al popolo che è meglio l’odio che
l’indifferenza.
Non
si sussurra.
Perché
i sussurri sono più insopportabili delle parole.
Inutile
appioppare scuse penose per aver comprensione dagli altri.
E’
Natale, siamo tutti più buoni.
Ma
sapete che vi dico? E’ comodo così.
Si
è
buoni per qualche giorno e poi basta. Coscienza apposto.
Invece,
a pensarci bene;
Ma
non è meglio fare le cose per bene e non a metà?
Siamo
buoni tutto l’anno e non se ne parla più!
Ma
che parlo a fare? E voi; zii e nonni, che ascoltate a fare. Applaudite;
ma
avete almeno capito cosa vi voglio dire?
Ma
madre, a capo tavola davanti a me dall’altra parte ha capito,
e non batte le
mani. A metà lettera l’ho sentita.
-Puro
riferimento, eh?- ma solo io l’ho sentita, perchè
lei non ha mosso le labbra.
Che io sia una Legilimens; posso leggere nel pensiero altrui,
oltretutto senza
neanche sforzarmi? Mi ero bloccata a dire;
-Che
c’è?- verso di lei, ma tutti parvero stupiti.
Mio
nonno, a capo tavola, con un braccio attorno al mio fianco, che gli
avrei
volentieri tagliato, mi fa –Nessuno ha parlato Gin, tesoro-
Dio; ogni volte che
dice “ Gin, tesoro “ è un punto a suo
favore. Non so perché; ma ogni volta che
lo dice ha vinto. Su cosa lo ignoro. Io so solo che ho perso e io,
detesto
perdere.
Mia
madre ha i gomiti sul tavolo. Ci fissiamo. Le mani sul mento,
-Evidentemente
mi ha letto nel pensiero-.
Ho
sempre ragione…
E
tutta questa gente dovrebbe lavarsi meglio le orecchie, prima di uscire
di
casa.
Ma
lui mi avrebbe capito, come sempre. Lui mi capisce. Lui…
II atto
Fine
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Capitolo 3 *** Alla tua salute, zio ***
Zio
Natale
-alla
tua salute, zio-
[ III atto ]
Il
mio sogno è portemi alzare dal tavolo, con lo sguardo deluso
di mio nonno e
quello curioso dei presenti addosso, e poter dire; no signori miei,
quest’anno
niente lagne, ma carte in tavola… chi di voi è
bravo? Ovviamente nessuno.
L’unico che sapeva giocare a carte eri tu zio, ma non ci
giocavi mai. Avevi
fatto una promessa un tuo amico e l’hai mantenuta fino
all’ultimo. Sei stato tu
ad insegnarmi a giocare a carte, le basi, almeno a riconoscere le
carte. Mio
padre, per te come un fratello, mi ha insegnato a prendere la
forchetta, a
chiedere per piacere, per favore, eh sì; altrimenti non si
beveva! A giocare a
dada, scacchi, dadi, a poker, ramino, scala quaranta e tutti gli altri
giochi
di carte. Ma almeno voi avete la voglia di starmi appresso. I giochi di
società; ci ho sempre giocato solo con voi. Come quel
giochino dell’archeologo;
ti sei messo con martello e scalpello e hai spaccato tutto, per
trovarmi i
pezzi del vaso da costruire.
Però
credo che quel giorno, il Natale senza la lettera, sia ancora molto
lontano. E
si che mi sono sempre immaginata la mia uscita di scena
così: me ne vado e
nessuno sa dove tranne che io. Magari! Ma troppo bello per essere vero
temo.
Quindi
mi devo armare di nervi saldi e sorridere, stando bene attenta a non
ringhiare.
Altrimenti sarei poco convincente, no?
Credo
che nessuno qua dentro abbia colto il vero sento delle mie parole, a
parte mia
madre, ovvio. Il nonno mi voleva dare i soliti soldi, ma stavolta non
li ho
voluti; lui me li ha messi in mano;
-Vorrà
dire che ci comprerò l’ultimo di Harry Potter-
mormoro come se non vedessi
alternative e avere quei soldi in ano fosse un grande sforzo. Infatti,
non so
perché, impressione mai magari, ma questi pezzi di carta
colorata pesano più
del solito; sarà perché mi hanno insegnato che i
soldi non rendono un uomo
felice? Spesso leggo frasi fatte come: coi soldi si può
comprare tutto, e io
aggiungo sempre; che cazzata. Mi risiedo al mio posto e finisco di
mangiare la
pasta al forno che sa d’acido e perchè non so; la
lascio. Non me ne volete, ma
ieri sera ho fatto il pieno di pasta. Ho mangiato tutto vegetariano.
IO, che
osanno la carne al sangue, come ho fatto non chiedetemelo; so solo che
la pasta
al forno verde era molto buona e preferirei di gran lunga un vassoio di
quella
piuttosto che questa con la carne, anche a costo di scoppiare. Dopo
arriva la
carne; e Dio solo sa quanto avanza roba come essa da quando non ci sei
tu che
rosicchi le ossa a mò dei Flinstons. Io non la tocco, non ho
più fame. Tutti
ingrassano alle feste; io calo. Buffo, no?
Il
mio cellulare è impazzito; non mi manda più i
messaggi, e io devo rispondere a
quelli che mi hanno mandato. Ma quanta gente usa il telefono portatile
oggi?
Devo anche avvisare mio padre che non vado da lui e il solo pensiero mi
mette
mal di testa; già me lo immagino, tutto ingrifato e con la
voce da suocera che
ti rompe perché non vai a casa sua la domenica a pranzo. E
si che un tempo non
era così, era più…
più… allegro, si. Oppure ero io ad avere le fette
di salame
sugli occhi, oltre agli occhiali, ed è sempre stato
così. Fatto sta che ora
dice un bel po’ di parolacce quando sta con me, e poi mi
ripete che “ le
parolacce in bocca a una donna sono sempre brutte “ e a un
uomo no, eh?
Alla
tv danno un bel film, ma tutti parlano troppo per poter sentire
qualcosa di
concreto, quindi senza dire nulla mi dirigo in cucina, dove ci sono mia
zia e
mia nonna;
-Io
vado di l’ha, non mi sento molto bene- loro mi danno
l’ok, più che altro è un
invito per togliermi dalle palle, ma io faccio finta di nulla;
sarà
l’abitudine, e vado in camera da letto dei miei nonni,
sedendomi sul letto mi
accorgo che pochi giorni prima era alla parete di fronte. E’
stato spostato e
non mi hanno detto nulla… perché sono sempre
l’ultima a sapere le cose, mi
verrebbe da dire, però la mia mente si accende e si accorge
di un’altra piccola
cosa: manca una vecchiaccia che mi rincorre per casa brandendo un
bastone e
minacciando di darmelo in testa, cosa che tra l’altro
è capitato più di qualche
volta, per poi lamentarsi che le fanno male le gambe. Oh, io
l’andavo solo a
chiamare, mica che altro! Quel martedì nessuno le disse
nulla, neanche
mercoledì, ai funerali alla chiesa sotto casa, che tra
l’altro non vedo perché
si sono dovuti fare qua visto che tu non ci sei nato, ti sentivi un
emarginato
tra noi, volevi scappare. Rapirmi, portarmi al tuo borgo, che
è anche il mio,
oppure eliminare le nostre tracce e fuggire in treno tra la neve
candida e
asfissiante della Transiberiana. Quante volte me lo hai detto, eh?
Quante
promesse mi hai fatto? E quante ne hai mantenute?... Sto ancora
aspettando che
mi porti a quel ristorante cinese a Roma, che facciamo la gara di chi
cucina la
miglior pizza, che mi accompagni al tiro al bersaglio, che
m’insegni meglio
come si spara; credo che qua ci penserà papà, che
mi porti a farmi fare i
tatuaggi; quando l’ho detto tutti hanno fatto storie,
l’unico che mi ha detto
sì, andiamo, come sempre, sei stato solo tu, che mi porti in
Giappone, che mi
prendi la luna, che apri i cancelli del mondo per me… ho
aspettato quindici
anni per questo, ora ne ho sedici… posso ancora aspettare un
po’, no? Ma mi
sorge un dubbio; che mi prenderà al volo quando casco, chi
si butterà sulla
strada o su un cumolo di neve con me, chi mi salverà dalle
persone cattive, chi
mi porterà in moto al massimo della velocità
anche nelle curve, chi mi porterà
una mega coppa di gelato in cristallo quando sarà a letto
con la febbre, chi
sarà la mia ancora al mare quando affogo, chi mi
farà guidare il gommone, chi
m’insegnerà ad andare giù con le
bombole, chi si tufferà in mare vestito solo
per prendermi un cappello di paglia, chi
m’insegnerà la differenza tra bene e
male, chi mi strafogherà di patatine e hamburger fino a
scoppiare, chi andrà in
cucina a prendermi la coca quando gli altri se la dimenticano; mi
dimenticano,
chi mi ascolterà senza fiatare, chi starà sempre
dalla mia e… meglio che mi
fermo, perché le cose rimaste in sospeso sono troppe e io ho
troppa matita
intorno agli occhi. Però una cosa, un’ultima,
c’è, cioè…
c’è da chiederselo.
Chi preparerà gli aperitivi ora? Nessuno. Infatti abbiamo
brindato con… con…
champagne? Spumante? Bò, non lo so e neanche
m’interessa, perché io non ho
brindato. E non c’entra nulla il fatto che odio queste
bevande, quanto il
fatto..; che diamine c’è da festeggiare in un
branco di poveri deficenti falsi
e voltagabbana?
Credo
che a zia gli siano brillati un po’ gli occhi. Sì,
perché gli aperitivi li hai
sempre fatti tu.
Mi
ricordo quando mi portavi con te, nessuno mi voleva tra i piedi, quindi
mi
caricavi tu e mi dicevi di consigliarti quale tra le tante cose che
nonno ha
nel frigo nello sgabuzzino era meglio mischiare. Io indicavo delle cose
alla
rinfusa e tu… mi viene da ridere, perché tu le
prendevi e le mischiavi
sorridendo e facendomi l’occhiolino. Qualcuno cosa fosse.
Indicavo Rum limone e
salame? Tu mischiavi rum, limone e salame. Alla faccia di chi non mi
prendeva e
non mi prende tutt’ora in considerazione!
Però… la cosa bella di te è che non
te ne importava un cazzo del pensiero altrui; tu andavi avanti,
qualunque cosa
accadesse e poi… poi… mi mettevi sempre mille
gradini sopra agli altri, nei tuo
pensieri ero sempre la prima. Anche prima di tua moglie. Non so se
questa è una
cosa razionale o meno ma non me ne frega nulla. Sono felice…
certo non nel
senso vero del termine ma… so che hai vissuto come volevi
quindi; perché
piangere?
Ma
ripensandoci bene; non mi manchi tu, la tua persona sempre presente, le
tue
curvone in auto da capogiro, le tue corse in autostrada, le volte che
mi hai
fatto sbattere la faccia ai cartelli stradali, quella volta che mi hai
fatto
inciampare sui san pietrini con imitarti in uno strano sgambetto, i
risvegli
con te che sapevano di cornetto alla nutella, le nostre abbuffate con
le
bistecche e le nostre bevute… no… mi manca il
fatto che non ho più nessuno con
me che mi comprenda e per questo cono una grande bastarda e lo ammetto
senza
problemi. E non credo che posso nascondere il tutto col mio vizio del
gioco
d’azzardo; anche perché l’unico che mi
poteva portare lì eri tu.
Mia
madre passa e si affaccia – Non vai con tuo padre? –
Già…
papà… la dovrei smettere di perdermi nei miei
voli mentali. Però non me la
sento;
-No-
-E
perché?-
-Non
mi sento bene- e se ne va.
Mando
un sms a mio padre sperando che gli arrivi e che le linee telefoniche
si siano
un po’ svuotate. Sono una povera illusa. Però
capirà che non vado; se non mi
sente. Non mi va di andarci, non mi sento niente bene e il motivo lo
so, ma
chissene se il mio cervellino e il mio cuore non l’accettano!
Solo
ora mi accorgo di avere in mano un bicchiere. Dentro
c’è della coca. Mi guardo
in giro e non c’è nessuno, tutti di la in sala a
ocheggiare, mia madre in
primis, ora lo posso anche fare. Alzo il bicchiere in aria. Al vento
-Alla
tua salute, Luciano- corri tra il tempo e ruba le chiavi dei cancelli
ai
diavoli e agli angeli, in sella alla tua moto mi verrai a prendere.
Nessuno sa
che sono stata la prima a salirci.
-Alla
tua salute, zio – ripeto – Perchè la mia
se ne andata assieme a te-
Bevo
alla goccia, fino all’ultimo sorso di coca.
-Qui
ci manca il rum- Ci manchi tu.
III atto
ThEnd
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