Bokurano 1/2, ovvero come Imparai a non Preoccuparmi e ad Amare il Torneo di Subutai Khan (/viewuser.php?uid=51)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Akane Tendo ***
Capitolo 2: *** Ryoga Hibiki e Ukyo Kuonji ***
Capitolo 3: *** Ranma Saotome ***
Capitolo 4: *** Tatewaki Kuno ***
Capitolo 5: *** Shan-Pu ***
Capitolo 1 *** Akane Tendo ***
“Ranma! Ranma! Lo voglio fare anch’io! Anch’io voglio partecipare!”.
“Non se ne parla neanche, Akane. Tu non devi farlo, per nessun motivo!”.
“Ma... ma... sono anch’io un’artista marziale e per... quello sono disposta a...”.
“Mi ascolti quando parlo? È no. Non ti permetto di fare una stupidaggine del genere”.
“E allora perché tu la stai facendo?”.
“Perché voglio che tu resti qui, al tuo posto. Vicino alle tue sorelle e a tuo padre”.
“Ranma, fatti da parte!”.
“Pazza! Non ti permetto...”.
...
“Troppo tardi. Siamo in questa cosa assieme, adesso”.
“Akane... maledetta ragazzina suicida...”.
“Ha parlato quello che alla sua vita ci tiene. Tsk”.
“È diverso! Io...”.
“...hai qualcuno da proteggere. E io pure”.
“Sì, ma non a quel prezzo...”.
“Lo pagherò volentieri, se significherà la sopravvivenza di chi amo”.
“A costo della tua vita?”.
“A costo delle nostre vite”.
27 luglio 1989.
“Tieni, Akane. Il tuo tè”.
“Grazie Kasumi”. Le sorrido mentre me lo porge. E lo sguardo velato di tristezza che ricevo mi fa ricordare cosa è successo negli ultimi mesi e cosa sta per succedere.
La casa è vuota, tranne che per la nostra famiglia. Finiti i tempi in cui ogni due per tre qualcuno irrompeva in questa cucina, o in salotto, o nel dojo.
È proprio vero che funzionavi come magnete per i tizi strani, baka.
“Non... non riesco ancora a crederci...” dice la mia cara sorella maggiore mentre si siede accanto a me, la sua tazza che cozza leggermente contro la mia.
Oh, ti prego non ricominciare. Abbiamo affrontato questo discorso una marea di volte. Sai perché le cose stanno così. Lo sa Nabiki, che dietro a quella sua facciata da donna di pietra sta soffrendo. Lo sa papà, che da quel giorno non ha più messo il naso fuori dalla sua stanza. È un po’ troppo anziano per fare l’hikikomori, ma non me la sento di rinfacciargli anche questo. Ognuno gestisce il lutto come più crede giusto.
Chissà dov’è il signor Genma. Quando si è saputo che era il... turno di Ranma ha preso baracca e burattini ed è stato ingoiato dalla nebbia eterna. Non abbiamo più avuto sue notizie da quel momento.
Osservo di sbieco Kasumi, cercando di indagare la sua maschera di malinconia. Come reagirai tu? Finirai probabilmente con il cucinare venti pasti al giorno e con il lustrare questo edificio fino a farlo risplendere a sufficienza da accecare gli occhi. Hai sempre sfogato così, sin da quando è morta la mamma. A dire il vero è in parte dovuto al fatto che, essendo la più grandicella, hai preso a fare le sue veci con le faccende domestiche. Ma ormai quel modo di fare è diventato parte di te.
Nabiki. Lei... lei... santo cielo, non riesco a prevedere come si comporterà. La mente mi porta a pensare che non cambierà di una sola virgola, continuando a condurre la sua solita vita da piccolo boss della criminalità locale; il cuore mi spinge a credere che indosserà abiti bianchi per un paio di mesi e si taglierà una ciocca di capelli al momento topico. Immagino che, conoscendola, opterà per una giusta via di mezzo e non mostrerà niente di fronte a degli estranei, probabilmente neanche di fronte a loro due, per poi concedersi dei sani momenti di pianto nel porto sicuro della propria camera.
Papà... oh kami, povero lui. Mi dispiace papà, al solito sono stata avventata ed impulsiva e non ho proprio pensato alle conseguenze. Scusami, ti prego. Non volevo caricarti anche di questo dopo che hai vissuto in prima persona... la mamma.
Che figlia degenere. Dare un simile colpo all’unico genitore che ti è rimasto.
Eppure... eppure non me ne pento. Non posso. Se me ne pentissi perderei la forza, la determinazione, quella immensa dose di incoscienza che ci hanno fatti arrivare fin qui.
Va bene, fastidiosi intrusi penetrati abusivamente nella mia testa. Visto che continuate a scassare con i vostri “Che caspita sta succedendo, Akane? Si può sapere di cosa blateri?”, ora vi spiego per bene di cosa sto parlando.
Del perché siamo rimasti solo noi quattro Tendo.
E del perché presto resteranno in tre.
“Akane, mi stai ascoltando?”.
“Eh? Uh? Scusa Kasumi, scusa. Ero sovrappensiero. Ho degli ospiti indesiderati che sono curiosi di sapere”.
“Akane? Stai bene? Ranma non aveva fatto così”.
La ignoro. Pronti, impiccioni?
6 marzo 1989.
“Ora sareste così gentili da lasciarmi spiegare, signori?”.
Un tizio con un cappuccio sul volto ci osserva mentre io, Ranma, Ryoga, Mousse, Shan-Pu, Ukyo, Kuno e tutta la gente strana che si è concentrata in questa cittadina cerchiamo di rifiatare.
Mi sembra evidente che chi ci sta fronteggiando in questo momento non è un essere umano normale. Forse non è neanche un essere umano.
Lo abbiamo attaccato tutti assieme. Non un singolo colpo è andato a segno. Non uno.
Non sto neanche a spiegarvi per quale astruso motivo ci siamo ritrovati tutti assieme nello stesso posto, a pochi passi dal Nekohanten. Vi basti sapere che erano in corso zuffe di ogni forma e dimensione quando è spuntato questo qui.
E noi, da brave teste calde, l’abbiamo subito percepito come nemico nonostante non ci sia stata una sola azione ostile da parte sua.
Poi ha cominciato a sbeffeggiarci in questo bizzarro modo schivando la moltitudine di pugni, calci, nastri, spatole, bonbori, bastoni, fuochi d’artificio esplosivi e tutto quello gli scagliavamo addosso.
Tutto ciò non ha il minimo senso. Neanche il più terribile avversario è mai riuscito a ridicolizzarci tutti assieme con tanta facilità.
Pone nuovamente la sua domanda di attenzione e ci troviamo costretti a lasciargli fare quello che vuole, impossibilitati come siamo per impedirglielo.
Un sogghigno: “Devo ammettere che non siete affatto male. Le mie informazioni non sbagliavano. Potreste essere le persone più adatte”.
“Per cosa?”.
“Per affrontare una partita a scacchi con la morte”.
Meno male che la strada è deserta. Almeno nessuno ha sentito il profluvio di bestemmie e insulti che è improvvisamente volato.
“Calmatevi, galline starnazzanti. Calmatevi. Stavo solo citando Ingmar Bergman, ma ho idea che voi siate troppo buzzurri per sapere a chi e a cosa mi riferisco. Anche se, nel caso accettaste quello che sto per proporvi, non ci sarebbe alcuna partita”.
Una cosa che non mi dimenticherò mai finché campo: la sua voce. Era così... così inespressiva. Così priva di vitalità. Così disinteressata.
“La finisci di prenderci per il culo, coso?”.
“E chi vi sta prendendo in giro? Io sono un messaggero che non sottovaluta il proprio compito. E dovreste fare altrettanto, se sarete così accondiscendenti da lasciarmi spiegare”.
“E spiegati, stronzo”. Happosai, devi proprio sempre farti riconoscere.
Si siede nella posizione del loto e guarda per terra.
“Molto bene. La questione è semplice, in realtà: devo radunare sette esperti di arti marziali in rappresentanza di questa terra. Chi sarà abbastanza temerario da seguirmi parteciperà a un torneo informale da cui dipenderà il destino del mondo”.
...
...
Sul serio? Siamo finiti in un videogioco, per caso?
“So a cosa state pensando” riprende quasi subito “e vi assicuro che no, non vi sto ingannando o dicendo bugie o altresì facendo una qualunque azione scorretta o inappropriata. Per qualche strano motivo ho preso a cuore questo mondo e ho tutte le intenzioni di vederlo salvarsi”.
Ranma, la schiena ritta come una lastra d’acciaio e lo sguardo sprezzante, si stacca dal capannello e gli si fa sotto giungendogli a non più di un metro di distanza: “Dacci una sola prova di quel che dici”.
Lui non si muove di mezzo millimetro nel rispondere: “Non posso. Non ho nessun modo per dimostrarvi che quanto affermo corrisponde alla verità. Però lascia che ti chieda questo, Ranma Saotome: dopo quel che vi ho rivelato, ve la sentite di non credermi? Se fossi sincero e voi rifiutaste... avreste il mondo intero sulla coscienza. E non voglio che succeda. Vi prego di fidarvi di me”.
“Comincia a dirci come ti chiami, che è il primo passo”.
“Preferisci il nome che usavo da mortale o quello che ho assunto da quando sono asceso a questo ruolo?”.
E Ranma fa un passo indietro. È rimasto... scosso da quella domanda.
“Fai tu, è indifferente”. Sempre rapido a mostrarsi gradasso, quell’ammasso di perversione travestito da ragazzo.
“Quando ancora ero un essere umano mi chiamavo Jun Kitoh. E perdona se suonerò ovvio, Ranma Saotome, ma vorrei farti presente che un semplice nome non è sinonimo di fiducia istantanea. Per quel che ne puoi sapere me lo sono inventato seduta stante”.
“Sì, è vero. Ma hai risposto velocemente e senza esitare. E, per quanto l’informazione sia inutile, almeno mi hai dimostrato che stai cercando di essere onesto”.
“Era esattamente il mio scopo. Felice di vedere che, nonostante le apparenze, ogni tanto sai far funzionare la materia cerebrale. E sono anche felice di aver sciolto il primo muro, perché temo di non aver finito di riferirvi la mia missione”.
“Che c’è d’altro da dire? Andiamo, vinciamo questo torneo e il discorso si chiude lì”.
“Mi spiace doverti rompere le uova nel paniere, Ranma Saotome. Non è per niente così semplice. C’è una controindicazione”.
“E cosa?”.
“Vedete, chiunque abbia allestito questo piccolo spettacolo doveva possedere un senso dell’umorismo molto... peculiare. Perché ha trovato divertente aggiungere una postilla in calce ai combattimenti”.
“E la postilla sarebbe...”.
“Chiunque partecipa è condannato a morire. Senza scampo”.
...
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Un videogioco horror, sì.
Come mi ammutolisco io si ammutoliscono tutti.
Senza quasi darci il tempo di dire una qualsiasi sillaba vediamo Happosai e Kodachi, uno da una parte e l’altra dalla parte opposta, prendere il volo e dileguarsi.
A quanto pare non sono d’accordo.
Li posso biasimare?
Mi volto in direzione di Ranma e lo vedo... tremare.
Ranma non trema mai. Mai.
Immagino gli sia capitato spesso di avere paura, gli piace atteggiarsi da supereroe ma è ancora un essere umano. Però non l’ho mai mai mai mai visto tremare.
“F-F-Fammi capire bene” balbetta “Chi accetta... di partecipare... muore?”.
“Sì. Senza eccezione alcuna. Evitatevi di sprecare il fiato che usereste per chiedermi il perché, non sono in grado di spiegarvelo. È così e basta, è sempre stato così e sempre così sarà. Il Torneo non risparmia nessuno, né vincitori né sconfitti. Inoltre...”.
“C-C’è dell’altro?”.
“C’è dell’altro. Per quanto possa essere impossibile da credersi, gli scontri si svolgeranno contro rappresentanti di realtà parallele. Artisti marziali come voi che qualcuno dei miei colleghi sta reclutando proprio in questi istanti. Così come voi porterete il fato della vostra realtà sulle spalle, doveste dirmi di sì, loro faranno la stessa medesima cosa con la propria”.
Di nuovo silenzio.
“Chi vince muore e salva il proprio pianeta dall’estinzione. Chi perde muore, perché naturalmente i duelli sono all’ultimo sangue, trascinandosi dietro l’intero creato. Una proposta feroce, me ne rendo conto. Perciò intendo lasciarvi scegliere in totale libertà”.
“Io non credo a questa pagliacciata!”. “Morire per salvare il mondo? Ma siamo matti?”. “Ci dev’essere un’altra possibilità...”. Frasi confuse che arrivano dalle mie spalle. La combriccola sta cercando di assimilare la notizia, esattamente come sto cercando di farlo io.
È... mostruoso.
Un’offerta del genere... allucinante. Morire dopo un singolo combattimento, sapendo a cosa si va incontro, per impedire la distruzione del mondo.
Da pazzi. È una cosa da pazzi.
Eppure... eppure... eppure capisco. Capisco perché si potrebbe rispondere di sì. Capisco il non fuggire via a gambe levate, come hanno fatto quelle due sagome del vecchio maestro e della Rosa Nera.
Capisco. Credo di capire.
E...
Ranma si volta verso il gruppone, che è rimasto statico per quasi tutta la durata del discorso. Nessuno dice niente, si muove, dà il minimo segno di vita.
“Se non ti dispiace vorremmo discuterne fra di noi. È una richiesta...”.
“Prego. Tutto il tempo che vi serve. E giusto per essere chiari fino in fondo: un eventuale rifiuto non implicherà nessun tipo di conseguenza. Sarete liberi di tornare alla vostra routine, con solo un'importante consapevolezza in più sulle vostre giovani spalle”.
Rientra nei ranghi e ci osserva tutti a turno, uno per uno.
Come tutti noi viene preso in contropiede quando la vecchia Cologne, senza preavviso, colpisce Shan-Pu sulla nuca facendola svenire.
“Che fai, mummia?” chiede Mousse, allarmato.
“Salvo la vita di mia nipote, ecco cosa faccio. Non le permetterò di partecipare a questa folle corsa. Andrò io al suo posto. Oltre ad avere molta più esperienza di lei, aumentando quindi le nostre possibilità di vittoria, è meglio offrire in sacrificio una vita piena e già fin troppo vissuta”.
“Peccato che noialtri non siamo così fortunati...” mormora Ranma.
“Mi chiedo perché nessuno di voi contesti la buffa storia di quello strano ometto” se ne esce Ukyo dal nulla “Non può essere vero, è talmente assurdo...”.
“Ucchan, io gli credo. Mi ha trasmesso chiaramente la sensazione di essere chi dice di essere e di non volerci fregare in alcun modo. Non so spiegarmi il perché ma ho questa convinzione, e difficilmente il mio intuito si sbaglia in maniera tanto clamorosa”.
“Sì, ma chi ci impedisce di mandarlo a quel paese e ignorare questo schifo?”.
“Nessuno. Nessuno ce lo impedisce. Come hai sentito, e come avete sentito tutti, siamo completamente liberi di dire di no. Ma voglio che sappiate: io ho intenzione di farlo”.
“R-Ranma...”.
“So perfettamente di star andando incontro a morte certa, sarò tonto ma non fino a questo punto. Eppure... avere la possibilità di scegliere il come e il perché... beh, è un’occasione che non capita tutti i giorni. Inoltre la posta in palio è molto, molto alta e, senza offesa, esclusa la vecchia credo di essere quanto di meglio possiamo offrire in termini di potenza combattiva. Se qua ci fossero stati, per dire, Daisuke e Hiroshi li avrei cacciati a calci per più di un motivo. E per lo stesso motivo...”. Si volta fulmineo nella mia direzione.
“So a cosa stai pensando, Akane. E la risposta è no”.
Ranma... non puoi decidere per me.
“Mi hai sentito, maschiaccio testardo? No. Non lo farai. Dovrai passare sul mio cadavere. E non sto scherzando”. Scrocchia le mani per dare più peso alle parole.
Credi di spaventarmi con così poco, mezz’uomo?
Ci sono altri discorsi in svolgimento: Mousse che credo stia rimproverando la vecchia per quanto fatto a Shan-Pu, senza minimamente rendersi conto di quanto quella bastonata sia stata un atto d’amore e di protezione; Kuno che, incredibilmente, invece di cianciare dei ciliegi in fiore e dell’amore di leggiadre pulzelle sta, ad occhio, riflettendo seriamente sulla situazione; Ukyo e Ryoga che discutono animatamente di qualcosa che non riesco a sentire.
Non m’interessa. Al momento la mia attenzione è totalmente focalizzata verso quel cretino col codino che, come al solito, non pensa mai a me e ai miei sentimenti.
D’accordo, in questo caso non si tratta della solita roba. Non ha fatto il cascamorto con un’altra delle sue presunte fidanzate, non mi ha rivolto nessun insulto, non è stato idiota come uno scaldabagno.
Però non può davvero prendersi la briga di decidere per tutti e due.
“Ranma, non puoi...”.
“Certo che posso”.
“Certo che non puoi! Dannazione, non riempirti sempre di testosterone fino alle orecchie. Non sono una maledettissima dama imprigionata nel castello del drago!”.
“Akane... tu...”.
“Ho capito il tuo discorso, cosa credi? «Lei è troppo debole, non sarebbe all’altezza. Inoltre devo pur mostrare il mio complesso del principe azzurro in qualche modo. E quale modo migliore di travestirmi da Kamen Rider Black, offrendomi in pasto a questo gioco crudele pur di salvare lei?». Beh ciccio bello, non funziona così. Proprio per niente. La tua principessa non è una sfigata incapace di difendersi da sola. Ho una mia dignità e una mia forza. E sto meditando di mettermi alla prova”.
“Akane! No, non te lo permetto!”.
“Non ho bisogno del tuo permesso, Saotome. Sono capace di decidere per me e per la mia vita. Il tuo discorso di prima era molto profondo e molto giusto e mi sono trovata d’accordo con ogni parola che hai pronunciato”.
A questo punto avviene l’inaspettato: Ranma mi prende per il bavero della divisa scolastica.
“Akane. Tendo. Togliti. Quella. Idiozia. Dalla. Testa”.
“Ranma. Saotome. Toglimi. Quelle. Manacce. Di. Dosso”.
Non sei l’unico a saper fare la voce grossa, caro mio.
E, com’era ampiamente prevedibile, obbedisce e mi lascia andare. Bravo cuccioletto.
“Akane” riprende, addolcendo il tono “non puoi gettarti a peso morto. Pensa a come staranno Kasumi, Nabiki e tuo padre dopo”.
Giochi la carta familiare? Potente, te lo concedo. Ma non basta.
“Staranno uno straccio, lo so. E tu... no, ok, non è vero che non puoi controbattere. La signora Nodoka dove l’hai dimenticata, stupidino?”.
“Mamma...”.
“Anche tu ti lascerai indietro qualcuno che soffrirà per la perdita. È vero, una sola madre non regge numericamente il passo con due sorelle e un padre, ma il concetto di base è lo stesso. E non mi sento neanche di escludere totalmente quella scimmia di tuo papà. Potrà comportarsi come un saltimbanco tutto il tempo, ma non credo che non sarebbe neanche sfiorato alla notizia di saperti morto. Provaci ancora, Ranma”.
“Non mi costringerai a essere persuasivo come la vecchia con Shan-Pu, spero”.
“Azzarditici solamente e neanche avrai l’occasione di partecipare a questo fantomatico torneo perché ti avrò spezzato le ossa prima. Non sto scherzando”.
Guardami bene negli occhi, Ranma, e capisci da solo che non sono mai stata più seria in vita mia.
Sempre migliore, il cagnolino. Afferra al volo e ritira quel brutto sguardo birichino con cui stava cercando di infastidirmi.
“Senti, tagliamo la testa al toro: facciam quel che dobbiamo fare assieme” propongo per uscire da questo insopportabile stallo fra teste quadre.
“Io... io non posso guardarti mentre...”.
“Perché, credi che sarà una passeggiata per me vederti mentre firmi la tua condanna a morte?”.
“Ma... ma io pensavo che...”.
Mi avvicino al suo orecchio, quello che sto per dire deve rimanere fra di noi: “Qualunque cosa quella tua testolina bacata potesse pensare... beh, ti assicuro che ti sbagliavi. Io... ti voglio bene, Ranma. Ed è anche per te se ho deciso di sottopormi a questa follia”.
“Tu... sei tutta matta...”. sussurra appena.
“Ovvio. Altrimenti come ti avrei sopportato sinora?”.
Mi discosto sorridendogli. Non voglio che la decisione più importante dei miei sedici anni venga macchiata da un litigio con lui.
No beh, questo è a dir poco inconcepibile: scorgo chiaramente, agli angoli dei suoi occhi, l’accenno di una lacrima.
Piantala, imbecille... o perderò tutto il coraggio...
“Ehi tu, tizio!” urla poi verso il portatore di quest’ultimo cataclisma “Come funziona esattamente per i turni? C’è un ordine preciso o veniamo tirati a sorte dal cilindro?”.
Quello alza appena la testa verso di lui, sempre badando a tenere il volto coperto. Ci terrà alla privacy.
“La seconda che hai detto. Estrazione casuale. E fra un combattimento e il successivo possono passare due ore come due mesi come due anni. Non c’è il minimo ritmo scandito in tutto questo. È un grande circo del caos”.
“Ma che bello”.
“Non so cosa dirti. Non sono io a stabilire le regole, io mi limito a trovare i duellanti e a metterli al corrente delle condizioni. Il resto” e punta un dito verso il cielo “lo decidono lassù”.
Ranma sbuffa, evidentemente insoddisfatto della risposta. Poi torna a guardarmi, molto meno aggressivo di prima.
“Akane... non ti voglio perdere”.
“Se hai deciso di partecipare succederà, lui è stato più che chiaro in proposito. A quel punto tanto vale farlo in due. O intendi lasciarmi qui... senza di te?”.
“Ma... ma...”.
“Niente «ma». Come hai giustamente detto tu: poter scegliere come e perché morire è privilegio per pochi. Farlo salvando il mondo... onestamente non potrei chiedere nulla di meglio. Nessuna alternativa mi appare altrettanto nobile e meritevole. Per una volta lascia che sia l’eroina che salva e non la civile che viene salvata. Mi costerà la vita? Ebbene, lo accetto. Si parla di salvare il mondo qui, non di pettinare le bambole”.
Discutiamo ancora un po’ dopo che lui, inaspettatamente, riprende vigore nella sua posizione. Nel frattempo il nostro ospite, dopo essersi finalmente alzato in piedi, ci mostra l’aggeggio che servirà a chiudere l’accordo per coloro che ne sono intenzionati.
“Mettete la mano su questo touchpad fluttuante e parteciperete ufficialmente al Torneo. Vi ho chiesto di rifletterci bene perché, una volta che lo toccherete, non potrete più tirarvi indietro. Sarete legati per la vita a questo contratto e le due cose termineranno assieme”.
Cos'è che dobbiamo toccare? Un touchche?
La bega con Ranma non sta andando come speravo. Si sta incaponendo con la forza della disperazione.
Ci vuole un’azione più definitiva.
Approfitto di un suo momento di distrazione e mi fiondo verso quell’affare. Cerca di fermarmi ma, per la prima e unica volta da quando ci conosciamo, riesco a essere più veloce di lui.
Tocco.
Andata, Akane. Sei un morto che cammina.
“Akane... maledetta ragazzina suicida...”.
Taci Saotome, taci. Ormai quel che è fatto è fatto. Puoi frignare quanto ti pare ma questo non cambierà lo stato delle cose.
Gli altri, da me colpevolmente ignorati sino a questo momento, si fanno avanti.
“Abbiamo deciso”.
The might of chaos descends
as we join the fight
against our common foe
the jaws of fate
Quattro mesi, ventuno giorni e... aspetta che consulto l’orologio... sei ore. Era mattina inoltrata, ora è pomeriggio.
Hanno accettato tutti.
Io sono l’ultima.
Ranma Saotome, Ukyo Kuonji, Ryoga Hibiki, Mu-Si di Joketsuzoku, Ku-Lun di Joketsuzoku, Tatewaki Kuno e Akane Tendo.
I sette campioni di questa terra.
Morti uno in fila all’altro.
Ovviamente, se sono qui a poter pensare tutto questo, i loro scontri li hanno visti vittoriosi. Alcuni hanno faticato davvero molto, come Kuno, mentre altri come la nobile Obaba hanno spazzato via il loro avversario in meno di un minuto.
Soprattutto lui, Kuno, mi ha incredibilmente sorpresa. All’atto della firma si è presentato blaterando il suo nonsense arcaico, ma non era il solito buffone. Appariva veramente convinto di essere stato investito dai kami di una missione divina, o qualche baggianata del genere. Ma se non altro è servito a non fargli prendere sottogamba la faccenda. E si è allenato strenuamente per quando sarebbe stato il suo turno.
Devo dire la verità: quando ha cominciato a parlare di retaggi della casata, di Tuoni Blu e Violetti e Multicolore e di come avrebbe scalato il monte Fuji a testa in giù... ho avuto un serio momento di terrore nel pensare che si sarebbe fatto carico del destino di tutti noi.
Invece ti devo proprio ringraziare, senpai. Sei stato magnifico. Come tutti loro.
E come dovrò esserlo io se non voglio ritrovarmi Kasumi e gli altri dal lato sbagliato.
“Akane! Ti sei imbambolata!”.
Uh? Oh sì, parli del diavolo a forma di sorella ed eccolo spuntare al tuo fianco.
“Scusa Kasumi. Stavo finendo di spiegare ai miei gentili ospiti cosa mi attende”.
“... ripeto, Ranma non ha avuto di questi problemi”.
“Lascia stare, lascia stare. Fai conto che non abbia detto nulla”.
“Come vuoi”.
Naturalmente ho dovuto dirlo, così come ha fatto Ranma e come hanno fatto gli altri. Non potevamo proprio sparire di punto in bianco senza la minima spiegazione. Poi è chiaro, il saperlo non lenisce neanche un po’ del dolore. Neppure un minuscolo granellino.
Mi si stringe il cuore a ripensare a Ryoga e a Ukyo. Loro non hanno avuto nessuno a cui poterlo riferire, nessun parente che si sarebbe disperato per loro. Specialmente lui, messo nella ancora più crudele situazione di averceli, i parenti, ma non poterli fisicamente contattare a causa della maledizione di famiglia riguardo il senso dell’orientamento. Terribile, per lui e per loro che hanno perso il figlio senza neanche saperlo.
E mi si stringe ancora di più a ripensare a Shan-Pu, anche se non se lo meriterebbe con tutti i tiri mancini che mi ha giocato. Ha visto morirle attorno la nonna e una persona che credeva di disprezzare ma, da qualche parte dentro di me ne sono sicura, in realtà non riteneva così nociva. E lei rimarrà e si porterà dentro quel dolore per sempre.
...
No, non ci voglio ripensare. Mi strazia troppo.
Mi chiedo come hanno fatto gli altri a sopportare questo stillicidio.
Sorseggio il mio tè e la osservo mentre torna a tagliare le carote.
Sì, per lei posso farlo. Per lei, per Nabiki, per papà, per zia Nodoka, anche per quel farabutto del signor Genma.
“Toh, sei ancora qui Akane. Meno male, spero di poterti palpare ancora un po’ prima di quel momento”.
Happosai mi guarda, con uno sguardo metà soddisfatto e metà da porco impenitente... chi voglio prendere in giro? È solo un porco impenitente. Regge pure il bottino dell’ultima caccia alle mutandine appena conclusa.
Per lui non lo farei, neanche fra mille anni. Però non sono nella posizione di poter fare distinzioni di sorta. O tutti o nessuno.
Per fortuna se ne va subito. Non lo avrei sopportato un solo istante di più.
Sto per tornare alla mia tazza quando...
Ecco come funziona: ti appare davanti in forma eterea. Non me l’hanno mai voluto dire.
“Tocca a te, Akane Tendo. Sei la chiave di volta di tutto il vostro Torneo”. Sembra che solo io possa sentirlo, visto che Kasumi non accenna alla minima reazione.
Scatto in piedi.
Respira Akane, respira finché puoi.
“Sei pronta? Devo portarti sul luogo del combattimento”.
No che non sono pronta, maledizione!
Ma devo andare comunque.
“Kasumi...”.
“Dimmi”.
“Salutami Nabiki e papà”.
“Akane, cosa stai dicendo?” mi chiede voltandosi verso di me.
“È il mio momento”.
E, per la seconda volta in quattro mesi, vedo piangere l’ultima persona dalla quale me lo sarei mai aspettato.
“Akane...”.
“Ti prego” le dico, anch’io sull’orlo delle lacrime “non rendermi tutto più difficile”. Mi rivolgo verso di lui mentre chiedo “Posso?”.
“Certo che puoi. Non saranno due minuti di ritardo a fare problemi”.
“Grazie”.
Poi mi avvento su di lei e la stritolo con l’abbraccio più forte di cui sono capace.
Addio, sorellina.
“Spero tu non faccia la fine del Grande Kung Lao con il principe Goro” commenta mentre mi afferra la mano e mi porta via. Eh? Non ho capito.
Here we stand on the firing line
here I'll walk in the field where I fight
I will fight or die for liberty
with the ghost standing next to me |
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Capitolo 2 *** Ryoga Hibiki e Ukyo Kuonji ***
10 marzo 1989
“Sono
impazzita del tutto, vero?”.
Butto uno sguardo
sufficiente nella sua direzione. Ukyo ha la testa svaccata contro il
bancone e le braccia mollemente stese in avanti, come fossero due
palloncini sgonfi.
E meno male che le
piastre sono spente.
“A cosa ti
riferisci?” non posso trattenermi dal chiedere. Anche se
sospetto la risposta.
“Come a che
cosa? A quella cazzata galattica che noi furboni abbiamo fatto quattro
giorni fa davanti al Nekohanten. Non puoi non ricordartene, santo
cielo”.
Sospettavo bene. Ma
non prendermi in giro, Kuonji. È ovvio che me lo ricordi.
Abbiamo buttato
entrambe le nostre vite nella tazza, in quell’occasione. Io
non sarò un plurilaureato, ok, ma non è piacevole
sentirsi così tanto sottovalutato.
“Ukyo,
eddai. Mi ricordo cos’è successo”.
“Non
sembrava...”.
Sì, va
bene. Continuiamo a sfottere il maiale che è così
semplice e divertente.
Ma
d’altronde che posso dire per... consolarla? Farglielo
dimenticare?
Non è cosa
da cui ci si può consolare, né tantomeno che si
può dimenticare.
Siamo morti. Tutti e
due.
Non è
potremmo. Non c’è forse. Nessun salvataggio in
extremis.
Siamo. Morti.
E non abbiamo neanche
la consolazione di possibili bugie o inganni. Abbiamo visto Ranma, il
primo di noi condannati.
Ha steso il suo
avversario, dopo un combattimento non troppo difficile o lungo e da cui
è uscito praticamente illeso, ed è cascato per
terra come un sacco svuotato.
Nessuno si
è preso la briga di controllare le sue condizioni. Sapevamo.
Akane ha raccolto il
suo corpo, distrutta come mai l’avevo vista, e l’ha
riportato a casa Tendo. Non so se i loro parenti siano a conoscenza di
questa mostruosità. Non riesco neanche a stabilire se
sarebbe bene o meno che ne siano al corrente, tanto che lo sappiano o
no a loro arriverà comunque una mazzata fra capo e collo.
E poi, onestamente,
chissenefrega. Mi viene da fare il paragone fra la loro situazione e la
mia, in termini di genitori e affini, e sento pungermi gli occhi
davanti all’impietoso confronto.
“Ricordami
perché l’abbiamo fatto” riprende,
alzando gli occhi verso di me. Sbaglio o sta... per favore, non farlo.
Fa male.
“Vuoi sapere
perché l’ho fatto io o perché
l’hai fatto tu?”.
“È
uguale, tanto la depressione non se ne andrà in nessun
caso”.
Inspiro. Non
è facile ricordare il momento in cui hai deciso di smettere
di vivere.
Mi avvicino a lei e mi
siedo su una delle seggiole per i clienti. Voglio esserle accanto.
“Ma sul
serio devo ricordartelo? Poi sono io lo smemorato, qui”.
“No, non sul
serio. Esattamente come te mi ricordo tutto, alla perfezione. Ma in
questo momento ho lo strano bisogno di sentire una voce non mia
riepilogare la peggiore stupidata di cui mi sono resa colpevole. E dire
che ne ho fatte a tonnellate, di idiozie”.
“Ti sei
addolcita in questi ultimi secondi, vedo. Non l’avevi
definita cazzata,
prima?”.
“Sì,
l’avevo fatto. Ma non sono sempre in vena di
volgarità”.
“Oh, anche
Ukyo sa tenere a freno la lingua ogni tanto”.
“Sei
spiritoso quanto una scarpa bucata”.
“Non
togliermi anche quello, per favore. È forse
l’unica cosa che mi è rimasta”.
“Dio,
abbiamo sedici anni e stiamo qui a parlare della morte incombente come
due centenari. Cosa ci ha posseduto in quei momenti per spingerci a
tanto con le nostre stesse mani?”.
“Vediamo se
riesco a riassumere per entrambi: io l’ho fatto innanzitutto
perché non volevo essere da meno di Ranma, che era saltato a
bordo del vagone con la velocità di un furetto imbizzarrito.
Quel cretino non aveva fatto il minimo filtro fra la propria decisione
e le conseguenze che avrebbe portato e non sono riuscito a evitarmi di
scendere al suo stesso, preistorico livello. Se lui era disposto a
fare il sacrificio ultimo perché io non avrei dovuto?
Imbecille di un Hibiki. Ma, come spero ti ricorderai dal nostro
discorso mentre decidevamo, non è l’unico motivo
che mi ha spinto a farlo”.
“Sì,
ricordo...”.
“Ho trovato,
in questa cosa da malati mentali, uno scopo per la mia vita. Ero e sono
stufo di passare gran parte del mio anno tipo a girovagare per il
Giappone senza neanche la fotocopia di una possibile meta. Quando
giungo qui a Nerima è sempre, e sottolineo sempre, per puro
caso. È vero, ho qualcuno che mi scalda il cuore qui e sai a
chi mi riferisco, ma è pur sempre una coincidenza fortunata
a spingere i miei piedi. La maledizione della mia famiglia è
terribile, anche se a te e agli altri può sembrare una
specie di barzelletta. Ti costringe a vivere alla giornata privandoti
di ogni misera, pallida possibilità di fermarti da qualche
parte e provare a costruire qualcosa di più duraturo. Quando
mi si è schiusa davanti questa opzione...”.
“... hai
visto una via d’uscita. La peggiore, ma una via
d’uscita”.
“Esatto.
È stata una scelta sofferta, nonostante tutto,
perché anche se non avevo il miraggio di poter ottenere un
minimo di stabilità da questa mia esistenza da vagabondo...
beh, non ero ancora arrivato al punto di voler farla finita.
Però amen, è andata. Non serve star qui a
recriminare e a piangere sul latte versato, soprattutto visto che la
bottiglia della latteria non è caduta per un incidente ma
l’abbiamo rovesciata noi stessi”.
“Sei cinico,
Ryoga. Come non credevo potessi essere”.
“Vedere
Ranma morto mi ha dato un’altra prospettiva. E mi ha fatto
tornare in mente che ho scelto questa via anche perché
significava sacrificarsi per un’alta causa, cioè
la salvezza del mondo. Sempre che la tua bizzarra teoria sul fatto che
lui ci abbia mentito non sia vera”.
“Non
rinfacciare, simpaticone. Non riesco a togliermi dalla testa
l’idea che possa averci preso per il culo tutti quanti,
ecco”.
“Ti
è tornata addosso la volgarità”.
“Beh, scusa
tanto se mi viene da infervorarmi. Se avessi ragione...”.
“...
andremmo a morire inutilmente, già. Ma il fatto che Ranma
non sia più qui con noi porta indizi verso la sua versione,
non verso la tua”.
“Per quel
che ne possiamo sapere l’ha ammazzato lui in qualche modo
strano e sta cercando di...”.
“Ukyo, per
favore. Finiscila”.
“Eh?”.
“Stai
cercando di aggrapparti a un’illusione, per come la vedo io.
L’illusione di trovare scampo da quanto ci guarda
dall’alto mentre scende in picchiata come un falco sulla
preda. E non fa bene perdersi in qualcosa di falso”.
“Sì,
ma...”.
“Ukyo,
guardami bene: io e te, insieme a tutti quegli altri pazzi, siamo
morti. M-o-r-t-i. Preferisco evitare di pensare a cosa succederebbe se
perdessimo, ma non è neanche questo il punto del mio
discorso. Il punto è: mettitelo bene in testa e non
lasciarlo scappare. Sono sicuro che là fuori, nel mondo che
resterà dopo di noi, c’è qualche esimio
psicologo che ha studiato approfonditamente la negazione della
realtà, magari suddividendola persino in fasi. E sono anche
sicuro che questo professorone ti farebbe una bella lavata di capo, in
questo istante. Mi rendo conto che affrontare il nostro futuro
è devastante, sono il primo a subirlo assieme a te, ma non
serve a niente voltare la testa dall’altra parte sperando che
se ne vada da sé. Non lo farà. È qui
per restare. Gli puoi tirare sassi per scacciarlo, lo puoi supplicare
di far finta di nulla, puoi tentare di corromperlo con una mazzetta ma
non servirà. Dimmi, vuoi che il tuo ultimo periodo sia una
continua rincorsa alla scusa, alla bugia, a ciò che non
è? O preferisci vivere più serenamente che si
può... e so che è poco, ti capisco...
il tempo che ti rimane?”.
“Ora credo
di ricordare perché ti ho chiesto di rimanere qui
all’Ucchan a farmi compagnia, sin da quel
giorno...”.
“Faccio
quello che posso. Ma non avevi reale bisogno di
me, a parte per questi momentacci di sconforto. O devo snocciolare ad
alta voce, a vantaggio di nessuno, perché ti sei immischiata
in questa cosa?”.
“Te
l’avevo chiesto, puoi far che farlo”.
“Allora,
vediamo se mi riesce di citarti testualmente: “Sento... sento la
necessità di farlo, per qualche cazzarola di motivazione
insulsa. Forse è solo uno sciocco modo per non sfigurare di
fronte ad Akane, che ha preso la palla al balzo come il miglior
giocatore di basket americano. O forse è un modo per
nobilitarmi più di quanto meriti, dicendomi che sto andando
a morire per il fato del mondo e sentirmi così migliore di
quella subdola, squallida ragazzina che ha cercato di conquistare
l’amore di Ranma con sotterfugi degni del peggior verme. Non
che mi senta davvero al livello di Shan-Pu o Kodachi, persino io non
scavo così tanto. Ma sono stata molto poco leale, in questo
gioco a premi, e una parte di me vuole scrollarsi di dosso la
fastidiosa sensazione di sporco. Quale modo migliore per lavarsi la
coscienza che essere una dei sette martiri?”.
Sì, se non sbaglio dovrei essere andato molto
bene”.
“Confermo.
Sei stato praticamente perfetto. Poi tu, birichino come sempre, hai
aggiunto: “Ehi
Ukyo, non sarà mica perché Ranma, non appena
abbiamo cominciato a parlare di questa possibilità, si
è girato verso Akane intimandole di starne fuori e ha smesso
di considerare il resto del mondo?”. Qualcuno
dovrebbe tagliarti quella linguaccia biforcuta, Hibiki”.
“Ahahahahahahahah.
Ukyo, mi fai morire. E non scherzo, mi diverti davvero. Hai
un’acidità così... Kuonji”.
“Se non
fossimo già sul miglio verde ti tirerei il collo,
sappilo”.
“Minacce
vuote come il mio stomaco dopo otto giorni di giri a casaccio per la
campagna del Kansai. Puoi fare meglio di così”.
“Oh
sì, hai ragione. Posso proseguire quel discorso: “E per te non
sarà mica perché Akane, proprio in questo preciso
momento, sta sussurrando qualcosa all’orecchio di Ranma? Tipo
quanto lei lo ama?”. A giocare sleale siamo
capaci in due. Uuuuuh, ecco il prode Ryoga Hibiki che passa sulla sua
faccia tutte le tonalità dell’arcobaleno.
Checcarino”.
“N-Non...
sei per nulla gentile...”.
“Mica volevo
essere gentile, difatti. Ti restituivo il colpo sotto la
cintura”.
“... siamo
due casi umani, non è vero?”.
“Penso dei
peggiori”.
“Mi fa
piacere vederti un pochino più tranquilla, almeno. Essere
spernacchiato è servito a qualcosa”.
“Sì,
ti devo ringraziare. Il cuore mi tornerà in gola quando
sarà l’attimo decisivo, ne sono certa. Ma, almeno
per un po’, credo che riuscirò a essere
più serena. E se fossi rimasta da sola...”.
“Rimuginare
in solitudine sulla morte che sta per bussare alla tua porta... no, non
lo augurerei neanche al mio peggior nemico”.
“Ranma?”.
“Pfffff. Ho
detto peggior nemico,
non coetaneo con cui
sei nemico un giorno e amico quello dopo. O qualcosa del
genere. E poi lui è già andato”.
“Gesù,
piantala di essere così brutale. Ho capito che mi conviene
accettarlo. Lo dico sul serio. Ma puoi evitare di riportare a galla
l’argomento ogni venti secondi, lo sai?”.
“Sì,
hai ragione. Mi piace atteggiarmi da uomo tutto d’un pezzo ma
pizzica anche me. Meglio evitare, almeno finché non
toccherà a uno di noi”.
“Anche se
capisco la necessità di condividere con
qualcuno...”.
“È
per questo che mi hai invitato a restare qui, no?”.
“Sì,
principalmente è per questo. Non avrei sopportato di
affrontarlo in solitudine. Sarei schiattata di crepacuore prima del
tempo. E poi, se ben ricordi dopo il combattimento di Ranchan, lui ha
guardato verso di noi. Ho la sensazione che intendesse farci capire che
era il nostro turno”.
“Poteva
anche dircelo, quello stronzo”.
“Toh, anche
gli Hibiki sanno dire le parolacce”.
“Scusa. Ma
mi sarà concesso essere un poco nervoso all’idea,
spero”.
“Hai voglia.
Anzi, finora sei stato fin troppo flemmatico”.
“Mica ho
preso fuoco...”.
“Flemmatico, non infiammabile. Mi
sento come una che distribuisce perle ai porci”.
“Non sai
quant’è vero”.
“Eh?”.
“Hai
presente P-chan, no?”.
“Certo”.
“Portami un
bicchiere d’acqua calda e uno d’acqua fredda, per
piacere”.
12 aprile 1989.
SCROCRONCH.
Una spatolata formato
famiglia conclude lo scontro.
Ukyo ha vinto. Almeno
per un altro po’ la nostra terra è salva.
Osserva il suo
avversario, un ragazzo appena più grande di noi. Pelato e
vestito d’arancione. Io non me ne intendo, ma mi sa proprio
che è un bonzo.
Credo che possiamo
considerarci fortunati: a giudicare da come si muoveva era molto, molto
inesperto.
Se ci fosse stato un
maestro, dalla parte opposta, forse non sarei qui a riflettere.
Gli si avvicina,
ansimando. È provata. Ha fatto molta fatica, in effetti, e
in certi momenti dava l’impressione di essere in svantaggio.
Ma alla fine è riuscita a recuperare brillantemente.
Quasi inciampa.
Attenta, su.
Si rivolge al
nostro... come chiamarlo? La nostra guida? Il nostro mentore? Non lo
so. Lui, ecco.
“Ora...”
dice boccheggiando.
“Ora devi
concludere, Ukyo Kuonji. È ancora vivo”.
“Questa cosa
fa schifo” commenta portandosi una mano sugli
occhi. Da qui non riesco a vedere bene, ma penso voglia impedirci di
vederla piangere.
“Lo sapevi e
hai accettato comunque” sottolinea l’altro.
“Stai
zitto!”.
Si accuccia su di lui
e tira fuori il coltello che si è portata dietro dalla
cucina del ristorante.
“Scusami”.
SZOCK.
È un
attimo: si accascia sul suo corpo, finendo in ginocchio e con la testa
sul suo petto.
No. No. Non voglio...
Non è
Akane, che accanto a me si trattiene a malapena dallo scoppiare in
lacrime.
Nessuno si muove.
Nessuno tranne Kuno.
Guarda Jun in faccia, chiedendogli silenziosamente qualcosa che non
riesco a capire, e ottiene una risposta affermativa.
Raccoglie il cadavere.
“Se nessuno
di voi ha da ridire” comincia “intendo occuparmi
delle esequie e della sepoltura della valorosa Ukyo Kuonji. E di tutti
coloro che non hanno un’anima pia a cui rivolgersi per
codesto ingrato compito, almeno finché i kami vorranno
concedermelo”.
Non una protesta.
Credo che lo shock nel vederlo comportarsi in maniera così
dignitosa sia troppo da digerire.
Cavolo, il mondo sta
davvero per finire.
The bells again, someone has died
the bells of the end toll to remind
that life is but a race against time |
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Capitolo 3 *** Ranma Saotome ***
6 marzo 1989.
“Com’è andata a
scuola, cari i miei ragazzi?
Ranma, quante finestre hai sfasciato oggi?”.
Casa Tendo. Pranzo. Tutto normale, tutto
tranquillo, tutto banale.
No, l’ultima no. E neanche la prima in realtà.
È il pranzo del giorno dei giorni.
Tanto per cominciare a scuola neanche ci siamo
andati. O meglio, ci siamo rimasti dieci minuti, poi è
successo uno dei soliti
casini e ci siamo spostati in massa.
Non più di tre ore fa io e Akane eravamo davanti
al Nekohanten.
E poi è spuntato Jun Kukkoh, Katoh... quel tizio
lì.
Al mio fianco sinistro Akane rimane impassibile
con la sua scodella di riso in mano. Penso stia pensando quello che sto
pensando io. Mangia lenta non tradendo la minima reazione, ma so
benissimo che
dentro di lei si sta scatenando il peggior maremoto emozionale della
sua vita.
Quasi rimpiango quando stava male perché l’avevo
fatta imbufalire con una parola o un gesto di troppo.
La picchetto lievemente sulla spalla. Ho bisogno
di un suo consulto.
Si volta senza dire una parola.
“Pensi che dovremmo...”.
“A me non cambia nulla”.
“Akane, è una faccenda importante. Non
credi...”.
“Te l’ho detto, è indifferente. Se vuoi
dirglielo
diglielo”.
“Scusa, vorresti sul serio tenerglielo nascosto?
Devono sapere”. Accolgo con un sospiro di sollievo interiore
l’arrivo
dell’irritazione, perché come a volte riesce a irritarmi Akane
proprio nessuno. Con un
calcio mi getta, per qualche secondo, in tempi più felici di
questo.
È gelida, glaciale nel rispondermi: “Non
è
necessario, invece. Quel che noi dovevam sapere lo sappiamo, gli altri
non
c’entrano nulla”.
“Si può sapere cosa complottate?” si
intromette
Nabiki. Se hai fiutato possibilità di guadagno fai portare
il tuo intuito dal
meccanico, si dev’essere guastato.
Decido, in un impeto di autodistruzione, di
ignorarla. Akane fa lo stesso. Sai Nabiki, i tuoi metodi non funzionano
più su
di noi. Non da quel momento.
“Beh Ranma, se davvero ci tieni a spezzare tutti i
loro cuori e ammucchiarne i rottami uno sopra l’altro fai
pure. Io non intendo
partecipare”. E ciò detto si alza, portandosi via
la ciotola.
“Figliolo... cosa sta succedendo? State
cominciando a preoccuparmi, voi due”. La voce di Soun
è profonda e spaventata come
non credo di averla mai sentita.
Mi lascio sfuggire gli occhi al cielo. Cosa mi
frullava per la testa? Come ho potuto non pensare a una situazione come
questa?
Appoggio le mani sul tavolo, stringendone il
bordo. Spero scioccamente di ricavarne forza in qualche modo.
Sarà la cosa peggiore che abbia mai fatto. E di
cose non belle ne ho combinate parecchie.
“Gente, ho un annuncio da fare. Vi prego di
sedervi comodi e di non interrompermi per nessun motivo.
Sarà già abbastanza difficile
così”.
Busso alla porta della sua
camera, dove so per
certo che si è rifugiata.
“Andate via, non voglio vedere nessuno”.
Tsk. Ti pareva.
“Sono Ranma”.
Un attimo di silenzio.
“... entra”. Chissà perché
sospettavo questo
sviluppo.
Mi faccio avanti.
Lei è stesa sul letto, gli occhi piantati verso il
soffitto. A vederla così si potrebbe pensare che
è solo preda di una delle sue
solite crisi del cavolo. Non presenta il minimo segno che possa far
realmente
capire cosa si sta agitando là dentro. E qui dentro.
“Allora, baka? L’hai detto?”.
Un sospiro.
“Sì, l’ho fatto”.
“E...”.
“Come vuoi che abbiano reagito? Le tue sorelle si
stanno guardando in faccia fisse come due baccalà, tuo padre
ha semi-allagato
la cucina e il mio ha cominciato a prendere a testate il
muro”.
“Dovete sempre farvi notare, voi Saotome”.
“Buon sangue non mente. E non voglio neanche
pensare a quando mia madre rientrerà dal suo
viaggio...”.
Copro parte della distanza che ci separa. Sento
freddo e vorrei...
La osservo per lunghi momenti mentre lei, molto
poco educatamente, mi evita.
Akane, santi kami. Sfogati. Reprimere tutto ti
farà scoppiare.
“Non puoi continuare così. Se dopo neanche mezza
giornata ti sei indurita in questo modo... non oso pensare a come sarai
ridotta
fra una settimana. O fra un mese”.
“Chissenefrega. Potrei non essere neanche più qui,
fra un mese”.
“D’accordo, ma il discorso è comunque
valido. E
poi, perdona se mi tocca fare il maestrino della situazione, ma si
parla anche
di un combattimento. Non puoi permetterti di presentarti
così disturbata, perderesti.
Se vuoi posso...”.
Si alza di scatto, fa i tre passi che ci separano
e mi guarda con gli occhi ingolfati di lacrime.
Non posso dire che mi faccia piacere, ma in uno
strano modo è comunque un passo avanti.
“Cosa vuoi fare tu? Allenarmi? Insegnarmi a...
uccidere un altro essere umano? Taci Ranma, farai un favore a
entrambi”.
E alè. Bentornata, stizza.
“Akane, non ti permetto di comportarti come una
bambina viziata. Stammi bene a sentire: se ti credi una ragazzina
speciale
perché oh, nessuno può
capire quello che
sto passando ti pregherei di fissarmi dritto nelle palle
degli occhi e di
dirmelo ad alta voce. O di alzare la cornetta del telefono e di
chiamare
l’Ucchan per farti insultare da Ukyo e Ryoga. O il
Nekohanten. O casa Kuno. Non
sei sola in tutto questo. Sette anime dannate, non una. E fare la finta
coraggiosa
tutta d’un pezzo finirà con il logorarti pian
piano, riducendoti a poco più di
una larva che sopravvive meccanicamente. Non avere timore dei tuoi
sentimenti,
non chiuderli in un angolo per prenderli a frustate. Accoglili.
Accettali. Perlomeno
convivici. O loro, infastiditi dal tuo continuo ignorarli, ti
distruggeranno
per ripicca. Naturalmente, con tutto questo, non ti sto suggerendo di
essere
felice per quanto ci succederà. Nemmeno io riesco ad avere
tanta faccia tosta.
Dico solo che, se hai paura, nessuno ti rimprovererà se ti
metti a piangere. Se
hai qualcosa da rinfacciare a qualcuno fallo finché sei in
tempo, invece di
portartelo nella tomba. Se hai voglia di fare una pazzia lasciati
andare, a
un’eroina si concedono dei colpi di testa”.
Ma... ma che...
Neanche ho finito che me la ritrovo avvinghiata al
petto.
“Ranmaaaaaaaaaaaaaaaa! Sono terrorizzata! Non
voglio morire! Non voglio! Non voglio! Non voglio!”.
“E chi è che vorrebbe morire?” ribatto,
onesto. So che
non è una frase particolarmente profonda, ma si fa quel che
si può.
Passano parecchi minuti in cui rimaniamo
cristallizzati in queste posizioni.
Poi, senza il minimo preavviso, si stacca. Mi
afferra la nuca con le mani. Mi trascina a sé.
Mi bacia.
A-A-A-A-A-A-A-A-Akane...
Cosa... cosa... cosa...
No, questo non sta succedendo. Non sono in camera
di quel rozzo maschiaccio di Akane Tendo mentre lei mi sta... sta...
baciando...
Quando finalmente rompe il contatto...
“Non te lo aspettavi, eh?”. Vedi un po’
tu se me
lo aspettavo.
“D-Decisamente no”.
Sorride nel sentirmi rispondere così. E, qui lo
dico e qui lo nego, quel sorriso mi era mancato da matti.
“S-Si... si può sapere...”.
Scioglie l’intreccio delle dita da dietro il mio
collo, fa un passo indietro e poi mi regala una linguaccia.
“L’hai detto tu di abbandonarmi agli eccessi, mi
pare. Mi è balenato questo e ho seguito il tuo consiglio. Lo
devo proprio
ammettere: avevi ragione. Ora mi sento un po’ più
sollevata. E in pace con me
stessa”.
“Mamamamamamamamamamamamamamama...”.
“Zut. Non ti sarai dimenticato quello che ti ho
detto in confidenza poche ore fa, spero. Sarebbe poco carino da parte
tua”.
Dimenticarmi... del fatto che... ha detto... che
mi vuole bene? Non mi sembra di essermi fatto togliere metà
cervello dalla
testa.
“E allora ho sciolto le briglie. Mentre ti
stringevo mi sono chiesta se sarebbe stato appropriato, se ti saresti
arrabbiato, se... se... se... e poi ho mandato tutto al diavolo. Poco
tempo,
poca voglia di rimandare, tanta voglia di esternare. Le parole sono
belle, i
fatti di più”.
Davvero... non so che rispondere, neanche so se
voglio rispondere qualcosa...
Sono seriamente sconvolto. Più di quando ho
poggiato la mano su quel robo che galleggiava per aria.
Ma sapete come sono i proverbi: fatto trenta,
facciamo trentuno.
Akane, difatti, si avvicina alla porta che era
rimasta appena aperta... e la chiude. A doppia mandata.
R-r-r-ragazza... c-c-c-o-o-o-s-s-s-a-a-a...
“E se ti dicessi che non ho finito, con le
follie?”.
Credo... di stare... per svenire...
No, alla fine non sono
svenuto. Non me lo avrebbe
permesso.
"Bene, i vostri
contratti sono chiusi. E posso già rivelarvi il nome del
primo partecipante”.
Sono appena uscito dalla sua camera.
Cammino
ciondolando, frastornato.
Quel che è appena successo...
Mi ha preso... sbattuto sul letto... tolto a forza
la blusa...
Sembrava quasi un animale affamato. Molto
affamato.
No ok, non mi sto pentendo di averle fatto quel
discorso. Non lo sto facendo. È stato comunque... piacevole.
Decisamente.
“Già
che ci
sono, visto che siete ancora tutti qui, vi comunico le
regole che
sono poche e facilmente assimilabili. La cosa più importante
è che chi non
combatte in prima persona non si deve intromettere in nessun modo nel
duello.
Se dovesse succedere equivarrebbe a una squalifica,
cioè a una sconfitta. E
sapete cosa ciò implica”.
È solo che... cazzo, non me lo
aspettavo proprio.
Alla faccia della follia, Tendo. Se fosse accaduto
in condizioni normali, senza questa spada del Torneo che ci pende sulla
testa,
una notizia del genere avrebbe fatto il giro di Nerima in neanche dieci
minuti
e adesso avremmo frotte di persone fuori da casa che vogliono la mia o
la tua
testa.
Senza contare i parenti serpenti che avrebbero
origliato, registrato e forse ripreso il tutto.
Questa cittadina avrebbe probabilmente finito di
vivere in pace.
Un dito alzato
verso me e Akane. Oh dio, sul serio? No, non lei per prima. No.
“Tocca a te,
Ranma Saotome”.
Cervello, puoi smetterla di rivangare il
momento
in cui mi hanno detto che sto per crepare. Guarda che tendo a
ricordarmelo da
me, sai com’è.
E poi non devi sovrapporre l’immagine di...
quello... con ‘sta cosa. Crea un effetto strano, come se
buttassi un cane sopra
a un gatto. Oh insomma, contrasta. Cozza. Quella roba lì.
Bah. Mi arrabbio, con me stesso e con lei. Ci è
servito questo per lasciarci un po’ andare. Un po’
tanto, se proprio vogliamo
dirla tutta. Ma è lo stesso, non significa che siamo stati
meno stupidi.
Solo la morte riesce a sconfiggere l’ottusità di
Ranma Saotome e Akane Tendo. Huzzah.
Mi dirigo verso un posto a casaccio. Ho bisogno di
prendere aria e non pensare a nulla e possibilmente non dare i numeri.
DRIIIIIIN. DRIIIIIIN. DRIIIIIIN. DRIIIIIIN.
Nessuno, eh? E va bene, per stavolta risponderò
io.
“Casa Tendo. Chi è?”.
Non un rumore, almeno per qualche secondo. Poi
sento un colpo di tosse chiaramente finto.
“Saotome? Sei tu?”.
“Kuno?”.
“In persona, sì. E cercavo proprio te”.
“Si può sapere perché? Attacchi briga
anche via
telefono, adesso?”.
“Attaccare briga? Mi sottovaluti. Volevo
solo porti le mie più genuine condoglianze per quanto ti
accadrà a breve e le
mie più autentiche scuse per gli equivoci del passato,
quando a torto ti
consideravo un malvagio stregone dedito alla magia nera. Se lo fossi
stato
davvero non avresti mai avuto l’ardire di accettare la
scriteriata proposta di
quel ciarlatano e saresti fuggito ricoprendoti di vergogna e disonore,
esattamente come hanno fatto il vecchio invasato e la disgrazia
ambulante che
ho la sfortuna di annoverare come sorella”.
“... Kuno, gli alieni ti hanno succhiato il vuoto
pneumatico dalla testa e ci hanno inserito del senno? Ecco
sì, attaccami pure
il virus della parlata fuori moda”.
“Non capisco il tuo immotivato sarcasmo. Inoltre,
se proprio ci tieni così tanto a esserne ragguagliato, il
Tuono Blu sa
riconoscere e apprezzare coloro che dimostrano il suo stesso coraggio e
la sua
stessa abnegazione. Mi rendo conto che non può riparare
tutti i nostri disguidi
e qui pro quo, ma ero fermamente intenzionato a dirti che ti sei
guadagnato la
mia stima e il mio rispetto con quell’atto cavalleresco e di
altissimo valore”.
...
Qualcuno mi svegli da questa sottospecie di incubo
strano.
“Bene. Assolto il mio compito, credo che mi
ritirerò in raccoglimento spirituale nelle mie stanze. Per
quel che può valere
adesso: mi dispiace, Ranma. A rivederci alla congiuntura della
tenzone”.
TUTUTUTUTUTUTU.
Osservo instupidito la cornetta. Cosa ho appena
sentito?
Mi sembra di aver letto da qualche parte che la
consapevolezza della fine fa seriamente rivalutare i propri standard.
Ora ne ho
la conferma pratica.
8 marzo 1989.
“Ah, quindi funziona
così? Tutti assieme
appassionatamente con la libertà di tifare?”.
“Corretto,
Ranma Saotome. Ai tuoi compagni sarà
vietato interferire, ma potranno comunque mostrare il loro supporto nei
tuoi
confronti con fischi e schiamazzi”.
“Ma quanta
gentilezza. E di’ un po’, cosa ci fa
qui lei?”.
“Xian-Pu mi
ha chiesto, con tutti i crismi dell’ufficialità,
di poter essere presente agli scontri e non ho alcun motivo di negare
il suo desiderio. D’altronde lei è a conoscenza del
funzionamento del Torneo e, in
quanto indirettamente parte in causa, ha ogni diritto di poter
assistere. Come,
se lo volessero, lo avrebbero i vostri genitori e fratelli e sorelle e
cugini e
via discorrendo”.
“Non
nominare la parola sorelle di fronte ad Akane”.
“E
perché non dovrei?”.
“Non lo vuoi
sapere”.
“Ti
sconsiglio di minacciarmi, Ranma Saotome”.
“Finitela,
machi della domenica. E Ranma... grazie”.
“Figurati,
Akane. Anzi, già che siamo in
argomento: salutameli tutti”.
“L’hai
fatto prima che partissimo, tordo. Tranne
quel deficiente di tuo padre”.
“Rifallo
comunque. Non è mai abbastanza”.
“Signorsì
signore. Altro da riferire?”.
“Uhm,
sì. Una sola cosa”.
“Cosa?”.
“Di’
a mia madre che il sangue del suo sangue è
finalmente diventato uomo anche da un punto di vista più
fisico... con te...”.
“...”.
“...”.
“...”.
“...”.
“...”.
“...”.
“Si vede
proprio che sto andando a morire. Nessuno
di voi ha cercato di scotennarmi”.
La speranza si spegne già
l'alba della vita
di fronte alla morte
io sono rimasto solo |
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Capitolo 4 *** Tatewaki Kuno ***
28 giugno 1989.
Mi alzo dal mio banco. Le lezioni sono diventate superflue, finanche
perniciose.
Da quel giorno di marzo ho in mente una e una sola cosa. Come sarebbe
per chiunque messo nella mia condizione.
Non ho brama di passare al club di kendo. Non ho brama di fermarmi a
parlare con nessuno. Non ho brama.
Desidero solo andare a casa, se possibile evitare quella mentecatta di
mia sorella che piange come un vitello, chiudermi nella mia camera e
meditare.
La meditazione ha lenito questi ultimi mesi, rendendoli meno grevi, ma
purtroppo non è riuscita nella titanica impresa di darmi
pace.
Mi avvio lento verso l’uscita.
Una mano sulla mia spalla.
Chiunque tu possa essere: no. Non sono in condizione di dedicarti
neanche un minuto.
“Per favore...” inizio.
“Tatchi”.
Oh. Per te posso fare un’eccezione, Nabiki.
Il resto della classe fluisce fuori dall’aula, schiamazzando
e tirandosi gli aeroplanini di carta. Ragazzini ingenui, inconsapevoli,
puerili. Non sanno... non possono sapere.
Ai miei occhi appaiono come una mandria di pecorelle che vanno allegre
a farsi tosare e poi sgozzare.
Tutti tranne lei. Non per meriti propri, ma per lei posso applicare una
deroga.
Lei sa, in quanto sorella della mia adorata Akane.
Aspettiamo di rimanere soli.
“Kuno” esordisce poi a bruciapelo “so che
sei il prossimo. Akane mi ha riferito...”.
“Non siamo rimasti in molti, d’altro
canto”.
“Vero”.
“Ebbene? A te cosa può interessare, di grazia?
Quale fonte di guadagno viene intravista dalla tua mente malvagia, in
tutto ciò?”.
“Voltati”.
“No”.
“Ti ho detto di voltarti”.
“E io ti ho detto di no”.
Non ti darò la soddisfazione, arpia che non...
Ehi? Che succede?
Mi gira di peso dopo avermi fatto fare mezza giravolta.
Caspita. Non la facevo proprio capace di essere così...
fisica.
“Stammi bene a sentire tu, samurai fallito! Se Nabiki Tendo
ti vuole parlare faccia a faccia tu le parlerai faccia a faccia, mi
sono spiegata?”.
Forte è la tentazione di estrarre il mio bokken. Succede
sempre quando mi sento minacciato.
Ma evito. Non alzo la spada contro una ragazza. Neanche contro questo
esemplare.
“Chiedo troppo nel sapere la cagione di questa irrequietezza,
Tendo? Non è da te”.
Si appoggia al banco più prossimo, recuperando velocemente
la sua classica compostezza da donna d’affari che non deve
chiedere mai. Guarda fissa nella mia direzione, il solito sorriso da
squalo del mondo malavitoso.
“Visto che prima o poi anche tu ci saluterai
definitivamente, non temo troppo di quanto uscirà da questa
conversazione. Ma una minaccia nei tuoi confronti riesce sempre a
rendere la mia giornata un po’ più
dolce”.
“Grrrrrazie”.
“Prego, Tatchi. Pertanto considerati formalmente avvisato:
che da qui non venga fuori neanche una parola. Non una. O
troverò il modo di rendere il tuo ultimo periodo nel mondo
dei vivi insopportabile e pregherai che il tuo scontro arrivi il prima
possibile”.
“Se hai finito di renderti patetica con questa scenata da boss della yakuza io avrei da fare, sempre che milady non sia
troppo tediata all’idea”. Normalmente mi sarei
fatto minuscolo di fronte a cotale intimidazione, ma evidentemente
sottovaluta la mia attuale contingenza.
Sto per avviarmi, notevolmente contrariato, quando lei fiata di nuovo:
“Kuno... non andare. Aspetta che ti dica quel che ti volevo
dire”.
Se da una parte i miei piedi spingono come dei forsennati per farmi
allontanare da questa turpe persona, dall’altra il suo
inusuale tono mi chiede di fermarmi e darle il beneficio del dubbio.
Non capita tutti i giorni di sentire Nabiki esprimersi come un essere
umano normale.
“E sia, Tendo. Parla. Ma non farmi sprecare troppo
tempo”. Sì, alla fine la curiosità ha
vinto.
“Non è nulla di che, piccolo Kuno. Volevo solo...
ecco, mi premeva farti sapere che... accidenti, non credevo sarebbe
stato così complesso”.
“Cosa ti succede? Non vorrai mica ammettere... che hai ceduto
al fascino del Tuono Blu, vero?”. Qualcuno me ne scampi se
fosse davvero così. Non lo sopporterei.
Io l’ho chiesto scherzando, mi sembrava palese, ma non si sa
mai cosa può agitarsi nel cuore di una fanciulla stregata da
un fusto come me.
No, sto viaggiando troppo con la fantasia. Nabiki Tendo non
è biologicamente in grado di innamorarsi.
“Non essere ridicolo. Prima che mi capiti una simile
disgrazia tu sarai sepolto da un decennio almeno!” dichiara
ad altissima voce. Meno male, per un attimo ho internamente tremato
alla prospettiva.
“Volevo solo... dirti... che un po’ mi mancherai,
ecco...”.
“Non fatico a crederci. Perderai il tuo migliore
acquirente”.
“Per tanto così ho già perso la mia
principale fonte di introiti da quando Ranma...”.
“Certo, capisco. Kodachi non ti compra più le foto
di Saotome e io non ti compro più quelle della Ragazza col
Codino. Dev’essere stata una brutta stangata per le tue
finanze”.
“Che tu sia riuscito a capire chi era davvero, quello
sì che è stato un colpo. Ma no, il motivo non
è solo quello...”.
“Chiedo venia?”.
“Quel che ho detto. Non sei sordo.
C’è... un altro motivo per cui mi
mancherai”.
Se non l’avesse appena negato con forza potrei... potrei
persino pensar male.
“Nabiki Tendo, tu non stai...”.
“No, non lo sto facendo”.
“Non sai il sollievo. Sembrava...”.
“Sembrava male”.
“E allora quale sarebbe, questa fantomatica causa?”.
“Mi mancherai e basta, demente con la testa ricolma di roba
obsoleta! Nonostante tutto non ti trovo una compagnia così
pessima e sapere che non ci sarai più... non ne sono
contenta, ecco”.
Si agita, rischiando di perdere il precario equilibrio che aveva
contrattato col banco.
Oh. Dice sul serio. Credo di non averla mai vista così poco
composta. Non che sia particolarmente disastrata, ma si sta pur sempre
parlando di Nabiki Tendo.
La Cannibale. Colei dalla Quale non Devi Farti Imprestare o Vendere
Nulla. La Futura Saiko-Komon di Nerima.
Non credevo di poter assistere a un simile, inimmaginabile spettacolo
prima della mia dipartita.
Guardala, sta persino sudacchiando.
Lei stessa si rende conto di aver esagerato, pertanto comincia a
gesticolare in maniera farsesca per recuperare la postura.
Poco prima di andarsene si ferma di fronte a me, mi punta un dito verso
il naso e intima nuovamente: “Non una parola, Kuno”.
“Non temere, Tendo. Porterò la tua debolezza con
me nella tomba”.
“... vedi di andare a crepare presto”.
4 luglio 1989
“Senpai?”.
“Favella pure, dolce Akane”.
“Prima che tu vada devo... devo proprio dirtelo”.
“Dirmi cosa?”.
“Sono piacevolmente sorpresa da come tu sia riuscito a
liberarti di quel modo di fare idiota che ti ha sempre contraddistinto.
In questi quattro mesi sei diventato praticamente un’altra
persona. La telefonata di scuse a Ranma, i funerali di Ukyo e Ryoga a
tue spese, il gigantesco mazzo di fiori che hai spedito al Nekohanten
per Shan-Pu... ehi, lo scappellotto potevi evitartelo”.
“Akane sempre ragazza stupida, non smentisce mai se
stessa”.
“Abbi riguardo per chi ha deciso di morire anche per te,
zotica”.
“Kuno... ti ringrazio ma non serviva. So difendermi da
sola”.
“Scusa Akane, non intendevo mancarti di rispetto. Ho solo
pensato di farti cosa gradita”.
“E l’hai fatto. Perché non ti sei sempre
comportato così? Non mi sarei comunque innamorata di te, mi
spiace dovertelo dire, ma il nostro rapporto sarebbe stato molto
migliore. Devo essere onesta fino in fondo, Tatewaki: da quando abbiamo
siglato quel contratto non ho più trovato la tua presenza
sgradevole o irritante. Al contrario. Sono solo rammaricata che ci sia
voluto tutto questo per sfregarti via quella che credevo scemenza
congenita alla famiglia Kuno”.
“Io... io sono onorato che tu abbia voluto chiamarmi per
nome, Akane”.
“Te lo sei guadagnato”.
“Credo di stare per piangere...”.
“Oh santo cielo, no! Devi restare concentrato sul
combattimento, ti prego!”.
“Sì... sì, hai ragione. Scusatemi. Non
mi lascerò più prendere in questo modo indegno
dall’onda dell’emozione”.
“Sei pronto, Tatewaki Kuno? Tocca a te”.
“Sì Jun, sono pronto. Ma prima... Akane,
Shan-Pu...”.
“Che c’è?”.
“Vi prego di ricordarvi di me per quest’ultimo
periodo e non per il resto. Non voglio passare alla storia come il
più squinternato salvatore del mondo”.
Tell the world I'm sorry
for blowing it all away
tell the world I'm sorry
when I'm out of your way |
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Capitolo 5 *** Shan-Pu ***
27
luglio 1996.
Maledizione, fa un caldo
infernale. Ci saranno almeno trentacinque gradi.
E io, invece di starmene al
riparo del ventilatore all’interno, rimango sulla soglia del
Nekohanten ad
aspettarle.
Spero arrivino a breve, sto
cuocendo come uno struzzo.
...
Forza ragazze. Sbrigatevi.
Non mi volete liquefatta sull’asfalto, vero?
Aspetta, forse là in
lontananza...
Oh, eccole. Era anche ora.
Sono pure in ritardo.
Un braccio si alza per
salutarmi e ricambio.
Finalmente ci sono.
“Shan-Pu, ciao”.
“Nabiki, Kasumi. Sono
contenta di vedere che, nonostante i vostri impegni, siate venute anche
stavolta”.
“Come saremmo potute mancare
a un’occasione tanto importante? Men che meno oggi,
su”.
“Scusa, non intendevo
insinuare nulla. Però, fra il tuo lavoro come manager e la
dolce attesa di
Kasumi, pensavo poteste avere qualche difficoltà”.
“Mai come te per imparare la
nostra lingua”.
“In sette anni non sono
ancora riuscita ad abituarmi alla tua lingua lunga, Tendo”.
“Invece di continuare a
battibeccare e sudare potremmo accomodarci, che ne pensate?”
ci dice Kasumi
facendo cenno di entrare.
Come darle torto? Si
schiatta, qua fuori.
Le lascio sfilare perché,
come ogni volta, mi prendo la briga di appendere alla porta il cartello
che ho
tenuto in mano per tutto questo tempo.
Chiuso
per lutto.
Qualcuno penserà che ho una
famiglia numerosa e con una pessima salute.
“A che mese sei, Kasumi?”
chiedo casualmente raggiungendole nella sala grande del ristorante. Nel
sedersi
mi sorride radiosa. Si vede che è davvero felice dello
sviluppo.
“Sesto. Shinichi comincia a
chiedersi perché la sua mamma stia ingrassando
così tanto”.
“È un nanetto sveglio, il mio
primo nipote. Prevedo per lui un futuro sfavillante”.
“Ti ho già detto e ripetuto
che non ti lascerò mettergli le tue manacce addosso se non
lo vorrà. Io e suo
padre non ci permettiamo di decidere per conto suo, figurati se
può farlo la
zia”.
“Ma ha già quattro anni!
Bisogna coltivarli giovani, i virgulti”.
“Smettila. Non è un
ortaggio”.
“Va bene, va bene. Vorrà dire
che cercherò di sedurre Tofu per convincerlo a schierarsi
dalla mia parte”.
“Toccalo e di te non
rimarranno neanche i pezzettini”.
“Ullalà sorellina,
tranquilla. Scherzavo. Il marito è tuo e te lo lascio
volentieri”.
“E tu, Nabiki?” intervengo
per impedire che questo diventi il teatrino delle Tendo “Come
sei messa a
uomini, sempre single?”.
“Sì, cara mia. Non ho tempo
per un ragazzo giocattolo, scalare il mondo della finanza succhia
energie in
continuazione. Una volta arrivata a casa la sera, se anche mi trovassi
nel
letto un superdotato molto voglioso, gli crollerei accanto stremata
dalla
stanchezza”.
Uhm. Intravedo spazio per un
colpo basso: “Ah davvero? Kasumi, dici che faccio male se
ripenso a cos’è
successo in questa stessa sala l’anno scorso?”.
Lei mi sorride come una
faina. Ogni tanto faccio fatica a ricordarmi che Kasumi Tendo, pur
essendo
rimasta grosso modo la stessa persona di allora, ha acquisito una
notevole dose
di malizia. “No Shan-Pu, fai benissimo. Chi se la scorda
quella lacrima
solitaria al solo pronunciare il nome di un certo
kendoista...”.
“Ancora con quella storia,
voi due?” commenta, più finto-scocciata che
arrabbiata “Vi ho già detto che mi
era entrata una bruschetta nell’occhio”.
“Casualmente mentre si
parlava di Kuno. Eh, queste bruschette con un tempismo
invidiabile”.
“Shan-Pu, visto che sei
scorretta mi obblighi a tirar fuori...”.
“Non. Farlo”.
“E allora tu lascia stare
l’anno scorso”.
“Tua sorella non può fare a
meno di avere sempre l’ultima parola”.
“Già. Sempre stato così,
sempre così sarà”.
“Va bene. Che ne dite se
pranziamo?”.
“Non potrei essere più d’accordo.
Ed essendo questo l’ultimo anno...”.
Si incupiscono di botto e non
è difficile capire il perché. Settimo anno,
settimo eroe.
“...oden. Che a luglio è un
mezzo suicidio, ma resta il piatto preferito di Akane”.
“È già tutto pronto. Vado a
prenderlo, così ve lo servo”.
“Grazie”.
Mi dirigo verso la cucina e
non riesco a evitarmi di buttare un occhio indietro sulle mie uniche
clienti.
Si parlano sottovoce. Probabilmente stanno avendo delle reminescenze
sulla loro
compianta sorella minore.
Dentro di me sorrido nel
pensare a come noi tre siamo giunte a questo bizzarro stato di cose.
1
settembre 1989.
Vago
con poca voglia per la sala del Nekohanten. L’ho preso in
mano sin da quando la
nonna è mancata.
Senza
Ranma sono venuti meno gli obblighi che avevo verso le leggi. Neanche a
Joketsuzoku possono costringermi a sposare un morto.
Quindi,
libera da ogni costrizione, potevo incredibilmente scegliere da me cosa
fare
della mia vita. E ho trovato doveroso portare avanti questa
attività, anche
perché motivi di tornare a casa non ne avevo tanti.
Sì, un po’ mi mancano
l’aria del villaggio, le vecchie amiche, le facce note che mi
sorridevano... ma
anche qui, tutto sommato, non sto poi così tanto male.
E
poi, considerata la sequela di fallimenti che ho rimediato con la
faccenda del
matrimonio, non so se e quanto mi avrebbero sorriso.
Questo
posto è troppo ampio per una sola persona. Mi sento
terribilmente vuota.
Prima
di questo macello avevo uno scopo: sposare Ranma. Avevo al mio fianco
la nonna
che, pur non potendo ambire al premio di Migliore Sostitutivo
Genitoriale, era
comunque una presenza che mi amava e pensava al mio benessere. O a
quello che
tale credeva.
Infine
c’era Mu-Si.
Sì
sì, lo so, l’ho sempre considerato come uno
stivale bucato. E, al contrario di
uno stivale bucato, sapeva essere davvero irritante.
Eppure,
ora che non c’è più, mi rendo conto che
anche quella fastidiosa esistenza aveva
un suo senso nella mia routine quotidiana. Nonostante tutto mi faceva
comodo
vederlo mentre mi ronzava intorno, cercando vanamente di ottenere un
appuntamento o un bacio o qualcosa del genere.
Era
un toccasana per la mia autostima, ecco cos’era. Aveva il
magico dono di farmi
sentire desiderata, benvoluta, cercata.
Cosa
che da Ranma, tranne rarissime occasioni, non ho mai avuto.
Non
sto dicendo che potesse sperare in un mio ripensamento nei suoi
confronti,
quello no. Non sarebbe mai successo, a costo di farmi torturare. Dico
solo
che... sì, un po’ mi manca. E non lo credevo
possibile.
L’assenza
di quel papero debole e impiccione mi sta pesando. Per far capire a che
livello
sono caduta.
Anche
se ero continuamente frustata dall’insuccesso. Non vivevo una
vita esattamente
realizzata, d’accordo, ma perlomeno puntavo determinata
all’obiettivo.
Ora...
ora la mia bussola giace sotto sei piedi di terra, insieme alla persona
per me
più preziosa. E a un pagliaccio che forse non disprezzavo
poi così tanto,
almeno per gli aspetti benefici che portava.
“Shan-Pu?
È permesso?”.
Chi
disturba? Voglio rimanere sola.
All’ingresso
appaiono le sorelle di Akane Tendo. Malmesse, una sembra abbia appena
smesso di
piangere.
Sono...
Nabiki e Kasumi, forse. Non sono sicura di ricordare i loro nomi.
Me
ne deve fregare qualcosa, onestamente?
“Cosa
voi volete?” chiedo sprezzante, sperando di far capire loro
che non è il
momento adatto qualunque sia la ragione che hanno in testa.
Una,
quella che mi pare si chiami Kasumi, rimane indietro mentre
l’altra si avvicina
a me. Automatico è il mettermi in posizione di difesa. So
che loro non
conoscono le arti marziali, ma è stato l’inconscio
ad agire.
“Shan-Pu,
calmati. Non siamo di certo venute per attaccar briga, anche
perché ci
suoneresti come due tamburi”.
“E
allora perché voi qui?”.
“È
semplice: abbiamo solo voluto portarti di persona le nostre
condoglianze”.
“Condoglianze?
A... a me?”.
Non...
non capisco. Io ho cercato in parecchie occasioni di fare del male ad
Akane, a
volte persino per ucciderla o almeno per buttarla su una sedia a
rotelle.
E
adesso vengono appositamente a fare questo.
“Nabiki...
tu Nabiki, giusto?”.
“Sì,
sono Nabiki. Speravo ti ricordassi meglio di me, visto che per un
po’ sono
stata la Tendo fidanzata con Ranma”.
“Nabiki,
questo stupido da parte vostra. Io è sempre stata ostile e
scorretta verso
vostra sorella. Perché voi pensato di farmi
piacere?”. Cavolo, se davvero
voglio restare in Giappone sarà il caso che impari a parlare
decentemente la
lingua. Mi devono aver scambiato per una cavernicola.
Sul
suo volto nasce il sorriso più sbruffone che abbia mai
visto. Incrocia le
braccia al petto prima di rispondermi: “Oh beh, scusaci tanto
se abbiamo voluto
essere amichevoli con qualcuno che, esattamente come noi, ha perso in
quel modo
assurdo delle persone importanti. Non ci verranno più
trovate così bislacche,
non temere”.
No...
La
osservo: non è arrabbiata. O meglio, cerca di trasmettere
quella sensazione ma
non mi frega. Leggo nei suoi occhi...
Sofferenza.
Mancanza. Privazione.
Mi
sembra di star guardando in uno specchio deformante.
“Pare
che la nostra venuta non sia di tuo gradimento. E va bene, togliamo
subito le
tende. Kasumi, vogliamo andare?”.
Io...
io...
Perché...
sento l’impulso di afferrarle il polso e trattenerla?
Cedo
al suddetto impulso.
“Che
fai!” mi chiede, sconcertata.
“Scusa.
Io non voleva essere cafona, io solo... stupita da vostro gesto. Ma
capisco e
ringrazio”.
“Non
serviva essere così diretti. Un «grazie»
sarebbe bastato e
avanzato”.
“Volete...
volete sedervi?”. Allungo la testa anche verso
l’altra per farle capire che
l’invito è valido per entrambe. Col mio modo
sgangherato di esprimermi meglio
non dare troppo per scontato.
Accettano.
E
nella successiva mezz’ora scopro che non sono affatto un caso
particolare, che
ci sono altri a sentire una voragine al centro del proprio petto.
Non
mi sarei dovuta meravigliare, in realtà. O davvero
pretendevo di essere l’unica
che ne avrebbe sentito la mancanza?
Ma
devo essere franca. Io ho un ulteriore motivo per starci male: ero
presente, in
carne ed ossa.
I
miei occhi hanno visto tutti loro. Dal primo all’ultimo.
Quelli di cui non
m’interessava granché, come Ryoga e Kuno; quelli
che mi hanno spezzato il
cuore, come la nonna e Ranma; quelli... quelle per cui ho provato un
viscido
brivido di piacere, come Akane e Ukyo. E Mousse che fa categoria a
sé.
Sì,
non esito a definirmi viscida. A sipario calato mi rendo conto che
essere
felice di vedere due tue coetanee morte per una specie di gioco al
massacro
senza senso fa di me una persona poco raccomandabile, se non peggio.
Non
nego i miei sentimenti di quegli attimi. Però posso
rimproverarmi per averli
avuti.
Sono...
sollevata. Un pochino sollevata.
Non
ci diciamo poi molto, il nostro è un incontro fra spiriti
spiegazzati che hanno
bisogno di essere rimessi in sesto e per farlo, il più delle
volte, basta solo
un gesto o uno sguardo. Ma l’averle vicino, seppur solo a
livello fisico, basta
a tranquillizzarmi un po’.
Pur
con la differenza di cui sopra, loro due sono nella mia stessa
situazione:
persone che hanno visto qualcuno di caro, nel loro caso la parente
più prossima
rimasta dopo il padre, svanire da un giorno all’altro dalle
loro vite.
Che
mi piaccia o no siamo anime affini, che hanno probabilmente passato
crisi di
pianto simili e lo stesso aggirarsi senza meta per le stanze di casa.
Forse,
lasciandoci alle spalle vecchi rancori e ruggini che allo stato attuale
non
servono davvero a nulla se non ad allargare la ferita, possiamo
aiutarci a
vicenda a superare il trauma. O almeno a renderlo un po’ meno
doloroso.
Sopra
le nostre teste si stende una finissima coperta di serenità.
Sottile e facile
allo strappo.
Ci
salutiamo promettendoci di non interrompere i contatti.
Chiudo
la porta del ristorante con qualcosa che può forse, in
qualche storia strana,
assomigliare ad un piccolo sorriso.
8
marzo 1990.
“Voi...
voi molto carine a passare con me anniversario di morte di Ranma qui a
Nekohanten. Anche se ero fidanzata straniera che cercava di togliere di
mezzo
vostra sorella...”.
“Shan-Pu,
ormai è acqua passata. Ranma e Akane sono morti. Non ha
senso, per noi rimasti
di qua, tenere accesi i tizzoni di qualcosa che non esiste
più dalla dipartita
di quasi tutti i suoi protagonisti”.
“Tu
ha ragione, Nabiki. È che io mi sento così...
svuotata di fronte a idea che
lui... non c’è più...”.
“Se
accetterai la cosa che io e Kasumi abbiamo architettato dovrai farci
l’abitudine, temo”.
“Quale
cosa?”.
“Pensavamo
di rendere quest’occasione speciale una sorta di piccola
cerimonia per noi tre
sole. Di ritrovarci ogni anno, all’anniversario di ognuno di
loro sette, per
una breve commemorazione. Qualcosa di intimo, privato ma con cui dimostriamo loro che, almeno per una
volta in dodici
mesi, non li abbiamo dimenticati”.
“Oh.
Beh, io non potere negare che idea... è triste ma
bella...”.
“Grazie,
ma è principalmente merito suo. E ascolta Shan-Pu, bisogna
fare qualcosa per
questa tua gravissima carenza”.
“C-cosa?
Cosa avere fatto io?”.
“Spiegami
come fai a gestire un ristorante a Nerima, Tokyo con quel tuo delizioso
balbettare e il mangiarti le parole”.
“Mia
lingua poco scorrevole...”.
“Appunto.
Così non va per niente. Da domani aspettati una mia visita
pomeridiana ogni
giorno, inclusi festivi e domeniche”.
“Nabiki,
io credo che tu esagera”.
“E
io credo che tu chiuderai baracca e burattini a breve se non impari a
esprimerti come i kami comandano. Diavolo, Mousse e tua nonna avevano
imparato
l’idioma locale in tipo dieci minuti”.
“Io
mai stata brava in queste cose”.
“E
lo vedo. Su, togliti quel musino triste. Non ti porto a fare
flessioni... ora
che ci penso, potresti essere tu a portare me a fare flessioni per
dispetto.
Comunque, intendevo dire che non sarà il supplizio che ti
immagini. Si tratta
di imparare la lingua del posto dove abiti. E sarà gratis”.
“Va...
va bene...”.
...
“Shan-Pu,
raccontaci del suo combattimento. E dei suoi ultimi momenti”.
“Kasumi...
tu sicura di volere sapere?”.
“Sei
l’unica persona sulla faccia della terra che sa davvero
cos’è successo nei loro
istanti finali. Non vorrai mica tenerti tutto per te”.
“E
di cattiverie verso la famiglia Tendo e i suoi rappresentanti ne hai
già fatte
abbastanza, non ti pare?”.
“Avete
ragione. Se vogliamo fare questa cosa assieme è giusto che
voi sapete”.
“Allora
prego. Parla”.
“Lui
è... è stato grande. Scontro durato qualcosa come
quattro minuti, massimo
cinque. Avversario, che aveva detto essere esperto di krav maga o nome
del
genere, è stato sbatacchiato qua e là come
straccio. Finito lui con Hiryu
Shoten Ha gigante. Poi Ranma girato verso di noi, sorriso, fatto
pollice di
vittoria e crollato a terra. Vostra sorella distrutta da dolore, preso
lui e
portato a casa. Ma questo già sapete”.
“Sì,
ricordiamo. Non ho mai visto Akane piangere così tanto in
vita mia. Meno male
che quei due sono riusciti, prima, a...”.
“Nabiki!
Ti sembrano cose da dire di fronte a lei?”.
“Dire
cosa?”.
“Niente,
niente”.
“No,
io ora vuole sapere”.
“Ecco,
complimenti. L’hai combinata. Shan-Pu, adesso è
troppo presto per rivelartelo.
Soffriresti come un cane per niente. Dacci, e datti, un po’
di tempo”.
“Ma
io volere...”.
“Fidati,
è meglio così”.
I no longer have a choice but to pretend
I am brave
for a soldier has to be brave
12
aprile 1991.
“Accidenti
Shan-Pu, devi aver spignattato ore ed ore per preparare tutte queste
okonomiyaki”.
“Un
po’ sì, lo ammetto. Ho affrontato compiti meno
difficili”.
“E
poi gli ingredienti. E la tecnica. Come hai fatto a...”.
“Questa”.
“Una
chiave?”.
“È la
chiave per entrare all’Ucchan. Ukyo ha avuto la brillante
idea di lasciarla a
me. Al tempo la consideravo una scocciatura e basta. Non credevo mai
sarebbe
potuta venirmi utile per... questo”.
“Sì,
ma resta comunque che tu non hai mai cucinato okonomiyaki prima
d’ora”.
“Difatti
non sono del tutto sicura siano mangiabili e se per caso vi doveste
sentire
male sapete di chi è la colpa. Ma ho comunque potuto
intrufolarmi là dentro e,
attraversate balle di fieno e ragnatele, entrare in possesso di
ciò che considerava
i suoi tesori più preziosi: salse, impasti, attrezzi, il
manuale su come
prepararle...”.
“Mi
fa piacere che tu abbia avuto quest’idea”.
“Perché
no, Kasumi? Da una parte fa sempre bene per me, che ormai mi sono
riciclata
come cuoca, tenermi in esercizio. Dall’altra non ho
seriamente nulla in
contrario. Se ho accettato di ricordarli non vedo perché non
dovrei preparare i
loro piatti preferiti a nostro uso e consumo”.
“Oh
Shan-Pu, non sai che piacere per le mie orecchie sentirti esprimere
concetti
chiari e con un modo di parlare finalmente comprensibile. Vedi che non
è stata
la tragedia che temevi?”.
“Hai
ragione, sì. Non mi ero mai davvero posta il problema di
imparare la vostra lingua.
Ora sono molto più agile nelle conversazioni... e di questo
ringrazio te”.
“Ci
mancherebbe. Era anche per noi due, che facevamo una fatica del diavolo
a
capirti”.
“Penso
che Ukyo sarebbe contenta di sapere che hai fatto tutto questo in
memoria sua”.
“Lo
credo anch’io, Kasumi. I vostri rapporti non erano proprio
idilliaci, ok... ma
quel che è stato è stato. È anche un
modo per lasciarsi il passato alle spalle
rispettandolo e onorandolo”.
“Non
parlare aulico, Nabiki. Ti si rovina l'aura di predatore”.
“Mpf.
Forse il giapponese te l’ho insegnato fin troppo
bene”.
“Mangiamo,
su”.
...
“Shan-Pu,
se volessi raccontarci anche di lei...”.
“Certo.
All’epoca, dentro di me, ho provato un sentimento che non mi
fa rendere
particolarmente fiera di com’ero. Sono stata un po’
felice nel vederla
accasciarsi. Una felicità immotivata, a ben guardare, visto
che il pomo della
nostra discordia l’aveva preceduta dentro una cassa da morto.
Al contrario di
Ranma ha trovato parecchie difficoltà, ma non ha mai pensato
di mollare un solo
istante e alla fine è riuscita a vincere. Purtroppo, e di
ciò mi rendo conto
solo ora, ha dovuto chiudere la questione in maniera piuttosto... come
dire...
barbara perché è stata costretta a piantargli un
coltello nel cuore. Non un
bello spettacolo, ve lo assicuro”.
“...
dici sul serio?”.
“Ahimè
sì, dico sul serio. Come posso dimenticarmi di Jun che, con
la sua faccia
inespressiva, le intimava di concludere perché
l’altro era ancora vivo?”.
“Oh
santo cielo, che orrore”.
“Ho
avuto occasione di riflettere sulle motivazioni che hanno spinto quei
sette
pazzi a fare quel che hanno fatto. E nel caso di Ukyo penso si fosse
trattato
principalmente del suo amore non corrisposto per Ranma. Prima che mia
nonna mi
mettesse fuori uso, consentendomi di essere qui oggi per potervi
parlare di
tutto questo, avevo considerato la possibilità e mi sono
trovata a pensare
quello che probabilmente ha pensato anche lei: se non posso averlo e
lui sta
andando a morire, tanto vale che vada a morire anch’io.
Soffrirò di meno”.
“...”.
“...”.
Credi
non ci rivedremo sai
perché non hai capito mai
che amare vuol dire soffrir
che amare vuol dire morir
9
maggio 1992.
“Ieri
è stata una cerimonia splendida, Kasumi. E grazie per avermi
invitata”.
“Mi
sembra il minimo, Shan-Pu. Ormai sei un’amica di famiglia. Mi
spiace solo che
papà non abbia potuto assistere al matrimonio...”.
“Sorella,
non tirar fuori di nuovo quell’argomento. Siamo qui per
parlare di morti e uno
mi basta”.
“Sì,
scusa. Meglio non sovraccaricare troppo”.
“Ancora
condoglianze per la perdita”.
“Grazie,
ma aveva praticamente rinunciato a vivere sin da quando
Akane...”.
“Va
bene, basta così. Piuttosto, cara la mia gattina cinese,
cosa ci hai preparato
questa volta?”.
“Sai,
ammetto di avere avuto qualche problema. Non conoscevo i gusti di Ryoga
in
fatto di cibo, anche considerando che avrà assaggiato di
tutto nei suoi giri
per il paese”.
“E
allora cos’hai deciso?”.
“Mi
sono alzata le maniche e ci ho dato dentro, ma a caso. Aspettatemi qui,
porto il
mega-vassoio”.
“Accidenti.
Ti sei veramente data da fare stavolta: soba, udon, tempura,
sashimi...”.
“Off.
Pesava un quintale. Ve l’ho detto, non sapevo bene e ho
cucinato di tutto un
po’. Naturalmente, se non spazzolate fino a far risplendere i
piatti, mi
offenderò a morte e non vi vorrò mai
più vedere da queste parti”.
“Se
lo dici con quel sorriso extralarge non ti crede nessuno. Dovremo
lavorare
sulle tue doti di ingannatrice”.
“Ricevere
lezioni dalla migliore nel campo non potrà che darmi
vantaggi notevoli”.
“E
la prima lezione è: fare le cose gratis una e una sola
volta”.
“...
fantastico”.
“Su,
omaggiamo la cuoca e usiamo la bocca per qualcosa di più
divertente”.
...
“Non
ho mai mangiato *burp*... scusate... mai mangiato così
tanto. Dopo temo che
avrò bisogno del bagno”.
“Pure
io. Sei stata... immensa, Shan-Pu. Tu e il tuo cibo”.
“Beh,
se è un complimento lo accetto volentieri”.
“Bene.
Esaurita la parte piacevole, veniamo a quella più
triste”.
“Ryoga,
eh... Ryoga è stato uno di quelli che è andato
rapido come un fulmine. È arrivato,
ha maltrattato il suo avversario in lungo e in largo e gli ha dato un
colpo di
grazia rapido e indolore. Anzi no, mi correggo: le ha dato. Si trattava
di una
donna, ad occhio una ninja o qualcosa di simile. E, come saprete meglio
di me,
Ryoga Hibiki non picchiava le donne. Aveva lo stesso difetto di Ranma.
Questo
per dire quanta importanza rivestisse quell’avvenimento per
lui, al punto da
fargli rinnegare per la prima e unica volta il proprio codice
d’onore. Cadendo
morto a terra è riuscito ad urlare, abbastanza forte da
assordarci, che amava
Akane più della sua stessa vita e che quella follia
l’aveva fatta solo per lei.
Oh, e anche che Ranma non era l’unico capace di sacrificarsi
per amore e che
avrebbe risposto colpo su colpo a ogni sua manifestazione di forza.
Cioè, non
proprio mentre cadeva. Ci ha messo più tempo”.
“A
volte mi chiedo perché abbiamo deciso di trovarci qui, anno
dopo anno, per
farci raccontare la cronaca della morte dei nostri amici e
parenti...”.
“Se
siete a disagio posso smettere. È una tradizione che
abbandonerei volentieri”.
“No,
Shan-Pu. Dovrai continuare”.
“Kasumi?”.
“Se
Nabiki si sente schiacciata dal carico che ti porti dentro, la capisco
e non le
faccio una colpa se non vorrà più assistere. Ma
per me non è cambiato nulla,
continuo a voler conoscere le loro storie. Di Akane e dei suoi
compagni, i
paladini che hanno salvato il mondo senza che nessuno a parte noi lo
sappia”.
“Ma,
scusa se te lo chiedo... perché tutta questa morbosa
curiosità?”.
“Semplicemente
lo trovo giusto così. Io e Nabiki siamo le sorelle di Akane
e, in quanto tali,
in pieno diritto di sapere come si sono svolti i fatti”.
“È
la stessa cosa che ha detto Jun una volta... con Kuno, mi
pare”.
“Inoltre
voglio alleggerirti la schiena, che sono sicura sarà sin
troppo incurvata sotto
l’onere di essere stata l’unica testimone. E anzi,
vorrei scusarmi per averti
lasciata sola in quegli istanti. Avremmo dovuto esserci anche noi.
È che
eravamo... sopraffatte dalla paura di assistere”.
“Kasumi,
per favore... capisco benissimo perché non abbiate voluto.
Io stessa, in certi
momenti, non ero sicura del perché stessi lì con
loro, a vederli crollare come
i pezzi di qualche gioco da tavola quando vengono mangiati uno dietro
l’altro.
Quindi non serve giustificarti. Capisco”.
“G-grazie...”.
Oh how I
love you
the pain won't
go away
oh when I need
you
you're always
so far away
I cried for you
leaving myself
to blame
I died for you
I gave up
everything
17
maggio 1993.
“Nikuman...”.
“Mousse
lo conoscevo bene e sono andata sul sicuro, stavolta. Almeno non ho
dovuto
cucinare per sei ore consecutive”.
“Sarà
stato più comodo per te, allora”.
“Indubbiamente.
Mi sono divertita gli anni scorsi, però diciamo che ho
apprezzato il compito un
po’ più facile. Kasumi...”.
“Sì?”.
“Non
che intenda mancarti di rispetto o qualcosa di simile, ma...
perché non sei a
casa con tuo figlio e tuo marito?”.
“Shinichi
e Tofu possono cavarsela da soli per mezza giornata. Questa cerimonia
ha la
precedenza, lo sapete”.
“Temevo
avresti risposto così”.
“Nabiki,
dai. Ne abbiamo parlato anche prima di venire qui al Nekohanten. Eri
d’accordo”.
“E
lo sono. Non mi è concesso fare del sarcasmo?”.
“Ah.
Se lo dici tu”.
“Ok
ragazze, silenzio e mangiate o si raffredda”.
...
“Squisiti.
Stavolta ti sei davvero superata”.
“Grazie,
ma avevo già un sacco di esperienza con quei cosi. La strada
era in discesa”.
“E
adesso sai cosa ti aspetta, Shan-Pu”.
“Uff.
È seccante dover agire da bocca della verità.
Ebbene, Mousse. Uno di quelli che
hanno faticato, ma c’è da dire che il suo nemico
era veramente forte. Abbiamo
seriamente rischiato, quella volta. Ha riportato parecchie ferite e
penso che,
se non fosse mancata la necessità, avremmo dovuto portarlo
in fretta e furia
all’ospedale per non rischiare danni peggiori. Poco prima che
se ne andasse è
successa una cosa di cui, a distanza di quattro anni, mi vergogno
profondamente: era ormai privo di sensi, e di vita, quando ha
cominciato a
guardarmi e ha tentato di dire qualcosa. Non posso essere sicura di
cosa
volesse, ma penso intendesse chiedermi un atto di comprensione, di
affetto,
qualcosa che non lo facesse pentire di quanto gli stava succedendo. E
io, da
brava stronza insensibile, non gli ho dato nemmeno quello. Ho risposto
alla sua
disperata richiesta d’aiuto con freddezza, abbastanza da
spingermi a dargli le
spalle con tanto di verso di sdegno. Ero accecata
dall’idiozia più nera e non
sono riuscita a capire neanche una cosa tanto semplice, cioè
che lui voleva
solo sentirsi apprezzato, al peggio considerato meritevole di esistere
dalla
ragazza che amava e per difendere la quale, questo lo so per certo
perché me
l’ha detto chiaramente qualche giorno prima, aveva preso la
decisione di
combattere. Non ho concesso l’ultimo desiderio a un
condannato a morte perché
credevo, a torto, che non gli spettasse neppure quello. Io... io mi
sono
comportata davvero male con quel poveretto ed è un peso che
mi merito di
portare fino alla fine dei miei giorni, quando forse otterrò
un parziale e non
giusto perdono direttamente dalle sue labbra. O almeno mi piace
sperarlo, ma
non ci conto troppo e comunque non... non...”.
“Shan-Pu,
tu stai piangendo...”.
“Nabiki,
sei sensibile come uno schiacciasassi. Andiamocene, deve rimanere da
sola ora”.
“Sei
sicura? Mi sembra abbia bisogno di...”.
“Andiamo”.
But oh, how I lived
my life for you
still you'd turn
away
now as I die for
you
my flesh still
crawls as I breathe your name
All these years I
thought I was wrong
now I know it was
you
raise your head,
raise your face, your eyes
tell me who you
think you are, who?
24
maggio 1994.
“Ed
ecco per voi una pentolata di ramen. Anche in questo caso tutto
più sbrigativo
per me, dato il soggetto. Era una persona austera e di gusti
semplici”.
“Già...”.
“...”.
“Cosa
sono quelle facce funeree? Gli altri anni non vi siete presentate in
queste
condizioni”.
“È
che... dopo l'ultima volta...”.
“Suvvia,
non sono fatta di cristallo. Ho avuto un momento di debolezza,
è vero, ma è
stata l'eccezione e non la norma”.
“Sì,
però... se hai reagito in quel modo con Mousse... per tua
nonna...”.
“Temiamo
per il tuo stato emotivo, ecco”.
“Tendo
uno e Tendo due, finitela. Non voglio sentirvi cianciare simili
assurdità. Se
non ho manifestato la volontà di smetterla state pur sicure
che ci riesco”.
“Davvero?
Stiamo comunque parlando...”.
“So
di chi stiamo parlando. E vi assicuro che non sarà
più problematica dei
precedenti”.
“...”.
“Ho
idea che siamo costrette a crederle, sorellina”.
“Al
solito Nabiki si dimostra la più pragmatica del duo. Ti
converrebbe darle
retta”.
“Voglio
solo sperare di essermi sbagliata, tutto qua”.
“Stai
tranquilla, Kasumi. Conosco il compito che mi sono assunta e non ho
paura di
affrontarlo. Dai, ora servitevi prima che i ramen diventino
poltiglia”.
...
“Gnam.
Allora, visto che ti senti così baldanzosa... prego, il
palcoscenico è tuo”.
“Resto
pur sempre un'amazzone, Nabiki, e non dico mai di no a una sfida. Mia
nonna...
mia nonna ha dimostrato in pieno la forza e la maestria di cui solo il
mio
popolo può vantarsi. Ha affrontato e sconfitto senza il
minimo problema un
avversario che avrebbe provocato più di un mal di testa
persino a Ranma. E non
lo dico per via della parentela, ve lo giuro. L'aura che emanava
quell'uomo mi
ha spaventata, non era un praticante dell'ultima ora. È che
lei ha davvero
fatto sfoggio della sua netta superiorità, maltrattandolo
come si può
maltrattare un cucciolo quando si è una persona sadica.
D'altronde è sempre
stata così la nonna, poche chiacchiere e tanta azione. E col
destino del mondo
sulla sua piccola mano ha preferito non correre rischi inutili,
chiudendo la
pratica nel minor tempo possibile. Se non ricordo male Akane ha anche
commentato ad alta voce il suo essere sbalordita da quanto aveva appena
visto,
aggiungendo che se fosse stata così quando ha affrontato
Ranma lui non avrebbe
avuto il minimo scampo. Poi, com'era nel suo stile, non ha voluto
celebrare più
di tanto limitandosi... anzi no, non ha fatto nulla. Immagino che, pur
soddisfatta di aver vinto così velocemente, non fosse poi
entusiasta all'idea
di morire lì. Ci ha salutate e plof, cascata sul
posto”.
“...beh, tutto qui? Sul serio?”.
“Cosa
pretendevi, la sua biografia completa?”.
“No,
ma era pur sempre tua nonna”.
“Guarda
che, alla quinta volta in cui vedi gente morire praticamente senza
motivo,
cominci a desensibilizzarti. Credo lo si possa considerare un sistema
inconsapevole per difendersi dalle continue badilate d'orrore che
quella
simpatica gara per la sopravvivenza ti lanciava addosso. O almeno, io
la
interpreto così. E comunque sono passati cinque anni,
neanche mi fa bene
rimanere troppo attaccata a chi non c'è
più”.
“Anche
questo è ben vero. Però, nonostante tutto, io
pensavo avresti dato più in
escandescenze”.
“Così
saresti potuta tornare all'antico amore del piccolo ricatto casalingo?
Sogna,
Tendo. Ti è venuta nostalgia di com'eri a scuola, per
caso?”.
“Eh,
un po' sì. Fare lo sciacallo a livelli più alti
è proficuo oltre ogni dire, ma
non c'è assolutamente la stessa soddisfazione personale.
Certa gente che ho
quasi mandato sul lastrico manco so che faccia abbia”.
“Santo
cielo Nabiki, parli di cose tanto gravi con una
leggerezza...”.
“Cosa
ti devo dire, sorellina? La dolcezza della mamma è andata
tutta a te, a me è
finito l'istinto del killer e ad Akane la violenza fisica. Qualcuno
potrebbe
pensare che sia stata una spartizione ingiusta ma io non me ne lamento,
sto
bene così”.
Every step I take
every move I make
every single
day
every time I pray
I’ll
be missing you
Thinking of the day
when you went away
what a life
to take
what a bond to break
I’ll
be missing you
4
luglio 1995.
“Penultima
tappa. Il tempo è davvero volato. Mi sembra solo ieri che,
col tuo giapponese
pericolante, stavi per mandarci via da questa sala...”.
“Nabiki,
ma veramente. Il tatto chi te l'ha insegnato, lo stregone delle
fiabe?”.
“Cos'ho
detto che non va ora? Ho solo fatto una constatazione. E ci ho messo
pure della
malinconia, contro il mio miglior giudizio”.
“Non
litigate, sorelle birbanti, e gustatevi la delizia che ho fatto con le
mie
manine”.
“Che
cos'è questo piatto, Shan-Pu?”.
“Chiedilo
a lei, Kasumi”.
“Perché
dovrebbe chiedermelo?”.
“Perché
tu sai bene, forse meglio di me, cos'ho cucinato per l'occasione. Vero,
cara la
mia «non c'era niente fra noi»?”.
“Non
ti azzardare a...”.
“Devi
sapere, Kasumi, che questi sono funghi matsutake e, come da tradizione,
erano
il cibo preferito della persona che oggi celebriamo. C'è
però un problema:
costano un rene al chilo e da sola non me li sarei mai potuta
permettere.
Indovina chi ha generosamente offerto di pagare di tasca propria. E non
parliamo di chi mi ha dato l'informazione a monte, che io di certo non
lo
sapevo di mio”.
“Shan-Pu,
hai appena commesso il peggior errore della tua vita”.
“Non
direi. Siamo solo pari con Mousse, io e te”.
“Credici”.
“Non
mi riesce difficile. E ricordati, anche se ormai ho preso la muffa in
mezzo ai
fornelli sono ancora perfettamente in grado di gonfiarti come una
zampogna”.
“Ok
voi due, sedetevi e fate le brave bimbe. Non costringetemi a usare
adesso gli
stessi metodi educativi che applico con Shinichi”.
“Signorsì
signora”.
“Farò
la brava, prometto”.
“Eccellente.
Vogliamo mangiare?”.
“Tua
sorella sa passare da uno sguardo angelico a un ghigno satanico, e
viceversa,
in un battito di ciglia. Mi fa impressione”.
“Ha
imparato di recente. Prima il ghigno satanico le mancava completamente.
È da
quando conosciamo te che... mh...”.
“No,
io non c'entro nulla di nulla”.
“Mangiamo”.
...
“Ottimi.
Davvero ottimi”.
“Ci
sarebbe mancato, con quello che li ho pagati”.
“Nabiki,
poi non meravigliarti se...”.
“Silenzio,
Kasumi. Tocca a lei parlare”.
“Oh
guardate, su Kuno ammetto che c'è parecchio da dire. Anche
se una di voi due,
firulì firulà, sa già quasi tutto. E
no, lo sguardo da psicopatica non mi fa
alcun effetto, è giusto che sia di pubblico dominio.
Comunque... Kuno,
nell'ultimo periodo, aveva subito una metamorfosi che ha
dell'incredibile. Ma
realmente incredibile. Linguaggio gonfio di nulla a parte, non aveva
quasi più
niente dell'eccentrico nobiluomo dal cervello fritto. E anzi si era
reso
protagonista di una serie di atti inaspettati e, proprio per questo,
ancora più
meritevoli. Presumo lo sappiate ma si è fatto carico dei
funerali di Ukyo e
Ryoga, che poveri loro non avevano nessuno a cui potersi rivolgere per
quel compito. Ha telefonato a casa vostra e ha parlato con Ranma
chiedendogli
scusa per tutte le volte in cui l'ha aggredito senza motivo, e questo
so che lo
sapete. Ha persino pensato a me, che come chiunque con un minimo di
senno
l'aveva maltrattato e deriso sempre e comunque, mandandomi un mazzo di
fiori
abbastanza grande da sommergere una persona di media statura. L'ha
fatto solo per
mostrarmi la sua vicinanza e la sua comprensione dopo la nonna e
Mousse. E io
come l'ho ripagato? Comportandomi come una stronza, naturalmente. Non
l'ho
degnato neanche di un saluto mentre, pestato e sanguinolento, arrancava
in
mezzo alla terra alla ricerca di un ultimo saluto da parte della sua
amata
Akane. Certo che, a ripensarci a mente fredda, questo era un tratto
comune in
parecchi di loro. Anime in pena che volevano soltanto sentirsi
contraccambiate
nei loro sentimenti, nel caso di Mousse sarebbe bastato un cenno da
parte mia
per renderlo l'anatra più felice del pianeta. E quando hanno
pensato o
sospettato che non lo avrebbero mai ottenuto... hanno preferito l'oblio
e
un'uscita di scena piena di gloria e tristezza. Comincio a temere che
non ci
meritiamo di essere qui, oggi...”.
“Non
dire fesserie, Shan-Pu”.
“Kasumi?”.
“Se
hanno scelto così vuol dire che ci ritenevano degne di
proseguire al posto
loro, noi come i nostri parenti come dei perfetti sconosciuti. Solo dei
suicidi
gettano via la propria vita senza alcun motivo e, per quanto alcuni di
loro
fossero in una situazione non proprio piacevole, nessuno aveva
realmente
intenzione di farla finita. Almeno questo è ciò
che credo e che mi piace
pensare. Quando sarà un po' più grande
racconterò a Shinichi di sua zia, del
suo quasi zio acquisito e dei loro coraggiosissimi amici. Gli
insegnerò a
essere grato per la vita che vivrà e per la quale
dovrà rivolgere a quei sette
eroi una preghiera ogni singolo giorno. È per cose come
questa, per concedere a
me e a chissà quanti altri la possibilità di
essere genitori che Akane, Ranma e
tutti gli altri si sono immolati e non dubito per un solo istante che
dall'aldilà ci stiano sorridendo, soddisfatti di vedere che
il loro gesto
estremo è servito”.
And the sun will
set for you
the sun will set
for you
And the shadow of
the day
will embrace the
world in grey
And the sun will
set for you
Uh?
Cacchio,
che flashback lungo. La prossima volta che parti per la tangente
potresti anche
avvisarmi, cervello. Gradirei.
Devo
proprio ringraziare la nonna. Anche gli altri, tutti gli altri, nessuno
escluso. Ma la nonna in particolare perché è
stata lei a farmi perdere i sensi,
a impedirmi di poter commettere una sciocchezza.
No,
non una sciocchezza. È scorretto dire così. Manco
di rispetto nei loro
confronti e l'ho già fatto a sufficienza, ma ora ho
abbastanza sale in zucca
per evitarmelo.
Diciamo
che mi asterrò da un qualsiasi giudizio. Hanno fatto la loro
scelta in libertà
e l'hanno portata avanti. Non sta a me dire se erano nel giusto o no.
Ma, in
tutta onestà, sono solo contenta di essere qui adesso.
Quella famosa storia
della bussola... forse non ne ho trovata un'altra, non ancora. Ma mi
sento
molto meno in balia delle onde rispetto a prima.
Tanto
per cominciare ho delle amiche. Delle vere amiche. Qualcuno che si
è avvicinato
nel mio momento più basso e mi ha teso la mano in maniera
completamente
disinteressata, con il solo scopo di aiutarmi a uscire dalla fossa che
mi stavo
scavando da sola.
...ok
Shan-Pu, ora non mettere quelle due su un piedistallo: è vero che
volevano
sostenermi, non lo nego, ma credo che esattamente come me cercassero
una spalla
che potesse realmente capirle, che potesse realmente comprendere il
tornado che
le stava inghiottendo. Per fortuna di entrambe le parti l'hanno trovata.
E poi,
osservandole semi-nascosta dalla porta, mi arriva una ventata di
serenità mentre
si prendono in giro come bambine delle elementari. Specialmente Nabiki
verso lo
stato interessante della sorella, continuando a fare battute su come il
nuovo
membro della famiglia sia stato concepito... sì, le chiede
le posizioni. No,
dubito lo faccia per spirito d'emulazione. Inoltre il partner dei suoi
sogni è
morto.
...mi
pentirò di quanto sto pensando, lo so. Ma quel che
è giusto è giusto: Nabiki
Tendo, in quanto lei, non è in grado di amare qualcuno che
non faccia parte
della sua strettissima parentela. Quindi, per quel che ne so, i
fortunati sono
Kasumi, Akane e i suoi genitori. E di tutti loro solo la prima le
è ancora
vicino. Kuno non rientra nel limitato circolo, anche se è
fuori discussione che
un piccolo debole per lui ce l'avesse. I funghi parlano da soli. Ma non
indagherò oltre, diventa acida quando si tira fuori
l'argomento Tuono
Blu.
Io?
Sto cercando di rimettere assieme i miei cocci. Quell'evento ha
spazzato la mia
vita precedente, riducendola a un cumulo di macerie fumanti da cui
è difficile
ricostruire qualcosa. Persa la donna che mi ha fatto da madre
praticamente da
quando sono nata, perso... il mio migliore amico, perso l'uomo che
avrei dovuto
sposare. Non è cosa semplice trovare una direzione su cui
instradarsi. Ma per
ora posso ritenermi tutto sommato soddisfatta, ho raggiunto un piccolo
equilibrio abbastanza stabile e che mi consente di guardare al futuro
con
moderato ottimismo. Visto il periodo da cui sto lentamente uscendo non
mi va
neanche di lamentarmi.
Ok,
basta rimuginare. Adesso porto l'oden di là e concludiamo la
nostra triste
maratona.
...
“Ormai
sei una cuoca al livello delle migliori, Shan-Pu” mi dice
Nabiki mentre finisce
di spazzolarsi il piatto. Noto che avevamo fame, signorina in carriera.
“Ho accumulato parecchia esperienza in questi ultimi anni. Oltre a dover
imparare a far girare il ristorante da sola... beh, queste occasioni
speciali
mi hanno permesso di sperimentare con pietanze che altrimenti non avrei
mai
toccato”.
“Modesta
la ragazza. Quando comincerai ad esporre i premi culinari che ben
presto andrai
a vincere in giro per tutto il paese?”.
“Non
sei spiritosa, Tendo. Per nulla”.
“Bimbe,
a cuccia. E meno male che è l'ultima volta, mi stavo anche
un po' stufando di
riprendervi sempre. Se adesso Nabiki volesse farci il piacere di star
zitta...
ecco, grazie. Vai, Shan-Pu. Come puoi facilmente capire, la persona di
oggi ci
è particolarmente cara”.
“Chissà
come mai. No scusa, sarcasmo fuori luogo. Mi sembra ovvio che siate
più
coinvolte del solito. Quindi Akane. L'ultima dei sette. Quella che, per
certi
versi, ha sostenuto la prova peggiore. Perché, devo essere
sincera, non oso
pensare a come dev'essersi sentita in quei quattro mesi vedendo i suoi
compagni
morire uno dopo l'altro. Io, al posto suo, mi sarei suicidata
dall'angoscia
prima del tempo. Lei invece, non so come, è riuscita a tener
duro e ha
combattuto come una leonessa quando è stato il suo turno. Ha
preso e dato botte
in grandi quantità, lei e il suo avversario erano
più o meno sullo stesso
livello. Ciò in cui differivano era la resistenza: vostra
sorella non stava
giù, non importava quanto quell'energumeno potesse provare a
stenderla. Si
rialzava, il fuoco negli occhi, si asciugava il sangue dalla bocca e si
rigettava nella mischia. Alla lunga tanta tenacia ha pagato: ha
sorpassato le
difese nemiche e il suo ultimo pugno ha sancito la fine dello scontro.
Prima di
lasciare questo mondo si è concessa un pianto liberatorio e
ricordo, ricordo
come fosse ieri che moriva felice perché, nonostante mille
dubbi e incertezze
sulla propria forza, era riuscita a non vanificare lo straordinario
valore e
coraggio di chi l'aveva preceduta. Da brava bastarda ho reagito a
questa cosa
ridendo come una iena, sprezzante della sua fatica e del suo
sacrificio. Ma
credo lo sappiate, vi ho fatto presente fino allo sfinimento che non mi
sono
comportata granché bene in quei frangenti. Almeno ho avuto
il buonsenso di non
lasciarla lì, ma davvero avrei superato ogni limite di
decenza se lo avessi
fatto. Però ammetto che mi è scappato uno sbuffo
mentre la raccoglievo da terra
e trasportandola non sono proprio riuscita a trattenere...
sì, viscido
brivido di piacere è
la descrizione più appropriata. Vi devo assolutamente
chiedere ancora scusa, a voi e soprattutto a lei. E un po' a tutti
loro.
Avrebbero meritato un testimone migliore di me”.
Cala
un silenzio pesante, scomodo. Non è successo spesso da
quando abbiamo
approfondito così tanto il nostro rapporto. Ho idea che mi
stiano giustamente
maledicendo per la mia idiozia passata e per come l'ho trattata.
Me lo
merito. Me lo merito tutto. È giusto che ingoi in silenzio.
No stupida Shan-Pu,
non ti lamenterai e non dirai niente per giustificarti. Sei in torto
marcio.
Zitta.
Muta. Non una parola.
E
abbassa la testa. Fallo. Ecco, così. Brava.
“Shan-Pu...”
esordisce finalmente Nabiki, e ho il terrore di quello che potrebbe
dirmi “...smettila di punirti”.
Eh?
Nabiki,
io... ho virtualmente calpestato la tomba di vostra sorella. Se ce
l'avessi
avuta davanti l'avrei fatto pure fisicamente.
“Come...
come hai detto?”.
“Ho
detto che non serve continuare a fustigarsi. È vero, sei
stata una schifosa di
notevole livello... abbassa le mani Kasumi, per favore fammi finire.
Dicevo che
sì, sei stata una schifosa. Ma è passato.
Sepolto, esattamente come lo sono
loro. E non puoi neanche macerarti nel rimorso per sempre,
perché te lo si
legge in faccia che sei pentita. A me basta questo per mettere una
pietra sopra
all'incidente. Avevi sedici anni e a quell'età si pensano un
sacco di cose che,
viste col senno di poi, ti farebbero venir voglia di ficcare la testa
sottoterra e lasciarcela. Tu cosa dici, sorella? Ti sembra che la
nostra cinese
preferita abbia espiato abbastanza?”.
Al che
Kasumi sorride e... santo dio, quel sorriso cancella il male dal mondo.
Finisce
di pulirsi la bocca, appoggia il tovagliolo e finalmente emette la sua
sentenza: “Sono d'accordo con te, Nabiki. Hai agito male,
Shan-Pu, e questo lo
sappiamo tutte e tre. Ma nel frattempo hai messo la testa a posto e ti
sei
accorta di cosa non andava, anche se non potevi far nulla per
correggerlo. Il
solo fatto che tu, in questi ultimi sei anni, abbia cucinato per loro
nell'anniversario della loro morte ti toglie parte della colpa per come
ti sei
comportata. Ed è stata un'idea tua, noi avevamo solo
suggerito di ritrovarci
tutte assieme. Vivere legata al passato non ti fa bene ed è
anche, sebbene
indiretta, una mancanza di rispetto nei loro confronti
perché stai dando più
importanza a quel che era, cioè qualcosa di brutto, rispetto
a quel che è. E
quel che è ora è una ragazza pentita e che, se
potesse, aggiusterebbe il
problema o almeno ci proverebbe. Dubito tu e Akane o tu e Ukyo andreste
d'amore
e d'accordo se fossero ancora fra noi, ma per come sei oggi sono sicura
avreste
meno motivi di contrasto. Che, detto in parole più semplici,
vuol dire che vi
limitereste a tirarvi i capelli e a prendervi a borsettate invece di
usare
shampoo ipnotici o qualche diavoleria delle tue. Tutto questo, in
conclusione,
per dire che ti sei guadagnata almeno un po' di pace e un piccolo
perdono. Io e
mia sorella ci prendiamo la briga di accettare le tue scuse per conto
di chi
non c'è più”.
“Non
avrei saputo dirlo meglio, Kasumi. E io che credevo di essere quella
con la
parlantina in famiglia”.
“Fa
sempre piacere prenderti in contropiede. Però ho
pensato...”.
“Cosa?”.
“Che
Shan-Pu si merita comunque una piccola punizione”.
“Chi
sei tu? Che fine hai fatto fare a Kasumi Tendo in Ono?”.
“Mi
stupisci, Nabiki. Come può una persona attenta come te non
essersi accorta che
sono, meraviglia delle meraviglie, cambiata in questi sette
anni?”.
Cominciano
a battibeccare. Trattengo un risolino, sollevata da quanto mi sono
sentita
dire. Forse anche una persona orribile come me può ottenere
qualcosa di buono
dalla propria vita. E, come sempre, mando un ringraziamento silenzioso
a Ranma,
a Mousse, alla nonna, a Ryoga, a Kuno, ad Ukyo... e sì,
naturalmente anche ad
Akane. Devo a loro questa possibilità.
Quando
poi le Tendo dirimono le questioni personali...
“Dicevamo,
Shan-Pu. Ti ricordi di quella cosa che era saltata fuori un bel po' di
tempo
fa? Forse addirittura la prima volta, con Ranma”.
Mi
gratto il mento, sinceramente spaesata. Ricordo tante cose di
quell'occasione,
ma niente che potrebbe causarmi dispiacere: “Veramente no. Di
cosa stai
parlando, scusa?”.
“Ragazza
smemorata. Questa lingua lunga di mia sorella si stava lasciando
sfuggire un
fatto che ti avrebbe definitivamente spezzato il cuore, all'epoca. E
che adesso
farà comunque i suoi buoni danni”.
“Si
può sapere a cosa ti riferisci?”.
“Vedi,
Akane e Ranma hanno... consumato prima del combattimento di
lui”.
“Consumato?”.
“Mi
vuoi costringere a essere volgare, per caso? Capisci
l'allusione”.
“Hanno
fatto sesso, ok?”.
Scoppio
a ridere. Sarebbe questa la notizia funesta?
“Ti
sei rimbecillita dal dolore, Shan-Pu?”.
“Ahahahahahahahahahahahahahah. No, ma le comiche. Sul serio?”.
“Insomma,
finiscila!”.
Cerco
di calmarmi ma quest’ondata di ilarità
è isterica. Poi riesco a recuperare una
parvenza di ordine.
“Care
le mie furbastre, lo sapevo già. Ero presente quando lui
l’ha dichiarato di
fronte a tutti”.
Mi
restituiscono uno sguardo che definire stupido
è
un complimento come pochi. Evidente come non se lo aspettassero,
proprio
per nulla.
La
vendetta delle Tendo è scoppiata come un palloncino bucato.
Sarà
crudele da dire, ma questa scenetta mi ha tolto un peso dallo stomaco.
Mi sento
infinitamente più leggera.
Forse
sono solo la stessa, vecchia adolescente cretina che si permette di
ridere di
fronte a una tragedia di tali proporzioni. O forse sto semplicemente
imparando
a non vivere ancorata al passato, agli sgarbi che furono e a qualcosa
che non
esiste più.
Ancora qui, ancora tu
e spero mi perdonerai
tu con gli stessi occhi sembri ritornare
a chiedermi di me
di come si sta
e qui dall'altra parte come va
Per gentile concessione di Laura Pex |
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