White Dove

di BlackLily
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


                                          
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Era lì, davanti a lui, cupa e tetra come non mai.
Nonostante il sole fosse ormai alto nel cielo e illuminasse anche il cunicolo più profondo e buio di sempre, quella casa continuava a sembrare oscura ed incuteva paura soltanto a guardarla. Harry si maledii per aver accettato quella stupida sfida, per averla persa e per essere stato costretto a quella futile ed inutile scommessa. Stava per sporcarsi la fedina penale e niente e nessuno avrebbe potuto aiutarlo.
Contemplò quel panorama per un paio di minuti, poi sbuffò e decise che non avrebbe perso cento sterline per paura di entrare in quella casa e tanto meno avrebbe rinunciato al suo orgoglio per colpa di una scommessa. “Vogliono soltanto un oggetto, anche minuscolo andrà bene!”- pensò e almeno così non sarebbe più stato torturato dai loro stupidi commenti imbarazzanti. ‘Loro’ erano i suoi compagni ribelli, quelli con cui passava la maggior parte delle giornate a vagare per la città, quelli con cui usciva tutte le sere e con cui si ritirava all’alba. Harry non ricordava come li conobbe, ma quando cominciò a frequentarli si sentì subito parte del gruppo e, nonostante il suo ex migliore amico gli consigliasse di tenersi alla larga da quei ‘criminali’, lui strinse una forte amicizia con loro. Si trovava bene, non aveva pensieri per la testa e tutti i problemi familiari che aveva se li lasciava alle spalle, li lasciava a casa. Più faceva pazzie e meglio si sentiva, più combinava guai e più si sentiva apprezzato dalla sua combriccola.
Sospirò nuovamente e, con parole cariche di speranza, si fece forza e
valicò la soglia del giardino. Lanciò occhiate furtive a destra e a manca e si diresse verso quella che doveva essere la portafinestra del giardino ormai trascurato da tempo e con le aiuole ormai morte. Erano le due del pomeriggio e solitamente non c’era anima viva da quelle parti, nessun pedone, nessun automobile, nessuno.
Soltanto lui e quella casa.
Allungò la mano verso la maniglia e senza sprecare neanche un minimo di forza la aprì. Chiunque abitasse lì dentro, era davvero uno stupido, pensò Harry. Nessuno sano di mente avrebbe mai lasciato le porte aperte.
Si inoltrò nella casa lasciando socchiusa la portafinestra alle sue spalle e velocemente cercò qualcosa che potesse andare bene. Non trovò nulla di adatto al piano terra dato che quella casa era stranamente poco arredata e poco ornata da oggetti. Era una casa semplice, normale e modesta e non come tutti osavano descriverla. La gente, qualche anno prima, cominciò ad inventarsi strane leggende e storie su quella casa. La prima di queste, nonché la più popolare, sosteneva che l’abitazione fosse infestata da qualche strano essere dalle sembianze umane ma che la notte mutava in una sorta di vampiro che si divertiva a mordere i coinquilini per poi ucciderli. La fantasia della gente davvero non aveva limiti.
La casa era silenziosa e particolarmente vuota. Non c’era anima viva e questo era un punto a favore di Harry. Facendo come se fosse a casa sua, salii al piano superiore e cominciò ad osservare tutti i dipinti e le fotografie appese alle mura.
Una foto attirò particolarmente la sua attenzione: una donna.
Aveva dei lunghi capelli castano ramato e degli occhi così luminosi che illuminavano l’intero abitacolo con un solo sguardo, aveva le labbra socchiuse in un sorriso radioso ed era avvolta in una lunga pelliccia beige. Era in compagnia di un uomo alto e muscoloso dai capelli biondi che tra le braccia stringeva una piccola fanciulla dai capelli del suo stesso colore. Sorrideva timida all’obiettivo della fotocamera mentre stringeva con la sua docile manina la cravatta di quell’uomo che doveva essere, molto probabilmente, suo padre. Harry osservò attentamente quella zona della casa, così che quelle immagini potessero imprimersi nella sua mente. Quella casa gli piaceva perché gli ricordava vagamente la sua infanzia. Se avesse avuto una grande fortuna –perché grande com’era, valeva sicuramente qualche milione-, non ci avrebbe pensato due volte ad acquistarla.
 Continuò la sua perlustrazione ed entrò in una stanza in fondo al corridoio. Era enorme e arredata da mobili di legno: scrivania in legno, libreria in legno, sedia in legno. Addirittura una tazza da caffè, adibita a porta penne, era in legno.
Era stupenda, trasmetteva un senso di magico e mistico che gli riportava alla mente i periodi che trascorreva rintanato in biblioteca insieme a Louis, quel migliore amico che lo aveva abbandonato perché, secondo le sue opinioni, Harry era cambiato a causa dei suoi nuovi amici. Scosse la testa furiosamente come a scacciare via quei pensieri diventati ormai troppo dolorosi per essere ricordati.
Ripresa la lucidità della sua mente, chiuse la porta alle sue spalle e vagò un po’ nella stanza fin quando il suo occhio non fu attirato da un oggetto posto sulla scrivania e quasi sepolto dalla montagna di fogli che la tappezzava. Era una miniatura laccata in oro di un auto d’epoca, e secondo Harry, era perfetta come trofeo alla scommessa. La raccolse e ne scrutò tutti i minimi dettagli così da notare anche una dedica incisa sotto la base della miniatura.

 A Martìn, perché possa realizzare il suo più grande sogno.
                                                                                                             Lydia

Harry si sentiva egoista e spregevole portando via quell’oggetto che per quel ‘Martìn’ doveva essere così prezioso, ma se non l’avesse fatto avrebbe perso la scommessa, avrebbe ucciso il suo orgoglio e calpestato la sua dignità.
Senza pensarci troppo, altrimenti avrebbe potuto cambiare idea, girò la miniatura e la ficcò velocemente nella tasca della giacca di pelle. Poi, però, fu distratto da un rumore secco: la portiera di un auto. Si avvicinò alla finestra e scostò cautamente le tendine bianche cercando con gli occhi la fonte del rumore. C’era l’uomo della fotografia, soltanto un po’ invecchiato, che scaricava alcuni scatoloni dall’auto e veniva aiutato da un altro signore. Quest’ultimo era un po’ più anzianotto ma era tanto in forma da poter portare due scatoloni contemporaneamente. Harry doveva uscire da quella casa al più presto possibile ed aveva circa cinque minuti di tempo per non farsi beccare. Scappò letteralmente da quello studio, lasciando le cose così come le aveva trovate –ad eccezione di quel modellino-, poi chiuse la porta e scese gli scalini a due a due di corsa.
Inizialmente si sentì in trappola dato che non poteva uscire dalla portafinestra che affacciava proprio sull’ingresso della casa, poi però, quasi come un flash, si ricordò di un’altra possibile uscita.
Subito si fiondò verso la stanza che, secondo i suoi ricordi, doveva avere la finestra che affacciava sul retro.
La ricordava quasi alla perfezione perché ogni giorno, dal viale che percorreva per arrivare al parco, notava quella finestra bianca con le tende perennemente chiuse e si era sempre chiesto che cosa nascondessero di così privato.
Aprì la porta della stanza e, cautamente senza fare alcun rumore, la richiuse. Solo dopo essersi voltato notò la candida stanza avvolta da un’aria celestiale e quasi divina. Aveva le pareti totalmente bianche e l’arredamento in legno di ciliegio ornati, di tanto in tanto, da fazzoletti di pizzo bianco. Nell’angolo a sinistra c’era una sedia a rotelle e vedendola quasi ebbe una fitta al cuore. Si era tanto fantasticato, in modo assolutamente sbagliato, sulla famiglia che viveva in questa casa mentre era semplicemente abitata da un persona disabile. A destra c’era un letto a baldacchino con le tendine bianche e, ovviamente, chiuse. Si affrettò alla finestra e quando l’aprì un vento gelido scompigliò i suoi capelli ricci e scostò violentemente, non solo le tende bianche che contornavano la finestra, ma anche quelle del letto mostrando così una figura esile distesa sotto le coperte.
Una dolce ragazza dai lunghi capelli biondi e ormai spenti, lo fissava con i suoi occhi grigi come il cielo invernale di Barcellona. Era la ragazza più bella che Harry avesse mai visto e quando le sue sottili e rosee labbra si schiusero in un sorriso accogliente sentì una fitta al cuore. Si stava tremendamente sentendo in colpa per quello che stava facendo ma la sua idea non sarebbe cambiata, o meglio, non poteva cambiare.
Sentì dei rumori provenire dall’altro lato della porta e si ricordò dei due signori da cui si stava nascondendo.
L’espressione della ragazza divenne leggermente allarmata e ammiccando verso la finestra gli fece capire le sue intenzioni. Poggiò il piede sul davanzale e si diede una spinta dosando bene la forza affinché non cadesse con la faccia sul terreno. Si voltò e lei era li che lo fissava imperturbabile e lui, a sua volta, si lasciò trascinare dai suoi occhi magnetici fin quando, nuovamente, non sorrise facendo nascere automaticamente sul volto di Harry un sorriso sincero. Prima che potessero entrare nella stanza, lei chiuse gli occhi e così fece anche il riccio con le ante della finestra. Si allontanò quanto più possibile da quella casa cercando di scacciare via l’immagine di quella ragazza che stava ormai iniziando a tormentarlo.
C’era qualcosa che lo legava a lei, come se ci fosse un filo invisibile e indistruttibile che li univa. Non era amore, non era pietà, non era nulla di tutto questo. Harry non riusciva a spiegarsi il turbine di emozioni che si stava rivoltando dentro di lui; era come rinchiuso sotto una campana di vetro, riusciva a pensare solo a quella casa, a quella fotografia, a quella dedica, a lei.
Di poche cose Harry era sicuro nella sua vita ed il suo ritorno in quella casa era assolutamente una di loro.


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Lily's corner:
Salve a tutti, sono tornata con una nuova FanFiction, questa volta un po' più malinconica u.u
Partorii l'idea di questa storia tra i banchi di scuola, mentre la mia noiosissima proff di italiano spiegava Ariosto.
Spero vi piaccia, perché penso sia davvero carina come idea, fatemi sapere cosa ne pensate con una piccola recensione, please! *-*
Baci, Lily.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


                                          
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«Non ci credo, l’hai fatto sul serio..» sussurrò il più piccolo con ammirazione.
In realtà non ci credeva neanche Harry. Si sentiva un verme.
Non si era mai spinto tanto oltre da violare l’abitazione di qualcuno, né tanto meno aveva rubato prima.
Ma una scommessa,purtroppo, era una scommessa.
«Non sei più un pivellino ormai» affermò Joshua sistemandosi il ciuffo biondo nel cappello.
Un pivellino.
Era così che funzionava per Joshua: se commettevi reati, più o meno gravi, eri accettato nel loro gruppo; se studiavi, se frequentavi una qualsiasi scuola, eri uno sfigato.
In teoria, Harry avrebbe dovuto far parte della seconda categoria, ma in realtà loro non sapevano che lui frequentasse l’università.
Loro non sapevano che ogni mattina, mentre loro dormivano beatamente nei loro comodi lettini, Harry si dedicava allo studio.
Loro non sapevano delle sue notti insonni spese sui libri.
Loro non sapevano nulla di lui, pensò Harry. Si limitavano a credere alle bugie che gli raccontava, si limitavano a credere che lui fosse come loro.
E forse un po’ lo era, ma gli costava parecchio ammetterlo.
In realtà Harry, da un po’ di tempo, non si riconosceva neanche più.
Non ricordava di essere così bravo a mentire, non ricordava di riuscire a darla a bere ai suoi compagni, ma soprattutto non ricordava quando avesse iniziato a mentire.
Non gli era mai piaciuto dire bugie, eppure ora si ritrovava sommerso dalle sue stesse frottole.
Certi giorni era difficile nascondere la sua identità da studente, e spesso aveva rischiato di farsi beccare, ma ogni volta che riusciva a tenersi ancora un po’ più stretto il suo segreto, ringraziava tutte le divinità esistenti.
Non era certo del motivo per cui ci tenesse così tanto ad essere uno di loro, ma una volta presa questa strada non si torna indietro.
«Questo lo prendo io!» esclamò Joshua tirandogli dalle mani il modellino dell’auto. Harry non replicò e lasciò che il biondo si godesse quel ‘trofeo’.
«Che coraggio che hai avuto ad entrare lì dentro» esclamò il più piccolo,Brandon, regalando al riccio una pacca sulla spalla. Aveva una strana adorazione per qualsiasi cosa lui facesse ed Harry non ha mai capito il perché. Uno dei motivi per cui Brandon era spesso snobbato dagli altri del gruppo è proprio questo: il suo essere così cordiale, educato ed, in un certo senso,ingenuo. Non è mai stato apprezzato come avrebbe dovuto, ed era uno spreco. Secondo Harry, Brandon era certamente il migliore di tutto quello strano gruppo. Anche se non lo dimostrava, Harry ci teneva tanto a lui, molto più di quanto ci tenesse agli altri.
«Allora, me lo racconti come ti sei intrufolato in quella casa?» chiese sventolandogli una mano davanti agli occhi per riscuoterlo dai suoi pensieri.
«Nulla di speciale, la porta era aperta» Harry tagliò corto con fin troppo poco entusiasmo; non era molto loquace quella giornata. La sua mente era rivolta ancora a quella ragazza così docile e apparentemente gentile. Non riusciva a dimenticare quegli occhi così magnetici e ammalianti.
Non l’aveva mai vista in città, uno sguardo del genere lo avrebbe certamente ricordato, ne tanto meno aveva mai visto la sua famiglia. 
Non gli risultava neanche che ultimamente si fosse trasferito qualcuno nell’isolato, quindi l’idea che fossero nuovi vicini era da escludere.
«Cos’hai oggi, Haz?» chiese Brandon pizzicandogli una guancia.
«Nulla» rispose il riccio cercando di apparire il più sincero possibile. Scosse la testa per liberarsi dalla presa del ragazzino e si allontanò leggermente infastidito.
«E’ ancora spaventato per essere entrato in quella casa, lascialo perdere» esclamò Joshua divertito provocando l’ilarità degli altri.
Harry non rispose, ma si limitò ad osservarlo in tutta la sua sfacciataggine, mentre camminava con le mani in tasca senza avere una meta precisa.
Non era una persona cattiva, non lo era affatto.
Era solo troppo attaccabrighe, scontroso, molto spesso maleducato –troppo spesso- ma in fondo era una brava persona, proprio come tutti gli altri del gruppo.
Tutti i loro strani comportamenti sono un modo per difendersi dagli altri in cui hanno totalmente perso la fiducia.
«Ci vediamo domani, ragazzi» salutò, Harry, prendendo la direzione opposta alla loro. Li lasciò probabilmente confusi e interdetti, ma in quel momento nulla era più importante che tornare a casa.


Succedeva sempre così quando Anne era ansiosa o preoccupata: andava avanti e indietro per la stanza e ciò ad Harry irritava non poco. Sapere che si stava preparando per uscire con il suo compagno, Robin,  faceva imbestialire Harry a tal punto da odiarlo, quasi.
«Smettila di preoccuparti!» esclamò il riccio in preda al nervosismo. Se c’era una cosa che odiava di sua madre, era il suo essere perennemente innamorata di qualcuno. Era sempre così volubile, capricciosa e possessiva che delle volte ad Harry capitava di domandarsi chi fosse il bambino tra lui e la donna.
«E’ in ritardo!» esclamò gettandosi sul divano «lui non è mai in ritardo» disse stringendosi nervosamente le mani.
«Arriverà, purtroppo» sussurrò il figlio beccandosi un occhiataccia da parte della madre. Pochi secondi dopo sentirono il rumore della ghiaia del vialetto, segno che Robin era appena arrivato. Anne si alzò velocemente afferrando la giacca di jeans, per ripararsi dal leggero venticello primaverile, e schioccò al figlio un bacio affettuoso sulla guancia.
Poi sparì dietro la porta, lasciando un tetro silenzio nella casa.
Harry si trascinò sul divano, stanco morto, chiuse gli occhi e provò a riposare, lasciando da parte tutti i suoi impegni, come lo studio.

Il suo sonno fu destato dallo squillare incessante del telefono di casa. Harry non seppe ben dire quanto riposò ma di certo non era abbastanza. Era ancora stanco e non aveva neanche cenato.
Il telefono cessò di squillare e al suo posto riecheggiò in un tutta la stanza quel solito e fastidioso bip.
«Ehi Harry» sussurrò quella voce «so che sei lì e che probabilmente non rispondi perché non vuoi parlarmi» disse tramite l’altoparlante.
Aveva ragione, Harry non voleva parlargli.
«Vorrei che ci incontrassimo uno di questi giorni, mi manca passare del tempo con te» continuò lui e non dava segni di volersi fermare.
«Sei il mio migliore amico, Harry» disse e con tutta la forza che aveva, Harry si alzò e si avvicinò al telefono.
«Non lascerò che una stupid-» staccò la chiamata, la sua voce era diventata troppo irritante. Era il suo migliore amico, pensò. Louis non si era creato problemi ad abbandonarlo, a lasciarlo da solo, e Harry non si sarebbe creato problemi ad ignorarlo e a lasciarlo da solo, si disse.
Prese la giacca di pelle e uscì di casa sbattendo la porta.
Aveva bisogno d’aria fresca, aveva bisogno del profumo degli alberi in fiore, aveva bisogno di sentire il freddo sulla sua pelle, e soltanto quando si fermò di colpo, si rese conto di quello di cui aveva realmente bisogno. Quasi inconsciamente si era ritrovato di fronte la finestra di quella casa, la finestra di quella ragazza.
Lei era per Harry una calamita, una cosa da cui era impossibile separarsi. Era seduta sulla sua sedia a rotelle, di fronte a quella finestra, ad ammirare il cielo stellato. La ragazza era come rapita da quei piccoli puntini lucenti, era incantata dalla bellezza sconfinata delle stelle e Harry era rapito da lei.
Abbassò lo sguardo e si accorse del ragazzo che la osservava dall’altro lato della strada. Una ragazza normale lo avrebbe scambiato per un maniaco ma lei no, lei gli sorrise.
Harry si avvicinò alla finestra, scavalcando il muretto che divideva la casa dalla strada.
Era vicino a quella ragazza, l’unica cosa che li separava era quel vetro che lei, come ogni ragazza di sana mente, non si apprestò ad aprire.
Inaspettatamente allungò il braccio fino ad appoggiare la sua candida mano sul vetro e Harry non poté che essere sorpreso.
Allungò la mano a sua volta e la poggiò all’altezza della sua.
Non sapeva bene cosa volesse significare quel gesto, non sapeva perché fosse così gentile con lui e non sapeva perché fosse così attratto da lei.
Poté notare quanto la sua mano fosse grande rispetto a quella della ragazza e quanto questo gli dicesse che aveva voglia di starle accanto e proteggerla. Non sapeva da che cosa, da chi e perché.
Era confuso e con la testa piena di domande a cui non sapeva dare una risposta.
Erano forse i sensi di colpa che lo assalivano?
Si guardò intorno rendendosi conto soltanto allora di quanto fosse tardi e di quanto fosse inopportuna la sua presenza in quel giardino. Se il padrone di casa lo avesse beccato lo avrebbe ucciso, non gli avrebbe di certo regalato timidi e dolci sorrisi come la sua, suppose il riccio, adorata figlia.
«Tornerò domani» sussurrò Harry sorridendole certo che lei avrebbe ricambiato.
La ragazza abbassò la mano, puntando i suoi occhi grigi in quelli di Harry provocandogli mille sensazioni.
Non sapeva che quegli occhi sarebbero stati la sua benedizione, non sapeva ancora tutto ciò a cosa lo avrebbe portato.
Di colpo, però, si ritrovò solo, con una mano su un vetro a fissare una tendina bianca e senza ricami. Era così preso dai suoi pensieri che non si accorse che la ragazza lo aveva lasciato solo, senza neanche salutarlo, senza neanche avergli regalato un sorriso.
Solo allora Harry si rese conto di quanto si sentisse vuoto e solo, come quella tendina senza i suoi ricami.
Una tenda, però, anche senza i suoi ricami è pur sempre una tendina. Le persone la comprano comunque, la usano lo stesso come arredamento, quindi, pensò Harry, in un modo o nell’altro era utile per qualcosa. Lui, però, senza i suoi compagni, quelli veri, senza l’amore che mancava da tempo e che necessitava più dell’acqua, non era se stesso, e ciò lo faceva sentire tremendamente inutile. 


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Lily's corner:
Eccomi, sono tornata con un altro capitolo! 
Ho un avviso da darvi: pubblicherò un capitolo a settimana, così da darmi il tempo di scriverne altri e non rimanere settimane e settimane senza! Questi primi capitoli saranno molto descrittivi, poichè introducono i personaggi e la loro personalità, in particolare Harry. Quindi se per voi è noioso avvisatemi, così farò qualche cambiamento e cercherò di renderla più piacevole!
Spero che questo capitolo vi piaccia, perché ci tengo molto a questa storia, non so se si è notato u.u (credo io l'abbia fatto notare abbastanza haha)
Poi.. volevo esprimermi su una questione accaduta poche ore fa.. la morte di Cory Monteith. Non seguivo tantissimo Glee, ma tutte le volte che lo vedevo era soltanto per lui, il mio adorato Finn! Infatti, quelle che tra di voi hanno letto la mia prima storia (Sound of Kiss), avrà notato un riferimento a lui e questo telefilm. Il mio cuore è straziato dal dolore ç-ç
Basta, vi ho rotto abbastanza le scatole, alla prossima settimana.. o forse prima, chissà! u.u
Baciiiii xx

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


                                          

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Harry quella notte non riuscì a dormire molto.
Erano le otto di mattina e stranamente lui era già sveglio.
Era abbastanza insolito da parte sua svegliarsi così presto tanto che cominciò a temere di avere qualche problema.
Nonostante avesse aperto gli occhi ormai da un po’, ancora non riusciva a mettere bene a fuoco gli oggetti della sua camera e la luce accecante del sole non aiutava di certo.
Come se non bastasse si era svegliato con dei mal di testa lancinanti che lo rendevano sempre più confuso. Harry, addirittura, arrivò a pensare che tutto ciò che era successo il giorno precedente, la scommessa, la casa e la ragazza, non fossero altro che un sogno.
Si alzò lentamente dal letto e per pochi secondi la sua vista si appannò, diventando completamente bianca. Gli capitava spesso di sentirsi così male, soprattutto dopo una nottata del genere. La stanchezza gli giocava spesso brutti scherzi, ma ormai ci era abituato.
Si mise a sedere tra le lenzuola bianche, poggiando le mani sul viso ed i gomiti sulle gambe, così da recuperare la lucidità.
Pochi secondi dopo la vista era tornata normale, i mal di testa si erano affievoliti e lui poté finalmente alzarsi. Scese gli scalini goffamente, proprio come fa chi è reduce da una sbronza, ed infatti lui si sentiva quasi brillo. Ormai convinto che gli episodi della giornata precedente fossero tutto un sogno, arrivò a pensare che, forse, la sera precedente se l’era spassata in qualche locale con i compagni e si era ubriacato, ma in realtà non era così.
Aveva soltanto bisogno di qualche altro minuto per riprendersi totalmente.
Arrivò in cucina e ciò che vide gli diede la conferma che, in realtà, non si era sognato un bel niente. I libri che aveva da studiare erano ancora sparsi sul pavimento sotto al tavolino di vetro, la cena della sera prima era ancora sul davanzale della cucina, ormai ricoperta da macchie di olio.
Quella mattina avrebbe dovuto darsi da fare per pulire tutto, o la madre lo avrebbe ucciso.
Prima però accese i fornelli e mise una padellina a riscaldare. Mentre preparava l’impasto per i pancakes in una scodella, sentì la porta dell’ingresso chiudersi. Poggiò il contenitore sul davanzale e corse verso le scale, che davano proprio sull’entrata principale.
Vide sua madre sgattaiolare via verso la sua stanza. Harry pensò che fosse appena tornata dalla sua serata con Robin, date le condizioni in cui era.
I capelli arruffati, il vestito stropicciato e il modo goffo con cui saliva le scale con i tacchi in mano per non svegliare nessuno.
«Buongiorno» esclamò Harry a voce alta. La madre si arrestò di colpo e posò i tacchi su uno scalino. Si voltò verso suo figlio con aria colpevole e gli sorrise.
«Mi hai beccata» sussurrò grattandosi il capo. Anne sapeva che non doveva tornare a casa a quell’ora, sapeva che ciò infastidiva Harry, ma non riusciva a farne a meno.
Anne si comportava in quel modo per sfuggire dai suoi problemi, o meglio, il suo problema.
«Abbiamo delle regole in casa e non devo rispettarle soltanto io, ma anche tu!» esclamò fissandola insistentemente.
Anne si sentiva mortificata perché il figlio aveva assolutamente ragione.
Lei era una madre, le madri non si comportavano in questo modo. In fondo sapeva di stare sbagliando, ma quale madre aveva i suoi stessi problemi? Poche, ed era sicura che le altre si comportassero proprio come faceva lei.
Il suo problema regnava da ormai un anno in quella casa e lei non ne poteva più: sua figlia era diventata un peso per lei.
«Ti preparo del caffè, va a lavarti» disse Harry risoluto risvegliando la madre dai suoi pensieri, poi si voltò e tornò in cucina a preparare i pancakes. Anne non poté far altro che sorridere per la premura che Harry aveva nei suoi confronti, e con la mente occupata da questo pensiero, si voltò e andò allegramente a lavarsi.
Harry trovò un vassoio tra i mobili della cucina e, dopo un’attenta riflessione, ci posò su la colazione.
Prese poi una tazza e ci versò del caffè, la posò sul davanzale della cucina e chiamò la madre.
Anne scese di corsa le scale e lasciò un bacio sulla guancia del figlio, prese la tazza e cominciò a sorseggiare lentamente il caffè bollente.
Non appena vide Harry alzare il vassoio dal davanzale, si insospettì.
Lo guardò inarcando le sopracciglia, chiedendosi cosa avesse intenzione di fare, e quando il figlio lanciò uno sguardo alle scale, Anne capì tutto.
Distolse lo sguardo e continuò a bere il suo caffè, facendo finta di nulla.
Harry sbuffò, pensò a quanto avesse voluto che la madre avesse altri atteggiamenti nei confronti della sorella, e si diresse verso la stanza di Gemma.
La porta era socchiusa, così come Harry la lasciava tutte le sere.
La sorella, da un paio di mesi, aveva sviluppato, stranamente, questa paura del buio. Harry non sapeva spiegarsi il perché, però per evitare qualsiasi attacco di panico da parte di Gemma, lasciava la porta socchiusa così che la luce del corridoio potesse illuminare almeno i profili degli oggetti.
Quando il riccio entrò in stanza, poté scorgere la sorella dormire beatamente tra le lenzuola rosa, così lui poggiò il vassoio sul comodino e si sedette al fianco di Gemma.
A Harry piaceva guardarla dormire perché finalmente riusciva a vedere la sorella di un tempo, quella dolce e tranquilla, quella spensierata e senza problemi.
Le accarezzò una guancia, scostandole i boccoli che le ricadevano sul viso.
Il viso di Gemma si contorse in una smorfia infastidita e quando aprì gli occhi, rimase a fissare suo fratello per un intero minuto.
Cercava di mettere a fuoco il viso della persona che aveva di fronte e allo stesso tempo cercava di capire che ore fossero e perché lui si fosse azzardato a svegliarla.
«Buongiorno» Harry sussurrò quanto più piano possibile per non stordirla. Lui sapeva bene quanto fosse fastidiosa la voce di qualcuno di primo mattino.
Gemma brontolò qualcosa di incomprensibile, poi allungò le braccia e tirò a se suo fratello, stringendolo in un abbraccio soffocante.
«Come stai, fratellino?» disse stringendolo ancora più forte.
Harry non si stupì affatto di questo suo improvviso cambiamento d’umore, ci era ormai abituato.
Lei era fatta così: da uno stato di rabbia o rancore passava, facilmente, ad uno stato di felicità e stupidità assurdo. Certe volte Harry, nella sua mente, rideva di questi improvvisi cambiamenti, anche se sapeva che era assolutamente sbagliato.
«Io sto bene, Gemma, e tu?» chiese sorridendole e porgendole la colazione.
«Bene» rispose guardando la colazione. Raccolse la forchetta e spezzò i pancakes, riempiendosi la bocca delle gustose pietanze preparategli dal fratello.
Harry lasciò che si godesse quell’attimo di sollievo, prima di presentarle la dura realtà.
«Gemma, ricordi che cosa dobbiamo fare oggi?» gli chiese una volta che la sorella avesse finito di mangiare.
Lei lo scrutò, chiudendo gli occhi a due fessure e alla fine annuì.
Tirò su le sue adorate lenzuola rosa, così da coprirsi fin sopra al capo, gettandosi poi, in malo modo, sul letto.
«Gemma, non fare così» sbuffò Harry, ormai stanco di vedere sempre la stessa scena. Lei grugnì infastidita, scostando di colpa le lenzuola e tornando a sedersi. Puntò i suoi occhi verdi in quelli del fratello, provando ad intenerirlo ma Harry era irremovibile.
«Su, alzati e vestiti!» esclamò il riccio dandole delle pacche sulle gambe. Lei scalciò via le lenzuola e si precipitò fuori dal letto afferrando la prima maglietta e il primo pantalone che le capitava davanti.
Harry si alzò, portando via il vassoio. Rivolgendosi alla sorella la incitò a muoversi, chiudendosi, poi, la porta alle spalle.
Raccolse il cellulare che aveva nella tasca del pigiama e compose varie cifre.
Ogni volta che chiamava quel numero, si sentiva come all’inferno, ed ogni qualvolta che l’interlocutore ci metteva più tempo del previsto a rispondere, la sua agonia diventava sempre più insostenibile.
«Clinica psichiatrica di Holmes Chapel, come posso aiutarla?» rispose una voce dall’altro capo del telefono.
«Salve» disse, Harry, balbettando «avevo preso appuntamento con il Dr. Klein per questa mattina e vorrei sapere se è già arrivato in clinica» chiese il ragazzo.
«Il Dr. Klein è appena arrivato e la sta aspettando» affermò la segretaria. Harry sorrise e si avviò verso la cucina.
«Grazie dell’informazione, sarò lì a breve» rispose staccando la chiamata.
Ogni volta che portava Gemma dallo psichiatra, Harry si sentiva più sollevato, perché, in quei momenti, non era poi così inutile come pensava.


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Lily's corner: Sono furiosa. Efp mi sta dando sui nervi. Prima mi dice che non esiste il mio account, poi mi pubblica male le storie, poi mi fa esaurire. A parte ciò, come state? Ho pubblicato oggi a causa dei problemi di efp, e colgo l'occasione per ringraziarvi tutti, chi recensisce, chi preferisce, chi segue, tutti!
Poi volevo dirvi che.. dovrete attendere un altro po' per vedere l'incontro tra Harry e la ragazza, ma prometto di pubblicare in fretta questi capitoli così subito avrete il tanto atteso evento u.u Vi spiffero una cosetta.. l'incontro è nel quarto capitolo <3 basta non vi dico più nulla!
Ora vado via dato che vi ho già rotto abbastanza u.u
Baci, Lily 


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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


                                          
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«Quindi ti senti davvero meglio, Gemma?» chiese titubante il medico.
Gemma inarcò le sopracciglia in un espressione quasi confusa.
«Certo, gliel’ho già detto!» esclamò lei, provando a contenere la sua antipatia nei confronti di quel medico.
«Ne sei sicura?» richiese, lanciando poi, verso Harry, uno sguardo sconfitto.
«Assolutamente!» asserì battendo le mani sul divano dello studio. Harry non sapeva più cosa fare per convincerla dei suoi errori e del suo comportamento irrispettoso. Era già la quinta seduta ed i miglioramenti erano stati davvero pochi, anzi pochissimi.
«Se le cose, allora, stanno così, per oggi la nostra seduta è terminata» disse spuntando con la penna un nome dalla sua lista «ci vediamo la settimana prossima,Gemma» affermò portandosi la mani sotto il mento e sorridendole sincero.
Gemma e Harry salutarono cordialmente il medico e si voltarono poi verso la porta. Prima,però, che potessero uscire il dottore richiamò l’attenzione di Harry.
«Figliuolo, potresti rimanere un momento?» il riccio annuì, rivolse uno sguardo a Gemma, che intuendo le parole del fratello, uscì dalla stanza.
«Dr. Klein» sussurrò il ragazzo «come sta procedendo? Nota miglioramenti?» chiese stringendosi le mani e accomodandosi sul divano, dove fino a poco prima era seduta Gemma.
«Più o meno» disse facendo scivolare le mani dal mento a coprire le labbra. Assunse un’espressione più seria ed Harry trattenne il respiro per pochi secondi.
«Cosa intende?» domandò il riccio rilassandosi. Ormai sapeva cosa aspettarsi, era la stessa storia tutte le volte.
«Intendo che non ci sono miglioramenti, l’unica cosa che è variata è il suo modo di porsi nei miei confronti. Temo mi odi ogni volta di più» concluse il Dr. Klein ridacchiando, proprio per attenuare la tensione che si era creata in quell’ufficio. Harry si rilassò e sbuffò contrariato.
«Mi scuso per questo» disse abbassando il capo per l’imbarazzo. Il dottore scosse la testa divertito e aspettò che Harry dicesse qualcosa.
«Ma bisogna andare a piccoli passi, giusto? Lo ha detto lei la prima volta che siamo venuti qui» sostenne Harry, puntando i suoi occhi verdi in quelli del medico.
«Certo, è giusto» rispose sfilandosi gli occhiali e pulendoli con un fazzoletto «ma non sono questi i passi giusti che deve fare» affermò l’anziano medico, provando a regalare conforto al ragazzo con un sorriso obliquo. Ovviamente più nulla poteva consolare il riccio, le cose dovevano prendere una svolta, sarebbe intervenuto lui, gli mancava solo da capire come avrebbe fatto.
«Harry, ragazzo mio, temo sia inutile continuare queste visite» concluse il medico. Harry annuì, ringraziò il medico e si avviò all’uscita. Però ,poi, arrestò di colpo, si voltò verso il medico e gli disse:
«E se riuscissi a fare qualcosa? Se riuscissi a convincerla che è la cosa giusta da fare, lei sarebbe disposto a continuare ad aiutarla?» chiese quasi senza fiato per le troppe domande che aveva fatto.
Il Dr. Klein scrutava Harry con occhi curiosi, si rimise gli occhiali e ricongiunse le mani sotto al mento.
«Sei proprio un bravo ragazzo, Harry» affermò sorridendo.
Harry, prima di chiudersi la porta alle spalle, ricambiò il suo sorriso aggiungendoci un pizzico di speranza, un pizzico di fede.



Mangiare i popcorn al burro, mentre faceva zapping e guardava la tv, è sempre stato un piacere per Gemma. Ci passava le ore intere davanti la televisione, o almeno, le spendeva mentre la madre era fuori casa; era l’unico momento di quiete per lei.
Gemma non perdeva mai tempo a pensare al suo, quasi inesistente, rapporto con la madre poiché lo considerava una perdita di tempo, né tanto meno si preoccupava di coltivare il suo rapporto con altre persone.
Gemma era persa tra l’affondare le mani nei popcorn e il guardare la tv, fin quando Harry non si parò davanti lo schermo salvando quei pochi neuroni che erano rimasti alla sorella.
«Harry lasciami in pace» sbuffò dondolandosi a destra ed a sinistra per provare a vedere la televisione che il fratellino, con la sua enorme statura, oscurava.
«Perché ti comporti così?» chiese, tanto infuriato da spegnere il televisore e scaraventare il telecomando sul divano. Gemma sgranò gli occhi dallo stupore; non era mai stato così aggressivo con lei.
«Non mi comporto in nessun modo» si difese lei poggiando la ciotola di popcorn sul tavolino in vetro.
«Perché non vuoi accettare il nostro aiuto? Dannazione!» sbraitò Harry facendo sussultare la sorella. Gemma odiava quando le persone gli urlavano contro, le riportava alle mente brutti ricordi.
«Io sto bene, non ho bisogno di alcun aiuto» rispose pacata. Da un momento all’altro Gemma s’incupì, ma il fratello non se ne accorse.
«Invece si, da quando David..» si fermò, incerto se continuare o meno. Raccolse tutto il coraggio che aveva e decise di mettere fine a questa storia, sbandierandole in faccia la realtà dei fatti che lei si ostinava a negare.
«Da quanto David ti ha lasciata a causa..» prese una pausa, ispirò dell’aria e continuò «a causa del tuo aborto, sei cambiata. Hai una vita sedentaria, sei sempre da sola, rifiuti nostra madre continuamente, allontani tutti e non ti rendi conto che ti stai facendo solo del male» concluse. Si sentì quasi in colpa, ma non poteva lasciarsi abbandonare da questi sensi di rimorso o le cose non sarebbero mai migliorate.
Dopo pochi secondi di silenzio, Gemma sembrò ritornare in sé, anche se il suo sguardo, che insisteva sulla figura del fratello, era triste e vuoto.
«Cosa vuoi, Harry?» bisbigliò stanca di sentirlo sbraitare cose, per lei, inutili.
«Cosa non voglio!» esclamò serio avvicinandosi alla sorella «non voglio più vederti soffrire, non voglio più sentire le tue urla nel bel mezzo della notte, odio le tue crisi isteriche, odio quando dobbiamo somministrarti dei tranquillanti per farti dormire, quindi, Gemma..basta!» urlò Harry battendo una mano sul tavolo. Quel gesto fece traballare la ciotola dal quale si riversarono fuori un po’ di popcorn. Gemma lanciò uno sguardo di fuoco al fratello, se avesse potuto lo avrebbe ucciso; non soltanto per lo spreco dei popcorn, che in quel momento erano vitali per lei, ma anche per il modo arrogante e autoritario con cui le si stava rivolgendo.
Di tutta risposta afferrò il telecomando e riaccese la tv, ignorando di striscio il fratello. Proprio mentre Harry stava per replicare qualcuno bussò alla porta e pensò che Gemma si fosse salvata in calcio d’angolo.
Corse ad aprire, supponendo che fosse la madre, invece no.
Non si aspettava di trovarlo lì, era impreparato. Non sapeva cosa dire, ne cosa fare, era da troppo tempo che non lo vedeva.
«Ciao Harry» disse timido torturandosi il colletto della camicia.
«Ciao Lou» rispose Harry provando a non far trapelare le sue emozioni contrastanti. Da un lato voleva abbracciarlo, gli era mancato, dall’altro voleva picchiarlo, per averlo abbandonato.
«Mi hai chiamato Lou» disse l’amico sorridendogli gioioso. Era un gesto così naturale per lui che Harry non se ne era neanche accorto.
«Non è vero!» negò il riccio arrossendo.
«Si, inve-» Louis fu interrotto da una brusca domanda di Harry.
«Perché sei qui?» gli chiese irremovibile. Harry doveva essere più coraggioso, proprio come qualche minuto prima con Gemma.
«Non rispondi alle mie chiamate» si giustificò Louis imbarazzato.
«Non hai il diritto di piombare in casa mia in questo modo» rispose Harry pacato.
«Ma ho il diritto di scusarmi con te! Anzi, è un dovere. Non ho mai voluto che la nostra amicizia finisse, sai quanto ti vog-» Louis fu nuovamente interrotto, ma questa volta non da Harry.
«Chi è?» chiese Gemma sbucando da dietro al fratello.
«Nessuno, Gemma, torna in salotto» rispose respingendola indietro, ma lei fu più forte di lui e si arrestò di colpo nel vedere l’ospite.
«Louis..» sussurrò mentre un sorriso onesto le nasceva sul volto.
«Ciao, Gemma» rispose sorridendogli sincero. Gemma non oppose altra resistenza, improvvisamente si rilassò e tornò in salotto.
«Forse non è il momento adatto» constatò Louis guadagnandosi il consenso del riccio.
«Non ti sbarazzerai così facilmente di me, tornerò!» esclamò il più grande indietreggiando nel cortile.
«E’ una minaccia?» chiese Harry trattenendo una risata.
«Esatto!» esclamò sorridente l’amico, per poi voltarsi e andare via.
Harry chiuse la porta e sorrise, ma non si pose il problema di capire il perché stesse sorridendo. Tornò in salotto e trovò Gemma seduta a gambe incrociate sul divano, il televisore spento e un’aria assolutamente seria dipinta sul suo volto.
«Voglio continuare ad andare dallo psicologo» annunciò fissandolo dritto negli occhi. Harry era confuso, ancora una volta non capiva gli strani comportamenti di Gemma.
«Come mai hai cambiato idea?» chiese. Gli sorrise e si avvicinò a lei per abbracciarla.
«Perché voglio andare avanti» sussurrò all’orecchio del fratello «ed ora ho una buona ragione per farlo».


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Lily's corner:
Ve l'avevo detto che sarei tornata prima! Beh, cosa pensate di questo capitolo? Finalmente si sono capite un pò di cose, come il comportamento di Gemma, abbiamo rivisto Louis(syhfygysd **)! Louis è praticamente il mio amore, è l'esatto prototipo di ragazzo che io considero perfetto e che mi piacerebbe avere... nonostante io sia già fidanzata LOL
Occhei, passiamo avanti. Gemma. Che strana ragazza... chissà come si evolverà il suo rapporto con la madre e con..Louis,forse?
Lo scoprirete più avanti!
Ringrazio le due recensioni al capitolo precedente e grazie perché mi seguite ancora nonostante questa storia sia molto lenta D:
Il prossimo capitolo vi piacerà parecchio, ci scommetto casa mia! MUAHAUAHAU 

Lily xx

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