The Walk of Punishment di RLandH (/viewuser.php?uid=330024)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Santana de Compostela ***
Capitolo 2: *** Late Day Train ***
Capitolo 3: *** Go Off The Rails ***
Capitolo 4: *** The Not Back-up Plane ***
Capitolo 1 *** Santana de Compostela ***
santiago
Titolo:
The Walk of Punishment
Titolo
Capitolo: Santana de Compostela
Paring: Brittany/Santana. (Altri minori quali Kurt/Blaine ed
altri)
Rating:arancione, perché prevenire è meglio che curare, ma è un
rating per me particolare.
Disclaimer: Ovviamente non possiedo nessuno e
nessun luogo e questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Sommario: Santana
per circostanze più grandi di lei e
costretta a partire per un avventura all’apparenza faticosa e folle, che la
porta però ha riflettere su se stessa e su ciò che vuole. E la porta a Brittany.
Beta: Non ne ho una ):
Note: Il titolo della storia prende spunto da un episodio della mia serie
preferita ed anche da un capitolo della mia saga preferita (che guarda caso sono la stessa cosa, ma sono
due situazioni differenti)
Il titolo del capitolo è un gioco di parole, presumo
che alla fine del capitolo l’avrete compreso.
[I drove for miles and miles]
The Walk of Punishment
Santana de Compostela
“Tu
sei folle” aveva commentato Quinn quando l’aveva salutata
all’aeroporto, dopo un lungo abbraccio. Si, lo era, decisamente, senza ombra di
dubbio. Folle, oltre ogni limite. La voce dell’amica continuava a risuonarle
nella testa anche in quel momento e forse, nel momento in cui transitava
sull’atlantico, si era resa conto che aveva ragione. Ma che fare? Ripartire
appena ne avrebbe avuto l’opportunità, ritornare a Lima con la coda tra le
gambe, anche perché dopo quello di sicuro non avrebbe avuto il coraggio neanche
di tornare a New York. O forse doveva andare direttamente lì e non avere più il
coraggio di tornare nella sua casa natia, perché era lì che avrebbe portato
delusione. Abbassò lo sguardo sul finestrino, sotto di lei si apriva un
immenso blu. Buttò la testa sul sedile. “Vuole un aspirina?” aveva domandato il
suo vicino di posto, un ragazzo alto, dai capelli castani e grandi occhi
azzurri, “Un sonnifero” aveva risposto lei di malavoglia ed il ragazzo aveva
annuito, “Forse ne ho uno” aveva esclamato e lei si era chiesta se scherzasse o
meno. Sorrise in modo tirato prima di ritornare a fissare il cielo chiaro.
Santana era certa che il ragazzo dall’altra parte del pianerottolo
fosse uno squillo. Ed il suo
fissarlo in modo circospetto non aveva fatto altro che preoccupare il suddetto
ragazzo. Ma lei non poteva farne a meno. Continuava a studiarlo in modo
ossessivo, facendo attenzione con chi tornasse e con chi fosse, come si
atteggiasse. Avevano anche litigato in proposito, molto spesso. Bordy, questo
era il suo nome, si sentiva continuamente infastidito. A lei non è che poi
interessasse chi sa cosa, aveva altre cose da fare, come lavorare cercando di
arrivare a fine mese, seguire qualche corso di danza e rimorchiare qualcuno in
un bar per non passare una triste serata da sola. Come molte ne erano
susseguite nella sua vita, da quando aveva lasciato Lima.
Cominciò a picchiettare con le dita affusolate contro il manico. Il suo
vicino di posto aveva cominciato a scherzare con una ragazza che le era di
fronte, dovevano essere amici, forse erano partiti insieme. Lei non era male,
ma aveva un naso che sembrava il becco di un pappagallo. “Non ci credo! Rivedrò
Finn” aveva esclamato quella quasi svenendo e gli occhi trasognati, “Non ho
ancora capito perché mi hai trascinato” aveva detto quell’altro di malavoglia,
ma sempre accompagnando il tutto con un certo sorriso serafico, il resto della
conversazione lei l’aveva ignorata. Continuava solamente a pensare allo
scorrere del tempo. Lento. Inesorabile. Angosciante. Caustico.
Sua madre chiamava ogni giorno, due volte al giorno. Ad ora di pranzo
ed ora di cena. Erano le poche certezze che una ragazza con un monolocale della
dimensione di una scatola da scarpe nella Grande Mela aveva. Perciò quella
chiamata a metà mattina la sorprese e non poco. Era sulla metropolitana,
tenendo in mano le varie scartoffie da stagista quando aveva risposto, “Mamà, che
succede?” aveva chiesto preoccupata. Il resto delle parole furono stordenti e
trascinanti, come se tentasse di nuotare contro corrente tra le rapide.
Non aveva mai fatto un viaggio così lungo. E quella era la parte
facile, rilassante. Almeno così aveva detto Quinn. Se la immaginava in quel
momento, stesa a bordo piscina in qualche esclusiva festa di Los Angel a bere
tequila assieme alla piccola Marley, cercando di convincerla che sposarsi
giovane era una follia, che era ancora troppo immatura per sapere se Jake
Puckerman era il suo uomo ideale. Non ci sarebbe riuscita. Quando Santana
sarebbe tornata, avrebbe visto il fratello di Puck con la chippa in testa
vicino all’altare, spezzare una coppa di vetro con la dolce Rose vestita di
bianco. Un quadro stucchevole, per quanto li desse ancora la forza di sperare
in qualcosa di buono.
Suo padre l’aveva stretta forte appena l’aveva vista uscire dalla zona
delle valigie. Stritolandola con quel fare paterno , ma anche disperato,
lacrime salate righavano le guance bronzate ed anche Santana era ridotta al
medesimo modo. Si era aggrappata a lui, abbandonando le valigie e trattenendo a
stento un pianto sordo, perché la gente all’aeroporto non si accorgesse del
loro dolore. Tenendola stretta l’aveva portata alla macchina e solo all’ora
lontano dagli occhi del mondo aveva sfogato un pianto rotto. “Por favor, dime que todo está bien” supplicò suo padre, ma quella non poté fare altro che accarezzarle i
capelli cercando di darle conforto. Sensazione che a lei non riuscì ad
arrivare. Solo dolore. Un vuoto nel petto. Un ferita sanguinante. Lei era
sempre stata forte eppure in quel momento, in quel frangente, non poteva
sentirsi più debole di così.
“Rachel Barry” non aveva capito bene come, ma la ragazza dal grosso
naso aveva teso una mano verso di lei, mentre si teneva sulle ginocchia del
sedile di dietro, “Santana Lopez” disse infastidita, “Lui è il mio amico Kurt”
l’aveva presentato senza permesso Rachel, additando l’amico con i grandi occhi
azzurri che aveva sorriso di buon cuore. Ripeté il suo nome. “Vai a divertirti
in Francia?” aveva chiesto lei, “E’ complicato” aveva mormorato semplicemente
lei. Non aveva voglia di spiegare al mondo intero perché stesse andando in
Francia. Avrebbe voluto dire che andava a prendere Puckerman, che era
anche vero, Quinn l’aveva pregata che di ritorno dal suo viaggio riportasse con
se quel pazzo, anche perché Jake aveva bisogno di suo fratello. Ma per andare
da Puck doveva però fermarsi in Spagna e quindi questo avrebbe dato alla
gente ancora più curiosità.
Per cinque anni Santana aveva aspettato. Pazientemente. Con
Convinzione. Totalmente. Aveva sempre creduto – anzi saputo – che se una
persona ti amava, ti amava sempre. Non importa quanto il mondo potesse rigettarti,
chi ti ama, lo farà sempre e per sempre. L’amore evolve ed involve, ma non puoi
odiare qualcuno che ami, forse ti odi per non essere in grado di odiarlo. Per questo
Santana sapeva che era solo questione di tempo. Che ogni volta che il telefono
squillava, sperava fosse la sua Abuela. Perché lei
sapeva che l’avrebbe chiamata. Per cinque anni aveva aspettato una telefonata
che non era mai arrivata. Eppure era lì, seduta su una vecchia sedia di legno
vicino un letto, una donna semi-incosciente stesa al suo fianco. Alma Lopez era
sempre stata una donna forte, la più forte secondo Santana, quella che le aveva
insegnato a sopravvivere, eppure ora pareva la più debole di questo mondo. Lei
dormiva, ma Santana le prese una mano lo stesso, aveva temuto per tutto il volo
che non avrebbe fatto in tempo.
“Io vado a trovare il mio ragazzo, è in Erasmus” aveva spiegato Rachel,
prima di vomitarle addosso un fiume di parole, che lei non aveva chiesto e
cominciare un lungo monologo sul suo fidanzato Finn, che aveva fatto saltare in
nervi probabilmente a tutto l’aereo. Il suo fidanzato era in spagna, ma loro
l’avrebbero raggiunto solo a fine settimana, per il resto si godevano sette giorni
francesi, sfortunatamente volevano andare a Parigi ed avrebbero dovuto prendere
un treno appena scesi. Aveva mormorato blande offese a mezza bocca in spagnolo
alla ragazza e alla sua vocetta, prima di avvicinarsi verso il vicino, “Kurt,
hai ancora quell’aspirina?” aveva chiesto in un sussurro, “Quando viaggio con
Rachel sempre” aveva risposto quello, sfilandosi dalla tasca delle medicine.
Chiamata l’Hostess, una bionda dall’espressione gentile, si era fatta portare
un bicchiere d’acqua e da quel momento aveva affogato il mal di testa e le sue
preoccupazioni in acqua ed aspirine.
“Niña” aveva detto la donna, con le palpebre semi aperte, l’altra mano si
era chiusa su quella di Santana, “Abuelita” aveva
sussurrato lei di risposta. Tante parole vorticavano tra loro. Parole che
nessuno di sarebbe sognato di pronunciare. Ma Santana non aveva preteso nulla,
aveva stretto le mani della sua abuela e basta. Ricordava il dolore che aveva provato quando la donna
l’aveva abbandonata in quella cucina, lasciandola sola con le sue lacrime. Per
giorni l’aveva odiata e per anni l’aveva aspettata. Aveva fatto di tutto per
evitarla e contemporaneamente aveva sperato di incontrarla. Ogni volta che
tornava a Lima dai suoi genitori sperava sempre che lei venisse a trovarla. Ma
sua nonna non la capiva. Eppure in quel momento, Santana voleva dimenticare
ogni cosa. “Te amo, niña” disse con voce
strozzata, “Non ti sforzare,abuelita” le sussurrò lei, baciandole il polso. Non ti
affaticare, le avrebbe voluto dire. Lei c’era, non sarebbe andato via. Non
importava cosa lei pensasse dei suoi segreti. Santana l’avrebbe tenuta stretta.
“Sei diventata mas
hermosa, mi amor”
aveva bisbigliato la donna. Dopo tanto tempo la sua voce era colma d’amore. Gli
occhi di Santana erano lucidi.
Scesa a Lione aveva preso la sua valigia ed aveva salutato
frettolosamente – e liberatoriamente
– Kurt e Rachel, che erano ancora presi dalla loro discussione. La prima cosa
che fece fu trovare una zona con del campo e comprare una scheda estera, chiamò
sua madre e la tranquillizzò, era sana e salva. Poi chiamò Quinn, ma lei era
abbastanza esasperata, “Che succede, chica?”
aveva chiesto, “Marley dice che il vestito da sposa la fa sembrare un insaccato,
Kitty dice che il suo da damigella è stato recuperato da un mercatino di
offerte ed Unique dice che è il suo è sicuramente stato cucito da una suora
cieca” aveva buttato fuori tutto d’un fiato. Santana se la vedeva dall’altro
lato del telefono, elettrica solo come lei poteva essere. “Dagli un quinteto come tu sai fare” le consigliò,
dall’altra parte del telefono, la risata di Quinn venne cristallina. Sarebbe
rimasta volentieri altre ore al telefono con l’amica. “Ci servirebbe Snix”
aveva ammesso alla fine l’amica, “Lei serve sempre” aveva risposto
Santana; sarebbe servita anche contro Rachel–naso–da–pappagallo–Barry e la sua
chiacchiera senza fine. “Giuro, che non ero così stressata dagli allenamenti
massacranti della Silvester” aveva detto lamentosa Quinn, da qualche parte
nella memoria della latina si era aperta la visione di una donna in tuta rossa
e megafono che urlava di loro di tutto e di più, particolarmente commenti su
sacche di grasso inesistenti o suoi capelli finti. “Ci vuole polso, Febray” aveva
detto, “Mostra a loro quanto polso hai” aveva aggiunto. Quinn ne aveva di forza
da vendere, solo che spesso si nascondeva dietro larghi prendisole colorati o fuoriusciva
nei modi sbagliati, come quando si era fatta i capelli rosa ed usciva con un
uomo di quarantenni che andava sullo skate. “Sia dannato il giorno in cui ho
deciso di aiutare la dannata futura signora Puckerman” aveva commentato
esausta. Dopo chiacchiere più o meno futile ed accortezze per il viaggio, seria
Quinn le aveva ripetuto le stesse parole dell’aeroporto, “Fa attenzione e buona
fortuna, Lopez” c’era un tono nostalgico in quelle parole, “Grazie Q.” aveva
risposto lei, prima di attaccare.
Fino agli ultimi giorni Santana era stata con lei. Alma aveva voluto
sapere tutto degli ultimi cinque anni, non una sola azione voleva che fosse
tralasciata. Santana aveva raccontato ogni cosa, carezzando il dorso della mano
della nonna. “Desculpa me”
aveva commentato, “L’ho fatto” la rassicurò la giovane, tanto tempo fa.
L’aveva già perdonata mentre tornava a casa sua quello stesso giorno. L’aveva
perdonata ogni giorno negli ultimi cinque anni. E sentire quelle parole le
rendeva il cuore colmo di gioia assieme al dolore di starla per perdere. Odiava
l’idea di aver dovuto aspettare così tanto tempo per riaverla, per doversene
separare così presto. Risero, parlarono, scherzarono. Alma raccontò a sua
nipote ogni cosa della sua vita, ignorando o meno se Santana conoscesse tutto
alla perfezione. Ma lei ascoltò. Ogni giorno ed ogni notte, tenendo una mano,
che con il tempo divenne inerte. “Quando ero una niña come te, mi amor, sono stata in un
posto” aveva esordito la donna, con un filo di voce, “Un lugar
hermoso”
aveva mormorato, Santana aveva tenuto le sue mani con decisioni, “Portami lì, por favor” aveva aggiunto.
Lei aveva annuito decisa, con le lacrime agli occhi.
Era andata via dal terminal con lo zaino in spalla e gli occhi rivolti
alla cartina. Era stato Ryder, l’amico di Jake a stamparla, segnando con
minuziosa precisione l’intero percorso con un fatticcio pennarello rosso,
Kitty le aveva raccontato che per farlo c’aveva messo quasi un paio
d’ore, era dislessico eppure si era offerto di aiutarla, impazzendo su tutti i
nomi di quelle città. Il perché poi la lasciava davvero confusa. Uscita in
strada la prima cosa che aveva fatto era stata prendere al volo un taxi, “Est-ce-que où je dois vous mettre?”
aveva chiesto quello in modo gentile, lei era rimasta in silenzio per qualche
istante, cercando di richiamare alla sua mente l’ultima lezione di francese
della sua vita, ricordava di quel giorno l’insegnante, era una supplente che
avevano avuto da un mese, causa una brutta caduta dalle scale, aveva lisci
capelli biondi ed un sorriso accattivante, Holly Holliday, ma poco che niente.
Alla fine rese noto che andava alla stazione dei treni. E seppe da quel preciso
istante che era cominciata la sua avventura. Si tolse il pesante zaino dalle
spalle e lo poso sulle ginocchia, stringendoselo forte a se. Lo aprì lentamente
e ne estrasse il contenitore di ferro, ne accarezzò la superficie, “Todo ira bien,
Abuela” aveva sussurrato. Todo.
Sua nonna era stata cremata. Ma una sorta di funerale c’era
stato, una veglia. Vestita di nero come un corvo, Santana era stata seduta
tutto il tempo sullo stesso divano su cui da bambina aveva giocato. Muta come
un pesce ed il maschara colato. Quinn era venuta da lei, lasciando l’università
senza preoccuparsi o meno di aver abbandonato un importante esame o corso. “Non
dovevi preoccuparti Q.” aveva detto piatta lei, “Io e Puck ci saremo sempre,
Snix” le aveva detto la bionda stringendola in un forte abbraccio. Da un angola
della stanza il ragazzo in questione la salutò in modo comprensivo. Santana si
lasciò cullare. Per tutta la cerimonia ricevette condoglianze. Nonostante gli
ultimi cinque anni, tutti sapevano del legame speciale che le legava. Di notte,
quando tutti cominciarono ad allontanarsi, lei andò da Quinn, stava rispondendo
ad una vario interrogatorio di sua madre, per distrarsi dalla triste
circostanza che li univa tutti. “Quinn devo parlarti” aveva sussurrato la
ragazza, “Dimmi?” aveva detto quella, accogliendola in un caldo sorriso. C’era stato un momento della sua vita che aveva creduto di amare Quinn. “Ho promesso
alla mia Abuela una cosa” aveva
sussurrato, “Cosa?” aveva chiesto confusa la bionda, “Di portarla in un posto”
aveva detto Santana, guardando l’urna che era stata deposta sul tavolo perché
tutti potessero salutarla, “Ho paura a chiederti dove San” aveva risposto
l’altro, “Santiago De Compostela” disse.
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Capitolo 2 *** Late Day Train ***
santiago
Non
sono mai stata una di quelle persone che piange alla morte di personaggi
famosi, ma non è mai morto nessuno di cui fosse realmente fan. Io ora non so perché
lo stia dicendo.
Riposa
in pace, Cory
Titolo: The Walk of Punishment
Titolo
Capitolo: Late Day Train
Paring:
Brittany/Santana. (Altri minori quali Kurt/Blaine ed altri)
Rating:arancione
Disclaimer: Ovviamente non possiedo nessuno e
nessun luogo e questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Sommario: Santana
per circostanze più grandi di lei e
costretta a partire per un avventura all’apparenza faticosa e folle, che la
porta però ha riflettere su se stessa e su ciò che vuole. E la porta a Brittany.
Beta: Non ne ho una ):
Note:
1- Il
titolo di questo episodio riprende il titolo di un horror (Late Night Train), tra
parentesi il film è italiano ed il titolo è quello con cui è stato tradotto in Inghilterra
(altrimenti sarebbe: L’ultimo treno della notte). Seguite il mio consiglio: NON
VEDETELO.
[Let them know a better day]
Ps. Vorrei ringraziare tutte le
persone che hanno messo la storia tra le seguite :D
The Walk of Punishment
Late Day Train
Il giorno dell’ultimo campionato nazionale,
Santana decise di concedersi qualcosa finalmente per se stessa. Quinn andava ad
una festa organizzata da un atleta che era rimasto il fine settimana da solo e
li aveva proposto di andare insieme, sbattendo i suoi grandi occhi nocciola. Ma
lei aveva declinato, non che l’amica avesse davvero bisogno di lei, sarebbe
bastato che trovasse Puck perché si ritrovassero da qualche parte a baciarsi o
ad urlarsi contro. Lei aveva altri piani. Piani molto
più interessanti. Così si ritrovava quel venerdì notte, nella giacchetta di
pelle osservare le chiare stelle nel cielo, appena fuori la porta del locale,
timorosa se entrare o meno. Alla fine aveva preso un bel respiro, lei era
Santana Lopez, nessuno e nessuna cosa la spaventata. Si avvicinò al buttafuori
ed allungò verso di lui un documento falso e quasi le venne una risata isterica
al pensare come se l’era procurato. L’uomo continuò a guardare il documento
critico ed a saettare lo sguardo verso di lei. Salma Crux, ventuno anni. “Puoi entrare” disse alla fine con voce burbera, ridandoli la carta
di identità che lei aveva preso e frettolosamente era entrata, ancora in
fibrillazione tra l’adrenalina dello star mentendo e l’eccitazione di quel
posto nuovo.
Santana salì sul treno per
Via-de-Puy quella mattina tenendo lo zaino in spalla e le cartine di Ryder in
una mano, mentre cercava con gli occhi il numero della sua cabina, già
abbastanza soddisfatta di non aver sbagliato carrozza. Posto cinquanta due,
vicino il finestrino. La sua cabina era verso il centro della carrozza, sul
lato sinistro rispetto dove era entrata e con la visione agli altri binari, era
da sei, tre posti da un lato e tre dall’altro, c’erano tre persone, ma uno di
questi teneva occupato il posto proprio di fronte quello suo. Dal suo stesso
lato c’erano un ragazzo ed una ragazza, uno era bassino ed aveva orripilanti
sopraciglia, l’altra era una ragazza d’origine asiatica con un vestito anni
trenta, di fronte l’oro con un ragazzo biondo con grosse labbra da trota, nessun
altro animale sembrava calzante. “Permesso” aveva esclamato Santana facendosi
spazio tra le gambe dei ragazzi, prima di crollare sul suo posto dopo aver
messo lo zaino nel luogo apposito, proprio accanto al ragazzo dalle folte
sopracciglia.
La prima cosa che fece fu quello di dirigersi
al bar, aveva decisamente bisogno di bere. Brilla dava sempre il meglio di se,
all’incirca. Il barista era un ragazzo con un certo fascino un sorriso
smagliante che pareva avere occhi per tutto il locale tranne che per lei. Aveva
dovuto sbracciare parecchio prima di attirare l’attenzione, “Senti occhi da
cerbiatto, dici che puoi servirmi o la paura di scheggiarti un unghia ti
divora?” aveva domandato sarcastica, scattando come una molla davanti lui,
quello aveva crucciato le sopraciglia e l’aveva guardata infastidita, “Certo”
aveva detto solamente, “Cosa vuole?” aveva domandato un po’ più cortese,
“Tequila” aveva risposto, tornando a sedersi sullo sgabello. Quello aveva
versato un po’ dell’acool in un bicchiere e lo versò alla ragazza prima di
dirgli il conto. Lei tirò fuori dei soldi e li piazzò ancora. “Una scena che
vedi fare spesso, eh?” una voce si aggiunse al suo fianco, un ragazzo si era
seduto sullo sgabello affianco, alto, con un espressione sorniona ed i capelli
castani, “Sai abbandonare soldi così, senza amore” aveva commentato divertito,
“Smith” aveva gracchiato lei, “Smythe” l’aveva corretto lui, “Non dovrebbe
essere troppi difficile per la tua mente piena di paelia” aveva commentato
rozzo il ragazzo, “Quella è spagnola, tonto, io sono messicana” aveva detto acida lei.
Occhi verdi che la guardarono cattiva.
Il ragazzo al suo fianco si era
voltato verso di lei, grandi occhi nocciola da cucciolo e lei li aveva lanciato
uno sguardo gelido, “Si?” aveva domandato cercando di frenare la lingua, prima
di concentrarsi suoi suoi capelli, erano ricolmi di gel, un’impalcatura che
doveva sconfiggere le leggi della fisica, eppure in quel dettaglio trovò
qualcosa di stranamente famigliare. “Lei … io … credo di conoscerla” aveva
detto il ragazzo, grosse sopracciglia aggrottate, “Mi chiamo Baline Anderson”
aveva aggiunto, “Madre de dios”
esclamò lei, era uno di quei figli di papà di Westerville, in borghese non
l’aveva riconosciuto, ai tempi del liceo era facile, indossavano tutti le
uniformi blu con i risvolti rossi, la massima offesa al buon gusto. “Il gaio
uccellino canterino” esclamò alla fine lei, ricordando particolarmente quel
ragazzo, quello fanatico di Katy Perry. “Tu sei Santana, l’amica di Sebastian”
mormorò Blaine. Santana l’avrebbe davvero voluto offendere, per esser stata
accostata in quel modo a quel inopportuno
tizio che aveva conosciuto nella sua adolescenza. “Hobbit non provare mai più a
relazionarmi con quel insetto stecco
della Borgogna” aveva detto inacidita, infuocando con gli occhi Blaine,
che ne era rimasto quasi scandalizzato. “Mi dispiace” aveva mormorato
quell’altro confuso, “Comunque si sono io” aveva risposto Santana ritornando a
guardare il panorama del finestrino: binari, erano ancora fermi e lei aveva
così tanta strada da fare, per la sua Abuela.
Santana lo guardò storto bevendo la sua tequila,
“Ascoltami, sono qui per divertirmi e non ho intenzione di ascoltare le parole
di un vizioso figlio di papà” aveva detto inacidita, mandando già altro da
bere, “Questi posti si riempiono sempre della peggior gente” aveva detto
comunque Sebastian, “Ma è un bene che tu sia qui, non credo che potrai andare
molto lontano” aveva aggiunto, i suoi occhi verdi erano caduti su un ragazzo –
o era un ragazza ? – che dietro il bancone lavava un bicchiere cercando di
essere amicante con una specie di boscaiolo, Santana sollevò gli occhi al cielo, “Almeno non rischio di
crepare per una qualche malattia venerea” aveva detto lei, non che non amasse
le gioie del sesso, ma era decisamente più attenta di quell’insetto al suo fianco.
Smythe l’aveva ignorata amabilmente, cominciando a dedicarsi al cameriere,
regalandoli sorrisi e moine. Lei aveva scosso la testa, prima di girovagare con
lo sguardo una sorta di preda e Lei era lì.
Gli amici di Blaine Anderson
venivano da Lima, come lei, non erano ricchi di Westerville come il ragazzo,
erano persone comuni. Tina Choen-Chang lavorava ai costumi nei teatri di Broadway,
aveva le dita piene di cerotti, invece l’altro Sam Evans era un nuotatore e
frequentava l’università grazie ad una borsa di studio, non era una mente
brillante ma era alquanto amichevole, differentemente dall’amica che aveva
passato tutto il tempo a spettegolare con Blaine e a guardarlo come se avesse
voluto mangiarlo. “Tu invece Santana cosa fai?” aveva domandato bocca di trota,
lei era tentata di rispondere che non era affare suo e delle sue grosse labbra,
ma alla fine aveva detto che faceva la segretaria in uno studio e ballava a
tempo perso. Quando aveva parlato della sua attività fisica il ragazzo aveva
lanciato uno sguardo all’ipotetico quinto passeggero di cui solo una grossa
borsa da viaggio ne dimostrava l’esistenza, dal curioso pupazzetto a forma di
gattino ciondolante della chiusura Santana ipotizzò fosse una ragazza. “Avresti
dovuto continuare a cantare, eri proprio brava. Broadway impazzirebbe per te”
aveva commentato lo hobbit prima di lanciarsi in un appassionato soliloquio
sulla sua carriera che decollava sui teatri, per un attimo fu come essere di
nuovo sull’aereo con il nano con il suo grosso becco a ciarlare di Finn. Si chiese se quella logoroicità fosse presente da sempre, ma per quanto avesse passato
tempo ad ignorare l’elucubrazione di Sebastian non era certa di aver neanche
concesso mezzo secondo della sua vita a Blaine Anderson ed iniziava a pentirsi
di averlo fatto in quel momento. “Blaine è eccezionale” aveva squittito Tina,
con le gote arrossate, passandosi una mano tra i capelli, esisteva niente di
più patetico di una ragazza innamorata di un ragazzo che di sicuro avrebbe
preferito farsi il ragazzo con le labbra di trota.
Una creatura ambigua in quell’ambiente, una
stonatura in quell’ambiente. Il suo mondo in quel momento pareva grigio e
perverso, un rombante caos di rumori ed angosce, un pungente odore e rocambolesche
velocità, ma tutto sembrava improvvisamente essersi calmato. Una sola macchia
di colore, era lei. Lunghi capelli imbevuti di sole e grandi occhi azzurri, un
viso di bambola ed un espressione indecisa, seduta su una sedia, era lì fra
loro, ma distante mille miglia. Pareva sorda al rumore e cieca ai corpi.
Qualche ragazza si era seduta per parlare, ma dopo risposte che le sue labbra
avevano mormorato ma che per il rumore e la lontananza Santana non aveva
sentito, aveva visto volti crucciarsi e gente allontanarsi. Lei però si era avvicinata,
senza sforzarsi di essere sensuale, di attirare la sua attenzione e le si era
seduta accanto. Lei si era voltata. Dio se era bella, lo era, lo era, e se
avesse potuto Santana l’avrebbe baciata in quell’istante, l’avrebbe fatta sua,
avrebbe sentito il suo corpo o forse
poteva accontentarsi di guardarla. “Sembri distante” le disse solamente,
“Pensavo al mio gatto, l’ho lasciato da solo” aveva detto languida quella, per
un istante Santana aveva pensato scherzasse ed era stata sul punto di ridere,
ma dal buio negli occhi aveva compreso di star sbagliando, era seria. “Sono
sicura starà bene, i gatti sono in gamba” aveva detto semplicemente lei, alla
fine, “Lo so, Lord Tubbington è molto
sveglio” aveva risposto pragmatica la bionda, “Ma ho paura possa ricadere nel
vizio della droga se non lo tengo sempre d’occhio” aveva commentato poi
laconica, passandosi una mano tra i capelli e muovendoli un poco, odoravano di
lavanda e Santana se ne beò, “Questo potrebbe essere un bel problema” aveva
detto alla fine. La bionda aveva annuito, “Lo è!” aveva risposto, “Ma non so
perché nessuno mi prenda sul serio” aveva
commentato triste, l’altra le
aveva accarezzato la spalla, “La gente è egoista” aveva risposto solamente,
l’altra le aveva dato ragione, “Tu però non lo sei” aveva bisbigliato dolce,
guardandole gli occhi. Santana aveva involontariamente sorriso, quella ragazza
non aveva detto che lei non sembrava egoista, ma che non lo era, le sembrava
una cosa strana, una cosa bella. “Come lo dici?” domandò alla fine con un fare
amichevole, “I tuoi occhi” aveva risposto, “I miei occhi?” aveva chiesto
confusa Santana, “Sono troppo
belli per appartenere ad una persona cattiva”
aveva risposto l’altra.
“Quindi non appai più nei video
delle canzoni?” aveva chiesto con una smorfia la latina, ricordando quella
volta che Blaine Anderson era apparso in un video di Katy Parry, allora
Sebastian aveva una certa ossessione per quel ragazzo e l’aveva incastrata
spesso e volentieri a rivederlo con lui. Si incupì per qualche secondo, la fece
sentire strana ripensare a Smythe e alle cose che facevano insieme, non erano
amici, non lo erano mai stati. “Sono
apparso nel video di Mercedes Jones, non so se l’hai mai sentita” aveva
replicato il ragazzo, “Mai, sai negli ultimi tre anni ho vissuto in Siberia,
Hobbit” aveva risposto acida lei; la
cantante citata aveva scalato le vette di tutte le classifiche negli ultimi tre
anni, aveva una voce davvero forte, Marley sapeva a memoria tutte le canzoni e
Jake era anche riuscito ad apparire in un video come ballerino. Avevano cercato
di convincere anche lei a provarci, ma aveva rifiutato, Quinn l’aveva
canzonata, come ogni grande cosa della sua vita, Santana non aveva il coraggio di mettersi in gioco, l’università ne
era una prova; forse per la prima volta Santiago sarebbe stata il suo riscatto. “Le ho cucito due degli ultimi
vestiti del concerto di Boston” aveva detto Tina ancora elettrizzata da
quell’esperienza, “Si ed hai avuto una storia con il seducentissimo primo
ballerino” l’aveva canzonata Blaine con una risatina, “Artie è ancora arrabbiato”
aveva mormorato Sam, che continuava a guardare insistentemente la borsa al suo fianco, “Gli passerà” aveva
detto con tranquillità Tina.
Santana non aveva mai pensato che ci si
potesse innamorare a prima
vista. O che ci si potesse crogiolare
nelle parole di una persona, nella sua voce, candida, innocente. Santana non aveva mai creduto che avrebbe mai
provato nella vita un sentimento tale. Grovigli, sguardi languidi. Ballare
stretti dopo ore di chiacchiere su una pista. La musica era violenta ed intorno
a loro gente si strusciava, appiccicava e baciava, si toccava, assaporava. Ma
loro erano superiori a loro, abbracciate strette, ma sorde alla musica, vive in
un mondo solo loro. Unite in un lento e nei respiri che si mischiavano. Dolce,
melodico, innocente, lo era la canzone che unicamente le due sentivano, quanto
i loro cuori allo stesso ritmo. Santana non aveva neanche il coraggio di
baciarla. Aveva già avuto delle ragazze , sapeva aveva che se avesse baciato,
la bionda non s sarebbe ritratta, eppure non lo fece, restò immobile a bearsi
di quelle labbra; se l’avesse baciata, Santana era convinta che avrebbe
rovinato ogni cosa. “Mi piace Ballare” sussurrò lei, posando il mento tra
l’incavo del collo e della clavicola, “Vorrei poterlo fare per il resto della
mia vita” aveva aggiunto, la sua voce sembrava stranamente malinconica, Satana
avrebbe voluto dirle che anche a lei piaceva farlo, ma alla fine disse altro:
“Nessuno te lo vieta”, aveva posato la
testa tra i capelli biondi dell’altra, “I miei genitori hanno sempre detto che
ero speciale” le aveva risposto quella. Si la latina avrebbe voluto dirle che
lo era, lo capiva dal suo sorriso, non ne aveva mai visto uno così bello. “Era la danza che mi rendeva speciale”
aveva sussurrato, allontanandosi appena, “Ma lo sono per tante altre cose”
aveva rivelato.
Era andata a prendere delle
merendine quando si era trovata Sam alle sue spalle, si era giustificato per il
medesimo motivo. “Posso chiederti una cosa?” le aveva chiesto, mentre lei
contrattava in un pessimo francese con il ragazzo con il carrello dei cibi per
avere un pacchetto di biscotti, “Dimmi, labbra a canotto” aveva risposo lei,
mentre tirava fuori gli euro dal suo portafoglio, studiandoli con curiosità, “Fai il cammino di Santiago?” alla fine la
domanda era venuta da Tina che li aveva raggiunti con un sorriso sornione,
dallo sguardo che li aveva lanciato l’amico non era la domanda che avrebbe
voluto porgli, “Si” aveva risposto Santana, “Anche voi?” aveva chiesto poi, mentre
prendeva il resto dal ragazzo, Sam aveva
risposto affermativamente. La latina aveva cominciato a mangiucchiare i
biscotti, trovandosi costretta ad offrirgli, “E come sono correlati un
nuotatore, una costumista ed un cantante di palcoscenico sul cammino di
Santiago?” aveva domandato, Tina aveva sorriso, probabilmente poche persone
erano così interessate a lei da volersi informare, doveva farla sentire
importante. “Io e Sam siamo amici dal liceo. Poi ho conosciuto B mentre venivo
a portare vari costumi per la NYADA” aveva spiegato immediatamente la ragazza
asiatica, “Era lì, che continuava a litigare per una nota che non riusciva a
raggiungere” aveva ripreso, sembrava estasiata da quel racconto, “Ti stai
godendo la parte migliore” l’aveva presa in giro Sam, “Non ha ancora cominciato
a fare il dettagliato racconto di quanto sembrasse un sufflè meraviglioso il
suo sedere” aveva scherzato il biondo e questo aveva fatto ridere Santana. Tina
li aveva tirato una gomitata leggermente infastidita, prima di voltarsi verso
la latina, “Quindi anche tu canti bene?” aveva domandato, ricordando quello che
aveva detto Blaine, “Abbastanza” aveva risposto.
“Be, è stato il mio ex-ragazzo ha trovare
questo posto” aveva detto la bionda quando erano uscite dal locale, “Un posto
dove potessi stare con altri unicorni e bicorni” aveva aggiunto. Aveva uno
splendido sorriso, mentre si infilava la giacca. “Ex-ragazzo?” aveva domandato
Santana con un nodo allo stomaco, “Si, in secondo siamo stati assieme a lungo”
aveva risposto, “Ma non ha funzionato” aveva mormorato, passandosi una mano tra
i capelli. La latina l’aveva studiata
attentamente, “Siete rimasti in buoni rapporti?” aveva domandato alla fine,
quella aveva annuito, “Si è molto dolce” aveva risposto la bionda. Santana le
aveva accarezzato i capelli, non la sorprendeva, nessuno al mondo poteva essere
in cattivi rapporti con quell’angelo. “Tu come l’hai trovato?” le aveva chiesto
con curiosità, “Un am … tizio che conosco” aveva comunicato la latina con una
sensazione di insufficienza, pensando a Sebastian che aveva quasi definito
amico. Lei scivolò sul posto accanto al guidatore, “Dobbiamo assolutamente
andare in un posto” aveva esclamato sorridente, “Quale?” aveva domandato
Santana, “Dove, giuro, sono certa di aver visto una fata” aveva esclamato,
quella aveva annuito, lei la stava guardando ora una fata. “Ora, hai un ragazzo
o una ragazza?” aveva chiestola latina, tenendo gli occhi verso la strada,
prima di leccarsi le labbra, la bionda aveva un sorriso triste, “Ne avevo uno” aveva
sussurrato, “Ma le persone non possono essere
messe in valigia” disse sconsolata, prima
montare su un sorriso, “Sono troppo grandi” aveva detto. Santana allora aveva
riso, immensamente divertita. La bionda si voltò verso di lei, “Ti hanno mai
detto che hai una risata bellissima” aveva commentato la ragazza, gli occhi
azzurri luminosi sembravano risplendere di una luce nuova. “No” aveva
commentato Santana, non così al meno,
aveva pensato. La bionda le aveva comunicato di girare, per raggiungere il
posto delle fiabe.
“Quindi ti sei presa una cotta
per l’Hobbit?” aveva domandato Santana, mentre scrutavano il panorama che
continuava a scorrere, “Lo amo” aveva risposto Tina con un sorriso amichevole,
“Ed il primo ballerino ed Artie?” aveva chiesto con una certa curiosità,
“Quelle sono cose serie. Blaine è il mio amico gay” aveva risposto la ragazza
asiatica, “E’ l’altra meta della mia mela”
aveva spiegato. Una sorta di Puck si era detto Santana o di Sebastian, è quasi
le era venuto il disgusto a pensare a quello. Mentre offriva alla ragazza un
biscotto, “E lo gnomo che ha fatto negli ultimi cinque anni?” aveva chiesto con
disinvoltura, aveva lasciato il ragazzo cinque anni prima che era sul punto di
cadere nella ragnatela di Sebastian e delle sue pulsioni e poi eccolo svestito
del blazer inamidato in viaggio per la Cattedrale di Santiago. “Conosciuto
gente famosa. Cominciato a cantare sui palchi. Una certa fama” aveva cominciato
ad elencare Tina, “E l’amore” aveva commentato squittente l’asiatica, “Smythe?”
aveva azzardato Santana, “Per me Sebastian e gli altri Usignoli sono entità
astratte” aveva confessato, “Solo Wes e David” aveva commentato con tristezza. Santana aveva annuito, lei li
aveva conosciuti tutti, dal primo
all’ultimo; “E questo amore, allora?” aveva domandato, “Lui preferisce non
parlarne” aveva bisbigliato Tina, “E poi ha me sta antipatico” aveva aggiunto
con convinzione. Sam si era avvicinato a loro, “Però senza l’innominabile soggetto X, non avremmo mai conosciuto
Mercede, Mike e gli altri” aveva enunciato.
Santana immaginò il fantomatico ragazzo, lo immaginava diverso, ma non
sapeva esattamente da chi, con gli occhi
belli, diversi da quelli capricciosi e maliziosi di Sebastian, occhi verdi
e cattivi.
Il posto delle fate era dove terminavano quasi
tutti gli appuntamenti degli adolescenti: uno spiazzale dove si accostavano le
macchine ad una certa distanza l’una dall’altre. “Lo conoscevi?” aveva
domandato la bionda, “Direi di si” aveva detto Santana, slacciandosi la cintura
e voltandosi verso la ragazza, allungò una mano verso di lei e spostò un ciuffo
di capelli biondi dietro l’orecchio, quella sorrise di miele, “Accendi la
radio, unicorno” le aveva richiesto
quella, la latina aveva sorriso “Certo” aveva sussurrato in risposta. La
canzone che parti alla radio era vecchia di qualche anno, Santana ricordava le
parole, “Va bene?” aveva chiesto, ma la
bionda si stava già togliendo la giacca ed abbandonando i tacchi, prima che
l’altra potesse dire qualcosa, era uscita fuori scalza sull’erba incolta, “Alza
il volume” aveva urlato l’altra. Santana aveva eseguito ed era uscita dal
veicolo, nell’erba incurante delle altre poche macchine appartate, la bionda
aveva cominciato a ballare, faceva
movimenti fluidi, “Tu balli?” le chiese, “Latino Americano” si ritrovò
ad ammettere la ragazza, quello era contemporaneo, con un po’ di classico,
forse anche moderno, “Peccato” le urlò lei, “Aspetta ti insegno” aveva
scherzato, prendendola per mano e portandola vicino a lei, quasi si erano
urtate. La bionda aveva cominciato a farle vedere le prime posizioni dei piedi
delle mani, cose elementari come un pliè, ed altri passi che lei aveva eseguito un po’
a tentenni, “Questo è un batman”
aveva detto, puntando il piede verso di lei e sollevandolo un poco da terra,
“Questo è un grand batman” aveva
aggiunto, continuando la salita e il piede raggiunse quasi la testa, lei era
stoica immobile, su una gamba sola, “Puoi avvicinarti?” le propose e l’altra
eseguì, quella allora li posò il tallone sulla spalla, “Molto più comodo” aveva
bisbigliato. Santana aveva riso ed anche l’altra, “Hai una bellissima risata”
aveva detto la bionda, l’altra avrebbe voluto ribattere lo stesso ma tutto
quello che uscì fu: “Vorrei baciarti”,
si vergognò quasi di averlo detto, quella portò giù la gamba, prima di portare
le mani sulle sue guance e baciarla.
Santana beveva succo di mela,
quando Blaine le si appiccicò a fianco, “Cosa c’è nano, cerchi i tuoi fratelli
e Biancaneve?” aveva chiesto lei, quello aveva ridacchiato appena. “Ti ho mai
detto quanto sei dolce?” aveva risposto lui con tranquillità, prima di
guardarla seriamente, “So che hai
parlato di me con Tina” aveva risposto il ragazzo. “Ero sicura che ha questo
punto della tua vita ti avrei trovato con Sebastian” aveva confidato alla fine,
quello aveva ridacchiato divertito, “Per un po’ l’ho pensato anche io” aveva
ammesso, “Ma deve essere stato un pensiero comune, perché anche Thad lo
pensava” aveva poi precisato divertito ed Santana si era presa qualche istante
per fare mente locale, prima di ricordarsi del ragazzo in questione; allora
rise, “Davvero quei due?” la domanda le venne spontanea, “Si, da quel che so,
credo stiano ancora insieme” aveva aggiunto Blaine divertito. Thad era un ragazzo tranquillo, incline alla
disciplina e pacato, l’ultima persona con cui Santana avrebbe immaginato uno
come Sebastian Smythe. “Bello” aveva
esclamato alla fine, non l’avrebbe mai ammesso, anzi l’avrebbe negato
fino alla morte, ma poteva sentirsi rilassata all’idea che quello stronzetto di
Sebastian avesse trovato un bravo ragazzo. Blaine si mise a ridere, eppure nei
suoi occhi c’era un ombra, “Gnomo non è che rimpiangi quell’ermellino
deperito?” aveva domandato, “No” aveva esclamato fintamente indignato il
ragazzo, “Pensavo all’amore” aveva
rivelato. Certamente si disse Santana, quell’amore là, di cui parlava
Tina, “Il misterioso soggetto x”
disse alla fine, ma Blaine non parlò, si limitò ad osservare il panorama che
continuava a scorrere, in un silenzioso disagio, nel suo petto doveva esserci
ancora una sanguinante ferita. “E tu?” chiese alla fine, “L’ultima volta che ti
ho vista, eri totalmente innamorata” aveva detto Blaine; stavolta fu Santana a
rimanere in silenzio. Per quanto lo
vorremo le persone non possono essere messe in valigia. Tina si affacciò nella
cabina e guardò critica la borsa del quinto passeggero, “Vado a vedere se sta
bene” aveva commentato, “E’ chiusa in bagno dall’inizio del viaggio” aveva
spiegato prima di scomparire.
Era l’alba quando Santana parcheggiò nel
vialetto della bionda, “Pensi che in mia assenza Lord Tubbington si sia
drogato?” aveva chiesto lei spaventata, la latina aveva mosso la testa in segno
di diniego, “Sono certa sia stato buono” l’aveva rassicurata lei. La ragazza le
aveva sorriso, prima di posarli le mani sulle guance e baciarla sulle labbra,
come aveva fatto tutta la notte precedente, “Grazie per questa notte” aveva
sussurrato la bionda, quando si era allontanata appena, “Grazie a te” aveva
risposto Santana con una risata allegra nella voce, baciandola nuovamente, sembrava
stupido ma non aveva voglia di lasciarla andare, voleva stringerla a se,
“Possiamo rivederci?” aveva domandato quella, “Si” era stata la risposta di
Santana e per favore non smettiamo mai di
farlo, avrebbe aggiunto. La bionda le
aveva dato un altro bacio, prima di allungare una mano verso di lei, “Brittany Spears” aveva detto, “Come Britney?” aveva chiesto
confusa la latina, “No, Brittany S. Pierce. Ma si come Britney” aveva detto divertita la ragazza, “La S sta per
Susan” aveva spiegato con un bel sorriso, la latina aveva stretto la sua mano,
“Bene, Brittany S.Pierce, io sono Santana Lopez” aveva spiegato, prima di darle
un altro bacio, “Che bel nome” aveva squittito, prima di baciarla ancora.
Brittany cercò nella sua borsetta qualcosa e Santana notò che erano dei
pastelli a cera di tutti i colori, “Cosa?” aveva domandato la ragazza, “Shh”
aveva risposto Brittany, prima di afferrare il braccio della latina, dove aveva
cominciato a scrivere numeri di tutti i colori sulla pelle della ragazza, “Sono
brava con i numeri” aveva detto divertita, “Vedo” aveva risposto Santana, ma
lei sapeva quelle sette cifre cosa erano. “Chiamami” aveva bisbigliato la
bionda, prima che la latina la baciasse ancora, “Sicuramente” aveva risposto
l’altra.
La stazione Puy-en-Valey non era mai sembrata così vicina, fino a quel
momento. Una piccola cittadina graziosa, che vedeva avvicinarsi pian piano.
Blaine al suo fianco e Sam davanti, che continuava a guardare nervosamente la
borsa, Tina ed il quinto passeggero ancora disperse per il treno. “Posso farti
una domanda?” aveva chiesto il ragazzo, “Se vuoi sapere perché voglio fare il
cammino, risparmiati” aveva risposto acida, lanciando uno sguardo alla borsa
posata sopra di lei, “No, no” si era immediatamente difeso Sam. Blaine l’aveva
guardato stranamente incuriosito, “Di” aveva concesso Satana, non che la cosa
la riempisse di gioia, ma prima che il biondo dalle abnormi labbra dicesse
qualcosa, la porta della cabina si era aperta e Tina era comparsa sull’uscio,
“Dove eri finita?” aveva chiesto apprensivo Blaine, “Qualcuno non stava molto
bene” aveva spiegato la ragazza d’origine orientale, prima di sedersi al posto
accanto al suo amico, allora dietro di lei era comparsa una bionda, con grandi
occhi azzurri e bellissima, “Santana”
sfuggì alle labbra della ragazza, “Brittany”
sussurrò l’altra. Quattro anni.
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Capitolo 3 *** Go Off The Rails ***
santiago
Titolo:
The Walk of Punishment
Titolo Capitolo: Go Off The Rails
Paring:
Brittany/Santana. (Altri minori quali Kurt/Blaine ed altri)
Rating:arancione
Disclaimer: Ovviamente non possiedo nessuno e
nessun luogo e questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Sommario: Santana
per circostanze più grandi di lei e
costretta a partire per un avventura all’apparenza faticosa e folle, che la
porta però ha riflettere su se stessa e su ciò che vuole. E la porta a Brittany.
Beta: Non ne ho una
):
Note:
1-Lo so ci
ho messo una vita ad aggiornare ed immagino che tutti quelli che desiderassero
un momento Brittana, ci rimarranno malissimo. Questo è un capitolo Deraglio.
Ovvero legato alla storia ma che non presenta Santana per ora. Tutte le storie
finiranno per intrecciarsi alla fine. Ciò non toglie che dal prossimo (anzi per
i prossimi) Satana torna ad essere l’indiscussa protagonista.
2- Il titolo non è nessun rifermento, vuol dire Andare fuori dalle Rotaie. Che è un po’ quello che questo capitolo
fa, quanto quello che i protagonisti fanno.
3- Ho scelto due personaggi molto particolari. Ma ho trovato il modo di
infilarci Santana lo stesso.
Vorrei ringraziare tutti coloro che
leggono/preferiscono/ricordando e chi recensisce: TimOFF
Buona
Lettura
RLandH
[Always complains for nothing]
The Walk of Punishment
Go Off The Rails
Hunter avrebbe davvero voluto stritolarsi le noci
con una cesoia e non ne fece mistero con Sebastian. Che si limitò a sollevare
lo sguardo, “Lo sto facendo soltanto per te, Clarigton”aveva detto l’altro
seccato, infilando le chiavi nella toppa
della porta, “Hai un problema” stabilì alla fine aprendo finalmente la porta.
Hunter si chiese quanto fosse caduto in basso se a dirgli che aveva un problema
era Smythe, “Smettila” disse, entrando
nella enorme attico che apparteneva alla famiglia dell’amico da anni. Era la
casa di infanzia di Sebastian e lo era stata fino al primo anno di liceo. “Ho
avuto un piccolo problema” aveva detto minimizzando la cosa il ragazzo, mentre
tirava dentro lo zaino, “Piccolo problema?” aveva chiesto l’altro buttandosi
sul divano, “Sei stato licenziato” aveva commentato, “Capita a tutti” aveva
sminuito Hunter, “Da tuo padre” aveva
risposto Sebastian. Decisamente quel
dettaglio non era irrilevante, “Anche tu” aveva precisato alla fine. Smythe
si era sollevato sui gomiti, “Punto numero uno: Mi sono licenziato. Punto
numero due: Ho un altro lavoro” aveva commentato con accidia. Sebastian
lavorava per suo padre, ma alla fine aveva preferito entrare come assistente
nella campagna elettorale di un deputato e da un anno a questa parte era assistente
di un senatore o qualcosa del genere.
Hunter Clarigton era arrivato alla Dalton al suo penultimo anno, veniva
da una scuola militare in cui era rimasto un anno e prima di quella era stato
in altre sedici scuole da cui era stato espulso. E sebbene fosse sempre stato
uno con comportamenti del tutto menefreghisti ed un leader nato, gli dava
sempre parecchio noia dover arrampicarsi socialmente in una scuola. “Tu sei
quello nuovo?” aveva domandato un ragazzo, affiancandolo, era bassoccio e con
un viso tondeggiante, “Hunter Clarigton” disse solamente, “Trent” aveva
risposto l’altro, prima di comunicare che era addetta all’accoglienza dei nuovi
studenti, “In realtà se ne occupa Blaine, ma avuto dei problemi” aveva detto
evasivo, il ragazzo lo aveva ignorato di
sana pianta, “Jeremy l’ha lasciato. Di nuovo” aveva spiegato. Hunter l’aveva guardato appena, prima di chiederli
dov’era la segreteria. Una flessuosa
donna era posata alla scrivania e sembrava essere in lite con un uomo basso,
“Quella è la professoressa di francese” aveva spiegato Trent, “Bene” disse
Hunter, quella era il genere di donna che piaceva a lui. La donna alla fine era
andata via imprecando a mezza voce sul pessimo orario appena dato, così i due
ragazzi erano andati dall’uomo basso, “Hunter Clarigton” aveva detto
semplicemente, “Anno?” aveva domandato l’uomo, “Terzo” era stata la risposta.
L’uomo aveva cercato tra vari fascicoli e li aveva depositato un orario ed una
chiave, “Per le attività extrascolastiche il signor Barney possa essere utile”
disse indicando Trent, prima di chiederli dove fosse finito Anderson, “Mal di
gola” disse quello, ma Hunter intuì che avesse mentito.
Un tempo uscire con Sebastian Smythe voleva dire
rincasare alle sei del mattino, ridotti come stracci e con la totale incapacità
di camminare in linea retta. Un tempo. Ora era una serata tranquilla in un posto di
classe a bere vino costoso insieme ad un mucchio di gente che continuava a
guardarlo dall’alto in basso, parlando in francese, notando quanto fosse
cresciuto Sebastian e quanto fosse americano
lui. “Una volta era divertente passare tempo con te” aveva detto Hunter
guardando critico il vino nel suo calice, lui era sempre stato uno da birra
bevuta con la lattina bucata, “Quando ti portavo allo Scandals non mi pareva ti
divertissi troppo” aveva risposto Sebastian, assaporando il vino prima di
ingerirlo. Ufficialmente, si chiese Clarigton
dove era finito quell’idiota del suo compagno di stanza del liceo? Quel
Sebastian che una notte era rincasato scavalcando il cancello, in capace di
camminare sulle sue gambe e con i vestiti – rubati dalle boutique – di Santana
Lopez. “Ciò non toglie che sei diventato noioso” aveva risposto Hunter. La
colpa era di Thad. Quando Smythe aveva smesso di cacciare – lui rimorchiava,
Sebastian cacciava – qualunque bel faccino, per divenire membro di una coppia
di pensionati, di cui Clarigton non riusciva ancora a spiegarsi perché, era
diventato noioso. Per un po’ al college aveva cercato di mantenere la sua fama,
tenendosi ubriaco sei giorni su sette ed uscendo tutte le sere rincasando ad
ore indecenti, per lo stesso lasso di tempo non aveva funzionato con Thad.
Calmatosi e con la testa sulle spalle, fedele e studioso, la sua relazione era
progredita in modo idilliaco. “Una volta
avresti cercati di farti metà delle persone di questa stanza” aveva commentato
lui, “E tu l’altra metà” aveva scherzato Sebastian, prima di accorgersi che un
ragazzo lo stava guardando, ma lui aveva voltato la testa ignorandolo. Prima di
Thad, Smythe aveva sempre qualcuno nel
suo letto – a volte anche in quello di Hunter – ed una cocente ossessione per
Blaine occhi-da-cerbiatto-altezza-da-gnomo
Anderson, che non lo aveva mai portato da qualche parte. “Non ho mai capito
cosa ci hai trovato in Thad” aveva detto alla fine lamentoso. Era un tipo così
pacato, cheto, con qualche eccentrica mania, ma lontano da qualunque genere di
ragazzo Smythe avesse adocchiato. “La domanda è cosa lui ha trovato in me” aveva risposto Sebastian.
Stanza 3D, dormitorio sud, quarto piano, corridoio del terzo anno. Quarta
porta a sinstra. La sua stanza. Infilò le chiavi nella stanza, girò lentamente
ed aprì la porta. Trent era al suo fianco e qualcuno era già dentro la sua camera,
tre persone e tutte guardavano la porta incuriositi. Uno alto, snello, con un
ghigno stampato in viso, due seduti sul suo letto, uno aveva buffe sopraciglia
e l’altro pareva così anonimo, “Buongiorno” aveva detto Trent, prima di
rivolgersi ai tre ragazzi, quello alto era Sebastian, quello con le sopracigli
indecenti era Blaine e l’altro era Nick. “Di chi è questa stanza?” aveva
domandato il ragazzo il viso tondo, il ragazzo alto aveva alzato la mano,
“Questa è la mia stanza, bellezza” aveva tenuto a dire. Hunter decise quel giorno, nove settembre, alle
quindici e cinquanta quattro del suo terzo anno, alla Dalton Accademy che
Sebastian non gli era simpatico, a pelle, senza contare la voce fastidiosa, e
che avrebbe occupato quell’intero anno a distruggerlo. “Anche la mia” disse, lasciando cadere il borsone sul
letto libero prima di sedersi. Sebastian voltò lo sguardo verso Blaine e gli
sorrise in un modo sospetto, il ragazzo mosse il capo sconsolato prima di
alzarsi e dire che doveva sfasciare la valigia, “E’ stato un piacere Hunter”
aveva detto prima di uscire, Nick si era alzato poco dopo, doveva parlare con
Trent di una cosa che aveva fatto quell’estate, con un certo mistero. Sebastian
non smise di guardarlo come se volesse mangiarlo.
Sebastian non era mai stato interessato alla
cultura. Era sempre stato uno di quelli a cui piaceva fare i Tuttologi, ma
onestamente non era mai rimasto appassionato di arte o cose di questo genere, quello era Thad. Lo spassionato amore
per miti e leggende, o qualunque altra cosa fosse scritta sui libri, del
ragazzo di Sebastian sembrava bastare per l’intera Dalton, Thad aveva passione
per ognuno di loro. Così quando si era trovato critico davanti il piccolo – e deludente –quadro della Monna Lisa non
aveva potuto evitare di voltarsi verso l’amico e chiedere: “Perché?” solo quello. Perché quella mattina lo
aveva svegliato e trascinato in un museo? “Non si può venire a Parigi senza
venire al Louvre” aveva risposto
cinguettante Sebastian. Hunter sembrava schifato da quella frase, erano andati
a New York tante di quelle volte senza aver mai avuto il desiderio di posare
neanche il suolo della propria scarpa nel Moma. “Ceerto” disse alla fine confuso, prima di lanciare uno sguardo
critico al ragazzo, che sembrò non curarsene continuando la sua lunga
camminata, “Mi sta nascondendo qualcosa?” domandò alla fine, ma Sebastian
continuò imperterrito come se lui non avesse detto niente, “Lo stai facendo”
l’aveva accusato Hunter. Ed un po’ l’offese, ogni minimo dramma che aveva avuto
Sebastian come protagonista da Santana-ha-scarabocchiato-sulle-mie-camice-di-seta
a Blaine-mi-ha-mandato-in-bianco,
Clarigton l’aveva sempre sorbito. Smythe accelerò il passo finendo addosso ad
un ragazzo, lui dal canto suo sembrava così preso dai quadri da non averlo
neanche visto fino al momento dello sguardo, accanto a lui c’era una ragazza.
“Scusami” balbettò il ragazzo, una faccia pulita ed occhi azzurri, Sebastian gli
aveva detto qualche cattiva parola in francese, quando aveva dedotto che quello
era americano, ma contro ogni sua previsione quello aveva risposto a tono.
Probabilmente alle superiori doveva aver seguito la lezione di Francese, a
differenza di Hunter che aveva sprecato gli ultimi due anni di scuola nel
tentativo di farsi l’insegnate, gloria poi rubatagli da quel nasone di Nick. Sembrava
ambiguo ma aveva quasi l’impressione che quei due si conoscessero. La ragazza
accanto al ragazzo, si arpionò le mani sui fianchi e cominciò a dibattere
quello che secondo lei era successo, come se l’intera storia fosse del tutto
avvenuta da un’altra parte verso la sua versione. Ma mentre agitava la mano e
quel suo enorme naso – forse batteva Nick – si accorse di lui e il dito rimase
a mezz’aria, “Io ti conosco” disse, aveva una voce melodica, quando parlava in
inglese, una di quelle che non dimentichi: Rachel Barry.
A distanza di tre settimane era stato abbastanza reso noto che Smythe –
quello era il cognome di Sebastian – non volesse mangiarlo, quanto farselo. E
no, non aveva accettato come scusa sull’impossibilità di consumare il fatto che
Hunter non fosse neanche lontanamente B-Curioso, ma il fatto che avrebbe usato
la sua faccia come sacco d’allenamento, era stata una buon deterrente. Per tre giorni. Poi si era dovuto
arrendere alla fame insaziabile di Smythe, che aveva presto trovato una nuova
preda, più fruttosa e poi un’altra ancora. Questo però non gli aveva impedito
di provarci schifosamente con lui ogni volta che ne aveva l’occasione. Trent – santo
Trent – gli aveva spiegato che Sebastian
aveva interesse per ogni essere di sesso maschile che respirasse o che fosse
almeno di bell’aspetto, ma che poteva tranquillizzarsi, aveva le sue prede
stabilite. Blaine ad esempio. Il che non pareva poi così strano, era una
vittima facile, un ragazzo esuberante a cui piacevano i complimenti, il quale
ragazzo lo lasciava un giorno si e l’altro pure. Eppure inarrivabile. Ed era un
martedì il giorno in cui Blaine, simpaticamente ribattezzato lo Hobbit, più o
meno da tutta la scuola, si sedé assieme a lui e Nick. “Giusto te, cercavo”
aveva detto il ragazzo dal naso più grandi di questa terra, indicando il
ragazzo più basso di quest’ultima, “Dimmi” aveva detto cinguettoso Blaine,
“Dovresti cantare ad una festa” aveva risposto. Allora Hunter si era inserito
nel discorso, “Quale Festa?” aveva chiesto, sentendosi giustamente straniato
per il fatto di non aver sentito mai parlare di quell’argomento da tre
settimane a questa parte. “La festa di James” aveva risposto Nick, “Quel
megalomane fa una festa ogni anno” aveva poi spiegato; “E’ una bella cosa”
aveva detto Blaine, “le feste di James sono sempre interessanti” aveva
illustrato, con un tono un po’ ambiguo, come se non le trovasse davvero in quel
modo, “Blaine si annoia sempre” lo aveva canzonato Nick, “Certo, perché oltre
Thad e Bas vi lanciate tutti dietro le ragazze” si era difeso lo Hobbit. A quel
punto Hunter sorrideva in modo perverso, femmine, dopo tre settimane avrebbe
potuto rivedere una ragazza. “Sarà meraviglioso” aveva commentato con un
sorriso beato, “Devi avere l’invito” aveva commentato quello gnomo, scoppiando
la sua bolla.
Hunter aveva conosciuto Rachel Barry dietro il
sipario di uno spettacolo di Brodway, aveva il viso dipinto di verde ed un
capello da strega. La donna con cui era uscito quella sera, era un amante dei
musical e così Hunter era stato costretto a sorbirsi una serata di balli e canti. Ma l’unico motivo
per cui si era infilato dietro le quinte, oltre tentare di far bell’impressione
sulla sua donna, era stato l’aspetto di una di quelle macchiette sul palco. Un
vecchio viso amico. Blaine Anderson. E
quello gnomo era lo stessa persona che aveva legato la vita di Sebastian
Smythe e Kurt Hummel, il ragazzo che era al fianco di Rachel in quel momento.
“Incredibile come Blaine riguardi sempre tutti” aveva detto con un sorriso
sornione quando divertito Sebastian, mentre sorseggiava il suo caffè
opportunamente corretto, “Incredibile che ti abbia incontrato qui a Parigi” si
era lamentato Kurt, senza nascondere un velato disprezzo. “Il mondo è piccolo” Rachel aveva cercato di smorzare l’aria tesa
tra i due, notando di non esser considerata si era voltata verso Hunter ed
aveva cominciato a sommergerlo di domande, in verità erano periodi con domande,
nessuna risposta variava dal si o dal no, non che quella donna potesse dargli
altre consonanti. Una doveva essere già troppa. “Sapete io e Kurt resteremo
ancora pochi giorni in Francia, poi andremo in spagna, dal mio ragazzo” aveva
detto cinguettosa Rachel, accarezzando le spalle del suo amico, che aveva a
stento sollevato gli occhi per rivolgere uno sguardo di ghiaccio a Smythe. Sebastian aveva messo su un sorriso malizioso,
“Che coincidenza” aveva esordito, a quel punto Hunter l’aveva guardato davvero
confuso, “Anche noi andiamo in Spagna” aveva tenuto a precisare il ragazzo
magro, Hunter avrebbe voluto chiedere spiegazione. Gli occhi di Kurt erano
spalancati dal disaggio, “Che felice
coincidenza” aveva detto, ma non lo pensava minimamente, era ovvio.
“Tranquillo, fatina” aveva esordito
sgarbatamente Sebastian, “Non rischieremo di incontrarci” aveva precisato, “Io
ed Hunter partiamo per il cammino di Santiago” aveva tenuto a rivelare. Hunter
guardò l’amico decisamente sbigottito, che storia era mai quella? Lui era partito
per fare una vacanza rinvigorente in Europa, per tirarsi un po’ fuori da tutti
i problemi che aveva disseminato in America, non di certo per farsi una
passeggiata di tutti quei chilometri.
Nessuno dava limiti ad Hunter Clarigton, tanto meno il non avere un
invito per una festa. E Sebastian era dello stesso avviso. Anche perché neanche
lui era stato invitato. Al secondo anno aveva avuto vari problemi con
l’organizzatore della festa e questo aveva deciso di ometterlo dagli inviti.
“Potreste semplicemente imbucarvi? Come tutti” aveva esclamato annoiato Thad,
un ragazzo alto quanto quell’hobbit di Blaine, che impudentemente sedeva sul
suo letto mentre leggeva un libro di narrativa, era venuto perché Sebastian lo
aveva convinto a studiare insieme, ma si era ritrovato in quel complotto, non
molto entusiasta di questo. Hunter si ripromise di non spiegarli mai, che Sebastian non aveva davvero voglia di studiare. “James non ci farà mai entrare” aveva bisbigliato scoraggiato il suo
compagno di camera, prima di sedersi accanto a Thad e far scivolare la sua mano
casualmente sulla gamba del ragazzo. Hunter aveva commentato che se fossero
state ragazze non avrebbero avuto problemi, le ragazze potevano sempre
imbucarsi ovunque – tranne allo Scandals il venerdì sera aveva tenuto a
precisare Sebastian, quella era una serata esclusivamente per maschi – al che Thad aveva chiesto se avessero
intenzione di vestirsi da femmine. “Starei bene con una gonna” aveva detto
divertito Sebastian, “Sto bene con ogni cosa” aveva precisato, prima di
chiedere conferma al ragazzo seduto accanto a lui, Thad era divenuto rosso,
infilando poi il naso nella lettura, per sfuggire alla risposta. “Anche io”
aveva accordato Hunter, “Ma non sarei credibile con una gonna” aveva tenuto a
precisare, “Hai decisamente dei polpacci enormi” aveva detto un ragazzo,
posandosi sullo stipite della porta, Jeff, con una risatina divertita, prima di
dileguarsi alla stessa velocità del suo arrivo. “Non era ai polpacci che mi
riferivo” aveva comunque commentato Hunter,
prima di lanciare uno sguardo alle sue gambe comunque, era decisamente
orgoglioso dei muscoli che ci erano sopra. “Non per essere ovvio ma non
potreste chiedere a qualche amica di entrare?” aveva domandato Thad,
riemergendo dalle parole di William Blake. Hunter non aveva amiche, non da
quando l’avevano confinato in quel posto e Sebastian aveva sempre mostrato un
certo odio per il genere femminile. Il suo compagno di stanza saltò su come una
molla, “Lopez!” esclamò entusiasta, prima di lanciarsi sul ragazzo sul letto e
baciarlo, “Sei un fottuto genio, Thad” aveva rivelato, prima di ricomporsi e
tornare il pomposo ragazzo dal sorriso malizioso, “Chi è Lopez?” aveva
domandato Hunter con una certa curiosità. Il terzo nella stanza invece era
rosso in viso, muto, si era tuffato nuovamente nella lettura, non che qualcuno
avesse effettivamente badato a lui. “Un’ ami … una ladruncola da centri commerciali” aveva sminuito Sebastian.
Alla fine che fossero nel reparto sportivo di un
centro commerciale, con in mano, corde e rampini, Hunter aveva avuto la prova
che Sebastian-ricordati-di-non-fidarti-di-me-Smythe
era davvero intenzionato ad arrivare alla chiesa di San Giacomo. “Vuoi davvero
farlo?” aveva domandato Hunter, mentre adocchiava delle scarpe da trekking
davver niente male, “Certo” aveva risposto meccanicamente l’altro. “Tu che ti
sei buttato a terra di proposito in quarto, per non fare la corsa campestre?”
aveva chiesto stordito Hunter. Lui era il salutista che correva tutte le
mattine, andava in palestra e si imbottiva di bibitoni proteici, Sebastian era
quello magro, quasi incavato, che poltriva fino a mezzogiorno in pigiama, sotto
le coperte. “Non lo feci a posta.
Pensi che mi sarei procurato una slogatura di proposito?” aveva esclamato esterrefatto
quello, puntandoli contro un dito
accusatorio, Hunter evitò di rispondergli, “E poi a liceo giocavo a Lacrosse”
aveva tenuto a precisare, come se quello fosse una verità universale, “In
porta” aveva commentato a voce bassa Hunter. Il viso di Smythe era profondamente
indispettito, aveva arpionato i fianchi con le mani ed alla fine aveva
ricordato che l’anno prima aveva partecipato alla maratona di New York.
Clarigton affogava nei problemi della sua vita in quel momento, ma Jeff e Nick
si erano oltremodo divertiti a raccontargli del fatto che Wes e David lo
avevano dovuto sorreggere per l’ultimo tratto, altrimenti sarebbe svenuto. Sebastian si arrese e guardò disarmato i
rampini, “Voglio avvicinarmi a qualcosa” confessò triste, c’era decisamente qualcosa che il suo amico
gli stava nascondendo, “Bas che succede?” aveva chiesto alla fine Hunter, “Io e
Thad ci siamo lasciati” aveva rivelato quello, strofinandosi gli occhi, “Io ero
diventato così distante da tutti” aveva detto, “Così dopo aver visto un film
che parlava del cammino, ho pensato che avrei potuto riavvicinarmi a qualcosa.
Mettere in ordine” aveva bisbigliato, guardandolo ferito, “Ed io?” aveva
chiesto Clarrigton basito, “Ne avevi bisogno quanto me” aveva confessato
Smythe. Questo era vero, lui era decisamente in balia di se stesso. “Ma che è
successo di preciso?” aveva chiesto alla fine Hunter, l’ultima volta che aveva
visto Thad e Sebastian parevano tutto furchè distanti, “Il lavoro mi ha preso
molto” aveva confessato, “Ma direi che la goccia sia stato il fatto che fossi
così preso da non aver fatto neanche una telefonata a Santana” aveva spiegato.
A quel punto Hunter era confuso, cosa c’entrava quella ragazza tra lui e Thad? Prima che potesse chiederlo, Smythe aveva
ripreso: “Tre mesi fa è morta sua nonna. Ed io ho non le ho fatto neanche una
telefonata”. Hunter ricordava chiaramente Santana Lopez e ricordava quanto
fosse amica di Sebastian, nonostante i due si intestardissero a negarlo.
Quinn Febray aveva capelli rosa,
piercing sparsi sul viso ed un ammiccante sorriso. Ed Hunter decise che gli
piaceva, anche perché era l’unica ragazza che aveva visto oltre le sue
professoresse, nell’ultimo mese. Ed aveva un bel vitino. “O mio dio hai
cominciato a farti” aveva esclamato privo di tatto Sebastian, con un sorriso
sornione sul viso, “No è solo capitata davanti la tela di un pittore cieco”
aveva detto acida Santana Lopez. Latina, bella, sensuale e la versione
femminile del suo compagno di stanza. In ogni senso. In giacca di pelle ed
espressione cinica in viso. “Tu invece hai cercato i vestiti in un bidone
dell’immondizia?” aveva chiesto Smythe alla latina con un ghigno divertito, “Sicuramente non da suore cece, come
te” aveva risposto l’altra senza scomporsi minimamente. Quando Sebastian aveva detto
che avrebbe chiesto aiuto a Lopez, Hunter aveva immaginato il più vasto genere
di persone a questo mondo, ma nessun quadro aveva soddisfatto la visione di una
sarcastica lesbica latina ed una bella ragazza con i capelli rosa. Erano la
cosa più strana che potesse essere affiancata a Sebastin Smythe, ricco e
viziato. Non aveva fottutamente senso. Eppure Hunter si disse che doveva
funzionare proprio per questo, perché non doveva averlo. “Ma come si sono
conosciuti?” aveva chiesto alla fine a Quinn, quella si era limitata a
masticare la sua gomma alla fragola ed alzare le spalle, come se nulla di tutto
quello la toccasse minimamente, come se le scivolasse via e basta. “Allora
andiamo a questa festa o restiamo qui ad aspettare ci crescano le radici?”
aveva chiesto Santana, chiudendosi meglio la giacchetta sul petto, Sebastian
aveva dato una risposta pungente e poi gli aveva fatto strada verso la casa di
James. Una discreta villa. A cui Smythe aveva risposto che ne aveva una più
grande. Hunter aveva ridacchiato. Alla porta quando avevano bussato, Santana
aveva mostrato il suo più bel sorriso ed aveva fatto due moine al buttafuori,
ma decisamente più convincente era stato il bacio che Quinn gli aveva dato.
Prima di entrare Santana aveva messo una mano attorno alla vita di Sebastian e
da bravo finto fidanzato lui le aveva fasciato le spalle, Quinn aveva teso la
sua mano verso di lui ed Hunter l’aveva presa. “Quello che hai fatto è stato da
wow” aveva confessato lui, Febray aveva fatto scoppiare una bolla rosa, prima
di sorridergli accattivante, “E non hai ancora visto nulla” aveva detto
civettuola. Sebastian era sgusciato via dalla presa di Santana, “Cerchi il tuo
hobbit?” aveva domandato quella, l’altro non si era preoccupato di
rispondergli, era scomparso non prima di averle fatto promettere di sottrarre
qualcosa al festeggiato. Santana aveva ridacchiato, prima di afferrare un
bicchiere di birra da un tavolo e darsi all’esplorazione. Hunter era rimasto
con Quinn, anche se dall’altro lato della stanza c’era un Thad che lo aveva
chiamato per sapere come fossero entrati o Trent che li aveva battuto una mano sulla
spalla per invitarlo ad andare da loro.
Erano alla stazione alle sei in punto, con gli zaini
sulle spalle ed assonati. Sebastian teneva i biglietti in mano, mentre lui
cercava con lo sguardo il treno all’orizzonte. “Sai che staremo via parecchio?”
aveva confidato Hunter, sperando che una piccola parte del suo amico rinsanisse
e si rendesse conto che essere distante era fottutamente fantastico e che una
lunga passeggiata non avrebbe comunque aiutato, “Ti aspetta qualcuno?” aveva
chiesto Sebastian sterile. Colpito affondato. “Il lavoro?” aveva allora
domandato speranzoso Hunter, “La campagna elettorale è finita. Al momento
necessità di uomini più preparati di me” aveva risposto ferreo l’altro. Hunter
alla fine si era arreso, limitandosi a guardare l’orologio che portava al
polso. Il treno portava ritardo di tre minuti. E si disse quanto bello sarebbe
stato se non arrivasse mai, “Non sono andato neanche al funerale sai” aveva
bisbigliato Sebastian. Mentre si organizzavano per partire, Smythe aveva fatto
spesso riferimenti casuali a Santana Lopez ed il fatto che non le fosse stata
vicina in un momento critico della sua vita. Hunter ricordava che il giorno che la ragazza aveva fatto
coming out, era corsa immediatamente da loro alla Dalton, aveva picchiato con
forza alla porta. Erano entrambi a lezione, che alla fine erano stati Thad e
Jeff a stare con lei fino a che Sebastian non era tornato. Lui le aveva
accarezzato i capelli. E poi aveva cominciato ad offenderla nel solo modo in
cui lo faceva Smyhe e Lopez aveva cominciato a rispondergli a tono. Alla fine
erano finiti a ridere. E solo quando il sorriso si era spento sulle sue labbra,
lei aveva raccontato che sua nonna, la persona che amava di più al mondo, non
l’aveva accettata. “Quando torniamo starai un mese al telefono con lei” gli
aveva assicurato Hunter. O magari sarebbe bastato regalarle un diamante a
Santana piacevano i gioielli, “O potrei ritrovare quella bionda che l’aveva
fatta innamorare” aveva commentato tra se e se Sebastian. Prima che potesse
chiedere altro, il treno era arrivato. Carrozza sette, posti 76 e 75, entrambi
scoprirono tristemente non vicino il finestrino. Ma la cosa peggiore – almeno a
detta di Sebastian – fu che alla carrozza sei, c’erano Rachel Barry e Kurt Hummel.
A sorpresa. “Fantastico. Un intero viaggio con faccia di checca” aveva sbuffato Sebastian, “La domanda è cosa ci
fanno qui” aveva commentato Hunter, visto che i loro programmi parevano diversi.
Hunter era sgusciato via dal letto della camera degli ospiti di James,
quasi sulla punta dei piedi. Per non svegliare Quinn, ma la ragazza fissava il
soffitto ad occhi aperti, ma non era lì, non realmente. Era da qualche altra
parte. Nel corridoio c’era gente che dormiva in giro, qualcuno si era armato di
una scopa e stava cercando di rassettare le cose, Hunter riconobbe Thad in
questo. Sul divano James era buttato sotto Nick e sopra Jeff, qualcuno gli
aveva disegnato sulla faccia. “Buon giorno, Hunter” aveva esclamato Trent,
venendo verso di lui, aveva un sorriso sulla faccia ed un espressione rilassata
e riposata, “Come fai ad essere così fresco” aveva commentato frastornato, “Sono
sempre fresco” aveva commentato divertito, “Comunque è perché io ho il senso
della misura” aveva tenuto a precisare, prima di indicare due persone sedute a
terra. Hunter le guardò, rendendosi conto che con le schiene poggiate al muro e
le ginocchia al petto, l’uno accanto all’altro c’erano Sebastian e Santana. Lei
teneva la testa incastonata sulla spalla di lui e sembravano così rilassati. “Blaine
l’ha mandato in bianco di nuovo” era stato l’unico commento sciocco che gli era
venuto in mente, quando era scivolato anche lui accanto a loro per terra, “Ti ho
sentito” aveva commentato con la voce impastata dal sonno, “Però ha ragione”
aveva bisbigliato melliflua Santana, i suoi occhi erano ancora chiusi e la sua
voce bassa. “Qualcuno però mi sono fatto” si era difeso debolmente Sebastian,
cercando di liberarsi della ragazza che li si era spalmata addosso, “Quando ti
sarai preso l’HIV non venire a piangere da me” aveva bisbigliato Santana, prima
di una risata cristallina. Blaine emerse da una stanza, aveva i capelli liberi
e totalmente intrecciati, non pareva molto confuso, solo molto assonnato, gli
aveva guardati e si era accomodato accanto alla latina. Quinn era arrivata
molto dopo, per portarli via.
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Capitolo 4 *** The Not Back-up Plane ***
santiago
Titolo: The Walk of Punishment
Titolo Capitolo: The Not Back-up Plane
Paring:
Brittany/Santana. (Altri minori)
Rating:arancione
Disclaimer: Ovviamente non possiedo nessuno e
nessun luogo e questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Sommario: Santana
per circostanze più grandi di lei e
costretta a partire per un avventura all’apparenza faticosa e folle, che la
porta però ha riflettere su se stessa e su ciò che vuole. E la porta a Brittany.
Beta: Non ne ho una ):
Note:
1- Il
titolo di questo capitolo riprende il titolo di un film con J-Lo (The Back-up
Plane), ma non ho intenzione di dirvi nulla poiché è strettamente legato. Eh già …
2. Imploro in ginocchio tutti quelli che seguono
questa storia di perdonarmi.
3. Potrebbe esserci una fiera di errori, perché l’ho
ricontrollato superficialmente, quindi fatemi sapere tutte le mie scempiaggini.
Ringrazio di
cuore tutte le persone che hanno messo la storia nelle
seguite/recensite/preferite e strapelot
Link utili:
http://www.pizap.com/image/pizap.com10.87827460281550881385138367513.jpg
Questa è la copertina del capitolo (pessima D: )
http://www.pizap.com/image/pizap.com10.87827460281550881385138367513.jpg#
Più carina cover della fan fiction.
Buona
Lettura
[She had some trouble with herself]
The Walk of Punishment
The Not Back-up Plane
“Devo dirti una cosa” aveva esordito Quinn,
sull’uscio della porta. Santana aveva sollevato gli occhi, smettendo di limarsi
le unghia. “Hai deciso di piantare Puck?” aveva domandato noncurante, con una
risatina divertita. La sua amica aveva ignorato la sua domanda ed era entrata
nella stanza. Aveva una camminata cauta, come se ogni cosa la rendesse nervosa.
E si era accomodata sul letto di Santana, dove la proprietaria era ancora stesa
sul letto. “Sono seria” aveva ripreso la bionda. La latina aveva ricominciato a
limarsi le unghia, prima di sollevare nuovamente lo sguardo, “Sei ingrassata”
aveva commentato Santana, “Di questo passo, la Silvester metterà me in cima
alla piramide e te alla base” aveva aggiunto. Non che questo l’avrebbe
effettivamente resa triste. Poteva sembrare una cosa crudele, ma avevano
quindici anni ed in seconda liceo essere al vertice della piramide era essere
qualcuno. E a Santana essere qualcuno piaceva da impazzire. “Probabile” aveva risposto Quinn mogia, prima
di strappargli la limetta dalle mani. “Che modi sono?” aveva chiesto
scandalizzata, prima di osservare attentamente l’amica, pareva parecchio
sbattuta. I soliti luminosi capelli biondi, parevano secchi e pagliosi, eppure
c’era qualcosa in Quinn che la faceva apparire più bella. “Q. che succede?”
aveva domandato alla fine, tirandosi su, in modo più composto. La sua amica
sembrò fare un profondo respiro, “Sono incinta” aveva bisbigliato alla fine.
Appena scesa dal treno, Santana
aveva dovuto riordinare la sua testa, che in quel momento era alquanto in
confusione. Brittany, erano quattro anni che non la vedeva, doveva essergli
passata. Eppure percepiva un profondo segno di stordimento. Quasi le veniva da
piangere. Buttò lo zaino al suo fianco, senza curarsi di ciò che c’era dentro.
Per quanto fosse importante. Infilò le mani in tasca, aveva dannatamente
bisogno di parlare con Quinn. Ma prima che potesse comporre un messaggio,
un'altra bionda le era al fianco, “Eccoti” aveva detto, aveva una voce
preoccupata ed un respiro forte – doveva averla inseguita – posandole una mano
sulla spalla. “Brittany” riuscì a sussurrare solamente lei, prima di infilare
le mani in tasca ed abbozzare un sorriso nervoso. “Sei scappata così in fretta”
aveva constatato la bionda, con un sorriso così incredibilmente caloroso. Era
luminoso e dannatamente bellissimo. Satana era disarmata davanti tanta
perfezione, si sentiva davanti a lei, come la ragazzina all’ultimo anno di
scuola. “Io … Io …” aveva ripreso Lopez, volevo
scappare da te, avrebbe voluto dire, “Non resistevo un minuto in più in
treno” aveva confessato alla fine.
Ispirando profondamente. La risposta sembrava aver convinto la bionda
che di rimando aveva continuato a sorridere, annuendo in modo amichevole, non
togliendo però la sua mano dalla spalla, “Dai su torniamo dagli altri” aveva
commentato alla fine, voltando appena la testa dalla direzione doveva la latina
era scappata. Santana aveva annuito, recuperando la sua borsa. “Mi è venuta voglia di liquirizia” aveva
commentato Brittany, con espressione seria in viso, facendo ridacchiare la
latina.
Quando Quinn camminava a scuola, era
impossibile non notarla. Era una forza della natura, una potente figura. Una
ragazzina dagli occhi di fuoco e passi pesanti, che non amava avere ostacoli.
Quella che compiva piccoli passi nel corridoio, tenendo occhi vitrei che non
guardavano da nessuna parte, doveva essere un’altra persona, nonostante avesse
la stessa coda di cavallo colore del miele e l’uniforme rossa a pieghe, che
ondeggiava ogni passo. “Come va?” aveva domandato Santana affiancandola, “Sto
immaginando la reazione di mio padre quando lo saprà” aveva bisbigliato
laconica lei, “Mi casa es tu casa” aveva immediatamente chiarito la
latina. Cosa a cui la bionda aveva
annuito, con un espressione incerta sul viso. Si potevano dire molte cose su di
lei, per esempio che fosse una stronza, cosa su cui lei non avrebbe avuto
remore, ma certamente per quanto apparisse menefreghista, Santana si curava
delle persone a cui teneva. “Hai deciso cosa fare?” aveva domandato
preoccupata, Quinn non aveva avuto modo di pensare risposte a quella domanda,
si era fatta livida ed era corsa in bagno. La latina l’aveva inseguita dentro
il bagno, trovandola sulle ginocchia a vomitare. “Che schifo” aveva commentato
nauseata, Quinn le aveva fatto un gestaccio. Quando aveva finito aveva
scaricato e si era data una rassetata, lavandosi la bocca, solo allora si era
voltata verso l’amica, “No. Non so cosa devo fare” aveva confessato, “Ma prima
devo assicurarmi che sia corretto al cento per cento” aveva ripreso. Il suo
tono era deciso, per quanto i suoi occhi sembrassero fragili, “Devo andare da
un dottore” aveva risposto.
Santana si era ritrovata sotto lo
sguardo attento di Tina, per tutto il tempo, mentre cercavano per il paesino
l’ufficio che avrebbe dato loro, la Conchiglia dei viaggiatori, l’ufficiale
porta fortuna, ed anche il foglio dell’attestato su cui avrebbero dovuto
ottenere un timbro per ogni tappa raggiunta del pellegrinaggio. “Credo che
dovremmo continuare a muoverci in autobus o in treno almeno fino ai Pirenei”
aveva considerato lo hobbit, “E solo da lì andare a piedi” aveva terminato, con
un sorriso rilassato sul viso. Buona idea, aveva constato Santana, avrebbero
impiegato meno tempo, se bene avessero speso più soldi, sarebbe stato meno
stancante e forse sarebbe riuscita a recuperare il fratello dello sposso a
tempo per il matrimonio di Marley. “Quindi, come vi conoscete tu e Brittany?”
aveva domandato alla fine la ragazza asiatica, con espressione stranamente
curiosa, “Ci siamo incontrate in un locale” aveva spiegato la bionda con
espressione amichevole, anticipando la latina, “L’estate dopo l’ultimo anno”
aveva poi precisato. Sam aveva voltato lo sguardo verso Santana, trovandola dopo
quell’informazione decisamente più interessante. “Pensate, erano quattro anni
che non ci incontravamo” aveva esclamato Brittany, con una risatina allegra.
Come se quei quattro anni non fossero stati niente. “Che coincidenza. Conoscevi sia me sia lei al
liceo, ma noi ci siamo conosciuti solo all’università” aveva espresso
Blaine. Che doveva essersi reso conto
che nessuno stava ascoltando il suo discorso su che strada pensavano fosse
meglio da prendere. “Già” aveva risposto
Satana, annuendo debolmente. Una
coincidenza, lo gnomo aveva ragione. Era stato tutto a causa di una
coincidenza. Aveva conosciuto Brittany per caso, così come gran parte dei
rapporti della sua vita e per una semplice casualità lei aveva incontrato
Baline. Ma essere lì con lei dopo quattro anni, per percorre un lungo viaggio,
che aveva promesso a sua nonna, quella non era una coincidenza, quello era un
capriccio di un fato bastardo, con l’unico scopo di punirla, per non si sa
quale colpa.
“Grazie per avermi accompagnato” aveva
bisbigliato Quinn, rimanendo seduta con lei, sulle sedie della sala d’aspetto
dell’ambulatorio, “Un’amica fa queste cose, Q.” aveva risposto secca Santana.
Erano andati lì per assicurarsi che quello della ragazza non fosse un semplice
falso allarme. Non che ci fossero dubbi alcuni; il naso della Febray era
diventato più preciso di quello di un cane ed aveva rimesso due volte nella
metà mattinata che aveva preceduto quella visita. Ma forse, si disse, Quinn
sperava ancora di sapere che fosse tutto un errore. Che le cose si sarebbero
rimesse a posto, una volta entrata in quella stanza. Per il resto continuava a
graffiarsi le mani a vicenda con le proprie unghia. Santana le aveva allungato
una mano attorno alle braccia. Avrebbe voluto stringerla forte e dirle che per
quanto orribile sembrassero le cose, si sarebbe aggiustato tutto. “Non l’ho
ancora detto a Puck” aveva confessato, continuando a graffiarsi le dita. A
quelle parole, Santana aveva rotto il torturarsi dell’amica, prendendo lei
quella mano martoriata, “Per quanto Noah sia un’idiota patentato, ti ama” le aveva confessato, “Ed amerà qualunque cosa
renda la sua famiglia meno convenzionale di quanto non sia già” aveva aggiunto,
leggermente divertita. Alchè aveva ridacchiato anche Quinn. “Ma ti immagini se
sposassi Puck, che delirio sarebbero le cene di famiglia?” aveva domandato lei,
Santana aveva riso, “Io pensavo più a come festeggereste il natale” aveva
risposto lei, “Dovremmo fare qualcosa come il chrismuccà come facevano in quel
telefilm” aveva commentato Quinn, con una risata spontanea sul viso.
“Lo sapevo che eri tu quella
Santana” aveva detto Sam, sedendosi accanto a lei, la ragazza aveva sollevato
lo sguardo, dal lungo foglio ripiegato, su cui svettava il timbro di quella
città. “Come hai detto, labbra a canotto?” aveva chiesto lei, sbattendo gli
occhi. Il ragazzo aveva curvato in un sorriso quei gonfiabili su cui Santana
faticava a pensare non fossero siliconati, “Ti ricordi che volevo chiederti una
cosa sul treno?” aveva risposto quello, la latina aveva annuito, “Volevo
chiederti se eri la sensuale bellezza esotica che aveva fatto impazzire B”
aveva risposto secco lui. Santana restò per un istante attonita. Brittany aveva
raccontato a Sam di lei, del loro breve momento in quella lontana estate e come
possibile che dopo quattro anni, labbra a canotto avrebbe potuto ancora
conservare i dettagli di un racconto che sarebbe dovuto sparire nel tempo.
Anche Santana aveva parlato di Brittany, a Puck, Quinn e Sebastian, ma era
totalmente certa che se i tre l’avessero incontrata per caso su un treno non
sarebbero mai riusciti ad associarla a lei. “Sei sconvolta?” aveva domandato
estremamente divertito il ragazzo dai capelli biondi, “Scusa bocca di trota,
quei canotti che spacci per labbra mi hanno distratto. Hanno qualcosa di
ipnotico” aveva ripreso schietta con una risata cattiva in perfetto stile
Snixx. Forse era meglio fingere di non aver capito. Sam aveva sollevato un
sopraciglia pallido ed aveva schioccato le sue enormi labbra, decisamente poco
convinto, forse non era stupido come
sembrava, “Scusami labbra gonfiabili, devo fare una telefonata” aveva ripreso,
sollevandosi dalla sua sedia ed andando a recuperare nel fondo del suo zaino il
suo telefono.
Santana era infilata sotto le coperte
godendosi il suo sogno. Era sulla cima della piramide e tutti gli occhi erano
per lei. Quando il telefono la destò dalle sue fantasie. Bad Romance di Lady
Gaga si diffuse per tutta la stanza, costringendo la ragazza a schiudere gli
occhi, la sveglia segnava le due del mattino, Santana allungò la mano per
prendere il telefono, variando l’idea di chiuderlo ed uccidere il responsabile
solo a giorno inoltrato, ma alla fine si portò la cornetta all’orecchio e
rispose senza neanche preoccuparsi di chi fosse dall’altro lato, “Fijo de puta,
spero che tu sappia di cosa Snixx è capace” aveva ringhiato, “Ho parlato con
Puck” la risposta era stata saettante e veloce, senza nessuna inflessione di
alcun tipo o offesa per il suo enunciato. “Quinn?” chiese Santana, svegliandosi
dal tepore in cui era metà afflitta e svuotandosi della sua collera, “No! Sono
Jessie SantJames” rispose ironica l’altra, Santana mosse il capo, “Dimmi, come
è andata?” aveva chiesto costringendosi ad ignorare anche lei la rispostaccia.
“Lui è favorevole a tenere il bambino” confidò piccola l’altra, un sospiro di
sollievo si levò nella stanza, “Vorrebbe crescerlo con me. Fare il padre. Come
se uno come Noah Puckerman possa fare il padre” aveva enunciato acida Quinn,
“Con i bambini ci sa fare” l’aveva vagamente difeso Santana, ma quell’altra
aveva sbuffato, “Crescere un figlio non è la stessa cosa” aveva detto,
abbastanza irritata. “L’hai detto hai tuoi?” chiese la latina, stiracchiandosi
di nuovo sul letto, nessun altro suono venne dalla cornetta. Lopez rimase nel totale silenzio ascoltando
di respiri lenti di Quinn, per molti minuti, prima che l’altra dicesse
qualcosa, ma preferì tacere e si limitò a darle la buona notte, prima di averla
ringraziata ancora di averla accompagnata dal medico.
Si era detta che avrebbe chiamato
solo da apparecchi fissi per non spendere troppi soldi, visto che tutte le sue
chiamate sarebbero state transoceaniche. Aveva chiamato sua madre per
avvertirla che era finalmente arrivata alla partenza del suo lungo viaggio.
Dall’altro lato della cornetta, aveva sentito l’apprensiva voce di sua madre,
ma non aveva mai tentato di persuaderla a tornare a casa. Se Santana non si
tirava mai indietro, doveva a sua madre tre quarti di questo. Poi aveva chiamato
Quinn, come sempre. “Hola Chica” le disse Santana, quando sentì la risposta
provenire dall’altro capo del telefono, la voce dell’amica sembrava impastata
dal sonno, “Santana!” la voce della bionda dall’altro capo era stato un urlo
isterico, “Madre de Dios, Q. Che succede?” esclamò sconvolta, “Sono le tre del
mattino, San” aveva sentito l’altra lagnarsi, “Perché mi chiami a quest’ora?”
aveva domandato abbastanza infastidita, “Ed eri già a letto?” aveva chiesto
divertita Santana dal altro capo del telefono, “Cosa dovrei fare alle tre di
notte?” aveva chiesto abbastanza irritata la bionda, “Non so divertiti, chica”
aveva risposto la latina, “Mi divertirò solo dopo che Puckrman Jr avrà infilato
l’anello al dito di Marley e questi pazzi avranno smesso di ossessionarmi con
queste nozze” aveva risposto infastidita
la ragazza. “ A parte svegliarmi, desideravi condividere qualcosa con
me, San?” aveva alla fine pronunciato Quinn, con un tono rassegnato ed
accondiscendente, “Ho incontrato Blaine Anderson” aveva comunicato, “L’hobbit
amico di Smythe?” aveva inquisito Quinn, la sua voce era ancora impastata dal
sonno, ma improvvisamente più interessata, “E Brittany” aveva ripreso secca
Santana. Dalla cornetta provenne solo un lungo silenzio, che la latina cominciò
a pensare fosse caduta la linea, “Quella Brittany? La ragazza del bar?” aveva
chiesto Quinn. Se ne ricordava. La cosa stupiì Santana, non credeva di aver
parlato così tanto della bionda dopo quell’estate, forse tre o quattro volte
l’anno. “Si, quella” aveva liquidato Santana, prima di vedere proprio la bionda
venire a grandi falcate verso di lei, con un sorriso amichevole sul bel viso.
Una visione da farle sciogliere il cuore.
“Non mettere mai più questo profumo” aveva
enunciato disgustata Quinn, storcendo il naso, mentre Santana l’affiancava. La
ragazza aveva avvicinato il naso alla maglietta ed aveva annusato il suo odore.
Non trovando in quel profumo sgraffignato alla boutique, nulla di troppo
eccessivo o particolarmente sgradevole, “Perché?” le chiese alla fine. La
bionda le aveva lanciato uno sguardo accusatorio, “Mi disgusta” aveva risposto
asettica. Quinn camminava svelta, era vestita di scuro, con un impermeabile
bottiglia addosso, i capelli biondi sfibrati ondeggiavano ad ogni suo passo,
gli occhi verdi erano marchiati da occhiaie e la pelle era un po’ più gonfia.
Quando si erano incontrate la prima volta, era stato quasi un anno prima, Quinn
era bella, sofisticata ed incredibilmente sfacciata, luminosi capelli biondi e
gomma da masticare rosa alla fragola da perfetta cattiva ragazza da film.
Santana era rimasta stregata. Ma quella piccola stronzetta sofisticata, non
assomigliava affatto alla nervosa ragazza al suo fianco. “Mi spieghi perché
siamo dovute finire ad una farmacia così lontana?” aveva chiesto alla fine la
latina, “Perché nessuno deve riconoscermi” aveva risposto asettica, infilandosi
nella porta della farmacia con la ricetta ben stretta tra le dita. E perché non
poteva accompagnarla Puckerman? Si chiese mentalmente, ma alla fine lasciò
perdere e la seguì.
“Ci credi che ho vomitato
ancora?” aveva domandato retorica Brittany, mentre si mordicchiava il labbro,
“Non stai bene” aveva risposto Santana, con un tono piatto della voce, non era
una domanda, quando una mera costatazione. La bionda aveva passato tutto il
viaggio all’interno del bagno del treno.
Per questo per tutto il tragitto aveva ignorato che la bionda fosse lì. “Certo
che è proprio una bella coincidenza l’essersi ritrovate” aveva enunciato Brittany,
la sua voce era così calda, non credeva esistesse un’altra definizione per
quello. I grandi occhi azzurri erano così luminosi, tanto che sembravano più
sorridente delle labbra piegate in un sorriso. Santana avvampò sulle gote, sentendosi
così scioccamente in imbarazzo. Non riusciva a capire perché dopo quattro anni,
si sentisse così disarmata davanti quel viso. “Già” concesse alla fine
imbarazzata Santana, mordendosi il labbro per l’imbarazzo, quasi a sangue. Non
era giusto che dopo tutto quel tempo, si sentisse così sciocca. Madre de
Dios, lei era Santana Diablo Lopez detta
Snix e non era decisamente tipo da
arrossire davanti un paio di begli occhi. Certo quelli erano particolarmente
belli, molto belli, decisamente belli, forse i più belli che avesse mai visto.
Occhi di cui non si era mai liberata veramente negli ultimi quattro. “Forse è stato il destino” aveva detto
Brittany, cinguettante, accompagnando le parole con un battito di ciglia,
irresistibile, “L’ho penso anche io”
confidò Lopez. E per un attimo si disse che quel bastardo fato capriccioso,
forse aveva pensato di darle l’opportunità, che quattro anni prima si era
lasciata sfuggire. “Danzi ancora?” aveva chiesto la latina, dopo che quasi
improvvisamente, le era venuto in mente, la loro danza allo Scandals e le
confessioni di quella sera, che aveva gelosamente seppellito nei suoi ricordi.
Brittany rimase per un attimo in silenzio, colta di sorpresa da quella domanda,
“Te ne ricordi ancora” aveva commentato, un sorriso decisamente caldo era sorto
sul suo viso e la gioia sembrava esserle esplosa in viso, poi ricomposta aveva
risposto: “No” – il suo tono era triste, così come l’ombra che era comparsa tra
le iridi cielo – “No, tra tutti quei numeri e Lord Tuggbiton arrestato per
stupefacenti non ho avuto più tempo”. Santana aveva sollevato un sopraciglio
alla risposta, prima di concedersi una risata al pensiero di quel gatto, era uno dei ricordi
più buffi che conservava di quella ragazza. Brittany l’aveva guardata confusa, chiedendosi
probabilmente cosa ci fosse di così divertente nel suo gatto arrestato, ma alla
fine aveva finito per ridacchiare con lei.
Santana non era ancora arrivata al portone
della sua palazzina, aveva a stento le mani infilate nella borsetta, quando si
accorse della ragazza appoggiata sul muro del palazzo. Lei stava tornando dalla
lezione di danza, mentre quella era semplicemente immobile. Capelli arruffati
ed occhi nocciola lucidi. “Quinn, lo que paso?” aveva chiesto affranta,
raggiungendo la ragazza, ma quella si era spostata dal muro, solo per buttarle
le braccia al collo e seppellire la testa tra la sua spalla e l’incavo del
collo, dove si era abbandonato ad un pianto rotto, “Per dio, io ero Quinn
Febray!” aveva singhiozzato, “Non un aspirante balena piaggiata senzatetto”
aveva aggiunto, stringendosi di più. Solo due scatole di fazzoletti dopo, una
tè bollente ed un sorreggere la fronte durante il vomito dopo, la bionda aveva
finalmente raccontato cosa fosse successo. “Dovevi vederlo San, sembrava uno di
quegli spettacoli senza senso, come “L’Angelo della Morte” aveva detto
allucinata, “Oh una commedia di Woody Allen” aveva aggiunto, mordendosi il
labbro, prima di inghiottire una risata isterica, contornata da lacrime sugli
occhi. “Ma cos’è successo?” aveva chiesto alla fine, preoccupata, “Oh be. Dopo
che la Silvester mi ha cacciato dalla squadra perché stavo mettendo su massa
grassa” aveva cominciato, “Mia madre ha mangiato la foglia. Senza considerare
quante volte andavo a vomitare, le pillole che prendevo e gli attacchi di fame
improvvisa” aveva ripreso nervosa. Lungo sospiro, in cui Santana aveva
aspettato che il racconto finisse, “E alla fine l’ho detto ai miei” terminò. Un
sorriso distorto le si era disegnato sul viso contratto dalla tristezza, “Mi
hanno sbattuta fuori di casa” aveva tenuto a precisare, sfregandosi gli occhi
con il dorso della mano, “Meraviglioso, no? Sono incinta di un idiota lava
piscine in Oahio, non sono più una cheerleader e mi hanno sbattuto fuori di
casa”.
Alla fine si erano avvicinati agli
altri. Blaine e Sam erano immersi in una cartina che studiavano i percorsi,
Tina stava ridacchiando al telefono con qualcuno, mentre si annodava una ciocca
di capelli neri attorno all’indice. “Vivi ancora a Lima?” aveva chiesto
incuriosita Brittany, con una voce genuina, “New York. In verità: Brooklyn”
aveva ripreso Santana, prima di spiegare che lavorava come segretaria in uno
studio legale. Tralasciando la parte in cui, abbandonava l’università di Lima,
per trasferirsi nella Grande Mela in cerca di successo e si ritrovava a
condividere il pianerottolo con uno squillo. “Tu?” chiese riprendendosi dai
suoi pensieri, quella scosse il capo,
“Vivo a Cambrigde, ma non quella abitata da gnomi e fate, quella in
Massacchusets” aveva risposto, con una punta d’orgoglio, prima di spiegare che
era ricercatrice nell’MIT. Santana inclinò il capo, provando ad immaginare
nella sua mente quella bella ragazza dalle caratteristiche così infantili, con
camice a lavorare a complicate formule, o qualunque cosa facessero i ricercatori
matematici. “Ed esci con qualcuno?” aveva inquisito la bionda, alla domanda
Santana aveva voltato il campo confusa, “Sono uscita per un po’ con una mia
collega” aveva esplicato. Dani non era propriamente una sua collega, Santana
faceva la segretaria, Danielle era una stagista, non-pagata, che si preparava
ad essere un brillante avvocato. La
prima volta che quella si era accorta di lei era inciampata su una sedia,
finendo per cadere sull’addetto alle pulizie. C’era stata immediatamente
chimica tra di loro, dopo un anno di una storia che non poteva essere definita
tale, Dani aveva trovato qualcuno che la completasse meglio, ma erano rimaste
in buoni rapporti, spesso uscivano insieme per un caffè o una cena, di tanto in
tanto le cene si prolungavano fino al mattino dopo. Comunque Dani era stata
incaricata di occuparsi delle due piante, che Santana aveva nel suo
appartamento – ed ovviamente di dare
noia a Brody – mentre lei era via. “Quindi
sei sola?” aveva domandato retorica Brittany, “Un unicorno non dovrebbe mai
essere solitario” aveva aggiunto, sorridente. Santana sorrise di rimando.
La stanzetta degli ospiti di casa Puckerman
era stata infinitamente piccola rispetto
alla camera che Quinn aveva avuto nella sua vecchia villetta, di questo la
Latina ne poteva essere certa, ma era comunque meglio che dormire in stanza
della sorella di Puck. “Che poi è un mistero come ci entrino in questa casa”
aveva detto Santana, saggiando il letto per prima, “La mamma di Jake dorme nei
cassetti?” aveva chiesto abbastanza divertita. Quinn si era lasciata sfuggire
una risata, mentre si lasciava cadere sul letto accanto a lei. “Bene, quindi
ora eccomi come ufficiale membro della famiglia Puckerman” aveva detto con un
sorriso amareggiato sulle labbra, “Puoi sempre venire a stare da me” aveva
proposto Santana, “Anzi no, andiamo entrambe dalla mia Abuela! E’ fantastica”
aveva aggiunto, “Prenderebbe a calci in culo da qui alla luna i tuoi” aveva riso onesta. E per un po’ anche Quinn
l’aveva accompagnata, “Nonna Alma vs Fabrey, scontro tra titani” aveva detto la
bionda con voce greve. Prima di posare
la testa sulla spalla dell’amica, “Grazie per avermi accompagnato dal medico, a
prendere le vitamine, avermi aiutato a traslocare da casa mia a qui” aveva
mormorato mogia, “Snixx è in vacanza ed ha lasciato una Santana tutta miele e
panna” disse di rimando lei, accarezzandoli i capelli biondi. “Ed eccomi qui,
la grandiosa Quinn Febray schiava di nausee e voglie, nella stanza degli ospiti
dell’incasinata casa Puckerman” aveva mormorato affranta, chiudendo gli occhi.
Lopez non sapeva cosa risponderle, “Ho preso una decisione San” aveva
commentato alla fine la bionda, dopo un lungo sospiro, “Cosa?” aveva chiesto
quest’ultima, “La mia vita è un delirio e sono troppo giovane per essere madre
e per quanto lo desideri Puck è troppo inaffidabile per essere padre” aveva
risposto meccanica la bionda, “Credo dovrei darlo in adozione” aveva deciso,
“Cercherò una buona coppia” aveva aggiunto mesta.
Alla fine aveva ceduto a prendere
un autobus per ripartire con quell’allegra compagnia. Non prima di aver fatto imporre il primo
timbro del suo percorso sul foglio a ventaglio che avrebbe dovuto raccogliere
tutto il viaggio. Lo fece con un sorriso soddisfatto. Era il primo passo da
compiere per raggiungere il suo obbiettivo, anzi il loro, si corresse. Suo e di
sua nonna. Quel pensiero le diede uno strano senso, stringendo le dita attorno
al foglio con il timbro, era partita per quello, per regalare a sua nonna il
loro ultimo viaggio, nessun’altra ragione. Nessuna. Solo sua nonna ed il suo
ultimo desiderio. Ispirò profondamente. Niente doveva distrarla dai suoi
progetti, nessuna ragione, anche se questa aveva un sorriso meraviglioso ed
occhi azzurri. Infilò il bollo nella tasca posteriore dello zaino, estraendo al
contempo il portafoglio per pagare il cambio del biglietto che Blaine le aveva
preso. “Scusatemi” aveva ripreso Santana
arrivando dal resto del gruppo, “Tranquilla” aveva detto Sam con un sorriso
amichevole sulle sue enormi labbra, “Ho parlato con Artie” si era intromessa
Tina nella questione, richiamando l’attenzione su di lei, gli altri l’avevano guardata, prima di
chiedere cosa gli avesse detto, abbastanza incuriositi, “Ha conosciuto una
ragazza” aveva risposto cantilenante, “E’ bionda” aveva terminato Tina,
rimarcando quella frase con un sorriso sornione. Gli altri tre avevano
ridacchiato. E Santana intuì che o Artie doveva disprezzare le bionde o
dovevano essere senza alcun dubbio il suo tipo. Ma sollevò le spalle è preferì
non indagare affatto, non le interessava. Minimamente. “Possiamo partire?”
aveva domandato alla fine il piccolo Hobbit fremendo all’idea di aggiungere un
altro timbro alla loro avventura, “Se B. non deve vomitare ancora si” aveva
commentato Tina, guardando l’amica con un sorriso di circostanza, quella aveva
mosso il fiato, “Mi dai una patatina all’aglio ?” le aveva chiesto di rimando
Brittany, “Eh?” si era lasciata sfuggire la ragazza asiatica, “Odori di
patatine all’aglio. Dimmi che te ne avanzata una” aveva squittito speranzosa la
bionda, Tina aveva infilato le mani
nella borsa a tracolla ed aveva estratto una busta aperta, legata sulla
sommità, con una scritta di una marca francese, sciolto il nodo l’aveva passata
alla bionda, che se n’era infilate una manciata in bocca. “Brittany, a te non
sono mai piaciute a quel gusto” aveva considerato Sam, aggrottando le
sopraciglia pallide, “Lo so” aveva risposto quella, dopo aver deglutito, mentre
infilava di nuovo la mano nella busta, “Ma appena ne ho sentito l’odore ne ho
avuta voglia” aveva risposto secca. Blaine l’aveva fissato seria, “Non mi ero
mai accorto che avessi un naso così sensibile” aveva commentato, quella aveva
alzato le spalle, prima di rispondere: “Non lo ho mai avuto prima di un mese,
forse da licorno mi sto trasformando in cane”, aveva un sorriso genuino.
Santana aggrottò la fronte, aveva vissuto in passato una situazione simile, oh
si, “Hai per caso avuto altre voglie di cibo strano?” aveva chiesto
preoccupata, “No, non più del solito. A parte che ieri mattina ho fatto
colazione con un burrito ed in viaggio volevo la cioccolata di fragole” aveva
risposto schietta quell’altra. “Vomiti spesso, hai un ottimo naso e hai voglia
di cibo?” aveva domandato di nuovo retorico. Si morse un labro. La risposta le
sembrava brutalmente ovvia.
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