Punti di Vista. di Dhialya (/viewuser.php?uid=70910)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Punto di vista 0 - Sguardo Generale. ***
Capitolo 2: *** Punto di vista l - Sguardo Passato. ***
Capitolo 3: *** Punto di vista passato. ***
Capitolo 4: *** Punto di vista ll - Sguardo Presente. ***
Capitolo 5: *** Punto di vista presente. ***
Capitolo 6: *** Punto di vista lll - Sguardo Futuro. ***
Capitolo 7: *** Punto di vista futuro. ***
Capitolo 1 *** Punto di vista 0 - Sguardo Generale. ***
Punti
di vista.
Punto
di vista 0
– Sguardo Generale.
Se
ripensava a come
aveva trascorso l'infanzia, a come ad ogni passo immaginava il suo
futuro, si rendeva conto che acquisendo man mano informazioni circa il
mondo reale la sua visione per la vita si faceva sempre più
distorta.
E lontana.
E illusoria.
Perché le sembrava che
ogni volta si trovasse davanti un cammino sempre più
invalicabile e lontano, qualcosa che invece di darle la spinta per
andare avanti la incatenava, come una forza che non riusciva a superare
e che la distruggeva.
Dopotutto, lei era, durante quelle sue fantasie,
solo una bambina: ora che arrivava all'età dei grandi quanti
anni sarebbero passati?
Tanti, per lei sembrava qualcosa di astratto,
non riusciva a capacitarsene.
Da piccolina non immaginava nemmeno
com'era veramente il mondo reale, quello degli adulti, delle persone
sconosciute che potevano
fare tutto quello che volevano.
Non sapeva
delle difficoltà che avrebbe dovuto affrontare verso gli
altri e - nemmeno se l'era immaginato, ma così era stato -
soprattutto verso se stessa.
Pensava che avrebbe avuto una vita
normale, un'adolescenza normale e poi un futuro normale: i primi amori,
qualcuno che s'interessava a lei, le amiche con cui uscire e andare a
confidarsi, un lavoro – quello che le era sempre piaciuto -
spensieratezza.
Era stata solo un'illusa, a credere di poter vivere
normalmente.
Una sciocca che si ritrovava a fare i conti con problemi
che aveva sempre negato e che, ora, le stavano scoppiando dentro.
La
vita aveva avuto sapori diversi in base a come l'aveva guardata.
Probabilmente sempre al contrario.
Mini-raccolta
-
già completa, quindi niente rischio di sospensioni - di
quattro mini-flashfic molto introspettive e nonsense.
Ho bisogno di buttare ciò che provo, penso e sento.
Grazie della lettura.
Un po' a
pezzi, Dhi.
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Capitolo 2 *** Punto di vista l - Sguardo Passato. ***
Punto
di
vista l
– Sguardo - al - Passato.
Quando faceva
le elementari
immaginava la vita in modo semplice – quasi sciocco e
sconclusionato, se ci ripensava bene, in un modo che non avrebbe potuto
stare in piedi per più di qualche ora.
Ora si dava della
stupida: aveva davvero creduto che tutto sarebbe stato così
facile?
Perché non vedeva – o non voleva vedere,
troppo presa nei suoi mondi di favole? – sui volti degli
altri i segni della fatica, il nascondere cose per cui lei era ancora
troppo piccola per poterne venire a conoscenza.
Continuava a sognare
senza la minima idea di ciò che l'aspettava, senza essere
preparata, senza un minimo d'idea per ciò che si sarebbe
trovata davanti.
Era tutto così semplicemente e
perfettamente bello.
Ed il distacco, quello strappo irreparabile che
non riusciva a lasciarsi alle spalle, poi, brusco.
Brusco, bruciante, e
cicatrizzato male nel corso del tempo.
Soprattutto cicatrizzato male, per come le pesava sulle spalle.
Le veniva da ridere, da ridere
di scherno – ma non ci riusciva, troppo concentrata a
guardare fuori dalla finestra e rimuginare sulla sua vita.
Avrebbe
voluto fare la veterinaria, perché adorava gli animali e
prendersi cura di loro; erano batuffoli di pelo che le smuovevano
qualcosa dentro, con la loro dolcezza e inesperienza.
Un po' come lei:
la sua coniglietta, la prima creatura affidatale, se ne rendeva conto
con la maturità raggiunta durante la crescita, l'aveva
accompagnata negli anni aiutandola a capire il senso di vita e a
prendersi cura di qualcuno.
Forse era per quello che era sempre stata
incline ad aiutare gli altri?
Quello era, in quei momenti,
ciò che avrebbe voluto fare da grande, il sogno nel
cassetto.
Il sogno dei sogni.
Non immaginava però che
avrebbe dovuto studiare per tanti anni e soprattutto materie che
avevano a che fare con i numeri, ambito che lei, davvero, faticava a
capire: come se la sua mente non li processasse del tutto, come se
fosse difettosa a fare tutti quei calcoli e applicare regole a qualcosa
che non era concreto, davanti a lei, che non poteva toccare e studiare.
Forse erano processi troppo razionali e logici che però
dovevano contenere qualcosa di più, che andava oltre, mentre
la sua testa faticava a concentrarsi, vagando in più
direzioni contemporaneamente.
Non a caso si era accorta che riusciva a
leggere, ascoltare la musica, pensare per qualche secondo a
ciò che avrebbe dovuto fare e rispondere ad una persona
contemporaneamente.
Non riuscendo a fare nessuna delle azioni
sopracitate in modo completo, ovviamente, o dando priorità a
qualcosa in particolare, però se la cavava.
Stupida, stupida
ragazza, pensò mentre scuoteva la testa
rassegnata.
Però era stato giusto.
Era giusto che una parte di vita
fosse stata spensierata, leggera, con i timori dei bambini che ancora
non conoscono tante cose.
Era giusto com'erano andati gli eventi, non
sapendo come sarebbe continuata, la sua vita. Era giusto
perché, per come stava vivendo da alcuni anni a quella
parte, per com'era, per come pensava, il resto non le sarebbe stato per
niente facile da affrontare.
Ringrazio
per la
lettura e le recensioni al capitolo precedente.
Non ho niente da
aggiungere in particolare.
Vi auguro una buona serata.
Dhi. <3
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Capitolo 3 *** Punto di vista passato. ***
Punto
di vista
passato.
Gioca con la
palla.
La sfera
rotonda rimbalza e lei si diverte a rilanciarla contro il muro non
appena le si avvicina nuovamente ai piedi.
Un gioco continuo, un
segreto tra lei e il pallone. Un circolo quasi vizioso e senza
un'apparente fine.
Quello va contro il muro e torna indietro, e lei lo
respinge contro la parete sapendo che tornerà da lei.
La
bambina gioca da sola, persa nei suoi mondo fatati, gioca e non fa caso
a ciò che le gira intorno.
È vulnerabile la
bambina che gioca con la palla, per questo la mamma le dice sempre di
non allontanarsi quando gioca con gli amichetti e di stare dentro il
cortile se invece è sola.
La verità è
che anche quando è sola non lo è mai realmente,
per questo non capisce del tutto le parole della madre e il suo sguardo
severo che pretende di essere ascoltato, o la sua voce agitata quando
la chiama dalla finestra per sapere in che parte della via
è; la bambina ha notato che la mamma diventa nervosa con lei
se quando guarda giù non la vede, ma nei suoi ragionamenti
di bimba innocente non capisce il motivo.
Pensa ai
personaggi dei cartoni e si immagina che parlino con lei, crea
situazioni di cui solo lei decide il corso e di
cui solo ed esclusivamente lei è la protagonista.
Il pallone
è bello ed è color blu oceano con sfumature
azzurre, le piace così tanto che non lo presta a nessuno e
per questo, avendolo da tanto tempo, rimbalza un po' male
perché con il tempo si sta sgonfiando.
Papà le
dice di tenerlo da conto e trattarlo bene se è il suo
preferito perché non crede che ce ne sia un altro uguale.
Alla bambina piacciono anche altri palloni, ma i suoi genitori le
dicono che ha già abbastanza giochi e per il momento
può farne a meno di nuovi.
Immagina di essere grande, di
potersi prendere tutti i palloni che desidera e che la mamma non la
sgridi se un giorno fa i capricci perché vuole continuare a
vedere la televisione anche se è ora di cena.
-Si, sono la
moglie.-
La palla prende dentro un pezzo di terreno un po' sollevato,
così non torna da lei come sempre ma rotola verso il
cancello che divide le proprietà private.
La bambina
cammina
per andare a prendere il pallone con un po' di disappunto per quella
camminata improvvisa, e grazie al rimbalzo momentaneamente fermo sente
la voce della mamma.
-Cosa gli è successo?-
La mamma sta
parlando con qualcuno, ha la voce bassa e sembra agitata,
però la bambina non capisce cosa sta dicendo o con chi sta
parlando.
Afferrata la palla la bambina non sa se continuare a giocare
o andare dalla mamma per capire cosa la sta agitando tanto.
-Quanto è grave?-
Chi è grave?
La bimba si preoccupa ed è curiosa
di sapere, così torna dentro, in soggiorno, di corsa, per
fare
domande alla mamma e soddisfare i suoi perché.
-Mamma...?-
La donna si gira di scatto: ha il telefono in mano e il volto un po'
più bianco del solito – la mamma ha sempre avuto
una pelle bella bianca, ma in quel momento non le donava come gli
altri giorni. Sembrava malata, alla bambina non piaceva come stava sua madre.
-R-Rachele!-
I suoi occhi di bambina vedono la donna inspirare
profondamente e passarsi velocemente una mano sul volto, e poi
rivolgersi alla
persona dall'altra parte del telefono.
-Mi scuri un minuto- mormora,
per poi avvicinarsi di qualche passo alla figlia.
La mamma ha gli occhi
leggermente arrossati e lucidi, e un fazzoletto di carta spiegazzato
nella mano libera.
-Hai pianto?-
La signora sta in silenzio qualche
attimo a fissare sua figlia negli occhi, e poi si scioglie in un
sorriso leggero – ad occhi più attenti sarebbe
parso tremulo e stanco, se non tremendamente falso.
-No Rachele,
è tutto a posto. Torna a giocare in cortile, va bene? Ti
chiamo io per la cena.-
La
bambina osserva la donna ed il sorriso che le rivolge ancora qualche
attimo, pensierosa, poi si convince ed annuisce, voltandole le spalle.
Torna all'aperto e continua a giocare con la palla, da sola.
Ha in
mente la faccia della mamma, ma lei le ha detto che va tutto bene e la
mamma non dice mai le bugie. La sgrida qualche volta, ma non
è una bugiarda.
-Arrivo in ospedale il prima
possibile.-
Ed il tempo passerà, e dal
pomeriggio inizierà ad arrivare il tramonto che annuncia la
sera.
Poi sentirà il profumo del cibo che la mamma sta
cucinando e arriverà il papà che le
dirà di salire in casa per lavarsi le mani e mangiare.
Lei
dirà di voler guardare la televisione, anche mentre mangia,
ma i suoi genitori le prometteranno qualcosa in cambio se lascia
perdere e li raggiunge a tavola. Magari una o due delle caramelle che
le piacciono tanto e che mamma nasconde per non fargliele finire in
poche ore.
Poi arriverà il buio, allora si
cambierà per andare a letto e le racconteranno una favola -
di cui non sentirà la fine perché ha
già iniziato a sognare.
Si, andrà
così.
Quella sera e le prossime a venire, per tanto tempo.
La bambina continua a giocare con la palla.
Da quattro
drabble ho aggiunto
tre brevi shot un po' più articolate, una per
“sguardo”, escluso quello generale, che hanno anche
la funzione di ampliare il capitolo che le precede e a cui sono
collegate.
Questa è la prima: volutamente ho usato un tipo
di narrazione quasi da favola e non troppo articolato e variato, per
tenere il pov sulla bambina. La fine è un po' triste, ma
credo renda l'idea del “vivere senza aspettarsi le
disgrazie”.
Grazie della lettura, alla prossima.
Dhi.
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Capitolo 4 *** Punto di vista ll - Sguardo Presente. ***
Punto
di vista ll
– Sguardo – al – Presente.
La
sensazione del sole
bruciante sulla pelle ancora bianca.
Una coperta d'azzurro che sembrava
non finire mai.
Quell'aria particolare che si percepisce sottopelle e
rende più leggeri senza un motivo particolare.
Estate.
Era
bella l'estate, era bello il senso di libertà delle vacanze,
era bello non doversi preoccupare degli orari, di doversi
coprire troppo per non sentirsi gelare o degli impegni.
Era bello non
stare in mezzo alla calca, alle gente, dover essere obbligati a sentire
brusii e discorsi di persone sconosciute subendosi spintoni e occhiate.
Era bello non sentire il tempo come un peso, non sentirlo scorrere fin
troppo lento.
Era bello, particolare.
Era bello, si, davvero, lo
credeva davvero; anche se lei amava l'inverno e l'autunno
poiché calavano su di lei come uno strato di protezione.
L'accoglievano come se andasse incontro alle braccia di un padre che ti
stringe al petto per poi non lasciarti andare più, che ti
racconta favole e scaccia via i mostri che si annidano nel buio
– o almeno, così dovrebbe essere.
I mostri sotto
al letto.
Il buio che opprime.
Il silenzio di una stanza.
Era strano
che lei, ragazza grande ormai da anni e consapevole che i mostri non
esistono sicuramente nei mobili, tornasse ad avere paura durante la
notte del silenzio e dello scuro che la circondava.
Quello stesso
colore che l'aveva accolta, l'aveva protetta, l'aveva fatta vivere,
tempo prima.
Che l'aveva circondata e tenuta nascosta da sguardi
indiscreti, che l'aveva fatta sentire al sicuro come in un bozzolo
fatto solo per lei e che lei, e lei soltanto, potesse capire.
Profondo.
Ignoto.
Iniziava a temerlo, nella sua testa si accavallavano sensazioni
sgradevoli e sensi di allarme che le facevano tenere gli occhi aperti a
forza.
Qualcosa non andava.
Qualcosa non andava
più.
Come se
gli avesse fatto un torto e fosse diventato minaccioso, con le ombre
che avrebbero solo voluto ghermirla per poi non lasciarla andare
più.
Temeva giusto il tempo prima di addormentarsi, quando
ritrovandosi su un materasso ci si mette a ragionare, a pensare, ad
ascoltare il ticchettio di un orologio.
Aveva paura.
Paura come una
bambina.
Aveva paura del buio.
O forse temeva se stessa e quello era
solo un modo in cui l'angoscia e l'ansia si manifestavano, colpendo
qualcosa e rendendolo protagonista quando realmente non c'entrava.
O
forse solo gli ormoni ormai decisamente impazziti di quel periodo
mensile.
È strano ritrovarsi dopo anni ad avere paura della
notte, della casa che non viene scossa da un rumore, delle stanze
inabitate.
Paura di ciò che dietro i mobili o le porte
potrebbe celarsi e nascondersi.
È strano.
È
irrazionale.
È inspiegabile.
È presente e
terribilmente pesante, poiché oltre ad essere rinnegata dal
giorno, iniziava ad essere esiliata anche dalle braccia della notte che
l'avevano stretta e alleggerita – come l'estate fa con le
persone.
È brutto, brucia come una lama di tradimento
conficcata nella schiena.
Ed è
invivibile.
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Capitolo 5 *** Punto di vista presente. ***
Punto di vista
presente.
Toc.
La mosca si
scontrò contro il vetro per l'ennesima volta, producendo un
suono sordo e cupo come di qualcosa che si rompe.
Non sembrò
avere conseguenze, però, e l'insetto continuò a
provare a volare verso quella natura che vedeva al di fuori delle mura
bianche che lo circondavano, ma che non riusciva a raggiungere.
La
porta si aprì, e la ragazza buttò malamente la
tracolla con dentro i libri sul letto e iniziò a togliersi
le scarpe.
Un'altra giornata di obbligo finita.
Un'altra giornata
vuota.
Da quel momento avrebbe potuto chiudersi in camera ed isolarsi
da tutto il resto del mondo: tutto ciò che la urtava, tutto
quello che sentiva lontano, le parole che cercavano di penetrare e che
respingeva come se fossero veleno.
Si rendeva conto che, come tutto,
aveva subito un cambiamento: sotto lo strato di vestiti per la maggiore
larghi nascondeva un corpo che si stava formando, il viso aveva perso i
tratti da bambina per quelli più decisi e maturi di ragazza
in procinto di diventare donna.
Ma lei non voleva.
La crescita
– dopo l'adolescenza – era un processo che non si
sentiva pronta ad affrontare, forse perché non aveva ancora
trovato cosa fare e il suo posto, quella motivazione che ti spinge a
fare le cose perché vuoi e non perché devi.
Senza
idee chiare su come regolare la sua vita da adulta avrebbe solo voluto
fermare il tempo per concedersi la possibilità di poter
pensare.
Sapeva che aveva una sola vita, e purtroppo che non si poteva
riavvolgere in caso di scelte sbagliate.
Perché sarebbe
dovuta andare allo sbando?
Alla cieca per poi molto probabilmente
pentirsene?
Buttò alla rinfusa i vestiti della mattina sul
letto, poi prese la tuta che teneva solitamente in casa per stare
comoda e la indossò.
Notò la mosca camminare sul
vetro e sbuffò, pensando a come poteva essere entrata dato
che solitamente teneva tutto chiuso.
Era pure autunno, faceva anche
più freddo.
Quella mosca come ci era
arrivata li?
Ci penso
dopo.
Scese, andò in bagno e legò i capelli, in
cucina aprì il frigo e prese l'acqua – le piaceva
fredda, qualsiasi stagione fosse.
Osservò il pranzo che sua
madre le aveva lasciato e lo ignorò bellamente,
poiché non appena ci posò sopra lo sguardo
sentì che lo stomaco si chiudeva.
Tornò in camera
e accese il computer, mentre stuzzicava un pacchetto di grissini che
aveva li dalla sera prima nell'attesa del caricamento.
Sapeva
già come sarebbe andata: sarebbe stata al pc fino a
metà pomeriggio, poi le sarebbe venuto l'abbiocco per colpa
della notte precedente in cui non riusciva ad addormentarsi a causa di
un senso d'angoscia che sopraggiungeva insieme a pensieri come se ci
fosse qualcuno in casa e che la osservava da dietro le tende.
Si
sarebbe messa a dormire, perdendo gran parte del pomeriggio e lasciando
indietro lo studio, poi sarebbe stata svegliata da sua madre per la
cena – che avrebbe saltato e sostituendola ad un
thé o una tisana verso mezzanotte.
Ormai era un circolo
vizioso che andava avanti da qualche mese e che non riusciva a
togliersi di dosso.
Il momento di addormentarsi, poi, la spezzava,
perché a parte casi rari non aveva mai avuto problemi
– più ne aveva a svegliarsi, per niente vogliosa
di immettersi nel giorno e farsi vedere in società.
Ci
provava, a pensare a qualcosa di positivo, aveva provato anche ad
ascoltare la musica.
Niente.
Si rese conto che era in trappola, come la
mosca che – dov'era finita? Non la sentiva più
ronzare – non trovava la via d'uscita.
Il sonnellino
pomeridiano.
Non riusciva a resistergli, come una tentazione, ben
consapevole però che avrebbe fatto meglio a concentrarsi su
altro.
Ad aprire un libro e leggere, o ancora meglio ad aprire un libro
di scuola e rileggere le lezioni del giorno.
Chiuse gli occhi e
rilassò il collo.
Ma era oblio, che l'accoglieva e le
strappava ancora di più le energie, che la richiamava come
una melodia incantata.
Perché sapeva che del resto non
gliene fregava più nulla.
Si alzò dal letto
pigramente, chiuse la porta della camera e spense la luce,
avvicinandosi poi alla finestra ed aprendola.
Sperava di aver reso la
fuga dell'animale più facile, in quel modo, anche
perché molto probabilmente era stata colpa sua se si era
svegliata.
Alla fine le cose erano andate come si era immaginata, e dal quel
momento non avrebbe poi potuto combinare molto - a suo detto.
Attese qualche minuto, in cui il ronzio era cessato, ed
iniziò ad infastidirsi per quella perdita di tempo, poi
avvertì il suono vicino all'orecchio fino che
sfumò, diventando sempre più lontano e meno
udibile; capì che la mosca era uscita definitivamente dalla
sua stanza.
Era tornata a girovagare libera, sospinta dalle correnti
d'aria e cacciata dai gatti, all'aperto e senza barriere contro cui
scontrarsi.
Qualcuno avrebbe aperto
una finestra da cui poter scappare
anche per lei?
Ringrazio
per la
lettura, preferiti e le recensioni, sempre ben accette. Alla prossima,
Dhi.
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Capitolo 6 *** Punto di vista lll - Sguardo Futuro. ***
Punto
di vista lll
–
Sguardo – al – Futuro.
Sarebbe andato tutto
bene.
Era un mantra che si stava ripetendo da... da quanto?
Quanto
tempo era passato?
Anni, credeva.
Ormai erano passati anni - tre anni - da quella
rovinosa caduta.
Un po' si era ripresa, lo doveva ammettere. Anche se a
volte i fantasmi tornavano non facevano più male come prima;
come se incontrasse vecchi amici e non ombre di qualcosa che sentiva
vicino e lontano al tempo stesso.
Le facevano compagnia, le ricordavano
quei giorni e... tutto ciò che aveva perso, tutto
ciò che grazie a quello aveva ritrovato – e
trovato.
Era strano come quella fosse stata prima una dannazione e poi
quasi – quasi – una benedizione.
Aveva un po'
più chiaro cosa avrebbe voluto fare: avvocato,
probabilmente.
Aveva almeno la convinzione di voler fare
l'università, e un minimo d'idea su quale, tra i tanti
indirizzi, decidere di studiare.
La scelta era stata ardua
però, perché c'erano effettivamente tante cose,
tanti spunti che la incuriosivano e le sarebbero piaciuti. Erano
nascosti, annidati come scarafaggi sotto la polvere dei ricordi,
però erano rimasti.
E si era sorpresa di ripescarli, quasi
per caso, riportando a galla tutte le memorie ad essi collegati.
Era
stato strano, era come se le si posasse sulla pelle lo strato di una
vita passata che non le apparteneva.
Che non era più suo,
che aveva cancellato, per rinascere.
Il sogno da bambina di voler
diventare veterinaria era stato spolverato anche lui: ironia della
sorte, durante la terza media aveva saputo tramite dei test che era
allergica alla maggior parte del pelo degli animali.
Oltre ad alcuni
tra i suoi frutti preferiti – come le ciliege e le mele
– e la frutta secca – aveva dovuto dire addio al
gelato al pistacchio e alla nocciola. La soia no, al cibo cinese non
avrebbe detto addio.
Non anche a quello.
Non se lo sarebbe permessa
– pur giocando e rischiando, lo sapeva.
I pezzi venivano
staccati definitivamente e mandati in frantumi.
Tante piccole cose che
le negavano la possibilità di essere serena e felice.
Ma lei
lo voleva essere, felice, voleva provare davvero a vedere come andava
avanti la vita.
E lo aveva scoperto piano piano, con un pizzico di
aiuto esterno e tanta, tanta voglia di ricominciare che aveva provato
in tutti i modi a tirare fuori.
Quella voglia che spesso tornava a
sparire, sotto il peso di tutto ciò che la circondava e che
l'aspettava.
Sarebbe andato tutto bene.
Se lo sarebbe ridiceva spesso,
come un incoraggiamento a se stessa, come se parlasse rivolta ad
un'amica.
Perché no, non aspettava più la morte
in un modo che sembrava molto serenità, no, non la vedeva
più come la sua salvezza.
Non in quel momento, non mentre
stava riprovando a camminare, come una bambina che muove i primi passi.
Sarebbe andato tutto bene.
Penultimo capitolo di
questa raccolta.
Spero vi sia stato di
gradimento
e vi ringrazio per la lettura.
Alla prossima, Dhi.
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Capitolo 7 *** Punto di vista futuro. ***
Punto
di vista
futuro.
Andava
tutto bene.
La
sveglia era suonata quando avrebbe dovuto farlo, il clima era fresco
– adorava il fresco, il freddo, il ghiaccio, e tutto
ciò che si dissociava dal caldo e dallo svestirsi.
Si era
vestita e preparata e aveva chiuso la borsa a tracolla con i libri,
senza particolari intoppi. La colazione no, non la faceva mai, anche se
da sempre la sgridavano perché dicevano che era importante
per cominciare la giornata.
Aveva sempre quel peso allo stomaco che la fame la faceva passare.
Era pronta per uscire ed andare a prendere
l'autobus.
Però, la lametta nel cassetto che le
arrivò agli occhi quando prese il pettine per sistemarsi
ancora – per l'ennesima volta – i capelli,
catturò la sua attenzione.
Non aveva tempo.
Poi avrebbe
sporcato gli abiti che si era appena messa per andare in
università.
Che poi, a seguire le
lezioni, ci voleva andare?
Forse non era quella la domanda.
Forse la riposta stava nel quesito, ma
lei, a continuare gli studi, aveva da sempre voluto farlo?
Continuava
ad osservare l'oggetto, il quale scavava un bivio di sensazioni che si
espandeva dentro di se, confondendola.
Sapeva che farsi male non era
giusto, che ne era dipendente, che era da malati.
Che nessuno avrebbe
dovuto mai, per nessun motivo, saperlo.
Non l'avrebbero capita.
Ma non
poteva farne a meno, non poteva lasciar li perché, in quel
modo, riusciva a scaricare tutto ciò che a voce non riusciva
a fare, tutto ciò che la faceva stare male, che era per lei
insopportabile.
Gli errori.
Le colpe.
Le parole sbagliate.
I
fallimenti.
La rabbia.
Era diventata, quella lametta, come qualcuno con
cui sfogarsi in modo silenzioso e che non poteva, in nessun modo, dirti
qualcosa.
C'era lei, solo lei.
C'erano le lame e c'erano le incisioni
lasciate sulla pelle.
C'era il sangue che uscendo era come se
l'alleggerisse un po'.
Momentaneamente.
“Ehi,
oggi
non c'eri in università, come mai? Stasera gli altri
volevano uscire, rispondi se vuoi venire.”
“Un
malessere passeggero. Ci sono, dimmi ora e dove.”
“Solito posto, solita ora. Sicura di non volerti
riposare?”
“Sto bene. A dopo.”
Il
cellulare.
Era stato quel maledetto aggeggio ad averla svegliata,
squillando e vibrando alla recezione del messaggio, nel bel mezzo del
pomeriggio.
Perché non l'aveva spento? Ah già,
perché da spento la sveglia non suonava.
Che fregatura.
Alla
fine non era più uscita per andare a seguire le lezioni, ma
si era rifugiata in camera, nel letto.
Si era sottratta al giorno prima
che fosse troppo tardi, era rientrata a letto conscia di star
escludendo, in quel modo, tutto il mondo che altrimenti l'avrebbe
circondata come sempre, se fosse uscita. La luce, la gente, le parole,
i mezzi, il rumore...
Tante cose, troppe cose.
Si alzò e
decise di farsi una doccia, per rilassarsi ed uscire dallo stato do
torpore in cui era caduta, ed iniziare così a decidere cosa
mettersi per la sera e tirarsi avanti con i tempi.
L'acqua.
Ecco si,
l'acqua era un'altra cosa che faceva scivolare via di poco i problemi.
Le goccioline cadevano sulla pelle e cadevano verso il basso, ed era
come se nel loro percorso potessero trascinarsi dietro ogni
più piccolo pensiero, ogni dolore, ogni fastidio.
Purificazione.
E si sentiva un po' più leggera e lucida, e forse un po'
meno in colpa per quello che si faceva,
dopo la doccia, e sicura di se stessa e determinata, come l'acqua
avesse lavato via tutto ciò che di più sbagliato
e stonato trovava mentre scivolava leggera a terra segnando la pelle di
disegni invisibili.
Guardò l'ora e sorrise mesta, senza
entusiasmo, circondando un polso con la mano e passando il pollice su
segni, a sfiorare le cicatrici.
Le avevano chiesto cosa si fosse fatta,
una volta, e da quel momento aveva cambiato zona: d'estate non andavano
bene le braccia, rimanevano troppo scoperte.
Zone più
coperte anche durante la bella stagione invece erano meno sospettabili.
E andava tutto bene,
perché lei riusciva a far stare in
equilibrio tutta quella massa informe che era la sua vita e l'accumulo
di pensieri che scoppiava nella testa premendo per uscire.
Si
dilettò in casa, in attesa dell'ora per iniziare a
prepararsi: pulì il bagno, si fece un the caldo, lesse un
po' e ascoltò la musica senza prestarci però
troppa attenzione.
All'ora in cui sarebbero passati a prenderla, come
sempre, era pronta e stava chiudendo la porta di casa.
Sul volto un
sorriso.
Tutto andava bene.
E
sapeva che sarebbero
andati in un locale, il solito locare: avrebbe bevuto qualcosa,
chiacchierato e scherzato, ridendo in compagnia e ascoltando gli altri
parlare.
Poi magari sarebbero andati a ballare – e lei
sarebbe stata in disparte sui divanetti perché no, ballare
non la entusiasmava, però le faceva piacere andare in
discoteca con gli amici
– e sarebbero stati a parlare da
qualche parte fino a notte fonda, perché era sabato e ci si
divertiva.
E si sarebbe dimenticata delle cicatrici che si era fatta e
della testa che scoppiava senza esplodere davvero e in modo definitivo.
Si sarebbe divertita sentendosi leggera per un po' e assieme ai suoi
amici.
Completamente sola in
mezzo a un gruppo di persone.
Ma andava
tutto bene.
Quando sarebbe rientrata si sarebbe tolta i tacchi con un
sospiro di sollievo e avrebbe posato malamente la borsa sul tavolino
nell'ingresso, e avrebbe sciolto i capelli che aveva raccolto
– perché si li raccoglieva a coda,
perché le avevano detto che le dava un aria più
matura e avrebbe potuto far vedere gli orecchini che aveva –.
Si sarebbe sistemata per andare a letto e si sarebbe probabilmente
addormentata quasi subito ripensando alla serata e al significato che
aveva avuto per lei.
E intanto avrebbe ripassato mentalmente cosa
avrebbe dovuto fare il giorno dopo, soprattutto riguardo gli studi e
gli esami che avrebbe dovuto presto dare.
Stava
andando tutto
bene.
E non avrebbe fatto caso alla lametta lasciata sul mobiletto, per
quell'arco di tempo.
E sperava che prima o poi l'arco di tempo si
sarebbe allungato sempre di più.
Raggiunse la macchina e
aprì la portiera del passeggero.
-Ciao!-
Sarebbe andato
tutto bene.
Fine
della
raccolta, una fine volutamente così, né in bene
né in male assoluti.
L'autolesionismo non mi è
nuovo come argomento, questo per dire che non lo descrivo con
leggerezza, ma volutamente come un fenomeno che riquadra e fa parte
della vita della protagonista. Tale protagonista, spera di avere e
trovare un giorno quel "motivo" per farne a meno.
Io spero vi sia piaciuta, questa e le
altre storie. Vi ringrazio per la lettura e di essere arrivati fino a
qui. Ringrazio per le recensioni, i preferiti e grazie per aver letto
queste parole.
I nuovi pareri sono sempre ben accetti.
Love you all.
Dhi. <3
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