Escapist

di Loveless
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Emotionless ***
Capitolo 2: *** Lightless ***
Capitolo 3: *** Voiceless ***
Capitolo 4: *** Godless ***
Capitolo 5: *** Fateless ***
Capitolo 6: *** Bondless ***
Capitolo 7: *** Pastless ***
Capitolo 8: *** Halfless ***
Capitolo 9: *** Nameless ***
Capitolo 10: *** Cageless ***
Capitolo 11: *** Heartless ***
Capitolo 12: *** Wishless ***
Capitolo 13: *** Secretless ***
Capitolo 14: *** Relentless ***
Capitolo 15: *** Peaceless ***
Capitolo 16: *** Tearless ***
Capitolo 17: *** Endless ***
Capitolo 18: *** Epilogo: Escape ***



Capitolo 1
*** Emotionless ***


"I can’t feel my senses
I just feel the cold"


Mi chiamo Seishirou Sakurazuka.
Da diciannove anni uccido, ogni giorno ed ogni notte, per soddisfare la fame senza fine del mio signore e padrone, il Sakura, come ha fatto la mia famiglia per secoli.
E dal giorno in cui ho ucciso il mio predecessore, prima vittima di ogni nuovo Sakurazukamori, non ho mai provato nulla.
Non che prima sentissi qualcosa. Quel giorno mi sono semplicemente accorto che nemmeno un omicidio, che tuttora viene considerato un peccato mortale dalla maggior parte delle persone, riusciva a scuotere la mia eterna tranquillità emotiva.
A dire la verità qualcosa provo anch’io, ma rispetto a quei turbini violenti che sono le emozioni umane, le mie non sono altro che una brezza leggera.
Non sono capace di rendermi invisibile, anche se i poteri che ho ereditato mi permettono di fondermi con i petali di ciliegio, dando così l’illusione che io sia sparito nel nulla. Sono semplicemente molto abile a passare inosservato. Per questo, se mi trovassi nel bel mezzo di una folla di uomini e donne che attraversano ogni giorno le strisce pedonali di Tokyo, nessuno potrebbe mai capire chi sono io, né riuscire a vedermi come qualcuno di estremamente pericoloso.
Cosa che sto facendo proprio ora, appunto. In piedi sul marciapiede, mani in tasca, occhi puntati distrattamente sul semaforo in attesa che diventi verde, nessuno fa caso ad uno come me. Se qualcuno guardasse nella mia direzione, che cosa vedrebbe, poi? Un bell’uomo sulla trentina, abbastanza alto da superare senza problemi la tipica media giapponese, vestito bene, dall’aria un po’ scostante ed il sorriso di chi vive la sua vita senza che alcun problema la turbi. Un uomo normale, come potrebbe esserlo chiunque.
Se mi sfilassi gli occhiali a specchio, forse quel qualcuno vedrebbe la pupilla destra vuota e la mano insanguinata. Ma credo che, anche se facessi così, quella persona volterebbe subito la testa, dando la colpa delle sue allucinazioni al lavoro, alle medicine anti stress, al fumo e a chissà cos’altro.
Cosa non darebbe la gente per vivere come sempre, fingendo che non accada nulla attorno a loro…
Il segnale verde del semaforo finalmente scatta, ed io seguo docilmente la corrente di persone che, come me, deve passare dall’altra parte della strada. In queste situazioni mi vengono sempre in mente i branchi di pesci in migrazione, quelli che riescono a passare attraverso gli altri branchi quasi senza fermarsi. I due gruppi di pedoni ai lati della strada si comportano alla stessa maniera, il più delle volte, toccandosi appena e scivolando subito via.
Di solito. Oggi qualcuno mi urta con la spalla in modo talmente forte da costringermi a fermarmi, a ritrovare il mio senso dell’equilibrio e a cercare di guardare in faccia il colpevole di questo sacrilegio.
Se quello che sto fissando in questo momento fosse un adolescente normale che stava andando di fretta, probabilmente non si sarebbe nemmeno voltato ed avrebbe continuato per la sua via come se niente fosse. Lui invece allunga la mano per toccarmi il braccio, sillaba “Mi scusi tanto”, visto che non ha speranza di superare il frastuono dei clacson nemmeno se urlasse a squarciagola, e si risistema lo zaino di scuola che gli è scivolato giù, dalla spalla all’avambraccio, per poi girarsi e rimettersi a correre.
All’ultimo secondo riesce a sottrarsi all’investimento quasi annunciato da parte di una macchina, - il semaforo è tornato rosso, - con un’ultima falcata da velocista. Penso che potrebbe cadere in strada, visto che ha messo un piede in fallo e si è sbilanciato pericolosamente all’indietro, ma un tizio con i riflessi particolarmente pronti lo afferra per il bavero del giubbotto di jeans e lo risospinge sul marciapiede.
Il ragazzo ha l’aria sconvolta, ma credo sia più per il fatto di essere in ritardo piuttosto che per aver rischiato di rimetterci la vita. Ringrazia in fretta il suo salvatore e corre via, mentre i passanti si fanno da parte per lasciarlo passare.
Una faccia da ragazzo come tante, anche abbastanza facile da dimenticare, se non fosse per gli occhi. Ad un primo sguardo mi sono sembrati nocciola, come i miei, ma ora che ci ripenso sono di una tonalità più dorata. Strani occhi.
Spero di dimenticarmelo in fretta, quel ragazzo ed il suo sguardo dorato, ma qualcosa sembra volermelo impedire. Quel “qualcosa” è il giornale di stamattina che Ayase, caro ragazzo come sempre, si è premurato di lasciarmi sulla scrivania prima di passare all’università per un suo amico.
Non c’era granché sulla prima pagina, quando l’ho preso in mano, perciò mi sono limitato a sfogliare il resto del giornale con una certa pigrizia, almeno fino a quando non mi sono trovato a guardare, in fotografia, lo stesso viso di stamattina. E’ la pagina dedicata agli eventi sportivi…
Il mio unico occhio comincia a vedere tutto sfuocato, segno che le mie riserve di energia sono finite. Devo ricordarmi di mettere la lente a contatto a quello destro, ma forse è il caso di leggere subito questo mezzo trafiletto che mi interessa, o rischierò di perdere la voglia di farlo...
Piano, piano. Prima di tutto ho bisogno di un caffè o rischierò di addormentarmi sul tavolo da lavoro. Il resto, dopo. In fondo ho tempo, manca una buona mezz’ora all’apertura dello studio.
In magazzino trovo solo la confezione famiglia di quei caffè già pronti e versati in un barattolino che Ayase adora. L’unica cosa buona è che certe schifezze se le compra con i suoi soldi e non ha la presunzione di farmele piacere. Ma visto che non c’è null’altro da bere, penso che mi toccherà accontentarmi.
Quando strappo la pellicola ed annuso il contenuto liquido della tazzina, il mio stomaco fa uno sgradevole balzo all’indietro. Quando lo bevo, è anche peggio. Mi rimane sul palato lo stesso gusto amarognolo che si ha in bocca la mattina dopo una notte agitata, e dopo pochi minuti mi pare di aver inghiottito un pezzo di ferro tutto intero.
Dovrò fare un bel discorsetto ad Ayase, quando torna, a proposito delle schifezze che beve…
Mi appoggio la lente a contatto sull’occhio cieco e controllo che si sia posizionata bene guardandomi nello specchio di fronte a me. Mi tocca sbattere le palpebre un paio di volte, per esserne completamente sicuro.
La mia vista si è snebbiata. Quell’intruglio ha fatto il suo dovere, almeno.
Uhm, ancora un quarto d’ora di tempo. Me lo farò bastare.
Ritorno alla mia sedia e riprendo in mano il giornale.
L’articolo parla, in modo abbastanza conciso, della vittoria di una squadra liceale di basket in un evento ufficiale. Il team, guidato da Monou Fuuma (17 anni), ora può aspirare a partecipare al torneo provinciale.
Metto via la testata con uno sbuffo, dopo una breve occhiata ai necrologi – forza dell’abitudine... Un diciassettenne? Questi adolescenti sono decisamente precoci. Quel ragazzino ha la metà dei miei anni eppure ne dimostra molti di più. Subaru ne dimostrava undici quando ne aveva sedici, figurarsi.
Eppure mi sembra di ricordarmi qualcosa, in quello sguardo. Non era limpido come quello della fotografia, ma piuttosto offuscato… Quel ragazzo stava piangendo quando l’ho visto stamattina, qualunque fosse il motivo.
Ayase entra nell’ambulatorio annunciato da uno sbattere frenetico di porte, e compare sulla soglia del mio studio con il fiatone. Riesce a mormorare “Lo so, sono in ritardo” prima di appoggiarsi la mano al petto, cercando di recuperare una buona respirazione. Credo che sarà il caso di usare un defibrillatore, se non riesce a calmarsi.
Guardo l’orologio.
- Saresti stato in ritardo se fossi arrivato fra un minuto. Comunque fare tardi è meglio che arrivare morti.
Lui annuisce ad occhi bassi, in aria di scusa. Io mi metto a ridere di fronte alla sua faccia preoccupata e gli batto scherzosamente una mano sulla spalla, segno tangibile che lo perdono.
- Avanti, vai a cambiarti, che tra due minuti apriamo.
Ayase non perde tempo a ringraziarmi e corre a mettersi il camice da lavoro. Sa che amo la puntualità, e sa che non dico bugie quando dico “due minuti”. Infatti dopo due minuti, preciso come un orologio, apro la porta dell’ambulatorio veterinario Sakurazuka.
- Buongiorno! – dico, sorridendo radioso ai miei pazienti, animaleschi e non, - Oggi chi devo visitare per primo?

Nessuno potrebbe mai capire chi sono io, né riuscire a vedermi come qualcuno di estremamente pericoloso. Per molta gente sono semplicemente Seishirou Sakurazuka, veterinario di un ambulatorio di discreto successo nella zona di Shinjuku; per Ayase sono e sarò, fino al conseguimento del diploma, chi gestisce il suo apprendistato; per il governo, sono un killer alle sue dipendenze, quello a cui si affidano missioni di una certa importanza o particolarmente rognose; per il mio ciliegio sono in contemporanea servo e padrone, colui che provvede al suo sostentamento vitale e che deve obbedire a ciò che desidera; per Subaru, sono l’assassino di sua sorella e di un numero imprecisato di persone, nonché onmouji appartenente alla famiglia Sakurazuka.
Direi che potrebbe bastarmi, non è vero? Invece si aggiunge alla lista anche l’appellativo di Chi no Ryu, un drago della terra. La scelta di nascere in questa fazione non è stata mia, così come la consapevolezza di essere invischiato nella fine del mondo è venuta esternamente dalla mia singola esistenza. Sinceramente, che cosa accada al nostro pianeta non può interessarmi di meno. Non sono il tipo che si scandalizza per il surriscaldamento globale, l’abbattimento della Foresta Amazzonica o per la guerra del Kosovo, anche perché nessuna di queste cose gode della mia attenzione.
Nemmeno la faccenda del Sunplaze mi ha toccato più di tanto. Ero lì e basta, un posto vale l’altro, per me. Però la cosa ha portato ad una coincidenza piacevole, direi.
Ora che ci penso non mi sono occupato molto di Subaru nell’ultimo periodo. Sono passate un paio di settimane dal piccolo incidente di Nakano, e di solito mi faccio vivo molto prima. Diciamo, due o tre giorni dopo.
Devo rimediare. Non mostrarmi al mio promesso sposo per due settimane, che vigliaccata. Vergogna su di te, Seishirou Sakurazuka!
Niente distruzione, stavolta. Una cosetta piccola ma speciale. Devo pensarci.
Però c’è anche un’altra cosa a cui devo porre rimedio.
Malgrado non creda al destino prestabilito ed ineluttabile, - non mi faccio di certo rovinare la giornata se il mio oroscopo dice che il mondo mi cadrà addosso, se non riesco a trovare la mia cravatta preferita o se la nostra nazionale si è fatta battere in casa da un altro team calcistico, - sento che l’incontro di stamattina con quel ragazzo e quella foto sul giornale non sono due coincidenze casuali. Dovrei investigare un po’ su di lui, scoprire chi è e per quale astrusa ragione ha attirato la mia attenzione. No, direi piuttosto l’attenzione del mio sesto senso, che difficilmente sbaglia.
Ma prima devo occuparmi del mio onmouji preferito. La precedenza a chi di dovere.
Quando chiudo lo studio, - da lunedì al venerdì dalle nove e mezza alle sei, il sabato dalle dieci a mezzogiorno e trenta, - nei miei ritagli fra una visita e l’altra ho già pensato, a grandi linee, a cosa preparare per Subaru. Saluto Ayase, che riesce in contemporanea a ricambiare il saluto e a farsi cadere la bicicletta su un piede, - domani arriverà zoppicando… - e mi avvio lentamente verso il cimitero.
Di solito mi rilassa camminare fra le tombe, e mi aiuta a riordinare le idee. Dubito che altri, in Giappone, pensino che non ci sia luogo più rigenerante per la mente di un cimitero… Ma che io sia l’unico a pensarlo non mi fa soffrire particolarmente.
Credo che la mia famiglia sia l’unica a non avere lapidi, qui, intestate a suo nome. Non ne abbiamo mai avuto bisogno, d’altronde. Il Sakura è sempre stato la nostra culla e la nostra pietra tombale. E’ abbastanza facile da afferrare, come concetto. Ciò che ci fa nascere è ciò che si riprende i nostri corpi quando moriamo. I Sakurazuka si legano al destino dell’albero, ed è il ciliegio stesso a far cadere su di loro il coperchio della tomba. Se dovessi scegliere se essere seppellito fra mura di marmo o fra le braccia di legno di un Sakura, sceglierei la seconda opzione ad occhi chiusi. Mi sembra un riposo molto più naturale di quello di un cadavere rinchiuso sotto terra.
Il rumore della ghiaia che scricchiola sotto le suole mi ricorda il suono che rimbomba dentro la testa quando si mangiano dei biscotti. Crunch crunch crunch, replicato infinite volte e reso molto più cupo di quanto sia, quando va a perdersi nelle profondità della coscienza, lì dove vanno a finire tutti i suoni quando si fondono nel silenzio.
Ne esistono diversi, di tipi di silenzio. Quello dettato dai rumori che poi diventano abituali, quando ormai non ci si fa più caso e le orecchie sembrano anestetizzarsi a quelle piccole imperfezioni sonore, finendo per ignorarle ed ometterle; a quel punto ti sembra di avere la testa piena di ovatta.
Ci sono quelli che ronzavano nella testa, fastidiosi come mosche, pensieri turbinosi e senza un ordine preciso, che frullano e sbattono rabbiosamente le ali, chiedendo di essere ammessi nel mondo reale e di tornare, per così dire, a vivere. Pensieri irritanti, come quando devi ricordarti un nome o una connessione che ti sfugge, ce l’hai sulla punta della lingua ma non riesci a richiamarli totalmente alla memoria. Quei pensieri hanno, ogni volta che li visualizzo, un colore polveroso e sabbioso, colori che si mischiano fra loro a formare granuli duri di terra che vanno sbriciolati tra le dita.
Ci sono silenzi musicali. Ci si allontana dalla realtà sulle note di un’aria familiare, un accordo di note conosciuto, ed i pensieri scivolano via per conto loro, come ondate, e ritornano indietro, altrettanto tranquilli e lenti. Si collegano a paesaggi, a ricordi legati a quella musica. Sono naturali.
E poi ci sono silenzi come quelli di un cimitero. Le suppliche ai defunti mormorate a bassa voce, il rumore di chi si inginocchia per pregare, gli stoppini delle candele che bruciano lentamente, scosse appena da un alito di vento che, anche lì, sembra prendere riposo… Tutti questi suoni formano questo tipo di silenzio. Il silenzio sommesso dei luoghi sacri, che trasuda religiosità e rispetto.
Non c’è più dolore, qui. E’ stato lasciato sulle porte dei santuari e delle chiese, in questo luogo rimane solo il rimpianto ed il peso della memoria. Che parlano a chi desidera ascoltare.
Di solito mi fermo davanti ad una tomba qualsiasi, e guardo. Osservo i bastoncini d’incenso appena accesi, la rigida immobilità dei fiori di plastica nei vasi ed i petali sgualciti di quelli veri. Una volta, - e questa mi è piaciuta, - c’era un pupazzetto vicino alla lapide, ricordo lasciato da un nipote, probabilmente una bambina.
Ci sono tornato spesso, su quella tomba, e ci ho passato interi pomeriggi, finché il richiamo degli altri defunti non mi ha fatto guardare altrove.
Oggi le lancio un’occhiata veloce. Sì, il pupazzetto è ancora lì ed hanno appena cambiato i fiori. Dopo aver appurato questi dettagli, vado avanti con la mia camminata.
Mi fermo quando passo dietro una ragazza inginocchiata davanti ad una tomba di marmo nero. Non prega, non muove le labbra, non piange, è semplicemente appoggiata alla lapide e sembra volerla sostenere con tutte e due le mani. Ha gli occhi rivolti in basso, e di tanto in tanto le nocche le si sbiancano, quando stringe con più forza la pietra, facendo tintinnare un piccolo campanello che ha allacciato al polso.
Non è il suo atteggiamento, per quanto strano, a farmi fermare. E’ la richiesta che sta facendo, e la sta urlando mentalmente con tutta la forza che ha.
Fatelo tornare in vita… Datemi il potere di farlo tornare in vita!
E’ la stessa preghiera, ripetuta più volte, è come una cantilena. Guardo il nome del defunto e le date di nascita e morte. Questo ragazzo aveva poco più di vent’anni.
Il mio sesto senso mi dice che ho trovato la persona che fa per me.
- Ti manca molto, non è così?
Lei non si volta, come se non mi avesse sentito, ma so che l’ha fatto. Dopo un po’, lentamente, annuisce.
Mi siedo sui talloni vicino a lei, ma non la tocco.
- Cosa saresti disposta a cedere, per farlo tornare da te?
Stavolta la ragazza lascia andare la lapide e si gira verso di me. E’ molto graziosa, occhi grandi color cenere e capelli scuri, ma niente, nel suo sguardo e nei suoi lineamenti, ha espressione. E’ come una bambola ancora incompleta, anonima, lasciata in un angolo a prendere polvere senza che il suo creatore le abbia aggiunto un po’ di personalità nei tratti somatici.
Il suo sguardo mi dice che non parlerà mai più, né a me né ad altri. Ha l’indifferenza di chi ha perso completamente la voglia di dire al mondo che cosa pensa.
Tiro fuori dalla manica un ofuda e glielo metto davanti agli occhi. Lo lascio andare, e prima di toccare terra la pergamena sembra contrarsi su se stessa e svanire in fumo. Un gatto nero compare al suo posto, e si mette ad annusare una piega del kimono arancione della ragazza. Lei, leggermente intimorita, allunga la mano per accarezzarlo, e lui permette che le sue dita gli sfiorino la testa.
Ora la ragazza mi guarda con negli occhi una nuova speranza, sentimento che ha la sembianza di una luce opaca e lontana nelle sue pupille.
- Ti insegnerò come farlo. Non è difficile, - dico, mentre il gatto si strofina brevemente contro la mia mano, facendo le fusa, - E potrai far tornare il tuo amato sulla terra. Il prezzo da pagare è alto, però.
I suoi occhi hanno un lampo improvviso, stavolta molto vivido. Non le interessa il prezzo, è risoluta a fare ciò che vuole. Perfetto.
Metto una mano in tasca e tiro fuori un ofuda ancora incompleto, prima di porgerglielo. Lei lo prende, e per un attimo le mani le tremano. Anche il suo piccolo sonaglio ha un tremito argentino.
- La tua anima è il tributo da pagare ad un morto, se vuoi farlo tornare in vita a discapito della tua esistenza. Ma non lo desideri. Tu vuoi stare con lui, non morire per riportarlo indietro. Per fare quello che vuoi basta molto meno. La tua anima verrà spinta sull’orlo della follia e tu perderai ogni contatto con la realtà. Ed è possibile che manderanno qualcuno per annullare la magia che stai per fare, e se ce la farà tu sarai condannata per sempre all’infelicità. Ma può darsi che invece non verrà nessuno, e tu potrai rimanere con il tuo amore fino alla fine. Dimmi se sei disposta a correre questi rischi.
La ragazza leva gli occhi dall’ofuda e fissa il gatto accoccolato vicino a lei. Lui ricambia il suo sguardo con occhi luminosi.
Annuisce, senza guardarmi. La sua decisione è stata presa dal momento stesso in cui ha supplicato che qualcuno le donasse un potere che le restituisse il suo uomo. Appoggia l’ofuda sulla lapide e lascia cadere inerti le braccia lungo i fianchi, attendendo le mie istruzioni.
- Dammi la mano.
La ragazza non ha nemmeno un sussulto quando le mordo l’indice, ed una goccia di sangue brilla sul polpastrello bianco prima di cadere sull’ofuda. Quella lacrima cremisi svanisce con uno sfrigolio dalla pergamena.
Le prendo il polso e guido il suo dito lungo l’ofuda, in modo da tracciarvi il simbolo che per noi onmouji vuol dire “resurrezione”. Non appena lei toglie la mano, la scritta di sangue si mette a sfavillare di luce propria per poi tingersi di una tonalità quasi violetta.
L’ofuda ha una violenta contrazione e si accartoccia su se stesso. Lei mi guarda, quasi spaventata, ma io le dico che è normale, che va tutto bene. Infatti la carta si distende nuovamente e si gonfia, assumendo con lentezza sembianze feline. Un altro gatto nero, anche se più magro e più incerto sulle zampe rispetto al mio, si stiracchia sul marmo della tomba e si guarda attorno, incuriosito.
La ragazza lo prende in braccio e l’animale le strofina il suo naso contro la guancia. Lei lo abbraccia più stretto e lui, piccola macchia nera immersa nell’elaborato ricamo arancio del kimono, non può fare a meno di rimanere lì, senza scappare.
- Quel gatto è capace di strappare alla morte l’anima di chi desideri far tornare. Esaudirà le tue volontà ed pretenderà qualcosa di molto importante da te... Ma se è davvero ciò che vuoi, non credo che questo sarà un problema. Ti consiglio di tornare a casa, prima di richiamare il tuo amato dall’aldilà. Questo non è posto per farlo.
Mi alzo e mi strofino i palmi sulla stoffa della giacca. Pomeriggio denso di emozioni, questo. Dovrei farlo più spesso.
La ragazza si slega il campanellino che ha il polso e lo allaccia attorno al collo del gatto, prima di poggiarlo a terra. Poi, con uno scatto veloce che non mi aspettavo, lei mi prende una mano e me la bacia.
Malgrado il primo impulso sia quello di ritirare il braccio di colpo, lo lascio dov’è e guardo semplicemente da un’altra parte. Il gatto nero di lei continua a rimanerle vicino alle caviglie, come se non sapesse dove andare, mentre il mio si sta tranquillamente leccando una zampa, come se l’intera faccenda non lo riguardi.
Per fortuna la ragazza è intelligente e smette quasi subito di esprimere la sua gratitudine in questa maniera sdolcinata, ma non molla la sua presa sulla mia mano.
Sorride, ed in questo momento è davvero bella. Per una qualche connessione logica che al momento mi sfugge, guardandola mi viene in mente mia madre. Forse anche lei mi ha guardato così qualche volta… Ma davvero, non ne so il motivo.
- Vai a casa, - ripeto, facendo un passo indietro e sfilando gentilmente la mia mano dalle sue. La ragazza lancia un ultimo sguardo alla tomba del suo amato, e non è difficile capire cosa stia pensando. Già conta i minuti che la separano dalla sua abitazione e dal ritorno di lui. Perfettamente comprensibile.
Mentre si avvia lungo la strada per la quale sono arrivato, ed il gatto con lei, si gira a guardarmi. Non ricambio lo sguardo, stavolta. Attendo che sia sparita, poi mi siedo sulla lapide più vicina con un mezzo sospiro.
Va bene. Sono sicuro che Subaru, quando lo chiameranno per uno dei suoi famosi esorcismi, capirà subito che c’è molta farina del mio sacco nella faccenda. So che soffrirà molto, a rovinare la felicità di quella ragazza, e sono altrettanto certo che farà mille domande prima di procedere: “Siete sicura?” “Volete ripensarci?” e via dicendo. Si fa sempre troppi scrupoli per tutti, povero piccolo mio.
Non vedo l’ora di vedere la sua faccia quando arriverà a comprendere che ci sono io dietro tutto questo… Sorpreso, confuso, arrabbiato, depresso, rassegnato? Dopo che avrà finito il lavoro, ovviamente, mi premurerò di andarlo a trovare e di fare quattro chiacchiere come si deve, omettendo tutta questa scomoda faccenda dei kekkai, schieramenti vari e fine del mondo. Quando si è parte di due fazioni avverse, dubito che intavolare una conversazione sull’ormai prossima battaglia sia una mossa saggia da fare.
Se sono fortunato, può darsi che Subaru venga contattato in un tempo indicativo di tre giorni, altrimenti mi si potrebbe prospettare una settimana di attesa, se non di più. Tutto dipende da alcuni fattori che io non posso controllare, ma non importa. Io e lui abbiamo aspettato degli anni per ritrovarci faccia a faccia, sapremo aspettare alcune giornate.
Ah! Ho sbagliato a dire “noi”. Subaru ha aspettato anni per rivedermi, io non ho perso tempo nel seguirlo a distanza sin dalla personale resa dei conti fra me ed Hokuto, ovviamente con ragionevoli intervalli di tempo fra un appostamento e l’altro.
Ma si sta facendo tardi ed io ho qualche faccenda personale da sbrigare, stanotte.
Anche il mio piccolo onmouji passa in secondo piano, rispetto alla fame di Sakura-san…

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Capitolo 2
*** Lightless ***


"Tell me I’m frozen but what can I do?
Can’t tell the reasons I did it for you "


Qualcuno mi deve un paio di occhiali nuovi…
Quelli che avevo prima adesso sono ai miei piedi, i pezzi scuri delle lenti a specchio sono sparsi vicino alla suola delle mie scarpe. C’è anche un taglio sanguinante sulla mia guancia, ma quello non fa male più di quanto potrebbe farmene un insetto. L’unica cosa di cui mi dispiace è lo stato in cui sono ridotti i miei vestiti… Diciamo pure addio alla giacca ed alla camicia.
Mi massaggio leggermente le palpebre con le dita e poi torno a guardare nel cortile del tempio, dove Fuuma sta aiutando il suo piccolo amico Kamui ad alzarsi, mentre tiene tra le braccia la sorella ancora svenuta.
Come se avvertisse ancora che ci sono, il ragazzo alza la testa e fissa allarmato i tetti delle case circostanti. Niente da dire, è proprio uno stronzetto perspicace.
Non sono facile agli insulti, tutt’altro, ma la colpa non è totalmente sua. E’ il fatto di averlo completamente sottovalutato, - e dimenticato, nell’attimo in cui mi sono deciso ad attaccare Kamui, - che mi irrita molto.
Dopo un po’, il ragazzo decide che non vale la pena starsene a guardare il nulla, ed il vuoto che percepisce attorno a sé lo tranquillizza. Si volta verso casa sua con la ragazzina in braccio e se ne va, mentre Kamui si riunisce ai due Ten no Ryu che ho notato poco fa su un tetto vicino, un ragazzo robusto con un cappellino arancione ben calcato sui capelli spettinati ed un giaccone giallo talmente vivo che mi fa pensare a quello di un operaio della manutenzione stradale ed una ragazza vestita alla marinaretta.
C’è un breve scambio di battute e poi nel cortile torna il silenzio. Potrei lasciar cadere benissimo la barriera illusoria che mi circonda e mi protegge da sguardi indiscreti, visto che non c’è più nessuno, ma non lo faccio. Se devo essere sincero, sono ancora sorpreso dalla piega presa dagli ultimi eventi.
Il mio sesto senso mi ha guidato fino a qui, quando stamattina ho visto l’annuncio del funerale di Kyogo Monou, visto che le mie precedenti indagini sul ragazzo di nome Fuuma si sono rivelate infruttuose.
Ripenso alle lacrime trattenute a stento dal diciassettenne che mi ha urtato sulle strisce pedonali solo quarantotto ore fa. Forse stava raggiungendo l’ospedale, forse già sapeva che suo padre stava morendo?
Possibile, possibile.
Quel ragazzo dagli occhi dorati è letteralmente un mistero. Nel tempo che ho dedicato alla sua ricerca ho scoperto molto poco su di lui. Non parla quasi mai, ha pochi amici, - credo siano compagni di squadra, - è molto attaccato alla sorella e passa i pomeriggi chiuso in casa, a studiare. Un diciassettenne normalissimo, la cui unica stranezza è quella di abitare presso un tempio Togakushi. E’ normale anche che non si sappia nulla di lui, perché non ha fatto proprio nulla degno di finire sotto le luci dei media.
Eppure questo “normalissimo diciassettenne” mi ha condotto dritto dritto da Kamui, il ragazzino che porta nelle sue mani il destino del mondo, è riuscito a sfondare la barriera illusoria da me creata e a salvare la sorella e l’amico da morte certa, riuscendo a mandare in frantumi le mie maledizioni.
Solo un onmouji della pasta di Subaru avrebbe potuto eguagliarmi in uno scontro diretto, o lo stesso Kamui. Eppure anche un ragazzo sbucato fuori dal nulla riesce a farmi arretrare… E a guardarmi con occhi gelidi come i miei, seppure per qualche attimo.
Ma chi sei?
Chi sei tu?
Stavolta non credo proprio di scoprire la risposta tanto presto.
Scendo con un balzo dal tetto ed atterro sul marciapiede. Stanno accadendo molte cose strane, ultimamente. La ruota del destino, evidentemente, ha cominciato a girare anche per me.
Comunque, per ora mettiamo da parte i misteri e concentriamoci sulle certezze. Adesso Subaru sarà sicuramente tornato dal suo ultimo lavoro, ma non voglio andare a trovarlo subito.
Questo pensiero mi fa passare l’irritazione, e torno del mio solito buon umore. Devo andare a cambiarmi e pulirmi da tutto questo sangue, se non voglio far prendere al mio ex un infarto… E’ sempre stato un ragazzo troppo sensibile. Potrebbe pensare che ho provocato una strage.

Subaru, eh sì.
Avrei dovuto ammazzarlo molto tempo fa, me ne rendo conto. Precisamente, avrei dovuto togliergli la vita non appena mi scoprì con in braccio quella bambina appena uccisa.
Che mi sarebbe costato? Nulla, assolutamente. Avrei dovuto semplicemente saltare giù dal Sakura, stendere il braccio ed aggiungere un nuovo cadavere alla razione quotidiana dell’albero.
Il ciliegio rinasce con ogni suo Sakurazukamori. Erano solo tre anni che lo servivo, e quindi la pianta era ancora molto giovane e molto affamata. Sono sicuro che uno spuntino fuori pasto non gli sarebbe dispiaciuto.
Però, però… Credo che sia stata l’esitazione a bloccarmi. Il fatto di provare incertezza mi stupì, quel giorno. Prima di allora quando avevo temporeggiato davanti alla mia preda? Quando mi ero effettivamente chiesto “ed ora che cosa faccio di te”?
Il Sakura non permette sentimentalismi né perdite di tempo. Mia madre mi ha cresciuto secondo questo infallibile principio, se così si può dire... Ma la verità effettiva è che sono vissuto da solo, e che lei non era altro che una presenza evanescente nella mia vita. Setsuka Sakurazuka non era altro, per me, che un fantasma vestito di candido e le mani macchiate di cremisi.
Solo perché sono un assassino al servizio di un albero non significa che non abbia i miei capricci personali o le mie curiosità. E quando ho visto Subaru per la prima volta, ho voluto vedere come sarebbe andata a finire, ho voluto concedermi il beneficio del dubbio. In quell’occasione mi chiesi se avrei ritrovato quel bambino di nove anni che aveva dei poteri da onmouji. Se quella dolcezza ancora acerba e quel candore infantile avrebbero finito per conquistarmi.
Potrei elencare molti dei motivi che affollarono la mia mente di diciottenne, quel giorno sotto l’albero di Sakura, ma dubito che riuscirei a riferire con la stessa esattezza anche le sensazioni che mi portò quello strano incontro. Comunque, la cosa più sincera che potrei dire sull’argomento è che fu la curiosità a fermarmi la mano. Niente di più e niente di meno.
Quando il patto si sciolse, fu Hokuto a saldare il debito che Subaru aveva nei miei confronti e a salvargli la vita una seconda volta, quella che gli sarebbe sicuramente stata fatale, - la prima fu quando la loro cara nonnina mi mandò contro uno shiki ad impedirmi di completare l’opera.
Ciò non toglie che la mia vera preda sia sempre stata lui; perciò no, non ritengo di essere pienamente soddisfatto. Subaru non è morto, vive ancora, ed io pure.
La conseguenza di tale situazione è piuttosto spontanea: continuerò a seguirlo, finché Subaru si porta i miei marchi addosso e finché uno dei due ha respiro.
Per quanto riguarda l’incantesimo di Hokuto… E’ tutto un altro paio di maniche, ma ora come ora sarebbe inutile corrucciarsi sul passato, visto che per il momento non ho intenzione di mettere la parola fine a questa storia.
Non sono ancora arrivato ad annoiarmi, e fino a quando Subaru riuscirà ad essere fonte di divertimento per me… Pensare a come lo ammazzerò senza suicidarmi è inutile.
Trovarlo nei meandri della Tokyo notturna è facile come sempre. Non è solo per via dei segni che Subaru porta sui palmi: semplicemente, quando capisci la mentalità di qualcuno, è un gioco da bambini ricostruire le sue mosse o anticiparle. Ed anche il mio piccolo, soprattutto quando si sente spossato, è scontato, molto scontato.
Il tavolo è sempre il solito, così come il bar tutto nicchie, sèparè di legno con decorazioni amarantine e dorate. Declino con un sorriso l’offerta di una cameriera nel farmi strada dicendole che grazie, qualcuno mi sta aspettando.
Subaru è seduto appena dietro un pannello sottile di carta, e mi da la schiena. Vedo già dalla sua nuca piegata e dall’inclinazione delle spalle che è stanco, e che non voleva fare il lavoro per cui è stato pagato appena questo pomeriggio. Povero piccolo.
- Credo fermamente in quel proverbio che dice “meglio soli che male accompagnati”, Subaru-kun, ma bere da soli è deprimente.
Sospiro da parte sua. Raddrizza appena la schiena ma non si volge nella mia direzione.
- Dovevo saperlo che la tregua sarebbe durata poco.
- Presupporre una tregua vorrebbe dire essere in guerra. Siamo forse in conflitto fra noi? Se è così, non credo di essermene accorto, - ribatto io, andando a sedermi di fronte a lui senza aspettare che mi inviti.
- Come potresti accorgertene, visto che il tuo mondo gravita unicamente su te stesso? – mi chiede Subaru, ma invece di guardarmi si mette a fissare con insistenza il bicchiere appoggiato davanti a lui, come se lo trovasse infinitamente più interessante.
- Questo farebbe di me un egoista, non credi? – dico, sorridendogli compiacente. Ah, piccolo mio, come sbagli stavolta!
- Se sostieni di non esserlo, il tuo narcisismo è infinitamente più grande di quanto io creda, - conclude lui, stavolta guardandomi gelidamente.
Lo sguardo di Subaru non è cambiato dall’ultima volta che le nostre strade si sono “casualmente” incrociate, solo qualche settimana fa. A volte le cose cambiano troppo in fretta, lui no.
Mi ha sempre colpito vedere come tutta la tristezza di questo mondo e la rabbia si siano mescolate in modo così affascinante nei suoi occhi. Sono di un colore straordinario, davvero, ma non sarebbero diversi da molti altri se non avessero questa splendida componente di malinconia che li rende ancora più profondi.
La prima volta che l’ho guardato, il suo sguardo era talmente limpido che chiunque avrebbe potuto sbirciare all’interno della sua anima e leggerne i pensieri… Ora c’è un velo spesso di risentimento profondo a celare il suo spirito, e so di averlo tessuto con le mie mani. Devo ancora capire se la cosa mi piaccia o meno.
- Fingerò, per pura cortesia ovviamente, di non aver sentito quest’ultimo commento. Comunque non ti facevo così ironico, Subaru-kun, - commento, e stavolta sono sincero.
- Te ne stupisci? Le persone non rimangono le stesse per sempre, Seishirou-san, - replica lui, accostandosi il bicchiere alle labbra e bevendone un sorso, per poi tornare a guardarmi con occhi pieni di astio.
Credo faccia così per provocarmi, ma… Quando finge di essere un cane rabbioso pronto ad azzannarmi la mano mi fa solo tenerezza. Mi torna in mente, e senza alcun motivo, la frase fatta “me lo mangerei di baci”. Io potrei divorarmelo in un solo boccone, in questo momento.
- Tu credi? Eppure, guardandoci, non direi proprio. Siamo rimasti come eravamo una volta.
- Non sono più il ragazzino sedicenne innamorato della gente e fiducioso nel futuro, - dice Subaru, duro, - Se tu non sei cambiato da nove anni a questa parte, questo è affar tuo.
- E suppongo che tu voglia addossare a me la colpa di questo tuo cambiamento.
- Però, che perspicacia.
- Alt. Qui ti stai addentrando in un terreno pericoloso, Subaru-kun. Se vogliamo riflettere a fondo, credo che la colpa di quello che è successo sia equamente divisibile tra te ed il destino, se ci credi. In caso contrario, penso sia solo tua.
Lui è troppo incredulo per rispondere, eccezion fatta per un “Cosa?!” strozzato in gola.
- Devo forse ricordarti la faccenda di sedici anni fa? Sono stato io quello che si è messo a fare incantesimi sotto il primo albero di ciliegio disponibile? Io non sapevo nemmeno della tua esistenza, prima di allora, ed ecco che mi sbuca fuori dal nulla un onmouji bambino che mi vede con una vittima appena uccisa. Penso che non ti avrei mai incontrato, nemmeno negli anni a venire, se quel giorno il fato non avesse voluto guidarti sotto il Sakura. Avanti, tira fuori qualche scusa per questo, sarei molto felice di ascoltarla.
Tiro fuori una sigaretta dal pacchetto che ho in tasca e la accendo. Faccio per chiedere a Subaru se ne vuole una, ma rinuncio quando vedo che è troppo occupato a trattenersi dallo sputarmi in pieno viso.
- Che cos’hai lì? – chiedo, cercando di guardare dentro il suo bicchiere. Il discorso è solo rimandato.
- Non ti riguarda… - comincia lui, a denti stretti, e fa per allontanarlo. Con tutta calma, gli prendo il polso e lo tiro senza forzature verso di me. La cosa mi ricorda quando gli ho afferrato la mano a Nakano, ma se non altro adesso sono più gentile. Subaru è talmente sorpreso che non ha nemmeno la forza di ritirare la mano.
Gli levo il bicchiere e lo annuso. Mi basta sentirne l’odore per storcere la bocca.
- Subaru-kun, questa roba va bene solo se vuoi ubriacarti. Ti fa male berla.
- Cos’è, adesso ti fai venire i rimorsi di coscienza? Mi hai rovinato la vita ed adesso ti preoccupi di cosa bevo e se questo mi fa male?
Sta sussurrando per non mettersi ad urlare davanti a tutti. Bravo bambino.
- Visto che tu non hai un minimo di amor proprio, penso che tocchi a qualcuno farlo per te, - rispondo io, chiamando con un cenno il primo cameriere che passa e porgendogli il bicchiere, - Scusi, potrebbe portare via questa roba? Al suo posto un caffè e… - breve occhiata a Subaru, - Un bicchiere d’acqua. Il mio amico ha bisogno di raffreddare i bollenti spiriti.
Subaru aspetta che non ci sia nessuno a portata di orecchie prima di ricominciare a parlare. Anche se in volto sembra tranquillo, si è appoggiato una mano sul ginocchio e lo sta stringendo così forte che sentirò le sue ossa rompersi.
- Da quando vai in giro ad aiutare la gente, Seishirou-san?
- Da quando non ho molto da fare, - dico, facendo un vago gesto in aria come se volessi scacciare una mosca.
- Avete avuto modo di sentire la personale bibbia di Seishirou Sakurazuka. Evento più unico che raro.
- A giudicare dal tono di voce, sembra che tu abbia qualcosa in contrario.
- Lei avrebbe fatto a meno del tuo aiuto, - conclude Subaru, infilando la mano libera in tasca ed estraendone un ofuda con due dita. Lo stesso che ho dato alla ragazza del cimitero.
- Ah, - commento, - Allora c’è riuscita.
- E’ tutta opera tua, non è così?
Per tutta risposta, gli dedico un applauso da tre colpi. Lui appoggia la carta sul tavolo e la spinge verso di me, come se gli facesse ribrezzo il solo vederla.
- I miei complimenti, Subaru-kun. Anni fa non avresti riconosciuto una mia opera nemmeno se l’avessi compiuta davanti ai tuoi occhi.
- Perché l’hai fatto?
- Perché no?
- Non è una risposta soddisfacente, - ringhia piano Subaru.
- Non vedo clausole nel contratto che mi obblighino a dirtelo. E comunque, questa è la risposta migliore a qualunque domanda.
- Bene, allora dammi la seconda o la terza risposta migliore.
- L’hai guardata negli occhi, prima di compiere il tuo esorcismo? Rispondi sinceramente e dimmi se l’hai vista felice.
Questa domanda sembra confonderlo. Scuote la testa, prima lentamente e poi con più convinzione. Nel frattempo arriva anche il caffè ed il bicchiere d’acqua, che Subaru si affretta a bere come se avesse la gola improvvisamente secca.
- L’hai illusa. L’hai solo fatta soffrire di più.
- Le ho solo regalato i momenti più belli della sua vita, Subaru-kun. Prima che tu venissi chiamato, scommetto che era davvero felice. Forse aveva riacquistato la speranza di vivere assieme all’amato che la vita le aveva strappato via troppo presto. E tu hai reso vano ogni suo sforzo di ricominciare.
Mi sporgo leggermente in avanti, come se volessi rivelare un segreto che solo lui può sentire.
- Come ci si sente a fare i carnefici, una volta tanto? Come ci si sente ad infrangere le speranze di una persona?
- Smettila, - sbotta Subaru, di colpo, - Non dovremmo interferire con le faccende dell’aldilà. Noi onmouji dobbiamo lasciare in pace chi è morto. Tentare di riportarli in vita è sbagliato.
- Se quella ragazza si fosse sacrificata per riportare in vita Hokuto-chan, risponderesti forse alla stessa maniera?
- Non tirare in ballo mia sorella!
Soffio sul mio caffè, che ancora non si è raffreddato del tutto, e me lo accosto alle labbra.
- Hai ragione. Tua sorella si merita di meglio.
- Avrebbe meritato anche una morte migliore, - dice lui, guardandomi torvo. Mi stringo nelle spalle.
- Ha sofferto poco.
- Se la notizia avrebbe dovuto consolarmi, credo tu abbia miseramente fallito.
- Non era mia intenzione farlo. Temo che la gamma di emozioni in mio possesso non comprenda anche quella cosa chiamata pietà. In compenso, comprende fastidio per il semplice fatto che tu debba portare quei dannati guanti ogni volta che esci di casa.
- Li porto per abitudine, - replica Subaru, staccando di colpo le mani dal bordo del tavolo e lasciandosele cadere in grembo.
- Meno male. Sai, non volevo che credessi che una cosa del genere riuscisse a fermarmi in qualche modo… Beh, dopotutto tua nonna ha sostenuto quest’idea per anni, perciò non avrei dovuto stupirmi anche se così fosse stato. A proposito, come sta? Ti lascia ancora messaggi supplicanti nella segreteria telefonica oppure si è decisa a rinunciare?
- Mi telefona ancora, sì.
A quanto pare la vegliarda ha ancora una certa tenacia. Ora so da chi ha preso Hokuto-chan.
- Bene, visto e considerato che la conversazione si è un po’ distesa, che ne dici di uscire da questo posto e prendere una boccata d’aria, Subaru-kun? Ah, non serve che tu faccia quell’espressione contrita, - dico ridendo di fronte allo stravolgimento che hanno avuto i suoi lineamenti nell’arco di pochi secondi, - Non è ancora mia intenzione approfittare di te trascinandoti in un vicolo o cose del genere.
- Visto il soggetto, non mi sorprenderei, - sibila lui, gelido, - E se volessi rimanere qui senza il discutibile piacere della tua compagnia, come in effetti è mio desiderio?
Sollevo le mani in segno di resa e scuoto la testa.
- Bene, non sia mai detto che Sakurazukamori non lascia possibilità di scelta, - e qui punto il pollice aldilà della mia spalla con aria noncurante, - Dimmi cosa preferisci. Vuoi che sia qualcun altro ad uscire da questo bar in mia compagnia, azzerando così le sue possibilità di vivere fino a domani? Scegli pure con comodo, io non ho fretta.
Subaru segue la traiettoria del mio dito con aria incredula, guardando gli altri avventori che parlano, totalmente indifferenti a ciò che succede, dietro di me. Sa benissimo che posso farlo. Poi, allo stupore subentra lentamente una rabbia glaciale che tinge gli occhi di una scintilla fredda.
- Bastardo.
- Se vuoi insultarmi, cerca di impegnarti almeno un pochino. Puoi fare di meglio.
- Che figlio di puttana.
- No, per piacere. Quando ti sei calmato, devi dirmi chi ti ha rivelato questo imbarazzante dettaglio su mia madre.
Essere preso in giro non è nelle sue corde, stasera, e so che la sua irritazione potrebbe crescere ancora, se solo volessi spingerlo oltre il limite della sua sopportazione. Ma lui ha ormai rinunciato alla battaglia, e non sarò certo io a ricominciarla, stasera.
E’ disposto a sacrificarsi piuttosto che io faccia del male a qualcuno… No, non è cambiato rispetto al Subaru che conoscevo. Anche lui se ne rende conto, ed evita il mio sguardo.
- Andiamo.
Subaru si alza dalla sua sedia quasi docilmente e non protesta nemmeno quando lascio sul tavolo gli yen necessari a pagare le consumazioni di entrambi. Non guarda nella mia direzione, quando gli prendo gentilmente il gomito e lo guido fuori dalla porta del bar, ma si limita a seguire i miei passi con la stessa lentezza di un sonnambulo.
Una volta fuori, lo lascio. Ispiro l’aria pulita della notte a pieni polmoni, liberandomi dalla pesantezza dell’atmosfera fatta di fumo vecchio, alcol e sentore di profumi femminili. La porta del locale è alla fine di una serie di rapidi gradini in ferro e cemento che danno su un vicolo, e poi di nuovo la strada principale, con le sue frenetiche attività piene di vita. Scendo tranquillamente, mentre Subaru rimane immobile alle mie spalle.
- Lo sai che non ti seguirò.
Annuisco, voltandomi nella sua direzione.
- E tanto ucciderai quella gente comunque, non appena ti sarai liberato di me.
- No, non lo farò. Non stasera, almeno.
Il suo sguardo si fa quasi sperduto e vacilla mentre mi guarda. Non comprende, non capisce.
Non capirà mai.
- Non ammazzo la gente quando non è necessario. E poi sei stato tu a cedere per primo, quindi non avrei ragione di farlo. Vuoi che torni dentro ed uccida qualcuno, Subaru-kun?
- No!
- Allora non lo farò.
Subaru scuote la testa, ancora incapace di credere del tutto alle mie parole. Scende un paio di gradini, e poi torna a fissarmi. Il verde intenso dei suoi occhi è ora velato da un dolore profondo che lo strugge dall’interno, dilaniandolo fra due opposte pulsioni. Credo che sappia già che cosa dirò, adesso.
- Non ho perso forse un occhio per te, Subaru-kun? Pensi che non riesca forse a prolungare la vita di quelle persone di altre ventiquattro ore, per causa tua?
E’ tortura, la mia, ne sono consapevole. Non lo faccio perché mi diverte vederlo soffrire, ma semplicemente perché mi piace vedere i suoi occhi così offuscati e tristi. Non avrò mai la possibilità di vederlo ridere, e l’unica cosa che posso donargli è il rimpianto di un candore perduto.
- Allora era diverso, - mormora lui.
- Sì, - sospiro, - Credo proprio di sì.
Un altro gradino sceso. Un altro ancora.
E poi Subaru fa una cosa per cui non sono assolutamente preparato.
Rimango sorpreso quando allunga la mano verso di me e mi sfiora leggermente sotto l’occhio cieco. Ho solo una sensazione sfuggente delle sue dita tiepide sulla mia pelle fredda. Sì, gelida come la morte.
Faccio un passo indietro, piccolo, ma sono abbastanza lontano da fargli capire che gli sto sfuggendo. Deve stendere tutto il braccio, ora, per riuscire a sfiorarmi. Il suo indice mi lambisce appena le labbra, e forse è quel contatto stranamente caldo che lo sveglia all’improvviso. Lascia cadere il braccio inerte lungo il fianco, incapace di fare altro.
- Stammi bene, Subaru-kun.
Gli sorrido e mi immergo nell’oscurità dolce e fumosa del vicolo, ritorno al buio immobile dal quale sono venuto.
Subaru rimane dov’è, solo come una luce nella notte.
Non mi segue.
Non mi aspetto che lo faccia.


*I lettori più attenti avranno notato in questi due capitoli una differenza, rispetto al manga delle CLAMP: l'attacco di Seishirou a Kamui avviene dopo l'incidente di Nakano e l'incontro con Subaru, mentre nel manga ciò avveniva prima. Potere di fanwriter, che volete farci...

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Capitolo 3
*** Voiceless ***


"Soon the incarnate shall be born
The Creator of the Night"


L’ascensore si ferma con un sussulto metallico e stanco al tredicesimo piano del palazzo del Municipio. Anche stavolta la superstizione… Per gli occidentali pare sia un numero sfortunato, come il diciassette. Sciocchezze, dico io.
Non mi capita molto spesso di recarmi in questo posto, se non per incarichi particolarmente delicati, per i quali i miei datori di lavoro occasionali non vogliono mandare email o telefonate per cui si potrebbe risalire a loro, in qualche maniera. Per certe faccende, mi devo recare di persona nell’ufficio di Ogawa-san ed attendere.
Questo secondo lavoro mi fa solo comodo, ovviamente. Un modo semplice ed efficace di svolgere il mio incarico di Sakurazukamori senza sprecare tempo ed energie supplementari. Come si dice? “Prendere due piccioni con una fava”
Non scorderò mai la faccia che ha fatto il rispettabilissimo Ogawa Ken, quando mi sono presentato alle tre di notte nel suo ufficio, dove si era attardato per sbrigare alcune pratiche. Deve averlo traumatizzato il fatto di vedere un altro uomo seduto alla sua scrivania, completamente al buio, - come nel fotogramma di un film di terza categoria, - che lo fissava con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. E che non avessi fatto suonare nessuno dei sofisticatissimi antifurto installati al Municipio, ovviamente.
Chiunque avrebbe fatto la stessa cosa che provò a fare lui d’impulso, ovvero infilarsi la mano in tasca per tirare fuori la pistola. Di questi tempi, gli uomini d’affari importanti si premurano sempre di portarne una addosso e di saperla usare.
- Non lo faccia, - gli dissi, togliendo la sicura all’arma di riserva che avevo trovato nel cassetto della scrivania, - questi uomini, a volte sono così prevedibili… - e puntandola contro la sua fronte, - Di norma non uso armi per ammazzare la gente, ma c’è sempre una prima volta a tutto. Ed ho un ottimo punteggio al Poligono, se vuole saperlo.
Ogawa-san si guardò intorno, facendo saettare velocemente gli occhi per cercare una via di scampo.
- Sono i soldi che vuole? – mi chiese alla fine, leccandosi il labbro inferiore in un gesto di paura quasi infantile. Mi misi a ridere.
- No, di quelli ne ho fin troppi. Voglio un lavoro. Sono qui per parlare d’affari, ora, e sono sicuro che una chiacchierata civile potrà farle capire che lei avrà solo da guadagnarci, se mi darà ascolto. Tolga la mano dalla tasca e si segga, per cortesia. Parliamo.
Parlammo. Non ci volle molto per convincerlo, anche senza l’aiuto della pistola, e la consapevolezza che avrei potuto ammazzarlo nel più atroce dei modi mi aiutò non poco nella trattativa.
Il risultato di quella trattativa è che sono regolarmente assunto e stipendiato, anche se nessuno, qui dentro, è disposto ad ammettere che esisto davvero. Quando cammino lungo i corridoi del Municipio, la maggior parte della gente si gira dall’altra parte. Per loro non sono più reale di una fiaba folkloristica. Gli altri guardano ad occhi spalancati quest’uomo vestito di scuro, con occhiali da sole anche in piena notte, ma appena accenno a guardarli fingono di occuparsi d’altro. A me va bene così. Amo la mia privacy.
Senza che nessuno mi fermi, attraverso fino in fondo il corridoio e svolto a destra. Ogawa-san ha cambiato ufficio, da quella famosa visita notturna, e penso che anche la presenza della guardia del corpo davanti alla porta sia dovuta a me. Quest’uomo mi conosce da qualche mese, perciò non ho bisogno di presentarmi. Accenna ad un saluto, portandosi una mano alla visiera del berretto, e poi estrae il walkie-takie dalla tasca posteriore dei pantaloni.
- C’è Sakurazuka-san, - dice semplicemente, ed ascolta attento la risposta gracchiante dall’altra parte. E’ la prassi, l’uomo sa benissimo che non mi si può negare l’entrata, ma è costretto a seguire la procedura.
- Grazie per la pazienza, può entrare, - dice, preoccupato come se avessi aspettato decenni per ottenere risposta, - Ogawa-san la raggiungerà subito. E’ appena uscito da una riunione importante.
- Che non si affretti troppo a raggiungermi, o il suo cuore non reggerà, - scherzo io, prima di spingere in basso la maniglia ed entrare.
Tutto si può dire, di Ogawa: che è un corrotto, che venderebbe sua madre al migliore offerente, che ha mandato a morte chissà quanta gente solo per un capriccio personale, eccetera… Ma non che non abbia un certo gusto in fatto di stile.
Anche il suo nuovo ufficio rientra pienamente nelle mie preferenze estetiche. Mobili di chiaro legno lucido, alcun oggetti sfiziosi ma, per la maggior parte, assolutamente inutili, - una bottiglia di vetro riempito di un liquido ambrato con relativo bicchiere accanto, un astuccio per sigarette in bronzo, un piccolo accendino dorato e così via, - poggiati sulla scrivania ed una serie di volumi disposti in bell’ordine sugli scaffali della libreria. Non mi soffermo a leggerne i titoli. Per il resto ci sono pareti bianche, vuote e prive di qualsiasi personalità. Questa stanza potrebbe essere di chiunque. Potrei lavorarci io.
- Non mi importa nulla delle motivazioni! Non potete farlo, e basta!
La voce non è quella di Ogawa-san. E’ una voce giovane ed acuta.
La porta si apre, e due persone entrano nella stanza. Per educazione, vado a stringere la mano al mio datore di lavoro, ma non accenno di farlo col ragazzino. Deve avere poco più di vent’anni, faccia pallida ed occhi celesti, e da come mi guarda sembra che abbia davanti l’insetto più orripilante del pianeta. Adoro questo disgusto, da parte sua.
Ogawa-san risponde alla mia stretta veloce, poi decide di presentarmi il più giovane, che lo guarda come se volesse chiedere “E’ lui?”.
- Questo è mio nipote Shiegeru, - dice, spiando le mie reazioni con la coda dell’occhio. Io mi limito a sorridere.
Sto per presentarmi a mia volta, ma il giovane Shiegeru mi interrompe subito, infrangendo così una decina di regole della buona educazione.
- Santo cielo, lo so chi è lei. Basta nominarla, Sakurazuka-san, per veder sbiancare mio zio e ha avuto modo di guardarla in faccia.
Se se ne fosse chiesto il motivo, forse starebbe zitto o risponderebbe in ben altra maniera, ma è lanciatissimo nella sua filippica e non ho alcuna intenzione di interromperlo.
Chiudo automaticamente le orecchie alle sue parole e rimango a fissarlo semplicemente. Niente di ciò che mi sta dicendo potrebbe interessarmi, visto che il discorso mi è chiaro in ogni suo punto. Per qualche astrusa ragione, il piccolo viziato fa il mio stesso lavoro, - con che perizia lo faccia, posso immaginarlo, visto che è solo un novellino, - e si ritiene abbastanza all’altezza da accettare un incarico delicato… Che si è visto negare con un deciso no ed affidare a me. Non voglio avere niente a che fare con certe rivalità così meschine, visto che mi disgustano, ma questo principiante deve capire che la buona educazione, quando si parla in mia presenza, deve venire rispettata.
- Dispiace se bevo qualcosa? Ho la gola secca, - chiedo, rivolgendo la mia attenzione al mio datore di lavoro. Il ragazzino si ferma di botto, rendendosi conto che non lo sto ascoltando per nulla, ed arrossisce di rabbia. Io gli volgo la schiena, semplicemente, e verso nel bicchiere sulla scrivania un po’ del contenuto della bottiglia. E’ vino, neanche così male come pensavo. Mi piange il cuore nel vedere che, per una volta, il lusso di Ogawa-san finisce per essere sprecato.
Torno verso i due, che per tutto il tempo mi hanno osservato. Il ragazzo ha le guance color porpora, e sta cercando qualcosa di estremamente velenoso da dire, ma non gliene lascio il tempo. Gli rovescio il contenuto del bicchiere sui capelli, facendolo sobbalzare violentemente per la sorpresa.
- Ma che… - comincia a dire, ma lo stupore, invece di farlo muovere, lo paralizza.
La mia mano aumenta la presa sul vetro, e quello scricchiola paurosamente prima di rompersi in una pioggia argentina di scintille. Stavolta il ragazzo fa un balzo indietro, portandosi una mano sugli occhi. Qualche scheggia deve averlo ferito leggermente, visto che un sottile rivolo di sangue comincia a scendergli da una tempia.
- Torna a giocare con le macchinine, bimbo, - dico, liberando il palmo della mano dagli ultimi frammenti di vetro, - E torna il prossimo ciclo geologico, quando avrai quella cosa chiamata “buon senso”. Deve ancora nascere chi riuscirà a farmi le scarpe.
Stavolta non se lo fa ripetere due volte e, dopo un ultimo sguardo pieno d’odio, infila la porta e si volatilizza. Ogawa-san tira un sospiro di sollievo, quando capisce che non gli farò nient’altro. Inutile, i miei incontri con Subaru mi tengono di buon umore per parecchio tempo…
- Allora, questo lavoro? – gli chiedo, come se negli ultimi minuti non fosse accaduto nulla e lui fosse appena entrato. Passiamo un buon quarto d’ora a discutere dei dettagli del caso, e quando ho finito le mie curiosità gli faccio la domanda di routine.
- Che cosa preferisce che faccia, alla fine?
”Alla fine” sarebbe come dire “con il cadavere”. Ogawa-san sbuffa fuori dalla bocca il fumo acre della sigaretta che si è acceso.
- Lo faccia sparire, Sakurazuka-san.
Gli sorrido.
- Sarà un piacere.

- Permesso, permesso, scusateee!
Vedo un impiegato biondo fare slalom tra i suoi colleghi e precipitarsi verso l’ascensore che si sta chiudendo. Trattengo le porte metalliche con una mano e lui riesce ad infilarsi nella fessura lasciata libera.
- Non è molto facile riuscire a prendere un ascensore, a queste ore della mattina. Lo usano sempre i colleghi dei piani inferiori, e quindi è sempre pieno, - mi spiega, dopo avermi ringraziato. E’ un uomo più o meno della mia età, forse di poco più giovane, capelli biondi accuratamente pettinati, occhi fiordaliso e sorriso cordiale e spontaneo che spinge a rispondere con uguale allegria. Qualcosa mi spinge a farmelo stare istintivamente simpatico.
- Viene spesso ai piani superiori? – gli chiedo, mentre cerco in tasca il pacchetto di sigarette. Non aspetterò di essere uscito, ovviamente, prima di accendermene una. Qui non è vietato fumare e, anche se lo fosse, non credo che qualcuno avrebbe il coraggio di dirmi di spegnerla.
- Eh, magari… Io lavoro al quinto piano, sezione anagrafe. Un semplice impiegato, - ride lui, come se trovasse la cosa estremamente divertente, - Lei è un privilegiato dei quartieri alti?
- Lavoro alla divisione Affari Interni.
- Accidenti! E’ stato ammesso nell’Olimpo, come lo chiamiamo noi! Lavora per Ogawa-san?
- Sì.
L’ascensore emette un cigolio lamentoso e si ferma. Il mio compagno di disavventura guarda annoiato il quadrante che indica che siamo al sesto piano.
- Non si preoccupi, capita spesso. Gli operai della manutenzione sono gli unici a battere la fiacca, qui dentro…
Come a dargli ragione, ripartiamo un minuto dopo, giusto il tempo di accendermi una Mild Seven e tirare la prima boccata. L’impiegato mi guarda divertito.
- Questa è una delle rare occasioni in cui ringrazio di non provare attrattiva per il fumo. Capita troppo spesso di vedere un collega che si cerca istericamente una sigaretta nella tasca…
- In questo le do ragione. Però è una delle poche cose che ci distinguono dagli animali. Mi dica, ha mai visto fumare un cane o un gatto?
- Ah, mi ha fregato. Lei dev’essere un uomo molto impegnato, vero?
- Si potrebbe dire così. E’ perché ho l’aria molto stressata?
Ridiamo entrambi, perché sono l’ultima persona al mondo che potrebbe mostrare un’espressione depressa o stanca. Deve averlo capito anche lui.
- Può stare tranquillo, ha l’aria più riposata che abbia mai visto! Sa, è perché mi hanno detto che i fumatori sono persone che hanno sempre molto da fare e scelgono le sigarette per occuparsi anche il tempo libero… Dovrò cominciare anch’io, per non dare l’impressione dello scansafatiche!
Arriviamo in prossimità del quinto piano dopo un’altra manciata di secondi.
- Bene, questa è la mia fermata, - dice l’impiegato dell’anagrafe, sorridendomi ed allungando il dito per premere il pulsante di stop, - Grazie per la chiacchierata. Ora potrò dire ai colleghi di aver conosciuto qualcuno che ha ascoltato i miei sproloqui senza avere l’intenzione di ammazzarmi!
- E’ stata una piacevole discesa, - ammetto, sorridendo a mia volta. Lui sta per aggiungere qualcosa quando si blocca all’improvviso, gli occhi fissi verso l’alto. Un secondo dopo, ho anch’io una sensazione di strana immobilità. Il mio inconscio attende che accada qualcosa, ma che cosa…
KAMUI!
E’ come un urlo nella mia testa, che rimbomba fra le orecchie con la stessa forza di un disperato grido d’aiuto. Oltre a quel semplice nome, mi sembra di sentire qualcosa, lontano, che esplode di colpo e senza preavviso. E’ una forza violenta e devastante che si abbatte su qualcosa… O su qualcuno? Un’onda che si riversa fuori di colpo, un potere a cui qualcosa, dentro di me, vuole rispondere. E’ una sensazione conosciuta da tempo, come se aspettassi da sempre di sentirla di nuovo. E la mia natura di Chi no Ryu che smania di uscire e rispondere alla chiamata.
Quando l’eco dell’urlo si placa, mi accorgo di essermi tolto la sigaretta di bocca, in preda allo stupore. Anche il mio compagno d’ascensore ha la stessa espressione stupefatta, quasi disorientata. Quando torna a guardarmi, con espressione seria, sembra aver raggiunto una nuova consapevolezza. Da parte mia vorrei parlare per primo, ma la mia voce sembra morta.
- Certo, dovevo immaginarlo… - dice lui sottovoce, - Un altro dei Chi no Ryu…
- E’ Kamui, - rispondo, e sembra che la mia voce parli da sola, - Il Kamui dei Messaggeri è sveglio, finalmente. L’ho sentito nascere.
- E’ sveglio, e ci vuole con sé, - ripete lui, - E’ cominciata, allora, questa battaglia… E presto, prestissimo, l’ultima chiamata per gli Angeli…
Sto per rispondere, quando l’ascensore si apre. Lui scende come un automa, ancora trasognato. Nemmeno io mi sento del tutto in me, effettivamente.
Ci guardiamo, mentre altra gente sale assieme a me e qualcuno spinge il pulsante per il piano terra. Ci fissiamo, e sappiamo che ci rivedremo presto.
Per l’ultima chiamata.


NOTE: Wow, due capitoli in pochissimi giorni! Sto andando come un treno! Okay, è solo perchè sono ispirata e ho un pò di tempo a disposizione, non per altri motivi :-P
Va bene, al terzo capitolo mi sembra doveroso dire qualcosa sulla storia che sto scrivendo. All'inizio era nata come una sorta di prequel-sequel di Angels of blood, dove Seishirou doveva dire la sua sulla storia... Ma mi sono resa conto che non era possibile per un semplice motivo: la storia che si è sviluppata non era più quella che all'inizio avevo in mente. E' diventata una cosa a sè stante, che non ha niente da spartire con Angels. In un certo senso è stato meglio così, visto che ora sono più libera di fare ciò che voglio col Sakurazukamori...
Subaru: No, eh! Tu con Sei-san non fai proprio niente!
Loveless: Piccolo, è un modo di dire...
Fuuma: Ecco appunto, allora posso accomodarmi io?
Loveless: Fermo lì! Questo non è Angels!
Fuuma: Uffa... Allora me ne vado a molestare Kamui... *zampetta via*
Subaru: Pervertito O_O
Seishirou: Ma no, è in fondo un bravo ragazzo...
Subaru: Ah, proprio te cercavo!
Seishirou: E perchè mai?
Loveless: Ragazzi, questo non è il numero otto di X! Datevi una calmata!
Subaru: Ma Sei-san è cattivo e bastardo ç_ç
Seishirou: Di per sè non sono cattivo... E' che mi disegnano così.
Fuuma: Sì, la solita scusa...
Seishirou: E tu che fai qui? Prima mi spacchi una spalla urtandomi sul marciapiede, poi mi rovini i vestiti e mo' rompi pure? Pussa via, fila a molestare l'altro Kamui!
Fuuma: A dire la verità erano le strisce pedonali, non il marciapiede...
Subaru: Pure cavilloso, il bastardo numero due...
Loveless: Insomma, basta coi litigi! Subaru, fila a piangere da un'altra parte! Fuuma, vai a prendere Kakyoo e finiscila di provarci con Seishirou così spudoratamente!
Fuuma: A dire la verità ancora non l'ho fatto... Però mi hai dato un'idea ^^ Sakurazukamori, stasera hai impegni?
Loveless: Corri, o non ti combino niente con Seishirou!
Fuuma: Ah beh, allora cambia tutto ! *zampetta di nuovo via*
Seishirou: Mi è parso di sentire "non ti combino niente"...
Subaru: E' vero, l'ha detto!
Loveless: Sì, ma lo avete visto il rating? Ecco, perciò non preoccupatevi! Fila in camerino, Sakurazuka, e preparati per il nuovo capitolo! E tu, Subaru, vatti a leggere il numero 16 e vai a piangere un pò!
Subaru: Il numero 16... *va via trascinando i piedi e piangendo come una fontana*
Loveless: Santo cielo, questo è un girone infernale...
Bene, dicevamo? Sì, questa è diventata una fanfic assolutamente spassionata e libera, nonchè un What If rispetto alla storia originale... Vi lascio la libertà di pensare che cosa potrà venire come " the end". Okay, dopo questa bella introduzione in cui nessuno avrà capito nulla, vi chiedo una cosa. Se per caso vado OOC, vi prego, avvertitemi! Io faccio del mio meglio ma nessuno è perfetto... Quindi se sgarro, datemi una bella scrollata, okay? Detto questo, see ya! (E grazie per i commenti, twinkle e Maki-chan! Mi date forza ^^ E grazie a chi continua a leggere questa storia malgrado le premesse!)

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Capitolo 4
*** Godless ***


"An angel by my side
But no Christ to end this war"


Siamo in sette.
A dire la verità saremmo in otto, se contassi anche la donna profetessa che ha avuto la presunzione di dirci che ci ha “riuniti”, ma vista la sua utilità effettiva nemmeno vale la pena di considerarla.
Siamo i sette nati come Angeli, come Chi no Ryu.
Il primo che ho incrociato, scendendo nei sotterranei del Municipio, - e chi l’avrebbe detto che ho camminato per anni sopra quella che sarebbe diventata poi la nostra base? – è stato un ragazzo albino vestito come se fosse appena uscito da un film fantasy di ultima generazione e con un drappo stretto fra le dita. Se devo essere sincero, credo che quella “cosa” non abbia nemmeno un sesso, perché la sua faccia è un tale miscuglio di lineamenti maschili e femminili che anche per me è difficile distinguere chi effettivamente sia. Ma d’altronde, non voglio fingere che la cosa mi interessi davvero.
C’è anche una strana ragazzina dagli occhiali tondi e spessi come due fondi di bottiglia, tuta da ginnastica e ciuffo colorato di castano, mentre il resto dei capelli sono neri. Piccoli punk crescono. Spero valga più come combattente che come esteta. Un’altra cosa irritante di questa ragazza è che continua a giocherellare col cellulare e se almeno lo mettesse silenzioso… Questi trilli continui sono fastidiosi.
Il terzo è un ufficiale dell’Esercito di Difesa, un tipo massiccio ed alto una testa più di me, che pure non sono basso. Malgrado sembri più vecchio, ha solo vent’anni. Questo me l’ha confessato Yuuto, una curiosità di cui avrei tranquillamente fatto a meno.
Già, poi c’è Yuuto Kigai. L’impiegato del Municipio, quello dell’ascensore, nonché l’unico nome che sono riuscito a tenere a mente. Ci siamo presentati per bene quando sono sceso nel sotterraneo, e devo ammettere che ogni secondo che passa cresce sempre di più nella mia stima. E’ stato lui ad illustrarmi tutta la configurazione della nostra base operativa, che sembra conoscere a menadito, e a presentarmi i miei compagni di schieramento. Si interessa a queste cose, al contrario di me. Come dire, i nomi dei miei compagni mi sono entrati in un orecchio ed usciti dall’altro.
Su una sedia dallo schienale altissimo ed elaborato come se si trattasse di un portale da chiesa gotica sta sdraiato un giovane biondo dall’aria estremamente fragile. Potrei definirlo quasi bello, visto che è dotato di quella bellezza impalpabile ed eterea che potrebbero avere le creature angeliche. E’ così pallido che potrebbe dirsi morto, se non fosse per quel respiro lievissimo che gli alza il petto, di tanto in tanto. “E’ in coma perché è il nostro indovino tessitore di sogni” mi ha confidato Yuuto “L’ha detto Kamui”
Kamui… Quasi non ci credevo quando ho riconosciuto nel nostro capo quel giovane che mi ha dato così tanto filo da torcere tempo fa, il ragazzo di nome Fuuma. Per un attimo ho pensato ad uno sbaglio, lo ammetto, ma quando quegli occhi dorati mi hanno fissato per un paio di secondi ho afferrato che, indiscutibilmente, quel giovane non era più la stessa persona di allora. La luce che lo anima è totalmente diversa. Non c’è più quella dolcezza malinconica, ma nemmeno quella furia distruttiva che ho sentito qualche giorno fa, nell’ascensore del Municipio. Quella forza sembra sopita in superficie.
Ma qualcosa in me risponde comunque alla sua presenza. E’ per questo che sono qui.
- Dunque i miei Angeli sono tutti presenti, ora.
La mia attenzione si fissa su Kamui, così come quella dei presenti. C’è chi, come la ragazzina con gli occhiali, lo guarda con sufficienza, - fossi in lei cambierei aria al più presto… se sapesse quello che è capace di fare, credo rimedierebbe alla svelta, - chi, come Yuuto, lo fa con educata curiosità e chi, come l’albino, pare essere sul punto di baciargli i piedi e la terra su cui cammina. Spero non lo faccia, almeno per amor di contegno.
Kamui incrocia le braccia e ci rivolge un’occhiata quasi distratta, come se in realtà non gli importasse poi molto di noi. Se mi riconosce, non lo dà a vedere.
- La prima delle barriere di Tokyo, quella di Nakano, è già caduta. Ora ne restano altre sei da abbattere, ma non giriamo troppo attorno alla questione. Siamo nati con un destino prestabilito e dobbiamo prenderne atto. Però, io non vi obbligo a fare nulla. Se decidete di agire come Chi no Ryu, buon pro vi faccia. Altrimenti fate quello che volete, non interessa.
- Kamui… - comincia a dire la donna profetessa, ma lui le lancia un’occhiata tale da farla impallidire di colpo.
- Non mi interessa, - riprende il ragazzo tranquillamente, come se l’interruzione non fosse mai avvenuta, - Le barriere cadranno, una dopo l’altra. Che passino giorni o pure mesi, che sia io solo a farlo o qualcun altro, non importa. Succederà e basta, perché è scritto che debba accadere così.
Certo, non è esattamente il tipo di discorso che mi aspettavo da uno come lui. E’ come se ci stesse dicendo: “Bene, ora che siete qua riuniti vi sciolgo di nuovo, andate per la vostra strada ed arrivederci all’inferno”
Che strano tipo. Niente a che vedere col giovane Fuuma di tempo fa.
Non dire più quel nome. Fuuma è morto.
Mi trattengo a stento dall’alzare la testa di colpo, cercando invece di farlo con maggior naturalezza possibile. Yuuto sta parlando con la donna profetessa e la ragazzina, il soldato dell’esercito della difesa si guarda attorno interessato all’ambiente, il comatoso continua a dormire, l’albino ha afferrato la spada che Kamui teneva in mano fino a poco prima e la sta avvolgendo nel suo drappo con la massima cura e Kamui guarda pensieroso il soffitto, con le mani affondate nei pantaloni della divisa scolastica.
Eppure sono sicuro che la voce che ho sentito nella mia testa fosse sua.
A dire la verità sono sorpreso che tu conosca il tuo vecchio nome… Come lo conosci?
Nessun dubbio, è proprio lui. Ha instaurato un legame telepatico e mi parla così, senza nemmeno fissarmi. L’ultima volta che ho avuto a che fare con una persona con poteri del genere, quest’ultima era costretta a mantenere un contatto visivo per continuare la conversazione. Evidentemente la potenza psichica del capo dei Chi no Ryu è così grande da poter parlare senza guardare la gente negli occhi.
Perché sei così stupito? Dopotutto sono Kamui… E tu non dovresti forse saperlo, Sakurazukamori?
Stavolta si è girato e mi ha strizzato l’occhio con fare complice. Il suo sguardo si sofferma su di me per qualche attimo di troppo.
Non so esattamente descrivere la sensazione di formicolio alle dita e nella fronte, ma so benissimo che in questo momento sto venendo esaminato. Ed è l’esame più spietato e minuzioso che abbia mai subito.
E’ come se mi stesse strappando via occhiali, vestiti, pelle, carne, sangue e scheletro, e rimanga solo coi miei pensieri ed il mio essere. Non mi sono mai sentito più nudo e vulnerabile, e la cosa non è per nulla piacevole. Non posso neanche sottrarmi ai suoi occhi, perché il suo sguardo ti costringe a fissarlo con la stessa intensità e sei assolutamente impossibilitato a distoglierlo.
La cosa finisce improvvisamente come è iniziata, quando Kamui si gira ed esce dalla stanza seguito a ruota dall’albino. La porta si richiude alle sue spalle, con un rumore gradevole di cardini oliati da poco. Mi trovo a sospirare di sollievo. Visto che non avrei nulla di fare, tanto vale utilizzare il mio tempo in maniera utile… E finire il pacchetto di Mild Seven, visto che non mi piace lasciare le cose a metà.
Il gigante dell’esercito della difesa mi guarda con aria di rimprovero, come se fumare una sigaretta fosse un reato punibile con la morte, secondo la sua irrilevante opinione, ma con lo sguardo lo sfido a provare a dirmi cose come “Ma il fumo non fa male ai suoi polmoni?” oppure “Non può andare da un’altra parte ad intossicare qualcuno?”
Lui lascia perdere la partita ed esce dalla parte opposta da cui è uscito Kamui, - mi è un po’ difficile chiamarlo così… continuano a sovrappormisi in testa i suoi occhi con quelli viola della sua stella gemella, - e così rimaniamo solo noi quattro, ovvero l’allegro trio e l’outsider per eccellenza.
Uno strano triangolo davvero. La ragazzina pare abbia occhi solo per Yuuto, mentre lui e la donna chiacchierano come se niente fosse. Fra loro dev’esserci sicuramente qualcosa, altrimenti non ci sarebbero quegli sguardi scambiati di sottecchi prima di rispondere, quell’espressione complice di chi ha passato assieme un sacco di tempo. Uhm, molto romantico.
Yuuto decide di raggiungermi, mentre le due si allontanano.
- Certo che è uno strano tipo, il nostro Kamui. Tutto mi aspettavo tranne che un discorsetto così chiaro.
- Anch’io la penso alla stessa maniera. In pratica ci lascia liberi di fare quello che vogliamo.
- Un datore di lavoro piuttosto permissivo, - ridacchia lui.
- Ma non per questo credo che ci farà passare liscio un errore di qualche tipo. L’hai guardato negli occhi, Kigai-san?
Il sorriso si spegne, e Yuuto sembra quasi dispiaciuto quando ammette che non ha avuto il coraggio di farlo.

Ora di cena.
Gli altri staranno a tavola, in questo momento, ma non ho voglia di raggiungerli. Un po’ perché non ho fame, un po’ perché non voglio che si infranga la mia intimità mentre mangio.
Yuuto è riuscito a convincermi a rimanere qui per una notte ed io ho accettato, ma che non si aspetti altro da me. Purtroppo, non sono un animale da feste.
Posso fermarmi a dormire qui senza arrecare troppo disturbo alla donna profetessa, - ho visto la faccia che ha fatto quando Yuuto mi ha proposto di rimanere… Sarà per questo che ho acconsentito? – visto che ci sono appartamenti privati per ognuno dei Sette. Secondo il mio nuovo compagno di schieramento, chi ha progettato il sotterraneo era a conoscenza di ciò che sarebbe accaduto in futuro e si è regolato di conseguenza.
Le mie stanze sono effettivamente strutturate come un appartamento vero e proprio, con tanto di letto a baldacchino, bagno e, strano ma vero, una televisione, come se qualcuno trovasse il tempo per annoiarsi. C’è da dire che ti devi annoiare parecchio per ricorrere alla televisione.
C’è persino un pc in un angolo, - quanto scommettiamo che è tutta opera della piccoletta occhialuta? - per comunicare col mondo esterno, ma la prima cosa che faccio è staccarne la spina della corrente. Non ho un buon rapporto con la tecnologia e con gli elettrodomestici in generale, anche se la mia situazione non è disperata quanto quella di Subaru; l’ultima volta che abbiamo tentato di cucinare assieme, per poco non faceva saltare in aria casa sua per azionare il gas dei fornelli… D’altronde, stiamo parlando di uno che mangia panini e cose da take away ogni giorno perché non ha tempo di farseli da solo.
A proposito di Subaru… Credo che stia vicino all’altro Kamui, in questo momento. Yuuto mi ha raccontato a grandi linee la rinascita di Fuuma, ovvero l’astro gemello di Kamui, ed il piccolino dagli occhi viola sarà ancora sotto shock. E chi può consolarlo meglio del mio piccolo onmouji preferito?
Ho la netta impressione che quei due si somiglino molto… Come io sento di avere una certa affinità con il nostro Kamui, anche se i punti in comune al momento mi sfuggono. Per fortuna.
Tutto sommato, non mi posso lamentare. Qui sto bene, mi manca solo la compagnia di un buon classico e la musica di Carl Orff e dei suoi Carmina Burana in sottofondo.
- Per quello basta chiedere.
Non so da dove diavolo sia sbucato fuori né come abbia fatto ad entrare senza che io me ne accorgessi, eppure il nostro Kamui è qui. Guarda divertito la spina penzolante del pc, e dal sorriso so che approva.
- Ben fatto. Satsuki deve ancora imparare che non tutti amiamo le sue diavolerie meccaniche.
- Sei abituato ad infrangere la privacy degli altri oppure è solo la giornata che è andata storta?
- Che io sia qui ti dà fastidio? – mi chiede, succhiandosi infantilmente il polpastrello dell’indice con la malizia negli occhi. Oh, dèi.
- Devo forse mettere un cartello fuori dalla porta? Così ti sarebbe più chiaro?
- Non tentare di provocarmi, Sakurazukamori. Col tuo onmouji dagli occhi verdi la cosa può funzionare, ma non aspettare che io reagisca alla stessa maniera.
Dovevo immaginarlo, che sappia di Subaru, ma non è questo ad inquietarmi. La verità è che questo ragazzo è imprevedibile e non ho la minima idea di cosa farà o dirà, mentre lui può tranquillamente leggere i miei pensieri come se niente fosse. E tutto ciò mi mette in una posizione di assoluto svantaggio.
Kamui si toglie il dito bagnato dalla bocca e sfrega assieme le dita della mano, come se volesse trasmettere loro la sensazione umida della saliva. Non so perché, ma la cosa mi sembra assolutamente provocatoria nei miei confronti, ma se anche è così non riesco a fare a meno di seguire ogni suo movimento.
- Quell’uomo ti appartiene? – mi chiede di punto in bianco, fissandomi con intensità. Mi trovo a considerare come sia effettivamente diverso il suo sguardo rispetto a qualche tempo fa. Se allora era saturo di emozioni confuse e velate dal dolore, adesso è così vivido e pieno di sensazioni violente che sento di nuovo la stessa forza devastante di quando ho percepito il suo risveglio.
- Sì.
Lui annuisce, come se non si aspettasse nessun’altra risposta da parte mia.
- E che cosa unisce un uomo come te ad uno come lui?
Stavolta non riesco a trattenere un ghigno.
- Un uomo come me?
- Sì. Un uomo con una mente fredda e calcolatrice, ironica e cinica. Totalmente privo di qualsiasi forma di moralità e compassione. Con molta, troppa arroganza. Non hai mai fatto nulla senza trarne un tuo personale tornaconto. Non credi negli dèi ma solo in te stesso, e giochi con le vite delle persone manovrandole come un burattinaio. Hai ucciso chi ti ha dato la vita senza battere ciglio ed ogni giorno aggiungi cadaveri su cadaveri alla lista con la stessa facilità di un respiro. Ti liberi di chi non ti è più utile come se si trattasse di sassolini nella scarpa. Se dovessi definire qualcuno come te con un aggettivo, credo che “carogna” sarebbe quello più gentile da affibbiarti.
Non replico subito. Preferisco temporeggiare sulla risposta da dargli, forse perché le sue ultime parole sono state le più veritiere mai dette nei miei confronti.
- Se sai chi ti trovi davanti, perché sei qui?
Kamui si mette a ridere. Di colpo butta indietro la testa e ride, ma non è una risata di scherno, la sua. E’ semplicemente divertita.
- Ah, Sakurazukamori! Coloro che sono amati dalla Morte devono essere come te, o sono condannati ad impazzire entro breve tempo!
Piano piano la risata si spegne, anche se un’ombra di quel sorriso rimane nelle sue labbra.
- Sono qui per motivi personali, comunque. Diciamo che mi ha incuriosito il fatto che la prima barriera eretta a protezione di Tokyo sia stata distrutta da una persona che sostiene di non avere niente a che fare con questa guerra...
- L’ho fatto per quella “cosa” che mi unisce a Subaru. Tutto per una scommessa di molti anni fa.
- Nove anni sono tanti per divertirsi con un solo gingillo, - replica lui, con un’occhiata piena di sottintesi.
- I bambini buttano via i giocattoli quando si stufano di tentare di romperli o smettono di provare interesse nei loro confronti. Se persisto nel mio operato ci sarà pure un motivo, non credi?
- Già, credo… - mormora Kamui pensieroso.
Non parla più per un bel pezzo, e rimane semplicemente ad osservarmi quando mi tolgo la giacca e la appoggio sulla sedia più vicina. Prendo la prima Mild Seven dal nuovo pacchetto, la accendo e mi siedo. Faccio cenno a Kamui di accomodarsi dove vuole, e lui opta per la sponda del letto.
- Abiti vicino al parco Oueno?
Cenno affermativo.
- Tu come passi le tue nottate, Sakurazukamori? A nutrire il tuo ciliegio?
Sorrido, rispondendo alla smorfia maliziosa che mi rivolge.
- Non è una scusa per infiltrarsi di notte nel mio appartamento, Kamui?
- Non è da escludere, - ribatte lui, impassibile, - Allora?
- A volte, ma di solito la caccia dura poco. Non dura certo lo spazio di un’intera notte. Adesso posso sapere il motivo di questa domanda?
- Mi chiedevo se ti andrebbe di passarle con me.
Quello che riceve in risposta è solo uno sguardo vuoto e privo di emozione.
- Non ho nulla da condividere, Kamui.
- Io dico di sì.
Mi tolgo la sigaretta di bocca e la spengo nel posacenere anche se è consumata solamente per metà. Ascolto lo sfrigolio della cenere che si spegne lentamente.
- Allora, che cosa vuole il distruttore di questo mondo dal Sakurazukamori?
- L’esperienza. I diciannove anni passati ad uccidere per conto del Sakura. Voglio il nulla.
Non lo guardo in faccia. Come Yuuto, stavolta nemmeno io ho il coraggio di incontrare il suo sguardo. Credo di cominciare ad capire le sue intenzioni.
- Perché?
- Solo chi guarda il mondo con sguardo vuoto vede il vero. Io voglio conoscere la realtà così com’è, e farla a pezzi. Voglio avere un motivo in più per estirpare il genere umano da questa terra, come si fa con un’erbaccia. Insegnami il tuo mondo, Sakurazukamori. Voglio vederlo con i tuoi occhi.
Rimango a fissare un punto indistinto della parete finchè i dettagli del muro non iniziano a cambiare colore e a deformarsi. Accettare sarebbe come prenderlo come mio allievo… Come mio primogenito. E rifiutare sarebbe come suicidarsi. So di non avere scelta, ma il mio orgoglio si rifiuta di piegarsi davanti a qualcuno.
- Devo pensarci.
Kamui si alza. Raggiungendo la porta, mi sfora il braccio.
- Ti lascio fino a domani notte per pensare, Sakurazukamori. Non sia mai detto che Kamui non lascia possibilità di scelta.
Non faccio in tempo a stupirmi del fatto che conosca persino i miei pensieri passati che mi sorride ed esce dalla mia stanza. E come prima, mi sento tornare a respirare liberamente.
Anche se non ho sonno, mi siedo sul letto ed incrocio le dita dietro alla nuca, prima di lasciarmi sprofondare nel cuscino.
Ma l’aria mi porta, assieme a quello acre di bruciato della sigaretta non ancora consumata, l’ultimo sentore dell’odore caldo di Kamui.

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Capitolo 5
*** Fateless ***


"Wake from your sleep, fated child,
The peace rest is gone."


Non rammento nemmeno la prima volta che sono venuto in questo negozio. Ogni volta che supero il kekkai per bussare alla porta d’ingresso tento di recuperare il ricordo dalla mia memoria, ma è inutile. Forse un giorno la mia mente ce la farà, ma per il momento è troppo occupata con altri pensieri.
Come sempre i battenti si aprono non appena la mia mano si appoggia all’uscio. E, come sempre, c’è già qualcuno ad attendermi.
- Sakurazuka-san! – esclamano all’unisono Maru e Moro, battendo le mani per salutarmi. Sorrido e chino il capo nella loro direzione.
- Buongiorno ragazze. C’è Yuuko-sama in casa?
- Certo che c’è!
- Ti aspettava!
Non mi abituerò mai all’idea di una persona che è a conoscenza di ogni mia mossa… Ma Yuuko è sempre Yuuko.
Lascio che le due bambine mi prendano una mano per ciascuna e mi facciano strada lungo l’intricata rete di corridoi che formano il negozio dei desideri gestito da Yuuko Ichihara, meglio conosciuta come la Strega delle Dimensioni.
Da quanto ne so, è sempre esistita una Strega Dimensionale. “Da quando esistono i desideri, esistiamo noi streghe per esaudirli” ama ripetermi Yuuko; anche se sono sicuro che esageri quando dice così, è un fatto risaputo che la sua famiglia esista da prima dei Sakurazuka e dei Sumeragi. A suo dire, quello delle streghe è un mestiere che le Ichihara si tramandano per via femminile, e lei ammette di averlo imparato, assieme alle doti innate per le arti magiche, da sua madre, così come questa l’aveva imparato dalla sua. Un po’ come me, insomma.
Non appena arriviamo davanti ad uno shoji con un elaborato disegno di cielo notturno, Moro lascia la mia mano e batte le sue due volte.
- Padrona! C’è Sakurazukamori!
- C’è Sakurazukamori per te! – le fa eco Maru, abbandonando il mio palmo. Dopo qualche secondo mi sorridono ed aprono lo shoji senza che si sia udita alcuna risposta dall’interno.
La stanza dove Yuuko riceve i suoi clienti è una piccola camera fumosa e piena di tendaggi di broccato che sanno d’incenso. Ho imparato ad apprezzare questo posto, forse perché sedermi sul tatami e chiacchierare con Yuuko è rilassante quanto bere una tazza di tè al pomeriggio… O passeggiare fra le tombe.
E lei, la Strega Dimensionale, è seduta, o meglio dire accasciata, sul divanetto di velluto su cui la vedo sempre ogni volta che ci incontriamo.
- Santo cielo, Yuuko, - dico, chiudendo bene lo shoji dietro di me, - Non dirmi che hai esagerato ancora col sakè, ieri sera!
- Sei il solito simpaticone, Seishirou, - risponde lei, sorridendo debolmente, - Una donna sola e vecchia come me dovrà trovare il modo giusto per passare le sue serate…
- Ti avverto, in mia presenza non si tollera l'autocompatimento!
- Avresti dovuto dire “Non sei così vecchia, Yuuko”
- Non sei così vecchia, Yuuko… Ma è così che si riduce dopo una notte di folli bevute?
A dire la verità, anche se ha l’aspetto di una ventitreenne, la Strega Dimensionale è realmente vecchia, visto che ha conosciuto mia madre tempo prima della mia venuta in questo mondo. Quando le ho chiesto come facesse a mantenersi così bene, mi ha risposto: “Vivo con persone allegre”.
La strega sbuffa e si mette seduta massaggiandosi le tempie. Mormora un “Spero che Wata-kun abbia preso quella solita e non abbia fatto colpi di testa…”, allunga la mano verso una bottiglietta di ekikyabe e la trangugia in un solo sorso.
- Aaah! Questi cosi ti fanno ringiovanire di un secolo, quando li bevi! – esclama Yuuko, decisamente più di buon umore, lanciando la bottiglietta dietro il divano. Non sembra curarsi del rumore di vetri infranti. Tanto ci pensa il suo Wata-kun.
- Felice che tu ti senta meglio, Yuuko, - dico, sedendomi sul tatami di fronte a lei, - Scambiare quattro chiacchiere con una donna oppressa da postumi da sbronza non è molto piacevole.
- Nemmeno chiacchierare con un uomo che si è svegliato di cattivo umore lo è, - replica lei, guardandomi furbescamente.
- A dire la verità nemmeno ho dormito… Mi sono limitato a far riposare il cervello.
Passiamo un buon quarto d’ora a parlare del più e del meno, ci chiediamo a vicenda dei nostri assistenti, - Yuuko sembra trovare divertente il fatto che abbia un tirocinante che ancora non mi abbia fatto venire voglia di seppellirlo, - e dei suoi ultimi clienti. Alla fine, quando abbiamo esaurito i nostri argomenti di introduzione, Yuuko comincia a riempire la cannucola della sua pipa con aria pensierosa.
- Bene, qual buon vento ti ha condotto qui, Seishirou Sakurazukamori? – chiede, schiacciando il tabacco col mignolo, - O è aria di un qualche problema?
- Non potrei avere soltanto voglia di rivedere la mia vecchia amica Yuuko?
- Il mio narcisismo potrebbe sentirsi lusingato da tutta questa attenzione improvvisa, - ridacchia lei, schiacciando il tabacco col mignolo, - Allora, cosa ti porta a farmi visita?
- Credo di aver già sentito questa domanda, ma esattamente non ricordo quando…
Yuuko soffia fuori le parole assieme ad una boccata di fumo acre.
- Sei sempre il solito. Per farti rispondere ad una domanda bisogna tirarti fuori le parole con le tenaglie. Piuttosto dimmi di farmi i fatti miei, ma le bugie sono vietate dal kekkai d’ingresso fin qui. Sputa il rospo.
Raccolgo la sfida e le racconto gli ultimi avvenimenti che mi hanno reso partecipe, tagliando fuori dal discorso il mio incontro con Subaru al bar. Lei ascolta senza interrompermi, ma ho l’impressione che sappia già buona parte delle cose.
- Ti farà piacere sapere, - dice, quando bevo un sorso della quarta tazza di quel tè che solo lei sa fare, - che quel ragazzo, Fuuma, in un altro universo è tuo fratello minore.
Per fortuna riesco ad inghiottire in tempo il mio sorso di bevanda. In caso contrario, penso mi sarebbe andato di traverso.
- Prego?
- In quell’universo in cui l’altro te stesso sta dando la caccia ai due gemelli vampiri, c’è un altro Fuuma che è legato a te attraverso un vincolo di parentela, - ripete Yuuko pazientemente, come se davvero non avessi capito la frase. Mi avrebbe fatto meno impressione sapere che in un altro mondo io e Subaru siamo sposati felicemente.
- Ah, beh, ora tutto si spiega, - commento ironicamente, - In questo mondo, visto che non ha nulla da fare, Fuuma ha deciso di farsi venire il complesso dell’orfanello ed è venuto a chiedermi di fargli da sostituto del padre appena defunto, perché in un altro universo sono suo fratello. Fantastico.
- Non credi sia una versione troppo semplicistica delle cose?
- Adesso tirerai fuori dal cappello la solita storia del destino prestabilito, lo so… Yuuko, io non ho un futuro nè credo nel fato, lo sai.
- Ma stavolta ti contraddici da solo, Seishirou. Poco fa mi hai detto che è stata una sensazione ben precisa a guidarti verso il cimitero dove quel giovane e sua sorella avevano appena seppellito il loro genitore, il tuo famoso sesto senso. Ed ancora prima, avevi visto una sua fotografia su un giornale.
- Coincidenze… - provo a dire, ma Yuuko è partita in quarta e non mi sta ascoltando. I discorsi sull’inevitabilità del fato sono la sua specialità.
- E poi l’incontro con il tuo compagno di schieramento su quell’ascensore… Tre coincidenze, tre avvenimenti totalmente casuali. L’incontro di tre eventi fortuiti ha una valenza di ineluttabilità anche per il Sakurazukamori, uomo razionale che non crede nel destino? Tu sei andato a cercare quel ragazzo perché il fato ha agito sul tuo inconscio e ti ha spinto ad andare più a fondo nella faccenda. E lui è venuto a cercare te perché eri destinato a fargli da guida in questo mondo. E questo è quanto.
Rimaniamo in silenzio per un po’. Tengo a freno la mia voglia di ribattere, subito ed impulsivamente, e ne approfitto per lasciare che le cose che mi ha appena detto Yuuko comincino a sedimentarsi nella mia testa.
- Che giorno è oggi? – mi chiede lei all’improvviso.
- Il ventuno.
- Maru! Moro! Portatemi il libro delle ordinazioni che sta nel ripostiglio! – ordina, e vedo due figurine scure muoversi dietro lo shoji in carta di riso. Sono appena arrivate, altrimenti le avrei sentite prima.
- Che vai combinando, Yuuko?
- Parlare con uno scettico come te mi ha fatto venire in mente una cosa che forse può convincerti, - risponde prontamente lei. Qualche secondo dopo le sue due assistenti arrivano portando un vecchio volume pesante ed impolverato, rilegato alla vecchia maniera. Yuuko lo appoggia sul tatami e si mette a sfogliarne le pagine lentamente.
- Uhm, il ventuno del… Uhm… No, questo è di un altro anno… Ah! Trovato!
Sorride soddisfatta e spinge il libro di me con la punta del piede nudo.
- Avanti, caro il mio cinico, osserva e stupisci.
Mi sporgo leggermente in avanti, cercando di decifrare i caratteri scritti a rovescio e tirarne fuori qualche significato. Sbatto gli occhi un paio di volte, quando trovo il nome che Yuuko mi ha indicato.
- Ciao, mamma, - dico, raddrizzando la schiena. La strega si lascia sfuggire una risata divertita.
- La tua faccia sarebbe da incorniciare, Sakurazukamori. Completamente inespressiva.
- Va bene, mia madre è venuta qui parecchi decenni fa il ventuno di questo mese. La cosa dovrebbe sconvolgermi?
- Se è come penso io, sì.
Lei si sporge leggermente in avanti, puntando il dito contro una serie di numeri scritti poco più in basso del nome di Setsuka Sakurazuka.
- Vedi, annoto tutto su questo libro, persino l’ora in cui un cliente è entrato nel mio negozio… Tua madre è venuta qui alle undici e mezza della notte.
- Doveva avere davvero urgenza di parlarti, Yuuko.
- Oh, sicuramente. Si è mai risparmiata quando si trattava di te, Seishirou?
- No. Comunque, cosa…
- Fermo, fammi finire. Vediamo, qui c’è una data ed un mese identici a quelli in cui sei venuto tu adesso… E l’ora. Seishirou, tua madre ti ha mai detto a che ora sei nato?
Yuuko non può sapere tutto di me, perché mi sono premurato di nascondere accuratamente la mia data di nascita, come un bravo onmouji dovrebbe fare, - non come Subaru, che ha finito per rivelarmela quando per lui ero ancora un mezzo sconosciuto, - e la Strega Dimensionale non dovrebbe nemmeno sapere quella piccola parte che conosce del sottoscritto, ma in questo caso non posso negarle una porzione di verità.
- Alle undici e mezza.
Se sapesse anche il mio compleanno, Yuuko farebbe facilmente i suoi calcoli e vedrebbe che mia madre le ha fatto visita esattamente tre mesi prima che venissi alla luce. Un particolare inquietante, direi.
- Allora, - conclude la strega, chiudendo il libro, - Adesso la mia teoria sull’ineluttabile ti risulta più accettabile?
- Questo sì, ma non smetterò di essere il solito miscredente, - sorrido io.
- Beh, chi troppo vuole… Per oggi mi accontenterò di questo.
- Yuuko, che cosa ti ha chiesto mia madre?
Curiosità, maledetta curiosità. Sono un essere capriccioso, perché non mi è mai stato negato nulla, e troppo curioso. Un giorno questa sarà la mia rovina. Mi aspetto un po’ di resistenza da parte di Yuuko, e quindi rimango sorpreso quando mi risponde senza tanti giri di parole.
- Voleva sapere se da lei sarebbe nato un figlio degno di essere Sakurazukamori… E se sarebbe stato colui che sarebbe riuscita finalmente ad amare.
Niente. Dopo queste parole non sento niente. Rimango a fissare le mie mani appoggiate sulle ginocchia e non provo niente.
- Quando le dissi che l’uomo a cui lei avrebbe dato la vita sarebbe stato chi le avrebbe dato la morte, sorrise e mi disse: “Allora questo figlio nascerà.” Sembrava davvero felice di sapere che saresti stato tu ad ucciderla.
- Lo so. Noi Sakurazukamori siamo esseri umani davvero strani… Ed essere ucciso da qualcun altro, per noi, è la forma massima di amore. Almeno, lo era per mia madre.
- E’ raro che accada, - sospira Yuuko, fissando un punto indistinto sopra di lei, - Voglio dire, essere amati così tanto prima ancora di venire al mondo.
- Ma se tu le avessi risposto negativamente, è sicuro che si sarebbe squarciata il ventre sotto i tuoi occhi, pur di non farmi nascere.
- Oh sì… Sarebbe stata benissimo in grado di farlo.
Il silenzio che segue dopo le sue parole mi fa capire che è ora di andarsene. E’ ancora relativamente presto, e posso trovarmi qualcosa da fare prima di stasera… Prima del face to face con Kamui.
- E’ stata una bellissima chiacchierata, come sempre, - dico, baciando la mano di Yuuko, - Dovrei venire qui ancora più spesso.
- Meglio che tu non dica altro, o potrei pensare di aver fatto colpo, - ride lei.
- Dimmi, cosa farai adesso che è cominciata la battaglia? Tornerai nella Tokyo da cui provieni?
- Rimanderò indietro Wata-kun nel suo mondo e gli affiancherò una delle ragazze… Ma credo che questo quartiere sia al sicuro ancora per un po’, perciò non voglio rovinarmi gli affari tagliando la corda prima del previsto. In fondo, sono ben disposta a vedere come finirà questa storia. Non sei l’unico a soffrire di questa sindrome da curiosità, Seishirou.
- Bene, vuol dire che approfitterò del piacere della tua compagnia finchè potrò. Ci vediamo, Yuuko.
- Povero Subaru, - la sento dire, non appena apro lo shoji e faccio un passo per uscire. Mi giro nella sua direzione.
- E’ proprio vero che la felicità varia da persona a persona.
Moro mi prende una mano e mi tira gentilmente verso l’esterno, ma Yuuko le fa cenno di aspettare un altro momento.
- Puoi imparare molto, se lo vuoi. Il capo degli Angeli ha una cosa che non ha in altri universi, la mia stessa capacità. Lui sente i desideri delle persone e li esaudisce… Anche quando costoro non sanno di averne, lui li conosce. Un vecchio adagio dice “Attento a ciò che desideri, perché potresti attenerlo” Stai attento a tenere a freno la tua anima, Seishirou. Persino con Subaru.
Lo shoji si chiude, ed io rimango solo nel corridoio, assieme a Moro. La bambina aumenta la stretta sulla mia mano, dicendomi silenziosamente che devo seguirla. Ma non riesco a liberarmi dalla confusione nemmeno quando la porta del negozio si chiude alle mie spalle.
Scrollo le spalle e torno a mescolarmi con la folla come faccio solitamente, ancora prigioniero della sensazione di disagio provocata dalle ultime parole della strega.


NOTE: Non chiedetemi quale follia mi abbia spinto 1) a scrivere due capitoli in meno di una settimana, battendo ogni mio record personale, 2) a ficcare anche Yuuko in questo casino... Sarà perchè è una giusta e la stimo? *non fateci caso, la Lalla sa tutto...* Sarà perchè mi sono vista il film di X e sono scoppiata in lacrime come sempre? E' inutile, quel film mi fa quell'effetto, non dovrei nemmeno guardarlo, però mi ispira dannatamente per le ficci... Entro nello stato catatonico necessario a scriverle, quello che io chiamo Subaru-baracca mode ^^
Grazie ancora per i commenti, a tutti voi! (per Maki-chan: l'OOC è letteralmente Out of Character, ovvero quando il personaggio non rispecchia la personalità originale... E visto che voglio scrivere qualcosa di MOLTO vicino al personaggio di Seishirou, non mi perdonerei mai una cosa "fuori tema")
See ya!

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Capitolo 6
*** Bondless ***


"Their petals are fanged and red with hideous streak and stain
They sprang from the limbs of the dead…"


Ci sono ben poche città, in questo mondo, che affrontano l’apocalisse col puro menefreghismo, e Tokyo è una di queste.
Qui nessuno pensa a ciò che striscia sotto la pelle inquinata di questa metropoli, alle anime sacrificatesi per la salvezza di centinaia di vite che nemmeno li ricorderanno oppure alle grida di chi è schiacciato dalle piccole e grandi sventure del proprio fato. No, qui si copre tutto nelle canzoni del walkman, nel chiacchiericcio dei passanti, nel rombo del traffico e nella musica ad altissimo volume delle discoteche.
Questa è Tokyo, un vortice che risucchia tutto e tutti nella sua corsa sfrenata verso il baratro… Eppure la amo. Amo la sua indifferenza ed amo la sporcizia sepolta sotto il pesante strato paesaggistico da cartolina. La amo proprio perché è così lurida… E bellissima.
E’ ciò che dico sempre a Kamui, e lui annuisce alle mie parole. Asserisce perché comprende ciò che voglio dire, ma non perché approva. Lui, per gli stessi motivi che mi spingono ad amarla, odia questa città.
Ma è giusto così. Lui è Kamui, ed io Sakurazukamori. Naturale che abbiamo idee diverse sulla fine del mondo, oltre che su altre cose…
E’ da quasi un mese che abbiamo preso a “frequentarci”, secondo la sua personale definizione. Io, con un vocabolario ben più ancorato alla realtà del suo, potrei definirlo in altra maniera: potrei chiamarlo violazione di domicilio, giro turistico notturno obbligato per la Tokyo notturna, gelati comprati a mie spese e così via. E’ un bambino, il nostro Kamui, e come tale si comporta, ma i suoi discorsi sul destino e sulla fine del mondo sono fin troppo adulti.
Quando è di cattivo umore, non sa accettare l’idea che io non creda nel destino prestabilito. Lui e Yuuko dovrebbero incontrarsi, prima o poi, credo si troverebbero d’accordo su parecchie cose.
- Perchè? – mi urla, al limite dell’esasperazione, - Perché sei così cieco, Sakurazukamori? Anche tu ti copri occhi ed orecchie di fronte a quello che ti accade, come fa tutta questa gente? Hai davanti mille esempi che possono giustificare la teoria del destino prestabilito e tu ti rifiuti di crederci?
- Te l’ho già detta, Kamui, - gli ripeto, pazientemente, - La mia teoria sul destino: finché il futuro è visualizzato nella mente di una persona, è ancora irreale. Il confine dell’infallibilità è sottile, e solo nel momento in cui si realizza l’evento acquista valore come “previsione”… Fino a quel momento rimane il dubbio, ed il margine dell’imprecisione.
A volte, il fatto che io mantenga un tono tranquillo e distaccato lo aiuta a calmarsi: altre volte, lo fa infuriare ancora di più. A quel punto, per evitare il conflitto vero e proprio, mi conviene ripiegare nel modo più dignitoso possibile. Le sue reazioni sono imprevedibili.
- Avanti, - mi ha sfidato una volta, - Scommettiamo: dimmi una barriera fra quelle rimaste, ed io ti dirò chi correrà a difenderla quando la attaccherò. Il Sognatore non sbaglia, come non ha sbagliato quando ha previsto che tu avresti ammazzato Hokuto Sumeragi!
Quando me l’ha detto, sono rimasto sinceramente sorpreso. Ho mascherato l’incredulità con una sardonica scrollata di spalle.
- Ma davvero? E com’è che non ha fatto nulla per impedirmelo?
Kamui si è limitato a lanciarmi un’occhiata gelida, come se fosse una questione personale, ma non ha replicato. Sicuramente conosceva la risposta alla domanda, ma non ha voluto svelarmela.
- Ti farò ricredere, Sakurazukamori, - ha detto, dopo qualche secondo di silenzio, - Ti costringerò a dire che il destino ineluttabile esiste. In un mondo o nell’altro, ti renderai conto che è tutto vero.
A volte mi chiedo se non abbia un legame di qualche tipo, col Sognatore… Lo difende con troppo accanimento. Certo, mi rendo conto che sarebbe una contraddizione, per lui, non credere alle manovre già scritte dal fato… Sarebbe dare ragione all’altro Kamui. Cosa che non farà mai, se ho misurato bene il suo orgoglio.
Non ho mai chiesto a Kamui cosa ha visto il suo prediletto Sognatore nel futuro che ha tessuto per lui. Mi piacerebbe conoscerlo, ma credo che saperlo subito mi rovinerebbe la sorpresa. Perciò aspetterò. E mi limiterò a seguirlo nei meandri di questa Tokyo notturna che tanto gli piace esplorare. Devo ammettere che farlo mi diverte molto, soprattutto in sua compagnia… Anche se è da un mese che non dormo più di due ore a notte, e la cosa comincia a pesarmi.
Comunque stanotte Kamui è andato a portare il suo amato clone, che lo segue più scodinzolante di un cagnolino, in una gelateria che abbiamo scoperto la settimana scorsa. Serata di risposo per me, finalmente. Non sembra, ma seguire un adolescente desideroso di imparare stanca…
Faccio qualche progetto vago sulle ore di libertà che mi si prospettano fino a domani, prima di arrivare davanti alla porta del mio appartamento, ma non appena la apro tutti i miei pensieri vanno letteralmente in fumo.
L’aria si è fatta più densa rispetto a quando sono uscito, l’odore di ciliegio in boccio è forte come non mai, e mi colpisce le narici con una zaffata dolciastra. Mi accorgo di essere rimasto fermo con la maniglia della porta in mano, ad ascoltare, ma so già che non udirò nemmeno un rumore… E che la mia presenza è stata avvertita.
Certo, è da molto che non ricevevo altre visite qui, oltre a quelle di Kamui, che comunque non si trattiene mai qua più di qualche minuto. Ed il fatto che lei sia venuta da me è un evento comunque fuori dall’ordinario. In me affiora un senso di attenzione guardinga misto ad aspettativa, mentre chiudo la porta e lascio la giacca sopra il mobile dell’ingresso.
- Sakura-sama, - dico avanzando nella penombra del mio appartamento e cercando di mantenere il mio perfetto sorriso di plastica, - Per quale motivo mi onori della tua visita?
Lei è una sagoma scura ed immobile di fronte alla finestra. Quando si gira di tre quarti verso di me con una piega divertita delle labbra, parte del suo viso diventa completamente d’argento, illuminato dalla nuda luce della luna.
- Devo forse avere un motivo per visitare il Sakurazukamori che mi appartiene? – chiede, discreta come un sussurro. Devo chinare la testa per non incrociare il suo sguardo, gesto che altrimenti lei interpreterebbe come un atto di sfida nei suoi confronti.
- No, ovviamente no.
Il suo sorriso si fa più ampio, e finisce di voltarsi verso di me.
- Ah, mio servo… Quanta curiosità e diffidenza nelle tue parole. Finisci per dubitare anche di me, ora?
Quale frammento di memoria umana, mi chiedo, quale ricordo l’ha spinta a vestirsi così, come una statua dei tempi antichi? Una veste semplice, di colore scuro, che mette in risalto la carnagione marmorea e le braccia, mentre i capelli neri le scivolano liberi fino alla vita. Lei apre il braccio in un gesto di invito, permettendomi di avvicinarmi e prenderle una mano fra le mie. Non sento il movimento del sangue caldo nel suo palmo, e se non appoggio le labbra sul dorso della sua mano è per negarle quel poco di calore che un tocco umano può rappresentare per lei. Una linea scura di disappunto le si disegna fra le sopracciglia, ma il momento passa subito, come una folata di petali di ciliegio spinta dal vento, e torna a sorridermi indulgente.
- Ti ho trascurato troppo in questi anni, mio Sakurazukamori, - mormora, allungando la mano bianca sulla mia guancia, - Posso capire il tuo astio verso di me...
- Non provo astio di alcun genere verso la mia padrona, Sakura-sama, - replico, guardandola in viso.
- Anche se è da tempo che non mi mostro a te?
- Sì.
I suoi occhi scuri non abbandonano i miei, come se sperasse di scorgevi dentro un lampo di finzione. Non trovandolo, la sua espressione si addolcisce.
- Fra tutti coloro che mi hanno servito, tu sei stato colui che l’ha fatto per più tempo, - mi dice, prendendomi confidenzialmente per un braccio ed accompagnandomi in direzione del divano, dove ci sediamo, - E dopo diciannove anni, ancora non hai generato uno che possa succederti.
- Né mai lo farò. Non ci saranno successori, Sakura-sama.
- L’erede immortale, - lei ride, chiaramente divertita, - Altri l’hanno detto, prima di te, ma tutti loro sono caduti per colpa delle loro debolezze, uno dopo l’altro…
- Non ho debolezze che possano portarmi alla morte, - chiarisco. Subito dopo averlo fatto, ho uno strano flash back in cui vedo la bocca di Hokuto sillabare: solo Subaru può ucciderti, e solo tu puoi uccidere Subaru… Scaccio in fretta quel pensiero.
- E’ vero, - annuisce lei, - Non ne hai. E’ per questo che sei il mio favorito, Seishirou. Per questo ti amo più di tutti. Però c’è quel ragazzo…
Si avvicina talmente tanto al mio viso che indietreggio per poter mantenere una buona visuale su di lei, ma mi ferma il mento con una mano.
- L’hai promesso a me quando eri molto giovane, - dice, con’espressione improvvisamente severa, - Eppure il suo sangue non bagna ancora le tue mani, anche se gli anni sono passati e tu adesso sei un uomo e un esperto Sakurazukamori. E’ dunque così difficile strappare la vita ad un altro onmouji, Seishirou? Oppure il tuo cuore si è davvero intenerito davanti ai suoi occhi?
- Subaru è ancora fonte di divertimento per me. Il motivo per cui lo tengo in vita è solamente questo.
- Per te?
Scoppia a ridere, ma la sua è una risata spaventosa, completamente diversa da prima. Lei è infuriata, ed io la sto provocando.
- Per te? – ripete, fissandomi con uno sguardo feroce che assottiglia ancora di più le pupille scure, - Che importanza hanno i tuoi bisogni quando sono io che devo sfamarmi?
- Tutti coloro che ti sacrifico, ogni giorno ed ogni notte, - ribatto io, duramente, - Non sono forse abbastanza?
- La fame non ha limiti, mio Sakurazukamori… Col passare del tempo aumenta, ogni giorno di più. Eppure, il sangue di quel giovane onmouji potrebbe lenire la mia sete per un po’, - sorride, nuovamente dolcissima.
- Te l’ho promesso, e perciò lo ucciderò. Ma dovrai pazientare ancora per un poco, Sakura-sama.
- Pazientare? – la voce si fa più ringhiante, - Diciannove anni passati a pazientare e tu mi parli di aspettare ancora?
- Il mondo sta finendo e tutti i nodi stanno venendo al pettine. E’ così, né più né meno. Una volta dicesti che hai aspettato secoli per veder nascere un Sakurazukamori come me. Per me, non puoi attendere ancora per un poco la tua preda?
Il movimento è così veloce che non lo vedo. La sua mano batte duramente contro la mia guancia, e riesco a bloccare il collo prima di sbattere la nuca.
- Ventuno secoli! – sibila lei, a pochi centimetri dalla mia bocca, - Più di ventuno secoli e nessuno aveva mai osato chiedere tanto! Hai forse dimenticato la regola imposta dall’inizio dei tempi? Mai farsi vedere, mai lasciare tracce! Se qualcuno scopre un Sakurazukamori perché questi è così stupido da lasciarsi sorprendere in caccia, bisogna uccidere chi ha assistito! Sarà meglio che muoia presto, il tuo pupillo, o sarai tu a doverti sacrificare al suo posto!
Rimango in silenzio, mentre il palmo della sua mano rimane a bruciarmi ancora sulla pelle. Non permetterei mai, nemmeno a Kamui, di toccarmi senza che io lo voglia, ma a lei non posso ribellarmi né reagire. La mia resistenza nei suoi confronti è puramente simbolica.
Però non riesco a mantenere un piccolo moto di ribellione nei suoi confronti, anche se riesco a reprimerlo subito. Uno schiaffo è una cosa, finire lacerato dai rami di un Sakura inferocito è un altro paio di maniche. Il fatto è che Subaru è una mia preda, una preda del Sakurazukamori… Non del suo ciliegio. C’è differenza, in questo, ma lei non vuole capirlo. Lo desidera come lo desidero io, ma con una violenza ed una passione certamente più concrete delle mie. A dirla tutta, credo che la mia Sakura-sama sia molto più umana di me…
Mi circonda il collo con le braccia, appoggiando la tempia contro la guancia colpita. La seta dei suoi capelli mi solletica l’orecchio ed il collo.
- Sai che mi fa male colpirti, - mi sussurra teneramente, come se si fosse subito pentita del suo gesto, - Eppure non posso permettere che tu mi disobbedisca. Sei un bambino di fronte a me, Seishirou, e lo sarai sempre…
- Te lo porterò, - mormoro, - Te l’ho promesso.
- Davvero? E quando?
- Presto, presto…
Sorride con espressione scaltra, prendendomi il viso tra le mani per guardarmi meglio.
- Bravo, mio Sakurazukamori.
Avvicina le labbra alle mie, mentre le sue dita affondano fra i miei capelli. Dita fredde e sangue nel suo bacio. La stretta forte come quella di un albero. Non mi permetterà mai di disobbedirle ancora, il Sakura non ha pazienza…
E non lascerà mai che io le sfugga. Mai.

Da secoli, fin da quando è esistito il ciliegio, è esistito anche il suo guardiano e servo, il Sakurazukamori.
All’inizio, anche di fronte alle preghiere più accorate dei suoi seguaci, il Sakura rimaneva muto ed immobile, un albero vivo ma silenzioso, che comunicava con i suoi servi solo attraverso impulsi semplici ed estremamente umani.
Col tempo, le leggende della mia famiglia raccontano che sagome evanescenti, - maschili o femminili, dipendeva dal Sakurazukamori, - cominciarono a venire create dalla mente vegetale del ciliegio stesso, muovendosi e parlando come esseri indipendenti, ma allora non erano altro che illusioni realistiche.
Adesso il Sakura è migliorato parecchio. Il mio demone personale e padrone, - lui, lei, esso… Mi ricorda Kamui, per tutte le varie sfaccettature della sua personalità, - prende forme del tutto indistinguibili dai comuni esseri umani, se non fosse per il pallore innaturale della carnagione. Adesso non prova solo sentimenti primitivi, ma ne ha sviluppati altri ben più complessi… Come gelosia, possessività e desiderio, tanto per fare un esempio. Non saprei come definire in altra maniera l’ossessione della mia Sakura-sama verso Subaru.
La forma che il ciliegio ha deciso di adottare per me è quella di una donna, seguendo per divertimento le credenze che vogliono il Diavolo in forme femminili; ma anche per mia madre aveva scelto le stesse sembianze. Dipende tutto dai suoi capricci, come quando decide di mostrarsi. Mi ha detto la verità quando ha risposto che non deve avere un motivo per andare a trovare il suo Sakurazukamori: per lei è sempre stato così. Come me, non deve rispondere mai delle sue azioni a nessuno.
Credo di essermi assopito per qualche tempo, ma di non aver dormito effettivamente. Fuori sta albeggiando, e fra poche ore dovrò andare ad aprire il mio studio. Mi appoggio automaticamente una mano sul collo, dove mi sento bruciare, per poi passarmi la mano sulla nuca umida di sudore.
Solo Subaru può uccidermi, e solo io posso uccidere Subaru… Queste parole continuano a ripetersi nella mia testa. Mi pare un’affermazione più che logica. Entrambi possediamo il potere sufficiente per annientarci l’un l’altro, ed uno di noi deve per forza morire in questa guerra che pure non ci interessa intimamente. E che succederebbe se morissimo tutti e due? Sarebbe buffo, davvero. Subaru non vive forse per vendicare l’assassinio di sua sorella? Brutta cosa, non potersi nemmeno gustare la sospirata vendetta…
Naturalmente è impensabile che entrambi possiamo sopravvivere al conflitto. Non è semplicemente possibile. Il mio Sakura non accetterebbe mai l’idea di sapere vivo Subaru, e la mia preda non potrebbe mai accettare che la morte della sua amata gemella resti impunita. Insomma, siamo in un vicolo a senso unico.
Serro il colletto della camicia e tento di allacciarmi i bottoni usando le dita di una mano, mentre con l’altra vado alla ricerca di un bicchiere. E’ sempre un piacere sentir gorgogliare dolcemente il vino contro il vetro, è una sensazione così delicata… Rompere l’espressione impassibile di Subaru mi darebbe la stessa soddisfazione.
Butto giù il primo sorso di vino senza sentirlo nemmeno, perso come sono nei miei pensieri. Io e Subaru ci siamo incrociati alcune volte durante questo ultimo mese, ma ci siamo solo limitati a guardarci. La presenza di Kamui vicino a me lo tiene lontano.
Geloso, Subaru-kun?
E’ da quella volta al bar che non ci scambiamo qualche parola… Quel bel litigio da innamorati! Dovrei farlo più spesso, ma credo che il mio onmouji sia un po’ confuso. Lasciamolo crogiolarsi nel suo dolore ancora per poco, poi vedremo. Non ho alcuna intenzione di ucciderlo ora, naturalmente, e poco mi importa se Sakura-sama si arrabbierà per l’attesa prolungata. Non ho legami effettivi che mi uniscono a lei, se non quello forzato di Sakurazukamori. Subaru non appartiene a lei, ma a me. Penso che stasera fosse furiosa anche per questo motivo.
Torno alla finestra con il mio bicchiere in mano, e la apro.
Anche l’alba ha un suo odore delicato, come di sale sulla pelle, come di sole. E’ lo stesso odore di Subaru quando si svegliava alla mattina e mi trovava in cucina a preparargli la colazione, e mi rivolgeva un saluto pieno di sonno e riconoscenza. Quando mi chinavo a baciargli la fronte, i suoi capelli avevano sempre questo profumo d’alba.
Chiudo gli occhi ed inspiro a fondo. Per qualche attimo, questo sentore d’alba supera quello del vino nel bicchiere, di Sakura e di città. Ma è solo un momento, e poi Tokyo torna ad imporsi sui miei sensi appannati, con le sue lordure, i suoi segreti e la sua bellezza.
Finisco il mio bicchiere di vino, poi lo appoggio su uno scaffale presso la libreria. Non mi capita tanto spesso di sentirmi così sentimentale, meglio approfittare del momento. Scorro i titoli, finchè non vedo un libro che mi ha sempre ispirato molto… Un autore non giapponese, ma inglese di origine americana, mi pare. Le sue poesie mi sono sempre piaciute molto.
Apro una pagina a caso. Quel che leggo mi fa sorridere, tanto da mormorare quegli stessi versi sottovoce, anche se nessuno mi può sentire, se non gli ultimi rimasugli di questa notte morente.

Poiché la carne aveva desiderio delle frecce ardenti
Danzò sulla sabbia infuocata
Finché le frecce giunsero.

E come le abbracciava la sua pelle bianca
Si arrese al rosso del sangue, e se ne soddisfece.
Ora egli è verde, maculato ed arido
Con l’ombra nella bocca.




Bene, mo' si cominciano con le eresie vere e proprie... Non solo scomodo Eliot per la parte finale, no! Non rompo l'anima a tutti riprendendo il discorso Fuuma/Sakurazukamori/ Destino prestabilito che avevo messo nel chappi 4 di Angels, no! Metto dentro pure il demone del Sakura! Seishirou lo sto torturando, povero caro...
Seishirou: Subaru-kun, e poi dici a me che sono sadico?
Subaru: *da un'altra stanza* Voglio morireeeeeeeeeee....
Seishirou: Ma che gli avete fatto?
Loveless: Io e Fuu-kun lo abbiamo incatenato ad una sedia perchè ha tentato di buttarsi giù dal Raimbow Bridge quando ha scoperto che facevi da senzen a Fuuma ^^
Seishirou: Ma non gli faccio da senzen! (E perchè proprio dal Raimbow Bridge?)
Fuuma: Sei-san, perchè nasconderci nell'ombra? Dobbiamo dire a tutti chi siamo e che cosa facciamo, altrimenti non potremo mai vivere serenamente il nostro grande amore!
Seishirou: Ma chi cavolo mi avete affidato? Uno che si fa le fantasie perchè mi ha scroccato due gelati?
Loveless: Sai com'è, dopo un pò ci si stufa a molestare Kamui quando non si combina niente...
Seishirou: *in disparte, estraendo un cellulare* Pronto, Sakura-sama? Sì, sono io... Senti, non è che nell'attesa di Subaru ti può andar bene Kamui? Eh, lo so che è un piatto raffinato, ti voglio o non ti voglio bene? No, Kamui quell'altro, non il piccoletto... Quello con gli occhiali alla John Lennon! No? Senti, lo so che di solito preferisci gli uke, ma per stavolta non puoi chiudere un occhio? Qua si tratta della mia reputazione! Vabbè, può andare allora una sedicente autrice di fanfiction? No, è un pò magrolina, non c'è molto da tirar fuori...
(Loveless: Ti ho sentito, sai!)
No? Vabbè, se dici che vuoi Subaru... *riattacca*
Fuuma: Niente da fare, eh?
Seishirou: Nada ç_ç
Fuuma: Dai, andiamoci a tirare su con una bella maratona di film splatter-horror di ultima generazione! Andiamoci a vedere Sweeney Todd, il diabolico barbiere di Fleet Street! So che lì si tagliano un sacco di gole e la gente si mangia pasticci di carne umana ^_^ Fantastico, già l'adoro!
Seishirou: Avrete notizie dal mio avvocato...
Loveless: Andate e divertitevi! Io qua penso a Subaru-baracca! Subaru, che ne dici di vederci anche noi un bel film? Ideona! Il Film di X, dove tu e Seishirou vi ammazzate dopo otto minuti? ^^
Subaru: Voglio morireeeeeeeeee...
Okay, basta scemate e via alle cose serie: il brano finale è di TS Eliot, tratto dalla poesia "La morte di San Narciso", mentre le due righette iniziali che metto sempre (piccolo vizio ^^) appartengono ad un'altra sua poesia, "Il palazzo di Circe". La traduzione che in mio possesso dice: "I loro petali hanno zanne, e sono rossi con straiture e macchie orrende; germogliano dai morti..." Non vi ricorda un albero di nostra conoscenza? Io ho pensato subito al Sakura, chissà perchè...
Maki-chan, ti prego, non lapidarti così o mi sentirò in colpa! Non hai assolutamente nulla di cui scusarti, mettiti pure l'animo in pace ^^ Io manco sapevo cosa fosse un What if, figurati...
(Seishirou: Sarebbe stato meglio che non lo avesse mai saputo...
Loveless: Zitto, miscredente che non sei altro! Un giorno mi ringrazierai!)
Ehm, Lalla, carissima... Non avercela con me perchè non ti ho risposto subito al commento, lo sai che ti voglio bene sempre e comunque! Dai, che mi perdoni? Speriamo ^^
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 7
*** Pastless ***


"An aura of mystery surrounds her
The lady in brightest white..."


Aveva nove anni la prima volta che aveva visto sua madre.
Gli avevano spiegato che era una tradizione familiare, quella di portare via i figli appena nati dai loro genitori, in modo che crescessero senza dare eccessiva importanza ai legami di sangue.
E così era successo a lui. Era stato preso da Setsuka a forza, - gli avevano riferito che sua madre aveva lottato come una tigre, perché non lo portassero via da lei, - e cresciuto in una delle case di famiglia a Kanazawa.
Sembrava che fin da bambino, con un solo sorriso, riuscisse a far sciogliere chiunque ai suoi piedi. Le serve della famiglia a cui era stato affidato amavano toccargli i capelli e ripetergli che era un bellissimo bambino, bello come sua madre. Lui sorrideva a quei complimenti, e cercava di sapere di più: eppure non gli avevano mai detto altro, su Setsuka.
Per nove anni la sua vita era stata quella: gli studi, i pomeriggi passati in totale solitudine, e tutte le attenzioni che un bambino poteva desiderare.
Finchè decisero che era venuto il momento di farlo incontrare con sua madre.
Si occupò personalmente della propria valigia, il pomeriggio stesso in cui gli comunicarono la bella notizia, mentre alcune delle persone che lo avevano visto crescere in quella casa tentavano ogni scusa per avvicinarglisi e passare con lui qualche momento in più. Lui li lasciò fare, chiacchierando quando loro volevano farlo e lasciandosi coccolare quando la commozione li costringeva ad abbracciarlo. Loro sapevano che non l’avrebbero visto più: quando si diventa Sakurazukamori, è meglio rimuovere tutto ciò che lo legava al proprio passato.
Dopo gli ultimi abbracci, le ultime lacrime e gli ultimi auguri, Seishirou partì col treno diretto a Tokyo, il proprio bagaglio in mano ed un foglio su cui era segnato l’indirizzo di residenza di sua madre.
- Come la riconoscerò? – aveva chiesto ai suoi badanti, sul marciapiede della stazione.
- E’ la persona più bella che tu abbia mai visto. La riconoscerai, - gli avevano risposto loro.
L’indirzzo corrispondeva ad una casa tradizionale giapponese splendidamente conservata, l’unica presente nei sobborghi di Tokyo. Malgrado la temperatura fosse vicinissima allo zero e nevicasse, era vestito di una semplice uniforme scolastica di morbido velluto scuro, e non sentiva freddo.
Bussò, una volta davanti alla porta della casa ma scoprì che era aperta. Senza esitazione, spinse l’uscio che cigoliò dolcemente sui battenti, senza uno scricchiolio.
La casa era avvolta nella penombra. Seishirou appoggiò la valigia sul muro laterale, si tolse le scarpe infangate e camminò lungo il pavimento in tatami fino a trovarsi nel salotto.
C’era una bambina, inginocchiata sul pavimento, che guardava il giardino d’inverno riempirsi lentamente di una sottile coltre bianca. Indossava uno splendido kimono nero, con ricamati sopra elaborati ricami di candide camelie ed i capelli, anch’essi scuri, ricadevano sul tatami in una sorta di studiata eleganza.
Quando la bambina si girò verso di lui, Seishirou vide un sorriso gioioso aprirsi sulle labbra sottili da bambola, e gli occhi neri di lei sbatterono velocemente le ciglia, come per metterlo a fuoco. Le labbra cremisi, la pelle bianca come la neve che si stendeva soffice nel giardino, i capelli d’ebano… Sì, era davvero la persona più bella che avesse mai visto.
- Madre, - mormorò con un sorriso, muovendo un passo verso di lei.


Mattinata tediosa e completamente dedicata all’ambulatorio, come ogni giornata “normale” dovrebbe essere.
L’ultimo mio paziente, un bel cane dal pelo fulvo, è preso da un eccesso di simpatia improvvisa nei miei confronti e si mette a leccarmi con insistenza la faccia, facendomi andare gli occhiali da sole di traverso. Ayase si mette a ridere e devo aspettare che il suo attacco d’ilarità si calmi prima di riuscire a liberarmi di questa forma di riconoscenza molesta.
- Sei sicuro di sentirti bene, Sakurazuka-san? – mi chiede lui una volta che ha chiuso la porta.
- Mai stato meglio, - replico, mettendomi ad asciugare le lenti umide di bava con un fazzoletto, - Sembra che io stia male?
- Scusa… E’ che il caffè che compro io non ti è mai piaciuto, e stamattina ne hai bevute tre confezioni…
- Sempre meglio che addormentarmi sul tavolo da lavoro, non credi?
- Vuoi dire che non riesci a dormire? Soffri di insonnia?
Mio giovane assistente, devi sapere che la mia personale insonnia ha meno anni di te, ha qualche problema di personalità ed è un futuro mass killer…
- Più o meno.
- Dovresti andare da un dottore, - mi suggerisce Ayase, con la miglior faccia da amico/confidente che ha nel repertorio, - O crollerai per lo stress. Secondo me lavori troppo.
E molte grazie per l’acuta analisi psicologica.
- Va bene, andrò a farmi vedere da un dottore. La cosa ti fa stare più tranquillo?
- Sì, - chioccia lui, andando ad affacciandosi sulla sala d’aspetto, mentre io mi reinfilo gli occhiali puliti. Rimango sopreso nel vedere il mio assistente corrugare la fronte, aprire la bocca per dire qualcosa, richiuderla, sfregarsi gli occhi e guardare di nuovo.
- Qualche problema? – gli chiedo, quando torna a socchiudere la porta con aria perplessa. Lui scuote la testa con aria poco convinta. Non ho una buona sensazione.
- No, è solo che… - occhiata verso la sala d’aspetto, - Sai, c’è un ragazzo fuori che assomiglia davvero a mio fratello maggiore. Per un attimo ho pensato “caspita, è lui!”, ma poi mi sono detto che è una stupidata, perché mio fratello è in America a lavorare per una multinazionale… Bah, comincio ad avere le allucinazioni!
Adesso la sensazione è diventata molto, molto concreta. Il mio cervello lavora alacremente per cercare uno spiraglio d’uscita, ma non credo di poter effettivamente scamparla.
- E’ l’ultimo?
- Sì, c’è solo lui ad aspettare.
- E sono le sei meno cinque. Non hai un appuntamento con la tua bella fra una mezzora?
Sentendo tirare in ballo la sua vita privata, Ayaase diventa rosso pomodoro fin sopra le punte dei capelli biondi.
- Ehm… Sì, però ancora non ho finito di lavorare…
- Fammi un favore: corri a vestirti come si deve, comprale un mazzo di fiori ed arriva puntuale. Di miei problemi ne ho abbastanza senza che mi arrivino fidanzate inferocite perché trattengo i loro boyfriend fino a tardi. Ti voglio vedere fuori di qui entro trenta secondi.
Se potesse gettarmisi ai piedi e cominciare a baciare la terra su cui cammino, penso lo farebbe. Non c’è bisogno di saper leggere nel pensiero per vedere tutta la sua traboccante riconoscenza.
- Grazie grazie grazie!
- Hai già perso cinque secondi.
Docile come sempre, Ayase corre ad infilarsi il cappotto e, con un ultimo saluto ed un altro ringraziamento, infila la porta dello studio a velocità supersonica. Mi tolgo gli occhiali da sole e li lascio sul tavolo.
Il nostro Kamui mi sorride con fare innocente quando mi appoggio allo stpite della porta e lo fisso.
- Avevo detto “mai al lavoro”
- Lo consideri lavoro, questo? – mi chiede, abbracciando con lo sguardo tutta la sala vuota.
- Secondo quello che c’è scritto nel dizionario giapponese di Kodansha, lavoro è “un'attività produttiva esplicata con l'esercizio di un mestiere, una professione e simili e ha come scopo la soddisfazione dei bisogni individuali e collettivi, da cui si trae un vantaggio generalmente economico” Perciò sì, questo è lavoro.
Yuuko sarebbe fiera di me.
- Oh, perdonami se io e te non leggiamo gli stessi dizionari. Comunque okay, questa sarà la mia prima ed ultima volta qui.
Pausa di silenzio. Quando il suo sguardo abbandona i muri immacolati, torna a guardarmi con espressione quasi trepidante.
- Sei arrabbiato?
- Non sono arrabbiato, vorrei solo che mi ascoltassi qualche volta.
- Giuro, non lo faccio più…
- Promesse da marinaio.
- Io credevo ti riferissi all’altro lavoro, non a questo…
- Non che te ne importi più di tanto, vero? L’altro ieri mi ha disturbato mentre finivo di…
- Mi hai detto tu che a quell’ora finisci di lavorare!
Credo potremmo andare avanti all’infinito con questa storia, e mi sta venendo pure l’emicrania. Penso che Ayase abbia ragione, io lavoro troppo.
- A volte sei insopportabile, te ne rendi conto? – chiedo a Kamui, scuotendo la testa. Lui risponde col più candido dei sorrisi.
- Lo so e ne prendo atto. D’altronde, ho avuto un bravo maestro.
Non gli rispondo e non lo guardo negli occhi. E’ il suo sguardo che mi impensierisce, ed all’oro delle sue pupille preferisco il riflesso fuggevole della finestra semiaperta. Un filo di vento entra nella stanza, muovendo appena la copertina di una rivista abbandonata sul tavolo vuoto.
Mi siedo vicino a Kamui, sulle sedie di plastica dura della sala, e mi appoggio una mano davanti agli occhi, premendomi le dita sulle palpebre chiuse. Il mal di testa sta aumentando pericolosamente. Ecco cosa succede a dormire una manciata di ore al mese, quando lavori praticamente ventiquattro ore su ventiquattro…
- Come mai sei venuto qui ora? Se non potevi aspettare fino a stasera… - comincio, aprendo gli occhi, ma lui scuote la testa imponendomi il silenzio. Solleva una mano e mi tocca la fronte, prima di cominciare a massaggiarmela lentamente.
Lo lascio fare. Pelle tiepida contro pelle fredda, un contatto piacevole. Non sorride nemmeno, il che è un buon segno, nonché un piccolo sollievo.
- Come va? – chiede lui dopo un interminabile minuto, lasciandosi ricadere la mano in grembo. Annuisco.
- Bene.
- Okay. Devi portarmi da qualche parte, Sakurazukamori?
Lo fisso, sorpreso. Non c’è né ironia né malizia nei suoi occhi, solo una paziente attesa.
- Io devo portarti da qualche parte? Cosa succede, la tua sconfinata fantasia ha un periodo di vuoto? – chiedo, abbozzando un sorriso. Kamui rimane a guardarmi, serio ed attento.
- Sì. C’è un posto dove devi portarmi, - ripete.
Rifuggo nuovamente il suo sguardo, fisso le mie mani abbandonate sulle ginocchia. Ho ancora il mio camice da lavoro addosso. Le mie mani sono pulite, le lavo alla fine di ogni visita… Eppure il palmo destro è viscido di liquido rugginoso, raggrumato sulle mie dita. I miei palmi sono più piccoli, le dita più sottili. Lo spiraglio d’aria è un vento gelido che mi porta sul viso qualche fiocco di neve solitario. Le mie ciglia sono gelate, le guance doloranti di freddo invernale.
Inverno, sì, a dicembre nevica e fa sempre molto freddo, qui in Giappone…
- Vieni, - dico a Kamui, che annuisce e mi aiuta a sfilarmi il camice dalle spalle. La mia giacca è ripiegata accuratamente sullo schienale di una sedia, le chiavi dello studio tintinnano quando infilo le mani nella tasca. Rimango a soppesarle per qualche secondo, chiedendomi se davvero non sto facendo una sciocchezza.
Kamui è in piedi sulla porta, le braccia incrociate e l’eterno sorriso aleggiante sulle labbra.
- Andiamo?

Il cancelletto d’ingresso manda uno sgradevole cigolio di cardini non oliati, quando lo apro. La ruggine rimane a coprire la pelle nera del guanto come una patina rossiccia, e non va via nemmeno quando sfrego insieme le due mani. Kamui è dietro di me, silenzioso come non mai.
- E’ qui?
Annuisco senza guardarlo. Mano a mano che avanzo lungo il vialetto di ghiaia, frammenti della mia memoria tornano a riunirsi come i pezzettini di un puzzle. Sono molti anni che non torno a camminare per la mia vecchia casa.
Getto uno sguardo alla bassa costruzione in stile tradizionale che si innalza, imponente quanto potrebbe esserlo una prigione, davanti a noi. Ricordo l’ombra delle finestre alla luce della candela posata sul pavimento in tatami, lunghe sbarre scure sulle pareti bianche. Era sera, il giorno in cui ho messo piede per la prima volta in questa casa.
La porta è bloccata, così come l’ho lasciata tempo fa. Riesco ad aver ragione della serratura con l’aiuto di un ofuda, e lo scatto dell’uscio che si sblocca sancisce il mio definitivo ritorno al passato.
L’aria è pesante, di un luogo rimasto al chiuso per tanto, tantissimo tempo. Uno spesso strato di polvere ricopre i tatami, impedendoci di sfilarci le scarpe e lasciarle nell’ingresso, come sarebbe consuetudine fare, ma almeno non ci sono ragnatele agli angoli dei muri.
La luce è abbastanza forte da filtrare attraverso gli shoji. Dischiudo quello a me più vicino, mentre Kamui svanisce, dietro di me, andando ad esplorare la casa per conto suo.
Mi ritrovo a guardare, anche se la parziale luce gli conferisce le tinte pastello di un abbozzo di un dipinto, lo stesso salotto in cui mi sono seduto molte volte assieme a mia madre, a sorseggiare il thè e a guardare il giardino d’invernosul retro della casa attraverso la finestra lasciata dallo shoji spalancato. Sotto le suole delle mie scarpe, vedo delle chiazze scure di sangue vecchio macchiare il pavimento.
- Ho trovato questa.
Kamui mi raggiunge, camminando sulle punte dei piedi come se volesse rispettare una sacralità tutta sua, e mi porge il bocciolo raggrinzito di una camelia che, un tempo, doveva essere stata di un violento scarlatto. Sento i petali crepitare, quando stringo il fiore in mano.
- Era appoggiata sulla tua scrivania, - mi spiega, - Sembra che qualcuno l’abbia lasciata lì perché tu la trovassi.
Mi accosto il bocciolo vicino alle narici. Non mi aspetto nulla da un rimasuglio appassito, com’è naturale, eppure questi petali morenti sprigionano lo stesso odore di un fiore in boccio.
- Posso chiederti una cosa?
Inspiro il profumo della camelia un’ultima volta, poi stringo il pugno. Un’ultimo gemito di carta appallottolata, e poi il fiore si polverizza nella mia mano. Non ne rimane nulla, quando apro di nuovo il palmo, solo lo spettro di quella fragranza penetrante di bocciolo appena dischiuso.
- Puoi.
- Hai mai provato qualcosa nei suoi confronti?
Abbasso il braccio. La polvere sottile scivola via dalla pelle del guanto e si dissolve nell’aria, come catturata da un vento invisibile.
- Lei diceva di amarmi.
Mi muovo verso lo shoji che dà sul giardino e lo apro con uno scatto che fa tremare la sottile copertura di carta.
Il Sakura, bello e maestoso, getta un’ombra fitta sul mio viso e sugli occhi di Kamui, di fianco a me. La terra nuda è impregnata di umidità, come la sottile patina bagnata che copre le pietre del sentiero, ed emana quell’odore tipico delle zolle appena smosse. I cespugli di camelie, raggruppati contro il muro di questa casa, sono punteggiati di macchie cremisi. Presto sarà tempo di fioritura.
- E a me faceva piacere che lei lo dicesse. Sapevo che era tutto vero.
Kamui fissa pensieroso il Sakura. Passa una brezza più forte di vento, ma i petali rosa pallido del ciliegio non hanno un fremito.
- I desideri… - mormora a fior di labbra, - E poi il nulla del baratro… Un momento di beatitudine, e poi solo il buio. Morire, addormentarsi nella neve… che differenza fa?
Per un attimo il suo tono si incrina d’angoscia. Lo guardo, ed i suoi occhi sono spalancati come quelli di un bambino. Quasi impauriti.
- Perché? – mi chiede, incredulo e rassegnato al tempo stesso, - Perché è solo la morte ciò che si desidera? Perché non c’è nient’altro, Seishirou?
E’ la prima volta che mi chiama solo per nome, e ciò mi fa capire quanto sia sincero il suo smarrimento, quanto profonda sia la sua ferita. Lui è così umano, in fondo, e soffre.
Sembra sul punto di spezzarsi, fragile quanto potrebbe esserlo Subaru se si trovasse fra le mie braccia, quando mi appoggia la testa sul petto, scosso da un tremito violento che non riesce a controllare. Infilo la mano guantata fra i capelli sulla sua nuca, e guardo il Sakura. Anche Kamui riesce a sentire questa risata di donna nelle mie orecchie? Riesce ad udirla, e soffre anche per questo?
La sua guancia scivola sopra il mio cuore, e Kamui rimane ad ascoltare in apnea il suo tranquillo battito cadenzato. Nella certezza della morte, lui cerca qualcosa che gli parli di vita. E questo è tutto ciò che posso offrirgli. Non capisco, non comprendo, eppure lui capisce me.
- Andiamo via, - dico, scostandolo da me e richiudendo lo shoji, - Hai visto ciò che dovevi vedere.
Ed anch’io.

- Madre, cosa vuol dire che una persona è speciale, per un Sakurazukamori?
Lei sorrise e gli fece cenno di sedersi vicino a lei. Seishirou si sfilò dalla spalla lo zaino scolastico e si accucciò vicino alla madre, attendendo una risposta.
- Potrei darti alcune definizioni che a me sembrano autentiche, - mormorò lei, con la stessa alterigia con cui rispondeva alle domande molto importanti, - Ma la verità è che una persona è speciale per noi solo quando desideriamo vedere il nostro sangue scorrere sulle sue mani.
- Madre, non riesco a capire quello che vuoi dirmi.
- Lo so, non è semplice da capire, - rise lei, scostandogli una ciocca di capelli dal viso, - Ma proprio perché è un concetto difficile da assimilare per la nostra natura, è ancora più splendido da scoprire, alla fine. La nostra persona speciale all’inizio non è che un sussurro sommesso, vagamente appannato nei nostri pensieri… Ma è quando il suo pensiero si fa prepotente e non rimane che lui, allora saprai di aver trovato chi cerchi.
- Ed il Sakura, madre?
I suoi occhi si fecero più cupi, la sua risata più bassa.
- Il Sakura odia chi si contende il suo Sakurazukamori. E’ vendicativo, e vuole per sé ognuno dei suoi servi. Non sopporta che per noi esista qualcun altro oltre a lui… Il suo cuore di legno non accetta tradimenti.
Abbassò lo sguardo, quasi confusa, e cercò la sua mano. Lui non si oppose quando sua madre la trovò e la strinse.
- Madre, perdonami. Ti ho angosciata, con questa stupida domanda.
- Non è stupida. Dovevi farla, prima o poi…
Sorrise nuovamente, ed il suo viso da bambola sembro riacquistare allegria. Sciolse la stretta alla sua mano.
- Vieni qui, Seishirou. Vieni fra le mie braccia, mia persona speciale.




Okay, sono ancora in fase nostalgica post concerto Nightwish… E penso si veda, vero? ç_ç Mi sarò ascoltata ventimila volte Ever dream durante questo capitolo… E’ passata solo una settimana e già voglio tornare a vedere Tuomas in cammesella slacciata e Marco che prende in giro Annette… Waaaaaaaaaaaa!
Scusate lo sfogo, ma l’amarezza è grande… Durerà un altro paio di mesi, purtroppo per voi.
Mi rendo conto che questo capitolo è molto diverso dai precedenti… Ma sinceramente, mi è piaciuto molto scriverlo. Setsuka è una figura che mi ha sempre affascinato molto (Amaranth insegna, già già) e Fuuma angosciato è una delle soddisfazioni più grandi che mi abbia mai dato il lavoro di fanwriter… Mi fa quasi pena, povero lui!
Ragazze, vi ringrazio molto per i commenti; sapere che la mia storia vi piace è una soddisfazione non da poco (e stavolta dico sul serio), e se continuo a scriverla è grazie a voi. Facciamo così: vi dedico questo capitolo, con la speranza che un giorno possiate perdonare Setsuka (so che qui gente vuole vederla morta…)
Al prossimo chappi!

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Capitolo 8
*** Halfless ***


"Old loves they die hard
Old lies they die harder..."

Ying e Yang.
Bianco e nero.
Il giorno che si tramuta in notte.
Il lato nell’ombra e quello in luce della collina.
Due metà che si equivalgono perfettamente, che si trasformano e mutano.
Due mondi opposti.
Molti pensano che sia un concetto semplice da capire: la realtà non può essere più diversa. Certo, l’idea di due cose diverse e distanti in tutto e per tutto è di per sé basilare, ma non è altrettanto immediato realizzare che questi due poli abbiano radice l’uno nell’altro.
Per me e Subaru, onmouji di professione, questa è stata una delle regole basilari che ci hanno insegnato da piccoli. Non possiamo esistere l’uno senza l’altro, come i due Kamui non possono separarsi, in quanto nati per contrapporsi.
E’ così anche per me e lui. Le nostre esistenze non hanno valore se viste singolarmente, hanno significato solo se unite. Un Sumeragi senza un Sakurazuka non può esistere.
E viceversa?
Forse è anche per trovare una risposta a questa domanda che stanotte l’ho cercata, la mia perfetta metà, la mia parte sempre in luce. Non ho tentato di rintracciare Subaru come farebbero tutti i normali esseri umani, frugando fra la folla con l’occhio che mi è rimasto: no, l’ho cercato come un Sakurazukamori rintraccia la sua preda, con la semplice forza della sua mente e del suo istinto di cacciatore.
Mi ha stupito trovarlo qui, nello stesso cimitero dove, a ben pensare, è cominciato tutto quanto ciò che mi unisce alla fine del mondo. Saranno passati quasi due mesi, da allora, eppure io mi sento invecchiato di secoli.
Subaru si infila le mani nelle tasche del cappotto e risale lentamente il viottolo di ghiaia che si srotola verso una piccola altura. Io mi attardo a guardare il punto che lui stava fissando solo pochi secondi fa, e quando riesco a distinguere il nome scritto a caratteri dorati sulla lapide nella luce morente del giorno mi sfugge un sorriso.
Stesso luogo, stessa tomba. Che sia anche questa una coincidenza da aggiungere alla lista di tutte quelle che mi sono capitate negli ultimi tempi? Kamui scuoterebbe energicamente la testa, dicendo “Naaa” con quel modo tutto suo di sorridere ironicamente che gli brilla sia negli occhi sia sulle labbra. Ma in questo momento non voglio pensare a Kamui.
Mi accendo l’ennesima Mild Seven della giornata e giro la testa di lato, verso il Sakura che sembra brillare di una luce soffusa solo per il mio sguardo dimezzato. Allungo una mano per catturare un petalo fuggente in quest’aria profumata di morte che solo il mio albero può portare con sé, e lo stringo fra due dita.
- Un po’ di pazienza, - mormoro, in direzione dell’albero di ciliegio, - Presto finirà anche questo gioco.
Si alza un flebile vento che ha appena la forza di spezzare il filo di fumo della sigaretta fra le mie labbra. Apro la mano ed il petalo di Sakura fluttua via, finendo nell’erba giallastra ed essiccata ai lati delle tombe.
Subaru è chinato su una lapide che prima non avevo mai visto in questo posto. I bastoncini d’incenso sono ancora intatti, e le intemperie ancora non hanno scavato il marmo candido della tomba. Subaru tira fuori una mano dalla tasca, e vedo un piccolo nastro rosso brillare vivido fra le sue dita. Il campanello emette un piccolo suono argentino, quasi beffardo in questo luogo, quando viene appoggiato contro la pietra liscia.
- Si è lasciata morire, dunque, - commento, quando Subaru raddrizza la schiena e si volta verso di me.
- Non poteva sopportare di vivere oltre, nonostante l’amore di coloro che la circondavano, - risponde lui, seccamente. I suoi occhi che mi fissano pieni di freddo autocontrollo provocano un allargamento spontaneo del mio sorriso.
- Mi sorprende vederti qui, Subaru-kun… In questo luogo di morte.
- La morte si vede ovunque, non solo nelle foglie cadenti degli alberi o nelle radici di un Sakura. Tokyo stessa è diventata un carnaio, dopo l’avvento del secondo Kamui.
- Stiamo osservando solo l’inevitabile decadenza di questa Babilonia troppo fastosa che tutti amiamo. Non soffrirci troppo.
- Lungi da me farlo, Seishirou-san.
- Giusto, perché a te non importa nulla della Terra, figurarsi di Tokyo. Come l’hanno presa gli altri sigilli, quando glielo hai riferito?
Subaru stringe appena la bocca, e le sue labbra impallidiscono per la forza con cui si serrano fra loro.
- Ah, non gliel’hai ancora detto? Male, molto male. Non bisogna forse condividere tutto con i propri compagni?
- Proprio tu parli? Tu, che nemmeno conosci il significato di quella parola?
- Vuoi la definizione completa oppure ti basta una mia sintesi personale?
- Hai capito ciò che voglio dire.
- Certamente. E so altrettanto bene che anche tu, come me, non hai la minima idea di cosa significhi stare in un gruppo, sostenersi e sciocchezze del genere. Non prendiamoci in giro, Subaru-kun, noi due siamo outsider che stanno bene così come stanno.
Subaru non mi risponde, stavolta. Il suo sguardo si fissa sul ciliegio alle mie spalle, e per un attimo i suoi occhi si svuotano di collera, perdendosi fra i petali frementi del Sakura.
- Bellissimo spettacolo, non è vero? – gli domando, facendo qualche passo nella sua direzione.
- Un bellissimo strumento di morte, - puntualizza lui, cercando qualcosa nella tasca del suo cappotto. Tiro fuori il mio pacchetto di Mild Seven e glielo porgo, aprendolo con uno scatto del pollice. Subaru non mi degna di un’occhiata e sfila una sigaretta dal gruppo, portandosela alle labbra in un gesto automatico.
- Fumi troppo, Subaru-kun. Ti si svilupperà un cancro ai polmoni nel giro di pochi anni. Nessuna persona normale riesce a farsi fuori un intero pacchetto di Marlboro Lights in un pomeriggio.
- Queste sigarette sono troppo forti, - mormora lui, dopo la prima boccata. Soffoca un colpo di tosse e mi fissa cercando di mantenere un’espressione sostanzialmente nautrale.
- Adesso mi dici come sai delle…
- Ma prima di queste hai preso delle Premier. E prima ancora, delle Camel, astuccio da venti pezzi. Corretto?
La sua risposta è uno sbuffo di fumo che si dissolve subito fra i rami del ciliegio in fiore. Subaru rimane in silenzio per un po’, come se stesse riflettendo. L’aria si è fatta più fredda. Sembra che anche l’inverno si avvicini a grandi passi, come la fine del mondo.
- Rispondimi tu, - dice Subaru. Sbatto gli occhi un paio di volte per mettere a fuoco la sua espressione ferma. Sono praticamente al suo fianco, più vicino di quanto non lo sia stato nel nostro incontro precedente.
- Alla domanda di prima?
- Alla domanda di prima, - conferma.
Si è tolto di bocca la sigaretta, per parlare. Fa per riportarsela alle labbra. Gli prendo il polso sinistro con due dita della mancina, stupendomi leggermente di quanto sia sottile e delicato. Se premessi di più, ho la sensazione che sentirei spezzarsi le sue ossa di vetro. Forse gli lascerò un livido.
- Lo so perché sono sempre un passo dietro di te, mio onmouji, - mormoro, socchiudendo gli occhi e reclinando appena il viso verso di lui. Gli sono vicino abbastanza per riuscire a distinguere il suo odore d’alba dall’intenso aroma dolciastro del ciliegio.
- “Mio”, - replica Subaru con disprezzo, irrigidendosi leggermente quando sente il mio naso sfiorargli la nuca.
- Sì. La preda non appartiene forse al suo cacciatore?
- Sono una preda che non sei riuscito a cacciare, - puntualizza, con un tremito nella voce che mi compiace intimamente, - L’hai detto tu al Sunplaza, Seishirou-san.
Sollevo il dorso della sua mano all’altezza dei nostri sguardi. La sua pelle è talmente bianca che il mio unico occhio riesce persino a scorgere le vene azzurrine che l’attraversano. Pelle bianca, quasi trasparente… Finchè non premo con forza il pollice sul dorso, e la sua mano viene attraversata da uno spasmo di dolore.
Schiaccio le dita contro le sue, impedendogli di chiuderle a pugno, e rimango a fissare i contorni del pentacolo rovesciato che vanno delineandosi sempre più chiaramente. Anche Subaru pare ipnotizzato da quella rivelazione che pure ha visto molte volte, e nemmeno lui riesce a staccare gli occhi dalle linee color sangue della stella che gli ho impresso quattordici anni fa.
- Erano molti anni che non lo vedevo, - dico quando vedo il pentacolo bruciare, macabro in tutta la sua lucentezza purpurea.
Gli occhi di Subaru si scolorirscono di colpo come quando, anni fa, l’avevo imprigionato nella mia illusione e stavo per far finire quella sciocca scommessa che ancora ci lega. Rigido tra le braccia in cui lo sto imprigionando, il suo sguardo è inespressivo e vuoto come quello di plastica nera di un pupazzo. Lo stesso silenzio, lo stesso abbandono, la stessa passività… Sembra tutto come allora.
- Non sarà sempre così, - lo sento dire, neutrale e distante, la sua personale sopportazione di tutto ciò che sta subendo.
- Oh, no. Finirà, come finisce ogni cosa. Il gioco è bello quando dura poco, si dice. Eppure…
E’ un attimo, e le mie labbra sfiorano il marchio sulla sua mano. La sua apatia si rompe come la superficie di un vaso scagliato con rabbia sul pavimento, ed il suo corpo è attraversato da uno spasmo di dolore che lo scuote da capo a piedi. Le mie braccia si serrano con più forza attorno al suo busto, mentre Subaru fa qualche tentativo, ancora spinto dal trasporto del dolore, per liberarsi dalla mia stretta.
- Eppure con te il gioco si fa più divertente man mano che il tempo passa.
- E’ per questo, dunque? Perché speri forse di farmi impazzire, continuando questa follia? – mi chiede, quando i brividi si acquietano.
- Certamente no. So benissimo che sarebbe tempo sprecato.
Guardiamo entrambi l’albero di ciliegio, come se dentro le nostre teste, nel medesimo istante, qualcuno avesse premuto un interruttore.
- Lì si dibattono tutte le anime di coloro che sono stati sacrificati ai ciliegi, - spiego a Subaru, come se mi avesse chiesto lumi su chi o cosa sono condannato a servire per il resto della mia vita, - Secoli e secoli di morte… Sono tutti qui. Se non fossero dentro al Sakura, ad alimentare la sua sete, vagherebbero sulla terra come fantasmi. Spiriti che urlano senza mai trovare pace.
- Anche mia sorella?
Smetto di guardare il ciliegio e mi concentro sulla mia nemesi. La luce che brilla fra le sue palpebre socchiuse riesce ad attirare il mio sguardo come una calamita, una scintilla che splende talmente forte da farmi dimenticare dove mi trovo e riesce ad ovattare le grida che mi riempiono le orecchie.
- Questo non so dirtelo, - rispondo sinceramente, - E’ impossibile vedere o sentire una sola persona in mezzo ad una folla. Se la sua voce si levasse più alta di altre sì, la sentirei… Ma se facesse come tutte le altre anime, per me sarebbe impossibile distinguerla. Però può darsi che la sua anima sia stata talmente forte da riuscire a liberarsi dai rami del Sakura… Per proseguire.
A volte penso che sarebbe davvero sorprendente rendersi conto che Hokuto Sumeragi è riuscita nell’impresa che nessun prigioniero dell’albero ha mai compiuto… Perché rientrerebbe appieno nella categoria “troppo testarda per arrendersi” in cui l’ho classificata tempo fa. Sarebbe proprio da Hokuto, riuscire a giocarmi uno scherzo mancino del genere.
- E’ Hokuto-chan, - dice Subaru, dopo qualche attimo di silenzio, - So che ce l’ha fatta.
Sorrido. Se sapesse quanto è forte la stretta di Sakura-sama, non sarebbe così sicuro di ciò che dice. Ma perché togliergli questa ulteriore illusione? Io stesso ci credo.
- Mi hai aspettato qui. Perché? – gli chiedo, lasciando cadere momentaneamente il discorso.
- Ero venuto per quella ragazza, - dice Subaru, trovando la forza per allontanarsi bruscamente dal mio abbraccio ormai allentato, - Volevo vedere ancora una volta a che cosa ha portato la tua follia.
- E’ così che mi reputi, Subaru-kun? Un folle?
L’affermazione è così splendidamente ingenua che non riesco a trattenermi dal ridere. Non è un riso di scherno, il mio, eppure vedo il volto di Subaru scurirsi come se lo fosse.
- Folle? Per tutti gli dèi, Subaru-kun. I folli stanno chiusi nelle cliniche psichiatriche a parlare con una folla di amici immaginari o si trovano al governo delle nazioni. Un folle non sarebbe mai stato capace di fingere per un anno intero di essere qualcun altro, né di fare tutte le cose che sono riuscito a fare. Per definire gente come me esiste una parola molto semplice, che però nessuno ha mai voglia di dire perché si preferisce usare la definizione “pazzo”. Ma concorderai con me nel dire che così è troppo semplice, così è troppo sbagliato.
- Pazzo continua a sembrarmi la definizione più adatta. Ogni altra cosa mi sembrerebbe riduttiva.
- Come preferisci, - concludo, scrollando le spalle e sorridendo indulgente alla mia nemesi. Scosto leggermente la manica destra della giacca e fisso le lancette ticchettanti dell’orologio che porto al polso.
Cielo, è piuttosto tardi. Kamui si starà chiedendo perché sto ritardando tanto.
- Comunque sia, Subaru-kun… Si sta facendo tardi ed anche stavolta impegni di lavoro mi constringono a lasciarti prima del previsto.
Subaru non risponde, come del resto non mi ha risposto a Nakano. Il suo sguardo si assottiglia ancora di più quando allungo la mano e gli stringo parte della guancia in un buffetto scherzoso, come quello che si farebbe ad un bambino.
- Hai dentro gli occhi l'alba e l'occaso, ed esali profumi come a sera un nembo repentino, - mormoro, fissando con una certa soddisfazione quegli occhi che si dilatano leggermente, quasi stupiti.
E poi, solo il vortice che mi avvolge nel profumo del Sakura, i petali di ciliegio taglienti e la notte ormai caduta su di noi.

Nel cimitero ormai vuoto, concedo un’ultimo sguardo al ciliegio alle mie spalle.
La corteccia raggrinzita ed i rami nudi di un albero morente, senza foglie né fiori, formano una strana figura magra e sghemba che tende supplicando le proprie braccia scheletriche al cielo notturno.
Non c’è più odore, se non quello di muffa e di incenso bruciato.
Non c’è più nulla, qui.

Kamui non dà segno di avermi sentito rientrare in casa. E’ troppo occupato ad ascoltare una canzone alla radio che io non ho mai sentito, ma che lui sembra conoscere piuttosto bene, visto che le sue labbra si muovono all’unisono con la voce roca del cantante.
Ha gli occhi chiusi, le mani intrecciate dietro la nuca, - sdraiato com’è sul divano, - e dondola un piede a tempo col ritmo ritmato della musica. La sua voce si fa più udibile, così che riesco a distinguere anche le parole della canzone. Ha anche una bella voce.
- I am the voice inside your head, I am the lover in your bed, I am the sex that you provide, I am the hate you try to hide…
Apre gli occhi senza preavviso, poco prima che io riesca a spegnere lo stereo, e sorride nella mia direzione.
- And I control you…
Un secondo dopo, ruoto bruscamente la rotella del volume verso sinistra, e la musica si spegne del silenzio.
- Kamui, passino le cene, passino le serate al cinema, passi tutto… Ma certe cose non le voglio sentire in casa mia.
- Erano i Nine Inch Nails. Li conosci, Sakurazukamori? – mi chiede lui, fingendo di non aver sentito la mia polemica.
- No, e ho vissuto benissimo per più di trent’anni senza averli mai sentiti.
- Dai, che alla fine sono bravi. Com’è andata col Sumeragi?
Stavolta è il mio turno di fingere di essere diventato sordo momentaneamente, e vado a versarmi una tazza di caffè. L’ho fatto pochi minuti prima di uscire di casa ed ormai si è raffreddato, ma lo bevo così com’è. E’ comunque buono.
Kamui mi si avvicina da dietro e mi prende la tazza di mano, prima di portarsela a sua volta alla bocca. Fa una strana smorfia dopo il primo sorso, e mi tende nuovamente la tazza.
- Secondo me metti troppo poco zucchero nel caffè.
- Mi piace così.
- Certo, - sospira lui, quasi rassegnato, - Se ti piacciono i depressi cronici dagli occhi verdi, perché non dovrebbe piacerti il caffè amarissimo?
- Dopo questa battuta di pessimo gusto, voglio vedere come riesci a scroccarmi ancora qualcosa, ragazzino, - replico, ghignando leggermente.
- Questo è tutto da vedere…
- E’ per colpa delle persone come te che mi sto riducendo al collasso.
- Ma non esiste nessuno come me, - ride Kamui, chiaramente divertito.
- Sono pienamente d’accordo. Propongo un minuto di silenzio per ringraziare gli dèi di avermi concesso questa benedizione.
- Come se ti dispiacesse avermi in casa… A chi vuoi darla a bere, assassino dei miei stivali?
- A proposito di bere, lasciami finire questo caffè. La discussione si riprende dopo.
- Bene, allora cominciamone subito un’altra: cosa c’è di buono da mangiare, stasera?
- Tre cose: niente, nada e nothing.
- Sto seriamente pensando di farti venire di traverso il caffè, Sakurazuka, ma sono uno che perdona… Perciò, stasera si cambia! – chioccia Kamui allegramente, battendomi una mano sulla spalla. Lo sento allontanarsi, ma nemmeno quando mi sporgo all’indietro il mio occhio buono riesce a rintracciarlo.
Sparito?
Torna dopo due minuti, stringendo in mano un foglio color arancione e, santo cielo, un cellulare.
- Stasera c’è il take away, - mi annuncia orgogliosamente, - Tu che prendi, Sakurazuka?

Piove.
Sotto di me, in strada, si sta tentando di spegnere l’incendio che il Sunshine Building ha provocato con la sua caduta.
La seconda barriera è stata abbattuta. Non ad opera mia.
Ed anche qualcos’altro è successo, ma non sono stato io a compiere quel gesto.
Dentro di me, cerco qualcosa che possa essere scambiato per rabbia, gelosia o altro, semplicemente qualcosa che possa testimoniare il mio orgoglio infranto.
Quando viene tolto il sigillo di inviolabilità alla propria preda e questa viene toccata da qualcun altro, il cacciatore dovrebbe sentirsi tradito nel proprio onore… Ma non è così.
Anche dopo aver visto il sangue di Subaru macchiare le mani di Kamui, io non provo nulla.


NOTE: Dopo un'era geologica, ecco un nuovo aggiornamento! Devo ammetterlo, quest'ultimo capitolo mi ha fatto dannare. La scena fra Subaru e Seishirou ha avuto qualcosa come dieci riscritture, ma adesso sono contenta di come è venuta fuori. L'idea di tornare nel cimitero descritto all'inizio della storia è venuta grazie alla visita scolastica nel cimitero di Père-Lachaise a Parigi, davanti alle tombe di Victor Hugo ed Oscar Wilde... Sarò ripetitiva, ma il progetto di questi due davanti ad una tomba mi attizzava troppo ^^
La frase che il Sakurazukamori dice alla fine del dialogo con Subaru "Hai dentro gli occhi l'alba e l'occaso ecc ecc" purtroppo non mi appartiene (me l'avesse detta un ragazzo una frase così, gli sarei saltata al collo subito... Ma Subaru è Subaru, povero cucciolo XD) ma è di proprietà di un certo Baudelaire, che non mancherò mai di lodare per aver scritto poesie che sono una meraviglia, mentre la canzone dei NIN che canta Fuuma è Mr Self Destruct.
Ovviamente ringrazio tutti coloro che continuano a seguire la storia e a chi commenta ^^ Alla prossima!

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Capitolo 9
*** Nameless ***


"How many times must we lie
Before we can descend into hell?”



Si sentono solo i miei passi, nella nebbia.
I suoni del traffico e dei pedoni, numerosi nonostante il tempo, che si trovano svariati metri sotto i miei piedi, arrivano ovattati alle mie orecchie, come se l’aria stessa fungesse da muraglia da me e loro.
Tolgo una mano di tasca e me la passo sul viso. L’umidità si è rappresa sulla mia pelle come una pellicola sottile e bagnata, tuttavia non fastidiosa.
Sono solo, ovviamente. Non ho avvertito Kamui della mia gita notturna, anche perché è da due giorni che tengo chiusa per lui la porta del mio appartamento. Penso che abbia capito il motivo, o se ha male interpretato il mio atteggiamento sono affari suoi. Non sono arrabbiato, non provo rabbia di alcun genere verso di lui, ho voluto solamente ritagliare un po’ di tempo per me e per i miei pensieri.
Penso comunque che sia stato un errore, erigere così d’improvviso una barriera che ci separi. Non ci ho mai pensato prima di oggi, ma Kamui è entrato così radicalmente nella mia realtà quotidiana che non averlo appresso la sera, non litigare con lui davanti ad una coppa di gelato alla stracciatella, non discutere dopo la proiezione di un film appena arrivato dall’occidente o cose simili suscita dentro di me un senso di insoddisfazione. Se decidessi di mantenere questa distanza non ho dubbi che anche questa sensazione passerebbe, ma perché dovrei continuare? Ho avuto fin troppo tempo per riflettere, in questi giorni. Andrò a cercare Kamui, domani forse, e riprenderemo tutto com’era prima.
E per quanto riguarda Subaru… Abbiamo parecchie cose da chiarire, noi due.
Mi fermo di colpo, appena prima di scavalcare con un passo una superficie rialzata che mi intralcia il cammino. Ho la sensazione, chiarissima e sicura, di non essere più solo.
Mi guardo attorno, ma a circondarmi vedo solo questo spettro bianco di nebbia, paesaggio che osservo ormai da quasi mezzora. Trenta minuti: giusto il tempo di andare dallo studio veterinario all’ospedale in cui hanno ricoverato Subaru.
Passo a camminare sul tetto dell’edificio successivo, fingendo di essermi tranquillizzato. Continuo a camminare rasente al cornicione, così da poter vedere, anche se sfuocate, le luci della strada sottostante. Ho cinque minuti di relativa tranquillità prima che la sensazione si rifaccia nuovamente strada fra le mie percezioni, nitida come non mai. Ma credo di aver capito di chi si tratta.
Non l’ho sentito perché cammina sovrapponendo il suono dei suoi passi ai miei, con una cadenza perfetta. Solo una persona in questo mondo è in grado di imitare così bene le mie posture ed i miei gesti abituali, come ho avuto modo di scoprire.
Mi fermo, stavolta meno bruscamente. Ho tutto il tempo di rallentare e di guardarmi attorno, anche se so benissimo che non vedrò nessuno. Sospiro, un piccolo sbuffo bianco che risulta invisibile nell’aria umida della notte.
- Ho un occhio solo ma i timpani li ho entrambi, e perfettamente funzionanti. Vieni fuori, Kamui.
Sento una risata dietro di me. Osservo la patina opaca della nebbia sfilacciarsi lentamente, facendo spazio ad figura scura che delinea i suoi contorni nel bianco. Prima Kamui è solo una macchia indistinta, poi riesco a distinguerne viso, spalle e busto.
- Ci hai messo un po’ a scoprirmi, Sakurazukamori, - dice lui, a mo’ di saluto. Quando emerge completamente dalla nebbia, mi è praticamente addosso. Con un sorriso ed un passo indietro, ristabilisco subito le distanze giuste.
- Che bella coincidenza, Kamui. Non mi aspettavo di trovarti a passeggio per i tetti, con questo tempo.
Malgrado l’intenzione, il mio tono di voce non risulta sufficientemente ironico per farlo battere in ritirata. Risponde alla mia frase con un sorriso stranamente rilassato, viste le circostanze.
- Non è una coincidenza, che io mi trovi qui. Ti seguivo.
- Davvero? Perché?
Non risponde, indietreggia di colpo e sparisce nella nebbia. Nemmeno la sua sagoma si vede più.
Faccio con cautela qualche passo in avanti, cercando di rintracciarlo con lo sguardo, eppure non riesco a vederlo. Allungo un braccio in avanti e mi ritrovo a tastare coi polpastrelli la superficie di mattoni di un muro che non avevo notato prima. Kamui è appoggiato lì, a braccia conserte, e per tutto il tempo deve aver osservato i miei tentativi senza battere ciglio. Lo stesso sorriso di prima gli piega leggermente le labbra.
- Credevi che me ne fossi andato?
Ci metto qualche secondo a capire che mi ha parlato, anche se non mi è parso che la bocca si sia mossa. Talvolta ama alternare frasi telepatiche a quelle vocali, giusto per tentare di confondermi le idee.
Sono questi i momenti in cui so di dover rimanere in guardia di più. Quelli in cui il viso di Kamui sembra diverso da quello che ho imparato a conoscere, quelli in cui lui non ha più personalità né identità propria.
Quei momenti in cui lui non ha più nome, e gioca a fare la parte di qualcun altro…
- No, - rispondo, avvicinandomi a lui. Tengo una mano sempre appoggiata al muro, come se staccandola potessi perdere di nuovo il mio orientamento.
- Ed allora perché ti sei messo a cercarmi?
Potrei benissimo rispondere “ma io non ti stavo cercando” e trovare un altro paio di scuse, ma qualcosa mi distrae dai miei pensieri.
Subito non capisco cosa ha catturato la mia attenzione così d’improvviso, ma poi guardo nuovamente Kamui e capisco.
E’ quel sorriso che ha, non gliel’avevo mai visto prima. Non ironico, non malizioso, solamente dolcissimo, come se in questo momento voglia mostrare il suo amore per l’intero mondo che lo circonda. E’ lo stesso sguardo che potrebbe avere un bambino, oppure…
Mi accorgo, troppo tardi!, che per osservare meglio mi sono avvicinato ben più di quanto mi sia mai concesso con Kamui. I suoi occhi dorati sbattono brevemente, forse è sorpreso quanto me.
Il sorriso rimane. C’è una piccola fossetta all’angolo della sua bocca, e mi accorgo che sto facendo molta fatica a non baciarla di slancio, come invece il mio istinto mi urla di fare. No, farlo sarebbe una grossa, enorme stupidaggine, è fuori discussione.
Un altro battito di ciglia. Qualcosa che filtra tra le palpebre socchiuse di Kamui mi spinge a guardarlo negli occhi, invece che le sue labbra.
Oh, dèi.
L’oro può avere scintille verdi, nelle sue sfumature castane?
Abbasso lo sguardo, scuoto la testa per liberarmi da questi pensieri non certo degni di un Sakurazukamori. Per un attimo penso che anche Kamui possa essere un pensiero partorito dalla mia fantasia, ma quando chiudo gli occhi e li riapro lui è ancora lì, a guardarmi. Si appoggia meglio al muro, le braccia sempre incrociate al petto, e mi guarda col sorriso negli occhi.
Andare. Subito. Ora. In questo istante.
E’ il mio cervello che manda freneticamente questi messaggi al resto del corpo, eppure rimango fermo nella mia posizione, incapace di muovermi. Non mi muovo nemmeno quando Kamui scioglie le braccia e sento l’odore caldo della sua pelle davanti al mio viso.
Solo adesso il mio corpo si sblocca, ma non riesco a spostarmi, non faccio in tempo.
Una mano di Kamui mi preme sulla nuca, perché fra i due sono più alto, anche se di poco, e l’altra si appoggia sul petto, sopra il cuore. Le sue labbra sono più morbide di quanto credessi, quasi da bambino, e mentre forumlo automaticamente questo pensiero lo sento sorridere, senza staccarsi dalla mia bocca.
E’ il pensiero di quel sorriso che dà il colpo di grazia a ciò che rimane dei miei nervi saldi.
- Maledizione, Kamui, - mormoro, mentre gli alzo il mento con una mano per poterlo baciare più agevolmente, - Maledizione.
Lui mi morde piano il labbro inferiore, come a suggerirmi di stare zitto, ma non dice nulla, come se avesse percepito che, in caso di una sua risposta, l’avrei schiaffeggiato. Gli prendo il viso tra le mani e spingo più forte la mia bocca contro la sua, a fondo, e lui mi concede di farlo. Baciarlo, stringerlo contro di me, è come farsi versare del veleno di miele tra le labbra e farselo scorrere in gola… Solo nel momento in cui ti entra nelle vene ti accorgi di quanto bruci e di quanto ti faccia male. Eppure continui a soffrire in silenzio.
Sono lunghi attimi di deliquio dolcissimo, ma durano solo finchè non Kamui si sottrae ai miei baci, appoggiando le sue dita sul mento ed allontanandomi con fare divertito. Rimango qualche secondo ad occhi socchiusi, - la bocca mi brucia come non mai, - prima di aprirli completamente.
Se mi sono rimasti attaccati dei brandelli di sensazione onirica di questi pochi minuti, mi basta vedere la sua espressione scaltra per staccarmeli di dosso e per farmi ripiombare bruscamente nella realtà.
Mi passo il polsino della camicia sulle labbra, cancellando le ultime tracce del suo sapore, e gli volto le spalle.
Sono disposto a tutto, persino a frenare la lingua per non rispondere alla domanda implicita nei suoi occhi, pur di allontanarmi da lui.
- Stavi andando dal Sumeragi, o sbaglio?
Ha cambiato discorso. Meglio così.
Kamui mi affianca, scivolandomi di fianco e sporgendosi in avanti per scrutare un mio possibile cambiamento di espressione. Mi limito a scrollare le spalle, cosa che equivale di fatto ad una presa di posizione neutrale. Devo inspirare silenziosamente, per non fargli capire che devo ancora recuperare una normale respirazione, prima di chiedere a mia volta.
- Perché me lo domandi?
- Sai com’è, anche io ho bisogno di conferme di tanto in tanto…
Si siede sul cornicione, una gamba a penzoloni nel vuoto ed una mano appoggiata al bordo per sostenersi, e guarda la gente che cammina lungo la via sottostante.
- Oh, che emozione. Quando sarà la volta delle crisi d’identità? – gli chiedo, sedendomi vicino a lui.
- Mai. Bastano ed avanzano le crisi esistenziali del tuo tipo per tutte le due fazioni dei Ryu.
- Certo che si capisce, quando qualcuno ti sta sull’anima…
- Chi dice che mi sta sull’anima? Ritengo il Sumeragi uno degli esseri più stupidi di questo pianeta, gli consiglierei un nuovo taglio di capelli ed un cambio di vestiario, nonché un occhio di riserva, e penso che sia della stessa utilità di una retromarcia sull’autostrada… Ma a parte questo non ho nulla contro di lui.
- Allora non oso immaginare che cosa pensi di quelli che odi.
Lo sento ridacchiare a bassa voce.
La nebbia si è alzata, perché non c’è la stessa umidità opprimente di prima. Anche le strade sotto di noi sembrano ripopolarsi. Si riesce a distinguere anche la sagoma illuminata della Tokyo Tower, ed è lì che si fissa lo sguardo di Kamui. Secondo le previsioni del nostro indovino, sarà su quella torre che si affronterà con la sua controparte per il destino del mondo. Chissà se il Sognatore ha visto dove io e Subaru risolveremo le nostre divergenze.
- Kamui?
- Sì.
- Mi hai detto che era desiderio di Subaru perdere la vista dall’occhio destro.
- Vuoi chiedermi se la mia era una scusa per infilargli le dita in un’orbita?
- Non hai mai avuto bisogno di scuse per fare ciò che ti pare. Volevo sapere perché lo desiderava.
Adesso è il suo turno di sospirare, anche se sembra più stanco che infastidito dalla domanda, come se gliel’avessero rivolta milioni di volte.
- Io potrei anche dirtelo, ma scommetto che preferiresti sentirlo dalle sue labbra. No?
- Giusto, - sospiro, fingendomi rassegnato. Non mi sono mai illuso di volerlo sapere da lui… Effettivamente, non credo di volerlo sapere nemmeno dallo stesso Subaru, - E poi, nel caso mi rispondessi, ti toglieresti di dosso quell’aura da uomo del mistero di cui ami circondarti.
- Il protagonista deve mantenere un certo alone di fascino, altrimenti che protagonista è?
Gli mollo uno schiaffo, abbastanza debole da risultare scherzoso, sulla nuca. Kamui prende a massaggiarsi il collo con un sorriso appena accennato.
- Ma tu non dovresti andare dal Sumeragi, invece di picchiarmi?
- No. E’ ancora troppo presto per farlo, - mento spudoratamente. A dire la verità, adesso l’idea di andare da Subaru non ha lo stesso fascino di prima… E’ come se il fatto di aver baciato Kamui avesse fatto nascere in me una specie di repulsione verso le mie intenzioni iniziali. Non voglio presentarmi alla mia controparte con addosso il sapore della bocca di qualcun altro… Sarà perché non provo alcun rimorso, per averlo fatto?
E scommetto che Kamui lo sapeva quando mi ha seguito, razza di demonietto che non è altro. Se potessi complimentarmi per il modo in cui mi ha bloccato, lo farei senz’altro.
- Andiamocene a casa, - faccio, alzandomi dalla mia postazione e spazzolandomi l’impermeabile a mano aperta, - Questo tempo comincia ad infastidirmi.
- Peccato, - dice lui, alzandosi a sua volta e sorridendomi con fare malizioso, - che stanotte ho altri impegni, Sakurazuka. Credo che il tuo invito sia rimandato alla prossima volta.
Il ragazzo è furbo come pochi. Fa e non fa, colpisce e si tira indietro, non conferma e non smentisce… E’ davvero un piccolo demonio. Se non fosse così, d’altronde, non credo che avrei un debole per lui.
- Vai a trovare l'altro Kamui?
Il suo sorriso si allarga di colpo, ma d’altra parte sono andato a colpo sicuro.
- Uhm, e se fosse?
- La cosa non mi tocca minimamente, te l’assicuro. Eppure vorrei rammentarti una cosa…
- Cosa? – mi chiede Kamui con fare curioso, spalancando appena gli occhi. Mi limito a replicare con un sorriso rilassato alla sua espressione infantile, prima di parlare.
- Se devi entrare nel letto di qualcuno, assicurati che sia il mio. Saresti sprecato, con quello scricciolo di ragazzino.
Un lampo improvviso gli attraversa per un attimo gli occhi ambrati.
- Perché sembri così sicuro dell’ascendente che eserciti su di me, Sakurazuka?
- Se non l’avessi avuto, avresti accettato di farti baciare da me?
Kamui mima con la mano la forma di una postola e finge teatralmente di spararsi un colpo alla tempia. Un prezioso punto a mio favore.
- Stavolta hai ragione tu, lo ammetto. Comunque, non ti ho seguito fino a qui per il motivo che pensavi prima. Il Sumeragi c’entra relativamente. C’è una cosa che mi sono dimenticato di chiederti, quando abbiamo lasciato la tua vecchia casa. Ricordi?
Come potrei dimenticarlo? Rammento fin troppo bene la sua espressione.
- Volevo chiederti se hai un desiderio, Seishirou.
Le sue parole mi prendono in contropiede e lo fisso con sguardo vacuo per qualche secondo, cercando di capire appieno le sue intenzioni. Mi tornano alla mente le parole che mi ha detto Yuuko l’ultima volta che sono andato a trovarla, a proposito di Kamui e dei desideri… Le stesse frasi che mi sono ricordato quando, dopo aver accecato Subaru, il capo dei Chi no Ryu mi ha parlato del suo desiderio di perdere l’occhio destro.
- No, - dico, dopo qualche attimo di riflessione. Desiderare? vorrei chiedergli, Cosa posso desiderare, se ho già tutto ciò che voglio? Gli occhi del mio interlocutore si socchiudono leggermente, come per capire se sto mentando oppure no.
- Non stai mentendo, - mormora in un sussurro appena udibile. Anche se è pazzesco crederlo, mi sembra quasi disorientato, - Tu davvero non desideri nulla…
Passa qualche attimo di silenzio, in cui mi limito ad aspirare a fondo l’odore umido di nebbia notturna. Rimango in silenzio finchè non sento Kamui ridacchiare, come se ora fosse quasi divertito della sua stessa reazione.
- Beh, è ovvio, - dice Kamui, in tono allegro, - I desideri sono per gli esseri umani, vero? E tu sei al di sopra di certe cose. Non preoccuparti, col tempo imparerai anche tu.
- A fare cosa? – gli chiedo.
- A desiderare, Seishirou.



Mi sono fatta aspettare una vita con questo capitolo, e me ne dispiace. Anche se ci sono un sacco di ponti, io sono sempre a studiare per la scuola... Credo che fino a fine maggio la scrittura dei capitoli sarà saltuaria, anche se nelle mie intenzioni vorrei postarne uno ogni due settimane.
Bene, avrei un paio di parole da spendere sul testo qui presente, che probabilmente avrà fatto felice una persona fra coloro che leggono la storia di Escapist (vero, Lalla?) e mi avrà fatto odiare dal restante novantanove per cento. Ho voluto scrivere un capitolo unicamente sul rapporto fra Seishirou e Fuuma non per mia stronzaggine personale (se ci sono persone che non sopportano il pairing, non oso pensare dove saranno ora) ma per esigenze di copione, come si suol dire. Vi avverto che da questo momento le cose con Subaru cominceranno ad accelerarsi di colpo, il demone del Sakura tornerà a rompere le scatole… E farà la sua comparsa anche Hokuto. Insomma, mi serviva un episodio che sottolineasse i cambiamenti futuri e l’occasione del bacio con Fuuma mi è parsa perfetta, vista anche l’ambiguità di quest’ultimo. Però non vorrei che la cosa si confondesse col pairing principale, perciò potete tirare un sospiro di sollievo. Niente più colpi di testa del genere, da parte mia.
Detto questo, colgo l’occasione per ringraziare i lettori ed i miei recensori, di cui spero di non aver deluso le aspettative (per Nanaly, effettivamente il “control you” del precedente capitolo era un’anticipazione di questa scena ^^)… Ed arrivederci al prossimo capitolo ^^

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Capitolo 10
*** Cageless ***


"The constant longing for your touch, this bitter ocean of hatred and pain
This loneliness I need to be who I am"



Da qui la studio della direttrice Nyoko Saitou si vede benissimo.
Sfrego la rotella dell’accendino col pollice, per controllare se è ancora carico. La fiamma viva che ne scaturisce e l’odore pesante del gas mi convincono che non è il caso di andare a comprarne un altro, così lo infilo nella tasca del soprabito e torno a guardare attraverso i vetri lontani della finestra.
Non è un incarico per il governo, stavolta. Credo che ad Ogawa-san faccia più comodo avere questa donna sotto il suo controllo… Però la mia natura di Sakurazukamori mi spinge a proteggere il Giappone da individui come lei. E sono sicuro che Sakura-sama apprezzerà molto questa nuova perla.
Una leggera brezza di vento freddo mi scompiglia i capelli, pettinandomeli all’indietro. Vicino a me un’antenna della televisione vibra appena, ma poi si immobilizza con un ultimo fremito. Nandarou vi si è appollaiato sopra con la sua ultima preda, una colomba candida che tenta di liberarsi inutilmente dal becco serrato sul collo. Uno degli shiki di osservazione di Subaru.
- Nandarou, piccolo, - gli dico, in quel tono di affettuoso rimprovero che infastidisce così tanto Kamui, - Te l’ho detto mille volte che non si gioca con la preda…
Il mio shiki mi rivolge un’occhiata torva con quella severità austera che solo i rapaci sanno avere, prima di lasciar andare la colomba.
Il povero uccello tenta di sollevarsi in volo, ma Nandarou continua a tenere una zampa appoggiata su un’ala, impedendogli di fuggire. Lo shiki di Subaru emette uno stridio terribile, quando il mio falco affonda un paio di volte il becco nel suo collo tenero, anche se smette di dimenarsi dopo un minuto di agonia. La colomba si raggrinzisce di colpo e ritorna ad essere l’ofuda originario che l’ha creata. Nandarou emette un gorgoglio soddisfatto, ed apre il becco rosso di sangue per raccogliere la carta e portarmela.
- Bravo bambino, - rido, prendendola e tenendola fra due dita per sondarla meglio. L’energia racchiusa in questo ofuda è minore al solito, troppo poca anche per uno shiki destinato all’osservazione... Ma non aspettavo niente di diverso, da Subaru. E’ voluto uscire troppo presto dall’ospedale e non si è mai preoccupato troppo della sua salute, quando c’è in ballo del lavoro.
Il solito complesso del martire che lo caratterizza.
Comunque, non credevo che Subaru finisse così presto le indagini su ciò che Nyoko Saitou gli ha affidato. Non credevo nemmeno che il nostro operato di onmouji tornasse ad incrociarsi un’altra volta, come in passato, e tutto questo senza che io abbia dato una spinta al destino…
Meglio così. Fatica in meno per me.
- Insomma, cosa c’è? – chiedo a Nandarou quando mi tira con violenza una manica del soprabito, costringendomi a prestargli attenzione. Seguo il suo sguardo fino all’ingresso dell’edificio che stiamo sorvegliando, e dopo qualche secondo Subaru fa la sua comparsa da una strada secondaria, accompagnato a poca distanza dal suo shiki in forma di fenice. Nandarou freme di impazienza, lo sento quando gli appoggio il palmo sul dorso per accarezzarlo; si tranquillizza sentendo la mia mano, ma continua a fissare avidamente la fenice candida appollaiata sopra un cestino della spazzatura.
Subaru suona il campanello dell’ufficio di presidenza. Una luce si accende nella stanza, ed una sagoma di donna corre al citofono.
- Sumeragi-san? – chiede Nyoko Saitou, e dalla sua voce trapela una certa sorpresa nel vederselo capitare così all’improvviso nella sua scuola, appena scesa la sera. Non sono così vicino da sentire ciò che dice Subaru al citofono, ma il suo tono sembra estremamente serio.
- No, nessun disturbo… E’ solo che non credevo che… No, lasci perdere, non se ne parla, voglio sapere subito… Prego, venga in presidenza e mi dica tutto…
La porta a vetri dell’ingresso si apre ed il mio onmouji entra, mentre il suo shiki rimane fuori dall’edificio per controllare la situazione. Nandarou sbatte le ali, esprimendo la sua frustrazione nel non potersi muovere.
La donna appoggia il citofono alla parete e si gira verso il centro della stanza, mordendosi nervosamente il labbro inferiore e mettendosi a camminare lungo le pareti. Distolgo lo sguardo da lei e lascio un’ultima carezza sulla testa di Nandarou come saluto.
- Aspetta dieci minuti da quando sono entrato, poi puoi andare a salutare il tuo amichetto laggiù.
Il falco asserisce sbattendo le palpebre e compie un breve volo su un cornicione vicino, ma sempre frontale rispetto alla finestra dell’ufficio di presidenza, scomparendo nella nascente penombra serale. Non perdo tempo a cercare di rintracciarlo, al buio: è uno shiki obbediente, e sa che gli ordini non si discutono.
Rimango qualche secondo a ponderare la situazione. La fenice di Subaru mi impedisce momentaneamente di usare l’entrata principale, ma le porte di servizio esistono apposta per momenti come questo. Essersi imparati a memoria la planimetria di questa scuola torna utile, a questi fini…
Dopotutto, sono un assassino professionista.
Non c’è nemmeno bisogno di usare un ofuda, visto che qualcuno del personale ha lasciato socchiusa un’uscita di emergenza, probabilmente per portare fuori i rifiuti. Imbocco la porta e comincio a percorrere il corridoio che ho di fronte. A giudicare dagli odori non devo essere molto distante dalla mensa scolastica, e per quanto riguarda i dormitori si trovano dall’altra parte della scuola. Non vale neanche la pena di evocare l’illusione dei paetali di ciliegio, visto che l’attività dell’edificio si concentra solo alle zone di cucina e presidenza e non rischio di incontrare nessuno.
L’ufficio della preside è l’unica stanza del terzo piano, oltre le aule deserte dove la mattina gli studenti si riversano per seguire le lezioni. Sembra passata una vita da quando veinivo a prendere i gemelli Sumeragi davanti al cancello dell’istituto Clamp, quelle rare volte in cui Subaru non era via per lavoro. Mi chiedo come lui rammenti i mesi precedenti alla “fine” del patto, e con quali sentimenti. Con rabbia, sicuramente, ma forse anche con un po’ di nostalgia… E’ sempre stato un romantico, come sua sorella.
La porta dell’ufficio della presidenza è chiusa, ovviamente, e le voci di Subaru e della direttrice Saitou mi giungono ovattate alle orecchie. Potrei entrare, ma preferisco utilizzare Nandarou come estensione delle mie pupille e delle mie orecchie, almeno per un po’.
Chiudo gli occhi, inspirando lentamente mentre rintraccio il mio shiki e sintonizzo il suo sguardo con il mio; quando riapro gli occhi, vedo il vetro riflesso della finestra dell’ufficio e la luce che riempie la stanza. Riesco a mettere a fuoco Subaru, seduto su una poltroncina di fronte alla scrivania, con le mani appoggiate sulle ginocchia ed il fedele impermeabile bianco raccolto in grembo. La benda che gli copre l’occhio destro mi ricorda che uno dei suoi splendidi occhi smeraldini non vedrà più, perché ora è vuoto e vitreo come il mio, sotto quella sottile striscia di garza.
Giocherella con una manica dell’impermeabile, ma il suo unico occhio guarda quasi duramente la donna di fronte a lui. La situazione ha qualcosa di straordinario, perché è raro vedere Subaru comportarsi in modo così freddo con una sua cliente.
- Saitou-sama, - sta dicendo Subaru, soppesando con cura le parole, - Si ricorda perché mi ha chiamato qui?
La donna sembra sorpresa dalla domanda, ma si nasconde dietro un sorriso affrettato.
- Certo, Sumeragi-san. Ho contattato la sua famiglia giorni fa per via di quei fatti inspiegabili che hanno coinvolto gli alunni della mia scuola, visto che la polizia brancolava nel buio…
- Sì, - continua lui, - Giovani e brillanti studenti che si uccidono senza alcuna spiegazione, come se fossero posseduti da una qualche entità di valenza soprannaturale. E gli oggetti trovati nelle loro stanze che collegavano quei ragazzi ad un qualche tipo di onmyujitsu nero…
Sospira. Adesso il suo sguardo sembra più triste che duro. Ah, ora capisco perché è qui… Per lo stesso motivo per cui io sono qui.
- Saitou-sama, - chiede stancamente, - Perché l’ha fatto?
- Beh, mi pare ovvio! L’ho chiamata perché tengo al benessere dei miei alunni, e non voglio che questo essere continui a…
- Non parlo del perché mi ha chiamato. Sa anche lei che non c’è nessuna possessione, in questa scuola. Mi chiedo perché abbia costretto quei ragazzi al suicidio.
Nyoko Saitou non riesce a trattenere una risata di scherno, malgrado tutto l’autocontrollo che ha dimostrato di avere fino ad ora, quando sente queste parole. Subaru rimane a guardarla, impassibile. E bravo il mio onmouji.
- Lei non può pensare una cosa tanto assurda, Sumeragi-san, - ride ancora lei, - La sua famiglia mi aveva detto che poteva tornare al lavoro, anche dopo l’incidente che ha avuto…
- Non ho avuto un incidente, - replica lui, senza rabbia, - Mi hanno strappato un occhio.
- …Ma vedo che sua nonna si è sbagliata nel dirmi questo, e me ne dispiace. Beh, vuol dire che tornerà dopo essersi rimesso in salute.
- Posso tornare qui milioni di volte, ma ciò che ho sentito non cambierà. Ho parlato con uno dei suoi alunni, Saitou-sama. Si ricorda di Takeshi-kun?
Il viso della direttrice perde improvvisamente colore, anche se continua a tenere la testa alta con notevole dignità.
- Takeshi-kun? No, deve sbagliarsi, lui è…
- Morto. Sì, lo so. Immagino non le abbiano mai detto che gli onmouji possono evocare, anche se una sola volta, gli spiriti dei morti. Mi ha raccontato alcune cose, Saitou-sama. Lui è stato l’ultimo di una lunga fila di studenti suicidatesi qui, ma fino a qualche mese prima è riuscita a tenere ogni “suicidio” nascosto a tutti… I ragazzi morti, ufficialmente, sono quattro. Eppure sono stati molti, molti di più. Ma voglio sapere perché.
Più passano i secondi, più la mia ammirazione per questa donna aumenta. Si è sentita rinfacciare una cosa del genere, - verissima, peraltro, - eppure non cede di un millimetro di fronte a Subaru. Anche se ha smesso di ridere, non ha perso il suo atteggiamento superbo nei confronti del suo “ospite”.
- Immagini di poter curare delle persone, Subaru-san, - prende a spiegare, unendo le mani in grembo e guardando l’onmouji al di là della sua scrivania, - Molte persone, che in un futuro non molto lontano terranno fra le mani il destino di questo mondo. Immagini di poter fare di loro delle ottime persone, le migliori di questo mondo, eppure c’è bisogno di qualche piccolo sacrificio per realizzare questo progetto. Ha idea di quante persone ospita questo istituto, Sumeragi-san? Tutte sono sotto la mia responsabilità. Per loro posso fare questo ed altro. Sacrificare alcuni elementi nocivi per salvare i restanti… Chi non lo farebbe?
Subaru perde di colpo, a queste parole, la sua maschera di imperturbabilità. Le sua mani hanno una contrazione violenta ed il suo unico occhio smeraldino prende ad incupirsi. Vederlo tanto furibondo non è cosa da tutti i giorni… E stavolta la sua rabbia non è indirizzata a me.
- Lei non si rende conto di quello che va dicendo, - le sibila, alzandosi dalla sedia come se volesse sovrastarla, - Lei è un’assassina, perdipiù convinta di fare del bene. Lei ha dei poteri di persuasione fortissimi, dovuti ad un forte potere psichico innato… Invece di usare questo dono che le è stato dato per rendere la vita migliore a moltissima gente, la usa per costringere dei ragazzi ad uccidersi, facendo ricadere la colpa sulla sfera del soprannaturale, infangando così anche la memoria di quei giovani! E pretende pure che le stringa la mano, mi complimenti con lei e le dica che ha fatto bene a fare quello che ha fatto? La gente come lei, Nyoko Saitou, che tinge le sue malefatte di una vena moralista, mi disgusta soltanto!
- Se crede così allora è una persona debole, Sumeragi-san, - replica lei, con lo stesso disprezzo che lui le ha gettato in faccia, - Non riesce a comprendere l’intera visione delle cose perchè guarda il mondo dal suo piccolo spiraglio privato. Giudica secondo la sua meschinità. Ha la percezione di essere debole ed addossa agli altri la ragione della sua debolezza, perché è troppo bambino per assumersi le sue responsabilità. E dal suo piccolo mondo egoistico ha il coraggio di giudicare me perché ho fatto un po’ di male per un bene maggiore!
- E’ vero, forse non sarò forte come persona e la mia visione delle cose è molto parziale, ma crede comunque di essere nel giusto, lei che si ritiene in grado di mettere fine alla vita di studenti che giudica pericolosi per la sua scuola? Grazie a quale diritto?
- Quello che il fato ha deciso di concedermi, mettendomi a guida di questo istituto. Comunque, adesso che cosa pensa di fare? Trascinarmi in tribunale e chiedere che venga condannata, quando quei ragazzi si sono suicidati di propria mano? Sulla base di quelli prove?
- Quelle non sono necessarie. Lei è già stata processata ed è stata condannata, Nyoko Saitou.
Entrambi si voltano con un sussulto nella mia direzione, quando apro la porta e mi appoggio con un mezzo sorriso allo stipite. Nandarou, fuori dall’ufficio, si stacca dal suo improvvisato trespolo e si lancia in strada.
- Seishirou-san, - mormora Subaru, il primo dei due a riprendersi. Alzo una mano per interromperlo, prima ancora che faccia la sua domanda.
- Subaru-kun, sai già perché sono qui. Non credevo che noi due potessimo pensarla alla stessa maniera su qualcosa, ma a quanto pare questa donna è il nostro punto di contatto.
- Stalle lontano, - mi avverte lui, - Non sei tu chi deve punirla per ciò che ha fatto.
- Oh, ma io non ho alcuna intenzione di mondare con la morte i suoi peccati. Per me può continuare a fare ciò che vuole, senza alcun problema. Non sono moralista come te.
- Allora perché dice che sono già condannata? – mi chiede la direttrice, rimasta fino a quel momento in silenzio. L’entrata brusca di due estranei nel suo piccolo mondo privato deve averla sconvolta non poco.
- Perché qualcuno ha già deciso il suo praticamente immediato trapasso. Si metta il cuore in pace e preghi il primo dio che le viene in mente, perché tra cinque minuti non potrà più farlo, - le rispondo seccamente, anche se continuo a guardare il viso di Subaru. Vederlo attraverso gli occhi del mio shiki e vederlo di persona sono due cose completamente diverse, scopro con un piacevole brivido. La sua rabbia è palpabile, come il suo disgusto nei confronti della direttrice Saitou, e anche le altre sue emozioni sono così tangibili da risultare quasi inebrianti.
Rimango vagamente stupito quando Subaru si frappone fra me e la donna, scuotendo la testa come se non potesse fare altro che questo.
- Allontanati da lei, Subaru-kun.
- Sai già che non lo farò.
- Stavolta il tuo martirizzarti è inutile. L’hai detto anche tu, lei è un’assassina, forse peggiore di me. Io non ho la superbia di dire che il mio lavoro è giusto o è per un bene superiore. Lo faccio perché bisogna farlo. Ed anche se non la uccidessi, quella donna ha ragione nel dire che non la si può condannare. La giustizia umana ha orizzonti molto limitati, dovresti saperlo meglio di me… La rilascerebbero con un mazzo di rose e tante scuse per il disturbo. Comunque questi discorsi sono puramente teorici, visto che non ho intenzione di uscire da qui senza averla uccisa.Togliti di lì.
- No. Anche se fosse la persona peggiore di questo mondo, non posso farmi da parte e lasciare tranquillamente che tu metta fine alla sua vita.
Rimaniamo a studiarci per un po’. Quella benda sul suo occhio mi infastidisce ogni secondo di più. E’ come una nota stonata in una melodia perfetta. E’ fuori posto.
- Come vuoi, Subaru-kun, - sospiro. Gli sono vicino con un paio di falcate; allungo repentinamente la mano, premendo la dita sulla fronte, appena sopra le palpebre, sui suoi nervi sensibili.
Per un attimo vedo solo il bianco dell’orbita sana, prima che Subaru mi crolli inerte tra le braccia. Gli passo un braccio sotto le ginocchia, oltre che attorno alle spalle, e lo appoggio su un divanetto poco distante.
- Sono anni che faccio questo trucchetto, - spiego alla direttrice Saitou, scompigliando i capelli corvini di Subaru e sfiorandogli la fronte con le dita prima di allontanarmi da lui, - Eppure non ha mai imparato ad agire abbastanza in fretta. Poco male, nessuno è perfetto. Nemmeno lei, Nyoko Saitou.
- E’ stato il governo, a mandarla? – mi chiede la donna, prendendo a torcersi le curatissime mani appoggiate sulla scrivania. Scuoto la testa.
- Allora chi avrebbe deciso che sono condannata?
La porta alle mie spalle si dischiude dolcemente, prima di richiudersi con un cigolio altrettanto discreto.
- Sono stata io a volerlo, - interviene una voce femminile bassa e carica di controllo. Sakura-sama mi sorride, è felice di rivedermi. Reclina la testa sulla mia spalla, quando si volta a guardare la sua prossima vittima sacrificale.
- Mia cara, - dice, - Hai fatto ciò che ti ha detto il mio Sakurazukamori? Hai pregato per i tuoi peccati?
La direttrice scuote sconvolta la testa. Sta cominciando a perdere il controllo di sé.
- Ma chi siete voi? Cosa volete da me?
- Siete più fortunata di quello che pensa, Nyoko Saitou, - commento, - L’albero non si scomoda per ognuna delle sue vittime. E’ un privilegio raro, che Sakura-sama assista alla sua morte.
-L’albero? – chiede la donna, perdendo completamente colore in volto. Per quel poco di onmyujitsu che conosce, ha compreso quale sarà la sua fine.
Mi giro verso il mio demone e lei mi fa un cenno affermativo col capo, prima di andare a sedersi sul divanetto, vicino a Subaru. Per un attimo solo loro due sono pieni padroni della mia attenzione, lo spirito di un albero senza età ed un ragazzo esanime, ma torno subito a concentrarmi sul lavoro da compiere.
- Sì, l’albero di ciliegio.
Ormai la volontà di questa donna è persa ed il suo sguardo è instupidito quanto la sua coscienza. Mi sbottono con tutta calma il polsino della camicia, prima di cominciare ad arrotolarmelo sull’avambraccio.
Le macchie di sangue sono davvero molto ostiche, da lavare.


- Che peccato, - sospira Sakura-sama, passando lentamente le dita fra i capelli di Subaru. Mi siedo vicino a lei.
- Cosa è un peccato, Sakura-sama?
- Quella donna, - risponde lei, indicandomi il cadavere riverso sul pavimento. La carta degli ofuda sulla ferita al petto comincia ad impregnarsi di sangue, le scritte nere sono soffocate dal colore scarlatto che le risucchia, - Non capisco perché abbia chiamato questo ragazzo. Se non l’avesse fatto avrebbe continuato a fare ciò che le pareva, se avesse lasciato passare un po’ di tempo tutti si sarebbero dimenticati dei suicidi in questa scuola.
- E’ una cosa tipica dei serial killer umani, Sakura-sama. Se da una parte c’è un impulso che li muove e li costringe a continuare ad uccidere fino a diventareun’escalation ininterrotta, dall’altra c’è il rimorso per questi crimini che fa desiderare loro di essere fermati. Persone che lasciano scritte “vi prego, qualcuno mi fermi” sopra il corpo dell’ultima vittima, oppure che si consegnano spontaneamente alla giustizia. Lei ha chiamato Subaru perché voleva che lui la scoprisse… Anche se l’ha fatto senza pensarci.
Il mio Sakura mi fissa con intensità al di sotto delle ciglia scure.
- Sembri sapere bene cosa passa per i pensieri di quella gente.
Mi limito ad una rapida scrollata di spalle.
- Dicono che non c’è nulla di meglio di un osservatore distaccato per esaminare i fenomeni più strani della mente umana e della realtà stessa. Solo così si osservano le cose con imparzialità.
- Distaccato dalla realtà?
- E’ l’immagine che ho di me stesso, effettivamente. Uno che cerca di scappare dalla gabbia dorata che è questa nostra realtà.
- Il mio escapista, - mormora Sakura-sama quasi con tenerezza, - E’ una visione molto poetica, quella che ti vede protagonista.
- Sono fatto così, - concludo, con una certa allegria. Lei mi bacia una guancia, chiaramente compiaciuta.
- Oh, questo lo so bene. Comunque, anche lei ha provato a fuggire dalla sua realtà, - e qui torna ad indicare con un cenno imperioso la vittima sacrificale di stanotte, - Ma ha fallito. E’ stata stupida, molto stupida.
Sakura-sama sembra combattuta fra il rimanere qui con me e Subaru oppure andare ad occuparsi della sua vittima, a giudicare da come alza ed abbassa lo sguardo. Alla fine si alza e si china verso la donna uccisa.
- Stupida, - ripete, accarezzandole una guancia come se si trattasse della sua amata figlia, - Però perfetta. Mi hai reso un buon servigio, Seishirou.
Subaru ha un leggero fremito della palpebre. Gli appoggio la mano sugli occhi, sento la stoffa ruvida della benda contro il palmo.
Un secondo dopo, due shiki crollano nella stanza attraverso la finestra aperta. Nandarou e la fenice di Subaru sembrano quasi fusi assieme nella loro lotta fatta di becchi, artigli e piume strappate. Il mio falco tormenta con continue beccate una ferita sull’ala della fenice, che invece di combattere si sta sforzando in tutti i modi di raggiungere il suo padrone esanime.
Lo shiki si scaglia quasi a peso morto su Subaru, per proteggerlo, non appena riesce ad approfittare di un attimo di distrazione di Nandarou. Mi costringe a ritirare la mano a furia di dolorose beccate, e si rannicchia contro il viso del suo creatore quando è sicuro che non voglio avvicinarmi di nuovo. Fissando la mia mano, ora piena di piccole ferite sanguinanti, non riesco a trattenere un sorriso.
- Quello spirito è stato disposto a tutto per il suo padrone, - mormora Sakura-sama, quando vede la fenice sparire con un’ultimo gemito di dolore. Quest’ultimo atto di protezione è stato troppo, per quest’uccello.
- E’ il compito di uno shiki, - ribatto io, senza emozione. E’ strano, comunque, che uno shiki abbia un concetto di protezione così profondo… Dovrebbe essere un aiutante nelle mani di un onmouji, non un’estensione della sua anima.
Nandarou mi guarda dalla sua postazione sul pavimento. Si trascina con fatica verso i miei piedi, - è provato dalla battaglia, forse una zampa è rotta, - e si accoccola vicino alle mie scarpe, come se volesse dimostrarmi che anche lui è disposto a tutto pur di proteggere me. La cosa mi giunge nuova. Il mio shiki non è altro che uno strumento che va evocato di tanto in tanto, che abbia sentimenti è decisamente impensabile.
- Pare che lo shiki a forma di fenice non fosse l’unico a provare un attaccamento tanto forte per il suo onmouji, - commenta il demone del Sakura. Il suo tono è così ironico da risultare sprezzante.
- Puoi ritirarti, Nandarou, - comando al mio shiki, muovendo la mano per farlo dissolvere - anche se questa pare rallentata dall’espressione ferita negli occhi del mio falco. Un secondo e lo shiki svanisce, senza avermi lanciato un’ultima occhiata di rimprovero.
- Mio servo, - mi richiama Sakura-sama, - Rammenti ciò che mi hai detto l’ultima volta?
Guardo Subaru. Sembra così bambino, così fragile… Un oggetto di vetro che potrei spingere sul pavimento e guardarlo cadere in mille frammenti.
- Sì, rammento. Non ho intenzione di ritrattare ciò che ho promesso. Eppure guardalo, Sakura-sama… Avvicinati e guardalo meglio.
Lei lascia una carezza sui capelli della vittima che presto sprofonderà fra le sue radici di albero millenario e si avvicina a noi. Scosto una frangia dalla fronte umida di Subaru, girando leggermente il suo viso reclinato dalla nostra parte.
- Sì, ora capisco perché l’hai risparmiato. E’ bello, e dà l’idea di qualcosa di assolutamente inviolato… Intatto. Hai aspettato perché volevi vedere se sarebbe rimasto, da adulto, simile a quel bambino che hai visto sedici anni fa.
- Hai ragione, Sakura-sama, come sempre, - replico io, tranquillamente, - Ma c’è un altro motivo per cui ho tardato. Durante questi anni la mia presenza è diventata una ferita dentro Subaru. Anche se non ero presente, io sono stato la maledizione eterna che pendeva sopra la sua testa. Il suo desiderio maggiore è uccidere me.
Se Subaru è diventato così, se adesso è l’uomo che ora si trova davanti a noi, il merito è mio. Eppure il mio lavoro con lui non è finito. La sfida tra noi è giunta al culmine, e voglio vedere se riuscirò a raggiungere l’ultimo obbiettivo che mi sono prefissato.
- Sarebbe?
- Come l’ho plasmato, così voglio spezzarlo. Renderlo inutile e totalmente privo di interesse ai miei occhi… Perché sì, ancora qualcosa mi spinge a ritardare la sua morte, voglio vedere come reagirà alla sofferenza che dovrà provare ancora per mano mia.
- Rompere il tuo giocattolo, - mormora con fare pensieroso Sakura-sama, - Dopo averlo reso inutilizzabile…
- Sì, questo è ciò che desidero fare. Poi lo ucciderò, ovviamente, perché non sarà buono nemmeno come svago, per me. Ma adesso è ancora acerbo, come lo sono i tempi. La pensi come me anche tu, Sakura-sama?
Lei rimane in silenzio, soppesando l’offerta che le ho appena servito su un piatto d’argento. Certo, ascoltare la mia richiesta vorrebbe dire concedermi altro tempo… Ma la soddisfazione finale sarebbe incommensurabile.
- E sia, - dice alla fine, fissando il viso di Subaru con fare vagamente famelico, - Gingillati col tuo giocattolo, fai ciò che mi hai detto di fare. Quando sarà diventato per te inutile, tornerò a reclamarlo per me. Quando l’avrai ridotto ad un pupazzo inerte, aspettami. Fino ad allora, terrò per lui un posto fra le mie braccia.
E’ la sua ultima parola. Si volta verso il cadavere di Nyoko Saitou, rimasta sorda a tutte le nostre conversazioni, e le prende un polso con impazienza.
- Adesso dobbiamo occuparci di te, mia cara, - ride, - Ora vieni a parlare con gli altri morti… Vedremo se ti ascoltano come tutti gli altri!
Devo alzare il braccio per ripararmi il viso dall’ondata furiosa di petali che mi investono in pieno. Appena torno a guardare la scena, cadavere ed albero sono spariti. Solo una larga chiazza di sangue non ancora rappreso testimonia ciò che è evvenuto qui.
Solo quando sono sicuro di essere solo mi lascio andare ad un lungo sospiro. Non mi capita così spesso di mentire così sfacciatamente… E’ andata meglio di quanto credessi. Subaru deve essere nato sotto una buona stella, senza dubbio.
- La sai la cosa buffa, Subaru-kun? – chiedo al mio esanime interlocutore, massaggiandomi il collo, - Dopo tutto questo discorso, non so ancora cosa fare di te… Anche se l’idea che ho esposto a Sakura-sama non è malvagia. Farò finta di desiderarla davvero, questa cosa… Così anche Kamui sarà contento di sapere che ho un desiderio, non è vero?
Mi alzo dal divano e prendo Subaru fra le braccia. Qui non c’è più niente da fare, eppure la serata è appena cominciata.
Kamui si arrabbierà parecchio, quando stasera non mi farò vivo... Ma io e Subaru abbiamo davvero molte cose di cui parlare.



NOTE: Bene, adesso voglio sentire un bell'urlo... "Nooooo, le note dell'autrice nooooooo..."
Ed invece sì, eh eh ^^
Beh, dopo due settimane e passa di attesa, è un miracolo se sono riuscita a finire questo capitolo! Non mi veniva proprio in mente come Seishirou, Subaru e Sakura-sama potessero trovarsi in tre nella stessa stanza e discutere senza scannarsi (e senza che Subaru si trovasse in confezione regalo pronto per essere regalato, nb)
L'ispirazione è venuta col numero cinque di Tokyo Babylon, dove c'è una scena molto simile fra Subaru, Seishirou ed una certa Kumiko Nagi. Inizialmente l'episodio doveva essere raccontato in flash back in maniera più fedele possibile al manga, ma alla fine ho deciso di cambiarlo e cercare di attualizzarlo un pò... Il risultato è quello che è, se è venuto fuori un disastro vi chiedo umilmente venia ç_ç
Finalmente, dopo dieci capitoli, viene spiegato il significato del titolo! Immagino che tutti siano andati a cercare il termine "escapista" sul vocabolario, durante tutto questo tempo... (ma se sta storia non la legge nessuno! by tutti)
... Okay, l'escapista è colui che si estrania in vari modi da una realtà in cui si sente a disagio, e la connotazione del termine è spesso negativa. Però il termine è anche collegato all'ambito del mondo "magico", dove l'escapista è chi esegue degli esercizi di escapologia (liberarsi dalle manette o catene, da una camicia di forza, ecc) Personalmente, pensando a Seishirou come una persona distaccata da una realtà che non gli appartiene veramente ma che comunque lo intrappola, ho cercato di mescolare entrambi questi due significati nella mia storia. Spero di essere riuscita a farlo almeno degnamente fino a questo punto... Adesso resta da vedere se riuscirò a migliorare, visto che mancano parecchi capitoli alla fine e la caduta è appena cominciata ^^
Aspettatevi un prossimo capitolo denso, eh!
(I miei ringraziamenti vanno come sempre a chi legge e commenta questa storia. Senza di voi avrei già concluso tutto. Grazie)

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Capitolo 11
*** Heartless ***


" All those porcelain models
If only I could make them fall…"



Dopo tutte le volte che ci sono passato vicino, per un motivo o per l’altro, trovare la casa di Subaru non è difficile.
Beh, forse chiamarla “casa” è esagerato, visto che il posto dove vive la mia nemesi non è molto diverso da una mansarda presa in affitto da uno studente d’università oppure da un locale dove ci si ferma a dormire dopo una festa. Questo appartamento comprenderà sì e no due stanze, soggiorno e bagno, almeno da quanto mi è concesso vedere, e tutto sembra essere sprofondato nella depressione generale e nello sfacelo. Come Subaru, ogni oggetto di questo appartamento pare essere stato lasciato a se stesso: qualche vestito buttato distrattamente su una sedia, fax ed appunti con presi di fretta, - ma quanto è cambiata la sua grafia? - sparsi sul pavimento, il lavabo ingombro di bicchieri ancora da lavare e la segreteria telefonica che lampeggia, indicando che ci sono cinque messaggi in archivio.
Dopo aver appoggiato Subaru sul divano letto in soggiorno, torno sui miei passi per togliermi le scarpe e staccare la spina del telefono. Sono indeciso se sfilarmi la giacca e rimanere in camicia oppure no, a dispetto della frescura esterna, ma l’aria viziata di questo appartamento è così forte da farmi apparire l’aria fresca della notte desiderabile come non mai. Appoggio la giacca sull’attaccapanni e mi concedo il lusso di allentare un po’ il nodo della cravatta.
Torno in soggiorno. Subaru, sentendo nel sonno qualcosa di familiare attorno a lui, ha fatto in tempo a raggomitolarsi come un feto sul copriletto, incurante di avere l’impermeabile addosso e un nemico in casa. Lo lascerò dormire ancora un po’.
Spalanco la finestra del soggiorno, inspirando a pieni polmoni l’aria umida. Anche se avrei il desiderio maledetto di accendermi una sigaretta e fumarla con calma non ho voglia di tornare indietro e prendere il pacchetto dalla giacca. Forse perché Subaru ha un’attrattiva maggiore per me, adesso, rispetto a quella che esercita su di me una Mild Seven.
Getto uno sguardo veloce alla stanza, cercando di capire dove la situazione è più urgente. Per prima cosa svuoto il portacenere pieno di mozziconi spenti nella pattumiera, cosa che aiuta l’aria dell’appartamento ad alleggerirsi un po’, poi mi piego a raccogliere i fogli ai miei piedi per impilarli bene sul tavolo di formica davanti ai fornelli. Do una veloce sciacquata ai bicchieri nel lavabo per poi dedicarmi ai vestiti.
Quando ho finito con le sistemazioni, l’appartamento sembra già più vivibile. Mi siedo sul bordo del letto, - Subaru ha continuato a dormire saporitamente per tutto il tempo, - e lancio un’occhiata all’orologio a muro. Mezz’ora passata a fare la brava donnina di casa, come direbbe Kamui, che non smette mai di prendermi in giro per la maniacalità con cui tengo in ordine la mia abitazione. Io gli rispondo sempre che almeno qualcuno deve dare il buon esempio ai bambini piccoli. Questa risposta mi ha sempre fatto guadagnare una gomitata dolorosa negli stinchi da parte sua, - non gli piace che io metta in chiaro chi sia l’adulto fra noi due, - ed una grande soddisfazione personale.
Chi altri può permettersi di infastidire Kamui ed uscirne quasi indenne?
Scosto una ciocca disordinata di capelli scuri dalla fronte di Subaru, ricalcando senza volerlo la scena accaduta meno di un’ora fa. Persino Sakura-sama non ha potuto non vedere quanto sia splendido il mio onmouji, specialmente quando dorme. Sicuramente ha un’espressione più serena di quanto l’avrà quando si sveglierà… Ed i suoi lineamenti rilassati nel sonno hanno veramente qualcosa di angelico che suggerisce immagini di purezza e di cose intoccate, come ha detto il mio demone personale.
Ma probabilmente ha ragione lei, forse è proprio la sua bellezza ad averlo salvato da me per tutto questo tempo. Non altro.
- Sorgi e brilla, bell’addormentato… Non ho tutto il tempo di questo mondo da dedicarti.
Le sopracciglia di Subaru si corrugano in maniera quasi impercettibile e la palpebra dell’occhio sano ha un tremito leggero. Lo sguardo mi cade sulla mano sinistra che lui tiene vicina al petto, come per proteggerla, e solo ora mi accorgo che è bendata. La fasciatura è ben più recente della benda sul suo occhio e Subaru deve essersela fatta da sola, con qualche difficoltà. E’ tutta allentata. Mi chiedo come ho fatto a non accorgermene subito…
Prendo in mano un lembo sfilacciato della benda e sto per dipanare la fasciatura quando Subaru apre gli occhi, - l’occhio, Kamui, accidenti a te… - e mi fissa con uno sguardo appannato che torna di nuovo limpido con un veloce sbattere di palpebre.
- Che cosa fai qui?
- Ben svegliato, -lo saluto io allegramente, - Fuori avrebbe potuto anche esserci un’Apocalisse e tu avresti continuato a dormire beatamente… Da quanto tempo non ti riposi come si deve, Subaru-kun?
Lui rinuncia subito a ribattere. Si guarda intorno, constatando con un certo disappunto i cambiamenti che ho operato sul suo ambiente familiare, e per qualche secondo rimane in silenzio, stirando leggermente le labbra.
- Quella donna è morta? – mi chiede alla fine. Mi limito ad un ghigno appena accennato.
- Credimi, è morta meglio di quello che si meritava. Trapasso pressocchè istantaneo, quando una simile carogna avrebbe meritato un’agonia lenta e dolorosa… Davvero, non dovresti metterti a difesa di chi si merita il trattamento che gli riservo solo perché ci sono io> dall’altra parte della barricata.
- Ah, certo. Avrei dovuto sorriderti, dirti “prego, fai a questa qui quello che hai fatto a mia sorella” e sedermi in un angolo a guardare tranquillamente?
Stavolta sono io a rimanere chiuso nel mio sorridente silenzio. Indico con un cenno la sua mano ferita.
- Quella ferita come te la sei fatta, Subaru-kun? Lavoro?
- Perché ti interessa tanto? – chiede lui, con evidente fastidio, - Solo perché rimpiangi di non avermela procurata tu stesso?
Guardo la benda sul suo occhio. E’ stato Kamui ad accecarlo, non io, eppure…
- Ora non cominciare coi tuoi voli pindarici, Subaru-kun, - ribatto, prendendogli il polso della mano colpita e cominciando a svolgere la benda dal palmo. Subaru prende in risposta il mio avambraccio con la mano libera e cerca di allontanarmi.
- Lasciami stare.
- No.
La fasciatura si dipana facilmente. Tutto il palmo di Subaru è attraversato da una ferita scarlatta che sembra covare un’inizio di infezione, ma il sangue incrostato non mi permette di vedere quanto è profonda o se il taglio è netto.
- Fossi in te me ne starei fermo, - commento, lasciando cadere la benda e staccandomi di forza la sua mano dal mio avambraccio, - Meno ti muovi meglio è per tutti e due.
Ovviamente è come parlare all’aria. Subaru riesce a colpirmi sullo sterno, ma per sua sfortuna la cosa non riesce a togliermi il respiro per più di un paio di secondi. Afferro la mano sana e prendo a stringerla finchè non sento un vago suono di ossa scricchiolanti. Subaru è una maschera di disprezzo e rabbia che brucia in quell’unico occhio che gli rimane.
- Non fare il bambino, Subaru-kun, - dico, trattenendo entrambi i suoi polsi con una mano sola, anche se lui continua a muoversi e mi rende il compito infinitamente più difficoltoso, - Non costringermi a farti svenire un’altra volta.
Non mi sono mai reso conta dell’effettiva somiglianza fra Subaru ed Hokuto finchè lui non arriva a sputarmi in faccia con tutte le sue forze, raggiungendomi appena sotto l’occhio. Un gesto impulsivo tipico di sua sorella.
- Se non altro siamo migliorati con gli insulti, - considero, mentre mi pulisco sfregando la manica della camicia sulla pelle finchè non la sento più umida.
- Avanti, riprovaci, - ringhia Subaru, - Ti costringerò a farmi svenire prima che tu possa toccarmi di nuovo, maledizione!
Mi chiedo se Hokuto non mi stia effettivamente punendo dal posto in cui è finita, dovunque sia… Ma non ha importanza, comunque. Per intralciare un Sakurazukamori si deve fare molto di più.
- Io non volevo farlo, ma mi ci hai costretto.
Non appena alzo la mano libera, vedo tutto l’ardore bellico di Subaru sparire improvvisamente. Incassa la testa fra le spalle, come una tartaruga, ed abbassa lo sguardo.
- No, Seishirou-san, - mormora, - Non farlo. Non umiliarmi più di quanto tu non stia facendo ora.
Di norma mi sarei fatto pregare un po’ di più, ma vedere la sconfitta impressa nei suoi lineamenti è una soddisfazione più che appagante.
- D’accordo, ma cerca di collaborare. Se prometti di non cercare di colpirmi ancora, ti posso liberare una mano.
Subaru accenna ad un assenso, così io allento la stretta al polso destro fino a scioglierla del tutto. Dopo aver controllato che non ha intenzione di rompere la promessa, mi frugo in tasca alla ricerca dell’accendino e del temperino che mi porto dietro per le emergenze.
- Che hai intenzione di fare? – mi chiede l’onmouji, ripescando dentro di sé una traccia del bollore di poco fa.
- Stai fermo e cerca di non urlare troppo.
Apro il coltellino con uno scatto e mi infilo il manico tra i denti, prima di accendere l’accendino sotto la lama. Aspetto finchè non sento il calore propagarsi per bene sul ferro, poi mi levo l’arma dalla bocca e la avvicino alla ferita sul palmo di Subaru.
Lui soffoca un urlo a denti stretti, quando la lama comincia ad incidergli la pelle più in profondità. Si porta un avambraccio alla bocca e morde la stoffa dell’impermeabile per trattenersi, mentre io continuo il mio lavoro.
Di solito sono molto più delicato, quando tolgo un’infezione da una ferita, e questi metodi sono senza dubbio molto rudimentali, però bisogna sempre arraggiarsi con quello che si ha sottomano.
Dopo un’altra manciata di minuti richiudo la lama del temperino. Il taglio era poco profondo, non ci abbiamo messo molto. Subaru ha il viso ancora girato dall’altra parte, e solo dopo qualche secondo torna a guardare me e la ferita ora disinfettata.
- Fa meno male, vero? – commento, reinfilandomi il coltellino in tasca assieme al resto. Interpreto il suo silenzio come un assenso. – Di sicuro non pulsa più come prima. Hai una benda pulita da qualche parte?
- Nell’armadietto sulla destra, nel bagno, - trova la forza di mormorare lui, con voce spenta. Lascio finalmente la presa sul secondo polso e mi alzo.
Come sospettavo, Subaru non tiene né alcol né qualsiasi altra cosa adatta per disinfettarsi una ferita. Era Hokuto quella che si preoccupava di fare incetta di medicinali per sé ed il fratello, che ha sempre ritenuto il proprio benessere un optional bellamente trascurabile.
Trovo un paio di rotoli di garza, come mi ha detto lui. Quando torno nel soggiorno, Subaru è seduto sul letto e si sta guardando il palmo con aria quasi meravigliata.
Comincio a mettergli una benda nuova senza dire nulla, e lui fa altrettanto. Si limita a guardarmi e a soffocare la domanda che, a questo punto, ciascuno al posto suo mi farebbe.
- Ecco fatto, - commento, finendo di sistemargli la fasciatura legandogliela sul polso, - La ferita non si è rimarginata prima per via dell’infezione, ma adesso dovrebbe farlo entro un paio di giorni.
Subaru prova a flettere la mano, vagamente accigliato. Torna a distenderla con un sospiro.
- Vuoi del caffè? – mi chiede, rialzando lo sguardo. L’invito inizialmente mi prende in contropiede, tanto che per un paio di secondi rimango a fissarlo inebetito. Solo dopo un po’ mi viene in mente che non sopporta di sentirsi in debito con qualcuno, figurarsi con me… E pensa che un’offerta del genere basti a placare il suo senso di colpa.
- Beh, tutto dipende da come lo prepari…

Ed il caffè è davvero buono, migliore di quello che faccio io.
Vedendolo muoversi nel suo ambiente naturale, davanti al bricco fumante, Subaru mi è sembrato tranquillo e perfettamente a suo agio, se non fosse per una certa rigidità nei movimenti che mi ha fatto sorridere. Come in ogni gesto che compie, anche la cerimonia della preparazione del caffè assume con lui contorni quasi di sacralità... Caratteristica che mi ha sempre affascinato, fin da quando aveva sedici anni.
- Il tuo caffè, - mi ha detto Subaru, asciutto, appoggiando sul tavolo di formica una tazza fumante. L’ho osservato versarsi a sua volta del caffè e soffiare sulla superficie della tazza per raffreddarlo prima di prendere la mia.
- Lo prendi sempre senza succhero?
- E tu con mezzo bicchiere di latte dentro, immagino. Come caffè è ottimo, - ho commentato dopo il primo sorso. Lui ha accettato il complimento senza battere ciglio.
Così adesso sono qui e mi bevo il caffè a piccoli sorsi, giusto per gustarmelo meglio, mentre guardo Subaru con un mezzo sorriso.
- Me l’hai offerto per le regole di buona educazione o per sdebitarti?
- La prima opzione, - sbotta lui, - Non pensare nemmeno che possa sentirmi in debito con te. Quello è stato molto tempo fa.
- Per via del mio occhio, Subaru-kun?
Subaru distoglie lo sguardo da me, pensieroso. Prende un altro sorso di caffè, prima di fare la sua tipica smorfia di irritazione che ho imparato a conoscere.
- Sì, una volta mi sono sentito davvero in colpa per la faccenda del tuo occhio… Temevo potessi odiarmi per quello che avevo fatto.
E’ ridicolo pensare che, a nove anni di distanza, siamo nella casa di Subaru a bere il caffè come due vecchi compagni di avventura e a rinvangare questa faccenda.
- Ma come ti ho detto già allora, tu non avevi fatto nulla. Era stata una mia scelta volontaria quella di farti da scudo.
- E’ questo che non capisco, - dice lui, appoggiando da una parte la tazza piena per metà, -Tu non hai mai provato nulla per me, neppure quando fingevi di essere il mio innamorato, eppure ti sei messo in mezzo lo stesso quando quella donna ha tentato di colpirmi. Perché?
Mi concedo qualche secondo di pausa per tenere in bilico la sua domanda. E per non scoppiare a ridere, vista l’ingenuità della questione.
- Immaginati la scena, Subaru-kun. Il patto che hai stipulato sotto un Sakura con un bambino di nove anni sta per scadere, hai la vittoria praticamente in tasca e tra un po’ potrai prenderti la tua soddisfazione personale ed ucciderlo di tua mano, prima di continuare a fare la vita che facevi prima di incontrarlo… Sei praticamente in vista del traguardo quando una povera madre pazza di dolore per il figlioletto ammalato non tenta di ammazzare la tua preda e privarti del risultato di tutti gli sforzi che hai compiuto da un anno a quella parte. Sarebbe stato davvero uno spreco di energie da parte mia, nonché una delusione piuttosto cocente, visto che mi sarei visto soffiare via il premio a cui ambivo da parecchio tempo.
Ovviamente Subaru rimane in silenzio. Non credo si aspettasse una risposta molto diversa, se almeno ha imparato a conoscere la mentalità dei Sakurazukamori… In caso contrario, se si aspettava un’appassionata confessione sentimentale, penso sia rimasto a bocca asciutta.
Finisco il mio caffè con un ultimo risucchio e torno a guardare il mio onmouji, che si sta osservando perplesso la mano che gli ho curato. La guarda con intensità, come se sperasse che sia lei a dargli una risposta soddisfacente.
- E questa mano…?
Non ha parlato direttamente a me, sembrava più una domanda che ha detto ad alta voce per sbaglio piuttosto che volutamente. Sussulta leggermente, quando si accorge di aver formulato la questione ad alta voce, per poi alzare lo sguardo verso di me.
Credo di averlo già detto, ma non credo mi stancherò mai di ripeterlo: è bellissimo, il mio Subaru, e quando si decide a guardare la gente negli occhi lo è ancora di più. Nessuno avrà mai degli occhi come i suoi, mai. Nemmeno Kamui, per quanto bene ne imiti la postura, le espressioni o il modo di sorridere, potrà mai avere uno sguardo intenso come il suo.
Subaru sussulta di nuovo. Quando seguo la direzione dei suoi occhi ne capisco il motivo, osservando la mia mano bloccare il suo polso contro il tavolo. Solo la sorpresa blocca Subaru così com’è, e sarà questione di secondi prima che la sua rabbia si decida ad esplodere.
Gli appoggio l’altra mano sul mento, alzandogli il viso verso di me. Le pupille verdi scintillano pericolosamente.
- Subaru-kun, - mormoro. Poi lo colpisco sul viso con un manrovescio che lo manda a sbattere contro il muro con la schiena.
Alla sorpresa si aggiunge lo shock. Subaru boccheggia, ma abbassa la testa giusto in tempo per evitare che un secondo schiaffo lo colpisca sulla tempia. Ma un calcio al plesso solare lo costringe a crollare su sé stesso, senza più fiato.Rimango a guardarlo, in piedi vicino a lui, aspettando che si riprenda.
Nove anni fa era lo stesso. Nove anni fa, sotto il ciliegio illusorio, gli ho rotto un braccio e gli ho spezzato cuore ed anima. Non c’era il minimo dolore, in me, nel vederlo distrutto.
E nemmeno adesso una voce piena di rimorso mi grida di smettere.
Devo essere proprio senza cuore.
- Credo che tu ti stia confondendo, Subaru-kun, - gli dico con un sorriso, accoccolandomi sui talloni per poterlo guardare in faccia, - Per me non ha importanza effettiva curarti o ferirti. Non provo nulla comunque. Posso schiacciare sotto le scarpe la mano per cui ho faticato così tanto, posso prenderti a pugni oppure accarezzarti su una guancia, è indifferente. Il confine fra due atteggiamenti opposti come l’amore e l’odio per me è indistinguibile, visto che non capirò mai realmente cosa vuol dire amare o odiare. Ti ho dato la possibilità di insegnarmelo, anni fa, ma tu non sei riuscito nel tuo compito… Un vero peccato, buttare via un’occasione come questa.
L’unico occhio verde di Subaru torna a guardarmi fisso, le labbra scoperte appena in un ringhio di rabbia. Quando l’ho colpito il suo labbro inferiore si è spaccato, ed un sottile rivolo di sangue attraversa il mento fino al collo.
Scoppio a ridere, quando lo abbraccio. Premo le labbra sulla sua gola in un bacio beffardo, la carne calda della giugolare pulsante contro la mia bocca.
- Tu…!
All’improvviso Subaru sembra così troppo pieno di emozioni contrastanti che penso che sentimenti di una tale portata lo uccideranno all’istante. Si divincola con furia, ma la mia presa è forte quasi come quella delle radici di un Sakura, che non lasciano scampo quando ti hanno preso.
- Sì, - rido, strappandomi a forza dalla gola del mio onmouji e sfiorando le sue labbra con le mie. Qualcosa di caldo mi scivola lungo la scapola, quando le dita di Subaru affondano nella carne cedevole fra spalla e collo e premono, facendo pressione per staccarmi.
Forse la mia nemesi avrebbe qualche possibilità, contro di me, se questa fosse una lotta di potere… Ma è una colluttazione fra forza e volontà, ed entrambe sono più forti in me che in lui.
Non faccio sforzi per replicare ai suoi deboli tentativi, non è necessario. Le sue mani perdono forza da sole e scivolano inerti lungo il mio petto. Subaru chiude i suoi occhi con un singhiozzo soffocato, quando capisce che una preda non ha potere di contrastare il cacciatore… Ma può solo arrendersi spontaneamente o lottare ancora. Serra le palpebre perché non vuole che veda il suo orgoglio uccidersi nei meandri verdi delle sue pupille.
Lo bacio ancora, con il sorriso sulle labbra, e stavolta lui non tenta di opporre resistenza. Le mie mani, nei suoi capelli, incontrano la resistenza della benda all’occhio. Comincio a dipanarla con delicatezza, finchè la garza non cade a terra con un fruscio.
- Apri gli occhi, Subaru.
La palpebra destra, leggermente raggrinzita, freme per qualche attimo, prima di schiudersi lentamente. Vedere l’orbita, un tempo così verde, tinta dello stesso colore della porcellana fa scattare qualcosa, in me. Lo stesso, vago senso di ribellione che ho sempre provato quando il demone del Sakura chiedeva la sua vittima prima del tempo… Ma stavolta c’è Kamui, nell’occhio del ciclone.
Prendo il viso di Subaru fra le mani. I lineamenti delicati, le iridi scompagnate, le labbra appena schiuse, la pelle tiepida sotto i miei palmi.
Bacio il suo occhio cieco. Riesco a vedere un braccio che si piega in alto, un sorriso cinico e beffardo che si schiude come una ferita sulla gola, delle parole mormorate all’orecchio, perché sei tu che lo desideri…, e poi il baratro, il nero.
Se è desiderio ciò che mi spinge a mordere le sue labbra, se è amore ciò che prova lui mentre insinua le dita fra i miei capelli, il collo piegato all’indietro per me, non lo so, ma non importa.
Lo stesso vuoto che ha inghiottito Subaru da tempo è lo stesso nulla che io bramo per me.

Apro gli occhi.
Devo sbattere più volte le palpebre per riuscire a snebbiarmi la vista e riuscire a mettere a fuoco l’ambiente che mi circonda. L’aria della finestra aperta mi sfiora i capelli leggermente umidi e fa frusciare le carte sul tavolo, lì dove le ho messe… Quanto tempo fa?
Non lo so più.
Devo girare la testa per riuscire a vedere uno spicchio di Subaru, rannicchiato sul letto il più lontano possibile da me, rannicchiato fra le lenzuola fresche. Perfettamente immobile, solo gli occhi aperti testimoniano il suo essere completamente sveglio.
Anche se guarda me, il suo sguardo è altrove, sfuocato dai pensieri che lo stanno attraversando. Mi scosto le coperte dal petto con un sospiro, cercando di fare mente locale per ritrovare i vestiti che ho lasciato chissà dove.
Un altro fruscio mi distrae momentaneamente e mi volto per guardare in direzione di Subaru, ma stavolta è lui ad essere più veloce. Sento una leggera tensione ai fianchi, prima di accorgermi che si è accucciato sopra di me, scalciando via le coperte che gli impedivano i movimenti.
Entrambe le sue mani, quella sana e quella ferita, si chiudono sulla mia gola con forza soffocante, come se la rabbia bastasse ad annullare il dolore fisico che prova. Appoggio d’istinto una mano sui suoi polsi per liberarmi ma le sue ossa sembrano essere diventate di marmo… Ed il respiro che esce con un rantolo dalla mia gola succhia via anche le mie forze.
Penso che, se concentrassi le mie energie, mi potrei liberare facilmente… Ma non voglio farlo. Voglio vedere se riesce davvero ad ammazzarmi, anche se io non muovo dito.
Nel viso di Subaru c’è un’espressione fredda ed inespressiva dura come la pietra che non gli ho mai visto prima. La sua vendetta ha trovato ulteriori motivazioni per esistere, dopo quello che è successo, ed ora ha davvero la forza di uccidermi. Ora può farlo.
- Sì, Subaru, - mormoro, anche se un colpo di tosse mi tronca a metà la frase, e devo fare appello all’aria restante nei miei polmoni per continuare, - Così… In un colpo solo vendichi tua sorella e te stesso…
- Meriteresti anche di peggio, - ringhia lui, in risposta. Anche l’occhio sano mi si sta annebbiando per la mancanza di ossigeno, tra un po’ perderò i sensi e le ultime energie.
- Tu… Tu hai ucciso mia sorella, hai distrutto me… Mi hai trattato come un balocco con cui svagarti quando ne hai voglia… Tu…
- Vero, - ammetto. Riderei pure, se ne avessi la forza, ma nemmeno le labbra riescono a distendersi come vorrei.
- Vero, Subaru… E continuerò a farlo.
Pochi secondi e sarà tutto finito… Buffo, però, che sia proprio Subaru ad uccidermi in questo modo assurdo… Ma non fingerò che mi importi qualcosa.
Il mio petto si contrae per cercare disperatamente dell’aria, e stranamente la cosa mi è più facile di prima. La morsa attorno alla mia gola è allentata, adesso è così delicata che sembra una carezza sui lividi che mi macchiano la pelle.
Subaru arretra , fino a tornare a rannicchiarsi dove stava prima, come se non fosse successo nulla. Rimango ad inspirare ossigeno finchè la mia respirazione riassume un ritmo decente.
- Che occasione buttata via, Subaru-kun, - commento, massaggiandomi il collo contuso.
- Lo so. Ma non riesco ad ucciderti così.
Annuisco. Nemmeno io ce la farei, sarebbe troppo semplice. Non dopo tutta questa fatica spesa in più di nove anni di caccia... E poi nemmeno lui si gusterebbe molto la sua vendetta, se mi uccidesse ora.
Il mio onmouji chiude le proprie braccia attorno alle ginocchia, tremando leggermente. In questa stanza non c’è abbastanza freddo da far tremare una persona, però.
Allungo una mano e lo tiro verso di me. Lui finisce per ritrovarsi la schiena premuta contro il mio petto e la testa reclinata sulla mia spalla.
- Se hai avuto quello che volevi, perché non te ne vai? – mi chiede, cercando di essere aggressivo ma senza risultarlo troppo.
- Perché non voglio vederti così, - dico semplicemente. Le mie dita si insinuano fra le sue labbra, urtandone leggermente i denti, accarezzandone la lingua. Subaru accetta questo gesto per qualche attonito secondo, poi mi prende la mano e la toglie di forza dalla sua bocca.
- Chissà quanto ti sarai divertito poco fa, nel vedere che non riesco nemmeno ad ammazzarti quando tu eri praticamente indifeso, - commenta con amarezza. Tecnicamente un Sakurazukamori non è mai indifeso, ma non voglio fargli pesare questo dettaglio.
- La situazione ha avuto il suo fascino, lo ammetto, però…
Mi chino in avanti per rubare un ultimo bacio a quelle labbra serrate per il disappunto, e sorrido quando Subaru scuote leggermente la testa.
- Però niente vale il veleno che distillano i tuoi occhi, occhi verdi, laghi in cui si vede capovolta tremare l’anima. I miei sogni in folla vengono a dissetarsi a quegli abissi amari…



NOTE: Va bene, va bene. Sono caaaaalma e non ho scritto nulla di quello che ho pensato fino ad ora… Come?! L’ho scritto sul serio?! Oh, fantastico. E se il rating non era arancione che succedeva? Un ritorno alle atmosfere di Angels?
Oh, santo cielo O_O
Intanto mi scuso per l’attesa per questo capitolo, credevo di scriverlo in quattro e quattr’otto per via delle vacanze ma fra una cosa e l'altra il tempo non è molto… Senza contare che ho una fanfiction in lavorazione su Chobits, una longfic per Tsubasa Reservoir Chronicle ed una su Fire Emblem che vorrei continuare, visto che non la tocco da mesi *senso di colpa, senso di colpa, senso di colpa…* Ma l’importante è essere qui, no?
Vi avevo promesso un capitolo denso, vero? Mi pare di aver concentrato parecchie cose in questo tot di pagine e di non esserne venuta fuori con una cosa troppo smielata… Ma se ho commesso errori riccorrete alle famose randellate dei primi capitoli, va bene? (Anche se penso di aver Seishirou odioso in questo capitolo più che mai, avevo davvero una gran voglia di prenderlo a pugni in faccia a fine capitolo… Eh sì, Subaru è davvero troppo buono con lui…)
I credits delle parole finali di Seishirou appartengono, ancora una volta, al buon Baudelaire, che con la poesia “il veleno” ha scritto una delle poesie più belle de I fiori del male. E perfettamente adatta al rapporto tormentato Sakurazukamori/Sumeragi, vi consiglio di leggere tutta la seconda parte della poesia e dirmi che ne pensate, alla fine ^^ Secondo me l’ha scritta per loro, ma può darsi che io sia semplicemente fissata e veda miraggi dove non esistono…
Lo scorso capitolo vi avevo detto che la caduta era cominciata: adesso siamo a buon punto del precipizio, ma il peggio deve ovviamente ancora venire… Lascio a voi il mistero su “cosa” si scatenerà sul nostro Sakurazukamori.
Alla prossima!

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Capitolo 12
*** Wishless ***


"Is there life before a death?
Do we long too much and never let in?"



Quando i primi fiocchi cominciarono a cadere, lui era già rientrato in casa.
Si sfilò le scarpe e le spinse in un angolo, dove non potessero chiazzare i tatami con la neve ancora fresca raggrumata sotto le suole,prima di sedersi davanti allo shoji aperto.
Era già scesa la sera. La luce lontana di un lampione riusciva a filtrare anche tra i rami fioriti del ciliegio ed ad illuminare il terreno sottostante in chiazze color miele, ma anche la neve stessa brillava di un’evanescente luce propria.Sotto il sottile velo color sangue, era il biancore a brillare più vivido.
Sospirò, lasciandosi cadere le mani lungo i fianchi. La sagoma di lei giaceva nella neve, non scomposta come un burattino senza fili ma, se possibile, ancora altera e fiera come era stata in vita, la rigidezza da bambola orgogliosa ancora intatta.
Com’era meravigliosa, la morte, incarnata così.
Non si girò, sentendo dei passi leggeri dietro di lui, increspò appena le labbra in un sorriso di benvenuto quando sentì la mano dello spirito posarsi a lato del suo collo. Rabbrividì, sentendosi toccato dove il freddo non era riuscito ad arrivare.
- Adesso posso chiamarti col nome che ti spetta, - sussurrò li demone del Sakura, inginocchiandosi sorridente di fronte a lui. Seishirou non potè non notare di come lei si fosse premurata di pararsi tra lui e la sua prima vittima, tra lui e ciò che di più bello aveva avuto in passato.
- Sakurazukamori.
Gli passò un dito sottile sulle labbra, raccogliendo l’unico rimasuglio scarlatto che lui non era riuscito a togliersi sfregandosi i palmi contro la bocca. Parve compiaciuta dall’aver notato quel dettaglio sfuggito al suo nuovo servo.
- Spero che Setsuka sia stata una brava insegnante per te, - commentò poi il Sakura, raccogliendosi le mani in grembo, guardando dietro di sé col tono di sufficienza di chi ha sprecato fin troppe parole sull’argomento.
Era molto diversa rispetto a come lui se la ricordava: più giovane, quasi più impaziente, gli occhi vivi e nessuna luce materna nelle pupille scure, mentre si sistemava i capelli sciolti dietro l’orecchio.
“Il Sakurazukamori è il ciliegio che lo possiede” gli aveva detto sua madre qualche tempo prima “Ed il Sakura cresce con lui, rinasce con ogni avvento di un nuovo custode e con lui rimane fino alla fine. Almeno, così è stato fino ad ora…”
Si chiese se Setsuka avesse voluto lasciare volutamente in sospeso quell’ultima frase per instillargli la convinzione che con lui le cose sarebbero potute cambiare. In ogni caso, non poteva più chiederglielo.
- Non dovresti domandarti cose che non possono più avere risposta, - gli fece notare con dolcezza il Sakura, - Tua madre aveva perso la ragione ormai da qualche tempo… Tu lo sai, da quando sei arrivato qui lei è cambiata molto. Non aveva più il sangue negli occhi, solo l’immagine di suo figlio.
Le labbra di lei si curvarono in una sorta di delusione infantile, così simile alla stessa espressione che così tanto gli piaceva in Setsuka, e si alzò dal tatami con un movimento fluido del kimono.
- Ma andiamo, angelo mio, - gli disse ancora, porgendogli la propria mano, - Hai ucciso la tua prima preda ma c’è ancora tanto da fare. Stanotte starò con te, mentre scivolerai nelle strade come un’ombra, fino all’alba ti starò vicina come se fossi la tua cara innamorata. Voglio vedere ciò che hai appena imparato.Vieni, angelo, vieni.
Lui guardò prima lei, poi la neve tinta di scarlatto.
Le porse la mano ancora insanguinata affinchè lo aiutasse ad alzarsi.


- Yuuko? Yuuko, sei ancora qui?
Senza Maru e Moro che vengono ad aprire la porta d’ingresso e mi accolgono con i loro sorrisi e le loro frasi in perfetta sincronia, il negozio della Strega Dimensionale sembra quasi spento.
Stavolta non sono sicuro che Yuuko sia in casa, e non voglio introdurmi di certo in un’abitazione senza invito come fa il mio Kamui. Senza togliermi le scarpe, - sarebbe inutile farlo, se fra pochi secondi mi deciderò ad andarmene, - faccio un paio di passi in avanti, per vedere se qualche luce filtra tra gli shoji dell’interno.
Nel vedere che la porta della camera dove Yuuko riceve i suoi clienti è semiaperta e nel sentire l’aria satura del tabacco da pipa mi convinco che ci sia ancora qualcuno.
- Yuuko? – chiedo, a voce più bassa rispetto a prima.
- La porta è aperta per qualcosa, Sakurazukamori.
Mi sfilo le scarpe prima di entrare nella stanza. Yuuko non è sdraiata sul suo amato divano, come l’ho sempre vista, ma è seduta compostamente sul tatami a sorseggiare una tazza piena di quello che, dall’odore, sembra sakè. Ha anche indossato la veste nera che mette per le grandi occasioni e si è raccolta i capelli dietro la nuca.
- L’ultima bevuta, - commenta lei, alzando il bicchiere nella mia direzione, - Ti va di unirti a me, Seishirou Sakurazukamori? A bere da soli ci si sente ancora più infelici.
- Te ne stai andando, Yuuko? – le chiedo, accomodandomi di fronte a lei. La strega annuisce con fare vagamente malinconico.
- Già, la fine del mondo è troppo vicina perché io mi trattenga oltre in questa città. I miei assistenti se ne sono andati da un pezzo, ed ora tocca anche a me.
- Sembri triste.
- Bah. Questa Tokyo non è diversa da tutte le altre Tokyo che ho visitato, ma dopo un pò ci si affeziona sempre. Come sta il tuo Subaru?
- Non credo che apprezzerebbe molto il fatto che tu lo definisca “mio”, - commento con un mezzo ghigno.
- Ma è così.
Annuisco, prendendo un sorso dalla tazza di sakè che mi porge.
- L’ultima volta che l’ho lasciato non era molto contento. Mi ha tirato addosso un bicchiere prima che riuscissi ad infilare la porta di casa sua.
- Gli avrai dato una buona ragione per farlo, conoscendoti.
- Gli ho dato una buona ragione per uccidermi, la prossima volta che mi vedrà. Ma stavolta sono venuto qui per chiederti un favore, Yuuko. Ma tu lo sapevi già.
La strega annuisce con aria professionale, mentre l’ombra di un sorriso le piega gli angoli della bocca.
- Sono rimasta qui apposta, Seishirou Sakurazukamori. Avanti, dimmi cosa desideri.
Rimango in silenzio, rigirandomi la tazza vuota fra le mani. Gliela porgo senza dire nulla e lei la riempie di nuovo fino all’orlo. Mi sono necessarie tre dosi di sakè prima di essere sicuro di parlare.
- C’è una maledizione che grava sulla mia testa, Yuuko. Me l’ha scagliata Hokuto Sumeragi prima di spirare per mano mia. Se tentassi di uccidere Subaru con la stessa tecnica con cui ho ucciso lei, sarò io a morire. Non sono riuscito a trovare un modo per annullare questo incantesimo, è troppo potente perfino per me. Vorrei che tu me la togliessi.
- Per poter uccidere Subaru?
- Sì.
Con mio grande stupore, lei scuote la testa.
- Mi dispiace, non posso farlo.
Stavolta devo dare fondo alla mia capacità di autocontrollo per mantenere un tono di voce moderato e tranquillo.
- Perché?
- Sai come vanno le cose in questo negozio. Io esaudisco i desideri a patto che un cliente abbia qualcosa da scambiare di eguale misura. Seishirou, questa richiesta ha un prezzo troppo alto, e tu non hai di che pagarmi.
- Dimmi di cosa si tratta, Yuuko. Sono sicuro che…
- Aspetta, fammi finire. E’ vero, potrei anche dirti il prezzo da pagare, ma sono io che scelgo di non rivelartelo… Perché non è questo il tuo vero desiderio.
- Conoscere il prezzo?
- Levarti questo incantesimo.
Mi sono sempre considerato una persona ragionevole e con una buona dose di amor proprio nonché di umana conservazione: anche se conosco Yuuko da una vita, non permetto nemmeno a lei di dire che ciò che voglio è suicidarmi.
Apro la bocca per ribattere, e sono sicuro che ciò che sto per dire potrebbe risultare estremamente velenoso, però dalla mia gola non esce nulla. La Strega continua a guardarmi con tranquillità, come se avesse vissuto la stessa scena miliardi di volte ed ormai la cosa la annoiasse.
- Se non fosse questo il mio desiderio, quale sarebbe?
- Ah, questo non lo so, - replica lei con un sorriso sornione, - La sottoscritta è capace di sentire a pelle se un desiderio è genuino o meno, ma spetta al cliente essere sicuro della propria volontà. Sono sicura che il tuo Kamui avrebbe da dirti qualcosa, a riguardo…
- Conoscendolo, mi darebbe la stessa cosa che mi hai detto tu. Anche a lui piace fare il misterioso almeno quanto te.
- Un piccolo difetto di noi realizzatori di desideri. A volte siamo troppo egocentrici ed altre volte ci piace circondarci di un alone di mistero… Che vuoi farci, siamo così. Mi spiace sinceramente di non esserti potuta essere d’aiuto, Seishirou.
- Bah, troverò un altro modo per levarmi questa maledizione di torno… Giusto per non darla vinta ad Hokuto.
- E bravo il nostro Sakurazukamori, così mi piaci, - esulta lei ridendo, - Chissà che tornare da dove sei venuto non possa esserti più utile di me… Dove abitavi prima di venire qui a Tokyo?
- La mia casa a Kanazawa? – chiedo, mentre il mio cervello lavora per trovare una spiegazione razionale a quest’ultimo consiglio. Ma ora che ci penso…
- Oh, devo smettere di parlare o finirò per darti troppe dritte. Un altro bicchiere, Seishirou Sakurazukamori?
- Dacci dentro finchè vuoi, Yuuko, visto che è la bevuta d’addio, - sorrido io, porgendole la tazza di sakè nuovamente vuota.
Ho una mezza idea di cosa fare, ora.

- Onorevole capofamiglia… Bentornato nella vostra casa.
Kaede, celando magistralmente ogni espressione di sorpresa destata dal mio arrivo improvviso, si prostra davanti a me fino a toccare le stuoie con la fronte. Rispondo al suo saluto con un cenno del capo, di certo molto di più di quanto una serva si meriterebbe dal proprio padrone, prima di lasciare che lei mi sfili gli zori dai piedi. Non si può varcare la soglia della dimora del mio clan se non si è rigorosamente in abito tradizionale, come dimostra il kimono da cerimonia che ho indosso.
- Era molto che non ci onoravate della vostra presenza, capofamiglia, - continua lei, - Com’è stato il viaggio?
- Pessimo come sempre, ma essere di nuovo a casa vale tutto il tragitto da Tokyo. Comunque hai ragione, è passato davvero molto tempo. Come stanno i gemelli?
- Stanno bene… Hanno sei anni e sono molto vivaci, capofamiglia.
- Sei anni? Ne avevano appena due, l’ultima volta che sono venuto qui. Una volta o l’altra dovresti portarli qui, voglio vedere quanto sono cresciuti.
- Se il capofamiglia mi onora in questa maniera, non posso che esserne felice, - sorride lei, fissandomi con sguardo adorante. Evito i suoi occhi guardando dietro di me, per accertarmi che il mio accompagnatore ci sia ancora. E’ ancora fermo poco dopo il vialetto di ingresso, intento a guardare una pianta di camelia in fiore.
- Kamui! – lo chiamo. Lui solleva lo sguardo e mi raggiunge senza fretta, sorridendo come per scusarsi per essersi trattenuto troppo. Non sembra sentirsi a disagio in abito tradizionale, anzi sembra perfettamente immedesimato nell’atmosfera riservata e silenziosa di casa Sakurazuka fin dal momento in cui siamo scesi dal treno da Tokyo.
Kaede lo fissa, imperturbabile come una maschera di cera, per poi tornare a chiedermi quanto tempo ho intenzione di fermarmi nella mia casa.
- Rimarrò qui forse due giorni, - rispondo, evitando accuratamente il verbo al plurale, - Shinbo è qui?
- Sì, capofamiglia. Vado a chiamarlo?
- Va bene, ma non subito. Digli di venire da me fra dieci minuti.
Lei si inchina nuovamente davanti a me e poi rivolge lo stesso inchino a Kamui, prima di ritirarsi. Rimaniamo per qualche secondo soli nel corridoio di ingresso prima che io mi diriga verso la mia vecchia camera, facendogli cenno di seguirmi.
La mia stanza è perfettamente pulita, come dietro mia precisa richiesta. I servi hanno l’ordine di mantenere tutto in ordine nel caso di una mia visita improvvisa, visto che di solito accade che io capiti qui all’improvviso. Non amo annunciarmi con un largo preavviso al clan.
Tranne il futon già preparato sul tatami, nel caso voglia riposarmi dopo il viaggio da Tokyo, la camera è completamente spoglia ed impersonale. Kamui si guarda curiosamente in giro, cercandovi un segno che testimoni che io ne sono il proprietario, ma deve rimanere deluso dal vuoto che lo circonda.
Aspetta che abbia chiuso lo shoji prima di sedersi con un sospiro.
- Non credo che tu sia venuto qui per una visita di cortesia, mi sbaglio?
Scuoto la testa, sedendomi vicino a lui. Non gli ho detto nulla del motivo per cui mi trovo qui.
- No, effettivamente ho qualcosa da fare. Qualcosa da cercare.
- E qualcosa che non puoi raccontarmi…
- Qualcosa che ti consiglio di non chiedermi, Kamui, se non vuoi infastidirmi.
- Lungi da me il volerti arrecare troppo disturbo, Sakurazukamori, - conclude lui. Alza lo sguardo per osservare una seconda volta l’ambiente che lo circonda, mentre io mi chiedo il motivo per cui non mi sono opposto alla sua proposta di seguirmi qui a Kanazawa, quando stamattina mi ha chiesto, senza molti preamboli: “Posso venire?”
Sento che lui mi è necessario, eppure non so il perché. Ancora una volta mi sto affidando al puro intuito, con Kamui. Spero non dovermene pentire in seguito.
- Quello che hai mandato a chiamare chi sarebbe? – mi chiede, voltandosi nuovamente nella mia direzione. Il kimono blu scuro che indossa non è suo, ma mio, eppure sembra essere stato cucito su misura per stargli come un guanto. Mi chiedo, con un vago senso di fastidio, se ormai non ho raggiunto anch’io quell’età in cui ogni uomo più giovane mi sembra meraviglioso.
- Shinbo è il mio intendente. Quando io sono lontano è lui ad amministrare questa casa, oppure mi cerca informazioni su alcuni degli incarichi governativi che mi sono affidati.
- Deve essere una persona di cui hai molta stima.
- Si è sempre dimostrato affidabile, come aiutante.
- E lui può aiutarti nel trovare ciò che stai cercando? – mi chiede Kamui, con una certa noncuranza che non manca di farmi sorridere. Come sempre è troppo testardo per fermarsi alla semplice richiesta “lascia perdere e non chiedere altro”
- Forse, se sono fortunato. Comunque, sono faccende da Sakurazukamori che non devono toccare il distruttore di questo mondo. Qua fuori c’è una piantagione di camelie e ciliegi che so potresti apprezzare…
Lui ride a bassa voce, come se avessi appena fatto una battuta, e si alza, sistemandosi qualche piega del kimono che si è formata col suo movimento brusco.
- Il solito modo garbato per dirmi di togliermi dai piedi. E va bene, andrò nel giardino ad ammirare le piante in fiore nell’attesa… Spero che sia uno spettacolo che almeno valga la pena vedere, - conclude, sfiorandomi la tempia con le dita ed uscendo dalla camera. Sbatto gli occhi un paio di volte. Può darsi che l’intuito abbia sbagliato, stavolta, e portare Kamui qui sia stato un errore.
Non riesco a riflettere sulla faccenda abbastanza a lungo, perchè una voce sommessa, fuori dalla camera, mi chiede il permesso di entrare.
Il mio intendente è un uomo sulla cinquantina, praticamente pelato, con una gentile faccia da Buddha terreno che non manca di ispirare una certa simpatia al primo sguardo. Dopo il mio rito di passaggio, è stato lui a bussare alla porta di questa casa assieme alla sua famiglia per offrire i suoi servigi che, nel corso degli anni, si sono rivelati preziosissimi.
Mi saluta con affetto sincero, dopo i vari convenevoli. E’ strano vedere come tutti coloro che si trovano in questa casa mi siano così legati, benché io non sia un padrone né più indulgente né più severo di altri.
- Ti trovo bene, Shinbo, - gli dico, facendolo accomodare. Lui sorride indulgentemente alla mia frase di circostanza.
- Il capofamiglia è troppo buono. La cruda verità è che il mio corpo invecchia in fretta ed il mio spirito vuole ricongiungersi al più presto ai miei cari. Quando non sarò più utile al clan, spero che questo percorso giunga a buon fine il prima possibile.
- Via, non fare discorsi del genere. Il tuo operato è ancora impeccabile, come mi hai dimostrato per il mio ultimo incarico.
- Sono lieto di sentire questi elogi, capofamiglia. Essere ancora d’aiuto al clan dei Sakurazukamori è il più grande onore, per me.
Anche se, ad un orecchio estraneo, tutti questi discorsi possono sembrare vuoti e ipocriti, questa non è la verità. Il mio intendente crede davvero ad ogni parola che dice, ed il saperlo mi procura sempre un’enorme soddisfazione.
- Shinbo, ti ho chiamato qui non per i soliti motivi burocratici del clan, - comincio, - Ma è per una faccenda molto più importante. Una volta mi hai detto di aver trovato dei documenti relativi ai precedenti Sakurazukamori, sbaglio?
- Non sbagliate, capofamiglia. Avevate ordinato che venissero conservati ed io mi sono preso la libertà di rilegare quei documenti e metterli da parte, se un giorno fossero stati utili.
- Davvero previdente. Pare che quel giorno sia arrivato. Dovresti mandare qualcuno a prenderli e a portarli qui da me, perché forse contengono una risposta ad una mia domanda.
Vedo Shinbo tentennare per qualche secondo, prima di chinare la testa in segno d’assenso. Reazione che mi lascia leggermente perplesso.
- Parla pure, se hai qualche cosa da dire.
- Nulla, capofamiglia. Rammentavo che quelle pagine contengono arti segrete dell’ onmyoujitsu estremamente potenti, e mi chiedevo quale problema costringesse il tredicesimo Sakurazukamori ad usarli.
- Un problema molto astioso, devo ammetterlo. Spero solo che i documenti in possesso del clan mi aiutino a risolverlo.
- Lo auguro anch’io, visto che la mia forza non è sufficiente, stavolta, per aiutarvi. Andrò a prenderli di persona.
- Grazie. Ah, un altro paio di cose prima di congedarti… Tua figlia Kaede ti avrà sicuramente detto che abbiamo un ospite.
- E’ quel ragazzo che è uscito poco fa per andare nel giardino sul retro? – mi chiede discretamente il mio intendente. Mi limito ad accennare ad un sorriso ed ad annuire.
- Vi somiglia molto, - aggiunge Shinbo.
- Credi davvero? Quel ragazzo somiglia ad ogni persona e non assomiglia a nessuno.
- Avete ragione. Guardandolo, si capisce che ha qualcosa di speciale… Eppure ha il vostro stesso sguardo, capofamiglia.
- Interessante. Ha gli occhi di un assassino o di un Sakurazukamori?
Nel sentire la mia domanda piccata, Shinbo capisce di aver detto qualcosa che non doveva. Lo vedo sbiancare di colpo e mormorare le sue scuse a testa bassa.
- Tranquillizzati, Shinbo, ormai ci sono abituato. Comunque non è il mio figlio segreto, anche se lo sembra, - aggiungo con un mezzo ghigno, - La camera qui a fianco andrà benissimo, per quei due giorni che rimarremo qui. Per quanto riguarda la seconda questione, puoi avvertire il resto del clan che presiederò alla cerimonia di questo pomeriggio.
- Capofamiglia, - si congeda lui, con un ultimo inchino, prima di uscire.
Purtroppo anche l’erede del clan Sakurazuka ha i suoi doveri da svolgere, e partecipare alle cerimonie propiziatore alla fine del mese è uno di questi doveri… Compito da adempire quando è presente nella sua casa, naturalmente.
Mi massaggio il collo cercando con le dita di sciogliere i nervi induriti al di sotto della nuca, sebbene con poco successo. Non ho ancora smaltito tutto il sakè bevuto in compagnia di Yuuko, ieri sera. Rimango ad ascoltare per qualche tempo il vento che sfiora lo shoji che da sul giardino esterno, poi mi deciderlo a socchiuderlo e a dare una breve occhiata fuori.
Kamui è ancora lì, intento ad osservare con minuziosità ogni pianta che lo circonda. Malgrado il suo viso sia estremamente concentrato nella sua analisi visiva, i suoi lineamenti hanno anche un’espressione di piacevole sorpresa, la stessa che gli ho visto quando l’ho portato nella mia vecchia dimora.
Socchiudo lo shoji facendo meno rumore possibile, prima di andarmi a preparare per la cerimonia di oggi pomeriggio.

- Secondo me dovresti andare a dormire, Sakurazuka. Sembra che tu stia per crollare da un momento all’altro.
- Non sto crollando, - replico, mandando giù un sorso del tè che Kaede mi ha portato quasi due ore fa, - ormai è ghiacciato e berlo è praticamente una tortura, - e continuando a sfogliare le pagine davanti a me. E’ l’ultimo libro a mia disposizione, sono alle ultime pagine eppure non ho avuto fortuna. Pare che non riuscirò ad uscire da questo pasticcio così facilmente.
Kamui mi si avvicina a passi felpati e tenta di sbirciare al di sopra della mia spalla ciò che sto facendo. Nel sentire il suo petto premere contro la mia schiena, chiudo con uno scatto il libro che stavo consultando.
- Kamui, quale delle parole che compongono la frase “Fatti gli affari tuoi” non ti è chiara? Hai bisogno di un dizionario oppure devo mimartela?
- Potrò anche farmi gli affari miei, ma tu sarai comunque costretto a dirmi il perché di questo viaggio nella casa di famiglia, - replica lui con uno dei suoi sorrisi scaltri che ho imparato ad evitare.
- Questo è tutto da vedere.
- Uhm, allora dovrò cominciare a pensare che tu mi abbia portato qui solo per far tacere la tua coscienza e non far soffrire troppo il tuo onmouji preferito… Come si dice? Occhio non vede…
- Santo cielo, Kamui! – sbotto, girandomi di colpo nella sua direzione, - Per me le cose dovrebbero andare realmente male se mi sobbarcassi questo viaggio solo per sentirmi più tranquillo nel portarti a mio letto! Si può sapere cosa ti passa in quella testa, solamente per immaginare una cosa del genere?
- Visto che non è per questo, allora devi avermi portato qui perché possa esserti utile in qualche maniera, giusto? Potresti dirmi come faccio ad aiutarti se vuoi tenermi nascosto ciò che stai facendo? Devo estrapolartelo di forza dalla tua testa, quando so benissimo che la cosa non ti fa piacere?
A volte tentare di dissuaderlo è letteralmente impossibile, specie se non ho argomenti con cui ribattere.
- Avanti, dimmi un po’ cosa capisci , - dico, mettendogli in mano il libro che stavo leggendo. Kamui gli rivolge un’occhiata attenta, prima di aprirlo e di sfogliarne velocemente le pagine.
- Non sono certo un maestro di yin e yang come te o il Sumeragi, ma dalle formule questi sembrano incantesimi molto potenti.
- Esatto. Per la maggior parte queste sono formule appartenenti alla branchia oscura dell’ onmyoujitsu, ma dovrebbero esserci anche incantesimi di parte bianca. Io sto cercando un contro incantesimo per una maledizione, se così posso chiamarla, molto insolita.
- Riguarda Subaru, questa maledizione?
Credo sia la prima volta che lo chiami per nome e non per cognome. Strano.
- Più o meno.
- E se trovassi la formula che ti serve, la useresti per liberarti da questo incantesimo che ti perseguita?
Nel sentire questa domanda, che nel concetto mi pare estremamente simile al discorso che Yuuko mi ha fatto ieri sera, perdo la facoltà di parlare per qualche secondo.
- Perché non dovrei usarla, Kamui?
Lui scrolla le spalle con un sorriso amaro. Non mi guarda negli occhi.
- Ci ho riflettuto parecchio, prima, guardando i Sakura. Ricordi quello che ti ho detto nella tua vecchia casa di Tokyo? E’ solo la morte ciò che si desidera. Ed ogni giorno che passa, me ne convinco sempre di più.
Kamui sembra quasi tornato quel ragazzino impaurito di allora, che tremeva guardando il ciliegio. Non so cosa dire. Penso che, se solo fossi più sensibile, mi dispiacerebbe molto per lui. Ma non lo sono, perciò resto a guardarlo senza dire nulla.
- Ma se mi dici che per te non è così, non vedo perché tirare fuori certi discorsi, - aggiunge lui, ridendo a bassa voce, - Però, caro il mio Sakurazukamori, dovresti dormire almeno per qualche ora, o crollerai sul serio.
- In quanto adulto ed in pieno possesso delle mie facoltà mentali, sono in grado di decidere quando riposarmi o meno senza che un ragazzino con la metà dei miei anni me lo ricordi, - ribatto stancamente, tornando a girarmi dall’altra parte per evitare il suo sguardo. Sento che Kamui, dietro di me, appoggia in terra il libro che gli ho dato in mano e lascio che mi circondi le spalle con le sue braccia. Non guardarlo, come al solito, mi aiuta un poco.
- Se non fossi venuto a casa tua, - mi chiede con un sussurro, - Mi avresti evitato finchè ti sarebbe stato possibile?
- Tu eri là fuori, quella sera, vero? Mi hai seguito per tutto il tempo.
Lui rimane in silenzio qualche secondo. Quando riprende a parlare, si intuisce che sta sorridendo.
- Quando te ne sei accorto?
- Più tardi di quando avrei voluto. Mi era parso che ci fosse qualcuno, sul davanzale, e quando ho guardato fuori ho visto la tua ombra, e sono rimasto a fissarla finchè non te ne sei andato.
Cade di nuovo il silenzio. So che non otterrei risposta se gli chiedessi il motivo delle sue azioni.
- Anche il tuo Sumeragi se n’è reso conto, vero?
- Tanto da credere che sia stato io a chiamarti. E tanto da tirarmi dietro un bicchiere. Sulla nuca immagino di avere ancora i segni.
- Non avresti dovuto comportarti così, con lui.
Ad infastidirmi non è quanto abbiamo chiarito ma il malvelato rimprovero nella sua voce. Mi divincolo a forza dal suo abbraccio appena accennato e lo allontano bruscamente da me.
- Da dove prendi questa presunzione di dirmi cosa devo o non devo fare, Kamui? Ti basta sentirti ascoltato almeno un po’ per sentirti in dovere di sputare sentenze al posto mio? Da quando mi dici come devo comportarmi con le mie cose?
- Tu non l’hai trattato come una cosa, Seishirou, - ribatte lui con calma, - O come un giocattolo.
- Ma come una persona, forse? Secondo te passare la notte assieme alla preda con cui mi diverto da anni è trattarla come un essere umano?
- Seishirou, vuoi che ti dica io perché mi hai evitato per tutti questi giorni?
No, non voglio. Puerilmente penso che vorrei diventare sordo, o tapparmi le orecchie con le mani, pur di non sentire ciò che Kamui ha capito. Mi aspetto che, da un secondo all’altro, si metta a rinfacciarmi tutto ciò che ho evitato di pensare, in questi ultimi giorni, primo fra tutti il motivo per cui ora è così urgente, per me, togliermi l’incantesimo di Hokuto. Eppure Kamui non parla.
Giro lentamente la testa verso di lui. Lui è rimasto dove l’ho spinto poco fa, sul tatami, le mani incrociate in grembo ed il fantasma di un sorriso che gli piega gli angoli della bocca.
Non ha intenzione di parlare ancora, si limita a tenermi sull’orlo del precipizio. La verità è che le parole che potrebbe dire potrebbero spingermi giù dal burrone oppure tirarmi al sicuro. Ma non le pronuncia, quelle parole. Forse è davvero troppo presto… Per Subaru e per me. Non lo so. Ho l’impressione di non sapere più nulla, ora.
- Sakurazukamori, - comincia Kamui, e sento che il mio cuore si ferma per qualche attimo, - Ancora non hai capito il tuo desiderio?
- So cosa non desidero, - mormoro, prendendo a fissarmi le mani poggiate sulle ginocchia, - Ma non cosa voglio davvero.
- Pensaci. E’ fondamentale che tu lo faccia.
- Perché?
- Per te e per Subaru. Rifletti.
Chiudo gli occhi con un sospiro profondo. Il mio desiderio più importante? Sia Kamui che Yuuko me ne parlano, ma cosa potrei volere?
Inspiegabilmente, penso a Subaru. Ricordo le parole di Kamui a suo riguardo: “Solo tu puoi esaudire il suo vero desiderio”, ma sono sicuro di sapere quale esso sia. Non ho bisogno di chiederlo.
Uccidere l’uomo che ha spezzato la vita della sua cara gemella e ha gettato nei rifiuti ciò che rimaneva della sua anima: ciascuno, al suo posto, non vorrebbe vendetta? Non vorrebbe forse raccogliere i frammenti del proprio essere e tentare di riunirli solo dopo aver messo a posto la propria coscienza?
Dèi, e la sua espressione… Non ho mai visto così tanto odio in un viso, mai. Così trasfigurato, non sembrava nemmeno Subaru, chi mi stava davanti, piuttosto una qualche divinità arcana della vendetta.
“Chi era? Rispondi, era lui?”
Deve proprio odiarmi con tutto se stesso.
Ed io? Che cosa voglio, io?
E’ legato a Subaru. Lo so con la facilità con cui si distingue una cosa malvagia da una buona, con naturalezza. Ma secondo Yuuko non desidero che l’incantesimo che ha posto Hokuto su di me si spezzi, così che io possa ucciderlo liberamente, anche se a questo punto sento che, se mi liberassi di lui, tutto sarebbe infinitamente più semplice.
Io non posso ucciderlo senza uccidere me stesso. Provare a farlo equivarrebbe a morire.
Eppure… No, mi rifiuto di credere che non esista altra soluzione.
Apro gli occhi. Kamui è ancora lì, in attesa delle mie parole.
- Sei ancora convinto di ciò che mi hai detto prima? – mi chiede, con il suo sorriso fantasma ancora sulle labbra.
Si desidera soltanto la morte…
Ucciso dalla persona a cui tengo di più, come ha previsto mia madre. Tra le braccia di chi l’oblio eterno mi risulterebbe più dolce? Per mano di chi desidererei morire?
Potrebbe…
Quel nome mi risale lungo la gola, ma rimane impigliato fra le labbra. Nelle orecchie il battito del mio cuore rallenta, sovrapposto ad un altro battito invisibile, più frenetico in un petto sconosciuto.
Un battito che ho udito di sfuggita solo una volta, quando ho appoggiato il palmo sopra il suo cuore per controllare che lui stesse dormendo serenamente, sebbene si trovasse vicino a me, l’uomo più odiato.
…Morire tenendovi appoggiato sopra il viso, con la speranza di catturarne la sincronia fino all’ultima pulsazione.
La morte, in fondo, è solo un’altra unione. Non fisica, non spirituale… Ma fatale, voluta dal destino.
C’è qualcosa di piacevolmente disperato nel sentire il dolore dell’altro, quello fisico del proprio corpo che si annulla, e l’abbandono lento dei propri sensi.
Allora sì, potrebbe essere…
Potrebbe essere così.
Il sorriso di Kamui si schiude appena sulle sue labbra, prima che le appoggi sulle mie, ancora immobili per lo stupore della scoperta.
E’ poco più di qualche secondo, poi sento lo shoji della mia camera aprirsi dolcemente, e capisco che se n’è andato. Domani, come sempre, mi saluterà con il solito sorriso impertinente e sarà come se nulla fosse successo.
Guardo di sfuggita il libro appoggiato sul tatami. Lo apro, ma guardo svogliatamente le ultime pagine. Dopo aver appurato che non c’è nulla, fra gli incantesimi scritti dai precedenti capofamiglia, che possa aiutarmi, lo metto da parte assieme agli altri documenti.
Eppure non sento lo stesso amaro in bocca che mi ha lasciato la risposta di Yuuko. Non mi sento sconfitto, forse perché ora riconosco di avere un desiderio diverso da ciò che credevo.
E Kamui… L’ho portato qui perché mi facesse la domanda che mi ha posto. Me ne rendo conto solo ora. Perché solo in questo contesto, solo in questa ora, lui ha potuto fare la domanda di cui ho così temuto la risposta.
L’ho evitato per tutto questo tempo perché il desiderio era già maturato, in me, ed inconsciamente non volevo che lo scoprisse. Sì, inconsciamente ho saputo fin da subito che lo sguardo di Subaru, così carico di odio, ha sbloccato in me qualcosa. Sono cambiato, e non volevo che negli occhi di Kamui si vedesse riflessa la mia nuova immagine.
Dèi, è tutto così semplice ora che i tasselli sono andati al loro posto.
Non provo nulla per Subaru, questo lo so. Eppure non vorrei addormentarmi per sempre in un abbraccio che non sia il suo.
Ed è solamente questo, ciò che i miei occhi ciechi dovevano vedere. Niente di meno, niente di più.
Riesco ad alzarmi solo dopo quelle che mi paiono ore. L’occhio sano mi brucia, forse per la stanchezza. Apro il pannello di legno che si affaccia sul giardino, dove ho visto Kamui stamattina, e faccio qualche passo indeciso sul terreno, a piedi nudi.
Arrivo sotto un ciliegio ben più imponente di quello nella mia vecchia casa a Tokyo. Mi lascio scivolare sull’erba con la schiena contro il tronco, sperando inconsciamente che le braccia fiorite del mio albero possano circondarmi e portarmi a dentro quella corazza di legno che non sono riuscito, malgrado tutti i miei sforzi, a costruirmi intorno.



NOTE: Lunghissimo intervallo di tempo, lunghissimo capitolo! Lo so… Eppure credo che questa sia stata la stesura più difficoltosa, per me, dall’inizio della fan fiction. Il desiderio di Seishirou è sempre stata una questione spinosa da trattare, soprattutto se noi poveri fan non abbiamo avuto la minima indicazione da quelle disgraziate delle Clamp: ma quando quest’uomo si è reso conto di ciò che voleva? Ha fatto qualche tentativo per liberarsi dall’incantesimo di Hokuto oppure se n’è rimasto per nove anni senza far nulla? Senza contare che del clan Sakurazuka non abbiamo notizia se non in una scarnissima descrizione nell’ultimo volume di Tokyo Babylon, mentre dei Sumeragi sappiamo praticamente tutto… La solita imparzialità clampiana, che vogliamo farci.
Bene, ora che Seishirou ha intuito il suo vero desiderio, cosa credete che faccia? Che corra seduta stante al Raibow Bridge oppure che la cosa sia un po’ più sofferta? Vi anticipo che nel prossimo capitolo saremo ancora in compagnia del clan di Seishirou (c’è ancora un giorno da passare a Kanazawa…) e di Kamui, ed avremo una quasi rivelazione (perché ovviamente non c’è pathos se si rivela tutto subito…) su una parte segreta del rito di successione dei capofamiglia Sakurazukamori. Vi invito a dare un’occhiata più attenta al brano Sakura-sama/Seishirou, perché c’è un dettaglio che mette la pulce nell’orecchio… Ma siccome sono perfida e Sakurazukamori non vi svelo altro, o rischio di darvi troppe dritte come Yuuko ^^
Ringrazio ancora i lettori ed i recensori, che ormai si saranno rotti le scatole di essere ringraziati ad ogni capitolo.
Alla prossima puntata!

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Capitolo 13
*** Secretless ***


" Everyone with a friendly face
seems to hide some secret inside…”



- Ragazzi! Lasciate in pace Kamui-san, ha altro da fare che stare con voi!
- Lascia stare. Anche lui ha bisogno di passare qualche tempo con i suoi coetanei e non con gente del neolitico come me, - commento, distogliendo per un attimo lo sguardo dalla scacchiera di go e seguendo gli occhi preoccupati di Kaede mentre guarda al di là della veranda, alle figure in movimento nel giardino.
Devo ammettere che è strano vedere il capo dei Chi no Ryu così allegro, specie se in compagnia di due bambini di sei anni, ma a quanto pare si trova più a suo agio con i più piccoli che con gli adulti. A volte mi dimentico del fatto che è ancora un adolescente e non un uomo.
- Kamui-sama!
Uno dei figli di Kaede – mi pare si tratti di Takeo, ma potrei anche sbagliarmi, visto che i gemelli sono indistinguibili, - tira con forza la manica di Kamui, per attirare la sua attenzione, - Kamui-sama, posso mettermi anche io in braccio a te?
Sono seduti sull’erba, poco lontano da noi; Kamui continua a tenere appoggiato contro il proprio petto il secondo dei due bambini, che gli si è rannicchiato contro non appena gli è stato possibile farlo, ma fa cenno comunque a Takeo di venire verso di lui.
- Vieni, Takeo-kun, che un posto per te lo troviamo sicuramente, - ride, mentre il piccolo gli butta le braccia al collo e spinge bruscamente il fratello di lato, per conquistarsi uno spazio nell’abbraccio di Kamui.
- Mi hai fatto male, scemo! – si lamenta l’altro, - E poi c’ero prima io!
- Tu sei stato vicino a Kamui-sama fino adesso, ora tocca a me!
Torno a concentrarmi su Shinbo e sulla partita di go lasciata a metà, mentre Kaede prende nuovamente in mano la teiera e finisce di versare il thè nella mia tazza.
- Avete trovato ciò che cercavate, capofamiglia? – chiede il mio intendente, dopo che il turno del gioco è passato da lui a me. Strano che me lo chieda ora, visto che sono praticamente passate ventiquattro ore dall’ultima volta che abbiamo affrontato questo discorso e siamo ormai vicini al crepuscolo.
- Diciamo che ho trovato un metodo alternativo per risolvere la questione, - dico seccamente, facendogli capire che così ho intenzione di chiudere l’argomento. Ovviamente lui capisce al volo e non mi chiede altro, prendendo a parlare di cose futili come il mio ultimo incarico a Tokyo o l’ultima commissione che gli ho affidato. Nemmeno per un secondo Kaede si unisce alla nostra conversazione, rimanendo ad ascoltare in disparte e lanciando rapide occhiate ai suoi figli, indecisa se richiamarli in casa o meno.
Alla fine si decide, e si alza in piedi battendo le mani per attirare la loro attenzione.
- Ragazzi, venite qua. E’ ora di fare il bagno per tutti e due!
Dal prato si leva un deciso coro di proteste.
- Ma, okaasan, non possiamo rimanere un altro po’ con Kamui-sama? – si lamenta il secondo gemello, Hitoshi. La mia serva scuote brevemente la testa, quasi infastidita.
- Ci starete dopo, se lui ed il capofamiglia ve lo permettono. Avanti, vi voglio qui da me!
- Ragazzi, non fate arrabbiare vostra madre. Io vi aspetterò qui dopo il bagno, - promette loro Kamui, sciogliendoli dall’abbraccio e spingendoli leggermente nella nostra direzione. I bambini obbediscono con aria mogia e raggiungono Kaede, che mette loro le mani sulle spalle e li accompagna verso l’ingresso. Uno dei gemelli mi guarda, esitante.
- Sakurazuka-sama?
- Sì? – rispondo io senza staccare l’occhio buono dalle pedine che sto muovendo.
- Per voi va bene se dopo torniamo qui con Kamui-sama?
Alzo la testa. Entrambi i bambini si sono fermati ed aspettano la mia risposta con una trepidazione che mi fa sorridere. Hanno ereditato dalla madre i capelli e gli occhi scuri, compresi i lineamenti delicati del viso, ma la sfacciataggine dev’essere paterna.
- Se vostra madre vi permette di uscire, io non ho niente in contrario.
- Grazie, Sakurazuka-sama! – rispondono in contemporanea, inchinandosi, prima di trotterellare docilmente in casa scortati da Kaede. Aspetto che lo shoji si chiuda prima di mettermi a ridere a bassa voce.
- Hai dei nipotini adorabili, Shinbo.
Lui accetta con un sorriso il complimento, ma non riesce a rispondere perché Kamui compare come dal nulla al mio fianco. Ha delle tracce di terra sulla guancia e qualche filo d’erba sparso qua e là, senza contare un’insolita energia negli occhi.
- Ho il permesso del capofamiglia per andarmene un po’ in giro per la tenuta dei Sakurazuka oppure sono obbligato a rimanere sotto il suo sguardo? – mi chiede, piegandosi leggermente verso di me con un sorriso furbo che non si eclissa nemmeno quando gli lancio la mia migliore occhiata omicida.
- Vai pure. Ricordati che qua è vietato andare in giro a far crollare cose, decapitare persone o abbattere alberi di ciliegio, - sibilo, cercando di mantenere un’espressione neutrale.
- Me lo ricorderò, - commenta allegramente lui, prima di alzarsi e scomparire velocemente com’è venuto. Shinbo mi guarda, perplesso, come se non sapesse esattamente cosa dire.
- Capofamiglia, - mi chiede alla fine, a bassa voce come se non volesse essere sentito, - Chi è questo ragazzo?
Mi lascio sfuggire un lungo sospiro. Mi aspettavo già ieri una domanda del genere, ma il solo pensare alla risposta mi fa sentire incredibilmente stanco.
- Lui è Kamui. Uno dei due Kamui, colui che sottrae alla divinità il potere.
Per qualche secondo di attonito silenzio attendo che le mie parole facciano effetto.
- Colui che riporterà la terra allo splendore primordiale, cancellando l’umanità.
Non è una domanda. Mi limito ad annuire, alla sua frase. Nel clan dei Sakurazuka è noto da tempo che il destino della nostra famiglia è legato alla fine del mondo ed a colui che la porta con sé. Ciò che lo stupisce è il fatto che Kamui sia un ragazzino con la metà dei miei anni.
Più che comprensibile. Anch’io la pensavo come lui, prima di conoscere Kamui.
- La guerra è cominciata a Tokyo, allora.
- Si trascina da qualche mese, effettivamente, perché Kamui si annoia a distruggere tutto troppo facilmente. Tokyo potrebbe essere rasa al suolo in massimo due giorni, se si mettesse d’impegno. Potrebbe distruggere perfino questa casa, malgrado tutti gli incantesimi di protezione che io ed i miei predecessori abbiamo posto sopra, solo desiderandolo.
- E voi?
- Io sono libero di fare ciò che voglio, come sempre. Kamui non obbliga nessuno a fare ciò che lui desidera.
Cala di nuovo il silenzio. E’ ovvio che vorrebbe pormi mille domande su di me e su di lui, ma la sua natura gli impedisce di formularle ad alta voce, così come il rispetto che prova per me gli frena la lingua. Continuiamo abbastanza tranquillamente la nostra partita di go, interrompendoci di tanto in tanto per bere una tazza di thè oppure per ammirare i ciliegi in fioritura.
Alla fine del gioco, - durato più tempo del previsto, comunque, visto che cominciano a sorgere le prime stelle, - Shinbo si ritira in casa, dopo essersi scusato, probabilmente per andare a controllare dei documenti. Io mi limito ad annuire prima di alzarmi e mettermi a girare per il giardino. E’ ancora troppo presto per aver fame e rientrare in casa.
Non vedo Kamui da nessuna parte, ma non ho la minima intenzione di andarlo a cercare. Stamattina, appena alzato, ha notato con un colpo d’occhio che stanotte non ho dormito, - secondo lui, ormai mi conosce troppo bene per non interpretare correttamente ogni mia singola ruga d’espressione, - e che stavo morendo dalla voglia di tempestarlo di domande. Credo sia per questo che si è eclissato ogni volta che abbiamo rischiato di rimanere da soli, oggi, giusto per fare un po’ di scena e ritardare il tempo delle risposte.
Mi metto a camminare vicino al ruscello che costeggia casa Sakurazuka, affondando i sandali nell’erba della riva. Da piccolo amavo sedermi qui e guardare l’acqua per ore, oppure a fare il bagno nelle giornate più calde. Per un attimo riesco a ripescare quei ricordi così nitidamente che mi sembra quasi di vedermi bambino, mentre allungo una mano nell’acqua, inginocchiato sulla riva, per toccare il fondo sassoso, mentre uno dei miei tutori mi guarda a prudente distanza, pronto ad intervenire. Allora desideravo diventare adulto solo per scrollarmi di dosso quel controllo continuo sulla mia vita e sulle mie azioni, e tuttora non riesco a sopportare che qualcuno mi ordini cosa fare e cosa non fare. Non ho mai sofferto di claustrofobia, ma la sensazione che provo quando sono costretto a fare qualcosa credo sia più o meno quella. E’ per questo che sono così poco tollerante con Sakura-sama. Se non fosse così bella ed io non fossi il suo Sakurazukamori, penso che avrei cercato di mettere più spazio possibile tra me e lei.
Era davvero troppo tempo che non venivo su questo ruscello, comunque, ed è un peccato non averlo fatto prima. Qui sto bene. I ricordi riaffiorano naturalmente, come sabbia sollevata da un fondale, ed è piacevole rivederli uno per uno.
L’ultima volta che mi sono seduto su questa sponda è stato poco dopo la cerimonia di successione. Ero tornato a casa per adempire fino in fondo il mio dovere di Sakurazukamori, uccidere tutti quelli che avevano servito mia madre, nessuno escluso. Durante questi secoli, la servitù ha escogitato un piccolo trucco per servire sempre al meglio il capofamiglia in carica: quando si aveva notizia di una cerimonia di successione, il clan sorteggiava uno degli aiutanti più capaci ed esperti della casa. Prima che l’uccisione rituale si abbattesse sulla servitù, costui lasciava la tenuta dei Sakurazuka per una settimana. Una volta tornato, alla fine del rito, si occupava dell’istruzione dei nuovi membri del clan e si assicurava che fossero idonei per la vita che avrebbero condotto da quel momento in poi. Infine, dopo essersi accertato di queste cose, si recava spontaneamente dal capofamiglia per venire ucciso. Solo così aveva finalmente fine la cerimonia di successione, almeno per quanto riguardava il clan.
Per un Sakurazukamori, invece, la cosa è sempre stata più complicata.
Mi siedo sulla riva, facendomi spazio sull’erba appena tagliata, resistendo alla tentazione di abbracciarmi le ginocchia come facevo da bambino, rimanendo invece inginocchiato. Mi metto a giocherellare con un sasso liscio su cui una mano infantile a scritto qualche ideogramma con dell’inchiostro nero. Uhm, Hitoshi dovrebbe migliorare la calligrafia del suo nome.
Quando tornai a Kanazawa, dopo aver completato le uccisioni rituali, venni qui a riflettere, mentre in casa i tatami venivano ripuliti dal sangue, i corpi portati via e gli incensi venivano preparati per la purificazione. Immersi gli avambracci insanguinati nell’acqua, osservando incantato il sangue che si sfilacciava in mille piccoli tentacoli, portato via dalla corrente del ruscello; quel giorno il mio sorriso era più sincero che mai. Ero un Sakurazukamori a tutti gli effetti, ormai: avevo ucciso mia madre ed ascoltato le sue ultime, folli parole. Le avevo seguite, avevo portato a termine il rito di passaggio che solo ai Sakurazukamori è concesso sapere. Avevo visto lo spirito del mio Sakura ed avevo ucciso ancora sotto il suo sguardo compiaciuto. Ero tornato nella casa della mia infanzia ed avevo compiuto il mio dovere di capofamiglia, e di lì a poco avrei avuto un intero clan passivo ed ubbediente.
A quindici anni, sentivo il mondo ai miei piedi.
Quel giorno stesso, dopo essere rientrato in casa, mi offrirono una piccola lapide nera su cui era scritto il nome di mia madre. Andai a riporla sul lato sinistro del nostro altare, assieme a quelle dei Sakurazukamori precedenti, e ringraziai brevemente i capofamiglia che avevano assunto la guida del clan prima di me portando alle loro anime offerte di cibo e candele.
Solo allora mi chiesi se gli spiriti dei Sakurazukamori, racchiusi dentro il Sakura, avrebbero gradito o se non si curassero affatto delle preghiere che io ed il clan gli offrivamo. Nell’incertezza agii come faceva mia madre, ovvero rivolgendo loro le mie preghiere in determinati giorni del mese, quando la loro voce sovrastava quella degli altri prigionieri dell’albero.
Delle dita tiepide mi stringono appena l’avambraccio, strappandomi ai miei pensieri.
- Ah, ecco dov’eri, - mormoro, mentre Kamui mi si siede vicino. Anche se il cielo si sta scurendo, riesco ancora a distinguere perfettamente la sua figura.
- Preoccupato?
- Non direi. Vedo che ti trovi bene coi bambini di Kaede.
- Quegli adorabili marmocchietti, - ridacchia lui, assumendo un’espressione intenerita, - Apparenze a parte, sono davvero buoni. I bambini sanno essere le creature più crudeli o più innocenti dell’universo, mutano così velocemente… Comunque devo ammettere che essere oggetto di tutta questa attenzione da parte tua e dal resto del clan non mi dispiace.
- Crogiolatici ben bene, visto che una volta tornati a Tokyo tornerò ad ignorarti.
- Se quello che fai tu è ignorarmi non oso pensare cosa fai quando mi presti attenzione… Povero Subaru!
- Capisco il tuo compiacimento nel tirare fuori quel nome ogni volta che non hai nulla da dire, ma farlo entro i confini di questa casa sta rasentando la blasfemia.
- Veramente lo faccio per tentare di provocarti, ma tu non mi dai mai la soddisfazione di vederti reagire in qualche maniera. Così mi ferisci. Una volta o l’altra potresti provare ad arrabbiarti per me?
- Continua a trattenere il respiro nella speranza che possa accadere una cosa del genere. Magari un giorno mi deciderò a farlo, ma quando sarai già morto per mancanza di ossigeno.
- Sei davvero crudele.
- Me lo dicono spesso, ma se lo dice il Dark Kamui penso che sia vero.
- Lo è, - ride lui, ad alta voce. Prima credevo fosse solamente di ottimo umore, ma ora che lo vedo così so di essermi sbagliato.
E’ felice, ed io non so perché. La cosa sta diventando irritante.
- Che c’è? – mi chiede, vedendo che il mio solito sorriso di circostanza si è ampliato.
- Nulla. Constatavo che sei stato allegro per tutto il giorno, quando pensavo che saresti stato taciturno e mi avresti a fatica rivolto la parola.
- Perché?
- Per ieri sera.
- La tentazione è stata forte, ora che mi ci fai pensare, - ammette lui, - Ma adesso non parliamone, okay?
- Non è una scusa per sfuggire al mio interrogatorio, Kamui?
- Certo che no. Comunque, se proprio insisti… Parliamo della tua nottata, vuoi? Di come l’hai passata dormendo beatamente in camera tua, senza la minima ombra di pensieri…
- Forse hai ragione. Per ora non parliamone.
- E poi sono io quello che sfugge agli interrogatori…
Rimaniamo in silenzio a guardare l’acqua che scorre davanti ai nostri occhi, senza che nessuno dei due trovi il coraggio di riaprire bocca. E di cosa potremmo parlare, poi? Il discorso cadrebbe, per forza di cose, sull’argomento che non vogliamo affrontare. E’ la prima volta, da quando conosco Kamui, che mi trovo a corto di discorsi da tirare fuori.
Oh, al diavolo. L’ultima cosa che voglio è rimanere seduto qui senza far niente.
Kamui non sembra stupito nel vedermi alzare, ma qualcosa di molto simile alla meraviglia gli piega le sopracciglia quando lo afferro per un gomito, invitandolo ad imitarmi il prima possibile.
- Dove stiamo andando? – mi chiede, quando comincio a camminare senza mollare la presa sul suo braccio.
- Torniamo a casa. Si staranno chiedendo tutti dove siamo finiti.
Kamui fa una smorfia, vagamente piccato, ma comunque accetta che sia io a condurre. Appena siamo sulla porta, gli mollo il braccio e faccio per rientrare senza rivolgergli la parola.
- Niente raccomandazioni dell’ultimo minuto? Avvertimenti vari?
- Sarebbero inutili, con te. Avanti, non startene lì impalato e sbrigati, non ho tutta la notte.
- Nervosetto, eh? – mi chiede, volutamente malizioso. Gli do un piccolo colpo sulla schiena per spingerlo a muoversi, ma è un gesto più scherzoso che arrabbiato.
La cena prosegue più o meno scorrevole, con Kamui che continua a parlare a bassa voce con i due figli di Kaede e con me che vedo di sistemare a parole le ultime questioni su ciò che il clan dovrà fare durante la mia assenza.
Anche se il misoshiru è buonissimo, faccio fatica a gustarlo quando Shinbo mi accenna al fatto che la divinità del Sakura sembra irrequieta, ultimamente. Non sono ancora riuscito a convincerli che Sakura-sama è ciò che di più lontano esiste da un essere divino.
- In che senso, irrequieta? Da quando?
- Da pochi giorni, capofamiglia, - mi risponde un uomo del clan di cui ho volutamente dimenticato il nome, - Ventate violentissime che muovono solo i ciliegi, oppure porte lacerate durante la notte. Non volevamo dirvelo per non preoccuparvi, Sakurazuka-sama.
Ed invece ci siete riusciti splendidamente, i miei complimenti.
- Oppure la sera prima che arrivaste, capofamiglia, - continua Kaede, - C’è stata davvero una gran confusione. Le offerte per l’Albero si sono rovesciate sotto i miei occhi senza che nessuno le toccasse, così come le candele si sono spente di colpo, come se fosse entrato un vento improvviso. Nessuno è riuscito ad avvicinarsi all’altare fino alla mattina dopo. Ma non capisco perché il Sakura è così arrabbiato…
L’ultima frase l’ha detta quasi in un sussurro ma tutti, in questa sala, l’hanno sentita benissimo, e saremo come minimo in venti persone. Potrei benissimo risponderle che le serve non dovrebbero interrogarsi su certe questioni perché non è per questo che vivono qui, ma non sarebbe la risposta migliore. Mi limito a far finta di nulla.
- Nemmeno io lo capisco, visto che non ha mai dato segni di irrequietudine con me. Appena tornerò a Tokyo vedrò di fare qualcosa per risolvere la situazione, ma anche voi dovrete impegnarvi di più per calmarlo.
- Non potreste eseguire la cerimonia di purificazione qui a Kanazawa, Sakurazuka-sama? – chiede qualcuno. Scuoto la testa.
- No. Per la cerimonia ci vuole tempo, minimo una settimana di preparazione, ed io devo tornare a Tokyo entro domani. Una volta tornato in città farò ciò che devo.
Con quest’ultima frase ho zittito ogni obiezione possibile, e tutti tornano a parlare ognuno per proprio conto. Shinbo, seduto alla mia sinistra, si sporge verso di me per farsi sentire.
- Mi dispiace davvero per tutto quello che è successo, capofamiglia, - mormora, - Avrei dovuto avvertirvi prima, ma allora la ritenevo una faccenda di poco conto… Vi chiedo perdono per il mio errore.
- Perdonato. La prossima volta vedi di dirmi tutto e subito senza bisogno di aiuti esterni.
Riprendo a mangiare in silenzio, ignorando totalmente lo sguardo di Kamui, dall’altra parte della stanza.
Cerca di uscire, Sakurazuka. Dobbiamo parlare.
Dopo qualche secondo lo vedo alzarsi ed uscire dalla stanza con una scusa che non riesco a sentire. Lascio passare abbastanza tempo affinchè nessuno sospetti nulla e mi scuso a mia volta, dicendo che vado a prendere una boccata d’aria e promettendo di tornare fra poco.
Kamui è velocissimo a riprendermi non appena riesco ad uscire nel corridoio. Mi prende per le spalle, impedendomi di fuggire.
- Come ha fatto a saperlo? Dimmi come lo sa!
Ovviamente non gli ho raccontato la faccenda del Sakura, sarei stato folle a farlo. Deve avermela estrapolata mentalmente, ma questo non è il momento di stare a sottilizzare.
- Non ne ho idea, Kamui.
- Perché non è venuta direttamente da te, se era così furiosa?
Lo scosto da me più bruscamente del dovuto, stringendogli gli avambracci. Lancio un’occhiata verso il fusuma che ho appena richiuso, consapevole che tra poco dovrò tornare ad aprirlo.
- Questo non è l’occasione giusta per parlarne. Devo tornare subito indietro, e la cosa non può essere spiegata in trenta secondi. Stasera ho ancora affari da sbrigare, ma dopo averli sistemati possiamo parlarne.
- Devo venire in camera tua?
- Lascia stare, ti raggiungo io non appena ho finito. Non tentare di raggiungermi prima.
Lui si lascia andare ad un sospiro. Tutta la sua allegria è scomparsa nel giro di due minuti.
- Seishirou, tu stai rovinando tutti e due, lo sai questo?
- Cosa c’entri tu con me? – gli chiedo, leggermente perplesso. Kamui si limita a scrollare le spalle ed a tornare nella sala del banchetto col miglior sorriso di circostanza.
Non ci guardiamo neanche per mezzo secondo, quando torno al mio posto, come due perfetti sconosciuti.
Gli impegni di cui parlavo a Kamui mi tengono occupato per un paio d’ore buone, dopo cena, ma alla fine riesco a risolvere tutte le varie faccende burocratiche e a sgattaiolare nella camera vicina alla mia dopo essermi cambiato d’abito.
Kamui è seduto sulla balconata di legno che dà sul giardino, a guardare fisso in avanti. Aspetta che mi sia seduto al suo fianco prima di girarsi e prestarmi attenzione. Solo allora mi accorgo che ha in mano una tazzina, e dall’odore sembra…
- Sakè, - risponde lui, precedendomi, indicandomi con un cenno del capo una teiera poco distante, - La tua serva è stata così gentile da chidermi se ne volevo un po’, ed io non ho trovato motivo per dirle di no.
- Kamui, tu odi gli alcolici e cose simili.
- C’è una prima volta per tutto e tutti, o almeno così dicono. Guarda che lì ce n’è una tazza anche per te.
- Ho già avuto la mia abbondante razione di sakè con una mia vecchia conoscenza, pochissimo tempo fa, e non credo proprio che tu possa costringermi a bere di nuovo.
- Avere la lingua più sciolta del solito converrà a tutti e due, credimi. Ora prendi quel coso e te lo scoli fino all’ultima goccia, Sakurazuka Seishirou.
- Prima i neofiti, - capitolo io, prendendo in mano la mia tazza. Lui mi lancia un’occhiata storta ma beve il suo sakè come se fosse acqua, in un unico sorso.
- Non aspettarti che lo beva con la stessa naturalezza.
- Basta che lo bevi, maledizione. Già comincio a vedere doppio.
- Cosa vuoi che ti racconti, sul Sakura?
- Tutto. Fin dall’inizio di questa storia.
- Non l’hai letto nella mia mente?
- Sakurazuka, ho visto parte dei tuoi ricordi ma non le tue conoscenze. Per questo dovresti spiegarmi parecchie cose.
- Da quando hai guardato?
- Da quando lei ti è comparsa davanti, quel giorno di qualche tempo fa, quando sei rientrato a casa. E’ strano, ma non sono riuscito a trovare traccia di lei prima di allora. E’ come se parte della tua mente fosse stata sigillata. Come hai fatto?
- Non sono stato io. E’ stata mia madre. Ha bloccato ogni ricordo della mia infanzia e del mio inizio come Sakurazukamori, in modo che nessuno oltre a me possa vederli. Nemmeno tu puoi farlo, Kamui.
- Davvero? – Kamui si versa un’altra tazza di sakè con un mezzo ghigno, - Così mi fai diventare ancora più curioso. Perché nessun altro dovrebbe riuscire a guardare i tuoi ricordi?
- Perché fanno parte del tirocinio di un Sakurazukamori, compresa la successione. Un estraneo non deve essere libero di osservare delle cose così segrete.
- Andiamo, ormai è di dominio pubblico come si svolge la vostra cerimonia di successione, uccidi il predecessore e diventi capofamiglia, no?
Mi limito a vuotare la seconda tazza di sakè e a guardare il buio davanti a me. Dopo qualche secondo di silenzio, lo sento aggiungere a bassa voce: - …C’è dell’altro, vero?
- Sì.
- E non puoi dirmelo.
- Perspicace.
- Va bene, allora raccontami del perché non ti sei trovato in casa il tuo Sakura inferocito, se la tua breve avventura col Sumeragi l’ha sconvolta così tanto.
- Sconvolta, che esagerazione…
- Un innamorato tradito è sconvolto, te ne dovresti essere accorto anche tu. Allora?
Non sottilizziamo, non sottilizziamo, non sottilizziamo, non sottilizziamo…
- Ho una mia teoria. L’Albero ha creato col tempo un suo corpo, come hai visto tu, ma nel corso dei secoli l’ha usato molto poco, perché non ha ritenuto necessario mostrarsi troppo spesso. Con me ha cominciato ad apparire sempre più frequentemente, e la cosa deve averla stancata. Per questo ancora non è apparsa davanti a me.
- Quando pensi che lo farà?
- Non lo so, sinceramente.
- Okay, ci credo. Raccontami tutto il resto della storia, per favore.
Come ha detto lui, con in bocca del sakè mi è più facile parlare. Gli racconto di me e del Sakura, della sua presunta ossessione per Subaru e della promessa che le ho fatto nell’ufficio di quella scuola, dove ha visto la mia preda per la prima volta.
- Un bel guaio, Sakurazuka, - dice, alla fine della storia. Mi limito ad annuire.
- Puoi dirlo. Ora avrei io una domanda: perché ti interessi tanto di questo caos, posso saperlo?
- I motivi sono due, - replica lui tranquillamente, bevendo l’ennesimo bicchiere di sakè, - Il primo è che il mio compito è esaudire i desideri degli altri, quindi devo fare in modo che tu non venga ostacolato mentre tenti di realizzarlo. Il secondo è che malgrado tutto mi sei simpatico, quindi mi dispiacerebbe se morissi dilaniato dai rami di un ciliegio geloso.
Storco leggermente la bocca a queste ultime parole. Il mio amor proprio deve aver ricevuto davvero un brutto colpo.
- Solo simpatico, Kamui?
- Già, anche se quando ti ci metti sei davvero un rompiscatole di prima categoria e sei infatuato di un idota col quoziente intellettivo di un panda. Ah sì, senza contare il fatto che non ti piaccio.
- Stupido, se non mi piacessi pensi che avrei passato con te tutto questo tempo?
- Non in quel senso, Sakurazuka.
A quel punto rimango a lisciarmi le maniche dello yukata, trattenendomi dal sospirare e scuotere la testa. Il mio silenzio lo insospettisce, tanto che si sporge leggermente verso di me per guardarmi in faccia.
- Dimmi che sono ubriaco e che non sto pensando quello che sto pensando ora.
- Non so leggere nelle menti degli altri, Kamui.
- Usa un po’ di fantasia, Sakurazuka…
- Chiedi troppo ad un povero assassino come me. Non credo che il significato che attribuisco a questa parola sia lo stesso che le dai tu.
Stavolta è il suo turno di inspirare ed enspirare rumorosamente. Si tocca la fronte con una mano, come se si sentisse scottare.
- Va bene, per il momento tralasciamo la faccenda visto che ho ancora una domanda in sospeso… Dopo ne riparliamo, però.
- Quale domanda?
- Com’è possibile che il tuo Sakura sia contemporaneamente in un corpo simile a quello umano e nel tronco di un ciliegio? Poi, se tu ferissi il corpo che ospita lo spirito del Sakura, feriresti anche l’albero?
- Per quanto riguarda la prima domanda, mia madre me l’ha spiegato in modo molto semplice quando ero bambino. Immaginati una lanterna che abbia all’interno una fiamma particolarmente vivida. Immagina che, col passare dei secoli, lo stoppino si sia lentamente scisso in due perfette metà, che fondendosi insieme creano la fiammella. Questo è ciò che è accaduto al Sakura, che ha sviluppato una coscienza umana oltre al semplice istinto di vegetale. Queste due coscienze separate sono i due stoppini, il rivestimento di carta della lanterna è il tronco del Sakura. Immaginati il corpo che ha creato come una seconda lanterna e capirai piuttosto facilmente tutto il resto.
- Insomma, quando decide di comparirti davanti trasferisce la parte razionale di sé nel corpo di una donna e lascia quella vegetale dentro l’albero?
- Esattamente.
- E se per caso quel corpo venisse ferito, cosa succederebbe? Se venisse distrutto?
- Non può venire distrutto, Kamui, perché io non posso permettere che il suo corpo venga danneggiato.
- Andiamo, vorresti dirmi che la difendi per una questione di principio?
- No, la ragione è molto più egoistica. Perché se non lo facessi, morirei anche io.
La cosa prende Kamui talmente in contropiede che per qualche tempo rimane a guardarmi attonito, come se non credesse a ciò che le sue orecchie gli hanno trasmesso.
- Perché credevi che io Sakurazukamori si preoccupassero di nutrire il Sakura, Kamui? Per nostra natura non siamo fedeli o troppo attaccati a qualcosa, me ne rendo conto… Perciò, prendendoci cura dell’albero, conserviamo anche noi stessi.
Allungo la mano verso la mia tazza abbandonata e bevo tutto di un colpo il contenuto. Ormai il sakè non brucia neanche tanto nel palato, segno che mi sto inesorabilmente avvicinando al punto di non ritorno.
- Sakurazuka, credo tu abbia l’incredibile dono di attirarti addosso tutti i problemi di questo mondo, - sbotta all’improvviso Kamui, come se fosse furibondo. Faccio spallucce.
- Se è così la cosa non mi tocca, e se devi preoccuparti per me non aspettarti un trattamento di favore. Non ti costringe nessuno a farlo.
Mi guarda con occhi leggermente dilatati, tanto che penso che stia per rifilarmi uno schiaffo o qualcosa di altrettanto stupido ed infantile, ma non lo fa. Sbatte gli occhi un paio di volte.
- Seishirou, - mi chiede, serio, - Pensi di amarlo, il tuo Sumeragi?
- Non so di che parli, Kamui. Il concetto di amore mi è oscuro quanto lo è per te.
- Va bene, va bene. Ma tu pensi di esserlo?
- La risposta è assolutamente sicura, no.
- E come la metti con il fatto della morte e tutto il resto?
- Vedila così, se fosse lui ad uccidermi penso che potrei esserne felice, ma ciò non significa necessariamente che lo ami. Lo so, la tradizione di essere uccisi da chi si ama esiste da parecchio tempo in famiglia, però io non credo di aver sviluppato abbastanza la mia emotività…
Lui mi sorride, il primo sorriso spontaneo che gli vedo da quando abbiamo cominciato a parlare del Sakura. Trova perfino il coraggio di ridacchiare.
- E con questo hai mandato al diavolo tutti i possibili rimorsi di coscienze che potevano venirmi.
- Da quando in qua ne hai una, Kamui?
- Buona domanda… Peccato che sia troppo poco lucido per rispondere correttamente...
In effetti, quando si alza, mi pare così incerto sulle gambe che quasi mi crolla addosso quando mi passa vicino. Mi alzo in piedi anch’io e rientro assieme a lui giusto in tempo per vederlo accasciarsi sul futon con un mugolio infantile che mi fa sorridere.
- Spero che ti serva da lezione per la prossima volta che prendi in mano un alcolico.
- Lo sai che non imparo mai, Sakurazuka, - mormora lui, con le palpebre pesanti, cercando di sdraiarsi su un fianco per poter continuare a guardarmi.
- Allora ti avviso che domani ti sveglierai con un’emicrania micidiale e desidererai essere morto.
- Ma dai…
- Nel caso volessi far finire velocemente il dolore, ti ricordo che ti trovi nella casa di un clan di assassini e che basta chiamarmi.
- Al diavolo, Sakurazuka…
Dopo aver mormorato questa frase i suoi occhi si chiudono di colpo. Non credo che il sakè abbia un’effetto così veloce, ma forse è meglio così. Evita davvero molti problemi.
C’è da dire che, se Kamui ha deciso di fingere, sa farlo benissimo. Sembra completamente immerso nel sonno più profondo, come noto quando mi avvicino di più per controllare. Mi viene in mente una frase che mi ha detto Yuuto molto tempo fa, a proposito di Kamui: “Prima metteva i brividi, si comportava con una freddezza agghiacciante, ma adesso guardalo con Nataku… Pare un bambino, ha un sorriso così dolce”
Malgrado l’abbia ospitato qualche volta a casa mia, non l’ho mai osservato dormire. Pensavo che la cosa potesse essere letale per entrambi, ed ora so di aver avuto ragione. Ha un’espressione così rilassata, da bambino indifeso, che non assomiglia neanche lontanamente al ragazzo che è. O forse lui è veramente questa maschera infantile e noi non ce ne siamo mai accorti.
No, io davvero non l’ho mai capito, Kamui. Non mi sono mai preoccupato di farlo.
- Vai tu al diavolo, - mormoro, passandogli lentamente una mano fra i capelli. Non reagisce, segno tangibile che sta davvero dormendo. Il suo orgoglio non avrebbe mai sopportato il fatto di non avere l’ultima battuta.
Guardo la porta, indeciso se tornare in camera mia o meno. Ma non so a che servirebbe, a questo punto.
- Stattene pure comodo, tanto io rimango qui a guardarti, - dico, rivolto al mio bell’addormentato. Mi rannicchio in un angolo e mi appoggio la testa sulle ginocchia.
Penso che rimarrò insonne per ore, in questa posizione così scomoda, con tutti i pensieri che mi turbinano nella testa, il Sakura, Kamui e Subaru, tutti mescolati assieme… Ma il sonno arriva praticamente subito, ed io non me ne accorgo.



NOTE: Alt, non dite niente. Lo so che è passato davvero TROPPO tempo dall’ultima volta che ci siamo sentiti, e so bene di non avere scuse… Ma non potete trovare un po’ di pietà nel vostro cuoricino tenero tenero per me? No, eh? Vabbè, avete ogni motivo per non perdonarmi… *si rannicchia in un angolo a fare cerchietti per terra, poi si ricorda che ha un’ultima cosa da dire così ritorna*
Ehm, ehm… Vorrei dire due cosette e poi vado in punizione… Lo so che non avete capito niente della parte segreta del rito di iniziazione, anche perché qui di indizi ce ne sono pochi, ma coi capitoli successivi capirete… La seconda cosa è che il prossimo capitolo sarà anche il più temuto dai fan di Seishirou… Il posto dove avrà luogo comincia per R e finisce per E… Però tirate voi le somme e capirete… Forse…
*torna nell’angolino a disegnare i cerchietti nella polvere*

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Capitolo 14
*** Relentless ***


[Stavolta le note di avvertimento ve le beccate all'inizio capitolo invece che alla fine. Perchè? Per semplice amore verso i miei quattro lettori, ovviamente.
Quelle che state per leggere sono undici pagine di un capitolo assolutamente fuori dal mondo (c'è persino una parte quasi di thriller/noir, ma non vi spoilero nulla al riguardo), pieno di salti temporali ed atteggiamenti che non si capiscono e che cambiano a velocità incredibile... Bene, fate un bel respiro profondo e non vi preoccupate, tutto verrà svelato al momento opportuno, di certo non sono impazzita di colpo e mi sono messa a scrivere la prima menata che mi passava in mente.
Questo capitolo era inizialmente molto più lungo ma, per non farlo di trenta pagine e renderlo quindi indigestibile anche ai miei fedelissimi (che stranamente esistono e non riesco a capirne il motivo...) l'ho diviso in due parti distinte. Quindi, se considerate anche il prossimo round come la seconda parte di questo capitolo, posso dirvi tranquillamente che ne mancano tre alla fine.
Nel piano originale doveva comprendere anche un altro paio di parti, ma alla luce della rivisitazione che ho fatto del finale di Escapist ho deciso di tagliarli. Forse un giorno li metterò per bene per iscritto e farò un minisequel in due parti, se lo riterrò necessario e se voi mi darete il via libera per scriverlo. Mi rimetto al vostro giudizio.
Ultimo avviso: non rispondo ai commenti che mi lasciate per il semplice motivo che sto preparando un blog su splinder da dedicare alle mie fanfiction, alle mie riflessioni su queste ed alle risposte ai commenti. Quando sarà pronto troverete tutto lì, promesso.
Buon capitolo ed alla prossima!]


"But never am I stained black
Now the end is drawing near”



Finisco di tirare l’ultima boccata alla quinta Mild Seven di stanotte e la schiaccio nel posacenere ormai pieno, prima di dare un’occhiata ai numeri luminosi della radiosveglia.
Sono le due e quaranta. Sono passate più di tre ore da quando sono entrato in questa stanza, ed ancora la persona che voglio attirare qui non si è vista. A questo punto dovrebbe essere questione di minuti, o forse di più. Non importa, sono abituato ad aspettare. Non ho fretta.
Prendo tra due dita il sacchettino di plastica appoggiato sul comodino, lo giro di qualche grado e lo rimetto dov’era. Tenerlo in mano complicherebbe soltanto le cose. Devo far credere al mio ospite in arrivo che, se vuole, può avere la meglio su di me. Sembrare più deboli di quanto si è in realtà aiuta molto a prendere di sorpresa il proprio avversario. La mia copertura da veterinario mi ha dimostrato ampiamente questa teoria… Fino a ieri, almeno.
Allontano dal tavolo la poltrona su cui sono seduto, giusto per aumentare la distanza fra me ed il sacchettino, poi mi giro verso la porta e tolgo dal pacchetto di sigarette la sesta Mild Seven.
Devo essere pronto ad aspettare ancora, dopotutto.

E’ mattina presto quando io e Kamui prendiamo congedo dalla casa del clan e dai suoi abitanti.
Stare in kimono non mi dispiace, ma tornare nei miei abiti di tutti i giorni mi fa sentire meglio; dopotutto sono più abituato ad interpretare la parte del Sakurazukamori che non quella di tredicesimo capofamiglia dei Sakurazuka. Shinbo riesce a strapparmi la promessa che tornerò senza far passare degli anni interi: anche se so che non potrò più tornare in questa casa, riesco comunque a sembrare abbastanza convincente, mentre giuro.
Ho già le nostre valige in mano quando non riesco più a trovare Kamui. Devo fare più volte la ronda per le stanze della casa prima di scovarlo, ma quando lo vedo non riesco a dire niente di quello che avrei voluto.
Lui è seduto davanti a Kaede e le tiene una mano sul capo mentre le sussurra qualcosa, con sguardo stranamente serio, che non riesco a sentire. Lei tiene malinconicamente la testa china e lo sguardo fisso sul pavimento, ma sono sicuro che assorbe ognuna di quelle parole che lui le mormora. Visti così, in una scena quasi intima, mi ricordano un padre che insegna qualcosa alla figlia che predilige. Lui sembra così adulto, e lei così bambina. Torno in silenzio all’ingresso e porto fuori le valige da solo, zittendo con un gesto le proteste di Shinbo che vorrebbe mandare qualcuno per accompagnarci assieme ai nostri bagagli fino alla stazione.
Kamui riesce a raggiungermi mentre io ed il mio intendente finiamo di concordare alcuni dettagli per il periodo per cui starò assente.
- Chiedo venia, Seishirou-san, - chioccia, cercando di prendermi il suo bagaglio di mano, - Sono stato impegnato, altrimenti sarei venuto a darti una mano. Farei qualunque cosa pur di evitare il peggioramento della tua artrosi.
Senza preoccuparmi di un attonito pubblico ad assistere alla scena, lascio cadere la valigia direttamente sul piede nudo di Kamui. Per qualche secondo di silenzio incredulo lui rimane a fissarmi, in attesa che il dolore raggiunga finalmente il cervello. Quando ciò succede, io sono già fuori dalla portata del suo braccio e posso solo ascoltare tutte le varie maledizioni che lui mi scaglia tra un mugolio di dolore e l’altro.
- Non sai da quanto tempo desideravo farlo, - commento, prima di infilarmi le scarpe ed uscire.
Il viaggio di ritorno in treno sembra stranamente interminabile. Pensavo che Kamui avrebbe cercato di vendicarsi per la storia della valigia, ma se ne rimane innaturalmente tranquillo a guardare fuori dal finestrino, seduto al mio fianco nello scompartimento vuoto. Continuo a lanciargli occhiate sospettose al di sopra del giornale che tengo in mano, in attesa di provocazioni verbali o fisiche, ma non arriva niente di tutto questo. Nemmeno sembra accorgersene, mentre io sono consapevole, ogni secondo che passa, della pressione della sua spalla e del suo ginocchio contro le mie.
Dopo un po’ Kamui dichiara di avere sonno e per qualche tempo si rattrappisce sul sedile usando le mie ginocchia come cuscino; io mi limito a guardare fuori dal finestrino cercando di ignorare il calore che si diffonde in zona collo, oltre che la sua mano sulla coscia. Si sveglia dopo un’ora, ma per il resto della tortura ci comportiamo come due estranei che si trovano per caso a dividere lo stesso spazio vitale, parlando a monosillabi ed evitando di guardarci in faccia il più possibile.
Anche se la linea Yamanote è stata distrutta relativamente di recente, la linea di comunicazione ferroviaria di Tokyo con le altre città continua a funzionare alla perfezione, così arriviamo in stazione solo con un lieve margine di ritardo. Kamui sembra rianimarsi di colpo non appena attraversiamo le porte scorrevoli e ci ritroviamo di nuovo nel cuore pulsante della vita cittadina.
- Dopo l’isolamento di casa tua mi sembra di tornare a respirare, - commenta, mentre aspettiamo pazientemente che qualche taxi si fermi e ci riporti a casa, ovvero nel nostro quartier generale nei sotterranei del Municipio, dove ho intenzione di rimanere finchè non andrò ad aprire il mio studio, visto che adesso è ancora troppo presto per farlo.
- Non ti ho costretto a venire.
- Lo so, lo so. Non devi per forza contestare quello che dico, la mia era una semplice constatazione di fatto.
- Se fai constatazioni del genere solo per aprire la bocca, ti consiglio di tenerla chiusa e risparmiare il fiato per qualcosa di davvero importante.
Lui molla un calcio ad una bottiglia vuota che va a frantumarsi contro il lampione più vicino. Un paio di persone si girano a guardarci.
- Hai intenzione di fare il rompiscatole per l’intera giornata o hai anche altri programmi per oggi, Sakurazuka?
- A dire la verità ho un intervento alle dieci all’ambulatorio.
- Lo sai che con battute del genere rischi di scadere nel tedio, vero?
- Andiamo, Kamui, non ho voglia di tirare fuori una frase ad effetto ogni volta che ti rispondo. Concedimi qualche battuta scontata!
- Basta che non diventi un’abitudine…
Sembra che stia per dire qualcos’altro, ma si zittisce di colpo. Credo di aver capito cosa è rimasto sottinteso. Sta contando le ore di vita che mi rimangono: sono abbastanza per far diventare delle battute scontate un’abitudine? Ne dubito.
Un taxi si accosta al marciapiede, mentre l’autista si sporge dal finestrino per guardarci con aria interrogativa; Kamui è più veloce di me e si para con un balzo davanti alla macchina.
- Quanto viene la corsa fino al Municipio? – chiede. Un paio di secondi dopo arriva una risposta che non riesco a capire. Kamui la accoglie con uno sguardo omicida e tenta un paio di contrattazioni che cadono nel vuoto. Alla fine scrolla le spalle e si allontana dal finestrino, non cercando nemmeno di simulare il suo malumore.
- Il tizio qui presente chiede metà del tuo rimanente conto in banca per un passaggio. Tu che hai intenzioni di fare?
Mi viene quasi da ridere, il capo dei Chi no Ryu che si lascia prendere dall’irritazione per via di una questione banale come quella di un passaggio in taxi. Se la raccontassi a Yuuto, dubito che mi crederebbe. Raccolgo i nostri bagagli e gliene lancio un paio.
- Prendi la tua roba, dai. Camminare un po’ non ti farà certo male.
- Io mi preoccupavo per te, - ribatte lui, con un cipiglio risentito così falso che stavolta non riesco a trattenermi dal sorridere apertamente.
- Oh, certo. Dimenticavo quanto sei premuroso ed altruista.
- Comunque se vuoi fare quattro passi io non mi oppongo. Però rimane in sospeso un problema.
- Ovvero?
- Sei davvero sicuro che la passeggiata non risulterà letale alle tue vene varicose?

Passiamo quasi per caso di fronte ad una delle nostre mete culinarie preferite e Kamui insiste per fermarvisi qualche minuto. Sfreccia dentro la gelateria e ne riemerge qualche tempo dopo con due coni che hanno circa cinque gusti ciascuno.
- Kamui, sono appena le otto!
- Da quando in qua ho bisogno di aspettare le cinque di pomeriggio per prendermi qualcosa che mi piace?
Finisce che ci sediamo su una panchina nascosta dai cespugli, con i bagagli sparsi ai nostri piedi come petali rinsecchiti, a gustare i nostri gelati. Rimaniamo zitti per un po’, tanto che ricomincio a sentire quasi la tensione che c’era fra noi in treno. C’è qualcosa che non va.
- Una domanda: da quanto tempo ti hanno estinto il conto alla banca della felicità?
Lui mi guarda come se si fosse trovato improvvisamente davanti un idiota.
- Che stai dicendo?
- Va bene, cercavo di capire come mai sei così di cattivo umore oggi.
- Oh, dèi. Lascia stare, Sakurazuka. Ho smesso da tempo di aver bisogno di una mamma che mi accarezzi i capelli e che mi chieda cosa c’è che non va.
- Riguarda l’altro Kamui?
- Ti ho detto di lasciar perdere.
- Riguarda me?
- Perché dovrebbe? Comunque se fossi in te finirei il tuo gelato, ti si sta squagliando sulla mano, - mi fa notare, con un piccolo ghigno. Almeno il vedermi aggredire la panna che mi sta colando lungo il cono riesce a farlo sorridere.
- Non cercare di cambiare discorso distraendomi, - replico, finendo il mordicchiare i resti del mio cono. Lui scrolla le spalle ed alza gli occhi al cielo, in una sorta di parodia di esasperazione.
- E tu non cercare di insistere, Sakurazukamori. In che modo devo dirtelo?
- Prova via internet, dicono che sia molto efficace. A proposito, sei riuscito a sporcarti di gelato fino alla guancia.
Kamui si tocca incerto la parte sbagliata del viso. Mi inumidisco le dita della mano e comincio a sfregargliele sullo sbuffo di stracciatella. Lui scoppia a ridere e prova a girare la faccia da un’altra parte, senza successo.
- Smettila, faccio da me!
- Se solo rimanessi fermo mi faresti un favore, Kamui. Piantala di agitarti come un moccioso!
- Che novità, visto che tecnicamente sono ancora minorenne…
- E vantatene pure, dannazione, tu sei un adulto solo quando ti pare ed un bambino quando ti conviene... Comunque ho finito.
Sto per ritirare la mano quando lui la blocca a metà strada, prendendomi il polso con calma. Per qualche attimo sono semplicemente attonito, tanto da provare a dare un piccolo strattone per liberarmi, ma è come tentare di smuovere una statua. Kamui fissa la mia mano imprigionata con uno strano interesse, prima di piegarmi l’indice ed osservarlo come se si trattasse di qualcosa che non ha mai visto prima.
- Hai delle dita molto lunghe. Che strano.
- Kamui, avere delle dita come le mie è un tratto che ho in comune con gran parte del mondo.
- No, voglio dire… Sembrano più delicate di quello che in effetti sono. Un assassino non dovrebbe averle così, - commenta lui, pensieroso. Devo sentirmi forse lusingato dalla constatazione oppure iniziare ad offendermi?
- Hai intenzione di lasciarmi o dobbiamo rimanere qui tutta la mattina?
Sorride a mo’ di scusa e molla la presa. Devo sfregarmi più volte il polso per riattivare la circolazione, anche se la sensazione di disagio non passa facilmente come l’intorpidimento.
- Dicono che il carattere di una persona si possa vedere dalle sue mani, sai?
Lascio cadere il braccio sul mio ginocchio e ricambio lo sguardo.
- Dicono che chi ha le dita lunghe è molto puntiglioso, meticoloso e molto suscettibile, - continua Kamui, ignorandomi deliberatamente. Decido di stare al gioco. Cos’altro potrei fare?
- Da quando sarei suscettibile?
- Se si tocca l’argomento Sumeragi salti su come una cavalletta. Vuoi negarlo?
- In tutto e per tutto.
- Che bugiardo matricolato!
Allungo il braccio ed afferro con delicatezza i capelli sulla sua nuca.
- Bimbo, vedi di portare un po’ di rispetto. Ho pur sempre il doppio dei tuoi anni, - rido, scuotendogli appena la testa come farei ad un gatto o ad un cane troppo disubbediente, eppure questo gesto ha, a modo suo, una vena sensuale di cui ci accorgiamo entrambi.
Sfilo la mano dai suoi capelli e prendo a frugarmi in tasca alla ricerca di una Mild Seven. Non ho nessuna voglia di fumare e probabilmente il sapore della sigaretta sarà orribile, però vorrei distrarmi per un po’.
Kamui prende a tamburellare le dita sul mio mento per farmi girare dalla sua parte. Quando alzo gli occhi lui è poco distante dal mio viso, tanto che riesco a sentirne distintamente il respiro regolare sulla guancia.
- Pensavo ad una cosa, Sakurazukamori, - dice con il tono più naturale del mondo, come se non fossimo a questa distanza letale. Tento di recuperare un minimo di autocontrollo cercando di improvvisare un sorriso.
- Mi fa piacere vedere che i tuoi neuroni vengono sfruttati, qualche volta…
Lui in risposta mi pizzica il fianco così forte che per un attimo vedo ogni costellazione dello zodiaco. Diamine, mi ha bucato la pelle.
- Così impari a fare certe battute idiote, - ghigna lui, - Mi hai fatto pure passare la voglia di dirti quello che volevo.
- Questa facciata da permaloso non ti porterà da nessuna parte con me, lo sai?
- Hai offeso la mia intelligenza, sottospecie di veterinario dei miei anfibi, - si lamenta lui, piegando all’ingiù gli angoli della bocca nel suo caratteristico broncio infantile. Quando vede che non gli chiedo scusa, incrocia le braccia e si gira dall’altra parte. Santo cielo, sarà una lunghissima giornata…
- Dai, Kamui, non fare il permaloso.
- Non sono permaloso! Sei tu quello che mi fa incazzare!
Sospiro profondamente. Anche se è un gioco innocuo, uno dei due potrebbe bruciarsi le dita se non evita la fiamma della candela abbastanza prontamente. Appoggio il mento sulla sua spalla, cercando di sbirciare con l’occhio sano la sua reazione.
- Kamui.
- Non provare nemmeno ad irretirmi con certe cose, con me non attaccano.
Sì, certo. Dopo questa certezza potrò dedicarmi ad una vita di ascetismo e digiuno.
- Dai, Kamui, girati e facciamo pace. Ci conosciamo abbastanza da sapere che nessuno dei due fa sul serio. Avanti.
Sollevo il mento perché lui si giri abbastanza da guardarmi a sua volta. E’ ancora imbronciato.
- Questa pace ti costerà cara, Sakurazukamori.
- Lo so, infatti per l’armistizio mi sono preparato a tutto. Allora, quali sono le condizioni? – rido, allargando le braccia. Lui capisce al volo e mi bacia prendendomi per il bavero della giacca, anche se è così irruento che per qualche attimo temo che la testa mi si stacchi dal collo.
- Avrei dovuto essere io a prendere l’iniziativa, - commento a bassa voce quando riesco ad avere un po’ di respiro, - Giusto per parità. Sei sempre stato tu a precedermi.
- Se aspettavo te facevo in tempo a diventare uno scheletro, - ride Kamui, strofinandomi il naso sulla guancia, - Quanti anni ci hai messo per scoparti il tuo Sumeragi, uhm?
Che si ritorni sempre a Subaru è una cosa che mi irrita. Non è l’epicentro del mio mondo, maledizione. Al centro del mio universo ci sono io, e basta.
- Il tempo giusto, Kamui. Il che mi fa pensare che sarebbe qualcosa a cui dovremmo supplire tutti e due, o sbaglio?
- Sfacciato come non mai, Sakurazuka! I segni che hai sul collo devono ancora passarti e tu stai flirtando deliberatamente con me!
- Lo faccio perchè mi diverte, - gli concedo con un mezzo ghigno. Lui sfrega i polpastrelli sulla piccola crosta che ho sul collo, causandomi un piccolo bruciore che mi fa rabbrividire.
- Uhm, questo non mi pare proprio una ferita da lancio del bicchiere… Come te la sei fatta? Sul serio.
- Sai, quando una persona prova a strangolarti affonda le dita più in profondità che può e le unghie arrivarono a lacerarti la pelle, anche se di poco.
- Mi stai dicendo che quella sottospecie di ameba sfigato ha tentato di strangolarti?
- Non ha preso molto bene l’idea che abbia passato la notte nel suo letto, sai com’è.
Lui emette un fischio ammirato.
- Accidenti, devi averlo fatto arrabbiare parecchio. Con questa trovata direi che il Sumeragi ha guadagnato punti nella mia stima.
- Oh, quando glielo dirai ne sarà onorato, specie dopo che gli hai praticamente cavato un occhio.
- Lascio a te l’ingrato compito di riferirglielo, meno lo guardo in faccia meglio è. Sta troppo appiccicato all’altro Kamui, per i miei gusti.
- Non esagerare nell’inventarti triangoli, Kamui. Ormai sono passati perfino di moda.
- Sarà, ma fossi in te terrei l’occhio ben puntato sul tuo onmyouji, giusto per tranquillità.
Mi mordicchia il labbro inferiore con forza ed affonda i denti all’improvviso. Ho un breve sussulto quando sento il sapore del mio sangue in gola ed allontano di scatto la testa.
- Sei impazzito, Kamui? – gli dico, premendomi le dita sulla bocca. Lui ha un breve cenno di impazienza e si alza dalla panchina, sistemandosi meglio il giubbotto di jeans.
-Ti avevo detto che avresti pagato cara quella battuta, e comunque non è altro che un taglietto. Ti passerà. Dai, alzati da lì che abbiamo perso troppo tempo. Improvvisamente ho fretta di tornare in camera mia e dormire su un letto normale.
- Odio ripetermi, ma io non ti ho costretto a venire, - mormoro, prendendo a succhiarmi il labbro per fermare il flusso di sangue.
- Lo so. Ma io non ho mai detto di essermi pentito di essere venuto con te.

Arriviamo al Municipio con parecchio ritardo, per via della pausa-gelato non prevista. Così tanto ritardo che non vale neanche la pena che io torni al nostro covo.
Kamui non insiste sul fatto di farsi accompagnare fino ai sotterranei, quando gli dico che dovrei tornare al mio appartamento, ma anzi mi sembra addirittura sollevato. Immagino che la cosa gli risparmierà parecchie spiegazioni da dare agli altri Chi no Ryu, ammesso che sia tenuto a darne.
- Cosa farai? – mi chiede. Scrollo le spalle.
- Mi terrò occupato, farò il mio lavoro con la solita precisione, non mi fermerò a fantasticare ad occhi aperti e starò bene attento ad attraversare la strada. Ti basta?
- Direi di sì, - sorride lui. Ho di nuovo la sensazione che qualcosa non vada per il verso giusto, ma ancora non riesco a capire cosa. E’ come avere in mano il pezzo di un puzzle e non sapere bene dove collocarlo.
- Kamui?
- Che c’è?
- Non dovevi dirmi qualcosa?
- Non era nulla d’importante. Dimenticatelo.
Si volta e se ne va con tutta calma. Non so perché, ma vorrei che si girasse per controllare se sono ancora qui. Mi sento ancora la sua testa appoggiata sulle ginocchia come sul treno, malgrado sia passato parecchio tempo.
Lo vedo oltrepassare le porte scorrevoli e sparire senza che si sia girato neanche una volta.

Non mi serve abbassare gli occhi sulla maniglia per capire che la porta è già aperta. Mi basta sentire l’odore che proviene da quello che avevo lasciato un appartamento chiuso. E’odore di intimità violata, di una tana usurpata da qualcun altro. Non so da chi.
Apro la porta lentamente ed entro quasi trattenendo il respiro, come se questa casa non fosse più mia. Credo non mi appartenga più da un bel pezzo, da quando ho permesso a Kamui di entrare nella mia vita e rimanerci finchè gli avrebbe fatto comodo.
Rimango in piedi a guardare il mio soggiorno sventrato. Riflettiamo. Non è stato il mio Sakura, se fosse stata lei sentirei l’odore di ciliegio permeare queste pareti. E non sarebbe stata così selettiva. E’ stato qualcun altro. E non un semplice ladro.
La stanza è ridotta ad un bizzarro miscuglio di improvvisazione ed organizzazione. Chi è entrato mi stava cercando, e non trovandomi ha pensato bene di dare un’occhiata in giro. Guardo i cassetti praticamente scardinati. Ci vuole una certa rabbia per ridurli così, ma posso immaginarlo. Vai a casa di qualcuno che cerchi disperatamente, non lo trovi; cerchi qualcosa che possa aiutarti a capire dove sia e frughi nei posti più probabili, ed ovviamente non trovi niente. Documenti, forse è questo che ti metti a cercare per disperazione, ma non trovi nemmeno un pezzo di carta che possa esserti utile. Se prima hai tentato di essere delicato, di mascherare almeno un po’ il fatto che ti sei introdotto in casa d’altri, a quel punto non ci vedi più. E cerchi solo di fare più danno possibile.
Mi siedo sui talloni al centro della stanza, evitando i vari pezzi di vetro e simili sparsi sul pavimento, e prendo in mano una manciata di piume fuoriuscito da uno dei cuscini. Ci sono molte persone su questa terra che vorrebbero la mia testa, ma solo un paio di queste possono essere interessate a cercare nei miei cassetti qualcosa di compromettente.
Riesco a riconoscere, nel caos generale, la copertina di un libro familiare, praticamente intatto. Non mi serve guardare il risvolto di copertina per sapere che si tratta della raccolta di poesie di Eliot. La coincidenza è quasi incredibile. Finisco di guardarmi attorno, stringendo il volume fra le mani.
I fili del telefono sono staccati, quindi se volessi chiamare qualcuno sarei impossibilitato a farlo se rimanessi in casa. Avrei dovuto aspettarmelo. Vuol dire che Ayase mi vedrà arrivare in ambulatorio prima del previsto, invece che col leggero ritardo che gli avevo preannunciato.
Torno in ingresso in punta di piedi e mi metto a frugare nelle valige. Scelgo quella più piccola e ci metto un paio di abiti puliti, assieme al libro, poi esco senza voltarmi indietro.
Non chiudo nemmeno la porta dietro di me. Non ce n’è bisogno. Nessuno, neanche questa casa, mi aspetterà più.

Faccio appena in tempo a correre nel magazzino dell’ambulatorio per sistemarmi decentemente la lente a contatto prima che Ayase faccia il suo ingresso come uno tsunami scatenato.
- Sakurazuka-san! Buongiorno! Come è andata la vacanza? Dove sei andato? Ti sei divertito? Ehi, non hai avuto tempo di tornare a casa a portare le valige? Se vuoi al ritorno le porto io, se hai problemi, nella mia bici ci sta tutto se riesco a farci posto…
La solita gragnuola di domande da parte del mio assistente comincia a tartassarmi non appena entro nel suo campo visivo. Alzo la mano per ripararmi da tutti i vari quesiti, mentre appoggio per terra la valigia.
- Alt, una domanda alla volta. La mini vacanza è andata bene, sono andato a Kanazawa e mi sono goduto il mio meritato riposo. Visto che casa mia è inagibile ho deciso che per qualche giorno starò in albergo. E comunque buongiorno anche a te, Ayase-kun.
Lui fa per rispondere quando i suoi occhi si appuntano sulla mia bocca.
- Che ti sei fatto? Il labbro ti stai diventando viola!
Kamui, dannato piccolo permaloso.
- Ho scoperto a mie spese che è meglio non alzarsi da un letto all’occidentale quando si è mezzi addormentati e si alloggia in albergo. Il rischio di spaccarsi l’osso del collo invece di sbattere il labbro è piuttosto elevato.
Ayase annuisce energicamente, come se avesse provato fin troppo spesso la mia stessa esperienza. Con un po’ di fortuna diventerà un bravo veterinario, sempre che il mondo non si sgretoli prima, ma ciò non toglie che sia ingenuo come pochi. Vado a mettermi il camice, facendogli segno di imitarmi.
- Labbro o non labbro, abbiamo parecchie cose da fare, stamattina. A che ora abbiamo quell’intervento di anestesia…?

Dopo parecchie ore passate al limite della sopportazione mi ritrovo di nuovo libero dai miei impegni di umile veterinario. La tentazione di andare immediatamente in un albergo vicino e riposarmi un po’ è fortissima, ma prima di dormire ho ancora parecchio da fare. La prima faccenda da sbrigare è andare al Municipio, ma non per incontrare i miei compagni di schieramento.
Devo ammettere che sfrecciare su una bicicletta fra il traffico di Tokyo con il mio assistente alla guida è più divertente di quanto pensassi. Credevo sarebbe stata una corsa suicida contro il primo palo della luce disponibile, eppure Ayase riesce a sfrecciare nel traffico con una perizia che ha dell’incredibile, specie se ha un passeggero in più a cui badare ed una valigia.
- Ayase-kun! Se non rallenti è la volta che ci schiantiamo sul serio!
Lui ride, imboccando una curva molto stretta che rovescia per qualche secondo l’effettiva posizione di strada e cielo.
- Tranquillo, Sakurazuka-san! Siamo giovani tutti e due e non vogliamo morire così presto, no?
Mi limito a stringermi un po’ più stretto alla sua schiena e a rimanere in silenzio che può essere interpretato come un assenso. Dopo qualche altra manovra vertiginosa Ayase inchioda la bici poco lontano dall’entrata del Municipio, come gli ho chiesto, e mi fa scendere. E’ buffo che a poche ore di distanza mi ritrovi sempre qui.
- Abiti qui vicino, Ayase-kun? – gli chiedo, mentre mi massaggio le cosce per riattivare la circolazione delle gambe.
- Sì. Sicuro di non voler venire a dormire da me finchè non ti sistemano l’appartamento?
- Sicurissimo. Comunque te l’ho chiesto non per autoinvitarmi ma per sapere se puoi tornare a casa senza allungare troppo la strada.
- Ehi, non pensarci nemmeno per scherzo! Io ti aspetto qui per tutto il tempo che vuoi e poi ti porto in albergo, ed è inutile che cerchi di svincolare!
Sembra davvero convinto di ciò che dice, come se ne andasse del suo orgoglio personale. La cosa non manca di sorprendermi. Dopotutto, siamo sempre stati praticante e veterano, nient’altro.
- Perché?
Lui mi guarda ad occhi spalancati per qualche secondo, come se ogni lettera che compone la mia domanda fosse la cosa più assurda che abbia mai sentito.
- Come, perché? Perchè non dovrei farlo?
Mi chiedo se non sia il caso di dirgli qualcosa e farlo andare via di forza, ma dubito di riuscirci. Ayase è il tipo di persona troppo ingenua per chiedersi cosa ci sia di sbagliato nell’aiutare gli altri senza chiedere nulla in cambio. Anche Subaru, malgrado sapesse che il mondo attorno a lui non avrebbe ricambiato la sua gentilezza, era così.
- Sai, Ayase-kun, sei davvero un bravo ragazzo.
Non è un complimento, solo una semplice constatazione, ma lui deve prenderla come un segno di simpatia nei suoi confronti, tanto che arrossisce perfino un pò.
- Dai, Sakurazuka-san, per così poco… Allora ti aspetto qui e non provare a piantarmi in asso, va bene?
Senza aspettare una mia risposta appoggia la bici al muro e tira fuori il cellulare, presumibilmente per chiamare la sua ragazza ed informarla delle novità. Forse nascerà uno scontro telefonico titanico come i migliori combattimenti fra i due Kamui, in pieno stile King Kong contro Godzilla.
Mi giro e mi avvicino lentamente all’edificio del Municipio. Probabilmente Beast mi avrà già individuato non appena sono entrato nell’area, ma non credo che lui e la sua padrona mi daranno fastidio. In questo momento devo preoccuparmi di altro.
Riesco a trovare una postazione nascosta poco lontano dall’ingresso, in modo da poter controllare chi entra ed esce, e mi accendo una sigaretta.
Ragioniamo.
Ho i miei buoni motivi per sospettare che il mio non ufficiale datore di lavoro abbia deciso di rompere il nostro contratto con le maniere forti. Il fatto di non avermi trovato a casa deve aver complicato un po’ le cose. Deve aver pensato che io sia così stupido da abbassare la guardia dentro le pareti di casa mia e da farmi ammazzare docilmente. In mancanza di bersaglio, il suo uomo o i suoi uomini hanno messo a soqquadro il mio appartamento per vedere se c’era qualcosa che poteva in qualche modo compromettere il governo.
La prima domanda è: come ha fatto a scoprire dove abito?
La seconda: cosa ha spinto Ogawa Ken a compiere un’azione tanto rischiosa?
Terza: chi ha mandato?
Non posso entrare negli uffici degli Affari Interni come se niente fosse. Probabilmente la mia comparsa sarebbe salutata da una scarica di proiettili... E magrado sia un Sakurazukamori con tanto di repertorio di illusioni, velocità più elevata rispetto al normale e tutto il resto, una pallottola in testa mi spedirebbe all’altro mondo senza tanti complimenti. Però devo ottenere le mie risposte dagli archivi del tredicesimo piano. Tanto vale provare a fare le cose a modo mio.
Mi ci vuole un po’ di tempo per accumulare la concentrazione necessaria, ma alla fine mi sento pronto a fondermi con i petali di Sakura e scomparire agli occhi della gente normale. Lascio cadere la sigaretta per terra ed unisco le mani, cominciando a scandire le sillabe per l’incantesimo finchè non ho la sicurezza di essere invisibile.
Perfetto.
Mi alzo dalla panchina ed entro nell’edificio senza che nessuno mi degni di un’occhiata. Tanto per essere sicuro, mi fermo davanti ad uno degli impiegati della reception e schiocco le dita davanti ai suoi occhi. Lui continua a fissare lo schermo del computer come se niente fosse.
Imbocco le scale più vicine, evitando le persone che salgono e scendono senza troppi problemi, finchè non mi ritrovo davanti all’ingresso del piano numero tredici.
Tutto sembrerebbe tranquillo e perfettamente normale se tutti non continuassero a guardare con aria inquieta l’ascensore o le scale da cui sono appena venuto, come se temessero l’arrivo di qualcuno da cui sono terrorizzati.
Tiriamo ad indovinare: me?
Mi fermo in un angolo e spingo una mano nella tasca nella giacca finchè non tocco con un dito il floppy disk che tenevo in valigia. Questa è una di quelle volte in cui ringrazio la mia previdenza per non aver lasciato le cose molto importanti a casa.
Secondo quello che mi ricordo le stanze degli archivi sono vicine all’ufficio di Ogawa-san, in un corridoio esattamente di fronte, in modo che la guardia all’ingresso della stanza possa controllare anche il secondo ingresso. Anche se sono invisibile, l’uomo noterà sicuramente una porta che si apre da sola esattamente di fronte a lui. Non voglio ucciderla e mettere in allarme tutto l’edificio. Dovrò essere molto più delicato.
La guardia di turno è quella che mi ha fatto entrare nell’ufficio la volta scorsa, la riconosco subito. Eppure sembra meno sveglia di quel giorno, evidentemente ha fatto le ore piccole per lavorare. Mi basta un piccolo colpetto sulla nuca ed un incantesimo elementare, - quello che Subaru non riesce mai a contrastare, per sua sfortuna, - per fargli chiudere di colpo gli occhi. La cosa strana è che, sebbene stia dormendo, rimane comunque in piedi, al suo posto. Devo trattenermi dallo scoppiare a ridere.
C’è da ringraziare che il governo giapponese abbia qualche problema finanziario negli ultimi tempi, altrimenti avrebbero installato sicuramente qualche congegno di ultima generazione per impedire l’accesso; invece c’è semplicemente la porta chiusa a chiave, che vergogna. Mi fa quasi pentire di aver lavorato per anni con questi tizi.
Dopo che la porta è scattata ed io me la sono richiusa alle spalle, rimango faccia a faccia con una serie infinita di cassettoni metallici ed un computer acceso; nessuna telecamera nei paraggi, visto che qui anche dei potenti che tengono a tutelare la loro privacy vanno a sbrigare i loro lavoretti.
Mi tolgo il floppy dalla tasca e lo inserisco nella macchina, apro il programma di ricerca ed aspetto che il programma decripti le varie password per farmi accedere ai dossier virtuali. Ho sempre avuto qualche problema con i pc, così ho dovuto ricorrere ad un aiuto esterno: qualche tempo fa un uomo molto abile con i computer, per ricambiare un favore che gli ho fatto, mi ha regalato una serie di passpartout ottenuti dopo aver fatto saltare i sistemi di sicurezza governativi senza che nessuno se ne accorgesse. A quanto pare non tutti hanno bisogno di macchine chiamate Beast per fare meraviglie sulle tastiere.
Dopo un paio di minuti mi trovo davanti alla schermata completa di tutti i vari dipendenti di questa divisione; scorro velocemente fino al mio nome ed apro la mia cartella. Quello che vedo mi lascia leggermente perplesso. Non sono presenti mie fotografie e persino vicino al mio nome c’è un punto di domanda; sotto, oltre a miei vari dati personali approssimativi, - hanno tirato ad indovinare sull’età, sulla città di residenza e cose simili, - ed i nomi degli obbiettivi affidatemi ci sono una serie di indirizzi dove potrei abitare. La lista è così lunga che faccio per saltarla completamente, quando noto l’indirizzo di casa mia, sottolineato più volte.
Comincio a pensare freneticamente. Il mio cognome ed il mio nome sono molto comuni in Giappone, e non riesco a capire come abbiano fatto a trovarmi con così tanta sicurezza. Non so chi abbiano messo sotto pressione per scovarmi tra mille nomi identici, non so chi possono aver mandato nel mio appartamento. A parte il mio datore di lavoro, non conosco nessun altro che potrebbe avere interesse ad avere la mia testa. O forse…
Torno immediatamente all’indice e cerco sotto il nome di Shiegeru Ogawa. Orfano, vive sotto la protezione dello zio in un albergo di Tokyo, - non capisco perché non abbia un suo appartamento ma non ha importanza. C’è un numero a fianco, credo sia il numero della stanza.
Chiudo tutto e tolgo il floppy disck prima di uscire. Faccio appena in tempo a tornare all’inizio del corridoio quando sento un uomo rimproverare con una certa asprezza la guardia addormentata.
Sto ricominciando a sentirmi padrone della situazione. Tutto sta tornando ad essere divertente.

La camera-appartamento è la numero 1408.
Entro senza tanti complimenti, limitandomi a far saltare la serratura, senza neanche proteggermi attraverso un mabouroshi. A volte non vale proprio la pena di essere discreti e di sprecare energie per niente.
Malgrado il caos che ho provocato entrando, Shiegeru Ogawa non si sveglia. Mi avvicino al letto, evitando i vestiti disseminati per terra, fino a chinarmi per guardarlo negli occhi. Capisco che è sveglio e che è in qualche modo cosciente, ma non mi vede, a giudicare dalla vacuità dello sguardo; mi basta guardargli l’avambraccio scoperto per capire tutto.
Sul tavolo vicino c’è un sacchetto di plastica. Lo prendo in mano, soppesandolo. Non sono abbastanza esperto di droga per capire se questa sia eroina o cos’altro, ma occhio e croce deve costare parecchio. Sicuramente abbastanza perché lui la rivoglia indietro non appena si sveglia.
Riesco a trovare carta e penna e gli lascio un appunto sulla scrivania, indicandogli il numero della stanza che ho prenotato, prendo il sacchetto e richiudo la porta.
Torno nella mia camera, getto il risultato della razzia sul tavolo e mi lascio cadere nella poltrona. Il bisogno di farmi una doccia è diventato quasi un desiderio fisico, ma devo trattenermi. Ho ancora un paio di cose da sbrigare.
Nandarou compare sul bracciolo della poltrona con un battere poderoso di ali. Gli accarezzo la testa distrattamente, senza aver bisogno di dire nulla. E’ il mio shiki, i miei ordini sono insiti in lui come nell’uomo è insita la concezione fra bene e male.
Il falco plana fuori dalla finestra aperta, in ricognizione, lasciandomi da solo ad aspettare. Sto per alzarmi per sgranchirmi le gambe ormai intorpidite quando sento un rumore fuori dalla camera. Rimango immobile lì dove sono. Non sussulto quando la porta si apre con la stessa violenza con cui ho aperto poco fa quella della stanza 1408.
Shiegeru rimane a guardarmi con sguardo infuriato per qualche secondo. Deve essersi fatto tutta la strada che ci separa di corsa. Non so come abbiano potuto reggergli le gambe.
- Dov’è? – ringhia. Alzo il sacchetto di plastica.
- Qui. Vienitela a prendere.
- In passato ho letto in un quotidiano che anche una persona che fa abituale uso di droghe pesanti, se le toccano la propria fonte di paradiso, può essere pericolosa quanto il più lucido dei criminali. Quando vedo il nipote di Ogawa-san gettarmisi addosso, penso che voglia strapparmi di mano la refurtiva, ma in realtà agisce in modo molto più furbo: afferra la prima cosa che gli capita in mano e prova a fracassarmela contro la nuca.
Anche se sono riuscito ad alzare il braccio appena in tempo e a girare il viso dall’altra parte, non riesco del tutto ad evitare che qualcosa di duro e maledettamente doloroso si abbatta sulla mia tempia destra. Forse è la sveglia, ma non so dirlo con sicurezza.
Cado a peso morto sul pavimento come se il colpo mi avesse stordito sul serio; mi lascio sfuggire un teatrale gemito di dolore, giusto per aumentare la credibilità della recita, e sbatto più volte le palpebre, come se non riuscissi a mettere bene a fuoco la stanza.
Aspetto. Non appena sento il mio aggressore afferrarmi il polso, lo colpisco agli stinchi con la punta della scarpa. Devo avergli fatto parecchio male, visto che ora tocca a lui piegarsi per stringersi la gamba dove gli ho sferrato il calcio più forte.
Mi rialzo e con tutta calma gli mollo un ulteriore colpo in zona nuca che lo lascia semicosciente sul pavimento. Anche se sembra sveglio non accenna a rialzarsi, specie quando gli appoggio il tacco della scarpa sul suo collo e spingo leggermente.
- Shiegeru-kun, ti spiacerebbe dirmi quanto ti hanno pagato per quel piccolo blitz punitivo a casa mia?
- Non hanno mandato me, - mormora. Scuoto la testa.
- Come bugiardo non sei credibile. Riprova con una scusa, magari potrò crederti sul serio.
- Vai a farti fottere.
Affondo la scarpa con più forza. Non dev’essere bello sentirsi tutto il peso premere sulla giugulare.
- Esistono delle regole di buona educazione, Shiegeru-kun. Quando una persona ti fa una domanda cortese, tu rispondi con altrettanta cortesia. Allora, ti hanno pagato in yen o direttamente con la droga che sto tenendo in mano?
- In yen, - geme, tentando di respirare meglio, - Come sai che mi hanno mandato?
- Non lo sapevo, infatti. Sono semplicemente andato a caso con l’unica persona che poteva avere del risentimento verso di me e che poteva combinare un simile macello nel mio appartamento.
Allento leggermente la pressione del tacco. Lui si lascia sfuggire un sospiro di sollievo.
- Rivuoi il piccolo tesoro che tengo in mano oppure no? – gli chiedo, lasciando in sospeso il sacchetto di droga davanti ai suoi occhi. Il suo sguardo riprende improvvisamente vita.
- Ridammelo.
- Va bene, ma in cambio vorrei sapere da te un paio di cose.
- Scordatelo, razza di…
Torno a premere con più forza il piede, stavolta con tutta la scarpa.
- Mi deludi. Credi di essere l’eroe di una qualunque pellicola cinematografica, da doverti comportare tanto stoicamente? Sono disposto a comportarmi in due modi con te. Nel primo modo, tu hai indietro la tua droga ed io ho quelle poche informazioni che voglio senza che nessuno si faccia troppo male. Nel secondo, tu soffri come un cane nella maniera in cui deciderò di farti supplicare la morte. Ed avrò comunque ciò che voglio sapere, beninteso, perché prima di ucciderti troverai il tempo di dirmi tutto.
Butto il sacchetto sul letto ed infilo la mano in tasca, cercando a tentoni la siringa che ho preso oggi dall’ambulatorio. Sfilo solo l’ago e lascio cadere il resto per terra, in modo che lui veda bene che cosa tengo fra le dita.
Tolgo la scarpa dal collo del ragazzo e mi chino alla sua altezza, mentre con la mano libera gli afferro il collo e lo costringo a guardarmi. Passo la punta della lingua sul metallo dell’ago.
- Non ho bisogno di pistole, coltelli o motoseghe per uccidere una persona, mio caro. Posso farlo anche con questo oggettino minuscolo che tengo qui con me e che non vorresti per nessuna ragione al mondo sentire conficcato nel tuo occhio. Prova ad immaginare in che maniera fantastica potrei usarlo su di te ed in quanti modi tu potresti supplicarmi di smettere senza che io ti dia retta.
Allora, quale delle due opzioni di poco fa scegli, Ogawa Shiegeru?

- Già da tempo mio zio sapeva di avere tra le mani un giocattolo molto utile ma certo troppo pericoloso per lui. Temeva che da un giorno all’altro ti saresti rivoltato contro di lui e lo avresti ucciso, e poi i parenti di certe persone che hai ucciso per conto suo avevano cominciato ad offrirgli parecchio per la tua testa… Per lui venderti al miglior offerente sarebbe stato avere due piccioni con una fava. Però non aveva nulla di te in mano, per quanto ne sapeva anche il tuo nome poteva essere un falso, come tutte le informazioni che era riuscito a procurarsi. Doveva essere sicuro di trovarti, quando ti avrebbe cercato per mettere la parola fine a tutto.
Shiegeru è sicuramente la personificazione degli effetti benefici della droga. Ora che ha di nuovo fra le mani e nelle vene la sua ragione di vita si è trasfigurato ed è tornato parte di quell’arrogante marmocchio che ha avuto il coraggio di interrompermi, tempo fa, e di fare irruzione a casa mia. Se da una parte la cosa mi lascia indifferente, - basta che parli, il come non ha importanza, - dall’altra mi affascina. Ora capisco come mai queste sostanze sono così diffuse nel resto del mondo. Trasformano in leone anche una persona che fino a pochi minuti fa non aveva neanche la forza di alzarsi dal pavimento.
- Quando ti contattavamo via email per gli incarichi, tu ti connettevi sempre da posti diversi, anche in città diverse, quando speravamo che lo facessi restando vicino a casa. Le tue telefonate erano sempre da cabine telefoniche non rintracciabili dalla tecnologia dei nostri pc. Neanche il tuo accento ci faceva capire da dove venissi o dove avevi scelto di vivere. Non sapevamo più da che parte sbattere la testa, ma poi abbiamo avuto un colpo di fortuna. Finalmente hai commesso un errore.
E’ stato uno strano omicidio che ci ha insospettiti, quello di una donna chiamata Nyoko Saitou, la direttrice di una scuola qui a Tokyo, dove parecchi studenti sono morti in circostanze misteriose. Secondo la stampa la scena del delitto era piena di sangue, senza nessun cadavere. Abbiamo riconosciuto subito il tuo modus operandi ed abbiamo capito che vivevi a Tokyo. Tutta la faccenda dei suicidi nella scuola della vittima era rimasta circoscritta solo nell’area di questa città, quindi solo chi viveva qui poteva conoscerla. La lista delle tue possibile residenze si è ridotta drasticamente ed abbiamo deciso di andare per esclusione. Abbiamo fatto pedinare chiunque portasse il tuo nome e finalmente uno dei nostri ti ha visto mentre uscivi dalla tua casa. Siamo risaliti ai documenti di proprietà ed abbiamo avuto la nostra certezza. Non eri più un fantasma ma una persona viva, che poteva essere trovata ed eliminata come tutti gli altri. Quella di precipitarmi nel tuo appartamento è stata una pessima idea, lo ammetto, - sospira, - Ma ero così deciso a fartela pagare per l’umiliazione che mi hai inflitto davanti a tutti che non vedevo l’ora di ammazzarti. Mi è andata male. Se tu fossi stato in casa ti avrei sicuramente ucciso.
- Un grave errore di valutazione da parte tua. Come hai potuto vedere non sono così sprovveduto come sembro.
Mi accendo una sigaretta. Buffo pensare che sia stata quella dannata donna a tradirmi… E’ come se Nyoko Saitou fosse uscita dal Sakura per avere la sua vendetta. Ma dovevo saperlo che i morti sono piuttosto rancorosi, tutti gli anni di pratica con yin e yang me l’hanno dimostrato più volte.
Va bene, sono bruciato. Ma a tutto c’è rimedio.
- Shiegeru-kun, ricordi cosa ti ho detto quando ci siamo incontrati?
Lui mi guarda con aria svogliata, probabilmente ha deciso che per lui non rappresento più un pericolo imminente. Imbecille.
- No.
- E’ un peccato, avresti dovuto farne tesoro. Ti avevo detto di starmi lontano. Per dirla con un linguaggio più facilmente comprensibile alle tue orecchie, di non rompere le palle e girare alla larga da me. Ma tu, piccolo idiota, hai voluto riscattare il tuo patetico orgoglio di rifiuto e hai voluto fare le cose in grande, sei venuto fino a casa mia ad infastidirmi. Ho ucciso delle mosche come te per molto meno. E’ un peccato che non mi sporchi le mani per la gente uguale a te.
Durante il mio piccolo discorso l’ho visto irrigidirsi sempre di più, come se il suo corpo si stesse lentamente trasformando grazie al rigor mortis. Per quasi un minuto non l’ho sentito respirare, e ha tirato il fiato dopo l’ultima frase.
- Non… ti sporchi le mani?
Sembra che per qualche tempo abbia davvero creduto che l’avrei lasciato uscire vivo da qui. Forse la droga cancella persino i passaggi logici più semplici, dopotutto.
- Sì. Il tuo sangue disgusterebbe persino il mio Sakura.
Mi alzo dalla poltrona ed appoggio i palmi su entrambe le sue spalle. Adesso il volto del ragazzo è cadaverico. Scoppio a ridere e gli accenno ad un buffetto sulla guancia.
- Rilassati, Shiegeru-kun. Non verserò neanche una goccia di sangue, promesso.
Premo entrambe le mani sul suo collo e glielo spezzo in un colpo secco.

Nandarou rientra nella stanza quando sono ancora immerso nel vapore della mia meritatissima doccia calda. Vedo la sua ombra volare dietro il vetro smerigliato del box ed appollaiarsi vicino al mio accappatoio.
- L’hai trovato? – gli chiedo, alzando la voce per farmi sentire oltre lo scroscio dell’acqua. Mi sembra di sentire un verso affermativo.
Sono così rilassato che penso potrei addormentarmi direttamente qui. E’ stata una giornata lunga, ed ancora non è finita. Penso dovrò macchiarmi le mani di sangue prima di andare a cercare Subaru, ma il mio limite di resistenza è stato sfiorato più volte, oggi, e mi sono meritato ogni goccia di ques’acqua. Non potevo davvero attendere oltre.
Finisco di sciacquarmi i capelli e spengo il getto. Socchiudo la porta del box e lancio un’occhiata fuori.
- Ti dispiacerebbe girarti? Dovrei uscire.
Il mio shiki esprime tutta la sua indignazione in una serie di trilli spacca timpani. Sospiro.
- Lo so, ma ci pensa già Kamui ad invadere la mia privacy senza che anche tu ti metta a fare il difficile. Fammi questa cortesia.
Nandarou schiocca il becco, offeso, ma si gira verso la parete. Non appene sente che sono riuscito ad infilarmi l’accappatoio, - con un po’ di difficoltà, visto che è di una misura più piccola della mia, - torna a voltarsi.
- Racconta tutto, - gli dico, prendendo a strofinarmi i capelli con un asciugamano. Dopo qualche secondo arrivano sotto le mie palpebre serrate le immagini del volo del mio shiki nella notte di Tokyo. Vedo con particolare chiarezza le luci della Baia splendere nell’acqua che scorre sotto il Raimbow Bridge.
Apro gli occhi e controllo allo specchio la situazione del mio labbro inferiore, che comincia a darmi davvero fastidio. Ayase aveva ragione quando mi ha detto che sarebbe diventato viola. Maledizione a te, Kamui, maledizione.
Il Raimbow Bridge. Che cosa fa Subaru proprio lì? Oh, ora che ci penso potrebbe essere una barriera. Forse i Ten no Ryu sono così disperati da provare a proteggere le barriere rimaste dividendosi in gruppi. Ma in questo caso ci dovrebbe essere qualcun altro con lui. Forse non ha voluto altri con sé. Forse è già consapevole che verrò.
Lascio cadere in terra l’asciugamano e mi passo una mano tra i capelli per ravvivarmeli. Mi sento di buon umore, nonostante tutto.
- Finiamo ciò che abbiamo cominciato, Subaru Sumeragi, - dico, rivolto allo specchio, incurante di Nandarou che mi fissa con curiosità, - Ciò che abbiamo cominciato, finiamolo stanotte.

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Capitolo 15
*** Peaceless ***


[Dopo quasi un ANNO di non attività, eccomi di nuovo qui ad aggiornare Escapist. I motivi, essenzialmente, sono due: il primo, il cambiamento radicale di fandom. Visto che mi stavo concentrando unicamente su X, diciamo che ho preferito ampliare un pò i miei orizzonti e di dedicarmi ad altro. Il secondo, più importante, è stata la semplice e letale mancanza di ispirazione. Avevo già il capitolo in testa, mi mancava soltanto scriverlo: peccato che, ogni volta che aprivo Word, non mi piaceva ciò che scrivevo. Ho molti difetti, come fanwriter, ma ho un pregio: quello di postare ciò che scrivo solo se mi soddisfa. Il fatto che poi mi venga voglia di cancellare le cose dopo un paio di settimane è un altro discorso, ma se posto le mie fanfiction è perchè, al momento, ne sono soddisfatta.
Perciò, ho preferito lasciar "marcire" questo capitolo in attesa di scriverlo come volevo io. Spero mi capiate. Ora come ora, a maturità finalmente finita, penso di riuscire ad aggiornare abbastanza presto, ma visto che sono impegnata con un paio di concorsi, non so quando tornerò a pubblicare qui. Forse tra un mesetto, forse fra due, forse tra un paio di settimane. Però non lascerò passare un anno, questo ve lo posso assicurare.
Bene, a questo punto non mi resta che ringraziare chi legge ancora adesso questa storia, - che presto verrà anche revisitata, una volta che l'avrò conclusa definitivamente, - chi l'ha messa tra i preferiti e chi commenta. Le varie risposte le trovate sul blog Plastic Heart, non appena avrò finito di rimodernarne l'aspetto grafico.
Buona lettura, alla prossima!]


"Now all that’s left of me is what I pretend to be
So together, but so broken up inside ”



Io ti conosco, Subaru Sumeragi?
Questa, una volta, non sarebbe stata una domanda; sarebbe stata un’affermazione. Ho passato con lui un anno, trecentosessantacinque giorni in cui l’ho sostenuto, l’ho fatto arrossire, l’ho osservato quando non credeva di essere visto. Mi sono costruito, con la precisione di cui sono così fiero, la sua immagine, senza farci cadere sopra indorature o sminuirla eccessivamente. Un’immagine reale, - e di questo ne sono tuttora certo, - di chi era Subaru, tredicesimo capofamiglia del clan Sumeragi.
Ho sempre voluto avere dei pilastri solidi su cui poggiare i piedi, ed uno di questi riguardava quest’uomo, o meglio ciò che provava nei miei confronti. Vendetta, rabbia, frustrazione, un pizzico di desiderio – quello è inevitabile, dicono che anche nella tortura ci siano attimi incui la vittima prova qualcosa di simile nei confronti del proprio carnefice – ed odio. Soprattutto quest’ultimo.
Subaru mi amava ed io l’ho tradito. Ha riposto in me la sua fiducia ed io ho ucciso sua sorella. Per quale perverso motivo non avrebbe dovuto odiarmi con tutte le sue forze? Nemmeno lui avrebbe potuto perdonare una cosa simile, risanare uno squarcio così profondo. Sapevo che non avrebbe tentato di dimenticare, avrebbe invece sparso il sale sulla ferita e sarebbe andato avanti con questo unico pensiero in testa: vendicarsi. Non era da lui sgretolarsi. Nessuno gli ha mai insegnato la strada dell’autodistruzione.
Era un pilastro saldo, praticamente indistruttibile. Ed è bastato un solo colpo per mandarlo in pezzi.
Adesso è tardi per chiedersi cosa sia andato storto, non è vero? Per me e per lui. Sì, in questa rete di errori ci sono anche io. Kamui, tu sapevi tutto, non è così? Ovvio che sapevi. Mi hai dato tu la spinta finale verso il baratro, ma ho scelto di persona di buttarmi di sotto. Una scelta consapevole, pensavo, non era quello che volevo? Dalla mia parte smangiucchiata di verità sì, credevo di sapere cosa desiderare, ma il mio errore più grande è stato aver peccato di arroganza: avevo sotto gli occhi una verità parziale, eppure ho creduto di avere l’intera mappa del destino dispiegata davanti a me. Quando, sul ponte del Raimbow Bridge, ho visto l’ombra di Subaru e della sua sigaretta appena accesa e sono avanzato lasciando che sentisse i miei passi – avevo ancora la mano sporca del sangue ancora caldo di Ogawa-san, perchè io non mi lascio mai dietro un lavoro incompiuto, vero? – ero sicuro di ciò che desideravamo entrambi: la mia morte.
Ecco, io sono qui.
Non ho più voce di domandare a Subaru il perché. Se l’avessi, però, non sono sicuro che glielo chiederei. Voglio dire, a questo punto lo so. Me l’ha detto in silenzio, sorreggendomi tra le braccia mentre crollavo. Ad un nemico non si tributano certi onori. Ma quando è successo? In che modo l’anima di Subaru si è ramificata in questa maniera così complessa e mi ha celato ogni cosa? Gli uomini cambiano, Seishirou Sakurazuka, me lo sarei dovuto ricordare. Inesorabilmente, impercettibilmente, lentamente, ma cambiano. Alcuni semplificano la propria mente ed abbassano le difese, altri le innalzano ed i loro pensieri e sentimenti si evolvono. Ed eccomi qui, allora, ignaro di ciò che avevo davanti agli occhi fino alla fine.
O quasi.
E’ tardi. E’ tardi. Il mio cuore ha smesso di battere già da un po’, il sangue ha smesso di scorrere fuori dalla ferita perché non c’è più nulla che possa pomparlo fuori. Con questo colpo si poteva morire subito o si poteva agonizzare per minuti interi, dipendeva dalla persona. Malgrado il mio fisico sia forte, so che non resisterò per un altro minuto. Riesco ancora a stupirmi di quanto velocemente i pensieri possono attraversare la mente di un moribondo. Riesco ancora a sentire parte del corpo di Subaru teso a sostenere il mio, una leggera pressione contro la testa, ed il freddo che sale dalle dita fino alla mano, come una ragnatela di cristallo nelle vene. Se solo fossi qualcun altro, potrei trovare la cosa molto romantica.
Ho ancora tempo. Potrei dirgli quello che vuole sentirsi dire, e non sarebbe male. In fondo glielo devo, questo boccone amaro di verità. Avrei un segreto in meno da portare con me. Avrei l’orgoglio di essermi lasciato dietro una persona distrutta, lacerata e senza più desiderio di vivere, ma consapevole.
Ah, no. Lasciatemi questo ultimo moto di orgoglio da Sakurazukamori. No, da Seishirou. Le mie labbra rimangono sigillate. Non dirò nulla, Subaru. Odiami per questo, totalmente, visto che non sei stato capace di farlo in passato. Avvelenati l’anima e pensa che sono io ad averti instillato il fiele nel cuore goccia dopo goccia. Il mio capolavoro, la mia statuina di cristallo infranta. Non ho mentito al mio Sakura, allora. L’ho creato, l’ho plasmato e l’ho frantumato. Io. Io. Io. Madre, avevi ragione, è destino di ciascun Sakurazukamori, tuo figlio non fa eccezione.
So che verrai a prendermi, mi sembra già di vederti. Nel giardino di neve, cammini verso di me con le mani ancora sporche di sangue, tanti anni fa come adesso, per sempre.
Eccomi, io sono qui.
Io sono qui.

La voce è la prima cosa che sento.
So di conoscerla, è questo che mi spinge ad ascoltarla: si scioglie in una cantilena recitata a bassa voce, di cui conosco le parole solo in teoria, ma mano a mano che il filo di parole avanza io ricordo, conosco ed assorbo ogni traccia. Sussurro assieme a lei, dapprima muovendo appena le mie labbra invisibili, poi con una voce che non sapevo di possedere ancora, sempre più alta, finchè le nostre parole si intrecciano fra loro. E c’è ogni fibra di me in queste frasi, ogni singolo pensiero che mi compone spinge per rispondere. E’ una chiamata, c’è qualcuno che mi rivuole.
Lei, la donna, non capisce. Non può comprendere ciò che mi ha trascinato fino alla mia decisione, ma non si sforza di farlo. Agisce per suo desiderio personale, che non posso e non voglio conoscere: cerco di sottrarmi alle sue parole, provo a districarmi, ad allontanare il mio spirito, ma è inutile. La mia bocca continua a rispondere, segue da sola la formula dell’incantesimo e non si zittisce.
No, no. Qui è dove voglio essere. Qui è dove devo stare. Non lo fare, non parlare ai morti. Non chiamarli con questa voce, o diverrai una di loro. Stai attenta, non disturbarmi. Trattieni la tua vita e lasciami andare. Io non sono più, io non sono più.
E’ come se avessi di nuovo un'essenza fisica. La immagino dibattersi, indietreggiare di fronte alla forza invisibile che lo spinge in avanti, puntare i piedi, ma non serve a nulla. E’ come crollare ancora, mille volte, tra le braccia di Subaru. E’ come tornare indietro.
Il respiro torna nei polmoni con un pugno che mi scuote ogni fibra del mio corpo.
Tossisco. Per un attimo mi sembra impossibile sentire il sangue fra i denti, l’acqua, il dolore al petto e la scarica che mi attraversa la gola, che ancora si rifiuta di accettare la vita, di nuovo ed inaspettatamente; lo spaesamento, il senso di irrealtà, svanisce subito, con il conato successivo, quando mi ritrovo a graffiare con entrambe le mani il cemento ed ad aprire la bocca a vuoto.
Non ho idea di quanti minuti passino, quando riesco a trovare la forza di sedermi e di guardarmi attorno.
La prima cosa che vedo, è che il Raimbow Bridge non esiste più.
Al suo posto, solo un ammasso di metallo contorto su se stesso, cemento spaccato, pali troncati a metà e frammenti di struttura ancora pericolanti: il teatro di quello che doveva essere il nostro ultimo scontro – il mio - si è disfatto completamente, con la distruzione della barriera.
Istintivamente mi tocco il petto, dove la mano di Subaru mi ha attraversato da parte a parte. Non sono davvero sorpreso di sentire ancora la voragine in mezzo al torace; ad occhi chiusi cerco di ricordare quello che ho sentito, le parole della donna, ciò che mi ha riportato in questo mondo.
E’ tutto sbagliato, ora. Il mondo dei morti e quello dei vivi, non si dovrebbe mai… Mai. Che errore è stato, questo. Che equilibrio abbiamo rotto. Si può forse riempire una frattura simile a quella che ora attraversa la realtà e l’aldilà?
Scivolo sulle ginocchia e mi alzo in piedi con cautela. Le gambe sembrano reggermi, ed ancora una volta lo trovo sorprendente: sorprendente quanto il respirare senza più avere un cuore o il semplice pensare. Ho il petto trapassato e sono ancora qui.
Ma questo non è sorprendente. E’ semplicemente imperdonabile, è un errore a cui dovrei porre rimedio, se solo avessi la forza di farlo... Buttarmi di nuovo giù da questa riva, nell’acqua della Tokyo Bay, e finire il lavoro… Se solo questo fosse il mio desiderio, se solo Subaru fosse qui ancora una volta.
Prendo a camminare. Ho solo un posto dove andare, adesso, e nessun pensiero in testa.

Le forze mi bastano soltanto fino a raggiungere l’ascensore senza essere visto e a premere il pulsante per il sotterraneo. Mi lascio scivolare dolcemente lungo la parete e mi siedo, senza pensare alle pareti di acciaio gelato che mi premono contro la schiena e le braccia, mentre il ronzio elettrico prende a far vibrare l’aria e la mia percezione della gravità si rovescia. Guardando la mia sagoma deformata sul soffitto, riflessa in mille distorsioni e macchie di colore sparse a caso, mi infilo una mano in tasca.
Riesco a trovare una sigaretta miracolosamente intatta nella scatola di Mild Seven, ma l’accendino non è stato altrettanto fortunato. Lo getto in un angolo dell’ascensore ed ascolto l’ascensore bloccarsi con un ultimo sussulto.
Aspetto. Le porte si aprono con la stessa lentezza con cui si sono chiuse.
La prima cosa che noto sono gli occhi di Kamui. Sono spalancati, non sorpresi, ma pieni di qualcosa che sembra terrore allo stato puro: solo in secondo momento noto il suo pallore cadaverico, - quasi fosse lui ad essere stato richiamato dal regno dei morti, - e l’irrigidimento innaturale delle sue spalle, leggermente inclinate all’indietro, in posizione difensiva. Come se dovesse difendersi da qualcuno che gli sta di fronte, e che lo atterrisce.
Come se dovesse difendersi da me.
Il brusio alle sue spalle cessa di colpo quando le porte dell’ascensore si aprono completamente. Riesco a vedere, oltre a lui, anche uno spicchio di Yuuto – dei suoi capelli biondi - e di Satsuki – un paio di gambe così magre da essere scheletriche.
Nataku, ingenuo come un bambino, si sporge meglio al di sopra della spalla di Kamui per capire la causa dell’improvviso silenzio.
Tocco leggermente la sigaretta che ho infilata in bocca, e guardo il ragazzo di fronte a me.
- Hai da accendere?

- Non capisco che cosa sia successo.
Chiudo la porta del bagno dietro di me. Ho dovuto far scorrere l’acqua del lavandino per parecchi minuti, per lavare completamente via i grumi di sangue che ho vomitato fino a questo momento.
Kamui mi guarda quasi con espressione speranzosa, come se avessi la risposta a portata di mano. Malgrado abbia ripreso un po’ di colore, negli ultimi minuti, continua a fissarmi come se non credesse, semplicemente, a quello che vede.
Lo capisco benissimo. Neanche io riesco ad abituarmi al mio riflesso nello specchio.
Mi siedo sul bordo del letto senza avere il coraggio di sdraiarmi; ho l’impressione che, se lo facessi, le membra del mio corpo si staccherebbero ed andrebbero per conto proprio. Non credo di voler provare.
- Ehi?
Non rispondo. Il peso alla testa ed alle gambe pare essersi affievolito: il senso di irrealtà, di non appartenenza a questa dimensione, permane. Ed ora so di chi è la colpa.
Adesso ricordo tutto.
- Devo chiederti una cosa, Kamui.
Lui alza un sopracciglio. Mi fa segno di parlare, un breve cenno con la testa.
- Kaede. Qual’era il suo desiderio?
Bastano pochi secondi perché Kamui passi dall’attenzione allo smarrimento più totale: ritorna di colpo al pallore ed all’incredulità della mezzora appena trascorsa.
- Perché parli al passato?
- Rispondi e basta.
Si alza dalla sedia su cui è stato seduto fino ad ora e prende a camminare su e giù per il perimetro della camera, improvvisamente irrequieto. Io rimango immobile ad aspettare, lo osservo muovere le labbra a vuoto, come se parlasse da solo: per un attimo provo un sincero istinto omicida nei suoi confronti, che passa però non appena torna a guardarmi.
Mi è capitato, a volte, di toccare con mano la tristezza, di vederla stampata sul volto di Subaru. Ma neanche Subaru ha mai avuto uno sguardo carico di infelicità così assoluta.
- Sono maledizioni terribili, queste, lo sai? – mi chiede, accennando ad un sorriso, - Essere costretti ad ascoltare ed ad accettare ciò che vogliono gli altri. Voglio morire, voglio che accada questo, voglio che succeda quest’altro… La morte regna su tutti noi, Seishirou, e lo sappiamo fin da quando siamo bambini. Per questo non vogliamo fare altro che tornare da lei, rintanarci fra le sue braccia e sfuggire a tutto… E’ questa consapevolezza a renderci così vigliacchi. Ci sono così poche persone che desiderano cose diverse dall’oscurità del vuoto, abbastanza folli o abbastanza egoiste da amare così tanto la vita da non volersi staccare più…
- Kaede, - ripeto a bassa voce, - Voleva morire?
- No. No. Se il suo desiderio fosse stato così semplice, avrei potuto esaudirlo, anche contro la mia volontà.
Contro la sua volontà. Cerco di immaginarlo, Kamui, costretto giorno dopo giorno ad ascoltare le suppliche, i desideri, ed ad ascoltare le stesse parole, le stesse volontà malate, ed ad esaudirle. Morte, morte, morte. Cerco di immaginarlo, Kamui, mentre cerca annaspando di cambiare i desideri degli altri, spingerli a modo suo a volere qualcosa di diverso da questo: penso alla sua tristezza, di fronte al fallimento, ed al suo sorriso forzato davanti al Municipio, quando ha capito che non avrebbe mai potuto fare nulla per cambiare ciò che desideravo.
- Che cosa voleva?
- Soltanto esserti utile. Avrebbe fatto qualsiasi cosa tu le avessi chiesto, così, senza domandarsi il motivo. Non credo di aver mai sentito un desiderio così privo di razionalità… Era assoluto, e per lei era perfettamente naturale, come il respiro.
Rimane in silenzio e chiude gli occhi. Quando li riapre, è di nuovo padrone di sè: è di nuovo Kamui.
- Dimmi com’è morta, Seishirou-san.
Mi concedo per qualche attimo di guardare la punta delle mie dita. Kaede. Non riesco a fare a meno di maledirla con tutte le mie forze per avermi riportato qui contro la mia volontà. Per la sua stupidità sono ancora vivo, anche se solo apparentemente.
- Ricordi il libro che ho chiesto a Shinbo, durante la nostra visita a Kanazawa?
- Sì.
- Ci sono molti incantesimi, in quel libro. La maggior parte sono magie che può usare solo chi, come i capoclan, ha una grande forza spirituale, ma ci sono anche magie di altro tipo… Che richiedono una forza minore, ma sono infinitamente più pericolose.
- Pericolose?
- Per via del sakanagi... Il karma negativo che torna di riflesso contro il praticante, una volta compiuto l’incantesimo. La famiglia di Shinbo è una famiglia di onmyouji con una vena di potere magico molto forte, anche se non quanto i Sakurazuka. Kaede ha ereditato gran parte di questo potere, e senza dubbio sapeva che, se avesse usato un incantesimo che avrebbe prosciugato le sue energie, il suo corpo non avrebbe retto al sakanagi.
- Ha richiamato indietro il tuo spirito prima che tu raggiungessi uno degli altri mondi, - mormora Kamui, - Anche se sapeva che sarebbe sicuramente morta.
Rimango in silenzio. Che altro posso dire? Non riesco a comprendere il motivo per cui abbia fatto una cosa del genere. Perché morire per me?
- Proprio tu non capisci, Seishirou?
Alzo la testa, giusto in tempo per vedere Kamui scoppiare a ridere.
- Ah, no, non un Sakurazukamori! Lui può desiderare la morte per mano di chi ama, ma non riesce a capire che a volte si può morire per chi si ama, non è vero? Non è comprensibile una cosa del genere! Non è pensabile!
Ride così tanto che è costretto a tenersi le costole per non crollare in avanti. Ritorna all’improvviso, come una fiammata, il semplice e puro desiderio di ucciderlo. Non so da dove nasca questo istinto, ma so solo che esiste, che è dentro di me. Devo incrociare le braccia e piantarmi le unghie nei gomiti per impedirmi di stringere la sua gola fino a soffocarlo.
Ma perché, Kaede. Penso a quel piccolo passero che mi fissava quando ho cominciato a camminare lungo il Raimbow Bridge. Il suo shikigami. Penso a Shinbo e a quei bambini così piccoli. Non capisco, davvero. Perché abbandonarli per salvare me? Che cosa si è rotto, dentro di lei, quando mi ha visto crollare su quel ponte? Cosa può aver pensato? Cosa può aver sentito? Cosa può aver capito?
Non capisco.
Dopo quasi un minuto, Kamui riesce a riprendersi. Lo sento prendere dei respiri profondi, lo vedo raddrizzarsi.
- Quel buco, - dice, indicando il mio petto.
- Non guarirà.
- Ed ora, come farai a vivere?
- L’energia che Kaede ha utilizzato per l’incantesimo mi terrà in vita per un po’.
- Quanto durerà?
- Non lo so.
- Cosa hai intenzione di fare?
- Dimmi dov’è Subaru.
Lo vedo scuotere la testa: non significa “non voglio dirtelo” quanto “non ne ho idea”.
- Trovalo, Kamui.
- E poi, che pensi di fare?
- Niente che ti possa interessare.
- Vuoi farti uccidere di nuovo?
Il suo tono di voce dovrebbe avvertirmi, forse. Ma io sono io, e lui è lui. Non posso accettare l’idea che possa rimproverare ciò che sento o desidero.
- Forse. Dovrei essere morto, a quest’ora. Il sognatore ti ha detto che cosa sarebbe successo molto prima che io capissi cosa volevo, non è così? Non mi importa, comunque. Tu esaudisci i desideri delle persone. Adesso è mio desiderio trovare Subaru, e tu lo troverai. Se hai qualcosa da obbiettare a questa logica, ti ascolto.
Quando torna a guardarmi, non trovo il minimo cenno di tristezza, nei suoi occhi. Solo una rabbia così bruciante che mi fa tentennare, anche se per pochi attimi.
- No, Sakurazukamori, - dice, con voce straordinariamente inespressiva, così piatta da essere irriconoscibile, - Non ho nulla da obbiettare.
- Bene, Kamui. Vedo che ora siamo d’accordo.
Gli volto la schiena, prendendo a rovistare fra i vestiti alla ricerca di una camicia nuova. La presenza costante di questo buco al posto del cuore è disturbante, anche se priva di dolore. Dopo i primi attimi, credo di non aver davvero più provato niente, né dolore né sensazioni piacevoli. E’ come se il mio corpo, ora, fosse anestetizzato.
Kamui, dietro le mie spalle, fa qualche passo in direzione dell’uscita. La sua voce, ora, ha una sfumatura gelida che non gli ho mai sentito.
- Sai, Sakurazukamori, solo perché in questo momento apri gli occhi e respiri, non significa necessariamente che tu sia vivo. Sotto questa logica, credo che tu non sia mai nato.
E chiude la porta.

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Capitolo 16
*** Tearless ***


"Fare thee well, little broken heart, downcast eyes, lifetime loneliness
Whatever walks in my heart will walk alone"


Il tempo prende a trascinarsi con una lentezza esasperante persino per me, che sono da sempre abituato all’attesa.
Mi accorgo delle ore che passano soltanto grazie ai numeri intermittenti del timer del televisore o alle visite di Yuuto, l’unico che ha la forza di entrare in questa stanza senza fermarsi di fronte alla porta; ha impiegato un po’ di tempo a realizzare che sono di nuovo qui, anche se con notevole fatica.
- Sei una sorpresa dopo l’altra, - mi ha detto una volta, - Non faccio in tempo a riprendermi dalla tua morte che subito ricompari nell’ascensore e chiedi una sigaretta con tutta la calma di questo mondo.
Poi si è messo a ridere. Ho risposto con una smorfia che assomigliava soltanto vagamente ad un sorriso, e non ho detto niente. Sto lasciando, sempre più spesso, che sia il silenzio a parlare per me.
La sua compagnia, però, è piacevole come sempre: mi tiene al corrente di quello che accade fuori dal Municipio ed al suo interno, del mondo al di fuori da questa stanza, ed è come se girassi ancora per i sotterranei e parlassi con i compagni che il destino ha deciso beffardamente di mettermi accanto.
Non ho più visto Kamui. Yuuto dice che si assenta dai sotterranei per periodi sempre più lunghi, senza distruggere barriere o spingere i nostri avversari all’azione, e nessuno sa dove vada o da chi; Kanoe è sempre più insofferente a questa inattività forzata, ma non può dire o costringerlo a fare nulla. L’unica volta che ha trovato il coraggio di sputare in faccia a Kamui tutta la sua frustrazione, ho sentito le sue urla fino a qui: pare che lui l’abbia lasciata sfogare per bene, per poi mandarla a sbattere contro la parete di fronte con un ceffone.
- E’ come se non gli importasse più niente della Terra o di quello che gli interessava finora, - mi dice Yuuto, sprofondato nella poltrona di fronte a me. Scuoto la testa e spengo la sigaretta nel posacenere, - la tengo accesa più per abitudine che per reale desiderio di fumare, credo che nelle mie condizioni non proverei nemmeno piacere a farlo.
- Non penso. Kamui non si trova nella condizione di dimenticare qual è il suo compito nei confronti del mondo. Certi fardelli sono troppo pesanti per poterli lasciare con noncuranza a prendere polvere.
Penso a quei brevi minuti di sconforto, o meglio, di pazzia momentanea, - davvero posso definirla così? - in cui Kamui è sprofondato l’ultima volta che è venuto qui. La confessione. La debolezza improvvisa. Il desiderio di vedere qualcosa di diverso dalla morte annientato. L’agitazione, le risate nervose, la rabbia.
Kamui… A volte mi chiedo come la sua mente abbia potuto non vacillare di fronte a tutto questo. Ha solo diciassette anni, è una cosa che mi dimentico spesso.
Yuuto annuisce, sgranchiendosi le dita intrecciate dietro la nuca.
- Temo che tu abbia ragione. Ma per quale motivo…
- Credo che abbia un nuovo desiderio da esaudire.
- Un nuovo desiderio?
- Più importante di tutto il resto.
So che Yuuto vorrebbe chiedermi spiegazioni, ma si limita a fissarmi in silenzio per un paio di secondi, prima di scrollare le spalle e sorridere.
- Pare che qui tutti sappiano qualcosa che io non so, - dice, prima di cambiare argomento.
Questo è uno dei motivi per cui rispetto Yuuto; non ha la presunzione di capirmi o cercare di raggirarmi, sa che non potrà ottenere nulla se non sono io a rivelarlo. Non è stupido, sa che io e Kamui siamo uguali, su questo piano. Assolutamente impenetrabili per gli altri, per buona parte anche a noi stessi.
Kamui. Anche se sono al corrente di ciò che fa, mi è impossibile negare che mi manchi. E’ un piccolo bastardo cocciuto e manipolatore, eppure desidero la sua compagnia. Non è un desiderio intenso come quello che mi lega a Subaru, ma è comunque forte. Me ne stupisco.
Tralasciando l’attrazione e le somiglianze fra noi, l’ho sempre ritenuto qualcosa di momentaneo, nella mia vita: Kamui non era Subaru, prima poi avrei perso interesse anche per uno come lui e sarei andato avanti per la mia strada, destino o non destino, Chi no Ryu o non Chi no Ryu.
Non ho mai lasciato che qualcuno si avvicinasse a me abbastanza da poter dire di conoscermi. Non ho mai lasciato che qualcuno mettesse in disordine la mia vita. Non ho mai lasciato che qualcuno sfuggisse alla mia presa. Kamui è riuscito a farlo, e per questo ha la mia ammirazione incondizionata. Non il mio amore – dopo tutto questo tempo, perché nei miei pensieri uso questa parola? –ma il mio rispetto.
Per un Sakurazukamori, questa è una concessione quasi da inconsciente.
Ma non mi importa. Adesso, sono davvero poche le cose di cui mi importano le conseguenze.

- Kamui dice che ti aspetta dal Sognatore.
Sento la voce di Yuuto dietro la porta. Sono ore che sono disteso sul letto, senza fare niente, senza pensare a niente, senza ascoltare nulla che non sia la debole pulsazione del mio cuore; eppure, alzo la testa e mi volto verso la porta chiusa.
- Cosa vuole?
- Dice che dovresti muoverti e che non ha tutto il giorno da dedicarti…
Un sospiro breve, da padre sconcertato.
- Lo sai com’è fatto…
Faccio un breve calcolo. Una settimana e mezzo: non lo vedo da allora, da quando si è chiuso dietro le spalle la porta di questa camera, proibendomi, - implicitamente, - di non tirare troppo la corda e di non sfidare oltre la sua pazienza tentando di uscire dal nostro rifugio sotterraneo. Non ho nemmeno provato a farlo. Non ho nemmeno provato ad uscire dalla stanza, forse per non dover sopportare l’umiliazione di questo corpo che non fatica a reggermi.
Esco in corridoio soltanto quando sento i passi di Yuuto svanire. Malgrado tutto, riesco a camminare in modo sciolto, come se non fosse successo niente ed il mio cuore non stesse pompando sangue che solo la magia può aiutarlo ad incanalarmi nelle vene: sono ancora io, Seishirou Sakurazuka, più fragile del previsto ma ancora in grado di bussare e sistamrsi meglio il colletto della camicia prima di entrare nella stanza di Kakyo, con i suoi macchinari ronzanti e gli schermi scuri con i tracciati verde brillante del suo battito cardiaco.
Oltre le cortine semitrasparenti, sento un mormorio. Riconosco la sagoma di Kamui, piegato sul corpo addormentato del Sognatore come se stesse parlando di qualcosa di così privato che nemmeno i muri possono sentire; rimango ad aspettare accanto alla porta, fissando i cavi che corrono da una parete all’altra, finchè Kamui non si raddrizza e viene verso di me.
La prima cosa che noto è la sua espressione: sembra, improvvisamene e senza motivo apparente, invecchiato. Ha ancora un volto bellissimo, quella strana mescolanza di durezza e morbidezza nei tratti somatici, ma non è più lo stesso ragazzo con cui ho mangiato il gelato sul cornicione di un grattacielo mentre, molti metri più in basso, si scatenava l’inferno.
Mi stringe appena il gomito, quasi con delicatezza, e fa un cenno verso la porta socchiusa.
- Usciamo da qui, Kakyo deve tornare a sognare. Se rimaniamo qua, lo disturberemo.
Mentre lo seguo docilmente fuori, in corridoio, penso che non mi sono mai chiesto quale sia il rapporto che lega Kamui al Sognatore. E’ un pensiero abbastanza veloce, che mi attraversa il cervello per un secondo o due, ma rimane comunque sospeso da qualche parte dentro di me; non lo dimentico, semplicemente lo spingo da parte, per un momento migliore.
- Il tuo corpo regge ancora, vedo, - commenta Kamui, una volta nel corriodio.
- La magia di Kaede è più potente del previsto.
- Bene.
Lo vedo strofinarsi gli occhi gonfi con entrambe le mani. Ancora una volta, riesco a trovarlo semplicemente e mortalmente stanco. L’altro Kamui si sbaglia se pensa che il destino del mondo sia solo sulle sue spalle; è un fardello equamente ripartito.
- Dovresti tornare a casa tua, adesso, Sakurazukamori – dice, piegando la testa verso la propria spalla, come se volesse studiare le mie reazioni da un’altra angolatura, - C’è qualcuno che ti aspetta lì. Ma non ti aspettare che ti riconosca, quando lo vedrai. Non riconosce più nessuno.
- Come nove anni fa.
- Ma non c’è più sua sorella a volerlo svegliare.
In silenzio, Kamui mi offre la sua simpatia. So che non era quello che desiderava per me e per Subaru, una mossa fatta da un giocatore esterno ha ribaltato la partita; adesso il cerchio si è ristretto e lui non può più intervenire. Ora sono rimasto solo io.
- Se fossi in me, - gli chiedo, - Che cosa faresti?
- Seishirou Sakurazuka pensa e decide soltanto per se stesso. Io lo farei anche questa volta.

Sono passati soltanto pochi mesi da quando sono tornato qui, dopo un’attesa durata molto tempo, eppure ho l’impressione che il sole e la pioggia e la polvere abbiano offuscato questa casa per eoni. Tutto questo fa parte di un mondo che non mi appartiene più, è legato stretto ad un uomo morto: io ne sono solo l’ombra sbiadita sulla parete.
Penso, e non è la prima volta, che sarebbe stato infinitamente meglio rimanere fra le viscere del fiume. Tutto, pur di non toccare il mio corpo con la punta delle dita e pensare che non è altro che un esoscheletro di carne e ossa tenute assieme da una magia sempre più flebile.
Ho lasciato le scarpe e la giacca nell’ingresso. Seguo le file di impronte più chiare, scolpite nella polvere, lungo il corridoio, anche se so già dove mi porteranno. Alla sala dove io e mia madre potevamo parlare, vicini l’uno all’altra, ed osservare la fioritura sempieterna delle camelie e del ciliegio, consapevoli che esisteva qualcuno a cui avremmo dovuto obbedire per il resto delle nostre vite.
Mi chiedo se a quel tempo mia madre sia stata davvero felice, come mi diceva quando glielo chiedevo, o se l’ombra del Sakura è arrivata ad appannare il suo mondo perfetto. Glielo domanderò, quando questa storia sarà finita. Sono sicuro che mi risponderà sinceramente.
Rimango immobile, in bilico, quando vedo Subaru seduto sulla stessa poltrona su cui mi sedevo io, ancora quindicenne, per aspettare che mia madre tornasse a casa. Non dà segno di avermi sentito entrare o di essere consapevole di avere un mondo che sta rovinando lentamente di fronte a lui; il suo è già crollato definitivamente. Quando sono di fronte a lui, mi piego sulle ginocchia per guardarlo in faccia.
- Subaru-kun.
Lui ricambia lo sguardo senza sbattere le palpebre, trapassandomi da parte a parte con occhi vuoti come quelli di una bambola. E’ fisso in una maniera orribile, così poco da Subaru che, per qualche istante, mi dimentico di chi ho di fronte, e mi ritorna in mente quella ragazza nel cimitero, che ha venduto a me la sua sanità mentale per poter avere ancora l’illusione di vivere.
Se forzassi la sua coscienza, la distruggerei: le difese di Subaru sono troppo labili, ed anche il minimo urto lo annienterebbe definitivamente; eppure c’è ancora qualcosa che lo tiene aggrappato a questa realtà, il filo rosso che lo lega al mio ricordo.
- Subaru-kun, - ripeto, sempre a voce bassa, soffiandogli le parole direttamente negli occhi. Non una lacrima o un battito di ciglia: un occhio color vetro ed uno verde, gemelli nella loro inespressività. Mi immagino Kamui, alla fine della propria ricerca, che si inginocchia davanti a lui, gli parla, schiocca le dita davanti ai suoi occhi.
Le mie dita toccano il marchio rosso sbiadito sul suo dorso, mentre lascio scorrere un debole flusso di energia da me a lui; lo vedo tremare, per un secondo, senza che nella sua espressione nasca una scintilla di consapevolezza, ed allora capisco che è tutto inutile.
Quasi nello stesso momento, sento la corrente d’aria fredda provenire dal giardino. Quando sollevo gli occhi verso lo shoji aperto, con l’intenzione di alzarmi e di chiuderlo, incrocio lo sguardo del Sakura. Il suo viso è una maschera cristallizzata nell’attimo di più totale felicità. La sua forza può essersi indebolita, ma per me rimarrà sempre impossibile da sconfiggere. Mi prenderà sempre in contropiede, come Subaru.
- Sei tornato, Seishirou – mi dice con dolcezza, - Come avevi promesso.
Si volta per guardare l’uomo di fronte a cui sono seduto, ed i suoi occhi sembrano scurirsi ancora di più. Conosco quello sguardo e so che cosa significa, per me e per lui. La osservo avvicinarsi a Subaru e non riesco a muovere un muscolo. La guardo premergli le dita sulle palpebre e chiudergliele e non riesco a parlare. Guardo l’orlo del vestito di lei e noto, per la prima volta, il fango sugli orli, il colore sbiadito della pelle e quello impolverato dei capelli.
- Povero, povero Subaru Sumeragi. In che mondo sei precipitato?
Quando torna a guardarmi, stavolta senza traccia di allegria; ha lasciato cadere lo scheletro affettuoso per vestire i panni del padrone implacabile e senza tempo a cui ogni Sakurazukamori ha dovuto piegare la testa, secoli dopo secoli.
- “Come l’ho plasmato, così voglio spezzarlo. Renderlo inutile e totalmente privo di interesse ai miei occhi” Le tue parole sono state queste, tempo fa, - mi dice, citandomi con una voce dalle sfumature di metallo, - Ma adesso è tempo, mio servo. Mantieni la tua ultima promessa.


N.A. Oh my, sono ancora viva! *si dà un pizzico sul braccio* Okay, anche il resto del corpo funziona. Vi avevo detto che avrei postato un nuovo capitolo non dopo un anno ma forse dopo qualche mese... Ed eccolo qui, infatti. Mi vergogno per la sua brevità, ma vista la lunghezza delle scene successive ho deciso di tagliarlo per poter descrivere meglio in seguito. Ma adesso posso dirlo in via ufficiale: questo è il penultimo capitolo! A seguire, l'ultimo, in via di preparazione, ed un epilogo staccato. E' strano dire che questa storia sta per finire dopo tutto questo tempo, vero? Malgrado i suoi enormi difetti, questa fic mi è davvero cara. Dovrò tagliarla e limarla per bene quando l'avrò finita, visto col senno di poi mi sono accorta che ci sono parecchie cose che non vanno, però... Ma l'avevo già detto, vero? Scusate, finisco con il ripetermi sempre ^^''
Comunque, non preoccupatevi, o lettori! (Non so come mai esistiate e leggiate queste... cose che scrivo, ma vi voglio bene solo per il fatto che non mi coprite di insulti anche se me lo meriterei :) E c'è pure gente che legge e commenta e segue e mette tra i preferiti! Non immaginate quanto questo mi faccia felice) I nodi finiscono sempre al pettine...
See ya!

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Capitolo 17
*** Endless ***


"And you should always know, wherever you may go
No matter where you are, I never will be far away"



Non ho mai pensato che saremmo arrivati fino a questo punto. Lo ammetto ora, lo ammetterò all’infinito. Se lo avessi saputo, avrei ucciso Subaru non appena ho incrociato il suo sguardo – io tra i rami del Sakura, con un giovanissimo cadavere, lui ai suoi piedi, con gli occhi verdi sgranati fino all’inverosimili, quasi irreali nella loro totale innocenza. Se avessi avuto il dono di prevedere il futuro, e se avessi captato anche solo un momento di questo futuro, non l’avrei lasciato andare. Nessuna curiosità, nessuna scommessa, il filo che veniva reciso senza intoppi.
Invece, ora siamo qui. Questa è la conseguenza del mio errore. Credevo di saper misurare bene la distanza dei miei passi, anche se con un occhio mancante, ma mi sono spinto oltre. Non chiederò scusa per questo, né al Sakura, né a Subaru, né a me stesso. Vivere per sempre – come ho potuto pensare che ci sarei riuscito davvero?

Il corpo di Subaru è innaturalmente leggero. Pensavo che sarei crollato subito nel cercare di sorreggere il suo peso, invece riesco ad arrivare oltre lo shoji senza barcollare. L’aria fredda morde fronte e guance, ma forse è solo una mia impressione.
Il Sakura mi segue, guardingo. Non si fida più di me, mi tallona da vicino come se avesse paura che potessi fuggire di colpo, sparire per sempre per lasciarci morire entrambi.
Ma un Sakurazukamori non fugge. Un Sakurazukamori arriva sempre di fronte al proprio destino, prima o poi: e se è questo il modo in cui dobbiamo mettere fine a tutto, così sia.
Subaru non ha movimenti, quando lo appoggio con più delicatezza possibile ai piedi dell’albero. Più che un pupazzo inanimato, sembra una bambola dormiente. Resisto alla tentazione di sistemarlo meglio, in posizione fetale, in modo che non prenda freddo. La mano del Sakura sul mio braccio mi impedisce di agire.
- Come ti senti, Seishirou? – mi chiede, dopo un attimo di silenzio.
So quello che vorrebbe sentirmi dire, e rispondo come lei vorrebbe.
- Non sento nulla.
L’impressione è quella, di non sentire nulla, di non provare niente. Eppure sono dolorosamente consapevole del cuore che continua a pompare nel mio corpo, e di quanto sia gonfio di sangue e di fitte dolorose ed elettriche di cui non mi sono mai accorto. Immagino che sia quello che si prova, in casi come questi.
Inspiro, quando lei mi lascia il braccio, rassicurata, ed aspetta l’ultima mossa. Io guardo Subaru, e per un attimo spero che apra gli occhi e mi guardi. Ma non succede niente, ovviamente, ed io alzo il braccio. Non c’è stato nessun suono di campane scroscianti, quando ho avuto coscienza di ciò che mi aspettava, e non c’è nulla nemmeno adesso. Quando mi volto ed affondo la mano nel petto del Sakura, sento di stare facendo qualcosa a cui nessuno dei due era preparato, ed il fremito di dolore passa da me a lei.
Lei caccia un urlo di dolore, ed anche io urlo, anche se solo nella mia testa. Con un colpo della mano mi ricaccia indietro, e quel poco di forza che mi ha sorretto fino a questo momento svanisce. Abbasso lo sguardo giusto per vedere il mio petto che comincia a sanguinare. Sakurazukamori e Sakura, uniti fino alla fine.
- Pazzo! – urla il Sakura. E’ pallidissima, e furente, non moribonda, ma incredula. - Saresti davvero disposto a distruggere il mondo solo per un tuo capriccio, Seishirou? Di mettere a repentaglio la mia esistenza?
La ferita non è mortale, per lei; ma forse lo è per me. Riesco a sorriderle.
- Il mondo sarà distrutto comunque, Sakura-sama. Andiamo incontro alla distruzione insieme, allora.
Lei scuote la testa. Ora sembra immensamente triste.
- Seishirou, mio Seishirou. Guardati. Non sei né morto né vivo. Vivere come Sakurazukamori è tutto ciò che ti resta.
Mi ricordo di Subaru e di Hokuto, quando venivano a visitarmi nell’ambulatorio. Penso a Fuuma, il nostro Kamui, seduto nei sotterranei, con Nataku accanto. Penso a mia madre che sorride, il viso circondato dalle sue amate camelie.
- Forse mi resta qualcosa d’altro, Sakura-sama.
Lei abbassa la testa. La ferita è poco profonda, le basterà poco per guarire. Ma saprà sopravvivere senza un Sakurazukamori? Poi guardo Subaru e capisco. Capisco che lei sapeva che cosa avrei fatto. Sapeva che non sarei stato più capace di uccidere Subaru, ma voleva esserne certa. Quando morirò, sarà lui il mio successore. Lo renderà possibile. Avrà quello che vuole: la morte di un Sakurazukamori ribelle e la nascita di un altro, più docile, meno motivato alla disubbedienza. Ma prima mi ucciderà.
Il Sakura avanza lentamente. Rimango in ginocchio, senza la forza di alzarmi, e mi domando se, alla fine, non desiderassi anche questo - un legabile così labile da condividere assieme a Subaru, era questo ciò che volevo? Farlo diventare il mio successore nel prossimo gradino di questa scala di sangue?
Il Sakura si blocca di colpo, con una sorta di rantolo, prima che io senta distintamente, qualcosa che affonda nella mia spalla e strappa. Quando alzo gli occhi verso di lei, vedo la spada – la Shinken. Poi vedo il braccio che la impugna, e gli occhi dorati di Kamui che mi fissano al di là della sagoma del Sakura. Lui guarda le mie ferite e quelle dell’albero, e capisce la connessione. Non so quando sia arrivato, ma in questo momento mi sento grato del suo arrivo.
- Seishirou-san – mi dice sottovoce, - Che devo fare?
Il Sakura tenta di scostarsi da lui con uno scatto rabbioso, ma Kamui aumenta la presa ed affonda di più la spada. Lo spasmo di dolore che dalla spalla si ramifica fino alla testa mi torce le viscere come un pugno di ferro. I rami del Sakura si allungano verso Kamui, mentre un vento tagliente comincia ad ulularmi nelle orecchie, ma lui li respinge con un semplice gesto della mano. Non saprò mai la reale portata dei suoi poteri.
- Seishirou, - ripete.
- Vattene, - sibila il Sakura, - Tutto questo non ti riguarda, Kamui dei Chi no Ryu.
- Mi riguarda, fin dal momento in cui mi sono svegliato, - replica lui con calma, - E finchè il desiderio non sarà esaudito, continuerà a riguardarmi.
Penso a mia madre. A Subaru. Penso, mentre il sangue continua a scivolare via. Poi faccio un cenno lievissimo verso Kamui.
- Non ti preoccupare, - gli dico. Lui esita.
- Kamui, - ripeto, - so quello che faccio.
Lui estrae lentamente la Shinken. Non appena il Sakura fa per allontanarsi, le pianta la spada nel collo.

Vedo buio, un buio completo. Kamui mi sorregge e e tiene una mano premuta contro la gola, credo, perché non ho la forza di alzare la testa.
- Seishirou, - lo sento mormorare, - Che hai fatto?
- Portami più vicino a lei, - rantolo.
Lui obbedisce. Lo sento sostenermi, e quando sento di nuovo la terra gelata sotto le mani riesco ad aprire gli occhi. Davanti a me non c’è altro che una scena sfumata ed indistinta, come se fosse coperta dalla nebbia. Vedo il corpo scuro vicino a me e cerco di puntellarmi su un braccio, mentre con l’altro vado a frugare nella ferita ancora aperta – ogni movimento passa attraverso di me, il suo dolore è anche il mio – finchè non sento pulsare il cuore sotto i polpastrelli. Il cuore del Sakura.
Comando alle mie dita di avere ancora un po’ di forza, solo per un po’, stringo il cuore più forte che posso prima di abbassarmi ed affondare i denti.

Rivedo mia madre, seduta davanti a me sul tatami, dall’altra parte del tavolino – casa nostra, la riconosco. C’è anche Hokuto, con un vestito multicolore e campanelle d’argento intrecciate fra i capelli. Ho l’impressione di essere ospite di una festa a cui non mi sono presentato particolarmente ben vestito. Hokuto piega la testa verso di me, con un sorriso radioso, ed i campanellini tintinnano.
L’immagine svanisce. Ora siamo io ed il Sakura, insieme nello stesso ritaglio di bianco accecante. Lei rimane sdraiata su un pavimento che non esiste, con i capelli lunghissimi e scuri che si attorcigliano fra loro. Assomiglia ad una bambina abbandonata.
- Quindi è così che finisce, - mi dice, - Non è vero?
Annuisco.
- Potevi scegliere, ed hai scelto. Quello che mi domando è se sei consapevole di che strada hai intrapreso.
- Non lo so. Non importa.
Lei alza gli occhi. Ora sono dello stesso colore dell’acqua. La sua aura, il suo atteggiamento, è totalmente diverso. Non è quello che conosco io.
- Tu non sei il Sakura.
- Una volta ero come te, Seishirou. Ero umana. Spesso hai pensato che somigliassi a tua madre, non è vero? Ma in realtà è lei che somigliava a me. Il Sakura non assume la forma che vuole. Usa i corpi di chi è sepolto sotto le sue radici. Io sono stata una Sakurazukamori, proprio come lo sei stato tu.
Sostiene il mio sguardo, mentre parla, ma sento un progressivo cedimento nelle sue parole, come se si stesse spegnendo lentamente, come una fiamma rimasta senza stoppino.
- Il mio cuore era parte di quello del Sakura. Una volta riuscivo ad avere una mia autonomia, ma col tempo il suo potere è cresciuto, e mi ha sopraffatto. Quella che hai sentito negli ultimi tempi era la voce del tuo Sakura, non la mia. Ed ora, Seishirou, hai scelto di subentrarmi. Sarai tu il suo corpo e la sua voce?
Quando allunga una mano verso di me, mi piego sulle ginocchia per farmi toccare. Le sue dita mi sfiorano i capelli sulla fronte, ed è inutile che io mi ripeta che non è un momento che non sto vivendo davvero.
- Il rito del passaggio dei Sakurazukamori… Il potere che passa attraverso il cuore. Il cuore è l’unica cosa che i Sakurazukamori colpiscono, un solo colpo che uccide. Il Sakurazukamori assorbe così i poteri del suo predecessore, e poi divora ciò che rimane. E’ un rito più antico di noi.
- Mia madre mi ha detto le stesse parole.
- Sì, - dice lei, - Setsuka. Nel suo amore cieco verso di te, forse è riuscita a vedere addirittura più lontano di quanto tu stesso non sia riuscito a fare.
- Forse.
- Io me ne andrò, adesso. Il mio corpo si dissolverà e la mia anima tornerà sola all’albero. Ma nemmeno tu potrai vivere senza un Sakurazukamori, quando tornerai nel mondo reale e farai parte del Sakura. Sarai lui. Forse un giorno ti succederà la stessa cosa che è successa a me… Sarai solo un guscio per la sua volontà, non sarai più quello che sei ora.
- Solo se non sarò abbastanza forte.
Lei sorride, quasi serena.
- E’ vero. Potresti farcela, se la tua volontà sarà più forte di quella dell’albero. Ma ora devo andare, e tu devi tornare indietro. Il Sakura concede sempre un tempo limitato.
- Non so come chiamarti.
- E’ passato molto tempo. Non lo ricordo nemmeno io.
- Tsubaki, allora, - dico, - Mia madre amava le camelie. Arrivederci, Tsubaki-sama.
Lei stacca la mano dal mio viso. La sua pelle si assottiglia come carta, rendendola quasi trasparente, i capelli diventano color cenere e sbiadiscono fino all’annullarsi nel biancore accecante.
- Addio, Seishirou-sama, - dice. Poi, di colpo, scompare.

Il mio sguardo si fissa in alto. Lascio che il mio occhio sano si abitui alla luce, mentre prendo coscienza di avere un corpo, una sensibilità dolorosamente acuta, di avere un petto ed un collo privo di buchi o ferite. Respiro lentamente. Sento le mie labbra stendersi da sole, quando torno a vedere di nuovo. L’aria sembra così limpida, ora.
- Ben svegliato, Subaru-kun.
E’ la prima cosa che vedo: gli occhi di Subaru, finalmente vivi, finalmente consapevoli ed asciutti. Mi sorregge come prima ha fatto Kamui, ma sta tremando. Abbassando lo sguardo, vedo le chiazze di sangue non ancora del tutto seccate sulla camicia.
- Seishirou-san – dice lui, ma non riesce ad aggiungere altro. Appoggia la fronte contro il mio petto, tremante per dei singhiozzi senza lacrime e senza dolore. Mi permetto un sospiro più profondo. Kamui, seduto a poca distanza da noi, pulisce dalla Shinken gli ultimi rimasugli di questa breve battaglia.
Riesco a capire, guardandolo, che ha visto ciò che voleva. Ha visto anche la parte segreta del rituale di successione, e ne ha compreso il senso. Lui è come me, in fondo. So che, se gli chiedessi di diventare il nuovo Sakurazukamori, acetterebbe. Ma sappiamo tutti e due che non possiamo.
- Cosa farete, ora? – ci chiede, dopo che Subaru mi ha aiutato ad alzarmi in piedi. Subaru non gli concede il beneficio di una risposta ma mi guarda dritto negli occhi. Non mi chiede nulla, ma mi rigira in silenzio la domanda. Aumento la presa contro la sua schiena.
- Possiamo seguirlo, Subaru-kun.
E poi parleremo, aggiungo mentalmente. E poi ricorderemo, e poi ci scontreremo, e poi ci rinfacceremo i nostri errori, e poi alzeremo la voce, e poi troveremo la nostra pace nelle nostre solitudini condivise. Mentre muoviamo assieme i primi passi dietro Kamui, sento Subaru vicino a me come se fosse legato da un filo spinato. Non mi lascerà, nemmeno se gli staccassero un braccio, un occhio, una gamba, la vita. Ora che è qui, rimarrà.
Prima di attraversare lo shoji, mi giro per guardare il Sakura. La sua voce è muta, la sua calma è assoluta, la fame è riempita. Forse c’è ancora speranza, per noi.







Note dell’autrice: Ovvero, la vergogna colpisce ancora. Dopo quasi un anno che non scrivo fanfic ma tutt’altro, sono riuscita a riprendere in mano Escapist. Avevo quasi dimenticato come volevo far finire questa fan fiction, ma il tempo mi è servito per snellire questa scena di parecchio. Prima era una battaglia enorme e noiosa che non finiva più… Ed io ho sempre avuto una certa avversione per descrivere le battaglie, devo ammetterlo. C’è chi si diverte, a me sembra di scrivere una serie di azioni robotiche: tizio fa questo, questo e quest’altro, mentre la tizia risponde così e cosà… Il cielo mi scampi dallo descrivere le battaglie!
Questo era il penultimo capitolo. No, c’è ancora qualcosa che devo dire sul finale, e non lo farò qui. Avrei potuto aggiungere l’epilogo direttamente a questo capitolo, ma alla fine ho deciso di no. Abbiate pazienza. Lo posterò fra un mesetto – e questa è una promessa di cui mi faccio carico volentieri. Fra un mese spaccato – o anche fra due settimane, se volete – vi trovate l’epilogo e basta. E’ stata un’avventura lunga ma è quasi conclusa.
E’ stato una conclusione che vi aspettavate? Spero sinceramente di no, perché io stessa mi sono sorpresa ad immaginarlo completamente diverso, almeno nell’idea originale che ne avevo ;P Ma se è stato così, beh, ho pronto il cilicio per fare penitenza, visto che odio le cose scontate e prevedibili XD
Bene, eccoci qua. Siamo quasi al gran finale, gente! Resistete!
(Dimenticavo di rendere grazie alle persone che hanno messo questa storia fra i preferiti o fra le storie da seguire, almeno negli ultimi mesi. Ma non vi preoccupate, i ringraziamenti particolareggiati li avrete all’ultimo aggiornamento. Intanto, grazie!
Ah, e dovrò anche ricordarmi di leggere alcune delle nuove storie presenti in questa sezione; devo solo aspettare di avere un po’ di tempo e tranquillità per godermele!)
See ya!

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Capitolo 18
*** Epilogo: Escape ***


"Tearing off the mask of man
The Tower my sole guide
This is who I am
Escapist, paradise seeker
Farewell now time to fly
Out of sight, out of time, away from all lies"



Io e Subaru ci lecchiamo le ferite a vicenda, in questi ultimi giorni. Sono troppe perché sia possibile contarle con precisione, perciò ci limitiamo a scoprirle e a ricucirle il meglio possibile. Le sue ultime vestigia di rabbia e di odio si cicatrizzano superficialmente; ma non mi concede di vedere se all’interno siano guarite del tutto. Credo che non lo faranno mai. Parliamo di Tsubaki-sama, ma anche di Hokuto-chan. Posso distintamente vedere il colpo al cuore di Subaru, quando comincio a parlare di lei, ma nessuna lacrima. Forse è possibile pensare al passato come qualcosa non più di malato, ma di sereno. Forse era questo che Hokuto avrebbe voluto per il suo adorato gemello: dei ricordi purificati dal rancore e dal tempo trascorso.
- Non posso tornare da Kamui, - mi dice Subaru, un pomeriggio. Ricambio lo sguardo. So che si riferisce al Kamui dei Ten no Ryu. So che soffre molto per questo abbandono, ma preferisce lasciare lui piuttosto che lasciare me. Ancora non sono riuscito a comprendere bene la reale portata dei sentimenti di quest’uomo.
- Non puoi – ripeto io.
- Non sono più un Ten no Ryu. Non ho più interesse a combattere – riprende lui, dopo qualche secondo di silenzio.
- Subaru-kun, nessuno dei due ha mai avuto interesse a combattere la guerra. Noi volevamo solo la nostra battaglia. Immagino che Kamui lo sapesse bene quanto lo sa il nostro Kamui.
- Lo sa.
La domanda rimane nell’aria. Io sono il Sakura, ormai, e so che Tsubaki-sama non mentiva. Nella testa c’è un martellio incessante che chiede di rompere le mie difese e di liberarmi per sempre. Lo respingo ogni volta, ma sono troppo debole. Senza un Sakurazukamori, non potrò resistere a lungo. So che cosa devo fare.
Kamui non è sorpreso, nel vedermi arrivare senza Subaru. Ci siamo visti poche volte, per non più di qualche minuto, in questi giorni. Lo trovo da solo, nella sala vuota, seduto sul suo trono improvvisato con la Shrinken appoggiata ai suoi piedi. Il tempo sta per scadere anche per lui.
- Seishirou-san. Come ti senti?
Riesco ad abbozzare un sorriso. La domanda è più disinteressata di quanto voglia farmi credere.
- Vivo.
- E’ già qualcosa. Perchè sei qui?
Rimango in piedi davanti a lui per tutta la durata del nostro colloquio. Lui ascolta senza perdere una parola.
- Lo sai che lo farò, - dice, quando ho finito di parlare, - Ma Subaru-kun diventerà un Chi no Ryu al tuo posto. Questa è una delle conseguenze.
- La più prevedibile.
- Già. E tu? Sei capace anche di vedere che cosa succederà in seguito?
- E’ una prerogativa che lascio al Sognatore. L’unico futuro che mi preoccupo di prevedere è quello di Subaru. Ed il mio.
Kamui sorride apertamente.
- Spero davvero, - dice, - che essere il Sakura non ti impedisca di tornare a parlare con me, Seishirou-san. Il tuo successore non è così interessante.
- Ovviamente no, Kamui. Sai dove abito.
- Se non è adesso… Fra un paio di giorni, allora.
- Fra un paio di giorni, - confermo. Mi avvio verso la porta. Prima di uscire, mi volto verso Kamui.
- Ti ringrazio.
Lui riesce a superare lo stupore abbastanza da rispondere con un mezzo inchino.

Quando lo racconto a Subaru, lui ascolta con la stessa attenzione con cui mi ha ascoltato Kamui. Non risponde a parole, ma fa solo un cenno impercettibile di assenso. Non è la cosa migliore per entrambi, ma è ciò che siamo costretti a fare, e lo sappiamo.
Si addormenta con la testa nell’incavo della mia spalla. Io rimango sveglio, come ho fatto da quando sono diventato Sakura, a guardare il soffitto e a non pensare a niente.

Per i primi tempi l’oscurità è insopportabile. Dopo che siamo tornati nel mio appartamento, passo quasi tutto il mio tempo seduto in salotto, ad aspettare che Subaru ritorni. Ogni volta che mi alzo dalla poltrona, mi sembra di essere risucchiato in un nulla di cui non ho memoria. Le pareti di casa mia sono più lontane che mai, e mi ritorvo ad urtare spigoli ed angoli senza ricordarmi dove si trovino. All’inizio, almeno. Mi ricordo l’iniziale fatica, dopo aver perso l’occhio, nel vedere le cose con le giuste proporzioni e a misurare la distanza e la profondità. Ora sto sondando il buio, ed è infinitamente più difficile, fino a quando i sensi che mi rimangono non cominciano a funzionare per rimediare a ciò che la vista ha perso.
L’unico rimpianto che ho è quello di non poter vedere Subaru con il mio occhio al posto di quello che Kamui gli ha tolto.

Dopo la prima volta, Subaru torna nel nostro appartamento e si siede vicino a me. Quando allungo una mano a toccargli il viso, a tentoni, non sento le guance umide. Lui tocca le mie dita con la mano ancora sporca di sangue.
- Non so se provo qualcosa – dice.
- Non è necessario. Non lo conoscevi.
- Tu che cosa hai provato?
- Quando ho ucciso mia madre?
- Sì.
- Assolutamente niente.
Lui rimane in silenzio per un po’.
- Allora posso riuscirci anche io, - dice alla fine, - senza provare tristezza.

L’ultima volta che vedo Kamui è qualche settimana dopo lo scambio. Subaru losaluta e si eclissa nello studio, per farci parlare in pace. Ha superato la gelosia iniziale. Credo che sia arrivato a provare una sorta di rispetto per Kamui.
- Si sta comportando bene, - commenta Kamui, quando sente la porta chiudersi, - Sembra un bravo Sakurazukamori.
- Lo è.
- Kanoe è morta.
- Subaru me l’ha raccontato. Sei stato tu?
- No.
Anche se non ho più occhi per poterlo vedere, in un breve lampo di lucidità cromatica riesco a vederlo, seduto davanti a me, con gli occhi dorati e segnati dal suo destino ineluttabile. E’ qualcosa che mi capita da qualche giorno a questa parte. Il Sakura non ha bisogno di vedere, mi sono detto, prima di passare il mio potere a Subaru attraverso l’occhio che mi rimaneva, ma mi sembra di stare riacquistando la vista, anche se per brevi secondi. Quando sarà passato un po’ di tempo, sarò capace di vedere attraverso queste palpebre vuote?
- Il giorno si sta avvicinando, - dice Kamui, - Volevo dirti che, quando sarà il momento, avrò bisogno del Sakurazukamori.
- E’ per una speranza, Kamui?
- Speranza?
- Subaru conosce bene l’altro Kamui. Speri che gli faccia capire il suo desiderio prima della fine?
Sento il sorriso nella sua voce.
- Una stupida, infantile speranza. Sì.
- Ed il tuo desiderio?
- C’è sempre tempo per le illusioni, Seishirou-san. Lo sai.
- Posso immaginarlo. Ed immagino che non verrai più qui.
- No.
Ho pensato spesso all’ultima volta in cui avremmo potuto parlare. Se tornerà, lo farà dopo il giorno del giudizio. Se sarà ancora vivo. Se anche io e Subaru saremo ancora vivi. Penso a tutto il tempo che abbiamo passato assieme, e mi ritrovo a sorridere. Ripenso a ciò che mi ha detto Yuuko. Sì, Fuuma è mio fratello, in questo universo e nel prossimo.
- Spero che non ci lasceremo andare a discorsi smielati.
- Non siamo davvero i tipi per farlo, - ride lui, - Ma sono venuto qui per ringraziarti. Tutto questo tempo sarebbe stato noioso, senza di te.
- Mi dispiacerebbe sentire che sei morto. Regolati di conseguenza.
Sento la sua risata soffocata, prima che mi tocchi la mano e me la stringa leggermente.
- Addio, Seishirou –san. Solo io conosco il mio destino.
Quando se ne va, tento di dimenticarmi dell’oppressione nella zona del cuore, dove spinge qualcosa che assomiglia al dolore fisico, ma è molto più impalpabile. Subaru, dopo qualche minuto, viene a raggiungermi davanti alla finestra. Sento il calore oltre il vetro, e mi ricordo della luce. Sento la presenza solida di Subaru accanto alla mia, magnetica e confortante. Il mio Sakurazukamori, il mio Subaru.
La città di Tokyo, una volta ronzante e pulsante di persone, di neon, di traffico, ora è muta.








Note finali: Ed ecco la parola fine a questa storia durata 100 pagine, 18 capitoli e che si trascina fin dal lontanissimo 2008. Adesso sono le 11 e 34 del mattino, e probabilmente posterò questo capitolo nel pomeriggio, ma ho messo la parola fine soltanto due minuti fa. Mi sento un po’ triste. Cosa assolutamente normale, vero?
Allora. Facendo un bilancio definitivo… Beh, io a questa storia mi sono affezionata, malgrado i suoi spaventosi difetti. Quando l’ho cominciata a scrivere avevo diciotto anni – solo un anno più di Fuuma! Da non credere! – ed ora ne ho ventuno. Non sembra, ma pochi anni ti aiutano a capire molte cose sulla cosiddetta età adulta. Affermazioni che, a diciotto anni, mi parevano sensate se pensate da una persona di trentaquattro, adesso mi fanno sorridere per la loro ingenuità. Povero Seishirou, non ti ho reso proprio giustizia! Negli ultimi capitoli ho provato a riscattarmi un po’, anche attraverso uno stile un po’ diverso rispetto a quello che usavo all’inizio, ma ciò non toglie che quelli iniziali siano un po’ troppo… Adolescenziali? Non adolescenziali adolescenziali, eh, a scrivere bimbominkiate non ci sono ancora arrivata – e se il cielo vuole, non ci arriverò mai – ma mi rendo conto che forse avrei dovuto aspettare ad essere un po’ più grandicella prima di cercare di immedesimarmi nel Sakurazukamori. Ma ormai la frittata è fatta, che altro posso fare? Mea culpaaaaa. *parte il Dies irae*
Vi avviso però di una cosa: ho intenzione di rivedere la storia e di toegliere questi errori. Ogni volta che aggiornerò uno dei capitoli incriminati, potrete vederlo nel mio profilo autore. Quando avrò tempo e voglia, ovviamente, visto che la storia l’ho finita e l’università incalza, ma lo farò. Senza contare che devo dare la precedenza a storie come Angels of blood, visto che è da anni che prende polvere, poveraccia.
Avrei voluto dedicare parte di queste note ai personaggi di questa storia, ma temo che finirei per diventare noiosa, perciò la ometterò. Spero però che gli OC che ho inserito non siano stati insopportabili o altro. Lo so, lo so, in una storia come quella di X, che ha un macello di personaggi principali, che bisogno c’era di inserirne di nuovi? Se le Clamp ci avessero detto qualcosa di più sulla parte tecnica del lavoro da Sakurazukamori, mi sarei evitata parecchia fatica – e parecchie scemate, temo XD
Però… Però il personaggio del Sakura andava inserito, nella mia storia. Rompipalle, vendicativo e quello che volete, però andava inserito, altrimenti le cose non si muovevano e Subaru e Seishirou andavano a finire direttamente sul Raimbow Bridge senza passare da altre parti. Quindi, grazie Sakura-sama per aver fatto il danno! ;P Il nome “Tsubaki”, che effettivamente vuol dire camelia, - Setsuka, non prendertela con me, okay? – l’ho preso bellamente in prestito da Soul Eater, dove è il nome di uno dei personaggi principali. Quello di Kaede, povera donna, l’ho preso da un romanzo sul Giappone che ho letto eoni fa, mi pare che si chiamasse “La leggenda di Otori” o qualcosa di simile. Non mi era piaciuto granchè, come romanzo, ma il nome mi è rimasto in mente. Chissà perché.
Ora, per coloro che si sono sempre chiesti a quali astruse canzoni appartenessero i versi all’inizio di ogni capitolo, eccovi accontentati, uno per uno, nell’ordine in cui li ho usati!
Frozen, Within Temptation (capitolo 1 e 2); Devil & The Deep Dark Ocean, Nightwish (capitolo 3 e 7); Higher than hope, Nightwish; Liberi fatali, Nobuo Uematsu; Circe’s Palace, T.S Eliot; Wish I had an angel, Nightwish; Yuuzai, The Boom (dalla Tokyo Babylon 2 Image Soundtrack); Astral Romance, Nightwish; Swanheart, Nightwish; 7 Days to the Wolves, Nightwish; Caged, Within Temptation; Red light in my eyes – part 1, Children of Bodom; Behind these hazel eyes, Kelly Clarkson; Forever yours, Nightwish; Lullaby, Billy Joel; The escapist, Nightwish.
Ed eccoci ai ringraziamenti. Ringrazio chi ha commento i capitoli della storia, e quei pochi coraggiosi che hanno avuto l’ardire di commentarli uno per uno: quindi Maki-chan, twinkle, Nanaly, Lyndis, LibbyRed19, yoko_kage13, Fuuma, rita88 e li_l. Ringrazio chi l’ha messa tra i preferiti: Fu chan, LibbyRed19, Lyndis, Nanaly ,Sakura Sakurazukamori. Grazie a chi l’ha messa tra le storie da ricordare: LadyKokatorimon. Grazie a chi l’ha messa tra le seguite: Alouette D Claire, harinezumi, Il_Genio_del_Male, Jael, TheMadQueen___ e Rosina87. E grazie, naturalmente, a tutti quelli che hanno letto e mi hanno mandato al diavolo, a quelli che hanno letto e non mi hanno augurato di finire carbonizzata o in altri modi, a quelli che hanno letto ed hanno subito chiuso la storia e a quelli che hanno letto e che hanno pensato che in fondo la storia non era così male. (L’ordine di ringraziamento è puramente casuale, eh!). Visto che Escapist è la più letta, la più preferita e la più seguita fra le mie storie, un mega ringraziamento è dovuto a tutti. Se avessi visto che la cosa non interessava a nessuno, avrei finito questa long fiction molto prima. Perciò, grazie di cuore.

Loveless

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