Prince of Darkness

di Gobbigliaverde
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

 

Emarginati. È la parola giusta da usare in questi casi. La storia di due emarginati sociali del mondo magico che si danno man forte a vicenda. Due ragazzi che a prima vista sembrerebbero maghi comuni, ma ognuno ha una sua storia, un suo passato, le sue cicatrici. Due generazioni dopo, il mondo ancora trema al nome di Voldemort. La storia della seconda guerra magica è rinchiusa nella biblioteca proibita nella speranza che non si ripeta più, ma c’è qualcuno che ancora subisce i danni dei maghi del passato, corrotti dalla sete di potere. Due esseri insignificanti che imparano a unire le forze. In fondo da soli siamo tutti insignificanti. Un nuovo pericolo ancora più potente minaccia la terra. Che fare se non si può prendere esempio dal passato perché considerata una ferita troppo fresca per essere studiata nella scuola di magia e stregoneria di Hogwarts?

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Capitolo 2
*** 1 ***


1
 

 

Buio. Il cuore le batteva all’impazzata. Era ad un passo dal saltarle fuori dal petto. Non era la paura a bloccarla, lo sapeva bene, eppure riusciva solamente a stare ferma immobile, pietrificata, senza muovere neppure un dito. Qualcosa glie lo impediva. Poteva solamente restare a guardare la figura inginocchiata a qualche metro da lei, illuminata da un unico fioco raggio di luna che filtrava dalla sola finestra presente nella stanza. Non poteva vedere il suo viso, ma percepiva che stava per accadergli qualcosa di grave, e non poteva aiutarlo. Era impotente, mentre una persona per cui sentiva un forte legame affettivo, pur non conoscendola, soffriva. Provò a dire qualcosa, ma la sua lingua pareva incollata al palato, esattamente come le braccia lo erano ai fianchi, e i piedi al pavimento. Un lampo verde squarciò il buio e la figura crollò a terra con un tonfo sordo.
    Per un istante il suo cuore cessò di battere. Come dopo una secchiata d’acqua gelida, uno ad uno i suoi muscoli presero a tremare. Un grido le salì lungo la gola, mentre si gettava verso la persona accasciata terra, morta.
    Infine, anche lo spiraglio di luce venne inghiottito dal buio.
    Prese un respiro profondo, come reduce da una lunga apnea. Si tirò a sedere, e si passò una mano sulla nuca rendendosi conto di avere la schiena madida di sudore. A tastoni sul comodino, facendo crollare qualche libro a terra, raggiunse l’interruttore della luce, che invase la stanza cancellando gli incubi della notte.
    Infilò le mani tra i lunghi capelli mori, appoggiando la testa tra di esse. Lanciò uno sguardo all’orologio appeso alla parete che segnava le cinque in punto, per poi spostare l’attenzione sulla scritta incisa sul suo avambraccio.
    Mudblood.
    Winter Pym fece un mezzo sorriso, ricordando il giorno in cui aveva deciso di fare quel tatuaggio. Quasi tutte le ragazze Grifondoro lo avevano, ad Hogwarts. Era stato il loro modo di onorare l’eroina Hermione Granger, morta due anni prima, all’età di settantanove anni.
    La ragazza scivolò fuori dal letto, avviandosi verso uno specchio appeso alla parete della sua camera. Poggiava sopra una carta da parati a quadrettoni che ricordava più una tovaglia da picnic. Inciampò più volte sulle numerose pile di oggetti non identificati sparsi sul pavimento, e rimase qualche istante ad ammirare il suo riflesso, voltandosi prima di fianco, poi nuovamente di fronte, avvolta nel suo pigiama lungo, grigio topo, con un gufo ciccione al centro della maglia.
    Fece una smorfia quando incrociò il suo stesso sguardo color nocciola nello specchio. Non sei carina come vorresti, non è vero? si rimproverò voltandosi di scatto, come per cancellare la sua stessa immagine dalla superficie liscia e riflettente.
    Si sedette svogliatamente sul letto, sapendo di dover attendere ancora un paio d’ore prima che sua madre si svegliasse per accompagnarla alla Wellesley House, la sua vecchia scuola babbana, dove c’era una via diretta per King’s Cross. Era il primo settembre, e i bagagli attendevano in un angolo di essere caricati sull’Hogwarts Express e partire con lei per il quinto anno. L’anno dei G.U.F.O.
    — Maledizione — sbuffò. Non era mai andata bene quando si trattava di esami. Tentò di reprimere l’ansia in un recondito angolo della sua mente, pur sapendo che in qualche modo sarebbe ritornata e avrebbe preso di nuovo il sopravvento. Doveva fare qualcosa.
    Si affacciò alla finestra osservando le stelle che punteggiavano ancora il cielo, indifferenti al fatto che aveva già incominciato ad albeggiare. La cittadina di Broadstairs - a due ore di corriera da Londra, per i babbani - era ancora assopita, ma presto la vita sarebbe ricominciata. Le case l’una vicino all’altra sembravano sorreggersi a vicenda, tutte diverse tra loro, alcune un po’ ottocentesche, altre con un aspetto medievale, altre ancora più moderne. Poi c’era la sua, piccola, abbarbicata su due piani, con un giardino sul retro che faceva crescere un’edera rigogliosa su tutta la facciata. Era grande abbastanza per i suoi genitori e le sue tre sorelle e lei, l’unica strega in famiglia. La sua famiglia l’aveva presa piuttosto bene cinque anni prima, quando era arrivata la lettera per Hogwarts. Scoprire dell’esistenza della magia era stata una sorpresa per tutti, compresa lei, eppure l’avevano sempre incoraggiata a perseguire i suoi obiettivi.
    Quando la sveglia suonò, alle sette in punto, le pareva che fosse passata un’era geologica intera da quando si era svegliata. La casa si era animata di un frenetico via vai, d’altronde era il primo giorno di scuola per tutti. La tromba delle scale era costantemente otturata dal passaggio di gente: le sue sorelle facevano a turno per utilizzare l’unico bagno, suo padre, da bravo babbano, vagava con la Gazzetta del Profeta in mano chiedendosi dove fosse sparito il tizio della foto in prima pagina, sua madre invece tentava invano di portarle una tazza di cioccolata calda al volo per poi trascinarla fuori ancora con lo spazzolino da denti in bocca, diretta alla Wellesley House.

 

Winter aveva appena preso posto sull’Hogwarts Express attendendo con pazienza la partenza, quando sentì delle grida provenire dal corridoio.
    — Permesso, FATE LARGO! E levati di mezzo, tu! DEVO RAGGIUNGERE QUELLA STRAMALEDETTA CABINA! — Le grida cessarono solamente quando alla porta si affacciò una ragazza trafelata, con un cespuglio di capelli rossi spettinati e una manciata di lentiggini sparse sul viso.
    Winter inarcò le sopracciglia. — Stai calma, o rischierai di farti venire un’ulcera solo per raggiungere il posto vicino al mio — rise, ma l’amica non si scompose. Chiuse la porta della cabina con un tonfo, sbattendola sul naso ad un ragazzino del secondo che aveva manifestato l’intenzione di volersi sedere affianco a lei, lasciandolo insoddisfatto dietro il vetro appannato dal suo stesso fiato.
    — Parliamo di cose serie. Primo. Hai intenzione di passare un altro anno da pazza reclusa tagliata fuori dal mondo, oppure vuoi partecipare alla vita normale, per una volta? — sputò acidamente la rossa schiarendosi la voce come se non fosse stata già abbastanza squillante. Incrociò le braccia al petto piegando la testa di lato, piantando i suoi occhi azzurri carichi di rimprovero in quelli color cioccolato di Winter.
    — Megan Weasley, non ci vediamo da mesi, e questo è il tuo modo di salutare la tua migliore amica? — La mora fece una buffa espressione imbronciata, ricambiando il suo sguardo con uno altrettanto intenso.
    — Si dà il caso che io sia la tua UNICA amica, non solo la tua MIGLIORE amica — la zittì Megan. — Ora rispondi alla domanda — ringhiò, andando dritta al punto.
    Winter roteò gli occhi sbuffando infastidita. — Certo Meg, farò la reclusa anche quest’anno sbavando dietro a tuo cugino, fingendo che sappia della mia esistenza — rise, scostandosi una ciocca di capelli che le era caduta sugli occhi.
    Megan scosse il capo. — Potter? Sai di piacergli, quindi piantala con queste storie. La seconda notizia è che ho trovato la mappa. Ma te la farò usare solamente se prometti di farti almeno un amico — la rimbecco, poi notò lo sguardo furbo di Winter. — Oltre a me, si intende — si affrettò ad aggiungere.
    La mora rimase paralizzata. — Vuoi dire la Mappa del Malandrino?
    La Weasley le diede un buffetto sul mento. — Chiudi la bocca e non sbavare. Sarà un anno fantastico.

 

La luce fioca della bacchetta tremolò per qualche istante, poi si spense lasciando il ragazzo al buio, immerso nel silenzio delle parole scritte sulla pagina di carta. Parole tanto forti da farsi strada nella mente del diciassettenne, ma non abbastanza da aprire la porta dello sgabuzzino delle scope dove il ragazzo stava rintanato. La solitudine lo avvolgeva come un mantello pesante e lo seguiva dappertutto, facendosi strada anche nel corridoio più affollato. L’unico appiglio che lo teneva ancora su quella terra erano i libri. In particolare quello che teneva aperto sulle ginocchia in quel momento. Aveva una copertina grossa e scura, ornata con scritte dorate che ne enunciavano il titolo e l’autore: Romeo e Giulietta, William Shakespeare. Il volume era aperto su una pagina ingiallita le cui parole erano rosse come la lava, illuminate da chissà quale incantesimo e sembrava esistessero solo loro per portare un po’ di luce nel buio carico di tristezza dello stanzino. Che vuol dire “Montecchi” ?
    Il ragazzo continuava a fissare quelle parole come se stessero riassumendo tutta la verità di una vita, della sua vita. Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di far diventare reali quelle parole.
    La porta dello sgabuzzino sbatté violentemente contro il muro, interrompendo il corso dei suoi pensieri e una ragazza dagli occhi azzurri e i capelli di un biondo tanto chiaro da sembrare bianco, entrò con un’espressione compita sul volto.
    — Riddle. — Juliet Malfoy non aveva fatto né un passo in più, né uno in meno dalla soglia della porta. Continuava a osservare con aria di superiorità il ragazzo e il suo libro, ma lui sembrava non voler stare a sentire ciò che aveva da dirgli. Juliet aveva un portamento regale, maestoso, e decisamente superiore a qualsiasi essere presente sul pianeta Terra, e proprio per questo infastidiva tanto tutte le ragazze dal primo al settimo anno di Hogwarts. E la gelosia era alimentata anche dal fatto che era figlia di Rose Weasley e Scorpius Malfoy, quindi nipote dei leggendari Ron Weasley e Hermione Granger. E se non erano invidiose per questo, lo erano per i suoi capelli biondissimi, lisci come la seta, e perfetti come anche ogni altra parte del suo corpo. Un altro motivo di invidia poteva essere il fatto che tutti i giovani maghi erano pazzi di lei. Ma la cosa che più faceva strappare i capelli dalla testa alle ragazze era che Juliet Malfoy era fidanzata con Adrian Turner, il Grifondoro più bello del settimo anno, e, conclusi gli studi, si sarebbero sposati.
    — Che vuol dire “Riddle”? Non è né una mano, né un piede… — Eppure, tutte le qualità di Juliet non erano abbastanza per distrarre il ragazzo moro dal suo libro. 
    — Come cosa vuol dire “Riddle”? “Riddle” sei tu! Smettila di blaterare, la professoressa McGranitt ti sta aspettando. — La Grifondoro lo guardava a metà tra l’irritato e l’intimorito, con gli angoli della bocca piegati all’ingiù.
    Il ragazzo sollevò lo sguardo dalla sua lettura con aria seccata. — Voldemort era solo un mio lontano parente, io non faccio male nemmeno a una mosca. — asserì seccamente mentre si alzava dal materassino gonfiabile logorato dall’usura e dagli anni. Chiuse il volume che portava in grembo con un tonfo, e si avviò verso l’uscita.
    Juliet, con un gesto veloce, gli sfilò il libro dalle mani. Riddle la vide sorridere di sottecchi. — “Romeo e Giulietta”. Come mai leggi Shakespeare, Riddle? — chiese cercando di mantenere la sua aria severa.
    — È vietato dalle leggi del Ministero, o dal regolamento di Hogwarts? — sbottò il ragazzo sempre più infastidito da quella conversazione che stava durando fin troppo.
    — No, è solo che è uno dei pochi libri babbani che non ho ancora letto… — rispose lei cambiando argomento.
    — Puoi prenderlo, ma non rovinarlo — disse incamminandosi verso l’ufficio della preside. — Chi ti ha detto che Shakespeare era un babbano è un emerito idiota — aggiunse voltandosi all’ultimo istante, prima di scomparire dietro una svolta del corridoio.

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Capitolo 3
*** 2 ***


2
 

 

L’aggettivo “accogliente” non era tra i più appropriati per descrivere l’ufficio della preside. Da quello che si raccontava, prima della nomina della professoressa McGranitt, nella stanza c’erano molti più mobili e oggetti magici. Si diceva che il Professor Severus Piton, praticamente una leggenda, avesse portato via tutto da quel posto perché qualsiasi cosa era impregnata dell’essenza del preside precedente: Albus Silente. Era uno spazio ampio, aveva solo una scrivania al centro e i quadri dei presidi del passato appesi alle pareti.
    Adorava osservare il comportamento di quei personaggi storici. Loro sembravano piuttosto seccati dall’essere costantemente guardati con occhi adoranti, tranne un paio forse, tra cui anche Silente. Ogni tanto ci aveva anche scambiato qualche parola, non era niente male come persona. In sostanza, quell'ufficio era l’unico posto dove la solitudine lo abbandonava. Si sentiva come in una bolla, protetto da tutte le sofferenze che lo assillavano. Rapito dai movimenti sinuosi di uno dei dipinti, il giovane non si accorse della presenza della professoressa che lo osservava.
    — Benvenuto Riddle. — Tutte le volte che lo incrociava, la McGranitt lo squadrava dall’alto in basso, e non avrebbe mai smesso di pronunciare quel nome con tutto quel disprezzo. Ogni volta la sua voce lo risucchiava come un pensatoio, nei ricordi del passato.
    L’aveva incontrata per la prima volta, esattamente sette anni prima, il primo di settembre, una giornata che i bambini babbani odiano, ma i piccoli maghi e streghe aspettano con ansia. Il primo giorno di scuola. Il primo anno ad Hogwarts era stato un disastro per Christopher Austin Riddle. Il ragazzo ricordava fin troppo bene la cerimonia dello smistamento, le labbra della McGranitt che non riuscivano a pronunciare il suo nome, e la folla silenziosa che lo fissava. E soprattutto il cappello parlante che si era rifiutato di assegnarlo ad una casa. Così il collegio docenti aveva deciso di farlo studiare comunque nella scuola, tenerlo sotto controllo fino a quando non sarebbe stato pronto per fare parte di una delle quattro case. Ricordava il disprezzo che gli altri studenti gli avevano riservato i primi mesi, e anche il modo con cui molti facevano finta di ignorarlo. Erano passati sette anni da quel giorno e il suo dormitorio era ancora quello stanzino angusto e maleodorante dove leggeva i suoi meravigliosi libri, immaginando di poter vivere in uno di quei luoghi fantastici, lontano da lì.
    — Oggi verrai assegnato ad una casa, assieme agli studenti del primo anno — asserì secca la preside, strappandolo nuovamente ai suoi pensieri.
    Christopher strabuzzò gli occhi. — C-cosa? — sussurrò stupito e irritato nello stesso tempo. Possibile che si era convinta che lui non era un essere spregevole come tutti volevano credere solamente dopo sette anni?
    — Hai capito benissimo, Riddle. — La preside sorrise freddamente calcando il tono su quel nome.
    Riddle. Se avesse davvero dovuto rispondere alla domanda di quel libro, adesso aveva la certezza di che cos’era ‘Riddle’. Era un’etichetta che gli era stata data per indicare che lui era solo l’ultimo scarto di una dinastia estinta, e non sarebbe mai diventato qualcosa di più. I crimini commessi dagli uomini del suo passato macchiavano il suo nome, e di conseguenza lui stesso, facendolo sentire come se fossero suoi crimini. Non sarebbe mai stato come gli altri. Non sarebbe mai stato guardato diversamente. Pareva quasi che lui fosse un nemico comune da sconfiggere, anche se in realtà di colpe non ne aveva. Ma secondo gli altri lui era come un promemoria su una cosa da dimenticare. Un’inutilità. Un ostacolo. Ecco cos’era ‘Riddle’.

 

— Facciamo così: il primo ad essere assegnato alla nostra casa diventerà il mio migliore amico — rise Winter, appoggiando i gomiti sul tavolo imbandito, cercando di accontentare Megan che stava diventando sempre più pressante.
    — Dopo di me, ovviamente — la corresse Meg, torturandosi una ciocca di capelli con le dita, e seguendo con sguardo annoiato la cerimonia dello smistamento.
    — Ovviamente — ribadì Winter, strizzandole un occhio. Sapeva perfettamente che sarebbe stato molto difficile fare una nuova amicizia. Lei aveva la fama di “quella strana”, e non se la sarebbe tolta di dosso tanto facilmente. Forse con qualche novellino di undici anni sarebbe riuscita a parlare, almeno per i primi dieci giorni dall’inizio della scuola.
    I ragazzino erano tutti in piedi, a semicerchio, attorno allo sgabello su cui posava il cappello parlante, mentre la McGranitt faceva il suo solito discorso di benvenuto.
    — Ti sei mai chiesta cosa direbbe il cappello se riprovassimo ora, a mettercelo in testa? — domandò Winter con voce sommessa, immersa nei suoi pensieri.
    Meg scrollò le spalle. — Grifondoro. Gli Weasley sono Grifondoro da sempre.
    La mora rimase a osservare il cappello che se ne stava immobile sullo sgabello in legno. — Mi chiedo spesso se non abbia sbagliato. In quattro anni di scuola non mi sono dimostrata poi tanto coraggiosa e leale.
    Un sussurrio alle sue spalle la fece trasalire. — Salve a tutti, cosa mi sono perso? — bisbigliò una voce solleticandole l’orecchio. Winter arrossì, vedendo il sorriso smagliante di Tristan Potter fare capolino affianco al suo viso. — A parte la bellezza di questa ragazza, si intende — aggiunse, prendendo posto affianco a lei.
    Megan roteò gli occhi e fece una smorfia disgustata. — Ho bisogno di un iniezione di insulina prima che il diabete mi uccida — bofonchio tra se. — Non ti sei perso niente, cugino.
    Lui si scosto le ciocche di capelli scuri indomabili che gli ricadevano sugli occhiali rettangolari, attendendo che una delle due ragazze aggiungesse qualcosa. Era il primo figlio di Albus Severus Potter, e frequentava il sesto anno come Megan.
    — Andiamo, mi odi davvero così tanto? — sogghignò, increspando le labbra in un sorriso furbo, in un modo che fece diventare le gambe molli a Winter più di quanto non le avesse già. Possibile che potesse esistere tanta bellezza in un solo ragazzo?
    Winter si costrinse a reprimere un sorriso notando il guizzo negli occhi verdi del ragazzo.
    Megan le lanciò un’occhiata ostile prima di rispondere per le rime al cugino, appoggiato con i gomiti al tavolaccio in legno e proteso in avanti, con la cravatta rossa e oro che penzolava sopra il piatto vuoto.
    — Probabilmente sì, dopo che mi hai rovinato lo scherzo della vita, quest’estate — disse la rossa stizzita. Winter non sapeva di cosa si trattasse, ma se si parlava di scherzi, Potter doveva averla fatta davvero grossa. Insomma, come si poteva pretendere di rovinare uno scherzo alla figlia di Fred Jr Weasley e passarla liscia?
    Sul volto di Tristan si dipinse un sorriso malevolo. — In ogni caso non ero qui per te — disse con una smorfia. — volevo chiedere a Pym se le andava di fare un giro al Lago Nero, sta sera.
    Winter si voltò di scatto, strabuzzando gli occhi. — Io… Credo di sì — biascicò.
    — Io non credo proprio invece — sentenziò Megan. Winter la fulminò con lo sguardo, ma l’amica proseguì imperterrita. — Deve prima vincere una scommessa, ovvero farsi amico il primo Grifondoro che verrà chiamato, poi, forse, verrà a fare un giro con te — disse con un’espressione vagamente divertita. — E avrete la mia benedizione — ghignò infine.
    Tristan stava per aggiungere qualcosa, ma la McGranitt finì di parlare, e lui si trovò ad essere ignorato da entrambe le ragazze, che seguivano lo smistamento con molta attenzione.

 

La sala grande era gremita di persone che festeggiavano l’arrivo dei nuovi arrivati, ma Christopher non trovava nulla per cui festeggiare. Erano solo altre persone che si sarebbero aggiunte all’elenco infinito di ‘quelli da evitare’. Probabilmente gli faceva comodo starsene nel suo sgabuzzino, senza nessuno con cui condividere la stanza e la giornata. Chi diavolo glie lo faceva fare di parlare con gli altri studenti? Erano passati sette anni e era diventato ancora più misantropo di quanto non lo fosse stato prima. Ma forse quelle cose le pensava solo perché era terrorizzato dall’essere scartato di nuovo, esattamente come la prima volta.
    — Dixie Mason! — La McGranitt aveva iniziato a chiamare i ragazzi uno ad uno. Dixie era una bambina mora, curiosa, con mille lentiggini che venne smistata assieme alle sue due sorelle gemelle Dena e Dolly in Tassorosso.
    — Matt Palmer!
    Ogni volta che qualcuno veniva chiamato dalla voce amplificata della preside, da tutte le case si levava un grido, indifferentemente da dove sarebbe finita quella persona.
    — Corvonero!
    La voce del cappello suonava ancora più forte, e questo non era un bene, lui avrebbe voluto che nessuno lo vedesse, figuriamoci se voleva che tutti sapessero in che casa era stato smistato.
    — Christopher Austin Riddle… — pronunciò la voce della McGranitt, tremante, e mille bisbigli sostituirono l’umore di festa che si era creato. Il ragazzo si sedette sullo sgabello, con gli occhi di tutti puntati addosso. Il cappello parlante non diceva nulla. Era solo appoggiato sulla sua testa, in silenzio. Sembrò passare un infinità di tempo, ma alla fine si decise.
    — GRIFONDORO! — tuonò il cappello. I bisbiglii che fino a pochi secondi prima avevano riempito la sala, si congelarono nell’aria, e il suo cuore sembrò cessare di battere.

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Capitolo 4
*** 3 ***


3
 

 

Nessuno si muoveva. Nessuno osava respirare. Tutti tacevano e aspettavano che fosse il vicino a dire qualcosa.
    Passò un istante infinito prima che dal fondo della tavolata Grifondoro iniziassero i primi applausi. Dapprima uno solo, poi due, poi tre, e infine tutta la sala scoppiò in un fragoroso chiasso di mani che sbattevano l’una contro l’altra. Alcuni Tassorosso fischiavano, altri Serpeverde salirono sul tavolo urlando ‘viva Riddle’, un gruppo di Corvonero persino si avvicinò per fare i complimenti al ragazzo. Tutti, tutti erano contenti. Tutti tranne i Grifondoro, che applaudivano senza nemmeno guardarlo in faccia. Applaudivano per educazione. Le altre tre case festeggiavano poiché il fardello non era toccato a loro. Christopher non poteva biasimarli, in fondo era vero. Come si era ripetuto un’infinità di volte, lui era inutile.
    Scese dallo sgabello, e si incamminò verso il lungo tavolaccio di legno della sua nuova casa. Ogni volta che cercava di sedersi, riceveva sguardi seccati, o tanti ‘occupato’. Trovò posto vicino ad una ragazza forse del quinto anno, che non smetteva un secondo di sorridere. Molto probabilmente i primi applausi erano stati i suoi.
    — Ciao! Io sono Winter Pym! Piacere di conoscerti! — gongolò lei, l’unica tra tutti a sembrare spontanea e felice per la nuova recluta Grifondoro. Christopher alzò lo sguardo dalla zuppa e guardò la moretta dall'alto al basso. Scorse la faccia Potter, affianco a lei, osservarla con gli occhi strabuzzati e la cravatta rossa e oro immersa nella zuppa. Non doveva essersi accorto che i piatti si erano riempiti. Christopher torno a fissare il suo, immergendoci il cucchiaio dentro.
    — Piacere — sussurrò scansando la mano tesa della ragazza.
    — E tu… sei? — chiese lei, continuando a sorridere, noncurante del suo gesto maleducato.
    Christopher infilò un cucchiaio di zuppa fumante in bocca, mandandolo giù lentamente. Poi, versandosi del succo di zucca, rispose con tono piatto. — L’hanno detto prima, potevi stare attenta.
    Se il suo intento era quello di ferirla, non c’era riuscito. Sul viso della ragazza c’era ancora quel sorriso. — Perdonami… Austin, giusto? — si scusò pur non avendo nessuna colpa.
    — Austin è il mio secondo nome. Mi chiamo Christopher — la corresse lui, seccato. Che diamine voleva? Forse non aveva capito che non aveva voglia di parlare. Christopher portò le labbra al bordo del bicchiere di vetro, prendendo a sorseggiare rumorosamente il succo nella speranza che lei capisse che doveva stare in silenzio.
    — Beh, ma anche Austin è un bel nome… — osservò invece, noncurante dei segnali che lui cercava di mandarle. Il giovane scaraventò il cucchiaio lontano dal piatto, e con fare rabbioso si alzò da tavola e uscì dalla sala grande a passi svelti.
    Meg attese alcuni secondi prima di sputare a pioggia la zuppa e scoppiare in una fragorosa risata. — Buona fortuna con il tuo nuovo migliore amico — rise ancora, mentre Tristan si asciugava la faccia schifato, dopo essere stato investito dalla doccia di zuppa di Megan.
    Potter si schiarì la gola, stampandosi in faccia un’espressione seria che poco gli si addiceva mentre strizzava la cravatta impregnata della zuppa nel suo piatto. — Io non ti lascio diventare la migliore amica di quello lì — sbottò, rivolto ad entrambe le ragazze, cercando il consenso della cugina.
    Winter fece una smorfia sconsolata. Passò lo sguardo da Megan, che trangugiava ciò che aveva nel piatto emettendo rumori molto poco femminili, a Tristan, a cui era bastato solo un giorno per avere l’aspetto di una zuppiera. — State zitti — sibilò, scivolando via dal suo posto, seguendo i passi del ragazzo che aveva già lasciato la sala.

 

Quella era la sua nuova casa, la sua nuova "famiglia" per così dire. Una famiglia che lo odiava fin troppo per permettergli di sedere a tavola assieme agli altri, figuriamoci di essere parte dello stesso piccolo nucleo. E poi c’era quella Winter Pym. Che razza di nome è Winter? O i suoi genitori amavano il freddo, oppure avevano finito i nomi normali da dare ai figli. In ogni caso, era troppo chiacchierona. Troppo.
    — Riddle, ecco dove ti eri cacciato. — I suoi pensieri vennero interrotti da una vocina acuta, e pregò perché la ragazza del quinto anno non lo avesse seguito.
    Quando si voltò, rimase piuttosto stupito. — Tu? Non dovresti essere in giro per la scuola con i nuovi studenti invece di parlare con me? — sottolineò acido il Grifondoro novellino sistemandosi degli occhiali dalla montatura sottile sulla punta del naso.
    I capelli biondi di Juliet ondeggiavano soffici sulla sua schiena. — Io… ecco, volevo solo dirti che è una bella cosa se sei Grifondoro. Se fossi stato Serpeverde pensa quanti scandali…
    — Avrei infangato il buon nome della casa dei tuoi avi, Malfoy — sputò fuori Christopher, con sarcasmo. — Ora se non ti dispiace, avrei di meglio da fare piuttosto che sorbirmi i complimenti che sarebbero dovuti arrivare sette anni fa, quando avevo undici anni — asserì ancora più acido. Non aveva bisogno di alcun tipo di compassione, tanto meno da una che non ha la minima idea di cosa vuol dire essere tagliati fuori da tutto.
    Juliet sembrava essere stata punta sul vivo. — Non volevo… — sussurrò dispiaciuta.
    — Fa lo stesso. Una cosa è certa: NON MI INTERESSA. — sottolineò Christopher con aria di chi ha solo voglia di andarsene. Si voltò rabbioso, prendendo la strada per i dormitori, quando lei gli poggiò una mano sulla spalla.
    — Chris, io… — iniziò con voce languida la giovane, sbattendo lunghe ciglia.
    Il ragazzo piantò i piedi sul pavimento, e si voltò lentamente, come se gli avessero lanciato un incantesimo colpendolo tra le scapole. — Non chiamarmi in quel modo. Ci siamo parlati più o meno tre volte nella vita, non ho nessun tipo di confidenza con te, e ora scusami ma devo traslocare la mia stanza in un posto dove non ci sono topi.
    Juliet diventò scura in viso, e corrugò le sue sopracciglia biondissime in un espressione nervosa. — Volevo solo farti i complimenti. Ora sei sulla bocca di tutti, e tanti hanno cambiato idea sul tuo conto — tentò, afferrandolo per il polso.
    — Compresa tu, eh? Non pensavo che la magia oscura facesse tanto scalpore — sogghignò Christopher,, facendo un gesto sarcastico con le mani e spettinandosi i capelli neri con un gesto repentino e lo sguardo folle. Se non fosse stato per gli occhi scuri, lo avrebbero potuto scambiare per un Potter. Era anche costretto ad indossare degli stramaledetti occhiali con delle spesse lenti, perché senza non vedeva ad un palmo dal suo naso.
    Una risata ironica squassò l'atmosfera acida che si era creata. I due giovani maghi si voltarono di scatto. Adrian Turner stava immobile, appoggiato ad una colonna, con il suo sorriso perfetto e scintillante da pubblicità di dentifricio che racchiudeva una delle lingue biforcute che più avevano tormentato Christopher in tutti i suoi sei anni precedenti.
    — Tesoro! — esclamò la bionda Malfoy correndo in contro al giovane. — Hai visto chi farà parte della nostra casa? Di sicuro sarà un'onore per noi…
    — Certo, un vero onore avere un mago oscuro con cui condividere la mia stanza. Un vero onore — la interruppe il ragazzo trascinandola via per il polso.
    Christopher roteò gli occhi e scosse il capo infastidito, e riprese la sua strada pensando a quanto stupido potesse essere il genere umano.
    Dopo pochi passi si scontrò con una figura di bella stazza che gli si era parata davanti con aria minacciosa. Turner era proprio un cretino. — È questo che vuoi? Vuoi la mia ragazza? Ne sei certo? Toccala ancora una volta e ti ammazzo. O peggio, ti faccio espellere — tuonò Adrian.
    — Espellere? Andiamo, il massimo che sai fare è copiare battute che non sono tue? — rise Christopher di sottecchi, squadrando dall’alto in basso il giovane. Era un vero e proprio imbecille. Quel ragazzo non sapeva fare altro che insultare, maltrattare, e rovinare l’esistenza degli altri. Probabilmente la sua conoscenza del vocabolario si fermava a “quanto sono figo!”, “quanto sono forte nel Quidditch!” e stop.
    — Sì, ti faccio espellere, così facciamo felici tutti e tu te ne torni a vivere sotto i ponti con quella poco di buono di tua madre — sputò fuori Turner con un sorriso beffardo stampato in faccia.
    In preda alla rabbia, Riddle afferrò Adrian per il colletto della camicia. Neppure un essere meschino come lui poteva permettersi di toccare la sua famiglia. — Non ti azzardare — sibilò acido, trapassandolo da parte a parte con lo sguardo, ma le labbra di Turner si incresparono in un espressione particolarmente contenta quando vide la McGranitt avvicinarsi a grandi falcate.
    Le nocche di Christopher erano diventate bianche da quanto forte stava stringendo il colletto di Turner, e le dita gli formicolavano dalla voglia di prenderlo a pugni.
    — Riddle! Lascialo subito! Dieci punti in meno a Grifondoro! — ruggì la preside in preda al panico. Christopher si sentiva un vero idiota. Come aveva fatto a cadere nel tranello di quell’infame?
    Con uno strattone staccò le mani dal colletto spiegazzato e lanciò un’occhiata carica di odio e rancore ad Adrian Turner, che sorrideva compiaciuto. Nella sua testa lo avrebbe fatto smettere di sorridere spaccandogli i denti con un pugno in faccia.
    Adrian si sistemò la divisa mettendo in bella mostra la spilla luccicante da prefetto. — Ma bravo Riddle, non vorrai mica rovinare il buon nome della nostra casa già dal primo giorno! — esclamò l’idiota, fingendosi triste per i punti persi. Detto ciò, Turner si allontanò con aria vittoriosa, prese la sua ragazza per la vita e la accompagnò verso il ritratto della signora grassa.
    — Se proprio vuole dieci punti, glie li faccio fare in testa… — bofonchiò il giovane sperando di non essere sentito dalla preside, che invece parve cogliere le sue intenzioni e lo fulminò con uno sguardo. — Io non c’entro nulla — continuò Christopher sbuffando, nella speranza che la McGranitt dimenticasse l’accaduto.
    — Certo signor Riddle — sorrise ironica lei. — Sarebbe più facile crederle se le sue mani non fossero state sul collo di quel ragazzo. Si muova a spostare le sue cose in sala comune. — Detto ciò, la preside girò i tacchi e sparì lungo il corridoio.

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