Note
Pre-Cap:
Note
pre-capitolo molto brevi perché non voglio anticiparvi
niente. Ci vediamo a
fine capitolo, dove ci saranno le VERE nuove u.u Vediamo se riesco a
sorprendervi un pochetto con questo capitolo. Dico solo che ORA si vede
la
differenza in Jojo. È palpabile in questo capitolo.
BACIUZ
E BUON LETTURA.
A
fine cap :)
CAPITOLO
II
Pensieri…Ricordi…
Percorro la
navata centrale dell’aereo
cercando di non urtare nessuno con il mio bagaglio a mano. Davanti a
me, noto Sally
un po’ impacciata, che tenta di capire quali sono i nostri
posti.
-Oh, eccoli
qui.- la sento dire,
sollevata, mentre posa a terra il suo bagaglio e guarda dietro per
sorridermi dolcemente.
-Sono i
nostri?- chiedo,
guardando i due posti alla mia sinistra. La moretta annuisce, per poi
sedersi
su quello affianco al finestrino, e guadagnandosi così uno
sguardo assassino da
parte mia.
-Ladra.-
sussurro abbastanza
forte da farmi sentire da lei, che sorride più onestamente.
Con un po’ di
fatica alzo i due bagagli a mano
sopra le nostre teste, nello scompartimento apposito, per poi sedermi
affianco alla
mora.
Durante la
nostra piccola
sfilata nel corridoio centrale dell’aereo, non ho potuto non
notare gli sguardi
lascivi di alcuni passeggeri, per lo più maschi arrapati.
Dio, mi sale la
rabbia solo a pensare a quel ciccione della fila accanto, che ancora
sta
fissando Sally con quegli occhi.
-Ehi- mi
chiama lei –tutto
bene?- fa, notando i miei denti serrati.
Annuisco,
prendendole la mano e
intrecciando le dita.
E
rilassandomi.
-Nervosa
per il rientro?- mi
chiede, sorridendo con compassione.
Io la
guardo per qualche
secondo, soffermandomi un po’ sulle labbra piene, accentuate
da un leggero
tocco di rossetto acceso.
-Un
po’. Sì, un po’ sono
nervosa- ammetto, distogliendo lo sguardo.
-Paura di
quello che troverai?
Non hai detto di avere alcuni amici che ti aspettano?-
Sally e le
sue domande.
Dannazione, sa sempre come farmi parlare. È una delle poche
persone che sa
sempre quello che mi passa per la testa.
-Sì,
certo.- rispondo io con un
sorriso amaro. –sono loro a non sapere cosa li aspetta. Non
hanno idea di chi
sia, veramente.- mi prendo una pausa. –sono anni che non ci
sentiamo.
Probabilmente si aspettano ancora la ragazzina imbarazzante di qualche
anno
fa.- aggiungo, ironica.
-Non devi
preoccuparti, Little
Italy- risponde lei, altrettanto ironica. –Andrà
tutto per il meglio-
Io
ridacchio e stringo
leggermente la sua mano.
È
soffice, curata. Le sue dita
lunghe sono perfettamente proporzionate e le sue unghie perfettamente
laccate.
Un
po’ tutto, di lei, è
perfetto. Dall’abbigliamento al trucco, dal fisico al
carattere.
È
una persona completa, per così
dire.
Ha avuto
tanti alti e bassi
nella vita, e questo l’ha fatta crescere prima del solito,
donandole una
perfetta visione del mondo e delle persone, e rendendola
così una delle ragazze
più sensazionali che abbia mai conosciuto.
Fredda,
distaccata, a tratti stronza.
Ma se si
guarda oltre la sua
corazza, ha un mondo da offrire.
Dolce,
sensibile, speciale. Ecco
come la descriverei. Semplicemente perfetta. Forse non per il mondo,
non per se
stessa. Ma decisamente perfetta per me.
-Jo- mi
chiama, distogliendomi
così dal mio studio –se ti hanno voluto bene tempo
fa, stai certa, te ne
vorranno anche adesso. Come potrebbero fare altrimenti? Alcune persone
potrebbero anche dire che sei fantastica…- dice con voce
giocosa, ma
conoscendola so quello che vuole veramente dirmi.
Capite cosa
intendo quando dico
perfetta per me?
Sono queste
frasi a ricordarmi
del perché siamo così legate. Sono questi atti di
naturale affettuosità che mi
fanno capire quanto sia importante, nella vita di tutti noi, una
persona che ti
conosce. Una persona che conosce ogni tuo aspetto. Una persona che
conosce ogni
tuo difetto, ogni tua mania, ogni tua paura.
E
nonostante tutto…
…rimane.
Ti rimane
affianco. Lì, così
vicina che puoi sentirne il profumo. E non intendo quel tipo di profumo
che si
compra nei negozi. No.
Parlo del
profumo della pelle.
Del profumo intimo di una persona. Quel profumo che senti solo quando
ti
abbracci per così tanto tempo che ogni altra piccolezza
passa in secondo piano.
E sapete
cosa?
Ne abbiamo
passate tante. Ci
siamo sputate addosso gli insulti peggiori. Le colpe,i vizi, i giudizi.
Ci
siamo odiate. Ci sono stati giorni in cui nessuna delle due riusciva a
respirare per colpa di quel peso che grava sul petto quando sei
così incazzato.
Eppure,
nonostante tutto,
riusciamo a capirci. Sempre.
E sempre
riusciamo a tirarci su
di morale. Sempre riusciamo a uscirne.
Come ora.
Non stiamo
insieme, se è questo
che vi state chiedendo, e l’ultima volta che ci siamo viste
abbiamo sfogato
ogni sentimento l’una sull’altra.
Rabbia,
frustrazione, gelosia,
passione e, infine, rassegnazione.
Tra sesso e
litigi, i nostri
incontri sono diventati mano a mano sempre più focosi e
passionali. Per certi
versi distruttivi. E quella che poteva nascere come una
relazione…è
semplicemente morta in una notte passionale tra lenzuola sudate, vetri
rotti,
lacrime e estasi.
Non ci sono
colpe. O ,se ci
sono, sono da entrambe le parti.
Questo lo
so.
Ma non
posso fare a meno di
sciogliermi quando mi parla in questo modo.
E non posso
fare a meno di
pensare: “Forse, una possibilità
c’è ancora…”.
Mi illudo.
Ma assorbo
le sue parole, che
per qualche secondo fanno attorcigliare il mio stomaco.
Sorrido
dolcemente, e mi sporgo
verso di lei, lasciando un bacio dolce all’angolo delle
labbra.
-Tu sei
fantastica- sussurro
poi, allontanandomi da lei.
Sally
intanto ha chiuso gli
occhi.
-Jo…-
sussurra, a mo’ di
rimprovero.
Io stringo
i denti, reprimendo
un sorrisetto poco opportuno –Scusa, hai ragione.
È l’abitudine…-
Lei accetta
con un sorriso, e
poggia la testa sulla mia spalla.
Rimaniamo
in silenzio per
qualche minuto. Sapete, quel silenzio imbarazzante, dove inizi a
pensare:
“Ecco…e ora cosa dico?”
-Ci
pensi…- fa lei ad un certo
punto, evitando di prolungare l’imbarazzo. –Fra
neanche un giorno tu sarai a
Roma, e io, fra neanche una settimana, di nuovo a Toronto- dice, per
poi spostare
un po’ la testa dalla spalla per guardarmi in viso.
-Già…-
rispondo io, evitando
accuratamente il suo sguardo magnetico. –Mi fa strano pensare
che non ci
vedremo più tutti i giorni…- sussurro, quasi
fosse un segreto.
Lei aspetta
qualche secondo, e sospira,
spostando di nuovo lo sguardo, un po’ rassegnata.
-Forse
sarebbe stato meglio non
prendere lo stesso aereo.- dice, con voce seria. –Forse avrei
dovuto dire di no
a Luke. Non voglio neanche pensare a quando ci dovremo salutare per
davvero….-
E fa male.
È questo il punto.
Prendere lo stesso aereo, sapere che fra una settimana saremo su due
mondi
diversi, fa ancora più male. Condividere, per certi sensi
forzatamente, queste
ore, non è altro che buttare sale su una ferita ancora
aperta.
E Luke non
lo sa, questo.
Io e Sally,
invece, lo sappiamo
fin troppo bene.
- Non so
cosa dire, piccola-
continuo io, quasi sussurrando. –…non voglio
pensarci neanche io.-
E cala di
nuovo il silenzio.
I suoi
respiri sulla mia pelle
scandiscono i secondi che passano. Le sue mani, perennemente calde,
stringono
la mia sulle sue gambe. Le dita intrecciate non fanno altro che
ricordare le
notti passate insieme, l’una stretta all’altra.
Ma ormai
è passato diverso tempo
dalla nostra ultima volta. Troppo.
E il punto
è che rimane,
tuttora, quel sapore dolceamaro sul palato. Nonostante siano passati
mesi.
Nonostante siamo due persone diverse.
Nonostante la paura di non rivederci per chissà
quanto tempo.
Nonostante
tutto, rimane la
voglio di amarsi un po’. Ancora un po’. Nonostante
faccia più male di un
attacco di panico, o di una crisi d’astinenza, o di una lama
che incide
l’avambraccio.
Rimane la
voglio di sentirla
vicina, attacca al mio corpo. E di sentirla respirare sulla mia pelle,
sudata
dopo ore di sesso selvaggio e amore.
Rimane
ancora quel retrogusto di
sconfitta, sapete?
Perché
so che è la mia Sally. E
so di essere il suo Jack.
Ma non
sembra bastare. Perché
per quanto due anime siano affini, siano perfette insieme, se
c’è di mezzo
l’amore tutto si complica.
E noi non
siamo fatte per le
cose complicate. Non ora, almeno.
Non siamo
fatte per l’amore. E
se un giorno cambieremo idea, chissà, forse sarò
io stessa la prima ad alzare
il telefono e a cercarla.
Ma per ora,
l’unica cosa di cui
siamo sicure è questa settimana. Quest’ultima
settimana.
E come al
solito, è lei a sciogliere
questa enorme
matassa di dubbi e
pensieri che si affolla nella mia testa.
Stringe
ancora un po’ le mie
dita, e con una tranquillità che poche volte le ho letto sul
volto, dice.
-Credo che
l’unica cosa che
possiamo fare, ora come ora- mi guarda –è vivere
queste giornate. Godercela
finché possiamo. Perdere questa settimana per pensare a
varie ed eventuali
sarebbe uno spreco. Non trovi anche tu?-
E ci
guardiamo.
Sorridendo.
*
Sally si
è addormentata ascoltando
i Sonata Arctica. Ditemi voi come si può dormire con i
Sonata Arctica. Mah…solo
lei può dormire con questa soundtrack. Chissà che
sogni farà.
La guardo
qualche secondo. I
capelli mori corti le cadono sparpagliati attorno al volto. Le labbra
sono semiaperte,
e a intervalli regolari rilasciano uno sbuffo lieve.
Non posso
fare a meno di
sorridere.
È
veramente bellissima.
Nel
frattempo la mia testa
viaggia.
Entro
qualche ora sarò di nuovo
nella capitale italiana.
Sapete
cosa? Ancora non sono
entrata nell’ottica giusta.
Ancora non
ci credo che da
domani mattina non vedrò James, Shane, Ryo. Lily. Luke.
Non ci
credo che stia per
cambiare tutto. E nonostante i vari mesi passati con la certezza del
mio
rientro in Italia…beh, non ho ancora focalizzato la
situazione.
Nella mia
testa c’è solo una
fitta nebbia che avvolge tutti quei volti che rivedrò
nell’arco di pochi
giorni.
Avrei
rivisto il mio migliore
amico Federico, l’unico che mi è sempre stato
vicino, la sua fidanzata Amy, che
io considero quasi come una sorellina minore. Avrei rivisto Claudia, e
sicuramente la sua allegria/euforia/ lunaticità mi avrebbe
rallegrato tanto
quanto rincoglionito. E sicuramente, nell’arco di pochi
giorni, avrei rivisto
anche lei…Giulia.
Lunga
storia.
La mia
prima cotta. La persona
per cui ho capito di essere gay. Assurdo vero? E a 11 anni scoprire di
non
essere etero è veramente dura, ve lo assicuro. Ma ancora
più dura è dover
fuggire per dimenticarla…e nel mio caso be’, non
ho avuto mezze misure:
addirittura sono finita in America, nella grande, affollata, caotica
New York.
Esagerata,
dite? Vorrei vedervi
nei miei panni. A 14 anni, con gli ormoni in sovraccarico e la persona
che più
vi piace che non vi caga di pezzo, scusate la volgarità.
E vorrei
vedervi nei miei stessi
panni, se per caso, vi capitasse l’occasione non solo di
fuggire da una
situazione ambigua, ma anche di coronare il vostro sogno di lasciare
l’Italia; ditemi, avreste rifiutato una proposta
del genere??
Be’,
questo è quello che è
successo a me, e io, da brava ragazza ribelle adolescente che ero (e
sono
tutt’ora) ho preso la palla al balzo.
In meno di
due mesi ero su un
aereo con destinazione Stati Uniti. E da quel momento sono passati ben
tre
anni, che ai miei occhi però non sono durati poi
così tanto. E in questi tre
anni, per certi versi fortunatamente, non l’ho praticamente
più sentita.
Non so come
abbia fatto a farmi
perdere la testa.
Mi ricordo
bene il nostro primo
incontro. Era la prima media, e nella nostra scuola ci conoscevamo
già tutti,
più o meno. Tutti provenivamo dalla stessa scuola
elementare, e perfino alcuni
professori conoscevano già i nostri volti. Il più
famoso era il professor
Mainardi, di italiano. Noi lo conoscevamo perché ci faceva
doposcuola alle
elementari.
Quel giorno
lo ricordo perfettamente.
L’incontro
più strano a cui abbia mai
partecipato: perché a dirla tutta, mi sembrava di
vedermi dall’alto, come
attraverso uno schermo televisivo, e che l’attrice che mi
interpretava avesse
doti recitative molto scarse.
“È
il primo giorno di scuola,
prima media, ore 8 e dieci.
Suona
la campanella.
Ma
un banco è ancora vuoto: è
quello più vicino alla finestra in fondo, affianco
c’è un ragazzino dagli occhi
nocciola e i capelli castani sparati in aria grazie a una dose
spropositata di
Gel.
Una
ragazzina al secondo
banco, anch’essa con capelli castani, ma lunghi e ondulati, e
una pelle chiara,
quasi perlacea.
Il
professore fa l’appello.
-C’è
un volto nuovo- informa.
E fa presentare la ragazza del secondo banco.
Giulia
Piacentini, dice di
chiamarsi Giulia Piacentini.
Finito
l’appello. Tutti
presenti.
Tranne
una.
-Ehi,
Fabiè. Sai dov’è finita
Jojo??- è il ragazzino dai capelli pieni di gel a
chiederlo. Si rivolge
ad un altro ragazzo coi capelli rasati molto corti.
-Boh,
non dovevate venire
insieme oggi?- gli rivolge la domanda Fabio.
Ma
non ci sarà risposta a
questa domanda, perché il rumore della porta
dell’aula li fa mettere
sull’’attenti.
-Scusate
il ritardo.-
È
una ragazzina occhialuta,
con capelli lunghi e crespi. Indossa una maglia a maniche corte verde,
con
sopra la stampa dell’evoluzione dell’uomo, dalla
scimmia al pianista. .
Lo
zaino è posato solo su una
spalla, la destra, ed è pieno di scritte fatte con gli
UniPosca colorati. Per
lo più spezzoni di
canzoni.
La
ragazzina nuova alza gli
occhi verso la new entry, e i loro sguardi si incrociano per
meno di un
istante, ma l’aria si carica di strana tensione.
Guardando
la quattrocchi si
nota subito che ha corso a perdifiato: ha il fiatone e le guancie
arrossate.
Dopo
il consenso del professore
a entrare, si avvia verso l’unico posto libero, quello vicino
alla finestra.
Deve per forza passare vicino alla nuova ragazzina per arrivare al
banco.
E
a undici anni si iniziano
ad avere i primi problemi con i compagni di classe, sapete?
Per
questo non credo che
tirare in ballo il destino sia una cosa appropriata..
È
il piedi di Mattia Dippo a
far inciampare, appositamente, la ragazzina occhialuta.
Sembra
andare a rallentatore.
Si
sbilancia, ma
fortunatamente riesce ad aggrapparsi al banco della seconda fila, proprio
quello della nuova alunna. Certo, pensando positivo, almeno ha evitato
di
cadere di faccia il primo giorno di scuola. Ma la figuraccia ormai
è fatta, e
gran parte della classe, ormai, sta ridendo senza contegno.
La
quattrocchi arrossisce,
imbarazzata, e si rialza in fretta e furia dal banco della malcapitata.
-Ehi,
ti sei fatta male?-
chiede la ragazza seduta, guardando dritta negli occhi Jojo, che
annuisce
frettolosamente.
-Scusa-
fa poi,con voce
piccolissima, allontanandosi
dal banco
per sedersi finalmente al suo posto.”
Vi evito la
parte degli sguardi
di compassione di Febo e Claudia. Preferirei mantenere un minimo di
dignità…
Ma tutto
sommato, sì, è così che
racconterei il nostro primo incontro.
Non ho mai
avuto vita facile a scuola.
Troppo strana. Troppo diversa per rientrare nei gruppi
“fighi” della scuola.
Ero abituata a quel genere di trattamento, in poche parole.
Ma mai. Mai
prima di quel
giorno, mi ero sentita così ridicola. Così derisa.
E quel
–ti sei fatta male?-,
chiesto con quel tono di voce, così spontaneo e
interessato…beh, ha dato una
bella fitta al cuoricino della me dodicenne.
Colpo di
fulmine?? Possibile..ma
non credo.
A essere
sincera i primi mesi di
quella prima media Giulia non mi andava così a genio.
Non mi
piaceva quel suo modo di
fare così sicuro di sé, così
affascinante e
spontaneo verso tutti. Mi metteva a disagio.
E
nonostante questo, sentirmi lo
stesso interessata a lei non faceva altro che avvilirmi di
più.
C’era
qualcosa che non andava in
me? Perché sentivo questa attrazione per una ragazzina con
cui sì e no avevo scambiato
tre parole?
Era
così socievole, così
affascinante. Tutte le sue storie.
Ecco, era
riuscita ad ammaliare
tutti in classe. Compresa me. Ma allora non capivo che quel movimento
strano in
fondo allo stomaco non era gelosia o invidia o semplice interesse.
No.
Piano
piano, quel suo charm,
quel suo fascino, stava facendo crescere in me un sentimento
particolare. E
doloroso per gli anni a venire.
Ero
piccola. Non capivo perché
provassi così tanti sentimenti contrastanti per quella
ragazzina bianca come il
latte, con quegl’occhi così difficili da
descrivere. Così la evitavo.
Ma fece
amicizia con Claudia. E
quando si fa amicizia con una nuova persona, e questa ha altri amici,
beh…è inevitabile,
si esce tutti insieme.
Fu grazie
ad un discorso sulla
sua Inghilterra e sulla mia America che ci avvicinammo molto.
Mi ricordo
la nostra
chiacchierata che andava avanti senza interruzioni: eravamo usciti in
gruppo e
ci dirigevamo, con il tram 2, verso Flaminio, per andare al Burger King
più
vicino.
Il discorso
era nato per caso,
appena saliti sul mezzo.
Ma si
prolungò per tutto il
giorno.
Parlammo di
come si viveva in
Inghilterra, dei suoi amici, dei suoi progetti futuri ( eh
già…voleva
tornarci al più presto) e io parlai dei miei sogni, di come
vedevo gli Stati
Uniti, di come volevo vivere, e di tutti i miei progetti (o
almeno…parte di
essi). Era bellissimo…sembrava quasi che una campana di
vetro invisibile ci
avesse estraniato da tutto e da tutti.
Da
lì nacque la nostra amicizia…
La nostra
strana amicizia.
E nello
stesso istante in cui
nacque la nostra amicizia, mi accorsi che non mi bastava.
Volevo di
più di una semplice
amica.
Non volevo
solo lunghe
chiacchierate, e frasi a doppio senso, no…
Volevo di
più.
Ma,
già allora, ero abbastanza
intelligente da capire che non potevo rovinare la nostra amicizia per
un semplice
capriccio.
Perciò
mi accontentai…
…per
qualche anno.
Ma in primo
superiore capii che
standole affianco mi facevo del male, fisicamente e mentalmente. Stavo
piano
piano diventando masochista. Continuava a peggiorare.
Ora che ci
penso, credo sia
stata una delle maggiori cause dei miei attacchi di panico…
D’altronde
sono cominciati
durante quel periodo…
Per questo
motivo presi la
decisione di allontanarmi dal gruppo… non solo da lei.
Ogni giorno
uscivo di casa con
la paura di chiudermi e di non uscire più dalla mia testa.
Certi giorni avevo
persino paura a guardarla negli occhi. Ogni minimo movimento, anche il
più
naturale in una amicizia, mi rendeva nervosa. Lei, i guai in famiglia,
le ore
passate dentro la sala dei pianoforti al conservatorio di Santa
Cecilia. Mille piccoli
problemi, che per il mio animo chiuso e represso, non fecero altro che
sfociare
in attacchi di panico e rabbia.
Mi
allontanai.
Da lei, da
loro, dal mondo.
Mi buttai,
cuore ed anima, nella
musica. Quel pianoforte che qualche mese prima non era altro che un
ostacolo
per le mie uscite pomeridiane, ora, era il mio migliore amico.
Componevo,
scrivevo e suonavo
per ore.
E quelle
ore di studio matto e
disperatissimo non sono andate perse. Anzi…hanno fruttato
una borsa di studio
per gli States, e una via d’uscita a quello che sembrava un
tunnel senza fine.
Poi una
serie di eventi.
Belli,
brutti, disastrosi,
inaspettati. Una serie di eventi che mi porta fin qui, su
quest’aereo.
Sono fiera
di quello che sono,
ora. Sono cresciuta così tanto in questi tre anni, che a
stento riesco a
riconoscermi.
Non mi
nascondo più dietro falsi
pretesti. Non scappo più dai miei problemi.
Questi tre
anni a New York mi
hanno fatto crescere. Col passare dei giorni, settimana dopo settimana,
ho
accettato ogni sfaccettatura del mio carattere e della mia persona. Ho
abbracciato me stessa, grazie all’aiuto di persone che ci
tengono veramente a
me. Alla vera me. Non a quel prototipo di ragazzina insicura di qualche
anno
fa.
Se sono
quello che sono, ora, lo
devo a me stessa, ai miei amici e al percorso che ho intrapreso.
E certo, di
molte cose non sono
orgogliosa, ma ogni singolo errore mi ha portato ad imparare. E di
questo sono
grata.
Perché
adesso sono sicura di me
stessa, e riesco a camminare a testa alta nonostante i mille e
più errori che
ho fatto in questi anni.
Sono grata
di quello che sono
ora, perché finalmente posso guardare negli occhi una
ragazza senza sentirmi
inadeguata. E quando guarderò di nuovo i volti dei miei
vecchi amici, li
guarderò dritti negli occhi.
Per vedere
la sorpresa scoppiare
nei loro occhi, al vedermi così diversa. Così
cambiata.
…
Tra tutti i
lati negativi del
rientrare a Roma, l’unico lato positivo che non vedo
l’ora di vedere è proprio
questo.
Lo sguardo
di Giulia.
I suoi
occhi che mi fissano
completamente sconvolti. E io che dentro di me rido, perché
finalmente mi sento
bene con me stessa. E finalmente riesco a leggere quella sicurezza
riflessa
negli occhi di chi mi guarda.
È
incredibile quanto un palco
possa aiutare l’autostima di una persona, non credete?
Be’.
Sta di fatto che entro un
paio d’ore toccheremo terra.
Perciò.
Roma.
Sto
arrivando.
Tieniti
pronta ad essere
sconvolta.
Note
Post-Cap:
Sorprese
dei cambiamenti, eh?
Ammettetelo,
siete andate a guardare la vecchia storia per il personaggio dagli
occhi verdi xD
E io vi ho fregate u.u Nuovo personaggio. Lo so! “Mo che vole
fa questa qui,
eh?” tranquille, è di passaggio. Sarà
MOLTO importante, ma MOOOLTO più in là
nella storia.
Per
ora, non ci pensate troppo. La storia, a differenza della prima,
è
COMPLETAMENTE incentrata su Jo e Giulia, niente di impiccio, apparte
loro
stesse. Quindi, non vi allarmate.
Anzi,
probabilmente riuscirò a farvi amare Sally più di
quanto possiate aspettarvi. È
un personaggio che nell’altra storia avrei introdotto verso
la fine. Ma ho
deciso di sconvolgerla, questa versione quindi…
Pensieri
su Jojo? È diversa, più tormentata. Ma per me,
molto più umana di prima. Con
tutto quello che ha passato, uscirne indenne sarebbe
un’utopia. Perciò…pensieri
e commenti a riguardo?
Ora,
passando a fatti più eclatanti
1)
c’è la possibilità che la storia cambi
raiting…gente a favore? Se ci sono
ragazze/i minorenni che vogliono continuare a leggere, please fatemelo
sapere
così almeno lascio il raiting uguale e posto le scene HHHot
a parte (IN CASO,
ancora è da vedere…sono un po’ indecisa
-.-“)
2)
Hanno proposto una playlist con le canzoni che mi ispirano a scrivere e
che
appariranno (prima o poi) nella storia. Vi gusterebbe?
3)
prossimo capitolo più incentrato su Giulia. Vediamo di far
capire COME è
cambiata dalla vecchia Giulia.
Peace, Love, Empathy
Guys. :D
|