A war to live or die

di LunaLove_good_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'Assassina di Sogni ***
Capitolo 3: *** Jack Frost ***
Capitolo 4: *** Il Palazzo di North ***
Capitolo 5: *** Bhedder J. Wolf ***
Capitolo 6: *** Dentolina ***
Capitolo 7: *** Il deserto del Sahara ***
Capitolo 8: *** Il Genio della Lampada ***
Capitolo 9: *** Il Dungeon Sotterraneo ***
Capitolo 10: *** Cercando risposte ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Aria. Ho bisogno d’aria.

Se riuscissi a percepire qualcos’altro oltre alla mia coscienza, probabilmente sentirei i polmoni andare a fuoco.

Nono credo di avere occhi, ma so per certo di essere circondata da sabbia nera.

Non sono preoccupata. Non mi farà male.

La vedo circondarmi, coagularsi sopra, sotto, attorno a me.

La sento penetrarmi nei polmoni inesistenti, entrare a forza in un torace che non sento attaccato alla testa.

Continua a non far male. Continuo a non avere alcuna percezione.

Forse perché non c’è nulla da percepire: né un corpo, né altro.

Poi una risata trafigge la sabbia; non è allegra, rassicurante: fa paura, inquieta.

Promette vendetta, sofferenza, dolore. Ma io non provo niente, l’unica cosa che so è che devo al proprietario una cieca obbedienza.

La nausea che mi prende all’improvviso mi avrebbe mozzato il respiro, se lo avessi avuto.

Un forte senso di pesantezza mi piomba addosso, cado, vomito, annaspo, non so che mi succede.

Non ho paura.

Apro gli occhi – questa volta sono certa di averli –, mi guardo intorno: la sabbia è sparita.

Abbasso la testa, vedo due mani sottili e un corpo minuto; mi tocco, senza un minimo di sorpresa o spaesamento...

Sono una donna, constato. Non è una certezza di cui avevo bisogno.

Mi prendo i capelli, li sento lunghi, ma non troppo, non oltre le scapole, anche al buio riesco perfettamente a vedere il loro blu scuro e opaco. Mi passo una mano sul viso per scoprire i tratti che mi sono appena stati donati: naso piccolo, viso ovale, occhi appena obliqui e orecchie a punta.

«Chi sei?» mormoro. Non mi riferivo a me stessa, ma alla figura nascosta nell’oscurità onnipresente che mi sta osservando.

Viene avanti: ha occhi dorati e pelle grigia. «Sono colui che ti ha creata.» risponde.

Non ho bisogno di prove per crederci, so che è così. Devo quello che sono a quella figura buia, le devo obbedienza assoluta e disinteressata.

«E perché?» chiedo. Voglio solo sapere in cosa posso servirlo, non avere una spiegazione del perché esisto.

«Sei qui per aiutarmi.» Mi porge una spada ed io la prendo: è il prolungamento del mio braccio, è come se la impugnassi da una vita. La lama e l’elsa sono nere come la notte, il filo rosso come il sangue che sicuramente verserà. So di cosa è fatta. Ricordi di una vita non mia mi si affollano nella mente, vedo la battaglia, i Guardiani. La spada è fatta di paura, odio, dolore: tutto ciò che a distanza di tre anni è riuscito a uccidere Sandman.

«Ho un nome?» domando ancora.

«Dovresti?»

«No.» Non mi servirebbe a niente: sono uno strumento, gli strumenti non hanno un nome.

Una schiera di cavalli incubo – sono convinta si chiamino così – mi circonda.

Non ho paura, sono dalla mia parte.

«Che devo fare?»

Lui ghigna.

Non ho bisogno di altre risposte.

Sono l’Assassina di Pitch Black.

Devo vendicarlo.

Devo uccidere i Guardiani.







Sciaaoooooooo efp :D
Che bellezza, mi presento, mi chiamo Luna e questa è la mia prima fanfiction.
Come prologo è un po' imbroglioloso(?) forse, e mi rendo conto che tutte quelle frasi così brevi possono disturbare la lettura, ma ne avevo bisogno quasi per rendere l'assenza di paura e confusione della protagonista... okay, sto impazzendo, me ne rendo conto.
Spero solo di non aver commesso il più grande errore della mia vita a pubblicare questa cosa...
Ditemi voi se vale la pena di continuare e devo levare il disturbo all'istante per tanta l'obbrobriosità.
Zalveeee :*

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Capitolo 2
*** L'Assassina di Sogni ***


Mi guardo intorno con disinteresse, alzando lo sguardo al cielo terso e azzurro che sovrasta l’America. Dalla cima del palazzo dove mi trovo vedo alla perfezione le persone che si affannano nei loro ritmi di vita sfiancanti, costantemente in gara con il tempo pur sapendo che non possono vincere.
Mi domando cosa sperino di ottenere sballottandosi da un posto all’altro con una fretta disumana. Il che è tutto dire.
Mi tiro il cappuccio sul viso e guardo in basso, le automobili intasano la strada e sembrano piccolissime dalla mia altezza, ma io riesco a vederle perfettamente, merito della vista straordinaria che mi è stata donata.
Stringo l’elsa della spada e mi butto di sotto.
Sensazione inconfondibile: i polmoni si svuotano, lo stomaco sembra rimanere al momento del salto, l’adrenalina invade il cervello, il vento sferza il viso e affetta le guance.
Se fossi una creatura della Luna, forse ora starei urlando di gioia, ma non sono stata creata per provare gioia, così, assieme al mondo che mi vortica addosso, l’unica cosa che sento è un grande senso di potenza.
Vedo l’asfalto avvicinarsi, mi concentro e rallento la caduta, fino ad atterrare con tranquillità in posizione verticale. Il cappuccio non si è nemmeno abbassato.
Sorrido tra me e me e mi avvio per le strade di Burgess.
La città è frenetica, ma mi ci sono abituata in fretta, giusto quattro giorni di tempo: i primi due per imparare ad usare il mio nuovo corpo, gli altri ad usarlo in un mondo dove nessuno ti vede o sa che esisti. Poco male, almeno la gente mi attraversa e non mi sta in mezzo ai piedi.
Raggiungo un asilo e mi siedo su uno degli scivoli del giardino. Vedo i bambini uscire a giocare con i loro adorabili quanto irritanti sorrisoni. È strano che ancora giochino fuori, l’aria è pungente e presto saprà d’inverno, ma suppongo che non ci sia molta differenza di temperatura dall’interno della scuola, visto che sono imbacuccati in piumini rotondi e colorati che li fanno sembrare pronti a rotolare per miglia e miglia nel caso inciampassero.
Uno di loro mi si avvicina, è femmina ed ha i capelli biondi e disordinati, due occhi grandi e verdissimi e due ali da farfalla malamente appiccicate al piumino arancione. Se fossi un’altra, credo che sarei intenerita dal suo camminare come un pinguino, ma l’unica cosa che mi concedo è guardala con un sopracciglio inarcato da sotto il mantello. La bambina sembra fissarmi, ma so che non è possibile; immagino voglia salire sullo scivolo.
Mi alzo con lentezza e mi metto a girare attorno agli adorabili pargoletti che Pitch tanto odia: di loro non mi importa, se lui vuole che li faccia soffrire, lo farò.
Gli stivali di cuoio che indosso attutiscono i passi, non che sia chissà quanto importante quando nessuno può sentirti... Mi fermo quando raggiungo una finestra del corridoio di quella squallida e colorata scuola materna. Decisamente strano dare questi due aggettivi ad uno stesso luogo, ma è questo l’effetto che mi fa questo posto, non saprei descriverlo in altro modo.
Mi fisso nel riflesso che il vetro mi manda e sorrido soddisfatta: perfettamente anonima.
Né uomo, né donna, solo uno strumento mortale e pericoloso.
Corpetto e pantaloni di cuoio ad annullare quel po’ di curve che avevo e mantello lungo fino ai polpacci e calato sul viso a fluttuarmi sulle spalle.
Un’ombra, nient’altro. Assolutamente magnifico.
Mi giro con uno scatto e mi guardo intorno.
Risatine e grida stridule di mocciosetti quasi perforano le orecchie, mi domando perché devo essere io a sopprimere quegli strani cosi quando i primi a farlo dovrebbero essere i loro genitori!
Sbuffo irritata e sguaino le spada con un unico, fluido movimento. La lama nera scintilla alla luce del giorno, pigra anche lei, proprio come me.
Faccio qualche passo, prima di scattare velocissima e affondare.
Il cappuccio mi cade sulle spalle, i capelli blu si agitano al vento trattenuti da due orecchie appuntite.
Il tempo si ferma, io ghigno. Il bambino piange.
La mia spada lo attraversa da parte a parte, gli inietta nelle vene il veleno della disperazione, della solitudine, della sofferenza. Dolore atroce... è quello che gli vedo stampato in faccia.
È strano vedere un viso così rotondo deformato a quel modo. Fa quasi venire da ridere.
Una maestra accorre, io libero la lama e la rinfodero. Non un segno sul petto della mia vittima, la ferita è troppo profonda per essere vista. Mi scompiglio i capelli con un gesto annoiato e guardo la maestra che tenta di farlo smettere di piangere. Povera illusa, la disperazione non si cura con qualche carezza, il nanerottolo è andato.
Un letto mezzo distrutto compare alla mia destra, lo raggiungo con calma e mi butto nel buco sotto le assi di legno. Il vento mi sferza la faccia durante la caduta, per poi arrestarsi di botto al contatto con il suolo. L’oscurità più totale mi avvolge, ma non mi preoccupo: ci vedo come se fosse giorno.
Percorro oscillando il tunnel in cui mi ritrovo, sorridendo soddisfatta quando vedo i miei passi che non fanno rumore neanche per sbaglio. Sembro un fantasma, non è male come sensazione. Devo solo imparare ad essere così silenziosa anche nel fango degli asili di Burgess.
Continuo a camminare senza una meta apparente; in fondo, non puoi mai sapere con precisione quanto manca al regno dell’Uomo Nero. Il buio non è una strada mai ben definita.
Pitch sarà sicuramente contento dell’ennesima vittima privata della gioia di vivere, un altro bambino preda di un dolore che non dovrebbe provare nessuno.
Ma io non sono altro che uno strumento, un incubo dalla pelle pallida come la Luna; la crudeltà non mi tocca, non credo neanche di riuscire a provare sentimenti, mi limito solo ad eseguire gli ordini di chi mi ha creata.
Vivo per volere dell’Uomo Nero, se non gli servissi più gli basterebbe uno schiocco di dita per distruggermi. Ma, alla fine, esistere o no... che differenza fa?
Il tetro anfratto del mio signore mi si presenta con la sua aria inquietante. Lui è seduto, mi aspetta.
Io mi inchino, lui sorride. «Ben fatto.» mormora.
Non avrebbe bisogno di me per procurare dolore, lo sappiamo entrambi, ma dopo la sconfitta contro i Guardiani i suoi poteri si sono dimezzati e non gli hanno permesso di tentare un altro scontro. Così mi ha creata: perché lo aiutassi a compiere la sua vendetta, perché cominciassi a scagliare sofferenza in attesa dell’onda finale, la sua.
Sto preparando il mondo alla sua ascesa.
In un battito di ciglia e una nuvola di sabbia nera si porta davanti a me, io non muovo un muscolo.
«Ti troveranno, lo sai?» mi sussurra.
I Guardiani.
«Sarò pronta.»
«Lo so.» ribatte. «E li ucciderai. Tutti.»
Annuisco. Pitch non è un codardo, non credo rinuncerà a combattere in prima persona contro le Leggende, troppa rabbia e troppo rancore non sono facili da sopprimere.
Io devo solo eseguire gli ordini.
Forse di un nome potrei aver bisogno, alla fine. Un segno di giustizia: devono sapere come chiamare la minaccia che incombe.
Ripenso alla lingua strana e contorta che ho sentito da alcuni studenti più grandi e penso che non era affatto male.
Non ho bisogno di un nome artistico o stupendo, solo di un insieme di sillabe che avvisi chiunque del pericolo che sta arrivando.
Trovarlo non è affatto difficile, al contrario è talmente semplice da sembrare banale.
E se mai uno strumento verrà ricordato, mi ricorderanno come Fonhìas Oneyron, l’Assassina di Sogni.







***









Ciao? *entra timidamente in attesa di parolacce*
Okay, non ho idea di quello che ho combinato, lo ammetto, però questo capitolo mi piace... poco, poco...
Vorrei precisare alcune cose: prima di tutto, la protagonista è uno Spirito di Pitch, il che significa che non ha esattamente i suoi poteri: lui porta paura, lei sofferenza.
Poi potrei sembrare un po' parca di descrizioni, per esempio non ho descritto il bimbo colpito, ma posso dire a mia difesa di averlo fatto per sottolineare il totale disinteresse di Fonhìas per le sue vittime. Per lei sono solo ordini da eseguire.
Infine il nome l'ho preso modificando i termini greci che significano appunto Assassina di Sogni. Premetto che non ho mai studiato greco, ma se è anche lontanamente simile al latino, credo di aver sbagliato tutto, pardon.
Anche se a me il nome piace!
Poi, boh... il capitolo mi è piaciuto, non so perché...
Ringrazio tantissimo pheiyu per la sua recensione, che mi ha incoraggiata tantissimo, e DreamFall e Tamisa24 per aver messo la storia tra le preferite :)
Se vi va di lasciare un commentino, è sempre gradito...
Al prossimo capitolo! *saluta con la manina*

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Capitolo 3
*** Jack Frost ***


La pietra raschia contro il metallo della spada e produce scintille rossastre; non che serva a molto, non riuscirei ad affilare maggiormente la lama neanche se stessi lì dieci anni.
«Ebbene?» domando alla sottospecie di coniglio bipede che mi fissa con odio da quasi un’ora.
Quello salta ed esce dal cespuglio da cui mi stava spiando.
Accidenti! Alto quasi due metri il pezzo di carne!
Probabilmente non aveva neanche immaginato che potessi sapere della sua presenza, ma suppongo che con le orecchie spropositate che mi ritrovo non sentire qualcosa dev’essere un’impresa titanica, anche se quel qualcosa è il semplice respirare di una delle cinque Leggende.
Insomma, come non riconoscere il Coniglietto di Pasqua?
Devo avere allarmato proprio tanto lui e i suoi compari per farlo rispuntare dalla sua tana agli inizi di novembre, altrimenti non mi spiego il suo essere qui a una tale distanza dalla sua festa.
Visita di piacere?
O forse vuole solo tenermi tre-quattro ore immobile per una ramanzina? I bambini stanno perdendo la Speranza a causa mia, no?
«Posso chiederti chi sei?»
«Se rispondessi di no?»
Lo vedo dall’ombra del cappuccio stringere i boomerang con rabbia e diffidenza. «Te lo chiederei lo stesso.»
Ridacchio; ho l’impressione che se agitassi la spada potrei tagliare la tensione che c’è nell’aria, tanto è spessa. «Mi chiamo Fonhìas Oneyron.»
La mia risposta laconica non lo soddisfa affatto, continua a fissarmi come se volesse incenerirmi. «Perché non ti abbassi il cappuccio, così ti guardo in faccia?»
Sbuffo, non vedo perché dovrei farlo, ma mi tolgo comunque il mantello dal viso. Mi infastidisce essere guardata in faccia, io sono una creatura dell’Uomo Nero, agisco nell’ombra, non mi piace far sapere al mondo che aspetto ho.
Il Calmoniglio sobbalza e prepara una delle sue uova esplosive. Solo adesso alzo con sfacciataggine lo sguardo per fissare il Guardiano. Ha un’espressione aggressiva, ha finalmente la certezza che vengo dal suo peggior nemico. Lo guardo negli occhi; mi sorprendo quando vedo la mia immagine riflessa e due occhi azzurri a rispondere al mio sguardo. Non sono quelli del Coniglietto, sono i miei. Non sapevo di avere gli occhi di quel colore, non sono male.
«Allora?»
«Allora cosa?» faccio, nonostante sappia perfettamente cosa intenda.
Il curioso bipede digrigna i denti e si prepara all’attacco. Fa quasi paura. Quasi. «Sei stata tu a ridurre in quello stato tutti quei bambini?»
Una ventina di pargoletti sottratti alla fanciullezza dal sapore della disperazione, che sarà mai? «Dimostralo.» soffio.
Lui scatta, ma io sono pronta: afferro la spada e con un abile gioco di polso do il via al combattimento.
Non è proprio una lotta, abbiamo giusto il tempo di accorgerci di quello che sta succedendo e di alzare un gran polverone che la mia spada è sotto la sua gola.
«Muoviti e sei morto.» sibilo.
Sono sorpresa quando lo sento ridacchiare, per niente preoccupato. «Vale anche per te.»
La polvere si posa e con sgomento mi accorgo del suo boomerang contro il mio stomaco. Non ricordavo che quei cosi includessero lame tanto affilate.
Sorrido beffarda: ben fatto, Calmoniglio, davvero ben fatto.
«Dì a Pitch di non azzardarsi a far del male ai bambini. Quanto a te: sparisci dalla circolazione e non fare più danni, o non sarò solo io a cercarti la prossima volta.»
«Che paura!» rispondo ghignando.
Uno sguardo e un tacito accordo; nello stesso momento in cui lui sparisce in una galleria comparsagli sotto i piedi, io spicco un salto e mi appendo ad un albero.
Non è ancora tempo di uccidere i grandi, penso.
Mi calo nuovamente il cappuccio sul viso, accogliendo con sollievo la sensazione d’ombra sugli occhi che ho scoperto essere azzurri. Rinfodero la spada e mi tiro a sedere sul ramo.
Il sole di mezzogiorno splende sulla radura nella foresta di Burgess, ma non è caldo, anzi l’aria è invernale, fredda, punge il viso: bella sensazione.
Mi alzo e mi avvio verso la città saltando da un ramo all’altro in stile scimmia. Posso volare, certo, ma non mi piace farlo, neanche un po’.

I bambini della scuola elementare St. James mi attraversano nella forsennata corsa al cancello scatenata dal suono della campanella. L’autobus che li riporterà a casa è la loro salvezza dalla morte per noia.
Sgancio la spada, ma alla fine rinuncio a sfoderarla. Ora come ora non mi va di fare nulla, sono tentata di andarmi a buttare da un palazzo...
Ma so che ho ordine di diffondere sofferenza e dolore, e non posso fermarmi.
Il sibilo della lama mi accompagna mentre tento di trapassare un ragazzino che mi sta davanti. Tento, perché una voce mi ferma ad un soffio dal cuore del moccioso.
«Non credo che dovresti farlo.»
Se a parlarmi non fosse stato un Guardiano, probabilmente avrei ignorato quell’avvertimento, ma perché farlo, se l’odio del mio signore era a così pochi passi da me?
Il bambino si agita, sente la punta della mia spada contro il petto ed è spaventato inconsciamente dal pericolo che corre; il Guardiano gli si avvicina e lo accarezza sulla testa. Mi pare strano che il ragazzino non riesca a vedere neanche lui, anche se avverte la sua presenza e ne è tranquillizzato. È un attimo: un fiocco di neve, ed eccolo correre verso i suoi amici con un sorriso da spaccarsi la mascella e una scintilla azzurra negli occhi.
«Spero tu abbia un buon motivo per questa interruzione inopportuna.» dico, per niente alterata.
Lui si alza da terra e scuote le spalle con tranquillità. «Un bambino preda della noia momentanea e di una spada mi sembra più che sufficiente.»
Non sembra teso, ma da come sta fermo e stringe il suo bastone uncinato posso dire con certezza che lo è. Se non lo fosse credo che al momento starebbe ridendo come un matto. O come un idiota, qual dir si voglia.
«Sai...» esordisce. «...quando da queste parti ci vivevo io, c’era un detto, una legge: non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te. L’hai mai sentito?»
«No, ma non credo mi servirebbe al molto: io non provo sentimenti.» rispondo.
«Questo è chiaro come il sole.»
Io lo guardo male: ha un’espressione decisamente irritante! Occhi azzurri, capelli bianchi, pelle di cera e vestiti ricoperti di brina: sì, Jack Frost ha proprio un aspetto da schiaffi.
Rinfodero la spada e faccio per andarmene, ma lui vola e mi si piazza di fronte.
«Ha fatto presto il vostro Coniglietto a mettervi in guardia contro di me, vero?»
Lui quasi quasi scoppia a ridere. «Chi? Il canguro? Naaaaa... Ci ha solo avverti di stare attenti ad una tizia vestita come un uomo e in bianco e nero come Pitch. Anche se non credo che quella tizia sia tu.»
Ora si mette a fare anche l’ironico!? Credo che lo ammazzerò all’istante, almeno mi levo di torno la prima delle cinque seccature.
Stringo con forza l’elsa della spada e faccio per sguainarla. Jack smette subito di ridere. «Io non lo farei, fossi in te.» mi dice.
Io lo guardo, ma l’irritazione è sparita, sostituita da una calma glaciale. «Hai paura di perdere?»
«Ho paura che a perdere sarai tu.» risponde, stringendo con più forza il bastone, congelandolo a contatto con la sua mano. Qualche fiocchetto di neve si mischia alla pioggerella che comincia a scendere dal cielo improvvisamente cupo. È lui a causare il brusco cambiamento climatico, ne sono abbastanza certa.
«Cosa ti fa pensare che corra qualche rischio contro di te?» ribatto.
Il Guardiano disegna qualcosa sul fango del cortile della scuola dove ci troviamo; il terreno si ghiaccia all’istante laddove lui passa il bastone, e si formano motivi floreali interrotti soltanto da due figure. Muove una mano e il ghiaccio prende vita, le due figure lasciano la lastra per terra e diventano blu ed evanescenti per aria; cominciano a combattere, una con uno scettro uncinato, l’atra con una spada... Lo scontro è equo, il risultato: un banale e scontato pareggio.
«Finirà così?» Certo, come no!
Jack Frost sorride, io sbuffo seccata e lascio andare l’elsa.
«E ora che abbiamo chiarito le nostre divergenze, la signorina è pregata di seguirmi in Francia per fare colazione.» Quasi mi viene da ridere a vedere il modo buffo in cui si inchina.
«È un ordine?» domando.
Lui sembra scandalizzato. «Credo si sbagli: io non ordino mai... io invito
«Oh... giusto...» rispondo. «Ma credo che non accetterò. Potrei essere pericolosa, la mia clemenza ha un limite...»
«È una minaccia?»
«Credo si sbagli: io non minaccio mai... io avverto
Questa volta lo Spirito scoppia a ridere sul serio, si regge la pancia e si piega su se stesso ed è talmente buffo da vedere che non mi sorprendo sia il Guardiano del Divertimento, devo mordermi la lingua per non farmi sfuggire una risatina di scherno.
La neve ha preso del tutto il posto della pioggia, ma non sento freddo, non sento proprio niente, come al solito. La scuola è deserta ormai, ma anche la strada fuori il cancello si è spopolata, a quest’ora immagino siano tutti al lavoro o a finire di pranzare.
«Allora temo sarò costretto a ritirare il mio invito.» continua lui.
Io inarco un sopracciglio, infastidita dalla piega quasi colloquiale che sta prendendo questo incontro.
È strano, in effetti... Jack ha preso a comportarsi come se non sapesse chi sono.
Come se io non sapessi chi è lui.
La cosa mi dà quasi sui nervi: io sono l’Assassina di Sogni, quel ragazzino caduto per sbaglio nella candeggina farebbe bene a tenersi alla larga da me, se ci tiene alla salute.
Estraggo la spada in un attimo e la lancio come un coltello davanti a me.
Uno schiocco. Il rumore del metallo conficcato in qualcosa di solido.
Jack Frost sorride tranquillo, la lama a pochi centimetri dal suo orecchio, infilzata nella parete contro cui è appoggiato: non volevo colpirlo, volevo fargli sapere di cosa sono capace.
«Ci si vede.»
Trasformo me e la mia spada in sabbia nera e mi dileguo velocissima, diretta ad un altro quartiere in cui fare stragi.
Ancora troppo presto per uccidere i grandi.
Vedo Jack salutarmi con la mano. «La colazione la rimandiamo a un altro giorno!» mi urla dietro.
Poco dopo atterro dall’altra parte della città, su un palazzo.
Devo portare sofferenza e dolore, ma ora ho solo voglia di farmi pervadere dal senso di infinita potenza che mi prende quando mi lascio cadere dalle grandi altezze.
I mocciosetti aspetteranno.
Prendo un grande respiro e sorrido.
Poi guardo giù, il mondo è piccolo e grande al tempo stesso e da quassù me ne sento la padrona.
Mi avvicino al parapetto.
Mi butto di sotto.

Jack Frost si appoggia al suo bastone e tira un sospiro di sollievo,
unito ad una mezza risata.
Fonhìas Oneyron, la ragazza contro cui aveva combattuto Calmoniglio.
L’avrebbe tenuta d’occhio,
la felicità dei bambini era troppo importante perché qualcuno la minacciasse,
fosse stato quel qualcuno Pitch Black,
o quella strana guerriera incappucciata.









***









Holaaaaa mondo, per tua sfortuna sono tornataaaa!!!
*il mondo scoppia in un pianto disperato e corre a nascondersi in un angolino*
Ma che carinooo :3
Piaciuto il capitolo? Io non saprei che dire, in effetti, quindi è meglio che mi sto zitta u_u
Solo una cosa, qui ho provato a dare a Fonhìas un carattere un po' più ironico, perché sennò risulterebbe troppo seriosa e potrebbe annoiare. Decisione idiota? Ai posteri l'ardua sentenza *si sistema gli occhiali in stile intelligentona*
Inoltre che mi dite della prima comparsa dei Guardiani? Devo aggiungere l'avvertimento OOC o vanno bene?
E poi, ultima domanda: per l'aspetto della protagonista va bene Nihal della Terra del Vento opportunamente photoshoppata (non fate caso al ciuffo mezzo biondo, ci ho fatto a botte per mezzora lol)

oppure Spongebob stile depresso con tanto di parrucca?

A voi la scelta :*
Tipo che mi sento likeaboss perché sono riuscita a caricare le immagini dopo aver tenuto il muso ad efp per circa due giorni, elogiatemi gente!
*si smaterializza per non prendere i pomodori*
Ah, e ringrazio pheyu e Liz96 per le loro recensioni :D non sapete quanto vi posso amare!
E come al solito, un commentino non è sgradito :)
*si smaterializza davvero*

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Capitolo 4
*** Il Palazzo di North ***


Un mese dopo il mio primo incontro con i Guardiani, lo scontro aperto non è stato ancora dichiarato. Più che altro si è trattato di una lunga partita a gatto e topo, dove loro tenevano d’occhio me di continuo e io tenevo d’occhio loro quelle poche volte che me lo permettevano.
Ho cominciato a muovermi solo di notte, bene attenta a non incappare nei sogni di sabbia dorata di Sandman che rivelerebbero al mondo la mia posizione, e ho deciso di lasciare in parte perdere i bambini: non credo sarei riuscita a farli fuori tutti prima di essere conciata per le feste dai Guardiani. Senza contare che non avrei molte speranze di sconfiggerli se mi attaccassero tutti insieme. Quindi è stato decisamente meglio sospendere per un po’ la diffusione di dolore e sofferenza vari, cosicché da tranquillizzare almeno in parte le Leggende ed evitare che tentino all’istante di farmi fuori.
D’altro canto, non sono certo rimasta con le mani in mano; al contrario ho cominciato a cercare molte informazioni sul loro conto. Da quel che mi ha detto Pitch e da quello che ho scoperto da sola, esplorando non invitata e di certo non voluta i loro Regni, posso dire con certezza di non poter attaccare la Nave di Sandman e che sarebbe preferibile stare lontana dal Palazzo di Dentolina. La prima si muove di continuo e dovrei essere davvero fortunata a trovarla, il secondo non ha luoghi dove nascondersi e sarei sempre esposta, senza contare le fatine che svolazzano da tutte le parti: sarebbe decisamente impossibile non farmi notare.
Il Coniglietto di Pasqua vive in Australia, la sua Conigliera si trova sottoterra ed è un’immensa valle verde che sembra tutta uguale, ma attraverso pochi dettagli dovrebbe essere semplice non perdersi.
Jack Frost non ha dimora fissa, anche se di solito oscilla tra Burgess, dove credo sia nato, e il Palazzo di North. Per quel che riguarda quest’ultimo, espugnarlo sarà un’impresa, anche se solo entrarci è già di suo difficile per via degli yeti. È un posto immenso e ho dovuto fare diverse incursioni per disegnare una mappa abbastanza dettagliata per potermi orientare.
Dunque la scelta del primo Guardiano da distruggere ricade sul Coniglietto, anche se l’idea non mi convince per niente: l’ultima volta – e la prima – che ci siamo incontrati, mi sono ritrovata il suo boomerang contro lo stomaco. E la Conigliera è scoperta almeno quanto il Palazzo di Dentolina, nonostante la vasta Zona Inesplorata su cui potrei contare.
Allora dovrei cominciare dal Palazzo di North, anche se la vigilanza costante di quei bestioni pelosi, altrimenti detti yeti, e l’idiozia e imbranataggine degli elfi barra campanelli irritanti potrebbero mettermi i bastoni tra le ruote. E non ho nemmeno tanta voglia di trovarmi faccia a faccia con i due spadoni russi di Babbo Natale.
Non ho paura, sia ben chiaro, e sono anche certa della mia supremazia con le armi e abbastanza fiduciosa nella mia velocità e abilità nel non farmi scoprire, ma non devo correre rischi più del necessario: la mia sconfitta porterebbe i Guardiani a Pitch, e non posso permettermi di mettere in pericolo il mio signore.
Sono molto indecisa, ma alla fine decido di puntare al castello del caro cosacco; in fondo siamo a inizio dicembre, ora come ora un attacco manderebbe tutti in tilt: mi basterà distruggere pochi ambienti essenziali, come la fabbrica di giocattoli, e la sfiducia dei bambini delusi e senza regali farà il resto. Allora possono servire a qualcosa quei mocciosetti!
Un purosangue incubo mi si avvicina.
Io ghigno e mi tiro il cappuccio sul viso. «Al Polo Nord.»

Atterro silenziosa su una lastra di ghiaccio e piego le gambe per restare meglio in equilibrio. Ora devo riuscire ad entrare.
La fortezza vista dall’esterno ha un aspetto spettacolare: diverse torri svettano altissime e circondano la cupola centrale, mentre il ghiaccio che ricopre l’intera struttura brilla al sole e la fa sembrare un diamante. L’unica parte negativa in questo quadretto da fiaba è che io non sono accolta come l’eroina lì dentro, e sono costretta ad infiltrarmi. E l’interno è anche più grande dell’esterno... Magnifico!
È meglio entrare dalla torre più alta, quella con i libri su usi e costumi nei secoli, che North ha scritto per tenere a mente i gusti dei bambini per i regali e che ora non consulta più; secondo le mie informazioni, gli yeti non dovrebbero controllarla.
Provo a muovere qualche passo, ma non sono abituata a camminare sul ghiaccio e perdo malamente l’equilibrio.
Sbuffo, seccata: a quanto pare dovrò volare!
L’idea non mi piace per niente, sarebbe come dire agli abitanti del Palazzo: «Ehi! Sono qui! Date pure l’allarme!» Allettante.
Mi sollevo giusto un po’ e mi muovo rasoterra, benedicendo la neve che cade come se non ci fosse un domani e mi nasconde alla vista. Quando raggiungo la torre, la scopro anche più alta di come la ricordavo, ma la scalata non si rivela per niente difficile e riesco ad arrivare in cima senza essere scoperta. Ora inizia il difficile.
L’interno odora di libri vecchi e il camino è spento da non so quanto tempo, segno che avevo ragione a ritenere poco frequentata questa stanza. Il pavimento è ricoperto da un tappeto morbido e rosso, che sono sicura mi aiuterà a non fare il minimo rumore.
Sono fortunata, in effetti, tutto quanto il Palazzo è ricoperto da tappeti, penso che se quel tizio arabo di cui mi ha parlato Pitch, il Genio della Lampada, fosse qui impazzirebbe di gioia: dicono che gli schizzano gli occhi fuori dalle orbite ogni volta che vede un bel tappeto. La scena sarebbe quasi divertente.
Spiego la mappa mezza bagnata dalla neve che il mantello non è riuscito a salvare e tiro un sospiro di sollievo quando la vedo perfettamente leggibile: sono a piuttosto in alto, sopra la saletta laterale da cui si imbocca il corridoio per il Villaggio degli yeti; devo scendere e procedere a sinistra, così da arrivare nel Deposito di ghiaccio per i giocattoli e poi nella Sala del Globo, da lì salire le scale e arrivare sul corridoio sullo strapiombo per raggiungere i Laboratori. Il tutto ben condito di scimmioni bianchi che mi scopriranno non appena muoverò un passo.
Annuisco e sorrido. Ci sarà da divertirsi.
Ripiego la mappa e impugno l’elsa della spada; raggiungo la porta di legno e guardo la scala a chiocciola che si inabissa arrotolandosi su se stessa fino a rendere il passaggio quasi impossibile.
Ma Babbo Natale non è troppo vecchio per robe del genere!? Se tutto il Palazzo è così pieno di scale – e lo è – mi sembra praticamente ovvio come riesce a mantenersi in forma nonostante i secoli che si porta sulle spalle.
Tendo le orecchie, ma non sento nessuno e mi avvio giù per la discesa.
Arrivo nella saletta laterale e vedo il focolare acceso: da adesso in poi, la via sarà molto più movimentata.
Con tutti i sensi allerta, mi appoggio allo stipite della porta e mi sporgo quel tanto che basta per vedere se arriva qualcuno, quindi mi avvio e percorro velocissima il corridoio fino ad arrivare al Deposito. Sento alcuni yeti parlottare tra loro in quella lingua assurda e comprensibile solo a Babbo Natale; dalla voci dovrebbero essere quattro e sono abbastanza certa che stiano maneggiando blocchi di ghiaccio belli grossi.
Non faccio in tempo a chiedermi cosa potrei fare, che uno si volta verso di me. È un attimo, un battito di ciglia: quello completa il giro e io mi trasformo in sabbia nera.
Quando il mio corpo si ricompone, mi ritrovo a reggermi con mani e piedi tra le travi del soffitto. La palla di pelo non mi ha nemmeno notata.
Sorrido, soddisfatta dei miei riflessi, e decido di attraversare il Deposito a questa maniera: sarei veloce, silenziosa e discreta proprio come dovrei essere. Così comincio a spostarmi di trave in trave in una nuvola di sabbia nera ogni volta che sono certa che i bestioni non alzeranno il muso verso l’alto.
Dalla mia posizione, questa stanza non sembra altro che una grande cella frigorifera, con cubetti di ghiaccio impilati a formare torrette che ne occupano tutto il perimetro e il centro sparsi a casaccio. Qua e là si notano anche dei macchinari che suppongo fungano da montacarichi per spostare blocchi particolarmente pesanti. Se non fosse la temperatura che sfiora i meno cinquanta gradi – anche se non saprei dire, visto che non ho freddo –, probabilmente sembrerebbe un deposito come tanti altri.
Atterro alle spalle dei quattro yeti e raggiungo una scalinata, ma prima di salire mi guardo indietro e studio con attenzione le pile di ghiaccio. Secondo la mappa, la scala che sto per prendere, oltre alla Sala del Globo, conduce ad una stanzetta secondaria dove sono buttati altri libri e robe del genere, non credo che dovrei correre dei rischi se mi nascondessi lì.
Uno degli scimmioni raggiunge proprio il punto a me più comodo, io coagulo la sabbia nera fino a formare una freccia e gliela scaglio contro. Il dardo fende l’aria velocissimo e preciso e si conficca nel blocco che quello tiene tra le mani enormi. Perde l’equilibrio, scivola, cade, sbatte contro una torre altissima che si regge per miracolo.
Lo schianto è assordante, il disastro bello grosso e il diversivo assicurato.
Salgo la scala e mi butto dentro la stanzetta vuota, sentendo arrivare come avevo previsto yeti ed elfi accompagnati da strane imprecazioni e scampanellii vari. Dubito seriamente riusciranno a risalire ad una causa esterna per tutto quel baccano, la mia freccia non ha lasciato tracce: penseranno ad un incidente sciocco e torneranno tranquilli alle loro occupazioni, ma io avrò tutto il tempo per attraversare la Sala del Globo.
Ero sicura che fosse ben sorvegliata, ma la sicurezza si dev’essere dimezzata grazie a questo inconveniente e io potrò passare con meno possibilità di essere scoperta.
Una riproduzione bella grossa della sfera terrestre mi si presenta quando raggiungo la Sala, una volta conclusa la corsa furibonda alla fonte del rumore, e sorrido quando vedo tutte quelle lucine luminose. Non che sia contenta di tutti quei mocciosi che credono nei Guardiani e non nel mio signore Pitch, ma quelle scintille dovrebbero creare ombra a sufficienza da permettermi di non essere vista.
Mi guardo intorno e vedo ancora diversi yeti ed elfi che fanno avanti e indietro come forsennati. Uno di quei cosi scampanellanti mi nota, ma un calcio che lo sbatte contro una parete basta a farlo stare zitto. Alcune palle di pelo accorrono, ma non penseranno che possa essere io la causa dello svenimento del loro amico: imbranate come sono quelle campane ambulanti, botte del genere devono essere all’ordine del giorno.
Mi trasformo in sabbia e mi muovo lungo il cono d’ombra proiettato dalla parte inferiore del Globo, in corrispondenza del Polo Sud; sotto di me ci sono almeno cinque piani di vuoto, fino al piano terra. Mi sposto quindi nuovamente sul soffitto e poi lungo le pareti, fino a ricomporre il mio corpo in corrispondenza della scalinata che porta allo strapiombo.
Assicuratami che nessuno sia nei paraggi, la salgo e raggiungo il corridoio delimitato dalla ringhiera coperta di ghiaccio. Se guardassi giù vedrei il Villaggio degli yeti, e sicuramente loro vedrebbero me. Non mi piace questo posto, mi sento troppo esposta.
Lo percorro veloce e silenziosa e torno all’interno del Palazzo. Quando finalmente raggiungo i Laboratori, ghigno soddisfatta.
Mi sorprende non vedere anima viva, pensavo che avrei trovato schiere di yeti a fabbricare giocattoli e elfi a rubacchiare biscotti, ma qui non c’è neanche un’ombra. A parte me, insomma.
Muovo incerta qualche passo sul tappeto rosso e penso che ci sia qualcosa di terribilmente sbagliato in questo silenzio. Raggiungo il centro della sala con l’insano istinto di guardarmi intorno alla ricerca di un sintomo di normalità in quel posto che dovrebbe essere tutto fuorché così calmo.
Il Cuore batte.
Non il mio, ovviamente, ma quello del Laboratorio. È un agglomerato di buona parte della magia di Babbo Natale, che North utilizza per fornire l'energia necessaria alla costruzione di giocattoli che siano magnifici e perfetti, una sfera luminosa e colorata che ricorda tanto quelle palle di neve per teletrasportarsi da qualche parte.
Se distruggo il Cuore, quest’anno non ci saranno regali, né credo ce ne saranno più.
Prendo un grosso respiro ed estraggo la spada.
Sono tesa, non so perché, preparo il colpo impugnando l’elsa con tutte e due le mani.
Sospiro. Faccio partire l’affondo.
«Io non farei questo, se fossi in te.»
Un forte accento russo mi blocca a pochissimi centimetri dal mio bersaglio.
C’era qualcosa di sbagliato in quel silenzio innaturale, alla fine. Rinfodero la lama e sorrido. «Come mi avete scoperta? Errore mio o abilità vostra?»
Mi giro lentamente e osservo North stringere con forza i due spadoni. Il cappello da cosacco copre appena due occhi azzurri e grandi che sprizzano fulmini.
«Sei brava, ma questo è mio castello e so sempre cosa succede. Se minaccia passa qui dentro troppo tempo, io accorro.»
Dunque è questo che ho sbagliato, ho reso la mia azione troppo lenta e mi sono fatta scoprire. Me ne ricorderò.
«Allora uccidimi, cosa aspetti?» lo sfido allargando le braccia.
Mi devo trattenere dallo strabuzzare gli occhi quando lo vedo conficcare per terra le due sciabole. «Che significa?» domando.
«Significa che non combatto contro ragazzina senza cercare di fermare lei.» risponde.
Quasi mi viene da ridere, anche se non so se per l’accento russo o l’assurdità che ha detto. «Non avete fatto lo stesso ragionamento quando avete attaccato Pitch.»
«Pitch era perduto.»
«Io sono perduta.»
«Nessuno è perduto.»
«Hai detto che Pitch lo era.» ribatto.
Lui mi guarda e mi accorgo che non ha più gli occhi combattivi di guerriero, ma quelli calmi e buoni di un padre. Comincio a capire perché non lo hanno chiamato Zio, Fratello o Cugino Natale. Perché proprio come un padre lui cerca di farti capire i tuoi errori e li corregge prima che tu possa commetterli. Potrebbe essermi utile, se stessi sbagliando.
«Neanche Pitch lo era, prima di Secoli Bui. Noi provammo a dire lui che paura è necessaria in animo di uomini, ma che non deve diventare ossessione, ma lui era troppo preso da potere e non ascoltò noi. Noi ci provammo.»
La mia mano corre all’elsa della spada e la estrae. North non muove un muscolo ma lo vedo seguire i miei movimenti.
Sono solo lo strumento di Picth Black, le sue parole non mi sfiorano neanche.
«Tempo fa domandai a Uomo Nero perché si vive. Temo di non poter fare te stessa domanda.»
«No, infatti.» Sono un’ombra, un’Assassina, farmi una domanda del genere sarebbe come chiedere ad un serpente perché i gatti camminano su quattro zampe.
Ma il Guardiano della Meraviglia continua a guardarmi tranquillo, anche se all’erta. Mi dà fastidio essere osservata così, come se non fossi pericolosa, come se davvero potessi mollare la spada e non fare quello per cui esisto.
«Allora faccio te altra domanda: perché si muore?»
Lo fisso incuriosita, con un sopracciglio inarcato. Mi aspettavo un guerriero che tentasse di ammazzarmi all’istante, non un nonnetto saggio a darmi lezioni di filosofia.
Quasi mi spavento, quando sento le dita allentare la presa sulla spada, e una nota di panico mi squilla nel cervello.
«Cosa ti fa pensare che riuscirai a convincermi a non distruggerti?» sibilo.
North sorride. «Tu non sei perduta.»
«Ti sbagli.» Scuoto la testa. È finita.
Neanche il tempo di accorgermene e la mia spada è conficcata nel Cuore.
Una scossa di terremoto squassa la terra, il Palazzo oscilla e presto crollerà. Babbo Natale non è sorpreso, mi guarda e sorride ancora: sapeva.
Jack Frost arriva in fretta; non mi sorprendo, sapevo che era qui. Guarda prima il Guardiano e poi me, impallidisce, spalanca la bocca, è sconvolto.
Impugna il bastone e mi si scaglia contro, ma non può farmi niente. Infrango per terra una sfera di neve procuratami in una delle mie tante incursioni qui dentro e mi teletrasporto prima ancora che lui possa fare alcunché. Mi guarda sparire stravolto dalla rabbia e dal dolore.
Prima di diventare polvere, North gli accarezzala testa e gli dice: «Affido a voi bambini, prendetevi cura di loro.»
Con questo gesto ho superato il punto di non-ritorno.
Il prossimo incontro con i Guardiani sarà guerra.






***








Okaaaaaaaay... Quante possibilità ho di sopravvivere dopo questo?
*2314245 coltelli tentano di infilzarla* Ouch!
Permettetemi di spiegare, vi prego! No, al rogo, no!
Ammetto di averla combinata grossa pubblicando questo capitolo, ma capperi! I Guardiani sono i buoni, e ai buoni va sempre tutto storto! E poi non disperate, presto si sistemerà tutto e la vita comincerà ad essere complicata anche per la nostra Fonhìas *risata diabolica*
In quanti ci saranno al prossimo capitolo?
*eco di grilli*
Woaaa! *lacrimuccia commossa*
Solo una cosa: nel prossimo capitolo dirò chiaro e tondo che North ha volutamente risparmiato Fonhìas. E' un Guardiano, cavoli! Non dovrebbe essere troppo semplice farlo fuori! Volevo solo precisarlo.
E niente, qui c'è un po' d'azione, spero che non sia venuto così male... Era leggibile?
Come sempre ringrazio pheiyu per la sua recensione, dianadreamer e SuperNova98 per aver messo la storia tra le preferite, sempre loro più Marina94 per averla messa tra le seguite e ancora SuperNova98 e Lirah per averla messa tra le ricordate *erige una statua per loro ma cade malamente e si rompe un braccio e gli occhiali*
Ahia, mamma mi ammazza!
Va bien, io mi dileguo, se vi va di lasciare una recensione, la prossima volta erigerò una statua anche a voi u_u
Sciau(?)



Mi dispiace per voi, ma mi sento talmente importante a saper mettere le immagini *'perdente' scritto in fronte* che penso ve ne rifilerò una ad ogni capitolo... perciò... ECCOVI JACK FROST!!! *si fa l'applauso da sola*

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Capitolo 5
*** Bhedder J. Wolf ***


Perché si muore?
Una persona può morire per tanti motivi: per amore, per dolore, per scelta sua o di un altro.
North è morto per mia scelta, per scelta di Pitch. O forse per scelta personale, perché ha deciso di risparmiarmi.
Se io dovessi morire, per cosa morirei?
Mi rigiro ancora una volta l’elsa della spada tra le dita, stufa della prepotente posizione che questa domanda mi ha preso nel cervello.
Per dolore? No. Per amore? Figuriamoci! Per scelta mia o di un altro? Probabile: quando morirò, sarà perché Pitch non mi vorrà più.
Ed è una cosa bella morire solo perché non servi più a qualcuno?
Mi alzo di scatto dal marciapiede su cui sono seduta e rinfodero la spada seccamente. Io sono un’ombra, uno spettro della realtà che si muove solo sotto gli ordini e le mosse del possessore; un’ombra non fa niente, solo quello che le si dice di fare, e mai devo farmi mettere in dubbio su questo.
Domandarmi perché morirò non mi servirà a niente.
Mi spazzolo via la neve dalla spalle. Jack Frost dev’essere davvero furibondo, la tempesta imperversa da quasi tre giorni; dovrà fermarsi prima o poi, altrimenti Burgess verrà seppellita assieme ai suoi abitanti. Non che mi dispiaccia, farebbe lui il lavoro sporco al posto mio, in fondo.
Riconosco alla mia destra il familiare letto semi-distrutto e mi butto nel buco sotto le assi: il mio signore mi chiama.
Il tunnel è buio e puzza di muffa, come tutte le altre volte che l’ho attraversato, e procede dritto e leggermente in discesa.
Cammino oscillando, tranquilla: come sempre so che quando l’Uomo Nero vorrà farmi smettere di vagare nell’oscurità, allora arriverò nel suo Regno.
Lo raggiungo, il nero totale sfuma nel grigio smorto dell’immensa caverna di Pitch Black e io mi inchino al suo cospetto.
«Davvero ben fatto.» mi dice ghignando, con gli occhi dorati che scintillano.
«Mio signore.» rispondo, annuendo e chinando ancora di più il capo per rispetto.
«I Guardiani sono deboli, distrutti dal dolore, la rabbia li acceca e li rende vulnerabili... il nostro scopo è vicino.» continua lui, prendendo a camminare avanti e indietro e gesticolando elegantemente con una mano.
«Volete che li attacchi ancora?»
Annuisce appena. «Devi spaventarli, far capire loro che non possono nulla contro di te e contro di me. E se alla fine vorrai ucciderli, attenta solo a non prenderti tutta la gloria.» Un sorriso beffardo e inquietante gli compare sulle labbra. «La mia ascesa è vicina.»

Il purosangue incubo che sto cavalcando atterra sul suolo inglese con un tonfo e un battito di zoccoli.
La Gola di Cheddar mi si presenta imponente svettando altissima nel suo insieme di rocce e alberi; due montagne divise da una minuscola striscia di terra lottano tra loro in una corsa forsennata verso il cielo, come a volerlo toccare, e la natura afferma tutta la sua supremazia sull’uomo in uno spettacolo meraviglioso e selvaggio.
Proprio un bel posto.
Mi passo una mano tra i capelli e faccio mente locale: se la memoria non mi inganna, la caverna che sto cercando dovrebbe essere a est, ad un centinaio di metri massimo, o a centotre iarde circa, come direbbero da queste parti.
Mi avvio su per la salita, che si rivela anche più ripida del previsto, mentre un acquazzone fastidioso stile diluvio universale cade dal cielo perennemente coperto del Regno Unito, tanto che, quando finalmente riesco a mettermi al riparo sotto alcuni alberi, sono bagnata dalla testa ai piedi e tutta ricoperta di fango.
Ma dico io: a che scopo vivere nel posto più piovoso del mondo tra i monti più fangosi che possano esistere!?
Per idiozia!? O per il semplice gusto di rendere la vita impossibile agli altri!?
Bah!
Sbuffo seccata e mi abbasso il cappuccio, che ormai è diventato pesantissimo a causa dell’acqua, e mi passo di nuovo una mano tra i capelli umidicci. Almeno sotto questo insensato ammasso di alberi la pioggia penetra poco e niente e posso sperare di non arrivare a destinazione sotto forma di scolapasta ambulante.
Il mantello è diventato un inutile carico da portarsi dietro, ma preferisco non toglierlo perché ne avrò bisogno tra poco.
Un lampo squarcia il cielo, subito seguito dal rombare di un tuono, e il vento agita le fronde tutto intorno a me. Devo muovermi: se non per non essere beccata in pieno da un fulmine, almeno per andarmene subito da questo posto infernale.
E pensare che all’inizio mi era parso quasi bello!
Comincio a correre tra i tronchi, appesantita dall’acqua che mi è piovuta addosso, saltellando qua e là per evitare radici e arbusti. Il mio riparo non dura molto, anzi, salendo, gli alberi spariscono in fretta e la vegetazione in generale diventa rada e quasi inesistente. Però sono fortunata: prima che il diluvio si trasformi in un’autentica bufera di neve per la bassa temperatura, riesco in lontananza ad intravedere l’imbocco della caverna che devo raggiungere.
Non che abbia chissà quanta voglia di arrivare, in fondo sto solo andando a trovare l’essere più irritante e opportunista mai scelto dall’Uomo nella Luna. Ma quello lì non poteva sceglierseli decentemente i suoi eletti!?
La grotta diventa sempre più grande man mano che mi avvicino, e non credo sia una mia impressione, visto che ci vedo benissimo sempre e comunque, anche con un acquazzone che renderebbe cieco un falco. Quando arrivo, un immenso buco nero mi sovrasta del tutto; a quanto pare il mio caro amico soffre di megalomania, se vuole davvero vivere in una caverna che sembra inghiottire chiunque abbia la sventurata idea di avvicinarsi più del dovuto.
Entro accolta dall’umidità e dal ticchettio fastidioso dell’acqua che gocciola. Mi strizzo un minimo il mantello, sperando di farlo smettere di rigettare pioggia ed evitare di lasciarmi dietro mezzo fiume ad ogni passo, e stringo l’elsa della spada: è una minaccia, il mio modo per far sapere che sono sempre io a tenere le redini del gioco.
E mi avvio.
Mi muovo veloce ma silenziosa, visualizzando mentalmente il percorso che dovrebbe portarmi al centro di quello strano insieme di gallerie spuntato dal nulla tre secoli fa nel mezzo della Gola di Cheddar. Ricorda vagamente un labirinto, in effetti, con l’unica differenza che per non perderti basta procedere senza staccare mai la mano sinistra dalla parete. Trucchetto simpatico, ma piuttosto banale, dopotutto.
Dopo circa una decina di svolte, le stalattiti cominciano a ricoprire il soffitto, e finisco per ritrovarmi di nuovo bagnata proprio quando avevo iniziato ad asciugarmi. Mi trattengo dall’urlare solo perché se lo facessi probabilmente crollerebbe tutto e finirei infilzata.
Man mano che mi addentro in quelle che ormai si potrebbero dire le viscere della terra, l’aria sa sempre più di muffa e si comincia a sentire l’eco lontana di respiri famelici.
Sono vicina.
Continuo a camminare e il rumore si fa sempre forte e pesante, fino a quando diventa quasi assordante, rimbombando praticamente da tutte le parti.
Io acuisco i sensi e rafforzo la presa sull’elsa.
Poi un ringhio. Rumore di zampe su pavimento e pareti.
Sguaino la spada e me la porto davanti al viso nello stesso istante in cui zanne affilate fendono l’aria a pochi centimetri dal mio viso. Con un calcio cerco di spingere il peso che mi è piombato addosso all’improvviso e piego le gambe per non sbilanciarmi troppo all’indietro.
Diversi morsi tentano inutilmente di spezzare la mia lama, io do un colpo di reni e con un altro calcio riesco a scrollarmi di dosso quel povero illuso che ha cercato di fuori.
Bhedder J. Wolf, altrimenti conosciuto come il Lupo Cattivo.
Due metri circa di pelo, zanne, artigli e occhi a palla: decisamente il prototipo di mostro per spaventare i bambini.
Mi ringhia contro e comincia a girarmi attorno, indeciso se riprovare ad attaccarmi o no.
Io ghigno e lo minaccio con la spada. «Attento, lupacchiotto, potresti farti male.» sussurro, nonostante la mia voce rimbombi per la caverna come se avessi urlato.
Quello mi rimanda un’espressione feroce e si alza su due zampe. «Fonhìas Oneyron, giusto?» mi domanda.
Il fatto che conosca il mio nome mi dà la conferma che – purtroppo – non ho sbagliato a rivolgermi a lui.
«Precisamente.» ribatto.
«E a cosa devo un tale onore?» Mi fissa con gli occhi gialli al di là del muso, sospettoso e pronto a scattare, ma non tenterà di attaccarmi ancora: ha capito in fretta che non sono io la preda qui.
«Interessi.» rispondo.
«I miei?»
Idiota e megalomane sul serio! Ma ho bisogno della sua malvagità e non posso permettermi di stenderlo. «Quelli di Pitch.»
«Immaginavo.» Come no!
«Mi serve un favore.» decreto. Non l’ho messo al corrente delle mie intenzioni, volevo solo che recepisse al volo che un no come risposta non è consentito.
Lui scopre le zanne in quello che dovrebbe essere un ghigno spaventoso. Dovrebbe, appunto. «Sai che non lavoro mai gratis, vero?»
Gli getto ai piedi un sacchetto pieno di pepite d’oro ripescate in una miniera giorni fa. Cosa se ne fa l’invisibile e opportunista Lupo Cattivo delle pepite d’oro? Non ne ho la più pallida idea, forse è talmente vanitoso che gli piace dire al mondo di essere ricco, anche se ad uno Spirito non serve a niente.
Il lupacchiotto si ficca una pietruzza tra i denti per verificarne l’autenticità, quindi sorride e mi guarda con le orecchie tese. «Cosa devo fare?»
Mi schiarisco le idee e lo fisso minacciosa. «Devi sbarazzarti dei colibrì della Fatina dei Denti.»
Sobbalza e mi ringhia contro: codardia o determinazione?
«Black ha per forza bisogno del mio aiuto? Non può farlo da solo?»
Scatto come una molla alle sue parole e gli punto la spada alla gola. «Bada a come parli.» soffio tra i denti, a pochissimi centimetri dal suo orecchio.
Lui si agita e tenta di liberarsi, ma sa che un movimento di troppo potrebbe costargli caro, quindi rinuncia. Lo lascio andare solo quando lo sento mugolare alla ricerca d’ossigeno.
«Dicevi?»
«Cinque giorni. Mi servono cinque giorni.» mormora.
«Te ne do tre.» Lo minaccio ancora con la spada per fargli capire che non è in condizione di contrattare, quindi giro i tacchi e mi avvio.
Lo sento graffiare con gli artigli sulla roccia, indeciso se azzannarmi o no alle spalle, e sorrido soddisfatta quando sbuffa e si mette a correre dalla parte opposta.
Ottimo lavoro, Fonhìas.

In effetti no, Pitch non avrebbe potuto catturare nuovamente le Fatine con i suoi incubi come aveva fatto tre anni fa: i Guardiani lo tengono d’occhio da quando è stato sconfitto. Non abbastanza da impedirgli di crearmi, certo, ma a sufficienza da fermarlo nel caso provasse ad attaccare ancora.
Sicuramente, se non fossero distrutti dalla scomparsa di North, avrebbero anche tentato di fermarci, ma credo che al momento siano troppo impegnati a piangersi addosso e a riparare i danni che provocherà il Natale mancato.
Ho deciso di mirare al Palazzo di Dentolina perché attaccare la Conigliera sarebbe stato inutile, visto che Pasqua è ancora lontana, mentre la Nave di Sandman è come sempre dispersa da qualche parte. Mettere fuori gioco la Fatina dei Denti, invece, mi servirà a far perdere immediatamente fiducia ai bambini, ma restava sempre il problema dei piccoli e fastidiosi colibrì che mi avrebbero scoperta in un niente.
Se il Lupo Cattivo pensa a farli fuori, non solo mi darà libertà di azione, ma attirerà su di sé l’attenzione dei Guardiani, che cercheranno una spiegazione da lui e non da me.
Non penso che il lupacchiotto tacerà a lungo, anzi sono sicura che da bravo codardo mi denuncerà non appena ne avrà l’occasione, ma dovrei avere abbastanza tempo per attaccare.
Dentolina morirà per scelta non sua, ti sembra giusto?
Quasi mi viene voglia di prendermi a calci da sola, quando una vocina fastidiosa mi rimbomba nella testa.
Non si tratta di giustizia, si tratta di dovere. E il mio dovere è preparare il mondo all’ascesa del mio signore.
In fondo neanch’io ho molta scelta, no?







***









Sciau mondo bello, sono tornata!!!
Okay, povera me, prima o poi qualcuno potrebbe venire a conoscenza dei miei seri problemi mentali D:
Ma voi non direte niente, no?
Passando al capitolo, nel film i Guardiani si chiedono l'identità del loro nuovo compagno, il che mi fa pensare che ci siano altri Spiriti ambulanti a cavolo nell'atmosfera oltre al nostro caro Jack. Partendo da questa geniale deduzione *elementare, Watson* è nata la figura dell'opportunista Bhedder J. Wolf. Il nome è nato dalla traduzione inglese di Lupo Cattivo, con qualche modifica e aggiungendo quella J in mezzo che ci stava troppo lol.
Lo odio, penso che a malapena lo citerò nel prossimo capitolo, tanto per essere precisi.
Dal prossimo capitolo per la povera Fonhìas cominceranno i cavoli amari, giusto per spoilerare qualcosa.
Ringrazio Lirah e dianadreamer per aver recensito la storia e Lirah per averla messa tra le preferite. *si mette a ballare la danza della pioggia per loro*
Scusate, avevo finito il marmo per le statue :(
Se vi va di recensire, il vostro commento sarà sempre apprezzato con grandi festeggiamenti da parte della mia povera coscienza perversa che butta giù certe cose u_u

Oggi niente immagine, non mi andava di caricarla *si punisce con una lampada stile Dobby*

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Capitolo 6
*** Dentolina ***


Nascondere un Palazzo brulicante di colibrì ossessionati dai denti tra le montagne della Russia Europea è vantaggioso per due motivi: gli adulti che non credono non potrebbero trovarlo comunque, anche se ci andassero a sbattere contro per sbaglio, mentre i bambini non riuscirebbero a scoprirlo perché in un posto per loro irraggiungibile.
Il Palazzo in questione è diviso in sei ambienti, uno per ogni continente se si considerano separate l’America del Nord e quella del Sud, e in ognuno di essi si raccolgono i ricordi della popolazione mondiale infantile dal 1500 circa. La struttura è necessariamente leggera, o dubito si reggerebbe sui pochi instabili metri di terra e rocce su cui è costruita, e si presenta come un insieme di padiglioni dalle cupole dorate rette da sottili ed eleganti colonnine color rame. Al tutto, si aggiunge infine una punta di rosa a dare un’aria sbarazzina che ben si sposa con l’esuberanza quasi esagerata della Fatina dei Denti.
Il Palazzo di Dentolina è dunque del tutto differente da quello di North: i muri sono del tutto inesistenti, non ci sono scimmioni sovrappeso a sorvegliarlo e non esiste un Cuore da distruggere. Da quel che mi risulta, la magia è spartita in ognuno dei colibrì barra fatine, e si potrebbe indebolire il loro instancabile capo solamente mettendoli fuori uso tutti quanti.
Robetta da niente, insomma.
Ma sono sicura che, prima di sventolare il mio nome ai quattro venti, Bhedder J. Wolf farà un buon lavoro. Dubito li mangerà, tra le tante stranezze del Lupo Cattivo c’è anche quella di essere vegetariano, ma saprà allontanarli a sufficienza da permettermi di attaccare.
Concluso il ripasso generale delle informazioni per l’assalto al Palazzo della Fatina dei Denti, mi alzo dal ramo su cui sono seduta e scendo dall’albero con un salto. La Foresta di Burgess è un bel posto, anche quando è mezza-sepolta dalla neve, e – soprattutto – è a prova di bambino: se ti tieni lontano dal percorso turistico per le gite scolastiche, le probabilità di incontrare un’anima viva al di sotto dei diciotto anni sono quasi pari a zero.
Mi muovo veloce tra gli abeti che si arrampicano verso il cielo, fino ad arrivare al limitare della città. Quindi rallento, prendendo strade a caso guidata dal solo volere delle mie gambe.
È un momento molto particolare quello che precede l’azione. Per molti può essere un momento d’attesa o di ansia snervante, passato a mangiucchiarsi le unghie nella speranza che passi in fretta o che non arrivi mai; oppure di eccitazione, quando sei certo di quello che stai per fare e non vedi l’ora di dimostrarlo.
Per me non è altro che un momento di splendida calma e beata solitudine. È quell’arco di tempo in cui, chissà perché, smetto di essere l’Assassina che non può far altro che uccidere e rimango soltanto uno Spirito immerso in una quiete meravigliosa.
Potrei non tornare, ma che differenza fa, quando morirò a breve e solo perché il mio signore non avrà più bisogno di me?
Chiudo gli occhi rilassata e comincio a dondolarmi ad ogni passo.
La periferia lascia presto il posto al centro della città, e mi accorgo con disappunto che le strade si sono riempite di suoni, a discapito del silenzio di poco fa. Mi guardo intorno e mi scopro in un parco ricoperto di neve, e davanti a me c’è un gruppo di bambini che corrono come invasati attorno ad un pallone da calcio.
Sbuffo infastidita e inarco un sopracciglio. Ma davvero trovano divertente fare la figura dei gatti ubriachi che impazziscono per il gomitolo di lana?
Non credo che li capirò mai, ma almeno, dopo un mese e mezzo a contatto con quei nani senza barba, ho finalmente in chiaro perché Pitch ama spaventarli: terrorizzati sono di sicuro meno irritanti.
Mi giro e faccio per andarmene, ma la neve che invade praticamente ogni millimetro di strada mi avverte che oggi le scuole sono sicuramente chiuse, e che quindi troverò mocciosi in qualunque posto io vada.
Allora rinuncio e mi butto malamente seduta su una panchina, pregando perché le 48 ore che mi separano dall’attacco alla Fatina dei Denti passino in fretta.
Sospiro e mi metto a giocherellare con l’elsa della spada, mentre cerco di estraniarmi dal mondo per non sentire le risatine acute dei bambini picchiarmi nel cervello come martelli pneumatici, tentando di convincermi che il cappuccio le attutisce quel tanto che basta da non uscirne stordita.
Quasi sobbalzo per la sorpresa quando uno dei nanetti strillanti si siede sulla mia stessa panchina, o meglio, cerca di sedersi, perché ci mette anche troppo tempo per arrampicarsi, fino a finire accanto a me con i piedi ciondolanti nel vuoto. È una bambina, e, a fissarla meglio, sembra proprio quella che alla mia prima visita all’asilo era ferma come se mi fissasse... capelli biondi, occhi verdi e ali da farfalla avvolti in tre quintali di piumini vari: sì, decisamente inconfondibile.
Torno a giocherellare con l’elsa e decido di ignorarla.
Decisione non ricambiata, a quanto pare.
«Ciao!»
Io alzo gli occhi al cielo e mi guardo intorno alla ricerca del destinatario di quel saluto; quando non vedo nessuno, se non il solito gruppo di forsennati pallonomani, deduco che sta parlando con un amico immaginario: ne hanno a quell’età, no?
Potrei infilzarla con la spada, ma non credo mi convenga, visto che preferirei non attirare l’attenzione dei Guardiani prima di dopodomani. Non mi stanno già cercando abbastanza? L’unico motivo per cui non tentano di farmi fuori è che stanno cercando di riparare in tutti i modi i danni che porterà la sfiducia dei bambini quando a Natale non riceveranno nulla.
«Ehi! Mi senti?»
Mi volto a guardare l’involtino vivente e mi sorprendo quando la vedo fissarmi di rimando, tutta concentrata nel difficile intento di attirare la mia attenzione. «Mamma dice che quando tu non saluti è perché sei maleducato.» afferma, annuendo convinta.
Sono indecisa se mettermi a strillare come una cretina perché qualcuno mi vede o prendermela perché un nano di neanche sei anni mi ha dato della maleducata. Alla fine rinuncio ad avere una qualsiasi reazione e rimango a fissare la bimba come potrei fissare uno dei cinque Guardiani con qualche gamba e qualche occhio di troppo.
«Perché non mi rispondi?»
Mi riscuoto e mi do mille volte della stupida per una reazione del genere, quindi cerco di darmi un contegno e torno a fissare davanti a me. «E perché tu mi vedi?»
«Mamma dice che non si risponde ad una domanda con un’altra domanda.»
Sto per ammazzare sia te che la tua mamma, tanto per fartelo sapere. «Non ti rispondo perché non ne ho voglia.» borbotto invece, mordendomi la lingua.
«Però adesso mi hai risposto.»
Uno... Due... Tre... Fare fuori la prima mocciosa che mi vede significa attirare i Guardiani e mandare all’aria tutti i progetti per sistemare Dentolina... Quattro... Cinque...
«Ora tocca a te rispondere.» dico.
«Jack Frost ha detto che sei cattiva e che devo stare attenta a te.»
Ecco spiegato perché sono visibile. Non è chissà quanto bello, mi chiedo perché quello strano ragazzino – o cadavere ambulante – ami tanto che i bambini lo vedano.
«E perché sei qui, se sono cattiva?»
«Perché mamma dice che nessuno è cattivo.» Sto decisamente per farla fuori, questa mamma.
«Beh, io lo sono, quindi vattene.»
«Mamma non sbaglia mai.»
Mi trattengo solo per decenza di battermi un palmo in fronte dall’esasperazione. Ma come ci si libera da queste pulci dagli occhi giganti?
«Mi chiamo Sophie.» mi dice, sorridendomi tutta contenta.
«Credi che mi importi qualcosa?»
La bambina gonfia le guance e lotta contro le sue stesse braccia per incrociarle decentemente. «Mam...»
Le punto minacciosa un indice contro. «Nomina un’altra volta tua madre e ti faccio secca.»
Lei mi guarda scandalizzata e spalanca la bocca. «Mamma dice che non si interrompe la gente quando parla.»
...Sei... Sette... Otto... 48 ore, mancano solo 48 ore... Nove... Dieci...
Sbuffo e scuoto la testa con irritazione, tentando con tutte le mie forze di auto-convincermi che non posso permettermi di trapassare altri bambini se voglio giocare sull’effetto sorpresa contro i Guardiani.
Mi alzo dalla panchina e mi tiro il cappuccio sul viso.
«Dove vai?»
«A fare fuori la Fatina dei Denti.» rispondo a denti stretti.
La bambina inclina la testa bionda da un lato. «E che vuol dire ‘fare fuori’?»
«Vuol dire che vado a farle tante coccole.» sparo di sana pianta. Ho parlato anche troppo, meglio cucirmi le labbra.
«Allora io vado da mio fratello.» Mi saluta con una mano e si mette a saltellare fino a uno dei bambini che corrono appresso al pallone. Fisso il ragazzino con un sopracciglio inarcato, incuriosita dalla sua aria così familiare. Ha i capelli castani che probabilmente sono stati soggetti ad una scossa elettrica e un viso rotondo e vivace...
Ma è il bambino che ha impedito a Pitch di vincere contro i Guardiani!
Ora è tutto chiaro: quello è il primo bambino che abbia mai creduto in Jack Frost, ecco perché l’albino ha messo in guardia lui e la sorella contro di me. Voleva che non corressero rischi, e li ha avvertiti quando ha capito che rappresentavo una minaccia; per questo mi vedono.
Non lo facevo così sentimentale, il pupazzo di neve ambulante!
Decido che è preferibile che non mi noti, o potrebbe spifferare a tutto il mondo la mia presenza, nella speranza che non creda alla sorellina che sicuramente gli parlerà di me a non finire, e guardo un’ultima volta il suo gruppetto di amici.
Stringo con forza l’elsa della spada.
A noi due, Dentolina...

Cavalcare un destriero ombra tra le nuvole di neve del Caucaso ha un suo fascino, quasi quanto buttarsi da un grattacielo in mezzo alle strade di Burgess. È come stare a metà tra due mondi, sopra il cielo e sotto un’immensa distesa bianca di cui puoi fare quello che vuoi, e tutto è talmente volubile da essere incredibile; basterebbe un soffio di vento, e potrei ritrovarmi sbalzata nel nulla più completo e perfetto del cielo o nella frenesia confusa e infinita della terra.
Qua e là spuntano anche i cocuzzoli bianchi delle montagne, ed è divertente vedere come tagliano quasi con sfacciataggine la distesa perfettamente liscia del mare di nuvole.
Quando il purosangue individua il monte che stiamo cercando, comincia a scendere prima con lentezza, poi in maniera sempre più veloce, fino a sfrecciare in picchiata così rapido da rendermi difficile persino respirare. Mi appiattisco sul suo dorso e mi aggrappo alla criniera, il vento mi graffia le guance e mi fischia fortissimo nelle orecchie, i capelli si agitano, i polmoni si svuotano, un urlo liberatorio mi sfugge dalle labbra e sorrido involontariamente. Un senso di potenza infinita mi pervade e il mondo prende a vorticarmi attorno come se fossi nell’occhio di un ciclone.
Poi tutto finisce, in un attimo, il destriero si dissolve in sabbia nera e io atterro perfettamente dritta, con i capelli scompigliati come unica prova dell’atterraggio alla velocità della luce.
Ridacchio e sguaino fluidamente la spada.
Non ho paura, sono a mio agio nelle vesti di Assassina, e un altro Guardiano non vedrà l’alba di domani.
Il Palazzo mi sta di fronte, bellissimo e luccicante nonostante le nuvole a coprire il sole. Mi metto a correre e lo raggiungo, mi muovo veloce di padiglione in padiglione bruciando in poco tempo tutte le scalinate d’oro che li collegano, compiacendomi del lavoro che ha fatto l’irritante Lupo Cattivo con le fatine: in giro non ce n’è neanche una.
Quando raggiungo l’area corrispondente all’Africa, intravedo poco più in alto un insieme di piume colorate. Bingo!
Mi fermo un attimo, prendo un respiro profondo e riparto.
Morire per scelta non tua non è giusto, lo sai, vero?
Continuo a correre e raggiungo le scale.
Anche io morirò per scelta non mia.
Comincio a salire, le gambe filano veloci per tutta la salita.
Dentolina morirà perché hai scelto di ucciderla.
Rallento e passo tranquilla gli ultimi gradini.
Dentolina morirà perché non ho avuto scelta.
La Fatina dei Dentini è al centro del padiglione, si regge a malapena in piedi ma non rinuncerà a combattere. Per le sue fatine, per North, per tutto quello in cui crede. Sono i motivi per cui morirà.
Perché si muore, Fonhìas?

Stringo l’elsa della spada e punto l’arma davanti a me.
Il Guardiano mi fissa con gli occhi viola che bruciano come brace, vivi e combattivi nonostante la debolezza che le impedisce persino di sbattere le ali. Lotteremo, e sappiamo entrambe come finirà.
Perché non si arrende? Sa che non ha scampo, perché vuole per forza affrontarmi?
Le vado incontro, lei si avvia verso di me di rimando. Il rapimento dei suoi colibrì l’ha indebolita molto, perché i bambini hanno smesso in fretta di credere in lei; infatti si muove ciondolando e ho quasi l’impressione che debba cadere da un momento all’altro. Ma c’è qualcosa nel suo sguardo, nel modo in cui viene avanti nonostante tutto, che mi fa sorridere; non per scherno, non per disprezzo, ma per rispetto. Qualcosa in lei trasuda infinita potenza.
Ci troviamo l’una di fronte all’altra e mi sorprendo: siamo così opposte.
Mi domando se sia una cosa brutta... davvero non mi piacerebbe essere come lei? Avere la testardaggine necessaria per non arrendermi ad un destino segnato?
«Arrenditi.» le imputo.
Lei mi guarda e indurisce ulteriormente l’espressione. «Mai.»
E non abbiamo bisogno di altro, né di inutili domande, né di risposte scontate. Mi avvento e miro al suo petto con la spada, ma lei, con una velocità che mi lascia basita, gira su se stessa ed evita il mio affondo, poi lancia un urlo e mi pianta una mano sotto lo stomaco. Un botto e un fascio rosa, io mi ritrovo sbalzata all’indietro e finisco a sbattere contro una colonna.
La vista mi si annebbia e per qualche attimo non vedo altro che una miriade di puntini rossi, poi il rosa-dorato del padiglione torna a schiarirsi. Dentolina mi guarda da dove ha lanciato il colpo e mi domando se stia ferma per rispetto verso me e per un assurdo senso dell’onore, o per riprendersi dagli effetti collaterali della sua magia.
Mi rialzo, sorpresa oltre ogni dire per quella sua reazione, e riprendiamo il combattimento.
Ci studiamo immobili per qualche attimo, poi io faccio una finta a destra e meno un fendente dalla parte opposta; il Guardiano cade nella mia trappola, ma fa in fretta a reagire e si abbassa per evitare la lama, quindi cerca di farmi cadere menandomi un calcio alla gamba, ma questa volta sono pronta e spicco un salto e lo schivo. Muovo ancora la spada, lei si scansa di lato e le sue mani scintillano nuovamente di rosa, io me ne accorgo e indietreggio, ristabilendo la distanza di sicurezza.
«Perché combatti? Lo sai come andrà a finire.»
Lei mi fissa con una determinazione incredibile negli occhi.
«Non ti permetterò di far del male ai bambini.»
«Non c’è la minima speranza...» le faccio notare.
«C’è sempre una speranza.»
Scattiamo in avanti e lo scontro riprende. La spada fende l’aria, diretta alla fronte della Fatina dei Denti, ma quella si abbassa ad un soffio dall’essere colpita e cerca di afferrarmi un braccio con una mano, io inclino il busto all’indietro, ma il movimento mi sbilancia e ho bisogno di fare una ruota per riacquistare l’equilibrio. Roteo il polso e faccio una serie di finte con la spada, ma Dentolina, o troppo stanca, o preparata, non si muove di un millimetro.
Meno un fendente obliquo per sorprenderla, ma lei si rannicchia per terra e lo evita; cerco di approfittare del suo conseguente rallentamento, ma lei mi allontana con una magia.
Io ho il fiatone, lei è decisamente a pezzi. Ciò nonostante lo scontro si sta rivelando più duro del previsto, e nessuna delle due può permettersi di perdere.
Però lo sappiamo entrambe che il risultato è scontato, continuare a combattere è solo uno spreco di energie, energie che lei non ha più.
«È finita.»
Mi guarda, mi sorride, sa che ho ragione.
Scatto e salto per colpirla dall’alto, lei però rotola e la mia spada si conficca nel pavimento. La libero in fretta e mi giro verso il Guardiano, tento di colpirla ancora, lei ancora schiva.
Sa come finirà, ma non si arrende.
Sta morendo per sua scelta, perché ha deciso di provare a lottare per quello in cui crede.
Un ultimo giro su se stessa, la spada vola veloce senza che io la controlli.
La battaglia finisce, la Fatina dei Denti freme ma non mi implora di risparmiarla, la mia lama sotto la gola. «North doveva ucciderti...» sussurra. «Non doveva credere che c’è ancora qualcosa da salvare in te. Non c’è mai stato niente da salvare in te. E io che gli avevo anche creduto...»
Quelle parole mi lasciano sgomenta, e mi perdo giusto un attimo a rifletterci su.
E sbaglio.
Commetto l’unico errore che non dovevo fare.
Non mi accorgo della folata di vento gelido che mi raggiunge alle spalle e mi ritrovo sbalzata in alto, oltre il padiglione, oltre le nuvole, in un cielo tinto di rosso dal sole che tramonta.
Chiudo gli occhi per la sorpresa, e quando capisco quello che sta succedendo sto già precipitando.
Mi fermo e riprendo quota, ormai consapevole che i Guardiani sono qui e che Dentolina è salva.
Vorrei urlare.
Jack Frost mi sta davanti, con gli occhi azzurri che mandano scintille di ghiaccio quasi quanto il suo bastone magico.
«Ha fatto presto il Lupo Cattivo a parlare, a quanto vedo.» ghigno. Questa volta lo ucciderò, non mi farò il minimo problema.
«Sarai felice di sapere che le fatine stanno bene.» risponde. Non è ironico, è aggressivo, arrabbiato, con lui al pieno delle forze lo scontro non sarà semplice.
«Ti pentirai di quello che hai fatto a North.»
Mi si scaglia contro, accompagnato dal vento gelido e potente; io alzo la lama per difendermi, pronta a combattere e a vincere.
E la lotta comincia.
O finisce, qual dir si voglia.
Perché dura pochissimo, in effetti, e non sono io a trionfare.
Jack Frost mi vola di fronte velocissimo, schiva il mio affondo e si porta al sicuro dalla mia spada; poi mi afferra per le spalle... e mi bacia.
Non è un bacio pieno d’amore, ma intriso di talmente tanti sentimenti che la disperazione che mi prende all’improvviso mi fa venire voglia di vomitare. E mi sento riversare addosso tutto quello che prova lui: il dolore per la perdita di un padre e un amico, il rimpianto di non essere arrivato in tempo, la rabbia di non aver potuto fare niente, il terrore di fare tardi di nuovo e perdere ancora, la paura di non riuscire a proteggere quelli per cui farebbe tutto, e l’odio. Verso di me e verso se stesso per non avermi fermata. Verso Pitch, verso la Luna che lo ha creato. Tanto profondo e tanto disperato da farmi piangere.
Quando si stacca mi porto una mano al petto, e con l’altra mi tocco le guance rigate dalle lacrime. «Che cosa mi hai fatto!?» urlo, disperata anch’io.
«Questi sono i sentimenti. Questo è quello tu hai fatto a noi.» mi risponde, con un sorriso amaro e gli occhi lucidi. «Ora siamo pari.»
Se ne va, sparisce veloce tra le nuvole e non mi uccide.
Sarebbe troppo facile per me, mi liberebbe dal macigno che mi è piombato sul petto all’improvviso.
Così mi lascia andare, assieme al senso di colpa e a una marea di sentimenti che non ho mai chiesto di provare.
Questa volta ho perso io...
Chiudo gli occhi e smetto di levitare. E mentre la caduta mi trascina verso il basso, mi lascio annegare in un dolore che non pensavo potesse esistere.








***









Sciaooooo Guardiani!! Come butta? No, okay, qualcuno deve avermi messo la vodka nella tazza di latte...
Ma tralasciamo! Che ne pensate del capitolo? Non so perché ma ne sono particolarmente fiera, mi piace com'è venuto :)
La scena della battaglia come è stata? Dentolina è uno dei Guardiani che mi piace di più, forse perché è imbranata anche più di me *inciampa in una molecola di ossigeno e finisce di zucca in terra* ma nonostante tutto è coraggiosa e determinata, spero di averla resa in maniera decente u_u
Per quel che riguarda la scena del bacio, mi sono ispirata al libro 'le Carovane del Tempo' che finisce più o meno allo stesso modo, dunque se volete avada kedaverizzare qualcuno, io non c'entro, avada kedaverizzate la mia amata/odiata Vanna. Tanto per la cronaca, sono ancora depressa per la fine del libro T^T
Ma noi non parliamone, la vita è bella! :D
Sophie invece in tutte le ff è sempre stata la mezza sensitiva, dunque è probabile che effettivamente vedesse Fonhìas anche al loro primo incontro, a libera interpretazione. Ho cercato di farla il più bambina possibile, non come in certi film dove mocciosi di quattro anni risolvono i dubbi esistenziali di Aristotele! E niente... spero di esserci riuscita :)


Questa volta vi lascio con questa immagine, perché anche se non corrisponde proprio al capitolo era troppo faiga u.u
Ringrazio pheiyu, Lirah e Manga_9000 per le loro recensioni troppo afdhajdfhauif e dedico a voi questo capitolo, spero vogliate dirmi che ne pensate :)
Alla prossima

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Capitolo 7
*** Il deserto del Sahara ***


Quattro passi avanti, finta a destra, affondo a sinistra.
Paura, disperazione.
Breve rincorsa, salto, fendente.
Dolore.
Slancio, gomiti al petto, attacco rotante.
Senso di colpa.
Colpo dall’alto, parata a destra, obliquo da sinistra.
Maledizione!

Lancio un urlo che mi svuota i polmoni, butto via la spada, mi metto le mani tra i capelli.
Mi raggomitolo su me stessa e continuo a gridare. Mi sembra di impazzire. Si può davvero sopravvivere con il cuore che fa così male e la testa che esplode ad ogni singolo movimento? Ho davvero ridotto Jack Frost come mi sento io adesso? E lui è ancora vivo nonostante tutto?
Perché si muore?
Io morirei solo per non sentirmi come se mi stessero pugnalando ad ogni respiro, solo ed esclusivamente per smetterla di vorticare in un uragano di disperazione che, il respiro, me lo toglie.
E perché si vive?
Vivere non ha davvero senso, se significa correre ogni giorno il rischio di finire ridotti così. È uno spreco inutile di energie, tempo perso ad aspettare un sollievo che dubito arriverà mai.
Provo a calmarmi, mi costringo a respirare forte, mi metto una mano sul petto e aspetto di sentire il cuore battere ad una velocità accettabile.
Va tutto bene, Fonhìas, tutto bene...
Cerco di schiarirmi le idee, ho bisogno di dissolvere la nebbia che mi è calata in testa, ci sono troppe cose che devo fare: uccidere i Guardiani, favorire l’ascesa di Pitch, portare sofferenza a tutti i bambini sulla terra, farli sentire come mi sento io, farli disperare, piangere...
No!
Scuoto la testa con forza, urlo ancora, vorrei scomparire.
Respira, conta fino a dieci, a cento, a mille... Respira, va tutto bene, il dolore passa, respira...
Mi guardo intorno e cerco di mettere a fuoco l’ambiente che mi circonda: sono un palazzo, nel centro di Burgess, il cielo è coperto da fitte nuvole cariche di neve e l’aria sa di Natale. In giro non si sente altro che queste irritanti canzoncine e gli abeti della foresta si sono dimezzati per andare ad essere decorati da luci e nastri e illuminare le case.
Mi alzo e sfioro l’elsa della spada con la punta delle dita, quindi mi percorro la terrazza e guardo di sotto. La città è in fibrillazione, tutti sfrecciano a destra e a manca a comprare i regali più disparati e inimmaginabili. Ovviamente non sono loro a portare i regali ai bambini, ma per una strana magia dell’Uomo nella Luna, quando alla mattina di Natale si svegliano, sono convinti di aver comprato il giocattolo o il pupazzo che il figlio sta abbracciando.
Mi trasformo in sabbia nera e sorvolo il centro veloce, lasciandomi pervadere dalla sensazione di essere tutto e niente allo stesso tempo, beata nei muscoli e organi che non sento. Raggiungo la zona residenziale e quasi mi sorprendo quando vedo il così netto cambiamento di sfondo che in precedenza non avevo notato: la città cambia completamente aspetto qui, i grattacieli altissimi vengono sostituiti da casette rustiche e deliziose, con giardini privati e tetti a spiovente ricoperti di tegole. Era strano, in effetti, che in un posto come Burgess, dove la neve è all’ordine del giorno, ci fossero soltanto palazzi altissimi con ampie terrazze, ma non avevo dato troppo peso alla cosa, prima.
Esploro la zona con lo sguardo, e la scopro sempre più diversa dal centro. Non è più la città ultramoderna abitata da gente che va sempre di fretta, ma è un paesino calmo, avvolto in una bolla di pace accentuata dalla neve che rende ovattati i suoni. Oltre alle villette, ci sono dei parchi sparsi qua e là e il silenzio tranquillo è rotto dalle risate dei bambini, che però mi sembrano meno irritanti, se fatte riecheggiare in questa calma stupenda.
Volo fino ad un tetto in una nuvola di sabbia e mi ricompongo seduta con le ginocchia al petto. Davanti a me, un gruppo di nanetti gioca a palle di neve. Riconosco Jamie tra loro, ride come un matto e sembra quello che si diverte di più, subito seguito dalla sorellina Sophie, avvolta come al solito nei cinquanta quintali di piumino.
Mi sfugge un sorrisetto a vederli giocare.
«Hai visto come sono belli?»
Non mi sorprendo di vedere Jack Frost seduto accanto a me, una folata di vento gelido mi aveva annunciato la sua presenza. La stessa folata che, d’altronde, se l’avessi sentita, mi avrebbe impedito di finire ridotta come sono adesso.
«Continuo a trovarli irritanti.» rispondo, cercando di apparire calma e rilassata.
Lui ridacchia e si passa una mano tra i capelli, scompigliandoli – assurdo da dire – anche di più di quanto non già fossero.
«Allora... com’è provare sentimenti?» mi chiede a bruciapelo.
Io mi giro a guardarlo negli occhi. «Ho fatto progressi.» dico. «Prima ti trovavo irritante, ora ti odio con tutta me stessa.»
Scoppia a ridere e prende ad agitarsi, mentre io mi seppellisco sempre di più tra ginocchia e mantello per evitare che capisca come mi sento in realtà.
«Dubito allora che ti servano a qualcosa, la tua situazione non è cambiata molto.» farfuglia poi, cercando di calmarsi.
Mi riesce quasi impossibile credere che il ragazzo che ora si sta sbellicando dalle risate è lo stesso che con un bacio, un dannatissimo bacio, mi ha trasmesso una disperazione tale da farmi venire voglia di buttarmi da un palazzo, e senza fermarmi a poco da terra.
«Dai, seriamente...» dice poi, mentre tenta invano di riprendere fiato.
«Non puoi parlarmi di serietà, se continui a scompisciarti a quel modo.» lo rimbecco io.
Lui la smette all’istante, appoggia il bastone uncinato ad una tegola e ci si appende con lo sguardo assorto. Lo spio senza farmi notare, e non posso fare a meno di domandarmi se la sua risata fosse sincera.
«Perché non mi uccidi? Sono seduta accanto a te, ho ammazzato un tuo amico e ne ho quasi uccisa un’altra, il Natale è andato per colpa mia e un sacco di bambini soffrono per la mia spada. Perché te ne stai seduto lì e basta?»
Jack si volta a guardarmi, calmo nonostante la tempesta che gli attraversa gli occhi azzurri come il ghiaccio. «Credo che tu non abbia ben capito la differenza tra Pitch e i Guardiani.» mi dice. «Lui è un assassino, noi no.»

Cammino veloce nel tunnel che mi porterà al regno del mio signore, muovendomi agitata.
Ripenso alle parole dello Spirito della Neve e mi accorgo che, effettivamente, aveva ragione: durante la prima guerra, Pitch ha ucciso Sandman, ma i Guardiani si sono limitati ad imprigionarlo, nonostante tutto quello che aveva fatto.
Però mi torna in mente anche lo sguardo con cui quelle parole mi sono state rivolte: nascosta, e dovevi impegnarti per trovarla, c’era una minaccia, la minaccia che sarei stata sconfitta anch’io se avessi attentato ancora alla felicità dei bambini.
Mi passo una mano tra i capelli blu e continuo a camminare, aspettando pazientemente di vedere il nero della galleria sfumare nel grigio del Regno dell’Uomo Nero.
Quando lo raggiungo, il mio signore è seduto ad aspettarmi, nero come la pece da cui prende il nome, con gli occhi d’oro vagamente irritati, una mano lunga e sottile sotto il mento e l’altra a tamburellare su un ginocchio.
Mi inchino e mi porto un pugno al petto, aspettando che parli.
«Cos’è successo al Palazzo della Fatina dei Denti?» domanda, con una nota appena udibile di fastidio nella voce glaciale.
«I Guardiani mi hanno sorpresa è non sono riuscita a sconfiggerli.» rispondo. Preferisco tacere il bacio di Jack Frost, con mio profondo orrore scopro che ho paura di quello che potrebbe succedermi se dicessi che ora provo dei sentimenti.
«Ah, ti hanno sorpresa?» ripete lui, inarcando un sopracciglio.
«Mi dispiace, signore.» dico, chinando ulteriormente il capo.
Pitch si avvicina e mi fissa dall’alto in basso, troneggiando in modo quasi inquietante su di me. «Beh, non dispiacerti. In fondo puoi sempre rimediare a quello che hai fatto.»
«Volete che attacchi ancora?»
Scuote appena la testa. «No. Il tuo compito si è quasi concluso, presto toccherà a me. Devi trovare un modo per spezzare il sigillo con cui i Guardiani mi impediscono di tornare al potere, cosicché possa vendicarmi senza il bisogno del tuo aiuto. Pensi di riuscirci?»
Senza il bisogno del mio aiuto... vuol dire che morirò presto. Le viscere mi si attorcigliano in una morsa. «Sì, mio signore.»
«Perfetto.» Con quest’ultima parola mi congeda, dando inizio a quella che forse sarà l’ultima missione della mia vita. L’idea mi lascia uno strano vuoto dentro.
Faccio per alzarmi, ma poi un’altra domanda mi costringe a terra. «Signore?»
Pitch mi guarda.
«Perché volete distruggere i Guardiani?» Domanda imprudente e sciocca, ma avevo bisogno di farla lo stesso.
«Ti interessa?»
«No... io...» farfuglio. Volevo solo dare un senso a quello che sto facendo.
Un ghigno gli compare sul viso pallido. «I Guardiani mi hanno tolto tutto, e pagheranno per questo.»
Mi inchino maggiormente e assorbisco queste parole: non so perché ho la sensazione che nascondano molto più di quello che sembra.
Mi domando se sia giusto quello che stiamo facendo... Stiamo portando paura e sofferenza a bambini innocenti, ma è davvero sbagliato combattere contro quelli per cui hai perso quello che avevi o in cui credevi? Non sono sicura del significato esatto delle parole di Pitch, ma la causa per cui sto lottando... è qualcosa per cui vale la pena di combattere?

Il caldo infernale del Sahara mi accoglie quando mi materializzo di fronte alle tre grandi piramidi di Giza. Lo spettacolo è qualcosa di incredibile e vedere quei tre colossi arrampicarsi verso il cielo con imponenza non ha prezzo. Fanno sembrare così infinitamente piccoli, così insignificanti, che di fronte a quelle strutture magnifiche tutto sembra più facile.
Mi sfugge un mezzo sorriso, subito soppresso da un’orda di pensieri che mi costringono all’azione.
Volto le spalle alla piramidi e mi avvio per le dune del deserto, nella speranza di non perdermi e di trovare quello che cerco prima di ritrovarmi sotto forma di spiedino alla brace vivente.
Sto cercando una costruzione simile alla Sfinge, ovviamente invisibile agli umani, con un’enorme testa di drago e corpo da leone, una struttura più grande dentro che fuori dove si nascondono da secoli immemorabili la Lampada del Genio e i suoi tradizionali tre desideri.
Ho deciso che andare dai Guardiani e chiedere gentilmente di liberare Pitch dal sigillo impostogli non era tra le mie idee migliori, e non sono riuscita a trovare altro modo che chiedere un aiutino a quello strano tizio arabo con l’accento tedesco.
Inoltre, gettarmi in missioni potenzialmente pericolose nei posti più disparati al mondo contribuirà a tenermi la mente impegnata, a buttarci fuori ogni pensiero riguardante i bambini a cui infliggerò un dolore che ho scoperto essere insopportabile, a non soffermarmi troppo sulle conseguenze che porterà la liberazione di Pitch ai Guardiani e al mio conseguente senso di colpa.
Mi sarà utile, visto che non ho voglia di farmi prendere dalla disperazione che Jack Frost mi ha trasmesso con quel suo maledetto bacio.
Continuo a camminare e sono piuttosto indecisa se considerarmi bagnata fradicia per il sudore o in preda ad arrostimento convulsivo per il bruciore che mi pizzica praticamente ogni punto scoperto del corpo.
Accidenti! Ma per quale assurdo motivo posso non sentire il freddo, ma il caldo del Sahara mi deve far squagliare!?
Mi abbasso il cappuccio e mi sventolo il viso con la mano, col solo risultato di alzare un venticello caldo che mi ustiona le guance ancora di più. Ma dov’è la neve quando serve!?
Sbuffo seccata e penso che non dovrei sentirmi troppo in colpa se facessi a fettine il Genio una volta trovato. Dopo quello che mi ha fatto lui...!
Intanto ho l’impressione che il mondo attorno a me cominci a girare e che l’orizzonte stia ondeggiando peggio dell’Oceano Pacifico; spero vivamente di non cominciare ad avere allucinazioni, o credo che potrei correre il rischio di arrivare a destinazione in groppa a un cavalluccio marino con la testa di Calmoniglio e il corpo di Sandman. E non scherzo.
Quando mi guardo intorno e mi accorgo che della curiosa Sfinge non c’è traccia mi faccio prendere dallo sconforto, ed è una sensazione estremamente strana, perché prima d’ora non mi ero mai preoccupata più di tanto per le situazioni in cui andavo a buttarmi, né stavo chissà quanto attenta ai pericoli che correvo... Adesso mi sembra quasi di essere costretta a non cacciarmi troppo nei guai, ed è come se l’ansia mi prendesse tutte le volte che provo a trasgredire.
Non mi piace per niente, devo imparare a gestire le emozioni, se non voglio che mi schiaccino.
Respiro profondamente per darmi una calmata, poi cerco di concentrarmi sul caldo torrido per rendere l’irritazione più forte dello sconforto.
Sembra funzionare, perché i raggi che mi picchiano la testa mi fanno venir voglia di mollare tutto e cercare un modo qualsiasi per spegnere il sole.
È solo una mia impressione o è North quello che sta camminando accanto a me? Oh, accidenti! Decisamente sensi di colpa e insolazione non sono una buona accoppiata!
Ma come cavolo fa a starsene qui con quel giaccone e quel cappello di pelliccia che deve pesare quanto uno dei suoi yeti!? Non si squaglia come un ghiacciolo?
«Se proprio devi seguirmi, fallo in silenzio e senza scocciare, intesi?»
La mia allucinazione non risponde – dubito che potrebbe – e mi lascia con la fastidiosa sensazione di essere fuori di senno.
Devo dire che è piuttosto inquietante camminare con il Guardiano che hai ucciso affianco, soprattutto se si considera l’auto-soggezione che mi dà l’impressione di essere osservata con affetto paterno e bonario rimprovero nello sguardo azzurro di Babbo Natale.
Continuo ad avanzare tra le dune tutte uguali, ma una fastidiosa sensazione all’altezza del petto mi ricorda che per quello che ho fatto, non solo ho ammazzato chi aveva deciso di risparmiarmi, ma ho anche tolto la felicità ai bambini e ridotto Jack Frost – e sicuramente anche le altre Leggende – come lui stesso mi ha fatta sentire.
Maledizione! Dannati sentimenti, ma chi è il genio che li ha inventati!?
Mentre mi riprometto di fargliela pagare, con mio grande sollievo, North sparisce dalla circolazione, ma mi viene quasi voglia di mettermi a urlare quando vedo che al suo posto è comparso Jamie. Il moccioso con i capelli sparati da tutte le parti mi saltella accanto tutto contento, lanciandomi di tanto in tanto occhiate entusiaste.
«Stammi lontano, nanerottolo.» borbotto esasperata. Okay, devo smetterla di parlare con le allucinazioni. Credo di essere talmente fuori di me da non avere neanche paura di morire per fusione di cervello.
Dopo un po’ però, l’espressione di Jamie cambia, diventa triste, gli occhi castani gli si riempiono di lacrime. «Babbo Natale non esiste.» sussurra con una delusione assurda nella voce.
Mi impongo di stare calma; quello lì è il bambino che, affianco ai Guardiani, ci ha combattuto, non smetterebbe di credere neanche se sbattesse la testa e perdesse la memoria.
Poi Jamie si trasforma in sua sorella Sophie, come sempre avvolta nel piumino che la fa sembrare un pinguino.
Inizialmente la bambina pare contenta, poi però una spada molto simile alla mia le appare nel petto e comincia a piangere disperatamente, accusandomi di essere davvero cattiva.
Non ho neanche il tempo di sentirmi in colpa o preoccuparmi per lei, che sparisce e viene sostituita da Dentolina. La Fatina dei Denti mi guarda tristemente e mi rivolge le stesse parole del nostro ultimo incontro: «North si sbagliava: non c’è mai stato niente da salvare in te.»
Vorrei risponderle che non è vero, che potrei essere migliore se la mia esistenza non dipendesse dalla volontà di Pitch, ma scompare pure lei e viene rimpiazzata dal mio signore, che mi guarda col solito ghigno inquietante e una strana espressione negli occhi dorati. «Ti interessa?» mi domanda, mentre cerco di decifrare il suo sguardo.
«No... io...» Volevo solo dare un senso a quello che sto facendo.
Sento la testa scoppiarmi, che diavolo sta succedendo?
«I Guardiani mi hanno tolto tutto. E pagheranno per questo.»
Pitch scompare, io mi trovo di fronte ad un’enorme struttura dalla testa di drago e il corpo da leone.
Perché ho l’impressione che dovrei esultare alla vista di questo posto?
Non me ne do il tempo, l’unica cosa che riesco a fare è cadere a terra... svenuta.







***









Hola pulcherrimae, come state?
Mia madre insegna latino, dunque siete pregate di non rivelarle nulla di quello che ho scritto qui sopra, chiaro?
Bene u_u
Ora che abbiamo chiarito le nostre divergenze, possiamo passare al capitolo: aiuto, povera me, cosa ho pubblicato!? *si mette a piangere come una cretina disperata e depressa in un angolino buio*
*sob*
Che dire... non credo che Fonhìas diventerà ultra-sentimentale o altro,non mi sembra proprio il tipo, sentimenti o no. In questo capitolo però avevo bisogno di farla disperare, perché per una persona che non ha mai provato nulla, ovviamente l'impatto con il dolore di chi ha perso un caro è brutto.
Per le sue allucinazioni/miraggi, non ho bene in chiaro come funzionino, ma mi piaceva l'idea di questa aria di sogno che spero di essere riuscita a creare, per rendere meglio sensazioni che magari sono difficili da scrivere.
Non credo di dover aggiungere altro.
Ringrazio tantissimo Manga_9000, Lirah e Night Fury96 per le loro recensioni troppo asdfhadfuhadusifh *sclera come un'esaurita* e quest'ultima per aver inserito la storia tra le preferite e seguite *cerca di far inginocchiare una montagna davanti a loro, ma una valanga la travolge*
Grazie mille, non sapete quanto mi fate felice :')
Poscio chiedervi una cocia? *occhietti da cucciolo*
Mi fate gli auguri? Devo andare a fare la scintigrafia renale e ho una paura matta D:
Mi devono mettere un liquido radioattivo nelle vene, e io ho paura, oltre che degli aghi, che mi spunti un terzo occhio in mezzo alla fronte :'(
Qualche incoraggiamento?



E niente, questa volta vi lascio con un'altra immagine di Fonhìas (il tatuaggio asdhaiu *^*) sempre nei panni di Nihal della Terra del Vento, ditemi che ne pensate :)

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Capitolo 8
*** Il Genio della Lampada ***


È ormai notte inoltrata quando riprendo conoscenza.
Mi alzo confusa e con la testa che pulsa come se volesse esplodere, sputacchio un po’ di sabbia e cerco di levarmela dai capelli, con scarsi risultati.
Ma cosa diavolo mi è successo?
Serro gli occhi e tento di ricostruire quanto accaduto dopo che ho voltato le spalle alle tre mastodontiche piramidi, col solo risultato di farmi aumentare l’emicrania.
La strana Sfinge con la testa di drago compare immensa davanti a me, ricordandomi il motivo per cui sono venuta nel Sahara... Mi sono persa, non riuscivo a trovarla. Ma come ho fatto a raggiungerla?
Una serie di immagini sconnesse e annebbiate mi invade il cervello: il caldo torrido che mi manda in confusione, le allucinazioni, io che svengo...
Ma cosa cavolo ho visto? Quelle benedette visioni mi hanno letteralmente mandata in tilt!
Scuoto la testa, ma me ne pento all’istante quando sento un martello pneumatico picchiarmi le tempie: ma dove sono le pasticche antidolorifiche quando servono!?
Mi spazzolo via la sabbia dai vestiti e sbatto più volte il mantello, poi me lo rimetto sulle spalle ed estraggo la spada per controllarne lo stato.
Assicuratami che tutto è a posto, mi decido finalmente a guardami di fronte. La Sfinge è altissima ed imponente, la testa di drago davvero ben fatta, sembra quasi vera e mette in soggezione con la Luna immensa e piena come sfondo, mentre le zampe anteriori da leone sono alte anche più di me.
Fischio impressionata e cerco di fare mente locale nonostante il mal di testa. L’ingresso dovrebbe trovarsi proprio davanti a me, tra le due inquietanti e artigliate zampe di roccia, e per aprirlo devo cercare un qualche sorta di meccanismo nascosto tra le squame della testa gigante.
Annuisco tra me e me e volo fino a ritrovarmi in groppa al caro bestione millenario, quindi prendo ad arrampicarmi sul per le scaglie della testa. Le studio una per una, percorrendole con le mani in cerca di qualche protuberanza che potrebbe nascondere un tasto nascosto o altro. Passo poi a cercare nella grande faccia del drago, analizzando gli occhi, i denti e le narici, ma senza trovare nulla.
Sbuffo scocciata e mi accorgo della nuvoletta di vapore che mi esce dalle labbra. Deve fare davvero molto freddo, ma io, come al solito, non lo avverto per niente.
Mi passo una mano tra i capelli e continuo la mia ricerca, passando alle corna ricurve e alle scaglie dorsali che procedono appuntite per tutta la colonna vertebrale, ma la ricerca continua ad essere pietosamente infruttuosa.
Alla fine sospiro sconsolata e mi rassegno a ficcarmi nella bocca spalancata del bestione. Va bene che è solo un ammasso di roccia dimenticato dal tempo, ma mette in soggezione l’idea di dovermi fare strada tra quegli spuntoni comunemente definiti denti!
Ringrazio il cielo quando la totale assenza di luce non ostacola per niente la mia perfetta visuale, o avrei mandato al diavolo il Genio e chiunque altro e me ne sarei andata da sola a cercare i Guardiani... Okay, spero davvero di non essere così sprovveduta.
Mi metto carponi e comincio a passare le mani dappertutto, maledicendo in tutte le lingue esistenti la totale assenza di possibili nascondigli per passaggi segreti o ingranaggi vari.
Mi viene quasi voglia di mettermi a ridere, quando finalmente premo un pulsantino invisibile alla base della gola e uno strano rumore all’esterno mi annuncia l’apertura di una porta.
Scendo con un salto e atterro di schiena alla Sfinge. Giusto il tempo di girarmi e una prima certezza riguardo quello che mi aspetta all’interno mi si fa strada nella mente: il Genio non ama i tappeti, ne è ossessionato.
Altrimenti dubito che avrebbe il coraggio di mettere almeno una trentina di quegli ammassi di stoffa sparsi per una sola stanza.
Mi preparo all’imminente crisi nervosa che sono sicura seguirà al mio incontro con lo Spirito ed entro.
L’aria è calda, diversi bracieri accesi sono sparsi un po’ dappertutto e un lieve strato di fumo nasconde il soffitto. Le pareti sono dorate e sorrette da strane colonne doppie e a spirale, con teste di felini feroci al posto dei capitelli, e l’aria è tipicamente araba.
Supero la stanza e raggiungo la porta in fondo, che mi dà accesso ad un cunicolo buio e lungo; il pavimento è ovviamente percorso da un tappeto scuro e sullo sfondo si intravede il rosso-arancione di altri bracieri.
Cammino con la mano ad impugnare l’elsa della spada, attorno a me un sacco di insetti zampettano inquietanti sui muri e ho l’impressione che ci siano dei pipistrelli attaccati al soffitto.
Il corridoio finisce e raggiungo una stanzetta con tre porte, una per ogni muro, e accanto ad ognuna strane armature che sembrano muoversi e seguire i miei movimenti si erigono argentee e dorate per il riflesso delle fiamme.
Mi guardo attorno, indecisa sulla porta da prendere per paura di perdermi, ma direi di non avere molta altra scelta che procedere a caso, cercando di ricordare ogni volta il tragitto percorso. Non sarà facile, ma non vedo mappe o indicazioni che potrebbero aiutarmi.
Potrei disegnare io stessa una pianta approssimativa del luogo, ma dovrei fare tante di quelle esplorazioni che, fino ad avere la certezza di potermi muovere alla ricerca del Genio, probabilmente Pitch avrà già trovato il modo di rimpiazzarmi.
Scelgo la porta a destra e incido con la spada un piccolo segno per ricordarmi la strada che ho preso, quindi faccio per avviarmi. Ovviamente sarebbe troppo facile procedere così, me ne accorgo quando sento quattro paia di occhi che mi squadrano minacciosi.
Sobbalzo e stringo la spada con tutte e due le mani. Attorno a me, i quattro cavalieri alias ammassi di metallo mi fissano con strane lucette laser che spuntano dalla visiera alzata dell’elmo.
Immagino che non abbiano intenzione regalarmi dei fiori e dirmi di fare attenzione durante il tragitto, vero?
Quasi mi viene voglia di mettermi ad urlare quando con rumori metallici cominciano a muoversi e a scendere dai piedistalli su cui si trovavano con tutta tranquillità e la flessibilità nei movimenti di una banda di robot con l’artrosi. Almeno posso sperare di riuscire a batterli, se combattono come camminano.
Mi circondano, io mi guardo intorno agitata per attaccarli al minimo segnale di pericolo, ma loro stanno fermi e mi fissano con quelle lucette rosse al laser che hanno al posto degli occhi.
Tendo le orecchie per evitare che mi sorprendano alle spalle e compio piccoli e lenti giri su me stessa con la spada alla mano.
Mi saltano addosso tutti e quattro nello stesso momento; io mi butto a terra con le ginocchia al petto e li sento cozzare tra loro sopra la mia testa.
Non si scoraggiano e tentano di afferrarmi, ma sono abbastanza veloce portarmi al sicuro in un angolo.
Respiro profondamente per calmarmi e mi impongo di non farmi prendere dal panico.
Loro si girano come se niente fosse e cominciano a venirmi contro con le braccia in avanti stile mummia.
Siamo nella patria delle piramidi, in fondo, no?
Mi accorgo con sgomento dell’agitazione che mi prende a vedermeli venire addosso, quando fino a qualche tempo fa non sapevo neanche cosa fosse la paura.
Stringo la spada e mi lancio in avanti, menando tre fendenti a tre diverse armature che, lente e impacciate, non hanno nemmeno il tempo di provare a schivarmi. Si sente il tonfo sordo dei due gambali e dell’elmo che ho mozzato che cadono sul tappeto.
Il cavaliere senza testa crolla in un ammasso di ferraglia, io mi giro e penso agli altri tre. Scatto e salto, in meno di un attimo si ritrovano senza gambe e cadono anche loro disfacendosi.
Non ho il tempo di esultare che qualcosa di freddo mi afferra una gamba e mi fa cadere sbattendo il naso sul tappeto che fortunatamente attutisce il colpo.
Scalcio e tento di liberarmi dalla presa ferrea dell’armatura, la colpisco sull’elmo e quella crolla all’istante in un insieme confuso di argento e oro.
Mi rialzo e mi guardo intorno, cercando di capire da dove è spuntata, ma vedo soltanto i quattro ammassi di metallo sparsi a caso nella stanzetta.
Respiro pesantemente per riprendere fiato, mi giro e pianto con violenza la mano sulla maniglia della porta che avevo scelto. Non riesco neanche ad aprirla, il rumore del metallo che cozza contro altro metallo mi costringe a girarmi inorridita.
Inutile dire che i cavalieri sono di nuovo intatti a fissarmi con gli occhietti rossi e inquietanti.
Mi trasformo in sabbia nera e li travolgo prima che possano fare nulla, ma si ricompongono di nuovo; tento ancora in tutte le maniere possibili, mozzo teste, gambe e braccia, ma loro continuano a tornare in piedi.
Maledizione! Ma come diavolo si sconfiggono questi cosi?
Guardo i bracieri, ma non serviranno a molto, a meno che non voglia dare fuoco all’intera Sfinge con me dentro, quindi mi scatto ancora e trafiggo di nuovo tre di loro, senza accorgermi del quarto alle mie spalle che mi afferra con tutte e due le braccia e mi immobilizza.
Mi agito per liberarmi, ma quello mi stringe ancora di più e mi mozza il respiro. La vista mi si colora di mille puntini rossi, annaspo alla ricerca d’aria e meno calci da tutte le parti per cercare di liberarmi.
L’assenza di ossigeno mi manda in tilt, continuo a muovermi in preda al panico, con il cuore che sembra volermi sfondare il torace.
Poi un gambale vola, e io mi ritrovo riversa a terra a cercare di non dare di stomaco e di farmi passare la paura. Mi porto una mano al petto, infuriata con me stessa per il grande terrore che non riesco a controllare, poi afferro una spada e stendo per l’ennesima volta le altre armature.
Calmati, Fonhìas, va tutto bene, stai calma.
Meno un pesante sospiro e mi massaggio le tempie con una mano, mentre con l’altra tento di reggere la spada e di controllare il respiro tenendola al petto nello stesso momento.
Alle mie spalle sento ancora i rumori metallici dei cavalieri che si ricompongono, ma li stendo tutti con un calcio prima che possano fare nulla. Quindi mi alzo, raggiungo la porta che avevo scelto e comincio a correre forsennatamente lungo tutto il corridoio, tirandomi il cappuccio sul viso nella speranza di non essere vista al buio che regna sovrano. Quando raggiungo il termine, mi trasformo in sabbia e mi avvicino allo stipite per vedere all’interno. Nessuno.
Mi ricompongo al centro di questo ampio salone respirando pesantemente, mentre realizzo quello che ho fatto: sono scappata davanti a un nemico. Io! Io che dovrei ridere in faccia al pericolo me la sono data a gambe!
Vorrei prendermi la testa tra le mani, mettermi a correre per allontanarmi maggiormente e tornare indietro a stendere le quattro armature tutto nello stesso momento.
Per non soffermarmi troppo sul miscuglio incredibile si emozioni che mi si ammassano nel petto e nel cervello, mi guardo intorno e mi scopro in una grande sala rettangolare, dai pavimenti talmente lucidi che un paio di occhi azzurri rispondo al mio sguardo ogni volta che abbasso la testa. Il soffitto alto è costituito da una volta a botte sorretta da diversi contrafforti addossati alle pareti laterali.
Sicuramente mi trovo sottoterra, mi è impossibile pensare che un posto così grande possa trovarsi in quella Sfinge che, per quanto immensa, non l’avrebbe mai contenuto.
Roteo la spada tra le dita e la rinfodero, continuando però ad impugnare l’elsa in caso di pericolo. Percorro il salone a passi svelti e silenziosi, col cuore che mi balza in gola ogni volta che sento un qualche rumore che possa essere riconducibile alle armature che vengono a prendermi camminando come robot, fino ad arrivare ad una porta che dà accesso ad una scalinata che sale e scende.
La guardo, indecisa sulla direzione da prendere, ma alla fine rinuncio a pensarci più di tanto e, memorizzando a dovere la strada e i dettagli del salone che mi lascio dietro, mi fiondo in discesa. Nuvolette di polvere si alzano ad ogni mio passo e mi fanno starnutire più e più volte, ma riesco ad arrivare intatta fino al pianerottolo successivo. Sotto di me si srotola una scala a chiocciola che credo raggiunga direttamente le viscere della terra.
Io decido di fermarmi qui e brucio in un solo scatto l’ennesimo buio, tetro e ‘intappetato’ corridoio, fino a ritrovarmi di fronte ad un’altra scalinata che procede verso il basso. Man mano che scendo il paesaggio cambia, le pareti piastrellate vengono sostituite da muri di roccia brulla, e, quando oltrepasso l’ultimo gradino, un’inquietante caverna gocciolante ha totalmente sostituito lo sfarzoso palazzo arabo in cui mi trovavo fino a poco fa. L’unico dettaglio che resta uguale è il tappeto per terra.
Ma mi spiegate a che scopo mettere quei rettangoli di stoffa in un buco scavato a caso nel terreno!? E che diavolo ci fa una caverna sotto la sabbia del Sahara!?
Sbuffo e scuoto la testa seccata, ma vengo bruscamente zittita dal branco di pipistrelli che mi vola sulla testa in un insieme di versi striduli e battiti d’ali. Mi abbasso e mi trattengo dal lanciare un urlo, rialzandomi solo quando il silenzio torna a regnare.
Riprendo a camminare e un senso immane di sollievo mi prende quando vedo una lampada d’ottone pendere da una stalattite ricurva.
Come ci è finita lì? Non ne ho la più pallida idea.
La afferro e la strofino come da tradizione, fino a che un vapore azzurrino non comincia ad invadere l’aria.
Una testa allungata sotto un turbante spunta dal nulla, assieme ad un busto massiccio e a due gambe tozze e vagamente sfumate, che si trasformano in nuvolette scure all’altezza dei piedi.
«Cosa tu vuole!? Tu è qui per rompere a me scatole, ya?»
Alzo gli occhi al cielo e mi trattengo a stento dallo sbattermi in fronte una mano. «Ho...»
«Tu ha tre desideri e deve muoversi a parlare, altrimenti io caccia e manda al diavolo, comprende, ya?»
Inarco un sopracciglio. «Eh?»
«Tu è Spirito di Pitch Black, ya?»
«No.» borbotto irritata, con una tale ironia nella voce che persino Sophie potrebbe percepirla.
«Ah... Allora mie informazioni mi avere tradito...» farfuglia tra sé e sé, portandosi una mano gigante al petto.
Ma a che razza di idiota sono venuta a chiedere aiuto!?
«E chi è tu?»
Quanto vorrei sbattergli un cinque in faccia! «Mi chiamo Fonhìas Oneyron e sì, sono uno Spirito di Pitch. Contento?»
«Cosa vuole tu?» fa ancora.
«Toglimi una curiosità: ma perché sei arabo e parli tedesco?»
Il Genio ci pensa su un attimo. «Io non parla tetesco.» annuncia. «Io conosce ya come unica parola, ma io parla cercando di imitare gente di teteschia perché io ama come loro parla ma non capisce loro lingua.»
Okaaaaay... «Sei strano.» decreto.
«Io ora fa te domanda, ya?»
«Ya...» sbuffo, sconsolata dalla lunghezza con cui si presenta questa sfiancante conversazione.
«Perché tu cerca di uccidere Guardiani?»
La domanda a bruciapelo mi fa letteralmente saltare per la sorpresa, spalancare gli occhi e boccheggiare alla ricerca d’aria e parole per diversi minuti, sotto il suo sguardo critico e marrone scuro.
«Non sa rispondere?» mi chiede, guardandomi da sotto le sopracciglia cespugliose e gonfiando le guance in maniera estremamente buffa.
Perché cerco di uccidere i Guardiani?
Perché non saprei cos’altro fare, perché non ho mai conosciuto altro che la guerra, perché morirei se non lo facessi.
Sono motivazioni abbastanza buone? A me sembrano patetiche e ingiustificate. Uccidere qualcuno perché non sapresti cos’altro fare nella vita.
Morire perché quel qualcuno morirebbe se non ti facesse fuori... È giusto? No. È la scelta infame di chi ha troppa paura di provare a cambiare il proprio destino.
Vorrei non essere così anch’io.
Non rispondo, resto rigida ad arrancare alla ricerca di una risposta diplomatica che mi tiri fuori dal pallone in cui mi ha mandata questa domanda, e il Genio deve accorgersi della mia confusione, perché scuote la testa e perde quella strana espressione vagamente svitata che aveva fino ad ora.
«Io spera solo che tu non ha ucciso Babbo Natale solo perché non sapeva cos’altro fare di tua vita.» mormora.
Il mio stomaco sprofonda con un tonfo a queste parole: effettivamente, con un accurato studio delle mie azioni, è esattamente quello che ho fatto.
North ha fatto davvero bene a risparmiarmi?
Scuoto la testa e non dico niente.
Poi il Genio riacquista la sua faccia da psicopatico privo di qualche rotella. «Allora? Tuoi tre desideri?»
Il brusco cambiamento del tono della conversazione mi lascia spiazzata per un attimo, poi cerco di ritrovare il mio solito cipiglio ironico per non sembrare più in difficoltà di quanto non sia. «Datti una mossa a spiegarmi le regole, o ti giuro che spedisco te e la tua lampada dentro al Vesuvio!»
A lui escono letteralmente gli occhi dalle orbite, se li prende in mano, li fa esplodere e poi se li fa ricrescere nel faccione allungato. «Tu è piuttosto aggressiva, ya.» mugugna.
«E tu la prossima vittima della mia aggressività se non la pianti con tutti questi ya!» ribatto.
«Io parla tetesco, non può non dire ya!» esclama lui offeso, incrociando malamente le braccia grosse.
Io lo guardo stizzita e aspetto che parli.
«Regole essere solite: tu non può far innamorare qualcuno di te, non può far tornare indietro da morte, né indietro nel tempo e tu non può usare desiderio per chiederne altri.»
Liquido la questione con un gesto della mano: non sono limitazioni che potrebbero mettermi in difficoltà, e, quanto alla questione dei tre desideri, mi saranno più che sufficienti.
«Allora, tuo primo desiderio?» Il Genio si stacca una mano da un polso, la spolvera con l’altra e poi se la rimette a posto, passando a fare la stessa cosa dall’altro lato.
Potete spiegarmi perché diamine l’Uomo nella Luna doveva scegliersi tutti quanti i più svitati per suoi Spiriti!?
Meno un pesante sbuffo e cerco di mettere a tacere l’indecisione e il senso di colpa prematuro per quello che sto per chiedere. Liberare Pitch significherà far sprofondare i bambini nel terrore, scatenare una nuova guerra che probabilmente vedrà i Guardiani sconfitti, e io di certo morirò comunque, se non perché non eseguo gli ordini, perché il mio signore non avrà più bisogno di me. Vale davvero la pena seminare l’inferno se la fine è in ogni caso già scritta?
Passo più e più volte le dita sull’elsa della spada, mordicchiandomi le labbra. No, non ne vale la pena. Eppure sono talmente terrorizzata dall’idea di sparire nel nulla... che farei qualunque cosa pur di ritardare quel momento.
Forse North ha sbagliato davvero: in me non c’è proprio niente da salvare.
«Desidero che tu rompa il sigillo che impedisce a Pitch di attaccare, così che lui possa tornare libero.» sputo tra i denti.
Il Genio mi guarda intensamente, di nuovo senza la sua espressione da pazzoide. «Tu è sicura di quello che sta per fare, ya?»
«Sì.» mormoro incerta.
«Sei davvero sicura, Fonhìas? Sei a conoscenza di quello che stai per fare? Lo vuoi davvero?» Lo sento parlare in maniera normale per la prima volta, il che significa che la sto combinando proprio grossa, se per farmi accertare delle mie stesse intenzioni il Genio ha deciso di mollare i suoi vari ‘ya’.
«Io non credo che lo voglia.»
Io salto e sguaino la spada, sorpresa oltre ogni dire di trovarmi Jack Frost spuntato dal nulla che mi fissa appeso ad una stalattite col suo bastone ricurvo.
Devo cominciare a sentire il freddo, non posso allarmarmi così ogni volta che vedo il ragazzo-candeggina a pochi metri da me!
«Che ci fai qui?» sbotto.
Lui ridacchia. «Che dirti... North non era in condizione di venire e Dentolina deve recuperare i vari dentini che si è persa, quindi non potevamo mandare nessuno dei due. Calmoniglio ti avrebbe ammazzata all’istante, mentre con Sandman sarebbe stato complicato ascoltare quello che aveva... ehm... da dire.» mi illustra tranquillamente. «Dunque sono dovuto venire io a recuperarti.»
«Illuminante.» commento, inarcando un sopracciglio. «E cosa avreste da dirmi?»
Lui si scompiglia i capelli bianchi. «Nulla di che, in effetti. Solo che non dovresti realizzare il tuo desiderio.»
Io mi giro di scatto verso il Genio. «Ma tu non dovevi esaudire le varie richieste senza battere ciglio e senza fare domande!?»
«Solo con umani, quando loro potere ancora vedere me.» dice. «Con Spiriti è diverso, ya.»
Magnifico!
Torno a guardare Jack Frost, sorprendendomi quando lo vedo perfettamente a suo agio, con il suo solito mezzo-sorriso in faccia. Solo gli occhi sono stranamente malinconici. Mi domando cosa lo spinge a non attaccarmi, perché tenta in tutti i modi di evitare lo scontro con me limitandosi a chiacchierate brevi e ambigue.
«Credi che rinuncerò a liberare Pitch?»
Lui scuote la testa. «No. Voglio solo sapere perché lo fai.»
Non lo so perché! Smettetela di chiedermi il perché di tutto! «Non ti interessa.» rispondo, gelida.
«E invece mi interessa eccome! Dalla tua scelta dipenderà la felicità di milioni di bambini, e non mi sembra il caso di far soffrire così tanto degli innocenti solo perché non hai idea di quello che stai per fare.»
L’eco accompagna le sue parole, e ogni mia certezza crolla del tutto.
Il Genio ci guarda confuso e si passa una mano dietro al turbante. «Io è di troppo, ya. Chiamate me quando sapere cosa fare.» E in una nuvola di vapore torna nella lampada che cade a terra tintinnando.
«Perché non mi uccidi, dannazione!? Sarebbe tutto più semplice, per me e per voi!» In realtà non credo in quello che ho detto.
«I Guardiani non sono assassini, Fonhìas.» mi risponde Jack, scendendo a terra e ghiacciando all’istante il pavimento su cui poggia i piedi scalzi. «Anche con Pitch... I miei compagni tentarono di salvare anche lui, ma lui non voleva essere salvato.»
«Che significa?»
«Davvero non conosci la sua storia? Non sai com’è nato l’Uomo Nero?»
Scuoto la testa confusa. Cosa vuol dire? Pitch era altro prima di essere la fonte della paura e degli incubi dei bambini?
«Allora non sta a me raccontartela.» mi dice. «Ti basti sapere che i Guardiani provarono a salvarlo, perché lui non era perduto, e tu neanche. Pitch Black è sempre stato il più grande rimpianto di North e gli altri, per questo lui ti ha risparmiato... perché non voleva commettere due volte lo stesso errore, per riparare ad uno sbaglio che è costato caro tanto a lui quanto a Pitch.»
«Lui ha detto che i Guardiani gli hanno tolto tutto...» mormoro, con un uragano di sensazioni in petto che mi sembra di impazzire.
«La storia è un po’ più complicata di così.»
«Ma io...»
«Maledizione, Fonhìas!» perde le staffe lui. «Credi forse che una guerra sia roba da niente!? Credi che sia giusto far soffrire la gente per un motivo che nemmeno tu conosci!?»
Stringo l’elsa della spada e mi preparo ad estrarla. «Tu non capisci!» urlo, stringendomi i capelli con una mano.
«Sei tu che non capisci...»
Mi scaglio contro di lui e tento di colpirlo con un affondo, ma Jack para il colpo col suo bastone magico, ricoprendomi la spada di brina laddove le due armi hanno cozzato. Provo di nuovo, ma continua a fermarmi.
Sopra di noi, le stalattiti tremano furiosamente, testimoni pericolose del nostro scontro.
La caverna si ricopre di neve che ci vortica attorno, le mani e il mantello mi si ricoprono di un lieve strato di ghiaccio.
Lo Spirito della Neve si difende alla perfezione, con il viso determinato e l’aria di chi sa quello che fa. Tutto il contrario di me, insomma.
Tento un ultimo disperato affondo, lui para prontamente e mi immobilizza contro una parete, l’uncino del suo bastone sotto il collo.
Sento lo stomaco spappolarsi e l’aria mancarmi dai polmoni. Mi agito e cerco di liberarmi. «Lasciami andare!»
«Perché lo fai?» mi domanda ancora.
Smetto di lottare e mi accascio contro il muro di roccia. «Io sono una sua creatura, una creatura di Pitch. Se lui non mi vorrà più, sparirò nel nulla.» rivelo infine, sconfitta e stanca.
Jack Frost inarca le sopracciglia e mi fissa strabuzzando gli occhi azzurri. Non se lo aspettava.
Mi lascia andare e si allontana da me, guardandomi sconvolto con la schiena al soffitto della caverna.
Io cado con un tonfo sordo, accompagnata dall’eco tintinnante della spada. «Se non lo libero sparirò soltanto con qualche giorno di anticipo, in fondo la mia fine è già segnata.» Tanto ormai...
Lo Spirito della Neve mi guarda, prima intensamente e poi con gli occhi vacui, come se stesse sovrappensiero e non mi vedesse davvero. «Allora questo cambia le carte in gioco.» mormora, sorridendo amaramente.
Anche io gli mostro lo stesso sorriso.
Prende la lampada, la strofina e guarda il Genio con occhi determinati e sicuri. «Sì, lo vuole.» decreta. «Desidera che il sigillo su Pitch Black sia rotto.»
Il Genio spalanca la bocca e la mascella gli arriva letteralmente a toccare il pavimento. «Ma... davvero?»
Questa volta sono d’accordo con lui, mi volto verso il Guardiano con espressione stravolta.
Jack annuisce sbrigativo «Sì. Forza, che aspetti?»
«Ya, ya.» Fa spuntare dal nulla un libro grande almeno quanto lui, lo sfoglia distrattamente mormorando frasi in arabo, poi le sue mani cominciano a brillare.
«Abbra Kadabra!»
Non succede niente.
«Forse non era così, yaya.» fa, confuso. «Avada Kedavra!»
Ancora nulla. Io e Jack ci guardiamo con le sopracciglia aggrottate.
«Apriti Sesamo!»
Poveri noi!
«Va bene, basta, ya!» Muove appena lei dita e un vapore colorato e brillante ne fuoriesce.
Il pavimento trema. La temperatura scende ancora di più. Una consapevolezza agghiacciante scende nella grotta...
Pitch Black è tornato.
«Che cosa hai fatto, Jack!?» urlo.
Il ragazzo mi guarda col suo solito mezzo-sorriso. «Continui a non capire: i Guardiani non vivono a spese degli altri. Non terremo imprigionato Pitch a prezzo della tua vita, non siamo così meschini e codardi. Se è la guerra che vuole, l’avrà. E noi vinceremo.»
Frantuma a terra una sfera di neve e un portale per la Conigliera si apre.
«E i bambini?»
«I bambini... li proteggeremo. Gli incubi dovranno passare su di noi prima di avvicinarsi a loro.» afferma. «Giusto per darti un consiglio,» dice poi. «fossi in te cercherei di scoprire qualcosa in più sul padrone che segui con tanta fiducia, Pitch nasconde molto più di quello che sembra.»
Ma di cosa sta parlando? «E come faccio, scusa?»
Lui mi risponde con un ghigno, ed entra nel portale prima ancora che possa pensare di costringerlo a rispondermi, lasciandomi da sola con un mare di domande e un’immensa gratitudine per avermi salvato la vita. Morirò comunque, ma è piacevole sapere che qualcuno ha provato ad evitarlo...
«Ragazzino pallido è tutto svitato, ya?»
Fisso il Genio. «Ya...» sussurro sconfitta.

[Stai attento alla verità,
perché sarà sempre l’unica cosa
che non vorrai mai davvero scoprire]









***









Okaaaaaay...
*la popolazione mondiale al completo cerca di strangolarla*
Fermi! Posso spiegare!
*tutto il mondo scoppia a ridere*
Dico sul serio!
Diciamo solo che, come Night Fury96 mi ha fatto giustamente notare, Jack Frost è decisamente troppo gentile con la nostra Fonhìas. Al di là del fatto che i Guardiani non uccidono, dubito che avrebbe davvero messo così in pericolo i bambini. Effettivamente, dietro al suo comportamento c'è molto più di quello che sembra. Dubito potrete indovinare cosa, credo che la mia mente bacata sia anche troppo cattiva per permettervi di interpretare le mie intenzioni u_u
Naaaaaaaah, scherzo. Tranne sul fatto che Jack non è un idiota e che davvero nasconde qualcosa, come la frase a fine capitolo già annuncia.
Via alle scommesse lol.
Altra precisazione, le mummie compariranno nel prossimo capitolo, in effetti non dovevano esserci le armature qui, cronologicamente e geograficamente, ma che dire... Tutto si spiegherà! Anche se questo non è un dettaglio chissà quanto importante.
A parte questo, amo il Genio. Non lo so, vorrei spupazzarlo! Inutile dire che, anche se l'ho descritto in modo del tutto diverso, me lo sono immaginata come quello della Walt Disney X'D
Dal punto di vista stilistico, questo cap non mi piace molto, mi sembra a scatti, preferisco gli altri, ma non sono riuscita a sistemarlo :/ Vi assicuro che il prossimo verrà meglio.
Il prossimo capitolo è già in fase di scrittura, arriverà entro venerdì, credo, spero che qualcuno vorrà leggerlo per sapere come va avanti la storia :)
Ringrazio Night Fury96, Manga_9000, Lirah, BeyonBday, dianadreamer e pheiyu per le loro mitiche (cit: Homer Simpson) recensioni, DarkshielD per averla aggiunta tra le preferite e Frost__confined life per averla messa tra le seguite (non ho dimenticato nessuno, vero?)
*si mette ad inchinarsi di qua e di là al loro cospetto*



E niente, vi lascio con il Genio e i suoi amati tappeti :*

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Capitolo 9
*** Il Dungeon Sotterraneo ***


Arrampicarsi sugli specchi alla ricerca di qualcosa che non sai nemmeno cos’è è decisamente difficile e idiota, anche se nel mio caso necessario.
Perché sto seguendo il consiglio di Jack Frost e andando a caccia di una verità di cui non sapevo neanche l’esistenza? Per il semplice fatto che voglio sapere se vale davvero la pena morire per Pitch Black, o se dovrei provare a fermalo.
Chiamatela curiosità, stupidità, inutile testardaggine o quant’altro, ma credo che cercare le risposte che potrebbero darmi una spiegazione sui motivi che hanno spinto il mio signore a crearmi sia tutto quello che devo fare al momento.
Potrei chiedere al Genio di darmi una mano, in fondo ho altri due desideri, ma trovo che sia decisamente meglio conservarli per qualcosa di più utile. Del resto, liberando Pitch dal suo sigillo, ho guadagnato anche abbastanza tempo da poter cercare tutte le risposte che voglio.
Si è scatenato l’inferno da quando l’Uomo Nero è tornato.
Sono passati appena cinque giorni e su Burgess alleggia un’aria tesa e un silenzio innaturale, sotto un cielo grigio e troppo cupo.
Non ho più saputo niente dei Guardiani, non so cosa Jack Frost abbia detto loro, ma non mi hanno cercata per tentare di punirmi per aver liberato il mio signore, né mi hanno dichiarato scontro aperto per la mia natura di suo Spirito.
Non so neanche come procede la guerra, non so se stanno vincendo o soccombono uno dopo l’altro sotto l’avanzata degli incubi. Tutto quello che posso dire è che i bambini perdono fiducia a vista d’occhio, sprofondando nel terrore e con una tale disillusione negli occhi che comincio a capire l’importanza delle Leggende nelle loro vite...
Loro erano la prova tangente che nella vita tutto è possibile, e quando il ritorno di Pitch ha fatto sì che Sandman non riuscisse più così tanto a farli sognare, o che Dentolina e fate ritardassero nella consegna delle monete, si sono visti sballottati in un mondo adulto che non avrebbero dovuto scoprire così presto.
Devo darmi una mossa a scoprire la verità, o potrei ritrovarmi nel pieno di una crisi esistenziale degna di un filosofo greco! E non credo che mi converrebbe...
Scuoto la testa e abbasso lo sguardo sulla strana mappa che ho disegnato nel corso di questi cinque giorni, inarcando un sopracciglio e sbuffando irritata per quell’insieme di strisce nere che dovrebbero rappresentare l’intricato dungeon sotterraneo che devo visitare. Ma i Maya non potevano evitare di complicarsi la vita a questo modo!?
O erano totali imbecilli, o non erano del tutto sani di mente. Non saprei in che altro modo definirli...
Bah!
Mentre io sono una povera masochista, se decido di buttarmi volontariamente in posti del genere. Direi che andiamo di bene in meglio!
Però questo dungeon mi è sembrato la soluzione migliore... Sinteticamente, i Maya non erano soltanto dei poveri idioti, ma anche una società incredibilmente sviluppata di cui tutt’ora non si sa nulla, tanto che l’Uomo nella Luna decise di tentare un approccio diretto con loro e, perciò, li omaggiò con uno dei suoi tanti gingilli magici: il Pendente d’Argento.
È una collana che contiene dieci perle dentro un unico ciondolo a goccia, e in ognuna di queste perle è conservata una piccola parte del potere di Manny.
Secondo la leggenda, queste parti, che venivano chiamate Frammenti di Stelle, potevano essere usate una volta soltanto e davano l’opportunità di guardare avanti e indietro nel tempo. È così che quei poveretti hanno scoperto che il mondo sarebbe finito, ma credo che abbiano sbagliato qualcosa con i calcoli, perché hanno anticipato la data di circa...
Okay, credo che abbiano semplicemente preso un granchio. Alla faccia del popolo ultra-sviluppato!
Comincio seriamente a pensare che l’Uomo nella Luna per scegliere i suoi eletti si limiti a prendere tizi a caso nel mondo e a strappare i petali da una margherita, magari aggiungendoci anche qualcosa del tipo: ‘lo scelgo’, ‘non lo scelgo’.
Forse i Maya hanno semplicemente usato un Frammento di Stella per vedere come è nata la Terra e hanno frainteso tutto quanto, pensando forse che così la Terra sarebbe finita.
Ma, tralasciando la confusione che annebbiava la mente di quelli là, direi che il Pendente d’Argento fa al caso mio. Dovrebbero esserci anche un paio di Frammenti ancora inutilizzati che mi permetteranno di scoprire la verità che cerco.
Ovviamente l’esistenza di questa portentosa collana è segreta a praticamente tutto il mondo, Guardiani compresi, ma per me scoprirla è stata un gioco da ragazzi...
Dopo che Jack Frost se n’è andato, io e il Genio siamo rimasti nella Sfinge, e quello, con frasi mezze-incomprensibili e una marea infinita di ‘ya’, si è messo a raccontarmi la storia della sua vita, dicendomi di aver scoperto l’esistenza di questo dungeon e della collana. Non chiedetemi perché lui per primo non l’ha usata perché non lo so!
Diciamo che questa è stata l’unica parte che sono riuscita a comprendere, assieme a quella in cui raccontava dell’immenso piacere che provava quando, in vita, realizzava i desideri della gente.
Che dire... il lupo perde il pelo ma non il vizio.
Ma il Genio mi è stato molto utile; mi domando se mi abbia appositamente spifferato tutto riguardo a questo posto, o se semplicemente aveva una voglia matta di parlare al mondo di quanto fosse ‘il tetesco arabo migliore di mondo, ya!’. Parole sue, non mie.
Concludendo, dopo una lunga serie di piccole escursioni nel corso di cinque giorni, mi trovo al primo piano sottoterra del dungeon Maya, alla ricerca del Pendente d’Argento.
Sono abbastanza sicura di avere tutto il tempo del mondo per esplorare questo labirinto, Pitch dovrebbe cavarsela benissimo senza di me contro i Guardiani, ma non oserà distruggermi, perché sono la sua garanzia, l’arma che potrà usare nel caso qualcosa andasse storto.
Mi guardo intorno, nel corridoio stretto che si districa da tutte le parti in un asfissiante insieme di cunicoli squadrati di pietra chiara e finemente lavorata con disegni e incisioni e l’edera che si arrampica sui bassorilievi. Qui dentro tutto trasuda mistero, una strana aria ancestrale rende difficile respirare, mentre in testa ti resta il pensiero che il luogo che stai visitando è rimasto nascosto e inviolato per più di tremila anni...
Ghigno soddisfatta e mi scompiglio i capelli con una mano, abbassandomi poi il cappuccio dal viso, sicura di non averne bisogno. Questa volta non sono spaventata, solo emozionata e determinata a venire a capo di tutta questa storia.
Memorizzo in fretta il percorso da seguire e metto via la mappa, avviandomi a passo svelto.
Credo che il labirinto si districhi sotto terra per almeno dieci piani, ma io ho la mappa solo dei primi cinque. Non ho intenzione di continuare con le esplorazioni, se andassi avanti così raggiungerei l’ultimo piano nel giro di un centinaio di anni, dunque ho deciso di disegnare man mano le varie mappe, arrangiandomi come meglio posso e cercando di non perdermi.
Giro prima a destra e poi a sinistra, mentre nel silenzio assordante rimbomba il rumore dei miei passi sul pavimento di mattoni, muovendomi girando la testa da tutte le parti, incuriosita e vagamente inquietata dalle scene e dai motivi che si susseguono sulle pareti.
Sono davvero strani, e non sono ancora riuscita a capire il loro significato...
A volte sono donne che camminano in fila, altre volte uomini che combattono e altre ancora scene di vita quotidiana. Potrebbero sembrare semplici ornamenti, ma c’è qualcosa di misterioso che mi suggerisce che ho a che fare con qualcosa di più.
Passo la mano sui bassorilievi di una serie di simboli, una successione di tre foglie, due fiori e un piccolo sole, aggrottando la fronte nel tentativo di spiegarmi il motivo di questa strana sensazione.
Alla fine mi schiaffeggio il viso per darmi una regolata e mi impongo di non farmi condizionare dall’alone di mistero che alleggia qui dentro e che mi sta sicuramente dando alla testa.
Continuo dritto quando un incrocio mi si para davanti, quindi giro a sinistra per due volte, ritrovandomi a procedere parallelamente al corridoio che stavo percorrendo poco fa.
Alzo lo sguardo al soffitto ricoperto di edera e inarco un sopracciglio quando lo vedo percorso da strani simboli che mi ricordano tanto delle lettere... Non li avevo notati nei precedenti viaggi.
Sembrano un alfabeto...
Ridacchio, divertita dall’assurda quantità di film mentali che mi sto facendo per un paio di disegnini e accelero il passo.
Raggiungo le prime scale e le scendo in fretta, ritrovandomi in un ambiente molto simile al primo, con le stesse strane rappresentazioni sui muri, con l’unica differenza del pavimento rosso come il sangue e le pareti color terra, in netto contrasto con le rocce bianche del piano precedente.
Qui l’aria puzza di chiuso e l’edera si arrampica da tutte le parti fino a nascondere quasi del tutto i muri, tanto che, per trovare le scale successive, ho dovuto liberare un passaggio quasi del tutto ostruito.
Consulto la mappa e memorizzo di nuovo il percorso, avviandomi spiccia verso il corridoio a sinistra che mi porta in un salone enorme da cui partono altri otto cunicoli. Questo posto fa un certo effetto... visto con l’eterna penombra che ricopre il labirinto sembra un’immensa piscina di sangue. Mi aggiro attorno ai pilastri distribuiti su due file da quattro che reggono il soffitto e prendo il secondo cunicolo a sinistra, quindi seguo il corridoio per un paio di svolte e poi cambio strada. Supero dunque una fila di incroci camminando sempre dritto, fino a raggiungere il corridoio parzialmente nascosto dall’edera che si arrampica da una parete all’altra. In mezzo si vede il lavoro svolto dalla mia spada, che mi permette di vedere il buio cupo dello sfondo.
Mi faccio strada tra le poche foglie penzolanti con una mano, guardandomi intorno e studiando con attenzione le tre donne ricoperte di gioielli che sembrano fissarmi con fare inquisitorio, tentando di auto-convincermi che sono solo sculture e non mi stanno facendo il terzo grado con lo sguardo.
Dannazione! Ma l’edera non poteva coprire anche loro!?
Subito dopo si vede un uomo che uccide suo figlio, seguito a sua volta da una serie di scene macabre che l’edera e il rosso del pavimento rendono ancora più terribili.
Distolgo lo sguardo e lo pianto dall’altro lato, dove luna, sole, stelle e un sacco di fiori diversi si susseguono senza il minimo senso.
Scuoto la testa e mi ripeto più e più volte che i Maya dovevano essere solo dei tipi strani a cui piaceva confondere la gente con inquietanti ornamenti, finendo per impugnare involontariamente la spada.
Accidenti! Ci mancava anche l’ansia da ‘aiuto! Mi trovo in un posto che non ha mai visto nessuno e ci sono le pareti che mi fissano!’. Magnifico!
Raggiungo le scale successive e scendo in fretta, riconoscendo le pietre azzurre del pavimento del nuovo piano, che, principalmente, è fatto di acqua.
Man mano che scendo diventa tutto sempre più buio, ma che dire... sono stata creata dal signore dell’oscurità, se non vedessi bene io...
Qui si mantengono le scene di vita sui muri, ma gli ornamenti floreali vengono sostituiti da vari tipi di pesci, la maggior parte dei quali non sapevo neanche esistessero.
Il pavimento si interrompe in fretta, lasciando il posto ad un corso d’acqua che si addentra per i corridoi lambendo appena le pareti, non a sufficienza da poter intaccare l’inquietante bellezza degli affreschi.
Mi alzo in volo e procedo con gli stivali di cuoio a pelo d’acqua, facendo appena rumore.
Seguo con lo sguardo un gruppo di delfini che si rincorrono sul bassorilievo del soffitto e giro a destra un paio di volte, fino a raggiungere l’incrocio successivo e guardarmi intorno confusa.
Estraggo la mappa e la studio, quindi giro a destra e proseguo dritta.
C’è qualcosa di estremamente strano nel camminare in questo posto, che sembra così tanto una bolla senza tempo che tremila anni non hanno minimamente intaccato, qualcosa di così bello al pensiero che stai camminando nel luogo che più si avvicina alla magia... che ti toglie il fiato.
Ridacchio divertita e continuo a camminare, per niente preoccupata per il fiumiciattolo che scorre sotto i miei piedi: ho attraversato questo piano diverse volte e posso dire con fermezza che non c’è un’anima viva ad abitarlo. Del resto, con la presenza minima di ossigeno, non vedo come potrebbe...
Qui il muschio si aggiunge all’edera, che si fa molto rada e in diversi punti inesistente, e l’aria comincia davvero a farsi pesante.
Seguo il corridoio, giro prima a destra e poi a sinistra, fino a raggiungere un salone mezzo sommerso con il soffitto ricoperto da stelle marine e una varietà infinita di conchiglie. Scanso di lato i pilastri che anche qui svettano spuntando fuori dall’acqua e raggiungo la scale che si vedono in fondo, dove un gradino impedisce al fiume di raggiungere il piano inferiore.
Scendo con la mappa in mano e raggiungo il piano della trappole. Dovrò stare attenta a come mi muovo, qui il minimo spostamento d’aria farà scattare meccanismi che mi prevedono infilzata come uno spiedino.
Guardo in avanti e intravedo al buio le spade che infilzano le teste di alcune bambine ricoperte di fiori, con il viso sfregiato dalle armi che le fa sembrare terribilmente sofferenti.
Questo piano l’ho visitato solo due volte, ma ho cercato di rimuovere più trappole possibili, per evitare di arrivare al Pendente d’Argento priva di qualche organo interno e con la testa sottobraccio.
Mi avvio veloce, supero la prima serie di corridoi e raggiungo un incrocio, ma ho la splendida idea di beccare in pieno un punto del pavimento che si rivela un bottone e devo buttarmi a terra per evitare di prendere in pieno due palle spinate.
Non so perché ma ho l’impressione di aver appena rischiato l’osso del collo...

Inclino il busto di lato e meno un fendente obliquo, decapitando l’ennesima mummia che sta cercando di uccidermi.
Ma dico io: è mai possibile rischiare di venire ammazzati da questi cadaveri ambulanti che, di grazia, dovrebbero vivere ovunque meno che in Messico!?
Oddio, bisogna sempre considerare il fatto che ho trovato delle armature medioevali in una Sfinge egizia con un Genio arabo che parla tedesco, ma così è troppo!
Un’altra mummia mi attacca alle spalle, io mi giro veloce e la trafiggo al petto, ma subito una sua compagna mi afferra per il polpaccio e mi fa cadere di faccia in terra, svuotandomi i polmoni dall’aria necessaria per imprecare.
Mi rialzo barcollante e con la vista punteggiata di stelline rosse, cercando di riacquistare l’equilibrio e guardandomi intorno alla ricerca di quegli odiosi ammassi di bende, fino a quando uno di loro non tenta di afferrarmi per il cappuccio del mantello, ritrovandosi presto senza una mano. Ansimo e cerco di contare il numero di mummie con cui ho a che fare... Troppe, accidenti!
Avrei preferito un labirinto infinito in cui invecchiare e impazzire, piuttosto che questo salone immenso e brulicante di possibili assassini!
È così che questo piano mi si è presentato, quasi come se mi volesse urlare: «Vieni, cara, le scale sono qui tutte per te, devi solo raggiungerle senza farti ammazzare dai nostri tantissimi relitti umani che tenteranno di stordirti con i loro aliti paurosi.»
Nulla di più facile, insomma!
Il punto è che le mummie, cronologicamente e geograficamente, qui non dovrebbero proprio esserci!
Ma credo che avrei dovuto aspettarmi qualcosa del genere dall’Uomo nella Luna dal momento in cui si è scelto come Spirito quell’idiota del Lupo Cattivo.
Mi butto a terra per evitare di essere acciuffata da tre diverse paia di braccia e scalcio per azzoppare tutti i cari fossili nel mio raggio d’azione.
Devo solo ringraziare il cielo che sono lenti, stupidi e probabilmente anche ciechi e sordi, altrimenti dubito sarei riuscita a fronteggiarne tanti nello stesso momento. Però non reggerò a lungo, devo darmi una mossa!
Trapasso una mummia e mozzo il braccio ad un’altra, quindi mi metto a correre forsennatamente facendomi strada con la spada, mentre loro sembrano fissarmi come se non sapessero che fare...
Sono talmente presa dal guardarli di rimando, che non mi accorgo di finire addosso ad un ammasso di bende che mi prende per i capelli con una mano fetida e me li tira tanto da farmi lacrimare gli occhi.
Mi solleva con una forza che non credevo possibile, facendomi urlare e scalciare per liberarmi.
La spada mi cade di mano, le mummie mi si accalcano attorno e mi soffocano. Io continuo a gridare e ad agitarmi, con il cuore che sembra volermi fracassare il petto e l’adrenalina e la paura che mi fanno muovere sempre con maggiore forza della disperazione.
Afferro il polso scarno e bendato della mummia e tento di farle allentare la presa dalla mia testa, ma quella mi scrolla come se fossi un oggetto ed è come se mi conficcassero un pugnale nel cranio.
Vedo due mani stringersi da dietro attorno alla mia gola, e il panico mi porta ad agitarmi ancora di più.
La vista mi si annebbia, sento le tempie scoppiarmi.
Il buio comincia a calarmi sugli occhi...
Poi la presa sul collo si allenta, la mano che mi stringe i capelli mi lascia andare.
Io cado tossendo e sputacchiando, con una mano sul petto a cercare di controllare i respiri veloci.
La vista mi si snebbia, permettendomi di cercare la spada con una mano e guardarmi intorno cercando di capire come ho fatto a salvarmi. Mi vedo una gamba sporca di sangue, e mi sorprendo della forza con cui scalcio quando vedo lo squarcio tra le bende della mummia che mi aveva afferrata.
Non ho tempo di ragionare su nient’altro, una folla immensa cerca di soffocarmi; io mi alzo e corro via, con le gambe che filano velocissime e bruciano per lo sforzo mentre decapito mummie su mummie con la spada nerissima.
Le vedo tentare di afferrarmi ancora, io mi abbasso, salto, scanso di lato e mi difendo con la spada, con i polmoni in fiamme che non riescono ad incanalare abbastanza ossigeno, fino a quando un altro bestione bendato non mi si para davanti.
Lento nei movimenti, muove le braccia in avanti per togliermi la spada di mano, ma questa volta non mi lascio sorprendere e gli taglio la testa con un fendente secco.
Crolla in un ticchettare di ossa, io lo supero con un salto e mi getto giù per le scale che mi si parano davanti come un’apparizione divina.
Brucio gli scalini e raggiungo il nono piano, mentre il silenzio scende finalmente a liberarmi delle mummie.
Lascio andare la spada e mi getto a terra, respirando forte e con la testa che pulsa tremendamente.
Guardo il corridoio scuro che mi si apre davanti e cerco di calmarmi. La paura passa lentamente, assieme all’ansia, il panico ci mette un po’ di più a lasciarmi respirare decentemente.
Mi alzo, recupero la spada e mi metto in posizione di guardia davanti al cunicolo rosso che si muove piano davanti ai miei occhi. Sbaglio, o il labirinto respira!?
Scuoto la testa e fisso incuriosita le pareti apparentemente gommose, dove i bassorilievi e gli affreschi sono stati sostituiti da altrettanto strane incisioni raffiguranti le solite scene di vita e i soliti simboli affiancati a caso. Questa volta sono disegnati un sacco di animali diversi, alternati a svariate e inquietanti ossa.
Sono al nono piano sottoterraneo; ormai sembra di essere nelle viscere della terra...
Passo il palmo sulla parete a destra e decido di procedere senza mai staccarla, preparando il carboncino per annotare i miei spostamenti sulla mappa.
Il pavimento è costituito dallo stesso materiale gommoso dei muri e del soffitto, e sembra che faccia su e giù ad ogni mio passo, ondeggiando in maniera inquietante.
Cammino per un pezzo di strada, disegnando ogni curva o incrocio, e seguo con le mani le incisioni che anche qui sembrano nascondere molto più di qualche viso intagliato. Passo una donna che ride felice e un gruppo di bambini che si rincorrono, sul soffitto mi sovrasta una lunga serie di ossa e animali che vanno dai mammut ai cervi, mentre dall’altra parte mi guardano con una muta accusa negli occhi incisi tantissimi uomini con coltelli e armi di ogni tipo piantati nelle spalle e nel petto.
Davvero, non pensavo che qualche popolo potesse avere un’arte così sviluppata.
La scene si fanno sempre qui inquietanti: donne che scappano, bambini con l’espressione congelata in urla di terrore, uomini che combattono con spettri incorporei che li avvolgono, persone riunite che cercano di proteggersi da chissà quale minacci, e paura... ovunque. Nei loro occhi, nei loro gesti; sembrano così espressivi, così spaventati... che significa?
Distolgo lo sguardo e mi metto a correre veloce per i corridoi, rinunciando ad annotare alcunché sulla mappa.
Questo posto mi sta stretto, mi sembra di soffocare.
Inciampo sul pavimento che continua ad ondeggiare, urlo, cado. Una donna che grida e cerca di difendersi da qualcosa che non vede mi fissa con occhi sgranati, la sua espressione mi costringe a ritrarmi involontariamente.
Mi alzo e cerco di calmarmi.
Davanti a me si staglia un altare finemente lavorato, scintillando rossastro assieme alle pareti, con una teca di vetro a proteggere il segreto di questo labirinto.
Mi avvicino emozionata e tiro un sospiro di sollievo, prima di inarcare un sopracciglio confusa.
La teca non nasconde il Pendente d’Argento, ma un foglio scritto con caratteri impossibili.

Fv t idaadrdft iv prlmodot, df qtgml sh gdpqton rct iluoteet otpqvot qvft. Ptd pdrspl id nstffl rctpqvd mto avot?
Ptd aooduvql adhl v nsd hlhlpqvhqt qsqqd d qthqvqdud id udv.
Nstpqsl t f’sfqdgl vuutoqdgthql. Pt uloovd vhivot vuvhqd, d idptbhd qd putftahhl d ptbotqd itf fvedodhql.



Ma che diavolo...!?







***









BuonSalve Mondo Bello, come andiamo?
*il Mondo la guarda stranito e corre a nascondersi*
Questo è il mio nono capitolo, gente! Mamma mia, mi sento così gasata!!!
Tipo che allo scorso capitolo mi sono dimenticata di lamentarmi del referto delle analisi >:( Il risultato è stato ottimo, non ho il minimo problema, anzi i miei reni sono perfettissimi, ma i medici hanno sbagliato a scrivere: il referto delle analisi, è stato.
Dico io, vi rendete conto!? Con tutto il rispetto, ma siete medici, separare il soggetto dal verbo non mi pare un errore che dovreste fare! Cavolo! E' il peggiore affronto per la lingua italiana!!!
Okay, sfogo finito, perdonate lo sclero.
Passiamo al capitolo: ditemi quello che volete, ma mi piace da morire :D
Forse non è 'sto granché, magari è scritto male, però era da tempo che volevo descrivere un labirinto. Pensavo sarebbe stato semplice, e invece si è rivelato molto impegnativo, dunque sono soddisfatta del risultato.
L'arte Maya non è esattamente quella che ho descritto, ma, visto che su di loro si sa poco e niente, mi sono ingegnata da sola e mi sono divertita a creare immagini che spero siano risultate un minimo inquietanti lol.
Ringrazio tantissimo Night Fury96, BeyonBday, Lirah e EclipseNova_98 per le loro recensioni da sclero, quest'ultima per aver aggiunto la storia tra le preferite e seguite e New Moon Black per averla inserita tra le ricordate.
Non sapete quanto vi posso amare, bellezze u_u
Infine ho due annunci importanti da fare:
1) per quello che vi può importare del mio vocabolario, il termine 'tontolotto' gentilmente suggerito dalla cara Eclipse diventerà la mia filosofia di vita assieme a 'stolkerare' (diritti d'autore a me e a Lirah u_u);
2) parto. Sto via per tre settimane per una vacanza in solitaria, scaricando amorevolmente i miei genitori X'D Dunque il prossimo aggiornamento non arriverà prima di agosto D:
C'è qualcuno che continuerà a seguirmi quando tornerò?
*eco di grilli*
Nuuuuuuuuuuuu *piange come una cretina disperata* :'(
Me ne vado domenica, spero che vogliate farmi sapere che ne pensate prima che mi lasci la mia città alle spalle e parta in un viaggio alla scoperta dell'ignoto... *sob*
Sciaaaaaaaaaaaaaauuuu
*manda bacioni a tutti quelli che le capitano a tiro*

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Capitolo 10
*** Cercando risposte ***


Le scuole elementari di Burgess potrebbero sembrare quasi normali, se non fosse per il silenzio da mortorio che alleggia nell’aria. E quando in un posto dove si concentrano così tanti bambini non ci sono capitomboli assurdi, ginocchia sbucciate, liti stupide o risate spacca timpani, decisamente c’è qualcosa di sbagliato.
In questo caso, quel qualcosa è Pitch.
Una nebbia di sabbia nera avvolge il parco della St James School, gettando tutto in una penombra fastidiosa, come quando è buio e non ci vedi, ma c’è abbastanza luce da non rendere necessario un lume. La neve è alta, ricopre buona parte del prato e bagna le panchine, ma i bambini non se ne fanno il minimo problema e se ne stanno seduti in silenzio, avvolti nei cappotti ad aspettare l’arrivo dell’autobus.
C’è un non so che di estremamente malsano, in questa scena, qualcosa che la fa sembrare inverosimile, come se non dovesse esserci, come se tutto dovesse andare in tutti i modi meno che così.
Vedo Jamie con il capo chino che dondola i piedi seduto su un’altalena ferma e mi avvicino senza farmi notare. È diverso dagli altri bambini, non ha l’aria sconsolata e non si guarda attorno spaventato, di certo non sembra uno terrorizzato che ha smesso di credere, ma mi fa un certo effetto vederlo aspettare l’autobus senza correre da tutte le parti e ridere come un matto.
Non mi piacciono per niente i bambini ridotti così, preferisco di gran lunga trovarli irritanti. Pitch... è così grave quelle che i Guardiani ti hanno fatto? Quello che stai – che stiamo – facendo... ne vale davvero la pena?
Devo sbrigarmi a decifrare il messaggio dei Maya, comincio davvero a dubitare che questa guerra sia giusta. Di certo qualcosa che riduce a quel modo dei nanerottoli che vivono eternamente contenti non è giusto, ma ho bisogno di sapere fino a che punto è sbagliato quello per cui sto combattendo.
Prendo il biglietto sgualcito e lo fisso stranita, aspettando speranzosa che la soluzione mi salti addosso.
Ma che diavolo di senso ha mettere insieme a caso così tante lettere!? È così importante non farmi sapere quello che c’è scritto su questa carta straccia ingiallita!?
Mi batto seccamente un palmo sul ginocchio e sbuffo infastidita.
«Tu è strana, tu ha qualche problema, ya?»
Sobbalzo, spalanco gli occhi, estraggo la spada, mi giro e trafiggo il Genio. Il tutto nell’arco di un quarto di secondo. Il tizio col turbante mi guarda con la mascella a terra e un grosso buco nello stomaco. Nel senso che si è aperto la pancia a ciambella per evitare il mio affondo, intendiamoci.
«Cosa ha tu in mente!? Tu voleva uccidere me!?» sbraita spalancando gli occhi.
Io scuoto la testa e rinfodero tranquilla la spada. «Non dovevi prendermi alle spalle.» rispondo con una scrollata di spalle.
Lui incrocia le braccia e si da fuoco agli occhi per guardarmi minaccioso. «Non solo io è costretto ad obbedire te, tu cerca pure di uccidermi!»
Si sta aspettando delle scuse? «Sopravviverai.»
Il Genio mi squadra scandalizzato, quindi mi mette il muso e mi volta le spalle. «Tu è cattiva, ya.»
«E tu pesante.» ribatto, fissando nuovamente il messaggio del labirinto.
Il tedesco ruota la testa sul collo e si alza sulle punte dei piedi per guardare meglio il biglietto che ho in mano. «Cos...»
«Un adorabile scritto dei tuoi amici Maya, che ci tengono tanto a farmi sapere che non mi riveleranno nulla sul Pendente fino a che non avrò risolto i loro indovinelli.» lo zittisco nervosa.
«Potrebbe essere codice cifrato, ya.»
Inclino la testa da un lato e lo scannerizzo con lo sguardo, domandandomi quale sortilegio gli hanno fatto per permettere al suo povero unico neurone di funzionare.
«Ya, Maya parlare sempre per codice.»
«E come faccio decrittare il messaggio?»
Scuote le spalle e alza le mani in segno di resa. «Io non sa, Maya mai svelare me loro segreti.»
La speranza che mi ero sentita crescere dentro alle sue parole crolla all’improvviso, lasciandomi sola con la scottante delusione di essere di nuovo ad un punto morto.
Pesto un piede a terra e cerco di riorganizzare le idee. Passo lo sguardo sul parco, che comincia a riempirsi di bambini che lasciano le panchine per raggiungere l’autobus, e la desolazione che porta questa calma glaciale mi fa squillare un campanello d’allarme nelle orecchie: devo darmi una mossa a trovare il Pendente d’Argento.
Jamie lascia l’altalena e si sforza di saltellare fino agli amici e tirarli su, ma l’unica cosa che ottiene sono occhiate tristi e disinteressate. La delusione si fa spazio sul suo viso rotondo, e quasi mi viene voglia di andare a consolarlo.
L’indecisione e lo sgomento per queste strane intenzioni mi inchiodano al suolo, e posso solo vederlo salire sull’autobus.
«Cosa tu sta pensando?»
Salto e mi trattengo dall’estrarre la spada dallo spavento, guardando il Genio a metà tra l’aggressivo e l’allucinato. «Vuoi piantarla!?»
«Di fare cosa?» dice, trasformandosi gli occhi in due grandi punti interrogativi.
«Lascia perdere.»
Mi domando perché i Guardiani non siano intervenuti alla vista dei bambini, ma non faccio in tempo a formulare a voce alcunché che il cielo scuro si illumina di bianco. Un lampo squarcia il cielo, doloroso e mortale come il messaggio che manda.
Stringo la mano all’elsa della spada e mi alzo in volo, raggiungendo le nuvole nere da cui arrivano i rumori tremendi della battaglia che si sta consumando. Mi tiro il cappuccio sul viso e sporgo appena la testa, quel tanto che basta per inorridire davanti alla scena che mi si presenta...
Purosangue, tori, squali e qualunque altro tipo di incubo si abbattono incessantemente sui Guardiani, che si difendono con eleganza e grinta. Potrebbe sembrare uno spettacolo, si potrebbe restare sorpresi dall’aggressiva perfezione e dall’incredibile equilibrio che reggono lo scontro, ma io non posso fare a meno che impallidire di fronte alla furia con cui Pitch attacca le Leggende.
Senza pietà, senza paura, senza cuore.
A rispondergli scintille rosa, uova esplosive e boomerang dalle lame affilate, fruste dorate e pericolose, scaglie di ghiaccio.
Il cielo esplode di continuo all’impatto di quelle due grandi forze nemiche, si illumina accecante e poi torna nell’oscurità, lamentandosi, ferito mortalmente da una guerra sbagliata in tutti i sensi.
Il Genio mi raggiunge e mi posa una grossa mano sulla spalla.
«Che cosa ho fatto?»
Lui fissa la scena ricoperto da uno strato di sudore freddo, con la grossa mascella indurita mentre digrigna i denti e gli occhi che lanciano scintille a Pitch.
«Fermiamoli!» faccio per sguainare la spada e lanciarmi alla carica, ma il tedesco mi agguanta per un braccio e mi immobilizza.
Mi guarda serio e rinuncia persino alla sua parlantina strana. «Troppo pericoloso.»
«Restiamo a guardare!?» sbraito, cercando di divincolarmi in tutti i modi.
«Non serviamo a niente morti!»
Lo squadro come se fosse un nemico, mi trasformo in sabbia nera e tento di raggiungere lo scontro, ma lui continua a battere le mani per afferrarmi di nuovo.
Mi ricompongo e lo vedo prendermi un polpaccio. «Lasciami andare!»
Il Genio mi strattona forte e mi costringe a guardarlo in viso. «Credi davvero che morta potrai aiutarli!?»
Io smetto di lottare e incasso la testa nelle spalle, mentre mi sento spazzata via come se fossi nel bel mezzo di un uragano. «Dobbiamo fare qualcosa...» provo ancora, con scarsa convinzione.
Lui allarga la bocca in un ghigno amaro, che stona troppo con la sua aria sempre estremamente buffa. «Pensavi che fosse facile rimediare ai propri errori? Io ci ho provato per tutta la vita. E non ci sono ancora riuscito.»
Alzo di scatto lo sguardo e fisso il Genio come se lo vedessi per la prima volta.
«Tu non hai proprio idea di cosa vuol dire vivere.» fa sconsolato, afferrandomi per una spalla e trascinandomi giù.
Rinuncio a divincolarmi e lo seguo docile come una bambina, mentre cerco di interpretare il significato nascosto dietro alle sue parole.
Lancio un’ultima occhiata al cielo: i rumori della battaglia si affievoliscono, ma il pensiero dello scontro mi fa venire i brividi. I lampi continuano ad illuminare la città. Sembrano l’ultimo tentativo dell’aria di non restare affogata nel dolore di due desideri contrastanti. Pitch che brama vendetta, i Guardiani che vogliono solo proteggere i bambini. Lo scontro di ideali finirà sempre per accendere il cielo di scintille moribonde?
«Tu non deve abbattere.» sento dire il Genio. Mi viene quasi voglia di sospirare per il sollievo, quando riprende a parlare col suo accento assurdo. «Guerre mai vinte da eserciti, ma da persone. Tutti potere fare cosa giusta, l’importante è trovare coraggio.»
Le sue parole mi confortano molto, ma allo stesso tempo mi mandano un’implicita richiesta: devo impegnarmi per cambiare le cose. «L’unico coraggio che troverò sarà quello per tentare di convincere Pitch a non farmi evaporare.» sbotto, allarmata dalla piega che sta prendendo la conversazione.
«Tu continuerà sempre a vivere di follie di Jack Frost?» mi domanda.
«Jack Frost è un idiota, non è colpa mia se ha deciso di salvarmi la vita.» ribatto, sempre più sulla difensiva.
«Tu voleva fermare guerra, fino a pochi secondi fa!»
Scuoto le spalle e arretro istintivamente. «Ero solo sconvolta.»
Il Genio si batte una mano in fronte e fa per aprire bocca di nuovo, ma poi rinuncia e mi guarda accusatorio. «Io pensava che mai essere tardi per fare scelte giuste... Tu mette in dubbio mie convinzioni.»
Anche se ha parlato in mezzo tedesco, non posso fare a meno di sentirmi male per quello che dice. Dannato istinto di sopravvivenza! Sarebbe tutto più facile se andassi a buttarmi direttamente contro Pitch senza ripensamenti e robe varie; di certo sarebbe più facile che rischiare la vita in Messico per colpa di un paio di mummie! D’altro canto, se non avessi il terrore di svanire da un momento all’altro, non mi sarei fatta problemi e avrei continuato a fare strage tra bambini e Guardiani.
Accidenti! Ma le emozioni devono per forza essere così complicate!?
I Genio mi squadra, quindi scuote la testa e si allontana, sfumandosi sempre di più e confondendosi con la nebbia di sabbia sullo sfondo, fino a sparire del tutto.
Io sbuffo e mi passo nervosa una mano tra i capelli. Tiro di nuovo fuori il messaggio dei Maya, me lo passo più e più volte davanti agli occhi e cerco in tutti i modi di trovare qualcosa che possa collegare quell’ammasso informe di lettere, ma l’unica cosa che ottengo è un gran mal di testa.
Rinuncio in fretta, alla fine, perché un codice cifrato non si può decrittare dal nulla, e senza un minimo di informazioni non andrò da nessuna parte.
Prendo una breve rincorsa e spicco un salto, ritrovandomi a sorvolare i tetti di Burgess sotto forma di nuvola di sabbia.
Mancano esattamente nove giorni a Natale, la gente lo sa benissimo e si affanna da tutte le parti. Lo fa essenzialmente per due motivi: per prendere regali da piantare sotto l’albero come se fossero souvenir, o per raggiungere in fretta studi o uffici, impegnandosi il più possibile per gli straordinari che permetteranno un giorno o due in più di ferie.
Giganteschi abeti tutti decorati occupano la maggior parte delle piazze, luci e ghirlande sono appese ai balconi o collegano le case nelle stradine secondarie, gruppetti di persone sono fermi a cantare canzoni assurde e un sacco di imitazioni di Babbo Natale se ne vanno a destra e a sinistra promettendo ai bambini un sacco di regali, purché si comportino bene. Non che ci sia chissà quanto bisogno di queste raccomandazioni, i mocciosi stanno immobili e zitti appiccicati alle gambe delle mamme. Oddio, tutti loro tranne una. Una nanerottola dalla testolina bionda e le ali da farfalla.
Non mi sorprendo affatto di vederla saltellare da sola per le strade, direi che da un uragano in miniatura ci si può aspettare di tutto, così atterro poco dietro di lei e mi affretto a raggiungerla.
Sophie mi guarda incuriosita e mi sorride.
«Cia...» Non faccio in tempo a concludere il saluto, che vengo fermata da una delle tante famosissime citazioni di una madre che credo ammazzerò presto. «Mamma dice che non devo parlare con gli sconosciuti.»
Io la guardo con un sopracciglio inarcato e una smorfia in faccia mentre cerco di capire che problemi ha questa bambina, poi mi accorgo del cappuccio che ho tirato in viso e me lo abbasso.
La bocca di Sophie si allarga in una ‘o’ che va oltre l’umanamente possibile. «Ma tu sei quella cattiva che ha detto Jack Frost.» dice, come se l’illuminazione divina fosse finalmente scesa su di lei.
«Già.» annuisco. Mi domando cosa ci faccio con questa marmocchia. Non dovrei essere a cercare una soluzione agli indovinelli assurdi dei Maya?
«Mamma dice che quando vai da una persona è perché gli vuoi bene.» mi informa lei.
«Dunque, secondo tua madre, io dovrei volerti bene?» ridacchio.
Annuisce convinta.
Wow.
Cerco di evitare di scoppiarle a ridere il faccia e mi passo una mano tra i capelli, sorprendendomi poi di come Sophie non abbia minimamente risentito dell’atmosfera tesa e cupa che alleggia su Burgess in questi giorni.
«Che ci fai qui da sola?» le domando.
«La babysitter è entrata in un negozio e mi ha detto di stare ferma finché torna.»
Mi guardo intorno: decisamente al centro di una piazza gremita di gente non ci sono tanti negozi.
«E tu le hai obbedito?»
«No.» Oh, ecco svelato il mistero.
«E perché ti sei allontanata?» La bambina scuote le spalle. «C’era Babbo Natale che regalava lo zucchero filato.»
Maledetta golosità infantile! Faccio per girarmi e andarmene, ma poi penso che non posso scaricare così una mocciosa di sei anni, da sola tra la folla, potrebbe succederle di tutto! Così cerco di mettermi l’anima in pace e di auto-convincermi a parlare. «Che ne dici se ti accompagno a casa?»
«No, la babysitter ha detto che devo stare ferma.»
Ma allora hai seri problemi, figlia mia! Mi impongo di stare calma e annaspo alla ricerca della forza di volontà necessaria per non mettermi a gridare. «Allora me ne vado?» chiedo.
«No! Non posso rimanere da sola in strada!»
Sophie cara, sbaglio o sei molto in guerra con te stessa? No, perché faresti meglio a deciderti, se non vuoi che ti mandi al diavolo assieme al tuo piumino imbottito e me ne torni ai fatti miei. «E che devo fare?»
«Accompagnami dalla mamma.» sorride, illuminandosi tutta.
Comincio ad averne abbastanza di queste contraddizioni. «Ma non avevi detto che...»
«Mamma dice che non si rinfaccia alla gente quello che dice.»
Mi batto un palmo in fronte e mi trattengo per decenza dal cercare un muro da prendere a capocciate. «E dov’è tua madre, di grazia?»
«In ospedale, lavora lì.»
Vedo un sacco di persone girarsi a guardare Sophie con aria stranita, probabilmente cercando di capire per quale motivo la bambina sembra talmente impegnata in una discussione con se stessa, e mi viene da sorridere davanti all’ignoranza degli umani.
«E con la babysitter?» Non riesco a credere che sto chiedendo consigli ad una poppante.
«Tanto quella si dimentica di me una volta sì e una no.» Beh, la capisco: neanche io tollererei la presenza di questa bambina per più di un’ora al giorno.
«Andiamo allora.» borbotto, prendendola bruscamente per mano e avviandomi tra la gente.
«Che bello! Mio fratello è sicuramente già lì.»
Fantastico!
Trascinare una piccola umana quando sei uno Spirito è quasi divertente. Insomma, le persone non sanno che esisti e le attraversi senza il minimo problema, mentre la mocciosa che ti porti dietro sbanda da tutte le parti cercando di mantenere il passo e attirandosi occhiate assassine da praticamente tutti i passanti.
Alla fine mi stanco di sentirla piagnucolare e rallento, ridacchiando quando la vedo inciampare tra i piedi della gente. Direi che è quasi una fortuna se è ancora viva quando raggiungiamo l’ospedale.
Preferisco che non entri in un posto del genere, così la mollo vicino all’ingresso e la minaccio dicendole che, se si azzarda a muoversi, mando il Lupo Cattivo a mangiarla.
In fondo, anche le conoscenze più scomode possono risultare utili a volte. E sottolineo a volte.
Per fortuna non ci metto troppo a trovare Jamie, non è in ospedale, ma nel parco a dondolarsi veloce su un’altalena. Salta giù e schizza veloce su uno scivolo, si arrampica sulle scale ricoperte di neve e scende ancora più in fretta per via del ghiaccio sulla giostra.
Certo che è davvero strano vederlo giocare da solo...
Lo raggiungo, lui mi vede e spalanca gli occhi tanto che temo che gli escano dalle orbite. Mi fiondo in avanti e gli tappo la bocca con una mano.
«Azzardati ad emettere un solo fiato e ti faccio secco, chiaro?»
Annuisce e lo lascio andare. «Tua sorella è all’ingresso. Mi ha fatto venire una crisi di nervi in meno di mezzora, dunque sei pregato di riprendertela subito e di portartela via senza aprire il becco, okay?»
Jamie è bianco come un lenzuolo, ma mi rivolge comunque un’occhiata strana, come se stesse parlando con un pazzo svitato.
Fa per andarsene, ma io lo blocco di nuovo. «Cosa fai quando cerchi qualcosa?»
Continua a fissarmi come se mi mancassero diverse rotelle. «In che senso?»
Non posso credere a quello che sto facendo... «Quando cerchi informazioni su qualcosa...»
Scrolla le spalle. «Vado in biblioteca, nei libri c’è tutto.»
Accidenti! Cavolo, è vero! In un posto dove ci sono tanti libri troverò sicuramente qualcosa che possa aiutarmi. «Non ti facevo intelligente.» gli dico.
Il bambino fa per protestare, ma io non gliene do il tempo e mi dileguo in una nuvola di sabbia.
Faccio per lasciare l’ospedale, ma una scia di incubi in viaggio me lo impedisce. Seguo quei fiumi scuri e vedo che sono diretti all’interno della struttura. Per forza: qui si muore, è ovvio che la gente ha paura. E dove c’è la paura, ci sono gli incubi di Pitch.
Seguo la sabbia e sbircio in diverse camere, dove i pazienti addormentati si agitano in preda al terrore di sogni troppo brutti. Cammino silenziosa tra la marea di infermieri e parenti che si agitano per i corridoi. È quasi ironico vedere come brulicano di vita posti dove molti muoiono.
Fa quasi ridere.
Mi tengo dietro ad un incubo, raggiungo una camera ed entro. Qui non c’è nessuno, solo una ragazza addormentata ricoperta di fili e tubi che la collegano ad una macchina che ticchetta in maniera irritante.
Il sogno nero che alleggia sulla sua testa non le fa nulla, è immobile e a malapena respira.
Mi avvicino incuriosita e la fisso in viso. Mi assomiglia così tanto...
È pallida quasi quanto me, con il viso ovale, il naso dritto e le labbra sottili e violacee; ha i capelli corti e scompigliati, così neri che potrebbero sembrare blu, un neo scuro in mezzo alle sopracciglia e un tatuaggio a forma di teschio sul collo.
Inclino la testa da un lato, guardandola incuriosita. Questa ragazza sembra quasi me... Ma che ci fa ferma e bianca come un cadavere su un letto d’ospedale?
Resto immobile davanti a lei, mentre il purosangue incubo continua a galopparle sopra la testa. Mi viene voglia di fermarlo, ma preferisco restare al mio posto perché qualunque cosa io faccia sono nata per portare sofferenza e non credo di poterlo cambiare.
Distolgo lo sguardo solo quando sento qualcuno accanto a me.
Mi giro e vedo il Coniglietto di Pasqua con in mano un paio di uova esplosive. Mi si erige affianco alto e fiero, con il respiro pesante per lo scontro suppongo appena concluso e uno strato di polvere nera che lo ricopre fino alle orecchie.
Vede che lo sto fissando e mi rivolge uno strano ghigno.
«Chi non muore si rivede.» mormora, tornando a guardare anche lui la ragazza stesa sul letto.
«Non te l’avevano detto che l’erba cattiva non muore mai?»
Sorride e scuote appena la testa. «Sai chi è lei?»
Gli rivolgo una breve occhiata interrogativa.
«È uno di quei ragazzi che noi Guardiani non siamo riusciti a proteggere.»
«Non proteggete solo i bambini?»
«Chiunque è stato bambino, a suo tempo. Noi cerchiamo di pensare a tutti, anche a loro, ogni tanto. Questa ragazza è stata travolta da un’auto mentre cercava di salvare un bambino. L’ubriaco al volante non ha nemmeno frenato. Dorme da quasi due mesi.»
Torno a fissare la ragazza e mi si stringe lo stomaco a pensare alle conseguenze del suo atto di coraggio. Penso che non riuscirò mai ad essere coraggiosa quanto lei. Sono uno Spirito nato dalla Paura, in fondo.
«Che ci fai qui?» domando al Calmoniglio. Non ho bisogno di chiedergli perché non ne approfitta per ammazzarmi, nemmeno a me verrebbe in mente di combattere in un posto del genere. In un ospedale muore già abbastanza gente.
Lui scuote le spalle. «Di solito vengo spesso qui, ma oggi sono venuto solo per darti questo.»
Mi porge un grosso tomo scarlatto, con le pagine ingiallite che sembrano pronte a sgretolarsi da un momento all’altro e strani segni sulla copertina.
«Che cos’è?»
«Di codici e chiavi, autore sconosciuto, libreria del Polo Nord. Uno dei pochi libri sopravvissuti al crollo del Palazzo.» Lo sento fremere nel pronunciare queste parole, ma resta calmo e fiero senza battere ciglio.
«E perché me lo dai?» Di certo i nemici non vanno a distribuire regali che faranno luce facilmente su segreti vari che bisognerebbe faticare molto per svelare.
«Diciamo solo che non ho bene in chiaro come Jack ragiona, ma mi fido di lui.»
Jack Frost. Prima o poi dovranno scrivere una guida avanzata per capire come comportarsi in sua presenza e come interpretare le sue follie.
Lancio un ultimo sguardo alla ragazza addormentata e mi giro per andarmene. «Davvero vieni qui spesso?» chiedo però prima di varcare la soglia.
Il Calmoniglio annuisce tranquillo. «Sì. Perché me lo chiedi?»
«Perché questo è un posto dove a regnare sovrana è la Paura.» rispondo.
«Vedi, Fonhìas, la gente che ha paura è la gente che ha ancora la forza di non lasciarsi andare, perché se non avesse paura significherebbe che non ha più neanche speranza. E ricordati che la Speranza, la Paura, la batte. Sempre.»
Pesta una zampa per terra e una galleria lo risucchia, lasciandomi da sola con una ragazza coraggiosa che ha dato la vita per proteggere un bambino e un libro in mano che sarà la risposta a tutte le mie domande.

«Spero vivamente che tu sappia quello che stai facendo.»
«Rilassati, canguro. È tutto sotto controllo.»
«Sai che usarla non è giusto, vero?»
Jack Frost alza lo sguardo verso l’amico e lo fissa con le lacrime agl’occhi.
«Ha ucciso North. Neanche questo è giusto.»









***









Benissimo. Comincio col chiedervi scusa in tutte quante le lingue possibili e inimmaginabili. Per questo ritardo, per non aver detto nulla, per la mancanza di rispetto nei confronti di quelli che seguono (o seguivano) la storia. Proprio così, io mi ero presa un impegno verso me stessa e verso gli ipotetici lettori, dunque essere venuta meno alla mia promessa è stato davvero un gesto irrispettoso verso tutti quelli che erano anche solo incuriositi da questa fiction. Vi chiedo umilmente perdono. Siete liberi di insultarmi perché non ho la minima scusante.
Il punto è che è stato un periodo schifoso, da quando sono tornata è successo un disastro dopo l'altro e non ero proprio in vena di scrivere. Questo capitolo è il meglio che sono riuscita a fare. Spero di non avervi deluso troppo.
Dunque, niente cretinate in queste note, solamente altre infinite scuse, mi dispiace davvero tantissimo.
Cercherò di darci dentro a scrivere, speriamo che vada un po' meglio.
E niente, questo è quanto. Spero che possiamo rivederci al prossimo capitolo.

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