Patronus

di Globe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


PATRONUS
Tom come ogni fine settimana si preparava alla partita. Lui era il Quaterback della squadra, quindi il coach si aspettava molto da lui, perfino i ragazzi erano molto fiduciosi della sua indole da leader. Seguiva allenamenti duri durante la settimana, ma nonostante questo non ne saltava nemmeno uno. Il football era la sua passione: quelle piccole azioni come saltare, placcare e segnare erano cose che conosceva a memoria, e nonostante non fosse un genio negli studi, gli schemi li conosceva alla perfezione. 
Si trovava nello spogliatoio e assieme ai suoi compagni di squadra ascoltava il solito discorso di in incitamento pre-partita del suo coach.
<< Ragazzi oggi da voi voglio il massimo, siamo agli inizi della stagione e per questo oggi dovrete fare paura in campo ! Se ci faremo battere proprio adesso il resto dell'anno sarà tutta in salita ! >> sbraitò il coach. Dimenava le braccia con veemenza ricordando ad ognuno il  proprio ruolo. 
<< Wilson...>> Tom si alzò. << Occhi sul n° 11, non voglio che lo perdi di vista nemmeno per andare a pisciare ! Se lui piscia, tu pisci, se lui si bacia con la ragazza tu gli starai dietro ! Mi sono spiegato !? >> gridò il coach.
<< Si, coach ! >> rispose Tom.
<< Non ho sentito ! >> esclamò nuovamente il coach, così forte che gli volò dalla bocca il sigaro che avidamente fumava. 
<< Si, coach ! >> Fu costretto a gridare anche lui.
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I ragazzi della squadra avversaria erano colossi, la Squarterbang era conosciuta come la squadra liceale più pericolosa di tutta New York. Il più pericoloso di tutti era il loro Runningback, Ryan Riser il n° 11, si vociferava che una volta in una partita contro la Country Accademy placcò un membro della squadra con tanto di quell'impeto che gli spezzò due costole. Ma queste sono soltanto dicerie , alcuni credono che le abbia messe in giro lui stesso per intimorire gli avversari, anche se fosse vera la cosa non stupirebbe più di tanto dato la stazza che ha: robusto, muscoloso e spalle così esageratamente larghe da essere sproporzionate alla minuscola testa.
La squadra Squaterbang sembrava molto determinata, ma anche la Globery University non era da meno. Tom sembrava carichissimo, gli formicolava tutto il corpo, ogni parte del suo corpo era pronta: era pronto all'azione, e come lui anche i suoi compagni.
L'arbitro fischiò l'inizio della gara, la battuta toccò alla Squaterbang che non perse tempo e diede velocemente un calcio alla palla. La partita era molto combattuta, si sentiva nell'aria quell'atmosfera di sfida che inebriava le squadre, quasi fosse tangibile. Tom fece come da copione: pensava all'attacco e quando non attaccava marcava il n° 11. Non era facile: il Runningback era veloce, forse più veloce di lui, ma finora i tentavi di Ryan furono bloccati per ben due volte da Tom. La Globery aveva un piano: bloccare gli attacchi sul nascere. Le squadre si impegnarono molto, ed ad ogni errore i coach di entrambe le squadre esultavano o sbraitavano. Dopo un'ora di lunga lotta finì la partita con un pareggio, l'arbitro fischiò e tutti i giocatori andarono sotto le docce. 
Come di routine il coach della Globery sbraitò il discorso post-partita, dicendo che chiunque avrebbe potuto dare di più e che alla fin dei conti quella squadra non era nulla in confronto alle altre squadre che gli toccherà affrontare durante la stagione, dopodichè tutti andarono a farsi la doccia.
Tom uscì per ultimo dallo spogliatoio, e quando fu in procinto di andarsene a casa, sentì delle grida di ragazza provenire dallo stadio. Era Stacey Bell la compagna di classe di Tom, si trovava in mezzo al campo con un tomahawk in mano. L'arma era lunga quanto l' avambraccio della ragazza, e dalla lama grondava sangue di colore marrone scuro. Davanti a lei c'era una creatura con la pelle squamosa di colore marrone e venature rosse. Lei non sembrò spaventata, anzi sembrava quasi arrabbiata contro di essa, nonostante la stazza della creatura fosse almeno il doppio della sua. 
La creatura fece un balzo verso l'alto alzandosi di circa quattro metri da terra per poi fiondarsi con le zanne in avanti verso la ragazza. Lei fece una capriola per terra e schivò il colpo , dopodichè montò sulle spalle della creatura e si preparò a dare il colpo di grazia: alzò il tomahawk verso l'alto, ma fu troppo lenta: il mostro ebbe il tempo di dimenarsi e scaraventarla con il braccio squamoso verso le panchine. Lei fece un volo di almeno dieci metri e sbattè con la schiena e con la testa, distruggendo qualche panchina, ma non sembrò curarsene troppo, perchè si rialzò e tornò alla carica.
<< Adesso mi hai stancato! Non vuoi proprio crepare! >> disse fra sè e sè.
Si lanciò verso di lui con entrambe le braccia che impugnavano l'arma puntate verso l'alto, fece un balzo in avanti di due metri e con un colpo secco gli recise la testa dal collo. 
Tom rimase ammutolito e stupito per tutto il tempo, nella sua testa c'erano troppe domande a cui mancavano le risposte: Chi è veramente lei? Che cos'era quella cosa? E perchè stava combattendo? 
Fu in quel momento che Stacey si accorse di Tom. Sulla faccia di lei si dipinse un sentimento di stupore e paura: non aveva la ben che minima idea che qualcuno la stesse osservando. Con gli occhi pieni di paura e di lacrime riconobbe che quello era il suo compagno di classe Tom Wilson.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


capitolo II
Come ogni mattina Tom si alzò per andare a scuola, sembrava tutto normale, o meglio, lui voleva che lo fosse: non poteva scordare quello che la sera prima aveva visto. Quelle immagini gli rimanevano impresse nella testa in modo troppo vivido per essere scordate. Non era normale che una ragazza di sedici anni, che frequenta il secondo superiore  vada in giro ad ammazzare mostri. La cosa era troppo strana per essere dimenticata da un giorno all'altro. 
La cosa peggiore è che non poteva raccontarlo a nessuno: nessuno avrebbe creduto ad una storia simile. Fece capolino su chi gli avrebbe creduto: i genitori? Nah, troppo ottusi; il suo migliore amico Simon ? Forse lui si. In fondo si conoscevano dalle elementari e frequentavano la stessa scuola da due anni, per non parlare che giocavano pure nella stessa squadra: già, forse lui gli avrebbe creduto.
Tom guardò l'orologio. Segnava le otto passate: era tardissimo. La madre come al solito non si era degnata nemmeno di svegliarlo. Tom imprecò pensando al ritardo che si sarebbe aggiunto per l'ennesima volta alla sua lista. Si vestì in fretta, prese la felpa rossa, un paio di jeans e scese le scale di gran carriera, tanto che mancò poco che scivolasse.
<< Ciao tesoro. Ho preparato le frittelle. >> lo salutò la madre, mentre sembrava impegnata a sistemare il grembiulino del fratello più piccolo, James.
<< Ciao mamma, scusa ma sono in ritardo, non posso mangiarle. >> si affrettò a rispondere.
<< Come al solito. >> rispose in tono sarcastico il fratellino, con la sua voce volontariamente melliflua.
<< Non ho tempo per te, rompiscatole. >> disse Tom.
 James per tutta risposta uscì la lingua. Tom per ripicca rispose con la stessa smorfia, mentre piano piano scompariva dietro la porta d'ingresso.
<< Bambini... >> bofonchiò la madre.
 
<< Tre... due... uno... >>
<< Buongiorno professore ! >> disse affannato Tom.
<< Otto e mezza. Puntuale come sempre signor Wilson. >> scherzò.
<< Mi scusi professore, è che... la sveglia... >> fece per giustificarsi Tom.
<< Si, si, l'abbiamo già sentita questa, signor Wilson. Prenda posto perfavore. >>.
Tom attraversò la fila di banchi prima di arrivare al suo, e  si accorse che la classe ancora sogghinava per le squallide battute del prof. Il prof era un tipo simpatico, forse troppo: aveva sempre la risposta pronta. Nessuno era riuscito a metterlo sotto pressione fino a quel momento, e nessuno era riuscito a farlo arrabbiare, al massimo qualcuno solo a stufarlo. Tom si sedette e pe qualche nanosecondo adocchiò la classe per vedere i presenti. Stacey era seduta al suo solito posto: all'angolo della classe. Aveva una felpa nera, il cappuccio tirato su, e dalla felpa usciva qualche filo dorato di capelli che teneva sempre legati. Nel giudizio generale era carina, ma nessun ragazzo osava avvicinarsi per via del suo sguardo di ghiaccio e quell'alone di freddo che portava sempre con sè. Non per niente fin dal primo superiore sedeva sempre sola. Eppure, pensò Tom mentre la fissava con occhi curiosi, la sera prima non sembrò tanto cattiva come adesso, anzi il contrario: la sera prima aveva pianto. Notò che lei non ebbe nemmeno il coraggio di alzare lo sguardo verso di lui, non che la cosa non era normale, dato il fatto che non dava confidenza a nessuno, ma entrambi sapevano il vero motivo per cui non lo faceva.
<< Dai bello, smettila di fissarla. Finirai per prenderti una cotta. >> scherzò il suo compagno di banco. Era Simon il suo migliore amico. Aveva un cardigan grigio che si abbinava alla sua pelle scura.
Tom lo guardò in faccia per qualche secondo e pensò se era il caso di raccontargli quello che aveva visto. Per un momento pensò di doverlo fare, ma poi si ricordò quanto la cosa poteva sembrare folle e non lo fece. E , carico di pensieri, distolse lo sguardo verso il basso.
<< Dai, amico. Stavo solo scherzando. >> disse Simon. Ma Tom lo ignorò.
Durante l'ora il professore continuò a spiegare e a spiegare. Tom di tutta quell'orda di parole non ne capì nemmeno una, non che la cosa fosse anormale, ma questa volta era avvolto nei suoi pensieri più delle altre volte. Avrebbe voluto delle risposte, il perchè lei stesse combattendo con quel mostro, e cosa lei fosse in realtà. Nella mente di Tom si aprì un barlume di speranza e piano piano si convinse che nell'ora successiva sarebbe andata da lei per saperne di più.
L'ora suonò e ognuno dei compagni si accinsero ad andare nei propri armadietti. La prima ad uscire dalla classe fu Stacey seguita da Tom. Tom era dietro di lei, poteva vedere il corpo perfetto e sinuoso, temperato chissà da quante battaglie; si fece coraggio e gridò il suo nome << Stacey. >> 
Lei fece finta di nulla e continuò imperterrita ad andare avanti. << Stacey, aspetta. >> Ancora niente.
Al che Tom stufo della situazione la prese per il braccio scoperto e la tirò a sè. Lei trasalì. 
<< Che cosa vuoi ? >> gridò secca lei.
<< Che cosa è successo ieri sera ? >> chiese lui.
<< Non so di che parli. >> lo liquidò lei.
<< Oh, si che lo sai ! >> disse. << Ti ho visto fare un volo di dieci metri. >> gli sussurrò Tom.
<< Non è affar tuo. >> lo intmidì lei. Lo guardò in cagnesco, dopo di che si girò dall'altra parte e riprese a camminare.
<< Almeno dimmi che cos'era. >> gridò a lei che ormai era già dall'altre parte del corridoio, oltre gli armadietti verdi.
<< Lasciami in pace. >>
<< Ehi, amico adesso parli pure con lo " spaventapasseri " >> scherzò Tyler.
Tyler era il caposquadra della squadra di palla-canestro. Era un tipo alto, robusto, spalle larghe, e con un cervello insopportabilmente minore alla media. Si faceva il bullo con chiunque, non aveva rivali. Secondi le ragazze era il tipo più figo della scuola, e non per niente la sua ex era stata Clary Catten la ragazza più carina della scuola. Non si sa come quel tipo è riuscito ad ammaliarla. 
<< Stai zitto, Tyler. >> disse seccamente Tom.
<< Non dirmi che ti piace lo " spaventapasseri " ? Ti sei innamorato ? >> scherzò lui, girando la testa come per cercare sguardi di intesa. Tutti gli astanti si unirono in coro alla risata. 
Tom si girò e gli tirò un destro dritto sul naso, lo prese in piena faccia, ma Tyler era un duro e sicuramente quello non era il primo pugno che incassava nella sua vita. Ad Tyler gli usciva sangue dal naso, ma questo non bastò fermarlo: si chinò e atterrò Tom con un placcaggio da maestro. Tyler si sedette su Tom e cominciò a tirare ganci sulla sua faccia da entrambe le mani. Un paio li scanzò Tom, ma altri gli finirono dritti in faccia. 
Intanto attorno a loro si creò una folla di curiosi che alimentava ancor di più la rissa in atto con incitamenti. << Tyler! Tyler! Tyler ! >>.
<< Tom! Tom! Tom! >> 
Tom appena potè si liberò dalla presa di Tyler: con un calcio lo scaraventò dall'altra parte, facendogli fare un volo di mezzo metro. Entrambi si rialzarono in modo sincronizzato. Tom caricò il pugno per l'ultima volta, ma quando lo tirò prese per errore  il preside della scuola, che improvvisamente , poco prima, si fece largo tra la folla per sedare la rissa.

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Capitolo 3
*** capitolo III ***


Le ore si fecero lunghe per Tom, mentre aspettava seduto davanti all' ufficio del preside. La stanza era ben arredata: aveva armadi di color legno in frassino, e dentro questi c'erano parecchi trofei, tra i quali alcuni che Tom riconobbe subito, perchè erano stati vinti gli anni precedenti dalla squadra di football Globery University: la sua squadra. Il pavimento era arredato con una moquette rossa e sopra di essa un tavolino in legno su cui c'erano alcune riviste e fogli di giornale. Il preside Newman aveva convocato i signori Wilson che adesso si trovavano in presidenza. Lui intanto passava il tempo con una mano giocando a fare figure con la carta del giornale scolastico, mentre con l'altra mano teneva una sacca di ghiaccio sul labbro tumefatto.
« Ti facevo un duro. » disse Stacey mentre si avvicinava.
« E lo sono. » disse incerto Tom: che non si aspettava una conversazione con lei, soprattutto inziata da lei stessa.
« E del labbro che mi dici? » scherzò lei, facendo un mezzo sorriso, e indicando con un movimento veloce della mano il labbro.
« L'altro sta peggio. » sentenziò Tom. « Tu, invece, come mai qua? »
« Volevo vedere quello che era rimasto...»  abbassò la testa e le guance si colorarono leggermente di rosso. « e volevo ringranziarti per avermi difeso. » 
Cosa? Stacey Bell che ringrazia? A Tom quasi non parve vero. Forse non era la ragazza fredda che tutti pensavano che fosse. Forse anche lei con il giusto approccio sarebbe uscita dalla fortezza di ghiaccio in cui si trovava. 
« Normale rissa di routine... » scherzò, mentre ancora si forzava a non aprire la bocca per lo stupore. « Comunque Tyler è un bullo e prima o poi qualcuno doveva dargli una lezione. » Si, ma perchè io?: neanche Tom era tanto convinto di quello che diceva.
« Comunque, ci tenevo a ringraziarti. » Si raddrizzò come un palo. Dopo fece un lungo sospiro, superò il tavolino che li separava con uno slalom poi si chinò e gli diede un bacio sulla guancia scoperta. Per un attimo Tom sentì le labbra di lei appoggiarsi sulla sua guancia, ma fu solo un attimo perchè poi lei le staccò repentinamente; come se il solo contatto la ustionasse. Quando si staccarono i due rimasero ammutoliti a guardarsi negli occhi. Intorno a loro si creò un silenzio imbarazzante. 
Un silenzio, che pensò Tom di rompere.
« Ehm... Riguardo a ieri sera che mi dici? » 
Lei per tutta risposta, increspò la fronte, si alzò la manica nera della felpa fino a coprire tutta la mano e gli diede un ceffone sul labbro tumefatto.
« MASCHI ! » gridò al nulla, mentre infuriata se ne andava a passo pesante verso il corridoio; lasciando Tom con la faccia dolorante.
Ecco di nuovo la Stacey di ghiaccio. Pensò Tom mentre con la mano massaggiava la parte dolorante.
In quell' istante uscirono i genitori.
 
 
« Mio figlio... è un teppista. » disse la madre di Tom mentre con un fazzoletto asciugava le lacrime.
« Questa volta, figliolo, l'hai combinata grossa! » disse con tono perentorio il padre guardandogli gli occhi attraverso lo specchietto retrovisore.
« Mi hai davvero deluso: picchi i più deboli, fai piangere tua madre, vai male a scuola... ».Con quegli occhi ammonitori riusciva a guardare la strada e a rimproverare il figlio tutto allo stesso momento. Tom non riusciva a capacitarsi come la cosa fosse possibile. Abilità paterna.
« Ha iniziato lui. »Tom non sembrava curarsene molto della situazione. Affacciato al finestrino guardava il mondo che sembrava muoversi da solo. Ormai era abituato alle scenate dei genitori, che esageravano per ogni sciocchezza. E soprattutto aveva imparato che, come al solito, gli conveniva stare zitto. Più stava zitto, più possibilità aveva di evitare il castigo.
« Non prendermi in giro ragazzino: il preside Newman mi ha detto che stavi caricando un pugno quando è arrivato. » sentenziò il padre con tono austero. Aveva un mento tanto possente e ben delineato che quando parlava, imponeva autorità. « E poi abbiamo sentito la versione del ragazzo, e ci ha detto che sei stato tu a tirare il primo pugno! ».
Beccato. Tom si sorprese quando concepì quanto era stato furbo Tyler, nonostante il cervello mediocre che si ritrovava. Ma ancora nulla: Tom non diede segno di resa: la sua tattica era quella di mantenere il silenzio fino all'arrivo. La sua calma avrebbe avuto la meglio.
« Ti meriti una bella punizione! » disse il padre mentre con una mano ancora consolava la madre, che sembrava essersi calmata un pochino. « Niente macchina per un mese! »
« COSA?! » quelle parole lo investirono quasi quanto i pugni di Tyler. Non poteva farlo, l'unica cosa che gli rimaneva e volevano levargliela. Adesso capì che la "tattica del silenzio" non funzionava e decise di abbandonarla: doveva dire qualcosa di sensato, che l'avrebbe aiutato a scanzare la pena. 
« Non puoi farlo! » Al che la madre che sembrava essersi calmata ricominciò a piangere a dirotto e a mugolare qualche parola.
« Lo sapevo... è un teppista....» mugolò la madre. « si ribella al padre. » Cosa? Adesso sta esagerando!
« Signorino non provarci nemmeno! » anche il padre si convinse della cosa. « Altri due mesi senza macchina! »
Oddio. Rimpianse di non esser rimasto fedele alla vecchia e buona tattica.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Era sera. La Amsterdam Avenue era illuminata dalla luce dei fari. Le case di quel quartiere si assomigliavano molto fra loro. Erano bianche e avevano due tetti: uno era quello principale che copriva tutta la casa; l'altro era sostenuto da delle colonne che ornavano l'entrata, e posto davanti ad una finestra. In quest'ultimo, come abitualmente accadeva, sedeva Stacey. Da lì sentiva tutto: il miagolare dei gatti o l'abbaiare dei cani, le conversazioni per strada, e anche le conversazioni dentro le case. Per lei era normale sentire a dieci metri di distanza un bisbiglio. Però quella sera non si concentrò ad ascoltare i pettegoli delle vicine, o gli schiamazzi dei bambini dentro le loro camere. Questa volta pensò a Tom e a lei. Era ancora arrabbiata con lui per la mancanza di tatto, ma anche un po' dispiaciuta per la reazione che avevo avuto: forse quello schiaffo in fondo in fondo non se lo meritava.
Pensò a ciò che lei era, e al contatto con quell'umano. Gli era già capitato di toccare un umano, ma non volontariamente. Le regole parlavano chiaro: gli umani andavano solo protetti, nè toccati, nè disturbati. Gli umani non dovevano essere consci della loro esistenza. 
La famiglia di Stacey era fedele al regolamento, era riconosciuta come la famiglia più professionale. Mai un tradimento, e quasi mai un fallimento. Il Consiglio si affidava a questi quando le cose si mettevano male. Però, nonostante Stacey facesse parte della famiglia più brava della sua razza, si sentiva soffocare sotto quelle vesti. Voleva essere un' umana. E il desiderio, pensando a Tom si alimentava ancor di più.
« Stacey, Annabel, Ronald. » chiamò la madre per avvisarli della cena.
Stacey fece un balzo di sotto, superò le scale ed entrò dalla porta d'ingresso.
« Quante volte ti ho detto di non farti notare dai vicini, ragazzina. » la ammonì per la millesima volta la madre, con l'aria un po' stufa.
« Mamma, è buio, e non mi vede nessuno. » si giustificò lei, anche se la madre la ignorò.
« Ron, mi chiami Annabel, sarà come al solito con le cuffie nelle orecchie. » gli disse con aria dolce.
« Certo, mamma. » Si alzò da tavola  e salì i gradini a due a due.
Ronald era il figlio adottativo. Era il più grande di tutti, superava Stacey di cinque anni, mentre Annabel era la più piccola: aveva quattordici anni. Non era il primogenito, ma la famiglia lo trattava come tale. Nelle ricognizioni era sempre lui che i genitori sceglievano, e quando i genitori non c'erano, era lui il leader delle missioni. Si comportava sempre in modo diligente, sia in casa che fuori casa: fin da piccolo riusciva a controllare i suoi poteri; e manteneva sempre un profilo basso. I genitori ne erano ammaliati. Non si poteva dire lo stesso di Annabel che era la più pestifera. Una volta a dieci anni spezzò il braccio ad un suo compagno di scuola, che faceva il bulletto con un suo amico; e a dodici fece volare di quattro metri una bambina della sua stessa età alle lezioni di Judo. Infatti quella volta furono costretti a cambiare città e nome,  perchè i maestri facevano troppe domande, e non riuscivano a venirne a capo. Il padre lì per lì, aveva risposto "energia interiore", ma nemmeno i maestri credevano a queste cose.
« Eccola. » disse Ronald, mentre portava sulla spalla la sorellina.
« Questo non potete farlo! Ho i miei diritti! » dimenava morbosamente le braccia, e tirava ginocchiate al fratello.
« Li avrai a diciott'anni. » rispose il padre, mentre sedeva a tavola.
« Arnold quello era in Italia, qui si diventa maggiorenni a sedici. » lo corresse Gwen, la moglie.
« Davvero? » alzò il sopracciglio destro, come se la cosa lo soprendesse molto.
« Eh, si papà. » disse Ron mentre con due dita scostava gli occhiali da vista tartarugati. « Prima che Annabel ci mettesse nei guai. »
« Non è stata colpa mia. Era lei troppo gracile! »  rispose offesa la sorella, mentre sedeva.
« Chiudiamo la discussione, non voglio sentire nulla riguardo a quella storia. » sentenziò la madre. « Pensa piuttosto al lavoro che ti spetta stanotte. »
« Cooosa? » fece un'espressione di mero stupore la sorella più piccola. « Voglio venire anch'io! »
« Sei troppo piccola. » rispose la madre.
« Ma Stacey ha ucciso il suo primo mostro a tredici anni! » piagnucolò Annabel.
« Io non ho rotto finora il braccio a nessuno. » rispose Stacey. Però ti sei fatta vedere mentre uccidevi un mostro. Pensò.
« Ho detto che non voglio sentire più quella storia! » la ammonì la madre con tono insindacabile. « E poi il mostro che ha ucciso Stacey era di Classe Minore. Quello che deve affrontare Ron è Classe Maggiore. »
« Complimenti figliolo, cresci in fretta. » disse il padre che fino a quel momento era stato zitto, perchè era troppo impegnato a mangiare gli spaghetti italiani cucinati dalla moglie. « Sono fiero di te. » alzò la voce, come per dimostrare tutta la sua soddisfazione.
« Cosa? Siete pazzi! » si stupì Stacey nel sentire il tutto. 
« Stacey! » rispose la madre, che spalancò gli occhi dallo stupore.
« Finirà ammazzato! » replicò la figlia.
« Stacey, non preo... » cerco di dire il fratello, ma fu interrotto dal padre che in quel momento si era alzato con impeto da tavola. 
« Signorina, non dire più cose del genere! Al tuo posto sarei fiera di tuo fratello! »
« E' assurdo! Non ne ha mai affrontato uno di quella classe da solo! » anche Stacey si alzò da tavola, come per accentuare la sua replica. « Non ha chance! »
« Adesso basta! Cenerai in camera tua stasera! »
« Ma... ma... » non ebbe il tempo di formulare una frase che la madre si intromise.
« Tuo padre ha ragione, non sei ancora così grande da decidere per tuo fratello. » 
Stacey infuriata come non mai, si diresse verso le scale con le lacrime agli occhi.
« In questo stato ho la maggiore età! » disse come se la cosa risolvesse il problema. Giunse davanti la porta di camera sua, con violenza la aprì e con altrettanta violenza la richiuse. Si sdraiò sul letto e rimase lì a piangere.
 
Era notte fonda. Stacey non era uscita per tutta la serata dalla sua camera, e non aveva visto nessuno della famiglia fino a quel momento. Non per piangere, ma per prepararsi alla battaglia. Tutta la sera pensò a limare la lama del suo tomahawk, e a vestirsi. Portava un corpetto nero imbottito, dei pantaloncini in pelle neri, dei guanti scuri, ornati da piccole lame affilate come rasoi e una cintura marrone scuro da cui pendeva l'arma. Quella notte avrebbe seguito suo fratello.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Era notte fonda. Davanti a Tom c'era una lunga fila. Accanto a lui si trovavano Simon e Alice.
« Guardate quello. Mi sta mangiando con gli occhi! » rise concitata Alice.
« Hai fatto colpo prima ancora di entrare. » scherzò Simon.
« Stasera mi voglio proprio divertire! » Alice si sistemò ancor meglio il vestitino corto che portava sotto lo giacca nera.
« Farai ingelosire il tuo ex. » Simon ammiccò l'occhio a Tom. Ma lui non si degnò nemmeno di rispondergli. « E' una fortuna che i tuoi non ti abbiano visto uscire. » 
« Già... Quale amico ti constringerebbe ad uscire di nascosto per andare in discoteca? » disse Tom.
« Un amico di colore che ti vuole bene. » mostrò i denti bianchi che stonavano con la pelle scura. « Guardati intorno, amico. Hai visto che pollastrelle? » soggiunse.
« Ehi, ragazzi io non ce la faccio più, vado da quello: è troppo carino! » disse Alice con la frenesia che usciva da tutti i pori.
« Brava, lasciaci soli. Ci divertiremo lo stesso senza di te. » disse Simon, mentre squadrava il rubacuori. « Femmine... Basta che vedono un biondino con occhi azzurri e non capiscono più nulla. Sarà più forte di loro. Giusto amico? »
Ma Tom non lo stava ascoltando ormai da un pezzo. La sua attenzione fu attirata da qulacos'altro: vide Stacey Bell mentre girava l'angolo della strada. « Aspettami qui Simon. Arrivo subito. » E si avviò verso di lei. 
« Cosa? Ma che vi è preso a tutti e due? » disse piegando la testa con fare sospetto. « Se questo è uno scherzo organizzato da voi due, è di pessimo gusto! »
Ormai Tom era troppo distante per sentire le parole del suo amico. La sua attenzione era rivolta a lei. Non sapeva ancora cosa dirle o perchè la stesse seguendo, ma lo stava facendo.
 
Stacey si muoveva in punta di piedi. Seguiva di nascosto il fratello fin da quando era uscito da casa. Non lo aveva perso di vista un solo attimo. Eppure quando improvvisamente girò l'angolo, non lo vide più. Si sentì tirare per un braccio e trasalì per lo spavento. Due occhi con davanti delle lenti da vista la guardavano.
« Che stai facendo? Non dovresti essere qui. »
« Ron, mi fai male. » al che il fratello lasciò la presa. « Non sei pronto per ucciderne uno di quella classe. » aggiunse.
« Torna a casa, rischi grosso qui. » gli occhi di lui rivolsero l'attenzione altrove. Stava osservando il vicolo buio dove, vicino ai rifiuti della spazzatura, sedeva un barbone.
Stacey lo guardò di traverso. « Mi tratti come una bambina! Ho sedici anni. » 
Il fratello sorrise per metà. « Sembra di sentire parlare Annabel. » 
« Non sto scherzando sono... » le parole le morirono in gola. Ron con un dito la zittì.
Il volto di lui si era fatto cupo e serio. «Zitta. E' qui. »
Il barbone del vicolo si trasformò in un mostro. Lui sembrava non mostrare segni di paura in volto. Lei invece sentiva le gambe tremare: era la prima volta che vedeva un mostro di quelle dimensioni. Assomigliava ad un cane senza pelo, aveva la carne scura, dalla bocca usciva bava e si potevano vedere i denti aguzzi bianchi che ringhiavano verso di loro. Non era il solito mostro di enorme stazza senza cervello che aveva affrontato Stacey fino ad adesso. Quello aveva un'aria molto più minacciosa.
« Vattene via, Stacey! » Ron sfilò dalla cintura una daga, e si avviò a passo lento verso il mostro.
Stacey non lo ascoltò anzi, anche lei tirò fuori il tomahawk e corse incotro alla creatura; fece un passo sul muro e gli colpì uno degli enormi occhi rossi. Questa ruggì, girò su se stessa e con la coda la colpì. Lei sbattè con la schiena contro uno dei bidoni verdi.
« Stacey! » il fratello prese una pallina d'acciaio dalla tasca, la alzò in aria e questa esplose. Dalla pallina uscì un lampo luminoso che accecò la creatura. Ron ne approfittò e ferì alle caviglie il mostro. Dopo trascinò la sorella il più lontano possibile.
« Stai bene? » chiese preoccupato.
Lei non disse nulla e si rialzò con fatica. 
« Quasi non ti reggi in piedi! Ma quanto sei testarda?! »
« Stiamo vincendo, no? »
« L'ho solo ferita alle zampe tra un po' si rialzerà! »
Infatti fu così. Aveva una zampa zoppa, ma non bastò: caricò Ron con la testa e lo fece finire contro il parabrezza di una macchina. 
« RON! » gridò Stacey.
Il mostro si preparò a colpire con una zampa.
« Ehi, bestiaccia! Prenditela con qualcuno della tua stazza! » gridò un ragazzo in mezzo alla strada. E gli lanciò un casco.
« Tom! » gridò lei.
« Bene, ho catturato la sua attenzione.» bisbigliò a se stesso.
La creatura si girò e con una zampata lo scaraventò in aria.
Stacey ne approfittò: gli montò sulla schiena viscida e gli conficcò il tomahawk nella testa. Il mostro cadde a terra con un grosso tonfo. Dopo pochi secondi si trasformò in polvere.

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