Non ti lascio.

di AnotherrBreath
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




Amore guarda non con gli occhi ma con l’anima e perciò l’alato Cupido viene dipinto cieco„
                                                                                                              - W. Shakespeare.
 

 

PROLOGO
 

Dopo aver girato per le vie di quella città a lei nuova per quasi quarantacinque minuti, dovette rassegnarsi e adattarsi a quel piccolo spazio di verde per fortuna non molto affollato. Scelse l’albero più isolato dagli altri, si levò la borsa e la buttò sotto l’ombra creata dalla grande pianta; Lo sentiva già come un amico, che proteggeva lei e i suoi pensieri.
Dalla borsa tirò fuori una quaderno con infilata di lato una penna e poi un paio di libri di poesia. Riprese a leggere da dove aveva lasciato un segnalibro e già dopo tre minuti cominciò a trascrivere le frasi che più le piacevano o che più la rispecchiavano.
Questo piccolo rito si ripeteva da anni ormai, da quando il rapporto dei suoi genitori cominciava a cadere a pezzi. Per il suo tredicesimo compleanno i suoi zii le regalarono un libro di aforismi allegato ad un’agenda con un rivestimento floreale.
“Scrivi di te stessa, tesoro” le disse la zia sussurrando nell’orecchio, quasi fosse un segreto. A quell’età rimase un attimo perplessa su cosa precisamente dovesse scrivere. Lei di se stessa sapeva quel che bastava: nome, cognome, anni, data di nascita e insomma ciò che trovava scritto sulla carta d’identità. Ma con il passare degli anni cominciò a trovare se stessa nei libri, nelle storie, nelle poesie, nelle frasi e allora si ricordò di quel elegante quaderno.
Ora era seduta sull’erba a conoscere lei, diciassettenne e con un nome che non rispecchiava per niente il suo stato d’animo da troppo tempo.
Serena, così si chiamava.
Lei e sua madre si erano trasferite da pochi giorni dalla loro città natale ad un’altra metropoli popolata tanto quanto la prima. Non aveva fatto storie per il trasferimento perché non sarebbe cambiato molto a parte lasciare suo padre.
Ora avrebbe cominciato una nuova vita oppure avrebbe ripreso quella vecchia da dove era rimasta, come con un libro.
Poteva ricominciare tutto rompendo quel muro che la separava da gli altri suoi coetanei, uscire dal guscio della timidezza e delle insicurezze e farsi degli amici, uscire il sabato sera e trovare qualcuno che l’amasse. Ma lei era totalmente diversa dalle altre ragazze. La poesia era una delle cose che la rendeva differente.
“Non ho bisogno di nessuno, mi basto io. Sto bene con me stessa” ripeteva alla madre ogni volta che si apriva il discorso ‘amicizie’. Lo sapeva anche lei che in realtà non desiderava altro che quel qualcuno arrivasse. Qualcuno che la capisse, che l’abbracciasse, che la facesse sentire protetta e amata.
Mentre pensava che mancavano pochissimi giorni all’inizio di scuola, un foglio staccato del quaderno volò via verso sinistra, dove l’erba finiva e iniziava il cemento, separati da dei tronchi d’albero probabilmente abbattuti. Si alzò in fretta e recuperò il foglietto al volo. Era strettamente legata a quei pezzi di carta e non li aveva mai fatti leggere, nemmeno a sua madre e solo l’idea di perderne uno le metteva ansia. Avrebbe perso una parte di se.
Crollò sul verde e fece un respiro profondo. Quando alzò lo sguardo per controllare che nessuno l’avesse vista in preda al panico, notò un ragazzo; stava camminando a testa bassa con le cuffie nelle orecchie e con una chitarra dietro la spalla ma non seppe riconoscere il tipo perché era rinchiusa al sicuro in una custodia . Rimase lì a fissarlo con il foglio ancora stretto tra le mani. C’era qualcosa in quel ragazzo che la incuriosiva. Forse l’aria malinconica o il fatto che avesse una chitarra. Non era abbronzato, nonostante la stagione estiva appena passata. Aveva un viso stanco e lo si poteva capire dalle occhiaie che avvolgevano la parte inferiore degli occhi abbassati. Serena percepì che il ragazzo sentiva il peso del suo sguardo quando tirò su il viso. I loro occhi si incontrarono diretti per un istante, la ragazza sussultò e intimidita non mantenne quel contatto visivo. Guardò tra le sue mani e decise di alzarsi per tornare a casa. Nel tragitto ripensò al ragazzo e a quello sguardo fugace che era bastato per mettergli in subbuglio lo stomaco e far diventare calde e rosse le gote. Ma c’era una possibilità su cento che lo potesse rincontrare e non aveva intenzione di illudersi ancora una volta, quindi si decise di non pensarci più.
Lei non sapeva molte cose; non sapeva la guerra fredda perché quel capitolo aveva deciso di non studiarlo, non sapeva il vero motivo per cui si erano trasferite e non sapeva perché la zia ci tenesse tanto che lei scrivesse di se.
Ma soprattutto, non sapeva quanto il ragazzo dall’aria malinconica le fosse vicina.



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Salve a tutti!
Questa è la mia prima storia che pubblico su questo account e sono molto emozionata perchè ci ho messo tanto amore per scrivere questo piccolo prologo.
Volevo dare una bella impressione perchè ci tengo a farla originale e non infantile.

Questo, come ho già detto è solo il prologo e se vorrete seguire questa storia insieme a me, ne sarò contentissima :)
Quindi grazie a chi leggerà e chi recensirà e.. a presto!
Ciao ciao 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo primo ***


“Beh, chiunque può sopportare un dolore tranne chi ce l'ha„

-W. Shakespeare




1° CAPITOLO


Quel fatidico giorno arrivò e appena sveglia a Serena prese un attacco di panico. Ma nonostante il cuore che le andava a mille, si alzò e si buttò immediatamente sotto il getto d’acqua calda della doccia, dopo aver raccolto i capelli con un mollettone.
Mentre i suoi pensieri scorrevano come le numerose gocce sul suo corpo, decise di passare questa giornata senza metterci troppe emozioni, senza pensarci troppo. Solo così sarebbe riuscita a superare quella tremenda ansia che l’assaliva spesso, per qualsiasi novità. Non amava i cambiamenti, soprattutto quelli improvvisi.
Uscì dal bagno con un asciugamano che l’avvolgeva dal seno a metà ginocchio. Si infilò l’intimo e subito prese un paio di jeans.
Aprì i cassetti e prese la prima maglietta che le capitò sotto gli occhi. Era appena finita l’estate e la temperatura era ancora tiepida, quindi una maglietta a maniche corte andava benissimo.
Infilò le scarpe da ginnastica e si pettinò i capelli, sistemandoli successivamente tutti su una spalla. Poi prese gli occhiali, che aveva posato la sera scorsa prima di mettersi a letto sul comodino, li pulì con la maglietta di cotone e se li infilò.
Aveva provato numerose volte a mettersi le lenti a contatto per andare a scuola ma le bruciavano e non l’aiutavano a seguire bene le lezioni. Così diceva agli altri ma in realtà gli occhiali li usava come protezione, come scudo. Si sentiva più sicura con quelle grandi lenti che le coprivano il viso.
Si truccò leggermente con del mascara per allungare le ciglia e della matita nera per far risaltare gli occhi. Prese lo zaino, lo posò nell’ingresso e andò a salutare sua madre in cucina.
“Buongiorno” disse accennando un sorriso.
“Pronta?” la madre sorrise mentre si portava alla bocca la tazzina di caffè.
La ragazza annuì e si versò anche lei del caffè e del latte.
Pensare alla sua famiglia nei momenti più cruciali, alcune volte la faceva stare bene; non la faceva preoccupare perché sapeva che se fosse andato storto qualcosa, sua madre e suo padre sarebbero sempre stati li per lei, pronti a parlarle e a rassicurarla.
Guardò l’orologio appeso al muro alla sua destra, salutò sua madre con un bacio e andò nell’ingresso per prendere lo zaino e metterselo sulle spalle.
“Ci vediamo oggi!” sentì urlare la madre prima di sbattere la porta di casa.
E di nuovo eccola, fuori dal suo piccolo mondo sicuro e dentro a quello degli altri, imprevedibile e superficiale.

Quando arrivò fuori scuola era in anticipo di cinque minuti, perciò si appoggiò ad un muretto e iniziò ad osservare ragazzi, chi più grande chi più piccolo, che entravano nel grande cancello e si avviavano verso l’entrata.
Nessuno la notava e questo la sollevò. Per colpa di quel ragazzo, ora si sentiva più vulnerabile e se qualcun altro l’avesse guardata aveva la certezza che sarebbe diventata rossa sulle guance. E l’ultima cosa che voleva era che la ritenessero una preda facile e fragile da prendere di mira.
I suoi pensieri si soffermarono un attimo sul ragazzo con la chitarra e si chiese se potesse andare in quella scuola; lo cercò con gli occhi ma nessuno aveva l’aria triste come ce l’aveva lui.
La campanella suonò e Serena, insieme ai suoi coetanei sconosciuti, salì le scale per andare in segreteria; chiese quale fosse la sua classe e dopo aver ringraziato la bidella tanto gentile si diresse nel corridoio a destra per cercare l’aula.
Quando entrò all’inizio nessuno la notò, intenti tutti a raccontare le proprio vacanze e delle ragazze rimorchiate.
Piano avanzò tra i banchi fino a sedersi nella fila vicino alla finestra. Qualche paia di occhi si fermarono ad osservarla e lei sentì gli sguardi pesanti ma cercò di non girarsi.
Tutto sarebbe andato bene, si ripeteva.
Appena il professore entrò, posò la sua valigetta sulla cattedra, si tirò su i pantaloni marroni e si mise seduto.
“Bentornati ragazzi” si sistemò gli occhiali e aprì il registro.
“Abbiamo una nuova alunna vedo.. Serena, giusto?”
La ragazza annuì ma vedendo che il professore la cercava tra i banchi senza trovarla, alzò la mano.
“Ah, eccoti. Sarà un piacere averti con noi” Sorrise e a Serena sembrò sincero.
Ricambiò con un leggero sorriso e tra se e se si disse che il peggio era passato.
All’intervallo rimase incollata alla sedia a guardare le persone che andavano avanti e dietro fuori dalla porta. Le sembrò che la vita le scorresse via così, mentre lei era su una sedia a guardare gli altri vivere.
Era purtroppo il solito suo, farsi sfuggire le cose, o meglio, le persone dalle mani.

Dopo quelle sei ore tremende, uscì e con le cuffie nelle orecchie si avviò subito verso la fermata dell’autobus, davanti proprio al cancello, che ovviamente era stracolmo di gente.
Il primo non lo riuscì a prendere perché si riempì subito e il secondo invece scelse lei di non salire. Non c’era quasi più nessuno e stranamente le piacque di più quel posto.
Dopo dieci minuti buoni vide arrivare il terzo autobus, finalmente vuoto; aspettò che le porte si aprirono ma un ragazzo per scendere la spinse bruscamente quasi facendole perdere l’equilibrio.
“Scusa..” Le disse girandosi velocemente alzando le mani per poi tornare a correre.
Si toccò la spalla urtata mentre guardava il ragazzo che era fuggito via.
Più a sinistra ne notò un altro. Era seduto sul muretto, dove i ragazzi parcheggiavano i motorini e guardava la scuola.
Serena lo riconobbe, era lui. Quel viso stanco e i capelli leggermente alzati e in disordine, tolsero ogni dubbio. Questa volta non aveva la chitarra ma le fece lo stesso effetto di quando l’aveva visto la prima volta, se non peggio.
Era immerso nei suoi pensieri tristi, pensò Serena. Capiva che c’era qualcosa in quel ragazzo che lo tormentava, qualcosa di grande e provò rabbia perché avrebbe voluto aiutarlo, se non fosse per il coraggio che le mancava.
Si accorse che anche il terzo autobus era ormai partito, ma tornò subito a guardare il ragazzo, come se potesse scomparire da un momento all’altro. Non voleva riperderlo. Questa forse sarebbe stata la sua ultima possibilità per parlarci, per presentarsi ma lei rimase immobile, come se avesse del piombo al posto dei piedi.
Il ragazzo si passò le mani sul viso con tale forza che sembrò volesse strapparsi via la pelle, ma invece stava cercando solo di non far fuoriuscire la sua tristezza.
Serena comprese che non era il tipo che piangeva spesso, né davanti a qualcuno né da solo.
Saltò giù dal muretto e dalla tasca dei pantaloni tirò fuori l’Ipod. Stava per andarsene e la ragazza non stava facendo niente per fermarlo, ma come biasimarla.
Si infilò le cuffiette e attraversò la strada per poi sparire dietro l’angolo.
“No, aspetta! Sono qui, fermati!” avrebbe voluto gridargli ma le parole le morirono in gola.
Scossa e affranta da se stessa, salì sul quarto autobus che l’avrebbe portata a casa dopo sei fermate.

“Mamma!” Entrò in casa e lanciò lo zaino semi vuoto vicino a degli scatoloni. In casa, nonostante fossero passati più di quindici giorni c’erano ancora degli scatolini da svuotare.
La madre uscì dal salone entusiasta seguita da un’altra donna, magrissima e con il viso scavato ma con degli occhi azzurro mare bellissimi se non fossero stati spenti e tristi. La donna non esitò a presentare la figlia.
“Lei è mia figlia, Serena” disse con un sorriso pieno d’orgoglio.
Serena strinse la esile mano della donna e sorrise timidamente.
“Ciao” rispose con un sorriso forzato molto evidente.
“Adele mi ha voluto aiutare con gli scatoloni, è stata molto gentile” accarezzò la schiena della figlia che stava studiando la nuova conoscenza della madre
“Abita proprio alla porta di fronte, quindi ci vedremo molto spesso” Continuò sempre Silvia.
“Si e poi ho un figlio, più o meno della tua età ed è proprio un bel ragazzo” Sorrise la vicina di casa.
“Allora possiamo anche metterci d’accordo per farli conoscere!” Serena odiò per un istante la madre. Non voleva conoscere nessun ragazzo.
“Facciamo giovedì da me, poi se c’è qualche contrattempo te lo faccio sapere subito. Ora vado che mio figlio mi aspetta” Disse Adele a Silvia.
“Va benissimo, allora a giovedì”
Serena educatamente la salutò e dopo aver chiuso la porta non esitò a parlare alla madre.
“Io non lo voglio conoscere il figlio!” disse seguendo la madre in cucina.
Era a conoscenza della particolare personalità della figlia ma l’aveva sempre accettata e ne andava quasi fiera.
“Dovrai conoscere un ragazzo prima o poi, di cosa hai paura? Sei una bellissima ragazza” prese le carote dal frigo e iniziò a tagliarle velocissima sul bancone della nuova cucina.
Silvia era così, strepitosamente solare e raggiante. Contagiava chiunque avesse vicino e rendeva le persone di buon umore.
“Non ti è sembrata un po’ strana quella donna?” Si sedette sulla sedia del tavolo da pranzo.
“Si, l’ho capito subito che c’era qualcosa che non andava. Ha subito una grande perdita, secondo me. Ha voluto aiutarmi perché forse non è riuscita a farlo con qualcun altro. Mi ha fatto tanta tenerezza”
La madre era una psicologa professionista e riusciva a capire i dolori interiori delle persone soltanto dagli atteggiamenti o dai piccoli gesti. E’ sempre stata una persona generosa e gentile ed è per questo che amava il suo lavoro, le piaceva rendere le persone felici.

Serena ripensò alla nuova vicina di casa e ai suoi occhi tristi che da giovane saranno stati una calamita per gli uomini; che ormai lasciavano intravedere il suo dolore, come un libro aperto. Si chiese ancora quale fosse stata la causa di quella tristezza, posando gli occhiali sul comodino e mettendosi a letto.
Un piccolo pensiero lo dedicò al figlio che avrà vissuto insieme alla madre e al suo terremoto interiore e Serena, anche se nel suo minimo, lo capiva, perché anche lei aveva visto cadere in basso sua madre quando il matrimonio era in rovina.
Il suo ultimo pensiero di giornata prima di cadere nel mondo dei sogni, fu proprio quello di sua madre chiusa in cucina a piangere con chissà quanto alcool nelle vene. Si addormentò pensando a quel ricordo, ma a salvarla da quel vortice di tristezza sarebbe stato proprio lui, il ragazzo che desiderava aiutare.




Eccomi tornata!
Non so come sia venuto, sinceramente, ma spero che vi piaccia lo stesso.
Secondo voi chi sarà questo misterioso ragazzo? Non so, ditemi le vostre prime impressioni e come secondo voi andrà avanti :)
Volevo anche dirvi che ho deciso che non farò la descrizione fisica della ragazza perchè vorrei che voi entriate nei panni di Serena così da godervi in pieno la storia.
Ringrazio tanto le persone che l'hanno messa tra le seguite e tra le ricordate, so che sono poche ma sinceramente non me ne aspettavo nemmeno una ahah :)
Detto questo, a prestissimo!

Giulia

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Capitolo 3
*** Capitolo secondo ***


“Si possono insegnare tante cose, ma le cose più importanti, le cose che importano di più, non si possono insegnare, si possono solo incontrare.„

- Oscar Wilde




2° CAPITOLO


Il secondo giorno di scuola, Serena lo passò tranquillamente prendendo appunti su un quaderno multifunzione e facendosi aiutare dalla professoressa d’italiano per segnare i libri che avrebbe dovuto ordinare.
Si trovava bene sola nel suo banco. A lei importava solo studiare anche se le sarebbe piaciuto che qualcuno le chiedesse solo una matita o i compiti fatti a casa. Giusto un po’ d’attenzione.
Mercoledì, le cinque ore volarono e si incamminò, come i due giorni precedenti, alla fermata dell’autobus. Aveva organizzato che sarebbe sempre salita sul terzo autobus che passava, per non soffocare nei primi due ma anche nella speranza di rivedere il ragazzo.
Era poco più distante dalla massa di scolari, quando si sentì toccare una spalla; Sussultò leggermente e si girò, trovandosi una ragazza mora con degli occhi grandi e scuri che la guardava con entusiasmo.
“Ciao! Piacere io sono Melissa” Sorrise porgendole la mano.
Serena gliela strinse sorridendo, felice dell’iniziativa che aveva preso la ragazza.
“Ho visto che non parli molto quindi mi sono detta perché non fare io il primo passo!”
Si vedeva subito che fosse davvero una ragazza allegra e solare e ringraziò il Cielo che esistessero ancora ragazze come lei!
“Anche a me piace stare da sola avvolte, sai? Quindi ti capisco.. Serena, giusto?”
Serena annuì divertita dalla parlantina di Melissa.
“Oh, è arrivato l’autobus! Ci vediamo domani, ciao!” Disse allontanandosi e immischiandosi nella folla.
Contenta della nuova conoscenza, si mise seduta su una delle panchine fuori dall’edificio dietro di se e pensò al trasferimento, che aveva già donato una svolta alla sua vita. Erano da anni che non riusciva a comunicare con qualcuno che non fosse sua madre e una nuova emozione si fece parte dentro di lei: la felicità.

Quando tornò a casa, Silvia era ai fornelli e splendente come sempre salutò la figlia.
“Come è andata oggi?” Le chiese asciugandosi le mani sullo strofinaccio.
“Bene..” Non voleva dirle di Melissa, avendo paura che il fato giocasse una delle sue solite carte.
La giovane iniziò ad apparecchiare andando avanti e dietro per la cucina.
“La cena di domani è confermata” Mise nei piatti le fettine e si sederono.
“Mh, bene”
“E’ solo una cena, Serena. E poi non sei curiosa di conoscere il figlio di Adele?”
Serena ci pensò e.. si lo era, ma non disse niente, continuò solo a mangiare.
Mentre stava mandando giù l’ultimo boccone, le vibrò il telefono nei pantaloni; lo tirò fuori e rispose.
“Papà!” Urlò quasi, alzandosi per andare in camera.
“Ciao tesoro, come va lì?” Sentì dire dall’altra parte.
“Bene, tu?” Chiuse la porta e si sedette sul letto.
“Me la cavo.. Scuola?”
“Sempre uguale..”
“Capito.. e tua madre?” Non si stupì di quella domanda. Sapeva che lo chiedeva solo per farla contenta e non perché le interessasse veramente. Faceva così da anni e non capiva come il padre non si rendesse conto che la figlia essendo cresciuta, con lei alcuni trucchetti non funzionassero più, ma forse era diventata un’abitudine.
“E’ in cucina” Rispose raffreddando il tono.
“Scusa piccola ma devo tornare a lavoro, ci sentiamo questa sera. Ah e sempre lontana dai ragazzi, mi raccomando”
A Serena scappò una piccola risata e lo salutò.
Si abbandonò sul letto e chiuse gli occhi. Troppi pensieri che la torturavano, troppe preoccupazioni tutte insieme. Le venne da piangere ma si addormentò dopo pochi minuti.

Quando si svegliò, aveva una leggera copertina che le mandava calore, che la fece sentire al sicuro. Guardò il telefono accanto a lei e toccò il cerchio in basso, accendendolo: aveva dormito per due ore.
Si alzò e subito prese la borsa appesa alla sedia della scrivania e uscì dalla stanza.
“Io esco!” Urlò e chiuse la porta alle sue spalle.
Aveva bisogno di ritrovare in se stessa la forza giusta e solo in un modo poteva farlo.

Si ricordò del tragitto fatto giorni prima, quando si era appena trasferita e con un po’ d’orientamento e fortuna, riuscì a trovare ciò che stava cercando.
Il parchetto era ancora meno affollato dell’ultima volta e subito una pace la travolse. Dirigendosi verso il suo amico albero non si guardò in intorno, ma piuttosto le margherite che cercava di non calpestare.
Quando raggiunse la pianta, si buttò sotto e aprì la borsa, proprio come la volta scorsa. Tirò fuori i libri e l’agenda per poi continuare a leggere e ricopiare.
Mentre scriveva, ritrovò la serenità, la tranquillità e soprattutto se stessa. Ma ad una frase in particolare, delle lacrime silenziose le rigarono le guance e un altro vortice di malinconia la travolse. Si accorse solo dopo di essere accompagnata da delle note di una chitarra, mentre rileggeva le parole nella sua mente.
Si girò verso destra e lo rivide.
Appoggiato al tronco di un altro albero solitario mentre produceva note di una canzone a Serena sconosciuta o non molto importante da distoglierla da quello stato di ipnosi.
A bocca aperta, come un pesce, osservava il suo viso concentrato. E le sue mani che scorrevano sulle corde.
Quando tornò cosciente si disse che non si sarebbe fatta sfuggire anche quella occasione, che bastava andare lì e presentarsi come aveva fatto Melissa con lei.
Ma se lo avesse disturbato?
Se non gli piacessero le ragazza come lei? O se proprio non gli piacessero le ragazze?
Si fece così tante domande tutte insieme che una tempia le iniziò a pulsare.
Doveva smetterla di far sovrastare la timidezza; lei era più forte e aveva abbastanza sicurezza per muoversi. Ma naturalmente, non mosse un capello.
“Avanti Serena, ce la puoi fare” Disse a se stessa sussurrando.
Si alzò in piedi per poi pulirsi il didietro dei pantaloni. Subito riconcentrò lo sguardo sul ragazzo.
Fece due passi per poi fermarsi. Doveva valutare un attimo la situazione e prepararsi su cosa dire.
“Ciao, ti ho visto qui.. no.. ciao, sono già tre volte che ti vedo e.. no.” Provò a formare delle frasi ma nessuna sembrava al suo caso.
Basta, si era decisa: avrebbe improvvisato.
Fece altri cinque passi trovandosi a metà tra i due alberi. Lo guardava dritto il volto, mentre lui ancora suonava.
Fece altri due passi e una gamba le iniziò a tremare.
“Merda!” Disse mentalmente.
Tirò fuori il telefono dalla tasca e risposte scocciata; era sua madre.
“Pronto?”
“Serena, ma dove sei?” Chiese Silvia dall’altra parte del telefono con tono preoccupato.
“Sono al parco, mamma!” Disse alzando gli occhi al cielo per poi subito ritornare al ragazzo che ora la stava fissando.
Non le importò più della voce alterata della madre o dei pensieri che prima l’assillavano.
Ora c’erano lui e i suoi occhi. Quello sguardo le sembrò durare minuti, ore! Era uno sguardo da.. amico. Sembrava che lo conoscesse da tutta la vita.
“Serena?! Che cavolo stai facendo? Mi vuoi rispondere?!” Il trillo della voce di Silvia la fece risvegliare.
“Si.. m-mamma, scusa ero distratta.. dimmi” Balbettò quasi.
“Vieni a casa, subito! Mi devi aiutare a preparare il dolce per domani.”
“Ok arrivo” Attaccò e prima di girarsi diede un altro sguardo al ragazzo distante dieci metri e già era tornato a suonare lo strumento che aveva sulle cosce.
Scoraggiata e senza parole, rimise dentro i libri senza dargli molta importanza e si allontanò a passo svelto.
Un’altra occasione bruciata. Ma almeno, non era stata tutta sua la colpa.

“Lo sai che hai un tempismo perfetto?” Serena si rivolse alla madre con tono acido, mentre impastava la pasta che sarebbe diventata una crostata.
“Cosa?” Anche Silvia era in sovrappensiero. Le capitava spesso di pensare all’ex marito.
Aveva voluto il trasferimento per non soffrire, ma invece la distanza stava peggiorando le cose.
“Niente” Rispose la figlia amareggiata.
“Fragole, ciliegie o frutti di bosco?” Chiese la madre mentre si allungava ad aprire lo sportello in alto per prendere la marmellata.
“Mh.. frutti di bosco”
“Speriamo gli piaccia”
“Com’è stata la tua prima cotta? Cioè, come ti comportavi” Le chiese Serena all’improvviso senza guardare in faccia la madre, che si trovò totalmente impreparata.
“Beh..se non ricordo male è stata a sedici anni e lui era più grande di me di sei.. non è stata molto facile e serena, in realtà.” Aprì la marmellata e si leccò quel che le era finito sul dito.
“Perché?”
“Ci ho messo un anno per farmi notare da lui e quando è successo, tuo nonno non riusciva ad accettare che avessi un ragazzo così tanto più grande”
“Cosa.. hai fatto per farti notare?” Esitò per un momento, ma era quella la domanda alla quale voleva che la madre rispondesse. Intanto prese la teiera e ci inserì la pasta.
“Ero proprio come te: timida, riservata e sognatrice, quindi non facevo molto, ma un giorno inciampai uscendo da un negozio e il destino decise di esaudire i miei desideri, anche se in un modo un po’ imbarazzante” Rise, rituffandosi in quei ricordi mentre appiattiva l’impasto per darle la forma.
“Quindi dici che è tutto merito del destino, se ci succedono o no delle cose?” Guardava in silenzio Silvia che buttava sopra la marmellata e la spalmava con un grande cucchiaio, mentre pensava al ragazzo.
“C’è chi crede in Dio e io credo nel fato” Sorrise alla figlia per poi posizionare sopra delle strisce di pasta.
Insieme misero la crostata nel fornetto, mettendo il timer e il calore.
Stanche di quel lavoro e di quelle parole, si riposarono sulle sedie della cucina, mentre si immergevano nei propri ricordi.

Quando Serena uscì dalla doccia, si precipitò sulla borsa e tirò fuori tutto ciò che conteneva. Silvia la rimproverava spesso sul disordine e ci teneva che tutte le cose venissero messe al loro posto, subito dopo l’utilizzo.
Alla ragazza prese un colpo. Ricontrollò tre, quattro, cinque volte ma niente; il quadernino non c’era.
Non respirò più per qualche secondo, poi una lampadina si accese nella sua mente: il parco. L’aveva perso là sicuramente.
Si vestì velocemente e senza asciugarsi nemmeno i capelli, uscì.
Era persa senza quel quaderno. Era tutto per lei. Era tutta lei. Maledì il ragazzo che le stava facendo perdere la testa e il controllo. Non sapeva se odiarlo o perdonarlo, per quello che le stava combinando nella testa. Di sicuro, se l’avesse odiato, sarebbe stato tutto più semplice.




Saalve gente!
Eccomi qui con questo capitolo fresco fresco. Allora, parto dicendo che so che è noioso, nemmeno tanto lungo e non succede molto, ma VI PROMETTO che nel prossimo ci sarà una svolta e non ci saranno più solo sguardi, quindi vi prego di non abbandonarmi ahahah.
Ringrazio Seven che ha recensito gli altri due capitoli, dandomi anche dei consigli molto utili. :)
Detto ciò, mi farebbe molto piacere sentire cosa ne pensate.. Anche se non vi piace, io lo accetto e se c’è qualcosa che non quadra, ditelo tranquillamente!
Vi ringrazio e a presto!
Baci

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