Vuoi sapere dove si trova l'eternità?

di Gillian Kami
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Ti stavo aspettando ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Lei, lungo la mia strada ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: Under the rain ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: The Fabulous Four ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: I'm fine ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: Ciò che sta diventando importante ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: Feelings ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8: Alysei ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9: What you feel inside your deep ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10: Neve ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11: Ray of Sun ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12: Before the fall ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13: Life ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14: Hier ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15: Breath ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Ti stavo aspettando ***



Capitolo 1

Ti stavo aspettando.

 
 
“ In quel periodo mi chiedevo spesso quale fosse la ragione per cui ero venuta al mondo. Era una domanda che mi ponevo ogni volta che mi capitava di restare sola, quindi per la maggior parte del tempo.
Ci riflettevo intensamente, con tutte le mie forze, però quella ragione non la trovavo.
Non esisteva in nessun luogo, in nessuna persona, in niente.
Producendo una tale conclusione mi pareva ovvio che la vita che tutti proclamavano tanto importante fosse del tutto inutile. Non poteva essere altrimenti o almeno doveva essere così nel mio caso.
Se a quattordici anni perdi ogni sogno, desiderio e volontà nel vivere, fattori che riassumo insieme ciò di cui è fatta la vita, allora significa che non c'è alcuna speranza di salvarsi. Era quello che mi dicevo per giustificare la totale apatia in cui mi ero immersa. Era una scusa che avevo accettato volentieri per non dover sforzarmi di vivere per amor di me stessa.
Non speravo in nulla.
Non desideravo nulla,
Non pregavo nessuno.
Pensavo che la salvezza fosse per coloro che la desideravano, non per una che attendeva trepidante il momento di dire sayonara. Qualcuno, se avesse saputo di quei miei pensieri, avrebbe pensato che ero troppo melodrammatica ma io non lo ero affatto. Più che altro mi ritenevo debole.
Ero troppo debole per poter affrontare la vita.
Dopo tutte quelle disgrazie.
Dopo tutto quella sofferenza, avevo sviluppato una paura terrificante di vivere.
Come era possibile che tutte le persone che stavano intorno a me sembrassero così serene, così forti.
Come? Se nessuno possedeva il mio stesso terrore, se io ero la sola, se io ero sola allora che senso aveva vivere? Se non c'era quel senso allora andava benissimo che non sperassi in nulla, non desiderassi nulla, non pregassi nulla.
Andava bene. O almeno mi illudevo che fosse così.”
 

***

 
 
“Va bene. Fate come preferite. Portatevela via se ci tenete tanto, non mi interessa. Per quanto mi riguarda la Germania è persino troppo vicina.”
Tagliente.
Questo è l'aggettivo che le veniva in mente quando pensava a sua nonna. Tagliente in qualunque cosa facesse. Era quel tipo di donna che quando ti passava di fianco emanava un'aura pesante e atterriva qualunque barlume di fiducia in te stesso. Era quel tipo di persona che amava muovere il mondo in funzione del suo tornaconto e col suo potere misterioso riusciva a farlo. Era una figura che aveva sempre ritenuto complessa e spaventosa.
Cassandra Alysei era un concentrato di fredda, calcolata, astuzia mista ad un innegabile fascino. Era assolutamente stupido chiunque decidesse di scontrarsi con lei, per questo Lyric aveva pensato che sarebbe stata una pazzia decidere di chiederle il permesso di andare a vivere in Germania, però la proposta così improvvisa di sua zia Freia le era parsa una prospettiva troppo allettante per non rischiare. Il fatto che andasse a vivere in un paese in cui non metteva piede da quando aveva sette anni e dove praticamente non conosceva nessuno, se non quella zia sbucata dal nulla, non la preoccupava. L'importante era che si dividesse da quelladonna.
L'importante era che potesse vivere la sua apatia lontana da lei.
L'importante era non vederla.
Era la madre di sua madre, ma non avevano niente in comune che potesse far pensare al fatto che ci fossero stati dei legami di sangue, almeno dal suo punto di vista. Se avesse continuato a vivere sotto lo stesso tetto con lei sarebbe sicuramente morta di una lenta agonia, a dir il vero stava già perendo poco a poco. Quella donna non aveva niente a che fare con ciò che rappresentava una famiglia e Lyric non aveva intenzione di chiamare quella donna la sua famiglia.
Si odiavano. Profondamente. Una verità che entrambe conoscevano bene anche se non se l'erano mai detto apertamente. Tale sentimento era palese, soprattutto da parte di Cassandra.
In ogni sua parola e in ogni suo gesto si annidava un rancore mal celato.
Lyric non aveva mai capito la ragione di questo odio da parte di quella donna, ma dato il comportamento che aveva sempre ricevuto non aveva faticato a rispondere con un egual odio nei suoi confronti. La situazione era poi degenerata alla morte di sua madre Eleonor.
Erano passati sei mesi dalla sua scomparsa, ma per Lyric il tempo si era fermato.
Se chiudeva gli occhi poteva ritornare lì davanti alla madre defunta, il giorno in cui si era addormentata per sempre. Lì, inginocchiata davanti al capezzale del letto, con gli occhi gonfi e rossi di lacrime che non smettevano di cadere mentre sua nonna era in piedi dalla parte opposta alla sua.
Erano rimaste impresse nella memoria di Lyric la sua figura impassibile e lo sguardo gelido che fissava il corpo di sua madre con fare contrariato, come se Eleonor si fosse concessa di morire senza chiederle prima il permesso.
Gli occhi di sua nonna, in quell’occasione, erano sembrati feriti come se sua madre le avesse osato fare un oltraggio troppo grande da poter essere perdonato. Lyric avrebbe ricordato per sempre il modo in cui, qualche secondo prima di uscire dalla stanza, sua nonna l'aveva guardata negli occhi trasmettendole rabbia e odio. Si sarebbe sempre ricordata come con quella occhiata le avesse detto: è colpa tua.
Quale colpa avesse, poi, non lo sapeva.
Dopo la sepoltura di sua madre, Lyric era andata a vivere assieme a lei, divenuta la tutrice legale dopo varie dispute con suo zio Victor. L’unico della famiglia per cui riuscisse a provare del sincero affetto. 
Il fatto di dover vivere nello stesso luogo di una persona che odiava e da cui era odiata le aveva fatto passare i sei mesi più lunghi e terribili della sua vita. L'inferno sarebbe stato sicuramente più leggero da sopportare. Ancora si chiedeva del perché quella donna avesse insistito tanto affinché le venisse affidata, quando non sembrava dimostrare nessun particolare interesse per il suo bene.
A Lyric sarebbe piaciuto che l’avesse consolata, le sarebbe piaciuto avere parole d'affetto, ma tutto questo non lo aveva ricevuto da Cassandra Alysei. Da lei aveva ottenuto indifferenza, oppressione, sarcasmo e gelo, tutte cose che si potevano riassumere in una specie di tortura psicologica in piccole dosi.
Erano stati i sei mesi più desolanti che avesse mai vissuto. Era stata rinchiusa in una gabbia da cui non si vedeva il sole.
Quindi quando arrivò sua zia Freia, zia di cui ricordava vagamente l'esistenza dato che alla morte del padre i contatti con il ramo paterno della famiglia si erano affievoliti, Lyric non avrebbe potuto essere più felice. Anche se non aveva nessuna speranza di migliorare la sua condizione di sofferenza, allontanarsi da quella donna era meglio che niente.
Sua zia doveva aver provato un moto di pietà per quella sua nipote così sfortunata, che a soli quattordici anni era diventata orfana di entrambi i genitori. Sicuramente era stato questo il motivo di una così azzardata offerta, si era detta Lyric mentre aspettava fuori dall'ufficio di sua nonna.
Nonostante non avesse bisogno di lavorare per vivere Cassandra continuava imperterrita a sedere sulla sua poltrona di presidentessa. Questo perché secondo lei non esisteva ancora nessuno tra la cerchia di famiglia che potesse ereditare il suo ruolo.
“Stavo giusto per chiamare la vostra famiglia e chiedervi di tenerla con voi per qualche tempo. Un annetto o due, sarebbe l'ideale. Al momento sono troppo oberata dal lavoro per potermene occupare. Un’impresa come la nostra non si regge in piedi senza qualcuno che lo governi. E poi anche voi siete suoi parenti.” Lyric sentiva ogni cosa perché la porta non era stata chiusa perfettamente e lei era andata ad origliare la discussione.
Fece una smorfia. Come al solito sua nonna parlava come se fosse la dittatrice della terra.
“Credo che si troverà bene da voi. Infondo ci ha vissuto fino ai sette anni.” sua zia disse qualcosa a bassa voce. Sua nonna rispose con una risata che suonava di scherno.
“Crede davvero che mi possa mancare quell'esserino malinconico?” Lyric abbassò gli occhi, fissando i lacci delle sue scarpe, vergognandosi di essere un esserino malinconico. Una cosa che odiava profondamente di sua nonna era la sua capacità di farla sentire male con poche mirate parole. Sicuramente sapeva far leva sulle debolezze altrui.
Era una campionessa nel ferire l’animo di chi non era importante ai suoi occhi.
Ci fu un'altra risata “Di sicuro ne io, ne Lyric, troveremo giovamento nello stare insieme. Una nipote priva di forza non mi serve. È del tutto inutile.” Lyric strinse le mani in due pugni chiusi “La sua vista mi infastidisce e non mi è di nessun conforto per la perdita di Eleonor. Non assomiglia per niente a sua madre.”
Sicuramente avrebbe continuato con il discorso ancora per molto se non fosse intervenuta zia Freia zittendola “La smetta, per favore! Ho capito. Se lei dà il suo assenso la bambina verrà con me in Germania. Non dovrà più sopportare di vederla. Appena i documenti saranno firmati partiremo. Arrivederci signora Alysei.” la voce della zia era come disgustata. Non era abituata ad affrontare il veleno di quella donna. Poverina.
Lyric, impassibile, rimase in piedi vicino alla porta e lasciò che sua zia uscendo dall'ufficio la vedesse. Non disse nulla, la prese per mano e la portò via.
I documenti furono firmati tre giorni dopo. I bagagli per il viaggio pronti il giorno dopo ancora con il resto della sua roba già spedito prima della firma. Nessun saluto o parola da parte di nipote e nonna. Nessun tipo di contatto. Soltanto un insensibile “addio” pronunciato da quella donna prima che Lyric varcasse il check-in dell'aeroporto ed uno sguardo tra di loro, in cui il blu notte degli occhi di sua nonna trasmisero gelo.
Semplicemente desolante.
                                                                                                               

***

 
La morte di suo padre fu la prima grande ferita del suo cuore.
Accadde quando lei aveva appena nove anni, un evento casuale e tragico che le sconvolse la vita, in quell’occasione Sebastian Hörderlin morì in un incidente stradale causato dallo scontro con una macchina guidata da un ubriaco. Sua madre per lo shock venne ricoverata in ospedale per un mese intero. Oltre al dolore per la perdita del padre, Lyric temette per la prima volta nella sua vita di poter rimanere sola. Sperimentò sulla sua pelle lo sterile tocco della solitudine e ne ebbe una paura atroce. Furono i tempi in cui scoprì la sua fragilità. 
Eleonor successivamente riuscì a ristabilirsi e con grande forza tornò alla vita normale. Fu un vero sollievo per Lyric poter riavere indietro la madre; la vita però le decretò un destino veramente triste e senza preavviso le portò via anche lei.
Il suo cuore si era spezzato un'altra volta.
La solitudine a cui sentì di essere destinata divenne come una presenza personificata, la quale l'accompagnava passo dopo passo. Le ricordava continuamente che era sola, le rammentava che tutte le persone che aveva amato l'avevano abbandonata e le prediceva lo stesso fato se solo avesse provato a legarsi di nuovo a qualcuno.
La solitudine era dolorosa, una bestia nera che viveva dentro di lei, alimentata dalle sue debolezze e dalle sue insicurezze, una creatura dal ghigno beffardo assolutamente orribile. Con la terribile presenza di questa compagna indesiderata Lyric aveva perso la possibilità di sorridere. Non ricordava neanche più l'ultima volta che avesse compiuto quest'azione. Non sapeva se ne fosse ancora in grado, ma non le importava.
Quello che le rimaneva d fare era lasciarsi vivere. Con questo stato d'animo arrivò in Germania.
La città in cui sua zia decise di farla stare si trovava lontana da Berlino. Freia aveva ritenuto che sarebbe stato meglio per lei vivere in un luogo non troppo grande e caotico, per questo aveva fatto preparare una delle residenze di proprietà della famiglia.
“A dir la verità l'aveva comprata tuo padre anni addietro.” le spiegò la zia mentre erano in macchina, dirette alla fantomatica casa “Diceva che un giorno vi avrebbe riportato tutti qua. Diceva che non c'era posto migliore della buona vecchia Germania. Seb ha sempre provato un grande amore per il suo paese.” E nel dirlo la nipote notò la vena di malinconia che abbracciava le sue parole. 
Lyric cambiò discorso “Zia, puoi benissimo parlarmi in tedesco. Sono passati anni da quando vivevo qui però so ancora parlarlo. Devo solo rispolverare un pochino il mio vocabolario e farci l’abitudine.”
“Oh cielo! Scusa! Credevo che te lo fossi dimenticato quindi mi era parso ovvio parlare in inglese.”
Lyric scosse il capo “Fa niente.”
Era abituata a parlare entrambe le lingue dato che i suoi genitori avevano sempre ritenuto giusto farlo. Naturalmente negli ultimi anni, per quanto sua madre e lei parlassero qualche volta in tedesco, l'uso della lingua paterna era fortemente diminuito alla sua scomparsa. Infondo le occasioni per farlo erano state poche, inoltre lei e sua madre non avevano più messo piede in Germania dal lutto. Lyric lo imputava alla sofferenza che avrebbe scaturito in sua madre il ritornare nella terra in cui era stata tanto felice con suo marito. Per quanto forte fosse stata, sua madre era pur sempre un essere umano.
“Per il momento andrà benissimo parlare in inglese. Non voglio costringerti a cambiare improvvisamente abitudini. Quel che conta è che ti ambienti piano, piano, a questa nuova realtà.”
Sua zia Freia si voltò alla sua destra per poterla guardare “Ho sempre ritenuto che le decisioni, come i cambiamenti, non dovessero essere repentini. Quindi non c'è fretta di cambiare. Non c'è nessun sbaglio nel volere restare attaccati a qualcosa. Ciò che conta è capire in piena consapevolezza quando è il momento di mutare tale attaccamento.” sua zia si avvicinò a lei “Quindi anche se adesso non riesci a cambiare arriverà il momento in cui desidererai farlo.”
Freia le sfiorò il dorso della mano ma Lyric la scostò immediatamente.
Per qualche secondo la fissò con gli occhi spalancati prima di voltarsi verso il finestrino. A quanto pareva zia Freia era brava a capire ciò che passava nella mente altrui. Almeno non sfruttava tale qualità per fare del male, come sua nonna.
“Come si chiama la città?” domandò la ragazzina dopo un periodo di silenzio in cui era rimasta a fissare le macchine che sfrecciavano accanto alla loro. Erano veramente degli insetti in confronto alla Cadillac nera di sua zia, pensò, negli Stati Uniti macchine simili sarebbero state considerate microscopiche.
“Magdeburg. È una città non troppo grande e non troppo rumorosa. Suppongo che Seb l'avesse scelta per questo, è l'ideale per una vita tranquilla.”
“Non avrai problemi con il tuo lavoro?”
“Per quello non preoccuparti. Sono io il capo là dentro. Posso fare quello che voglio.” dopo qualche secondo di silenzio sua zia scattò dal proprio sedile tanto bruscamente che Lyric sussultò sul proprio posto “Ah! Naturalmente la casa è intestata a tuo nome.”
“Ah, davvero?” Lyric la guardò con la bocca leggermente aperta, perplessa dal suo modo di fare.
“Già, già.” annuì con convinzione, muovendo la testa su e giù “È di tua proprietà. Come anche tutto quello che i tuoi genitori ti hanno lasciato in eredità.”
“Ah... e cosa mi hanno lasciato?” Non si era mai chiesta cosa di preciso i suoi genitori le avessero intestato. Sapeva che un'eredità c'era, ma in quei sei mesi era stata l'ultima cosa a cui aveva pensato. Zia Freia rimase leggermente incredula.
“Lyric, tua nonna non ti ha mai messo al corrente?”
“Riguardo all'eredità di papà sapevo che ci fosse e sapevo anche che c'era stato un testamento. Però la mamma non me ne ha mai parlato, credo avesse pensato che non era necessario farmi sapere cosa papà ci avesse lasciato, lei era ancora viva ed era in grado di mantenere entrambe. Quando poi è morta a sua volta non ho pensato di informarmi”
Freia la guardava, con una domanda sulla punta della lingua.
“Già, nonna non mi ha detto nulla riguardo a quello che mamma e papà mi hanno lasciato.”
Naturalmente zia Freia cominciò a mormorare velocemente degli impropri in tedesco contro sua nonna, ad una velocità tale che Lyric non riusciva a stare al suo passo. Era piuttosto rossa in volto, sembrava una pentola a pressione che da un momento all'altro avrebbe cominciato a emettere fumo dalle orecchie.
“Bé, domani chiamerò il notaio di famiglia.” affermò dopo qualche minuto, passato sicuramente a lanciare degli anatemi contro quella donna “E ci informeremo anche sul testamento di tua madre.” Soltanto dopo una serie piuttosto lunga di dolci e soavi paroline in tedesco tornò ad una calma apparente.
Sua zia si dimostrò in quel momeno alquanto emotiva per certi aspetti e ne rise interiormente. Le ricordava suo padre.
“Comunque sotto firma del tuo tutore legale, che al momento sono io, puoi usufruire di tutti i soldi che ti hanno lasciato e sono parecchi. Economicamente sei a posto.” Lyric evitò di commentare.
Non le interessava particolarmente sapere di quanto denaro disponesse, le avevano insegnato che i soldi non erano tutto. Anche se apparteneva da entrambe le parti a famiglie benestanti la cosa non le era mai interessata più di tanto. A Boston era stata attorniata da una cerchia di persone della stessa pasta di sua nonna quindi da parecchio tempo aveva sempre ritenuto che quel mondo non fosse il suo. Non del tutto almeno.  
Il viaggio proseguì poi nel silenzio finché non giunsero a Magdeburg.
“Eccoci arrivati!” annunciò sua zia quando l'auto finalmente si fermò davanti a dei cancelli di ferro battuto. I portoni furono aperti e a venti metri da esso, lungo un sentiero alberato, la sagoma di una villa dall'aspetto vissuto si parò davanti allo sguardo di Lyric. Non era grandissima ma faceva la sua figura.
Ad una prima occhiata pensò che era da suo padre scegliere qualcosa che avesse l'aria di vissuto. Una volta le aveva detto che riteneva che le cose di quel tipo avessero un'anima più interessante. Era un posto carino, pensò con noncuranza mentre scendeva dalla macchina.
Sua zia sorrideva raggiante “Ecco qui la nostra nuova dimora! Benvenuta a casa!”. 
Intanto che i bagagli venivano portati dentro lei e sua zia fecero un giro turistico dell’abitazione.
Era una grande villetta a due piani: i muri erano intonacati di un piacevole rosa-pesca, con dei rampicanti che decoravano quello rivolto ad ovest; il giardino era piuttosto ampio, con un bel prato verde ed una serra per fiori in disuso. All'interno c'erano poi sei stanze da letto, due saloni, quattro bagni, una cucina con relativa sala da pranzo adiacente ed una palestra che sua zia aveva fatto aggiungere prima del loro arrivo.
Lyric rispettò l'entusiasmo di zia Freia, ma non vi partecipò. Quel luogo, per quanto bello che fosse, non era la sua casa.
Più tardi verso sera, nella stanza che zia Freia aveva insistito che scegliesse da sola, Lyric si ritrovò a rimanere sdraiata nel buio. Stava respirando attraverso un sacchetto di carta, praticando il metodo che il medico le aveva consigliato nei momenti in cui veniva colpita da iperventilazione. Gli attacchi di quel genere erano comparsi da quando la madre era morta. La prima volta fece così male che aveva pensato di star morendo.
Il dottore le aveva spiegato che per quanto le riguardava le ragioni di queste crisi risiedevano tutti nel suo stato emotivo e psicologico. In situazioni di forte agitazione poteva capitare a persone come lei, toccate da particolari generi di traumi, di avere attacchi improvvisi in cui il numero degli atti respiratori aumentava vertiginosamente. L’anidride carbonica nel sangue diminuiva e il suo corpo per tanto non riceveva più lo stimolo a respirare, con il lungo andare l’iperventilazione provocava una sincope ipossica, ovvero la perdita di coscienza per carenza di ossigeno.
A lei erano capitati molto spesso in quegli ultimi mesi, tanto che ormai era diventata un'abitudine sdraiarsi a pancia in su, con le gambe alzate e un sacchetto di carta sopra alla bocca all'arrivo di una crisi.
Mentre inspirava ed espirava aria dal sacchetto si chiese se non lo facesse apposta ad agitarsi. Forse era l'unico modo che l'era rimasto per ricordarsi che a dispetto di tutto aveva ancora una vita. Forse era il suo modo per dirsi di svegliarsi.
O forse era un modo per arrendersi. 
 

***

 
Passarono sette giorni senza particolari avvenimenti.
Lyric e sua zia furono piuttosto impegnate a sistemare i mobili che quest'ultima aveva fatto trasportare dal suo appartamento di Berlino. Differentemente dal padre, sua zia amava molto l'arredamento moderno, quel tipo di arredamento che sua nonna avrebbe definito “buono solo per persone frivole e senza alcun gusto.”
Dai divani ai piatti si poteva scorgere l'amore di Freia per i colori vivaci: per esempio il divano sistemato nel primo salone era assurdamente rosso lampone e le poltrone erano di arancione luccicante, per non parlare del tappeto verde che aveva aggiunto nella medesima stanza. C’erano vasi di vetro pieni di fiori freschi in ogni spazio libero e uno spargimento quasi spaventoso di quadri, di cui l'esemplare più strano, era quello da un metro per un metro completamente indaco con al centro un solitario puntino bianco.
Chiunque entrasse in quella casa non poteva accusare gli abitanti di essere monocromatici.
Lyric apprezzò il tentativo di sua zia di rallegrarla nei giorni seguenti, ma non si sentiva per niente in grado di rispondere positivamente a tale sforzo. Cercò in tutto quell’arco di tempo di recitare la parte della nipote serena anche se indubbiamente non doveva essere stata brava nel farlo.
Un Sabato pomeriggio, infatti, sua zia le chiese di fare una strana commissione “Sarebbe fantastico se tu potessi andare a prendere questa cosa per me.” le diede un foglio con su scritto un indirizzo.
“Non può pensarci Karl?” Karl era il loro maggiordomo.
“Purtroppo è molto impegnato qui in casa.” la zia sorrise e Lyric alzò un sopracciglio in un'espressione di perplessità, le sembrava di aver appena visto Karl poltrire in cucina davanti ad una tazza di tè.
“Ma io non so come arrivarci in questo posto.”
“Ti accompagnerà Steven.” Steven era il loro autista.
Lyric inarcò l'altro sopracciglio, se Steven l'accompagnava non era più semplice mandare direttamente lui a fare il lavoro? Sua zia continuò a guardarla con un sorriso sulle labbra mentre rifletteva su questi punti e osservando meglio la sua espressione Lyric comprese.
“Zia, non è che per caso vuoi solo mandarmi fuori di casa per un po'?”
“Noooo!” usò volontariamente un'espressione finta.
“Ok. Va bene. Ci vado anche se non so che bisogno ci sia.” acconsentì la nipote, sbuffando.
“Ti farà bene un po' d'aria fresca.”
“Per quella c'è anche il giardino.” mormorò Lyric mentre si congedava.
La commissione riguardava prendere un mazzo di fiori in un negozio esageratamente lontano dalla casa. Di sicuro zia Freia aveva pensato che vedere posti nuovi avrebbe sortito qualcosa di positivo in lei. Lyric ritenne che fosse stato un tentativo piuttosto maldestro. Infondo aveva fatto tutto il tragitto in macchina e quindi il contatto con l'esterno era stato limitato.
Stava accingendosi a salire nuovamente sulla Cadillac quando Steven le consigliò di farsi un giro a piedi prima di tornare a casa.
“Te l’ha chiesto mia zia?” la faccia del suo autista quarantenne fu piuttosto chiara. Lyric sbuffò.
“D'accordo. Va bene, facciamo come vuole lei...ehm...quindi devo farmi un giretto per rischiararmi i pensieri?”
“Già. Io l'aspetterò qui.”
“Ok. E quanto soddisfacentemente lungo dovrebbe essere il mio giro prima di tornare da te?”
“Una mezzora andrà più che bene.” Lyric sospirò rassegnata. Se questo è quello che voleva Freia.
Con un entusiasmo praticamente nullo si avviò per il suo giro di piacere.
Camminò distrattamente per qualche minuto stando parzialmente attenta a non allontanarsi troppo. Arrivata ad un bivio imboccò la strada che dava a destra, la percorse interamente fino a trovarsi all'entrata di un parchetto. Guardò l'orologio notando che erano passati soltanto una decina di minuti. Sospirò annoiata.
Non aveva per niente voglia di camminare ancora quindi decise di fermarsi lì e restarsene seduta per i fatti suoi.
Era un parco piuttosto piccolo: da una parte c'erano i giochi per i bambini tra l'erba e dall’altra una fontanella che zampillava acqua. Si sedette di fronte a quest'ultima.
Ad animare il silenzio leggero di quella oasi di verde c'erano solo le voci di qualche bambino sulle altalene, accompagnate dalla presenza delle madri e dal tubare rado di un paio di piccioni. Intorno a sé c'era un'atmosfera calma e rilassata. Lei però non si sentiva ne calma, ne rilassata. Si sentiva irrequieta ed irritata.
In lei scorreva il pensiero irrazionale che tutto il mondo la stesse prendendo in giro. In un posto così pieno di pace e di persone felici lei si sentiva inadeguata ed estranea. In quel parchetto dove i bambini sorridevano alle madri lei si sentì semplicemente presa in giro dalla vita, così stronza da farle vedere quanto gli altri stessero meglio di lei.
Chiuse gli occhi cercando di darsi una calmata.
Non era il momento di farsi venire un attacco, no, non era il momento. Il buio cominciò a farsi spazio dentro di sé.
Li riaprì immediatamente, turbata da un'immagine così spaventosa.
Intanto il suo spazio visivo si era riempito di tre nuove figure.
Erano dei ragazzi: un armadio corpulento, un ceffo dalla faccia per nulla sveglia ed un ragazzo che doveva avere più o meno la sua età. Quest'ultimo era vestito con dei jeans over-size che faticava a credere potessero restare attaccati alle gambe di una persona normale, sopra ai pantaloni portava una maglietta altrettanto grande dalle cui maniche faceva penzolare due braccia mingherline. Aveva i capelli biondo scuro, divisi in tanti lunghi dreadlocks legati ad una coda alta. Era un look che avrebbe visto passare inosservato se fosse stata in America, ma quella era la Germania e i gli adoratori di Eminem stavano dall'altra parte dell'oceano. Assomigliava ad una versione europea di un cantante hip-hop americano, era strano vedere un individuo del genere in mezzo ad un parchetto tanto comune.
Lyric rimase a guardarlo stranamente incuriosita da quella nuova presenza. Il ragazzo in questione stava parlando con il pachiderma che le dava le spalle. Da dove era seduta non riusciva a sentire cosa si dicessero, ma dall'espressione contrita del ragazzo dalla faccia di bradipo rivolta verso il rasta Lyric pensò che, molto probabilmente, stavano discutendo. Osservò anche che il tipo tarchiato che serrava sempre di più le mani in due pugni ad ogni parola pronunciata dal ragazzo biondo. Chissà cosa si stavano dicendo?
Il ragazzino biondo sorrideva in un modo che Lyric ritenne strafottente e piuttosto derisorio, come se stesse provando una certa soddisfazione nel vedere l'effetto che producevano le sue parole. Lo vedeva sprezzante nel modo di porsi: mani in tasca, capo leggermente inclinato, l'aria di sfida e di superiorità nei suoi occhi nocciola. Non era un'aria da snob, piuttosto l'aria di uno che credeva ciecamente in se stesso. Dal suo sguardo divertito alla piega ghignante sull'angolo destro delle labbra quel ragazzo sprizzava una cieca sicurezza in se stesso. Sembrava così pieno di autostima.
E la cosa le diede un certo fastidio. In qualche modo le ricordava la sicurezza che sprizzava da ogni suo poro quella vipera di sua nonna. Provò l'irrazionale desiderio di alzarsi e dargli uno schiaffo con tutte le sue forze. Distolse lo sguardo, ritenendo che stava decisamente perdendo la ragione se cominciava a pensare di prendere a schiaffi uno sconosciuto. Forse era meglio tornare a casa. 
Nel momento stesso in cui formulò questo pensiero accadde l'inaspettato: i tre ragazzi si misero a fare a pugni.
Non era perché non aveva mai visto nessuno darsela di santa ragione il motivo per cui rimase ferma seduta a guardarli come se fosse l'ultimo esaltante spettacolo di un circo. Era piuttosto l'inaspettata sorpresa di vedere quel mingherlino, la quale non sembrava particolarmente dotato fisicamente, tenere testa a quei due bisonti.
Il ragazzo prese tutto ad un tratto tra le mani la testa di quello rimasto in piedi e gli diede una violenta testata, non riflettendo sul fatto che era una mossa poco furba. Il contraccolpo e la sicura durezza della fronte avversaria aveva fatto del male più a lui che all'altro.
Gridò “MERDA!” mentre si portava una mano sulla zona dolorante “Ma che cazzo hai al posto della testa?!”  il bisonte più sorpreso della mossa usata, che dolorante per il colpo subito, ne approfittò per dargli un pugno nello stomaco.
Lyric si era alzata, trovandosi inspiegabilmente a pochi metri di distanza. Si era avvicinata.
Aveva gli occhi sbarrati e la sensazione di trovarsi davanti ad una scena piuttosto irreale.
Stava accadendo sul serio? Se sì, doveva forse chiamare qualcuno per fermarli?
Nel porsi tali domande vide che il biondino si era ristabilito e questa volta quello pensò bene di colpire una parte più sicura: sferrò un calcio in mezzo alle gambe dell'avversario mentre con un pugno faceva nuovamente atterrare a terra l'altro ragazzo.
Sembrava sul punto di vincere. Pensò Lyric, ancora indecisa se andarsene e lasciare che continuassero a menarsi oppure rimanere lì e lasciare che continuassero a menarsi davanti ai suoi occhi.
Scelse la seconda opzione. Infondo era curiosa di vedere chi avrebbe vinto.
Al culmine dello scontro, quando sembrava che le cose andassero per il meglio, il rasta si ritrovò incastrato da dietro dal ragazzo- faccia-di-scimmia mentre il suo compare sghignazzando si preparava a usarlo come sacco da boxe. Sicuramente sarebbe stato ridotto male e i pugni che stava per ricevere sarebbero stati molto violenti ma quel ragazzo, come se niente fosse, manteneva quella sua insistente espressione di sicurezza. Questo fece irritare molto il tipo grasso e allo stesso tempo anche Lyric. Come faceva a stare lì con quella faccia? Come?
Era forse affetto da masochismo?
Allora Lyric fece una cosa molto stupida.
Presa da non sapeva quale raptus si avvicinò alla schiena dell'armadio e con la borsa a tracolla che aveva con sé lo colpì per farlo girare. Appena questi lo fece Lyric gli tirò una nuova borsata, questa volta in pieno volto e con una forza tale da fargli immediatamente sanguinare il naso. Il tipo, preso alla sprovvista, si portò le mani sulla protuberanza ferita ed indietreggiò di qualche passo. Intanto il suo socio sbigottito dall'entrata in scena aveva allentato la presa. Il rasta ne approfittò per dargli una gomitata e allontanarlo da sé. 
“E tu chi sei?!” le urlò contro il grassone insanguinato.
Lyric che non capiva per quale motivo avesse agito così, fissava il grassone a terra pensando che non avrebbe dovuto intromettersi. Idiota! Era palese che non avrebbe dovuto intromettersi!
Doveva per forza aver lasciato il cervello a casa.
Dallo sguardo che il tipo sanguinante le stava rivolgendo era chiaro che gliela avrebbe fatta pagare. Forse se si scusava se la sarebbe cavata. Forse...
Prima che potesse dire qualunque cosa il ragazzo con i rasta aveva già deciso per entrambi. Le prese la mano e senza molti indugi cominciò a correre, trascinandola a forza fuori dal parco. Lyric, che non sapeva cosa diamine fosse accaduto, semplicemente lo seguì senza minimamente pensare. Corsero finché non si bloccarono chissà dove.
Lyric era dietro di lui, gli stava guardando le spalle chiedendosi che cosa sarebbe accaduto ora. Il ragazzo si girò verso di lei con la bocca aperta nell'atto di riprendere fiato. Lei notò solo in quell’istante che portava un percing al labbro inferiore della bocca, lo fissò qualche secondo chiedendosi se non facesse male portarlo proprio lì. Abbassò poi lo sguardo per fissare un secondo i propri piedi, rendendosi conto che le gambe non la stavano esattamente reggendo in maniera salda. Fece risalire i suoi occhi fino a quelli di lui e rimasero poi fermi ed immobili a guardarsi senza dire una parola.
Finché quello non si decise a parlare.
“Perché cazzo ti sei intromessa nei miei affari?!”
Lei, sorpresa dal tono usato, inarcò il sopracciglio guardandolo male “Come prego? Vorresti ripetere per favore?”
“Perché ti sei intromessa? Deficiente!” ripeté lui come se si stesse rivolgendo a qualcuno di non particolarmente sveglio.
Lyric inarcò anche l'altro sopracciglio “Se io non mi fossi intromessa a quest'ora saresti riverso al suo suolo nel tuo stesso sangue!”
“E se io lo avessi voluto?! Eh?! Se mi fosse andato bene essere pestato a sangue, ti saresti intromessa lo stesso?!”
Le caddero letteralmente le braccia  “Ma stai dicendo sul serio o ti sei drogato?”
“Sto dicendo sul serio!”
“Allora sei un'IDIOTA!” 
“NO che non lo sono!”
“Sì che lo sei! Un idiota con la I maiuscola!”
Il ragazzo proseguì “Stava andando tutto così bene finché non sei arrivata tu!”
“Come stava andando tutto bene?” ma con che razza di cretino era finita a parlare?
“Se non te ne fossi accorto ti stavano per fare la pelle! Idiota. Come diamine pensavi di potertela cavare?”
“Ce l'avrei fatta.”
“Certo perché sei superman vero?”
“No. Perché io sono io.” nel pronunciare questa cosa il ragazzo assunse nuovamente l'aria di totale fiducia interiore che lei aveva visto prima. Fece persino un sorriso compiaciuto. Era una risposta strafottente che la diceva lunga su come quel ragazzo vedesse se stesso. Lyric si trattenne dal fare una smorfia.
“Ah sì. E tu saresti?”
“TomKaulitz.” rivelò in tutta tranquillità, come se la risposta fosse ovvia e sufficiente.
Forse avrebbe dovuto lasciare che venisse pestato. Sì, forse sarebbe stato meglio. Almeno così non avrebbe dovuto sostenere quella conversazione inconcludente.
“Tom, te lo ha mai detto nessuno che sei nato stupido?”
“Sì, mio fratello, decine di volte al giorno.” 
“Fantastico! Dagli retta.”
Ci fu un secondo di interdizione da parte di entrambi. Lyric lo guardava con un'espressione assolutamente truce mentre Tom la fissava indeciso sul da farsi. Quest’ultimo aprì la bocca per dire qualcosa, ma ci ripensò subito dopo richiudendola. Fece circa tre tentativi nello stesso modo, con Lyric davanti a lui che aspettava. Finalmente sembrò arrivare ad una conclusione.
“Ok. Ricominciamo da capo.” si grattò la fronte con l'indice “Mi vorresti spiegare per quale motivo ti sei intromessa?” nel dire ciò Tom cercò di usare tutto il tatto di cui era dotato.
Lyric ci pensò qualche secondo, riflettendo sul motivo per cui aveva agito. Pensandoci intensamente arrivò ad una unica risposta, piuttosto illogica, ma era l'unica. Lo guardò negli occhi vedendo ancora quella luce di sicurezza interiore che non riusciva a mandar giù. Stronzo, pensò leggermente alterata.
“Il motivo non è molto sensato.” esordì lei spostando i suoi occhi verso qualcosa che non fosse quel suo modo di fare così irritante “Comunque l’ho fatto perché non volevo che ti prendesse a pugni...”
“Perché ti piaccio forse?” Tom fece un sorriso.
“NO!” sbarrò gli occhi “Ma ti sembra? È la prima volta che ti vedo come fai a pensare che tu mi piaccia?”
“Bè i colpi di fulmine esistono per un motivo.” Tom fece spallucce “ E poi non ti biasimerei, sono troppo bello.”
Lyric alzò gli occhi al cielo “Oh my Godness! You are the biggest idiot that I've ever seen! OH God! What a hell do you have in your brain?!”
“Come scusa?” Tom non aveva capito una parola.
“What's wrong with you?!”
“Eh?”
“Idiot!” si portò una mano sulla faccia dopo lo sfogo.
Tom restò in attesa chiedendosi cosa quella pazza avesse appena detto.
Lei fece un respiro “Non volevo che ti prendesse a pugni perché volevo essere io a farlo.”
Ecco. Questa era stata la motivazione. Aveva agito solo per il desiderio di essere lei a dare un pugno a quel faccino strafottente. Illogico? Sì, ma chi ha mai detto che le persone lo fossero.
Tom assimilò la spiegazione prima di prorompere in un “E l'idiota sarei io?! Tu sei PAZZA!” scosse la testa quasi sconvolto “Mi hai aiutato solo perché volevi prendermi a pugni?!”
“Sì.” rispose lei.
“Ma sei scema?” Tom era sbigottito.
“No!” non c'era molto che potesse dire. Il fatto stava messo in quel modo.
“E perché volevi prendermi a pugni?” ora Tom la guardava come se fosse un aliena.
“Perché hai quella faccia!” e lei indicò il suo volto “la faccia di un esaltato. Pieno di sicurezza in se stesso. Mi avevi irritato, anzi mi irriti.”
“E ti sembra una ragione questa?” Tom corrucciò le sopracciglia.
“Sì.”
Tom immobile restò muto come incredulo allo scambio di battute appena avvenuto.
“Ok. Prima che mi incazzi sul serio sarà meglio che dividiamo le nostre strade.” i suoi occhi nocciola si fecero duri, Lyric capì che era arrabbiato “Non so che razza di problemi tu abbia, ma mia cara sarebbe meglio che li risolvessi. Non sei molto normale se vai in giro ad odiare la gente solo perché dimostra fiducia in se stesso. Non è un comportamento che ti potrà giovare a lungo andare.” 
Lyric era sorpresa: che cosa accidenti pensava di ottenere con quelle parole? Perché diamine si era arrabbiato?
“Quelli come te che si compiangono di se stessi sono le persone che disprezzo di più al mondo.” la voce di Tom suonava aspra e disgustata. Lyric sentì di cominciare a respirare in modo irregolare. Strinse una mano in un pugno, le parole facevano male.
“Pensano di essere perduti e odiano tutti quelli che invece ce la fanno. Sei tu ad essere irritante.”
I suoi occhi cominciarono a diventare lucidi, i battiti più forti. Quel Tom stava esagerando. Quel Tom stava parlando come sua nonna. Le stesse identiche parole. Si sentì come se fosse davanti a lei, proprio in quel momento. Le venne da piangere. Quando sarebbe finito il tormento di quelle parole?
“Se pensi che abbia troppa autostima allora fottiti! Se pensi che io sprizzi di forza allora cercatene una tua idiota!” Non stava urlando, ma era come se lo stesse facendo “E non rompere le palle agli altri!” detto questo si voltò e cominciò a camminare, allontanandosi da lei con passi veloci. Il suono lontano di quei passi che si affievolivano concesse a Lyric il diritto di lasciare che le lacrime cadessero e che il suo respiro diventasse angosciato. Si appoggiò al muro di mattoni che le era accanto lasciandosi contemporaneamente cadere a terra. Cosa ne poteva sapere Tom di ciò che provava. Di ciò che sentiva. Per lui era stato facile dire quelle cose ma davvero pensava che fosse così semplice? Ne era così sicuro? Se era così allora perché non le diceva dove poteva trovare un po' di forza?
Dove doveva cercarla?
Se qualcuno gliela avesse mostrata forse l'oscurità e il gelo in cui stava annegando non sarebbero stati nemici così terrificanti.
“Non c'è nessuno... “ pensò lei, il capo riverso sulle gambe che si era abbracciata al petto.
“Ormai non c'è più nessuno che venga a cercarmi. Ne mio padre, ne mia madre.”  Sussultò mentre piangeva.
“Non c'è più nessuno a cui vorrei regalare un mio sorriso.”  Strinse le il labbro inferiore in una morsa.
“Non c'è nessuno...”
Piano, piano il suo corpo si immobilizzò in una posa di ghiaccio mentre la sua mente si lasciava scivolare verso una nebbia densa ed incolore. Il resto del mondo svanì nel vuoto e lei rimase lì in mezzo al niente, sola. 
Quando riemerse da quello stato il sole stava calando all'orizzonte, la sua ombra si allungava dinnanzi a lei. La contemplò mentre il suo cervello riprendeva i contatti con il suo corpo. Doveva esser passato parecchio tempo mentre era rimasta seduta in quella stradina. Forse qualcuno era passato per di lì, forse aveva pensato ad una barbona, chissà. Restava il fatto che ora doveva tornare da Steven. Questo però era un problema visto che non sapeva assolutamente dove era finita.
Grandioso! Esultò la sua testolina.
E adesso cosa poteva fare? Imprecò qualcosa in inglese contro Tom per averla trascinata in quel luogo sperduto prima di alzarsi da terra.
Si pulì come poté i pantaloni sporchi di polvere e decise poco entusiasta che avrebbe cercato di rifare la strada verso il parchetto, sperando di non incontrare i brutti ceffi di prima e in particolare Tom. Aveva pianto parecchio o almeno doveva averlo fatto, non se lo ricordava, quando entrava in quegli stati era come se la sua persona si estraniasse dall'universo e perdeva qualche battuta della sua vita. Sentiva gli occhi gonfi e pesanti, pregò di non incontrare nessuno perché sicuramente doveva avere un aspetto terribile. Si guardò intorno e cercò di ricordarsi come tornare al parchetto. Proprio nel momento in cui optò per seguire una direzione i passi di qualcuno che correva le giunsero all'orecchio. Era molto vicino. Sentì qualcuno sbucare da dietro l'angolo.
Quel qualcuno parlò da dietro la sua schiena. Lei rimase inspiegabilmente immobile.
“Ah! Per fortuna che sei ancora qui!” Lyric si irrigidì, sembrava la voce di Tom, anche se leggermente più acuta. Non si voltò per paura di vedere il suo brutto muso.
“Credevo che te ne fossi già andata. Grazie al cielo invece sei ancora qui!” la voce era ansante, quella di uno che aveva appena corso a per di fiato. Lei si volse per vedere in faccia il suo interlocutore e per sua sorpresa non si trovò davanti a Tom. Si portò una mano all'altezza della fronte per coprirsi dal sole che stava colpendo entrambi. Riuscì a vedere che era un ragazzo della stessa altezza, con corti capelli neri ed una frangia che gli cadeva sul lato sinistro del volto. Portava anche un percing al sopracciglio destro e i suoi occhi erano dello stesso colore dell'altro ragazzo. Al momento quegli occhi stavano osservando lei. Lyric si chiese chi fosse e perché gli stesse parlando.
“Appena quell'idiotaaveva finito di raccontare la storia sono corso qui a cercarti.” fece un piccolo sorriso, la sua voce si era calmata e ora si dimostrava gentile “Ti ho visto qui seduta mentre tornavo a casa. Da come quello stupido  ti aveva descritto non ho faticato a capire che eri la stessa persona che avevo visto.” la velocità con cui parlava impressionò leggermente la ragazza che ancora non capiva cosa c'entrasse lui con lei. L'aveva vista? Bene, bella figura doveva aver fatto. Lo sconosciuto manteneva le distanze come imbarazzato, senza però distogliere mai lo sguardo da lei.
“Ho pensato che dopo quello che ti aveva detto il deficiente era ovvio che fossi sconvolta, ho pensato che forse non eri di queste parti e che quindi ti fossi persa. Ho concluso quindi che avevi bisogno di aiuto ed...ed eccomi qui a parlarti come un salame.” Lyric non sapeva cosa dire, era semplicemente sorpresa che quel ragazzo avesse pensato tutte quelle cose. Dopo qualche istante le venne da fare solo una domanda “Il deficiente sarebbe?”
“Tom! Mio fratello...”
“Ah.. sei il fratello che gli dice decine di volte al giorno che è uno stupido?”
“Sì, sono io!” assentì lui. Altri istanti in cui nessuno dei due disse nulla. La testolina di Lyric, che era praticamente messa KO le suggerì di presentarsi. Ubbidì.
“Ah! Ehm...io sono Lyric. Piacere.” la testolina aggiunse un ringrazialo “Grazie.”
Il ragazzo si avvicinò cautamente a lei, dicendo “Di niente.” sorrise in modo cortese ancora una volta “Dai vieni con me. Ti porto a casa mia così potrai chiamare qualcuno per farti venire a prendere.” propose lui con voce tranquillizzante. Aveva un suono particolare pensò Lyric.
“Ah…” riuscì solo a dire.
Era una soluzione accettabile vista la sua situazione.
Avrebbe dovuto rivedere la faccia di Tom, ma di certo non poteva vagare per la città senza metà.
Il ragazzo si avvicinò ancora di più a lei, stringendo poi senza preavviso una sua mano. Lyric guardò il gesto senza opporsi, sorpresa. Era così esausta emotivamente e fisicamente che la comparsa di quel ragazzo, seppur legato alla figura di quel Tom, in un certo senso la confortò.
Mano nella mano cominciarono a camminare e stranamente lei si sentì come una bambina. Sconveniente dare la mano ad uno sconosciuto? Forse, ma era troppo stanca per dare importanza a questa possibilità.
Lui si immobilizzò e lei andò a sbattere contro la sua schiena. Alzò lo sguardo chiedendosi perché si fosse fermato. “Non mi sono ancora presentato, scusa.” Fece un sorriso così grande e così spontaneo che Lyric ne rimase quasi scioccata. Era impressionante quanto sembrasse luminoso.
“Io sono Bill.” nel dirlo i suoi occhi nocciola non si staccarono mai dai suoi “Bill Kaulitz.”
 
________________________
 
Questo capitolo è dedicato alla mia amica Morgana( non venirmi ad uccidere quando avrai finito di leggerlo XD). Lo dedico a lei perché mi sopporta ogni giorno da quando mi sono scoperta innamorata pazza dei tokio hotel. Lo dedico a lei perché non mi ha ancora mandato a quel paese per averle rotto le scatole e per rompergliele ancora oggi ( puoi farlo se esagero...XD). Lo dedico a lei anche perché provavo l'incredibile desiderio di sfotterla con ironia. Immagino con piacere la sua faccia schifata alla fine di questo primo capitolo (XD naturalmente solo io, lei e la sorella Helena sappiamo in che modo la sto sfottendo )...ma comunque lei sa che le voglio bene.
Ci vediamo in classe!
Ai cari lettori:
Finalmente il primo capitolo...uhm...a me piaceva quando ho avuto in mente di scriverlo ma non so se sarete della stessa opinione. Può sembrare banale ma da qualche parte doveva pur cominciare questa storia e ho ritenuto che questo fosse il modo migliore.
Vi lascio alla lettura e il compito di giudicarla( nel senso lasciate un commento please! Thank you!)

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Capitolo 2
*** Prologo ***



Prologo

 
 
 
- Promettimi che sarai felice.
Promettimi che farai tutto quello che potrai per esserlo.
Promettimi che manterrai questo giuramento.
Ti prego… -
 
Era davvero singolare ricordare memorie così profondamente sepolte da tempo. La sorpresa maggiore stava nel rivederle in un momento inaspettato del presente.
A volte spuntavano pian piano, quasi a dar la cortesia di non disturbare troppo, anche se alla fine si insinuavano comunque. Altre volte potevano non esser così gentili e non usavano né tatto né cordialità, arrivando persino a dimenticare l’educazione e divenire invadenti. I ricordi passati potevano irrompere nella mente costringendo a ricordare qualcosa che si era perduto.
Non sapeva spiegarsi bene perché in quel momento le fossero apparse quelle frasi nella mente. Era sorpresa in modo quasi traumatico.
Socchiuse le palpebre ed inspirò un poco d’aria prima di lasciarsi travolgere dai suoi pensieri.
Quando? Qual’era stata la situazione in cui quelle frasi erano state pronunciate?
Chi era stato a dirle?
Si portò una mano al petto accorgendosi di aver cominciato a respirare in modo irregolare e troppo veloce.
Stava per caso andando in iperventilazione? Questo pensiero, naturalmente, l’agitò ancora di più.
Sì, lo era e ciò era decisamente un problema.
Il respirò divenne ancora più agitato, la mano che si era portata al petto aveva cominciato a stringere i vestiti come a volersi aggrappare a qualcosa. Era proprio il momento sbagliato per decidere di avere un attacco di panico, perché era proprio il panico ad averla assalita. Un panico illogico, originatosi da quelle frasi che si era ricordata.
Era proprio il momento sbagliato, ripeteva concitata a se stessa mentre si slacciava i bottoni del colletto.
La sua stupida auto aveva deciso di sua spontanea volontà di fermarsi in mezzo alla strada e il centro abitato più vicino era a chilometri di distanza da dove si trovava. Aveva già chiamato qualcuno per aiutarla, ma quel qualcuno ci avrebbe impiegato del tempo prima di raggiungerla.
Fantastico!
Era veramente fortunata, quando si trattava di avere sfiga lei prendeva tutto il pacchetto senza lasciare da parte neanche gli omaggi. A volte si chiedeva se fosse stata maledetta da qualcuno quando era ancora in culla.
 
Promettimi che sarai felice...
 
Il panico l'assalì più forte. Il peso di quelle parole la fecero sentire impotente. 
Perché nel momento della crisi la sua mente aveva la brillante idea di ripeterle le cose che l'avevano portata alla crisi stessa? Aveva il dubbio di essere masochista.
 
Promettimi che farai tutto quello che potrai per esserlo.
 
Perché non ricordava dove avesse sentito quelle parole? Aveva promesso davvero a qualcuno che sarebbe stata felice a tutti i costi? Quando? Non era possibile! Non era vero.
E poi anche se fosse davvero accaduto di aver promesso, perché quelle frasi erano così importanti da farla star male?
Perché?
 
Promettimi che manterrai questo giuramento.
 
Sentì un dolore pungente all'altezza dell'addome, il cuore si era contratto annebbiandole qualche secondo la vista. Il respiro non smetteva di essere agitato ed irregolare. Forse era questa frase, più di tutte, a mandarla nel pallone. Al di là del fatto che non ricordava nulla sul come, sul quando, sul dove e sul perché il punto della questione era proprio questo: aveva mantenuto questo giuramento? L'aveva mantenuto?
Rendendosi conto della risposta a questa domanda il suo stato peggiorò nuovamente.
 
Ti prego...
 
Ti prego che cosa?
Che cosa?
Faceva male, un male insopportabile, tanto che non riusciva a pensare.
Stava affogando nella verità di quelle parole.
Delle parole spuntante fuori dopo che aveva ascoltato quella canzone.
Ansimava pesantemente. Sapeva benissimo come comportarsi in questi casi. L'iperventilazione per un anno della sua vita era stato il suo male costante, ma lo shock dato da quella canzone e da quelle parole le avevano azzerato le facoltà mentali. Era una vera idiota.
I suoi occhi corsero verso il lettore cd della macchina. Quella cosa era ancora là dentro, il display ancora fermo alla canzone n°12. Chiunque avesse avuto la geniale idea di spedirle il pacco con all'interno quel cd doveva aver pensato che avrebbe avuto un qualche effetto su di lei. Bè,ci aveva azzeccato. Non poteva scegliere niente di meglio per scardinarle l'equilibrio psico-fisico.
Il pacco era arrivato due giorni prima, al suo interno vi aveva trovato un cd anonimo di quelli masterizzati ed un biglietto stampato al computer con scritto soltanto un piatto: Ascoltalo. Il mittente aveva evitato di lasciar tracce di riconoscimento.
In un primo momento aveva pensato che fosse uno scherzo di Kat, ma quest'ultima aveva negato tutto con un secco “Non dire cavolate. Ti sembra che sprechi il mio tempo a farti degli scherzi?”.
Accantonata quell'ipotesi non le rimanevano molte alternative che assecondare i desideri del mittente. Avrebbe ascoltato quel cd. Il fatto che avesse voluto sentirlo proprio mentre la sua auto era morta era perché non aveva niente di meglio da fare in attesa degli aiuti. Era stata una casualità piuttosto crudele.
“Di certo non scoppierà.” si era detta prima di inserirlo nel lettore della macchina.
Sicuramente se fosse esploso avrebbe fatto meno danni. Aveva scelto una traccia a caso.
Si era poi appoggiata al sedile per mettersi comoda, la mente che volava al pensiero, poco rallegrante, dell'ennesima noiosa cena con la nonna e tutti i suoi leccapiedi ( o parenti se li si voleva chiamare in altro modo) del giorno seguente. Era stata una settimana stancante per questo aveva deciso di passare il sabato nella villa di famiglia. Aveva invitato anche Kat e Diane, l'avrebbero raggiunta verso sera.
Nei pochi secondi prima dell'inizio della canzone i suoi occhi avevano indugiato sull'orizzonte arancione, stava per arrivare il tramonto e ogni cosa stava prendendo il colore caldo del crepuscolo che si avvicinava. Era stata calma e rilassata, per questo la reazione successiva era stata piuttosto accesa, non se lo sarebbe mai aspettata.
Prima venne il suono dolce e ritmato di una chitarra, una melodia piacevole. Aveva socchiuso gli occhi pensando che non fosse male. Dopo qualche secondo di assolo arrivò la voce di un cantante e intorno a sé lo spazio si ricoprì di un suono suadente. Il suo cuore, prima di ogni suo altro organo o senso, aveva fatto un sordo rumore. Il suo cuore aveva capito immediatamente di chi era quella voce e avendo capito ciò sapeva anche a chi apparteneva quella canzone.
Aveva spalancato gli occhi, i muscoli si irrigidirono.
“Non è possibile, non è possibile, non è possibile, non è possibile, non è possibile.”  Si era ripetuta incredula mentre la sua mano si era portata alla bocca per soffocare un urlo che furiosamente pretendeva di uscire dall'interno del suo corpo.
Li riconosceva tutti.
Perfettamente.
Non poteva dimenticare quel loro modo di suonare.
Non avrebbe dimenticato mai quella voce. Non lasua.
Bloccò il lettore a metà canzone non potendo sostenere un minuto di più. Lo shock era evidente. Furono lunghi minuti in cui precipitò nel vuoto più assoluto.
Cosa avrebbe dovuto fare?
Come avrebbe dovuto comportarsi?
Era così stupido sconvolgersi per così poco! Era solo una canzone!
Era solo unaloro canzone, tutto qui.
Sì, certo, tutto qui. Come se fosse davvero tutto qui.
Non era affatto pronta ad affrontarli. Per niente. Non lo sarebbe stata neanche con mesi di preparazione meditativa figuriamoci così inaspettatamente.
Non ere pronta ad affrontare la sua  esistenza ancora una volta.
Non dopo che si era imposta di lasciarlo fuori dalla sua vita, non quando si era convinta che era l'unico modo per non creare sofferenza.
I minuti passarono nel silenzio, il suo sguardo non si era staccato di un millimetro dal display del lettore cd. La scritta “track 12” continuava a lampeggiare in attesa di essere ravviato o di essere spento, la decisione spettava solo a lei. Cosa voleva fare?
Per parecchi, lunghi, minuti si sentì solo il palpitare arrancato del suo petto mentre cercava di capire se era meglio dare retta alla parte di sé che “doveva fare la scelta più ragionevole” oppure a quella che “doveva fare ciò che desiderava di più al mondo”.
Qualcosa di più forte della sua ragione prese infine la decisione e le sue dita si appoggiarono sul tasto play.
Lo ravviò anche se aveva paura di farsi male.
Lo fece senza pensarci, lo fece perché ne aveva bisogno.
La canzone ricominciò una seconda volta e lei, inerme davanti al suo desiderio di risentirlo, lasciò aperto il cuore.
Ci aveva provato con tutte le sue forze e aveva anche creduto di esserci riuscita, però, ascoltando quella canzone il castello di carta che aveva costruito per ingannarsi si frantumò.
Tutto ritornò a galla e ogni cosa di nuovo alla luce.
Sia i ricordi felici, che quelli tristi.
Ogni singola parola detta e non detta.
Ogni preciso gesto che era stato compiuto.
I momenti passati con tutti loro.
I giorni passati assieme a quei due.
Gli istanti con lui.
Era veramente una stupida. Tutte le ragioni che aveva pensato per giustificarsi quando si era decisa a mettere da parte tutto questo, in quel momento, capì che erano tutte delle idiozie.
Si era mentita a lungo, si era aggrappata alla bugia che si era creata.
La musica terminò mentre in lei si rimescolavano sentimenti di tristezza e felicità assieme. Ricordare quel tempo era stato piacere ed insieme dolore. Qualche goccia le cadde dagli occhi, bagnandole le guance. Proprio mentre si stava asciugando quelle lacrime erano sbucate nella mente quelle frasi.
 
Promettimi che sarai felice.
Promettimi che farai tutto quello che potrai per esserlo.
Promettimi che manterrai questo giuramento.
Ti prego…
 
Ed eccola lì mentre affondava nel panico totale. Il cuore che batteva all'impazzata. Mentre piegava il capo in basso appoggiandolo sul volante, proprio mentre credeva di star per perdere conoscenza si ricordò chi gliele avesse dette. Fu come un lampo improvviso.
Era stata sua madre. Qualche settimana prima di morire.
Era stata lei a fargli quel discorso.
Il suo corpo si bloccò come incantato, rigido come una statua. A quel tempo non aveva capito il senso di quel discorso, l'aveva trovato piuttosto insensato vista la situazione. Come avrebbe potuto essere felice quando sua madre stava morendo, si era chiesta con rabbia ed incredulità. Come?
Le lacrime ricominciarono a cadere e questa volta senza posa. Ora ricordava tutto.
Mancava qualcosa in quelle frasi. Catturò l'ultima parte di quel ricordo.
Sua madre aveva anche detto...
 
Ti prego, chiediti sempre se quello che hai è davvero ciò che desideri. Domandati se sei felice. Domandatelo sempre. Solo così capirai come comportarti. Solo così non sarà troppo tardi.
 
Troppo tardi?...era troppo tardi?
Davvero?
Questo pensiero la terrorizzò a morte. Ebbe una paura folle.
Troppo tardi....
Era troppo tardi per rivederlo.
Era troppo tardi per dirgli che le dispiaceva.
Era troppo tardi per mantenere la promessa fatta alla madre.
“NO!!”  Gridò quel no con tutta l'aria che aveva. Ci mise così tanta energia da perdere tutte le altre forze che le rimanevano. Svenne con un unico pensiero.
“Non può essere troppo tardi...
Non è troppo tardi…
Bill?”
 
____________________________________________________
 
 
Salve a tutti i lettori.
Questo è il prologo della mia storia, una storia che mi è apparsa in un pomeriggio mentre giungeva il tramonto. Ero seduta in macchina quando nel flusso dei miei pensieri mi è apparsa una domanda dal nulla. Da quel quesito che mi sono posta è nato questo racconto. Non so se possa piacervi ma spero con tutto il cuore che sia così.
Questo mio scritto, che pubblico senza nessun scopo di lucro ai danni dei miei amati Tokio Hotel, è una rappresentazione fantasiosa partorita dalla mia mente, infatti i membri dei Tokio Hotel non mi appartengono in nessun modo. I fatti e i personaggi creati da me non sono realmente esistenti e se qualcuno o qualcosa sembra ritrovare dei riscontri nella realtà è solo per puro caso. Questa è solo la mia fantasia.
Detto questo aggiungo soltanto che questa fanfiction è dedicata interamente alla mia migliore amica Arwen, la cui presenza mi aiuta in ogni momento della mia vita. Senza di lei il mondo mi farebbe davvero schifo.
Bene! Bando alle ciance e buona lettura.
 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: Lei, lungo la mia strada ***



 

 Capitolo 2
Lei, lungo la mia strada.
 

  
 
-Ti ricordi cosa ti dissi il giorno in cui mi hai detto addio?
Mentre ti aggrappavi a me con una forza disumana?
Le ricordi le mie parole sussurrate al tuo orecchio mentre eravamo entrambi sconvolti dalle lacrime?
Te lo ricordi il più brutto giorno della mia vita? Io sì.
Lo ricordo come se fossi ancora lì, posso ancora vedermi pregarti di scegliere me.
Ricordo di non aver mai pianto quanto quel giorno.
Ricordo una promessa, arriverà il momento in cui potrò mantenerla Lyric? -
 

***

 
 
La scuola era il posto che più si avvicinava all'inferno per i gemelli Kaulitz.
Se avessero potuto avrebbero tanto voluto darle fuoco. Per Bill in particolare quel luogo era asfissiante.
Non provava nessun tipo di felicità nello stare seduto ore ad ascoltare quelle vecchie mummie dei professori, cosa doveva trovare di istruttivo in quello che dicevano non lo avrebbe mai capito.
Il rapporto che c'era tra lui e loro si esauriva in saluti freddi quando entravano, verifiche ed interrogazioni quando c'erano e l'inespresso accordo che finché lui non disturbava, loro non rompevano. Tom invece, come al suo solito, preferiva attaccare quando si trovava ad affrontare una situazione di conflitto ed infatti le sue visitine dal preside erano una chiara conseguenza di ciò che combinava quando reagiva.
Erano ritenuti dei bravi studenti per quando riguardava il rendimento scolastico, forse entrambi un po' carenti nell'inglese però, ma per quanto riguardava il comportamento, a detta dei professori, erano dei veri piantagrane.
Nei consigli di classe Tom veniva definito un arrogante saccente, sempre pronto a rispondere in modo inappropriato agli insegnanti, uno che litigava con gran parte dei compagni. In verità discuteva solo con i bulli che lo provocavano o con chi faceva la spia quando combinava qualcosa. Non era un criminale, semplicemente viveva nella convinzione del proverbio “occhio per occhio, dente per dente” e per chi lo pugnalava alle spalle c'era solo quel destino.
Inoltre gli insegnanti consideravano il suo modo di vestire a dir poco provocatorio, ma per quanto riguardava un vestiario al limite della decenza Bill era quello che ritenevano il peggio tra i due.
I professori non evitavano di lanciargli certe occhiatacce quando lo intravedevano per i corridoi o in classe. Era sempre vestito con quelle magliette nere inneggianti a gruppi musicali dalla dubbia fama, con quei bracciali di pelle, quelle cinture borchiate, quei jeans sfatti, quel percing al sopracciglio e, cosa sconvolgente, a volte veniva a scuola con la matita nera attorno agli occhi.
Per i docenti era un modo violento di attirare l'attenzione altrui, per Bill era semplicemente il modo in cui sentiva di essere se stesso, se poi quegli adulti lo comprendessero o meno non erano fatti che lo riguardavano.
Un'altra cosa che criticavano in Bill era che non riuscisse a socializzare con i suoi compagni di classe, se ne andava sempre e solo in giro con il fratello, più quel tipo strano di AndreasGühnne.
Bill con qualcuno della sua classe ci parlava, ma di amici nel senso vero della parola là dentro non ne aveva nemmeno uno. Non era tutta colpa sua, era vero che era un ragazzo timido a quel tempo, ma il problema era un altro.
Nessuno voleva essergli amico.
Lo scansavano praticamente tutti e c'era persino chi gli dimostrava apertamente un disprezzo immotivato. Era dovuto al fatto che fosse così particolare, anche se a quell'età così precoce non aveva ancora dimostrato tutto il carisma di cui un giorno il mondo si sarebbe accorto, però possedeva comunque un principio di quel fascino che centinaia di migliaia di persone avrebbero adorato. E quel fascino non piaceva a tutti, anzi, era temuto per questo.
Troppo strano, troppo ambiguo, sempre con quel sorriso immenso, sempre a scribacchiare qualcosa sui quaderni, sempre lì a canticchiare a labbra chiuse qualcosa. Nessuno aveva mai cercato di conoscerlo o di capirlo, lo offendevano e lo denigravano per quel suo aspetto androgeno.
Per Bill la scuola rappresentava anche questa realtà. Ci era abituato, ma sentiva comunque sulle spalle tutto il peso di quell'odio.
Era l'Ottobre dei suoi quattordici anni e Bill in quel periodo stava lavorando costantemente al sogno della sua vita: i Develish erano ad un bivio importante. Credeva fermamente che ce l'avrebbero fatta, sicuramente la loro musica avrebbe sfondato. Era il suo desiderio più grande e come gli altri componenti della band era assolutamente concentrato in quel progetto.
Era un giorno come qualunque altro, terza ora di una giornata scolastica che si prospettava desolatamente tediante e Bill aveva il muso praticamente spalmato sul banco. I suoi occhi, che vedevano obliquo per via della posizione della faccia, si tenevano faticosamente aperti mentre con sforzo titanico la sua testolina cercava di capire che cosa stava dicendo la professoressa d'inglese.
Odiava l'inglese o meglio odiava doverlo studiare. Perché il mondo non usava il tedesco come lingua internazionale?
La vecchia donna dai capelli rosso tinti, che stava dicendo qualcosa riguardo una incomprensibile regola su di un tempo verbale, si bloccò sentendo bussare alla porta.
Bill ringraziò il cielo per quei attimi di pausa, ormai il suo cervello stava chiedendo da minuti interminabili una dose di morfina. Non ebbe però tempo di respirare perché dalla porta sbucò la testa pelata dell'attempato direttore della scuola. Tutti gli studenti si alzarono per salutarlo e anche se malvolentieri lo dovette fare anche lui.
“Seduti, state pure seduti ragazzi!” ordinò il preside muovendo febbrilmente le mani. Il vecchio signore andò a parlottare qualche secondo con la professoressa, permettendo così ai ragazzi di distrarsi un po'.
Bill sbadigliò senza ritegno, facendosi poi passare le mani sopra gli occhi.
Era a pezzi e non era solo a causa d'inglese.
La sera prima era rimasto sveglio fino a tardi a scrivere il testo di una canzone che da settimane non riusciva a finire, non sapeva perché, ma non trovava le parole adatte e questo era frustrante. Tom diceva che non doveva stressarsi in quel modo se non voleva che gli cadessero i capelli prematuramente. La faceva facile lui.
Se le parole facevano schifo, la canzone faceva schifo.
Soffiò dell'aria dalla bocca, producendo un verso simile ad un “fiuuuu” felino. Si tolse dalla faccia le mani con cui si era stropicciato gli occhi. Appena riaprì le palpebre si accorse della figura accompagnata al direttore.
Era una ragazza di cui non si vedeva il volto poiché gli dava le spalle.  Il preside la stava presentando alla professoressa d'inglese. A quanto pareva si sarebbe unita a loro una nuova studentessa ed i compagni di Bill stavano già bisbigliando curiosi, quando l'anziano signore decise finalmente di annunciarla agli altri.
Lei si voltò, permettendo così di non avere solo la visuale dei suoi capelli neri, e Bill ne rimase sorpreso. Sbatté velocemente le palpebre per essere certo di non star sbagliando, ma poiché vide la stessa reazione di stupore nella faccia di lei comprese di non essere in errore. Era la ragazza che aveva aiutato una settimana prima, proprio la stessa che aveva portato a casa. Quella che aveva sperato di rivedere.
“Questa ragazza è Lyric Hörderlin, si è da poco trasferita dagli Stati Uniti, ma parla correttamente il tedesco poiché ha passato l'infanzia nel nostro paese. Da oggi in poi sarà una vostra compagnia di classe quindi spero che l'accogliate nel modo migliore...” il preside continuò a parlare per un bel po’, ma Bill aveva già smesso di ascoltarlo da quando gli aveva rivelato il suo nome.
“Lyric.”  inconsueto, anzi, decisamente particolare.
Le rivolse uno dei suoi sorrisi, lei però non lo ricambiò e per tutto il tempo della presentazione evitò accuratamente di volgere il suo sguardo dalla sua parte. Bill se ne accorse e ne fu confuso oltre che deluso.
Quando infine Lyric andò a sedersi in un banco libero vicino alle finestre dell'aula gli concesse un’occhiata per qualche istante. Ciò che Bill lesse in quegli occhi blu fu una dichiarazione di rifiuto, come se gli stesse dicendo che loro due non dovevano parlarsi e quant'altro.
Per il resto della lezione l'attenzione di Bill fu concentrata su di lei e si chiese in mille modi diversi il perché non volesse essere avvicinata. Lo stava deliberatamente ignorando.
Continuò a farlo insistentemente per il resto della settimana seguente.
 

***

 
“Aspetta, aspetta, aspetta! Parla più lentamente che non ci ho capito un accidenti. Lo sai perfettamente che sono un essere umano quindi dovresti arrivarci al fatto che le mie orecchie non riescono a seguirti.” Tom lo aveva interrotto proprio nel mezzo del suo discorso, con la faccia di uno che cadeva giusto-giusto in quel momento dal pero. Bill fece roteare gli occhi.
“Forse se quando ti parlo ti togliessi le cuffie, magari, riusciresti a sentire qualcosa.” gli fece notare.
“Scherzi vero? E perdermi un momento idilliaco, come è ascoltare le canzoni di Samy Deluxe, per cercare di capire uno dei tuoi discorsi contorti? Guarda che hai proprio capito male la vita fratellino...”
Bill smise di camminare per tirargli uno scappellotto in piena regola. Tom assorbì il colpo senza protestare, ma in cambio gli regalò uno dei suoi migliori sorrisi sfottitori, da ciò naturalmente scaturì uno dei loro battibecchi.
Proprio mentre Bill stava per dire che Samy Deluxe quando reppava assomigliava ad una scimmia alcolizzata una voce spuntò fuori da dietro le loro spalle.
Bill si irrigidì.
“Per favore potreste spostarvi mi state venendo addosso.”
Tom fece un piccolo saltello vedendo che a pochi centimetri da loro era spuntata fuori quella. Non si trattene dal sorridere nel modo che Lyric aveva definito fastidioso al loro primo incontro.
“Oh, scusa!” fece lui in modo fintamente ossequioso “Non sia mai che la nostra principessina dei ghiacci tocchi un essere mortale come il sottoscritto.”
Lyric affilò gli occhi come se potessero in qualche modo divenire delle lame.
“Kaulitz tu non hai proprio niente di meglio che dire queste cose?”
“Quali cose Hörderlin? Io sto solo dicendo la verità. Sei fredda come il ghiaccio e per di più ti comporti come se fossi la regina del mondo con quel tuo modo di fare da dura.” Tom si era avvicinato a lei ed entrambi si guardavano in malo modo, fronteggiandosi come due schermidori pronti a tirare fuori le spade per il combattimento.
“A cosa ti stai riferendo?” fece infastidita.
“Al fatto che te ne vai in giro sempre in quel modo altezzoso. Non permettendo a nessuno di avvicinarsi solo perché ti credi troppo superiore agli altri. Guarda che lo hanno notato tutti qui a scuola.”
Tom si stava riferendo al fatto che chiunque aveva tentato di entrare in contatto con lei in quella settimana era sempre stato allontanato ed inoltre al fatto che girasse per la scuola con la faccia sempre impassibile. Naturalmente gli altri avevano pensato che era una snob e solo Bill aveva capito che era una solo facciata per coprirsi. Per questo quando Tom disse quelle cose avrebbe voluto tanto impedirgli di buttarsi a capofitto in una delle sue solite cavolate.
Lyric sgranò gli occhi incredula.
“Tu non sai niente di me. Non sai proprio nulla.” con un gesto rapido aveva preso Tom per il colletto della t-shirt, stringendolo nervosamente. Lui rimase impassibile, gli occhi accesi dal desiderio di provocarla senza remore. Non sapeva perché, ma provava uno strano gusto nello sfidare la pazienza di quella ragazza.
Non era mai stato una persona che si divertisse nel tormentare la gente (forse solo quando si trattava di Georg), non era il tipo da fare certe cose e di certo non stava facendo una cosa simile con lei. Però da quando aveva saputo da Bill che quella era arrivata nella loro scuola non c'era stata occasione, quando si incontravano, in cui lui non avesse fatto qualcosa per farle girare i cancheri.
Decisamente un comportamento infantile, ma Tom non si sentiva per niente in colpa. Era ormai diventato normale il fatto che quando incrociassero le loro strade finissero per battibeccare come cane e gatto.
La trovava troppo taciturna e non gli piaceva che fosse sempre in disparte a subire le malelingue che avevano cominciato a criticarla, quando invece con Tom tirava sempre fuori una forza del cavolo. Non capiva come potesse tenere dentro tutta quella cocciutaggine e quel suo modo di fare impulsivo con tanta facilità. L'aveva osservata a lungo, quasi quanto Bill, e aveva concluso che se non si rivelava per la ragazza che era da sola, l'avrebbe fatta uscire lui al suo posto. Qualcuno si chiederebbe perché farlo?
Secondo uno sguardo superficiale uno poteva credere che non la sopportasse, come lei non sopportava lui, ma in pratica gli dava più fastidio che non si facesse conoscere per chi era in verità.
“Oh! Invece sì che so qualcosa di te.” Bill si domandò se suo fratello non fosse un suicida “So che sei una che si nasconde. Sicuramente non saprò esattamente cos'hai, ma di certo ho capito che sei una codarda. Perché te ne vai sempre in giro ignorando chi vuole semplicemente fare amicizia con te?” e nel dire ciò Tom lanciò una occhiata di sfuggita a suo fratello.
Ecco un'altra cosa che non riusciva proprio a mandare giù: che quella avesse anche il coraggio di ignorare Bill. Poteva andare bene che odiasse lui, ma che trattasse come una pezza da piedi il gemello lo infastidiva.
Ovviamente Tom non ci aveva capito niente. Era proprio perché Lyric non riusciva ad ignorare Bill il motivo per cui lo teneva a debita distanza. La spiegazione completa per cui lo facesse i Kaulitz l'avrebbero compresa soltanto in un secondo momento.
“Perché non voglio amici. Non voglio proprio nessuno. Vorrei essere semplicemente ignorata, vorrei essere lasciata sola!”
“Non è vero!” si intromise finalmente Bill, che era stato lasciato in disparte mentre quei due discutevano “Non penso che tu stia dicendo sul serio, non è possibile.” fece calare la mano che teneva ancora stretta la maglietta di Tom e si frappose tra di loro. Ora era lui a stare davanti a lei. Lyric e Tom furono entrambi presi contro piede.
Gradualmente dal volto di Lyric scomparvero furia e nervosismo, al loro posto invece giunse un'espressione strana, come di tranquilla rassegnazione. A lui la belva umana mentre a Bill l'agnellino. L'universo era ingiusto, decretò Tom.
“Tutti vogliono qualcuno accanto. Tutti vogliono avere qualcuno con cui essere se stessi. Nessuno vuole essere ignorato.” Bill sputò fuori tutto con grande velocità, come suo solito, lasciandosi trascinare dell'enfasi di ciò che diceva.
Lyric lo guardò per qualche secondo negli occhi, come imbambolata, prima di dire “Tu non puoi capire.”
“Allora permettimi di farlo. È da una settimana che tento di avere un contatto con te, ma tu mi respingi sempre. Io vorrei solo esserti amico.”
Tom, ora che era lui ad essere messo in disparte, li guardò indeciso se andarsene oppure no. Non aveva voglia di sentire una stucchevole marea di affermazioni zuccherine. In più non lo stavano cagando di pari passo.
“Solo perché mi hai aiutato quella volta non significa che siamo costretti a diventare amici.”
“Infatti non sono costretto, io lo voglio.” c'era una tale determinazione in quel ‘io lo voglio’  che Lyric ne rimase completamente interdetta. Perché insisteva tanto? Non poteva lasciarla in pace?
“Io invece no. Sono l'ultima persona che qualcuno dovrebbe avere come amica.” E si allontanò a passi spediti.
Bill l'accompagnò con lo sguardo, fino al momento in cui arrivò a salire sulla Cadillac nera che ogni giorno la veniva a prendere. Forse era stata una sua espressione, però era stato come se gli avesse detto che era tempo sprecato starle accanto.
“Quella ha qualche rotella che non le funziona.” Tom lo fece tornare al mondo reale “Non credo che sia molto normale. Sei sicuro di voler davvero farci amicizia?” i due ricominciarono a camminare per uscire dal cortile della scuola.
“Certo.” rispose Bill senza pensarci. Il gemello lo fissò con le sopracciglia a venti metri dagli occhi.
“Ehi! Sveglia! Ti ha appena detto che non vuole diventare tua amica o mi sbaglio?”
“Non stava dicendo sul serio.”
“Non stava dicendo sul serio?” Forse si era perso qualcosa.
“Sì.” rimarcò Bill, ignorando la bocca di Tom che si apriva in un muto sconcerto.
“Oddio! E tu come fai a dire questo?”
“Perché me lo ha detto lei.”
“Quando?”
“Proprio qualche minuto prima.”
“Non ricordo affatto che abbia detto qualcosa del genere. Sai, assistevo anche io al vostro discorso.”
“Non lo ha detto a voce.”
“Ah no? E come l'avrebbe detto? Con l'alfabeto muto?”
Bill lo fermò in mezzo alla strada e lo prese per le spalle, guardandolo negli occhi “Tom...” iniziò sospirando “la sua faccia...”
“La sua faccia cosa?”
“Mentre andava via la sua faccia mi ha detto ciò che la sua voce non riusciva ad esprimere.” spiegò infine a quel piccolo stupido cerebroleso di suo fratello.
“La sua faccia ti ha detto questo?”
“Ja.” Bill annuì con un sorriso a trentadue denti.
Tom lo guardò perplesso “Bill, dì la verità. Georg ti ha venduto una canna, non è così?...”
 
 

***

 
Magdeburg
Giugno 2009.
 
 
C’era luna piena quella notte e anche se era insolito si riuscivano a vedere le stelle in quel cielo di città.
Apparivano come piccoli bottoncini rotondi sparsi sopra ad un mantello nero, mentre la luna era una luccicante spilla argentea, posta sul vestito del firmamento per attirare l’attenzione di chiunque avesse alzato gli occhi. Era così pallida la luna di quella sera, eppure per quanto la sua luce fosse fievole illuminava gentilmente ciò che il suo sguardo riusciva a raggiungere.
Madama luna in quel momento stava sbirciando il volto di un giovane uomo seduto per terra, tutto solo ai piedi di un grande albero. Sotto alla luce opaca si scorgevano i lineamenti di un volto malinconico e pensieroso, dei lisci capelli neri ed uno sguardo ambra scuro concentrato nella riflessione di un pensiero.
Era un'immagine suggestiva.
Al momento quel giovane si sentiva confortato nell'avere la sola compagnia degli astri del cielo.
Si sentiva confortato perché non doveva parlare con qualcuno, era liberatorio non dover sorridere forzatamente, poteva restare di cattivo umore senza che nessun gli venisse a chiedere spiegazioni. Sicuramente si stavano preoccupando a casa, ma questo non gli interessava particolarmente. Era grande abbastanza per avere il diritto di stare fuori quanto gli pareva e poi se fosse tornato proprio in quel momento avrebbe sicuramente litigato ancora con suo fratello.
Vista la premessa non entusiasmante preferiva di gran lunga restarsene lì a fare l’eremita, mentre il flusso dei suoi pensieri viaggiava senza sosta, tutto rivolto verso la sua personale ossessione.
Era un fatto certo che lui di fisse ne avesse molte: come per esempio la manicure che doveva essere perfetta, i capelli in ordine assoluto, il fatto che al suo fianco ci dovesse quasi sempre essere un bodyguard e il puntiglio pignolo che ci metteva ad ogni sua esibizione. Erano tutti chiodi fissi che si portava dentro praticamente da sempre.
Però il suo vero, continuo, tormento era un altro.
Bill si portò le mani ai lati della faccia, premendo le dita intorno alle tempie ed emettendo nello stesso tempo un sospiro di fastidio. Quando si deprimeva gli veniva sempre un grande mal di testa. Cercò di scrollarsi di dosso tutti i pensieri negativi con un movimento agitatorio del capo, ma la sua dubbia strategia non sortì l’effetto desiderato. Imprecò a denti stretti mentre appoggiava la testa sul tronco della pianta.
Cosa poteva fare per sentirsi meglio?
Sfogarsi con Tom in una sana discussione l’aveva già fatto e non aveva funzionato.
Sperperare un po’ di denaro in compere era qualcosa che faceva abbastanza con regolarità da non avere nessun effetto calmante su di lui. Cantare come un ossesso era l’ultima cosa che voleva fare, per non contare il fatto che sarebbe stato stonato e lui se doveva cantare non poteva stonare.
Avvilito prese a fare uno dei suoi strani rituali con la faccia: aspirò aria con la bocca fino ad avere una guancia gonfia come quella di un criceto che si era strafogato di semi di girasole. Fece poi passare la bolla d’aria all’altra guancia, attese qualche secondo e la fece ritornare dove era prima. Alla fine, dopo un po’ che faceva questo movimento, svuotò la guancia aprendo un angolino tra le sue labbra, imitando il suono di un palloncino che si sgonfiava.
Non servì a molto. La sua mente continuava a pensare ossessivamente a quella cosa. Perché non esistevano interruttori per spegnere il proprio cervello? Sarebbe stato bello averne avuto uno in quel momento.
“Finalmente ti ho trovato, testa di cazzo!”
Un secondo. Era una sua impressione o aveva appena sentito la voce di qualcuno dargli della testa di cazzo? Assomigliava spaventosamente a quella di Tom.
“Ho sprecato della benzina per trovarti, ritardato! Ma sai quanto ho dovuto girare con la Escalade per trovarti?! Testa di cazzo!”
No. Non era una sua impressione.
C'era effettivamente una voce in lontananza che gridava contro di lui e purtroppo doveva appartenere per forza a Tom. L'unico che possedeva una Cadillac Escalade e ne parlava come se fosse umana era suo fratello.
Bill aguzzò lo sguardo nel buio e riuscì a distinguere in qualche modo sua figura che si avvicinava velocemente.
“Merda.” sibilò a denti stretti.
Come cavolo aveva fatto a trovarlo? A volte avrebbe preferito non essere il suo gemello, Tom lo conosceva troppo bene.
Era già depresso di suo senza che dovesse arrivare quel tizio ad aumentare il suo mal di testa.
“Ti rendi conto che in questo momento potevo essere da qualche parte a spassarmela con qualcuna? Invece sono qui! Sperduto in un posto dimenticato da Dio perché il mio fratellino decide di giocare a nascondino per la città!”
“Non essere stupido Tom, sono troppo grande per giocare a nascondino. Al massimo se dovevamo giocare ti avrei proposto una sfida di -trova l'assassino-” replicò Bill “E poi tu te la spassi sempre con qualcuna. Se per una notte fai qualcosa di diverso non credo che la tua arma ne morirà.”
Il fratello maggiore dei Kaulitz, arrivato nel frattempo a qualche centimetro dall'altro, gli tirò un calcio al ginocchio sinistro per aver avuto il coraggio di replicare con un'idiozia alla sua battuta sul nascondino.
Bill si alzò da terra oltraggiato “Ehi! Ma che ti prende?”
“Dopo tutta la fatica che ho fatto mi prendi anche per il culo?!” Tom non smetteva di usare un tono aggressivo. Nella sua ricerca si era preoccupato veramente per lui. Sparire così per un intero giorno, senza dire a nessuno dove andasse e per di più tenendo il cellulare spento, lo aveva allarmato. E poi se ne era andato via di casa dopo la loro lite accesa e Tom sapeva che quando Bill era così alterato poteva essere impulsivo, più del solito.
“Io non ti stavo prendendo per il culo, moccio vileda! E poi se hai faticato tanto perché cavolo ti sei messo a cercarmi?” Bill gli diede un calcio al ginocchio per pareggiare i conti.
“E me lo chiedi anche?” Tom cercò di colpirlo ancora per aver osato fare una domanda del genere, ma Bill lo evitò con un piccolo saltello “Sono venuto a cercarti perché non hai risposto alle mie chiamate per trenta volte di fila! Mi stavo preoccupando, imbecille.”
“Imbecille lo dici poi a tua sorella...” Bill incrociò le braccia, facendo il broncio.
“Appunto: sei un imbecille.” Tom incrociò a sua volta le braccia, guardandolo come se fosse un tafano.
“Tom!” esclamò con tono infantile.
“Bill!” copiò il gemello alzando un sopracciglio in segno di sfida.
Restarono a fissarsi in malo modo per qualche minuto o almeno era quello che stavano facendo, anche se non c’era abbastanza luce per essere certi che l’altro stesse ricevendo l’occhiataccia. Ma erano pur sempre loro due e ognuno di loro sapeva perfettamente quale espressione avesse l’altro, luce o non luce.
Erano fratelli. Erano fratelli gemelli. Erano i gemelli Kaulitz, potevano benissimo fare qualcosa di altamente stupido come quello e farlo passare come un’azione naturale.
Tom alla fine si portò le mani sulla faccia, emettendo poi un urletto esasperato. Anche se erano ormai grandicelli loro due tendevano sempre a comportarsi in modo assolutamente infantile. Non sarebbero mai cambiati sotto questo punto di vista.
Bill, vedendo che per il momento l'ascia di guerra era stata sotterrata, smise di fare il broncio e attese che il fratello parlasse. Pensò che stesse arrivando una discussione spinosa riguardo al fatto che si trovasse lì.
“Sei un vero idiota.” Ecco, prevedibile che cominciasse con un offesa. Bill sorvolò, ma non evitò la leggera smorfia ad un angolo delle labbra.
“Anzi no. Tu sei un masochista.” proseguì Tom movendo la testa in diniego “Ti diverti così tanto ad essere un autolesionista convinto? Voglio dire, deve per forza essere così...”
Bill incrociò nuovamente le braccia al petto.
“...vai in giro vestito come un feticista...” ed indicò i suoi vestiti “...con quei capelli avvelenati da gel...”
Parla lo scopettone per i pavimenti bagnati…”  pensò Bill.
“...ti sei perfino fatto un buco in mezzo alla lingua e un percing al capezzolo! Il capezzolo!”
“Tom...” Credeva che prima o poi se ne sarebbe uscito con qualcosa di serio, ma a quanto pareva si era sbagliato.
“...questi erano elementi evidenti della tua tendenza a farti del male, sia dal punto di vista fisico, sia da quello della tua immagine personale...”
Bill alzò gli occhi al cielo chiedendosi come era possibile che quello condividesse i suoi stessi geni.
“...al nostro prossimo compleanno ti regalerò un set completo di lamette da barba, così ti metti a giocare con le tue vene...”
“Tom, credo che tu abbia perso il filo del discorso, se mai ce n'era uno.”
“...prenderesti due piccioni con una fava in questo modo: continueresti ad essere un masochista d.o.c e, cosa più importante, faresti felice gli ignoranti che sostengono che sei un emo-anoressico-darkettone...”
“TOM! Ma la finisci di dire stronzate?!” urlò.
“BILL! Stavo arrivando al punto, deficiente!” rispose Tom in cagnesco, detestava quando venivano interrotti i suoi discorsi, spesso se erano così goliardici.
“Ciò che volevo dire è che tra tutti i posti in cui potevi andare a deprimerti proprio questo dovevi scegliere?”
Bill abbassò immediatamente lo sguardo preso in contropiede dalla domanda. In silenzio se ne tornò a sedere per terra, con la schiena contro l'albero, evitando di stare sotto la parte illuminata dalla luna.
“Come hai fatto a capire che ero venuto qui?”
“È stato più difficile di quello che pensi. Ho girato praticamente tutta Magdeburg prima che mi venisse in mente questo posto.”
Bill alzò gli occhi verso il fratello. Anche se non riusciva a vederlo, Tom sapeva che il buio stava celando un'espressione triste. Si sedette accanto a lui senza aggiungere altro e nell'attesa che dicesse qualcosa, Tom alzò il capo verso il cielo. La luna sembrava così malinconica, pensò che si addiceva all'umore di Bill.
“Non è venuta ad incontrarmi.” cominciò dopo un poco.
Tom non ebbe bisogno di chiedere a chi si stesse riferendo, percepì la delusione nella sua voce. Non quella infantile e testarda di quando insisteva nel dire che era stato stonato in un concerto. Era la delusione di quando non si era avverato qualcosa che per lui era veramente importante.
“Ho creduto che una volta arrivati negli Stati Uniti lei sarebbe venuta ad incontrarmi. Vista tutta la pubblicità che ci siamo fatti, era matematicamente impossibile che lei non sapesse che ero là.”
“Tu non sei mai stato una cima in matematica.” cercò di fare una battuta, ma ottenne solo del silenzio.
“Ho sperato di poterla intravedere in mezzo alla folla dei nostri concerti.” Bill ricominciò “Ho pregato di poterla vedere per caso, ogni volta che uscivamo per strada. Ma lei non c'era mai.” la sua voce era ferma, ma Tom sapeva che se avesse abbassato gli occhi dal cielo che continuava a guardare avrebbe visto due occhi lucidi illuminati dalla luce lunare.
“Ho passato tutta la nostra permanenza laggiù dicendomi che sicuramente lei sarebbe sbucata davanti a me da un momento all'altro.” Tom lo sentì deglutire “Ma giorno dopo giorno questa speranza affievoliva e al suo posto ho cominciato a pensare a qualcos'altro.”
“E ti sei fatto una delle tue solite seghe mentali melodrammatiche tragiche, vero?” gli stava venendo il torcicollo a forza di fare lo struzzo, si decise a guardarlo e vide proprio ciò che si era aspettato di vedere: molta tristezza. Non percepiva così tanta tristezza in Bill da anni.
“Sto solo cercando di sdrammatizzare.” si giustificò Tom “Continua. Stavi dicendo che ti sei messo a pensare a qualcos'altro.”
Bill socchiuse le palpebre degli occhi “Ho cominciato a pensare che forse non veniva ad incontrarmi perché si era dimenticata di me. Convincendomi di questo ho cominciato ad essere arrabbiato e di cattivo umore.”
“Già, una gigantesca sega mentale.”  pensò Tom.
“Quindi?”
“Quindi mi sono trascinato l'incazzatura dall'America per questi tre mesi ed oggi sono scoppiato.”
“Ok. Questo l'avevo capito. Dimmi qualcosa di cui non sia consapevole.”
“Grazie di avere il tatto di uno scimpanzé.”
“Di niente, però resta il fatto che non hai spiegato ancora niente.”
“Bé, potresti arrivare ad intuire da solo il resto.”
“Non ci tengo ad entrare nel tuo cervello malato. Non ne uscirei indenne.”
“Dio perché mi hai dato questa piaga?”
“Questa piaga è l'unica al momento che ti stia ad ascoltare.”
“Ooooh, che grande consolazione!”
Dopo questo scambio di battute cadde il silenzio per qualche secondo. Bill aveva espresso in modo molto semplice tutto quello che gli era passato per la testa, o quasi. Non si era dilungato a spiegare quanto gli facesse male la delusione subita.
“Non credevo che tu stessi ancora pensando a lei...” se ne uscì Tom con una faccia pensierosa.
“Come no? Mi sembrava evidente. Voglio dire, tutte le ragazze che ho avuto fino adesso le ho scaricate sempre dopo un breve periodo e poi sono sempre di cattivo umore quando penso a lei.”
“E io dovevo intuire che era per questo motivo?”
“Sei mio fratello, dovresti conoscermi meglio di chiunque altro.”
“Io ti conosco più di chiunque altro, ma se non mi dici niente, che cazzo ne posso sapere io? Comunque intuivo qualcosa del genere.”
“Sì, certo.” ironizzò.
“Dico sul serio.” Tom parve pensare a cosa dire “Quindi, in questi tre anni quando frequentavi tutte quelle ragazze, tu...” gli punto un dito al volto “...sotto-sotto pensavi a lei?”
Ma aveva bisogno della dichiarazione scritta per arrivarci?
“No, aspetta. Quando stavo con loro io ci stavo perché mi piacevano veramente...” mise in chiaro l'altro.
“Ma?”
“Ma pensavo sempre che sarebbe stato meglio avere lei al loro posto e quindi le lasciavo.” Bill fece un profondo sospiro prima di riprendere “Continuo a pensare a Lyric.” Il nome tanto evitato fu finalmente pronunciato.
“A dir la verità non ho mai smesso di farlo.”
Quell'idiota si era tenuto dentro tutto quanto in quei tre anni e non ne aveva mai parlato a nessuno. Aveva nascosto la verità a tutti quelli che lo circondavano e forse un pochino anche a se stesso.
Tom lo sapeva che un giorno quellaquestione sarebbe uscita fuori di nuovo. Prima o poi sarebbe tornata alla ribalta, non poteva essere altrimenti, non dopo il modo in cui si erano lasciati quei due.
Il giorno in cui Lyric tornò in America, Tom aveva perfettamente capito che Bill era completamente fregato. Gli appoggiò una mano sulla spalla “Perciò, dopo che te la sei presa con me, sei venuto a deprimerti nella vecchia casa in cui viveva? Lo dicevo che eri masochista. ”
Bill non lo contraddisse. Pur con dispiacere doveva ammettere che aveva ragione. Con tutti i posti in cui andare gli era venuto in mente solo quello. Era stato più forte di lui.
Anche se patetico, aveva voluto solo tornare in quel giardino, sotto alla finestra della sua vecchia camera. La stessa a cui spesso si era apostato quando andava a trovarla. Una finestra che ormai restava sempre chiusa.
Bill fece un sorriso amaro, voltando lo sguardo proprio verso quella finestra, ricordando in un secondo di quando Lyric si affacciava da là e gli ordinava di andarsene perché era ormai buio. Era uno dei pochi ragazzi che poteva affermare di avere avuto tutto dalla vita, ma l'unica cosa che desiderasse per davvero gli era scivolata via dalle mani.
E ancora adesso non sapeva neanche il perché.
“Però non credo che si sia dimenticata di te.” decretò dopo un po' Tom, gli occhi rivolti di nuovo verso il cielo notturno.
“Ci saranno state altre ragioni. Ti ricordo che era un tipino piuttosto contorto e una donna complicata tende a rimanere tale anche con il passare degli anni...”
“Non aggiungere quello che stai pensando. Ti prego, non rovinare questa immagine di te che dice qualcosa di sensato con una delle tue battute sul mio presunto lato femminile...” lo fermò prima che aggiungesse qualcosa del tipo “...ne abbiamo una prova proprio qui...tu sei rimasto una donna complicata in questi anni.”  di sicuro era quello che aveva pensato. Tom rise, si conoscevano troppo bene.
“E poi voi due siete sempre stati una coppia di masochisti.” riprese “Perciò anche se sono un po' scettico, io credo che non ti abbia dimenticato. Non è possibile, non dopo aver visto come era ridotta quando ti ha lasciato. Ci sono solo cose e situazioni che vi dividono. Di certo, c'è anche l'effetto delle vostre turbe psicologiche, in questo eravate simili.”
“Ci credi veramente in quello che hai detto?”
“Io credo sempre in ciò che dico, se no non direi niente.”
“Però tu non hai mai creduto a queste tipo di cose.”
“No. Non ci ho mai creduto, ma questo non significa che non esistano. Il vostro sentimento per me è qualcosa di assolutamente troppo astratto per essere reale, ma tu...”
“Ci ho sempre creduto.”
“Già, come ci credeva lei e anche se nella realtà in cui viviamo è praticamente impossibile provare un sentimento del genere tanto a lungo voi forse potreste essere l'eccezione che conferma la regola.”
Il discorso del fratello stranamente lo consolò un poco dalla sua tristezza. Gli fece provare uno spiraglio di coraggio e fece risalire dal buio un'idea che aveva da tempo ma che aveva messo da parte a causa degli impegni di lavoro. Un'intenzione che aveva evitato anche per paura di ricevere una risposta negativa. Ma era ormai arrivato al limite della sopportazione, non gli restava che agire se voleva dare pace alla sua anima.
“Tom, ho deciso.” Bill si alzò da terra “Appena i nostri impegni in Europa saranno finiti io e te ce ne andremo in America a cercarla.” decretò con decisione. Tom sbatté gli occhi.
Ecco, tipica decisione impulsiva dell'animale Bill Kaulitz.
“Dopo quello che mi hai detto non posso evitare di fare altrimenti.” Tom in allibito silenzio continuava a sbattere le palpebre chiedendosi cosa aveva fatto di male nella vita precedente per meritarsi quella creatura come fratello.
“L'America è grande.” cercò di farlo tornare con i piedi per terra.
“Boston.”
“Come?”
“Lei abita di sicuro a Boston. Abitava lì, prima di venire in Germania.”
“Ok, ma chi ti dice che non si sia trasferita da qualche altra parte?”
“Il mio sesto senso.”
“Wow...questo mi dovrebbe rincuorare?” Tom emise un lamento “E io che c'entro?”
Bill lo prese per le spalle “Non vorrai abbandonarmi dopo avermi incitato in questo modo?”
“Io non ti ho incitato in nessun modo! Tu ti immagini le cose!”
“Tom, tu mi accompagnerai perché mi vuoi bene e perché sei mio fratello maggiore, devi comportarti di conseguenza.”
“Va a cagare! Sono tuo fratello maggiore solo quando ti fa comodo.”
“Tomi per favore!”
“Non osare chiedermelo, ti pare che David ci lascerà andare? Tu sogni!”
“Tom!”
“Bill, va al diavolo!”
E poi Bill lo guardò in uno dei modi più seri che Tom riuscisse a ricordare. C'era una volontà così assolutamente ferrea in quegli occhi, si sentì come inadeguato, come se non potesse comprendere a fondo la ragione che lo animava.
La ragione? C'era davvero un essere che ragionava dietro a quell'espressione tesa e determinata? No, sicuramente no.
Quello era il Bill che apparteneva a Lyric.
Il Bill che aveva tirato fuori lei. Un Bill di cui Tom a volte si era spaventato.
“OK! Va bene! Però smettila, mi fai impressione...” si tolse di dosso le braccia del gemello.
Per un attimo aveva pensato che fosse inquietante, aveva sempre trovato un pochino inquietante il sentimento che quei due provavano l'uno per l'altro. Era qualcosa che Tom non riusciva proprio a capire, non ci arrivava. Se faceva così male amare veramente qualcuno, allora perché suo fratello continuava a portarsela nel cuore?
Non sarebbe stato meno doloroso smettere?
“Ah-ah! Dankeschon Tomi!” ringraziò Bill battendo le mani come un bambino. Sorrise improvvisamente, in quel modo che solo lui riusciva ad avere e nei suoi occhi si poté notare una scintilla di felicità, rincuorato nel non dover intraprendere quell'azione suicida da solo.
“Su! Ora andiamo a casa, mi sono rotto di stare qui a congelarmi le chiappe.” Tom si alzo da terra e si sistemò la visiera del cappello prima di cominciare ad incamminarsi verso l'uscita.
Bill si trattenne qualche secondo in più per dare un'ultima occhiata alla finestra della camera di Lyric.
Appena fece il primo passo per raggiungere Tom si ricordò senza una ragione precisa di quella volta che cantò per lei in quel giardino, le aveva cantato per la prima volta la canzone che poi sarebbe diventata la sua preferita.
Ogni volta che gliela cantava Lyric muoveva le labbra impercettibilmente, formando un sorriso delicato. A Bill era sempre piaciuto quel sorriso. Una leggera brezza estiva cominciò a soffiare e nella quiete di quella notte si poté ascoltare la voce di Bill che vibrava nell'aria.
In qualunque luogo tu ti trovi, mi stai ascoltando vero? Le senti queste parole?”  pensò mentre la canzone si elevava fino alle orecchie della pallida luna.
 
...Das Fenster öffnet sich nicht mehr
hier drin ist es voll von dir und leer
und vor mir geht die letzte Kerze aus.
Ich ware schon ne Ewigkeit
endlich ist es jetzt soweit
da draußen ziehen schwarzen Wolken auf..
 
La finestra non si apre più
qui è pieno di te e di vuoto
e l'ultima candela si consuma di fronte a me.
Io sto già aspettando l'eternità
finalmente è giunta l'ora
là fuori delle nuvole nere si stanno levando...
 
Ich muss durch den Monsun
Hinter die Welt.
Ans ende der Zeit
bis kein Regen mehr fallt.
Gegen den Sturm,
am Abgrund entlang
und wenn ich nicht mehr kann denk ich daran.
Irgendwann laufen wir zusamm
durch den monsun...
 
Devo attraversare il monsone
Dietro al mondo.
Fino alla fine dei tempi
finché la pioggia non smetterà di cadere.
Contro la tempesta,
sul bordo dell'abisso
e quando non ne posso più mi ricordo.
Prima o poi correremo insieme
attraverso il monsone...
 
Ein halber Mond versinkt vor mir der eben noch bei dir?
Undhält er wirklich was er mir versprich.
Ich weiss das ich dich finden kann.
Hör deinen Namen im Orkan.
Ich glaub noch mehr dran glauben kann ich nicht...
 
Una mezzaluna sta sprofondando di fronte a me, ti è appena stata vicina?
E mantiene veramente le promesse che fa?
Io so di poterti trovare.
Sentendo il tuo nome nell'uragano.
Penso che non ci potrei credere più di così...
 
...Irgendwann laufen wir zusamm.
Weil uns einfach nichts mehr halten kann.
Durch der Monsun....
 
...Prima o poi correremo insieme.
Perché semplicemente nessuno ci può più trattenere.
Attraverso il monsone...”
 
__________________________________ 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3: Under the rain ***



Capitolo 3
Under the rain.
  

 
“L’acqua non mi ricopre più come una volta. I tempi in cui ci affogavo dentro sono completamente passati.
L’acqua è una metafora: acqua scura e torbida, acqua ghiacciata e dolorosa, acqua soffocante.
L’acqua lega tutte queste memorie, un mucchio di ricordi.
Come nei più ovvi dei cliché durante il funerale di mia madre aveva piovuto, ricordo che l’acqua cadeva così violenta al suolo che le gocce sembravano poter frantumare ciò che bagnavano. L’acqua quel giorno era stata la mia unica compagna, ricordo di essermi lasciata colpire da quel tifone fino ad inzupparmi le ossa.
Nel momento in cui la bara venne fatta calare, la pioggia era stata così forte che i presenti faticavano a restare in piedi sotto i propri ombrelli. Io invece mi ero allontanata dalla protezione dell’ombrello tenuto da mio zio Victor e mi ero avvicinata. Avevo desiderato essere al fianco di mia madre mentre scivolava nella terra scura.
Ero rimasta là in piedi minuti interi, in attesa che tutta quell’acqua mi sommergesse veramente.
Per lungo tempo ci annegai dentro. Ora le cose sono cambiate, anche dopo averti lasciato, non ci sono ricaduta dentro. Credo che questo sia fondamentalmente un vostro merito.
L’acqua, ora, rappresenta anche qualcosa di piacevole.
Dovrebbe esserlo anche per te, mi sbaglio, Bill?…”
 
 

***

 
Scappa.
Le veniva in mente solo questo.
Doveva scappare velocemente, fuggire il più lontano possibile, se non l'avesse fatto ora non ci sarebbe più riuscita. Voleva andarsene, ma i piedi restavano inchiodati a terra, i muscoli completamente atrofizzati.
L'ansia e l'agitazione continuavano a serpeggiare animosamente dentro di lei mentre la ragione del suo desiderio di evadere si faceva sempre più vicina. Era così prossima che poteva sentire, chiaramente, il suo fiato sul collo.
La cosa brutta degli incubi era che tutto ciò che non volevi accadesse inevitabilmente si realizzava. Nei migliori dei casi in modo rapido, così da porre fine a tutto in maniera celere, come se una tortura fosse stata abbreviata per uno sprizzo di pietà da parte del carnefice.
Svegliati, svegliati, svegliati, svegliati!”  ripeteva a se stessa, continuando però a restare immobile.
Era intrappolata tra le pareti di quella fantasia terrificante.
Continuava a restarsene in bilico sul bordo di un abisso infinito che le si poneva di fronte. Il panico le impediva di essere lucida, anche se non sarebbe servito a molto esserlo. Dalla gabbia di ferro che poteva essere la propria mente non c’erano uscite di emergenza.
Da un momento all'altro sentiva che sarebbe precipitata, ma non era ciò che la spaventava maggiormente.
Abbassò lo sguardo verso le tenebre che aspettavano solo di inghiottirla, prima di percepire proprio dietro di sé una presenza. Era talmente vicina, con un piccolo movimento si sarebbero sfiorate.
Non ebbe il coraggio di voltarsi e guardarla negli occhi, mentre percepiva il tocco di una mano lungo la schiena. I muscoli dello stomaco si contrassero dolorosamente.
Lyric ebbe la sensazione che l'incubo stava per finire, non in modo piacevole, ma sarebbe finito.
Fu una pressione leggera e quasi inconsistente, ma bastò per farle perdere l'equilibrio. In un attimo stava già volando dentro la voragine. Non poteva fare nulla per fermarsi, non aveva modo di salvarsi, avrebbe continuato a scendere in picchiata verso il basso. All'infinito.
Era certa che il fondo del baratro non esisteva, quella era una caduta senza fine. 
Tutti vogliono avere qualcuno con cui essere se stessi.”
Mentre rovinava in mezzo alle ombre quella frase riecheggiò tra i suoi pensieri, divenuti inconsistenti come fumo.
Me stessa? Non so se una esiste ancora una me stessa.”  
Nessuno vuole essere ignorato.”
Precipitava sempre più giù, sempre più in fondo, in un luogo da cui non si faceva ritorno, eppure riusciva ancora ad ascoltare le parole dette da Bill.
Era vero: l'ultima cosa che desiderava era essere ignorata, ma non poteva contare molto questa piccola verità, infondo stava già cadendo. Fu allora che urlò.
Urlò con tutta la forza che poteva. Urlò con tutta la disperazione che maturava dentro di sé da mesi.
Per quanto tempo ancora avrebbe dovuto continuare a gridare prima che quella pena riuscisse a divorarle l'anima? Perché non riusciva ancora ad arrivare al fondo? 
Mentre si risvegliava da quel sogno la porta della sua stanza venne spalancata con forza e la figura di sua zia Freia in vestaglia rosa pallido irruppe dal nulla.
Questa accese immediatamente la luce e si guardò attorno, in cerca di un fantomatico ladro o di un assassino. Purtroppo per lei non c'era nessun intruso che potesse giustificare quello che era accaduto. In quella camera da letto c'era solo Lyric, sdraiata sotto le coperte. Dovette per forza convenire che la prima cosa a cui aveva pensato non fosse la più ovvia. Si accostò frettolosamente al letto della nipote.
“Cosa è successo?”
Lyric restò muta, non sapendo bene cosa rispondere. Nel frattempo si mise a sedere sul materasso.
Si accorse di provare un freddo raggelante provenire dalla sua destra. Voltò il capo per vedere se avesse erroneamente lasciato la finestra aperta prima di coricarsi, ma la trovò serrata.  Eppure stava davvero congelando.
Strinse di più le coperte al suo corpo.
“It's too cold here.” mormorò così piano che poteva essere scambiato per un soffio.
“Come?” zia Freia la guardò con apprensione. Aveva la netta sensazione che sua nipote fosse in stato di shock: era tutta sudata e rabbrividiva come una foglia.
“Very cold...” Lyric notò che le sue mani tremavano mentre stringevano la coperta color cobalto.
“Hai gridato come un'ossessa.” tenne gli occhi spalancati mentre la zia parlava, l'immagine della caduta girava ancora nella sua mente come la pellicola di un film.
“Ah, scusa se ti ho svegliato in modo così brusco.” fu la prima cosa che le venne in mente di dire in tedesco.
“Scusa, se ti ho svegliato? Lyric, hai gridato come se ti stessero uccidendo. Avrai fatto cadere dal letto l'intero vicinato.” Freia si sedette al suo fianco.
“Allora scusa se ho svegliato anche loro.” Lyric era così concentrata nel cercare di trovare la calma dopo l'incubo che non si rendeva conto di ciò che le usciva dalla bocca.
Zia Freia la osservò stringere la mascella per impedire che le tremassero i denti.
Restarono entrambe immobili per un po’.
Qualche minuto dopo Lyric abbassò il capo incapace di trattenersi: cominciò a singhiozzare.
Non ce la faceva più, non aveva abbastanza energia per continuare in quel modo, persino nei sogni non aveva pace. L'aspetto più brutto della faccenda era che, nel profondo della sua volontà, per prima non voleva essere ridotta in quelle condizioni, ma aveva troppa paura.
Paura di provare a superare il problema, paura di provarci e non riuscirci.
Nessuno è così forte da potersi permettere il lusso di credersi invincibile, ogni persona di questo mondo, in un punto oscuro del suo cuore, è afflitto dalla debolezza.
Se la sua vita significava pregare di non soffrire talmente tanto, se voleva dire vivere ogni giorno pregando che passasse come acqua tra le mani, se era questo il significato, allora era davvero uno schifo. Era dentro una trappola.
Mentre questi pensieri la inondavano, proprio come le sue lacrime, sentì le braccia di sua zia circondarla. Lei non le disse nulla, le rimase semplicemente accanto, non pretendendo che Lyric ricambiasse.
Una delle ragioni per cui aveva cominciato ad apprezzare sua zia era il fatto che non la sforzava mai. Lei sosteneva il fatto che ognuno avesse la necessità di fare i conti con se stesso, prima di poterne fare con qualcun altro. Lyric aveva quasi la certezza che zia Freia potesse comprendere per davvero tutto ciò che le faceva male, anche se lei non ne faceva parola. Era proprio come suo padre.
Non ebbe il coraggio di rivelarle che aveva fatto tutto quel pandemonio per un incubo, quindi per tutto il tempo in cui rimasero insieme non fece altro che piangere. La mattina seguente, al suo risveglio, ricordò solo che sua zia l'aveva lasciata con una carezza tra i capelli.
 

***

 
Non era stata lei a scegliere di frequentare quella scuola, avrebbe preferito seguire delle lezioni private, come aveva fatto a Boston dopo la morte della madre, ma era l’unica questione su cui Freia aveva insistito e Lyric l’aveva assecondata.
Per niente al mondo, però, avrebbe pensato che proprio in quell'istituto avrebbe rivisto quei due.
In particolare era rimasta sconvolta nello scoprire che Bill Kaulitz fosse uno dei suoi nuovi compagni di classe. Se non fosse apparsa come una pazza, nel momento stesso in cui lo aveva riconosciuto tra i volti anonimi di quella mattina, avrebbe fatto marcia indietro correndo fuori dall’aula. Il più lontano possibile.
Nella settimana seguente il loro incontro si era ritrovata spesso a pensare a ciò che era successo quel pomeriggio. Doveva aver vagliato almeno un centinaio di volte la gentilezza e la spontaneità dei modi che Bill le aveva riservato. Durante l’attesa del suo autista, per qualche ragione, lui non aveva fatto domande riguardo l'averla vista piangere sul ciglio di una strada. Tom non aveva mostrato il suo brutto muso neanche una volta e sospettava fosse stato per via di un ordine del fratello.
In quella frazione di tempo Bill aveva parlato per entrambi e Lyric si era stupita della voracità con cui sputava fuori un discorso dietro all'altro, senza quasi riprendere fiato. Generalmente avrebbe trovato fastidiosa questa mania di parlare continuamente, ma quella volta le era piaciuto essere, solo, l’ascoltatrice. In seguito le era venuto quasi il dubbio che quel ragazzo avesse intuito il suo disagio nel discorrere e che perciò le avesse fatto il favore di prendersi tutta la scena.
Lyric aveva apprezzato quel gesto, deliberato o meno che fosse. E non solo quello.
Forse era stato il modo in cui parlava: allegro, frizzante e diretto. O magari il fatto che non l'avesse fatta sentire come un’estranea, ma in tutti i modi Lyric era riuscita a lasciare da parte il senso di inadeguatezza che ultimamente l'accompagnava a braccetto. Il che era stata una piccola sorpresa, soprattutto per lei.
Perfino nei momenti di silenzio non aveva sentito disagio. Era stato stranamente piacevole.
Due dettagli aveva poi rivissuto mentalmente con più frequenza degli altri: il suo sguardo e il suo sorriso.
Il primo perché aveva realizzato, imbarazzata, di essersi più volte soffermata ad osservare i suoi occhi. Si sarebbe presa a randellate con una pala da giardino per la figura idiota che aveva fatto, ma nel momento in cui aveva compiuto tale azione non se ne era proprio resa conto. La ragione per cui l'aveva fatto era ancora più imbarazzante, ogni volta che ci pensava si arrossava intorno agli zigomi. Il suo sguardo le aveva fatto ricordare suo padre.
Era stato uno sguardo attento, ma non invadente, vivace, limpido, semplice. Anche suo padre la guardava in quel modo quando era vivo. Con la stessa identica intensità. Ogni volta che l’aveva guardata Sebastian le aveva sempre dato la sensazione di essere davvero interessato alla sua esistenza. Bill le aveva fatto lo stesso effetto o meglio le faceva lo stesso effetto.
Per quanto riguardava il suo sorriso stentava a credere che esistesse qualcuno in grado di non rimanere colpito da una cosa simile. Era enorme: una fila infinita di denti bianchi, aperti in un'espressione così assurdamente gioiosa e infantile. Simile a quella dei bambini piccoli che sorridono felicemente per la più piccola stupidaggine.
Bill aveva sorriso spesso mentre erano insieme, tra un argomento e l'altro, come se non riuscisse proprio a trattenersi dal farlo. Nei confronti di quel sorriso Lyric da una parte aveva sviluppato un certa ammirazione, dall'altra un po' di fastidio. Il motivo principale per cui gli stava alla larga da quando era entrata nella sua classe era proprio il fastidio che gli dava la presenza di Bill. Non c'entrava nulla l'averla aiutata, non c'entrava neanche lui se per questo, era tutto nella sua testolina bacata.
Il fatto era che, se gli stava troppo accanto, si sentiva come se venisse rimproverata. Lei che non ricordava neanche come si facesse più a sorridere, si biasimava da sola quando guardava Bill, sempre sorridente e sempre allegro. Non gli piaceva essere costretta a vedere in faccia la sua debolezza. Sapeva di esserlo, ma questo non significava che volesse averci a che fare. In particolare odiava che per colpa di uno sconosciuto dovesse affrontare i suoi problemi. Voleva tenerli tutti chiusi dentro di sé, non farli mai uscire allo scoperto.
Per questo ignorava Bill, quasi lo detestava per come riuscisse a mandarle in palla il sistema nervoso. Lui era ciò che doveva essere lei, le ricordava ciò che non era più. Era un continuo promemoria, il post-it della sua attuale condizione si esserino malinconico. Non le piaceva ricordarlo, non le piaceva per niente dover affrontare se stessa.
Quando Tom l'aveva accusata di nascondersi non aveva avuto tutti i torti, ma non era in vena di dimostrare il contrario. Preferiva essere affiancata dall'appellativo di codarda piuttosto che dover sostenere la presenza di quell'essere umano chiamato Bill Kaulitz. Era molto più semplice che tirare fuori il coraggio.
 

***

 
La mattina seguente l’incubo notturno era particolarmente suscettibile.
I sorrisi luminosi, le chiacchiere spensierate e le persone che producevano tali gesti erano una vista che la urtavano. Avrebbe tanto voluto che sparissero tutti quanti, voleva solo che scomparissero quei maledetti estranei che la circondavano. Sarebbe stata in pace se li avesse visti circondarsi di una nuvola bianca, fare puff  e poi non vederli più. Erano asfissianti.
Più volte nel corso della mattinata fu tentata di chiamare sua zia e farsi venire a prendere, ma ogni volta una parte del suo cervello le faceva cambiare idea. Principalmente per evitare di far notare alla sua tutrice di quanta instabilità fosse pregna la sua mente ed evitare a sua zia venissero strane idee: chiamare uno strizzacervelli, per esempio.
Lyric odiava gli psicologi, con tutto il suo cuore.
Odiava il modo di finta comprensione con cui la guardavano, quando in verità la studiavano di sottecchi come una cavia. Le mettevano ansia e soprattutto la facevano sentire sbagliata. Un'altra brutta esperienza che le aveva fatto vivere quella santa donna di sua nonna Cassandra. Aver frequentato settimanalmente, per due mesi, degli specialisti non l'aveva mai aiutata. Se solo quella matusalemme avesse compreso che sarebbe bastato parlare a quattrocchi tra di loro per poterla aiutare, non avrebbe sviluppato una avversione così aggressiva nei confronti di quel tipo di professionisti.
Prese quindi la decisione di sopportare l'indescrivibile tortura che era la scuola.
Persino Tom non osò rivolgerle una delle sue battute abituali, quando la incrociò in mezzo ai corridoi.
Forse fu più per il secco “Dì soltanto una parola e ti faccio diventare un eunuco” che Lyric gli rivolse appena lo vide avvicinarsi, a frenare la sua lingua, ma di fatto ebbe la straordinaria  sensibilità di scorgere il suo malumore.
In verità, ciò che l'aveva fermato era stato il fatto che, per la prima volta, aveva notato in Lyric Hörderlin qualcosa a cui non aveva mai dato peso.
Tom era rimasto immobile nella posizione in cui era stato lasciato, mentre la schiena della ragazza scompariva dietro un angolo. Il suo pensiero si rivolse a ciò che Bill aveva detto una volta. Era stato un commento di una settimana precedente, al ritorno dalla sala prove.
“È sempre triste, sai?” se ne era uscito il gemello minore dopo un po' che camminavano in silenzio.
Tom non dovette nemmeno chiedere a chi si stesse riferendo.
“Lo nasconde piuttosto bene, però dopo molto tempo passato ad osservarla me ne sono reso conto.” aveva proseguito increspando le labbra pensieroso “Lyric soffre.”
Per la prima volta Tom comprese cosa avesse voluto dire suo fratello e per la prima volta il silenzio e il gelo di Lyric gli apparvero per quello che erano: maschere. Si sentì un vero idiota a non esserci arrivato prima.
Sì sentì talmente stupido che quasi si stupiva della sua totale mancanza di spirito di osservazione. Era così sorpreso dalla scoperta della sua deficienza che si accorse di essersi piantato in mezzo al corridoio, solo dopo la campana di fine intervallo. Il cervello si era così svuotato che ci mise due minuti prima di tornare alla realtà e comprendere di aver sprecato l'intera pausa a fare la bella statuina.
Ci mise altri due minuti per rendersi conto che avrebbe ricevuto l'ennesima paternale dal professore di tedesco sull'importanza di arrivare puntuale. Inoltre dopo altri due minuti, mentre si incamminava lentamente verso la sua classe, si avvide di una idea sconcertante. Un’idea che si rifiutava di considerare, da quando Bill aveva iniziato a dimostrare interesse per quella pazza della Hörderlin.
“Cazzo fottuto...” esclamò rivolto a se stesso.
Già, e il re dei tonti avrebbe dovuto essere era suo fratello.
                                                                                

***

 
L'aveva combinata grossa.
Questa volta era stata proprio una azione avventata, anzi no, l'azione più stupida della sua giovane vita e per di più aveva un'emicrania atroce. Non sapeva proprio dove trovasse la forza di stare in piedi, forse il suo corpo si muoveva per inerzia oppure era sostenuta da un'energia di conservazione. Magari il fatto che i suoi nervi fossero andati tutti a puttane significava che il suo corpo se ne stava là seduto solo perché, ormai vuoto come un vaso, non poteva effettivamente muoversi.
In tutti i casi il fattaccio era stato compiuto e non le restava che sostenerne le conseguenze.
Oh accidenti alla sua dannata instabilità psico-emotiva!
E soprattutto accidenti a quella fogna ambulante di Doris Gruguer!
Se non fosse stato per il veleno che aveva sputato a mitraglietta non avrebbe dovuto sostenere lo sguardo contrariato del preside Hertz. Quell'anziano signore, così all'apparenza innocuo e pieno di bontà, celava un atteggiamento intimidatorio quasi marziale in quel momento. L’idea di innocenza che aveva su di lui era dovuta al suo lucido cranio pelato. Lyric riteneva che le persone pelate avessero ricevuto abbastanza disgrazie nella vita, per via della perdita dei capelli, tanto che dovevano per forza aver sviluppato una pazienza ascetica.
Strinse i denti. Aveva così mal di testa ed era ancora scossa dalla rabbia, tanto che non era particolarmente ricettiva nei confronti della paura che, in teoria, avrebbe dovuto provare.
Già, evidentemente i suoi neuroni dovevano proprio godersela quell’improvvisa vacanza nel paese dei balocchi.
Stupidi neuroni! Stronzissimi vigliacchi! Abbandonarla a quel suo destino infame. Naturalmente il fatto che facesse tali pensieri contro le sue stesse cellule celebrali denotava la sua condizione di totale di controllo.
“Si rende conto della gravità del suo comportamento, signorina Hörderlin?” la voce del preside Hertz si fece finalmente sentire dopo lunghi minuti di attesa.
Lyric sbatté gli occhi, cercando di comprendere quello che le aveva appena detto.
Annuì fingendo di aver capito. Era troppo stanca per prestargli davvero attenzione, per di più le pareva che il suo cranio da un momento all'altro si sarebbe frantumato in tanti pezzettini.
Era quasi certa di percepire le crepe che si allungavano tra le ossa.
Stupida oca!”  pensò con rabbia, rivolgendosi a Doris “Stupidissima deficiente, fanculo!”  proseguì mentalmente.
“Episodi simili non dovrebbero verificarsi all'interno di istituti scolastici.” Lyric osservò le labbra del preside, era un vero peccato che non sapesse assolutamente leggere il labiale. Le avrebbe risparmiato il fastidio di dover seguire il ronzio privo di senso che usciva dalla gola del preside. Stava davvero parlando?
“Quindi se lo avessi fatto fuori dalla scuola sarebbe stato assolutamente legittimo? Me lo ricorderò la prossima volta che mi metterò a prendere a schiaffi qualcuno.”
Il preside aprì la bocca completamente allibito e Lyric con lui. Come gli era uscita?
Una vena molto vicina al suo cranio cominciò a pulsare, non era un bel segnale.
“Come, prego?”
“Ho detto che la prossima volta che mi metterò a prendere a schiaffi qualcuno, le assicuro, mi accerterò di essere ad almeno tre metri fuori dalla proprietà scolastica.”
Era come se si fosse sdoppiata: dentro al suo cranio, rinchiusa dentro una stanza vuota, la Lyric razionale osservava la sua vita su uno schermo gigante mentre là fuori, nel mondo reale, la Lyric che aveva il crollo di nervi agiva senza alcun tipo di controllo. A quella là fuori non gliene fregava più niente di nessuno.
“Signorina Hörderlin, mi stia a sentire…” La Lyric dentro alla testa pregò con tutto il cuore che quella là fuori non avesse, veramente, intenzione di dire quello che aveva sulle punte sulle labbra. La supplicò di non farlo.
“No. Senta signor Hertz, stia a sentire me.”
No, nulla da fare. Era lanciata, nessun freno
“Quello che ho fatto è stato assolutamente legittimo. So perfettamente che la violenza non è mai una soluzione, però non me la sento di dirle che sono dispiaciuta dell’accaduto.” Il suo corpo vuoto, quel involucro di carne e sangue, prese a tremare. La rabbia non se ne era andata, non ancora. Bruciava ancora.
“Non mi giustificherò in nessun modo, perché non mi pento di esser venuta alle mani con quella vipera.”
Doris Gruguer, gatta morta e reginetta delle barbie snodabili della sua classe, era praticamente priva di qualunque tipo di sensibilità. Quando quel giorno le aveva rivolto la parola, per stuzzicarla come al suo solito, non aveva previsto che Lyric avrebbe reagito in quel modo. Non lo aveva previsto neanche la diretta interessata, figuriamoci quell'oca.
Solitamente la ignorava nel modo più calmo possibile, ma quel giorno le sue parole erano state le gocce che avevano fatto traboccare il vaso.  
“Per quanto mi riguarda, se potessi farlo ancora una volta, non ci penserei due volte a prendere nuovamente Doris Gruguer e darle tutti i santi schiaffi di cui ha bisogno!” la sua voce aveva cominciato ad alterare di volume.
“Signorina Hörderlin, la prego, mantenga la calma.”
“No! Non ho alcuna intenzione di mantenere la calma!” batté i palmi delle mani sulla lucida superficie della scrivania che la divideva dal preside Hertz “Doris Gruguer ha sputato una miriade di cattiverie nei miei confronti. Cose che riguardano la mia vita privata!” Si alzò dalla sedia su cui era seduta, facendola cadere con un sonoro tonfo “Cose che non dovrebbe neanche sapere! Cose che per me sono importanti, signore. Quindi non mi venga a dire che il mio comportamento è stato scorretto!” Sembrava una fiera pronta ad attaccare.
Non lo avrebbe fatto, naturalmente, però restava in qualche modo inquietante che una ragazzina di quattordici anni potesse contenere una tale carica aggressiva.
Come quella gallina sapesse tutte quelle cose su di lei non lo sapeva ancora, ma a parte questo dettaglio, niente le aveva dato il diritto di dire quelle cose.
Poverina, dovremmo comprenderla, voglio dire: è un’orfana. Non ha nessuno al mondo, ormai. Per questo si comporta in modo tanto freddo. È completamente sola.”
Veleno. Veleno sparso su di lei senza preavviso.
Lyric si era bloccata, con gli occhi spalancati dalla sorpresa più totale. Completamente sconvolta.
Come faceva a saperlo? Perché stava dicendo quelle cose?
Quelle domande dopo non contarono più molto, perché quella ragazza aveva continuato a parlare dei fatti suoi con voce squillante e fastidiosa, come una esperta pescivendola, davanti a tutti. Aveva sparso ai quattro venti la sua vita, i suoi sentimenti.
Non aveva un posto dove stare. Sai, Clarisse? La famiglia di sua madre la appioppata a quella di suo padre. Mi hanno detto che li hanno praticamente costretti a sorbirsela. Non ti sembra una cosa patetica?”
Da qualche parte, in un angolo del suo cervello, qualcosa si era poi spezzato.
La pazienza, forse, o magari la sua indulgenza.
Patetica?”  si era ripetuta mentre concentrava tutto il suo essere alla calma “Chi sei tu per dirmi queste cose? Chi ti credi di essere?”  Tutte quelle parole, dette da una ignobile nessuno, erano state inutili.
Erano state superflue, gli altri non avrebbero dovuto sapere.
Non ti fa pena? A me molto. Voglio dire, nemmeno la sua famiglia la vuole tra i piedi. Non la vuole proprio nessuno.”
Shiaff!
Diretto e conciso, proprio così, uno schiaffo perfetto. Abbastanza forte da mandarla a cozzare contro il muro di fianco e sufficientemente veloce per impedirle qualunque tipo di reazione. Fu uno schiaffo perfetto.
Lyric l'aveva poi presa per le spalle, inchiodandola al muro “Sei una stronza!”  le aveva detto disgustata “Sei solo una viziata ragazzina di provincia che crede di essere superiore solo per il suo denaro. Hai sbagliato persona a cui pestare i piedi!”
Doris avrebbe potuto stare zitta ed evitare le conseguenze, invece le aveva rivolto un sorriso maligno “Che c’è? Difficile sopportare la verità? Mi dispiace mia cara, la realtà fa piuttosto male. Avresti dovuto accettare la mia amicizia quando te l'avevo offerta. Ora tutti sanno che sei solo una patetica orfana.”
Le persone erano in grado di compiere le più grandi nefandezze per compiacere i propri desideri. Erano in grado di calpestare qualunque cosa gli potesse capitare sotto i piedi. Erano capaci di non avere pietà.
Doris Gruguer era una di queste. Se non otteneva ciò che desiderava, lo distruggeva.
Lyric si era rifiutata di diventare l'ennesima amica-lecchina del suo seguito, allora Doris aveva convenuto che doveva essere estirpata, come l'erbaccia ai cigli delle strade.
Quello che accadde dopo fu uno scontro piuttosto rumoroso, niente di veramente violento, ma neanche una passeggiata a ciel sereno. Ci volle l'intervento di due insegnanti per fermare Lyric dal ridurre quella bambola bionda in brandelli. Non che quella si fosse lasciata assaltare senza difendersi, ma tra le due Lyric era stata la più motivata a spezzare le ossa.
Le aveva procurato parecchie abrasioni e graffi, per non parlare di un gigantesco livido sul volto. Lyric, invece, si era rimediata qualche graffio sulle braccia e un segno rosso intorno al collo, marchio distintivo di quando Doris aveva cercato di strozzarla. Furono entrambe spedite in presidenza con effetto immediato.
Doris era stata la prima ad essere ricevuta e naturalmente se ne era uscita con una lagnosa solfa da vittima tragica, il preside credendo che fosse troppo sconvolta l'aveva mandata a farsi curare in infermeria. A Lyric invece era toccata la corte d'inquisizione.
“Mia zia glielo ha spiegato non è così?! Glielo ha spiegato il motivo per cui sono venuta in Germania?! Non è così?” Lo urlò come se comportandosi in quel modo avesse potuto spiegare tutta la sua rabbia, tutta la sua frustrazione. Come se quell'uomo avesse potuto capire, anche solo per un secondo, ciò che la uccideva. Ogni secondo, sempre più affondo.
“Signorina Hörderlin...io…” il signor Hertz balbettò “Posso solo immaginare come si sente in questo momento. Una perdita del genere...naturalmente...”
No, non capiva. Non aveva minimamente prestato attenzione.
“Doris Gruguer ha infierito su di me raccontando ad estranei la mia vita.” parlò molto lentamente, al ritmo del suo cuore, con una stanchezza infinita “Quindi per quanti discorsi su etica, morale ed educazione può snocciolarmi non mi riterrò mai colpevole di alcun reato. Al momento me ne frego altamente di qualunque regola!”
Voleva andarsene, tornare a casa.
“Casa?”
Aspetta un secondo, casa non c’era più.
Non c’era più una casa dove andare a rifugiarsi, quel luogo non esisteva.
Il suo corpo perse in pochi secondi il suo punto di orbita. L’emicrania esplose e lei divenne di pietra. Smise di parlare e fissò il preside non avendo più parole. Era tutto insensato.
Qualcuno, qualcuno venga a salvarmi.”
Il preside Hertz prese un sospiro, con calma fece segno a Lyric di tornarsene a sedere. Lei ubbidì, raccattò la sedia da terra e si sedette, il suo cervello era sospeso in una nebbia.
“Comprendo che in questo momento sia sconvolta. Che ne dice se ne riparliamo una volta ripresa un po’ di calma? Chiamerò sua zia per informala della situazione e con lei discuteremo come approntare al problema.” Prese una pausa in cui Lyric lo guardò con occhi vuoti  “Vada pure a casa.”
Non se lo fece dire una seconda volta. Si alzò dalla scomoda sedia di legno e si diresse alla porta senza mai voltarsi. Una volta uscita camminò come un automa, guardando dritto davanti a sé.
Senza sapere come avesse fatto arrivò in classe.
L’ultima campanella era già suonata da un pezzo e tutti i suoi compagni erano andati via.
Sospirò di sollievo, pensando che non sarebbe riuscita a sostenere ancora gli sguardi derisori di quei bambocci.
Ora avrebbe preso le sue cose e sarebbe fuggita da quell’edificio, lontana dagli avvenimenti accaduti, lontana dal resto del mondo. Andò dritta al suo banco, arrivata lì si mise a fissare in trance il legno del tavolo finché dopo qualche secondo cercò la sua borsa dei libri. Non c’era.
“Te lo tenuta io.” Pronunciò una voce.
Un momento, chi aveva parlato?
“Bill.” lo disse prima ancora di voltarsi a vedere chi fosse.
Qualcuno lassù si divertiva davvero tanto a prendersi gioco di lei. Cosa ci faceva lì? L’orario scolastico era concluso da ormai mezz’ora e di solito lui scappava più veloce di un centometrista quando si trattava di andarsene.
“Quelle deficienti delle amiche della Gruguer volevano gettartela nel water. Glielo ho sottratta prima che facessero qualcosa.” Spiegò, arricciando la bocca in una smorfia di ribrezzo, era schifato dalla meschinità di cui era capace la gente. Se ne stava dall’altra parte della stanza, seduto sopra al proprio banco, le gambe penzolanti oltre il bordo.
Lyric era ancora sospesa tra la se stessa razionale e la se stessa irrazionale. Chi al momento delle due stesse effettivamente interagendo con Bill non lo sapeva. Di una cosa però era certa: l’ultima persona che avrebbe voluto incontrare in quelle condizioni era proprio lui.
“Mi hai aspettato?” Lyric glielo chiese in modo brusco.
“Sì.” Bill rimase fermo, lo stava accusando?
“Potevi anche evitare. Cosa diamine vuoi? Vuoi che ti racconti ogni singola tragedia personale che ho vissuto?! Vuoi sapere veramente se sono un'orfana e se sono stata abbandonata dalla mia famiglia?!” rabbia, solo rabbia, c'era solo questo in lei. Proprio davanti a lui che le alterava l'equilibrio emotivo, proprio con l'unico che avesse mai cercato di avere un contatto sincero con lei, proprio contro Bill non riusciva altro che riversare la sua rabbia.
Rabbia violenta e furiosa. Una rabbia che ruggiva.
“Ehi! Calma! Non pensare che io sia in grado di fare una cosa talmente insensibile!” protestò Bill alzando leggermente la voce.
“Allora cosa vuoi da me?!” Lyric alzò ancora di più il tono. La bestia nera che dimorava nel suo petto si mise a digrignare i denti, una risata divertita “Spiegami cosa vuoi che faccia?!” abbassò il volto verso il pavimento. Ci fu una pausa di qualche nanosecondo, la sua mente vagò in un indefinito spazio di confusione.
“Perché non mi accetti per quello che sono?” lamentò in una supplica.
“Io non ho mai fatto niente del genere. Lyric, di cosa stai parlando?” Bill ebbe il fugace dubbio che la ragazza non si stesse rivolgendo a lui. Lyric infatti aveva posto le ultime domande alla bestia nera che si era risvegliata in lei. Quella creatura era la sua paura.
“Ehi, sei sicura di sentirti bene?” Bill scese dal banco e si avvicinò rapido. Lyric non ebbe neanche la possibilità di indietreggiare per quanto fu veloce e così lo ebbe davanti. Vicino, troppo vicino.
La guardò con la solita e soverchiante intensità e lei trovo estremamente difficile sostenere quello sguardo.
Perché diamine si interessava così tanto a lei? Che cosa sperava di trovare?
Bill le sfiorò inaspettatamente il volto e l’accarezzò con le punte dei polpastrelli, passando piano lungo una guancia fino alla punta del mento. Furono sorpresi entrambi da quel gesto.
“Non devi per forza fare finta di essere invulnerabile. Nessuno pretende questo da te.” Fu poi l’altrettanto sorprendente discorso che fece. Era davvero difficile.
Era tremendamente difficile guardarlo negli occhi. Perché quando il tuo unico desiderio è nasconderti allo sguardo dell'intero universo, un Bill Kaulitz che ti osserva senza mezze misure dritto negli occhi è semplicemente una prova troppo faticosa da sostenere. Persone più coraggiose di lei e magari meno stressate di lei, in quel momento, non ce l'avrebbero fatta comunque.
“Tenersi tutto dentro alla lunga è stancante.” Le sistemò una ciocca dei capelli neri dietro il suo orecchio, fu lieve e delicato, un gesto troppo intimo “Non serve assolutamente a nulla.” la voce di Bill cercava di risultare rassicurante.
E a lei piaceva, purtroppo.
“Potresti perfettamente evitare tanti scrupoli e mandare a fanculo tutto ciò che non sopporti. Lo preferirei sai.” nel dirlo Bill inclinò leggermente la testa, aprendo sul viso l'abbozzo di un vago sorriso di conforto “Molto meglio che vederti sempre così triste.”
Sei troppo vicino. Troppo.” 
Questo pensiero fu come una spina dall'allarme, un lampo spaventoso nella nebbia del suo inferno. Doveva fermarlo.
“Perché lo fai? ” Bill aggrottò la fronte formando una particolare rughetta sopra al sopracciglio destro. Era un'espressione di così infantile perplessità, simile a quello di un bambino che si chiedeva il perché delle cose.
“Te lo già detto un milione di volte se non mi sbaglio. Voglio la tua amicizia.”
Le finestre erano aperte su un cielo grigio plumbeo e le nuvole attanagliavano in una morsa gli ultimi raggi del sole, la luce che veniva emanata aveva un che di spettrale.
“Rinuncia.” decretò Lyric con una specie di soffio stanco “Rinuncia.” ripeté divenendo salda nella voce.
Si allontanò da lui, recuperò borsa e giacca “Rinuncia, è per il tuo bene.” Ogni volta che si ripeteva calcava sempre di più sulla parola rinuncia. Voleva essere un verdetto inappellabile.
“Rinuncia,Bill. Se non mi sbaglio, te lo detto un milione di volte anche io. Sono l'ultima persona che si dovrebbe avere per amica.” indossò la giacca senza mai guardarlo in faccia. Perché avrebbe ceduto se l'avesse fatto. Gli avrebbe permesso di provarci, gli avrebbe concesso di starle accanto.
E lei non poteva permetterselo.
Bill seguì tutte le sue mosse, interdetto dalla durezza delle sue affermazioni. Era così radicata in lei la convinzione di non poter accettare una loro amicizia che rifiutava a priori di provarci. Per lui era vero il contrario, lui era così certo che tra loro un rapporto del genere potesse esistere, anzi, c'era già. Forse distorto, complicato e momentaneamente unilaterale, ma per Bill era più che sufficiente. L'ultima cosa che sarebbe riuscito a fare sarebbe stata ignorarla, invece Lyric era sicura di poterlo fare e questo lo irritò.
“Perché?!” proruppe, fermandola prima che mettesse piede fuori dall'aula. “Perché dici queste fottutissime stronzate?” l'influenza volgare di interi pomeriggi con Georg e Tom si fecero sentire in tutta la loro forza “Perché stiamo parlando di immani cazzate!” Bill aveva alzato la voce, nella sua tipica modalità di inizio incazzamento, che il suo gemello definiva molto affettuosamente isterismo pre-mestruale.
“Hai sempre detto così, ma non mi hai mai spiegato perché. Voglio una ragione! E la voglio ora!”
Lyric prese tutta l'energia che le rimaneva, determinata a porre fine ai loro contatti con un taglio netto e deciso. Un rifiuto fatto con estrema decisione doveva per forza funzionare.
“Perché sono un essere completamente diverso da te!” si mise ad urlare anche lei, divenendo leggermente rossa in viso, quasi le tremarono i denti mentre lo diceva.
Buttiamo tutto all'aria, distruggiamo tutto quanto, ogni cosa.”
“Siamo completamente agli opposti. Tu sei sempre così dannatamente sorridente, allegro e spigliato! Io invece sono gelida, silenziosa e con un gran desiderio di buttarmi in mezzo a delle macchine in corsa!”
Mostragli quanto sei penosa. Mostragli le ragioni per cui tutti ti abbandonano. Dimostragli che hanno ragione quelli che pensano di te in questo modo. Rivelagli la verità che ti ha inculcato quella persona!”
“Non possiamo avere un rapporto di amicizia noi due! Non possiamo perché sono fatta così, lo dicono tutti! Sono un esserino malinconico, Bill. Un esserino degno solo di essere abbandonato a se stesso.” mentre sputava tutte queste parole lo guardò dritto negli occhi, con sfrontatezza e aggressività, come se lui non potesse ribattere con nessun argomento a ciò che stava dicendo “Io non mi merito il tuo interesse, lo dico per il tuo bene. Rinuncia.”
Respira, ricordati di respirare, non svenire proprio ora. Trattieniti.”
“Tra me e te c'è un muro.” Scappò, veloce come avrebbe voluto essere nel sogno, il più lontano possibile.
Quello che successe dopo fu qualcosa di altamente imprevedibile. Quasi privo di logica.
Assolutamente contro ogni razionalità. Ma tanto si sapeva che Bill Kaulitz era un alieno.
Gli ci volle un minuto intero per ricapitolare velocemente ciò che era successo in quell'aula, gliene servì la metà per accendere in lui una rielaborazione approfondita dei fatti, quasi un decimo del tempo per arrivare ad una conclusione.
L'impulsività mista ad un sentimento combattivo di testardaggine primitiva lo portò a prendere il suo zaino e cominciare a correre all'inseguimento della ragazza. Con un pensiero molto chiaro in mente: “Col cazzo che mi lasci così!”
Fuori aveva cominciato a piovere.
 

***

 
Tom se ne stava sotto la tettoia, all'ingresso della scuola, in attesa che suo fratello decidesse di comparire. Dovevano andare alle prove della band ed erano fortemente in ritardo. Immaginò, con una smorfia sul viso, la paternale assurda che avrebbe fatto quel rompicazzo di Georg. Come se lui non arrivasse mai in ritardo, rimbambito di un bradipo sempre mezzo addormentato!
Mentre rifletteva sul modo di chiudere la fogna a quello scemo, nel momento stesso in cui avesse cercato di sparare una delle sue boiate, una presenza gli passò accanto con velocità quasi disumana. Perse quasi l’equilibrio.
“Ehi! Ma che cazzo!” si bloccò perché la riconobbe. Era Lyric e stava piangendo.
Anche se l'aveva scorta per un secondo, quelle che aveva visto erano proprio lacrime. Rimase basito, chiedendosi cosa diamine fosse successo per ridurla così. Non si era fermata neanche per scusarsi, cosa che invece avrebbe fatto in una situazione normale e aveva continuato a correre verso i cancelli. Totalmente incurante della pioggia che aveva iniziato a picchiettare verso il suolo. Era la prima volta che la scorgeva piangere. In un mese che la conosceva era la prima volta che scorgeva in lei una debolezza tanto evidente.
Chissà cosa le è preso?”  si chiese curioso. Si sistemò sulla spalla lo zaino che il passaggio della ragazza aveva fatto calare ma, nell’istante in cui lo fece, qualcun altro pensò di venirgli nuovamente addosso. Questa volta fu Bill.
“Ehi! Bill! Ma cosa vi prende? Prima la Hörderlin e adesso tu!” il fratello si volse verso di lui mostrandosi in tutta la sua alterata condizione emotiva.
“Dov’è andata?” chiese in una sottospecie di ruggito da fiera. Tom rimase a fissarlo sorpreso per quell’espressione, sbatté ritmicamente le palpebre in una muta riflessione. In un punto non preciso del suo encefalo, due neuroni si mandarono un impulso elettrico.
“Cosa le hai fatto?” domandò lui “Stava piangendo.” Aggiunse, era come se si fosse trovato davanti ad un fenomeno unico nel suo genere, era la prima volta di fatti che sentiva qualcosa di estremamente nuovo. Qualcosa a cui avrebbe dato nome soltanto in futuro.
Bill rimase fermo “Stava piangendo?” chiese non avendo altre parole.
“Sei stato tu.” esclamò Tom corrucciando le sopracciglia. Nessuno dei due stava difatti interagendo con quello che l’altro diceva. Erano su due piani completamente diversi.
“Merda!” proruppe il ragazzo “Cazzo!” Bill declamò una successione riguardevoli di imprecazioni alquanto scurrili prima di tirare il suo zaino in faccia a Tom e riprendere a correre.
“Dove vai?!” gli urlò dietro l’altro. Bill si voltò verso di lui soltanto quando arrivò ai cancelli.
Tom sospirò in un moto di rassegnazione “A sinistra!” urlò.  
Bill riprese a correre, lasciando il gemello turbato e privo di spiegazioni. La pioggia prese a cadere più forte.


***

 
Non aveva la minima idea di dove stesse andando.
Semplicemente correva, correva il più forte possibile, con l'insensato pensiero di potersi annullare a forza di correre sempre più forte. Se avesse usato tutte le sue energie nell'azione di correre, magari, sarebbe arrivata veramente a dissolversi nell'atmosfera. Questo pensiero fantasioso nel fondo della sua coscienza le dava la spinta a continuare.
Allo stesso tempo, però, sentiva che se si fosse fermata sarebbe stata spacciata. Sapeva che si sarebbe bloccata e avrebbe smesso di sentire di essere viva. Ricercava l'inesistenza eppure voleva a tutti costi mantenere la vita.
Era davvero al limite.
A rendere le cose più difficili ci si era messa la pioggia: un secondo prima le gocce cadevano come piccole tintinnanti pietre trasparenti, fievoli, mentre ora scrosciavano a terra fitte e pesanti. Era completamente bagnata e questo non la aiutava a correre. I suoi naturali capelli a boccolo si erano tramutati in tanti umidi ricci, appiccicati fastidiosamente al suo capo, mentre il resto del corpo veniva sottoposto ad una doccia indesiderata.
Correre risultava molto più faticoso se si contava la pesantezza degli abiti inzuppati. I suoi passi avanzavano uno dopo l'altro, sempre in avanti, incuranti di perdersi tra le vie d'asfalto. Il mondo aveva smesso di emettere suono, dentro le sue orecchie non arrivava il più piccolo rumore. C'erano solo la pioggia e lei sotto di essa.
Sarebbe dovuta restare davanti all'ingresso della scuola e aspettare l'arrivo della sua cadillac, ma una volta che si era messa a correre qualunque altro pensiero era stato zittito. Il cuore batteva con il ritmo incalzante di un tamburo giapponese. Primitivo e spasmodico, tramortente ed impressionante, ed ogni singolo respiro era una lama che feriva da parte a parte. Ad un certo punto, senza che lei vi avesse messo il minimo controllo di volontà, i piedi rallentarono l'andatura e dopo qualche secondo si fermarono del tutto.
In quel momento alzò il volto verso l'alto, rivolgendo il mento verso l'immensità di quel cielo piangente. Durante quel contatto visivo espirò un soffio lunghissimo, proveniente direttamente dalla profondità dei suoi polmoni annacquati.
Cosa doveva fare? Anzi no: cosa voleva fare?
Bella domanda. La risposta però non era molto più semplice da dare.
Poteva starsene ferma lì e continuare a farsi il più freddo bagno all’aperto della storia, non era male come opzione, però c’era l’inconveniente che era del tutto sconsiderato. Avrebbe finito di sicuro per ammalarsi.
Ma cosa gliene fregava di ammalarsi oramai?
Le gocce lasciarono lunghe scie invisibili e fredde sulla sua pelle, attraversando incontrastate il suo viso, come su una statua. Erano così leggere eppure scaturivano un suono tanto forte, tutta quella pioggia rumoreggiava in modo frastornante. Fu proprio nel momento in cui sentiva che sarebbe caduta a terra, ormai spossata, che lo vide. Correva, proprio come l'altra volta e proprio come un mese prima la stava rincorrendo. Non ci poteva credere, ma come aveva fatto a raggiungerla?
Perché?! Perché stava ancora inseguendo lei?!
Non c'era ragione! Nessuna ragione sensata per inseguirla! Cosa aveva in testa quel Bill?
Una serie lunghissima di domande si produssero, una dietro all'altra, nei pochi istanti che li separavano dall'essere uno di fronte all'altro. Domande dettate dallo shock, a cui seguirono ragionamenti su come affrontare il nuovo attacco imminente. Bill, che in lontananza era apparso correndo, rallentò man mano che si avvicinava.
Una cosa però non mutò mai: la sua espressione. Era un concentrato indefinito di emozioni che vibravano ad un centimetro dalla superficie, sempre più vicini ad esplodere. Lyric avrebbe voluto mettersi nuovamente a correre, fuggire le sembrava un'idea più che consona al suo poco entusiasmo nel volere discutere nuovamente con lui.
Non lo fece o meglio non poté farlo, perché Bill la inchiodò con un'occhiata appena fu ad un passo da lei.
“Non ti azzardare, sai?” fu la prima cosa che disse il ragazzo tra un respiro e l'altro, mentre riprendeva fiato. A quel tempo Bill e Lyric erano ancora alti nello stesso modo, quindi mentre si fronteggiavano sotto alla pioggia i loro occhi si guardarono sempre direttamente. Da una parte il nocciola sfumato di ambra, deciso e irremovibile in quello che desiderava. Dall'altra il blu incantevole di uno zaffiro, stanco e spaesato .
“Non ti azzardare mai più a lasciarmi in quel modo.” la voce di Bill suonò inizialmente aspra “Non provarci mai più.” il suo pomo d'Adamo fece un leggero movimento su e giù mentre si prendeva una pausa “Perché ne ho già ascoltate troppe di stronzate nella mia vita!”
“Bill..” iniziò Lyric, cercando di far uscire una qualche voce dalla gola. L'acqua veniva giù così forte che quasi non riuscivano a tenere gli occhi aperti.
“No! Ora mi lasci parlare!” alzò la voce, spostando poi i capelli bagnati che gli impedivano la visuale “Hai detto che tra di noi c'è un muro! Hai detto che sono sempre allegro, spigliato e sorridente...” assieme alla voce alzò anche le mani, agitandole nel classico modo di quando riteneva che le parole dovessero essere supportate dalla gestualità fisica.
“TUTTE FOTTUTISSIME STRONZATE!” lo buttò fuori con tale irruenza che Lyric credete che da un momento all'altro lui sarebbe scoppiato. L'aveva fatto arrabbiare, era evidente eppure vederlo così incazzato era uno spettacolo affascinante.
Era stata lei? Era stata proprio lei a far uscire quel Bill?
“Io.” Bill puntò un dito verso di sé “Non sono sempre sorridente! Io...” si indico ancora “Non sono sempre allegro! Io...” scosse la testa in modo febbrile “Non sono sempre spigliato!!”
Se avesse alzato ancora di più la voce avrebbe potuto superare la potenza di un fulmine, ma fortunatamente non lo fece “Non sono sempre così! Non sono solo questo, cazzo! Tutti hanno momenti in cui vorrebbero spaccare tutto quanto, pure IO! Merda!”
“Bill...” cosa avrebbe potuto dire per fermare quel fiume in piena?
Non la lasciò neanche proseguire “Io e te non siamo agli opposti per queste tre stronzate! Fammi il favore di trovare altre argomentazioni perché quelle che hai elencato non reggono...” le guance di Bill erano ormai amaranto.
Insistentemente proseguì.  
C'era una cosa che voleva assolutamente dire. Una cosa che gli premeva esternare a discapito di qualunque effetto potesse ottenere. Era un tipo così lui: o tutto o niente, in qualunque caso non avrebbe mai rinunciato ad essere se stesso. Neanche in quel momento, neanche davanti a un rifiuto.
Bill prese una pausa molto più lunga delle altre, in cui il suo petto si sollevò a prendere l'aria prima del tuffo nelle profondità. Lyric attese, aspettò con gli occhi ormai completamente appesantiti dall'azione dell'acqua, attese come se aspettasse qualcosa.
Qualcosa di importante.  
“Ogni persona a questo mondo è unica, questo lo dico perché ne sono convinto con tutte le mie forze e non perché voglia fare una stupida frase fatta del cazzo.” iniziò Bill con il tono della voce tornato normale “L'unicità significa che siamo anche diversi e questo è innegabile. Quindi, quando hai detto che sei un essere completamente diverso da me, avevi ragione, ma questo non vuol dire niente. Non vuol dire affatto che noi due non possiamo essere amici, non è una ragione per cui io dovrei rinunciare a volerlo essere.” deciso e semplice, indubbiamente non si potevano fraintendere le sue parole.
“Non sei tu a potermi dire quando e perché rinunciare a qualcosa. L'unico che può prendere una decisione del genere sono io stesso e nessun altro. So decidere con la mia testa quando rinunciare e perché.” proseguì “E sinceramente non ho proprio nessuna voglia di rinunciare. Ficcatelo nella testa Lyric Hörderlin, il qui presente Bill Kaulitz non rinuncerà solo perché gli gridi addosso quattro cavolate in croce sul fatto che siamo diversi e bla-bla simili. Tra me e te non c'è nessun muro, a dividerci c'è solo la tua paura e nient'altro.”
Solo la mia paura?”  era vero. Lei aveva una paura enorme.
“Finché sarò sicuro di questo, stai certa che mi vedrai sempre insistentemente ronzarti attorno.”
“Perché?” fu la prima cosa che riuscì a dire dopo quel lunghissimo ed incisivo monologo. Non capiva cosa pensare eppure era quasi certa di essere del tutto d'accordo con quello che aveva detto.
Quelle cose che le stava dicendo avrebbe volute sentirle tanto tempo addietro. Nel momento della perdita avrebbe tanto voluto che le persone andassero oltre al muro che si era eretta. Avrebbe voluto che nessuno la bollasse come esserino malinconico, quell'appellativo di sua nonna martellava nella sua testa come un dogma a cui non poteva opporsi.
“Perché continuerai a insistere? Perché, anche se tutti gli altri hanno già rinunciato?” nel dire questo Lyric fu ad un passo dal crollare a terra. Non sapeva cosa aspettarsi da lui, non aveva nessuna certezza. Sapeva solo che avrebbe fatto in modo che i suoi nervi resistessero fino alla sua risposta.
Bill alzò gli occhi al cielo pensando alla risposta da dare, dopo qualche secondo di riflessione fece scendere nuovamente lo sguardo su di lei “Perché io non sono gli altri. Io sono Bill e desidero continuare ad insistere. Perché fin dall'inizio non sono mai riuscito ad ignorarti.” si spostò nuovamente un ciuffo nero dalla fronte bagnata.
“Se c'è qualcosa che non riesci a distogliere dai tuoi occhi che puoi fare?”
“Già, che puoi fare?” qualcosa nel suo animo cominciò a farle male, non un male doloroso, piuttosto un male necessario se messo di fronte alla realtà. Dopo mesi passati sotto sguardi che la ignoravano sempre, di fronte alla dichiarazione di Bill si sentì persa.
“Nulla, l'accetti perché ha attirato la tua attenzione, le vai accanto e cerchi di comprenderla.”
“Perché?” la parola tremò nella sua bocca.
“Perché io non voglio ignorarti.”
Quella risposta fu più che sufficiente. Fu la risposta che aveva aspettato a lungo.
Lyric si avvicinò a Bill, allungando le braccia verso di lui. Appoggiò le mani sui suoi avambracci e strinse i palmi attorno ad essi. Molto lentamente posò poi la fronte sulla spalla sinistra di Bill. Lui non fece il minimo movimento, lasciando via libera alle mosse di lei. La pioggia precipitava a terra rumorosa come prima, fu per questo motivo che quello che le uscì dalle labbra si confuse nel suono delle gocce che cadevano. Bill però lo udì comunque.
“Grazie.”

 
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Capitolo 5
*** Capitolo 4: The Fabulous Four ***



Capitolo 4:
The Fabolous Four

 
 
 
 
Si era addormentata.
Un momento era lì con gli occhi aperti, in attesa che lui arrivasse con la promessa tazza di tè bollente, mentre il momento successivo aveva già la guancia distesa sul cuscino del divano e le palpebre dolcemente calate.
Neanche il tempo di chiederle quale tipo di miscela preferisse che era già in viaggio nella valle dei sogni.
Doveva essere veramente stanca. Dopo aver fatto una doccia calda ed essersi asciugati per bene da tutta quell'acqua prese a fiotti era naturale che venisse un po' di sonno.
Prima di mettersi a sedere sul poggia-piedi di fronte al divano Bill andò a recuperare un plaid di lana per coprirla. Una volta coperta per bene iniziò a sorseggiare con calma il tè, ripensando a ciò che era appena successo.
Quando erano giunti a casa non c'era stata traccia di anima viva. Sua madre era ancora al lavoro, Gordon pure.
Ciò fu solo un bene, sarebbe stato troppo dispendioso per le sue energie dare una spiegazione logica alla entrata in casa di due ragazzi fradici da cima a fondo. Inoltre Lyric, di sicuro, non avrebbe avuto le forze necessarie per affrontare le mute espressioni di domanda di sua madre.
Portò alla bocca un altro goccio di tè, mentre con lo sguardo studiava il viso addormentato di lei.
Era rimasta in silenzio per tutto il tempo, neanche il minimo accenno a voler aprire le labbra lungo il tragitto, nemmeno quando vi erano arrivati aveva pigolato una parolina. Si era chiusa in mutismo che l'aveva leggermente allarmato.
Si era pure chiesto se non avesse esagerato quando le aveva gridato addosso, ma poi si era reso conto che non c'entrava nulla quello che era accaduto prima. Come lo avesse capito non era chiaro nemmeno a lui, però sapeva.
Sapeva che Lyric per il momento aveva bisogno di restare in silenzio, aveva bisogno di ritrovarsi. 
Non era ancora al corrente di tutti quelli che erano i suoi problemi, non aveva ancora ricevuto spiegazioni, ma Bill sentiva che in seguito le avrebbe ricevute quelle risposte. Per questo aveva smesso di preoccuparsi.
Ormai il blu di Lyric non si nascondeva più da lui. Lo aveva accettato, finalmente.
Quindi avrebbe aspettato. C’era tempo, nessuna fretta.
Si portò alle labbra dell'altro tè riflettendo su come spiegare l'assenza alle prove ai ragazzi. Gli dispiaceva molto non esserci andato e poi aveva lasciato Tom da solo, per di più con il suo zaino.
Stava già immaginando cosa lui avrebbe detto una volta incrociatolo, sicuramente gli avrebbe lanciato addosso la borsa, gridando imprecazioni per la pioggia che aveva dovuto sopportare (portando il peso dei suoi averi) e contemporaneamente lo avrebbe guardato come se fosse stato il più grande idiota che avesse mai incontrato sulla sua strada. Avrebbe sicuramente detto una cosa del tipo:
Sei un idiota, rincoglionito! La prossima volta getto il tuo zaino dritto dentro un fiume! Porca miseria! Sarai mica stupido?! Cosa cazzo mi lasci da solo a portare le tue cose?! e per di più non ti presenti alle prove! Se non fossi mio fratello ti avrei già castrato! La prossima volta faccio la spia alla mamma e glielo dico che le freghi il kajal o come cazzo si chiama quella dannata matita nera.. ”.
Di certo, si diceva Bill, non avrebbe resistito dal correggerlo e gli avrebbe fatto notare che il kajal e la matita nera erano di fatto due cose diverse. Tom sicuramente avrebbe dato di matto ancora di più per l'appunto indesiderato e avrebbe cominciato a gracchiare altre parolacce mentre lui, molto poco sportivamente, avrebbe lasciato la stanza per non doverlo ascoltare.
Bill bevette ancora, scuotendo contemporaneamente la testa, mentre gli occhi guardarono verso l'alto per qualche attimo, in un'espressione a metà tra l'esasperato e il divertito.
Sarebbe andata proprio in quel modo, certo al cento per cento.
Lyric si mosse d’improvviso sotto la coperta, aveva spostato la testa ed emesso nello stesso tempo un sospiro. Bill rimase fermo per paura di svegliarla, o meglio, per paura che svegliandosi si fosse accorta che lui la stava osservando.
Si rilassò, vedendo che lei proseguiva a navigare nel regno di Morfeo.
Gli angoli della bocca di Bill incurvarono poi verso l'alto, in un sorriso a fior di labbra, pensando che la stessa ragazza che qualche ora prima era scappata da lui come da un orco, ora, era tranquillamente addormentata sul divano del suo salotto.
Così calma, senza più quella frenetica tensione che le tirava il volto.
Così rilassata, priva dello sforzo che l'aveva sostenuta per non frantumarsi.
Così distesa, lontana per un poco dalla sua inquietudine.
Era in pace? Provava un po' di serenità, adesso?
Pregò che fosse veramente così. Pregò realmente che lei stesse bene.
Non la conosceva, non ancora almeno. Anche se era quasi una sconosciuta pregò lo stesso, che in quel momento, fosse davvero serena.
Si avvicinò al divano, lasciando il tè appoggiato da qualche parte, con una mossa che non avrebbe ricordato di aver fatto. Si piegò in basso, mettendosi a sedere a gambe incrociate sul pavimento.
Forse ha freddo.”  allungò la mano sulla coperta per coprirla meglio “E se avesse la febbre?”  pensò ancora. Molto cautamente portò la mano sulla fronte di lei per controllare.
No, aveva una temperatura normale.
Rimase immobile in quella posizione, sbattendo un paio di volte le palpebre per allontanare la sonnolenza che avanzava. La sua mano però indugiò ancora sulla pelle di Lyric, non la allontanò subito.
Sbatté ancora le ciglia in una pausa meditativa in cui effettivamente non pensò a nulla, prima di far scorrere quella indugiante mano verso l'alto, passando così con un piccolo gesto a sistemarle una ciocca di capelli che le cadeva sulle palpebre. Intrappolò volontariamente le dita tra i quei fili corvini, giocherellando in modo infantile con una delle sue ciocche ondulate.
Se Lyric avesse aperto gli occhi proprio in quel momento Bill non avrebbe avuto nessun tipo di giustificazione per spiegare quello che stava facendo. Rise flebilmente a quella possibile prospettiva imbarazzante. Se rideva per una cosa simile non doveva esserci molto con la testa, constatò a se stesso.
Di certo c'entrava il sonno, che passettino dopo passettino raggiungeva il centro del suo sistema nervoso in un attacco a tradimento per farlo crollare o almeno doveva essere così.
C'era uno straordinario silenzio in casa, nessuno avrebbe interrotto quell'atmosfera così insolitamente pia e Bill avrebbe potuto proseguire a giocare con i capelli di Lyric ancora a lungo. Unici testimoni di quella scena ci sarebbero stati solo la luce del sole finalmente libero dalla nubi e il ticchettio ritmico delle lancette dell'orologio a pendolo che segnava le sedici e mezza. Nessuno avrebbe avuto ricordo di quel momento, sarebbe rimasto un suo segreto.
Solo lui avrebbe ricordato Lyric addormentata in modo tanto pacifico. Solo lui avrebbe ricordato di aver fatto da custode al suo sonno. Questo sarebbe stato un suo ricordo. Solo suo.
Senza accorgersene Bill appoggiò il capo sul divano, addormentandosi.  
 

***

 
 
“Come fai ad aver perso le chiavi di casa dentro i tuoi pantaloni?” il proprietario di quella voce non si trattenne dal guardare il suo interlocutore con un'espressione che era tutto un programma.
“Vedi cosa succede, Tom, a portare quei cosi indecenti?” il ragazzo che parlava fece no-no con la boccuccia mentre quello che si sorbiva la solfa armeggiava dentro alle sue tasche per ritrovare le chiavi.
“E poi non ti servono a nulla, non c'è niente là sotto che necessiti di così tanto spazio.”
Un ragazzo biondo al loro fianco, in attesa di poter entrare, non trattenne una risata divertita mentre con una mano si stava sistemando gli occhiali da vista.
“Certo come nel tuo cranio, Georg. Là dentro è tutto spazio sprecato per soli due neuroni.” rispose il suddetto interlocutore cogliendo al balzo l'opportunità di rispondere per le rime all'amico. Georg fece una smorfia.
“Ah-ah vuoi un applauso? Ti ricordo che quello che ha perduto le chiavi dentro i propri vestiti sei tu.”
“Se stessi zitto un secondo potrei concentrarmi, non credi?” era riuscito a trovarle, erano intrappolate nell'angolo più lontano della tasca destra dei pantaloni. Si tirò in su i jeans per poterle raggiungere più in fretta.
“Ah già, è vero! Sei capace solo di un pensiero alla volta.” Georg proseguì a canzonarlo, nel dire questo sul suo viso espose un sorriso fintamente innocente. Tom, che era riuscito alla fine ad afferrare le chiavi, si voltò verso di lui sorridendo allo stesso modo “Almeno io penso di tanto in tanto. Per te invece è già un miracolo se un neurone si accende per caso.”
Gustav intervenne prima che Georg potesse decidere di risponde alla provocazione, se li avesse lasciati fare non avrebbe avuto nessuna remota possibilità di entrare in casa e posare gli zaini (il suo e quello di Bill). Con la solita calma si intromise per fare da pacere.
“Ragazzi.” li richiamò all'ordine con lo stesso entusiasmo di una madre che dopo una giornata stancante di lavoro doveva convincere i figli a fare i compiti “Non ho voglia di stare ancora qui in piedi solo perché avete desiderio di battibeccare tra di voi. Entriamo in casa e poi vi lascio proseguire.”
Entrambi puntarono il dito verso l'altro “Ha cominciato lui!” esclamarono all'unisono.
Gustav schioccò la lingua per esprimere un lamento. Quando ci si mettevano quei due erano veramente una lagna e fortunatamente non c'era Bill a dar manforte, perché se lui ci fosse stato avrebbero veramente proseguito all'infinito.
Il trio restò qualche secondo a fissarsi, in lontananza si udiva il suono delle macchine che passavano sulle pozzanghere formate dalla pioggia.
“Continuiamo a fare le belle statuine oppure entriamo?” chiese Gustav sistemandosi ancora una volta gli occhiali, gli cadevano troppo spesso verso la punta del naso, il che era un fastidio.
Georg fece spallucce e portò i capelli ondulati dietro un orecchio “Entriamo.”  disse, prendendo in mano la custodia del basso “Non ricordo neanche più perché ci siamo bloccati.”
Tom evitò di commentare quello che era appena uscito dalla bocca dell’amico e aprì la porta.
Noto subito che c'era molto silenzio. Questo significava che Bill non era in casa.
Si chiese dove diamine fosse finito lo scemo, erano già le diciotto e da lì a un’ora sarebbero rincasati la mamma e Gordon. Forse avrebbe dovuto inseguirlo quando si era messo a correre dietro la Hörderlin, così ci avrebbe capito qualcosa di quello che era accaduto. Si era trattenuto dal farlo solo perché l’aveva vista piangere, non sarebbe stato di grande aiuto con una ragazza in lacrime, se poi era quella ragazza ad essere in lacrime allora si parlava di qualcosa al di là delle sue capacità.
Quando Bill si fosse deciso a tornare gli avrebbe chiesto cosa fosse accaduto.
“Tom, ho una sete boia.” fece Georg, emettendo nel contempo un verso lagnoso “Portami immediatamente qualcosa.”
Tom appoggiò la giacca sull'appendi abiti prima di rispondergli “Se me lo chiedi così l'unica cosa che ti offro è un dito medio alzato.” gli fece lui in modo molto affabile.
“Oh ma dai! Sei permaloso come una braga!” sentenziò l'altro.
“E che cazzo sarebbe una braga? Parla in modo normale. Non ha senso dire che sono permaloso come una braga!” Tom cominciò a muoversi verso la cucina seguito a ruota da agli altri due.
“Sì che ha senso! Sei solo troppo stupido per riuscire a capirne il significato.” arrivati il didietro di Georg prese possesso di una delle sedie del tavolo, mentre il possessore emetteva risolini. Tom, che intanto si era diretto verso una credenza per prendere dei bicchieri, bloccò i suoi movimenti e si voltò verso l'amico “Perché non hai niente di meglio da fare che rompermi le palle?”
Georg lo guardò allo stesso modo.
“Io vado in bagno.” si intromise Gustav, prendendo al balzo la pausa di silenzio tra una cavolata e l'altra per potersi allontanare.
Come era da schema il duo comico proseguiva ininterrottamente a prendersi per il culo. Se fosse esistito uno sport che aveva come obbiettivo principale canzonare l'avversario con scemenze spruzzate di volgarità loro due sarebbero stati dei maestri. Se avessero potuto avrebbero continuato a rimbeccarsi anche per via telepatica.
Quei due si divertivano troppo.
“La strada la conosci?” disse Tom “La porta a destra, infondo al corridoio.” 
Gustav annuì, già un piede fuori dalla stanza “Lo so. Ricordo dove sta il bagno.” 
Fece dietrofront per dirgli un'ultima cosa “Vorrei della cioccolata, non è che ne potresti preparare?” domandò fornendo così qualcosa da fargli fare invece di scherzare soltanto con Georg. Infatti aveva una voglia tremenda di riscaldarsi lo stomaco dopo aver attraversato l'intemperie per arrivare a casa dell'amico.
“Ottima idea Gustav!” fu d'accordo Georg battendo le mani in un sonoro schiocco “Anche io gradirei della cioccolata!”
“D'accordo. Ne avevo giusto voglia anch'io” gli rispose Tom “Invece tu ti attacchi.” si rivolse all'altro.
“E perché?!” Georg raddrizzò la postura sulla sedia, come se avesse appena ricevuto una minaccia alla sua vita.
“Perché hai detto di avere una sete boia!”
“Appunto, la cioccolata è un liquido.”
“Non disseta.” fu la sua risposta piatta di Tom mentre tirava fuori il latte dal frigo.
“Dettagli. Non puoi lasciarti influenzare da quello che ho detto prima. Ora siamo ad adesso e io voglio della cioccolata.”
“Col cazzo.” sostenne Tom mentre tirava fuori un pentolino ed accendeva il gas “E poi ti ho detto di parlare tedesco normale. - Ora siamo ad adesso- non ha senso. Analfabeta.”
“Tom, a volte sei acido come una vecchia in menopausa.”
“Grazie. Tu invece sei sempre acido come una vecchia in menopausa e per di più ne hai anche l'odore.”
Arrivati a questo punto Gustav si era già voltato per continuare la sua scappatella verso il bagno, pensando che sarebbe rimasto là dentro giusto il tempo di far finire a quei due il primo round di cavolate.
Tom li aveva invitati a rimanere a cena per farsi perdonare l'assenza di Bill e poi soprattutto perché Georg doveva fargli provare un nuovo videogame per play station.
“Una figata assurda! Il sangue schizza in modo impressionante!” aveva detto il basista della band, decantando quella che secondo lui era la qualità migliore del gioco. Ovviamente Tom aveva abboccato all'amo.
Passando davanti all'ingresso del salotto Gustav notò di sfuggita che qualcosa era appoggiato al divano, ma non ci diede peso perché i richiami della natura erano impellenti, preferì dare ascolto a questi. Una volta finiti i bisogni corporei, nel fare la strada di ritorno, decise di controllare cosa avesse effettivamente visto dieci minuti prima. Di sicuro non poteva essere Kasimir, il gatto dei gemelli, gli era sembrato qualcosa di più grosso.
Era quasi sicuro che fosse la sagoma di una persona, quell'agglomerato indistinto e goffamente posizionato. A passo molto leggero entrò nel salotto, bloccandosi quasi subito.
Aveva visto giusto: era una persona la cosa che aveva visto prima, anzi, le persone erano due ed entrambe completamente addormentate. Una di queste era Bill, seduto per terra, con la schiena incurvata verso il divano e la testa appoggiata a qualche centimetro in basso rispetto al volto dell'altro addormentato. Diciamo pure addormentata. Quello era indubbiamente un essere umano di sesso femminile.
Gustav pensò immediatamente che sarebbe stato meglio coprire Bill con un coperta, per evitare che si buscasse un raffreddore indesiderato. Non gli passò neanche per un nanosecondo di chiedersi cosa ci facesse una ragazza addormenta là dentro, con Bill al fianco, come invece avrebbero fatto gli altri due.
Gustav non era mai stato un tipo che si impicciava troppo degli affari degli altri. Se ci fossero stati dei chiarimenti da avere, si diceva sempre, prima o poi sarebbero spuntati. Gli amici non dovevano per forza chiedere sempre ogni cosa, su tutto.
“Ti dico che la brucerai se non la mescoli bene, rimbambito!” ecco cosa stava gracchiando Georg quando Gustav mise piede nella stanza. L'amico si era alzato dalla sedia e si trovava in piedi di fianco a Tom. Aveva l'espressione di un comandante dell'esercito che rimproverava un suo sottoposto per la sua negligenza.
Tom, che stava battendo un piede come un canguro a dimostrazione della sua sopportazione agli sgoccioli, era sul punto di tirargli addosso l'intero pentolino bollente “Senti, grattugia-balle, ti ho già detto che so farla la cioccolata. Tu devi stare zitto e guardare il maestro all'opera.”
“Maestro nel preparare veleni? Dì la verità, di che con quella brodaglia marrone hai intenzione di avvelenarmi!” lo accusò, indicando la cioccolata come se fosse il colpevole di un orrendo omicidio.
“Guarda, anche se vorrei tanto mandarti all'altro mondo, purtroppo ho finito il veleno per topi l'altro giorno. Ma se ci tieni tanto vado prendere dei lassativi e li infilo nella tua tazza. Contento?” d’improvviso scoppiarono in una risata simultanea.
“Tom sai dirmi dove posso trovare una coperta?”
Il rasta, ancora intendo a ridacchiare seguito a fianco da Georg, gli rispose senza prestare troppa attenzione “Ehm… credo che puoi trovarne una nella cabina armadio di fianco al porta-abiti.”
“Ok, grazie.”
“Sbrigati che tra qualche secondo la cioccolata è pronta.” disse Tom ritornando a mescolare.
“Sì, certo. È pronta per mandarci tutti al cesso.” Georg riprese a far battute.
“Invece di dire cavolate tira fuori delle tazze. Sono là sopra.”
Nel giro di pochi minuti tre tazze fumanti comparvero sopra il tavolo della cucina in attesa di essere bevute. Gustav nel frattempo aveva fatto ritorno. Si sedette anche lui con gli altri e poi cominciarono a bere.
“Volete qualcosa da mangiare?” domandò Tom dopo dieci minuti che restavano in silenzio tra i rumori della bevanda sorseggiata. Il piacevole odore della cioccolata cominciò ad evaporare intorno a loro.
“No, grazie.” rispose Georg “Credo che aspetterò la cena di tua madre. Evitiamo di rovinarci ulteriormente l'appetito.” Gustav annuì pacatamente, mentre si gustava l'aroma della cioccolata che si scioglieva lentamente sulla lingua.
“Buona.” fu il suo commento di apprezzamento, lanciando a colui che l'aveva preparato un sorriso.
Tom sorrise di rimando, bevendo un altro po' della sua creazione dalla tazza.
Sarà stato un tipo di poche parole ma Gustav riusciva veramente bene nell'essere gentile. Non era un tipo chiassoso ed estroverso come lo era lui però riusciva a far sentire a loro agio le persone, con quel suo modo affabile di porsi. Era veramente piacevole e per questa ragione gli si potevano perdonare i suoi momenti da permaloso cronico. Inoltre, pur avendo una figura così piccola possedeva un caratterino al quanto forte.
“Naa, io gli darei la quasi decenza. Al limite del bevibile. Non te la prendere Tom, non sei destinato a fare la massaia. Mi dispiace di aver distrutto il tuo sogno nel cassetto.”
Ecco invece Georg. Il classico tipo simpatico con cui era praticamente impossibile non ridere e fare fancazzeggio dalla mattina alla sera. Sempre lì a fare l'idiota e a divertirsi come più poteva. Un tipo da compagnia, il classico tipo che a Tom piaceva avere come amico. Con Georg ci si poteva dare alla pazza gioia, praticamente il compagno ideale per una sbronza. Ovviamente non era sempre così, di tanto in tanto faceva il serio e dimostrava di avere in qualche modo una certa maturità sotto quell'ammasso di capelli.
Non li avrebbe cambiati di una virgola, se glielo avessero chiesto, non li avrebbe cambiati in nessun modo.
“Oh, chiudi quella fogna una volta tanto. Lo sappiamo tutti che dici queste cose per nascondere i tuoi profondi desideri.” Tom fece una delle sue classiche occhiate furbette “Però non devi preoccuparti, un giorno riuscirai a diventare una vecchia acida suocera. Sei sulla buona strada per quanto riguarda l'acidità, per il resto farà la chirurgia plastica.”
Gustav quasi affogò, aveva fatto la cattiva scelta di inghiottire e contemporaneamente ridere. Tom e Georg, naturalmente, ripresero a darsi addosso come due vecchie.
Gustav li lasciò fare, ricominciando a bere in modo del tutto tranquillo. La cioccolata era proprio buona, avrebbe dovuto chiedere quale marca avesse usato Tom. Tra un sorso e l'altro Gustav si mise a viaggiare nei suoi pensieri, ricordandosi che avrebbe dovuto ripassare gli spartiti per le lezioni in conservatorio.
“A proposito, a cosa ti serviva la coperta?” Tom smise un secondo di battibeccare con l'altro. Gustav sbatté titubante gli occhioni dietro gli occhiali, non si era aspettato la domanda.
“Già. A cosa ti serviva?” Georg si intrufolò nel discorso.
Cosa avrebbe potuto dire? In qualunque modo l'avesse messa quei due si sarebbero precipitati in salotto, svegliando gli addormentati nel modo più brusco possibile. Quei due avevano una delicatezza pari all'invasione di cavallette descritta nelle piaghe d'Egitto, li avrebbero spaventati a morte. Bill ci era pure abituato, era la ragazza il problema, come poteva darla in pasto ad un destino talmente infame?
“Yuhuuu!” Tom si era messo a passargli la mano davanti alla faccia “Batti un colpo se ci sei.”
Gustav mandò giù quello che aveva bevuto prima di rispondere “Ho pensato che potesse avere freddo quindi lo coperto un pochino.” la mise sul generale per guadagnare tempo.
“Coperto chi?” Tom corrugò la fronte.
Gustav non poté evitare la domanda diretta, sospirò “Bill.”
Tom si alzò dalla sedia così irruentemente che Georg quasi saltò dalla sua, molto flebilmente aveva anche mormorato un “Cazzo!”
“Il coglione è in casa?” ringhiò Tom “Quel coglione è in casa?” ripeté spalancando gli occhi. Gustav non avrebbe mai potuto immaginare per quale motivo Tom avesse quella reazione, passò lo sguardo verso Georg, perplesso “Ehm, sì. È nel salotto che dorme.”
“Il coglione sta dormendo?” perché continuava a dire coglione? Gustav se lo chiese mentre annuiva.
“Ora vado a svegliarlo io!” Tom si mosse, deciso a far crollare suo fratello da qualunque superficie piana avesse fatto appoggiare il suo corpo, nel modo meno delicato che potesse esistere.
“No...Tom...aspetta...non farlo...” Gustav non riuscì a fargli sentire neanche le prime due parole.
Georg, che era rimasto seduto a bere dalla sua tazza, gli fece segno con la mano di starsene calmo “Non preoccuparti, non gli farà del male. Sai come sono fatti quei due. Si meneranno per un po' e poi tutto bene come prima. Bill ci è abituato alle maniere manesche di Tom.”
“Bill di sicuro, ma la ragazza non credo che la prenderà tanto positivamente.” Gustav si tolse gli occhiali per pulirseli.
Georg allora guardò l'amico cercando di capire se avesse recepito bene il messaggio “Ragazza?” lo disse come se fosse stata una parola completamente nuova nel suo vocabolario “Quale ragazza?”
Gustav fece spallucce “La ragazza che dorme con Bill in salotto.” si rimise gli occhiali e vide che sulla faccia di Georg era spuntato un sorriso diabolico. Ci furono un paio di occhiate tra di loro, poi si alzarono contemporaneamente dalle sedie. “Georg, te lo proibisco.”
“Cosa? Non voglio fare assolutamente niente.” il sorriso crebbe.
“Non puoi infilarti in salotto anche tu. È solo una ragazza che dorme. Avrà già un brusco risveglio con Tom, se poi sbuchi tu che sei un estraneo penserà che è finita in una gabbia di matti.”
“Siamo una gabbia di matti, questo non possiamo cambiarlo però possiamo presentarci, così non saremo più degli estranei! E poi voglio vederla!”
“Georg! Per una volta fai il maturo.”
“Io sono maturo!” così dicendo aveva fatto i primi passi verso quella che sarebbe stata la stanza più affollata della casa. Gustav lo seguì, rassegnato a vedere l'ennesima figura di liquame della band.
 

***

 
Ecco, vedi! Te lo avevo detto di fare più piano! Sei un cretino con la delicatezza di un pachiderma.”
Una voce che mormorava, anzi no, più voci che mormoravano.
Se non mi fossi venuto addosso forse avrei evitato di colpire questa dannata tazza con il piede! Ma chi cazzo la lasciata qui? E poi non rompere che è tutta colpa tua. Non ti è mai venuto il dubbio,Tom, che sei la causa della maggior parte dei problemi del genere umano?”
Tom? C'era Tom?
Non aveva proprio nessuna voglia di affrontare l'altro gemello Kaulitz. Avrebbe potuto ignorare quei brusii vacui e ritornare a dormire come se non fosse successo nulla. Erano così impegnati a cercare di fare il più piano possibile che non si erano accorti che lei aveva cominciato a muovere la testa nel classico modo di chi stava per svegliarsi.
No, non aveva proprio nessuna voglia di vedere Tom. Si ordinò di riaddormentarsi.
Georg tu sei la causa di quei problemi. Se invece di metterti a gracchiare per svegliare Bill te ne fossi stato semplicemente al tuo posto non sarei stato costretto a tapparti la bocca, cretino.”
Questa volta riconobbe distintamente la voce di quell'essere.
L'ultima cosa che si ricordava riguardo di Tom era che l'aveva vista piangere. Cosa più imbarazzante non ci poteva essere. No, non aveva proprio nessuna voglia di incontrare lo sguardo di quell'essere.
Ragazzi state facendo più casino di prima. Ora usciamo da qui e lasciamo che si sveglino da soli.”
Ecco, buona idea. Ringraziò di cuore chiunque l’avesse detto.
Ha ragione Gustav. Andiamo via e lasciamo che facciano da soli.”
Non eri stato tu a dire che avresti svegliato Bill ad ogni costo? Prima di venire qui sei andato persino in bagno a riempire un secchio per poterglielo rovesciare in testa!”
Georg, è stato prima di vedere la Hörderlin. Non ho per niente voglia di dover capire cosa ci fa sdraiata sul divano di casa mia.”
E Bill allora?”
Bill cosa?”
Non vuoi sapere cosa ci fa addormentato nel salotto di casa tua?”
No! Voglio solo evitare che lei si svegli.”
Sentendo il nome di Bill Lyric aveva aperto repentinamente le palpebre, per constatare di persona cosa c'era di vero in quello che Tom aveva detto. Appena il mondo ritornò ad essere visibile riconobbe i lineamenti di lui.
Era a qualche centimetro sotto al suo volto, addormentato.
Lyric restò qualche secondo ad osservare il suo volto. Anche se era praticamente sveglia da molti minuti il suo cervello doveva ancora carburare, tanto che riuscì a focalizzare alla bene e meglio solo il pensiero che Bill stava dormendo accanto a lei.
Notò distrattamente che il ragazzo stringeva una ciocca dei suoi capelli, prima che un numero sufficiente di collegamenti neurali si riaccendessero. Una volta avvenuto ciò alzò il busto per potersi mettere in posizione da seduta e nel farlo scostò il plaid di lana che l'aveva coperta fino a quel momento. Passò gli occhi su di esso prima di concentrare la sua attenzione verso coloro che l'avevano svegliata.
Il primo che vide fu un ragazzino con gli occhiali e i capelli biondi che accolse la sua occhiata interrogativa con un sorriso pacato “Tom, temo che sia troppo tardi.” nel dirlo ticchettò con un dito la spalla di lui.
“Già, hai ragione, è troppo tardi. È la volta buona che ammazzo per davvero Georg. Saremo costretti a cercarci un altro basista. Pazienza.” mentre diceva questo Tom si era avvicinato pericolosamente ad un ragazzo castano con la chiara intenzione di usare violenza fisica su di lui. Non si era voltato.
Lyric non sapeva assolutamente cosa stesse succedendo, per questo non fece altro che guardarli in modo perplesso, complice anche la sonnolenza che stava scivolando via un po' troppo lentamente. Il ragazzo con i capelli ondulati notò finalmente di cosa stesse parlando l'altro sconosciuto.
“Tom, nella tua enorme stupidità ti faresti il favore di girarti.”
“Perché?” chiese lui del tutto ignaro. Il tipo chiamato Georg gli fece segno con la testa nella sua direzione.
Quando poi Tom si girò e constatò con i suoi occhi che lei si era svegliata restò immobile, circondato da una cupola di enorme imbarazzo. Scoperto in fragrante come un guardone si sentì colpevole di averle tolto il sonno.
Il flash degli occhi tristi di lei in quel corridoio passò tra i suoi pensieri come una macchina in corsa, provocandogli così una sgradevole sensazione. Decisamente era nato per sbagliare in tutti i modi con Lyric Hörderlin.
La triade di rumorose sveglie trattenne quasi il fiato. Nel modo più lento possibile scese dal divano.
Ad ogni suo movimento, per una strana ragione, il trio di statue di sale si irrigidiva sempre di più.
Tom, in particolare, non aveva la benché minima idea di cosa dire per sciogliere il ghiaccio. Aveva quasi paura che se avesse aperto bocca se ne sarebbe uscito con una delle sue solite battute per provocarla. Ma la sua attenzione venne d’improvviso catalizzata dal realizza che Lyric aveva addosso un paio dei suoi pantaloni da ginnastica mentre sopra indossava una delle magliette di Bill. Tom inarcò le sopracciglia.
“Scusa mi sai dire dove si trova il bagno in questo piano?” l'addormentata parlò con la voce appesantita dal sonno. Tom era ancora sconvolto dalla vista dei suoi pantaloni usurpati che non provò neanche a dare aria alla bocca.
“Porta a destra, infondo al corridoio.” rispose Gustav al suo posto. Lyric fece cenno di sì con il capo e a passi un po' incerti li superò, evitando accuratamente di guardare Tom per tutto il tempo.
Una volta sparita dalla porta, il rasta fece l'unica cosa che sentiva essere necessario fare: si avventò su Bill.
“Svegliati! Immane coglione!” lo prese per il colletto della maglia, facendo cadere la coperta per terra ed iniziò a scuoterlo come se fosse stato un panno da stendere. In poco tempo il gemello riemerse dal mondo vellutato del suo sonno “Ma che c'è?!” incespicò con la voce impastata.
“C'è che sei la più grande testa di cazzo che abbia mai incontrato lungo la mia strada.” Bill, per niente sveglio, aveva la bocca semi-aperta in una poco intelligente espressione da cerebroleso, gli occhi semi-chiusi e completamente incapaci di riconoscere chi lo stesse sbattendo come uno strofinaccio.
“Eh? Cosa? Come? Sei Tom?”
“Lo uccido, lo uccido. Adesso lo uccido.” Tom con tutta calma prese a scecherarlo un altro po' “Sei un idiota rincoglionito! Non solo mi lasci sotto la pioggia dopo avermi lanciato addosso il tuo fottutissimo zaino e non ti presenti alle prove anche se ti ho chiamato sul cellulare più di una volta. Hai anche la faccia tosta di portami in casa Lei!
Bill mugugnò qualcosa del tipo “Lo sapevo che avresti fatto così, che rompicazzo..” si tolse di dosso le braccia del gemello e si sfregò poi gli occhi. Notò dopo qualche secondo la presenza dei suoi due amici e rivolse a loro uno sbilenco saluto con la mano.
“E ascoltami quando ti parlo!” inveì nuovamente il fratello.
Georg nel frattempo stava scommettendo quanto ci avrebbe messo Tom a prendere il tavolo e tirarlo sulla capoccia del loro cantante, Gustav gli mollò un colpo sul fianco per farlo tacere. Era difficile gestire la situazione con Tom inspiegabilmente sclerato, Bill drogato che non capiva ciò che stava succedendo e Georg che in modo molto maturo si godeva lo spettacolo lamentandosi per la mancanza di pop-corn. Gustav cominciò a fissarsi i piedi, pensando che una volta rialzatosi dallo studio approfondito dei suoi lacci forse si sarebbe ritrovato magicamente in compagnia di persone normali. Sapeva da sé che era mera illusione.
“Tom faresti il favore al mondo di startene calmo? Non capisco tutta questa agitazione” Bill sbadigliò finemente in faccia al gemello “Con tutto questo baccano finirai per svegliare Lyric.”
“Idiota, la Hörderlin si è già svegliata da un pezzo.” Bill spalancò gli occhioni come un cerbiatto sul procinto di essere investito da un camion “Cosa?”
“È in bagno in questo preciso momento. Mi spieghi cosa cavolo ci fa con indosso i nostri vestiti?!” Bill ancora con l'espressione di poco fa si voltò verso il divano per constatare con i propri occhi che Lyric non c'era, ignorando che Tom gli stava ancora parlando.
“Ehi! Mi hai sentito? Sbaglio o quelli erano i miei pantaloni?” imperterrito nella sua azione di completa trascuranza del fratello, Bill si era messo a guardare l'orologio a pendolo del salotto. Forse Lyric avrebbe potuto rimanere a cena da loro, in modo che l'asciugatrice rendesse i suoi vestiti indossabili.
“Come mai voi due siete qui?” chiese Bill ai due che se ne stavano in disparte in un angolo della stanza.
Tom non prese bene il fatto che le sue parole fossero state pronunciate ad un muro. Gustav era troppo concentrato a fissare i lacci bianchi delle sue scarpe per potersi accorgere di qualcosa, per tanto rispose Georg, che tra parentesi stava sghignazzando come una bertuccia.
“Ci ha invitati Tom e poi devo fargli provare un nuovo gioco per playstation.”
“Ah, capisco. Come sono andate le prove?”  
“Uno schifo che non ti posso descrivere a parole. Visto che non c'eri abbiamo pensato erroneamente che ti potesse sostituire Tom, almeno per oggi. Mai errore più grande fu fatto dall'uomo.” Georg fece una smorfia “Sul serio, la prossima volta che ti assenti avvertimi così cancelliamo del tutto le prove.”
“Perché?” domandarono all'unisono i gemelli. Bill perché non capiva di cosa stesse parlando, Tom perché sentiva il leggero odore di una presa per il culo nell'aria.
“Perché la voce di Tom è intonata quanto è piacevole sentire le unghie che graffiano su una lavagna. Uno strazio senza paragoni. Sono ancora traumatizzato.”
“Non è vero! Io sono intonatissimo! So cantare benissimo!” protestò il diretto interessato della critica “Guarda che potrei perfettamente fare il cantante del gruppo, ma lo lascio fare a Bill perché se no non c'entrerebbe nulla con la band.”
“Pfff...” espressero Georg
Bill mormorò “Credici, Tom, credici.”
“Sinceramente ha ragione Georg. Se fossi in te continuerei solo a suonare la chitarra. Ti viene in modo più decente.” intervenne Gustav, ritornato dallo studio dei suoi lacci.
“Sentito la bocca della verità?”
“Chiudi quella fogna Georg!” Tom ritornò a rivolgersi solo a suo fratello “Allora, perché ha i miei pantaloni?”
“Perché i suoi vestiti erano bagnati e gliene servivano altri, no? Mi sembra così semplice”
“Potevi dargli i tuoi pantaloni.”
“Ah Tomi! Sei una lagna. Non ci ho pensato in quel momento. Ho afferrato le prime cose pulite che ho trovato nella pila delle cose stirate dalla mamma.” Bill continuava a guardarlo come se fosse così talmente semplice.
E lo era, il problema di Tom non era di certo quello. Più che altro la domanda sulla punta della sua lingua era cosa ci facesse lei  lì da loro. Se lei era lì, sei lei aveva dormito beatamente sul loro divano era chiaro che alla fine quei due avevano stretto confidenza.
Ovvio. Banalmente ovvio.
Eppure c'era qualcosa che lo allarmava, era la stessa sensazione provata quando aveva parlato con Bill sotto la tettoia della scuola qualche ora prima. Era come se Tom dovesse arrivare a capire qualcosa di imprecisato e indefinito.
“Tomi, ci sei? Ti sei improvvisamente bloccato.” Tom in un nano secondo smise di lamentarsi con il gemello e si tranquillizzò velocemente così come si era arrabbiato.
E così quei due alla fine avevano stretto amicizia? Era ufficiale, entrava nelle loro vite. Perché la vita di suo fratello era legata alla sua. Lyric Hörderlin, sarebbe stata un gigantesco casino.
Sentiva che sarebbe andata proprio così. Un gigantesco casino.
“Rimane per cena?”
I gemelli si guardarono negli occhi, parlandosi in quel modo unico e impareggiabile che avevano solo loro due. Il linguaggio muto e segreto dei gemelli Kaulitz. Uno nella testa dell'altro. Bill non seppe bene cosa in quel momento passasse nei pensieri di Tom, ma stranamente non voleva indagare. Distolsero gli occhi dall'altro nel medesimo istante mentre Gustav e Georg facevano da spettatori.
“Non lo so, però glielo chiedo subito.” Sorrise.
Tom emise un sospiro scocciato “Smettila di sorridere in quel modo. Sei una lagna.”
Bill si alzò “Chiama la mamma. Avvertila che saremo piuttosto numerosi questa sera.” continuò a sorridere, senza dare ascolto alle parole del fratello. Tom annuì, grugnendo qualcosa, mentre Georg e Gustav si ritrovarono senza preavviso i due gemelli di solito. Vai a capire i Kaulitz.
Intanto Lyric era tornata da poco e si era affacciata alla porta del salotto.
Bill le andò incontro “Dormito bene?” chiese con una inspiegabile allegria. Lyric annuì silenziosamente mentre seguiva i passi di Tom, defilato verso il telefono nel preciso momento in cui l'aveva scorta.
Bill, che notò il tutto, scosse la testa. Non doveva pensarci adesso a Tom. Con il tempo avrebbero sistemato la situazione, qualunque fosse il problema.
Il ragazzo la prese per mano conducendola così dinanzi a Georg e Gustav.
“Facciamo le presentazioni: questo energumeno si chiama Georg Listing mentre il biondino con gli occhiali è Gustav Schäfer. Sono rispettivamente il basista e il batterista della mia band, oltre che miei carissimi amici.”
“Lei invece è Lyric Hörderlin. La mia nuova amica.”
Dietro di loro Tom li osservava mentre spiegava a sua madre che avrebbero avuto degli amici a cena. Proprio nel secondo in cui appoggiava la cornetta Lyric si voltò verso di lui, investendolo in pieno con il suo sguardo.
Fu un contatto rapido, meno di un istante o di un respiro, così breve che lei si girò subito per ritornare a parlare cortesemente con Georg e Gustav, ma Tom continuò a fissare la sua schiena sentendo nuovamente quella sensazione.
“Cazzo fottuto.” con questo pensiero nella mente andò ad un unirsi al gruppo chiassoso proprio nel momento in cui Georg diceva “Se fossi in te li brucerei in un gigantesco falò quegli orrendi pantaloni.”
Quando quella sera la zia di Lyric venne a riprenderla a casa Kaulitz trovò la nipote beatamente intenta a battere per la decima volta Tom al picchia-duro di Georg. Il suddetto ragazzo intanto rideva come uno scemo, prendendo piacevolmente in giro lo sconfitto. Quella sarebbe stata soltanto la prima di tante altre serate passate assieme ai Devilish, futuri Tokio Hotel. I primi amici dopo lungo tempo.
Uno dei tanti ricordi portati nel cuore.
 

***

 
La-lai-lai-lai...
Una luna rossa splende in questo cielo di mezzanotte...
segue i tuoi passi dentro questo grande buio..
Guarda! Ti sta indicando una strada nel folto di quella foresta..
non avere timore, segui il sentiero..
lascia le paure e i dolori dietro al tuo cammino..
prosegui senza mai voltarti..
la luce ti condurrà davanti ad un bivio..
non preoccuparti, dai retta a ciò che senti, senti ciò che ti batte dentro..
ricordati che non c'è tempo..
il tempo non da concessioni a nessuno..
fidati della luna rossa...
alla fine di questa radura disseminata di alberi intricati c’è la felicità..
Corri! Corri! Corri!
Corri fino a perdere il respiro, corri fino a sentirti morire..
Ciò che sta alla fine di quel mare verde vale ogni tua pena..
Tutto ciò che desideri è lì che ti aspetta..
Corri! Corri! Corri!..
Una luna rossa splende dietro i tuoi passi..
lei ti attende disperatamente..
Il tuo ultimo sorriso prima dell'addio..
il tempo è contro di te..
 
Aprì gli occhi e quello che le si presentò davanti era un'altra realtà.
Quello era il presente, il passato apparteneva ad un altro mondo. Un luogo lontano a cui non avrebbe potuto far ritorno se non con la mente. In quel presente non c'era nessun Georg, nessun Gustav, nessun Tom e di certo nessun Bill che le teneva stretto un filo dei suoi capelli mentre dormiva al suo fianco. Il presente che stava vivendo l'aveva scelto da sola.
Sentiva che la malinconia si era risvegliata.
Dov'era? Ricordava di essere svenuta dentro la sua macchina dopo aver ascoltato quella canzone dei Tokio Hotel.
Perché si trovava su di un letto? Chi ce l'aveva portata?
Qualcuno stava cantando, era una voce dolce e tenera, impalpabile. Voltò il capo e riconobbe che al suo fianco destro, seduta sulla poltroncina della sua camera nella villa in campagna, c'era Diane.
Restò ad ascoltare quella malinconica ninna-nanna cantata con dolce tenerezza, poi Diane si accorse di lei.
“Ci hai fatto preoccupare. Kathleyn era già decisa a chiamare un elicottero della protezione civile e trascinarti a forza in ospedale.” Diane si avvicinò a lei, sedendosi sulla sponda del letto.
“Le ho detto che non c'era bisogno e che dovevamo solo lasciarti dormire.” nella testa di Lyric comparivano ancora le immagini di quel giorno sotto la pioggia, il giorno in cui era diventata amica di Bill. Non riuscì a trovare le parole.
“Kat è andata a dormire mezz'ora fa.” continuò a parlare Diane, senza pretendere di avere risposta.
“Ti ho sempre detto che è una ninna-nanna tremendamente triste.” finalmente aprì bocca, riferendosi alla canzoncina di prima. Diane allora si allungò sul letto per potersi sdraiare al fianco dell'amica e appoggiare il capo sull'incavo della sua spalla.
“Non è triste, è solo tremendamente sincera.”
“Già, infatti, ribadisco: è triste.”
“Penso però che sia anche un messaggio di speranza. Non credi?”
Lyric sospirò pesantemente mentre i suoi occhi divenivano lucidi “E la mia luna rossa quale strada mi indica di seguire?”
“Questo lo sai tu, i sentieri sono diversi per ognuno di noi.”
Ci fu silenzio e il suono del vento contro i vetri delle finestre.
“Diane...”
“Dimmi.”
“Voglio rivederlo.”
“D’avvero?”
“Sì, ho bisogno di rivederlo.”
Diane l’abbracciò fortissimo “Finalmente, ti sei decisa.”
Dopo qualche minuto di pausa Diane ricominciò a cantare.
 
Corri! Corri! Corri!..
Una luna rossa splende dietro i tuoi passi..
lei ti attende disperatamente..
Il tuo ultimo sorriso prima dell'addio..
il tempo è contro di te..
 
 
___________________________________
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5: I'm fine ***



Capitolo 5
 I’m fine

                            
 
 
Percepiva il blu profondo e l'azzurro cristallino. 
Gli spruzzi di immacolato bianco che accompagnavano le pennellate d'argento.
Percepiva la delicatezza dei colori che danzavano sulla tela, in un impercettibile ed illusorio movimento.
Incantevole
Era uno dei dipinti più ipnotici che avesse mai visto e il guardarlo gli provocava una strana sensazione. 
Era così magnetico. 
L'aveva notato solo dopo una attenta panoramica, dettata dalla sua incorreggibile curiosità, alla stanza in cui era entrato. Non capitava spesso di essere invitato nella camera di una ragazza, nessuna delle sue precedenti amiche l'aveva mai fatto. Poiché finalmente aveva avuto la possibilità di scoprire quali segreti un’adolescente dovesse custodire per impedire l'accesso nel proprio territorio, Bill si riteneva più che giustificato nel suo interesse. 
La prima cosa che aveva constatato era la straordinaria grandezza di quella camera da letto, la sua in confronto era minuscola, seguita subito dalla sensazione di estraneità di quando ci si trovava per la prima volta a contatto con qualcosa di assolutamente nuovo. 
C'era una grande finestra con alti vetri che lasciava penetrare la fioca luce di quel pomeriggio di novembre, all'esterno di questa si trovava un balconcino con dei vasi e all'interno, davanti alla finestra, incastrata in una fenditura apposita c'era un largo davanzale di legno adornato da un paio di grossi e paffuti cuscini. 
Di fronte alla finestra, qualche metro distanziata da essa, aveva posto una scrivania di legno scuro dall'aria antica, sopra alla quale c’era uno scrittoio con tanti fogli sparsi in apparente disordine e una serie notevole di matite consumate dall’uso. 
Era una camera da letto ordinata e pulita anche se non si sentiva nel regno di un fanatico dell'ordine, i libri dei due scaffali della camera, per esempio, non erano tutti perfettamente posizionati, alcuni erano discostati e altri erano completamente fuori posto. Inoltre si poteva notare alcuni scatoloni in un angolo, ancora sigillati e in attesa di trovare un posto dove stare.
Sul liscio pavimento di parquet erano disposti due grandi tappeti indaco, uno al fianco del letto, l'altro al centro della stanza. Il letto era a due piazze e sopra di esso erano appoggiati un paio di grandi volumi aperti che Bill notò essere degli album di fotografie. Lyric forse li stava guardando prima del suo arrivo. 
La sua attenzione poi passò ai muri, piuttosto spogli: niente fotografie appese, ne poster di qualche cantante o attore famoso, ebbe la sensazione che fossero stati lasciati apposta senza alcun tipo di orpello. 
Proprio mentre aveva appoggiato il suo zaino vicino ad una delle gambe del letto lo aveva visto. 
Per qualche motivo aveva sentito una sensazione famigliare percorrergli la schiena, come se avesse già provato quello strano e fulmineo interesse che, in quel momento, lo aveva immobilizzato in una silenziosa e assorta osservazione. 
Bill sbatté le ciglia un paio di volte cercando di ricomporsi e capire perché quel quadro lo stesse così ammagliando. 
Era l'unica cosa che adornava le pareti, piccolo e per nulla appariscente, solitario nel suo essere una tela piena di colore su una monocromatica parete pastello. Sembrava un quadro dipinto per non essere notato, sembrava che fosse fatto per nascondersi e celare il suo fascino. 
Man mano che passavano i secondi Bill non distolse di un centimetro il suo sguardo e continuò a provare quella singolare sensazione di famigliarità. Era sicuro di star provando una specie di dejà-vù. 
Lyric lo trovò che se ne stava ancora in piedi di fronte al quadro, perso in qualche misterioso pensiero e con la posa rigida in una concentrazione ammagliata. Bill non notò neanche che era ritornata. 
Era andata a prendere qualcosa da bere in cucina e lo aveva lasciato da solo giusto il tempo di scendere al piano inferiore. Lyric si chiese perché fosse così assorto, mentre appoggiava il vassoio con il tè freddo sul comodino di fianco al suo letto. Fatto ciò cercò di scoprire cosa tenesse Bill così fuori dal mondo. 
Stava osservando il suo quadro. 
Lyric si lasciò sfuggire un sospiro leggerissimo dalle labbra e si sedette sui cuscini del letto. 
“Snow and Midnight.” Bill si girò verso di lei corrugando leggermente la fronte. 
Lyric appoggiò la schiena sulla ringhiera di legno del letto, abbracciandosi le gambe con le braccia. 
“Neve e Mezzanotte.” ripeté in tedesco “Quel dipinto si chiama così.” 
“Ah...” Bill si voltò nuovamente verso il quadro. Effettivamente era un nome adatto, il dipinto riproduceva proprio una nevicata a mezzanotte. Non ci aveva fatto caso, fino a quel momento aveva prestato attenzione solo ai colori. 
“Questo quadro è...” iniziò Bill volendo commentare in qualche modo il dipinto però non sapeva come terminare la frase. Restò sospesa. 
“Vuoi del tè freddo?” Lyric cerco così di sfuggire un discorso qualunque che continuasse a comprendere quel quadro. Ci aveva pensato molto prima di appenderlo sul muro di fronte al letto e l’aver ceduto non significava che ne volesse parlare. 
Era un ricordo di sua madre Eleonor, un bel ricordo. 
Così caro e importante che aveva pensato di poterlo tirare fuori dagli scatoloni. Ma per un singolo ricordo che riusciva a portare alla luce del sole ce ne erano altri centinaia ancora impacchettati. Testimoni di ciò i box di cartone che in un angolo della camera aspettavano di liberare tutti gli oggetti al loro interno. 
Per la prima volta in sei mesi, quella mattina di novembre, era riuscita a guardare gli oggetti che si era portata dietro da Boston senza provare una pesante angoscia. Ci era riuscita senza neanche versare una lacrima e di questo si era sentita particolarmente orgogliosa. Era riuscita anche a guardare gli album di fotografie senza tremare e provare troppo male. Era stata in grado di guardare il volto di sua madre impresso da quegli scatti accompagnandosi solo da una leggera malinconia.Quella stessa malinconia che Bill poteva intravedere in quel momento, qualcosa che preferiva mille volte di più della tristezza che era abituato a scorgere in lei. 
Lyric chiuse gli album e li sistemò sul comodino, poi gli richiese se volesse del tè. 
Bill sorrise, dimentico del dipinto ed interessato solo dalla possibilità di parlare finalmente con lei “Certo, grazie.” esclamò. 
Allora Lyric gli fece segno di accomodarsi sul letto. Bill si avvicinò al materasso e togliendosi le scarpe vi si sedette sopra senza tante cerimonie. Lyric gli porse un bicchiere ghiacciato mentre con l'altra mano ne prendeva uno per lei. Quando entrambi ebbero dimezzato il contenuto del bicchiere si guardarono nuovamente. 
“Allora, come stai?” chiese lui spostandosi verso il comodino per sistemare il bicchiere sul vassoio. 
Lyric gli tese una mano per evitare che stropicciasse tutte le coperte nell'arrivarvi, salvandole così da quel movimento inconsulto. Bill ignorò l'aiuto e imperterrito gattonò sopra al piumone, l'obbiettivo finale era potersi sedere contro i cuscini e quindi di fianco a lei. Compiuta l'operazione e sistematosi per bene le rivolse un ennesimo sorriso. Lyric restò a fissarlo con le labbra sospese in una frase non pronunciata prima di emettere un soffio leggero dal naso e rilassare l’espressione del volto. 
“Che c'è?” 
“Nulla.” fu la risposta, ma allargò un'impercettibile ricciolo agli angoli della bocca “Constatavo l'impressione che ho sempre avuto su di te.” 
“Cioè?” Bill spalancò le pupille come un cucciolo. 
La curiosità lo morse come un leone. Quale impressione aveva sempre avuto su di lui? 
Lyric lo tenne sospeso per le corde, bevendo silenziosamente dal suo bicchiere, senza mai guardarlo. 
Arricciò nuovamente le labbra “Nulla di particolare.” esordì “Ho sempre pensato che fossi particolarmente strano e indubbiamente buffo.” spiegò la ragazza. Quando si voltò per vedere la reazione di Bill si ritrovò davanti una faccia immobile. 
“Si è irrigidito?” Lyric mosse gli occhi da destra a sinistra, cercando intorno a sé il motivo di tale immobilità ma non trovandolo disse “Ho detto qualcosa di male?” 
“Strano e buffo?” domandò il ragazzo pronunciando le parole con una certa cautela. 
Lyric annuì usando la stessa identica cautela, senza sapere però a cosa servisse. 
“Posso capire lo strano.” esclamò “Voglio dire se fossi normale non mi piacerebbe neanche guardarmi allo specchio alla mattina e constatare che al mondo uno come me non esiste da nessuna parte nel creato.” Bill partì in quarta, con la solita velocità che avrebbe usato con Tom “Strano è un complimento, ma buffo...” roteò gli occhi prima di scuotere la testa e lamentare “...buffo non è un complimento!” 
Lyric trattenne a stento una risata. In quel momento Bill era decisamente buffo.
“Buffo è Georg quando fa quella sua assurda risata da sciacallo evirato...” fece un'imitazione in diretta della citata risata costringendo così Lyric a stringersi le labbra per non scoppiare “Buffo è come si veste mio fratello, anche se si può parlare più che altro di mancanza di gusto estetico...” si corresse, facendo una smorfia al pensiero di come si vestiva Tom “Bè, lui è più buffo quando si mette a fare quegli insensati gesti da rapper, hai presente?” ed anche qui ne fece una riproduzione fedele, Lyric si portò una mano davanti alla bocca “Ci sono un mucchio di cose buffe ed io non rientro di certo tra queste. Io non posso essere buffo.” nel dire quest'ultima cosa Bill si esibì in una serie di movimenti di braccia in segno di costernazione. 
Lyric esplose in una fragorosa e liberatoria risata “Oh God! You look likes a jelly-fish in this moment.” 
“Cos'è che mi piacerebbe? Meduse? Ho capito male, vero? Non hai detto che mi piacciono le meduse, vero?”
Lei proseguì nella sua risata “No, ho detto che sembravi una medusa, non che ti piacciono le meduse” si asciugò le lacrime agli occhi e poi fece l'imitazione di Bill, sbracciandosi un poco. 
Questa volta fu il turno dell’altro di ridere “No! Dai, non sembravo così stupido!” 
“Oh sì invece!” Lyric continuò a ridere “E poi è vero: sei indubbiamente buffo.” 
“No. Sono simpatico, non buffo.” E smise di ridere. 
Anche Lyric la finì “Certo sei simpatico però anche buffo.” 
Il ragazzo stava per ribattere ancora una volta, ma si fermò. C'era qualcosa che lo colpì sul momento, qualcosa di diverso, qualcosa che non aveva ancora visto.
“Tu sorridi.” pronunciò mutando completamente tono e fissandola con un'espressione un po' troppo sorpresa. Tutte le persone sorridevano, ogni giorno, dovunque, ma in quel momento gli pareva di trovarsi dinanzi ad un fenomeno completamente differente. Quella era la prima volta che la vedeva sorridere. 
Lyric si bloccò nella posizione che aveva sorpreso il suo nuovo amico e si portò la mano alla bocca. 
Stava sorridendo. 
“Strano.” pensò. 
Quella era effettivamente la prima volta che sorrideva da tanto tempo “Credevo di non saperlo più fare.” a quel pensiero il suo viso rispose espandendo un pochino di più quel suo sorriso. 
“Già.” fu l'unica cosa che le uscì in risposta all'affermazione di Bill. Poi per evitare di esagerare lo ritirò lentamente.
Aver ritrovato così improvvisamente la capacità di compiere un'azione apparentemente semplice non significava che fosse facile per lei compierla. Sorridere significava principalmente provare felicità, allegria, gioia e leggerezza ma Lyric non sentiva di avere tutte queste cose. Un pochino, forse, ma non eccessivamente. 
Però era piacevole scoprire di poterlo tirare fuori ancora una volta. 
Bill la guardò mentre in silenzio, dentro di lei, si susseguivano tutti quei pensieri e quando la vide calma sorrise anche lui. Era contento. 
“Bello, no?” disse lui, scandendo le parole con calma. Lei gli rivolse un'occhiata interrogativa.
Il silenzio che c'era tra di loro non faceva male, completamente diverso da quello con sua nonna. Le piaceva che non ci fosse bisogno di così tante parole. 
“Poter sorridere assieme ad un amico.” fece il sornione “Anche se i suddetti amici sono, citando le parole di una persona, completamente diversi.” con questo voleva affermare che alla fine aveva avuto ragione lui ad insistere. Se non l'avesse inseguita quattro giorni prima ora lei non avrebbe sorriso. 
“Tu sei un tipo del genere vero?” Lyric lo prese in contropiede con quella domanda “Aver ragione ad ogni costo, no? Sei incredibilmente testardo non è così?” aveva uno sguardo indecifrabile, tanto che Bill ebbe timore di aver usato le parole sbagliate, poi lei si bloccò. Sembrò pensare a qualcosa e solo dopo un’approfondita meditazione di un minuto, nel quale fece passare il dito lungo la parte superiore del bicchiere, facendo vibrare il vetro, aprì nuovamente la bocca. 
“È un bene, almeno per questa volta, che tu sia nato così tremendamente testardo.” appoggiò il bicchiere sul comodino “Fammi la domanda dell'inizio.” i suoi occhi blu si spostarono al quadro appeso sul muro, un po' distanti e vacui. 
Bill la osservò mentre cercava di capire a quale delle sue domande si stesse riferendo. Il mare blu di quei occhi forse era ancora troppo lontano, ma ci sarebbe arrivato un giorno. L’avrebbe raggiunta. 
“Come stai?” ecco, questa era la domanda. Era una domanda lecita e molto banale. 
La prima volta l'aveva fatta per sapere come andava, dopo tre giorni passati a riprendersi dal raffreddore. 
Il significato della domanda, in quel momento, però era di sicuro un altro. 
Riguardava tutto quello di cui Bill non sapeva ancora nulla. Si riferiva al suo animo, alla sua tristezza. 
“Sto bene” Lyric girò il capo verso di lui “Non è un -sto bene- perfetto. No, non puoi pretendere che sia un -sto bene- assoluto.” prese un respiro profondo, chiudendo gli occhi. 
Quali fossero gli sforzi che doveva fare, quali fossero i significati che contemplavano un tale sforzo per non abbattersi Bill non li poteva sapere però lo sentiva. Apprezzò comunque quel suo modo di reagire, ora. Così calmo, rasserenato. 
“Ci sono cose di cui ho terrore, di cui ho una paura atroce.” Lyric teneva le palpebre serrate per non lasciarsi sfuggire il coraggio che la spingeva a parlare. La bestia nera doveva sapere che questa volta era proprio una dichiarazione di guerra, ricominciava a combattere. 
Ci aveva pensato molto, tutto il tempo che era rimasta a casa in quei tre giorni. Ci aveva riflettuto e aveva deciso. L'amicizia che Bill le offriva doveva fondarsi sulla verità. Per questo lo aveva chiamato a casa sua con la scusa di farsi passare gli appunti persi delle lezioni. Per questo in quel momento stava dicendo cose a cui nessuno aveva ancora rivelato. Rischioso esporsi così, ma voleva fidarsi. 
“La mia vita, tutta quella che è stata la mia vita fino ad ora è cambiata. Devi capire questo. È importante.” prese un altro respiro, non doveva agitarsi. Bill sarebbe scappato dalla paura se l'avesse vista andare in crisi respiratoria “Ho passato molto tempo rimpiangendo quella vita. Soffro. Fa male.” strinse il labbro inferiore in una leggera morsa di agitazione. 
Bill vedeva il suo capo abbassato, i capelli ondulati lungo i lati del suo viso come a nasconderla. Vedeva le sue mani posate sul grembo che stringevano il maglione di lana rossa che indossava. Vedeva le dita instabili e il petto che andava su e giù, sempre più veloce. Vedeva che non era facile, in nessun modo. 
Lui sentì ancora il desiderio di comprenderla, ma c’era anche quello di non metterla a disagio. 
Le posò una mano sul capo, su quei suoi capelli ondulati. 
“Avrò pazienza.” fu ciò che uscì dalla gola di Bill. 
Si avvicinò all'orecchio di lei per sussurrarglielo. Come se fosse un loro segreto. 
Quando Lyric aprì le palpebre delicate incrociò l'ambra scura delle sue iridi.
L'aria dalla bocca di Bill soffiò dentro il suo orecchio, era un suo respiro “Non c'è bisogno che tu mi dica tutto adesso. Se fa così male affrontare tutto in una volta non voglio che tu continui. Non mi devi nessuna spiegazione.” fece una pausa in cui la mano posata sulla testa di lei si scostò “Il tuo - sto bene- mi basta.”
Lyric sospirò come per liberarsi da un qualche peso. 
“Ho sempre ritenuto che le decisioni, come i cambiamenti, non dovessero essere repentini...” le parole di sua zia Freia quando erano arrivate a Magdeburg presero forma. 
Aveva ragione, non devono per forza essere repentini. Lyric si sentì più leggera. 
“Non c'è nessun sbaglio nel volere restare attaccati a qualcosa...” non era un errore ricordare ancora la sua vita passata, quel altro mondo “Ciò che conta è capire in piena consapevolezza quando è il momento di mutare tale attaccamento.” stava cominciando a pensare di cambiare quell’attaccamento. 
Poteva farlo, ne era in grado. Sicuramente. Però non così velocemente. Perché correre? 
“Quindi anche se adesso non riesci a cambiare arriverà il momento in cui desidererai farlo...”
“Non c'è fretta.” concluse a voce Bill quello che lei stava cercando di formulare nella sua testa. Lyric tremò per il tenue formicolio provocato dal fatto che le parlasse all'orecchio. 
“Quando farà meno male e sentirò di essere pronta ti dirò tutto ciò che mi aveva portato ad essere così intrattabile quando ci siamo conosciuti. Riuscirò a dirti di mia madre, mio padre, mia nonna e la mia vita a Boston. Riuscirò a non spaventarmi.” parlò lei allontanando i loro volti. 
“D'accordo. E intanto che aspettiamo che tu mi dica queste cose io ti racconterò di me, Tom, i miei genitori e la mia vita a Magdeburg. Così non ti sentirai la sola ad avere un passato alle spalle.” Lyric sorrise. Per la seconda volta in quella giornata sorrise. 
Bill rispose allo stesso modo “Allora stai bene?” 
“Già, sto bene.” 
La bestia nera per una volta rimase in silenzio. 

***


Intervallo di metà mattina: i ragazzi dell'istituto erano riversi nel cortile scolastico malgrado il freddo disumano e Tom attendeva in fila di potersi prendere un caffè alla macchinetta. Tutto perfettamente normale, a parte il suo umore nero. 
“Ci vogliamo muovere là davanti?” brontolò rivolgendosi alla lumaca che impediva alla fila di scorrere. Come era possibile che fosse così difficile scegliere da una macchinetta? Uno doveva pensarci prima, così al momento del suo turno evitava di far perdere tempo al resto dell'umanità. Tom sbuffò, odiava aspettare. 
Appena ebbe la certezza che non sarebbe riuscito a prendersi quel benedetto bicchiere di plastica prima del suono della campanella, pieno di quello che chiamava surrogato di caffè, lasciò perdere e cominciò a camminare in direzione della sua classe. Dopo pochi metri qualcuno ticchettò sulla sua spalla. Si voltò. 
“Kaulitz...” salutò cordiale una voce femminile. 
Tom non rispose subito al saluto, invece si adombrò in volto. 
“Hörderlin...” gracchiò mettendosi le mani in tasca e assumendo la posa di quando discuteva con i bulli che gli rompevano le scatole. Lei non fece caso alla freddezza con cui le si rivolse, ci era abituata. Sostenne il suo sguardo accigliato senza alterarsi a sua volta. 
“Ti stavo cercando.” cominciò lei. 
“Ah sì? Motivo?” chiese Tom nascondendo la curiosità. Lei che veniva a cercare lui? Non era mai accaduto fino a quel momento. Di solito si evitavano come la peste e quando per qualche ragione si ritrovavano insieme nello stesso luogo, che per cronaca erano causate da Bill che non riusciva a demordere dall'idea di farli diventare amici, non spiccicavano l'uno con l'altro non più di tre o quattro parole. In generale si limitavano a salutarsi e basta. 
“Avrei bisogno di parlarti.” rispose Lyric con leggerezza come se non volesse dare importanza alla cosa. Tom mosse la testa in un lento assenso “Uhm...ok, dimmi pure.” 
“Non qui, c'è troppa gente.” Lyric si guardò attorno “E poi è un discorso lungo.” Tom la vide abbassare il capo e subito tornare ad alzarlo, mostrando così quella che sembrava indecisione. 
“Ho saputo che sei stato nuovamente punito per aver risposto male al tuo professore di matematica.” un angolo della bocca di Tom si piegò all'ingiù. 
“Me lo ha detto Bill.” spiegò Lyric. 
Tom si fece l'appunto mentale di ricordare a Bill che certe cose doveva tenersele per sé. 
“Ho saputo anche che per rimediare ti hanno ordinato di risistemare l’archivio della biblioteca scolastica.” anche l'altra estremità delle sue labbra fece una smorfia. Era uno strazio farsi ricordare la situazione da lei. 
Questo era il motivo del suo nervosismo e per questo aveva la luna storta. Infondo era ormai un'abitudine per lui rispondere senza peli sulla lingua a quei boriosi vecchi artritici e i professori dovevano averci fatto il callo. Ma a quanto pare qualcuno era ancora dell'idea di poterlo raddrizzare. 
“Ci sarò anche io.” questo gli fece smettere di lanciare maledizioni mentali al professore Scholz. 
“In che senso?” 
“È anche la mia punizione.” un leggero rossore si materializzò sulle gote della ragazza. Tom fece mente locale “È per aver fatto rissa con la Barbie-Gruguer la settimana scorsa?” Lyric sospirò. 
“Sì, è perché ho picchiato Barbie-Gruguer. Comunque credo che sia perfetto, che ne dici?” 
Il ragazzo fece spallucce “Se lo dici tu.” nessuno dei due stava più guardando l'altro. Dopo qualche secondo Lyric decise che poteva andarsene e liberare entrambi da quel silenzio imbarazzante “Ok. Allora ciao, Kaulitz.”
“Hörderlin...” mentre seguiva con lo sguardo la schiena di Lyric che si allontanava spedita, una vocina beffarda risalì da un angolo fastidioso del suo cervello “Mi sa che sei veramente un'idiota. Decisamente anche tu ti fai dei giganteschi viaggi mentali, non solo Bill. Sei veramente stupido.”
“Oh ma vaffanculo!” imprecò rivolgendosi a se stesso. 
“Comunque sia te la prendi troppo.” in quel momento suonò la campanella. 

***


“Sei sicura?”
“Ti dico di sì, andrà tutto bene. Non angustiarti.” 
“Angustiarmi? Mi chiedo spesso come ti escano certe parole.” 
“Dici che parlo come una vecchia di settant'anni?” 
“No, come una di cinquanta.” 
“Ah-ah. Quanto sei divertente.” 
“Comunque, sul serio, credi che andrà tutto bene?” 
“Guarda che non ho intenzione di uccidere tuo fratello. Ritornerà a casa con tutte le ossa intere.” 
“Ma non mi interessa Tom!” Lyric soffocò una risata per evitare che la professoressa la sentisse e li richiamasse dal loro bisbigliare. Quando Bill aveva certe reazioni spontanee le veniva sempre da ridere. 
“Mi riferivo al fatto che puoi anche evitare se non ne sei sicura.” Lyric cercò di decifrare l'espressione del suo compagno di banco “Non è che hai i sensi di colpa perché pensi di avermi costretto a prendere questa decisione?” 
Bill scosse la testa in modo poco convincente “No, no, bè un pochino. Forse mi sento in colpa per avervi costretto a frequentarvi.” 
“Bill, prima di tutto questa cosa di parlare con Tom l’ho decisa completamente da sola. Secondo, è vero che in questa settimana ci hai costretto a parlarci ma ti assicuro che non è servito a niente. Prima di poter fare una cosa del genere ci dobbiamo chiarire. Come abbiamo fatto io e te.” 
“Io e te non ci siamo chiariti.” Bill assunse l'aria da furbo “Tu sei scappata da me e io per ripicca ti ho inseguita. Ti ho urlato addosso tutto ciò che pensavo e tu hai fatto lo stesso. Noi due abbiamo evitato i chiarimenti e siamo passati al livello successivo.” 
Lyric parve perplessa, doveva ancora abituarsi a capire i ragionamenti di Bill “Dove stai cercando di andare a parare?” 
“Al fatto che non è come tra me e te. Questo è diverso. Tu e Tom vi state antipatici.” 
“Anche tu mi stavi antipatico.” fu la volta di Lyric di fare la faccia da furba. Soffocò un'altra risata vedendo la bocca spalancata di Bill “Questo mi sembra di avertelo già spiegato.” 
“Sì, lo so, ma non ci sono ancora arrivato del tutto.” 
“Lo sospettavo.” 
“Tu sei complicata.” Si difese Bill.
“Anche tu.” Ribatté lei. 
Bill rimuginò un secondo “Gli vuoi spiegare perché ti sta antipatico?” 
“Plin-Plon. Risposta esatta, vince un orsacchiotto di peluche.” 
“Grazie ma ne ho già uno comodamente sistemato in camera mia. È color lavanda e si chiama Bernice, è un regalo di mia nonna. Ne ha uno anche Tom, però il suo è verde vomito e di nome fa Karina.” Lyric dissimulò la risata con un colpo di tosse. La professoressa da qualche minuto ormai stava guardando nella loro direzione. 
“Non ti assicuro che dopo averci parlato diventeremo amici inseparabili. Non è neanche un mio obbiettivo primario. Lo faccio solo perché mi sento in colpa per avergli detto certe cose e di averlo trattato in un certo modo. Lo faccio perché voglio avere la coscienza apposto.” 
Bill la vide farsi pensierosa per un secondo. Il blu diventare distante. 
Lyric si girò a guardarlo “E comunque tu ci tieni che andiamo d'accordo.” 
Bill sorrise “Grazie.” 
“Kaulitz alla lavagna!” la professoressa lo beccò in fragrante “Non tollerò che si parli durante la lezione. Verrà qui e risolverà il problema numero diciotto. Spero per lei che abbia seguito.” 
Bill fissò il suo libro di matematica chiuso. Ovviamente non sapeva neppure a che pagina fossero. 
Lyric cercò di non scoppiare a ridergli in faccia. 

***


“Allora il vostro compito sarà sistemare queste schede dell’archivio in ordine alfabetico. Avete fino alle quattro, se non riuscirete a completare il lavoro in tempo dovrete ripresentarvi anche domani, al termine delle lezioni. Mi sembra di avervi spiegato tutto quello che dovete fare. Vi è tutto chiaro?” 
Le teste di tre studenti annuirono con particolare entusiasmo alla domanda della bibliotecaria. Una in particolare era più felice degli altri nel trascorrere tre ore della sua vita in una minuscola stanza piena di polverosi libri ammuffiti. 
L'unica cosa che desiderava era fare tutto ciò che la punizione richiedeva e volare come polvere al vento appena avesse finito. Non avrebbe permesso a se stesso di dover ritornare l'indomani in quella specie di cella di reclusione. 
“Perfetto. Se è così allora mi ritirò nei miei uffici, se avrete bisogno di qualcosa venite pure a chiamarmi. Se dovrete poi andare in bagno venite a chiedermi il permesso prima.” detto ciò la signora dalla folta capigliatura bruna tacchettò fino alla porta dall'altra parte della stanza senza più dare attenzione ai tre ragazzi in punizione. 
Uno stridulo lamento uscì fuori dalla bocca di uno dei tre.
“Oh accidenti! Perché diavolo sono costretta a restare qui?! In questo momento potrei essere in giro a fare shopping con mia madre invece che con voi due...” l'insofferente faccia di Doris Gruguer squadrò i due compagni di prigionia “…a sistemare documenti.” 
Tom stava per rincuorarla del fatto che non era l'unica a pensarla in quel modo e che se fosse stato per lui avrebbe evitato qualunque tipo di passatempo che prevedesse la sua simpatica presenza, ma Lyric lo precedette. 
“Doris, sinceramente credo che nessuno in questa stanza sia molto felice di stare qui quindi evita futili lagne e mettiti a sistemare questo archivio. Inoltre vorrei farti presente che se tu avessi tenuto chiusa la tua dannata bocca ricoperta di gloss ora non dovremmo scontare nessuna condanna. Almeno per quanto riguarda noi due, lui avrebbe comunque dovuto cogliere il frutto del suo crimine.” 
Tom la guardò di sottecchi domandandosi se fosse normale che una quattordicenne usasse un simile linguaggio. L'aveva sempre detto che era strana. Comunque, a parte le parole, il concetto di quello che voleva dire lui era stato espresso chiaramente. 
A quanto pare, però, Doris Gruguer aveva così poca intuizione che ritenne bene di continuare con le sue proteste “Ma come osi?! Quella che ci ha fatto finire in questa situazione sei tu! Sei tu che hai cominciato a picchiare per prima.” 
Tom vide Lyric chiudere gli occhi e prendere un grosso respiro, la sentì mormorare a denti stretti “Per le giuste motivazioni, oca.” Gli venne da ridere. 
Intanto l'altra ragazza continuava a starnazzare “Inoltre non ti ho mai dato il permesso di rivolgerti a me con il mio nome. Per te sono Gruguer, capito Hörderlin?” Tom pensò che tra qualche secondo avrebbe assistito ad una replica della rissa di una settimana prima. Si sistemò sulla sedia per gustarsi appieno una litigata tra femmine. 
Lyric deluse le sue aspettative poiché non fece nessuna mossa per azzannare il collo della bambolina bionda. Alzò solo le palpebre e trapassò con uno sguardo il visetto zuccheroso di Doris. Il blu scuro delle sue pupille divenne quasi minaccioso. 
“Sarà meglio per te comprendere una cosa, prima che continui a dire una idiozia dopo l'altra.” parlava con molta calma e chiarezza, non aveva nessuna alterazione nella voce “Tu sei l'ultima persona che si possa permettere di lamentarsi tra noi due. Innanzitutto a provocare la rissa sei stata tu. Se non fossi così decisa a dimostrarti la più grande stronza della scuola, per aver detto quelle cose, avrei potuto abbonarti la scusa che ami fare la gallina. Ma tu non fai altro che dimostrare che sei subdola e perfida.” la bionda tentò di dire qualcosa in sua difesa, ma l'altra non le permise di farlo “Quindi la colpa di tutto ciò che è successo è solo e completamente tua. E io ti chiamo come mi pare, Doris. Poiché a prova contraria questo è il tuo nome e tu puoi perfettamente chiamarmi Lyric. Io sono così magnanima da sorvolare su una tua eventuale richiesta di permesso. Non credo che dobbiamo per forza essere così formali.” 
In quel momento Doris Gruguer divenne paonazza per la rabbia.
“Tu non ti rendi conto con chi stai parlando.” Tentò di essere intimidatoria. Tom alzò gli occhi al cielo, ma quanto poteva rompere una persona prima di capire di aver perso su tutta la linea? 
“Sei tu quella che non sa con chi sta parlando.” Lyric nella sua serietà fu ben più atterrante di lei “Io sono diversa da te, odio dover andare in giro e sfruttare il mio nome e la mia posizione per avere vantaggi e privilegi. A te invece piace da matti farti riverire e adulare per via del cognome che porti e della famiglia che hai dietro le spalle. In questo siamo diverse, a me non piace per niente. Però se vogliamo usare come metro di giudizio i nostri nomi per vedere chi deve permettersi di rispettare chi, allora, voglio farti presente la tua reale posizione rispetto a me.” 
Tom fu incuriosito della cosa e rizzò le orecchie per sentire bene. 
Lyric odiava fare certi discorsi, le sembrava di parlare con la voce di sua nonna Cassandra. 
Era lei quella a cui piacevano questo tipo di rivendicazioni. 
“Tu lo sai perfettamente chi è la mia famiglia, lo sai perché in nessun altro caso avresti potuto avere certe informazioni su di me se la mia famiglia non facesse parte del tuo giro.” a Lyric venne una leggera nausea “Domani, al ritorno da Berlino, mia zia Freia parlerà con tuo padre per sistemare la nostra faccenda e ti assicuro che suderà freddo. Mia zia non l'ha presa bene quando le ho spiegato ciò che è successo.” 
“Non capisco cosa stai dicendo.” era evidente che la Gruguer stava pensando alle possibili ripercussioni. 
Che avesse fatto il passo più lungo della gamba? 
“Gli Hörderlin sono proprietari di una serie di banche, gli stessi Hörderlin che possiedono la banca che ha fornito quell'ingente prestito di cui tuo padre aveva bisogno per lla sua attività. La stessa attività che ti permette di vantarti.” 
Gruguer sbirciò imbarazzata il volto di Tom. 
Lyric la vide e cercò di rassicurarla “Te l’ho già detto: non sono come te. Adesso non mi metterò a gridare ai quattro venti i tuoi problemi personali. Non sono meschina come lo sei tu, non ci trovo niente di divertente nell'esserlo.” 
La sfrontatezza della bionda era del tutto sparita, al suo posto c'era solo grande disagio. Si sentiva umiliata. 
“Scusate, credo che ora...ecco...andrò in bagno.” in un nano secondo e a testa china Doris scomparve dalla stanza. 
Alla sua defilata Lyric sospirò. 
E con lei aveva finito, ora c'era da fare un altro discorso e questa volta molto più complicato. Erano da soli e questo significava parlare in santa pace. La cosa non la entusiasmava per niente. 
Tom sorprendentemente scoppiò a ridere con la sua voce sguaiata. 
“Mi spiegheresti cos'hai da ridere ora?” Tom non rispose e proseguì schiacciando la faccia sul tavolo. 
Lyric gli lanciò un'occhiataccia. 
Per ignorarlo cominciò a sistemare i documenti di cui in teoria avrebbero dovuto occuparsi. Erano pur sempre in punizione e lei non ci teneva per niente a dover tornare il giorno dopo nel caso non avesse finito. Fece strisciare sul tavolo una pila di documenti, posizionandoli davanti alla faccia ancora ridente di Tom. Sembrava che non riuscisse ad esaurire la sua ridarola. 
Dopo un tempo apparentemente lunghissimo finalmente Tom decise di tornare a darsi un contegno e iniziare a lavorare. Prese in mano i fogli che Lyric gli aveva messo di fronte e iniziò a ordinarli, sul volto c'era uno di quei sorrisi che lei trovava irritanti. Passò un'ora, di Doris Gruguer neppure l'ombra, senza che i due si rivolgessero la minima parola. Entrambi erano rimasti seduti, uno di fronte all'altro, volutamente in silenzio e senza il minimo contatto. Dopo un'altra mezz'ora, passata come l'ora precedente, avevano già finito il di sistemare l'archivio. Ora non ci sarebbe stata nessuna scusa. Era arrivato il momento di parlare. 
Lyric fissò il legno scuro del tavolo, rimirando sovrappensiero i piccoli fori che l'usura del tempo aveva provocato. Stava cercando in tutti i modi di ritardare la conversazione che lei stessa aveva voluto. 
Le sue budella si contrassero. 
“Sii sincera. È tutto quello per cui sei qui. Volevi solo essere corretta.”
Quando decise di cominciare davanti a sé comparve l'immagine di Tom Kaulitz stravaccato sulla sedia, con la faccia del tutto tranquilla e come sempre sprizzante di sicurezza. Stava aspettando solo lei, pronto al varco. 
Lyric alzò un sopracciglio incapace di decidere se essere come sempre infastidita oppure leggermente contenta che non fosse ostile. 
“Pronta?” chiese Tom con ironia, mostrando i denti in un sorriso che tentava di essere rassicurante ma che più che altro pareva beffarsi di lei. Lyric passò oltre, annuì. 
“Ok, dimmi.” lui spalancò le braccia come se aspettasse di ricevere qualcosa. 
“Tu ed io non andiamo molto d'accordo.” 
“Questo mi sembra palese.” Le labbra di Lyric si stirarono in una posizione rigida
“Noi due siamo poco cortesi l'uno con l'altro perché per qualche ragione ci stiamo antipatici a vicenda.” Tom fece roteare gli occhi, sempre con un'aria divertita. Lyric lo guardò male. 
“Non esattamente.” disse lui “però continua, siamo qui perché ti sei preparata un bel discorsetto.” 
“Io...” osservò il viso di Tom, cercando per la prima volta di andare oltre a quella sfacciataggine e comprendere veramente cosa c'era in lui che le faceva ribollire il sangue dal fastidio. 
Come sempre il verdetto era uno solo, sempre lo stesso. 
“Oh, al diavolo!” esclamò la ragazza battendo una mano sul tavolo “Chi se ne frega di essere gentile! Tu al momento non lo sei affatto, perché mai dovrei esserlo io?” 
Tom ridacchiò “Su, allora avanti! Come al tuo solito sputami addosso tutta la collera glaciale e togliamoci di dosso il pensiero. Anche se non lo do a vedere sono curioso di sapere ciò che hai da dirmi.” 
Lyric per la prima volta davanti a Tom fece un sorriso sfottente quanto quello di lui “Sono qui a parlare con te per una semplice ragione. Volevo essere corretta e togliermi di dosso il senso di colpa.” 
“Ah-ah, solita roba da femmine complicate.” 
“Già, solita roba da persone con un po' di sensibilità.” 
“Solo perché non sono carino e zuccheroso come Bill non significa che non sia sensibile.” 
“Tuo fratello non è carino e zuccheroso. E poi non metterlo in mezzo al nostro discorso. Qui parliamo di te e me.” 
Ed ecco che i preliminari si erano appena conclusi. Tom ghignò con piacere. 
“Te e me? Uhm, cosa c’è tra me e te?” 
Lyric passò dal aver la bocca semi-aperta ad averla completamente chiusa in pochi secondi “Ma ti diverti a comportarti sempre così?” 
“Qualche volta, quando capita penso pure di esagerare, ma in linea generale mi piace il mio modo di fare.”
Lyric lo guardò incredula poi fece un sorriso leggermente sghembo “Ho fatto lo stesso discorso a Bill.” Nel dirlo si sistemò la schiena sulla spalliera della sedia. Aveva preso la decisione di restare calma per tutto il tempo. Infondo poteva resistere dal desiderio di schiaffeggiare quel faccino. 
“In questi giorni abbiamo parlato un pochino.” L’immagine del suo gemello che correva via dalla sala prove o dalla sala di registrazione durante quella settimana percorse le strade dei pensieri di Tom. 
“Gli ho spiegato perché all’inizio lo evitavo come la lebbra.” Lyric gli puntò gli occhi addosso “Voglio fare la stessa cosa con te. Per questo sono qui.”
“D’accordo, non stare troppo tempo a usare giri di parole. Non c’è bisogno, sii diretta. Colpisci.” Tom incrociò le braccia al petto. Era dannatamente curioso di quello che sarebbe uscito fuori, voleva proprio vedere come avrebbe spiegato il suo comportamento la prima volta che si erano scontrati. Voleva capire cosa ci fosse nella sua faccia strafottente di così tanto fastidioso da farla arrabbiare ogni volta che si incontravano. 
La prima volta lui si era incavolato a morte perché quella ragazza era spuntata dal nulla intromettendosi in faccende che non erano sue. Inoltre l’aveva fatto perché la sua faccia sprizzava, testuali parole di Lyric, troppa sicurezza. Non gli era piaciuto per niente e non si sentiva pentito di averle gridato addosso tutto ciò che in quel momento gli era passato in testa. Quella volta si era sentito usato da una sconosciuta come valvola di sfogo per qualcosa in cui lui non c’entrava per niente. Il modo in cui, un mese prima, Lyric l’aveva guardato era stato odio puro e semplice. 
Forse lei non se ne era accorta, ma lui l’aveva notata prima della rissa con quello sfigato di Klaus Hengel e compagno. Aveva visto il suo sguardo perso mentre se ne stava seduta, o meglio, rannicchiata su quella panchina del parco. Tom aveva visto quello sguardo perso divenire furioso ed irritato una volta incontrata la sua figura e di questo si era sempre sentito infastidito a morte. Essere guardato con quell’odio represso, come se fosse stato lui la causa dei suoi problemi, non l’aveva trovato piacevole. Per questo si era incazzato con lei. 
Aveva sempre pensato che le persone che scaricavano i loro sentimenti negativi su chi gli stava attorno, conosciuti o non, senza affrontare di petto i problemi erano decisamente i più insopportabili. 
E Lyric era stata insopportabile. 
Poteva essere la resa dei conti, forse se avesse capito le sue ragioni avrebbe trovato un modo per andarci d’accordo. 
Forse voleva solo le scuse ufficiali. Bill in questo era stato più indulgente. 
“Tu per caso sai perché io e la Gruguer ci siamo picchiate la settimana scorsa?” questa domanda lo colse un po’ di sorpresa. Naturalmente ogni singolo studente del loro anno sapeva ogni cosa, la scuola era un fantastico luogo per i pettegolezzi. 
“Perché la Barbie si è messa a starnazzare troppo sui fatti tuoi, senza averne nessun diritto.” Lyric annuì. 
Già la scuola era il nido perfetto per covare i gossip. 
“Sai anche cosa ha detto?” ovviamente Tom lo sapeva, ma non era così privo di tatto, aveva un cuore.
Non disse nulla, Lyric abbassò il capo “I miei genitori sono entrambi morti e quindi ciò che ha detto Doris è vero, sono orfana.” 
“Quando comincia a parlare del passato diviene malinconica all’improvviso e le si incupisce lo sguardo. Il suo blu diventa così scuro che sembra sia calata notte.” La voce di Bill come suo solito sbucò fuori, una delle tante frasi che il fratello diceva quando parlava di lei “È come quando tu diventi triste o scoppi a piangere, mi viene solo voglia di abbracciarla finché non sta meglio.” Tom in quel momento gli diede ragione.
“Per lei è ancora tutto molto difficile. Se parla di sé però sono contento, anche se devo vederla così. Cerca di combattere i suoi demoni.”
“Persi mio padre quando avevo solo nove anni mentre mia madre mi ha lasciato sei mesi fa.” Lyric ingoiò una grande quantità d’aria prima di proseguire “Non c’è stato nessuno.” La ragazza scrollò le spalle “Nessuno che mi abbia aiutato quando il fatto accadde. Nemmeno zio Victor, il mio preferito e il fratello più vicino a mia madre, seppe starmi accanto nel momento del bisogno. Non c’era stato proprio nessuno.” La sua voce si incrinò appena per un secondo, ma bastò per bloccarla. 
“Senti non occorre che mi dici proprio tutto quanto. È la tua vita privata.” 
Lyric gli rivolse il palmo della mano destra per interromperlo, proseguì “Non sono mai andata particolarmente d’accordo con la famiglia di mia madre. A parte mio zio Victor il resto dei parenti è costituito da altezzosi snob, arroganti ed arrivisti. Sempre lì a compiacersi della propria ricchezza e della propria posizione.” Tom percepì il fastidio che provava Lyric nel condividere il proprio sangue con simili persone “Una volta ho persino chiesto a mia madre se non avessero fatto uno sbaglio all’ospedale affidandola alla famiglia Alysei. Lei sosteneva che infondo non erano così male, è sempre stata troppo buona.” Un esile movimento delle labbra fece intuire al ragazzo che lei aveva fatto una specie di sorriso. 
Scomparve subito. 
“Come ti dicevo non sono stati vicini a me e anche se zio Victor aveva provato a lottare per avere il mio affidamento alla fine si è arreso.” Il sinuoso aroma della rabbia avvolse un poco la sua voce “Chiunque si arrenderebbe se dovesse scontrarsi con Cassandra.” 
“Cassandra?” 
“Mia nonna.” Spiegò in un sussurro come se avesse parlato un pelo più forte quella donna sarebbe comparsa dietro alla sua schiena. 
“Ehm, tua nonna?” Tom si toccò il percing al labbro “È lei, non è così? Quella che hai visto in me.” 
Lyric sbatté le palpebre un paio di volte “Non credevo che avessi dell’intuito.” 
“Grazie. A volte se ne stupisce persino mia madre.” Tom la mise sullo scherzoso, ma Lyric tornò immediatamente ad ombrasi. 
“Lei mi odia.” Lo disse come se fosse una cosa da poco conto. Una cosa di cui era perfettamente consapevole. 
“Ed è brava a dimostrarlo. Con me è sempre stata tremendamente gelida. Sempre a guardarmi come se non fossi come voleva lei, come se non fossi abbastanza.” Ogni singola parola fu detta senza provare emozioni, rinchiudendoli in qualche luogo in cui non facessero troppo male. 
“E poiché mia nonna mi odia tutto il resto della famiglia Alysei mi tratta nello stesso identico modo.” Una scintilla beffarda illuminò quello specchio d’acqua che erano i suoi occhi. 
“Perché?” Lyric fece spallucce. 
“Perché quando mia nonna passerà a miglior vita lascerà a questo mondo un mucchio di soldi e con mucchio intendo cifre da otto o nove zeri. Naturalmente questo vuol dire compiacere in tutti i modi possibili l’imperatrice delle nevi, ergo devono odiarmi anche loro, pur non avendo nessuna ragione per farlo.” 
“Uh.” Tom riuscì ad assemblare solo quell’imbarazzante e per nulla chiaro verso. 
“Un mese fa ero davvero a pezzi e quando ci siamo incontrati stavo appena toccando il fondo. Quando ti ho visto con quella faccia così…così piena di sicurezza in te stesso mi è montata la rabbia dentro. Ho visto mia nonna e ho desiderato prenderti a randellate con qualcosa.” 
Lyric si sistemò una ciocca di capelli prima di immobilizzarsi ed aspettare la reazione di Tom. Il suo discorso lo aveva fatto ed era anche andata oltre. Non avrebbe detto più di quello che la sua mente poteva reggere. Sperò che Tom si dimostrasse intuitivo anche in quel momento e non le chiedesse di spiegarsi con maggiori dettagli. 
Non lo avrebbe fatto. 
“Wow. Sei complicata.” 
“Ma tu e Bill condividete lo stesso cervello?” era divertita poiché Tom aveva detto la stessa cosa che Bill, a sua volta, aveva esclamato quando era stata la sua volta di ricevere spiegazioni. 
“Mia madre e Georg sostengono che ci siamo spartiti equamente i neuroni quando siamo stati generati e per tanto pensiamo spesso la stessa cosa.” 
“Ok, cercherò di abituarmi.” 
Tom si morse il labbro inferiore, diventando pensieroso. 
Infondo una spiegazione l’aveva ottenuta, non poteva pretendere di restare arrabbiato con lei per quello screzio. Non c’erano scuse per continuare ad essere scortese. 
“Ti chiedo scusa.” La voce calda di Lyric interrupe i suoi ragionamenti “Per quella volta un mese fa e tutte quelle che sono seguite. Forse se non ti avessi trattato così male tu non ti saresti comportato di conseguenza.” 
Ok, ora non aveva proprio altra scelta. Gli aveva persino chiesto scusa in modo diretto. Tecnicamente non doveva più provare rancore nei suoi confronti. 
“Tu sei un idiota. Diglielo! Digli perché sei tanto scocciato che lei sia diventata amica di Bill!”
Tom scosse la testa per scacciare quella voce petulante dal suo cervello. 
“Senti vattene all’inferno e restaci. Qui faccio a modo mio.” Lyric lo guardò di sottecchi chiedendosi perché avesse assunto quella espressione corrucciata. Sembrava in pieno dilemma amletico. 
“Cazzi tuoi ma poi non venire a piangere lacrime di coccodrillo.” 
“Oh Cristo santo vuoi tacere?!” 
“Tom?”
Il rasta le porse una mano e sulla faccia fece comparire un sorriso, sincero. 
“Ricominciamo da capo, va bene?” le indicò la mano che penzolava verso di lei “Tom, piacere. Quindi saresti la nuova amica di mio fratello?” 
Che cominciasse tutto nuovamente da lì. Così si sarebbe tolto certi pensieri dalla testa. 
Lyric gliela strinse, mostrando a Tom per la prima volta un vero sorriso “Lyric, piacere. Tu devi essere il fratello un po’ scemotto di Bill, non è così?” 
Prima che potesse rispondere la vocina dentro la sua testa gli disse “Lo sai perfettamente che sarà un casino. Lo sentì fin nelle ossa. Andrà tutto a puttane.”
Tom la ignorò. 

***


Amburgo.
Giugno 2009.
 


Era sera. Due giorni dopo sarebbe iniziato il tour estivo del nuovo album e non avrebbe avuto neanche un attimo di respiro per pensare con tranquillità al passato. 
Il che, sotto un certo punto di vista non autolesionista, era un bene per la sua serenità mentale. 
Gustav sosteneva con fervore che era del tutto normale che lui fosse così tormentato e si tormentasse da solo. Il lato leggero e privo di ombre per lui l’aveva preso tutto quel pagliaccio di Tom durante la divisione in due parti dello zigote che li aveva prodotti. Aveva un modo tutto suo di consolare le persone, decisamente il suo caro amico batterista vedeva il mondo nel modo più realistico possibile. 
Bill fissò la sigaretta accesa, non era riuscito neanche a fumarne metà ed ora se ne stava lì a bruciarsi tra le dita. Il rosso luccicante del tabacco che veniva consumato era l’unica luce che illuminava il buio della sua stanza. Aveva preferito spegnere tutto e restarsene seduto sul proprio letto fissando il vuoto. 
Come suo solito non perdeva il vizio di cercare a tutti i costi il melodramma. 
Se non fosse stato troppo orgoglioso si sarebbe dato del patetico da solo. 
Era completamente solo nell’appartamento, il resto dei suoi conviventi aveva deciso di darsi alla pazza gioia della vita notturna. Il che significava che sarebbero tornati solo verso le cinque del mattino, se non venivano arrestati per qualche motivo. Per questo insieme al duo di scapestrati incalliti c’era naturalmente Gustav, il che significava che per fortuna di Tom e Georg non avrebbero fatto una capatina in qualche sede di polizia. 
Bill poteva quindi starsene ad incupirsi in modo teatrale senza dover sentire ridere o gridare atrocità ogni due secondi. 
“Se lasci andare la sigaretta in quel modo ti brucerai le mani.” Una risata soffiata arrivò alle sue orecchie. 
Bill sorrise mesto al vuoto di fronte a sé. 
“E poi io odio il fumo, lo sai.” Continuò quella voce con una leggera inflessione contrariata. 
Bill spiaccicò la punta della sua sigaretta sprecata sul posacenere del comodino “Contenta?” domandò alzando un sopracciglio. La voce mugolò un assenso. 
Bill espirò un grande e profondo respiro dai suoi polmoni mentre distendeva le sua gambe per intero sul materasso. 
“Ti fa male.” La voce ritornò a parlare, il che diede uno strano piacere al ragazzo. 
Le allucinazioni erano piacevoli. 
“Cosa? Il fumo?” domandò pur sapendo a cosa si riferisse. 
“No.” Bill voltò il capo alla sua destra trovandosi a faccia a faccia con un mare infinito “Vedere me.” 
Un sorriso molto dolce si materializzò sul viso della ragazza “Parlare con me che sono nella tua testa ti fa più male che bene.” 
Aveva una gran voglia di appoggiare la propria fronte sulla spalla di lei, ma si trattenne. Era molto realistica però era pur sempre un’illusione. 
“Però mi piace.” Fu l’unica cosa che Bill disse in sua difesa. 
“Il fatto che ti piaccia non significa che ti faccia bene. Se Tom venisse a sapere che parli da solo ad un’immagine fittizia del tuo cervello che cosa penserebbe?”
Una risata amara gorgogliò dalla sua gola “Che sono il solito coglione.” 
La mano di una Lyric sedicenne si protrasse verso una sua guancia mentre il suo sguardo percorreva il viso di lui con una luce amara nelle iridi. 
“Non dovresti stare attaccato alla mia immagine. Tra due mesi compi la bellezza di venti anni, dovresti lasciare perdere le cotte adolescenziali e cercarti qualcun’altra.” Come la Lyric vera quella immaginaria parlò in modo molto realistico e pratico. Suggerendogli la soluzione più conveniente per tutti. 
Naturalmente per la logica di Bill stava parlando a vanvera. 
“Te lo già detto. Io ti ronzerò attorno fino all’ossessione.”
Entrambe le mani di Lyric si posarono sul suo viso, avvicinò il suo. 
Bill cercò di ricordarsi che era tutto finto.
“Ma tu sei già ossessionato. Non va bene. Non va bene per niente.” La fronte di lei si aggrottò “Bill, io ti ho lasciato. Significa che non ti volevo più.” 
“Non è vero!” strinse i denti. 
“Sono andata dall’altra parte dell’oceano pur di non vederti più.”
“Non è vero!” strinse i pugni. 
“Come fai a dirlo?” 
Era bella. 
Davvero. Nessuno avrebbe potuto dire il contrario. A sedici anni, quando si erano lasciati e lei era andata via, aveva solo iniziato ad essere bella. 
Poteva solo immaginare come fosse ora che aveva vent’anni. Sicuramente, si diceva, doveva essere rimasta bella. Forse anche di più. Di certo i suoi occhi non dovevano essere cambiati. Quelli dovevano per forza essere rimasti così stupendi. 
Persino ora che fissava un ricordo richiamato alla luce non poteva evitare di ammirarli. Persino dentro un’allucinazione lui non poteva fare a meno di essere affascinato come il più imbambolato dei pesci. Pensava che era qualcosa di simile alle fan che riuscivano ad averlo a pochi metri di distanza. 
Anche loro sentivano il cuore lacerarsi da un’emozione troppo forte. 
“Lo dico perché quello che ti è uscito fuori è solo la mia paura. Tu non saresti così crudele da dirmi certe cose. Non me le hai dette nemmeno per liberarti di me quel giorno all’aeroporto. E poi sei solo un ricordo.” 
Il mare blu si illuminò d’improvviso di mille luci brillanti “Testardo fino alla fine, eh?” 
“A quanto pare…” un pollice di quella Lyric immaginaria era salito a toccare i contorno degli occhi di Bill, facendoli socchiudere al suo passaggio delicato. Il suo viso sempre più vicino. 
“Trovami e fammi cambiare idea. Sconvolgi la mia vita ancora una volta.” Ormai parlava ad un centimetro dalle sue labbra, sempre tenendo il volto di Bill tra le mani. Lui cercò di non distruggere troppo in fretta quella visione. 
“Te lo prometto.” Bill lo sussurrò proprio mentre le loro labbra si univano nel più delicato ed evanescente dei baci. Neanche un secondo per assaporare l’illusione del calore e del brivido che scorreva in ogni centimetro del suo corpo che era tutto finito. Riaprì gli occhi molto lentamente, cercando di non rimanerci troppo male quando una volta aperti non avesse visto più nulla. 
Era tornato tutto come prima. 
I rumori della strada fuori dalla finestra e il buio intorno a lui. 
Lei invece era tornata dentro la sua memoria.
 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6: Ciò che sta diventando importante ***



Capitolo 6
Ciò che sta diventando importante

 
 
 
I pensieri sono molto più complicati di ciò che diciamo ad alta voce.
Se ne stanno chiusi dentro i muri della nostra mente e là rimangono fino a che non decidiamo di tirarli fuori. I pensieri sono entità incorporee che esistono e sono innocue quel che basta a permetterci di avere dei segreti. Quando decidiamo di dargli vera vita, però, mutano natura e divengono insidiosi. Questo perché non si è certi di ciò che gli altri proveranno nel venirne a conoscenza.
Questa è la ragione che spinge le persone a tenere per sé certi pensieri piuttosto che altri, questo è il motivo per cui non esponiamo mai tutto ciò che ci frulla nella testa.
Sono l’unico legittimo diritto che ci consente di essere un po’ codardi.
Finché restano solo nostri, i pensieri, sono solo rapidi impulsi elettrici. Non possono ferire ne emozionare. Non possono mentire ne dire la verità.
Non posso uccidere, ne rendere felici.
Finché rimangono dove sono possono solo tormentarci oppure sollevarci dal peso di dover trovare del coraggio. Naturalmente ciò che possono o non possono fare dipende in tutti i casi dai nostri desideri e anche con quelli non è semplice districarsi.
E i suoi desideri?
Cosa chiedevano? Cosa gli dicevano di fare?
Cosa volevano?
Era difficile dare una risposta, era difficile perché persino i suoi desideri erano decisi ad essere in un perenne stato di confusione. Sotto un certo punto di vista poteva scordarselo il concetto di ordine mentale.
Le sagome di un paio di rughe stizzite lambirono silenziosamente la sua fronte, facendo assumere ai suoi tratti facciali un'espressione infastidita. Scosse la testa come uno che stava sopportando da troppo tempo una zanzara che insistentemente gli stava girando attorno.
Ecco. Questa era proprio la faccia di Bill mentre camminava con lo zaino in spalla e le gambe che si muovevano frettolosamente verso l'uscita della scuola.
Temeva di non arrivare in tempo per salutarla.
Si fermò pochi secondi davanti ad una delle finestre del secondo piano che davano sul cortile principale, percorrendo velocemente lo spazio circostante alla ricerca della sua amica. Un'onda di sollievo palpitò nel suo petto quando riuscì a scorgerla, seduta su una delle panchine di pietra disposte sotto gli alberi. Ricominciò a camminare.
Lei gli aveva detto che lo avrebbe aspettato quindi non c'era nessuna ragione per cui essere così affrettato.
Eppure accelerò il passo. Non si poteva mai sapere quale tipo di imprevisto potesse capitare nei pochi minuti che lo dividevano nel raggiungerla, qualunque cosa poteva succedere e con tutta probabilità tale cosa gli avrebbe impedito di darle il saluto.
Naturalmente era un'idea assolutamente fantasiosa nata nella sua mente e ciò giustificava certi suoi comportamenti. Tom aveva preso a dire che era totalmente ammattito quando si trattava di lei.
Bill non sapeva se il gemello dicesse certe cose solo per dilettare il mondo con le sue batuttine o fosse realmente consapevole di quello che diceva. Fino a quel momento avevano evitato entrambi di porre risposte alle domande che scorrevano così vicine alla superficie della realtà. Come suo solito Bill aveva lasciato che il suo vizio di facilitarsi la vita avesse la meglio sul senso di correttezza.
Lui non era mai stato il tipo di persona a cui riusciva facile non essere un po' egoista.
Fino a quel momento, nella sua breve e giovane vita, ciò che era sempre contato molto più di tante altre cose era stato il suo sogno.
Il suo sogno era la musica. Lui desiderava a tal punto quella vita, quel futuro da non aver mai nascosto la determinazione mostruosa che lo accompagnava. Per quel sogno era sempre stato disposto a fare qualunque cosa, a combattere in tutti i modi, a sotterrare chiunque e qualunque cosa. L'egoismo era un riflesso di quella determinazione.
Ovviamente ne aveva sempre avuto un po' dentro di se di egoismo e Bill trovava facile comportarsi seguendo quella parte poco virtuosa della sua persona.
Come precedentemente detto, lui aveva il vizio di essere egoista e ciò gli permetteva di vivere più facilmente. Perciò aveva sempre trovato naturale evitare quei discorsi con Tom, inoltre neanche il fratello aveva avuto la spina dorsale di tirare fuori tutti i pensieri che si annidavano così bene sotto il coperchio. Anche lui aveva deciso di facilitarsi la vita.
I suoi pensieri, così rumorosi e fastidiosamente esaltati come il loro proprietario, saltarono ancora una volta nel silenzio imposto della sua mente. Si strinse la mascella, battendo il palmo della mano contro la sua fronte. Di solito quei pensieri lo colpivano sempre quando lui meno se lo aspettava, cercavano sempre il momento più propizio per un colpo basso in piena regola. Bill gli ordinò di starsene immediatamente zitti.
Si immaginò che quelli gli rispondessero con una pernacchia prima di darsi alla fuga nella macchia, tornando temporaneamente nell'ombra prima del prossimo attacco.
Stupidissimo cervello...”  pensò mentre la sua gamba varcava finalmente l'ingresso della scuola e un luminoso sole d'aprile accarezzava con calore le sue guance. L'aria limpida della primavera appena sbocciata attraversò i suoi polmoni e la felicità di essere uscito dalla sua prigione lo fecero sorridere.
Mancavano pochi passi e l'avrebbe raggiunta.
Pensò al modo migliore per sbucarle accanto, pregustando col pensiero il momento in cui avrebbe scandito il suo nome ad un centimetro dal suo orecchio, facendola così spaventare. Questo gli sarebbe riuscito visto che quando lei era soprappensiero era completamente in un altro mondo. Inoltre lei aveva lo sguardo abbassato su di un tomo tenuto sopra alle gambe incrociate. Non avrebbe neanche notato che si sedeva al suo fianco. A pochi metri dalla panchina finalmente Bill cominciò a rallentare.
Come le avrebbe fatto presente la sua presenza? Forse poteva sedersi e poi avvicinare il suo viso giusto la distanza di sicurezza per chiamarla. Oppure avrebbe potuto ticchettare su una spalla e poi appoggiare infantilmente una guancia su questa.
Non fece niente di queste cose, si limito a seguire il proprio corpo che era istintivamente partito senza che lui gli desse alcun comando. Si fermò in piedi dietro di lei. Qualche secondo e vide un suo braccio allungarsi e le sue lunghe dita raggiungere delicatamente i boccoli d'ebano al lato della sua faccia, percorrendoli poi nella loro lunghezza.
Pronunciò il suo nome molto piano “Lyric...”
Lei alzò di scatto la testa e si girò. Un sorriso raggiante lo accolse a braccia spalancate.
“Bill!” esclamò con voce luminosa.
“Scusa se ti ho fatto aspettare.” disse il ragazzo mentre ordinava a se stesso di non indugiare troppo tra i suoi capelli. Farle capire che ne aveva una fissazione quasi ossessiva (paragonabile solo a quella che aveva per i suoi di capelli) era l'ultima delle sue intenzioni.
Bill fece precipitare al suolo il suo zaino e si sedette sulla panchina di pietra mentre Lyric chiudeva il libro che prima stava studiando con grande attenzione.
“Non è stata una lunga attesa.” lei sorrise gentilmente “Allora, Herz ti ha fatto un predica coscienziosa sul perché che non devi continuare a seguire così insensatamente la strada della rockstar?”
Bill sbuffò irritato al ricordo di quello che era avvenuto mezz'ora prima. Fu una risposta più che eloquente che naturalmente fece ridere Lyric d'allegria. Una cosa che le avrebbe sempre messo il sorriso sulle labbra erano le espressioni del volto di Bill, era sicura che non sarebbe riuscita a scordarsene neanche una. Tutte egualmente così uniche.
“Ti assicuro che questa volta è stato peggio del solito, credevo che mi avrebbe legato con una catena pur di farmi stare lì fino alla fine del suo discorso! Urgh...” il suo rantolo di ribrezzo fece scaturire un'altra gioiosa risata nell'amica “Mi chiedo perché mi abbia dovuto torturare quando io volevo solo il dannato permesso che avevo richiesto.”
“Suppongo che pensi che tu sia ancora recuperabile.”
“Uhm?”
“Beh, mi sembra ovvio. Tu rispetto a Tom.” Lyric fece una pausa per rimirare la perplessità negli occhi di Bill “Il preside con lui ci ha rinunciato, con te pensa ancora di poter fare qualcosa o almeno è quello che crede.”
“Oh!” esclamò con tono sarcastico “Beh mi dispiace distruggere le convinzioni di un vecchio ma sono molto più irrecuperabile di Tom. Io non ho proprio vie di ritorno. Non mi convinceranno mai a preferire la scuola alla musica.”
Lyric e Bill scoppiarono in una risata.
Non c'era quasi più nessuno a scuola, di fatti le lezioni erano terminate quaranta minuti prima. Ciò significava che aveva sprecato trenta minuti della sua vita a sentire il vecchio fargli una paternale solo per poter ricevere infine un cavolo di permesso. La burocrazia era uno schifo.
“Quanto tempo starai via questa volta?” chiese Lyric quando le risate cessarono. Bill non poté evitare di aprire il volto ad un'espressione di pura esaltazione.
“Un'intera settimana!” batté le mani alla velocità della luce, facendole rumoreggiare in un clap-clap frenetico “Starò lontano dall'inferno per ben una settimana!” uno dei suoi sorrisi spacca mascella comparì sul suo volto.
“Dove andrete?” domandò lei diventando stranamente meno entusiasta di un secondo prima.
Sapeva perfettamente che sette giorni non erano tanti ma non riusciva a provare quella ingrata sensazione di afflizione.
Bill sembrò accorgersi di quel repentino mutamento ma non chiese nulla perché conoscendo Lyric non sarebbe riuscito ad estorcerle niente senza il suo consenso.
“Ad Amburgo. Andremo a registrare le versioni migliorate delle precedenti canzoni e contemporaneamente inizieremo con le ultime che abbiamo creato.” gongolò ancora un pochino nel dire quelle cose, la prospettiva di passare giorni interi senza vedere la scuola e nel contempo immergersi nel suo elemento lo rendevano più euforico di quanto già normalmente non fosse.
Lyric assecondò l'umore di Bill sorridendo sinceramente contenta per tutti loro ma l'aver ricevuto conferma di una separazione così lunga rendeva il futuro di quel sabato ancora più esasperante. Sentì il suo cuore sussultarle nel petto.
Socchiuse gli occhi.
Per quanto fosse migliorata in quei mesi, grazie alla compagnia di Bill e di tutti gli altri, il lato debole di se stessa non aveva intenzione di abbandonarla. Aveva ancora giornate no in cui diventava intrattabile e irraggiungibile a chiunque e momenti di panico scaturiti dai ricordi ancora così vicini di quasi un anno prima.
Riusciva a parlare di sua madre senza tremare, riusciva a parlare della sua vita passata senza agitarsi, riusciva persino a pensare al passato senza versare nemmeno una lacrima eppure certe cose non aveva ancora la stabilità per affrontarle.
Ciò la infastidiva abbastanza.
Sentì il calore famigliare di una mano intrecciare le proprie dita con le sue. Ebbe un altro sussulto al petto ma questa volta aveva un'origine diversa. Era piacevole.
“Va tutto bene?” cosa poteva rispondere quando Bill sfoderava quella voce realmente preoccupata e quegli occhi così ipnotici.
Lui aveva fatto veramente troppo per lei.
Lui l'aveva salvata troppe volte senza mai chiedere nulla in cambio, detestava doverlo fare impensierire in quel modo. Mostrare con estrema evidenza che Bill era la sua ancora di salvezza era da veri egoisti.
Infondo non era poi tanto diversa da sua nonna, usare gli altri che le stavano attorno per stare bene riusciva molto semplice anche a lei. Strinse un po' più forte la mano di lui esibendo il più falso e riuscito dei sorrisi rassicuranti.
No, non lo avrebbe fatto preoccupare.
Non doveva per forza trascinarlo sempre nei suoi problemi. Bill doveva pensare a realizzare il sogno che inseguiva da tutta la vita.
Lyric lo avrebbe sostenuto in questo per ringraziarlo di tutto quanto.
Voleva che fosse felice, la persona più felice del mondo. Così da bilanciare tutto il debito che aveva nei suoi confronti. Non sarebbe stata lei ad ostacolarlo, in nessun modo, nemmeno con i suoi sentimenti.
Per aiutarlo in questo avrebbe fatto qualunque cosa, persino mentire.
“Sì, tutto a posto. Stavo solo pensando che dovrò restarci da sola all'inferno.” Bill non parve molto convinto. “Sul serio, Bill. Era solo questo e poi mi stavo rimproverando di essere un po' troppo egoista.”
Questa volta ci cascò in pieno. Bill scosse le loro mani intrecciate come a negare.
“Nono, non sei per niente egoista. Questo non è uno dei tuoi difetti. Tu pensi sempre troppo agli altri, per questo credo che se ti lasciassi fare saresti persino in grado di morire in solitudine, se questo significasse non far soffrire qualcuno.”
Lyric lo fissò con il grande desiderio di confidargli ogni cosa ma si trattenne con molta bravura.
Ci teneva che Bill partisse senza che si preoccupasse per lei.
Ci teneva veramente.
“L'egoismo non è uno dei miei difetti...” Lyric puntò intenzionalmente a cambiare discorso “quindi quali sarebbero i miei difetti?”
Bill fece uno di quei sorrisi maliziosi, uno di quelli che piacevano tanto alla popolazione femminile della scuola ma che nessuna avrebbe mai ammesso di adorare.
Fortunatamente Lyric non ne subiva troppo l'effetto.
“Beh, come tutti hai dei difetti e non starò qui ad elencarteli. C'è ne uno però che mi piace.”
“Ne hai uno preferito?” Lyric si sorprese.
“Di te, sì.” Bill rise vedendola tenere le labbra leggermente aperte dall'incredulità. Il sole in quel preciso momento illuminava una parte del suo volto, così da permettergli una visione nitida dei suoi occhi completamente accesi dalla curiosità. C'erano un mucchio di cose che gli piacevano di Lyric, in cima alle prime cinque si trovavano quegli specchi di oceano.
“Non tenermi sulle spine...” protestò Lyric mollando il nodo tra le loro mani e dandogli poi un colpetto sul palmo della sua. Bill fece un altro di quei sorrisi.
“Mi piace quel difetto enorme che tende a farti tenere tutto dentro e che poi ti porta a implodere.”
“Eh? Perché?” in quel momento Lyric aveva la stessa faccia di Bill quando gli aveva dato del buffo.
“Beh perché sono piuttosto narcisista.”
“Non è una risposta molto normale.” Bill ridacchiò
“Perché quando esplodi sono sempre l'unico che riesce a farti tornare normale. Quel difetto mi piace molto.”
Lyric parve cercare qualcosa con cui ribattere però pensandoci su non aveva detto niente di sbagliato. Le rimase solo da alzare gli occhi al cielo “Non è molto normale neanche questa come risposta però suppongo di dovermi accontentare.”
Bill rise di nuovo sotto i baffi ma smise quasi subito.
“A parte gli scherzi, sei sicura di non volermi dire niente? Anche se mi piace molto starti accanto quando sei del tutto intrattabile preferisco mille volte di più che tu non scoppi affatto.”
Quando diceva certe cose, in quel modo, Lyric era così sicura che Bill le volesse bene.
Ciò la faceva sentire sempre dannatamente bene.
La rendeva assolutamente dipendente e questo le faceva chiedere se era possibile essere intossicati dalla presenza di qualcuno.
'Intossicati'era sbagliato.
Assuefatta? No. Non era il termine giusto neanche questo.
Era più corretto definire ciò che sentiva come un bisogno costante.
Non ci vediamo dal giorno della tua partenza, credo che avremmo molte cose di cui parlare.” 
Il ricordo della telefonata di due giorni prima con suo zio Victor fece capolino in quell'istante. Naturalmente Lyric non diede a vedere che ci stava pensando.
Inoltre ho un messaggio da parte della nonna.” 
No, non glielo avrebbe detto subito.
Avrebbe aspettato che finisse il lavoro e che la cena che aveva da trascorrere con suo zio fosse passata. Per lui era più importante passare quei sette giorni unicamente pensando a cantare bene. Lei non sarebbe stata il suo disturbo.
Questa volta fu veramente un'espressione rassicurante a donarle calore al volto.
“Effettivamente ci sarebbe una cosa.” Lyric si protese verso di lui, circondando le sue spalle con le braccia e stringendolo in un abbraccio che ammetteva essere più per se stessa che per Bill.
Lui ricambiò “Metticela tutta ad Amburgo.” gli mormorò all'orecchio prima di posare la fronte contro la pelle calda del suo collo.
Bill chiuse gli occhi. Sfiorò con le punta delle dita il velluto nero della chioma di Lyric, cercando di cacciare via l'eco dei pensieri molesti che stavano caricando verso di lui.
E Tom?”
A quanto pare uno di quei pensieri riuscì a sfuggire al suo controllo, Bill grugnì in protesta mentre aveva le labbra premute contro la spalla di Lyric. Lei non se ne accorse.
Il momento però venne interrotto.
“Siamo in un luogo pubblico e per di più alla luce del sole. Certe cose potreste aspettare di farle in un posto più appartato.” In quel momento Bill desiderò ardentemente di non avere un gemello.
Parli del diavolo e spuntano le corna...” 
Entrambi si staccarono dall'abbraccio con molta calma, per nulla imbarazzati. Lyric poi si rivolse a Tom con il solito ghignò di sfida che le spuntava quando Tom intendeva mettersi a discutere con lei.
Tom ricambiò allo stesso modo.
“Non credo di poter accettare una tale ramanzina da uno che pochi minuti fa si stava limonando Jessica Wagner sotto le scale anti-incendio, inoltre un abbraccio tra due amici non è osceno come scambiarsi la saliva attraverso un contatto ravvicinato di lingue.”
Il ghigno divertito del rasta si allargò mentre un suono basso gli uscì dalla gola: una risata ironica.
Diede una sbirciata di sottecchi a Bill per carpire se il gemello avesse intuito la ragione del suo divertimento.
Naturalmente amici non era il titolo più giusto per ciò che erano quei due. Per quanto gli riguardava erano due finti tonti fatti e finiti, forse neanche tanto finti, andava benissimo dire due tonti.
Ancora più corretto era la definizione di uno che tergiversava (questo era Bill) mentre l'altra era, beh, solo molto difficile da capire.
Tom piegò le gambe per abbassarsi alla stessa altezza di Lyric, osservando però il suo viso dal basso “Mi stavi forse spiando?” lo disse con fare molto divertito, la domanda in tutti i sensi alludeva a qualcosa di preciso. Lyric, ormai abituata a quel tipo di riprese a doppio senso, si mantenne calma e rilassata. Vagamente allegra per il fatto che Tom non la smetteva mai di punzecchiarla.
“No. È che appena mi sono seduta sulla panchina ti ho visto di sfuggita mettere le mani addosso alla tua ignara vittima e cimentarvi in un nuovo tipo di esercizio per l'apnea.”
Il rasta rise “Oh, Jessica Wagner è stata tutto fuorché una ignara vittima! Direi che è stata una complice molto più consenziente di quello che credi. Diciamo pure che il piano malefico per conquistare il mondo era partorito dalla sua mente.”
Lyric ticchettò contro la fronte del ragazzo come a controllare se c'era dentro qualcosa al suo cranio o, come presumeva, lo spazio fosse irrimediabilmente sprecato dal vuoto “Tu dirle di no, vero? Potevi aspettare anche tu di essere in un luogo più appartato e non venirmi a dire che le scale anti-incendio lo sono.”
Tom lanciò un altro sguardo verso Bill, lo vide ridacchiare anche lui “Dammi una sola buona ragione per cui avrei dovuto rifiutare?”
“Lo sai che Tom è in pieno fervore ormonale.” rispose Bill al posto di Lyric. Lei rise mentre Tom con un movimento veloce si mise a sedere sulla panchina, tra loro due.
“E poi dovevo pur passare il tempo mentre aspettavo che Bill prendesse quel cavolo di permesso.”
“Di cui dovevi occupartene tu!” gli fece notare il fratello, l'altro fece finta di non averlo sentito.
“Limonare con Jessica Wagner era per te il modo migliore di passare il tempo?” chiese lei guardandolo con una strana espressione negli occhi. Bill sgranò impercettibilmente i suoi.
Ne Tom, ne Lyric lo notarono.
“Allora, prima di tutto qualunque maschio adolescente...anzi no...qualunque maschio di qualunque età e orientamento sessuale trova che baciare qualcuno sia il modo migliore del mondo per passare il tempo. Secondo, se era una domanda implicita sul fatto che non sia venuto a farti compagnia e aspettare insieme l'arrivo di Bill, ti assicuro che l'avrei fatto volentieri se non ti avessi vista così concentrata a leggere quel libro. Non volevo disturbarti, una volta tanto.” ammise Tom.
Lyric scosse la testa, nascondendo in modo stentato un sorriso. A volte si chiedeva se Tom dicesse certe cose solo per farla ridere o fosse realmente consapevole di quello che intuiva. Doveva ricordarsi di non sottovalutarlo troppo.
Certe cose che non voleva dirgli in nome di quella sincera amicizia che era nata tra loro aveva paura che lui potesse scoprirle. Che lui le sapesse già.
Voleva proteggere anche quel legame dai suoi desideri egoistici.
“Quindi è stata un premura nei miei confronti?”
“Già-già nelle più nobili delle mie intenzioni.” confermò lui annuendo con convinzione.
Lyric scambiò un'occhiata poco convinta a Bill e poi rise.
Il suono di un clackson catturò la loro attenzione. Una gigantesca macchina nera si era materializzata dinanzi ai cancelli della scuola e Tom come suo solito non poté evitarsi di sgranare le pupille come un bambino davanti a una torta gigante di cioccolato ricoperta di panna, la visione della cadillac di Lyric gli provocava sempre una contenuta esaltazione.
“Oh accidenti! Non mi ero accorta che fosse così tardi.” Lyric saltò in piedi, prendendo la tracolla dei libri che aveva abbandonato a terra.
“Devi già andare?” chiesero all'unisono i gemelli. Tom con sorpresa mentre Bill con delusione.
Lyric annuì, restando in piedi di fronte a loro, indecisa “Ho le lezioni private di francese e latino tra venti minuti e se arrivo in ritardo la professoressa mi farà una testa così sul fatto che bisogna rispettare gli orari prestabiliti.”
“Una che è imbottita di soldi come te li va a sprecare in lezioni private di latino e francese. Mi sembra al quanto fuori di testa.” Tom rimostrò la sua contrarietà.
“Prima di tutto a me piace studiare lingue, anche se una di queste è morta...” precedette quello che Tom stava per dire “inoltre credo di poter decidere da sola come spendere il mio denaro.” Lyric fissò qualche secondo le punte delle sue scarpe “Poi non faccio solo questo. Le lezioni di lingue sono perché devo per forza finire i corsi che avevo cominciato un anno fa, odio tenere in sospeso qualcosa poi c'è il mio corso...oh accidenti! A forza di parlare con te sto perdendo ancora più tempo.”
Tom parve contento della cosa “Di sicuro non sono io che come al solito deve fare la saccente e spiegare sempre tutto per benino. S-c-e-m-a.” scandì l'ultima parola con molta attenzione, senza dimenticare di mettere un accento di derisione in ogni lettera.
In tutta risposta Lyric gli diede un colpetto in testa scandendo a sua volta la parola idiota poi rivolse la sua attenzione a Bill.
Lyric era tormentata dalla prospettiva che quello sarebbe stato l'ultimo saluto prima di una separazione di sette giorni. Cercò di farsi coraggio e pensare che infondo il sabato sera a cena con suo zio Victor non poteva andare così male. Qualunque cosa sua nonna avesse recapitato come messaggio non doveva per forza essere tremendo.
“Cercate di fare i bravi ad Amburgo e fate un buon lavoro, d'accordo? Ed evitate di tormentare troppo Georg e Gustav.” mentre lei augurava questo entrambi i gemelli si erano alzati dalla panchina.
“D'accordo mamma.” rispose Tom senza perdere un secondo la sua indistruttibile aria da spaccone “Faremo i bravi, anche se non ti assicuro di poter trattare bene Georg. Lui se le va a cercare.” nel dirlo si avvicinò a lei per abbracciarla. Lyric rispose senza esitazioni. Dietro di loro Bill rimase immobile.
Quando quei due si divisero Lyric fece un passo verso Bill per poter stringerlo a sua volta, poiché lui fece lo stesso identico passo verso di lei, con il medesimo obbiettivo, si scontrarono a mezza via. Rimbalzarono leggermente quando i loro corpi si toccarono.
“Bill...”
Il ragazzo mugugnò tra i suoi capelli per farle capire che l'ascoltava “ci vediamo tra sette giorni...” Bill sorrise lasciando libero un sospiro che giunse fino all'orecchio di Lyric.
“Promesso.” disse di lui, appoggiandole un caldo bacio sulla guancia. Si staccò da lei consapevole che non poteva trattenerla in eterno.
Le curve della bocca di Lyric si velarono di molta dolcezza quando incontrarono gli occhi un po' liquidi di lui. Gli accarezzò una guancia con un piccolo sbuffo simile a quelli che si fanno alle gote di un bambino paffutello, prima di voltarsi verso la sua macchina e cominciare a correre.
Una volta salita in auto, ebbe il tempo di un ultimo saluto con la mano prima di sparire dalla loro vista a grande velocità.
Mentre l'ultimo scorcio del fanale posteriore della cadillac scompariva Tom si girò a guardare Bill con un'espressione indecifrabile.
“Che c'è?” domandò lui sentendosi infastidito da quel modo di osservarlo.
Tom si corrucciò a sua volta per il tono della domanda “Niente.”
“Allora perché mi guardi così?”
“Così come?”
“Come se fossi stupido.”
“Io non ti sto guardando come se fossi stupido, ti sto guardando...” Tom cercò la definizione migliore ma non trovandola rimase zitto per parecchi secondi.
“Allora?” Bill gli diede un pugno su un braccio. Tom strinse le mascella in una specie di ringhio muto.
“Niente...mi sono sbagliato...ti sto proprio guardando come se fossi stupido.”
Bill roteò gli occhi sibilando un “Cretino.”
Con lo zaino in spalla cominciò a camminare verso i cancelli, suo fratello lo seguì a pochi passi di distanza. Una volta allontanatesi dagli edifici scolastici Tom riaprì nuovamente la bocca.
“Secondo te Lyric troverà prima o poi un ragazzo? Non ci metteranno molto a notarla e prima che riusciamo a capirlo non sarà più libera...” Bill si fermò di scatto, voltandosi verso il fratello in un movimento innaturalmente veloce.
I suoi mille pensieri fastidiosi esplosero all'unisono dentro il suo cervello.
“Cosa diamine vorresti dire?” Tom vide in Bill uno sguardo assolutamente sconvolto.
Ne fu stupito.
Sgranò a sua volta le pupille, così che l'uno sembrava il riflesso dell'altro.
Non avevano mai fatto questo discorso, non gli era mai balenato nel cervello di poterlo fare visto che sia da parte sua e che da parte di Bill c'era il chiaro desiderio di tacere qualunque cosa al riguardo.
Però questa volta non era riuscito a trattenere la domanda che lo assillava quasi sempre.
Perché diamine quel deficiente non si dava una mossa? Perché di certo non poteva uscirsene fuori con la storia che era tutta una sua impressione. A malapena non lo notavamo gli estranei, figuriamoci lui che era il suo fratello gemello. Forse gli altri non se ne accorgevano subito e non lo vedevano con immediatezza visto che Bill riusciva a darsi comunque un margine di contegno ma Tom, in tutto ciò che riguardava l'altro Kaulitz, non era di certo ceco.
Come la guardava sempre, come le sue espressioni fossero così diverse e uniche solo per lei, come le parlava e come si combatteva per non lasciarsi andare, tutte queste cose, ogni cosa, era troppo evidente per lui che era nato e cresciuto assieme a Bill.
Tom sistemò la bretella dello zaino sulla spalla, anche se non c'era motivo per farlo.
Voleva un bene incomparabile a Bill. Assolutamente imparagonabile.
Era suo fratello. Il suo gemello. Era la persona più cara che avesse al mondo.
Qualsiasi cosa lo riguardasse, riguardava anche lui.
Qualunque cosa, sia la più grande delle idiozie o la più piccola delle preoccupazioni.
Quindi era naturale che gli importasse sapere perché si comportasse da idiota e non si facesse avanti. Infondo non si poteva trattare di timidezza, l'aveva già fatto altre volte. Neanche di paura di un rifiuto visto che Lyric non sembrava così contraria, anche se dubitava che quella avesse avuto il minimo pensiero al riguardo.
Allora cos'era? Cosa era diverso dalle altre volte.
Oh sì, certo! Il finto tonto è solo Bill. Quanto sei coglione. Lo sai da solo cosa c'è di diverso.” 
“Tom!” Bill lo richiamò dal suo silenzio. Era stato più zitto del dovuto.
Ora sul volto del moro c'era come nota d'ansia, aggiunta a quelle precedente di shock.
Tom si stupì anche di questo.
“Bill, che c'è?” chiese confuso.
“Io...” pronunciò piano l'altro “...no, sei tu che dovresti dirmi che c'è! Cos'era quella tua uscita di prima?”
Lo sai...lo sai molto bene. Tergiversi molto più di lui e lui sa che stai tergiversando anche tu. Ma infondo sai anche quale è la cosa più giusta da fare. Quindi...” 
Tom fece spallucce “Eh? No, niente.” scosse il capo “Rimuginavo sul fatto che se accadrà mai, forse, diventerà meno isterica se ci sarà qualcuno a distrarla. Non credi?” gli rivolse due occhi molto innocenti, così tanto da convincerlo.
Bill deglutì della saliva, bagnando la gola che era diventata secca.
Borbottò una specie di verso sconnesso “Boh...lo vedremo quando accadrà, comunque è l'ultima cosa a cui sta pensando in questo momento. È ancora troppo presto per queste cose.” increspò la bocca “Non è ciò che vuole.”
Tom annuì per far capire che aveva capito. Forse era solo questo a bloccarlo, ragionamenti piuttosto logici. Eppure Bill ci stava un po' troppo male per i suoi gusti.
Comunque a Tom non piaceva la situazione.
Comunque Tom non capiva tutto.
Ovviamente non ci arrivava.
“Ah, beh se le cose stanno così. Andiamo che dobbiamo preparare le valige e poi dobbiamo uscire con Andreas.” Tom recuperò il suo solito fare entusiasta prendendo per una spalla il fratello. Bill sorrise timidamente “Se questa volta vi azzardate a farmi fare un'altra figura di merda perché vi fate beccare mentre comprare palyboy giuro che smetterò di chiamarti Tomi.”
“Non dire così che mi spezzi il cuore, fratellino!” il rasta si portò una mano al petto in modo teatrale.
Bill rise “Oh certo, certo. Fratellone.”
Mentre proseguivano a camminare e scherzare come loro solito in mezzo alla strada, il sole proseguiva a splendere vivace in quel giorno di aprile, incurante delle vicende che le persone affrontavano sulla terra che lui illuminava.
 
 

***

 
 
“Non venirmi a dire che non ci sia qualcosa sotto. Non prendere in giro la mia intelligenza.” dall'altro capo del telefono una voce maschile trattenne con garbo una risatina sottile. Freia cercò di farsi presente che quell'uomo era più astuto di quanto si poteva pensare.
“Freia non dovresti pensare che abbia un secondo fine in mente. Avevo solo molta voglia di rivedere mia nipote e visto che ho alcuni affari da compiere in Europa questa settimana ho pensato di approfittarne” il suono basso e profondo della sua voce avrebbe potuto benissimo convincere qualcuno a buttarsi da uno scoglio nell'oceano in tempesta.
E non era per niente una esagerazione.
Victor Alysei era nato con il dono sopranaturale di un carisma senza paragoni, chiunque lo avrebbe seguito in mezzo alle fiamme se soltanto lo avesse chiesto. Era quel tipo di uomo in grado di conquistare la fiducia di qualcuno senza dover mettere mano a qualche sotterfugio o stratagemma.
Si sapeva imporre agli altri, forse persino meglio di quanto sapesse fare sua madre, quindi lo si poteva definire molto più pericoloso.
Ne lei, ne Lyric si erano aspettati quell'invito a cena. Nessuna delle due avrebbe mai pensato di dover affrontare un Alysei così presto.
Sarebbe stato meglio che Victor avesse continuato a relazionarsi con la nipote solo attraverso telefonate ed e-mail, come di fatto facevano da ormai quattro mesi. Non poteva aspettarsi che un incontro teté-a-tetè si rivelasse rilassante e semplice. Lui faceva ancora parte di quella famiglia che aveva ridotto ad uno zombie la nipote che ora aveva a cuore come una figlia.
“Certo potrei anche crederti, mi costerebbe molto poco darti fiducia ma, sai, non posso sapere cosa succederà quella sera e tu rimani comunque il figlio di quella donna.” Freia sentì un'altra risatina trattenuta e per il fastidio picchiettò le sue unghie sulla lucida superficie della sua magnifica scrivania d'ufficio, un pezzo antico che aveva comprato durante un'asta di Christie's.
“Dal modo in cui lo dici sembra quasi che tu ti riferisca al diavolo.” Naturalmente Victor si stava divertendo molto più di Freia. Lui era il tipo d'uomo che trovava divertente sentire qualcuno rivolgergli parole d'astio nei confronti di sua madre. Si immaginava sempre la reazione che avrebbe potuto avere lei se fosse venuta a conoscenza di ciò.
“Ci sarebbe qualcosa di diverso?” questa volta l'uomo rise apertamente. La sorella del suo defunto cognato somigliava molto a lui. Di certo avevano lo stesso identico sentimento nei confronti di sua madre.
“Beh mia madre non ha ne un paio di corna, ne una coda e credo che il tridente sia l'arma che userebbe di meno. Opterebbe immediatamente per una bella spada affilata, così che la morte dei suoi nemici sia rapida e indolore.”
Freia, in un'altra occasione, avrebbe apprezzato l'ironia ma quello non era uno di quei casi. Lasciò che calasse il silenzio, così da far intendere la serietà della situazione.
Non aveva fatto una chiamata intercontinentale solo per ascoltare battutine, lei voleva dare un avvertimento.
Victor comprese e aspettò pacato che lei parlasse.
“Alysei, l'unica ragione per cui questo sabato ti permetterò di incontrare nostra nipote è che lei ha accettato. Lei voleva incontrarti, al di là di tutti i suoi dubbi e di tutte le sue parole, anche se dovrai dirle qualcosa di spiacevole per conto di tua madre. Te la farò incontrare perché lei lo desiderava ed io voglio solo permetterle di realizzare i suoi voleri.”
“Perché pensi che dovrà per forza essere spiacevole?”
“Fammi finire.” lo interruppe “Non mi interessa assolutamente sapere cosa hai da riferire, quando arriverà quel momento mi farò da parte per lasciarvi della privacy. Sarà poi Lyric a decidere se farmi partecipe oppure no. In tutti i casi non è ciò di cui mi importa.” Freia fece scattare i suoi occhi verso una cornice appoggiata sulla sua scrivania, sfiorando i contorni della immagine che essa custodiva “Potrà anche essere vero che vuoi solo rivederla e che il messaggio di tua madre non sia nulla di drammatico però mi permetterai di non avere nessuna fiducia al riguardo. Infondo siete quella parte della sua famiglia che la ridotta in uno stato terribile. Ancora adesso, qualche volta, urla ancora nel sonno. Quando sono venuta in america un anno fa, Lyric si stava spegnendo...”
Freia si fermò un secondo per raccogliere più determinazione nella voce “Ora invece è cambiata, è tornata a sorridere. È felice. Pur avendo perso la madre, pur trovandosi sola a soli quattordici anni, anche se in un modo imperfetto lei riesce a vivere. Non sopravvivere, vivere, riesci a comprendere quello che dico? È stupenda, Victor.”
E se loro avessero cercato di fare qualunque cosa per trascinarla nuovamente nella voragine da cui era risalita, allora Freia avrebbe scatenato l'ira di Dio per impedire una cosa del genere. A costo di provocare una faida tra famiglie, lei l'avrebbe protetta persino dalla metà del suo stesso sangue.
“Posso solo immaginarlo.” l'uomo sorrise amaramente e Freia non poté immaginare la dolcezza del sentimento che lo creava “Sapevo che sarebbe migliorata stando un po' lontana dall'ambiente degli Alysei. Per questo un anno fa ti avevo chiamato.”
Freia si strinse il profilo del naso con il pollice e l'indice della mano destra. Era vero. L'unica ragione che l'aveva portata in America era stata l'inaspettata chiamata di Victor Alysei quel giorno d'ottobre. Era stato lui ad informarlo che c'era assoluto bisogno d'aiuto. Era stata sua la proposta di diventare la tutrice legale di Lyric. Ma a parte ciò a Victor non doveva assolutamente niente.
“Io le voglio bene. Molto più bene di quanto una zia possa permettersi di provare per una nipote. Mi sono tenuta troppo tempo lontana da lei e sua madre in passato. Sono stata molto sciocca e ho lasciato che i miei sentimenti allentassero un legame importante ma ora persino io sono cambiata.” prese un grosso respiro cercando di scacciare il tremore che faceva capolino “Lyric è tutto ciò che mi rimane di mio fratello Sebastian. È ciò che mi ha lasciato da proteggere. Per lei sono disposta persino a dichiarare guerra alla vostra famiglia, il che equivale quasi ad un suicidio. Quindi...”
“Va bene. Ho capito.” Victor si era mantenuto tutto il tempo tranquillo, come se ciò che Freia dicesse non avesse la minima influenza su di lui “Stai tranquilla. Sarà solo una cena di rimpatriata in cui incontrerò mia nipote. Nulla di più e nulla di meno.” mentiva, spudoratamente. Ma perché agitare un leone quando dorme?
“Bene. Starò in guardia e vedremo se sarà così. Io ho detto tutto ciò che mi premeva farti sapere, se tu non hai niente da aggiungere concluderei la chiamata.”
Un'altra di quelle risate gorglianti si fece sentire “D'accordo. Allora ci vediamo sabato. Arriverò a casa vostra verso le venti.”
“Arrivederci Victor.” fu la risposta poco entusiasta di Freia.
Stava per interrompere la discussione posizionando il telefono al suo posto quando Victor la fermò.
“Freia, si ricordi che non è l'unica a questo mondo a voler bene a Lyric.” la donna notò il cambiamento. Le stava dando del lei. Era molto serio.
“Si sorprenderebbe nello scoprire chi e quante persone tengono a lei. Anche se non può comprendere ci sono persone che non hanno altra scelta che comportarsi in una certa maniera. I sentimenti sono molto più difficili di quanto uno possa credere, così come le varie situazioni che vengono a scontrarsi con tali sentimenti.” Freia lo percepì come un rimprovero alla sua poca sensibilità, come se le stesse dicendo che non ci aveva capito niente di loro.
“Anche io voglio bene a Lyric. È tutto ciò che mi rimane di mia sorella Eleonor. È una persona che ho promesso di proteggere, per quanto le difficoltà siano ardue, anche se vorrei solo preservare gli ultimi frammenti che mi rimangono...” si bloccò perché stava dicendo troppo. Victor questa volta rise della sua debolezza. Freia ne fu turbata.
“Cosa...?”
“Arrivederci Freia.” il suono della linea libera le diede una bruttissima sensazione.
Dall'altra parte del mondo, in un imponente ufficio al piano più alto di un grattacielo di New York, Victor Alysei fece girare la comoda poltrona di pelle nera verso l'ospite che aveva assistito a tutta la chiamata. Un vero caso del destino che sua madre Cassandra fosse stata nella stanza quando Freia Hörderlin l'aveva chiamato.
Anche se non ci fosse stata, l'avrebbe informata comunque in un secondo momento.
Il blu ghiacciato che la donna davanti a sé aveva al posto degli occhi lo guardava penetrandogli dentro.
“Preservare gli ultimi frammenti che mi rimangono?” la donna ripeté ciò suo figlio aveva detto con una evidente nota di biasimo. Victor sistemò la schiena contro la spalliera della poltrona esibendo un ghigno di scusa “Scusa, mamma. Mi dispiace di aver descritto ciò che senti senza il tuo permesso. Un errore, perdonami.”
Cassandra non mostrò di essere così contrariata “Cerca di trattenerti, Victor.” ogni volta che sua madre pronunciava il suo nome era come se sembrasse sul punto di dargli una specie di ordine. Ci era abituato. Il calore materno vero e proprio l'aveva sempre avuto solo per Eleonor.
Ma comunque le voleva bene.
Lui la conosceva molto meglio del resto dei suoi fratelli. Sapeva ciò che sentiva meglio di quanto Amelia e Vincent riuscissero a fare.
Sapeva il perché di certi comportamenti e la ragione di tanta freddezza.
Sapeva riconoscere un cuore costretto in un dilemma. Lo sapeva perché anche lui si trovava nella stessa situazione. Solo che ognuno di loro aveva preso vie diverse.
Le perdonava certe cose perché comprendeva la sua scelta.
Ognuno doveva pur reagire a suo modo.
 

*** 

 

_ Questa sera, nella piazza principale, ci sarà l’annuale spettacolo di fuochi d’artificio. Mi pare di avertene parlato una volta. Vuoi venirci? Daiiiiiiiiiii….per favore! Ti supplico! Ti scongiuro! Non puoi lasciarmi in balia di Georg e Tom, ho dovuto sopportarli entrambi per una settimana intera nella stessa casa. Ho bisogno di disintossicarmi.
Fallo in nome della nostra amicizia.
 
Ps: sono tornato prima del previsto e poiché mi sono ricordato all’ultimo momento di questo evento ho pensato che fosse una buona idea andarci insieme.
 
_ D’accordo. Per me non ci sono problemi, anche se arriverò sul tardi. Vado fuori a cena con mia Zia Freia e non so quando potrà finire. Se ti va bene aspettarmi, dimmi pure dove vuoi che ci incontriamo.
Sono felice che siate tornati.
 
_ Ok! Yeaaaa…allora ci troviamo davanti alla fontana della piazza adiacente a quella principale. I fuochi inizieranno intorno alla mezzanotte, avrai tutto il tempo per arrivare. Quando ci sei mandami uno squillo.
Ps: ti ho preso una cosa ad Amburgo.
Salutami tua zia e buona cena! Un bacio.

 
Rilesse ancora una volta i messaggi che si erano appena scambiati lei e Bill, sorridendo dell'entusiasmo che l'amico dimostrava per ogni cosa.
L'idea di poterlo incontrare subito dopo la cena con zio Victor la tranquillizzò un poco, facendo scendere la sua ansia a livelli più umani. In quella settimana si era consumata ogni giorno al pensiero che la cena del sabato fosse così vicina. A forza di vederla così tesa sua zia Freia aveva anche insistito per farla rimanere a casa ma Lyric aveva rifiutato dicendo che se non fosse andata a scuola avrebbe perso una grande fonte di distrazione.
Prese un grosso respiro lasciandosi cadere sul materasso morbido del suo letto e chiuse gli occhi per un tempo lunghissimo, sentendo i battiti di un cuore troppo agitato fare da sottofondo al freddo tatto dell'agitazione che passeggiava sulla sua pelle. Mugolò un “Urgh” sentendo un crampo strizzarle lo stomaco, riaprì gli occhi e si rimise a sedere.
Osservò il quadro che sua madre le aveva regalato, sbattendo le ciglia mentre le sue sinapsi si ricollegavano tra loro. Dopo un tempo più lungo del precedente decise che sarebbe scesa al piano di sotto per attendere l'arrivo di suo zio.
Prima però si diede un'occhiata al grande specchio a figura intera appeso ad una delle pareti della camera. Chissà quale sarebbe stato il commento di sua madre se l'avesse vista indossare quell'abito da sera, dopo tutto era stato uno degli ultimi regali che le aveva fatto prima di morire.
Sfortunatamente il cancro l'aveva colpita prima che ci fosse stata un'occasione per indossarlo e anche se c'erano state, Lyric era rimasta accanto alla madre in ogni momento della malattia.
Un sorriso triste si riflesse sulla superficie limpida dello specchio.
Era un bel vestito, sua madre aveva sempre avuto dell'ottimo gusto riguardo l'abbigliamento. Lyric ricordava come tutte le donne dell'alta società di Boston facessero a gara per superare il primato d'eleganza che sua madre Eleonor deteneva senza particolari sforzi. Ad ogni evento pubblico o privato che fosse Lyric ricordava gli sguardi di invidia e al con tempo di ammirazione che venivano rivolti a sua madre ogni qualvolta faceva la sua comparsa. Ricordava soprattutto le occhiate di divertimento che lei ed Eleonor si scambiavano, quei messaggi silenziosi tra madre e figlia in cui Lyric vedeva una persona che di quello che pensava l'altra gente non gliene importava proprio niente.
Sua madre era sempre stata ai suoi occhi una creatura speciale e credeva che tutti la pensassero allo stesso modo. Si poteva dire che l'espressione “nata con la camicia” fosse stata creata per lei e così ne era convinta Lyric.
Di certo Eleonor Alysei-Horderlin non era stata la donna perfetta e di sicuro non si era avvicinata alla perfezione, ma per quello che riguardava Lyric nel suo ideale di futuro c'era il desiderio di essere un come lei. Sicuramente nel coraggio e nella gentilezza, nella determinazione per i suoi ideali e per i suoi sogni e soprattutto nel calore che riusciva a sprigionare.
Ripensava a tutte queste cose mentre passava una mano lungo le pieghe dell'ampia gonna di organza bianco ghiaccio, estremamente morbido e fluente al suo passaggio.
Il taglio del vestito era all'imperiale: il bustino di velluto nero trapuntato da piccolissime perle candide con la sua semplice scollatura quadrata le avvolgeva il giovane petto non ancora del tutto sviluppato, lasciando completamente scoperte le spalle. Qualche centimetro più in basso, a dividere in due sezioni distinte le due parti del vestito e i due tessuti principali, c'era un nastro di seta che si allacciava dietro la schiena in un fiocco. Ciò che le piaceva maggiormente, però, era la gonna formata da due strati di leggera organza che le arrivavano a due centimetri dal ginocchio.
Indubbiamente era uno dei suoi abiti preferiti.
Con un altro grande respiro uscì finalmente dalla sua stanza, tenendo tra le mani lo scialle di cashmere avorio che avrebbe usato per coprirsi. Tacchettò maldestramente sulle scarpe nere più per l'agitazione che per una sua inesperienza con i tacchi e raggiunse il salotto.
Qui restò a sedere sul divano, stringendo uno dei braccioli con estrema forza, tanto da creare la sagoma delle sue dita strangolatrici sul tessuto rosso fuoco del mobile. Immersa nel silenzio e fissa in modo troppo guardingo verso le lancette dell'orologio.
Come avrebbe dovuto reagire nel rivedere zio Victor?
L'avrebbe abbracciato oppure sarebbe rimasta distante in un gelo da glaciazione?
Tutte le domande che si fece non ebbero più molto peso una volta che se lo ritrovò davanti, non contarono più nulla perché alla fine Lyric reagì d'istinto.
Quando alle venti spaccate (zio Victor era sempre stato l'uomo più puntuale dell'universo) il campanello di casa suonò Lyric saltò sull'attenti come se avesse avuto una molla sotto al sedere e si posizionò in piedi con il cuore che martellava a tutta velocità.
Sentì il passo regolare dei mocassini di vernice del maggiordomo Karl andare ad aprire, come suo compito, dietro di lui gli altisonanti tacchi a spillo di sua zia Freia. Ascoltò lo scambio educato tra suo zio e sua zia (riconoscendo la voce dell'uomo Lyric aveva stritolato lo scialle con estrema violenza) e poi come se si fosse risvegliata improvvisamente da uno stato di inattesa catalessi lo vide sorprendentemente dinanzi ai suoi occhi.
Immotivate lacrime punzecchiarono la base dei suoi occhi. Si sentì molto sciocca.
Il particolare e smaliziato sorriso di Victor Alysei accolse il primo sguardo di sua nipote dopo lungo tempo, un tempo talmente lungo che sentivano entrambi essere passati anni.
Il tempo di una vita passata.
“Bonsoir ma petite dame.” suo zio Victor la salutò nel solito modo di sempre, come se non fosse passato giorno senza che le avesse parlato in quel modo, inchinando elegantemente il capo come un vero gentiluomo d'altri tempi. Lyric si cullò nel piacere di riscoprire quel loro personale rituale e sorrise smagliante, ogni ansia scomparsa.
Prese i lati della gonna e fece un inchino, abbassando la testa e rialzandola in un movimento leggiadro.
“Bonsoir oncle Victor.” disse lei con un voluto accento francese un po' troppo marcato. Zio Victor rise gioiosamente e si avvicinò alla nipote, la tirò su con entrambe le braccia e l'abbracciò con tutte le sue forze.
Lyric rise con la medesima allegria, quasi come una bambina.
Freia, che si era tenuta in disparte, osservando la scintillante felicità della nipote pensò che infondo non era stata una brutta scelta accettare l'invito. Lì lasciò da soli il tempo di far preparare la macchina.
Intanto, in quella stretta famigliare, Lyric riconosceva sempre più lo zio adorato di sempre. L'uomo che quando da bambina piangeva la cullava. L'uomo che le aveva insegnato ad andare a cavallo e le aveva spiegato il concetto di noblesse oblige. L'uomo che era stato non solo uno zio ma anche un padre.
In quel momento lo aveva ritrovato.
“Allora...” disse suo zio lasciandola andare e guardandola dritta negli occhi “Prima di tutto buon compleanno.”
 

***

 
La cena stava andando meravigliosamente bene.
Quasi era incredula davanti a tanta inaspettata perfezione. Per questo stava aspettando da un momento all'altro il trabocchetto del diavolo. Se Lyric era ormai persa nella felicità del ritrovo, Freia rimaneva cautamente sull'attenti.
Lo zio di Lyric aveva prenotato uno dei ristoranti più lussuosi che si trovano nel dintorni di Magdeburg, in cui una persona con una unica cena poteva vedersi sfumare metà dal proprio stipendio, e con prenotazione non si intendeva un tavolo.
Aveva affittato per una sera l'intero locale. Ciò irritò particolarmente zia Freia che trovava tali dimostrazioni d'ostentazione veramente inadeguate. Però non disse niente perché quella era la sua serata e lei non doveva pensare a queste piccolezze.
Uno zio poteva permettersi di fare un regalo simile per il quindicesimo compleanno della nipote preferita, comprensibile volerle dare il meglio quando se lo si poteva permettere ad occhi chiusi. Per l'intera serata Freia cercò di mantenere un umore amorevole, soprattutto in nome di Lyric più che di qualunque regola di etichetta nei confronti dell'ospite.
Come detto stava andando tutto tremendamente bene.
Piatti buonissimi, servizio impeccabile e un'orchestra di quattro archi che aveva accompagnato la cena con la musica e che aveva suonato qualunque pezzo balenasse nella mente di quei due. Aveva notato che Lyric e Victor avevano richiesto i loro pezzi preferiti di musica classica, il che significava che in passato quei due avevano trascorso molto tempo insieme. In un momento della serata aveva anche provato un po' di gelosia, pensando che quell'uomo faceva parte della vita di Lyric da molto più tempo di lei. Però scacciò quel pensiero molto in fretta, perché si disse che aveva tutto il resto della sua vita per farne parte.
Il tempo era dalla sua parte.
Dopo che la gigantesca torta di compleanno venne mangiata la cena era arrivata ormai agli sgoccioli e Freia se ne sentì enormemente sollevata. Non provava una reale antipatia per Victor, era sempre stato il suo Alysei preferito (dopo Eleonor) quando Sebastian era ancora vivo, ma al momento non riusciva proprio a fidarsi.
“Perdonami se ho monopolizzato la serata.” disse Victor senza sembrare seriamente dispiaciuto, le verso un po' di merlot rosso nel calice di cristallo. Freia assottiglio gli occhi, portandosi alla bocca il vino, certa che almeno non avrebbe avuto il coraggio di avvelenarla con tanti testimoni al seguito.
Sbuffò interiormente riflettendo sul fatto che se mai avesse avuto il desiderio di ucciderla avrebbe potuto benissimo pagare qualcuno al suo posto. Non era il tipo da sporcarsi le mani di persona.
Con la coda dell'occhio guardò la sedia vuota di Lyric, era andata in bagno.
“Non preoccuparti. Sapevamo entrambi che questo era il tuo grande spettacolo. Sono venuta solo come spettatrice.” Victor si mise a ridere allegramente per poi posizionarsi a guardarla con un sorriso ammagliante. Freia si ricordò in quel momento perché Victor fosse uno degli scapoli d'oro più ambiti dell'alta società.
“Lyric deve aver preso da voi Hörderlin il suo sarcasmo.” Freia non parve assecondarlo visto che alzò teatralmente un sopracciglio. Victor ghignò ancora più divertito “Comunque sono contento che Lyric stia così bene.”
“E vorrei che lo restasse.”
“Ancora convinta che sia in missione per conto del male incarnato?”
“Tue testuali parole.” ribatté seccamente.
“Però avevi detto la verità.” Freia lo guardò con una muta domanda.
“Riguardo al fatto che fosse felice. È veramente stupenda.” Nel dire questo nei suoi occhi azzurri Victor fece risplendere la luce calorosa dell’affetto. Era felice che fosse felice.
Freia si ritrovò a sorridergli in modo sincero per la prima volta.
“Non è tutto merito mio, anzi, credo proprio che il mio aiuto nella sua ripresa sia stato minimo.”
“Davvero?”
“Sul serio. Ad aiutarla veramente sono stati i suoi nuovi amici…” si fermò perché indecisa se parlargli di qualcosa che di fatto erano affari di Lyric. Bevve un pochino di vino dal suo bicchiere, dicendosi che non doveva essere un problema riferire di una cosa così piccola “In particolare è stato il suo attuale migliore amico a cambiare la situazione. Non so di preciso cosa si siano detti, sai Lyric è riservata e questo deve averlo preso da voi Alysei…”
Victor colse l’irriverente battuta e ne rise “Già, rispettiamo il concetto di – i panni sporchi si lavano in casa-… che vuoi farci siamo una vecchia famiglia di origine puritana.” Alla donna sfuggì uno sbuffo di divertimento. Doveva ammettere che quell’uomo non aveva perso il suo naturale sarcasmo riguardo la sua famiglia.
“Comunque è soprattutto per la compagnia di questo ragazzo che lei ora è così. Sono molto in debito con lui.”
“Uhm…allora significa che lo sono anche io.” Una espressione molto criptica lo animò, chissà a cosa stesse pensando in quel momento “Come si chiama?”
“Bill Kaulitz. È un ragazzo molto intraprendente, al momento lavora attivamente per coronare il suo sogno di sfondare nel mondo della musica con la sua rock band. È appena stato ad Amburgo a registrare le sue canzoni.”
Era stata una fortuna che Lyric avesse conosciuto un ragazzo simile, uno che dimostrava un tale amore per tutto ciò che era la vita non poteva che essere la cura ideale per lei. Freia ne era convinta.
Victor strabuzzò gli occhi, sembrava che si stesse divertendo un mondo “Rock band? Oh santo cielo! Se mia madre venisse a conoscenza che sua nipote frequenta un tale persona le si accapponerebbe la pelle...”
“Beh non sono fatti della signora Alysei, questi.”
“Ti sbagli, per lei lo sono, infondo stiamo parlando della vita di Lyric.”
“Non so mai cosa pensare di quello che ti esce dalla bocca. Ho sempre la sensazione di non capire veramente ciò che mi stai dicendo.”
Victor prese il suo calice e lo alzò per farle capire che voleva fare un brindisi “Mettiamola così: metà di quello che dico è la più pura verità, l’altra metà sono solo calcolate menzogne. Sta agli altri capire la differenza.” Freia fece tintinnare i vetri, così che il liquido rosso Borgogna oscillasse all’interno dei calici “Questo non mi tranquillizza per niente.”
“Non sarà tanto orribile.” Se ne uscì lui con non chalance.
“Però sarà orribile?” A Freia non piacque il verso che aveva preso la conversazione.
“Non ti dispiace vero se l'accompagno io all'appuntamento con i suoi amici?” non le piacque quella improvvisa serietà nella sua voce. Era la stessa che lei usava quando, dopo un po’ di atmosfera scherzosa, si arrivava al punto culminante di una importante trattativa.
Il momento che decideva il destino dei suoi sforzi e di coloro che lavoravano per lei.
“Non hai l'auto.” fu la prima risposta che le venne in mente.
“Lo fatta portare un'ora fa. È parcheggiata qui fuori.”
“Non sai arrivarci.” si attaccò ancora alla prima cosa che le balenava nella testa.
“Ho il gps. Non preoccuparti e poi sei stata tu a dire che nel momento cruciale ci avresti lasciato della privacy, non vorrai rimangiarti la parola?” scacco matto.
Freia si arrese “D'accordo ma...”
“Non preoccuparti. Io le voglio molto bene.” Lyric era tornata.
Si sedette al suo posto con un sorriso molto entusiasta, ricambiato da uno sinistramente innocente di suo zio.
Freia fu catturata dall'insano desiderio di prendere di peso Lyric e scappare.
 

*** 

 
“Tomiiiii!!” il lamento squillante di Bill venne udito in quel momento da tutte le persone intorno a loro, alcune lo guardarono stupiti, altre (come Georg) ne risero.
“Ma ti sei rincretinito?” Tom gli diede un’occhiataccia, sapeva benissimo che quando lo chiamava in quel modo significa che si stava lamentando con lui e poiché lo conosceva molto bene sapeva anche per quale motivo si stesse lagnando “Avresti dovuto spiegarti meglio quando mi hai chiesto di prendertene uno o meglio ancora avresti potuto muovere le tue chiappe!”
Bill lo guardò nel suo solito modo. Quel misto di sconvolto e allibito che gli faceva spalancare gli occhi e arrossare le guance, così da rassomigliare verosimilmente ad un bambino piccolo in punto di scoppiare in un pianto spacca-timpani.
“Tu!” il gemello più piccolo punzecchiò il proprio indice contro la spalla del rasta, quasi come se Tom avesse pronunciato un ingiuria blasfema “Sei. Un. Idiota!”
“Te lo avevo detto che dovevi farti spiegare bene cosa voleva…” Georg parlò con la solita allegria che gli veniva vedendo i gemelli battibeccare come due vecchie pensionate tormentate dagli acciacchi dell’età. Naturalmente come al solito nessuno dei due gli diede ascolto.
Gustav imperterrito, ormai conscio di aver sviluppato una pazienza da Budda, masticava le sue patatine fritte come se a pochi centimetri da lui non stesse succedendo niente.
“Mi spieghi cosa cavolo non va in quello?” Tom indico lo spiedino di frutta ricoperto di cioccolato croccante che suo fratello gli aveva chiesto di acquistare per suo conto e che al momento era il motivo per cui il suddetto fratello ce l’aveva con lui.
“Mi sembra ovvio: queste non sono fragole!”
Tom sbatté le ciglia. Aveva capito bene?
“Ma tu avevi detto che volevi la frutta ricoperta di cioccolato, non che volevi le fragole in particolare.”
“Mi sembrava ovvio che io per frutta intendevo le fragole. A me la banana e l’uva fanno schifo!”
“…”
In quel preciso istante Tom fu tentato dal grande desiderio di fargli ingoiare lo spiedino. Il rasta chiuse gli occhi e con una grossa falcata diede la schiena a suo fratello, intenzionato a non dargli più neanche un briciolo della sua attenzione.
“Tomiiiii!!” un altro ululato lamentoso uscì dalla bocca di Bill.
Era insopportabile.
“Tomi un corno!” non aveva appena deciso di non cagarlo più? Il sangue caldo aveva avuto la meglio sul suo buon senso. Come sempre.
“Se ci tieni tanto a mangiare delle dannate fragole, vai a prendertele da solo!”
Bill assunse un muso supplichevole “Ma io devo stare qui ad aspettare Lyric…”
No, ora Tom non si sarebbe accontentato di fargli mangiare in un solo secondo lo spiedino, ora avrebbe voluto anche tirargli un pugno nello stomaco per avuto il coraggio di dire una cosa del genere con quell’espressione fastidiosa sul volto.
Tom si bloccò, come se fosse indeciso se saltargli addosso oppure no.
A fermare un’eventuale fratricidio ci penso Georg “Su Tom! Ci andiamo insieme a prendere le fragole per Bill. E intanto ci prendiamo anche due birrette, ok?” nel dire questo gli portò una mano sulla spalla, sorridendo sornione.
Tom annuì senza aprire bocca.
“Oh, grazie Georg!” Bill batté le mani cambiando nuovamente umore, mutevole peggio di una donna in menopausa, pensarono sia Georg e Tom “Prendine una anche per Lyric…”
“Agli ordini capitano!” Georg fece simpaticamente il gesto tipico dei soldati “Vuoi che ti prenda qualcosa anche a te?”
Gustav, completamente fuori da quello che era appena accaduto, scosse la testa “Nulla. Al massimo mi prendo qualcosa dopo.”
“Ok, Gus! Bene, bene…forza Tom, allo stand dei dolciumi ho appena visto passare il magnifico didietro di una ragazza…”
Tom si mise le mani in tasca “ Mi sembrava troppo strano che tu fossi diventato improvvisamente così gentile. Comunque lascia perdere! Non te la darà mai…”
“Ah no? Perché mai?” lo guardò con un’espressione allegra. Tom fece uno di quei sorrisi maliziosi, che al pari di quelli di suo fratello piacevano alla popolazione femminile (solo che lui poi la sfruttava questo debole nei suoi confronti) .
“Beh perché appena una ragazza vede me non mi può togliere gli occhi di dosso, naturalmente.”
“Ah sì? Ma quanto sei spaccone mio caro segaiolo seriale.”
Fortunatamente si erano allontanati abbastanza da permettere a Gustav e Bill di non sentire la risposta di Tom, però doveva essere stata una risposta con le rime poichè Georg aveva poi cominciato a rincorrere il rasta, già in fuga dentro la fiumana di gente accorsa all’annuale festival.
Bill sperò caldamente che al ritorno non si mettessero a fare lo stesso giochetto, le sue fragole avrebbero potuto cadere e in quel caso poi sarebbe stato costretto ad ucciderli.
“Cosa tieni nel sacchetto?” Gustav gli rivolse la domanda mentre masticava le sue patatine, per questo Bill per qualche secondo fu perplesso. Quando infine capì si mise a gongolare come uno scemo, dondolandosi sulle gambe “È un regalo per Lyric.”
Gustav fermò a mezz’aria una patatina per via di così tanto entusiasmo poi ebbe un lampo d’intuizione.
“Ecco, cosa hai preso quella volta, quando siamo andati in centro ad Amburgo. Infatti mi chiedevo perché fossi entrato in un negozio del genere.”
Si era ricordato di come lo avesse bloccato in mezzo al marciapiede e gli avesse chiesto di entrare in quel negozio. Si ricordò soprattutto la sensazione di pentimento per aver accettato di accompagnarlo a fare un po’ di compere mentre gli altri due dormivano beatamente nell’appartamento messo a loro disposizione.
Quel giorno aveva giurato a se stesso di pensarci due volte prima di dire di sì a Bill per una proposta di shopping.
Bill sorrise ancora più apertamente, stringendo la mano intorno alla plastica gialla della sportina. Era stato fortunato a trovare quel negozio visto che aveva pensato di essere perduto. Aveva creduto che non avrebbe trovato nulla di adatto da regalarle per il compleanno ma ringraziando il cielo qualcuno aveva deciso di dargli una botta di culo.
Si sarebbe dannato per sempre non le avesse portato qualcosa.
Era il primo compleanno di Lyric che passavano insieme e per nulla al mondo si sarebbe permesso di non farle almeno il regalo. Non capiva perché lei non ne avesse parlato durante quella settimana, attraverso i vari messaggi che si spedivano per via cellulare ma in ogni caso lui lo sapeva da tempo.
Aveva buona memoria riguardo a queste cose.
“Come mai hai scelto quello?” domandò Gustav.
“Beh, a lei piacciono quel tipo di attività…” mentre diceva queste cose lanciava alcune occhiate verso la fontana al centro della piazza, aspettando che lei comparisse da un momento all’altro.
“Davvero?”
“Sì, non sai che fissa assoluta che ha per tutto ciò che riguarda quelle cose. Si è iscritta ad un corso, due mesi fa…” prima di poter finire la frase ogni suo neurone ebbe una violenta depennata e si scollegò. Gustav lo vide imbambolarsi come un bambolotto di cera e per qualche secondo si chiese se non stesse male, seguendo poi la direzione dei suoi occhi vide cosa stesse fissando.
Lyric era arrivata, però non era sola. Se ne stava seduta tranquillamente sul bordo della fontana conversando con allegria con un uomo all’incirca sui trenta anni.
Erano entrambi vestiti elegantemente, soprattutto il signore, sembrava uno di quei modelli platinati appena usciti da una pubblicità.
“Tu sai chi è quell’uomo?” solo quando formulò quella domanda si accorse che Bill era già partito in quarta verso l’amica.
Zio Victor mi vuole bene, sì, mi vuole bene.” Da quando era scesa dalla macchina si ripeteva ad intervalli regolari questa cantilena. Come se fosse il sutra di una preghiera tibetana in grado di scacciare i demoni da una persona posseduta. Come se potesse essere la promessa del fatto che qualunque cosa lui stesse per dire o fare non le avrebbe fatto male.
Non dopo averla abbandonata quasi un anno prima. Non dopo averla lasciata sola.
Lui mi vuole bene, certo, mi vuole bene.” Ora che se ne stava seduta alla fontana, in attesa che Bill comparisse da un momento all’altro, e parlava così allegramente con suo zio lo sentì quasi subito.
Il suono di una lama silenziosa che le accarezzava la pelle, la sensazione di una ferita che stava per aprirsi. Sentiva che l’ansia dell’intera settimana, in quel preciso istante, dopo una serata magnifica, stesse tornando.
Capricciosa e litigiosa, la risata della sua vecchia bestia nera si fece sentire.
Lyric strinse i denti, cacciandola infondo a se stessa.
L’aveva sempre saputo che per quel verso non le sarebbe piaciuto rivedere suo zio. Lo sapeva perfettamente.
Zio Victor ti vuole bene…” questa volta a parlare dal fondo del suo subconscio non fu la sua voce mentale, no, quella era la voce di sua madre.
Sospirò, lei dopo tutto si fidava di lui.
“Lyric.” Il modo in cui lo disse le fece capire che il momento era arrivato. Alzò lo sguardo dai suoi piedi, accorgendosi solo in quel momento di averli abbassati da parecchi minuti. Un sorriso triste e tirato nascose i suoi reali sentimenti.
“Allora, cosa dovevi dirmi da parte della nonna?” diretta, naturalmente in questo era uguale ad Eleonor, pensò Victor sedendosi affianco a lei sulla pietra rosata della fontana.
Guardò distrattamente la folla di persone che a qualche decina di metri da loro rumoreggiava chiassosamente intorno a bancarelle di cianfrusaglie e stand di cibarie. Era un’atmosfera allegra, tipicamente da festival di una cittadina di provincia. Decisamente quella vita sotto molti aspetti era diversa da quella che Lyric aveva vissuto a Boston.
Peccato che lei rimanesse una Alysei.
Zio Victor si voltò verso di lei, spostandole una ciocca di capelli dal volto. Nel chiasso di tutte quelle persone, lui si avvicinò al suo orecchio per dirle tutto in una volta sola, per non dover ripetere ogni cosa.
Certamente era l’ultima cosa che Lyric aspettava di sentirsi dire.
Naturalmente, presa come era dal significato di quelle parole, non riuscì a controllare l’andamento del suo respiro. Il panico l’aveva immediatamente catturata.
Quando poi suo zio concluse il discorso le mise tra le mani un sacchetto di broccato rosso sangue chiuso da un filo d’orato, Lyric ansimava. La ragazza fissò completamente in trance il piccolo pacchetto, con la sensazione di essere stata presa in giro.
Lo lasciò cadere a terra e poi si alzò di scatto guardando suo zio con confusione. Doveva apparire come qualcuno a cui avessero appena detto che sarebbe morto presto.
“Tutto bene?” l’uomo si mantenne estremamente calmo.
Si aspettava che lei reagisse in quel modo.
“Tutto bene? Ma che razza di domanda è?!” Lyric digrignò i denti cominciando a scuotere la testa, in un impeto di completa isteria gli lanciò addosso lo scialle che gli ricopriva le spalle “Detesto il tuo modo di scherzare…lo detesto veramente tanto. Non posso credere che la nonna dica sul serio!” pestò il tacco nero delle sue scarpe sulla pietra del suolo, desiderando di farci un buco dentro.
Zio Victor sospirò, ancora assolutamente calmo, in quelle situazioni aveva il sangue freddo di sua madre. Era il figlio che le assomigliava di più dopo tutto.
“Sai perfettamente che la nonna non scherza mai.” Si alzò da dove era seduto e la fronteggiò in tutta la sua altezza. Le appoggiò nuovamente lo scialle sulle spalle “Lyric, non precluderti fin da subito le possibilità che potresti trovarti davanti. Hai tempo prima di darmi una risposta.”
“No. Questa è la risposta.” Lyric lo disse con rabbia, sapendo che lui avrebbe riprodotto esattamente il suo tono a quella donna “Non parlare di possibilità quando è stata lei a distruggerle tutte. Cos’è? Senso di colpa?!”
“Può darsi e anche se lo fosse non è ciò che conta.”
“Ah no? Allora cosa conta?” Lyric gli strinse senza rendersene conto la giacca.
“Capire, suppongo.” Victor lanciò un’occhiata dietro alle spalle di Lyric.
Lei non se ne accorse perché pensava solo che lo avrebbe preso a pugni.
Lo avrebbe preso a pugni se avesse significato far chiudere quella dannata bocca della verità.
“Chiamami quando avrai deciso.”
Si abbassò per lasciarle un bacio dolce sulla guancia, Lyric però in quel momento non aveva più tanto voglia di essere gentile con lui “Aurevoir ma petite dame.”
Non lo guardò neanche mentre si allontanava da lei in pochi passi.
Il sacchetto rosso sangue era così sinistro sotto alla luce dei lampioni, lei si abbassò per riprenderlo in mano ma si bloccò. Si sentì mancare l’aria.
Tua nonna vuole che torni in America questa estate. Vorrebbe parlare con te.” 
Sentì mancarle l’equilibrio, la forza dei muscoli cedere e un vuoto aprirsi.
“Bill…” chiamò il suo nome mentre il respiro rantolava.
“Sono qui.” Una mano calda strinse la sua “Al tuo fianco.”
Con molta lentezza si voltò per vedere il viso a cui apparteneva quella voce. Gli sfiorò con le punta delle dita il profilo della guancia per essere certa che fosse vero.
Sì, era Bill.
Il sollievo che sentì pioverle dentro fu una sensazione molto forte. Sentì il sangue tornarle al volto.
Sarebbe stato troppo melodrammatico saltargli addosso e farsi abbracciare?
Troppo da deboli?
Per qualche inspiegabile ragione ci pensò Bill a mettere a tacere i suoi dubbi. L’avvolse tra le sue braccia.
Lyric inspirò con un grande fiotto il suo odore e per un poco si lasciò cullare.
“Hai visto tutto?” domandò Lyric mentre affondava il viso contro il collo dell’amico. Bill annuì, un po’ dispiaciuto per aver spiato tutta la scena.
Non sapeva quello che si erano detti, si era fermato abbastanza lontano da non sentire i loro discorsi però aveva compreso che quell’uomo doveva averla sconvolta. Doveva essere così visto l’evidente stato di confusione in cui riversava Lyric. Sembrava essere tornata come al loro primissimo incontro.
Quando se ne era andato Bill lo aveva squadrato con molta rabbia prima di correre verso di lei.
“Quello era mio zio Victor.”
Bill provò ancora più fastidio. Lo zio preferito di Lyric si era permesso di farla sentire così male, come aveva potuto?
“Vuoi raccontarmelo?” Lyric scosse la testa.
No. Non in quel momento, sarebbe stato troppo pesante.
Lyric si staccò leggermente per poterlo guardare in volto. Lo avrebbe preoccupato più di quello che era in quel momento se fosse scoppiata a piangere. Il groppo che aveva in gola sarebbe esploso se ne avesse parlato subito.
Molto meglio lasciarsi coccolare da quel calore così piacevole e rassicurante.
“Va bene.” Ciò che contava era non farla intristire ancora di più, tutto il resto poteva andare a farsi fottere. Bill sciolse il loro abbraccio e, pensando al modo migliore per riportarle il sorriso, le mise in mano il sacchetto di plastica gialla che si era portato dietro.
“Beh, volevo che fossi un po’ più allegra però questo non posso certo tenerlo io per sempre.” Lyric tirò fuori dalla busta un pacco rigido avvolto in carta da regalo blu.
Ne fu sorpresa.
“Come facevi a ricordarti?”
“Io ricordo tutto quello che ti riguarda.” Rise con allegria “Beh, buon compleanno!”
Mentre glielo augurava dietro la sua testa scoppiarono in cielo i primi fuochi d’artificio della serata. Milioni di scintille dorate illuminarono l’oscurità della notte. Un coro di “ooooohh” si levò a poca distanza da loro. La gente si era messa ad acclamare.
Lyric strappò la carta in pochi secondi mentre il buio andava via ad intermittenza per via dei fuochi.
Quando riuscì a capire cosa fosse, fu ancora più sorpresa.
“Non ti piace?” domandò Bill, non capendo l’espressione sul volto dell’amica.
Le prese un boccolo tra le dita, incapace di starle fisicamente troppo lontano.
Non quando sembrava così triste.
Un po’ di luce che ricominciava a splendere.
Lyric sfiorò il coperchio di legno della scatola.
“Grazie.” Un fuoco d’artificio verde brillante puntò la luce contro un suo timido sorriso “Grazie di essere qui.”
Se avesse potuto fermare il tempo lo avrebbe stoppato in quel preciso istante. Mentre il resto del mondo scorreva lontano da loro e lei era al fianco dell’unica persona che riusciva a farla sorridere sempre.
Proprio quando si rendeva conto che per quanto debole, vicino a lui, sentiva che combattere non sarebbe stato poi così difficile.
Quando i fiori di fuoco danzavano in un cielo di minuscole stelle e Bill le dava un bacio sulla fronte.
Se il mondo fosse stato perfetto avrebbe dovuto fermarsi proprio in quell’istante.
 
 
__________________________________
 
 
Dedicato ai gemelli Kaulitz, che oggi compiono diciannove anni. A loro che mi hanno regalo un mondo immenso di colori ed emozioni.
Questo capitolo è dedicato a voi che avete cambiato la mia vita.
BUON COMPLEANNO BILL! BUON COMPLEANNO TOM!
VI VOGLIO DAVVERO BENE.

Prima di lasciarvi vorrei ringraziare:

Lady_Daffodil: Certo che è stato stupendo! Il concerto di Modena è stato uno dei momenti più belli della mia vita! Grazie della tua stupenda recenzione. Spero che continuerai a scriverne. Mi hai dato nuova fiducia. Grazie.

Grazie anche ad Avuzza. Grazie mille davvero!

Ora vi lascio e ci sentiamo al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7: Feelings ***



Capitolo 7: Feelings.

 
 
 
- “Ciò che vorrei per Lyric?”
Eleonor sorrise a sua madre con l'espressione più dolce che potesse esistere.
Che fosse felice dopo tutto e sopra ogni cosa.” calò le palpebre stanche mantenendo però sul viso quella espressione delicata, mentre dei raggi lucenti la sfioravano, tendendosi dai vetri della finestra.
Era l'ultima cosa che pregava a Dio di realizzare.
Era il suo ultimo desiderio.-
 

***

 
Il vento camminava in mezzo agli alti alberi e al suo passaggio le foglie delle fronde ridevano fruscianti, salutando l'invisibile signore. L'erba intanto, vestita di un verde brillante, si vantava della sua bellezza con la luminosa luce del sole mentre le nuvole bianche si rincorrevano là in cielo. Era davvero un bel sogno.
Lyric ammirò quel paesaggio e si lasciò penetrare dalla profonda pace che quel luogo le aveva sempre dato. Si trovava a 
Una folata d'aria improvvisa le fece volare i capelli di lato, togliendole momentaneamente la visuale. Con un gesto della mano sistemò i ciuffi scomposti dietro le sue orecchie. Quando ritornò a vederci qualcuno si era posizionato davanti a lei, seduta sul verdeggiante prato.
Il primo istinto disse a Lyric di correre incontro a quella figura e stritolarla in un abbraccio, invece rimase ferma e le sorrise. Non c'era più dolore. Non c'era più tristezza. C'era solo un tenue tepore.
Ora andava, davvero, tutto bene.
Eleonor arcuò uno dei suoi eleganti sopraccigli domandandole con lo sguardo se stesse dicendo sul serio.
Lyric annuì piano, con tutta la sincerità di cui era in grado.
“Ne sono contenta.” la voce di sua madre era sempre la stessa, la sua memoria ne aveva serbato il timbro vellutato e leggermente basso che solo a lei apparteneva.
Lyric vide Eleonor girarsi alla sua sinistra e osservò i giochi di luce sull'acqua blu del piccolo lago in lontananza.
“Verrai a trovarmi?” le chiese sua madre ritornando a guardarla. Sul volto c'era il sorriso solare che la caratterizzava.
“Certo.” rispose la figlia ricambiando quella sua incrollabile allegria.
Persino quando era arrivata allo stadio più grave della sua malattia, Eleonor Hörderlin, non aveva mai perso quell'aria perennemente serena. Come se l'ingiustizia del mondo non fosse qualcosa che l'avesse toccata personalmente.
Eleonor si alzò da dove era seduta e le si avvicinò in pochi passi. A qualche centimetro da lei si abbassò in ginocchio, per ritrovarsi faccia a faccia con lei “C'è qualcosa che vorresti dire, non è così?” il sole risplendeva in modo folgorante sui boccoli castano scuro di sua madre, il colore nero lo aveva ereditato da suo padre. Si ricordò di quando qualche volta si offriva di pettinarli davanti al grande specchio della toletta, prima che andassero a dormire.
I sospiri del vento intorno a loro assomigliavano al suono di sollievo che Lyric sentiva di portarsi dentro. Lei guardò la madre, permettendo ai loro sguardi di legarsi strettamente in un abbraccio.
Il blu incantato si specchiò nel medesimo colore, in quegli occhi che aveva preso da lei.
“Sì, c'è qualcosa che vorrei dire, ma non a te.” disse infine Lyric dando vita ai ragionamenti che in quel ultimo mese l'avevano un po' ossessionata. Eleonor imbronciò le labbra, ma quasi subito ritornò a sorridere. Le accarezzò una guancia.
“Fai ciò che senti, vai a dirle ciò che ti preme e poi vai avanti.” Eleonor alzò gli occhi verso il cielo seguendo con lo sguardo il volo di alcuni uccelli selvatici e Lyric pensò con nostalgia ai giorni che avevano passato assieme, immerse nella natura di quella tenuta, i giorni in cui aveva creduto che sua madre fosse l'essere più indistruttibile del mondo.
Eleonor l'abbracciò e Lyric ricambiò chiudendo gli occhi, respirò la memoria che aveva del suo profumo sentendosi consolata.
“Lyric.” Le sussurrò all’orecchio. 
“Sì?” la voce della madre, la sua voce era qualcosa che non avrebbe riavuto indietro però era sua, come ogni singolo attimo di vita che avevano passato insieme. Le esperienze, i suoni, gli odori e l’amore che avevano condiviso appartenevano tutti a lei.
Andava bene anche questo premio di consolazione.
Ora comprendeva che si poteva accontentare di così poco, di così tanto.
“Ti voglio bene.” Lyric la strinse ancora più forte, sentendo il guizzò repentino del panico farsi strada dentro di lei, ma l'allontanò. Il tempo della bestia nera era finito.
Ora basta. Al suo posto era nato un nuovo desiderio.
Madre e figlia si lasciarono molto lentamente, come per impedirsi di essere troppo scioccate da una tale separazione. Ad un tratto ogni cosa diventò ancora più luminosa di prima, come se avessero aumentato l'intensità della luce del sole.
Il sogno stava giungendo agli sgoccioli.
Eleonor strinse la mani di Lyric dentro le sue “Sii felice.” sussurrò.
Le immagini divennero sfuocate ed incorporee, Lyric restò immobile mentre l'eco di ciò che le aveva detto la madre si espandeva nelle profondità della sua coscienza.
Quelle parole erano le stesse che le aveva lasciato il giorno prima della sua morte.
Le aveva fatto un lungo discorso quella volta, forse perché sentiva di non avere più tempo.
Quel “Sii felice” se lo ricordava benissimo.
Era stato il suo ultimo augurio. La sua ultima richiesta. Dopo un anno, per quanto non fosse stato facile, la risposta che sentiva di voler dare alla madre era cambiata da quella volta.
Lyric aprì gli occhi per constatare di essere nella sua camera a Magdeburg, mentre la luce fievole del mattino spuntava all'orizzonte, nel suo eterno inseguimento della notte. Sbatté gli occhi spaesata come capita di solito a chi si risveglia così improvvisamente e per un paio di minuti si guardò attorno per essere assolutamente certa di trovarsi nella realtà.
Quando questo quesito trovò conferma, con un movimento molto lento, si mise seduta. Coni di luce si facevano strada tra le fessure delle tende della finestra e formavano piccole chiazze circolari sul pavimento della stanza. Lyric fissò i granellini di polvere che svolazzavano dentro a questi, ripensando al sogno che si era appena svolto.
Sii felice.”
La ragazza chiuse gli occhi prendendo un grande respiro poi si voltò verso il comodino alla sua destra per vedere che ore fossero. La sua vecchia sveglia, un pezzo d'antiquariato che le aveva regalato a natale zia Freia, indicava appena le sei e mezza. Era il ventidue Maggio.
Lyric allungò un braccio per prendere il sacchetto di broccato che un mese prima suo zio gli aveva lasciato per conto di sua nonna. Da quando ne aveva scoperto il contenuto lo teneva sempre vicino al suo letto, così da poterlo guardare prima di andare a dormire.
Lo aprì e lo rivoltò delicatamente sulla mano per ritrovarsi a stringere il freddo materiale di cui era fatto l'oggetto. Con la punta dell'indice ripassò i contorni del disegno che era inciso sulla cassa anteriore, eleganti intrecci sull'argento brillante che disegnavano un astro solitario del firmamento e il motto della famiglia Alysei.
Era un orologio da tasca lavorato da una famiglia di artigiani orologiai a cui la sua famiglia affidava la creazione di quei esemplari unici. Ne esistevano poche copie al mondo, il numero esatto dei componenti maggiorenni della sua famiglia.
Sulla cassa posteriore era inciso il nome del Alysei a cui apparteneva quello specifico orologio e tradizionalmente veniva dato in regalo a tutti coloro che in famiglia compivano la maggiore età, come simbolo di appartenenza e di eccellenza.
Si era stupita del fatto che la nonna le avesse affidato un oggetto tanto importante, anche perché quello era l’orologio di sua madre.
Lyric aprì lo sportello dell'orologio e osservò le lancette in oro ferme immobili sul quadrante. Lo aveva trovato bloccato sull'ora di un anno prima, indicando esattamente l'istante e il giorno in cui la sua proprietaria aveva smesso di far battere il suo cuore al ritmo degli ingranaggi minuziosi dell'apparecchio. L'orologio era fermo sul momento in cui la morte era andata incontro ad Eleonor Hörderlin.
Sii felice.”
Lyric smise di guardare l'orologio e si voltò verso la finestra della camera.
Il tempo aveva continuato a scorrere anche se quell'orologio aveva smesso di contare.
Un anno era passato da quell'addio a cui mai aveva avuto desiderio di partecipare.
Lyric prese a mosse alcuni ingranaggi in modo tale da muovere le lancette, quando queste indicarono lo stesso orario della sua sveglia azionò altro pulsante.
Sii felice.”
Lyric rimase ad ammirare la lancetta dei secondi riprendere vita, mentre il ticchettio dell'orologio che teneva in mano riprendeva a scandire il tempo.
 

***

 
Le luci artificiali delle lampade al neon gli stavano dando parecchio fastidio.
Ovviamente questa poca sopportazione non dipendeva dall'effettiva presenza delle luci, non erano proprio loro a seccarlo. 
Nel giro di qualche secondo il piede di Bill andò a scontrarsi volontariamente contro la base degli scaffali in metallo. Il suono del colpo inflitto riecheggiò placidamente per qualche secondo, per poi morire in un silenzio privo di testimoni.
Prima di compiere quella azione, all'apparenza di violenza gratuita, si era guardato bene di trovarsi completamente da solo. Aveva persino distanziato Tom per non dover dare spiegazioni di quella fuoriuscita di rabbia.
Lo sfogo però non fu abbastanza soddisfacente per accontentare il suo desiderio di spaccare quello che gli stava intorno. Avrebbe fatto meglio a rimanersene a casa per potersela prendere con i muri della sua stanza, piuttosto che doversi contenere all'interno del minimarket. Ora si chiese perché, effettivamente, avesse accettato di accompagnare Tom a fare la spesa per la cena.
Lo sapeva perfettamente che in certe condizioni era del tutto sconsigliato che lui uscisse.
Diede un altro piccolo calcio allo scaffale dei dolciumi, con cui solitamente aveva un rapporto idilliaco, prima di afferrare senza neanche guardare la prima grande busta di robaccia zuccherosa. Con il muso di un gatto furioso si incamminò per raggiungere il fratello nel reparto delle verdure.
Arrivatovi Bill si bloccò in mezzo alle casse della frutta e lanciò uno sguardo ad una bambina che correva nella sua direzione. Avrà avuto cinque anni ed era vestita con un delizioso vestitino di cotone rosso. Sgambettava allegra agitando in una manina un orsetto bruno di peluche e nell'altra un cestino confezionato di fragole. Sorrideva gioiosa con gli occhi chiari illuminati dalla medesima infantile felicità e i capelli biondo scuro che svolazzavano leggermente. Ogni boccolo della infante saltellava in alto, soffice e fluttuante. Mentre veniva superato da quella specie di fatina di dimensioni umane, Bill sentì il desiderio di afferrare il cellulare e chiamarla.
Il suono della plastica che veniva accartocciata dalla sua mano indicò però che la sua volontà aveva trattenuto con forza quel istinto. Seguì con lo sguardo la bambina finché questa non raggiunse la madre, a cui chiese con entusiasmo se poteva portarsi a casa le fragole. Bill sentì la mano prudergli, come se avesse voluto agire da sola.
La infilò subito dentro la tasca dei suoi jeans e smise immediatamente di osservare quella piccolina ridere così gioiosamente. Il suo umore era stato nuovamente contaminato.
Non poteva mostrarsi sempre così assolutamente preso da ciò che la riguardava, persino quando tecnicamente era un corso un litigio tra di loro pensava a come stesse.
Inoltre era il ventidue Maggio, ovviamente i suoi pensieri andavano a Lyric. 
Avrebbe potuto, dovuto, mettere da parte la divergenza temporanea tra di loro e starle accanto, ma una parte di lui gli impediva di farlo. Questo perché quella parte sapeva che continuando in quella direzione sarebbe caduto nella follia totale, presumendo che non ci fosse già dentro.
E lei avrebbe potuto accorgersene.
La scintilla che aveva scatenato la loro lite di quattro giorni prima era nata dall'unione di vari elementi, tra cui l'aver accettato una scomoda verità. Scomoda per tanti motivi.
Trovò finalmente Tom davanti alla cassa delle carote, mentre questi ne infilava una manciata dentro ad un sacchetto. Senza proferire parola si avvicinò al carrello e ci buttò dentro con un po' troppa forza la busta di caramelle gommose che prima aveva arpionato. Tom lo guardò di sottecchi passandosi la lingua sopra il percing del labbro, per poi dirigersi a pesare gli ortaggi senza fare nessun commento.
Al suo ritorno trovò il gemello che fissava minaccioso delle zucchine.
Grugnì un verso, roteando gli occhi con un'espressione di insofferenza sul volto.
Quella storia stava andando un po' troppo per le lunghe e per quanto fosse dotato di una certa dose di pazienza la sua riserva stava giungendo al limite. Nessuna persona normale, in una situazione standard, avrebbe sopportato ciò che aveva dovuto soffrire lui, quindi se fosse scoppiato a sua volta sarebbe stato del tutto legittimo.
Bill nel suo meglio era insopportabile e in quei quattro giorni era stato particolarmente bravo. Tutta colpa di sua. 
Ha troppa influenza su di lui.”  pensò Tom guardando la curva leggermente ingobbita delle spalle fraterne. Se quei due ora che erano soltanto amici e reagivano con così tanta intensità quando sarebbero diventati qualcosa di più cosa avrebbe dovuto aspettarsi?
Quando, non se. Di questo passo perderò su tutta la linea.”
Per quel pensiero la sua fronte si riempì di pieghe contrariate simili a quelle di suo fratello. La parola perdere, in tutte le sue sfaccettature, in tutto ciò che implicava, lo irritò.
Perdere e farsi male per ciò che provava.
Perdere e avere paura per ciò che voleva tenersi stretto.
Perdere e temere di essere tenuto fuori.
In qualunque modo guardasse la faccenda era come se fosse stato già scritto, il ruolo di Tom Kaulitz in questa storia non sarebbe stato quello principale. A volte si stupiva del suo egoismo e altre volte pensava che doveva essere il suo modo di difendersi dal mondo. Lyric faceva lo stesso con lui o almeno voleva crederlo.
Una volta usciti dal minimarket e incamminatosi entrambi verso casa Tom rivolse a Bill un'occhiata pensierosa, quella di chi sta affrontando il dilemma se iniziare o no un discorso, con la paura di portare tutto in una picchiata folle contro il suolo. Si decise per saltare dall'aereo. Al massimo si sarebbe sfracellato contro una parete di roccia.
“Ne avrai per molto?” iniziò con circospezione, una domanda più innocua di quella che avrebbe potuto osare.
Bill, senza guardarlo, seppe immediatamente dal tono della voce dove aveva intenzione di parare “Direi fino a quando lei non si deciderà a parlarmi o almeno è quello che suppongo.”
“Supponi?” suonò più ironica di quello voleva “Credo, purtroppo per te, che non ci sia scritto da nessuna parte che sia lei a dover venire da te. Se non ho capito male hai iniziato tu.”
“E con questo?!” il ragazzo lasciò cadere a terra la busta della spessa e si fermò.
Ecco, appunto, la roccia contro cui si sarebbe schiantato. Tom abbassò gli occhi sulla massa informe del sacchetto e poi appoggiò la busta che teneva lui, vicino a quella abbandonata.
Tom sentì il desiderio di dargli una testata “Vuoi dirmi che non è stata tutta colpa tua?!” uscì il riflesso del tono di Bill.
“No! Chi diamine ti ha detto che ho iniziato io?”
“A parte averlo sentito da tutti quelli della tua classe, che per la cronaca hanno assistito al tutto, Andreas! Eri così impegnato a urlarle contro che non ti sei accorto che era lì con te.”
“Prima di tutto non dovresti ascoltare le stronzate di quei coglioni e poi Andreas non può aver capito come era andata veramente la situazione. Quando vuoi venire a conoscenza dei fatti vieni direttamente da me a chiederlo e non ti affidare alle voci di corridoio!”
“Ma io te l’ho chiesto, sei tu che non hai proferito parola! Idiota! Poi mi spieghi perché cazzo mi stai urlando addosso quando sto cercando solo di aiutarti?! Deficiente!”
“Ti urlo addosso perché sono cazzi miei se non voglio ancora parlarle! Sono fottuttissimi cazzi nostri se noi abbiamo litigato! La risolvo come mi pare la situazione! Non devo fare capo a te!”
“Sono anche cazzi miei se mio fratello rompe le palle per quattro giorni di fila diventando la quinta essenza della depressione! Sono fottuttissimi cazzi miei se voi avete litigato perché l'umore nero di entrambi devo sorbirmelo io! Se non sai come risolvere i tuoi problemi abbi l'intelligenza di farti aiutare!”
Bill e Tom avevano finito per scoppiare senza preavviso.
“Inoltre non mi piace, non mi piace per niente come stai facendo sentire lei.” Tom respirava velocemente, ma non era niente in confronto al respiro accelerato di Bill “Lei è anche amica mia. Ricordati che non sei l'unico a cui ci tiene. Se la fai sentire male mi sembra ovvio che voglia capire cosa le hai fatto. Non sei il solo a pensare a ciò che sente.”
Non hai l'esclusiva su di lei.”  recepì, quello era indubbiamente il messaggio sotterraneo delle parole di Tom. Naturalmente non ne fu stupito.
Entrambi stavano facendo passi da giganti. Uno dei due alla fine si sarebbe rivelato con lei e quel momento sarebbe stato l’inizio di un vero casino. Per questo non si affrontavano mai, non così apertamente, non in modo così evidente.
Tom si era arrischiato molto con quelle parole e di questo Bill ne era fermamente convinto. Strinse la mascella e distolse lo sguardo dal gemello.
“È complicato, Tomi.” aveva usato il suo nomignolo affettuoso, questo significava che stava concedendo una tregua “È vero, ho iniziato io questo litigio ma ti assicuro che le ragioni per cui lo fatto sono giustificate.”
“Mi sembra di capire che non hai intenzione di dirmele.”
“Non per ora.”
“Ok.” Tom guardava il profilo del gemello, così simile al suo. Quel volto che aveva visto maturare con lui fin dalla più piccola età sembrava così lontano. Decisamente non capiva.
Era davvero così diverso dalle altre volte? Cos'era diverso dalle altre volte in cui si era innamorato?
Innamorato?” quella parola gli fece un bruttissimo effetto.
Lo sapeva, lo aveva intuito da tempo, molto prima di quel tonto, allora perché ebbe la netta sensazione di capire solo in quel momento la portata dell'affare.
Una domanda si diffuse in un sussurro dentro la sua testa “Quanto sei innamorato di lei, Bill?”  e sentì i passi del panico farsi strada tra la folla rumorosa dei suoi sentimenti. Che Bill finalmente lo avesse ammesso a se stesso?
La roccia contro cui era andato a scontrarsi era molto più dura di quello che si era aspettato.
“Allora cosa farai?” mentre queste parole uscivano dalle labbra di Tom entrambi ebbero la sensazione che stesse parlando di tutt'altra cosa. Bill si trattenne per poco dal chiedergli “In futuro?”
“Naturalmente noi faremo pace, tra me e lei non c'è altra strada.”
Crudele...
In quel preciso istante, in piedi davanti alla persona più importante, Bill si sentì crudele. Tom capì l'antifona e si esibì in uno dei suoi sorrisi ironici. Quel colpo basso gli aveva fatto capire che il fratello stava camminando su una stretta corda da equilibrista, non era sicuro di niente al momento.
Meschino...
In quell'altro preciso istante, guardando negli occhi la persona più importante, Tom si sentì veramente meschino. Perché in un meandro pieno di tenebra della sua testa pensò cinicamente che sarebbe stato facile farlo cadere da quella corda.
“Naturalmente, se lo dici tu allora mi fido.” si abbassò per afferrare una delle borse di plastica, celando tutto il tempo il suo sguardo sotto alla visiera del suo capello “Però fai pace in fretta, per favore. Non riesco più a sopportarti in questo prolungato umore nero, nemmeno laccarti accuratamente le unghie di nero ti ha sollevato, come invece è successo altre volte.”
Bill gli concesse un tenue assenso e riprese anche lui una delle buste della spesa.
Camminarono parlando con molta meno tensione e di argomenti che non includessero Lyric, tutto questo prima che passassero davanti al muro ocra di una casa. Bill rallentò impercettibilmente sentendosi scosso da una sensazione famigliare. Come se si fosse trovato davanti al bellissimo dipinto appeso sulla parete della camera di Lyric, si sentì avvolgere dalla nebbia di un ricordo. Ora capiva perché quel quadro gli avesse fatto provare un dejà-vu.
Era la stessa sensazione che aveva provato quando l'aveva vista per la prima volta.
Lo ricordava, quel pomeriggio di Ottobre, mentre passava da quella parte di ritorno da un appuntamento con una ragazza. Un pomeriggio normale, come qualunque altro. Camminava un po' di fretta, diretto a raggiungere casa al più presto.
Per puro caso aveva spostato i suoi occhi in direzione di quel muro, assolutamente un caso.
Sulle prime non aveva fatto veramente attenzione a ciò che gli stava davanti, era come se avesse dovuto focalizzare una lente prima di poter distinguere in modo nitido quella persona raggomitolata per terra.
Quando poi si era accorto che ciò che stava guardando era una ragazza si era fermato incuriosito.
Gli era parsa immobile come una statua ma le sue orecchie avevano sentito il suono fievole di un pianto soffocato.
Ricordava di come si fosse fermato per due minuti buoni, indeciso se andare da lei e chiederle se avesse avuto bisogno di aiuto oppure andarsene con discrezione facendosi così gli affari suoi.
Ricordava il desiderio di sapere cosa le fosse successo per renderla tanto triste.
Ricordava di quando quel desiderio non era stato che una mera curiosità. Solo una piccola, insana, curiosità nei confronti di quel suo dolore che l'aveva resa fragile e bisognosa. Con il passare del tempo quel desiderio così poco nobile era mutato. Da tempo desiderava che lei fosse felice e non solo perché aveva allontanato la sofferenza, Bill voleva che fosse felice perché al suo fianco c'era lui.
Tom smise di camminare notando che il gemello non gli stava più accanto, si girò per vedere cosa stesse facendo e trovandolo fissò verso quel muro sospirò leggermente.
Lo ricordava anche lui quel pomeriggio di Ottobre, quando ritornato Bill a casa gli aveva raccontato della piccola rissa con quel pallone gonfiato di un bullo. Quello che era andato in giro a sparare cazzate su Bill e che l'aveva minacciato di picchiarlo se si fosse fatto di nuovo vedere a scuola truccato con la matita nera.
Ricordava il cambiamento di espressione nel fratello quando era arrivato alla parte dello strano intervento della ragazza invasata. Ricordava di come fosse corso a per di fiato fuori di casa appena finito di raccontare tutta la storia e quel “Coglione!” gridato a squarciagola sbattendo il portone principale.
Qualunque fosse stata la ragione per cui quel pomeriggio Bill decise di aiutare quella perfetta sconosciuta, ora, non aveva più nessuna importanza. Le cose erano andate così e non si potevano cambiare.
Erano comunque tutti e tre nella stessa barca. Pur mantenendo segreti e custodendo sentimenti così complicati, ormai avevano un legame che li univa.
Ripresero a camminare uno di fianco all’altro poco dopo, a pochi passi da casa però Bill fermò Tom.
Il gemello restò immobile, non sapendo come interpretare quella sua espressione. Gli parve di trovarsi davanti a qualcuno che non conosceva affatto. Bill dall'altro canto non sapeva con esattezza perché stesse per dire ciò che stava per dire. Ma a Tom poteva dirlo, no?
Almeno questa cosa poteva dirgliela. A lui, non a lei.
A lei non l'avrebbe ancora detto. Con Lyric era un'altra questione.
“Uno dei motivi per cui ho litigato con lei...” era serio, senza nessun tentennamento nella voce, dannatamente serio.
Tom percepì il suo stomaco fare un piccolo spasmo, i suoi larghi vestiti però lo coprirono perfettamente. Sapeva cosa stesse per dire e dovette usare molto autocontrollo per impedirsi di urlare oppure gridare qualunque cosa per non stare a sentire. Con un grosso respiro decise che avrebbe potuto benissimo affrontarlo, no?
Non ne era molto certo.
“...è stato il fatto che mi sono reso conto che le cose sono cambiate. Non ti sto a spiegare tutto nei minimi dettagli, comunque non è importante capire perché da questa ammissione sia nata tanta rabbia. Non te lo saprei spiegare neanche io...”
“Bill, ti prego di arrivare al punto. La busta non è un peso piuma e poi vorrei tornare a casa.”
L'altro annuì con il capo e proseguì “Sono innamorato di Lyric.”
Per Bill fu una specie di liberazione l'averlo confessato a lui, ma contemporaneamente sentì che avrebbe fatto meglio a tenersi la bocca chiusa. Finché certe cose restavano solo dentro la propria testa non davano nessun problema. Nel momento in cui uscivano fuori invece era il resto del mondo che si prendeva l'obbligo di creare i casini.
E adesso cosa gli dico?”  fu l'unica cosa che Tom pensò nel secondo seguente la rivelazione.
“Mi era evidente la cosa.” gli riuscì di dire “Finalmente ti sei deciso ad ammetterlo.”
“Non ho ancora intenzione di dirglielo quindi ti prego di tenertelo per te.”
“Certo. Non uscirà una parola dalla mia bocca.”
Bill impedì che si creasse un silenzio innaturale tra di loro e si diresse spedito verso casa.
Tom rimase qualche metro indietro rispetto a lui. Entrambi sapevano che sarebbe passato parecchio tempo prima che ne avessero parlato nuovamente insieme. Di sicuro sarebbe stato l'argomento meno toccato nella storia della loro vita.
Merda.”  imprecarono mentalmente i due fratelli.
 

***

 
Un tempo Maggio a Boston le piaceva.
Era sempre stato uno dei suoi mesi preferiti fino a quando non erano accaduti tutti quei fatti. Ormai era il mese in cui celebrava due orribili anniversari e per questa ragione, Maggio, era stato rilegato come il mese più detestato dell'anno.
Maggio a Boston era una ferita che la dilaniava. Una ferita che dubitava che fosse possibile sanare.
La mente di Cassandra aleggiava in una inconsistente nebbia fatta da immagini lontane e voci perdute che camminavano dentro di lei con tristezza. Lei odiava Maggio, soprattutto se doveva passarlo a Boston.
Avrebbe potuto benissimo stare lontana dalla città ed evitarsi tante sensazioni spiacevoli, ma in cuor suo conosceva bene le debolezze contro cui non avrebbe mai vinto.
Stare lontana da Boston quel 22 Maggio era una di quelle battaglie perse in partenza.
Continuò per qualche altro minuto a guardare svogliatamente dalla finestra il passaggio delle macchine che correvano di fronte alla grande casa. Aveva fatto in modo che una ditta delle pulizie si occupasse di quella dimora abbandonata ogni settimana, anche se Eleonor non ci viveva più dentro aveva voluto che si mantenesse come se lei ci fosse ancora.
Il suo volto di granito si spostò verso il tavolo circolare a pochi passi da lei, sopra di esso aveva appoggiato il gigantesco mazzo di fiori che avrebbe portato in dono durante la visita.
Era ancora presto per recarsi al cimitero ed inoltre Victor, Amelia e Vincent non erano ancora arrivati. Voleva andare alla tomba di Eleonor assieme a loro, così avrebbe avuto un pretesto per non versare neanche una lacrima. Almeno per quella volta voleva risparmiarsele. Sfiorò con un debole movimento il primo petalo bianco che aveva davanti e convenne, distrattamente, di aver scelto un mazzo un po’ più piccolo dell’ultima volta.
Il suo tipico broncio contrariato lambì le sue labbra per qualche secondo, prima di scomparire dietro alla maschera di ghiaccio e roccia che le ricopriva solitamente il viso. Avvolta in un mantello di puro silenzio si allontanò dal tavolo su cui stava troneggiando e si decise a sedere su una delle poltrone.
Passando davanti ad uno specchio antico osservò il riflesso di se stessa. Cosa stava vedendo?
Una donna di settant'anni che li manteneva in modo assolutamente perfetto, nessuno le avrebbe mai dato la vera età che aveva. Una volta Thomas le aveva detto che la sua era una bellezza eterna, ma sinceramente Cassandra pensava che l'avrebbe volentieri data in regalo a qualcuno, se questo avesse significato riaverli tutti indietro.
Gli impeccabili capelli incorniciavano l'ovale del volto, ricadendo con un grande ciuffo argento dalla fronte fino alla base del collo. Persino ora che avevano perso il colore naturale ed erano solo una cascata di ardesia scintillante si potevano considerare dei capelli meravigliosi.
E poi a darle quell'immagine così perfetta c'erano in ogni caso i suoi occhi blu.
Quelli erano l'eredità Alysei per eccellenza.
Quasi tutti i componenti della sua numerosa famiglia avevano gli occhi chiari, dal celeste all'azzurro, passando per il blu tenue e lo zaffiro scuro, ognuno di loro era caratterizzato da uno sguardo incantevole. Ma il colore così unico delle sue iridi le possedevano solo altre tre persone, due erano morte, mentre una si trovava in un altro continente al momento.
E poi, cosa c'era oltre la maschera?
Naturalmente un mucchio di sentimenti contrastanti che litigavano tra di loro in continuazione, se non avesse posseduto il senso della dignità datagli dall'essere nata in quel particolare ceto sociale non avrebbe potuto controllarli.
E oltre a questi tanta, incalcolabile, stanchezza dell'animo.
Stufa di osservarsi si mosse verso la poltrona e una volta che vi fu seduta si accese senza particolare voglia una sigaretta, tanto per avere qualcosa con cui passare il tempo. L'odore forte del tabacco che bruciava si diffuse nella stanza mentre nuvolette di fumo si innalzavano verso il soffitto, scomparendo pochi istanti dopo essere state create. L'unica musica che si percepiva era la sinfonia dei respiri di Cassandra che si confondeva con il ticchettio dell'orologio a pendolo. Sembrava che tutto fosse immobile.
Mentre correva con lo sguardo su alcune foto appese al muro che le stava di fronte, ad un certo punto, si fissò sul ritratto che immortalava Eleonor e William appena ventenni.
Sorridevano entrambi in quel ritratto, con un'intensità che lei non aveva mai visto sul viso di nessun altro. Erano sempre stati abbastanza diversi da lei, per certi versi si poteva dire che la maggior parte del loro meraviglioso carattere l'avessero ereditato dal padre Thomas.
Da lei avevano preso la determinazione, la testardaggine, il desiderio di migliorarsi sempre, l'impegno, una punta di leggera arroganza che li aveva sempre portati in alto con i loro sogni e naturalmente la forza di opporsi contro chiunque li intralciava, persino contro loro stessi se era necessario.
Dal padre invece avevano acquistato la bontà, la tolleranza, la comprensione, l'amore per le piccole cose e quell'inguaribile ottimismo che li faceva vedere sempre il lato buono in qualunque situazione.
Erano stati i suoi figli prediletti e questo non l'aveva mai nascosto a nessuno. Li aveva amati così tanto forse proprio perché assomigliavano molto al defunto marito e forse anche perché da quando erano nati aveva sempre avuto la sensazione che li avrebbe persi presto. E così era stato.
Quel suo carattere glaciale non lo aveva avuto sempre, c'era stato un tempo in cui la sua presenza non emanava soltanto un'altisonante durezza. Anni prima la si poteva persino definire una signora amichevole e divertente.
Le cose purtroppo però erano mutate.
A morire per primo era stato suo marito, cinque anni prima della dipartita di William. In quell'occasione aveva tenuto duro per poter dare una colonna a cui sostenersi ai suoi cinque ragazzi. A soli vent'anni però il fratello gemello di Eleonor era stato colpito da una patologia cardiaca che in poco meno di un anno lo aveva divorato da cima a fondo, trascinandolo con sé in una bara.
Quel lontano giorno di Maggio, Cassandra, ricordava di aver percepito che nel suo cuore si era aperto qualcosa di doloroso, segno del fatto che se avesse perso ancora persone amate non avrebbe retto.
Parole come inevitabile e incurabile avevano assunto con il tempo il suono sinistro di una marcia funebre. La malattia di William e quella di Eleonor avevano avuto entrambi questi appellativi.
È incurabile, mi dispiace. Non ci sono rimedi efficaci al riguardo e anche se cercassimo di operare chirurgicamente non ci sarebbero garanzie di successo. L'operazione di per sé sarebbe rischiosa e in ogni caso gli daremmo solo cinque o al massimo otto mesi di vita in più. Il trapianto sarebbe l'unica soluzione, ma sa quanto me che lista d'attesa è veramente infinita.”
I dottori avevano pronunciato in quel modo, in tutti e due i casi, un verdetto inappellabile.
Quando era morto Will lei aveva cominciato a rinchiudersi dentro se stessa, cercando di difendersi dal dolore in quel modo. Diversamente da Eleonor, che aveva ricominciato a vivere un po' per volta, lei si era perduta nella sua sofferenza.
Con un ultimo e lungo respiro finì la sigaretta, la buttò sul primo posacenere che incrociò la sua mano e poi rimase in ascolto dei suoi battiti cardiaci improvvisamente aumentati mentre ripensava ai due figli perduti. Naturalmente si sentiva anche fortunata nell'avere ancora accanto il resto della sua famiglia ma come qualsiasi madre, che desiderava che ogni suo figlio fosse felice, pensava che era stata una grande ingiustizia che fossero morti così giovani. Will in particolare.
Mamma, guarda che io sono stato davvero felice. Ho fatto in modo di vivere la mia vita senza perdere neanche una possibilità per esserlo.” 
Suo figlio aveva pronunciato quella frase con immensa tranquillità, come se non stesse morendo lentamente giorno dopo giorno “Lo sono stato anche se questo ha significato essere egoisti. L'unica ragione che mi avrebbe fatto tentennare riguardo a questo obbiettivo sarebbe stato il pensiero di rendere tristi le persone che a me invece avevano donato tanta felicità.”  Cominciò a massaggiarsi la fronte con lenti movimenti delle dita, inspirando più aria possibile. Il ricordo di quelle parole le aveva fatto venire l'emicrania.
Tu le stai lontana proprio perché non vuoi soffrire più. Io invece voglio starle accanto anche se in futuro dovessi soffrirne a morte. Le persone, mamma, scelgono ogni giorno che strada seguire. In ogni caso le vie che abbiamo intrapreso dimostrano solo che siamo due persone molto egocentriche. In questo siamo sempre stati uguali.”
Queste invece erano uscite dalla bocca di Victor, dopo che Lyric era partita per la Germania in compagnia di quella signorina, Freia Hörderlin. Lui poteva capire cosa stava provando e cosa si combattesse nel suo animo, ogni giorno, da quando Eleonor era morta ma non pensava di essere abbastanza forte per poter accettare qualunque altro tipo di perdita.
Aveva preferito mantenere le distanze da quella nipote così simile a sua figlia e nessun potere su quella terra riuscito a farle cambiare idea, neanche le parole di Eleonor stessa l'avrebbero smossa di un centimetro dalla sua posizione.
Era proprio vero, voleva solo mantenere integri gli ultimi frammenti del suo cuore ormai distrutto.
La ragione per cui la stava richiamando in America per l'estate era soltanto il suo desiderio di constatare con i suoi occhi che stesse bene. Che fosse realmente molto felice, lontana da lei e da tutti gli Alysei.
Se le avesse mostrato che anche loro erano felici senza di lei avrebbe creato un sentimento talmente negativo da tenere Lyric lontana per il resto dei suoi giorni.
Voleva che la odiasse, la odiasse veramente con tutte le sue forze così che, a sua volta, avrebbe avuto un pretesto per detestarla e tenersene alla larga il più possibile.
Una ragione per nascondersi. Un motivo per non amarla.
Il suono di un singhiozzo strozzato si arrampicò dal fondo della sua gola e lei cercò di trattenerlo premendosi una mano sulla bocca. Fortunatamente non si era messa il rossetto, così non si sarebbe macchiata i palmi delle mani mentre cercava di fermare la voce dei singulti dovuti al pianto. Come aveva previsto non era riuscita a resistere.
Pianse non trovando la forza di fermarsi, pianse sia per William, che per Eleonor. Pianse per quella se stessa così meschina e debole. L'unica persona che sarebbe riuscita a consolarla non c'era più da così tanto tempo, la morte aveva preso anche Thomas. Se li era presi tutti quanti.
Mentre lei restava su quella poltrona piangendo, senza che potesse vederlo, Victor se ne stava dietro di lei. Guardando le spalle della madre tremare mentre la stanza si riempiva delle note stridule di una cantilena ascoltata troppe volte.
Non andò da lei perché non sarebbe servito a nulla, preferì rimanere appoggiato contro un lato del tavolo con le braccia strette al petto e lo sguardo un po' vuoto rivolto verso un fascicolo giallo pieno di fogli.
Glieli avrebbe fatti vedere una volta che si fosse calmata, quella sera, dopo la visita alla tomba dei gemelli e di suo cognato Sebastian.
Forse si sarebbe distratta un po' leggendo le informazioni che gli aveva comandato di raccogliere per suo conto. Non sapeva per quale ragione avesse dovuto fare una richiesta simile ad uno dei migliori investigatori privati della loro lista paga, ma in cuor suo Victor sperava che non avesse in mente niente di troppo strano.
In ogni caso occuparsi un po' degli affari del signor Bill Kaulitz l'avrebbe concentrata su qualcosa di diverso del solito. Temeva però che questo non sarebbe piaciuto per niente a Lyric.
 

***

 
Se c'era una persona al mondo in grado di gettare nel panico più totale i due gemelli Kaulitz nello stesso tempo, usando solo nove parole nette, quella era loro madre Simone. Solo lei ci riusciva sempre.
 “Lyric si trova nel mio studio in questo momento.”
La caduta rumorosa di scatolame vario dalla borsa della spesa indicò che Bill aveva recepito il messaggio con troppa sorpresa. Il fatto poi che a questi ci fosse stato il seguito di ripetuti colpi di tosse, provocati dalla male deglutizione di un pezzo di torta da parte di Tom, indicò che neanche l'altro Kaulitz l'aveva presa bene.
Simone sbatté le sopracciglia chiedendosi cosa avesse detto di strano.
“Scusa puoi ripetere?” chiesero all'unisono i suoi due figli, entrambi un pochino più pallidi di quello che erano normalmente. Simone sentì che c'era qualcosa di strano nell'aria di cui non era a conoscenza.
“Ho detto che Lyric si trova nel mio studio al momento.” riprese a sistemare la spesa dentro la credenza “Sapete, il mio studio di sartoria che c'è nella mansarda? Quello che uso per rifinire gli ultimi tocchi ad un vestito...”
“Mamma sappiamo perfettamente quale è il tuo studio.” dissero sempre contemporaneamente i due gemelli, entrambi erano visibilmente turbati da ciò che la madre stava dicendo. Sul loro viso erano apparse le stesse identiche rughe di turbamento.
Tom si versò un bicchiere d'acqua e se lo scolò tutta in un sorso, pensando al modo più veloce per squagliarsela prima che Bill decidesse di metterlo in mezzo. Sapeva che se avesse dato possibilità al fratello di incastrarlo si sarebbe ritrovato a fare da portavoce per lui ed era l'ultima cosa che desiderava fare.
Non dopo che quello si era dichiarato così improvvisamente venti minuti prima.
Non sarebbe neanche riuscito a guardare Lyric in faccia senza che non si capisse che c'era qualcosa di ambiguo in corso tra loro due. No, Bill poteva anche incularsi, lui non era di certo masochista.
“Ok, allora è la prima parte che non avete capito per caso?” domandò in modo innocente loro madre mentre infilava le verdure nel frigo.
“Esattamente.” rispose Bill, che era rimasto fermo come un salame con in mano una scatola di piselli sgusciati.
Se Lyric era in casa questo significava solo una cosa: voleva parlare.
Con lui. Adesso. In casa sua. Era decisamente finito.
E non poteva neanche fare finta di non vederla! Era in trappola.
“Lyric ti sta aspettando di sopra, Bill.” Simone si voltò verso di lui puntandogli addosso un gambo di sedano, lo aveva tirato fuori perché quella sera aveva intenzione di fare lo stufato di carne con verdure. Lo lambì come una bacchetta.
“Non so per quale ragione tu e lei abbiate litigato.” usò il tipico tono da rimprovero materno che usava quando voleva mettere in chiaro chi in casa aveva sempre l'ultima parola “Perché si vede lontano un miglio che avete litigato.” precedette la bocca aperta di Bill pronta alla rivolta.
Tom rimase in silenzio perché meno entrava nella storia più possibilità di restare integro aveva.
“Ma non è per niente carino far aspettare un'amica che ha avuto la pazienza di attenderti per due ore solo per parlarti. Vai da lei e risolvete la situazione.”
Finito il discorso Simone appoggiò il gambo di sedano sul tavolo e si dedicò a prelevare la carne dal congelatore.
Bill rimase in silenzio per qualche minuto pensando intensamente ai pro e contro della situazione ed arrivò a concludere che se avesse fatto durare un minuto di più quella innaturale freddezza tra loro due sarebbe impazzito. Tanto più che non poteva fare il codardo fino a quel punto. La verità ormai era stata accettata, non poteva dire che la cosa non esisteva affatto. Quel sentimento però non avrebbe contrastato la loro amicizia.
Bill ci teneva forse anche più dell'essere innamorato di lei.
Senza dire nient'altro uscì dalla cucina diretto alla mansarda.
Passando davanti a Tom sentì su di lui uno sguardo pesante accompagnarlo. Pregò che fosse tutta una sua allucinazione.
Una volta fuori la madre si rivolse all'altro suo figlio “Capisco perché Bill sia diventato immediatamente teso, ma perché tu hai avuto la stessa reazione?”
Dalla sua posizione stravaccata sulla sedia Tom la guardò in obliquo, con un sorriso sulle labbra che le parve essere d'ironia. La persona da cui aveva ereditato quella sua sagacia poco riconosciuta era sua madre, questo lo sapeva da sempre, ma anche se lei intuiva la presenza di un piccolo problemino di fondo Tom non l'avrebbe fatta entrare nel mondo complicato dei loro segreti.
Sua madre avrebbe vissuto con tranquillità anche se non avesse dovuto preoccuparsi dei figli. Quello che Bill e Lyric si sarebbero detti lassù sarebbe stato un loro problema soltanto, che poi Tom ci sarebbe morto dietro erano solo cazzi suoi. Infondo se l'era andata a cercare.
“Vuoi una mano con la cena?” fu la sua risposta.
Simone guardò il suo primogenito pensando che quel sorriso celava qualcosa di molto strano. Non indagò oltre e prese al volo la possibilità di fare sgobbare un po' suo figlio al suo posto.
Bill intanto era giunto al piano superiore ed era rimasto dinnanzi alla porta con la mano sospesa sopra al pomello.
Come avrebbe dovuto iniziare il discorso? Delle scuse sarebbero andate bene?
Dopo qualche istante di questi sciocchi quesiti e si decise finalmente a cancellare la distanza che li divideva. Quando entrò nella stanza Lyric non se ne accorse neanche, per quanto era concentrata nel cucire. Era così immersa nel suo lavoro minuzioso che Bill decise di restarsene qualche secondo in disparte nella penombra, lasciandola concentrata in ciò che amava fare con passione.
Se lui aveva la musica e il sogno di sfondare con la band, Lyric aveva l'ambizione di diventare una grande designer di moda. Per qualche tempo aveva accantonato quell'idea , la morte di sua madre in particolare aveva assorbito ogni sua attenzione e allontanato i progetti futuri a cui aveva sempre pensato.
Un giorno di Gennaio, però, dopo che Lyric aveva assistito ad una loro prova in studio se ne era uscita determinata con la rivelazione che avrebbe ricominciato a inseguire quel suo sogno. Gli disse che erano stati loro a farle ritornare la voglia di riprovarci, perché dopo averli visti così risoluti e concentrati nella realizzazione del loro desiderio anche lei si era come ridestata da un lungo sonno inerte.
Tre mesi prima si era iscritta ad un corso di base, da tempo sapeva cucire ma era bene ricominciare tutto dall'inizio.
Bill ricordava l'entusiasmo con cui un pomeriggio si era presentata a casa sua e si era rivolta a sua madre per alcune delucidazioni sul modo migliore di scegliere stoffe e di preparare i carta-modelli. A volte si era ritrovato a pensare che frequentasse più sua madre, che era sarta, piuttosto che lui.
Dopo una decina di minuti Lyric allontanò il volto dal suo lavoro e con un sorriso di soddisfazione toccò la sua creazione, ci aveva messo qualche settimana ma ormai sapeva fare perfettamente quel tipo di cucitura. Si sentì molto orgogliosa di questo e gongolò rimirando il suo operato.
Sentendosi osservata girò lentamente il capo nella direzione in cui si trovava Bill. Non si dissero ancora nulla e rimasero in quel silenzio, guardandosi soltanto.
Lyric fu la prima a distogliere gli occhi, un lungo sospiro le rianimò il petto, l'aveva trattenuto senza accorgersene. Prese un altro ago da un cofanetto di legno pieno di rotoli di filo dei più svariati colori, Bill riconobbe il regalo di compleanno che le aveva fatto un mese prima.
“Tua madre è stata davvero gentile a farmi usare il suo studio in questi giorni, avrei potuto adibire una delle stanze di casa mia ma qui dentro mi piace di più.” nel dirlo la voce di Lyric non tradiva nessun tipo di tensione, sembrava molto calma, come se quei quattro giorni di scena muta non ci fossero stati tra di loro.
Bill decise di seguire quella stessa linea di comportamento fintanto che lei lo voleva.
“In questi giorni sei passata a casa mia?” chiese con stupore.
Lyric annuì senza guardarlo, concentrandosi solo sulla rifinitura di un orlo “Già, sono venuta qui mentre tu eri alle prove con gli altri. Il primo giorno ero venuta a risolvere la situazione ma non me la sentivo ancora di affrontarti effettivamente e tua madre mi ha distratto, chiedendomi se avessi avuto il desiderio di sferruzzare un pochino con le stoffe.” si scostò leggermente dal vestito per controllare che le fosse venuto in modo preciso la cucitura, constatato questo riprese a infilare e sfilare l'ago attraverso il tessuto verde smeraldo “Poi non so come siamo arrivate a parlare di un lavoro che avrei dovuto portare al corso tra una settimana e lei si è offerta di prestarmi il suo studio qui, nelle ore pomeridiane. Comunque non te ne saresti mai accorto, tua madre mi ha promesso che non te lo avrebbe detto e poi io me ne andavo sempre via prima che tu tornassi.”
Bill pensò per un secondo che sua madre era una traditrice ma non si sorprese più di tanto, sapeva il debole che provava nei confronti di Lyric.
Il ragazzo si allontanò finalmente dalla porta su cui era appoggiato da più di mezz'ora e si diresse verso uno sgabello vicino a lei. Una volta sedutosi la osservò ancora un poco mentre cuciva.
Notò che era vestita completamente di nero, cosa che di solito non faceva mai. Lei non indossava quasi mai niente di quel colore, preferiva tonalità come il rosso e il blu, comunque colori decisamente più allegri del nero.
Bill pensò che era dovuto al fatto che quel giorno fosse il 22 Maggio.
Indossava una particolare gonna a ruota di Shantung e sotto quello strato ce ne era un altro di leggero tulle che le dava volume. Portava poi una camicetta con le maniche corte a sbuffo e il colletto allacciato in un fiocco elegante.
Era carina, pensò senza particolari filtri a quei pensieri d'ammirazione che in quel momento non poteva concedersi.
Risalendo verso il volto però si accorse di un dettaglio che in tutto quel nero non aveva notato prima.
“Ti sei tagliata i capelli?” chiese, evidentemente sorpreso da ciò che aveva scoperto. Per poco non ci mancò che le saltasse addosso e cominciasse a chiederle come avesse potuto fare una cosa così orribile.
Lyric smise di fare ciò che stava facendo e con una mano si andò a toccare una delle ciocche corte del suo nuovo taglio, sorrise “Già. Ieri dopo la scuola me li sono fatta tagliare.” spiegò lei.
Bill, che aveva gli occhi sgranati, strinse il labbro inferiore per un secondo.
Vedendolo con quell'espressione lei si mise a ridere.
“Io non ci trovo niente da ridere, sai perfettamente quanto mi piacessero lunghi.” Bill sbuffò rassegnato, non pensava che stesse male con i capelli tagliati, ma quei boccoli così lunghi erano la sua fissa. Sarebbe passato del tempo prima che si abituasse.
“Lo so che ti piacevano ma guarda che non ti devi preoccupare, ricrescono.” lo consolò Lyric senza far sparire l'allegria dai suoi occhi “Avevo solo voglia di cambiare.” arrotolò un ricciolo attorno ad un dito “Volevo fare un taglio netto, se capisci cosa intendo dire.”
Bill annuì andando a stringere la mano con cui lei si stava tenendo i capelli. Lui sapeva quasi sempre il significato delle sue parole, in quel caso era evidente di cosa stesse parlando. Infondo non passavano pomeriggi interi a parlarsi senza che lui non assimilasse le informazioni. Giorno dopo giorno continuava a comprenderla meglio.
Lyric intendeva dire un taglio netto con il passato.
“Cosa hai fatto oggi mentre io ero a scuola?” domandò il ragazzo. Lyric si sistemò sulla sedia e tenne per qualche secondo il capo abbassato verso le loro mani strette in quell'abbraccio di dita.
Si aspettava quella domanda, infondo entrambi erano poco interessati alla litigata di quattro giorni prima e sapeva che Bill preferiva parlare dei suoi problemi piuttosto che di uno screzio di poco conto.
“Nulla di particolare, questa mattina ho passeggiato per il centro senza una meta precisa e poi sono rimasta seduta in cattedrale fino alle quattro di pomeriggio.”
“Tutto quel tempo in chiesa?” diversamente da Bill Lyric ci credeva davvero in Dio, ci credeva molto più di tante persone che si professavano religiose. Da un anno però aveva tagliato i ponti con quella parte di se stessa e se quel giorno era tornata a varcare la porta di un luogo sacro doveva aver preso qualche sorta di seria decisione.
“Già, avevo un mucchio di cose di cui parlare con Dio.” infatti aveva parlato con Lui nel silenzio della chiesa per parecchie ore vista la mole di cose che doveva riferirgli. Era rimasta muta per un po', fissando con sentimenti contrastanti il crocefisso dell'altare e poi passo dopo passo aveva esposto le sue riflessioni.
“E cosa hai ottenuto da questa lunga conversazione?”
Lyric rispose prima con un sorriso “Che abbiamo fatto pace.” disse con allegria.
Effettivamente aveva fatto pace con un parecchie cose quel giorno, con il suo passato, con Dio, con la sua rabbia e ora voleva fare pace con Bill.
La ragazza separò le loro mani con un movimento lento e si alzò dalla sedia per poi inginocchiarsi di fronte a lui. Bill la fissò, consapevole che stesse per fare qualcosa da “sconvolgimi la vita” in stile Lyric.
“Ci sono delle cose che vorrei dirti.” iniziò lei.
“Non c'è bisogno che tu stia inginocchio per dirmele.” Lyric scosse la testa, determinata.
“No, però a me piace così.” Bill alzò il sopracciglio senza fare commenti, poteva concederle le sue piccole stranezze.
Lei lo guardò con tutta la potenza ammagliante dei suoi occhi, erano brillanti e danzavano in una marea di luci blu. Forse esagerava a vedere tutte quelle cose nel suo sguardo, ma da tempo aveva smesso di chiedersi se era solo lui a vederlo oppure era effettivamente così.
Infondo non c'erano sempre risposte a questo tipo di cose, quando smettiamo di vedere una persona soltanto in un certo modo e la eleviamo ad un livello diverso di solito non ci si sta molto con la testa. L'amore infondo non aveva un senso preciso per esistere. Esisteva, tutto qui.
“Ho riflettuto molto sul motivo per cui l'altro giorno mi hai detto che ero una sciocca a ritornare in America. Dopo parecchie ore di attenta riflessione sono giunta ad una conclusione che suppongo sia molto vicina alla realtà.”
Bill aveva paura per lei.
Paura che se fosse tornata là ad affrontare sua nonna e quell'ambiente così insano sarebbe tornata in Germania peggio di come l'aveva lasciata. C'erano voluti mesi prima che si aprisse completamente a lui, molto tempo prima che fosse realmente serena. Non voleva di certo che lei soffrisse ancora per quella gente glaciale e odiosa. Chi se ne fregava se era la sua famiglia, sangue del suo sangue, se qualcuno provocava solo dolore allora era meglio tenerlo il più lontano possibile da se stessi.
Persino lui aveva capito che questa era la soluzione migliore, proprio per questo si teneva alla larga dal padre naturale. Ci teneva a continuare ad essere felice e voleva che lo fosse anche lei.
Quattro giorni prima avrebbe potuto esporgli tutte queste sue idee con calma e ragionevolezza, ma avendo visto la determinazione con cui lei aveva affermato di voler accettare la richiesta di sua nonna in lui si era accesso anche qualcosa di più della semplice preoccupazione.
Si era lasciato trasportare dal panico.
Perché oltre alla paura per lei, temeva anche qualcosa di peggio: perderla.
E se fosse accaduto qualcosa a Boston capace di cambiare le sue idee e di farle venire voglia di tornarsene nella sua casa natale, si era detto in quei pochi minuti mentre Lyric gli confidava la sua decisione. E se ci fosse stato qualcosa che l'avesse portata via da lui, cosa avrebbe fatto?
Continuando su quella linea di pensiero era arrivato al motivo di tanto panico. Aveva capito che Lyric era molto più importante di quanto volesse ammettere e i mille pensieri fastidiosi del suo cervello avevano dato la carica, destando in lui il desiderio di gridare. Cosa che poi aveva fatto.
Non puoi andarci!”  aveva urlato Bill nel mezzo della classe, durante l'intervallo, spaventando tutti quelli attorno a loro. Lyric si era pietrificata dalla sorpresa e dalla confusione.
Come sarebbe a dire che non posso?” aveva usato il medesimo tono, nel classico modo che assumeva quando non voleva essere attaccata così d'improvviso.
Avevano poi proseguito su quella linea di tono finché Lyric non lo aveva spintonato ed era uscita dall'aula, stanca di sentirsi urlare contro cose che in quel momento non riusciva a capire. Si era sentita attaccata in una decisione personale di cui era molto sicura e per questo non aveva potuto accettare nessun tipo di critica, per di più se fatta così violentemente dall'amico che credeva avrebbe potuto capire.
Bill scese dallo sgabello e si mise anche lui per terra, di fronte a lei.
“Cosa sei arrivata a concludere?” domandò sentendosi molto sciocco per aver litigato così stupidamente con lei.
“Che non ti devi preoccupare. Io me la caverò benissimo nella fossa dei leoni. Sono molto più forte di qualche mese fa.” Bill non si sorprese del fatto che avesse azzeccato la prima delle motivazioni, anche lei dopo tutto aveva cominciato a comprenderlo affondo.
“Lo so.” ammise.
Lyric annuì, contenta che fosse d'accordo almeno su quel punto.
“Non devi temere che mi succeda qualcosa di orribile, credo di aver toccato il peggio già da un pezzo, al massimo potrebbero assassinarmi ma non credo che si darebbero tanta pena per eliminarmi.”
Bill ridacchiò alla battuta “La tua famiglia potrebbe comunque farti passare delle settimane d'inferno e saresti troppo lontana per venirti a consolare.”
“Pensi davvero che abbia sempre bisogno di essere consolata?”
“No.” Bill si corresse “Io penso che potresti fare qualunque cosa se solo lo desiderassi. Tu sei forte, lo penso per davvero perché se fossi stato al tuo posto non so se sarei riuscito a rialzarmi, dopo che tutto il mio mondo è stato cancellato.”
Diglielo!”  gridò la sua coscienza dentro di lui.
Lyric non poteva sapere cosa stesse viaggiando a pochi centimetri da lei. Non poteva minimamente immaginare la potenza dei pensieri che stavano esplodendo uno contro l'altro nella mente di Bill.
Non lo poteva sapere, ma lei stava riflettendo su altro.
Bill doveva vivere senza sentirsi in pensiero per i suoi problemi.
Se lui avesse continuato su quella via Lyric, la Lyric egoista, non gli avrebbe permesso mai più di allontanarsi da lei. Avrebbe fatto qualunque cosa per tenerlo al suo fianco, lo avrebbe fatto per continuare a sentire tutta quella felicità straordinaria. Se avesse lasciato vincere quella se stessa egocentrica, allora Bill sarebbe stato suo per tutta l'eternità, perché questo era il tempo che desiderava.
Pensare che quei giorni spensierati potessero durare per sempre, immaginare che sarebbero rimasti insieme per un tempo talmente indeterminato, per lei era come essere accarezzati da un piuma che la stuzzicava.
L'altra parte di se stessa, quella parte che rimaneva sempre con i piedi per terra, le aveva però fatto capire la crudeltà di un desiderio simile. Doveva camminare con le sue gambe e per farlo non poteva permette a Bill di sostenerla in ogni più piccolo passo. Per restare in piedi con le sue sole forze doveva affrontare certe sfide individualmente.
Bill non poteva esserci sempre, non doveva. Anche se il solo pensiero la rendeva davvero grata.
“Bill, ti fidi di me?” domandò Lyric appoggiando una mano sulla sua spalla. Bill annuì.
“Io andrò in America per dire a mia nonna che ce l’ho fatta anche se lei mi ha rifiutato. Andrò da lei per farle sapere che anche se non mi vorrà mai bene, qui, ci sono persone mi amano veramente e mi accettano.”
Il cuore batteva velocemente, sia in uno, sia nell'altro “Perché tu mi vuoi bene, vero?”
Bill abbassò e rialzò le palpebre in un istante, trattenendosi “Io ti...” sussurrò inizialmente, ma cambiò idea subito “Certo che ti voglio bene.”  
“Vedi? Andrà tutto bene.” E nel dirlo Lyric si avvicinò a lui per stringerlo in un abbraccio. Un profumo delizioso di mughetto gli inondò i polmoni appena poté respirare tra la cascata dei suoi capelli ondulati. Fece scorrere i palmi delle sue mani lungo il tessuto morbido della sua camicia, risalendo lungo la schiena finché non la strinse contro il suo petto.
“E poi tornerò qui da te.”  A Bill si strinse il petto dall’emozione “Ormai là non c'è più niente che mi possa legare. Solo il passato e tanti ricordi passati, due tombe ed una casa vuota, una famiglia che non mi ha mai voluto ed una donna che mi odia senza motivo. Vedi? Non possono compete con tutto questo.” Ed indicò loro due.  
Sentì il leggero tremolio che si stava propagando nel petto di Lyric e Bill volle prenderne almeno una parte per questo la strinse ancora più forte a sé. Voleva portare un po’ di quel peso con lei.
Se glielo avesse chiesto lui l'avrebbe sostenuto per entrambi.
“Ti aspettò allora.” glielo disse nell'orecchio, come una promessa. Lyric annuì, affondando poi il volto dentro l'incavo della sua spalla e senza riuscire a trattenersi cominciò a piangere. Bill non dovette chiedere spiegazioni, sapeva che l'avrebbe fatto. Non aspettava altro che di liberarsi di quel nodo alla gola, portato dentro da quando si era svegliata.
Quello era l'unico pianto che quel giorno si stava concedendo per la madre ed entrambi sapevano che non lo avrebbe versato se non con lui. In parte Bill provò piacere nell’essere l'unico ad avere l’opportunità di sostenerla. Dall’altra parte si sentì affranto nel non poter fare di più che abbracciarla più che poteva.  
Caddero all'indietro per via della posizione precaria che avevano assunto con l'abbraccio, ma una volta sdraiati sul suolo non lui ci pensò neanche un secondo a lasciarla andare e Lyric sembrò essere dello stesso parere.
Continuò a singhiozzare come una bambina, cullata dalle sua braccia e rassicurata dalla sua voce.
“È tutto apposto. Va tutto bene.” le diceva così vicino da pensare che fosse una voce generata dentro la sua testa.
“Abbiamo fatto pace?”
“Questo mi sembrava palese.” rispose Bill ridendo leggermente.
Dopo di che Lyric si lasciò trasportare dal suo pianto di sollievo, pensando che se lo sarebbe ricordato in eterno.
Bill che le passava le mani sopra la schiena in lenti movimenti circolari per farla calmare.
I sospiri nati dalla lacrime che cadevano.
Il battito nel suo petto mentre attorno a lei esisteva solo il silenzio.
Un anno prima non avrebbe mai pensato che sarebbe stata lì, in quel luogo, e avrebbe ringraziato Dio di avercela portata. Il tempo mutava veramente le cose.
Sii felice.”
L'augurio di sua madre, ancora una volta, si ripeté nella mente.
Si scostò da lui per poterlo guardare in faccia ed incontrare i suoi meravigliosi occhi, di quel colore pieno di calore.
Sii felice.”
Mentre Bill sfiorava con la punta dell'indice la scia bagnata lasciata dalle sue lacrime, Lyric sentì la risposta a quella richiesta passata far finalmente capolino.
Lo sono già, non preoccuparti.”
E il tempo ricominciò a scorrere veramente.
Istante dopo istante.
 
_______________________________
 
 Prima di tutto voglio ringraziare, come sempre, tutti i lettori che mi seguono, anche se non vi sento mai so che dopo tutto questa fanfiction vi piace. In particolare ancora una volta Lady_Daffoidil, Giulia (spero di non sbagliare il tuo nome mia cara XD) e Morgana (non dovrei ringraziarti, tanto tu rimani sempre la mia fan numero uno). Con il vostro sostegno non mi sento sola.

Poi cos'altro dire? Beh che è tutta colpa della scuola che è ricominciata se questa ff proseguirà con più lentezza, già che io sono un bradipo di mio quando scrivo perché rimango lì finché non viene fuori come cavolo deve essere, ci si mette anche quel mostro a rompere le balline. Ma che volete farci, essere in quarta superiore in istituto biologico ha le sue grane ma infondo me la sono andata a cercare.

Vorrei che dopo il capitolo non pensaste che sono perfida ad aver dato a Lyric una famiglia così tragicamente segnata dalla morte. Mi dispiace che sia dovuta uscire così ma fin dall'inizio sapevo che questa storia avrebbe avuto un casino di punti oscuri. Il fatto che tutti quei componenti Alysei siano morti è importante per me, sta indicare che persino chi ha tutto nella vita (ricordo che sono straricchi) può essere fatto cadere tra i mortali con situazioni dolorose. È il prezzo di vivere, sapere che non tutto può andare perfettamente bene.

Direi che in questo capitolo si stanno facendo molti passi avanti. Bill poi è stato grandioso, visto che si è aperto a Tom riguardo a quella questione senza neanche dirmelo. Dopo che ho scritto quella scena siamo rimasti sconvolti in tre: Bill, Tom ed io (soprattutto io). Nessuno di noi si era aspettato un'uscita così spaventosa. XD Ma lui tende sempre a sconvolgere la gente.

Lyric invece sta davvero maturando, non credete? Voglio dire, è passato solo un anno dalla morte della madre eppure è diventata una persona davvero meravigliosa. Sta riconquistando passo dopo passo l'essenza di se stessa. XD Peccato che io le vada sempre a rompere le balle, muhahahaha..

E la cosa bella è che nessuno di voi ha la minima idea di quello che accadrà. Io mi diverto troppo, già, sono crudele.

Ora mi ritiro, sperando di non essere risucchiata dal buco nero della scuola, prego affinché possa postare il capitolo successivo il più fretta possibile. Incrociamo le dita e chiediamo a Dio del tempo per scrivere!

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Capitolo 9
*** Capitolo 8: Alysei ***




Capitolo 8: Alysei

 
 

“Eccomi.” si abbassò verso la lapide mentre un angolo della sua bocca si inclinava dolcemente.
“Come ti avevo detto sono venuta a trovarti.” non si sarebbe mai aspettata di sentirsi così calma, aveva pensato alla possibilità di potersi incupire appena entrata nel cimitero, invece non era accaduto niente del genere. Era serena.
Lyric alzò lo sguardo verso il cielo per qualche istante, seguì la scia bianca di un aereo appena passato sopra la sua testa poi riabbassò il capo con il lieve sorriso ancora sulle labbra.
“Avrei voluto che fosse venuto anche lui, così ve lo avrei presentato.” nel dire ciò si voltò verso la lapide accanto, quella di suo padre “Sono certa che vi sarebbe piaciuto, soprattutto a te papà. È il tipo di ragazzo che ti saresti divertito a prendere in giro ventiquattro ore su ventiquattro. Lui si sarebbe fatto prendere dall'ansia credendo di non piacerti e tu avresti continuato a trattarlo solo per il gusto di farlo stare sulle spine.” rise, immaginandosi l'esilarante possibilità di quei due chiusi insieme nella stessa stanza “Però sareste andati d'accordo alla fine.”
Lyric accarezzò il viso ritratto di Sebastian Hörderlin. Gli occhi di suo padre, colorati di un nocciola molto intenso, la guardavano attraverso la fotografia. Li aveva sempre amati quegli occhi pieni di calore.
“Già, a quanto pare sono felice. Riesco persino a parlare con voi senza scoppiare in un collasso isterico. Decisamente Bill vi sarebbe piaciuto da matti.”
Scosse la testa per la completa assurdità del suo discorso, ma rise con ancora più allegra di prima.
Chissà se la nonna lo avrebbe notato tutto quello splendore che la circondava, magari si sarebbe accorta di avere di fronte una persona completamente diversa da quella che conosceva. Magari avrebbe capito che la vera Lyric era anche questo lato ottimista ed energico. Forse se Cassandra le avesse chiesto il perdono avrebbe potuto anche concederglielo ma non ci contava troppo.
L'orgoglio era sempre stato una qualità forte nella sua famiglia, sua nonna poi ne possedeva più di chiunque altro. Sarebbe stato più probabile vedere gli unicorni galoppare per le strade di Boston, piuttosto che assistere allo spettacolo di sua nonna che chiedeva scusa.
“Comunque è meglio che sia qui da sola, voglio proprio farle vedere quanta acqua sia passata sotto i ponti, dovrà ammettere che il piccolo torrente sta diventando un fiume amazzonico. Sì, lo so, metafore dementi.”
Rise ancora presa da quella sensazione di leggerezza.
Doveva proprio essere il sollievo di non temere più il ricordo dei suoi genitori.
Tolse la carta con cui erano avvolti i fiori che aveva portato e la depose accanto alle sue gambe mentre con l'altra mano infilava i crisantemi scarlatti nel vaso apposito.
Il rosso era sempre stato il colore preferito di sua madre.
Fatto ciò rimase per parecchio tempo in silenzio, seduta di fronte alle due lapidi, con la testa che vagava senza animosità.
Si ricordò inspiegabilmente delle passeggiate autunnali che lei e suo padre facevano ogni volta che, tornata a casa dalla scuola, lui aveva un poco di tempo da dedicarle dal lavoro. In quelle occasioni le era sempre piaciuta la sua stretta forte ma al tempo delicata quando camminavano mano nella mano. Era come affermare che sarebbero stati inseparabili.
Per Lyric era sempre stato l'uomo migliore del mondo, il suo superman personale, invincibile. Pronto a coccolarla come se fosse un grande tesoro, ma in grado anche di farle capire la differenza tra un'azione sbagliata e una giusta. A cinque anni era così “innamorata” della sua persona che aveva dichiarato che un giorno se lo sarebbe sposato.
Naturalmente Sebastian le aveva spiegato che ciò non era possibile, perché aveva già promesso alla mamma che sarebbe stato suo per sempre e un uomo vero le promesse le mantiene costi quel che costi, le aveva detto.
Lyric per ripicca allora aveva giurato sulla testa del suo pony Fairy-Wing (un pupazzo a forma di cavallo che doveva essere da qualche parte nella soffitta della casa di Boston) che allora sicuramente si sarebbe innamorata di un uomo come lui.
Ricordò le lacrime agli occhi dei suo genitori per le risate e di come suo padre le avesse poi dato un leggero sbuffo sotto il mento “Come me? In che senso?” aveva domandato in quell'occasione. Una allora Lyric di cinque anni era rimasta a labbra serrate per qualche minuto, cercando delle parole per spiegarsi. Incontrando lo sguardo di sua madre ebbe una scintilla d'ispirazione “Non lo so, però vorrei tanto essere guardata come la mamma.”
E come viene guardata?” Lyric aveva sorriso con i denti da latte ben in vista “Come se ci fosse solo lei.” aveva risposto con sincerità.
Naturalmente suo padre era scoppiato a ridere un'altra volta, ma non della risposta in sé, più che altro per aver constato ancora una volta quanto sua figlia e sua moglie si assomigliassero.
Le donne Alysei non si battono mai, era la prima regola che qualunque uomo intenzionato ad amarne una avrebbe dovuto conoscere. Sebastian lo aveva imparato da tempo.
Se troverai qualcuno che lo fa, allora, me lo dovrai per forza presentare. Credo che diventerebbe mio genero.”
Genero? Che cos'è un genero? Si mangia?”
Dipende, tesoro. Potresti anche mangiartelo di baci ma nel caso te ne venisse mai voglia non farlo davanti a tuo padre. Farebbe male al mio stomaco.”
Ok.” aveva pronunciato con convinzione, sgranando gli occhi al pensiero di suo padre preso dal mal di pancia per una cosa del genere.
Allora non mangio nessuno con i baci.” aveva assicurato lei, portandosi una mano sopra al cuore come a prometterlo, anche se non capiva come fosse possibile desiderare di mangiare qualcuno a forza di baci.
Ecco, brava!” aveva commentato Sebastian ritenendo giusto mettere un minimo di freno a qualunque pensiero riguardo alla questione ragazzi. Poi era di nuovo scoppiato a ridere.
Era sempre stato un tipo molto gioviale e amichevole, in un modo più eclatante di sua madre.
“Mi dispiace essermi allontanata così tanto da ciò che mi avevi insegnato, papà. Ma vedrò di rimediare.”
Si riferiva al fatto che c'era stato un tempo in cui pensava che vivere fosse qualcosa di così inutile e superfluo, un pensiero per cui suo padre l'avrebbe sgridata sonoramente.
Il rumore di un altro aereo che volava sopra di lei le fece alzare il capo per seguire ancora una volta la scia dei motori. Sembrava che qualcuno stesse facendo gocciolare della vernice bianca e candida sopra a della carta azzurrina.
Un po' di vento si alzò, cominciando a sussurrare tra i fili dell'erba.
Lyric tornò a guardare le due lapidi e questa volta con un altro pensiero in mente.
“C'è qualcosa” si avvicinò, appoggiando una mano sull'incisione del nome di sua madre “C'è qualcosa che non riesco a capire. Forse sono io che mi faccio troppi problemi, ma da un po' di tempo sento che c'è qualcosa di diverso.”
In modo molto lieve qualcosa nella sua testa frusciava come seta sotto la pelle. Un'intuizione che non aveva ancora un'identità precisa stava cercando di trovare una voce con cui farsi sentire e lei provava a tendere l'orecchio per ascoltarla. Era lì a pochi centimetri dalla sua mano però Lyric non riusciva proprio ad afferrarla.
“Sta cambiando.” lo sussurrò pianissimo perché voleva a tutti i costi tenere quell'idea indefinita, che tanto indefinita poi non era, dentro di sé “Forse è già cambiato.” si corresse senza ancora dare un soggetto a quelle sue frasi.
Tanti volti cominciarono a susseguirsi come in un vortice e per ognuno di loro attribuì dei ricordi, delle ragioni, delle parole, dei sentimenti. Tante persone, ugualmente importanti. Eppure c'era qualcosa di diverso. Sentì le guance scaldarsi mentre il cuore perdeva qualche battito.
Tanti volti, uno dopo l'altro, così semplici da riconoscere e da descrivere. Loro erano sentimenti comprensibili. Poi l'ultimo viso, quello lasciato alla fine della coda. Ecco il punto.
Era un sentimento trasformato, un sentimento cresciuto.
“Sono passate due settimane da quando ho cominciato a chiedermelo, ma sono sempre al punto di prima. Chissà se riuscirò mai a capirci qualcosa. In momenti come questi ci vorrebbe proprio la tua presenza, mamma.”
Quel viso due settimane prima era stato molto vicino, tremendamente vicino.
C'erano stati altre occasioni in cui i loro volti si erano trovati nella stessa situazione, forse non così vicini però quasi, ma quella sera di due settimane prima era stato molto diverso.
Quella volta aveva pensato a qualcosa di completamente nuovo per lei.
Qualcosa che non l'aveva mai toccata così intimamente.
Era stata la notte prima della sua partenza per Boston, in quell'occasione Bill e gli altri tre scapestrati erano venuti a trovarla a casa per una specie di festino d'addio. Passata ormai la mezzanotte zia Freia non aveva avuto remora nel buttarli fuori di casa, nfatti per l'intera serata avevano fatto più casino in quattro di qualunque rave party a cui sua zia avesse mai partecipato nella sua giovinezza.
Bill si era però trattenuto qualche minuto in più, solo con lei.
Avevano parlato dei progetti di entrambi in quel mese di separazione. Lyric aveva infatti deciso di prolungare la sua permanenza negli Stati Uniti perché suo zio Victor aveva espresso il desiderio di passare un po' di tempo con lei e in questo, sorprendentemente, si era ritrovata d'accordo.
Poi erano giunti i saluti definitivi. Era tardi e Bill abitava a parecchi quartieri di distanza da casa sua. Inoltre gli altri tre, lo avevano aspettato ai cancelli.
Si erano alzati entrambi contemporaneamente, rimanendo a fissare le tre sagome a dieci metri da loro.
“Allora fai un buon viaggio e appena puoi chiamami.”
“Certo. Se non riuscirò a chiamarti, ti spedirò delle e-mail e se non riuscirò a contattarti con quelle userò dei piccioni viaggiatori.” Bill aveva riso, voltandosi verso di lei.
In quell’istante aveva pensato che le sarebbero mancati tutti.
Gustav, con quella sua immancabile essenza fatta di correttezza, calma, silenzio e dolce affetto dimostrato con semplicità e riguardo. Un amico con cui parlare delle più piccole cose, anche le più banali, senza temere di non essere ascoltati o capiti. Il tipo di ragazzo a cui si potrebbe affidare ad occhi chiusi la propria vita, perché al mondo non si potrebbe trovare nessuno in grado di dimostrarti più fedeltà e fiducia di quel sedicenne biondo, leggermente timido e tendente al mutismo ma con il più grande cuore che si possa trovare nel creato.
E poi Georg.
Con lui non c'erano mai sforzi ne finzioni, era in grado di farle passare il tempo con il sorriso (o il riso) a fior di labbra senza mai stancarla. Ed oltre quella scorza di adolescente casinista e amante del divertimento c'era il bravo ragazzo, il fratello maggiore che nel momento del bisogno è sempre lì a sostenerti anche se non l'hai chiesto. Quello che ti appoggia un braccio attorno alle spalle e con determinazione ti difende a spada tratta mantenendo quella sua leggerezza nei modi, con quella allegria viva e contagiosa. Conoscendoli, con il passare dei mesi, Lyric aveva scoperto di adorarli.
E poi c'era Tom, con cui qualche volta si scontrava ancora.
Lui rappresentava un legame importante. Quando stavano insieme era come essere accanto a qualcuno in grado di comprenderti. Sotto allo spaccone fissato con le ragazze e con un ego enorme capace a volte di divorarlo, esisteva il Tom sorprendentemente dolce, quello che le voleva bene come se fosse stata sua sorella.
Quel Tom pieno di umana profondità (seppur così ostinatamente nascosto o forse così poco conosciuto dallo stesso possessore) spesso Lyric lo aveva intravisto dietro ai gesti più insignificanti.
Lyric sapeva di essere la prima vera amica femmina che Tom avesse mai avuto e questa era una delle motivazioni per cui le piaceva il loro legame. Lei era la prima creatura di sesso femminile, oltre a sua madre, a cui avesse concesso di avvicinarsi quel che bastava per conoscerlo. Questo significava aver abbassato le difese che si era eretto, averle concesso una grande possibilità. Sotto un certo punto di vista Tom era il suo più grande amico e questo poteva pensarlo perché Bill, ormai, era qualcosa che andava oltre a quella descrizione.
Lui sarebbe stato la persona che le sarebbe mancata di più.
A morte, letteralmente mancato a morte.
Qualcuno glielo avrebbe dovuto proprio spiegare questo rompicapo.
Mesi addietro non sapeva neanche che esistesse un Bill Kaulitz al mondo, eppure, dopo così poco tempo, quel ragazzo le aveva sconvolta la vita. Era diventato un punto fisso e allo stesso tempo un’incognita della sua esistenza. Se qualcuno le avesse chiesto cosa rappresentava per lei, Lyric non sarebbe riuscita ad esprimersi se non con la parola tutto.
Arrivati ad un punto in cui si considera qualcuno il baricentro della propria, personale, gravità cosa ci si può inventare per descriverla? Se qualcuno diventa talmente importante da farci ritenere superfluo il chiedersi del perché l'abbiamo elevata a tal punto, non significa forse che non ci importa più dei motivi ma ci interessa solo che quella persona ci stia accanto?
Questo era Bill.
Quell'agglomerato di vita non privo di difetti: un po' egoista, leggermente prima diva, dannatamente testardo, spruzzato di qualche infantile moina, insicuro, perfezionista, a volte chiuso e spesso azzardato.
Quel Bill in grado di farla sentire in pace, forte, accettata, al sicuro, proprio questo ragazzo era diventato una presenza insostituibile. Le sarebbe davvero mancato a morte e in qualunque senso si possa immaginare. Per queste ragioni di cui era ormai a conoscenza, quella sera di due settimane prima, qualcosa dentro di lei si era acceso in un lampo folgorante.
Un secondo. Era bastato solo un secondo per sconvolgere tutto quanto.
In un secondo la sua mente aveva formulato quel bisogno impellente.
Una necessità che ancora le formicolava nella testa, nel corpo, ovunque.
La suoneria del suo cellulare la riportò con i piedi per terra,rispose senza neanche guardare chi fosse a chiamarla “Sì, pronto?”
“Ma belle au bois dormant! Sei ancora dai tuoi defunti?” chiese una voce maschile squillante, che riconobbe immediatamente per quella di Alphonse.
Chi diamine aveva dato il suo nuovo numero di cellulare a quell'esaltato di suo cugino? Si era rifiutata categoricamente di concederglielo in quelle due settimane di imposta convivenza. Che fosse stato suo zio Victor? Lyric sospirò rassegnata e guardò distrattamente l'orologio.
“Allie, guarda che manca ancora un'ora al nostro appuntamento. Non c'era bisogno di chiamarmi per ricordarmi che dovevamo incontrarci.” gli disse, avendo subito capito per quale ragione non l'avesse lasciata in pace neanche in occasione della visita alle tombe dei suoi genitori.
Pur non avendo particolari doti di crudeltà e cattiveria, quelle le aveva prese tutte la sorella Adele, suo cugino Alphonse non era mai stato in possesso di molto tatto. Era un'insopportabile bocca sempre costantemente aperta, persino nei momenti meno opportuni. Era così da sempre e quasi nessuno ormai ci faceva più caso. Solo quando c'era loro nonna si dava un contegno, l'istinto di sopravvivenza lo possedeva qualunque animale quindi perché lui avrebbe dovuto esserne sprovvisto?
“Lo so, lo so. Volevo solo sapere se andava tutto bene. Sapendo come ti riduci per certe questioni, volevo assicurarmi che non fossi esplosa in un lago di lacrime e urla. Mi preoccupava sapere se avrei dovuto aspettarti al locale con in mano una scatola di fazzoletti.”
Lyric rise lievemente. Comunque, pur non avendo particolare sensibilità quando si esprimeva, Allie era una persona gentile a suo modo. Gli poteva dare il merito di essere quello meno insopportabile tra tutti i suoi cugini. In confronto ad Hector, Ava e Adele, lui era sicuramente un angelo.
“No, tranquillo. Non ho versato neanche una lacrima. Sono stata brava, no?”
Sentì suo cugino ridere in modo quasi sollevato.
“Un giorno lo voglio conoscere.” affermò cambiando improvvisamente discorso.
Altro punto caratterizzante di Alphonse erano i suoi repentini cambiamenti d'argomento, viaggiava ad una velocità di pensiero troppo diversa dal resto dell'umanità o forse era solo il fatto che trovasse punti di collegamento tra questioni all'apparenza senza legami.
“Chi?” chiese sinceramente confusa.
“Superman.” affermò senza dare nessun'altra spiegazione.
“Superman?”
“Sì. Io voglio conoscere Superman.” confermò con fermezza.
“Alphonse Alysei-Delacroix è illegale bere per strada, senza contare il fatto che sono solo le cinque del pomeriggio e ti ricordo che non hai ancora l'età legale per sbronzarti in pubblico. Cerca almeno di non farti scoprire.”
Alphonse rise ancora, con un'inflessione molto accattivante, quella che di solito esibiva quando voleva far strisciare ai propri piedi la prima ragazza che attirava la sua attenzione.
“Sono più che sobrio. Io sono la quinta essenza dell'innocenza.” non ci credeva nemmeno lui e Lyric evitò di ripetersi per l'ennesima volta riguardo la concezione del cugino riguardo l’innocenza.
“Credici.”
“Lascia stare, ti spiegherò meglio un'altra volta. Allora ci vediamo tra un'ora. Sarò già dentro ad aspettarti.”
“Ok, a tra poco.”
“Sourette Lirì…” la chiamò in quel modo che usavano quando giocavano insieme da piccoli e Lyric ebbe la fugace visione di un bambino paffuto che correva assieme a lei tra le aiuole di una grande villa di campagna, quella della loro infanzia.
“Dimmi, frérot Allie.” Ricambiò a sua volta con il nomignolo che usava per lui. Lyric si immaginò il sorriso compiaciuto che si increspava tra le labbra perfetta di suo cugino. Doveva essere contento che lei se lo ricordasse ancora, quel piccolo loro intimo segreto.
“Salutami gli zii, per favore.”
“Certo.” Questa volta fu lei a ridere di compiacimento “Ci vediamo dopo.”
“Ok, a tra poco bella addormentata!”
“Quando smetterai di chiamarmi in questo modo?”
“Finché avrò vita.”
“Allora mi adopererò affinché la tua dipartita sia compiuta nel più breve lasso di tempo possibile.”
“Mon chou! Io sono al di sopra di una cosa futile come la morte. Il mio essere trascende l'essenza umana.”
Ecco, altra cosa che lo distingueva dalle persone normali, era incomprensibile. Faceva troppi discorsi fuori dal mondo, non si capiva mai se stesse dicendo sul serio o stesse solo esagerando. Difatti si esprimeva con così tanto ardore e convinzione che sembrava essere sincero.
Chiuse la chiamata, li avrebbe sorbiti dopo i suoi vaneggiamenti sulla sua perfetta persona.
Ritornò a guardare le due lapidi e non ci mise che pochi secondi per ricadere nel flusso dei pensieri di prima.
Mi mancherai...” le era uscito dalla labbra due settimana prima. Bill allora si era avvicinato al suo viso per darle un'innocente bacio sulla guancia, per salutarla una volta per tutte, ma a pochi passi dalla meta si erano guardati in quel modo.
Lei l'aveva guardato in quel modo.
Come se si fosse resa conto di essere cosciente.
Rimasero entrambi bloccati in quella posizione un po' sforzata per un tempo indefinito che, da un punto di visto oggettivo, doveva essere invece durato molto poco. Però era bastato.
La bella addormentata, per pochi minuti, aveva aperto gli occhi e si era accorta che il suo mondo era un po' più fitto di significati di quanto potesse immaginare. Per lo spavento però aveva di nuovo serrato le palpebre. Lyric si impose di smetterla e si rivolse alla madre “Tu cosa ne pensi?”
Si immaginò la risposta che le avrebbe dato. Era la sua risposta standard quando si trattava di questioni che le sembravano più semplici di quello che pensava sua figlia.
Two plus two, my darling. It's very simply.”
 

***

 
Al di sopra di qualunque dubbio, Alphonse Delacroix, era uno dei ragazzi più belli che avesse mai conosciuto nella sua vita, o quasi. A sedici anni non sembrava essere intenzionato a diminuire la portata della sua presenza scenica. Anzi, le pareva che la sua bellezza col tempo crescesse di pari passo con la considerazione che lui aveva di se stesso.
Una considerazione alta. Molto alta. Incalcolabile?
Lyric non si sorprese quindi di vedere, appena entrata dall'ingresso della sala da tè, una scena ripetutasi un centinaio di volte da quando lui aveva riconosciuto nell'universo femminile una ragione ludica. L'ennesima ragazza, in questo caso una giovane cameriera, che gli stava ronzando attorno come un’esaltata ape attorno ad un mucchio di miele.
Infondo i bei fiori avevano proprio questo scopo, attirare l'insetto dentro la propria corolla per poi dimostrare solo in seguito di essere la facciata di copertura di una pianta carnivora. Forse era un giudizio più severo di quello che si meritava suo cugino, ma a volte a quel ragazzo gli riusciva troppo semplice calpestare le persone che non avevano nessun valore per lui.
Più che volontariamente crudele si poteva dire che Alphonse era di un'insensibilità incosciente.
Vide la ragazza sorridere in modo adulatorio, sbattendo civettuola le ciglia e ridendo per compiacere quella che era diventata una preda. Poverina.
Non che credesse Alphonse incapace di provare sentimenti veri per qualcuno, ma era in quella fase in cui i maschi non pensano, neanche per sbaglio, ad essere maturi e desiderosi di una relazione seria. Quel pensiero gli rimbalzava addosso come una pallottola contro un carro blindato.
“Ciao Alphonse, scusa il ritardo ma ho trovato traffico.” in un nanosecondo suo cugino dimenticò l'esistenza della ragazza, che ancora stava in piedi di fianco a lui, e catalizzò tutta l'attenzione verso di lei.
Come aveva presupposto la cameriera era stata soltanto un tappa-buchi per ammazzare il tempo.
In verità lui non abbordava mai ragazze che non erano alla sua altezza. La cameriera era molto carina ma Alphonse prediligeva provarci solo con chi era di una bellezza quasi eccessiva. Così, tanto per dimostrare a se stesso che se avesse voluto il meglio lo avrebbe potuto avere con uno schiocco di dita.
La vanità era l'unica e vera grande pecca che Lyric non riusciva proprio a digerire. Per il resto le stava anche simpatico, essendo sempre stato uno tra i pochi incuranti delle faide interne della famiglia. Una sua grande qualità era che non gli importava per niente il concetto di potere.
In questo era sempre stata più brava la gemella Adele.
Alphonse l'accolse con un'allegria sproporzionata e si alzò da dove era seduto, per stritolarla poi in un abbraccio un po' troppo enfatizzato “Finalmente! Credevo che ti fossi schiantata contro un albero, visto che non ti facevi più viva. Infondo sei sempre stata l'orologio svizzero della famiglia.”
“Non esagerare. Sono in ritardo di soli dieci minuti.” ricambiò l'abbracciò.
Da quando era tornata aveva notato quanti sforzi quell'esaltato da strapazzo avesse fatto per riallacciare i rapporti con lei. Pur non capendo bene le ragioni non le dispiaceva dargli una possibilità. Contro di lui non aveva mai avuto particolari screzi.
A parte quel periodo in cui era stato alla deriva e si era leggermente fatto influenzare dalle idee di sua madre Amelia erano stati buoni amici.  Alphonse era stato il primo amico che avesse mai avuto e per questo, quel breve periodo di tradimento, era stata una pugnalata alla schiena.
Ma non lo aveva mai realmente odiato per questo. Lyric sapeva quanto poteva essere pesante l'influenza di zia Amelia su di lui. Suo figlio comunque l'amava quell'arpia di donna e questo non poteva di certo impedirglielo.
Alphonse le fece segno di sedersi sulla poltroncina di fronte alla sua mentre riprendeva posto al tavolo e poi, come se si fosse ricordato solo in quel momento dell'esistenza della cameriera, si rivolse all'altra presenza “Ora che è arrivata la mia ospite non è che potrebbe portarci la lista dei tè? Vorremmo ordinare.” lo stupore per quel repentino cambiamento di atteggiamento si lesse a caratteri cubitali sulla fronte stupita della ragazza, Lyric gli scoccò un'occhiata ammonitrice che lui ignorò con un sorriso tremendamente innocente. Era così schifosamente privo di tatto.
“Certo, ve le porto subito.”
“Grazie..” cercò di leggere il cartellino appeso al grembiule della cameriera “Carrie.” questo fu il punto di non ritorno. La ragazza scappò via a tutta velocità, nera in volto. Di certo ad Alphonse si era presentata ma lui però non doveva averla ascoltata più di tanto.
Era schifosamente privo di qualunque tipo di tatto.
“Non ti ho forse detto già una volta che le parole feriscono?” lo rimbeccò lei, facendogli pesare addosso uno sguardo molto eloquente. Alphonse ghignò innocente, facendo spallucce.
“Credo di averti risposto che non capivo assolutamente nulla di quello che stavi dicendo.”
“Speravo comunque che il tuo intelletto andasse oltre al guardarsi allo specchio ogni mattina e constatare di essere meglio del dio Elios.” Il ragazzo ridacchiò portandosi una mano tra i capelli biondi, si accarezzò i fili lisci e chiari che ricadevano scalati fino alle orecchie mentre i suoi occhi cerulei si lamentavano con ironia della predica in atto.
“Come al solito non capisco il motivo per cui ti ho fatto arrabbiare. Ogni volta che riservi questo tipo di uscite mi sento così confuso. Eppure non mi sembra di aver fatto qualcosa di così crudele. Non sono di certo come Didi.”
“Allie, tua sorella Adele non c'entra proprio niente. Se ti rimprovero è solo perché ne hai bisogno.”
“Uhm, io continuo a non capire cosa faccia di così sbagliato. Ok!” la fermò prima che esplodesse nella lunga lista dei suoi crimini “Potrei ammettere di essere un po' insensibile. Ma ti giuro che non mi accorgo per nulla di quando lo faccio.”
“Quindi dovrei abbonarti la pena per incapacità di intendere e volere?” 
“Esatto. Ehi!”
“Lo hai detto da solo.”
La cameriera intanto era ritornata con i menù in mano.
Alphonse colse l'occasione per farsi perdonare “Grazie infinite per la tua gentilezza.” espresse con una voce morbida e uno sguardo incantevole, da brivido lungo la schiena, e Lyric non dubitava che la ragazza lo avesse provato “Mi dispiace di averti fatto perdere tempo prima, costringendoti a sopportarmi mentre aspettavo mia cugina. Ti sono davvero grato della compagnia che mi hai concesso. Ogni volta che verrò qui sarà un piacere per me rivederti, Carrie.”
Qualunque ragazza sarebbe rimasta imbambolata a fissare un ragazzo in grado di esprimersi così elegantemente, se poi si aggiungeva il fatto che suo cugino era di una bellezza così pressante allora era chiaro che il perdono era qualcosa di scontato.
Lyric scorse la lunga lista di tè, mentre quella ragazza di nome Carrie si propinava in mille ed imbarazzate assicurazioni sul fatto che non si era affatto offesa.
Quando li lasciò nuovamente soli, per andare a preparare le loro ordinazioni, Alphonse guardava Lyric come ad aspettarsi da un momento all'altro il biscotto di contentino per aver fatto il cagnolino educato. Ci mancò poco che non gli scoppiasse a ridere in faccia in modo sguaiato.
“Va bene così? Sono perdonato?” l'espressione sul suo volto avrebbe fatto incrinare chiunque, lei però ne era immune.
“Puoi migliorarti ancora ma posso accettarlo come inizio.”
Allie ne fu visibilmente contento. Dopo qualche tempo di innocente e disimpegnata chiacchiera il ragazzo le chiese di sua zia Freia.
“Tutto bene. È arrivata questa mattina a Berlino. Sono contenta che sia riuscita a riposare prima di riprendere l'estenuante lavoro in banca.” mentre rispondeva si lasciò trascinare dal piacere che le dava il caldo sapore del tè ai frutti rossi che aveva scelto.
Alphonse annuì sorseggiando a sua volta dalla tazzina, lui aveva optato per un più vigoroso tè nero “Credevo che sarebbe rimasta almeno fino al ricevimento di questo sabato. Mi sembrava così tesa nel lasciarti tutta sola nelle nostre grinfie.” sbuffò lievemente, ironico.
Effettivamente sua zia Freia aveva esagerato con l'apprensione e non avrebbe mai pensato che per l'ansia si sarebbe trattenuta due intere settimane a New York, con lei, solo per minacciare di morte suo zio Victor nel caso le fosse accaduto qualcosa ( sottolineando il fatto che se anche un sasso fosse caduto dal cielo e l'avesse colpita la colpa sarebbe stata, comunque, imputata alla cattiva condotta dell'Alysei.).
Ovviamente zio Victor l'aveva trovata divertente.
Grazie al cielo Lyric era riuscita a convincerla a rilassarsi e godersi la permanenza nella grande mela nel modo più sereno possibile. Erano state due settimane davvero bellissime, contando il fatto che neanche una volta aveva pensato all'imminente rimpatriata di famiglia che si sarebbe svolta a Boston giorni dopo. La presenza poi di Alphonse, così spiritualmente avvolto da un'aura serena ed imperturbabile, l'aveva poi aiutata a passare il tempo in allegria.
“Che vuoi farci, lei non si fida affatto di nessuno di voi. Anche se si farà venire una cisti a forza di impensierirsi per me non riesco a biasimarla. Gli Alysei le stanno indigesti.”
“Fino a prova contraria anche tu sei una Alysei.”
“Fino a prova contraria sul mio passaporto c'è scritto Hördelin.”
“Lyric non dire sciocchezze. Lo so io, lo sai tu, lo sa chiunque.” sorrise in modo affilato, quasi compiaciuto delle parole che stava per pronunciare. Lyric non si trattenne dall'inclinare la testa all'indietro, un po' irritata.
“Non importa il cognome che porti o quanto lontano tu possa essere. C'è una sola che su cui non potrai mentire. Il fatto che nelle tue vene scorre il sangue della nostra famiglia.”
I due si guardarono per qualche secondo, in silenzio, prima di scoppiare a ridere.
“Per un attimo ho pensato di avere davanti tua madre che mi faceva una delle solite prediche riguardo il nostro portare rispetto per il nome con cui siamo nati.”
Alphonse si mise in una posizione più comoda, ostentando il suodivertimento “Ti immagini se pensassi davvero a quello che ho appena detto? Santo cielo. Va bene che sono un esaltato ma non ho mai capito come la mamma riuscisse ad essere convinta di questi discorsi.”
“Lei ci crede.” fu la semplice constatazione di Lyric.
“Già, loro ci credono. Veramente.” nel dirlo Allie fissò i decori blu sulla preziosa teiera inglese  “A volte mi chiedo come facciano a non stancarsi di tutta questa pressione che mettono nel nostro cognome.”
Lyric comprese subito di cosa stesse parlando. Un tempo erano stati anche suoi pensieri. Chissà quanto tempo Alphonse aveva passato rimuginandoci sopra. Chissà quanto quel ragazzo, all'apparenza perfetto, fosse soffocato dall’ambiente in cui erano nati.
Le persone normali in una famiglia ritrovano semplicemente un'insieme di persone, più o meno piacevoli, che condividono legami d'affetto oltre che di sangue. Ma per loro appartenere a quella famiglia era sempre significato qualcosa di molto più difficile.
“Come fanno a respirare in un'aria così soffocante? Sia la mamma e Didi pensano troppo a difendere un concetto di onore e dignità che trovo così opprimente. Quando mi accorgo, in qualche momento di lucidità, che tutti i soldi e la posizione che abbiamo non valgono la mia sanità mentale mi sento fuori posto. Come se io stessi rifiutando volontariamente un dono.”
Lyric lo interruppe perché non aveva intenzione di vederlo dilaniarsi nei dubbi. Non lui che sembrava, da capo a piedi, nato per essere ciò che gli altri vedevano. Bello, affascinante, ricco e di carattere piacente. Il perfetto ragazzo di una famiglia dell'alta società. Il principe azzurro delle favole.
“Ho sempre pensato che tu te la cavassi benissimo nella nostra posizione, di certo, meglio di quanto sia mai riuscita a fare io. Credo che se riesci a tenere a mente i limiti di ciò che ci hanno sempre detto allora puoi perfettamente respirare in questo mondo, Allie. A parte l'ossessione per ciò che vorrebbero che fossimo non siamo stati così sfortunati.”
“Dici quindi che non sia un male se qualche volta penso di essere inadatto al ruolo? Voglio dire, è plausibile sentirsi la pecora nera del gregge immacolato?”
Lyric sorrise “Certo, se non provassi qualche volta una cosa simile saresti un robot e inoltre non ti devi preoccupare.” lei avvicinò il volto verso di lui come a volergli confidare un segreto “La vera ed un'unica pecora nera di casa sono io.”
“Non è vero.” le disse, tornando sorridente come prima.
“Sì, invece.”
“No.”
“Perché no?”
“Perché io ti ho vista sempre troppo bene circondata dalla luce accecante del nostro mondo. Tu sei nata per essere una di loro.” la indicò con un dito mentre finiva di bere dalla sua tazzina. Quando la riappoggiò sul tavolo Lyric lo stava già guardando con gli occhi sorpresi.
“Non essere leccapiedi.” sventolò la mano come a soffiare via qualcosa “Io non sono per niente più bella di Adele, ne più elegante di Ava e tanto meno così educata come pensi.”
Lei si riteneva l'ultima persona al mondo da definire adatta all'alta società o comunque a quel tipo di ambiente. Poteva perfettamente mantenere una bella maschera sul viso quando si trattava di stare attorno a tanti squali ma a viverci essendo solo se stessa le risultava impossibile.
“Tu, come al solito, ti sottovaluti.” fu la risposta di Alphonse e come sempre sembrava sicuro delle sue parole.
“E tu, come sempre, esageri.” fu l'argomentazione di Lyric, anche lei certa di essere nel giusto.
Alphonse roteò gli occhi, convincendosi che anche se le avesse ficcato davanti uno specchio lei non si sarebbe mai resa conto di tutte le qualità che racchiudeva dentro di sé. Quando un giorno ne avesse preso coscienza allora le avrebbe detto in faccia un bel “Te lo avevo detto!”.
“Comunque c'è un perché se ti ho invitato qui oggi ed è anche molto importante.”
“Dai spara pure.” naturalmente Lyric si aspettava qualcosa del genere. Fin da quando si erano rivisti per la prima volta le era sembrato che ci fosse qualcosa di cui Allie volesse parlare.
“Spara pure?” il biondo corrugò la fronte “Da quando parli come la plebe?”
“Mmm, Alphonse...” prima o poi gli avrebbe dovuto fare un discorso sul fatto che doveva contenere il più possibile i suoi exploit da snob. A forza di farlo così involontariamente sarebbe risultato antipatico ad un mucchio di persone.
Gustav l'avrebbe definito snervante, Georg e Tom lo avrebbero mandato a quel paese prima ancora che avesse avuto il tempo di riprendere fiato mentre Bill, invece, lo avrebbe guardato storto, peggio di un insetto.
“Sì, scusa, scusa. Ma non riesco mai a trovare il termine con cui definire l'altra gente.” sì, decisamente aveva bisogno di una seria rieducazione. L'innocenza con cui lo diceva, inoltre, lo rendeva più fastidioso.
“Solo perché grazie a tuo padre hai ficcato davanti al tuo nome un antiquato titolo nobiliare non significa che le altre persone poi chiamarle plebee. E poi non hai il sangue blu.”
“Per essere precisi è di un brillante blu-notte.” questa volta fu una battuta fatta di proposito, per questo Lyric rise “Allie...”
“Ok, scusa, scusa. Cosa stavamo dicendo?” si imbambolò alla ricerca del pensiero perduto.
“Dovevi parlarmi del motivo per cui mi hai trascinato qui.”
“Ah! Sì!” fortunatamente lo ritrovò “Prima di tutto: di che colore è il vestito che ti metterai al ricevimento di sabato sera?” Ovviamente fu un'uscita che non aveva il minimo senso.
“E questa che razza di domanda è?”
“È molto importante invece, forse dalla tua risposta dipenderà la tua sopravvivenza. Dammi retta, è meglio che tu sia sincera.” se non fosse stato Alphonse a parlare in quel modo sarebbe stata certa di trovarsi di fronte ad uno un po' esaurito.
“Un abito color madreperla.” rispose infine, quasi al limite di un esaurimento. Sostenere una conversazione con quel ragazzo era un'impresa estenuante. Il fatto di non viaggiare sulla stessa lunghezza d'onda poi non aiutava per niente.
Alphonse parve rimuginare sulla risposta prima di annuire soddisfatto “Bene, allora la serata andrà divinamente.”
“Vorresti spiegarmi?”
“Oh! Ma è molto semplice. Dovevo accertarmi che tu non indossassi, neanche lontanamente, qualcosa della stessa tonalità cromatica del vestito da sera di Didi. Visto che lei ci verrà in cremisi e tu praticamente in bianco non ci saranno problemi.”
Per qualche istante Lyric cercò di trovare il collegamento logico tra quello che aveva appena detto e l'affermazione sul fatto che la serata sarebbe andata in modo splendido. Non la trovò.
Non ci riuscì proprio, si arrese davanti alla sconfitta “Vorresti cercare di essere più chiaro?”
Forse sarebbe stato meglio non farlo. Perché era quasi certa che stesse per arrivare una spiegazione molto stramba, di cui avrebbe trovato difficile la comprensione.
“Vuoi la spiegazione dettagliata oppure il riassunto spiegato con parole semplici?”
Optò per il male minore “Il riassunto con parole semplici.”
Alphonse si mise a schiena dritta ed incrociò le dita della mani sopra la tovaglia bianca del tavolo, come uno studente durante un'interrogazione alla cattedra.
“Allora. Sappiamo perfettamente che sei tornata qui in America perché la nonna ti voleva parlare di qualcosa, è ovvio.” Lyric decise di stare zitta per tutta la durata della spiegazione, così da vedere cosa ne sarebbe uscito fuori “Sappiamo entrambi, poi, che al ricevimento saranno presenti tutti i componenti principali della famiglia. Già, tutti quei insopportabili e boriosi parenti”.
Si scambiarono un sorriso complice “Oltre a loro saranno presenti almeno un centinaio tra i più importanti azionisti della società, i vecchi del consiglio di amministrazione, le famiglie della buona società di Boston e i rappresentanti dei partner industriali dell'impresa. Praticamente l'intera fiera della vanità si ritroverà ad occupare villa Silver Dust e ciliegina sulla torta, verranno tutti a porgere i saluti alla veneranda regina delle nevi: nonna.”
Detta in quel modo era un'immagine terrificante, ma per qualche inspiegabile motivo si sentiva molto positiva riguardo all'andamento della serata di sabato.
“Mi pare ovvio che nella serata di sabato succederà qualcosa.”
“Non è detto. Siamo certi che lei perderà tempo ad appartarsi con me, per farmi un discorso, quando dall'altra parte ha l'intero universo che le scorrazza attorno?”
“Oh, sì che ne siamo certi.”
“Che vuoi dire?”
“Perché se nonna non ti parla sabato non ci sarà nessun'altra occasione per farlo. Il giorno dopo parte presto per un viaggio d'affari e tu torni in Germania tra due settimane. Te lo detto, non avrebbe altra occasione.”
“E tu come fai a saperlo?”
“Ho origliato per sbaglio una telefonata tra mia madre e la nonna prima che tu arrivassi a New York.”
“Al solito. Sei sempre nel posto giusto al momento giusto.”
“Dipende dai punti di vista. Ma intanto fammi finire.” le fece segno con il dito di tacere, così da permettergli di proseguire. Lyric intanto rifletté.
Effettivamente suo cugino aveva ragione. Se era in programma un viaggio d'affari sua nonna non avrebbe cambiato i suoi piani. Cassandra doveva aver convenuto che quello che voleva dirle avrebbe necessitato di poco per essere esposto.
“Allora, visto che l'ultima volta che hai discusso con la nonna di qualcosa di serio hai tirato su un pandemonio.”
“Io non ho mai fatto niente del genere.”
“Volevo dire che quando parli con la nonna di solito diventi abbastanza intrattabile.” Lyric accettò la correzione, infatti aveva ragione, le poche volte in cui aveva parlato con sua nonna ne era sempre uscita distrutta.
“Quindi per affrontare il dialogo che avrai con lei dobbiamo fare tutto il possibile per farti arrivare a quel momento senza stressarti.”
“E questo cosa c'entrerebbe con il colore del mio vestito?”
“Se tu avessi indossato qualcosa dello stesso tono dell'abito di Didi, lei si sarebbe molto arrabbiata. Se ti avesse visto con qualcosa di lontanamente simile a quello che indossava lei ti avrebbe fatto passare la serata a suon di frecciate velenose e colpi bassi. Naturalmente questo non avrebbe aiutato la tua mente a stare tranquilla e saresti arrivata al momento della discussione già irritata.”
Lyric sbatté le palpebre per qualche istante, cercando di rimuginare sulla spiegazione appena ricevuta. Dopo essere stata certa di aver capito bene si piegò in avanti, in preda alle convulsioni.
Rideva.
“O santo cielo!” esclamò con una mano sulla bocca e gli occhi strizzati dalla ilarità “È una delle cose più contorte che mi abbiano mai detto. Comunque suppongo che ci sia qualcosa di sensato in tutto questo anche se non ne sono certa.”
Alphonse la guardò mentre rideva, con un sorriso sul viso che ricambiava la reazione.
“Comunque grazie.” le disse Lyric dopo un poco, asciugandosi poi le lacrime impigliate tra le ciglia.
“Di niente. Sto solo cercando di ripagare il mio pegno. Sai, tento di essere un uomo maturo.”
Una cosa che le era sempre piaciuta in suo cugino era la sua capacità nel mostrarsi in quel modo.
Era l'espressione che gli si addiceva di più. Molto tenera. Semplicemente dolce. Il volto buono della sua anima allo scoperto.

***

 
“Non sono stato io a sbagliare l'accordo. Sei stato tu!” Tom l'accusò senza riserve di tutti gli sbagli commessi durante la prova strumentale di dieci minuti prima.
Georg, come da copione, lo accusò a sua volta di essere lui la fonte di ogni errore. Come al solito quando si trattava di arrangiare un pezzo e qualcosa andava storto si davano contro avvicenda, solo per avere qualcuno contro cui prendersela. La cosa insolita era che, la prima persona che si lamentava se c'era stato un presunto sbaglio, non era in stanza a rompere i coglioni.
Bill era corso fuori dalla sala prove appena avevano finita la penosa esecuzione della canzone, lasciando litigare il chitarrista e il basista della band mentre il batterista sistemava i piatti del suo strumento. Classico pomeriggio di un gruppo rock allo sbaraglio se non fosse stato che tutti erano più o meno tesi per l'eminente incontro che avrebbero avuto con la Sony.
Finalmente, dopo mesi di lavoro estenuante, una grossa casa discografica aveva palesato il suo interesse ai manager dei ragazzi e aveva espresso il desiderio di metterli alla prova di persona. Se ogni cosa fosse andata liscia avrebbero avuto un contratto da lì a un mese.
Questo difatti infervorava gli animi e faceva salire la tensione alle stelle. L'unico che manteneva un aspetto apparentemente calmo e per nulla turbato era Gustav, gli altri tre invece, erano come gatti indiavolati sul punto di graffiarsi tra di loro.
“Senti testa di minchia, taci per favore che stai dando aria a quella cazzo di fogna!” Georg si sedette su una sedia e cominciò a trafficare con le corde della sua Sandberg, alla ricerca di quella non accordata.
“Merda! Va a farti fottere coglione! Sei davvero irritante quando pretendi di avere ragione ad ogni costo!” Tom alzò ancora di più la voce, cominciando a camminare intorno alla stanza, la fronte il più possibile corrugata dallo stress.
Gustav rivolse ad entrambi un'occhiatina di biasimo con la coda dell'occhio, scuotendo la testa. Non sarebbero riusciti neanche morti a darsi una calmata. Cavoli loro se poi, per colpa del casino che facevano, non fosse riuscito a trovare lo spirito giusto per eseguire alla perfezione i suoi esercizi alla batteria.
Avrebbero poi visto chi si sarebbe incazzato veramente in quella stanza.
In quella nebbia di giovani menti visibilmente stressate e al limite di una crisi di nervi, un cellulare si mise a suonare richiamando dal loro mondo le tre creature. Si guardarono subito nelle ballotte degli occhi per sapere chi di loro si doveva incolpare per quel rumore inaccettabile in un momento così delicato.
A quanto pare l'imputato del crimine era l'unica persona assente.
Tom si mosse alla ricerca dell'aggeggio infernale, sbuffando come un bufalo selvatico. Quando finalmente lo trovò che vibrava dentro lo zaino del fratello, con l'eleganza di un'intera squadra di giocatori di football, lo estrasse fuori. Poi diede un calcio al borsone, facendolo schiantare contro la gamba di un tavolino.
“Il deficiente non è qui a rompere, chi cazzo lo desidera?” Rispose in modo educato.
Dall'altro capo del telefono una voce maschile disse qualcosa di incomprensibile, in un'altra lingua, poteva darsi. Qualcuno, quello che doveva tenere la cornetta, rispose alla prima voce “Alphonse, shut up!”
“Lyric?” domandò per essere certo di non sbagliarsi. Una tipa che sgridava qualcuno in inglese, con quella voce femminile inconfondibile, non poteva essere che lei.
“Oh, ciao Tom! Sì, sono io. Ma va tutto bene là dentro? Mi sembri piuttosto alterato in questo momento.” Almeno lei, da quello che sentiva, era allegra. La vacanza negli States stava andando per forza a gonfie vele.
Tom mugolò un lamento “Alterato è il minimo che si possa dire! Sono così girato di coglioni che pesterei il primo stronzo che mi capita a tiro. Se mi provocassero comincerei a menare le mani.” nel dire questo Georg si lasciò scappare un sorriso sbilenco, Tom era molto serio riguardo a quello che aveva appena detto, per questo trovava divertente il pensiero di qualcuno così stupido da non capire che non era l'aria giusta per rivolgergli la parola.
Ovviamente la cosa non lo preoccupava, dopo tutto anche se incazzato rimaneva un quattordicenne un po' mingherlino, desideroso più che altro di compierne quindici il settembre venturo. Era una minaccia solo per la sua santa pazienza.
“Tom, prendi un bel respiro per favore? Quando cominci a parlare in modo così sboccato mi diverti, certo, ma ti preferisco quando sei meno volgare. Devi proprio essere preoccupato per l'incontro di domenica se hai cominciato a sclerare come Bill.”
Per qualche infinitesimo di secondo apprezzò la battuta riferita all'altro Kaulitz, tanto che si rischiarò in volto, ma sentendo di nuovo quella cosa che sarebbe accaduta presto gli ritornò subito il crampo all'intestino.
“Sì, signora. Ora cerco di darmi un contegno.” scherzò lui chiudendo gli occhi mentre si lasciava cadere, come un vero e proprio peso morto, su un divanetto che si trovava nella stanza.
Sentì Lyric ridacchiare lievemente “Allora, come va lì signorini Tokio Hotel?”
Tom se la immaginò gongolare sorniona nel pronunciare quel nome.
Fin da quando aveva saputo del nuovo titolo che avevano scelto per la band non c'era stata una sola volta che Lyric non avesse espresso la sua opinione al riguardo. C'era stata anche un'occasione in cui lui e Bill avevano dovuto prenderla a cuscinate per farle smettere di scherzarci sopra così spudoratamente.
Sotto, sotto però quel nomignolo campato per aria le piaceva.
“Aaaaaa...” brontolò lui in modo acuto, rimbalzando con il corpo sull'intera superficie del divano, l'immagine stessa di una presenza distrutta fisicamente e mentalmente “Tu non ci crederai ma i grandiosi Tokio Hotel si stanno cagando in mano.”
“Non è vero, non parlare per tutti quanti.” lo corresse Georg che con un orecchio ascoltava le risposte del chitarrista mentre con l'altro si concentrava per mettere apposto l'amplificatore del suo basso.
“Sì, ha ragione Georg. L'unico che si caga addosso è lui, noi altri siamo solo su di giri.”
“Fottiti Tom!”
“Altrettanto Hagen!”
Tom la sentì ridere nuovamente. Trovava da tempo che quel tipo di umore si addiceva a Lyric molto più che la tetra tristezza. Restò in ascolto con le labbra tirate in un'espressione già più serena di prima, ancora stanca, ma meno tesa.
“Non stento a credere che abbiate paura. Ma sono piuttosto fiduciosa nella vostre possibilità e nel vostro talento. Inoltre se non andrà bene con questa casa discografica ce ne saranno altre pronte a prendere al volo l'occasione. Poi, come sempre, vi farete un mazzo per riuscire in quello che vi siete prefissati e l'otterrete.”
Tipico di lei fare un discorso contorto e lunghissimo per augurare buona fortuna al gruppo. Sinceramente non capiva come facesse a sapere tutti quei termini.
“Sento che hai molta fiducia nel nostro brillante destino.”
“Finché ci credete voi, io non smetterò certo di sostenervi e comunque cosa sono queste lagne? Non vorrai dirmi che hai bisogno del sostegno morale di qualcuno per andare avanti?”
Tom ridacchiò, portandosi una mano sugli occhi per massaggiarseli e togliersi la stanchezza che gli stava incollata addosso.
“Se è il tuo, non è che ci dispiace. Comunque non farti strane idee, non mi sto affatto lagnando. Ti esponevo solo la situazione.”
“Certo, certo. Se è così non perdere tempo e lavora.”
“Guarda che ad aver interrotto sei stata tu. Io ho fatto la gentilezza a Bill di rispondere ad una sua chiamata.” 
“Se quella di prima vogliamo chiamarla gentilezza allora dovremmo anche ammettere che tu piaci veramente alle ragazze.”
“Le ragazze mi adorano.”
“Sese, credici.” dissero due voci, una era Lyric mentre l'altra apparteneva a Georg che lo stava guardando in modo scettico. Tom gli fece segno di tacere se non voleva ricevere una scarpa volante in fronte.
“Quando sarò circondato da un nugolo di grupies ogni sera ti verrò poi a dire che avevo ragione io.” ribatté sentendo però su di sé lo guardo di scherno di Georg. Girandosi lo vide indicare se stesso e mimare “Quello sarò io, non tu.”
“Sogna pure segaiolo!” fu la risposta immediata del rasta. Al che si sentì Gustav ridere dall'angolo che divideva con la sua batteria.
“Scusa se disturbo il tuo intelligentissimo dialogo con Georg ma sai se Bill torna presto?” ovviamente doveva aver chiamato perché voleva parlare con suo fratello, si era scordato che quello che teneva in mano era il suo cellulare.
“Non lo so. Non so nemmeno dove sia sparito, forse è andato al cesso o a prendersi qualcosa al bar di sotto, non ne ho idea.”
“Capisco.” la immaginò riflettere se rimanere in linea ed aspettare chissà quanto oppure mettere giù e richiamare, forse, il giorno dopo.
Tom dal profondo del suo affetto per Bill disse “Potresti aspettare in linea? Bill sta sbandando fuori dalla carreggiata e credo che se non gli fai un discorsetto sullo stare calmo arriverà all'incontro con i peli rizzati.”
“Non riesci a farlo ragionare?”
“Ti ricordo che sono più o meno nella stessa situazione, non sarei d'aiuto. Inoltre se continua così finisce che lo affogo in una vasca.”
Era una mezza bugia. Avrebbe potuto lasciarlo sbollire da solo, in questioni di tipo professionale Bill riusciva a trovare la forza di riprendere lucidità al momento giusto e questo lo sapeva anche Lyirc. Ma Tom sperava di far leva sull'incapacità dell'amica di lasciare in balia dello stress quel rimbambito del gemello.
E poi Bill aveva bisogno di sentirla.
Si leggeva lontano un miglio che lo scemo bramava di ascoltare la voce di Lyric.
Se ne erano accorti persino i mattoni che a lui mancava, anche se cercava in tutti i modi di dissimulare.
E per dirla tutta lo faceva di merda.
“Non è che non voglia aspettarlo. È solo che non vorrei rubarvi del tempo. Mi preoccupa interferire con il vostro lavoro.”
Tom sbuffò, gli venne in mente quel proverbio famoso “Dio li fa e loro si accoppiano.” e convenne che c'era un fondo di verità. Quei due tonti ci avrebbero messo una vita prima di concludere qualcosa, era quasi palese che ci sarebbero girati attorno un'eternità.
Di fronte a cose del genere si chiedeva per quale motivo alla fine si preoccupasse tanto.
Lo percepì molto chiaramente, quel cercare di trattenersi da parte di lei, come a provare a non dimostrare che tutto quello che riguardava Bill era al centro di ogni sua più piccola attenzione.
Forse non se ne rendeva neanche conto.
Come pensava erano una coppia di salami.
“Non dire cavolate, per piacere. Dico sul serio, se non ci parli io arriverò ad ammazzarlo per farlo stare zitto una volta per tutte, quindi se non vuoi avere sulla coscienza un omicidio resta attaccata a quel telefono.”
“Thanks Tom.” Lyric lo ringraziò con dolcezza.
“Io infondo sono una specie di fata turchina.”
“Eh? Ed adesso che stai dicendo?” Georg alzò uno dei suoi indici e lo portò alla tempia, facendolo poi ticchettare contro di essa. Stava dando del mentecatto a Tom.
Come annunciato dal precedente avviso una scarpa del rasta centrò rapidamente il cranio del basista, così che la giustizia si compisse come il cielo comandava.
Gustav, sapendo bene come sarebbe andata a finire da lì a poco, prese in mano la situazione: tolse dalle mani del Kaulitz il cellulare di Bill, così da permettere a Georg di saltare addosso a Tom per suonargliele, impedendo a Lyric di sentire anche solo una singola idiozia che sarebbe uscita fuori.
“Tom?”
“Ciao, Lyric.” lo salutò il biondino sedendosi sulla sedia dietro alla sua batteria, sapendo perfettamente che sarebbe stato protetto da ogni evenienza, poiché i due litiganti sapevano che se avessero toccato anche un solo pezzo del suo strumento, lui li avrebbe uccisi a sangue freddo.
“Oh, ciao Gustav. Mi spieghi cosa è successo?”
“Ordinaria amministrazione: Georg ha preso in giro Tom, questi ha lanciato in testa all'altro una delle sue scarpe e per vendetta l'hobbit sta cercando di massacrarlo di botte.” lo disse con la stessa naturalezza di un inglese che discorre serenamente del tempo.
Per questa ragione Lyric scoppiò a ridere. Era certa che anche in futuro quei quattro sarebbero stati sempre una compagnia di comici.
Mentre Gustav e Lyric si lanciavano in un discorso sulle ultime interessanti novità musicali che lei aveva scovato in madre patria, Tom e Georg avevano fatto qualche scena idiota, rotolando sul pavimento in una specie di insensata e orripilante danza di corpi.
Dopo qualche minuto che Listing lo teneva bloccato contro il suolo Tom decise di cedere l'armistizio.
“Ti arrendi?” chiese Georg mentre sovrastava il rasta con tutto il corpo.
“Sì,sì, va bene! Ora lasciami andare! Il tuo peso mi sta rompendo la schiena!” di fronte alle ultime suppliche lo lasciò andare e poi alzò i pugni verso il cielo in segno di vittoria, ridendo con la sua solita verve.
Tom si sedette per terra, appoggiandosi contro il divano “Questa te la farò pagare, Moritz.”
“Quando vuoi scopettone, ti batto quando mi pare.” il rasta gli alzò un dito medio con la smorfia più carina che al momento gli poteva uscire dal volto. Georg ricambiò con un sorrisone da spaccone.
Tempo qualche minuto di silenzio, in cui entrambi riprendevano le forze, e si erano già dimenticati del perché avessero cominciato a fare la mini-rissa.
Il basista guardò in modo pensieroso Gustav, al momento impegnato a intrattenere Lyric, e poi si voltò verso Tom con le pupille verdi impegnate in una domanda.
“Che c'è?” chiese Tom non capendo cosa fosse quell'occhiata indagatrice.
“Ma senti...” disse piano Georg avvicinandosi al chitarrista con fare da cospiratore “...quei due come sono messi?”
Lo aveva già detto, persino le pietre inanimate se ne erano accorte, persino Georg era a conoscenza della cosa, chi altro avrebbe dovuto aprire gli occhi?
Solo due persone, i diretti interessati ovviamente.
“Di merda. Proprio di merda.” fu la risposta che si sentì di dare Tom.
“Ah! Allora non era una mia impressione.” il fatto stesso che Georg Listing per una volta esponesse ciò che capiva da una certa situazione significava che la cosa era ormai del tutto smascherata ed impossibile da fraintendere. Ci mancava solo che Gustav dicesse che l'aveva capito anche lui e i giochi erano finiti.
No return to back.
Capolinea.
Finito.
Era così e basta.
Dovevano solo muoversi.
Che idioti…”
“Voglio dire, non credevo che sarebbero arrivati a questo punto senza aver concluso ancora niente. È come se ignorassero deliberatamente la gigantesca insegna luminescente che scatta ogni cinque secondi sopra le loro teste.”
Metafora azzeccata pensò Tom, anche se sotto, sotto alla fine non era pronto per affrontare il momento in cui si sarebbero finalmente avvicinati in quel modo, ufficialmente, in pubblico.
“Che vuoi che ti dica. Sono così incomprensibili ai miei occhi. Ma non possono semplicemente saltarsi addosso e farla finita?”
Georg gli mise una mano sulla spalla, come a compatirlo “Tom, mio caro, sciocco Tom. Quando si tratta dell'amore non è mai così semplice. Lascia fare come vogliano, noi continueremo a fare finta di non sapere un tubo. Dei finti tonti, come le brave fate madrine devono essere, così da compiere le magie all'insaputa della principessa.”
La porta si aprì violentemente facendo sobbalzare i due ragazzi seduti a terra. Gustav invece si voltò, calmo, per vedere chi fosse.
Bill era tornato ed in mano teneva una lattina di red-bull, ecco dov'era andato a finire.
“Finalmente sei tornata principessa!” dissero in coro Tom e Georg indicandolo.
Gustav rise “È entrato Bill.”
Il nuovo arrivato li squadrò arcigno e sorrise in un modo inquietante. Si portò la lattina alla bocca finendone il contenuto, prima di lanciarla contro le teste dei due cretini che lo avevano chiamato in quel modo “CHI SAREBBE LA PRINCIPESSA?!” crepitò con voce acuta e alterata.
Evidentemente il lungo giro che aveva fatto per comprarsi la bibita non doveva essere servito a molto. Era più incazzato di prima.
Gustav sospirò, rassicurando Lyric per il rumore spaventoso appena udito “È solo Bill che sta per uccidere gli altri due.”
“Invece di starvene lì a pomiciare come due piccioni in calore potreste alzare i vostri didietri e prendere in mano gli strumenti. Sapete avete fatto letteralmente SCHIFO prima!”
No, decisamente era più che alterato.
Era stato un puro caso che se ne fosse andato senza lamentarsi, forse, aveva fatto loro un piacere ad uscire prima che potessero fiatare. Quasi di certo se fosse rimasto li avrebbe devastati a forza di acuti.
Tom e Georg erano imbambolati, incapaci di decidere se era meglio scontrarsi contro di lui con la stessa violenza ( e in quel caso avrebbero ottenuto solo di radere al suolo quella sala insonorizzata) oppure non ribattere per evitare di dover commettere un assassinio.
Come prima ci pensò Gustav a risolvere la situazione “Bill, Lyric ti stava aspettando al telefono da un po', tieni.”
Quando disse la parolina magica il viso di Bill cambiò espressione in un nanosecondo contato, dalla pura estasi del furore passò allo sbigottimento e subito dopo all'incontrollabile attesa. Strappò di mano il cellulare a Gustav con una velocità degna di un felino.
Era un'altra persona, come se non stesse aspettando altro da un giorno intero.
Gli occhi sprizzavano una gioia incalcolabile.
“Lyric.” sussurrò una volta ottenuto il telefono, quasi in devozione.
Era partito, senza via di ritorno.
Andato, caput.
Con la velocità con cui era comparso Bill si dileguò dalla stanza, richiudendo la porta che prima aveva aperto con un calcio. Completamente assorbito dalla chiamata.
È del tutto fuso.” Pensarono contemporaneamente tre menti, che solitamente non viaggiavano in nessun modo sulla stessa lunghezza d’onda.
Una volta uscito la coppia di scemi ancora seduti per terra si voltarono verso il batterista e dissero “Dankeshon Gustav.”
“Di niente.” fu la sua semplice risposta “Se vi avesse ucciso la band sarebbe stata formata solo da lui e da me e questa sarebbe stata una vera tragedia. Per la disperazione vi avrei raggiunto quasi subito tra la schiera dei morti.”
Sicuramente la chiamata sarebbe durata quel che bastava per andare a bersi qualcosa, per questo i due alla fine si alzarono, riprendendo un certo ordine prima di scendere giù al bar.
“Gustav, vuoi venire anche tu?” chiese Tom sistemandosi la coda dei rasta che si era allentata.
“Uhm, va bene. Ho una certa sete.” accettò il biondo, sistemando da una parte le sue bacchette “Comunque io penso che siano abbastanza comprensibili quei due...” se ne uscì il ragazzo senza preavviso.
Georg e Tom lo guardarono perplessi.
“Stai parlando di Bill e Lyric?” Chiese mister grandi occhi verdi.
Gustavi annuì. Era rimasto in ascolto, con il suo fine orecchio, di quella conversazione.
“Vedete la cosa è molto semplice.” Iniziò ad esporre la sua analisi sulla situazione
“Da una parte c'è Bill, così palesemente attratto da lei, che non si decide perché non sa se verrà ricambiato, e sapete quanto alto sia il livello dell'orgoglio di quel ragazzo, detesterebbe un rifiuto, soprattutto dopo aver scoperto i suoi sentimenti davanti ad una persona così importante come è Lyric per lui. Inoltre credo che sia piuttosto intimorito dalla portata della posizione sociale di lei, non tanto perché non si ritiene all'altezza, a lui certe cose non gliene frega niente, ma perché teme di essere incompatibile con il tipo di cultura ed educazione che Lyric ha ricevuto fin da piccola. Crede che se lei starà mai con lui, poi Lyric riceverà critiche per la scelta fatta. Senza contare poi che se diventassero qualcosa di più la loro amicizia potrebbe cambiare e non è certo che la situazione debba per forza migliore in questo senso.”
Fece una pausa per riprendere fiato mentre Tom e Georg rimanevano imbambolati a fissarlo piuttosto stupiti. Spiegata in quel modo sembrava quadrare ogni cosa.
“Poi c'è Lyric: ha appena passato un anno travagliato e difficile, in cui ha ritrovato da poco una certa serenità. Secondo me per lei Bill è già qualcuno di veramente importante, la prima persona nella lista per cui donerebbe volentieri il proprio cuore se fosse necessario. Ma non riesce a inquadrare i suoi sentimenti, non ci riesce perché forse non è ancora pronta per affrontarli. Se lo facesse significherebbe per lei mettersi in gioco. Esporsi completamente e stringere un legame dal significato troppo importante. Però credo che ultimamente se ne sia accorta in modo indiretto. Tenete poi conto che quei due hanno un approccio verso l'amore molto diverso da come lo concepite voi, loro non pensano che il fine ultimo sia semplicemente lanciarsi su di un letto e trombare come conigli.”
Finita la lezioncina da parte di Gustav gli altri due sembravano avere una faccia oltremodo sconvolta, erano piuttosto sconcertati che quei due avessero tutti quegli intrippi mentali.
Vedendoli con quelle facce ammutolite il batterista non riuscì a trattenersi dal fare una battuta “Non preoccupatevi, era scontato che l’unico cervello pensante di questo gruppo fosse il mio. Non ho mai preteso molto dalle vostre menti poco brillanti.”
Dopo di che uscì velocemente dalla stanza, correndo. Da lì a pochi secondi, infatti, sarebbe stato inseguito dagli altri due componenti della band, che avrebbero avuto il chiaro intento di fargli passare l’ironia.
 

***

 
Cristallo e seta cangiante.
Luci brillanti e adornamenti d'argento.
Fiori eleganti e profumati, musica classica nell’aria.
Per festeggiare l'anniversario della fondazione della società la vasta distesa della sala da ballo di villa Silver Dust era stata preparata con minuziosa cura per ricevere tale evento.
Più di un centinaio di tavoli, altrettanti camerieri che avrebbero servito ai suddetti, uno squadrone di cuochi nelle cucine dell'immensa dimora, più inoltre un complesso orchestrale affittato direttamente dal più importante teatro della città. Ogni cosa aveva il suo posto e la sua ragione.
Ogni più piccolo dettaglio era stato controllato e ricontrollato più volte.
La perfezione era il marchio di sua nonna Cassandra.
Quasi si era scordata quanta imponenza poteva scaturire una cena di gala all'interno di quella villa. Avrebbe dovuto ritenersi fortunata che a certi eventi avesse già partecipato, poiché se non avesse avuto un'esperienza passata non avrebbe potuto reggere il grondare quasi estenuante di tutto quel lusso. Le persone normali si sarebbero sentite così piccole ed insignificanti dinnanzi a quello spettacolo.
Le sfuggiva a volte che quello era anche il suo mondo.
Lyric chiuse la piccola pocchette di velluto pervinca con un colpo secco e poi osservò la grande scalinata dell’ingresso, constatando che la villa non aveva perso il suo eterno fascino. Era come se il tempo, tra quelle pietre, non trovasse un appiglio per svolgere la sua funzione di corrosione.
Non si trattenne nel portare una mano sul cuore per controllare che non fosse scappato per qualche motivo. No, c’era. Batteva.
Salì le scale di pietra rosata, per poi trovarsi nella grande anticamera del piano terra, attorno a lei c’erano già un mucchio di persone che chiacchieravano animatamente.
In lontananza vide la testa di suo zio Victor che si avvicinava a salutare un gruppetto di uomini in smoking. Non aveva avuto tempo di accompagnarla di persona, come sempre era il secondo uomo più impegnato della casa. Era già stato bravo a dedicarle due settimane intere quindi non si era aspettata di più da una persona talmente occupata.
Dopo aver dato un colpetto alla grinza inesistente sull'ampia gonna dell'abito madreperlato, s’incamminò decisa verso il grande portone della sala in cui si sarebbe tenuto il ricevimento. Il passo cadenzato dei suoi tacchi si perse tra le voci dell’ampio corridoio e in pochi minuti superò speditamente  un gruppo di persone che camminava nella sua stessa direzione.
Prima di poter giungere a varcare la soglia una mano la prese per il gomito, voltandola.
Si ritrovò davanti il cugino Alphonse, vestito nel suo elegantissimo e costosissimo completo scuro di Paul Smith.
“Dove stai andando così di fretta? Guarda che non c'è bisogno di correre così allegramente verso il patibolo.” Nel dirlo si stava sistemando con una certa apprensione il nodo della cravatta. Tra i due era visibilmente il più teso.
“L’unico che in questo momento pensa ad un’esecuzione capitale sei tu, io a dir la verità sono calmissima.” Il cugino la guardò male, stringendo in una smorfia uno dei suoi labbri.
Lyric gli tolse le mani dalla cravatta e si prese l’impegno di fargli un nodo decente senza strozzarlo (come invece Allie stava facendo).
“Mi spieghi che ti prende? È solo un cena, nient’altro. Ne abbiamo già attraversati tanti di eventi del genere.”
Lui sbuffò, abbassando il petto in modo quasi esausto. Lo sguardo era un po’ tetro.
“Lo so, ma questa è la prima volta che rivedi tutti quanti. Per come sono messi i nostri rapporti famigliari è possibile che questa sera salti qualche testa.”
“Stai scherzando, vero? Ad un evento pubblico di questa portata, come di regola, si comporteranno tutti nel più perfetto dei modi. Inoltre gliene importa poco della mia presenza.” Lyric accarezzò la seta nera della cravatta di Allie, per lisciargliela, prima di convenire che il nodo le era venuto bene.
Le persone intanto li sorpassavano senza degnarli di uno sguardo, tutti esultanti per ciò che brillava attorno a loro, meravigliati per la grandiosità della villa.
Loro due invece a tutto questo ci avevano fato il callo fin dall’infanzia. Da bambini, quando erano solo una coppia di mocciosi infantili e senza grattacapi per la testa, si erano divertiti un mondo a giocare a nascondino tra le colonne imponenti di quei corridoi labirintici.
Purtroppo, molto presto nella loro infanzia, avevano dovuto fare i conti con la posizione in cui erano nati. Erano dovuti crescere in fretta per non essere divorati.
Allie spostò la testa da destra a sinistra, controllando che nessuno di sospetto fosse all’ascolto, poi prese ancora una volta il braccio di sua cugina e la trascinò in pochi secondi in un anfratto buio, sotto a delle rampe di scale.
Le prese le spalle e la inchiodò con uno sguardo molto serio “Qualunque cosa la nonna voglia dirti devi promettermi che non ci darai più peso di quello che devi.”
Lyric prese le mani di suo cugino tra le sue e gliele strinse per rassicurarlo “Mi spieghi per quale ragione sei diventato così apprensivo? Un tempo non era così, se ti ricordi bene. Eri tu quello che offriva sempre il braccio se traballavo.”
“Guarda, che tra noi due, sei tu quella è cambiata. Io sono sempre il solito inetto che annaspa dentro ad un bicchiere di vino bianco.” La sua voce tradiva pena.
Alphonse aveva l’animo sospeso nell’ansia di veder appagato un suo desiderio.
Ciò che voleva era essere perdonato, aspirava a cancellare le sue colpe. Se non ci fosse riuscito gli occhi accusatori di zia Eleonor lo avrebbero tormentato fino alla fine della sua sciocca vita.
“Sono molto preoccupato. In modo quasi spaventoso.” Si morse il labbro inferiore in un tic nervoso “Perché la nonna è sempre riuscita a fare il bello e il cattivo tempo con tutti noi. Nessuno sembra essere immune dal magnetismo che esercita sulla nostra stabilità, è così pesante da sopportare.”
Il cugino le prese il viso tra le mani morbide e unì le loro fronti.
Lyric si sorprese perché era un gesto così umano, così fragile. Lui non dimostrava mai così apertamente il suo affetto, come lei si conteneva.
“Ma ora tu sei libera. Sei libera dalla nostra prigione, non sei più costretta ad affondare con tutti noi. Lo penso io, lo pensa zio Vikki e sotto, sotto lo pensi anche tu.” Stava cercando di dirle qualcosa, lo capiva dall’intensità con cui era velato il suo azzurro “Quindi non permetterle di ricacciarti nella fossa. Anche se ti ferirà oppure ti colpirà duramente, non cedere.”
Lyric rise “Alphonse, credi davvero che dopo tutto ciò che ho passato abbia ancora intenzione di farmi mettere i piedi in testa?” si separò dal cugino “Allora, vorresti spiegarmi cosa ti frulla nella mente per fare certi discorsi?”
Se avesse dichiarato di sentirsi in colpa per averla abbandonata nel momento del bisogno l’anno prima, che risposta avrebbe ricevuto?
“Pentimento” confessò con una vocina sottile e bassa, quasi troppo fievole.
“Allora, in qualche modo hai maturato un briciolo di sensibilità.” E così era questo ciò che lo tormentava maggiormente. Lyric si sentì particolarmente commossa.
Era piuttosto dolce il modo impacciato con cui le stava chiedendo scusa.
“Quindi i miracoli possono accadere, mi sembrava che ti stessi impegnando molto per riallacciare i nostri rapporti.”
“Non scherzare ti prego, già sono teso per quello che potrebbe accadere e comunque anche se non ricevessi il tuo perdono voglio almeno farti tornare in Germania così come sei arrivata.”
Bloccò la valanga delle sue parole mettendogli la mano sulla bocca “Allie, sul serio: stai tranquillo. Andrà tutto bene.” Poteva bastare, non c’era bisogno che si torturasse così tanto.
“Ma…ma…” balbettò il cugino.
“Niente ma. Ora porgimi il tuo braccio e accompagnami in sala. Abbiamo una cena a cui presenziare, ricordi?”
Prima di fare quello che aveva comandato Lyric si avvinghiò a lui in un rapido abbraccio “Inoltre, non c’è bisogno del mio perdono. Non ne hai mai avuto bisogno.”
“Davvero?” domandò Alphonse con l’ansia che cominciava a scemare.
“Davvero.” Confermò lei ridendo.
Allie rise di rimando “Ribadisco il mio desiderio di qualche giorno fa: voglio conoscere Superman.”
“Poi mi spiegherai di cosa stai parlando.”
“Non, mon chou! Il cattivo e figo, sottolineiamo figo, non può rivelare i suoi piani di distruzione. Toglieremo suspense all’intera faccenda!”
Lyric lo lasciò libero dall’abbraccio, scotendo la testa mentre lo prendeva a braccetto. Neanche dopo cinquant’anni avrebbe mai capito come riuscisse a passare dall’estremamente serio al completamente idiota in così poco tempo. Tanto valeva accettarlo bacato così come era.
 

***

 

     Meine augen schaun mich an und finden keinen trost
Ich kann mich nich’ mehr mit anseh’n-bin ichlos
Alles was hier mal war - kann ich nich’ mehr in mir finden
Alles weg- wie im wahn
Ich seh mich immer mehr verschwinden...

 
 
Lyric canticchiò le parole, pronunciandole appena dalle labbra mentre la luce bluastra della luna la illuminava.
Sfiorò la superficie un po’ fredda delle grandi vetrate di vetro che aveva di fronte, soprapensiero.
Era lontana, in una dimensione in cui la sua psiche l’aveva trascinata senza preavviso e senza ragione.
Chiuse gli occhi, facendosi trasportare dalla musica che riecheggiava come in un sogno dentro la sua testa, provando un desiderio immediato di trovarsi dove si trovavano loro.
Di essere dove era lui.
Cercò poi negli angoli della sua mente la sua voce e un sospirò di soddisfazione rimbombò nel silenzio quando riuscì finalmente a catturarla dai ricordi.
 

Ich bin nich’ich wenn du nich’ bei mir bist - bin ich allein
Und das was jetz noch von mir übrig ist- will ich nich’sein
Drauβen hängt der himmel schief
Und an der wand dein abschiedsbrief
Ich bin nich’ich wenn du nich’bei mir bist - bin ich allein...

 
 
Dove sei?”
Io sono qui quando invece vorrei esserti accanto.
Cosa stai facendo?”
Io sto aspettando di poterti rivedere.
Sono nei tuoi pensieri come tu lo sei nei miei?”
Spero di sì. Perché, se no, sarei l’unica pazza tra noi due.
Lo sai che mi manchi? Questo vuoto è peggio di una asfissia.”
Si portò le dita sulle labbra morbide e sentì il tremore che le stava facendo agitare.
La mano poi scese, fino ad arrivare all’altezza del petto e lì vi rimase: il cuore stava gridando.
Quindi?”
“Quindi non è il momento dei quindi. Non è proprio l’occasione per quel quindi.” Rispose ad alta voce prendendo ispirazione dalla parte razionale di se stessa o forse era quella codarda.
Prima o poi quel quindi dovrai per forza affrontarlo. Già il fatto di ammetterne l’esistenza significa…”
“Non ora.” Zittì la vocina della sua coscienza.
Si girò alle sua spalle perché aveva sentito qualcuno aprire la porta e in un attimo si ritrovò a guardare la figura eretta e salda di sua nonna.
Non ora.” ripeté a se stessa con vigore.
Prima devo affrontare lei.” Parlò alla sua antica paura, quella che le aveva condizionato la vita dopo la morte di sua madre, quella che era decisa a sconfiggere. Bill l’avrebbe perdonata se per poco lasciava da parte quei pensieri. Del resto, dopo, si sarebbe lasciata sconvolgere dal loro peso come era inevitabile che fosse.
Quasi sorrise per quella riflessione così semplicistica, in verità, quei pensieri avrebbero cambiato la dimensione stessa dell’universo. Presumendo che il suo cosmo non fosse già tutto sconquassato da tempo, cosa assai più probabile.
E comunque, se dovesse andarti male, potrai sempre tornare da me. Non avrò problemi nel ricominciare la terapia di risanamento psico-fisico alla Kaulitz.”
Come sempre Bill era lì, custodito in lei. Con lei.
Più che altro quel quindi sarebbe stato superfluo però Lyric non era il tipo da facilitarsi così tanto la vita.
Lei era autolesionista. Almeno quanto lui ma nessuno dei due lo avrebbe mai ammesso.
Vai e dimostrale il tuo valore. Lo stesso che mostri sempre a me, ogni giorno.”
Grazie, grazie, grazie, grazie, grazie…
Grazie di queste parole. Sono il mio sostegno, il mio coraggio.
Abbracciò quell’incoraggiamento e qualunque timore fosse nato nel suo animo smise di respirare in quell’istante.
“Buonasera, nonna.” Salutò la ragazza, spavalda e sicura per la prima volta dinnanzi a lei. Lyric si diresse con piccoli passi verso quella dama delle nevi che era Cassandra Alysei e prima che potesse capirlo sapeva già che sarebbe andato tutto bene.
Era chiaro, non poteva essere altrimenti.
Come il fatto che l’universo tende al disordine e le persone non smetteranno mai di compiere errori. Sua nonna aveva smesso di essere il suo personale buco nero, non era più la figura più spaventosa della sua vita.
Stringendole la mano poi capì anche di non averla mai odiata veramente, lei aveva sempre solo riflesso l’odio che l’era stato dimostrato. In verità, la reale Cassandra, la vedeva per la prima volta e in quel momento comprese perché zio Victor e sua madre non avevano mai avuto timore di lei.
Era una persona visibilmente stanca dell’esistenza e quasi provò compassione.
Di fronte a quella consapevolezza Lyric pensò che non gliene importava più niente di tutti gli anni di angoscia che aveva pianificato di rinfacciarle. Non dopo aver scrutato in quegli occhi blu ghiaccio una tristezza paragonabile a quella che l’aveva avvolta un anno prima.
Lei era già salva mentre sua nonna, forse, non lo sarebbe mai stata.
Come punizione bastava.
“Allora, sediamoci.” La donna le indicò impassibile le due poltrone posizionate una di fronte all’altra, affianco al camino spento.
Lyric annuì, calma e rilassata.
Si posizionò sulla grande poltrona di pelle e allo stesso tempo cercò di non distogliere lo sguardo dalla sua interlocutrice. Quando questa si sistemò a sua volta parve che fosse passata un’era.
Quel momento sarebbe stato il capolinea del suo passato, doveva essere naturale che ogni cosa apparisse più lenta del normale. Come in un rito solenne e rigido che aveva bisogno di tutto il tempo possibile per essere compiuto nella dovuta maniera.
“Bene, da cosa vogliamo cominciare?” domandò la nipote con un tono che suonava alle orecchie della nonna come assurdamente spensierato.
Per pochi battiti di ciglia Cassandra sentì che tutto era ormai cambiato.
Quella ragazzina di quindici anni, composta ed elegante in quell’abito madreperlato, non era più la nipote tremante che gridava quando di notte aveva gli incubi. Le occhiaie livide che avevano accompagnato i suoi occhi avevano fatto posto ad uno sguardo limpido, sicuro, vivo.
Osservandola così, dopo lungo tempo, le pareva di vederci la sua Eleonor quando aveva cominciato a conoscere la forza di cui disponeva.
Adorabile, non pensi? Il fatto che il passato trovi sempre un modo per trovarti è assolutamente delizioso, comunque poiché non smetti di soffrire per i tuoi antichi sentimenti spero almeno che non calpesterai quelli giovani di chi ti sta attorno. Papà ti avrebbe rimproverato una cosa del genere.”
Victor aveva una terribile lingua biforcuta, avrebbe dovuto evitare di rivolgere alla sua stessa madre quel rimprovero tra le righe, dopotutto non era così mostruosa. Cassandra aveva già cambiato i suoi piani iniziali quando l’aveva vista arrivare al JFK di New York assieme alla sua parente tedesca. Spiandola senza che Lyric se ne accorgesse aveva potuto capire una cosa.
Dentro al suo cuore, Eleonor le chiese di non essere meschina.
Se lei non riusciva più ad essere felice che lasciasse sua nipote esserlo, perché provocare altro dolore non era il modo di salvarsi.
Era solo un altro anello della catena che la legava al fondo dell’oceano nero in cui si trovava, tutto qui.
L’idea di concederle la libertà assoluta l’aveva sfiorata quando Victor le aveva fatto il resoconto della missione in Germania. Quando infine aveva visto con i suoi stessi occhi la verità dei suoi racconti si era finalmente decisa.
Cassandra avrebbe voluto annientarla, solo perché si era dimostrata più forte di quanto lei era riuscita a fare. Per spegnere l’invidia di quella vita sanata mentre la sua continuava tragicamente a bruciare.
Ma anni passati accanto ad una persona meravigliosa come lo era stato suo marito le avevano insegnato cosa era giusto fare.
Questo sarebbe stato il primo ed ultimo regalo che avrebbe fatto a Lyric in quanto amorevole nonna.
Cassandra si era un po’ persa nei suoi ragionamenti, tanto che la nipote la fissava chiedendosi se non avesse avuto una paralisi improvvisa. Quando riprese coscienza della realtà l’anziana donna aveva già deciso di non seguire la scaletta che si era precedentemente costruita e per di più, una volta tanto, avrebbe messo da parte la sua rigidezza.
Se quello doveva essere il loro ultimo incontro che almeno le lasciasse il ricordo di una persona in grado di parlare con un minimo di sentimento.
“Avevo preparato una serie di cose ma ci ho ripensato.” Parlò infine la matrona, movendo poi le labbra in una posa strana per lei.
Era forse una specie di sorriso quello che stava guardando? Era rattrappito e invisibile ma era sempre un sorriso e poi aveva cambiato il modo di esprimersi, sembrava più rilassata.
“Vedi, avevo intenzione di terrorizzarti a morte. Minacciandoti nel modo che mi riesce tanto bene quando voglio torchiare qualcuno fino all’esasperazione. E credimi ci sarebbe stato da divertirsi se l’avessi fatto. Ma ho deciso che è il momento di smetterla con questi giochetti. Sei ormai una giovane donna e questo significa che ti devo trattare come conviene alla tua condizione.”
E così sua nonna stava mettendo a terra la spada, voleva trattare civilmente. Lyric sorrise raggiante.
“È una piacevole sorpresa.”
“Che cosa, cara?”
“La tua inconsueta benevolenza nei miei confronti.”
Cassandra ghignò furbescamente mentre prendeva una sigaretta dal contenitore d’argento che aveva sempre appresso. Come sempre era come osservare i gesti di una fata.
La nonna inspirò una boccata dal suo fumo preferito prima di ricominciare a parlare “Io sono sempre stata benevola con te, anche se non te ne sei mai accorta. Come in questo momento, lasciandoti frequentare quelle compagnie.”
Certo, Cassandra sarebbe stata buona ma questo non significava che avrebbe fatto digerire la pillola senza un po’ di amaro come contorno. Lyric non dovette neanche chiedere a cosa si riferisse, questo lo aveva previsto.
“Gli amici che ho in Germania non devono preoccuparti. Sono tutte persone rispettabili, se ti eri posta un dubbio per la reputazione del nostro buon nome, e poi mi sono d’aiuto più di quanto le compagnie da te preferite mi siano mai state.”
L’anziana signora inarcò il sopraciglio destro, stupida dall’audacia. Quindi sotto, sotto il gattino era una piccola tigre. Eleonor l’avrebbe definita una dote di famiglia.
“Prima di lasciarti continuare con il tuo discorso vorrei che mi lasciassi dire delle cose.” Cassandra le fece segno con la mano di proseguire.
Lyric era tornata solo per questa possibilità, la possibilità di spiegare l’evoluzione dei suoi pensieri “C’è stato un tempo in cui la tua considerazione era stata fondamentale. Bramavo avidamente di ottenere una tua attenzione, anche minima, anche per poco. C’è stato un tempo in cui volevo il tuo rispetto.”
“Ora è tutto passato?” domandò Cassandra spegnendo i resti della sigaretta in un posacenere.
“Sì.” Nel dirlo la guardò dritta nelle iridi.
Semplice ma vero, lei era già libera.
Non le sarebbe servito il suo permesso.
“Proprio perché cercavo un modo di essere amata da te non mi sono mai soffermata a chiedermi perché lo stessi facendo. Volevo ottenere il tuo affetto senza domandarmi la ragione. Ero molto infantile.” In lontananza il suono dei fuochi d’artificio che venivano fatti lanciare dal parco arrivò a loro come l’eco di un’esplosione “Però ho smesso di farmi male così gratuitamente, nonna. Da adesso in poi non ti inseguirò più. Non ho più intenzione di farmi trascinare da te in quel luogo buio che è il tuo spirito.”
Cassandra la contemplò in silenzio con il petto che rimbombava di ammirazione.
Così, ecco tua figlia, Eleonor. Complimenti.” Pensò.
“Lyric, dimmi una cosa.”
“Sì?”
“Tu sei davvero felice?”
Sua nipote illuminò la stanza con la sola luce del suo sguardo “Non hai idea di quanto lo sia.”
Cassandra mugolò un verso sospirante mentre si appoggiava con la schiena contro l’interno della poltrona, distese le gambe avvolte in quel lungo abito di satin nero e appoggio le proprie mani all’altezza dell’addome. Chiuse gli occhi.
Se le cose fossero andate diversamente loro due sarebbero andate d’accordissimo.
Se la Cassandra di un tempo ci fosse stata ancora avrebbe fatto tutto il possibile per proteggere quella Lyric che le stava di fronte, qualunque cosa per mantenerla così come era. La nonna tenne gli occhi serrati mentre pronunciava finalmente la sua decisione.
“Lyric, sei libera.”
Ecco tutto, niente di più semplice da dire. Era tutto qui.
“Non ti costringerò più a venire qui in America sotto un mio ordine, non intralcerò più la tua vita come ho cercato di fare da quando è morta Eleonor. Smetterò di pensare per te cosa sia meglio per il tuo futuro e la tua posizione. Sei libera di vivere senza tenere conto di essere una Alysei.”
Quando li riaprì vide che la nipote si era quasi alzata da dove era seduta, la bocca semiaperta e lo sguardo dilatato dalla sorpresa.
“Cosa?” balbettò Lyric senza fiato. Incapace di crederci, neanche dopo averle sentite pronunciate da quelle labbra di acciaio e ghiaccio.
“È così, sei libera di fare quello che ti pare. Ti prego solo di rispettare i limiti della decenza e dell’educazione che i tuoi genitori ti hanno impartito. Per tutto il resto hai il completo potere sulle tue azioni. Lo avevi anche prima ma la mia ombra ha sempre rappresentato la costrizione dei tuoi desideri.”
Lyric era rimasta senza parole.
Libera? Veramente?
Libera di fare ciò che voleva senza essere richiamata dalla sua onnipresente presenza? Libera di non preoccuparsi delle sue opinioni e delle sue opposizioni?
“Quando vorrai, questa casa sarà sempre aperta per te e anche se non vorrai mai più metterci piede non ci saranno problemi.”
Ecco, aveva finito. Era stato più rapido di quello che si era aspettata, aveva tagliato molto sulle questioni superflue. A quelle ci avrebbe pensato Victor. Lyric aveva gli occhi praticamente lucidi, evidentemente quel suo permesso aveva il suo valore.
“Ora mi scuserai ma devo andare a porgere i miei saluti agli ospiti, dopo di che andrò a riposarmi. Domani parto per Tokyo.”
Si alzò dalla poltrona, ora che aveva finito il suo dovere voleva andarsene il più in fretta possibile.
“Nonna!” la chiamò Lyric prima che potesse aprire la porta della stanza, anche lei si era infine alzata in piedi “Vorrei che questo non fosse un addio tra noi due. Se fosse possibile, per te, vorrei ricominciare da qui. Alla mamma non sarebbe dispiaciuto.”
Cassandra annuì soltanto e poi sparì dietro lo spesso strato del mogano scuro.
Dopo pochi minuti Lyric si accasciò a terra ormai priva di forze, pur avendo fatto la spavalda, era stata comunque in tensione per tutta la durata del colloquio. Sorrise nella solitudine della stanza, ancora incredula per quello che era successo.
Si sdraiò a pancia all’insù sopra al persiano che copriva buona parte del pavimento e prese grandi quantità d’aria per ristabilire il fiato smorzato.
Era finita.
Rise come una pazza portandosi una mano sul cuore.
La bestia nera era stata fatta fuori. Che meravigliosa sensazione!
“Libera.” assaporò il retrogusto dolce di ogni lettera che componeva quella piccolissima parola.
E così era libera. Veramente. L’universo si era davvero smosso.





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Roll-roll-roll-roll-roll….e rotolo per terra come un batufoloso mostriciattolo proveniente da un’altro mondo (per chi avesse capito io mi sto riferendo a Mokona! XD).

Oh! Che sublime felicità! Finalmente ho completato un altro capitolo di questa storia infinita! Sono così dannatamente contenta quando riesco a farlo, anche se alla fine, quando rileggo ciò che ho scritto, mi accorgo di non aver mai fatto ciò che pensavo all’inizio.

Vabbè, in ogni caso ho cercato di impegnarmi e di riuscire ad esprimere tutte le grandissime pare mentali che mi ritrovo al posto del cervello (ringraziamo le lezioni orripilanti e senza senso di quella inetta della mia prof di microbiologia, che con la sua totale mancanza di talento nell’insegnare mi da sempre un motivo per farmi grandiosi viaggioni mentali invece di ascoltarla XD).

 

Non ho molto da dire sul capitolo. Lasciamo stare le mie riflessioni logorroiche sul perché i miei personaggi fanno quel che fanno, tormento già troppo quella poverina di Morgana…XD

Comunque mi sembra chiaro che finalmente persino Lyric si è accorta del grande fattaccio, bah, meglio tardi che mai. Poi chissà cosa avrà intenzione di fare nel capitolo successivo.

Boh! Mistero.

Io di sicuro non lo so (me sadica…)

 

Ringrazio:

Lady_Daffoidil con i suoi commenti pieni di incoraggiamento. Non credo di meritarmi tutte le tue lodi, a volte penso di essere piuttosto piatta e ripetitiva ma se tu vedi ciò che leggi in me, allora ti ringrazio davvero per il tuo sostegno.

Angeli neri che ha commentato per la prima volta. Ho dovuto rileggere il tuo commento un paio di volte prima di capire che tutta quella sfilza di parole erano un fiume di complimenti, mi hai travolto. Sul serio XD

Morgana, mmm ma tu non hai bisogno di ringraziamenti. Tanto lo sai già che ti sono sempre grata per il tuo sostegno. Se non mi stessi sul fiato sul collo ogni volta che passa un mese dall’ultimo aggiornamento mi prenderei ancora più tempo prima di finire un capitolo. XD

Grazie a tutti i lettori e le lettrici.

Più le persone che hanno aggiunto tra i loro preferiti questa ff. Grazie davvero.

 

Oh! Ringrazio per il sostegno musicale i Coldplay. Praticamente ho scritto questo capitolo sostenuta solo dalle canzoni del loro ultimo album.

In particolare l’ultimo parte, quella con Cassandra, è stata scritta forsennatamente sotto il ritmo e le parole di “Lost” e “Violet Hill”.

Thank you Coldplay.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9: What you feel inside your deep ***



Capitolo 9
What you feel inside your deep

 
*Voler bene a qualcuno non è una cosa logica…
Anche se cerchi di pensare a ogni cosa…

una volta che ti rendi conto di essere innamorato…
è già troppo tardi...
 
 

        ****

 
Esiste una cosa al mondo capace di far tentennare qualcuno totalmente.
Questa cosa è in grado di scavarti dentro e di mettere radici resistenti. Non da alcuna probabilità di estirparla se non è lei stessa a decidere di andarsene e poi ti consuma. Nei casi più seri riesce a ferire peggio di un coltello infilzato dentro al cuore e fa sanguinare da dentro, smorzando ogni singolo respiro che esali.
Questa cosa ti trasforma e a seconda delle situazioni i risultati sono differenti, in tutti i casi è sempre lei a puntarti la canna della pistola alla testa, mai il contrario. A volte si impazzisce per colpa sua e spesso per il solo fatto di averla custodita nel petto ci si può ammalare in modo permanente.
Mutano le priorità, cambia la visione del mondo, si scopre da un giorno all’altro di non essere poi così onnipotenti e per la prima volta ci si vede fragili come non mai. Si percepisce che niente potrà mai più essere come prima, che tu non sarai mai più come prima. Rifiuterai, persino, di tornare a vivere come facevi prima che questa cosa ti tranciasse con tutto il suo peso abnorme.
Ti ritrovi in bilico: al confine tra l’essere l’eroinomane che ha bisogno di una dose e l’eroe che ha trovato la vera ragione per cui combatte e per tanto non demorde nemmeno di fronte alla morte.
Questo qualcosa fa diventare dipendenti e prigionieri di qualcun altro e la maggior parte delle volte, quando si tratta della sua forma letale, non vogliamo altro che sentirci legati così strettamente a quel qualcuno.
Però, anche se quest’arma tagliuzza la stabilità delle persone come carta sotto alle lame di una forbice, è in grado di donare tanto. È capace di salvare la vita, di farla risplendere e di darle un senso che vada al di là della nostra singolarità. Emoziona.
Scalda. Abbraccia. Riempie qualunque vuoto ti porti appresso.
E anche se non sembra qualcosa di eccezionale riesce a farti sorridere in modo sincero.
Ti può ferire ma il rischio vale sempre la candela, perché questo qualcosa ti dona la serenità in grado di placare il panico della solitudine, quello che ti insegue da quando nasci.
Lei ti fa vivere.
Ti rende vivo.
E le persone per questi motivi non aspettano altro che d’incontrarla lungo la strada.
Pur essendo qualcosa che uccide, oltre che dispensare vita, tutti vorrebbero conoscerla almeno una volta. Una volta soltanto, se sei fortunato, può bastare per sempre.
L’amore, ecco. È lei che raccoglie tutto questo caleidoscopio di possibilità.
È un affare complicato e gli esseri umani sono stati creati per esaltare se stessi nelle complicazioni. L’amore piace proprio perché è in grado di incasinarti l’esistenza. È il fattore che destabilizza totalmente ogni cosa.
È l’unico che abbia il potere di mandarti in paranoia e pur essendo il pugno più forte che si possa ricevere, non si vede l’ora di prenderselo in pieno stomaco.
Bill ne aveva ricevuto da poco il massiccio destro all’altezza dell’addome e soltanto da quattro mesi aveva cominciato a convivere con quel livido che bruciava in modo costante. Qualche volta si acquietava in un silenzio fittizio, sonnecchiando placidamente e spesso russando con la sua voce potente da soprano lirico. In quei momenti di tregua i pensieri su di lei diventavano meno vividi e mordenti.
Smettevano di cicaleggiare per poco e diventavano solo un basso suono di sottofondo. Questo non significava che scomparissero, era impossibile che Bill smettesse di pensarci, divenivano solo un pochino più gentili e un po’ meno invadenti. Però erano sempre lì.
Sempre presenti per ricordargli che l’unico modo di avere sollievo era quello di stare con lei.
Naturalmente “stare con lei”  implicava tutti i significati che ci si poteva trovare dentro.
Dal punto di vista più semplice Bill pensava allo stare fisicamente nello stesso luogo, con una distanza massima di un metro a dividerli, godendo della sua compagnia e accontentandosi di parlare e scherzare come sempre. Era un desiderio piuttosto innocente e, vista la lunga separazione che aveva dovuto sopportare, quasi doveroso.
E questa era la parte legittima della situazione, poiché un amico si poteva permettere di sentire la mancanza dell’amica, ma finiva lì. Per il resto quello “stare con lei ” era tutto fuorché innocente.
Nel lato B della medaglia c’era il Bill ragazzo, che vedeva in Lyric il centro di tutte le sue attenzioni come maschio innamorato.
Contrariamente a ciò che sostenevano alcuni idioti riguardo alla sua presunta appartenenza all’altra sponda Bill aveva più che normali desideri da adolescente medio, fatto poi accompagnato da un sentimento che acutizzava ogni cosa.
Da questo punto di vista “stare con lei”  significava desiderarla.
Volerla vicina per poter scorrere le sue mani lungo il suo corpo, toccarla e poi stringerla fino a che il più piccolo spiraglio tra di loro venisse cancellato. Restare immobile tra le sue braccia e sentire il suo respiro solleticargli la pelle del collo.
Farla rabbrividire mentre le soffiava in un orecchio una risata bassa e poi abbracciarla in modo intimo, come un amico non fa. Significava scorrere lo sguardo lungo i lineamenti del suo viso e assaporare in quel modo i respiri che li separavano prima di un bacio.
Significava volere cose che gli dannavano l’anima.
Baciare, poi, era per Bill il peccato di avidità più pericoloso.
Baciarla era il delirio più insano a cui si aggrappava.
Il pensiero più stronzo tra tutti quelli che lo ossessionavano. Era in cima alla classifica dei suoi tormenti personali preferiti, alla pari con la domanda spinosa per eccellenza: “E lei cosa prova per me?”
Quando entrambe le cose lo investivano nello stesso tempo si ritrovava sempre malconcio, emotivamente parlando. Ovviamente non andava in giro a lamentarsi, il suo orgoglio gli proibiva di esternare tutto questo come qualsiasi gallina melodrammatica.
Ciò che custodiva dentro era importante, nel modo in cui lo può essere qualcosa da cui dipende la propria sopravvivenza, non gli passava neanche per l’anticamera del cervello di lasciarlo in balia del mondo esterno. Lo avrebbe protetto dagli sguardi estranei perché lo considerava una parte di sé. Instabile e senza controllo ma pur sempre suo.
Erano le tre del mattino e Bill da tre quarti d’ora si stava rigirando nel letto spazientito.
Il caldo soffocante dell’estate tedesca gli era attaccato addosso come una appiccicosa colla e lui stava sudando come se fosse stato dentro una sauna.
Con l’isterismo quasi alle stelle smise di agitarsi sul letto come un’anguilla fuor d’acqua e perse qualunque speranza di dormire sonni tranquilli. Sbarrò gli occhi, ritrovandosi a fissare il soffitto bianco che, vista l’ora e la totale mancanza di luce, si mostrava come una tavolata di nero indistinta.
Brontolò qualcosa, un rantolo dovuto alla sensazione fastidiosa della pelle sudaticcia, prima di alzarsi e recarsi in bagno. Per via della sua naturale incapacità di coordinazione motoria in stati post-onirici l’inquieto ragazzo si allontanò in modo instabile dal materasso, per poi scontrarsi inevitabilmente contro l’angolo della sua scrivania. Mancò poco che si ribaltasse sul pavimento, avendo cominciato a saltellare sul piede uscito sano dallo scontro con il duro legno. Per grazia divina Bill riuscì a trovare una parvenza di equilibrio e si diresse biascicando imprecazioni “delicate” verso il bagno che aveva in comune con Tom.
Da quando avevano scoperto che la privacy era un dono molto gradito i gemelli dormivano in due stanze separate. Ovviamente una distanza netta era impensabile per le loro menti quasi simbionti e il bagno comune (ci si poteva entrare sia da una porta in camera di Bill sia da una in camera di Tom) era il luogo in cui spesso si ritrovavano i primi istanti della giornata oppure la via più breve per arrivare dal fratello in caso di necessità.
Scene come quelle di Bill davanti allo specchio a spruzzarsi la sua dose giornaliera di lacca e Tom che, nello stesso momento, ponderava sui segreti dell’universo mentre eliminava i propri rifiuti organici erano piuttosto consuete da vedere.
Accese la luce della stanza e movendosi da talpa accecata cercò a tentoni le manopole dell’acqua. Trovatole e aperta quella fredda, raccolse il liquido fresco dentro le mani e se lo buttò in faccia, in primis, e poi anche sul petto nudo. Qualche istante dopo Bill si sentì un po’ meglio.
Si asciugò dopo di che tornò in camera sua cercando di fare il meno rumore possibile.
Tom infatti era tornato dalla scorribanda notturna con Georg solo due ore prima e non aveva nessuna intenzione di far imbestialire il cane dormiente. Soprattutto se tale cagnolino era tornato in bianco.
Di solito quando abbordava una ragazza rincasava verso le sei del mattino (all’insaputa della mamma e di Gordon), perché i soggetti da one-night-stand non li considerava abbastanza degni di portarseli in camera e poi perché era più comodo così.
Quello della sera prima era stato l’ennesimo festeggiamento per il grande successo riportato due settimane prima.
I Tokio Hotel alla fine lo avevano ottenuto il loro contratto con una grande major del settore. La Sony infatti li aveva presi sotto la sua ala protettiva e aveva promesso loro un lavoro costante ed impegnato per il raggiungimento della meta: il successo.
Sembrava che tutto dovesse andare per il meglio ma Bill non si sarebbe sentito certo finché non avesse visto il loro album di debutto fare bella mostra di sé dietro alla vetrina di un negozio di musica.
Soltanto in quel caso si sarebbe concesso di festeggiare a cuore leggero ma fino a quel momento avrebbe semplicemente continuato a lavorare come un dannato. Comunque anche lui aveva esultato al momento della conferma da parte di David e non c’era stato nessuno più di lui ad aver incarnato la gioia della band.
Alla festa della sera prima, però, non aveva voluto andare perché non si sentiva in vena di spossare fisico e mente in alcool e musica spacca timpani. Non con la prospettiva di rivederla a Magdeburg, di ritorno dalle sue lunghe (ed infinite) vacanze americane, il giorno seguente. 
Tornato in stanza si sedette sul proprio letto e lanciò uno sguardo veloce all’orologio digitale, i numeri lampeggianti di rosso segnavano che mancavano ancora quattordici ore. Lyric gli aveva detto che sarebbe partita da New York alle nove del mattino e sarebbe atterrata a Lipsia verso il pomeriggio, se tutto fosse andato come nei piani l’avrebbe rivista tra quattordici ore.
Un tempo schifosamente lungo ma avrebbe sopportato.
Si appoggiò al muro dietro al suo letto e rimase in quella posizione viaggiando con il cervello in pensieri deleteri. Purtroppo era più forte di lui.
Finché Lyric era lontana era stato più facile non preoccuparsi per le vocine nella sua testa ma riteneva, giustamente, che una volta che si fosse ripresentata davanti a lui qualunque filo logico dentro il suo cervellino sarebbe stato tagliato.
Bill si lasciò scivolare lungo il duro cemento su cui era appoggiato ed infine tornò a sdraiarsi, il viso rivolto verso lo stesso  soffitto di quando si era svegliato. Chiuse gli occhi e sospirò con forza.
Un altro problema era Tom.
Bill si stava lentamente consumando nel dubbio: ma suo fratello, per caso, provava qualcosa per la ragazza di cui era innamorato?
Questa domanda avrebbe mandato in casino chiunque anche chi con il fratello non aveva un rapporto speciale come lo aveva lui. Era convinto, ma proprio al 100% , che il gemello avesse una specie di tendenza per Lyric.
Lo sentiva, lo vedeva ed era certo di non esserselo immaginato. Aveva osservato come Tom qualche volta parlasse di lei in modo molto affettuoso e di come poi si stupisse di quelle parole. Sembrava che covasse anche lui delle preoccupazioni per l’evolversi del suo rapporto con Lyric.
Come se si stesse pentendo di averle permesso di avvicinarsi e di diventare una presenza costante nelle loro vite.
Bill era preoccupato per le ragioni di questi stati d’animo, perché anche se i suoi sospetti fossero stati fondati, non voleva che Tom stesse male per la difficoltà della situazione.
Loro due avevano fatto una tacita promessa da quando si erano resi conto di poter provare affetto per qualcun oltre all’altro gemello. Quando avevano accettato che al mondo potevano esistere anche le altre persone si erano giurati che nessuna ragazza, per quanto speciale, li avrebbe mai divisi.
Era una promessa piuttosto ovvia e semplice, erano stati sempre certi che non sarebbe mai esistito nessuno in grado di contare quanto o più del gemello. Quindi il loro legame sarebbe rimasto intatto e unico per sempre.
E Lyric non faceva eccezione.
Lei non faceva eccezione…
In teoria era così, in pratica la questione era ancora più complessa e Bill era troppo stanco per continuare a pensare. La sonnolenza finalmente aveva ricominciato a bussare alla sua porta e lui non aspettava altro.
“Saresti disposto a camminare sopra i sentimenti che Tom potrebbe provare?”  però le sue paranoie mentali erano ancora ben sveglie. Che qualcuno soffocasse quelle voci, per favore!
“Avresti delle pretese di precedenza per essere stato il primo a dichiarare la propria condizione? Lo faresti per lei?”
Prese il cuscino sotto alla sua testa e lo premette contro la sua faccia in un goffo tentativo di soffocarsi. Non servì a nulla.
“Dovresti proprio chiarirti con Tom, sai? Sarebbe meglio essere certi piuttosto che arrancare dietro ai dubbi. Prima o poi dovrai affrontarlo questo discorsetto…”  
Dopo questa uscita smisero di punto in bianco di parlare.
“Ma andate a quel paese!” pensò Bill.
Le sue seghe mentali si divertivano troppo a punzecchiarlo, prima o poi si sarebbe trapanato il cranio solo per smettere di essere il loro orsacchiotto giocattolo.
Si tolse il cuscino dal volto e lo depose nuovamente sotto il capo. Contrariato e visibilmente stanco di farsi così tante domande. Aveva già una vita complicata di per sé, visto il fatto che i ragazzi normali a quindici anni non si fanno il culo per poter vivere di musica come faceva lui, ma dal punto di vista sentimentale non era messo meglio.
Come faceva da mesi rimandò a data da destinarsi la risoluzione di tutti i suoi casini.
Prima di addormentarsi però diede un’ultima occhiata all’orologio.
Erano le quattro del mattino.
Ancora tredici schifosissime ore prima di rivederla. 
 

         ****

 
“Informiamo i gentili passeggeri che l’aereo atterrerà a Lipsia tra cinque minuti. I piloti e l’intero staff vi ringraziano per aver scelto di volare con la United. Speriamo che il viaggio sia stato di vostro gradimento…”
La voce continuò a parlare ancora per poco, spiegando con frasi collaudate da centinaia di voli di allacciarsi le cinture e di spegnere gli apparecchi elettronici durante la manovra di atterraggio.
Intanto Lyric osservava dal finestrino della prima classe la terra che pian-piano si avvicinava. Si sentì addosso un brivido di entusiasmo e per l’emozione si aggrappò con forza al bracciolo del sedile in pelle nera.
Trattenne quasi il fiato.
“Casa, eccomi a casa.”  Pensò senza contenere la felicità che si era risvegliata dal torpore del viaggio. Quasi non fece caso alla stretta all’altezza del petto, troppo annebbiata dalla prospettiva di rivedere le persone care da lì a poco tempo. Era stato il suo pensiero fisso da quando era uscita dalla casa di zio Victor a New York.
Poterli abbracciare e parlarci senza il fastidioso limite di uno stupido apparecchio telefonico erano azioni che non vedeva l’ora di fare. Ridere, scherzare, persino bisticciare con loro erano cose che pretendeva di compiere.
E finalmente lo avrebbe rivisto.
Smise di respirare.
“Lyric, stai correndo in modo esagerato. Dov’era finito il nostro accordo per un ragionevole comportamento neutrale? Non avevamo detto niente viaggioni mentali finché non ti fossi chiarita con quell’altro?…”
Sì, il suo autocontrollo aveva ragione, ragione marcio.
“Mon chou, ricordati di respirare ogni tanto. Sai, così, ti arriva ossigeno al cervello.” Suo cugino Alphonse si appoggiò con il mento alla sua spalla, ridendo di lei con la sua voce musicale. Lyric non disse nulla, accettò il consiglio e inspirò più aria che poté, però senza mai distogliere lo sguardo dalla pista d’atterraggio.  
“Lo sai che lui è là sotto ad aspettare te?”  
Oltre che ragionevole la sua vocina interiore era anche sarcastica.
Era la prima volta che l’avrebbe rivisto dopo quella sera. Chissà se lui si era fatto delle domande riguardo al loro ultimo saluto. Si sarà chiesto perché si erano immobilizzati in quel modo?
Perché avevano quasi rischiato di baciarsi?
Lei se l’era fatta quelle domande, centinaia di volte, fino alla nausea. Senza trovare nessuna risposta che potesse tranquillizzarla. Qualunque cosa si dicesse implicava comunque scenari complicati.
Il brusco contatto del veicolo con il terreno fece smettere alle sue turbe di arrampicarsi per quei dirupi insidiosi. Si concentrò su ogni minimo movimento che l’aereo compiva per posare i propri piedi al suolo, provando così a tranquillizzarsi. Quando fu certa di essere fisicamente in territorio tedesco, però, l’ansia di rivederlo si mescolò all’euforia di essere giunta a destinazione.
Qualcosa dentro di lei si tese violentemente verso l’esterno, oltre la sua stessa pelle. Voleva correre, correre a per di fiato. Aveva bisogno di raggiungerlo. Subito.
Un’altra risata le arrivò all’orecchio, come prima era Alphonse che rideva delle sue reazioni. La cugina gli diede allora una spinta e lo fece spostare dalla sua spalla.
“Cosa c’è?” domandò con una voce esausta, come se fosse stanca di aspettare il segnale di partenza dei cento metri a cui il suo corpo sembrava desideroso di gareggiare.
“Corri, corri. Trovalo. Subito.”  Indurì le proprie mascelle e affondò le unghie dentro i suoi palmi.
Calma e sangue freddo, pensò. 
Il cugino alzò le spalle con fare da finto incurante mentre scorreva i suoi occhi lungo la sua compagna di volo “Niente, mi stavo divertendo a vederti persa nei tuoi dilemmi. Sei come una delle protagoniste tragiche di Sheakspeare, un vero spasso. Completamente perduta nei propri sentimenti, alla mercé dei desideri dell’istinto, un vero spasso!”
Alphonse sorrise in modo fastidioso, il ghigno di chi si stava divertendo a guardare le tragicommedie di un imbranato. Lyric lo accoltellò per qualche secondo con lo sguardo. 
“E chi ti ricorderei di preciso?” mentre lo chiedeva con acidità guardò la lucina sopra alla sua testa che si spegneva, si slacciò così con uno scatto la cintura e riprese a guardare fuori. Si stavano avvicinando al gate con velocità, per fortuna.
“Corri, corri. Trovalo. Ti prego…”  
Di questo passo si sarebbe messa ad urlare per la tensione eppure, oltre al desiderio di voler correre immediatamente fuori dall’aereo, voleva ancora essere una brava e coscienziosa ragazza e non mostrare tutto così spudoratamente. Malgrado una certa persona accanto a lei sembrasse a conoscenza di ogni cosa, poiché suo cugino si divertiva ancora di più a provocare quando era a conoscenza del tallone d’Achille.
Allie era un ragazzo che si dilettava molto in questo senso.
“Giulietta…” rispose infine lui, Lyric gli chiese con una muta occhiata il perché di questa affermazione.
Alphonse roteò gli occhi e si portò una mano sulla fronte, cominciando a scuotere la testa “Romeo! Capisci?” scattò il biondo con enfasi.
“Anche Giulietta era pronta a scoppiare ogni volta che Romeo era a portata di dita. Anche lei non desiderava altro che di essergli accanto. Tutto il resto era polvere e cenere in confronto a questo.”
Lyric fu contrariata da questo paragone, era abbastanza certa di ciò in cui credeva e per quanto le fosse sempre piaciuta l’opera più popolare del grande drammaturgo inglese non aveva intenzione che la sua storia fosse messa a confronto alla loro.
“Alphonse…” lo intrappolò tra le trame scintillanti dei suoi occhi di zaffiro e neve, con un’intensità nell’espressione che l’altro Alysei si sentì colpire addosso da una punta acuminata.
“Giulietta è troppo sopravalutata e non puoi di certo paragonarmi a lei.” Il perché ci tenesse a mettere in chiaro la sua opinione riguardo a quel paragone non era molto logico ma al momento era spinta da tutto fuorché dalla sana ragione “Io non potrei mai innamorarmi a primo sguardo di qualcuno. Non credo nei colpi di fulmine e questo dovresti saperlo. Per amare qualcuno lo si deve conoscere, si deve avere fiducia in lui e desiderarlo oltre la sua bellezza. Giulietta un secondo prima non conosceva neanche l’esistenza di Romeo e il secondo dopo è pazza di lui. Io non ne sarei in grado…”
“Però ti senti come lei o mi sbaglio? Giulietta ci ha messo meno tempo di te e forse per i motivi diversi, però siete comunque nella stessa situazione.” Alphonse incalzò con la sua naturale mancanza di tatto.
“Anche lei era innamorata.”
Lyric sbuffò e ignorò volontariamente il sorriso di vittoria che si faceva largo tra lineamenti di Allie, si sentì arrossare per poco sulle guance e per non farsi vedere si voltò nuovamente verso il finestrino.
“E poi, più che essere sopravalutata, io direi che Giulietta è stata estremamente fortunata.” Alphonse si aspettò una domanda da sua cugina ma non venne fuori “Non protesti dicendo che non può essere stata fortunata visto che alla fine è morta in modo tragico? Non mi chiedi perché lo detto?”
Lyric mosse a diniego la testa “Lo so il motivo per cui lo hai detto. Perfettamente.”
“Davvero?” la cugina continuava a non guardarlo.
“Lei è stata fortunata, dopo tutto, perché lo ha trovato…”
“Che cosa?”
“L’amore per cui vivere…” 
Finalmente il suonò dell’attraccaggio ben riuscito la convinse a non guardare più fuori dalla lastra di plastica e la fece concentrare in un’apnea involontaria.
Allie stava ancora dicendo qualcosa ma lei non gli prestava più nessuna attenzione. Gliene aveva già concessa troppa per tutto il tragitto, se aveva ancora voglia di intrattenere qualcuno con la sua logorroica voce poteva disturbare zio Victor che sedeva nel sedile dietro al loro.
“Ma tu non mi stai ascoltando!” vide con la coda degli occhi suo cugino voltarsi dietro di sé “Gentile nutrice Vikki, l’abbiamo persa. Dannato Romeo! Dovremmo richiedere un indennizzo.”
“Allie non ho nessuna voglia di sapere cosa tu stia dicendo. Se ti droghi in qualche modo sarò felice di darti una mano senza dirlo ad Amelia…” sentì zio Victor e Alphonse discutere ancora su qualcosa riguardo il senso poetico che le vite umane avrebbero dovuto possedere per essere complete (questa ovviamente era di suo cugino) e la possibilità di far visita al più presto ad uno specialista (suo zio).
Ma fu per qualche istante, smise presto.
“Per favore…”
Lyric fissò una hostess aprire in poche mosse l’uscita.
“Ti scongiuro…”
Contemporaneamente sentì i muscoli contrarsi, il petto diventare un punto acuto e le orecchie isolare i suoni, mentre le gambe si alzavano immediatamente dalla spaziosa poltrona.
“Trovalo…”  supplicò se stessa.
E così, alla fine, che ci si sente? Quando si è innamorati ci si sente proprio così?
Ciechi e sordi a tutto il resto.
Bisognosi di una cosa soltanto.
Ebri di pazzia.
“Andiamo.” Fu l’unica cosa che disse ai due accompagnatori e senza aspettare risposta si era già incamminata lungo il corridoio tra le due file di sedili.
Allie guardò suo zio Victor spalancando gli occhioni “Te l’avevo detto che non ci stava più con la testa.”
L’uomo prese per la spalla l’eccentrico nipote e lo spinse a seguire l’altra Alysei “Su! Muoviti, Allie. Dobbiamo recuperare le valige.” Sorrideva bonariamente.
“Spero almeno che Superman non si dimostri in realtà un nerd alla Mister Fantastic. In tal caso mi dovrà davvero pagare i danni morali, sono già stato truffato una volta da Ironman, ora pretendo solo supereroi con veri superpoteri.”
Victor Alysei fece finta di niente, si voleva troppo bene per cercare di comprendere il suo contorto ragionamento.
Lyric, mentre passavano attraverso i controlli dei documenti e il recupero delle loro valige, non prestò molta attenzione ai suoi gesti. Era completamente assorbita in altri pensieri.
Smise di considerare qualunque cosa le fosse accanto. Ogni singolo pezzettino di se stessa stava attendendo di varcare le porte che la dividevano dalla Germania vera e propria. Se non avesse dovuto aspettare suo cugino e suo zio avrebbe già dato ascolto al suo corpo. Alla fine Alphonse fece prendere la sua ultima Luis Vuitton dal dipendente che sua madre Amelia gli aveva messo alle calcagna. Fatto ciò fu possibile proseguire.
Lyric non attese oltre e mosse meccanicamente i piedi, lo sguardo perso di chi aveva un obbiettivo.
Nella testa le battute della loro ultima chiamata si azionarono come una cassetta registrata.
“Quindi appena mi rivedrai cosa hai intenzione di fare?”  aveva domandato Lyric, seduta su una sedia, sopra al terrazzo dell’appartamento di zio Victor. Si era goduta per l’ultima volta la vista dei grandi grattacieli che spuntavano dalla foresta di cemento e luci della metropoli americana.
Bill era rimasto in silenzio dall’altra parte della linea. Preso da chissà quale ragionamento e in quella pausa un po’ troppo prolungata Lyric comprese di aver posto una domanda pericolosa. Le era uscita senza rendersene conto, come se a parlare fosse stata quella parte di lei che si era già arresa all’evidenza di quello che c’era tra loro e pretendeva di infischiarsene del resto dell’universo.
“Credo che ti abbraccerò….”  Aveva risposto infine ma sembrava che fosse qualcos’altro.
Lyric scaraventò la sua persona in mezzo alla folla di gente che transitava verso le uscite. Appena mise piede nella sala d’accoglienza cominciò a voltare la testa da una parte all’altra con apparente normalità ma con occhi pieni di aspettative. Dietro di lei Victor e Alphonse seguitavano semplicemente a non perderla.
“…e poi farò l’amico possessivo.”  Bill aveva poi riso un po’ nervosamente per sdrammatizzare però non ci era riuscito gran che.
Mentre infine riconosceva la chioma biondo cenere di sua zia Freia farsi strada tra i volti anonimi che camminavano, Lyric sorrise radiosa, agitando un braccio per farsi vedere. La giovane donna dalla parte opposta della grandissima sala la salutò con il medesimo sorriso.
Da dietro la sagoma di lei spuntarono altre tre figure.
Simone Kaulitz, allegra e bonaria come suo solito, stava dicendo qualcosa a sua zia. Di fianco a lei c’erano due ragazzi molto più alti di quanto Lyric si ricordasse. Decisamente la superavano con la testa.
Ma erano loro. Proprio loro.
Tom la indicò con un cenno del capo al gemello ma non ce ne era bisogno.
Bill la vedeva perfettamente.
Capelli ondulati e corti che scendevano fino al mento, due occhi color del mare più blu e un viso dai lineamenti delicati. Anche se fosse stato miope l’avrebbe riconosciuta senz’altro.
Il silenzio piombò nel loro mondo come una nebbia densa.
Rimasero entrambi immobilizzati dov’erano mentre i loro corpi erano privi di qualunque spinta ad andare incontro all’altro. Sembravano indecisi e titubanti eppure non smettevano di guardarsi.
Nella mente di tutti e due c’era il pensiero di come avvicinarsi all’altro senza sembrare troppo felici, senza mostrare agli altri quel segreto che custodivano. Era un blocco piuttosto violento, contando che dentro si stavano scatenando forze al di fuori del loro controllo. Se non si fossero immediatamente toccati avrebbero avuto un attacco cardiaco da un momento all’altro ed era piuttosto sciocco portare al limite le loro resistenze.
Infondo erano umani. Infondo chi se ne fregava delle apparenze.
Ciechi e sordi a tutto il resto.
Bisognosi di una cosa soltanto.
Nello stesso respiro buttarono all’aria qualunque proposito di ragionevole contenimento. Ogni cosa poteva andare letteralmente a quel paese.
“Vai!”  le gridò addosso qualcosa dentro di lei e tutto scomparì.
Lyric pensò solo a correre.
Centinaia di volti, persone sconosciute che si trascinavano valige ingombranti, hostess e piloti, fece uno slalom spericolato tra tutti questi, superando quegli ostacoli fastidiosi. E a Lyric, poiché correva rapida e veloce, quelle facce parvero tutte sfuocate e inconsistenti. Nessuna di loro aveva il suo interesse.
Loro non erano importanti. Non significavano nulla, se anche fossero spariti non se ne sarebbe accorta.
Quelle persone non le avrebbero ridato il respiro.
Lyric tese un mano davanti a sé appena si rese conto che tra di loro c’era solo quella distanza. Si aspettava che lui l’afferrasse, non chiedeva altro che essere trascinata prepotentemente contro il suo corpo, così che quella distanza si colmasse.
“Respirare…voglio respirare.”  Pensò mentre la mano di Bill si avvolgeva attorno al gomito del suo braccio teso.
Fu forte, le fece male, ma era disposta a tutto. Solo qualche altro istante, un insignificante battito di ali di farfalla nel silenzio e poi Bill la coprì con le sue braccia.
L’ansia si spense, il bisogno smise di languire.
Il corpo di disperare e il cuore, invece, cominciò a dolere perché aveva ripreso a battere con troppa forza.
Il suo spirito sospirò di sollievo e Lyric respirò di nuovo.
Quando si è innamorati ci si sente proprio così?
Ebri di pazzia. 
E per Bill fu troppo semplice aggrapparsi a lei quasi con violenza.
Quasi troppo prevedibile ridere come un pazzo mentre la stringeva. Lei esisteva veramente e in quel momento lui era l’essere che più di chiunque altro era vicino al battito del suo cuore. Lo udiva mentre perdeva i sensi nel suo profumo, era l’unica voce a cui permetteva di raggiungerlo sulla sua isola abbandonata nel mare.
Era quasi stordito. Correre a per di fiato non era stata un’idea poi così geniale, fortunatamente, non gli interessava più di tanto. Sapeva da parecchio tempo che si sarebbe fatto male, nel corpo e nello spirito, tanto valeva crepare per reale spossamento.  
“Presa.” Le sussurrò Bill all’orecchio, sfiorando con le labbra la sua guancia.
Sì, decisamente era un male capace di straziare, ma era un dolore che poteva concepire. Era fattibile se significava poterla sentire pulsare sotto alle sue dita.
Bastava questo per farlo contento.
Lyric era lì.

               ****

 
Di tante cose era sempre stato molto convinto nella sua giovane vita.
Prima di tutto il fatto che fosse nato con il dono di una bellezza disumana. Questa certezza era grande quanto la consapevolezza di essere anche un complessato di enormi difetti.
Alphonse si conosceva molto bene, sapeva da sé quali erano i punti meno virtuosi del suo animo e da qualche tempo cercava di contenerli in una maniera o nell’altra. Per esempio, dopo aver distrutto con qualche parola l’autostima di qualcuno, si accorgeva di aver commesso una cattiva azione e quasi sempre trovava un modo di farsi perdonare. 
Fino all’età di tredici anni non si era mai preoccupato realmente di quello che le sue azioni potevano provocare, di ciò che potevano distruggere.
Era cresciuto nell’auto-consacrazione della sua splendente e perfetta immagine e non aveva mai pensato che ciò che faceva potesse essere sbagliato. Non ci sarebbe mai arrivato poiché i suoi genitori erano i primi sostenitori di quella infallibilità di cui, un tempo, si credeva possessore.
Fino ai tredici anni si era ritenuto come un piccolo sole, inafferrabile e intoccabile, al di sopra di quelle piccole formichine che erano le altre persone. Nato come stella, un pari solo con quelli della sua privilegiata famiglia. Quelli che non possedevano il suo stesso sangue a malapena avevano la capacità di svegliargli l’attenzione.
Tutto ciò in cui aveva creduto, un pomeriggio di neve, però gli venne rimproverato come un errore che non lo avrebbe condotto molto lontano.
A compiere tale atto era stata Lyric. Quella volta fu la prima e l’unica in cui Alphonse aveva desiderato che non fosse mai esistita. Perché se lui era un campione nel ferire, non lo era tanto nell’esserlo.
Quello scricciolo esile e diafano, così appariva sua cugina all’età di dodici anni, silenzioso e sempre discreto l’aveva guardato molto seriamente.
“Le parole fanno male, Alphonse. Una parola può trascinare qualcuno nella tristezza, devi fare attenzione a chi ti circonda.”  Gli aveva detto osservando un petalo di brina bianca che si era adagiato sul suo palmo.
“Continuando così finirai per diventare arido e quando troverai qualcuno in grado scaldarti dentro non credo proprio che riuscirai a tenerlo legato a te. Forse non lo vedrai neanche, per quanto sarai impegnato nell’ascoltare il suono delle tue parole e forse quella persona non resterà ad aspettarti per sempre.”
Il ragazzo era rimasto in silenzio, totalmente spaventato da quel discorso. 
“E questa prospettiva non ti sembra triste? Rimanere solo perché sei troppo convinto di essere il massimo è davvero da idioti. Saresti un idiota se non comprendessi che ci può essere dell’altro.”  Lyric aveva inclinato la testa e gli aveva scoccato un’occhiata, come se lei la sapesse più lunga di lui.
Lo aveva demolito pezzo per pezzo.
“Perché mi stai dicendo queste cose?”  aveva così chiesto Allie, digrignando i denti.
Lyric aveva sorriso dolcemente, come se fosse ovvia la risposta “Perché potresti perfettamente essere migliore di come sei adesso, invece di lasciarti influenzare dai discorsi di tua madre. Volevo crederti diverso dall’essere solo un ragazzo viziato.”
Questo ricordo ci porta ad un’altra importante certezza di Alphonse: Lyric gli era cara come pochi.
Per questa ragione, per quanto la situazione che gli si presentava fosse meglio di una sit-com televisiva (quindi perfetta per spassarsela senza muovere un dito) pensava fosse giusto cooperare per la buona riuscita della felicità di quella ragazza così importante tra i suoi affetti.
Erano in Germania da quattro giorni e in quel lasso di tempo Alphonse aveva avuto modo di conoscere una visuale più ampia della situazione. Aveva conosciuto di persona i suoi amici tedeschi, per cui non nascondeva una simpatia sincera ed entusiasta. Tom, Georg e Gustav infatti gli erano piaciuti a pelle, semplici e diretti, scherzosi e indubbiamente dei grandi casinisti (i primi due senza ombra di dubbio). Erano di compagnia e così diversi dai soliti snob che frequentava.
E poi aveva osservato per bene quella creatura aliena di Bill.
A parte il duro colpo di una verità sconvolgente, ovvero che Superman era in realtà una versione dalla bellezza ambigua di Wonder-Woman, quel Bill Kaulitz gli piaceva.
Era particolare, rumoroso, entusiasta all’inverosimile, interessante e poi stimava a priori chi possedeva una bellezza incomprensibile al resto degli umani, come l’aveva lui stesso. Però lo avrebbe adorato soltanto dopo che si fosse dato una mossa. Perché era indubbio che quel ragazzo si era già giocato il cervello da tempo.
Nella sua intelligenza presunta Alphonse De la Croix si era reso conto che c’era qualcosa che li stava bloccando. Lo aveva percepito solo per qualche secondo ma ne era stato certo. Quei due stavano aspettando qualcosa.
Da circa una quindicina di minuti Allie stava studiando Lyric in modo meditabondo, spaparanzato a pancia in giù sopra al letto di sua cugina. Da circa quindici minuti lei non lo calcolava di striscio, presa com’era dall’attenta scelta dei capi da portarsi in viaggio in costa azzurra.
Alphonse tossì poi in modo troppo teatrale per apparire anche solo lontanamente naturale. Lyric difatti se ne accorse e smise di piegare gli indumenti.
Si voltò verso di lui “Uh?” domandò con la gola.
Il ragazzo assottigliò labbra e occhi in un’espressione da gatto scrutatore “Allora…” fece una pausa per dare alle sue parole un po’ di effetto “che hai intenzione di fare con Wonder-Woman?”.
Lyric rimase zitta, guardandolo per qualche secondo in modo storto (alla fine lui le aveva spiegato quel suo continuo riferimento ai supereroi e non le era piaciuto il significato nascosto di Wonder-Woman). Riprese poi i suoi preparativi senza aprire bocca.
“Lyriiiiiic!” ululò il cugino cominciando a rotolare in protesta sopra alle coperte leggere del letto a baldacchino. Lei lo ignorò senza pietà. Alphonse si fermò e si mise a sedere. Si sporse da uno dei pali in legno rossiccio, rivolto verso di lei, che sostava sul pavimento davanti ad una grande valigia.
“Ok, ho capito. Non hai intenzione di farmi partecipe dei tuoi piani diabolici. Posso comprendere che potrei rovinarti qualcosina con la mia tendenza a blaterale senza posa…”
Potresti?” Lyric non si astenne dal rivolgerli una frecciata allusiva riguardo al personale modo di Alphonse di tenere i segreti.
“Ooooh! Non sono poi così tremendo…” cercò di difendersi lui ma venne bloccato con un gesto della mano.
Lyric aveva alzato quattro dita.
“Quattro sole parole: Ava e perdita verginità.” Alphonse fece una smorfia di nausea. 
Era sempre stato uno dei suoi assi nella manica quell’episodio imbarazzante. L’anno prima, al sedicesimo compleanno di loro cugina Ava, Alphonse si era lasciato sfuggire davanti ad una trentina di invitati che lei aveva iniziato già da qualche mese la sua attività sessuale. Si era giustificato dicendo che aveva voluto congratularsi anche per il raggiungimento di un tale traguardo, Ava però non era stata della stessa opinione. 
“In quell’occasione mi era sfuggita l’informazione senza volerlo…”
“Appunto, non sei affidabile da questo punto di vista. Ti lasci scappare le cose dalla bocca, metà delle volte persino in modo volontario.”
Allie incrociò le braccia e ponderò, dimenticava che parlavano due lingue diverse “Potrei pure essere indegno di fiducia ma sono pieno di buona volontà e io voglio solo aiutarti.”
Lyric si fermò con la sua concentrata operazione di smistamento e parve concedergli una sincera attenzione.
“Vorrei solo sapere come stai, se questa situazione ti pesa e cosa stai aspettando. Vorrei conoscere le tue ragioni e non fare il solito viziato che pensa solo a se stesso. Vorrei darti una mano, se mi fosse possibile.”
Lyric allora si alzò dal pavimento e si sedette vicina ad Alphonse.
Accavallò le gambe sopra al cotone rosso delle sue coperte e si osservò soprappensiero le dita delle mani, incrociate, a poca distanza dal suo grembo. Il suo viso femminile sembrava pensieroso ma non in modo negativo, più concentrato che altro.
“Non c’è bisogno che tu mi dia una mano. È troppo…” respirò profondamente e socchiuse le palpebre “…importante.” disse lei. Riaprì gli occhi subito dopo mostrando uno sguardo molto convinto “Tutto questo è troppo importante per permettere ad altri di metterci dentro le mani. Comprendi Allie?”
Nell’immediato il giovane avrebbe voluto risponderle che capiva ma non lo fece, perché si accorse che in verità non era così. Gli angoli della bocca di Lyric si allungarono in un cenno intenerito seguito da un guizzo simile da parte dei suoi occhi.
“È la prima volta che mi ritrovo in questa situazione e per questo posso dirmi completamente allo sbando riguardo a quello che dovrei aspettarmi.” Continuò la cugina spiegando come meglio poteva la delicata situazione che stava affrontando, di cosa pensava e sentiva “Non ho mai dovuto affrontare niente di questa portata.” confessò con estrema sincerità e sentendosi anche un pochino patetica. 
Lyric sembrava tentennare come un bambino che muoveva i suoi primi passi su due gambe: incerta eppure allo stesso tempo determinata nel provarci. Doveva essere allo stadio dell’accettazione della malattia, quello in cui si smette di far finta di niente e si abbraccia quasi con rassegnazione una consapevolezza troppo forte.
Lyric si lasciò cadere con la schiena all’indietro e rimase ad ammirare gli intrecci decorativi del legno sopra di sé “C’è solo una cosa che sono sicura che farò, per tutto il resto vago miseramente nelle nebbie. Forse… mi andrà bene tutto ciò che verrà in seguito…forse, io…”
Alphonse si stese a sua volta sul letto e invece di guardare in alto puntò il suo azzurro verso di lei.
Questo però lo capiva. Come sempre lei non voleva essere egoista.
Andrà bene tutto ciò che verrà in seguito?  Non sarò perspicace come il signor Holmes ma so che non andrà bene tutto. Questo non è vero. C’è solo una cosa che andrà bene, il resto non lo sarà. Lyric sei una piccola, adorabile, imbranata…” le accarezzò il capo come se avesse ancora avuto davanti la dolce bambina della sua infanzia, quella a cui aveva assicurato che i mostri sotto al letto non esistevano “…d’accordo, non ti aiuterò. Ma se non ti muoverai mi irriterò parecchio. Non farti aspettare troppo. Il primo amore deve essere catturato subito, non lo puoi lasciare languire per troppo tempo.”
Lyric arrossì senza poterci fare nulla. Non riusciva a contenere le sue reazioni quando a parlare della sua situazione erano le altre persone, per lei era qualcosa di altamente privato e riservato. Il fatto che fosse così lampante al resto dell’umanità le faceva venire i brividi.
“Grazie di averci provato Allie. Però lo sai come sono fatta, ciò che conta veramente non lo puoi delegare, sarebbe come dargli un valore minore rispetto alla sua reale importanza.”
Alphonse rise “Sei l’unica al mondo che affronterebbe una cosa del genere con la serietà di un profeta incaricato da Dio di salvare il gregge smarrito. È delizioso vedere che persino da innamorata non perdi il vizio di controllarti.”
“Oh smettila di prendermi in giro!” protestò la cugina, accaldata oltre il verosimile sulle gote, non riusciva proprio a concepire che si potesse parlare dei suoi sentimenti in giro. Non era pronta psicologicamente per spiattellarlo alla metà dell’universo.
Naturalmente Alphonse si divertiva un mondo.
“Comunque lo sapevo da tempo…”
“Che cosa sapevi da tempo?”
“Che eri il classico tipo che quando si innamora e capisce di esserlo, lo è veramente. Tu hai una visione molto alta di questo sentimento ma allo stesso tempo sei sempre stata molto realistica. Quindi mi pare ovvio che se sei caduta nella trappola di quell’orrido del dio Eros è perché il tuo sentimento ha battuto la barriera del tuo cinismo.”
Lyric rifletté giusto il tempo di rendersi conto che purtroppo per lei quel saccente aveva ragione.
Rimase in silenzio per non dargli alcuna soddisfazione.
Allie ridacchiò.
“Aaaaaa!” scattò il cugino, in piedi sul letto, due secondi dopo.
Poiché era abituata a quegli scatti improvvisi Lyric evitò di farsi venire un accidenti “E ora che c’è?” a quanto pare la sua testolina aveva cambiato argomento, come al solito.
“Io non ho ancora sistemato i miei vestiti nella valigia!” aprì la bocca sconvolto “Devo subito ordinare a Charles di prepararmele.”
“Sono le undici di sera, sarà già a letto. Lo hai fatto stancare già troppo oggi…”
Alphonse non ascoltò ragioni “Vorrai scherzare? È già tanto che abbia permesso a lui di farmi da cane da guardia, il minimo per aver accettato gli ordini di quella vipera di mia madre è quello di ubbidirmi senza fiatare. Ha un mucchio di peccati da espiare nei miei confronti. È un traditore del regno! Un vile mercenario che per denaro si è inchinato alla malvagia regina! ”
“Allie!” Lyric si era alzata in piedi e gli aveva tappato la bocca con una mano “Uno: stai farneticando stupidaggini, potresti avere l’educazione di non gridare le tue idiozie come se fossi ad una partita dei Boston Celtic?” Alphonse annuì da bravo bambino.
Lyric sospirò “Due: sei decisamente un cretino ma poiché sono stanca farò finta che tu non abbia avuto un attacco immotivato ed isterico.” Lui annuì nuovamente e lei gli concesse di avere la bocca libera “Senti, finisco qui con la mia valigia e poi ti aiuto a sistemare la tua. Ok? Così lascerai in pace quel povero uomo.”
Il cugino la guardò come se avesse parlato nelle lingue dei papiri del mar morto “L’amore ti fa male, decisamente. Secondo te a cosa servirebbero gli assistenti e i maggiordomi se alla fine facessimo di nostra volontà il loro lavoro? Guarda che io lo pago perché sgobbi!”
Lyric strinse forte gli occhi pregando in Dio di non aver veramente sentito quelle parole uscire dalla persona che aveva davanti.
 

****

 
L’invito era stato fatto da Alphonse in uno delle sue illuminazioni divine, quelle che di solito facevano accapponare le pelle a sua madre e rivoltare l’umore gioioso della gemella Adele. Il classico: facciamo questo perché mi va e chi se ne importa se gli altri ne subiranno le conseguenze!
A dirla tutta aveva avuto in mente quel piano nell’istante in cui aveva saputo che la villa in costa azzurra sarebbe stata libera. Quell’anno infatti suo padre Leonard aveva deciso di portare la famiglia in vacanza alle Maldive invece che nella proprietà privata in Francia. Avendolo saputo con largo anticipo rispetto al ritorno in Germania di Lyric, ad Alphonse era parsa un’occasione imperdibile per trascorrere ancora un po’ di tempo con la cugina.
Quindi non ci aveva messo molto a rifiutare l’offerta del genitore ed esporre l’idea che aveva lui di come passare le ultime settimane di vacanza. Leonard De la Croix gli aveva lasciato carta bianca, allettato dalla prospettiva di trascorrere un lungo periodo senza il prediletto figlio che lo intratteneva con mille discorsi poco interessanti ed accettò di buon grado.
Quella contraria ovviamente fu sua madre Amelia che, sapendo bene che in quell’idea era implicata qualche sorta di piano diabolico volto alla creazione del caos, gli diede un secco no. Dopo una serie di discussioni piuttosto concitate tra le due fazioni opposte il figlio la spuntò sulla madre grazie all’intervento di zio Victor.   
Amelia concesse ad Alphonse di partire per l’Europa a patto che con lui ci fosse stato un dipendente da lei scelto, che lo avesse controllato, e che il garante della sua sicurezza personale fosse stato il fratello Victor. Avrebbe potuto accompagnare lo zio mentre questi riportava la cugina in Germania e successivamente avrebbe raggiunto la dimora in costa azzurra, dove avrebbe trascorso le due settimane prima dell’inizio del trimestre sotto l’occhio vigile dell’Alysei.
Il ragazzo si sottomise alle imposizioni materne, appuntandosi però nella mente delle clausole di cui Amelia non sarebbe stata messa al corrente:
Uno: avrebbe chiesto alla cugina Lyric di passare con lui quelle due settimane in Francia. 
Due: avrebbe portato nella loro esclusiva dimora gli amici tedeschi e“popolani” della suddetta cugina. 
Tre: suo fratello Victor sarebbe stato a conoscenza di tutte queste cose ma non le avrebbe detto niente e che il dipendente (pagato con una bustarella fornita dal citato fratello qui sopra) avrebbe fatto lo stesso.
Naturalmente si concesse il tempo di conoscere un po’ la compagnia di sua cugina prima di tirare fuori la sua fantastica idea e, quando fu certo che lo stare con questi non sarebbe stato deleterio per la sua salute, aveva fatto esplodere la bomba.
Essendo un Alysei fin dentro le ossa aveva pianificato ogni minimo dettaglio. Lasciò che a convincere i genitori degli amici di Lyric fosse zio Victor. Facendo poi leva sulla sua naturale capacità di precludere fuori dalla mente qualunque rifiuto espose la sua proposta a Lyric e i suoi amici, convinto che fosse una questione da considerare come un dato di fatto.
Gustav e Georg rifiutarono gentilmente l’offerta poiché avevano già i loro rispettivi viaggi da fare in famiglia, progettati prima dell’allettante proposta del ragazzo. I gemelli invece accettarono senza neanche pensarci due volte e attesero solo il via libera da Simone, che lo concesse a patto che promettessero di non dare troppi problemi al signor Victor e alla signorina Freia.
Fecero un giuramento da perfetti boy-scout e dopo di che si immersero nella felicità di trascorrere qualche giorno in un posto completamente nuovo per loro. Con tutta probabilità sarebbe stata l’ultima volta che avrebbero trascorso dei giorni in pieno relax, il fatto di avere tra le mani un contratto con una casa discografica implicava che non ci sarebbero più stati molti giorni rilassanti da lì in avanti.
L’unica che non fu totalmente entusiasta della cosa era Lyric, covava qualche dubbio sulle reali intenzioni di Alphonse riguardo tutta quella storia e all’allegria dei due Kaulitz si unì provando qualche riserva.
“Palais de les Pommes bleu” si trovava in un tratto esclusivo della costa azzurra, posizionata a metà tra Nizza ed Antibes.  Era un piccolo gioiello architettonico di proprietà della famiglia De la Croix da parecchie generazioni.
Dalla villa si poteva raggiungere il mare percorrendo a piedi un sentiero che si snodava lungo la macchia di vegetazione, dietro al palazzo. Se invece si voleva respirare un po’ d’aria di campagna bastava prendere una bici e pedalare un’oretta tra i paesaggi della riviera, fino ai campi viola delle coltivazioni di lavanda, anche questi di proprietà del signor Leonard.
La prima cosa che fecero i ragazzi appena arrivati fu gettarsi tra le onde del mare, catturati immediatamente dall’attrazione viscerale di quel azzurro ipnotico. Mentre giocavano pieni di allegria tra i cavalloni di spuma salata ed acquosa provarono tutti la sensazione che sarebbe stata una permanenza memorabile. Persino Lyric non poté evitare di sentirsi fiduciosa e perdendo lo sguardo nella straordinaria natura che la circondava si lasciò convincere dall’ottimismo.
Forse sarebbe andata bene, soprattutto quello che aveva intenzione di fare.
La prima settimana passò in un fretta, presi come erano dalle mattinate in spiaggia e dalle escursioni dei dintorni al pomeriggio, dalle nottate passate a parlare, scherzare, rumoreggiare o semplicemente a stare in compagnia senza particolare intrattenimenti. I due adulti del gruppo, Victor e Freia, riscoprivano con piacere un rapporto d’amicizia che avevano lasciato decadere per futili ragioni d’orgoglio e risentimento mentre i giovani vivevano ogni istante con il tipico entusiasmo della loro età, semplicemente felici e spensierati.
Nella prima settimana alla villa “delle mele blu” accadde una cosa che convinse un’altra persona ad agire oltre a Lyric.
Questa persona era Tom.
La sua decisione venne presa una notte, mentre la casa era addormentata e l’unica luce proveniva dal cielo trapuntato dagli astri e dalla luna. L’aria che soffiava verso le finestre dell’abitazione era fresca e portava addosso l’odore un po’ pungente della salsedine. Il suono delle onde giungeva all’orecchio come la nenia di un carillon e fu la prima cosa che Tom sentì quando aprì gli occhi nell’oscurità.
Era accaldato e si sentiva addosso una leggera patina di sudore che gli bagnava la pelle. Lasciò il suo letto deciso a scendere verso le cucine e procacciarsi una bottiglia d’acqua da prosciugare. Non sapeva perché ma aveva una sete tremenda che gli infastidiva la gola.
Senza curarsi di mettersi addosso qualcosa oltre ai suoi boxer neri uscì dalla stanza che divideva con Bill, sicuro che vista l’ora avrebbe avuto poche probabilità di incontrare qualcuno lungo i corridoi. Erano difatti le 3 del mattino e l’intera villa era coperta dal silenzio. Arrivato nella gigantesca cucina agguantò dal frigorifero ciò che stava cercando, restando qualche minuto di fronte all’emissione di aria fredda del macchinario per trovare sollievo. Tolto l’impiccio del tappo tracannò l’acqua sentendola scivolare dentro con grande piacere. Quando si ritenne soddisfatto si incamminò verso la sua camera, gettando la bottiglia vuota dentro al cestino dell’immondizia.
Il rumore di qualche voce interruppe però il movimento dei suoi piedi scalzi a qualche metro dal grande soggiorno. Incuriosito andò a vedere a chi appartenessero.
“Chi può essere sveglio a quest’ora?”  si domandò Tom man mano che si avvicinava alla sala.
Una volta dentro poté udire meglio ciò che prima era stata solo una vaga impressione. Provenivano dal terrazzo a vista che dava sul mare ed erano due. Rallentò a pochi centimetri dalla porta finestra per poi fermarsi del tutto e tendere l’orecchio. Cercò di riconoscere le voci, deciso a non farsi vedere, perché non voleva fare imbarazzanti figure se per qualche sfortunato evento fossero state persone impegnate in qualche strana maniera. Intendete poi voi quali tipi di atteggiamenti “strani”  potessero essere compiuti alle tre di notte, su una terrazza, secondo Tom Kaulitz.
“Sicura di non voler andare a dormire?” domandò una di queste.
“Bill?”  si stupì di sentire la voce di suo fratello.
Effettivamente quando era uscito il gemello non si era destato dal sonno a chiedergli dove stesse andando, solitamente quando di notte accadeva Bill se ne accorgeva sempre se Tom si era svegliato per qualche ragione.
“Tranquillo sono solo leggermente assonnata.” Disse l’altra voce, sbadigliando sonoramente poco dopo.
“Lyric?”  quando invece riconobbe lei ci mancò poco che Tom trasalisse.
Nella più profonda e completa perdita di ragione il rasta fece un movimento rapido e si acquattò per terra, con la schiena contro il muro, ad un lato della porta finestra davanti alla quale si trovava prima. Fatto ciò imprecò mentalmente, dandosi poi del vero coglione. Praticamente si era nascosto e per di più stava origliando.
“Che testa di cazzo!”   
Lo era, era l’unica spiegazione possibile per la posizione in cui si trovava. Se fosse stato intelligente non avrebbe fatto una cosa del genere. Se lo fosse stato, anche solo minimamente, avrebbe dovuto girare i tacchi ed uscire dalla scena il più discretamente possibile. Non scavarsi una fossa rimanendo lì, coperto dal buio, a farsi gli affari privati di quei due.
“Che enorme testa di cazzo!”
Lo era anche perché poteva essere che stesse per avvenire quel momento.
Sì, proprio quel momento!
Quello a cui nessun dovrebbe mai assistere (o origliare) perché troppo privato, troppo intimo, troppo imbarazzante. Per due persone soltanto, il terzo in comodo era fuori discussione.
Lui poteva essere il terzo in comodo. Non lo voleva essere, non doveva esserlo, se lo fosse stato Bill non glielo avrebbe mai perdonato. Questo perché oltre che essere un vero imbecille, Tom, era suo fratello gemello e questo implicava non riuscire a tenere segreto un simile crimine troppo allungo, non se si trattava di quel momento.
Lo era?
Stava forse per accadere?
“Troia, no!”  supplicò Tom spaventato a morte da una simile prospettiva. Se Bill aveva deciso di dichiararsi proprio adesso lui non voleva esserci. Come già detto qualche riga fa sarebbe stato troppo imbarazzante, troppo privato, troppo intimo. Tom non doveva essere testimone di una cosa tanto personale e che cazzo!
Preso follemente da uno sprazzo di lucidità il rasta si accorse che era inutile farsi prendere da tanta preoccupazione, doveva solo alzare il culo dal pavimento e gattonare in modo delicato fuori da quella stanza, prima che quei due si accorgessero di non essere soli.
La sua salvezza dipendeva da questo.
“Hai sentito?” domandò poi Bill.
Il gemello si immobilizzò e si sentì attraversare da un gelido panico. Se l’altro Kaulitz l’avesse scoperto che razza di scusa avrebbe potuto campare per aria? Che si trovava dietro di loro, in ascolto, per una strana forma di sonnambulismo? No, Bill era tutto fuorché così ingenuo. Se fosse stato in vena gli avrebbe tirato un calcio sul didietro e tanti saluti.
Questa era pura invasione di privacy.
“Eh?” biascicò Lyric con la sua voce assonnata “No, non ho sentito niente.”
“Dio, grazie.”  Sospirò Tom ritornando cautamente alla posizione iniziale, si sarebbe mosso appena quei due avessero ripreso a chiacchierare, così da sfruttare la loro poca attenzione per poi scappare via.
“Uhm, mi sembrava di aver sentito qualcosa…”
“Cazzo Bill! Non insistere!”  pensò il fratello maledicendolo “Sarà meglio per tutti se riprendi a chiacchierare, soprattutto per me.”  
“Ti assicuro che non ho sentito niente.” Confermò la ragazza sbadigliando nuovamente. Vedendo la sua compagna ripetere ancora una volta un segnale di sonno così evidente smise di chiedersi se ci fosse stato o no del rumore.
“Lyric, sul serio, non riesci a tenere le palpebre aperte. Che ne dici se ti accompagno in camera?”
“No!” protestò Lyric riscotendo il suo cervello mezzo assopito.
“No!”  Tomgridò contrario nella sua mente, terrorizzato dall’idea di venire scoperto. Sarebbe stata una figura di merda troppo grande da sostenere.
“Restiamo qui ancora per un poco, per favore.” Cercò di convincerlo, pregandolo con uno sguardo. Bill si arrese senza neanche combattere.
“Va bene.” Acconsentì lui.
Il fatto che si trovassero lì seduti, avvolti insieme in una coperta, era stato un puro caso. Come il fratello, Bill si era svegliato assetato e come lui si era recato in cucina a bersi qualcosa. Mentre stava ritornando in camera aveva visto Lyric sulla terrazza. Si era allora avvicinato per sapere come mai fosse ancora sveglia e lei gli aveva risposto che non riusciva a dormire e che per questo era venuta a prendere aria.
Bill era stato visibilmente contento di poterla avere tutta per sé per un po’.
Da quando era tornata dall’America erano stati pochi i momenti che avevano potuto trascorrere effettivamente da soli e quella era apparsa ad entrambi una casualità veramente fortuita. Difatti la maggior parte delle volte erano stati circondati da troppe persone e non avevano ancora realmente parlato a quattro occhi, cosa invece che desideravano entrambi. Dopo l’esplosione emozionale di quando si erano riabbracciati all’aeroporto di Lipsia sia Bill che Lyric avevano mantenuto il profilo basso e avevano cercato in tutti i modi di sembrare naturali.
Come se entrambi non sapessero di provare qualcosa per l’altro.
Fino a quel momento avevano parlato degli avvenimenti più importanti che avevano vissuto mentre erano stati lontani, questa volta con molti più particolari di quando avevano dovuto accontentarsi di parlare per telefono o col computer. Bill, in particolare, si era sentito sollevato quando Lyric gli aveva spiegato tutto quello che si erano detti lei e sua nonna Cassandra. Lei comunque l’aveva tranquillizzato fin dall’inizio sostenendo che era andato tutto bene e che, anzi, era andata meglio di quanto avesse potuto aspettarsi.
“Cosa stavamo dicendo?” chiese lei mentre si stringeva addosso la coperta e posizionava il proprio capo sulla spalla destra di Bill.
Per via della lieve sonnolenza aveva perso il filo del discorso, oltre al fatto che era più interessata alla vicinanza di lui al suo fianco. Dopo aver lottato contro se stessa più o meno tutto il tempo, Lyric si era poi concessa di avvicinarsi a Bill e appoggiare la testa, sapendo che questo tipo di gesti avevano assunto significati diversi rispetto a quando non era conscia del suo stato.
Questo significava anche nuove reazioni, tutt’altro che semplici da controllare.
Come per esempio la tensione di essere così vicina, la preoccupazione di non mostrare che ci tenesse più del dovuto a quel loro contatto fisico, il calore che la faceva sentire quasi febbricitante e poi il piacere che le dava ogni suo più piccolo gesto nei suoi confronti. Cosa ancora più devastante la voglia imperiosa che pretendeva di più, molto di più. Per lei erano cose nuove da affrontare.
“Mi stavi parlando del perché fosse così importante la dichiarazione di tua nonna riguardo alla tua libertà.” Fece mente locale Bill.
Lui strinse poi la sua parte di coperta e l’avvolse meglio attorno ai loro corpi, lasciando ricadere il suo sguardo verso l’orizzonte e ascoltando le onde che si infrangevano nel buio. Il vento soffiava piano contro la pelle dei loro visi e si portava appresso il profumo delle piante della riviera.
“Non capisco perché il permesso di tua nonna possa essere tanto rilevante. Le persone sono, fondamentalmente, già libere.” Lyric rise mentre chiudeva gli occhi e si rilassava ascoltando le convinzioni del ragazzo.
“Come posso spiegarti?…” parlottò tra sé “Hai ragione, a tuo modo. Non dovrebbe essere così importante il permesso di mia nonna ma questo vale per il resto delle persone. Quando appartieni alla mia famiglia un suo consenso o un suo rifiuto significano tutto…” era un po’ difficile spiegargli le complicate relazioni che correvano all’interno del suo incasinato nucleo famigliare, soprattutto se si lasciava coccolare dalla sensazione di pace che provava nello stargli accanto e che la tranquillizzava con tepore.
“Ok. Sì, ho compreso che sei nata in mezzo ad un manicomio. Per i tuoi parenti il volere di tua nonna conta perché vogliono i suoi soldi e poi anche perché ne hanno soggezione. Tu invece, contando il fatto che hai smesso di temerla, quale ragione avresti per considerare le sue parole così fondamentali?” Bill voleva a tutti i costi i suoi chiarimenti e Lyric non si chiese del perché di tale insistenza, era troppo impegnata a godersi il momento per pensarci. Rimase però colpita che lui avesse esposto la situazione in modo tanto verosimile.
“Mia madre.” Rispose Lyric e Bill non riuscì a non notare la dolcezza con cui pronunciava il suo nome e il rispetto che portava per tutto ciò che la riguardava “È lei la ragione per cui ai miei occhi la libertà elargitami da mia nonna è importante.”
Bill attese che continuasse, ben sapendo che Eleonor non era mai un argomento leggero per lei.
“Devi sapere che mia madre e mia nonna andavano splendidamente d’accordo. Mia madre le voleva molto bene e provava per lei tantissimo rispetto. Da piccola non comprendevo questo affetto, per me era sprecato, ma pur ritenendolo tale pensavo anche che ci fosse una ragione. Ci doveva essere per forza poiché mia madre non dava la propria fiducia a tutti e non la dava di certo per i propri legami famigliari. Infatti odiava molto mio zio Vincent, il primogenito, suo fratello maggiore.”
Prese una pausa per scegliere le parole più semplici “Il rispetto e l’affetto di mia madre…non li potevo tradire, anche se erano rivolti verso qualcuno che pensavo di detestare. Ho sempre dato ascolto a quello che mi diceva la nonna, persino quando mi faceva stare male, perché non volevo pensare che mia madre si fosse sbagliata nel concedere a Cassandra la sua fiducia. Aspettavo di vedere e comprendere perché lei non l’avesse mai odiata e anzi l’avesse amata molto. Pensandola così mi pare ovvio che mia nonna per me contasse molto.” Ci fu un altro minuto di silenzio dopo quella raffica di parole “Per me conta molto.” ammise “Con il suo – sei libera- mi ha dato la possibilità di pensarla come volevo. Di non dover preoccuparmi di cosa lei pensasse o di come mi sarei dovuta comportare per compiacerla oppure non infastidirla. Ho avuto il permesso di essere solo Lyric Hörderlin e non, anche, Lyric Alysei Hörderlin.” 
Sentì la mano di lui legarsi alla sua.
“A me piace Lyric Hörderlin.” Disse Bill dopo un poco, con imparagonabile semplicità e sincerità. Inclinò il capo e lo appoggiò sul suo “…con difetti e annessi del caso…” aggiunse. L’amica rise, soddisfatta di essersi aperta con lui anche su questo punto. Fece poi finta di niente riguardo a quel “A me piace Lyric…” .
“Mi piace essere l’unico a cui confidi certe cose. Mi piace esserci per te.” Le disse Bill esponendo più che altro i suoi ragionamenti. Nella voce, se si stava attenti, si poteva percepire però il peso reale delle sue parole. Infatti Tom, che si trovava ancora appoggiato al muro dietro di loro, sgranò gli occhi.
“Davvero? Sapevo che eri presuntuoso…” Mugugnò Lyric ormai in procinto di abbandonarsi completamente alla divinità dei sogni. Le sue palpebre erano calate da parecchio tempo e il suo respiro aveva già iniziato a rallentare. Non poteva essere ricettiva ai messaggi tra le righe che il suo interlocutore stava disseminando.
“E non ti da fastidio che io sia così presuntuoso?” domandò Bill, anche lui al confine tra la veglia e il sonno ma comunque ancora abbastanza lucido. Non voleva perdersi la possibilità di guardarla dormire, di poterla osservare come voleva lui.
“No.” Sbadigliò “I tuoi lati negativi vanno bene, li posso accettare, li accetto…e poi…Bill?”
“Uhm?”
“Per te conto abbastanza, non è così? Abbastanza per farti provare a non farmeli pesare troppo i tuoi difetti? Per te conto abbastanza …” espresse a tentoni, con qualche errore nella disposizione delle parole, poiché era già in uno di stato di dormiveglia.
Bill si ridestò, turbato per quelle ultime battute. Lyric però si era addormentata.
Ne era certo perché non aveva parlato di nuovo, pur non avendo ricevuto risposta da lui.
Bill fece strisciare il suo braccio destro sopra alle spalle di Lyric per avvicinarla a sé.
La sistemò poi sopra alle sue gambe, in modo che un lato del corpo di lei si appoggiasse al suo petto e lasciò che le sue lunghe braccia la tenessero stretta a lui. Se la sarebbe poi inventata la mattina seguente la scusa per spiegare quella loro posizione. Sistemò infine la coperta di lana su di loro e poi la guardò con tutta la concentrazione che non poteva concedersi davanti agli altri, con tutta l’attenzione del suo piccolo essere.
“Non possiamo continuare così…” sussurrò a voce bassissima rivolgendosi all’addormentata. Le posò le proprie labbra sui capelli neri, baciandoglieli, osando fare qualcosa che Lyric non si sarebbe mai ricordata. Rubando la verità alla luce del giorno e donandola all’oscurità della notte.
“Conti abbastanza da complicarmi la vita…” rivelò, peccato che non avesse la determinazione di dire quelle cose quando era sveglia, un vero peccato che ci fossero tanti problemi in una semplice dichiarazione. Non gliela avrebbe mai fatta, non senza provare di essere uno sporco egoista.
C’era Tom in ogni caso da affrontare e lui, fino a prova contraria, era tutto ciò che aveva di più caro al mondo. 
Restò qualche altro minuto ad ammirarla prima di addormentarsi a sua volta. Soltanto quando entrambi se la dormivano della grossa Tom poté finalmente andarsene ed ogni singolo passo lontano da loro si dipingeva nella sua mente qualcosa di inevitabile.
Perché Bill era tutto ciò che aveva al mondo e per lui avrebbe fatto qualunque cosa.
Questo significava affrontare anche se stesso e i suoi di sentimenti.
 

****

 
Ci vollero alcuni giorni prima che Tom attuasse il suo piano.
Sarebbe stato un discorso difficile poiché lui non era abituato a mostrare ad altri cose intime o private. Non era portato nel dimostrare i sentimenti così facilmente come riuscivano Bill e Lyric.
Il sentimentalismo o le parole intrise di serietà erano cose che se ne stavano alla larga dalla sua bocca.
Ci pensò molto, difatti, e quasi si fece venire un’emicrania incazzosa per quanto tali pensieri lo mettessero in difficoltà.
Da quando aveva capito che Bill provava qualcosa per la loro amica…
No, a dir la verità era da quando quei due avevano cominciato a frequentarsi che Tom aveva intuito come sarebbero andati a finire gli eventi.
Prevedendo come le cose si sarebbero sviluppate, per tutto quel tempo, era stato attanagliato dal timore.
Perché, per chi non lo avesse ancora capito, Bill era davvero tutto ciò che aveva di più caro al mondo. 
Nel suo personale universo erano stati sempre e solo loro due. Il fatto che la metà con cui aveva diviso l’esistenza fino a quel momento avesse cominciato ad allargare il proprio spazio, verso di lei, lo aveva allarmato.
Non era come le altre volte, non era come con le altre ragazze.
Bill era diverso. Come se dentro alla mente del fratello fosse nata una nuova coscienza.
Tom aveva cercato allungo di tenere alla larga tutte le sue paure, le sue domande, limitandosi ad osservare la situazione e convincersi in qualche modo che non fosse seria come lui la pensava.
Ovviamente tra tutti e tre, forse, era stato proprio lui il vero finto tonto. L’aveva fatto apposta ad essere ottuso e ricalcitrante. Però aveva deciso di smetterla.
Perché voler bene a qualcuno significa anche accettare che questi non sia solo nostro.
A conti fatti quella che si mosse per prima era stata proprio l’avversaria che doveva affrontare, quindi, più che attuare il suo piano, Tom aveva subito l’offensiva.
Non c’era stato un vero scambio di parole sul come e il quando avrebbero dovuto parlare.
C’era stato solo uno sguardo. Breve e chiaro.
Lyric e Tom si erano capiti al volo, senza bisogno di aggiungere voce al loro silenzio.
Era stata l’ora del crepuscolo e l’arancione dorato del sole che calava inondava di una luce irreale l’orizzonte. Stavano tornando tutti alla villa, di ritorno da un pomeriggio stancante passato in spiaggia. In fila indiana stavano risalendo il sentiero tra gli alberi e Tom in quell’occasione si trovava dietro a lei.
Ad un certo punto Bill lo aveva superato e aveva fermato Lyric trattenendola delicatamente per un gomito. L’aveva fatta voltare per mostrarle un secondo il tramonto che scendeva sul mare. Tom si era fermato a sua volta e aveva guardato nella direzione indicata dal gemello. Quando si era girato nuovamente verso di loro fu folgorato, letteralmente, dal modo in cui quei due si stavano guardando.
Era così chiaro. Niente di più semplice.
Si stavano cercando. Si stavano aspettando.
Vide Bill sfiorarle una ciocca dei capelli e ritrarsi subito con un piccolo sorriso di scuse. Lyric lo seguì con gli occhi mentre questi riprendeva a camminare in avanti. Poi lei incrociò volontariamente gli occhi nocciola di Tom.
Un solo sguardo. Breve e chiaro.
Dobbiamo parlare…”  decretarono quegli occhi blu. Tom non poté altro che annuire.
 

****

 
Fu un’ incontro sotto molti punti di vista contorto, imbarazzante, pesante ma anche liberatorio.
Tom la trovò il giorno seguente, a mezzanotte inoltrata, seduta su uno sdraio di vimini intrecciati, sulla sponda della piscina della villa. Aveva le spalle avvolte da uno scialle rosso ciliegia e se lo teneva appuntato sul petto con le mani. La testa ricadeva placidamente contro un cuscino lillà sulla cui superficie erano sparsi i suoi capelli.
Lyric non lo guardò mentre si sedeva sullo sdraio accanto e Tom rimase in silenzio per parecchio tempo, lasciando sibillare la brezza del mare. Quando lei lo percepì tranquillamente sdraiato prese un respiro e poi parlò “Eccoci qui.”
Tom si portò le braccia dietro la testa e cominciò a fissare i puntini bianchi sopra di sé “Questa sarebbe la nostra seconda discussione seria da quando ci conosciamo.”
“Ne abbiamo fatte tante altre.” Lo contraddisse lei, fissando a sua volta le stelle “Solo che tu non sei mai stato serio nessuna di quelle volte. Conti male.”
Tom grugnì “Non fare la solita pignola, persino in una situazione come questa ti piace correggermi.”
Lyric rise a fior di labbra “Mi viene naturale, perdonami. Con te è un meccanismo automatico.”
Ci fu una pausa che durò il tempo di sentire le foglie frusciare e poi fu Tom a riprendere la parola “Di cosa volevi parlarmi?”
Si voltò verso di lui “Mossa sleale…” ammonì l’amica “Lasci che la prima pietra venga scagliata da me?”
“Sì, lo so, sono uno stronzo.”
“No…” Lyric giocherellò con un lembo del suo scialle “Hai solo paura. Come me.”
La fronte di Tom si increspò di lieve disappunto. Lyric usava sempre parole che racchiudevano in poco spazio un’infinità di significati, la maggior parte delle volte si trattava di cose che si insinuavano molto dentro all’anima, cose che facevano paura.
Lei era una provocatrice.
La sentì muoversi sopra allo sdraio e cambiare posizione per poterlo guardare, si mosse anche Tom e si ritrovarono a fissarsi. La tensione che aleggiava attorno a loro era evidente e palpabile. Lyric respirò profondamente ancora una volta e richiamò a sé tutto il coraggio che aveva.
Stranamente sentiva di avere gli occhi un po’ lucidi ma cercò di non pensarci.
Lei era coraggiosa, molto più di lui.
“Come nella nostra prima discussione ho una confessione da fare. Un senso di colpa che voglio togliermi di dosso per sentirmi nel giusto nei tuoi confronti. Era da tempo che volevo dirti questa cosa ma ho sempre rimandato. Pensavo che qualcosa di cui non avresti mai saputo non ti avrebbe ferito…” fece una pausa e poi riprese “…mi sono resa conto che le cose sono cambiate…”
Tom si accorse che erano le stesse parole usate dal fratello mesi prima, quando Bill gli aveva detto che era innamorato di lei. Si sentì un po’ stupito che gli eventi scorressero così velocemente. Quasi ci rimase male quando Lyric disse le famose paroline che da qualche istante aleggiavano sopra di loro.
Lo stava ammettendo.
“Sono innamorata di Bill, lo sai?”
Non fu terribile come se lo era aspettato, non così spaventoso, infondo Tom si era ormai rassegnato al riguardo.
“Quando lo hai capito?” domandò, provando a mantenere una leggera indifferenza.
“Due mesi fa, circa, non ho contato di preciso. Però credo di esserlo già da un po’ di tempo.” Lyric si era arrossata e da qualche secondo si era messa a guardare tutto fuorché il suo interlocutore.
Tom si portò una mano sugli occhi e ridacchiò a bocca chiusa “Due tonni, sul serio, siete due tonni.” Bisbigliò preso dall’ilarità. Dopo qualche minuto tornò serio e riprese a guardarla negli occhi “Perché questo dovrebbe essere un tuo-senso di colpa- ?”
“Questa era la mia premessa. Vedi oltre al fatto che sono certa di ciò che provo per Bill, sono ugualmente sicura di ciò che sento nei tuoi confronti.”
“Che intendi dire? Non ti seguo.”
“Sto parlando del fatto che sei un mio amico. Del fatto che esiste la nostra amicizia e che la considero uno dei rapporti più importanti che posseggo con qualcuno che non abbia il mio stesso sangue.” Il viso della ragazza si ingentilì con un’espressione dolce e allo stesso tempo sincera “Il mio senso di colpa riguarda per l’appunto la nostra amicizia. Ricordi anche tu i nostri inizi disastrosi, no?”
“Perfettamente. Eri l’essenza stessa dell’irritazione, non ti potevo vedere senza provocarti in qualche modo. Mi stavi sulle palle in una maniera assurda, non ti sopportavo…”
“Non c’è bisogno di essere così dettagliato al riguardo. Mi bastava un semplice sì.”
“Era per essere precisi, comunque cerchiamo di arrivare al dunque…”
Lyric si sistemò una ciocca di capelli dietro all’orecchio, prendendosi con calma del tempo “È per Bill che è iniziata la nostra amicizia, ecco cosa sto cercando di dirti, è solo per non perdere lui che avevo accettato di mettere da parte la mia antipatia nei tuoi confronti e avevo provato a risanare i nostri rapporti…”
Tom non comprese immediatamente le sue parole. Ci volle un altro di quegli sguardi brevi ed eloquenti tra di loro per fargli capire dove lei stesse andando a parare e pur non essendone certo, poiché non aveva effettivamente tutte le capacità necessarie di sensibilità ed acume per arrivarci, a grandi linee seppe di cosa stesse parlando.
“E fino ad ora ti eri sentita in colpa per questo?” Lyric annuì e Tom si imbambolò non trovando niente da dire.
“Io lo sapevo già dall’ora, sapevo perfettamente quanto tu contassi per Bill. So, sappiamo, che sei la persona più importante di tutte per lui. Ti ama in un modo imparagonabile e per te è la stessa cosa. Sono una ragazza razionale e avevo compreso che per non perderlo avrei dovuto frequentare anche te. Sarei dovuta diventare simpatica a suo fratello in modo tale che questi non lo costringesse ad una scelta.” Lyric non si diede pena di filtrare ciò che le passava nella mente, era il momento della verità ed era intenzionata a non lasciare più niente nascosto “Sapevo che avresti vinto tu se fosse successo. Lo ami anche tu, da molto più tempo di me. Tu ci sei sempre stato, ci sarai sempre. Io non chiedo molto, solo che tu capisca.”
Tom, rimasto basito per la rivelazione, tentava di restare al passo dei suoi ragionamenti e allo stesso tempo di trovare delle risposte da darle. Era tutto così veloce e Lyric sembrava correre con determinazione lungo una strada già tracciata. La vide alzarsi da dove era sdraiata e sedersi poi di fianco ai suoi piedi.
Sotto la luce pallida ed evanescente della luna, mentre il silenzio era rotto solo dai loro respiri e di quelli del vento, Lyric portò in avanti una mano fino ad incontrare quella dell’altro. La sfiorò prima con prudenza e poi con solida certezza. Gliela strinse, infine, come se in quel gesto fosse racchiusa la verità sui misteri del creato. La sua verità. 
In quel preciso istante, quando un brivido repentino risalì il suo braccio fino ad arrivare al centro stesso del suo petto, Tom ebbe un’illuminazione riguardo al perché Bill fosse innamorato di lei.
Lyric era bellissima.
Era bellissima nel suo modo di essere, nel modo straordinario con cui riusciva a sentire e provare gli umani sentimenti, nel modo in cui riusciva ad esternarli. L’osservava nei suoi occhi: la sua emozione sincera, la fiducia nelle sue ragioni, l’affetto per lui, l’amore per Bill.
Lyric esisteva.
Tom Kaulitz si rese conto per la prima volta dell’unicità di quella ragazza di nome Lyric Hörderlin, si svegliò e si stupì di percepirla in maniera concreta come una persona vera e propria.
Lei era lì, di fronte a lui, e gli stava mostrando il suo cuore. Lo stava pregando di accettare che lei amasse suo fratello e che, qualunque cosa fosse successa, di non portargli via per nessuna ragione una persona importantissima per entrambi.
Tom aveva ancora paura, forse, persino più di prima.
Non aveva però intenzione di essere l’eterno terzo in comodo, non aveva il diritto di farla penare tanto. Se doveva per forza affrontare l’inevitabile evento di dover dividere Bill con qualcuno allora non c’era nessun’altro a cui lo avrebbe concesso. Finché era lei poteva farlo.
“Non te lo portare via troppo lontano...” Decise infine di dire Tom.
In quelle parole era racchiusa anche la sua di verità, i suoi timori e il suo sì. Non era un veggente e non poteva vedere nei resti del tè il destino delle persone ma Tom aveva la sensazione che la loro storia, quella tra Bill e Lyric, sarebbe stata complicata. Non era sicuro del perché ma lo sentiva nelle ossa che quella ragazza avrebbe portato via il cuore di suo fratello, lo avrebbe portato veramente molto lontano.
Il rasta le sorrise con un accenno malinconico e al tempo stesso intenerito “Se manterrai questa promessa allora non ci saranno problemi. Sarò felice per entrambi se così deve andare.”
Lyric lo abbracciò sollevata “Promesso.” sussurrò al suo orecchio.
Tom ricambiò quel gesto affettuoso e per un po’ si lasciò cullare dalla sensazione di aver appena fatto la cosa giusta.
“Non te lo portare via troppo lontano…” pregò con tutte le sue forze, ben sapendo però che forse era troppo tardi per tali suppliche. Il loro amore era già qualcosa che andava oltre la sua comprensione.
A Tom non restava altro che farsene una ragione, in quanto poi, a farne le spese maggiori di un sentimento talmente forte sarebbero stati altri.
Bill e Lyric non avevano idea di ciò che li avrebbe travolti.
 
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* La citazione appartiene al personaggio di Kagura Soma, la signorina cinghiale, del mio manga preferito: Fruit basket. Rileggendo il volume in cui questa frase era stata detta ho pensato che essa racchiudesse proprio tutto ciò di cui avevo bisogno. Spero che si sia capito che il tema centrale di questo capitolo è la consapevolezza di quando ti rendi conto di essere innamorato.
Quando accade di solito, è vero, sei già fregato. Naturalmente l’ammetterlo con se stessi non significa che le cose diventino facili, anzi, spesso si complicano proprio per questo.
Cosa posso dire? XD Lyric ha aperto gli occhioni e si è resa conto di essere invischiata fin nel midollo con il primo amore. Non è carina? Per lei, che ha attraversato eventi dalla portata piuttosto dolorosa e ha sempre vissuto una vita piuttosto stressata, scoprire di provare un sentimento così semplice ed emozionante è una scoperta sconcertante. Io tifo per lei in ogni caso e naturalmente tifo anche per Bill (povero ragazzo, per come lo tratterò in seguito mi pare ovvio che abbia bisogno del sostegno morale di qualcuno).
Alphonse si è rivelato un personaggio troppo utile e sinceramente mi diverto tantissimo quando si tratta di farlo parlare. È un principino altezzoso e viziato ma dentro di sé ha le qualità necessarie per crescere. Il fatto stesso di provarci gli permetterà di andare lontano e di migliorare.
Tom è stato difficile, questo perché ha dovuto tirare fuori qualcosa di se stesso ed esporlo durante un colloquio serio a qualcun altro che non fosse Bill. Però gli faccio gli applausi, alla fine ce l’abbiamo fatta a dargli un sensibilità! XD In seguito gli darò maggiori possibilità di dimostrare la sua nascosta profondità interiore (sì, lo so, parlo di una possibile storia ma non ne sono ancora certa e comunque io terrò sempre la bocca chiusa al riguardo.)
A dir la verità ci dovrebbe essere un altro paragrafo ma ho pensato che il capitolo si potesse concludere bene anche in questo modo.
 
Auguro a tutti un buon 2009 e spero che tutti i lettori continuino a leggere questa ff con lo stesso interesse dell’anno passato. Prego inoltre che mi vogliate fare il piacere di lasciare un qualche tipo di commento perché, sul serio, mi sento un po’ avvilita quando non so nulla riguardo alla vostra opinione riguardo a ciò che scrivo.
 
Grazie alle 16 persone che hanno questa ff tra i preferiti.
Grazie a Morgana (XD contenta? Allie c’è ancora!).
Grazie a Lady_Daffodil: il principe Casiraghi? XD effettivamente può essere, la sicurezza ostentata da Allie è la stessa del principe monegasco. La bellezza sconvolgente la stessa. Inoltre parlano entrambi francese (Allie è metà francese) e Alphonse è davvero un nobile (suo padre è un conte o qualcosa del genere). Cosa farei senza di te? Se tu aspetti sempre con ansia i miei aggiornamenti io aspetto sempre con più ansia i tuoi commenti. Ti ringrazio davvero perché dalla tua felicità mi sento ripagata della fatica.
Attendo i tuoi giudizi e non preoccuparti, per me non sei mai ripetitiva, davvero.
Grazie a angeli neri: anche i tuoi commenti sono sempre graditi ed attesi. Penso che con l’andare della storia arriverai ad odiarmi per come incasinerò le vite dei personaggi ma finché ti suscito un qualche tipo di emozione va bene. XD preghiamo insieme affinché quei due tonni si diano una mossa, vero?
Un bacio a tutte quante!
Al prossimo capitolo lettori e lettrici!
 
Baci, Gillian.
 
Ps: Avete visto? Avete visto che non c’è nessun triangolo tra Tom-Bill-Lyric, XD, direi di aver ingannato tutti piuttosto bene, mi sbaglio? Comunque per fare chiarimenti (che forse interessano solo me e nessun altro ma li faccio in ogni caso XD) la frase di Tom “Non te lo portare via troppo lontano…” raccoglie in sé tutte le preoccupazioni e i pensieri che il rasta aveva avuto fino a quel momento. Per comprendere potreste rileggere il capitolo 3, la scena di Tom sotto la tettoia della scuola mentre aspetta Bill. In quell’occasione Tom aveva cominciato ad intendere, persino prima di quei due, quanto seria potesse essere. XD Ma non pensate che sia così perspicace, è più che altro una sensazione quasi istintiva per lui.
Credo che alla fine di questa ff farò un capitolo di chiarimenti riguardo a tutte le storie sotterranee che ci sono e che evito di scrivere per impedire che il tutto si incasini troppo. La famiglia Alysei per esempio è un ricettacolo di intrighi pazzesco, non potete neanche immaginare le trame che vi stanno sotto.
Ringrazio per il sostegno musicale i Muse e i sempre più presenti Coldplay. Molte loro canzoni sono state la colonna sonora perfetta di questo capitolo. 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10: Neve ***



Capitolo 10

 

 

Il destino è come Penelope di Itaca.

Passa il giorno a tessere instancabilmente una tela dagli intricati disegni.

I fili sono così strettamente legati l’uno all’altro che non si distingue dove inizino oppure finiscano.

Le vite umane sono come quei fili sottili: in qualche maniera si incontrano.

Così i loro desideri si intrecciano e le loro scelte si scontrano.

 

 

Parigi.

Luglio, 2009.

 

L’intervistatrice francese si appuntò meglio gli occhiali da vista sul naso e con un cipiglio incuriosito fece una domanda un po’ diversa dal solito.

“Mi dica, Bill, lei che ha sempre affermato di credere nel vero amore…” iniziò la pomposa signora con un’evidente dose di botox iniettata in viso di recente “…per caso non è che lo ha già incontrato? Il vero amore, intendo. Molte persone, visti i temi delle vostre canzoni molto spesso riferiti a travolgenti amori perduti, si sono chieste se non ci fosse una specie di messaggio subliminale riguardo ad una sua esperienza passata?”

Gli altri tre membri dei Tokio Hotel, dietro alla loro perfetta maschera di cera, furono immediatamente colpiti per quella uscita inaspettata e sapendo quanto quella domanda pungesse un punto scoperto nell’animo di Bill si misero in allerta.

Tom rimase impassibile, per evitare che quell’avvoltoio di donna potesse scorgere un qualsiasi segnale che le desse l’impressione di averci centrato. Dalla sua posizione stravaccata sulla poltrona percepì che il fratello per un attimo si era irrigidito.

Georg prese ad osservare la stiratura dei suoi capelli con non-chalance e nessuno si accorse che aveva aumentato leggermente la velocità del tic al suo piede. Gastav invece si concesse uno sbattere più lento del solito alle palpebre, senza però modificare l’espressione annoiata della sua faccia.

Bill, dopo il primo momento di stupore, sorrise nel modo ammagliante che aveva, dimostrando di non essere per niente turbato “Le nostre canzoni non si riferiscono ad una esperienza precisa. Ciò che scrivo sono il risultato di tanti eventi che ho vissuto sulla mia pelle, dei pensieri e dei sentimenti che ho provato in quelle occasioni. Sono analisi condensate di tanti fatti. Quindi…” lo sguardo spudoratamente innocente ed ipnotico di quella creatura aliena fece seccare la gola dell’intervistatrice, difatti il cantante stava sfruttando in modo palese tutto l’ascendente che possedeva sulle persone “…purtroppo per la sua curiosità non ho incontrato il vero amore. Sono però fiducioso. L’unica per me è là fuori, lo so, devo soltanto trovarla.”

Tom ghignò e scambiò uno sguardo complice con Georg mentre Gustav mosse il capo in un impercettibile assenso, persino lui ridacchiava interiormente per la risposta vincente di Bill.

“Mio fratello è un inguaribile romanticone.” parlò il rasta catturando la giornalista con un’occhiata furba e spruzzata da uno spesso strato di malizia “Non riesce ad essere terra-terra come lo sono io: fin da piccolo ha sempre aspirato a questo tipo di fantasie e visto che inseguiva certi ideali non se le mai goduta come il sottoscritto. Io invece il vero amore lo cerco in ogni ragazza che incontro. Fortunatamente per me si risolve sempre con un nulla di fatto, il che mi permette di riprovarci con la prossima…”

Tom aveva abilmente attirato l’attenzione della donna su di sé, lasciandole il via libera per domande piccanti sulla sua dissoluta vita da dongiovanni incallito. Lei infatti accolse la palla al balzo e gli chiese di raccontarle qualche aneddoto riguardo alla sua personale ricerca del vero amore.

Intanto Bill si era fatto silenzioso, ogni più impercettibile suono attorno a sé si era azzerato e il presente aveva cominciato a sfumare. Chiuse gli occhi per qualche secondo pensando che non era sano lasciarsi precipitare laggiù con così tanta facilità. Quando li riaprì la mente aveva già recuperato un ricordo.

Rivide una ragazza che gli sorrideva mentre era illuminata dal primo sole del mattino. Quella ragazza si era poi avvicinata per posargli un bacio sulle labbra e, trascinando con sé le coperte bianche del letto in cui avevano appena dormito, lo aveva avvolto in un abbraccio che odorava di pelle calda e profumo di fiori freschi. 

“Il vero amore…”  Pensò tra sé mentre la voce del gemello rispondeva qualcosa alla giornalista.

 

*****

 

Boston.

Luglio, 2009.

 

Mentre apriva gli occhi a poco a poco l’odore del caffè caldo si insidiò tra le sue narici e destò la sua coscienza. Qualcuno stava preparando la sua miscela preferita. Con un grande sforzo di volontà aprì gli occhi ma pur avendo smesso di dormire la sua voglia di alzarsi dal suo comodo e protettivo giaciglio era nulla. Si portò la leggera coperta turchese fin sotto al naso e si rannicchiò maggiormente sotto di essa, cercando di conservare il tepore che c’era.

Dalla sua posizione guardò fuori dalla grande vetrata della finestra. Si era addormentata attorno alle quattordici del pomeriggio e visto il blu scuro che diveniva tiepida sera Lyric pensò che doveva essere già passato il tramonto. Con poca attenzione dedusse che dovevano essere per lo meno passate le diciannove, il che significava che era rimasta in uno stato di totale incoscienza per circa sei ore. Fissò un punto qualsiasi che aveva davanti e per qualche minuto attese che i suoi pensieri ricominciassero a marciare. Non ci misero tanto, come era prevedibile riprese a ricordare la Germania..

Tra tutte le rese che aveva dovuto accettare questa era stata l’unica che aveva scelto.

Era una delle poche cose che poteva controllare e di cui non sentiva sfuggire le redini. Da tempo non aveva controllo su certi aspetti della sua vita e trovare la possibilità di esercitarne un poco su qualcosa le convogliava l’umore.

Inoltre aveva ormai preso le sue decisioni ed era intenzionata a mantenerle.

Si girò e controllò che i fogli su cui stava scrivendo prima di addormentarsi non fossero caduti per sbaglio dal comodino. Erano ancora tutti là sopra. Dopo qualche secondo allungò il braccio per aprire un cassetto e lì ve li introdusse.

Tra quei documenti c’era anche una lettera. Non era neanche certa che l’avrebbe fatta arrivare al destinatario ma era stato fondamentale per Lyric scriverla. Bill un giorno, forse, l’avrebbe letta.

Erano passati tre anni dall’ultima volta che si erano visti e parlati ma anche dopo così tanto tempo lui aveva la stessa identica importanza. Lyric dubitava che avrebbe mai smesso di avere quel ruolo fondamentale nella sua esistenza. Qualcuno bussò in quel momento.

“Avanti.” Disse lei.

Subito dopo che la porta venne aperta comparve una mano, questa si portava appresso una gigantesca tazza di fumante caffè nero. Suddetto, candido, arto apparteneva ad una delle sue due migliori amiche.

“Finalmente ti sei svegliata bella addormentata nel bosco. Credevo di dover chiamare al più presto un principe azzurro per farti destare.”

Si sorrisero nel modo complice che ormai apparteneva al loro rapporto da più di tre anni.

Lyric si mise a sedere “A meno che i principi azzurri non abbiano cominciato a piovere dal cielo non credo proprio che avresti trovato qualcuno pronto a baciarmi per farmi aprire gli occhi e poi qualunque principe non sarebbe andato bene. Per svegliare l’addormentata ci vuole quell’unico principe e nessun altro.”

Kat si appoggiò contro lo stipite della porta e stirò le sottili labbra in un’espressione lievemente contrariata prima di sospirare e roteare gli occhi, era un po’ meno allegra “Beh, chi ha bisogno di quel principe quando c’è del superbo blue montain fumante ad aspettarti. Lo vuoi oppure no il caffè?”

Lyric annuì con decisione e tese le braccia in direzione della tazza color giallo paglierino.

Dopo che gliela consegnò tra le mani bramose Kat si sedette alla destra dell’amica. Si tolse le sue ballerine italiane e le dispose in ordine di fronte al lato del letto, dopo di che lascio che le sue gambe prendessero posto sotto alle coperte e che la sua schiena si appoggiasse contro la spalliera gricio-ghiaccio.

Intanto Lyric era arrivata al secondo sorso di degustazione e si stava lasciando contagiare dal sapore unico della sua miscela preferita. Si permise di tergiversare parecchi minuti con il caffè ed ignorò volontariamente in questo modo l’aria d’attesa che ricopriva l’amica.

Se aveva ancora poca voglia di uscire da quel letto ne aveva ancora meno per quanto riguardava discutere con Kat. Quella persona della sua vita era di una insistenza spossante e per quanto le volesse bene qualche volta pregava che la smettesse di martellare continuamente contro di lei.

Molte persone potevano perfettamente frequentarsi senza avere esattamente la stessa mentalità e questo era perfettamente normale ma c’erano delle questioni assolutamente inconciliabili tra di loro che quasi sicuramente si sarebbero portate dietro fino alla fine delle loro vite.

Una di quelle questioni erano i Tokio Hotel e poiché lei aveva ricominciato a parlarne apertamente, o per lo meno aveva dato l’autorizzazione per poterli comprendere nuovamente nella realtà di Lyric Alysei, Kat aveva preteso una spiegazione.

Purtroppo per l’amica quella spiegazione non era ancora arrivata e poteva darsi che non sarebbe mai giunta.

Lyric ovviamente lo faceva apposta, il problema era che la conosceva troppo bene e sapeva che tipo di reazioni avrebbe potuto avere. Conosceva il temperamento emotivo che Kat aveva per tutto ciò che considerava importante e anche la razionalità calcolatrice che usava quando si trattava di trovare una soluzione.

Poiché non esisteva una risposta che risolvesse ogni cosa e potesse dare felicità a tutti Lyric evitava di darle rompicapi che non potesse sconfiggere. Inoltre, Allie e Diane glielo avevano rivelato, Kat si sarebbe lasciata facilmente trascinare da un odio insensato contro Bill, perché lo avrebbe creduto l’unico ad uscirne pulito dai fatti e questo Lyric non lo voleva.

Nessuna persona importante della sua vita, passata o presente che fosse, avrebbe dovuto odiare un’altra persona importante. Se c’era un sentimento che voleva lasciare da parte era proprio l’odio.

“Diane?” chiese, riferendosi all’altra sua migliore amica “Credevo che oggi sarebbe venuta a trovarmi, l’altro giorno insisteva per poter rimanere a dormire qui.”

Kat fece spallucce “Siamo arrivate insieme, verso le diciotto, ma è subito scappata via come una furia urlando che si era appena ricordata di una commissione urgente. Ha detto che sarebbe tornata verso le venti e mezza, con la cena.”

Lyric cercò di non pensare a quale tipo di pietanze questa volta si sarebbe portata dietro, pregò che fossero per lo meno commestibili visti i trascorsi della loro amica sui suoi discutibili gusti personali. Non era in vena di sperimentare pietanze come l’enchedilas all’aglio e mandorle o iper-spezziati polli tailandesi con contorno di germogli di soia. Il massimo che poteva accettare era un taglio di bistecca Kobe, se la scelta doveva cadere proprio sulla cucina etnica.

“Hai finito?” Lyric vide negli occhi verdi di Kat una nota d’attesa che non poteva più ignorare, ingoiò il resto del caffè in fretta e appoggiò la tazza vicino alla lampada del comodino. Prese un respiro profondo e sentì che anche l’altra faceva lo stesso. Solitamente Kathleyn riusciva a mostrare una calma fredda migliore della sua e spesso era anche troppo controllata.

La vide stringere in una boccuccia pensierosa gli angoli delle labbra e sentendola così ansiosa le prese la mano, cercando di rassicurarla in una carezza di conforto. Ultimamente doveva essere tesa come una corda di violino.

“Tre giorni fa Alphonse mi ha rimproverato...”

“Davvero?” era divertente pensare che suo cugino potesse avere il diritto, in giusto, di rimproverare qualcosa a qualcuno, trattandosi poi della sua fidanzata da più di un anno era stata una mossa ancora più inusuale. Kathleyn non era il tipo di ragazza che si faceva rimbrottare senza combattere ed Allie doveva essere stato certo al cento percento di avere ragione se si era lanciato in un atto tanto pericoloso, ben sapendo inoltre che avrebbe avuto di cui litigare per giorni.

“Già! Mi ha accusato di essere polemica, tiranna e pretenziosa. Ha detto che non ascolto mai gli altri, mi ritiro sempre sulle mie opinioni come un vecchio conservatore repubblicano e che mi arrabbio senza prima capire le visioni altrui…” Lyric provò a pensare che tipo di ragione avesse portato suo cugino ad elencare quella caterva di difetti, di cui Kat a volte era effettivamente provvista, e constatò che pur essendo a conoscenza di questi Alphonse fosse comunque, inevitabilmente, perso di lei.

All’inizio della loro relazione aveva avuto i suoi dubbi sull’andamento della loro coppia, conoscendo l’enorme voragine che li divideva in certi aspetti aveva pensato che avrebbero passato la maggior parte del tempo a discutere. L’amore comunque, fino a quel momento, aveva sempre vinto sulle loro differenze.

“Ha aggiunto che da un certo punto di vista ero peggio di sua madre! Sua madre! Ti rendi conto?! Nessuno può essere peggio di Amelia Alysei anzi, senza offesa, nessuno può essere peggio di un Alysei…” Lyric cercò di non ridere vedendo la testa ramata di Kathleyn agitarsi allibita per un paragone così pesante. Lyric si chiese come suo cugino non fosse già stato spedito in ospedale. A quanto pare Kathleyn doveva aver convenuto che per quella volta una sorta di ragione doveva averla avuta.

“Bene. Poiché non ho visto i giornali titolare in prima pagina la rottura della fantastica – golden couple-  significa che state ancora insieme, il che mi rende felice.”

Kat brontolò qualcosa che rassomigliava al soffio indispettito di un felino. Odiava quando le citavano lo stupido nomignolo che i giornalisti avevano affibbiato a lei ed ad Alphonse. Come se fossero stati una di quelle insulse coppiette platinate di Hollywood. Il fatto che i media fossero così interessati alla loro relazione amorosa non le era mai piaciuto.

Non comprendeva quell’interesse smodato per la loro coppia. Doveva fare ancora molta strada prima di abituarsi all’idea che l’essersi fidanzata con un Alysei equivaleva l’essersi legata a qualcuno di estremamente “unico”.

Kathleyn Holloway era una ragazza di buona famiglia, così come lo era Diane, ma finché non era entrata nell’opulenta realtà della famiglia Alysei non si era resa conto di cosa significasse avere effettivamente una posizione privilegiata.

Gli Alysei avevano una visibilità televisiva e sociale enorme.

Per via di molti progetti di beneficenza prestigiosi e di grande rilevanza per la comunità, compiuti con quantità di denaro capaci di far impallidire chiunque, si erano guadagnati la benevolenza della gente. Inoltre pur scivolando a volte in alcuni comportamenti eccentrici i membri della famiglia Alysei si erano fatti amare dall’opinione pubblica.

A Kat girava la testa pensare a quanta pressione dovessero sopravvivere ogni giorno Alphonse e Lyric, trovandosi loro due nell’occhio del ciclone. Ammirava la tempra che permetteva loro di non morire schiacciati da tutte quelle aspettative e da tutti quegli occhi puntati addosso, soprattutto rispettava quella sorta di talento che permetteva a loro di fronteggiare quella vita con una serenità naturale. Da tempo pensava che doveva essere un’eredità genetica.

“Allora, se non lo hai ucciso e non hai bisogno di una mano per occultare il corpo quale sarebbe il nocciolo di questa tua confidenza?”

“Alphonse mi ha fatto pensare…”

“Wow! Scommetto che Allie ci è rimasto male dinnanzi alla tua ammissione di sconfitta, non se lo aspettava, vero?”

“Non fare domande di cui sai già la risposta.” Fu il suo secco commento e Lyric non poté che riderne.

Una stretta un po’ forte alla mano la fece tornare con i piedi per terra. Vedendo l’aria improvvisamente malinconica dell’amica Lyric capì che c’era qualcos’altro.

“Mi dispiace di averti attaccato con quella sfuriata.”

Si riferiva alla gigantesca litigata avvenuta tre settimane prima, quando aveva rivelato la sua intenzione di rivedere Bill e a cui Kat aveva risposto con tutta la contrarietà di cui era capace. Lyric sapeva che era stato il suo modo di proteggerla dal possibile male che ne sarebbe scaturito ma in quell’occasione non si era tanto soffermata sulle motivazioni dell’amica.

Quella volta si era sentita di contrastarla senza starci tanto a pensare.

Erano volate urla e grida, una delle peggiori discussioni da quando si conoscevano e non l’avevano neanche risolta apertamente. Si erano limitate a lasciare correre visto che nessuna delle due avrebbe mai cambiato la sua posizione rispetto all’altra.

“Alphonse mi ha fatto ragionare e se la bocca della verità la interpreta lui significa che ci deve essere per forza una pecca nel mio perfetto ragionamento. Ci ho rimuginato allungo e dopo tanto riflettere ho concluso che ho esagerato. Non ci sono giustificazioni per come mi sono comportata…”

“Beh, non è tutta colpa tua. Ci ho messo del mio.” Ponderò Lyric prima di sorriderle in modo da farle capire che potevano sorvolare. Kat scosse la testa, non era d’accordo.

“Ti ho provocato e tu ti sei difesa. Non avevi fatto niente di più legittimo. Io invece sono saltata subito alle conclusioni più tragiche.” La vide sgranare gli occhi e poi scuotere nuovamente il capo “Resto dell’idea che riallacciare i contatti con Kaulitz non sia l’idea migliore che tu abbia avuto. Questo perché c’è un’infinità di variabili e tutte quante faranno soffrire qualcuno in qualche modo.”

“Puoi sempre abbandonare la nave, puoi farlo quando vuoi.”

Kat le piantò per qualche secondo le unghie contro la pelle della mano, Lyric accettò quel gesto con un sorriso a metà tra il beffardo e le scuse di rammarico.

“Quando parli così riconosco che ti scorre sangue Alysei nelle vene.”

“Sto scherzando. Continua.”

“È la tua vita. Mi sono ricordata che questa è la tua vita e io non posso impedirti di viverla come più lo credi giusto. Posso preoccuparmi e darti consigli ma non mi posso permettere di prendere le decisioni per te. Tu mi hai sempre dato la libertà di sbagliare e io ti devo ancora ripagare per tutte le volte in cui mi hai aiutato…quindi…”

“Quindi?”

“Quindi per comprendere meglio vorrei sapere perché vuoi incontrare Kaulitz.”

Tutto quello che aveva appena detto doveva essere costato molto al suo orgoglio di granito e Lyric si sentì avvolgere da un leggero calore all’altezza del petto. Avere qualcuno che ci ama a tal punto da essere disposto ad accettare dei compromessi era un dono.

Kat le voleva bene veramente e glielo stava dimostrando.

Era giusto che le dicesse la verità “Io non voglio riallacciare i rapporti con Bill, fin dall’inizio non mi era passata per l’anticamera del cervello di parlarci o di ristabilire i contatti.”

“Ma tu ci hai detto che volevi rivederlo.”

“Esattamente. Voglio solo vederlo. Lui o gli altri non dovranno mai rivedere me. Vorrei solo poterli osservare, anche solo per qualche minuto e constatare di persona che stanno bene.” Kat non capiva.

“È una necessità. Comprendi?”

“A dir la verità non ho idea di ciò che stai cercando di spiegarmi.”

“Ho bisogno di vederli perché vorrei avere la prova che non sono stati un sogno. Ho bisogno di vederlo perché devo essere certa di aver vissuto, seppur per poco, quella felicità enorme.”

“Questo è assurdo!”

Lyric rise “No, io credo che sia perfettamente logico. È la mia conferma. La conferma che ho veramente avuto la fortuna di viverlo.”

“Quale fortuna?”

C’era qualcosa di altamente incomprensibile per Kat in quella verità che rendeva Lyric felice e grata.

Un giorno forse sarebbe arrivata a comprenderla oppure sarebbe rimasta nell’ombra dei dubbi.

“La fortuna di aver amato qualcuno veramente, con tutte le mie forze.”

“Non credi di esagerare?”

Lyric sorrise in un modo un po’ folle “Bill era ed è l’amore della mia vita. Niente di più, nulla di meno.”

“Lui è talmente importante?”

Non ci poteva essere una risposta, il silenzio fu più eloquente di lei.

Ricordò in quel momento qualcosa che rappresentava nella sua perfezione tutto ciò che non si poteva dire. Peccato che Kat non potesse leggere nella mente, se lo avesse visto e sentito come lo ricordava Lyric non ci sarebbero stati più dubbi.

Ricordò uno sguardo profondo che la trapassava, erano due occhi nocciola che parlavano di un sentimento vero, uno che urlava dall’anima di Bill. Assaporò nella mente la scia di brividi che avevano dato le sue mani mentre dal collo risalivano sulle guance.

Lyric calò le palpebre per afferrare maggiormente quella memoria stupenda. 

Vide Bill baciarla e concentrare in quel bacio una passione capace di far arrossire chiunque.

Si sentì addosso la stessa identica instabilità nelle gambe, assieme allo sbattere di migliaia di ali dentro lo stomaco. Erano le stesse reazioni di sempre. Sentì poi il cuore avere una specie di spasmo di fronte al ricordo del primo “ti amo” che Bill le aveva donato.

“Ti amo.”  Così aveva detto lui dopo averla baciata, come se non ci fosse stato niente di più semplice ma contemporaneamente nulla di più complesso.

Lyric riaprì le palpebre sorridendo di uno struggimento che rasentava la commozione.

“Ti amo.”  Riecheggiò dentro di lei ancora una volta e Lyric non riuscì a non pensare che se ci fosse stato un sentimento che avrebbe provato per sempre poteva essere solo quello.

 

*****

Da qualche parte a Boston.

 

“Grazie di essere venuto a prendermi.” La piccola testa biondo platino e riccioluta di Diane fece un minuscolo inchino. C’erano atteggiamenti che non si sarebbe mai scordata ed inchinarsi per ringraziare era una cortesia giapponese che le veniva naturale come respirare.

“Non c’è di che, la prossima volta però non chiedermi un passaggio con così tanta enfasi.” Sospirò Alphonse incrociando le braccia sul petto e appoggiandosi un secondo contro la portiera della sua decappottabile “Mi sono seriamente spaventato alla tua chiamata, avevi un tono così affranto e disperato che ho mollato mio padre ad una cena di lavoro inventandomi una scusa idiota. Pensavo che ti avessero aggredita o una cosa del genere.” Diane si aggrappò con le mani alla sua giacca nera e lo supplicò con i suoi occhi leggermente a mandorla di perdonarla.

“Oddio! Scusami, scusami, scusami. Non sapevo a chi altro rivolgermi!” disse con sincero rammarico per aver causato dei problemi ed esponendo l’altro suo modo di essere, poco giapponese a dir la verità. È l’incognita dei figli nati da matrimoni misti, non sai mai cosa potrebbero aver preso dall’uno o dall’altro genitore. In questo caso Diane Togu aveva ereditato la sua spontaneità dalla madre americana.

“La mia macchina è dal meccanico in questi giorni e non ho potuto chiamare un taxi perché avevo finito i soldi! Erano già le sette e mezza ed avevo promesso a Kat di essere di ritorno per le otto e mezza! Inoltre devo ancora comprare la cena per tutte e tre! Se avessi ritardato troppo di certo mi avrebbero fatto delle domande e non sono ancora sicura di poter affrontare la furia di Kathleyn. Inoltre non so ancora come voglia agire Lyric, forse lei non aveva in mente qualcosa del genere per rivederlo e magari non sarà d’accordo sulla mia condotta…”

Ad Allie mancò poco che scoppiasse a ridere, gli era sempre piaciuto un sacco la totale incapacità dell’amica di controllarsi. Diane era uno spirito semplice e sotto certi aspetti libero come l’aria. Differentemente dalla sua Kathleyn, poi, si lasciava spesso trascinare solo dall’istinto.

“Ok, ok! Calmati adesso. Se il tuo intento era di non farti scoprire credo proprio che tutta questa agitazione non faccia al tuo caso.” Diane annuì e smise di attanagliare le unghie attorno alle braccia di Alphonse “Ora riprendi un minimo di controllo e tranquillizzati. La mia presenza non era fondamentale a quel colloquio, mio padre aveva insistito che lo assistessi solo per darmi la possibilità di vivere un’esperienza sul campo. Tanto per farmi presente i trucchi del mestiere che non si possono imparare in facoltà.”

A dirla tutta Diane lo aveva salvato da una tediosa cena di lavoro.

L’entusiasmo dei suoi genitori era tale che Allie aveva pensato varie volte di cambiare corrente e abbandonare la facoltà di economia aziendale ad Harvard solo per il gusto di rovinare tutta quella loro gioia.

“Bene!” esclamò il ventunenne vedendola prendere un’aria meno angosciata “Mi vuoi spiegare come fai ad andare in giro senza una quantità adeguata di soldi? Per ogni evenienza bisogna sempre tenersi dietro almeno due o tre carte di credito oppure il blocco degli assegni.” Domandò dimostrando cosa lo avesse colpito maggiormente.

Per quanto fosse maturato rimaneva un piccolo principe viziato con alto tasso di snobbismo nel sangue.

Diane sorrise, soltanto un pochino, mentre salivano in macchina. Dopo essersi allacciata le cinture rispose.

“Siete tu e Lyric i super ricconi. Io sono solo la figlia di due avvocati, non ho un bacino di denaro illimitato. Non vado in giro con due o tre carte di credito e poi  io non c’è l’ho un blocco degli assegni.”

“A parte il fatto che i tuoi genitori sono gli avvocati della mia famiglia, quindi è praticamente impossibile che fino ad ora siano stati sotto pagati, resta il fatto che mi devi spiegare che cavolo hai fatto per finire senza soldi. Scusa l’indiscrezione ma quanto avevi con te?”

Diane tentennò qualche istante valutando i pro e i contro nel rivelare la verità ad Alphonse ed infine cedette, ben sapendo che non poteva farcela da sola.

“Mezz’ora fa ho speso tremila dollari in contanti.” Rivelò con riluttanza.

Alphonse si girò a guardarla con un’evidente perplessità negli occhi.

“Didi ne spende minimo il doppio quando va a fare shopping e stiamo parlando della cifra base dei suoi acquisti. Il record di mia sorella è stato di cinquantamila dollari sperperati in una edizione limitata di alcune borse di Chanel.” Commentò lui cercando di farle intendere che infondo non era stata così grave la sua spesa.

Diane parve inorridita e il senso di colpa le piovve addosso con maggior forza. Era stata educata dai suoi genitori ad un genuino rispetto per il valore del denaro, in casa sua non si erano mai lasciati agli eccessi o agli acquisti sfrenati, il solo lusso che la sua famiglia le aveva concesso era quello di spendere quando in ballo c’erano da comprare delle opere d’arte.

“Che diamine hai comprato per tremila dollari?” Alphonse tentò di farla parlare e tralasciare l’orrore per quello che sicuramente agli occhi di Diane doveva apparire come un crimine. Evitò di dirle ciò che aveva appena pensato ovvero che tremila dollari erano pochi, dopotutto, e che l’orologio di Cartier che aveva al polso in quel momento ne valeva cinque volte tanto.

“Promettimi che non lo dirai a Lyric o Kat. Ci penserò io tra qualche giorno, quando sarò certa che la tua fidanzata sarà di buon umore.”

“Allora dovrai aspettare almeno fino all’inizio della prossima settimana. Qualche giorno fa l’ho fatta arrabbiare e credo proprio che terra il muso per qualche tempo.”

“Lo sapevo già, però, comunque, promettimi che non fiaterai.” La vide piuttosto seria mentre gli chiedeva di promettere e ciò significava che la questione pretendeva la segretezza.

Alphonse intanto aveva parcheggiato l’auto.

“Perché ci siamo fermati da Kerling?”

Diane c’era stata solo una volta e di quel luogo, oltre che del cibo delizioso, ricordava anche l’aberrante cifra del conto. 

“Al telefono hai blaterato che non avevi ancora comprato la cena da portare a casa di Lirì. Mentre ti raggiungevo ho fatto una chiamata per ordinare qualcosa da portarci dietro. Diremo poi che mi hai chiamato perché non riuscivi a trovare un taxi.”

“Io pensavo a qualcosa del tipo un take-away cinese oppure a della pizza. A proposito, da quando Kerling fa il take-away?”

“Non lo fa, è troppo costoso per permettersi una cosa del genere.” Alphonse scese dalla BNW seguito a ruota da Diane.

“Ma hai detto che hai ordinato qualcosa da portare via, se non fanno piatti d’asporto mi spieghi che facciamo qui?”

Allie sorrise un po’ sprezzante “Tesoro, quando ti abituerai al fatto che il mio nome permette un mucchio di possibilità che le persone normali si sognano? Di solito  Kerling non farebbe niente del genere ma poiché sono Alphonse Alysei fanno delle eccezioni.”

Diane aprì e chiuse la bocca in pochi secondi, doveva immaginarselo che era una cosa che soltanto lui si poteva permettere.

“Comunque non divagare. Allora, prometto di non fiatare con mia cugina e la mia ragazza, quale è il segreto?”

Diane prese il coraggio nelle sue piccole mani “Ho comprato dei biglietti da una persona. Erano introvabili da circa tre mesi e mi ci è voluto un po’ per agganciare qualcuno in grado di procurameli. Visto che il mio nome non apre tutte le porte dell’universo ho dovuto pazientare. Comunque oggi pomeriggio questa persona mi ha chiamato dicendomi di averli trovati e che mi sarebbero costati tremila dollari. Avevo pensato all’inizio che stesse scherzando ma mi ha spiegato che le persone da cui li ha acquistati volevano come minimo mille e cinquecento dollari e lui ne voleva altrettanto per la commissione…” farfugliò a raffica.

“Ok, ok. Respira. Allora per cosa sono quei biglietti?”

Diane si animò per un istante di una luce particolare “Per il mio miracolo.”

“Scusa?” Alphonse non capiva.

La ragazza si mordicchiò le labbra come una bambina indecisa ma pochi secondi dopo lanciò la bomba “Sono per uno dei concerti dei Tokio Hotel in Europa. Sono per la tappa del prossimo 11 agosto, a Milano.” Si aspettava qualunque reazione, persino di venire percossa con violenza fino a quando non le fosse ritornata l’assennatezza ma non si sarebbe aspettata che Alphonse si mettesse a ridere.

“Oh Santo cielo! L’hai combinata grossa! Oh Dio! Katy ti staccherà la testa a morsi!” Allie poi l’abbracciò travolgendola tra le risate “Non preoccuparti ti difenderò io!”

“Quindi non sei contrariato?”

“Scherzi? Io ti adoro! Penso che tu sia stata fantastica.”

Diane si tranquillizzò per la prima volta in tutto quel pomeriggio. Sorrise e sfiorò con la mano la borsa che conteneva i biglietti.

 

*****

 

Parigi.

Luglio, 2009.

 

La prima volta Bill ignorò il fatto che qualcuno avesse bussato e continuò ad ascoltare la musica dal suo i-pod senza muoversi di un millimetro.

La seconda volta, cinque minuti più tardi, rispose che non era in condizioni decenti per essere visto, il che, pensò, era una tremenda bugia visto che lui era sempre uno schianto, in qualunque situazione potesse trovarsi.

La terza volta che vennero a bussare si alzò dal letto pronto a gridare a chiunque ci fosse di andare a farsi fare una colonscopia con un lampione. Il fatto che avesse partorito un’idea talmente volgare dimostrava quanto poco ci tenesse ad intrattenersi con il prossimo.

Aprì di scatto la porta con la bocca già parzialmente aperta e lo sguardo omicida di quando i suoi nervi erano andati in vacanza “Tom non è aria oggi! Vedi di evaporare prima che ti faccia ingoiare tutti i tuoi orripilanti dread!!”

“Ti sembra possibile confondermi con Tom?” disse il batterista dei Tokio Hotel indicando la sua persona con la mano “Non facciamo offese pesanti.”

Bill rimase interdetto nel trovarsi Gustav di fronte alla sua porta ma riprese immediatamente tutta la sua vena acida ed incrociò le braccia “E tu che cazzo ci fai qui?” 

“Sono venuto a vedere come stavi.” Spiegò l’altro con molta semplicità “Mi fai entrare?”

“No.” Rispose aggressivo “Adesso non ho proprio voglia di compagnia. Al momento non riuscirei neanche a reggere Tom.”

“Bene, capisco, finalmente hai esaurito anche tu la pazienza che serve a sopportare un Kaulitz. Non preoccuparti, è una cosa normale.”

“Anche io sono un Kaulitz!”

Gustav proseguì senza ascoltarlo “Comunque non me ne frega niente se non vuoi compagnia io sono venuto per stare un po’ con te perciò entro.”

Detto ciò con una spallata molto piccola lo fece spostare e si aprì un varco, lasciando Bill all’entrata.

“Puoi anche chiudere la porta.” Disse lui mentre si sistemava con molta tranquillità sopra al divano nella zona-giorno della suite. Appoggiò un barattolo ed un sacchetto sul tavolino di fronte a sé e come se niente fosse accese lo schermo a cristalli liquidi. 

Bill sbatté la porta così violentemente che Gustav dubitava che qualcuno nel piano non lo avesse sentito. Sentì poi i passi furiosi della pertica che si avvicinava e lo vide fermarsi di fronte a lui con il chiaro intento di torreggiare in tutta la sua ira. Sembrava un’arpia furente.

Il batterista però era preparato, si conoscevano ormai da così tanto tempo che era abbastanza facile prevederne le mosse, inoltre in piena rabbia nera Bill era semplice da anticipare.

“FUORI DALLA MIA STANZA!” gridò il cantante facendogli segno con il braccio di seguire la strada verso l’uscita “NON ho voglia di ripeterlo! Quindi vedi di sparire prima che mi incazzi sul serio!”

Gustav lo guardò restando in silenzio, perfettamente calmo e per niente spaventato dalle sue minacce “Bill, vedi tu di darti una calmata, ti fa male gridare a quest’ora.” Fu la sua risposta dopo di che prese ad estrarre dei dvd dal sacchetto che aveva portato con sé.

“Cosa vorresti guardare? Non ho idea di cosa Nathalie avesse in testa quando è andata a sceglierli per me. Mi pare di aver chiesto espressamente niente di troppo femminile…” nel dirlo stava sfogliando le copertine di due film che gridavano femminilità da tutti i pori “C’è il classico – Il diavolo veste Prada- oppure l’eccitante –I love shopping- tu cosa preferisci?”

Bill non riusciva a credere alla totale mancanza di attenzione alle sue esplicite richieste. Lo fissò con l’espressione più truce che il suo volto potesse produrre mentre l’altro gli ripeteva la domanda. Rimasero immobili affrontandosi in uno scontro di sguardi. Da una parte c’era Kaulitz che imperterrito lo minacciava di violenza fisica se non si fosse dileguato, dall’altra la pazienza ascetica di Shäfer nell’aspettare che lui tornasse con i piedi per terra e la smettesse di fare il bambino capriccioso.

“Io non me ne vado.” Sentenziò Gustav “Sono qui per passare del tempo insieme ed ho intenzione di farlo. Quindi non ti resta che accettare la mia presenza, sederti accanto a me e guardare insieme uno di questi film perché, te lo ripeto, non ho intenzione di togliermi dai piedi.” L’ultima frase apparve come una leggera minaccia.

Bill si corrucciò e mise uno dei suoi bronci rigidi “Vaffanculo Gustav.” Fu la replica.

Gustav ridacchiò “Sei veramente un idiota quando ti impunti. Sei fortunato che oggi sono troppo stanco per prenderti a calci come ti meriteresti.”

“Come sarebbe a dire –come mi meriterei- ?!”

“Sarebbe a dire che è da questa mattina che sei in queste condizioni alterate e hai riversato la tua frustrazione su di noi, questo non è stato un comportamento molto maturo. Dovresti apprezzare il fatto che ti voglia abbastanza bene da tentare di aiutarti e venire qui a distrarti un po’.”

Bill si mise sulla difensiva “Non ho voglia di confidarmi!”

“E chi ti ha chiesto di confidarti?” scosse la testa “Sei sempre così tragico. Sai perfettamente quale è la mia filosofia al riguardo. Se vuoi ti ascolto in caso contrario io sono qui solo per guardare un film ed ora ti decidi a sederti?”

“Perché non è venuto Tom?” domandò un pochino rattristato che il fratello non avesse pensato di andare a chiedergli come stava. Gustav sembrò leggergli negli occhi “Ha passato a me il testimone perché conoscendoti e conoscendo se stesso sareste finiti per litigare furiosamente. Ha detto che per questa volta ero il più adatto.”

“In che senso?”

“Nel senso che sono paziente il punto giusto per sopportare i tuoi deliri. Georg avrebbe voluto venire ma è crollato a letto prima che se ne rendesse conto. Allora, cosa ne dici?”

Bill ci pensò giusto qualche minuto, il tempo di rendersi conto che non poteva trattare male l’amico, non dopo il modo con cui si era sforzato fino a quel momento di aiutarlo. Abbandonò la sua collera e annuì in resa.

“Allora cosa ci guardiamo?”

“I love shopping.” Bill si sedette al fianco di Gustav sospirando “Il diavolo veste Prada lo ho già visto un mucchio di volte.”

“D’accordo.” Il batterista si alzò ed inserì il dvd nel lettore. Quando tornò a sedersi Bill aveva ancora l’espressione molto contrita ma almeno non era più furente verso il mondo.

“Cosa c’è nel barattolo?” domandò intanto che Gustav sceglieva la lingua dell’audio.

“Gelato alla fragola, ho pensato che avresti voluto qualcosa con cui accompagnare la visione.” 

Si vide rispondere con un minuscolo sorriso di ringraziamento, quello molto tenero che solo Bill riusciva a produrre dalle sue labbra “Grazie Gustav.”

Lui scrollò le spalle come a dire che non era niente.

A metà del film e decisamente oltre la metà del gelato alla fragola nessuno dei due aveva ancora fiatato. Bill, nella sua apparente calma, aveva rimuginato intensamente se parlarne un po’ con Gustav. Si sentiva altamente frustrato e si percepiva addosso un angoscia a lui così estranea.

Dopo i titoli di coda entrambi riversavano ancora nel più totale silenzio. Gustav aveva mantenuto la parola e non aveva fatto nessuna domanda esplicita, se Bill non si fosse deciso ad aprire bocca l’amico se ne sarebbe andato.

Avevano condiviso tantissime esperienze in quei lunghi anni di convivenza lavorativa e il loro rapporto d’amicizia si era evoluto in legame molto stretto ma Bill era ancora indeciso nel mostrare la sua debolezza a qualcuno che non fosse Tom.

Come sempre fu l’amico a risolvere le cose, era diventato un esperto analista dei problemi di quei tre e quelli sapevano di poter contare su di lui per ogni evenienza. Gustav era la mente del gruppo che pensava con estrema calma e logica, evitava spesso che facessero cose di cui si sarebbero pentiti e comunque si manteneva sempre contenuto e discreto. Georg per scherzare lo aveva chiamato balia ma lui aveva preferito definirsi la babysitter che evitava a quei quattro infanti di soffocarsi con il pongo.

“Tom ci ha detto cosa hai in mente di fare alla fine del tour europeo.” esordì Gustav “Penso che sia un’idea un po’ troppo avventata la tua, inoltre avresti potuto parlarne anche con noi, infondo saremmo stati io e Georg a sopportare David una volta che lo avesse scoperto.”

Bill evitò di guardarlo mentre pensava a cosa rispondergli e si appuntò mentalmente di tirare un calcio nelle chiappe fraterne per la completa assenza di segretezza che aveva Tom.

Ci fu una sola cosa sensata che potesse dire “Mi dispiace.”

“Almeno ammetti l’errore. Comunque stai tranquillo pensiamo che non sia una cattiva idea. Se non ti togliessi questo dubbio noi non riusciremo più a vivere. Veder stare male un amico non ci piace molto.”

Il bello di parlare di cose serie con Gustav stava proprio in quel suo modo di affrontare i discorsi: non giudicava ne pretendeva di comprendere tutto, ti restava ad ascoltare e ti consigliava ciò che era giusto, inoltre, era dotato di un tatto particolare. Non si sarebbe mai detto di un batterista che rischiava ad ogni concerto di perdere gli arti a forza di suonare come un forsennato.

“In questi giorni mi sono immerso completamente nel lavoro…” finalmente Bill cominciò a parlare e Gustav era pronto ad accogliere le sue confidenze “…andava tutto bene. Non avevo il tempo neanche di respirare, figuriamoci di pensare. Mi sono estraniato così bene che quando quella giornalista, questa mattina, mi ha fatto quella domanda il colpo è stato particolarmente duro.”

Gustav pescò dalla memoria il volto di Bill di quella mattina che si contraeva per qualche istante in una smorfia di panico “Non so se sia molto sano di mente che tenga così tanto ad una persona che non vedo da tempo. A volte mi viene da chiedermi se non sia impazzito. Dovrei aver superato tutto già da tempo e io so di non essere il tipo che resta fermo in un punto tanto allungo, non sono di certo uno che aspetta chi gli ha dato il ben servito e mi pare di aver sempre dimostrato quanto ci tenga ad essere indipendente. Credo sempre di aver afferrato la soluzione ma poi ogni cosa precipita di nuovo.”

“Lyric?” domandò Gustav cercando di essere cauto.

Sentendo quel nome Bill si aprì in un sorriso estremamente dolce. Si portò le mani sulla faccia e da lì sotto rise leggermente. Un po’ come un pazzo pensò l’altro.

“Già. È l’unica, sai, che mi fa ancora questo.” Affermò indicando con un gesto il suo viso. Si stava riferendo al modo in cui la sua espressione fosse mutata “Sono sempre stato un partner sincero e non ho mai approfittato dei sentimenti altrui, se ricambiavo qualcuna lo facevo in proporzione a ciò che sentivo. Non ho mai ingannato nessuna ragazza da quando io e Lyric ci siamo lasciati, per tutte quelle con cui sono stato ho sempre provato qualcosa. Che fosse amore o affetto non ho mai mentito però ogni volta che finiva non mi sono mai pentito, ne ci ho mai pensato più di quanto fosse sensato rimanerci dispiaciuto. Lyric, invece, riesce ancora a mandarmi fuori di testa.” Rise ancora e ciò strideva perché sembrava la coperta di un sentimento tutt’altro che positivo. Guardò l’amico, pronto a farlo partecipe di qualcosa di molto personale.

“Sono ancora innamorato di lei? Non sono certo della risposta ma credo che ci sia il 99% delle probabilità che ciò che sento sia, da un certo punto di vista, lo stesso identico sentimento di tre anni fa. Non riesco ad andare oltre, ho quasi un rigetto fisico se penso di potermela scordare. È qualcosa che va oltre ciò che posso decidere. Esagero?”

“No, non penso. C’eravamo anche io e Georg quando Lyric ti ha lasciato, non ricordo di averti mai visto così a pezzi come in quell’occasione. Se non ci fosse stato il lavoro a distrarti e Tom a sostenerti non ho idea di come te se la saresti cavata. È stata l’unica occasione in cui ti ho visto piangere.”

Aveva ragione. Quella era stata l’unica volta che era crollato del tutto di fronte a loro due, era stato così fuori di sé d’aver sfasciato una suite da cima a fondo di fronte agli sguardi impotenti dei suoi amici. Loro però non ne avevano mai parlato, il non dire niente era stato il loro modo di sostenerlo.

“Lyric ha lasciato tutto in sospeso: la nostra amicizia, la nostra relazione, il nostro sentimento. Non ho intenzione di andare in America e pretendere che tutto torni come tre anni fa. È passato molto tempo e sicuramente siamo cambiati entrambi. Potrebbe non essere la stessa persona che amavo e potrei scoprire che lei, invece, è riuscita a fare ciò che non ho fatto io: dimenticare.” Gustav lo vide incupirsi un momento e in quella piccola espressione comprese che Tom non aveva ecceduto nel pessimismo quando aveva raccontato di ciò che tormentava Bill.

“Voglio trovarla ed avere la spiegazione che non mi ha mai dato. Dopo di che, se nel rivederla e nello starle accanto, sentirò questo sentimento farmi uscire di senno come tre anni fa credo proprio che non avrò altra scelta…”

Gustav lo osservò assumere improvvisamente una luce nuova, di speranza poteva darsi?

“Che vuoi dire?”

“La riconquisterò. Sarà mia di nuovo.”

“E se avesse già qualcuno?”

“Non mi importerà. Me la riprenderò in ogni caso.”

“Ne sei sicuro?”

“Gustav, so di essere un ego che cammina su due trampoli ma tutta questa mia sicurezza non è data dalla naturale conoscenza delle mie facoltà.”

“Ah no? Allora da che cosa?”

“C’è una cosa che mi tranquillizza ed è l’unico pensiero rassicurante che ho ritrovato in tutti i miei dubbi. Ho pensato che ci amavamo in due, io e lei, ciò significa che se questo è un sentimento talmente grande da condizionarmi in questo modo allora anche Lyric deve esserne stata colpita in qualche maniera.”

“E cosa ti rende sicuro di questa congettura?”

Gustav stentò a credere in quel momento che fosse lo stesso ragazzo che prima se ne stava raggomitolato in un angolo a deprimersi.

“Lyric mi amava.” Dicendolo Bill respirò affondo e si sentì preso da una fitta tra le costole.

“Valeva per lei quanto valeva per me. Te lo detto, ci amavamo in due.”

 

*****

Lyric

 

“ Sei stato il primo in tante cose.

Sei stato il primo a cui ho dato la mia fiducia dopo la morte di mia madre, il primo che non mi abbia mai rifiutato ed il primo a cui abbia voluto bene dopo tanto tempo passato in solitudine.

Con il tempo le tacche dei tuoi personali traguardi sono aumentate in modo esponenziale.

Non a torto posso dire che, per tutte queste tue conquiste, sei stato la persona che mi ha cambiato la vita.

Sei stato la linea di demarcazione tra due modi di essere della mia persona.

C’era la Lyric che non conosceva Bill e poi la Lyric cresciuta accanto a Bill.

Sei il mio primo amore, l’unico che abbia mai vissuto..

Il mio primo bacio serio.

Il mio primo “ti amo”.

È stato con te che ho avuto la mia prima volta e con te tutte le volte successive.

Tu sei la persona che conta di più per me, ancora adesso..”

 

*****

 

Magdeburg.

Dicembre, 2004.

Giovedì.

 

La vide allacciarsi gli ultimi bottoni del suo cappotto color fresia e affrettarsi a riparare le mani all’interno delle tasche.

La osservò mentre alzava la testa verso il cielo terso di grigio sbiadito e comprese immediatamente il perché si fosse messa a sbuffare contro di lui un po’ delusa. Da giorni aspettava che arrivasse la prima neve della città ma quell’anno si stava attardando di parecchio e anche se era già la metà di Dicembre non c’era stato neanche un piccolo fiocco bianco. E Bill sapeva quanto Lyric desiderasse la neve.

Poi vide il ragazzo accanto a lei e sentì qualcosa di pesante farsi strada dentro le sue viscere, una sensazione spiacevole che lo infastidiva ogni volta e questo perché quella gelosia la trovava terribilmente insensata. Guardò il riflesso della propria faccia replicata nel volto del gemello e come sempre vi lesse un’emozione simile a quella che provava lui quando era accanto a lei. Poteva darsi che Tom non lo vedesse o non se ne rendesse conto ma era certo che il fratello provasse anche lui qualcosa per Lyric.

Magari non nella sua stessa devastante maniera ma c’era comunque qualcosa.

Smise di restarsene lì, fermo, a guardarli e si avvicinò. Le sfiorò la schiena con la mano per farsi notare e Lyric sentendolo vicino si girò a guardarlo, sorrise, come sempre. Si girò anche Tom e gli fece un cenno con la testa “Dove eri andato a finire?”

Lyric tirò fuori il naso dal collo alto del suo indumento e rise “Aveva dimenticato il quaderno d’inglese in classe. Domani abbiamo una verifica e senza sarebbe stato inutile il ripasso con me. L’hai trovato?”

Il ragazzo l’agitò nella mano “Ja. Era sotto al banco, come pensavo.”

Bill lo mise dentro il proprio zaino con una piccola smorfia, l’idea di trascorrere il pomeriggio a studiare regole di grammatica gli raggelava l’allegria. Fortunatamente Lyric era un ottima insegnante d’inglese, sarebbe stato più facile con il suo aiuto.

“Ecco perché ieri mamma continuava a rompere sul fatto che dovevo riordinare il salotto, era perché venivi ad invaderci casa. Bhe andiamo?”

“Certo.” Risposero entrambi.

Tom li fissò qualche secondo e poi scosse la testa con sufficienza.

Come era sua abitudine da lì a tre mesi prima ogni volta che l’atmosfera si riempiva di quella particolare aura Tom non riusciva a trattenersi dal pensare che fossero davvero due enormi teste di cazzo. Si incamminò velocemente verso i cancelli, se fosse rimasto ancora allungo a guardarli mentre si trattenevano avrebbe dato d’escandescenza.

Bill guardò la schiena del gemello e sospirò.

“Che c’è?” chiese lei vedendolo così inspiegabilmente giù di morale “La prospettiva di studiare inglese ti mette veramente così a terra? Credevo che ormai avessi acquistato una cerca sicurezza.”

“No, mai. Non te lo dirò mai. Avrò la bocca cucita fino alla morte.”  Pensò mentre rispondeva.

“Scherzi vero? Ultimamente me la cavo solo grazie alle tue ripetizioni, in caso contrario sarei già annegato in una caterva di nove od otto.”

Lyric gli prese la mano “Tranquillo anche questa volta riuscirai a tirare fuori la sufficienza e poi è bene che un ego come il tuo venga scalfito in qualche modo da qualcosa.”

Bill ricambiò la stretta con estrema naturalezza “Credi che me ne freghi qualcosa se non so parlare una stupida lingua come l’inglese?”

“Dovrebbe visto che milioni di persone la usano per comunicare, se mai finirete a cantare all’estero dovrete per forza parlare in inglese. Non vorrete fare la magra figura dei crucchi ignoranti. Non pretenderai che siano i fan a capire il tedesco.”

“I nostri futuri fan, poiché ci ameranno terribilmente, impareranno il tedesco pur di capirci. Ti assicuro che sarà così. Comunque sono altre le cose che fanno tentennare la mia sicurezza.”

Si erano fermati davanti a delle strisce pedonali, aspettando che il semaforo diventasse verde.

“Quali sarebbero queste cose?” domandò innocentemente puntandogli addosso quei suoi occhi blu così vividi.

“Tu.” Pensarono contemporaneamente i due fratelli.

Naturalmente non glielo avrebbero detto in quel momento, sarebbe stato come ammettere tutto ciò che Bill cercava di nascondere e ciò che Tom non vedeva l’ora che il gemello dichiarasse.

“Un giorno te lo dirò ma intanto continua a credermi indistruttibile.”  

Lyric sentì la mano di Bill liberarsi dalla stretta e sentì anche quel dannato muro che da qualche tempo lui ergeva tra di loro quando le cose si facevano troppo pericolose. L’ennesimo, piccolo, doloroso rifiuto verso il suo sentimento.

“Idiota…” gli mormorò il fratello mentre gli passava accanto e Bill non cercò neanche di difendersi.

Erano amici. Degli amici innamorati l’uno dell’altro, questo era vero, ma era un dettaglio che cercava di far apparire trascurabile.

 

*****

Bill

 

“Sei stata l’unica ragazza per cui io e Tom abbiamo mai avuto delle serie complicazioni. .

 Non lo hai mai saputo e questo rimarrà uno dei nostri segreti, soprattutto perché sei stata la prima che abbia mai fatto provare qualcosa che rassomigliasse all’amore a Tom e lui è orgoglioso quanto me.

Lui però aveva una semplice cotta.

Io invece ero innamorato perso..

Non te ne sei mai resa conto ma tu mi avevi rubato la ragione in via definitiva.

Poco male, non è mai stato necessario che me la restituissi .

Però non ci sono dubbi sul fatto che tu mi abbia fregato.

Questo perché sei ancora l’unica oltre a Tom a cui affiderei la mia vita ad occhi chiusi.

Non puoi liberarti di me tanto facilmente..”

 

*****

Sabato pomeriggio.

 

“E che cazzo! Georg levati! Mi stai pestando le scarpe sfigato!” il modo fine con cui Tom aveva appena cinguettato fece capire a Georg che qualcosa in quella testolina bacata era completamente saltato fuori dai meccanismi. Solitamente gli avrebbe dato una risposta degna di uno camionista dopo dodici ore di guida ininterrotte ma la luce inusuale che leggeva negli occhi del amico lo fecero desistere. Pazientemente si allontanò dal rasta e prese la sedia dalla sua scrivania, l’appoggiò di fronte all’amico e poi si sedette nella sua solita, scomposta, maniera.

“Allora racconta a mamma Giorgi quali sono i problemi che ti affiggono figliola. Forse qualche bulletto ti ha importunato a scuola oppure ti sei semplicemente visto allo specchio e hai compreso la gravità della tua situazione?”

Tom per un secondo pensò di alzarsi e buttarlo giù dalla sedia ma poi rinunciò perché gli sarebbe costata troppa fatica. Incrociò le braccia al petto ed assunse quel suo tipico broncio d’animale bastonato. In quel momento Gustav entrò nella camera del bassista con in mano i pacchetti di patatine che era andato a reperire in cucina.

Quel pomeriggio si erano riuniti a casa Listing per qualche ora di play-station non stop ma Bill non era presente perché era rimasto a casa a studiare.

“Che succede?” domandò Gustav mentre appoggiava il cibo su di un tavolino ai piedi del letto.

“Sto cercando di tirare fuori il demone che tormenta il nostro povero Tommolo. Vedere un nano infelice mi rattrista terribilmente.”

“L’unica cosa nana qua dentro è quella che si trova in mezzo alle tue gambe e comunque sto benissimo.”

“Effettivamente prenderti per il culo è il suo secondo passatempo preferito quindi non credo che stia poi così male.”

Georg parve avere un’illuminazione “Per caso nessuna te l’ha più data negli ultimi tempi?”

Tom fece una smorfia di profondo fastidio “Ma no!” rispose stressato “Uffa perché credete che mi interessi solo di sesso? Non sto di certo male per così poco poi comunque non ne ho voglia in questo periodo.”

Gustav masticò molto lentamente la patatina che aveva in bocca mentre Georg massaggiava silenziosamente con lui attraverso gli occhi. C’erano due cose che ora apparivano evidenti: uno, Tom stava male. Questo perché lo aveva appena ammesso. Due, la cosa era seria perché aveva appena affermato di non avere voglia di andare a donne, il che significava destabilizzare il suo stesso metabolismo.

Tom intanto si stese sopra al letto di Georg e si mise a vagare con il pensiero mentre guardava il soffitto della camera. Restarono parecchi minuti in silenzio. Tra uomini funziona così: si aspetta sempre che il problema venga fuori quando e solo se uno la sente, la confidenza non è qualcosa di così immediato come nel mondo femminile. Inoltre bisogna essere completamente incasinati per chiedere sostegno morale agli altri della propria specie.

I lineamenti del Kaulitz si alterarono “Non riesco a capire cosa blocchi Bill…”

“Aaaah!” scattò Georg battendo le mani “doveva trattarsi per forza dell’altro Kaulitz.”

Gustav restò muto continuando a mangiare e bere con molta calma mentre l’amico si agitava sulla sedia di fianco a lui “Non dovresti preoccuparti troppo Tommino, credo che siano abbastanza grandi da risolvere i loro affari senza bisogno della baby-sitter. Hai ragione a credere che la situazione sia strana ma visto che tuo fratello e Lyric hanno i loro modi di affrontare le cose è inutile restare in attesa. Prima o poi si renderanno conto di trovarsi in un vicolo cieco e dovranno parlarsi.”

“Ma non ci riesco!” l’enfasi nella sua voce dimostrò quanto a cuore affettivamente ci tenesse agli affari fraterni, si alzò a sedere sul letto “La guarda ogni giorno come un dannato disperato, muore dietro di lei come non gli era mai accaduto e perciò non comprendo perché cazzo non voglia smettere di soffrire come un cane! Vedete, ho sempre sostenuto che è un casino quando ci si innamora troppo seriamente di qualcuno, finisci per essere fottuto!”

Per chi non lo avesse ancora capito quella sua sfuriata di insofferenza rendeva il mondo partecipe di quanto Tom amasse suo fratello Bill, il solo vederlo triste lo faceva andare fuori di testa se non addirittura infuriare. Proseguì “Se lo sono detti, ne sono convinto, si sono detti di essere innamorati senza aprire bocca ma pur essendosene accorti non fanno nulla. Come può permettere che Lyric stia male? Come fa a guardarla negli occhi ben sapendo di volerla senza darsi dell’idiota per come la sta confondendo?! È uno schifo!”

Georg face un cenno a Gustav per dirgli che forse era il momento di intervenire, il colore rosso delle guance di Tom sembrava presagire il momento in cui avrebbe dato completamente di matto. Il biondo gli fece segno di starsene zitto ed aspettare.

“È uno schifo perché lei è lì, sempre al suo fianco, pronta a sostenerlo senza chiedere niente in cambio. A volte la vedo e la sento riempirsi di una tale malinconia che mi sento impotente al riguardo. In quelle occasioni mi viene voglia di prendere a testate Bill e trascinarlo ai suoi piedi per fargli chiedere scusa.” Lo videro stringere la mascella e i pugni delle mani per qualche secondo “Se fossi al suo posto, sapendo di essere ricambiato da Lyric, non ci penserei neanche un nano secondo e sarei già andato da lei a baciarla. Se io fossi Bill lo avrei già fatto da tempo.” Cominciò a parlare con più lentezza, come se si fosse messo a pensare ad alta voce “Baciarla avrebbe più senso di tante parole, spiegherebbe ogni cosa senza tanti discorsi e inoltre non sarebbe così orribile farlo. Lyric è là che lo attende ed io non riesco più a guardarla senza provare rabbia per Bill. Perché la sta facendo aspettare?”

Georg per poco non cadde dalla sedia di fronte a queste ultime frasi e per la sorpresa rimase immobilizzato, aveva avuto l’impressione che in ciò che avesse detto ci fosse qualcosa di sottinteso.

“Tom posso farti una domanda?” Gustav finalmente si era deciso a parlare. 

“Uhm? Dimmi.”

“Tu ultimamente l’hai osservata spesso Lyric, non è così?”

“Bé sì. Direi di sì.”

“Anche con molta attenzione, vero?”

Tom non capiva il motivo di queste domande “Sì, direi che è così.”

“Da quanto tempo è che la guardi in questa maniera?”

“Ma che cazzo di domanda è? In quale maniera la guarderei?”

A rispondere ci pensò Georg “Osservare spesso qualcuno con attenzione ed arrivare a pensare cose come quelle che hai appena detto cinque secondi fa significa che provi qualcosa per quella persona.”

Tom aprì la bocca per ribattere immediatamente a quella cavolata ma prima che potesse fiatare Gustav lo aveva stoppato con la mano “Facci spiegare. È evidente che ti sei preso molto a cuore la situazione e questo perché c’è di mezzo Bill ma sembra che ci sia qualcosa di diverso dal tuo solito modo di ragionare. Solitamente pensi solo ed esclusivamente al suo interesse mentre adesso hai appena detto delle cose che dimostrano che questa volta hai pensato anche il bene di qualcun altro, ovvero a Lyric. Inoltre ti sei messo a dire che la vedi malinconica, che ti arrabbi con Bill perché la sta facendo aspettare troppo e che dal tuo personale punto di vista non sarebbe male baciarla.”

“A casa mia tutti questi fattori portano ad una conclusione sola. Missà che hai cominciato a tenerci un po’ anche tu.”

Tom si sentì il materasso scivolare via da sotto il corpo e tutto il suo peso trascinato verso il basso per la frazione di qualche istante.

“Merda…” boccheggiò con il fiato corto.

“Già-già” fece Georg con un sorriso comprensivo “Credo anche di sapere, alla luce dei fatti, perché Bill non si sia ancora dato una mossa.” Gustav intanto aveva ripreso a masticare patatine lasciando che una volta tanto fosse il maggiore del gruppo a fare le veci del grande saggio indiano.

“Visto che vi leggete praticamente in faccia ciò che provate può darsi che come tu avevi intuito i sentimenti di Bill anche lui abbia intuito i tuoi. Per il fatto poi che vi volete un grande bene magari, vedendo anche che ti comporti in maniera un po’ più seria delle altre volte con Lyric, ha pensato che non ti voleva ferire e che quindi per non farti male ha deciso di restare in un impasse.”

“Sono sorpreso che tu sappia il significato della parola impasse.”

“Vorrai scherzare Gus? Qua dentro…” Georg si batté un dito contro la fronte “…dimora un cervello molto evoluto ma non lo do a vedere per non mettervi in soggezione.”

Gustav rise “Diciamo piuttosto che va a scatti quindi ti puoi permettere queste uscite solo quando ti capita.”

“Io non provo la stessa cosa di Bill. Non sono al suo stato e non penso nemmeno di poterci arrivare.” Tom aveva finalmente ripreso possesso del suo corpo. Santo cielo, sentiva un peso enorme pressargli i polmoni.

“Bè questo è ovvio.” Georg lo guardò come se fosse uno sciocco “Per quanto sia stupendo il fatto che tu possa essere stato avvicinato da un lume di maturità non sei ancora in grado di provare un sentimento complesso come l’amore.”

Gustav annuì d’accordo “Georg ha ragione. Ti ci vorrà del tempo e poi una ragazza che non sia già innamorata di tuo fratello.”

“Quindi la mia è solo una cotta un po’ più seria delle altre?” Tom sentì la sua pancia come trascinata verso il basso e gli parve di essere sospeso in uno stato di vuoto momentaneo.

“A quanto pare. Ti passerà presto, appena quei due sistemeranno le cose comincerai a non avere più problemi.” Georg gli alzò il pollice all’insù “Tranquillo capita di avere una cotta per la ragazza del proprio fratello gemello.”

“Adesso che pensi di fare?” domandò Gustav vedendolo pensieroso.

“Penso che andrò a picchiare quell’idiota.” Fu la prima cosa che gli venne da dire.

“E perché?”

“Perché non mi può usare come scusa per la sua infelicità! Se pensa di fare il mio bene si sbaglia. Quel deficiente non capisce proprio un cazzo!”

“Posso venire ad assistere?”

“Georg!”

“Maddai Gustav! Vuoi perderti i Kaulitz che si menano per una ragazza?”

“A quanto pare il tuo cervello si è nuovamente sconnesso.”

 

*****

Tom

 

“Lo vedevo sai, Lyric?

Vedevo come anelavi alla ricerca di un contatto con Bill.

Vedevo come lo guardavi con estrema dolcezza.

Vedevo come sorridevi in una maniera speciale solo a lui.

Lo amavi talmente tanto, forse, addirittura senza renderti conto di quanto.

Per queste ragioni non ci sono mai state altre possibilità per voi due.

Lo ami ancora, non è così?

Dovunque ti trovi lo stai pensando, non è vero?

Già, deve essere così.

Perché anche Bill pensa ancora a te.

Anche Bill ti ama ancora.

Io lo so.”

 

***** 

 

Entrò nella sua stanza spalancando la porta con estrema irruenza e poi la sbatté violentemente dietro di sé, in un silenzio minaccioso si posizionò davanti a suo fratello. Bill, che in quel momento stava ripassando storia sdraiato a pancia in giù sopra al proprio letto, lo guardò corrucciato per essere stato interrotto in maniera brusca.

Se Tom era venuto a sfogare la sua scazzatura su di lui aveva sbagliato proprio momento, quel giorno era nervoso già di suo e non si sentiva in grado di restare calmo se qualcuno era intenzionato a far cascare il vaso della sua pazienza. Tom sembrava proprio quel qualcuno, il che lo innervosiva ancora di più.

“Che vuoi?” chiese scocciato.

Tom indurì la propria mascella “Penso che tu stia sbagliando tutto …” era entrato intenzionato ad essere duro ma nell’attimo in cui aveva incontrato il viso di Bill si era reso conto che non sarebbe stato l’atteggiamento giusto. Doveva farlo ragionare e questo era un compito che di solito gli costava molta energia.

“Riguardo a cosa?” la serietà di Tom lo mise in allerta. Una scossa lungo la spina dorsale gli fece presagire che qualcosa stava per accadere. Gli venne un groppo alla gola e si sentì dal basso delle sue viscere che doveva riguardare quella questione.

Tom assisté a quella presa di consapevolezza nella testa del gemello e un angolo della bocca salì un poco verso l’alto, come sempre si capivano al volo. Si lasciò cadere ai piedi del letto ed incrociò le gambe.

“Riguardo a Lyric, stai sbagliando tutto con lei. Non pensi che sia l’ora che tu le dica apertamente quello che senti?”

“Come mai all’improvviso sei tanto interessato alla questione?”

“Lo sono perché non mi va di vederla in malinconica attesa che tu ti dia una mossa. So che potrebbe farlo lei il primo passo ma non lo farà finché crederà di essere rifiutata. Fino ad ora le hai lanciato talmente tanti messaggi contraddittori che non ha la più pallida idea di cosa tu pensi mentre tu ti sei ormai fatto un’opinione certa di cosa lei provi per te.”

Bill chiuse il proprio quaderno e lo mandò a schiantarsi contro una pila di libri sopra alla sua scrivania.

“Quello che faccio con lei non sono problemi che ti devi porre.”

“Proteggere Tom…”  riecheggiò dentro di lui “Non voglio essere la causa della sua infelicità.”  Si diceva per mantenere salda la propria convinzione riguardo le scelte che stava portando avanti.

Come se il gemello avesse appena urlato quei pensieri Tom li ripeté a sua volta “Invece sono miei problemi se pensi di starmi facendo un favore. Io non voglio essere causa della tua infelicità, deficiente!”

“Così alla fine ci è arrivato…”  Bill cominciò a sentirsi nervoso. Il suo stomaco fece una capovolta su se stesso “Ed ora che dico?”

Le parole gli uscirono dalla bocca da sole “Provi qualcosa per lei?”

Tom fece una smorfia, si sentì momentaneamente in difficoltà “Non è la stessa cosa che senti tu se te lo stai chiedendo…”

A Bill non piacque particolarmente la risposta “Non è quello che ti ho chiesto Tomi…”

“Uffa! Perché devi sempre cercare il pelo nell’uovo?”

“Perché se ti piace Lyric voglio saperlo.”

“Cazzo Bill! Spiegami cosa ti cambia se io ho preso una cotta per la ragazza di cui ti sei innamorato! Non vorrai dirmi che temi che te la possa rubare!” Tom si era intanto avvicinato al fratello e lo aveva preso per le spalle. Bill gli stritolò il colletto della sua t-shirt oversize “Ma sei stupido?! Pensi davvero che potrei ritenerti capace di farmi una stronzata simile?! Non offendermi testa di cazzo!”

“Imbecille! Allora dove cazzo è il problema?!” avevano alzato così tanto la voce che al piano di sotto loro madre li aveva sentiti “Il problema è che non voglio che tu ci stia male! Il problema è che non voglio che tu mi arrivi ad odiare se starò con lei! Il problema è che non voglio sempre stare all’erta pensando di star esagerando con Lyric e quindi di ferirti!”

Bill lo guardava preoccupato e Tom cominciò a capire.

“Non sono un pappamole! Non stiamo parlando della donna della mia vita anzi credo proprio che la donna della mia vita non esista proprio! Non sono innamorato di Lyric, porca troia! Renditi conto che mi piace e basta! Quindi non puoi ferirmi o cose del genere, non ci tengo abbastanza per starci veramente male e poi a mala appena ho capito di avere una cotta secondo te potrei mai soffrire?!”

“Forse non adesso, magari non subito ma potrebbe darsi che tu lo comprenda poi. Può darsi che ti renda conto che la volevi per te e che per questo tu potresti cominciare ad odiarmi. Sono certo che mi odieresti.”

“Non ti seguo.”

“Tomi io sono perso di Lyric, quando e se ci mettessimo insieme non avrei più nessun riguardo per nessuno, anche se tu soffrissi io non penso che saprei lasciarla per darti pace. So che sarei abbastanza egoista da lasciarti stare male.”

Le dita che tenevano i lembi della maglietta di Bill si allentarono “Questo incredibile scemo.”  pensò Tom con estremo affetto.

“Bill devi stare tranquillo. Mi vuoi troppo bene per farmi del male, persino con questo tuo ragionamento estremamente complesso ti sei dimostrato per il premuroso fratellino che sei…” Bill sentì come una specie di nodo che si districava dentro la sua gola “…non riuscirei ad odiarti, non quando saresti felice. Sei odioso soltanto adesso visto che non muovi il culo.”

“Davvero? Posso davvero stare tranquillo.”

“Bè sì. È stato idiota farla aspettare per così tanto, soprattutto quando tu sei certo di essere ricambiato.”

“Nessun problema per te?” Bill continuò a chiedere per essere certo di quello che si stavano dicendo. Tom sbuffò prendendosi la faccia tra le mani, non riusciva a credere che si potesse essere tanto paranoici. Una leggera punta di soddisfazione per la preoccupazione di Bill però la provò lo stesso, in un angolino del suo cervello.

“Sì, scemo. Però va da lei al più presto se non vuoi che mi incazzi veramente come una iena.”

Bill si bloccò completamente e fissò qualcosa dietro alle spalle fraterne. Aveva appena ottenuto la libertà di agire, ora poteva fare ciò che voleva e senza doversi preoccupare. Un mucchio di terribili porte gli si aprirono davanti alla faccia.

“Ehi? Bill?”

Prima che potesse rendersene conto il gemello cominciò ad urlare in preda ad un attacco combinato di isterismo e felicità. Tom si spaventò seriamente.

“Aaaaaaaaaaaaaaaaaa! Ed ora che cazzo faccio?! Come cazzo glielo dico?! Come cazzo glielo spiego?!” lo vide alzarsi da dove era seduto e cominciare a biascicare parole sconnesse una dietro all’altra, camminando disperato per la stanza.

Tom si sarebbe messo volentieri a ridergli in faccia ma non era il caso. Bill era appena entrato nel suo peggiore stato di trance e completo panico, sarebbe stato un suicidio vero e proprio interferire con la sua crisi esistenziale. Decise di defilarsi in silenzio e lasciarlo in preda di se stesso.

Chiusa la porta si ritrovò sua madre davanti agli occhi “Cosa sta succedendo in quella stanza Tom?”

“Niente il tuo secondogenito sta sclerando perché non ha idea di come dichiararsi.”

“Alla fine si è deciso?”

“Già.” Tom scrollò le spalle. 

“Uhm…” sua madre gli passò una mano sopra i rasta “Vuoi un pezzo di torta al cioccolato? L’ho appena tirata fuori dal forno.” Era una proposta troppo strana per non essere guardata con dubbio. Ci volle poco per fargli capire che sua madre stava cercando di consolarlo.

“Lo sapevate tutti quanti e nessuno mi ha mai detto niente?”

“Bè tesoro pensavo che tu fossi abbastanza grande da capirlo da solo e comunque eri troppo gentile con Lyric per essere solo affezionato.”

“Bello, sono stato il vostro tontolone…”

“Solo un pochino. Bè sicuro che ti vada bene?”

“Certo!” si incamminarono verso la cucina al piano terra “Sono il primo sostenitore della loro coppia e non vedo l’ora che combinino. Sentirò i cori degli angeli quando accadrà.”

Simone gli diede un piccolo sbuffo alla guancia “Tranquillo, avrai anche tu la tua possibilità.”

“No, grazie. Preferisco restare sano di mente.”

L’ennesimo urlo isterico giunse alle loro orecchie “Scordati che mi incasini come Bill.”

Simone sorrise come se la sapesse più lunga di lui.

 

*****

 

Domenica mattina.

 

Si svegliò piena di aspettative.

Guardò il cielo freddo e grigio di quel dicembre mattina con la sensazione che non ci fosse giornata più perfetta.

Percepì sotto la pelle una strana attesa che gattonava, pizzicandola ovunque.

Prima di scendere dal letto pregò che cadesse la neve. La neve le aveva sempre portato fortuna e poteva darsi che l’avrebbe potuta aiutare anche quella volta.

 

Pomeriggio. 

 

“Non risponde. Non risponde. Non risponde. Non risponde.”

Era seriamente in ansia. L’aveva chiamata cinque volte di fila e neanche a una aveva risposto. Qualunque fosse il motivo di questo era certo che non gli sarebbe per niente piaciuto saperlo.

“Cosa può essere successo? La sua famiglia? Sua nonna?”

Sarebbe presto andato fuori di testa se non avesse sentito la sua voce che lo rassicurava. Ora che non c’erano più ostacoli non riuscire a contattarla gli sembrava un brutto segno e inoltre era davvero in pensiero.

Bill si alzò di scatto dal divano su cui era seduto facendo prendere un colpo al povero Gordon che stava dormicchiando accanto a lui. Tom distolse lo sguardo dalla scena madre del film per puntarlo contro la figura in apprensione del fratello “Che c’è?”

“Vado a casa di Lyric.” Fu la risposta secca. Tom non cercò neanche di obbiettare, si vedeva che non gli avrebbe rivelato niente, figuriamoci lasciarsi convincere ad essere meno precipitoso. Che se la sbrigasse da solo.

“Ok, cerca di non ucciderti.” Fu la raccomandazione che gli fece ma Bill si era già precipitato ad indossare la giacca. In pochi minuti lo sbattere della porta fece capire agli inquilini che se ne era andato.

“Cos’aveva Bill?” domandò Gordon ormai sveglio. Tom fece spallucce mentre prendeva sul grembo il loro gatto Kasimir e lo guardava nelle sue pozze giallo-dorate “Nulla di particolare. Pene d’amore.” Lo canzonò con un sorrisetto.

Gordon rise “Ah che bello l’amore! Ricordo che alla vostra età non ci pensavo proprio, ritenevo più utile darmi alla pazza gioia con più ragazze possibili. A quel tempo mi ritenevo biologicamente inadatto alla vita di coppia fissa, fortuna che Simone è riuscita a prendermi nel momento giusto sennò col cavolo che mi accalappiava…”

“Come scusa?” in quel momento era entrata proprio Simone con i mano una tazza di caffè.

Tom rise e accarezzò il pelo di Kasimir “Speriamo bene.”

Ultimamente Bill era cresciuto ancora un po’ in altezza e la sua figura longilinea figurava da lontano come una piccola pertica. Scendendo la strada in salita che portava verso la fermata dell’autobus le sue lunghe gambe mangiavano passo dopo passo l’asfalto. Svoltato l’angolo all’inizio della via, senza nessuna ragione logica, si mise a correre come se l’arrivare il prima possibile allo stop fosse stato di vitale importanza. Giunse alla costruzione in legno con un leggero fiatone e come un sacco atterrò sopra alla panchina. Dopo qualche minuto bloccato in silenzio mentale la sua attenzione fu catturata da dei piccoli frammenti bianchi tra i suoi piedi. Era neve.

Improvvisamente sentì più freddo e notò di non essersi coperto per niente. Nell’ansia di uscire aveva dimenticato di prendere con sé la sciarpa e i guanti, se l’autobus non fosse arrivato presto si sarebbe congelato. Imprecò contro se stesso e cercò di distrarsi pensando a qualcosa che non fosse il gelo che provava ai piedi.

Un fiocco bianco sospinto da una brezza fredda cadde sul palmo della sua mano. Il random dei suoi pensieri giunsero a Lyric appena quel pezzetto di brina si sciolse per il calore della sua pelle. Lei adorava la neve.

Gli aveva raccontato che con la neve aveva un rapporto particolare, si volevano bene, gli aveva detto.

Bill rise. Si era innamorato di una creatura più strana di quanto si potesse credere.

Da bambina, ogni volta che nevicava, faceva un mucchio di giochi allegri e crescendo il legame che aveva instaurato con quell’elemento era diventato una sorta di amuleto contro la tristezza. Lyric sosteneva con fervore che ogni volta che nevicava, in qualche modo, le accadevano solo cose belle. C’erano un centinaio di ragioni che rendevano quei freddi petali di cielo dei ricordi sempre positivi: il sapore dei ghiaccioli di neve immersi nello sciroppo d’acero, le scivolate in slittino con suo padre, le passeggiate sotto la prima neve dell’anno, i pomeriggi davanti al camino con sua madre che le insegnava il punto e croce, le gare a palla di neve con Alphonse, le melodie al piano suonate da zio Victor sono solo alcuni di quei momenti. Bill aveva impresso in mente il viso di Lyric mentre gli aveva confidato tutte quelle cose e per un attimo non capì più niente.

Come se il nominare il suo nome fosse stato un richiamo magico, dal nulla, si materializzò Lyric stessa.

Bill non aveva visto che l’autobus che stava aspettando si era appena fermato e che dalle sue porte era scesa lei. Non la distinse immediatamente poiché era soprapensiero. Indossava un cappotto pesante di un blu pavone molto particolare con una sciarpa di lana bianca attorno al collo e i guanti della stessa tinta. I capelli, che con il tempo gli erano arrivati qualche centimetro oltre le spalle, le disegnavano in testa un mare di onde nere. Ai piedi indossava dei buffi stivali da pioggia a leggeri pois bianchi su sfondo notte, disegno ripreso poi dall’ombrello che se ne stava aperto sopra il suo capo. Naturalmente il suo volto stava scandagliando con ammirazione il cielo. Una fata della neve, pensò Bill.

“Lyric…” lei si girò.

“Bill?” era stupita “Che ci fai qui?”

“Questo lo dovrei chiedere io. Stavo per prendere l’autobus e venire a casa tua.” Rimasero a guardarsi ognuno dalle proprie posizioni e Lyric in quel momento lo mise a fuoco.

Jeans blu sbrindellati in qualche punto, le sue improponibili Adidas bianche il cui effetto protettivo contro il freddo era di sicuro nullo, giacca di pelle nera chiusa a metà e da cui traspariva un maglione del medesimo colore. Non aveva i guanti perché teneva le mani dentro le tasche dei pantaloni e niente sciarpa, se ne stava lì sopra alla panchina di legno con la pelle delle guance arrossate e le orecchie in balia del vento che soffiava nella sua direzione. Doveva essere uscito senza pensare minimamente alla temperatura esterna.

“Volevi arrivarci completamente assiderato per caso?” lo indicò con un gesto del capo “Sei praticamente svestito.”

“Non fa così freddo!” si difese ma non era per niente credibile.

Lyric chiuse l’ombrello e si sistemò sotto alla tettoia della fermata, dietro di lei, in tanto, la neve stava ricoprendo di candido bianco ogni spiraglio possibile. Si avvicinò a Bill mentre apriva la propria borsa alla ricerca di qualcosa.

“Per fortuna che stavo venendo da te per portartelo.”

“Portarmi cosa?”

“Un regalo.” Estrasse una matassa bianca fuori dalla borsa. Gliela avvolse immediatamente attorno al collo facendo in modo che lo coprisse bene, gli chiuse poi la zip della giacca.

Bill odorò la sciarpa di lana che Lyric aveva appena legato al suo collo. Aveva il suo stesso profumo.

“Regalo di natale in anticipo?”

“No.” Rispose e si girò nuovamente verso la lenta pioggia bianca “Ho fatto quella sciarpa con i ferri e quando l’ho finita ho pensato di regalarla a te. Il natale non c’entra proprio niente.”

“Grazie.”

“Non c’è di che.”

“Come mai stavi venendo a casa mia?” Bill guardò in basso “Solo per la sciarpa?”

Le dita di Lyric si avvolsero attorno al manico dell’ombrello, fece no con la testa senza guardarlo “No, ero venuta anche per dirti una cosa.” I fiocchi intanto danzavano, come ballerine vestite di evanescenti tutù di tulle, delicati ed irreali. Danzavano nell’aria in coreografie senza logica, sospinte dal caso, scrivendo una poesia senza versi.

Lyric sentì che doveva essere quello il momento.

Prese in mano la propria decisione e poi si girò verso di lui. Intanto Bill si era posizionato davanti a lei, con la fronte aggrottata “Dirmi che cosa?”

“In ogni caso qualcuno deve pur fare il primo passo…”  si disse Lyric mentre appoggiava i palmi delle mani sul petto di Bill. Lasciò che il proprio capo si soffermasse per qualche attimo sopra al suo cuore.

“Ehi, cosa ti succede?” domandò lui risalendo con le braccia lungo la sua schiena fino ad abbracciarle le spalle. Vedendoli in quel modo era evidente che le parole che avrebbero dovuto dirsi non sarebbero state necessarie ma visto che non sempre le certezze sono tali in modo completo era meglio fare ordine.

Lyric respirò affondo il suo odore, li sciolse dalla loro posa e poi gli puntò addosso uno sguardo terribilmente penetrante.

Bill sentì che doveva essere arrivato quel momento. Uno fremito glielo fece capire.

“Tu lo sai vero di essere innamorato di me?”

Qualunque cosa si fosse aspettato non si era avvicinato minimamente alla sorprendente dichiarazione appena fatta. Suonava tanto ad un miscuglio tra un rimprovero e una provocazione. Come a chiedergli se riusciva a negare l’evidenza del fatto.

Cosa avrebbe dovuto rispondere? Non c’erano molte alternative.

Le sorrise come un pazzo e quasi ci manco che ridesse.

“Sì, lo so.” Rispose “Sono effettivamente innamorato di te.” ammise e vide lo sgranare degli occhi di Lyric, sconvolta per aver ottenuto la risposta così in fretta. Sentirselo dire per la prima volta dalla sua bocca l’aveva completamente mandata fuori dal mondo. Entrambi avevano il sangue che saliva al cervello a velocità impossibile.

“Volevi dirmi solo questo?” Bill la provocò.

“Non fare lo stupido. Non credo che tu abbia bisogno che te lo dica anche io.”

“Dirmi cosa?” Sogghignava come se fosse stato sul punto di proporle di vendergli l’anima, come se l’avergli dato in mano il suo cuore non fosse stato già un prezzo alto.

“Bill non provocarmi.” Però non lo sapeva ancora e forse per questo voleva sentirselo dire. Non le piacque la momentanea presa di potere di Bill, come sempre tendeva ad avvantaggiarsi. In ogni caso, anche se stava pensando ad un centinaio di cose contemporaneamente, agli angoli della sua mente Lyric si stava rendendo conto che le cose avevano una piega totalmente fuori controllo.

A quanto pare stava per arrivare anche quell’altro momento.

Bill si stava avvicinando con un’unica, nitida, intenzione nella testa. Lyric perse l’equilibrio pur essendo del tutto immobile e mancò poco che si ribaltasse all’indietro ma Bill la prese al volo per un braccio.

L’ombrello di lei cadde a terra e al suo posto, nella sua mano, ci fu quella di Bill.

Lui rise mentre Lyric si arrossava un poco per l’imbarazzo ma il momento comico passò subito. Nell’aria c’erano un migliaio di messaggi sottointesi dati dal loro essere così vicini e Lyric li stava cogliendo tutti. La nebbia di eccitazione le impediva di connettere in modo regolare. Lo sentiva fin dentro le ossa che quello che stavano per fare le avrebbe scardinato l’ordine psico-fisico. L’altra mano di Bill era finita tra i suoi capelli, senza che lei l’avesse vista passare lungo la guancia destra e con quella lui l’aveva accarezzata. Quei suoi occhi nocciola la osservavano pieni di attese.

Quando si immagina tanto allungo come un momento debba o possa essere quando poi accade ogni cosa non è mai come la si pensava. Per esempio Lyric non aveva pensato che si potesse contemporaneamente morire dal desiderio di farlo e allo stesso tempo avere paura che si arrivasse al nocciolo della questione però si era aspettata di sentire tutto il corpo tendersi verso di lui con il battito cardiaco irregolare.

“Stai per baciarmi?” fu una domanda stupida ma per Lyric c’era troppo silenzio. Voleva riprendere un minimo di controllo su stessa e l’aver parlato aveva momentaneamente spezzato il suo levitare in aria.

Il divertimento di Bill era evidente “Bè, sì. Questa sarebbe la mia intenzione. Perché avresti delle obbiezioni al riguardo?”

“Non ti senti un po’ troppo sicuro? E se io non volessi essere baciata?”

“Sono sicuro che tu lo voglia.”

“Potrei tirarti uno schiaffo dopo.”

“Correrò il rischio.” Bill abbassò la mano dai capelli al collo, lo prese da dietro e in questo modo l’avvicinò al suo viso “Comunque non lo farai.”

“Esaltato mitomane. Sei uno sbruffone!” Le tremavano le mani. Bill si intenerì sentendo le dita di Lyric avvinghiarsi attorno alle sue. Avvicinò le sue labbra al suo orecchio “Tu invece sei molto carina adesso.”

“Mi prendi addirittura in giro?”

Stringerla, stringerla fino a soffocarsi tra le sue braccia, ecco il pensiero che viaggiava dentro di lui. Non aveva mai tentennato così tanto nel baciare una ragazza, era veramente la prima volta.

“Però prima me lo potresti dire?” la voce di Bill supplicava, quasi.

“Credevo che ne fossi certo.” Ora era Lyric a sogghignare leggermente. Sentì, contro il proprio orecchio, un respiro trattenuto. Lo voleva guardare in faccia.

Vide Bill in attesa e lei smise di ragionare.

Lyric piegò il capo e fece in modo che le loro labbra fossero vicine, sul punto di incontrarsi e unirsi.

Mancava poco. Davvero poco. Quanto erano difficili.

“Pregami.”

Bill guardava le curve invitanti delle sue labbra. Il suo cranio sarebbe esploso a poco.

“Ti prego.” Si arrese senza pentirsi di aver appena ammesso la sua completa resa. Avrebbe fatto qualunque cosa, presto, poi, lei si sarebbe resa conto di tutto il potere che possedeva su di lui. Presto ma era già chiaro.

“Sono innamorata di te.” Sorrise mentre lui scioglieva il groviglio di aria trattenuta dentro i suoi polmoni “Ed ora?”

Non ebbe il tempo di formulare quelle due parole che Bill era già sulle sue labbra.

“Ah, ecco…”  riuscì a pensare appena.

All’inizio si assaggiarono tentennando come due imbranati, confrontandosi con quella nuova e spaventosa realtà. La sensazione di calore che provarono entrambi inondò ogni parte del loro essere. In quel momento si sentirono entrambi come sulla cima più alta della terra, riempiti fino allo estremo di adrenalina pulsante, imbevuti di un’energia esplosiva. Soddisfazione, desiderio, piacere, ebbrezza, follia, felicità, totale estraniazione dal mondo, perdita della ragione, si mischiarono tutti quanti nel loro primo bacio.

Fu un continuo cercarsi e trovarsi.

Fu un bacio dolce che però stritolava i loro corpi in una morsa che li privava d’aria.

Fu un bacio passionale in cui confluivano desiderio e sentimento.

Nuovo, naturale, sentito fino in fondo, assolutamente necessario.

Il loro primo bacio profumava di neve.

…………………………………………………………………………………………

 

 

Yatta!

Ce lo fatta, signori e signore!

Un grande coro di acclamazione per l’ennesimo capitolo che sono riuscita a finire. So di averlo partorito con molta fatica ma viste tutte le mie vissicitudini personali non sono riuscita a fare altrimenti.

Allora, cosa dire?

Ho fatto un salto temporale e sono giunta a parlare del futuro (che diverrà a breve solido presente narrativo) per poi tornare, alla fine, nel passato (che tra poco si chiuderà.)

Nel futuro i ragazzi hanno circa vent’anni e vivono tutti le loro vite in modo completamente separato. Ho voluto però mostrare quanto invece, pur essendo stati così allungo divisi, quei due non abbiano smesso un secondo di pensare all’altro. Volevo far capire ciò che pensava l’uno e ciò che pensava l’altro, disseminando ovunque indizi su cose che dovranno essere raccontate, eventi che inevitabilmente accadranno e segreti che verranno smascherati a tempo debito.

Mi sono divertita perché alla fine entrambi fanno scelte che li riporterà in qualche maniera a vedersi. Lyric pensa però che non sia un bene che ci sia un vero e proprio contatto mentre Bill ha intenzione di parlarle, dovunque e con chiunque lei sia, ad ogni costo.

Poi ci sono gli amici di entrambi che hanno pure loro i propri piani e naturalmente, nei miei insani schemi, questi andranno a creare tante e disparate situazioni.

Già, decisamente, mi diverto a confondere i lettori anche se io non ho mai nascosto niente a nessuno. Tutto ciò che si deve cogliere è scritto tra le righe ma tranquilli, alla fine, capirete.

Aiuto musicale di questo capitolo sono state le canzoni: “In die Nacht” dei Tokio Hotel, “The Scientist” dei Coldplay” e “Love story” di Taylor Swift (quest’ultima perché solo per la melodia orecchiabile XD).

Tante grazie a chi ha pazientato, tante grazie a _ Lady Daffoidil _  che con i suoi commenti mi rende sempre felice di aver scritto uno capitolo. Tante grazie a Morgana la cui espressione stupita e felice quando le do in mano, letteralmente visto che è sempre lei li legge in anteprima, il capitolo mi fa ridere e vale la pena di ore passate a scrivere questa storia.

Ci risentiamo alla prossima! (Hehe! Chissà cosa mi inventerò? XD).

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Capitolo 12
*** Capitolo 11: Ray of Sun ***



Capitolo 11


Everywhere I’m looking now

I’m surrounded by your embrance

Baby I can see your halo

You Know you’re my saving grace

You’re everything I need and more…”

© Beyonce_ Halo


Magdeburg.

Giugno 2005.


Il cellulare vibrò nella tasca della sua gonna e per qualche secondo si sentì un ronzio farsi spazio nella quiete dell’abitacolo.

Lyric allora si svegliò, interrompendo il frugale sonnellino a cui si era lasciata andare, e con molta lentezza recuperò il telefono. Mentre sbloccava la tastiera cercò di fare mente locale di dove si trovasse, scavando alla ricerca delle informazioni riguardo al come e perché fosse lì.

Era la solita storia.

Svegliarsi per lei era spesso un trauma, soprattutto se questo avveniva all’improvviso, perché il suo cervello ci metteva sempre molto tempo prima di ritornare con i piedi per terra, il che la rendeva una creatura sperduta per un po’. Diventava incapace di intendere e volere, in balia di uno stato di smarrimento che rasentava il comico. Bill, vedendola in quelle condizioni, aveva finalmente capito perché Alphonse la soprannominasse “Bella addormentata” e lo aveva trovato molto divertente, pensava che la sua quasi perfetta ragazza avesse un tallone d’Achille tenero. Naturalmente solo Bill poteva trovarla tenera in quello stato catatonico, lei invece pensava che fosse una caratteristica abbastanza fastidiosa.

Soltanto quando si ricordò di essere nella Volvo di suo zio Victor e che stava tornando a Magdeburg Lyric si diede il permesso di leggere il messaggio ricevuto.

In un angolino di sé però sapeva già chi lo avesse mandato.


_ Dove sei? Ancora in strada?

C’è traffico per caso? Saresti già a Magdeburg in caso contrario.

Ho dedotto dal tuo silenzio stampa che devi anche esserti addormentata se no mi avresti avvertito che ritardavi. Vabbé almeno godo al pensiero di averti svegliata in malo modo, così stiamo male in due.

Perché mentre tu, di certo, eri addormentata io ero qui ad aspettarti nel tormento.

Non ti pare ingiusto che a soffrire fossi solo io? _


Che scemo…” commentò tra sé mentre continuava a leggere quel logorroico intervento, possibile che riuscisse ad essere così prolisso persino con un sms? Bill era davvero in grado di fare qualunque cosa quando si trattava di parlare e lei non poteva obbiettare. Avevano scoperto da tempo che anche Lyric era capace di discorsi infiniti quando si impegnava ma lei sosteneva che era tutto dovuto alla cattiva influenza di una certa persona di sua conoscenza.


_ A parte gli scherzi, appena arrivi chiamami.

Sono stato troppo ottimista. Lo so che sono un idiota, può darsi, anche fissato.

Io, me e me stesso ti aspettiamo.

Ps: Tom dice che sono melenso, ora sta imitando un conato di vomito. Adesso lo prendo a calci... _


Rise per quel “Io, me e me stesso…” .

C’era una concentrazione di tale egocentrismo in quelle quattro parole che era quasi impossibile eguagliare tanto talento nel dimostrarsi così ammiratori di se stessi, però glielo perdonava, perché a seguito di quelle aveva scritto “ti aspettiamo.” il che stava a significare che la totalità della sua persona attendeva lei.

Fu un pensiero che la fece sentire bene. L’idea che qualcuno aspettasse il suo ritorno era qualcosa che non credeva potesse soddisfare così tanto, infondo era una cosa semplice e quasi scontata, eppure lei se ne stupiva piacevolmente.

Avere qualcuno che aspetta solo di vederti è molto più raro di quanto uno può pensare.

“Zio Vikki?”

Yes, honey.” Rispose lui con lo sguardo puntato sulla strada.

“Quanto manca?”

“Trenta minuti circa. Perché?” domandò con un sorrisetto che raccontava un mucchio di cose.

Lyric non gli rispose. Era una domanda superflua, lo sapeva da solo il perché.

Non rispose al messaggio, sarebbe stato inutile incominciare un susseguirsi di sms con solo trenta minuti a dividerli. Gli avrebbe dato una risposta presentandosi direttamente a casa sua.

Lyric appoggiò di nuovo la testa sulla morbida pelle del sedile e fissò l’orizzonte attendendo di vedere i confini della città. Il sole non era ancora calato malgrado fossero già le sei e mezza e la campagna tedesca non si era ancora coricata nella sera. Per un po’ cercò di mantenersi calma, riprendendosi pian piano tutte le sue facoltà mentali, ma appena tornò ad essere pienamente lucida un brivido d’ansia prese possesso di lei.

Grazie tante Bill.” Provò a distrarsi ma non le riuscì bene.

Corrucciò lo sguardo maledicendolo. Ora sarebbe stato praticamente impossibile stare calme.

Per colpa sua avrebbe passato i seguenti minuti in preda ad una snervante attesa, tesa fino all’inverosimile, con il malumore a farle compagnia.

Con una serie veloce di mosse rettificò l’intenzione di prima ed inviò una risposta stringata.


_ Contento? Hai ottenuto il tuo scopo.

Adesso sono nelle tue condizioni.

Se mi rivedrai, cosa su cui non conterei, sarò particolarmente intrattabile. _


Lo inviò senza neanche rileggere.

Ovviamente la sua era una minaccia a vuoto ma Bill poteva crederci veramente per qualche minuto.

Se almeno avesse continuato a dormire non avrebbe passato il resto del viaggio pregando di arrivare il prima possibile. Inoltre non avrebbe dovuto simulare calma di fronte allo zio, per evitare interrogatori strani riguardo all’andamento della sua relazione amorosa, come piaceva fare a lui ogni volta che ne aveva occasione.

Sentendosi in dovere di fare le veci del padre zio Victor tentava, in maniera a volte fin troppo espansiva, di essere partecipe dei suoi fatti personali. Lyric però riteneva che dopo aver affrontato il discorso, terribilmente imbarazzante, della sua prima volta lo zio poteva anche fermarsi lì nelle sue conoscenze.

Essendo stato tra i primi ad aver ricevuto la notizia della perdita della sua verginità Lyric non pensava che potesse essere ancora affamato di informazioni. Cos'altro poteva mai interessargli se non assicurarsi che lei non commettesse sciocchezze come il rimanere incinta? Cosa a cui aveva già pensato da sola e per cui non erano necessarie delle raccomandazioni.

Assieme a zia Freia era arrivata alla conclusione che lo faceva soprattutto per divertimento personale. Lo zio adorava metterla alla prova e vedere se lei se la cavava a sostenere discorsi spinosi.

Era un sadico però le voleva molto bene.

A parte quel leggero sorrisetto di divertimento agli angoli della bocca, quando avevano parlato della sua prima volta, Lyric aveva visto chiaramente un luccichio affettuoso nei suoi sfavillanti occhi azzurri. Era rimasto ad ascoltare in un rispettoso silenzio il poco che lei volle raccontargli e si era espresso con tatto quando era arrivato il suo turno di parlare. Le disse di essere felice perché lo aveva fatto partecipe di un evento tanto importante e che, per qualunque dubbio potesse avere in futuro, non avrebbe dovuto temere di riferirglielo.

Lyric allora aveva sorriso, contenta per essersi confidata.

Se suo padre Sebastian fosse stato vivo si sarebbe comportato alla stessa maniera, aveva pensato, anche se sospettava che avrebbe poi fatto qualche finta scenata di collera con Bill, così, per fargli pagare di essere stato il primo ragazzo ad aver toccato la sua bambina.

Zia Freia invece in un primo momento ne rimase un po' sconvolta, come se non avesse mai pensato alla possibilità che sua nipote potesse fare sesso con il suo ragazzo, e poi con molto calma aveva fatto una serie di domande.

Lyric le parlò del quando e del dove assicurandole che il dolore era stato sopportabile dopo tutto. Poi le aveva assicurato che era giunta a quel passo perché lo aveva sentito, dentro se stessa e nella propria pelle, che lo voleva veramente. Le aveva spiegato che ci aveva riflettuto, molto anche, ma la risposta le era stata evidente fin da subito. Il desiderio fisico che aveva di Bill unito ad un desiderio viscerale ed irrefrenabile di sentirsi ancora più legata a lui l'avevano portata a compiere il salto. Zia Freia si era calmata avendo ricevuto ammissioni tanto sincere.

Era stata comprensiva e disponibile, in seguito, senza fare ulteriori pressioni per essere informata.

Lyric allora si era sentita fortunata perché le due persone che ora considerava come genitori si erano comportate meglio di quanto si sarebbe mai immaginata, eliminando ancora una volta, quella diffidenza nel prossimo che si era costruita dalla morte della madre.

In un certo senso le sembrava che la vita avesse davvero preso il verso giusto e di questo ne era oltre che felice anche intimorita. La felicità e la sicurezza erano stati elementi spesso instabili nella sua vita e sapendo ciò non si permetteva di adagiarsi troppo sugli allori.

Il cellulare vibrò per la seconda volta.

Lyric cercò di ignorarlo perché provava a dirsi che non mancava ancora molto al suo arrivo, se avesse letto l'sms sicuramente si sarebbe sentita lontana da Bill più di quanto non lo era in verità. La mente le tirava brutti scherzi quando cominciava ad agitarsi.

“Non lo leggi?” smise di interessarsi in maniera così tenace degli alberi che scorrevano fuori dalla Volvo e guardò suo zio esibire quel dannato ghigno “Quel poveretto di Bill si corroderà dall'ansia se non gli darai una risposta.” proseguì non provando neanche a mascherare l'ironia che sprizzavano le sue parole, il ghigno era sempre vivo sulla sua faccia.

Il sorriso di cui erano capaci gli Alysei era sfrontato, sapeva di malizia, proprio lo stesso che le stava porgendo Victor in quel momento. Era il sorriso di un dio, uno di quelli che si burlano dell’ingenuità dell’umanità.

Bill sosteneva che lo faceva anche lei, molto spesso quando si trattava di prenderlo un po' in giro, a dir la verità, ma Lyric non si credeva ancora in grado di riprodurre quell'espressione. Le mancava ancora una piccola qualità che apparteneva in modo così spontaneo a zio Victor ed Allie, una specie di realizzazione personale nel provocare il prossimo.

“Al momento merita di corrodersi.”

“Come mai parole tanto dure?”

“Nulla di particolare, mi ha svegliato.”

Zio Victor non si trattene e gongolò qualche secondo “Mi ricordi tua madre quando dici queste cose.”

Lyric si incuriosì “In che senso?”

“Anche lei, quando si svegliava, ci metteva un po' a carburare e se qualcuno lo faceva in malo modo rimaneva scorbutica per parecchio. Eleonor ti deve aver trasmesso questa sua deliziosa caratteristica. Una volta Seb la svegliò così male che Nory non gli parlò per tutto il giorno. Fu una giornata fantastica, mai riso tanto, tua madre era divina quando si trattava di punire. Aveva un raro senso di sadismo che neanche io saprò mai eguagliare.” Mentre lo diceva Victor si riempì di ammirazione e per qualche minuto l'auto venne riempita dalle loro risate.

“Sicura che sia solo perché ti ha svegliato?

“Non credo che la seconda parte della spiegazione ti piacerebbe. Potresti anche vomitare.”

“Ho capito: troppo zucchero.”

“Se vuoi chiamarlo così. Zia Freia lo definirebbe una pazzia da mela cotta.”

“Freia è davvero buona, almeno non ti prende in giro come il sottoscritto.”

“Già! qualcuno almeno dimostra l’età che ha.”

“Ohh! Recepito, sei davvero di cattivo umore.” Nel modo in cui lo disse però non sembrò intenzionato a smettere di scherzarci sopra “Comunque tranquilla te lo ha già detto Alphonse: non è un male avere debolezze tanto umane.”

“Non citarmi quell’essere!” Lyric scattò in uno sprizzo di aggressività, l’ultima cosa che voleva sentire erano le battute di quell’insopportabile saccente di suo cugino. Si era appena liberato di lui e non aveva intenzione di sentirlo nominare per parecchio tempo.

Appena superato il cartello stradale con su scritto - Benvenuti a Magdeburg.- decise di leggere il messaggio. Ormai era abbastanza vicina e la morsa della lontananza non era più così acuta, se ne sentì sollevata. Victor bofonchiò qualcosa mentre le sue spalle sussultavano un poco per le velate risate.

Lyric fece come se non esistesse.


_ Io sono un egoista, mi dispiace.

Risolviamo i miei difetti uno per volta, ok? Siamo a buon punto con l’orgoglio.

Per l’egoismo ci vorrà un bel po’.

Sì, sono contento che tu senta la mia mancanza.

Come io di te quindi, anche se per poco, verresti a incontrarmi? _


Sentire la mancanza di qualcuno” ora capiva cosa potessero significare in verità tali parole.

Tutto il suo magistrale controllo scemò in pochi attimi. Le venne da ridere per come si stesse riducendo, era diventata una tossica.

L’essere innamorata per lei avrebbe sempre significato emozionarsi in quel modo distruttivo, irrefrenabile, devastante. Anzi per essere corretti era essere innamorata di Bill, di lui in particolare, a muovere il suo universo.

Se fosse stato qualcun’alto dubitava che avrebbe provato lo stesso.

Da un po’ aveva cominciato ad affrontare la questione dell’entità vera e propria della sua relazione con Bill ma evitava di fare parola delle sue conclusioni in giro. Le certezze di una sedicenne potevano essere interpretate da altri come castelli in aria molto esagerati e Lyric non voleva che qualcuno si prendesse in diritto di giudicarli. Ciò che apparteneva a loro andava al di là di quanto potesse essere compreso dagli estranei.

E poi neanche loro era arrivati a quantificarlo. Era difficile ammettere la portata di ciò che possedevano, forse era qualcosa di troppo serio per le spalle di due adolescenti, o magari, era troppo presto per accettarlo.

Però ammetteva che il distacco da lui si rivelava come una condizione difficile, anzi, dolorosa.

Era forse un bene essere così legati a qualcuno? Quando sarebbe stato necessario darsi un contegno?

Lyric si diede per l’ennesima volta della stupida. Spedì una risposta a Bill poi si rivolse allo zio “Mi faresti un favore?”

“Dimmi pure.”

“Prima di andare a casa potremmo passare da Bill?”

Il ghigno di divertimento fece un solco sul viso dello zio.


*****


Il cellulare nelle sue mani squillò ancora.

Bill si alzò dall’angolo in cui si era acquattato come un gatto ed uscì con un paio di falcate dal salotto. Senza poi staccare gli occhi dal piccolo schermo del suo apparecchio telefonico si mise a camminare avanti ed indietro per il corridoio adiacente alla stanza. Tom, Georg e Gustav lo osservarono in quel inconsulto andare e venire, cercando di cogliere ogni volta che ripassava davanti alla porta quali tipo di notizie avesse ricevuto.

Il responso di tale quesito avrebbe decretato l’andamento della serata. Se fossero state buone nuove allora sarebbero stati tranquilli in caso contrario si prospettava un calvario che non avrebbero sopportato.

Naturalmente speravano nella prima opzione perché occuparsi di un’instabile trottola emozionale come Bill andava al di là delle loro capacità.

Tom si era stancato di sopportare il gemello e questo non era da tutti giorni mentre Gustav e Georg stavano sperimentando il limite fisico-mentale dello stare a così stretto contatto con un Kaulitz fuori di sé.

“Pensate che sia recuperabile?” Tom fece una domanda che suonò retorica ancor prima che uscisse dalle sue labbra ma pur conoscendo la risposta non si stancava mai di chiederselo.

L’espressione scettica di Georg fu sufficiente e Gustav, come sempre estremamente gentile, scrollò le spalle con fare bonario.

Tom sparò contro uno zombie accaparrandosi così altri cento punti, andando avanti di questo passo avrebbe battuto Georg senza troppo sforzo ed era tutto ciò su cui voleva concentrarsi al momento. Qualunque cosa era buona per allontanare da sé quel senso di estraneità che gli saltava addosso quando constatava che il legame tra Bill e Lyric si faceva giorno dopo giorno più stretto. A volte si spaventava vedendo come era diventato il gemello: dipendere da qualcuno come faceva lui ed amarlo in maniera così costante e fedele per Tom erano atti ancora incomprensibili. Innamorarsi era una faccenda da affrontare solo nel caso si fosse stati indistruttibili o almeno sufficientemente coscienti del massacro a cui si andava incontro e lui non era ancora provvisto di tanto coraggio. Pur non capendo tutto, però, gli era chiaro che la felicità di suo fratello dipendeva, adesso, anche da Lyric e questo lo aveva accettato. Non aveva più paura di lei in quel senso ed non c’era dubbio che la sua cotta era bella morta.

La faccia di Bill spuntò da un angolo della porta e fu come se da questa si fosse sporto il viso appuntito di un folletto della foresta, praticamente fece un’apparizione d’alieno poiché la sua espressione ebete era ben lontano dal renderlo umano. Quell’’incomprensibile mimica del suo viso impedì ai tre di capire se fosse o no felice, per tanto attesero che parlasse.

Trattennero il respiro, Georg pregò persino, mentre Gustav era più o meno convinto di quello che sarebbe successo.

“Tra dieci minuti sarà qui.” esclamò al cento per cento perso nella felicità. Faceva davvero impressione.

Il sollievo generale comunque rasentò l’esultanza.

Ora, forse, Bill avrebbe passato un po’ di tempo a gongolare nel suo fatato mondo delle meraviglie e loro avrebbero potuto sfruttare questo suo smarrimento cognitivo.

Da quando il loro album era stato completato ed era stato programmato ogni loro più piccolo impegno da lì fino all’uscita del primo singolo in tutti loro era cresciuta l’eccitazione e la tensione. Non avevano nessuna garanzia riguardo al futuro di quella loro creatura musicale e per questa ragione ogni membro della band voleva riprendere fiato prima di affrontare il mondo esterno, volevano essere preparati.

Erano davvero arrivati a incidere un disco con una grande casa discografica e stavano davvero per venderlo al pubblico, avevano il diritto di essere spaventati a morte. Nel caso ce l’avessero fatta, come Bill prevedeva con straordinaria sicurezza da essere quasi sfrontato, tutta la loro vita sarebbe cambiata da come la conoscevano. Quei momenti di tranquillità, così normali, sarebbero diventati ricordi di una vita molto lontana. La loro routine sarebbe stata travolta ma non sapevano ancora quanto.

Si godevano quei giorni cercando di vivere come sempre avevano fatto, come adolescenti incasinati e casinisti, semplicemente nel loro chiassoso modo di farlo. Tra una settimana le loro esistenze sarebbero mutate irrimediabilmente, lo sentivano da qualche parte nei recessi del loro animo, tra una settimana sarebbero stati i Tokio Hotel.

Tale pensiero metterebbe nel panico chiunque figuriamoci i diretti interessati.

Quel sabato erano andati a casa dei gemelli per una serata in profonda tranquillità ma nessuno si era ricordato che quel giorno Lyric tornava dal viaggio in Francia. Erano quasi giunti al comune accordo di imbavagliarlo e legarlo dentro l’armadio delle scope per esasperazione.

“Fantastico! Possiamo liberarci di lui!” fece Georg alzando le braccia al cielo in segno di vittoria.

Tom rise e Gustav pure.

“Grazie del sostegno ragazzi, vedo che mi volete terribilmente bene.” Fece Bill portandosi le braccia sui fianchi e squadrandoli.

“Fratellino ti assicuro che se non ti volessimo bene, ora, il tuo corpo sarebbe già sotterrato da qualche parte nell’orto della nonna.”

“Oh taci Tom! Sentite adesso vado fuori ad aspettarla, rimarrà solo per qualche minuto quindi se vi azzardate a disturbarmi giuro che vi uccido.”

“Se facciamo i bravi prometti che poi dopo resterai tranquillo?” A parlare fu Gustav che uso tutto il suo potere nel far ragionare le persone. Il che dovrebbe far intendere quanto fosse esausto di reggere la sua presenza.

Bill annuì guardando la mezza faccia di rimproverò dell’amico, ammise che aveva dato un po’ troppo di matto.

“Bene, allora vai.” Gli fece il batterista indicandogli con la testa l’uscita, Bill non se lo fece ripetere.

Scomparve subito dalla loro vista.

“Mi spieghi perché quando sei tu a dire o chiedere le cose le persone ti danno sempre retta?”

“Ho una cosa che tu non hai Tom.”

“Sarebbe?”

Georg rispose prima di Gustav anche se non era esattamente il modo in cui voleva dirglielo “Semplice: la sua faccia ispira fiducia, la tua al massimo fa venire voglia di prenderti a schiaffi. Per questo quando parli parti svantaggiato, si ha già il pregiudizio che dirai una cazzata. Il che è vero il novantanove virgola nove percento delle volte.”

“Spiritoso Moritz, vediamo se lo sarai anche dopo che ti avrò fatto il culo.”

“Non credo proprio mentre tu eri distratto ad ascoltare il mio brillante intervento ti ho superato di mille punti. Non riuscirai neanche morto a raggiungermi.” Ora la faccia da schiaffi era quella di Georg.

Gustav si rassegnò: che riuscisse o meno a liberarsi di Bill restavano sempre quei due, insieme, da sorbirsi, sarebbe mai finito quel circolo vizioso?

Per non dover riflettere troppo Bill, fuori dalla casa, si era messo a contare e quello probabilmente era il metodo più stupido a cui avesse potuto pensare per distrarsi.

“Uno, due, tre, quattro, cinque, sei..” se qualcuno l’avesse visto avrebbe pensato che era decisamente strambo e non a torto “sette, otto, nove, dieci, undici…” ma era un modo come l’altro per riempire il tempo “Dodici, tredici, quattordici, quindici, sedici…” continuò scandendo i numeri con calma.

Erano passate due settimane ma gli sembrava che fosse passato molto di più, soprattutto perché non si erano sentiti per niente durante quel periodo.

Lui si era molto concentrato sul lavoro, in maniera maniacale a dir la verità, senza prendersi neanche il tempo di respirare. Aveva fatto in modo che fosse messo al corrente di ogni mossa promozionale da parte della casa discografica oltre che di qualunque idea fosse baluginata nelle menti dei loro produttori. Assieme agli altri e a David aveva studiato tutto nei minimi dettagli: quando la prima canzone sarebbe stata presentata alle radio, le interviste che avrebbero rilasciato (a bravo sopra a qualunque altra rivista), la data di vendita del loro primo singolo, quella dell’album, i servizi fotografici, le loro esibizioni in pubblico, la promozione da città in città, i loro appuntamenti in televisione e tanto ancora. Bill aveva davvero lavorato sodo per ottenere la materializzazione dei suoi sogni ed ora che era ad un passo da ciò che aveva sempre desiderato non aveva voluto lasciare niente al caso.

Lyric invece era stata a Parigi con suo zio.

A convincerla ad andare in Francia era stata la proposta dello zio di passare del tempo con lui, fatto piuttosto raro visti gli impegni lavorativi che lo occupavano, e la prospettiva di assistere ad alcune sfilate nella città culto della moda. Inoltre a Parigi, le aveva detto, ci andava anche per informarsi di persona dei corsi di designe che dopo il diploma aveva l’intenzione di frequentare. Anche Lyric aveva i suoi sogni e come Bill voleva farlo con le sue forze, guadagnandosi da sola qualcosa che fosse solo suo.

“Venti, ventuno, ventidue, ventitre…” già, anche Lyric aveva le sue aspirazioni e ciò che avrebbe dovuto fare per realizzarle l’avrebbe condotta, poteva darsi, su una strada che non sarebbe stata necessariamente la stessa che percorreva lui.

Bill aveva cominciato a pensare anche a questo.

La distanza o comunque i futuri impegni che lo avrebbero tenuto occupato, la possibilità di diventare un personaggio pubblico, erano fattori che avrebbero condizionato fortemente il suo legame con Lyric. Perché implicavano degli sforzi che avrebbe dovuto compiere per mantenere salda la loro relazione.

Si fermò al numero quaranta appena una Volvo argentata parcheggiò di fronte alla casa. Era arrivata.

Le sue mani formicolarono subito e le affondò dentro le tasche dei jeans. Non doveva permettersi atti troppo plateali, c’era lo zio di Lyric in quella macchina, lo aveva riconosciuto, e non voleva minare la simpatia già precaria che quell’uomo nutriva nei suoi confronti.

Lyric scese dal veicolo qualche attimo dopo. Dietro di lei intanto il sole scoloriva al di là dell’orizzonte.

“Eccomi qui! Ancora una volta ho accontentato i tuoi capricci.” Lyric lo disse come se fosse realmente arrabbiata ma Bill capì che stava bleffando. Restò al suo gioco ed interpretò il ruolo del fidanzato colpevole “Mi dispiace se ti ho costretta a vedermi quando potevamo perfettamente rimandare a domani. Però non è colpa mia se ti sei messa con un ragazzo infantile e capriccioso.”

“Vuoi dire che sono stata io a sbagliare nel sceglierti?”

“Già!” le puntò il dito con fare accusatorio “Quando ti sei innamorata di me lo sapevi che avresti dovuto prendermi così com’ero.”

“Bè potrei rimediare al mio errore lasciandoti.”

“Se ritieni di poterti liberare di me in modo tanto semplice allora non ti resta che provare.”

Lyric fece un passo verso di lui, fino a quel momento era rimasta accanto alla Volvo, lanciandogli uno sguardo di sfida “Dici che non sarei capace di mollarti su due piedi?”

In pochi passi se la ritrovò davanti, come una visione divenuta straordinariamente reale in pochi istanti, lo squadrava sfidandolo ad una degna risposta.

Bill provò qualcosa di indecifrabile mentre allungava istintivamente le mani verso di lei, qualcosa di molto forte, non sapeva come descriverlo ma da quando aveva il permesso di toccarla quel qualcosa era una costante.

Assieme alle mani mosse all’unisono anche il suo corpo sentendosi trascinato dalla forza di attrazione che lei esercitava su di lui. Le sue dita si appoggiarono sui fianchi di Lyric senza neanche accorgersene e la strinse in quel punto con una leggera pressione. Peccato che ci fosse quel fastidioso strato di cotone a dividere le loro pelli.

“Allora pensi davvero che non riuscirei a liberarmi di te?”

Il blu degli occhi di Lyric lo trapassarono da parte a parte e lui si lasciò catturare senza rimostrare alcuna protesta per quell’ennesimo dialogo di sguardi. Dopo tanto, tanto, tempo Bill riusciva a comprendere quel mare che quando l’aveva conosciuta gli era apparso così lontano. Così come Lyric aveva imparato a sua volta.

Al momento però stavano solo discutendo su chi tra i due sarebbe capitolato per primo e questa era una sfida difficile da risolvere perché entrambi non concedevano mai niente troppo facilmente.

Bill non le rispose.

Prima preferì abbracciarle le spalle e accarezzarle la fronte con le labbra, Lyric venne punzecchiata dalle famigliari scariche elettriche.

“Non è questo il punto. Il fatto è che io poi non sarei d’accordo con la tua decisione.”

“Bill sei un despota!”

Lui rise compiaciuto a qualche centimetro dal suo orecchio.

“Lo devo essere Lyric, perché se non tiranneggio un po’ finisce che l’equilibrio crolla. Renditi conto che devo fare quel che posso da quando mi sono incastrato con te.”

Lyric intuì una dichiarazione di resa piuttosto inconsueta in quelle parole.

Interruppero il discorso perché Bill aveva iniziato a chinare il capo.

Questa volta ho vinto io.” Fu il fugace e soddisfatto pensiero di Lyric mentre chiudeva le palpebre. Prima ancora che le loro labbra si posassero le une sulle altre sentì come sempre la testa iniziare a girare mentre nelle orecchie si propagava un battito martellante, il suo cuore.

In una manciata di secondi le loro bocche finalmente si toccarono.

Dapprima fu una lenta carezza che divenne meno dolce man mano che trascorrevano gli istanti. Da quella specie di esercizio di riscaldamento passarono infine al bacio vero e proprio, la quale si dimostrò famelico e stordente.

Le labbra di Lyric si mossero su quelle di Bill alla ricerca di quella loro alchimia che esplodeva quando si baciavano e non dovette cercare allungo. Il ragazzo infatti ci mise tutte le sue energie per non deludere le sue aspettative anche perché, lui per primo, ci teneva a soddisfare le proprie.

Si erano baciati così innumerevoli volte, spesso in maniera estremamente intima, per questo avevano imparato ad avere i giusti tempi e una, seppur imperfetta, misura. Lyric e Bill sapevano, a seconda della situazione, come controllarsi e quel momento era uno di quelli in cui non dovevano esagerare. In questo caso particolare si trattava di avere un minimo di decenza e tatto davanti allo zio di lei, però se fossero stati soli in una stanza appartata l’ultima cosa a cui avrebbero dato importanza erano decenza e tatto.

Bill provò a fermarsi prima che predominasse la vocina avida dentro la sua testa, quella che diceva di trovare un modo qualunque per portarla in camera sua, dove avrebbero potuto approfondire. Non fu facile portare a compimento la scelta più ragionevole, soprattutto perché Lyric lo bloccò un paio di volte prima della meta, usando la lingua in una maniera tale che sentì i brividi correre a passo di danza tra i suoi muscoli.

“Lyric, per favore…” l’ammonì in uno spiraglio di lucidità.

Lei allora si fermò, scostandosi di pochi centimetri, ancora disponibile a continuare se lui avesse voluto o lei avesse deciso di fare la bastarda. Proprio in quel momento sul suo viso si formò il ghigno che tanto rimproverava allo zio.

“Per favore cosa?” fece la finta tonta come se non conoscesse il problema.

Bill scosse il viso e poi ridacchiò un poco mentre le dava un altro bacio, piccolino però.

“Tu mi ucciderai. Lo so che presto o tardi mi farai fuori.”

E questo lo pensava davvero. Da quando stavano insieme gli aveva rivelato una parte molto audace e sbarazzina, quella a cui piacevano molto le loro attività intime per intenderci, anche se manteneva la sua imperturbabile discrezione. A Bill non dispiaceva neanche tanto subire di persona quell’aspetto della sua personalità ma a volte era davvero dura tenerle testa.

“Non ti è piaciuto?”

“Ti assicuro che mi è piaciuto fin troppo.” Bill sospirò premendo il suo corpo contro di lei e prese a sussurrare pianissimo “Infatti adesso ho dei seri problemi.”

Lyric capì immediatamente e si fece porpora, vagamente imbarazzata, anche se i suoi occhi sprizzavano una insana luce di divertimento “Mi dispiace, non credevo di provocarti questo.”

“Mi dispiace un corno!”

“Non posso dirti o farti nient’altro per mettere apposto le cose.”

Farti?” lei scoppiò a ridere di gusto e Bill la trucidò con gli occhi “Sei una strega!”

Lyric continuò a ridere, era troppo divertita per quell’imbarazzante fataccio “Pensa a qualcosa di poco eccitante e sexy. Forse così torna tutto apposto là sotto.”

Bill seguì il consiglio anche perché non poteva di certo ripresentarsi in casa messo in quella maniera oscena, se poi fosse corso a per di fiato verso il bagno di camera sua sarebbe stato troppo facile per quei tre capire cosa gli fosse accaduto. Si staccò pian piano da lei e limitò il loro contatto fisico alle loro mani poi chiuse gli occhi pensando seriamente a qualcosa che gli facesse ribrezzo.

Riuscì a calmarsi nel giro di dieci minuti.

Il pericolo era scampato, per il momento, però avrebbero dovuto al più presto risolvere in altre modalità. Magari portando a compimento il corso naturale di certi stati d’eccitazione. Dopo tutto era un ragazzo stramaladettamente uguale a qualunque altro. Lyric mise da parte il suo personale divertimento e si dimostrò realmente attenta a non farlo ricadere in tentazione.

“Farai la brava?” chiese Bill non vedendo più la malizia nei suoi lineamenti.

Lei si portò una mano sul petto “Certo, farò la brava finché non saremo soli.”

Bill stava per accusarla di aver appena fatto un appunto inopportuno quando il signor Alysei la chiamò dalla Volvo. Lui e Lyric cominciarono a parlare in inglese ed ovviamente Bill non capì nulla di quello che si stavano dicendo.

Lei si avvicinò alla macchina lasciandogli andare la mano e i due Alysei formularono delle frasi ad una velocità al di là delle lacunose capacità linguistiche di Bill. Lo zio le consegnò infine la borsa e dopo un ultimo scambio di parole la Volvo partì alla volta di chissà dove.

“Ehm…cosa è successo?”

Erano rimasti soli. Lyric sorrise.

“Mi ha detto che se ci tenevo tanto potevo restare a casa tua un altro poco. Verso mezzanotte manderanno il mio autista a prendermi.”

“Fantastico!!” esultò Bill ad alta voce salvo ricredersi subito dopo “Oh, cazzo!”

“Perché quella faccia delusa adesso? Eri tu quello che insisteva nello stare insieme.”

“Ci sono quei tre.” Disse con faccia moggia “Non possiamo fare molto se ci sono loro.”

Quei tre” non potevano essere altro che i suoi inseparabili compagni di vita.

Lyric lanciò un'occhiata verso l'interno della casa e da una finestra riuscì a distinguere le sagome di Georg e di Tom in piedi uno di fronte all'altro, sembravano battibeccare per qualcosa. Sorrise, effettivamente non avrebbero combinato molto con loro in casa. Qualunque tipo di privacy si annullava quando in un luogo c’era quella banda di rumorosi se poi si univa il quarto membro, ovvero Bill, non c’erano speranze di avere un singolo attimo di serenità.

No, decisamente non avrebbero fatto cose troppo hard.

“Dì soltanto una parola e io li butto fuori da casa a calci.” Bill le aveva preso la mano supplicandola con gli occhi di essere cattiva e capricciosa quanto lui ed imporgli di liberarsi dei suoi amici. Ovviamente sapeva già che Lyric non avrebbe mai fatto niente del genere. Era troppo educata per fare certe cose e poiché andava pazzo anche di questo suo lato sempre così corretto e ragionevole non protestò tanto quando gli rispose di no.

“Non possiamo mandarli in mezzo ad una strada solo perché ci serve la casa e poi questo è il vostro primo giorno di riposo dopo tanto lavoro, no?”

“Non siamo tanto stanchi.” Buttò lì, poco convincente.

Lyric gli sfiorò con le punta delle dita le occhiaie “No? Allora mi sto proprio immaginando di toccare queste borse che hai sotto gli occhi.”

“Reazione allergica dovuta all’uso eccessivo di matita nera di qualità scadente.”

Non commentò neanche “Staremo insieme domani. Casa mia sarà libera.” Bill si arrese.

“Come mai sei sicura che casa tua sarà libera?”

“I miei zii vanno entrambi a Berlino per lavoro domani. Zio Victor poi tornerà a New York.”

“E i tuoi dipendenti?”

Lyric sospirò per l’insistenza ma lo fece bonariamente “Bill, tranquillo, in casa mia ci saremo solo io e te. Sul serio.”

“Lo stavo chiedendo a titolo informativo, nient’altro.” Neanche questa scusa suonò convincente il che dimostrava quanto fosse stanco. In condizioni normali ne avrebbe dette di più realistiche anche se poi lei si sarebbe accorta dell’inganno comunque.

Entrarono in soggiorno proprio mentre Georg inspiegabilmente rovesciava in testa a Tom un bicchiere di coca-cola. Sia Lyric e Bill li guardarono esterrefatti mentre Gustav si era portato le mani sulla faccia e da lì sotto aveva iniziato a strozzarsi con dei singulti che dovevano essere risate.

“Visto che ci tenevi a dimostrarmi cosa sai fare! Ora puoi usare i tuoi capelli per quello che sembrano essere stati ridotti in dread: assorbire liquidi!”

Tom si toccò con un dito la massa bagnata ed appiccicosa che era diventata la sua testa e dopo essersi reso conto che Georg aveva veramente fatto quello che aveva fatto i suoi occhi lampeggiarono di un sinistro istinto omicida.

“Lo sai quanto cazzo ci vuole a lavarsi i miei capelli?”

“Non importa tanto fanno schifo anche se sono puliti.” Fu il commento all’unisono di Bill e Georg.

Tom guardò in cagnesco il fratello “Tu non metterti in mezzo Bill!”

Così Gustav si accorse di loro due “Oh salve! Volete unirvi allo spettacolo? Vi assicuro che sono un duo di comici fantastico.”

“Cos’è successo qua dentro?” domandò l’altro Kaulitz non propriamente entusiasta di conoscere la verità.

Fu Georg a rispondere “Nulla, il tuo gemello scemo farnetica sul fatto che abbia barato per vincere la partita. Non vuole ammettere che è negato al gioco.”

“Negato sarai tu brutto coglione! Io stavo vincendo!!” in quel momento sembrava che Tom fosse regredito allo stadio infantile. Non che Georg fosse da meno, evidentemente era esausto anche lui, e comunque era stato istigato ad abbassare la propria maturità al livello di Tom “Scordati che ti conceda la rivicinta. Hai definitivamente perso! PERSO!”

“Hai paura di essere sconfitto!” lo accusò punzecchiandogli il petto con un dito.

“Continua pure a dare aria alla bocca se ti fa sentire bene ma resta il fatto che sei il perdente!” L’ultima parola la scandì sillaba per sillaba e Tom sembrò più che mai intenzionato a fargli del male.

Lyric si unì alla bolgia rumorosa seguito da un Bill lievemente deluso di doverla dividere con gli altri. Sapeva però quanto ci tenesse a passare del tempo anche con loro, erano suoi amici dopo tutto e doveva approfittare di ogni occasione. Una volta che avessero debuttato serate simili non sarebbero state più molto possibili e di questo lei ne era consapevole. Voleva goderseli fin tanto che le loro esistenze non erano di dominio pubblico.

“Dai Tom ti sfido io!” si intromise nella contesa e prese in mano il joy-stick della play.

Georg allora diede una pacca sulla schiena del sempre più innervosito Kaulitz “Dai fatti fare il pelo anche da Lyric! Sono sicuro che ti straccerà. Lei ti batte sempre!” Tom, in risposta, gli lanciò addosso una ciotola di pop-corn.

Era bello tornare in Germania. In nessun altro luogo si sentiva a casa come con loro quattro.


It’s like I’ve been awaken

Every rule I had you breakin

It’s the risk that I’m taking

I ain’t never gonna shut you out.”

Amburgo.

Ottobre 2005.


Quando le sue palpebre gli permisero di vedere nuovamente Lyric era dove l’aveva lasciata.

Accanto a lui, nel suo letto, addormentata a pancia in giù e con la faccia un po’ schiacciata contro il materasso.

Quando dormiva era uguale identica ad una bambina assopita: i suoi lineamenti si rilassavano fino a distendersi completamente mentre le palpebre tremavano un poco seguendo il ritmo regolare del suo sonno. Quei suoi lenti respiri le davano l’aria di un neonato che sognava pacificamente mentre il resto del suo corpo se ne stava disteso in pose spesso scomposte, proprio come in quel momento.

Bill le sfiorò qualche secondo il profilo della guancia, piano, per non turbare il suo riposo e si ritrovò a pensare a quanto in meno di un anno Lyric fosse cambiata.

Prima di tutto era più alta, il che rappresentava un vantaggio perché anche lui lo era, se lei fosse stata troppo bassa sarebbe risultato un po’ faticoso baciarla. Anche se c’era da dire che la probabilità di andare incontro a futuri torcicolli non era una minaccia sufficiente a farlo smettere. Oltre alla sua altezza si era sviluppato improvvisamente anche il resto del suo corpo: era più slanciata, le forme erano meno fanciullesche, il suo seno era una seconda piena ed aveva davvero delle belle gambe.

Lyric era diventata una bella ragazza, fin troppo bella a dir la verità, e non solo per i suoi gusti.

Ovviamente non c’era niente di male in questo, anzi, se le piaceva come era prima ora che stava pian piano fiorendo sotto ai suoi occhi la cosa non poteva che renderlo entusiasta. Però molti più ragazzi la notavano adesso e Bill non riusciva a restare indifferente quando beccava certe occhiatine da parte degli altri esemplari maschili della specie. Era più forte di lui essere geloso marcio.

Aveva sempre avuto il sospetto che sarebbe andata a finire così: Lyric infatti prima era solo carina, a parte quei suoi occhi spezza-fiato, ma dopo aver notato che ogni membro della sua famiglia sembrava essere predisposto alla bellezza Bill si era convinto che anche lei avrebbe seguito lo stesso destino.

La genetica non poteva mentire e così era andata.

Quindi da sempre sapeva che la gelosia sarebbe stato un suo fidato segugio.

Già, il grande Bill Kaulitz, cantante della band più osannata della Germania, non che ragazzo più desiderato della nazione diventava un giovane adolescente come tanti altri quando si trattava di lei. Per quanto apparentemente forte potesse dimostrarsi non era ancora immune dalle ordinarie preoccupazioni sentimentali.

Ora più che mai si sentiva preso da attimi d'ansia quando si domandava come sarebbero riusciti a portare avanti la loro storia nel modo più normale possibile. Gli ostacoli che erano nati riguardavano la crescente fama dei Tokio Hotel, l'impossibilità di vedersi spesso, la lontananza, la sua ascesa come personaggio del mondo dello spettacolo, i giornalisti invasivi e la perdita della sua identità come persona qualunque. Insomma, fin da subito, era apparso chiaro che la loro particolare storia sarebbe diventata ancora meno normale.

Perché oltre a Bill anche Lyric non aveva una posizione comune.

Come avrebbero reagito i giornalisti se avessero scoperto che Bill Kaulitz von Tokio Hotel era fidanzato con l'ereditiera Lyric Hörderlin? Già, perché lei era un'ereditiera e questo non poteva essere ignorato.

Non pensare che te lo dica per vantarmi o per metterti in soggezione. Voglio solo che tu capisca che stare con me è una faccenda complicata, forse non adesso, ma lo potrebbe diventare in seguito.” Aveva detto lei in quell’occasione, dopo qualche mese che stavano insieme, con un fare tranquillo seppur avesse mostrato un che di infastidito nel dover parlare di quegli argomenti.

Bill si era incuriosito perché non era abitudine di Lyric parlare troppo della sua famiglia “Cosa potrebbe esserci di tanto terribile da dirmi? So che sei ricca da far schifo ma non è mai stato un problema per noi. Anzi, ne sono contento, significa che se non dovessi sfondare in seguito potresti sempre mantenermi tu.”

Si era abbandonata ad un risolino ma quasi subito era tornata seria.

Diventerete famosi e sfonderete ne sono convinta al cento per cento. Lo sento, non riesco a pensare ad altro futuro quando vi ascolto suonare o vi guardo su di un palco. È qualcosa che vi spetta come di diritto, volenti o dolenti, sarà la vostra vita.”

Lyric ci aveva riflettuto molto e questo implicava qualcosa di abbastanza serio.

Grazie della tua fiducia. È bello che tu ti aspetti certi traguardi da noi.”

Dico solo che andrà a finire così, non cerco di adularti.”

Dai continua…” l’aveva incitata“Spiegami dove starebbe la difficoltà nel frequentarti dopo che sarò diventato famoso.” L’idea di poter essere speciale agli occhi del mondo non gli pareva così orribile soprattutto perché poi avrebbe potuto stare accanto a lei senza doversi sentire fuori posto.

La difficoltà starebbe nel fatto che non avremmo più privacy se i giornalisti scoprissero che stiamo insieme. Salterebbe fuori un vero putiferio! Perché non solo tu saresti il cantante di una band idolatrata ma saresti anche il ragazzo di un’ereditiera milionaria di appena sedici anni. Il che, come senti tu stesso, suona tremendamente da tabloid.”

Aveva capito bene?

Sei un’ereditiera?” le chiese anche se suonò surreale chiamarla in quel modo. Ereditiera era un appellativo adatto al personaggio di un film hollywoodiano o comunque a qualcuno che viveva una realtà lontana miliardi di chilometri dalla sua. Lyric invece era là davanti e gli stava dimostrando quanto un tale mondo fosse diventato tangibile da quando avevano incrociato le loro strade.

Era diventata rossa “Sì. Però al momento non beneficio direttamente dell’eredità lasciatami dai miei. Potrò entrarne in possesso solo alla maggiore età. Comunque ereditiera è l’unica parola con cui posso descriverti la mia situazione.”

Milionaria?” Anche quella parola suonò terribilmente surreale.

Più o meno.” Fu vaga e Bill allora capì che era meglio non saperlo con esattezza “Non ho voluto sapere quanto mi hanno lasciato, volevo risparmiarmi per qualche anno un mucchio di responsabilità, non è da tutti avere uno o più milioni sul proprio conto bancario. L’unica che lo sa esattamente è zia Freia, il mio attuale tutore legale, e ovviamente i notai delle mie due famiglie.

Uno o più milioni?”

Bill!” lo supplicò “Per favore è già imbarazzante senza che tu faccia quella faccia.”

Ok, ok. Ora mi riprendo.” Parecchi minuti di silenzio dopo era tornato più o meno normale anche se si sentiva come se un camion lo avesse investito ai duecento all’ora.

Suppongo che se i tuoi hanno potuto lasciarti tanti beni da renderti un’ereditiera milionaria anche il resto della tua famiglia è sommersa di denaro.” vide la sua espressione un po' apatica e immediatamente la tranquillizzò “Non pensare male ok? Sto solo cercando di rendermi conto di cosa mi stai mettendo a conoscenza, tutto qui. Lo sai che a me non è mai fregato molto dei tuoi soldi.”

Lyric annuì, gli credeva “Ho incontrato tante persone che si sono sempre interessate di più di ciò che ho, piuttosto che di ciò che sono, quindi detesto quando qualcuno scopre quanto sono fortunata. Ci sono molte persone viscide al mondo.”

E pensi che io potrei essere una di loro?”

Non essere sciocco! Non penso affatto una cosa del genere!”

Allora cosa pensi?”

Penso che è stato sorprendente scoprire che esistesse qualcuno in grado di essere sincero e disinteressato con me così come hai fatto tu. Per questo ti voglio ripagare con la medesima sincerità.”

Molte cose gli furono più chiare alla fine di quel loro colloquio, per esempio, capì perché i rapporti tra i suoi parenti fossero tesi e complicati. Su una cosa concordarono: i giornalisti, fin tanto che erano vulnerabili, non avrebbero dovuto avere il minimo sospetto su di loro, perciò di comune accordo avevano deciso di tenere segreta la loro storia, decisione più che gradita a David, naturalmente.

Da quando i Tokio Hotel avevano debuttato le occasioni di trascorre del tempo insieme erano diminuite rispetto a prima ma nessuno dei due si lamentava troppo. Lei aveva accettato di doverlo dividere con il lavoro e il pubblico mentre lui aveva accettato di non essere costantemente presente e di essere meno possessivo.

Avere una relazione non è il connubio dei soli sentimenti, a volte non basta il più ardente degli amori per tenere a galla una storia, si tratta di saper vivere nei compromessi rispettando opportunamente l’individualità del compagno.

Solo quando si stima e non si teme l’io dell’altro si può parlare di un noi stabile.

Bill e Lyric vivevano così il loro legame.

L’altra notte, comunque, era piombata davanti all'appartamento privato della band senza avvertirlo. Lui ovviamente si era subito chiesto cosa mai fosse successo per farle attraversare mezza città ma Lyric gli aveva spiegato che non c'era una ragione particolare.

Sei tornato in città già da quattro giorni ma non siamo ancora riusciti a vederci di persona quindi, appena concluso lo spettacolo, ho pensato di venire da te invece che aspettare domani.”

Bill l'aveva abbracciata cercando di non gongolare troppo “Ti mancavo così tanto?”

Non ho detto questo!” lo riprese districandosi dalla stretta delle sue braccia.

L'hai sottinteso però!”

No. Per niente ma illuditi.”

Dovresti semplicemente arrenderti all'evidenza: ti mancavo così tanto che non sei riuscita ad aspettare domani per vedermi.”

Ha parlato quello che mi ha chiamato all'una di notte per ascoltare la mia voce.”

Quello è stato un momento di debolezza passeggero!”

Battibeccando erano saliti al secondo piano, dove erano situate le camere da letto di tutti. Gli altri dormivano già da un pezzo per questo c'era un tale innaturale silenzio in casa. Giunti nella stanza di lui Lyric aveva cominciato a cambiarsi mentre Bill si era sistemato sul letto aspettando che lo raggiungesse.

Ovviamente non le staccò gli occhi di dosso mentre indossava una vestaglia da notte color panna con le maniche corte a sbuffo. Nell’armadio c'era sempre un completo da notte, aveva deciso lei di lasciarne un paio, per quando rimaneva a dormire così non doveva sempre portarsi dietro i vestiti.

Restò concentrato su di lei così allungo che non si accorse che era gattonata al suo fianco.

Naturalmente Lyric era una pura tentazione.

Era stato un vero peccato, quasi una tragedia, che entrambi avessero avuto un aspetto così esausto. Con un sospiro interiore si era dovuto accontentare di poterle dormire accanto e in meno di venti minuti si erano poi appisolati.

Lyric cominciò a muoversi finalmente.

Bill adorava quando si svegliava: quei suoi occhi freddi erano sempre smarriti e persi, come se non avessero punti fermi o famigliari che la tranquillizzassero. In quei momenti cercava qualcosa che la rassicurasse e a lui piaceva da matti essere quel qualcosa.

Lei aprì le palpebre molto lentamente finché quel suo blu brillante e gelato non si piantò, direttamente, sui suoi occhi nocciola. Come aveva previsto non lo riconobbe immediatamente e per qualche attimo percepì il suo respiro ansimare, piano, in modo irregolare.

Quel modo di respirare le veniva fuori a causa della lieve ansia che provava appena sveglia. Durava pochissimo ma lui aveva imparato a riconoscere il guizzo di confusione che balenava nelle sue iridi quando veniva fuori. Era un istante di fragilità a cui gli era concesso assistere e la trovava adorabile, anche se nessuno avrebbe detto lo stesso.

Ovviamente lui era pazzo.

Lyric sembrò davvero persa mentre attraversava la fase di transizione tra il suo subconscio e la realtà ma, lui si immaginava, qualcosa le diceva che gli occhi di fronte ai suoi appartenevano a qualcuno che conosceva, qualcuno di cui non si poteva dimenticare da un giorno all’altro. Infatti smise di guardarlo con smarrimento e gli regalò il suo primo sorriso, così bello perché coinvolgeva tutto il volto, e lui provò a ricambiare temendo però di non essere all'altezza.

Illuminata dal sole appena nato Lyric si avvicinò con l’intenzione di dargli il buongiorno. Trascinò con sé le coperte bianche e Bill accolse quell’abbracciò ben volentieri. Raccolse poi il delicato bacio che gli veniva offerto mentre un odore di pelle calda e fiori lo avvolgeva con dolcezza.

“Buongiorno”

Bill le spostò un boccolo dal viso e lasciò poi vagare la mano tra i suoi capelli (sua personale ossessione).

“Buongiorno. Per nostro grande piacere potrai approfittarti di me per tutto il giorno. Ne sei felice?”

“Accidenti non potrei sentirmi più fortunata di così!” le scappò una risata mentre si accomodava nell'incavo del suo collo, si doveva ancora riprendere e qualche minuto di sue attenzioni sarebbe servito allo scopo “Non è da tutti i giorni poter trastullarsi con Bill Kaulitz. Mi sento una donna realizzata.”

“Almeno lo riconosci.”

“Già, qualunque ragazza vorrebbe essere al mio posto. Perché, ovviamente, tutte vorrebbero essere abbracciate e coccolate dal cantante più amato dalle teenagers. Quello strafigo fotonico coi capelli assurdi, dall'aspetto assurdo, che va in giro con dei vestiti assurdi…”

Mi sembrava strano…” pensò lui “Finito di dire stronzate?” aveva capito che lo stava prendendo in giro.

Comunque era un ottimo segno, di prima mattina, stava ad indicare che era allegra.

Lyric annuì chiedendogli scusa “Però è vero che un mucchio di ragazze ti venderebbero la propria anima se questo significasse passare del tempo al tuo fianco.”

“Sarebbe uno spreco vendersi l’anima per un misero ritaglio di tempo. Non è un affare vantaggioso. Almeno si deve pretendere tutto il tempo che può durare un'anima, solo in questo caso, l'affare sarebbe equo per chi decide di cedere.” Se ne uscì con quella risposta particolarmente articolata e lei lo fissò domandandosi come gli fosse venuto in mente.

“Parli dell'eternità?” chiese interessata dall’argomento.

“Esatto.” Bill si interruppe per poterle giocherellare con i suoi capelli e Lyric per qualche secondo non prestò molta attenzione, era in astinenza da troppo tempo per non subire l’effetto-Bill “Dammi la tua anima come pegno ed io ti giuro che passerò l'eternità con te.”

“E passeresti l'eternità affianco a qualcuno in cambio dell’anima?”

“Io non sto parlando di qualcuno in generale.” A volte si chiedeva se facesse finta di essere ingenua o semplicemente si divertisse troppo a fargli sputare fuori la verità così facilmente. Non che lei non fosse già, in qualche modo, a conoscenza di ciò che gli frullava nella testa “Io parlavo della tua. Che me ne faccio delle altre?”

Il discorso era molto strano soprattutto perché nessuno dei due aveva idea di dove sarebbero andati a finire. Si fecero muti, studiandosi attraverso il contatto dei loro sguardi. Lyric ebbe la sensazione di aver già parlato di qualcosa di simile anche se non ricordava con chi ma passò in secondo piano appena comprese a cosa si stesse riferendo.

In silenzio si riportò, con grande sorpresa di Bill, alla posizione di prima: distesa sul suo corpo, con i gomiti appoggiati ai lati del viso e la faccia sospesa a qualche centimetro sopra di lui. Una coltre di capelli gli annullò la visuale ed ogni cosa scomparve a parte il viso di lei.

“Sei un ragazzo presuntuoso, sfrontato, pretenzioso, egocentrico, egoista, con alte vette di paranoia e geloso…”

Era una sensazione che non poteva essere descritta. Il mondo là fuori andava avanti, imperterrito e abituale, eppure in quella camera il tempo aveva smesso di respirare. Era ipnotizzato da quello sguardo intenso e concentrato come lo era Bill.

“Effettivamente sono un pessimo soggetto.” riuscì a rispondere, la voce rantolante.

“Ma sei anche l’unica persona a cui non saprei rinunciare.”

Una delle tante cose che amava di lei era che parlava la sua stessa lingua.

Bill annuì, arrendevole, le credeva.

La prese alla base della nuca e la trascinò verso il basso.

“Purtroppo non sparirò mai dalla tua vita.” sussurrò prima di cedere a sua volta.

Era una condanna più che accettabile pensò Bill.


*****


Alphonse sbadigliò ancora una volta e tentò di nascondersi dietro ad una mano.

Sperò in cuor suo che gli ospiti di sua nonna non se la prendessero troppo per quegli evidenti segnali di noia, aiutati in gran parte dalla stanchezza, anche se non potevano pretendere molta attenzione. Con quel loro inglese monotono e pesantemente accentato era impossibile concentrarsi, gli ricordava troppo il modo di parlare del suo anziano, più morto che vivo, professore di francese.

Era persino più divertente flirtare svogliatamente con la biondina seduta al tavolo di fronte che seguire quel blaterale continuo di affari. Guardando il viso di granito di nonna Cassandra si chiese se anche lei si stesse annoiando ma liquidò il quesito ricordandosi che quella donna viveva per il lavoro.

Tutti i suoi famigliari, a dir la verità, vivevano per il lavoro.

Una delle ragioni per cui si ostinava ad essere l’ultimo superstite dell’isola-che-non-c’è era l’orrida idea di non avere altra scelta, una volta deciso di maturare, che occuparsi della società di famiglia.

Fin da quando era nato ogni suo passo era già stato programmato affinché un giorno occupasse una posizione importante alla Mirage Group, superando suo cugino Hector possibilmente, poiché era l’avversario che il senso di supremazia di sua madre aveva deciso di affibbiargli. Sinceramente non era mai stato interessato alle faide, richiedevano uno sforzo per cui non valeva la pena, era Adele ad impazzire di estasi quando si trattata di competere. Lei era l’orgoglio dei coniugi Alysei-De la Croix, esaudiva ogni loro aspettativa e compiaceva la maggior parte delle loro richieste.

Questo perché era perfettamente a suo agio nella gabbia dorata mentre Alphonse non si era mai fatto una ragione per come si comportavano con lui, come se non fosse stato un individuo capace di intendere e volere.

Un ingrato? Non riusciva a pensarla così.

Voleva poter fare esperienze personali, magari anche sbagliare e commettere un mucchio di errori, poter insomma fare da sé. Forse in fine sarebbe arrivato alla conclusione che il futuro tanto agoniato dai suoi era davvero il futuro migliore per lui, infondo amava il tenore della vita che conduceva, ma voleva capirlo da solo. Non era la meta finale ad interessargli ma la possibilità di arrivarci con le sue sole forze.

Nell’ultimo anno quella frustrante situazione era pian piano peggiorata fino al punto che Alphonse, per ribellione, aveva combinato un paio di guai nella sua vecchia scuola tra cui, per citare il culmine, allagare la modernissima palestra dell’istituto, distruggendo attrezzature sportive dal valore di migliaia di dollari.

Qualche parte ingenua di sé gli aveva fatto credere di poter ottenere un’attenzione vera questa volta e non la solita superficiale ed insipida di sempre. Avrebbe voluto vedere preoccupazione in loro o magari un tentativo di comprensione ma si era visto troppe fiction strappalacrime: i genitori non erano divinità immuni dall’imperfezione umana.

I suoi non di certo.

Risolsero i suoi guai nella solita maniera: una grossa donazione e una punizione per niente spiacevole. Una vera tragedia, aveva pensato sarcastico, non avere il permesso di guidare le macchine sportive di papà e vedersi ritirato le carte di credito per due mesi.

Didi gli aveva consigliato di arrendersi “Dovresti apprezzare l’indifferenza di quei due, avresti molto più libertà se ti decidessi ad essere, anche solo per finta, come vogliono loro.”

L’aveva detto che la gemella era più furba di lui?

La frustrazione continuò a crescere tanto che vivere a Boston divenne insopportabile. A Febbraio parlandone con l’unica persona che poteva comprendere quell’insoddisfazione, ovvero Lyric, era uscita fuori l’idea di trasferirsi per un po’ in Europa, a Parigi, dai suoi nonni paterni.

Un po’ d’aria nuova ti farebbe solo bene. Se continui a vivere così finirai per fare una grossa stronzata.”

Di stronzate ne ho fatte a centinaia. Non credo che rimangano tante cavolate in grado di sconvolgermi la vita.”

Ti ricordi di Taylor King?”

Allie aveva fatto una smorfia allo specchio di fronte a cui era seduto “Non finirò come quell’idiota di King! Non ho nessuna intenzione di drogarmi!”

L’aveva sentita brontolare in tedesco mentre qualcuno altro rideva, sicuramente Bill.

Ok, può darsi che abbia sbagliato esempio ma il punto è un altro. Ci sono serie infinite di cavolate che potresti combinare ed io sono preoccupata per l’eventualità che tu ceda alle tue manie di protagonismo.”

Allie aveva borbottato per lamentarsi della scarsa fiducia.

Comunque maman et papa non mi permetteranno mai di lasciare Wiston, lo sai che è il miglior college del Massachussets. È il loro sogno che mi diplomi lì e poi dritto, dritto fino ad Harvard.”

Se ci rimetti la sanità mentale non credo che conti molto dove ti diplomi e comunque di scuole pompose ce ne sono anche a Parigi. Tenta.”

Straordinariamente Amelia e Leonard gli diedero il permesso di trasferirsi. Avrebbe dovuto rispettare alcune regole fondamentali però: niente più casini a scuola, voti sempre tirati al massimo, comportamento più tranquillo, niente eccessi e nessun tipo di spesa esorbitante.

Un sollievo enorme aveva inondato i suoi polmoni dinnanzi a quella inaspettata risposta.

A Marzo si era trasferito a Parigi e nei seguenti mesi la sua stabilità interiore andò migliorando. La nuova sistemazione in Europa inoltre era risultata un’ottima occasione per frequentare di più la cugina preferita. Abitavano ancora in due stati diversi ma ora c’erano meno ore di volo a dividerli.

In quei giorni si trovava in via eccezionale ad Amburgo, era difatti una settimana scolastica, per fare compagnia a Cassandra anche se lei non ne aveva affatto bisogno, da un punto di vista umano, intendiamoci.

La signora Alysei era sempre seguita dal suo staff personale: i due segretari (uno solo sarebbe andato al manicomio con tutto il carico di lavoro che c’era), un assistente tutto fare (il secondo aveva avuto un collasso di nervi proprio il giorno prima della partenza) ed infine la fedelissima guardia del corpo Walker ( che Alphonse sospettava fosse un androide fregato ai servizi segreti ).

L’unica, e vera, ragione per cui si trovasse nella terre teutoniche era che alla nonna serviva un orpello. La gradevole e magnetica presenza della sua persona doveva rendere Cassandra più amabile agli occhi dei media, quelli americani in particolare.

In patria infatti, alcuni giornali nazionali, l’avevano giudicata una statua di ghiaccio che non mostrava alcun tipo di sentimento e poiché vivevano nell’era della televisione, del gradimento popolare e dell’apparenza che veniva giudicata si era convenuto migliorare l’idea che aveva la gente della signora Alysei.

Per questo Allie era stato convocato, geograficamente più vicino alla Germania rispetto agli altri suoi nipoti, in modo tale da darle l’apparenza di una dolce nonna che passa un po’ di tempo assieme al giovane nipote.

Ecco tutto: mera questione di immagine.

Alphonse aveva svolto il suo compito in modo impeccabile e si era anche divertito perché assieme a lui si era unita Lyric. I ricevimenti, i brunch e gli spettacoli erano risultati meno pesanti grazie a lei. Pur non essendo costretta a farlo aveva chiesto di passare un po’ di tempo con la nonna. La lontananza l’aveva resa meno suscettibile alla freddezza di sua maestà l’imperatrice delle nevi. Ora che non la temeva più Lyric cercava di comprenderla.

Quella decisione, secondo Allie, aveva sancito una volta per tutte la totale guarigione di sua cugina e questo lo rendeva felice. Qualcuno almeno si era salvato da quel loro gioco al massacro.

Si accorse che gli ospiti se ne stavano andando e rapidamente tornò indietro dal regno dei sogni ad occhi aperti. Si alzò dalla sedia per stringere la mano a quegli uomini in giacca e cravatta, contento che finalmente si levassero dai piedi.

Una volta che si furono dileguati, quei dannati leccapiedi si erano accontentati di fare solo un paio di riverenze alla nonna, Alphonse ricadde sulla sedia come un sacco di patate e si massaggiò gli occhi.

Era davvero esausto ed era tutta colpa della conquista della sera precedente.

Aveva scoperto con suo profondo sconcerto che quel grandioso esemplare di bellezza nord-europea, straordinariamente brava a letto, russava fastidiosamente con il naso quando si addormentava.

“La prossima volta ti consiglio di evitare eccessiva attività sessuale quando non sei a casa tua.” Fu il sorprendente commento di sua nonna alla vista delle sua faccia pallida e delle occhiaie bluastre sotto agli occhi.

Alphonse emise un suono sommesso. Si tolse la mano dagli occhi e le sorrise a metà tra l’innocente e il furbo.

Era inutile anche solo pensare di fregarla quindi optò per la tattica della verità ostentata con sicurezza.

“Stai tranquilla. Non sono stanco per via del sesso, più che altro è stato il dopo a troncarmi le energie. Ho scoperto che la mia compagnia notturna aveva problemi di respirazione solo dopo che avevamo finito di divertirci.”

Fece una pausa per poter seguire l’ancheggiare sensuale della biondina di prima. Ad un passo dalle porte di cristallo quella gli aveva lanciato un ultimo sguardo, abbastanza eloquente riguardo le sue mire. Rise e poi tornò a sua nonna, ovviamente aveva visto ogni mossa.

“Prima che tu lo dica, lo so perfettamente ma accetta le mie scuse e cerca di comprendere i miei volubili istinti maschili. Mi perdo purtroppo in un bicchiere d’acqua.”

“Giustificarti dietro alla tua natura, Alphonse, non ti servirà molto. Prima o poi finirai per incappare in un disastro terribile con questo tuo girare da una ragazza all’altra, al pari di qualunque cagnolino in calore.”

“Se ti riferisci alle problematiche legate al sesso occasionale ti assicuro che prendo sempre precauzioni…”

Se sua madre avesse scoperto che stava discutendo con la nonna di sesso come minimo lo avrebbe fatto fucilare.

“Se te lo stai chiedendo non ho malattie sessuali ne tanto meno sono così stupido da non indossare il preservativo. Sarò pure un libertino ma non fino al punto da rovinarmi la vita.”

Cassandra Alysei sollevò un angolo della bocca, divertita. Una cosa l’era sempre piaciuta di quel nipote: la capacità di essere sfrontato al limite della maleducazione e dell’inopportuno. In qualche modo, almeno, Alphonse non si era mai dimostrato un’ipocrita.

“So perfettamente che non sei uno sciocco, sappiamo entrambi che ti ami troppo per rovinarti la salute con una scappatella qualunque. Per disastro non intendevo di certo questo tipo di cose ma hai abbastanza testa sulle spalle per ragionarci da solo.”

Il giovane ci rimase un po’ male.

Da ciò che aveva appena detto sembrava che lei lo conoscesse bene, anche se nella loro lunga frequentazione Allie non aveva mai avuto l’impressione di essere interessante ai suoi occhi. Non seppe come prendere le sue parole.

Era abituato a vedere la belva che era in lei e non quella persona pacata e cordiale.

Cassandra chiamò un cameriere al loro tavolo.

Disastro?” pensò al primo morso della omelette al formaggio che gli venne poi servita.

Lo smarrimento durò solo fino al terzo boccone e attaccò spinto dalla curiosità.

“A parte mettere incinta qualcuna, per sbaglio, o ammalarmi di qualche orribile malattia che diamine ci sarebbe di tanto brutto nel mio comportamento?”

Sua nonna non gli rispose e proseguì a mangiare. Alphonse attese invano p ma sembrava non essere intenzionata a dargli una risposta. Se ne stava impassibile come ad ignorarlo intenzionalmente.

Si aspettava da un momento altro una di quelle stangate di cui solo lei era capace.

La vide fare cenno a Walker di andarsene, voleva privacy, il che era strano. Di solito non ce ne era mai bisogno.

Quella guardia del corpo era pagata per tenere la bocca chiusa, pena il licenziamento e una causa legale da parte degli avvocati della famiglia, i migliori nel settore “distruggi e annienta la vita altrui”.

“Pensi che ciò che fai con quelle ragazze non sia una brutta cosa? Dovresti darti dell’inetto.” Cassandra iniziò così quella che poteva essere la prima irripetibile lezione che gli veniva insegnata da lei.

Allie ripensò ad una cosa che gli aveva detto Lyric tempo addietro “ E se anche noi fossimo crudelmente indifferenti nei confronti della nonna? E se noi non l'avessimo mai capita veramente? Se ti capitasse cerca di cogliere la verità Alphonse. Potremmo scoprire che è una bella persona, infondo.”

“Io non sono un inetto! Faresti prima a spiegarmi le cose così come le pensi invece di girarci intorno.”

“Respira.” Gli ordinò con irritante calma prendendo un sorso di caffè “Stavamo parlando da persone civili quindi non hai bisogno di scaldarti.”

“Perdonami.” Si scusò abbassando brevemente il capo “Ma sai che non mi piacciono molto i discorsi contorti. Sono sempre stato un tipo piuttosto schietto.”

“Oh, tranquillo sono consapevole della tua schiettezza…” e lasciò in sospeso la frase schernendolo con un’occhiata

“Bè, allora potresti dirmi di cosa accidenti stai parlando? Non credo di essere abbastanza intelligente per intuire da solo cosa vortica nella tua mente.”

“Vedi mio caro in cosa pecchi? Trasbordi sicurezza in te stesso da risultare fastidioso eppure quando si tratta di dimostrare il tuo reale valore fingi incapacità. È un peccato perché avresti delle possibilità piuttosto elevate di eccellere se solo smettessi di nasconderti.”

Alphonse la studiò per un minuto buono, stava dicendo sul serio? Non voleva sbagliarsi ma gli era parso di aver appena ricevuto dei complimenti, tra le righe, sarebbe stata la prima volta da lei.

“Sono abbastanza sorpreso. Non credevo che avessi un’opinione positiva di me.”

“Ovviamente hai un mucchio di lati negativi.”

“Certo.” Fece con sarcasmo “Mi sembrava che ci fossero troppe rose e fiori.”

Cassandra proseguì per niente turbata di averlo preso in contro piede, anzi, era a suo agio quando qualcun altro non lo era in sua presenza. Le piaceva il vantaggio.

“Ma si possono ignorare. Chiunque può avere la presunzione di credersi perfetto ma a conti fatti nessuno lo è mai, comunque riguardo alla mia opinione su di te non ti stupire. Io ho un’opinione su tutto e tutti.”

“Naturalmente.” Preso dal discorso Alphonse non mangiava più, era troppo interessato “Ma stai facendo un mucchio di digressioni, io volevo solo sapere a che tipo di disastro ti stessi riferendo prima.”

Cassandra si appoggiò allo schienale della sedia e lo esaminò per un po’ prima di fargli una domanda che lo spiazzò “Quale è la tua opinione su di me Alphonse? Sinceramente, non temere ripercussioni.”

Cosa c’entrava questo, adesso?

Provò panico tanto da spalancare gli occhi ma poi decise di risponderle “Sei una puntigliosa perfezionista, che adora in modo sviscerale il lavoro ma lo fai perché ci tieni e mandare avanti l’azienda a cui il nonno teneva tanto.”

Notò di averla sorpresa con l’ultimo appunto ma non lo bloccò per delle spiegazioni. Comunque era sincero, aveva sentito una volta sua madre parlarne con la zia Eleonor ed aveva scoperto che prima della morte del nonno lei era stata un’altra persona.

Nel posto giusto al momento giusto, dicevano di lui, ma più che altro finiva sempre per farsi gli affari degli altri.

“Sei capace di instillare terrore, panico ed insicurezza nell’animo di chi ti circonda. Risulti calorosa come un iceberg e sei altrettanto pericolosa ma un tempo eri capace di gesti d’affetto.”

Anche questo lo pensava d’avvero.

Quando era piccolo, in un’occasione, venne sgridato dalla madre perché non aveva avuto un contegno appropriato davanti a degli ospiti, per la vergogna si era nascosto in un armadio a piangere. Cassandra lo aveva trovato tra i giacconi tutto singhiozzante e straordinariamente invece di sgridarlo lo aveva consolato. Ricordava perfettamente l’unico abbraccio che c’era mai stato tra loro, l'unica volta che aveva avuto il dubbio di essere amato da lei.

“Ti trovo rigida, avversa a tutto ciò che mina la posizione e la stabilità della famiglia, sei tremendamente seria e per te ogni cosa deve essere affrontata come una trattativa commerciale. Non ti lasci mai andare e non fai entrare nessuno nella tua vita.”

Titubò prima di parlarle della più importante e rischiosa tra le sue opinioni.

“E poi a volte mi viene da pensare che tu, indistruttibile divinità tra i mortali, sia triste. Perché nel centro di una sala, pur essendo circondato da un mucchio di gente che pende dalle tue labbra, tu sembri provare solitudine.”

“Cosa ti fa dire questo?”

“L'espressione del tuo viso.” Indicò con un gesto rapido il suo volto mentre prendeva un po’ più di confidenza con quell’atmosfera “È impercettibile ma mi è capitato di coglierla. Anche io provo a nascondere un sentimento simile quando mi trovo in mezzo alle altre persone.”

La nonna inspiegabilmente increspò le rughe della faccia con gentilezza e gli parve di vedere la stessa persona che tanti anni prima si era presa cura di un moccioso piagnucolante “Quindi anche tu saresti triste?”

Era decisamente irreale, pensò, quello che stava avvenendo era un evento irreale.

E se anche noi fossimo crudelmente indifferenti nei confronti della nonna?”

Alphonse scrollò le spalle per levarsi di dosso lo stupore e anche per apparire tranquillo di fronte alla domanda che gli era stata fatta “Sì, ma è una tristezza che va e viene. Giunge solo quando mi fermo troppo allungo a pensare oppure quando mi ricordo di non avere un senso da portare avanti.”

“Vedi?”

“Cosa?”

“Il disastro di cui parlavo è proprio questo.” il palmo della sua mano era rivolto verso di lui come a offrirgli un vassoio colmo della verità più evidente del mondo. Ma Alphonse non coglieva proprio.

“La mancanza di un senso nella tua vita ti rende triste ma piuttosto che cercarlo preferisci interpretare la parte di un moderno Casanova. Se ti importasse davvero solo divertirti e portarti a letto più femmine possibile allora ciò che fai sarebbe più che normale ma tu non lo fai solo per questo. Continuando su questa strada finirai per perderti.”

E se anche noi non l'avessimo mai capita veramente?”

“Il disastro sarà questo mio caro: tu che non cerchi quel senso perché drogato dall’illusione di avere fatto una scelta vantaggiosa. Ciò di cui non ti rendi conto è che finirai per essere arido di valori e questo ti condurrà ad una cecità permanente. Hai capito?”

“Più o meno...” rispose frastornato.

Non avrebbe mai creduto che sua nonna pensasse quelle cose.

Che la crudele strega avesse davvero un cuore? Doveva capirlo.

“Ma anche se finisse così per me, te ne importerebbe davvero qualcosa?” azzardò a chiedere stupendosi del suo coraggio.

Cassandra non mostrò il minimo tentennamento “Certo. Riguardo a voi giovani...” si riferiva a tutti i suoi nipoti “...ho sempre tenuto in considerazione solo il bene. Ho sempre pensato a cosa fosse giusto per voi anche se spesso i miei piani non corrispondo ai vostri.”

“Oh...” gli uscì dalla bocca leggermente aperta “Mi dispiace ma sono scettico. Abbiamo sempre pensato che fossi più o meno infastidita da noi.”

Sua nonna sospirò e per un attimo le si incupirono le iridi “Alphonse se vuoi puoi credermi in caso contrario non ne sarò rattristata. So di non aver mai avuto successo nel dimostrarmi una nonna esemplare.” Era seria, aveva la stessa serietà di sempre a cui però si era aggiunta della stanchezza.

“Pensavi al mio bene quando hai convinto i miei a mandarmi a Parigi?”

Questa era una domanda che aveva bisogno di una risposta. Quando zio Victor gli aveva spifferato quello che aveva fatto la nonna non gli aveva veramente creduto. Era inverosimile che lei lo avesse aiutato.

Cassandra non dovette chiedere come lo sapesse.

C’era una sola persona che andava in giro a distruggere la sua fama di signora delle tenebre “Certo. I tuoi hanno sempre avuto troppo la testa sulle nuvole per accorgersi che stavi male. Ho pensato che liberarti di loro per un annetto o due ti avrebbe giovato. Comunque la prossima volta che ti viene voglia di fare l’esibizionista per frustrazione fermati a pensare e non metterti a demolire le proprietà scolastiche.”

Fu ovviamente una rivelazione pesantissima da ricevere. Era seduto con una perfetta estranea.

“Ti ho turbato con questo discorso?”

“Ovviamente!” saltò su Allie strabuzzando gli occhi “È stato peggio che presenziare ad una delle nostre fantastiche rimpatriate di famiglia.”

“Esagerato.” Liquidò il paragone con uno schiaffetto all’aria “Non vedo tuo prozio Alfred barcollare ubriaco mentre ricorda a tutti la sua eccitante vita, ne sento l’odore orrendo dell’acqua di cologna della cugina Beth e poi non c’è gente che si squadra con progetti bellici in mente.”

Effettivamente aveva esagerato. La riunione annuale dei venti membri che componevano l'intera famiglia Alysei era un avvenimento catastrofico che lasciava ogni anno cicatrici terrificanti.

“Come mai queste confidenze?”

“Ne avevo voglia.”

Il ragazzo annuì in modo distratto.

Quando ne avrebbe parlato con Lyric si sarebbe turbata persino lei.

Se ti capitasse cerca di cogliere la verità Alphonse.”

“Nonna!” la fermò mentre questa si stava alzando dalla sedia “Potrei azzardare una domanda?”

Annuì tornando a sedersi e attese con la solita intaccabile sicurezza. Attribuiva quel suo momentaneo eccesso di umanità alla stanchezza anche se era più plausibile il fatto che avesse scelto, per una volta soltanto, di aprire le porte blindate del suo spirito.

“Quale…voglio dire… il senso della tua vita?”

Decisamente era la domanda più delicata che le fosse stata rivolta da anni ma non ne ebbe paura o fastidio.

Cassandra vagò per un poco in se stessa anche se i suoi occhi rimasero fissi su quelli del giovane. Con il passare del tempo la risposta era sempre la stessa, lo sarebbe stata fino alla fine.

“Tuo nonno Thomas, senza ombra di dubbio.” E davanti ad Alphonse comparve qualcuno che non aveva mai incontrato “Ti stupirà saperlo ma ho sempre pensato che la ragione per cui veniamo al mondo è quella di lenire la solitudine di un altro essere umano. Venire al mondo per qualcuno non è una prospettiva tanto brutta. Per questo ti consiglio di smettere di fare il bambino.”

“L'amore?” era più che scioccato, adesso si aspettava di vedere cadere rane dal cielo. Un’apocalisse di fuoco sarebbe stata più che appropriata adesso “Stai dicendo sul serio?”

Cassandra alzò un sopracciglio sottile e lo interrogò con lo sguardo. Stava dicendo sul serio.

Però anche se trovi questa persona, per ragioni che non dipendono da noi, puoi sempre finire per perderla.”

E tu come hai fatto allora?”

Appunto: io non ce lo fatta.”

Potremmo scoprire che è una bella persona, infondo.”

“Alphonse come va la storia tra Lyric e quel Bill Kaulitz?”

“Molto bene.” rispose stupito che lei sapesse di loro ma infondo la nonna finiva sempre per conoscere tutto di tutti “È molto felice, direi in maniera estatica.”

Cassandra annuì rimuginando qualcosa tra sé. Non aveva ancora abbandonato quella sua aura addolcita, quei suoi occhi leggermente sfumati d'affetto, era molto bella.

“Allora spero che sia più fortunata di me.” augurò infine con un sospiro di stanchezza strascicato verso la fine.

“Già…” Alphonse si vergognò di aver passato anni credendola una persona che non era.

“E ovviamente lo auguro anche a te.” Fu l’ultima cosa che gli disse prima di alzarsi per andare incontro all’ennesimo impegno del giorno. Alphonse colse una brillante scintilla d’affetto nella carezza che gli fece sulla guancia, fu il suo ultimo gesto prima di rinchiudersi di nuovo dietro alle porte di ghiaccio.

Scommetteva che Lyric avrebbe provato la stessa struggente morsa allo stomaco. Avrebbe sentito la stessa tristezza.

Non avrebbe più guardato la nonna con gli stessi occhi.


*****


“Mi dispiace che non ti possa riposare neanche oggi.”

Georg mugugnò non potendo parlare con la bocca piena e strinse le spalle. Lyric attese che ingoiasse il boccone di pancake.

“Tranquilla. Sono io che avrei dovuto mettermi avanti con i compiti, ho lasciato che si ammucchiassero. Mi passi la cioccolata?”

“Certo.” Gli porse il vasetto di cioccolata liquida e lui lo spremette sulle frittelle ricoprendole quasi completamente, poi ricominciò a mangiarle con evidente gusto.

“Grazie per la colazione! Ero già rassegnato ad accontentarmi dei cornflakes di Tom.”

Lyric non riuscì che sorridere compiaciuta. I pancake erano apprezzati e tutto ciò le faceva solo piacere. Non avrebbe dovuto avere dubbi visto che Bill li aveva divorati ma poiché lui tendeva a mangiare più o meno qualunque cosa quando era affamato, non poteva essere certa che fossero veramente buoni.

“Grazie. Ho pensato che avreste gradito non occuparvene voi. Dovete essere veramente stanchi.”

Georg beve del succo d’arancia e rise “Davvero premurosa ma stiamo bene. Non siamo così esausti come sembra, dobbiamo ancora arrivare allo stadio dell'esaurimento nervoso. Comunque, per quanto riguarda la cucina, non ce ne occupiamo mai noi, potremmo avvelenarci da soli se ci provassimo.” Incrinò il labbro in una piega disgustata mentre inghiottiva un'altra porzione di pancake “Gli unici che vagamente sanno mettere in piedi qualcosa di commestibile siamo io e Gustav ma il risultato non è di certo qualcosa che vorresti mangiare tutti i giorni, tre volte al giorno. Finiamo sempre per ordinare qualcosa.”

“Ed è così che andrete in ospedale per una lavanda gastrica completa. Potreste imparare a cucinare.”

“Si realistica! Pentole e fornelli sono off-limits, finiremo per far esplodere la cucina e non sapremo neanche come ci siamo riusciti.” Lyric roteò gli occhi per quell’esagerazione anche se sotto, sotto pensava che una briciola di verità c’era in quelle previsioni.

Georg la guardò di sottecchi “Comunque ci sei sempre tu ad occuparti di noi quando stiamo ad Amburgo.” Le diede una pacca sulla spalla illuminandosi di gratitudine “Ma ammetto che è un’impresa che alla lunga stanca. Mi chiedo come tu non ci abbia ancora denunciato per inquinamento ed abbrutimento dell’ambiente.”

Ridacchiarono “Da quando esiste il reato di abbrutimento dell’ambiente?”

“Bè a qualcuno verrà in mente di fare questa legge se vede le condizioni della nostra casa.” Ed indicò il disordine in soggiorno e in cucina. Niente di così disastroso considerati i loro standard, erano spazi ancora vivibili “Credo proprio che dovremmo riordinare un pochino.” Annunciò mentre guardava mesto la pila di piatti, superstiti della sera prima, che occupavano il lavandino.

“Dovrebbe rimanere anche Bill a darvi una mano, scommetto che metà del casino qua dentro è opera sua.”

Georg fece una faccia che più o meno confermava quello che aveva appena detto “Non dire cavolate, è da un po' che non passate del tempo da soli e poi Bill più che d’aiuto sarebbe d’intralcio. La diva non ha idea di come si usa una scopa.”

“A me piace avervi tra i piedi.”

“E a noi piace avere te tra i piedi ma non è altrettanto piacevole guardarvi mentre vi trattenete. Senza offesa non voglio essere un blocco per le vostre smancerie, sono per l'amore libero.”

Era sempre divertente parlare con Georg, i muscoli del sorriso erano sempre al lavoro quando passava del tempo con lui, a dirla tutta, quando passava del tempo con tutti loro. David Jost avrebbe dovuto venderli come cura contro la noia e la depressione.

“Ok. Vorrà dire che per fare la nostra parte ci occuperemo della cena.”

Georg restò impalato con la forchetta a mezz'aria, il viso dubbioso.

“Io preparerò la cena. Bill non toccherà niente di ciò che mangerete.” precisò.

Al che l'amico riprese a mangiare spensierato, si era preoccupato.

Gustav entrò in cucina proprio in quel momento.

Aveva addosso dei pantaloni neri da ginnastica, un asciugamano era appeso attorno al suo collo e un po' di sudore gli imperlava la fronte. Doveva essere appena uscito dalla palestra, era da lui fare del sano movimento alle otto e mezza del mattino. Cosa inconcepibile persino per Georg e non parliamo neanche dei gemelli.

“Gustav!” Lyric si alzò e andò ad abbracciarlo incurante del fatto che fosse bagnato e a petto nudo. Non c’era mai stato imbarazzo tra di loro poiché si consideravano come fratello e sorella, era così anche con Tom e Georg.

“Ehi...ciao.” Disse lui, sorpreso, ricambiando “Ma tu non dovevi arrivare alle nove? Bill continuava a ripeterlo tutto ieri.” Si lasciarono e lei gli rispose allegra “Sono venuta in anticipo, l’altra notte.”

“È sgattaiolata nel castello a mezzanotte, come Cenerentola.” Disse Georg, che intanto si era alzato ed era in procinto di lavare i piatti.

“Mi risulta che Cenerentola a mezzanotte scappa via dal castello, non che ci sgattaiola dentro.”

“Quisquilie, variazioni del tema…” rispose l'altro mentre cominciava a insaponare la spugna “I fratelli Grim non avrebbero protestato se modernizzavo un po' una della loro storie, Gustavino.”

“Certo, certo.” gli accordò Gustav e poi si accorse dei pancakes sul tavolo “E questi?”

“È la carrozza che è stata trasformata in frittelle.” proseguì Georg ridendosela tra sè, Lyric scosse la testa. Forse aveva esagerato con la cioccolata e lo zucchero gli aveva dato alla testa.

Vedendo anche su Gustav un’espressione poco fiduciosa mentre studiava il suo preparato lo rassicurò “Le ho cucinate io.”

Il biondo sospirò sollevato e prima di tuffarsi sul piatto si prese del latte dal frigo “Oh, grazie. Mi ero rassegnato a mangiare i cornflakes di Tom.”

“Scherzi? Anche io avrei mangiato i cereali di Tommolo, ti avrei preceduto. Cosa avresti mangiato poi?” i due sghignazzarono.

“In questo caso mi sarei buttato sugli ultimi biscotti di Bill.”

“Che persone orribili che siamo Gustav!”

“Non dirlo a me, ogni giorno mi sento in colpa per quello che combino alle spalle dei gemelli.”

Era fantastico far parte di quell’atmosfera che si creava in una stanza occupata da loro. La serenità e la felicità che le scoppiava in petto nascevano tutte da loro.

Chiacchierò ancora, facendosi raccontare tutto ciò che poteva sul tempo che non passavano insieme e poi, guardando l’orologio al polso, si accorse che doveva andare a cambiarsi.

Aveva lasciato a Bill il tempo di prepararsi per primo e vista l’ora doveva per forza aver finito.

“Lo sa che non deve uscire fuori in maniera troppo appariscente.” Lyric si alzò dalla sedia.

Georg le cinse le spalle con un braccio dandole delle pacche comprensive “Non c'entra niente il dover uscire o no in modo appariscente, Bill deve per forza essere perfetto, dovresti aver imparato. Sicuramente starà ancora davanti allo specchio, valutando se ha usato o meno la quantità necessaria di lacca affinché i capelli restino in posa come vuole lui.”

Non aveva tutti i torti.

Lyric imbronciò le labbra e lanciò uno sguardo alle scale che portavano al secondo piano “Vada per la lacca e i capelli, se quelli non sono apposto non esce neanche morto da una stanza ma non ditemi che si sarà anche truccato?”

Ci metteva un’eternità quando si trattava di truccarsi.

“Con tutta probabilità, poiché esce con te e senza trucco si sente quasi nudo....sì.” fu la sincera e crudele risposta di Gustav.

“Oh! Santo cielo, deve comunque lasciarmi il bagno! Ne ho diritto quanto lui.”

“Siete sempre piene di queste problematiche voi ragazze!” fece Georg ma era le sembrava più una battuta da Tom.

Gustav si era affiancato a loro alzatosi dalla sedia.

“Ancora grazie per la colazione.” Disse mentre uscivano dalla cucina e l’accompagnavano verso le scale.

“Di nulla e se la cosa ti fa piacere ti informo che ci sarà una replica sta sera a cena.”

“Più che piacere. Oltre che portarti via Bill per tutto il giorno ci prepari anche da mangiare, dovremmo farti un regalo per quello che fai.”

“Non dire stupidaggini.” Lo liquidò come se avesse detto una sciocchezza “ E poi Bill mi ha detto che mi farà un regalo per la mia pazienza.” Le si illuminarono gli occhi al pensiero e il battito del cuore per qualche attimo si fece irregolare, si dovette fermare per il lieve annebbiamento che seguì. Si voltò verso di loro per spiegare l’improvviso blocco “Anche se io non vedo la necessità di farlo. A me fa solo piacere passare del tempo con tutti voi.”

“Sicuramente vorrà farlo soprattutto per se stesso. Vorrà dirti quanto conti per lui.” Suggerì Gustav.

“È dolcissima la nostra diva.” E Georg sbatté le ciglia come le svampite dei vecchi film muti.

Lyric agitò un po’ la testa, costernata. Non ce ne era davvero bisogno.

Fin dall’inizio non chiedeva o pretendeva conferme e dimostrazioni. Era presuntuoso da parte sua ma lo sapeva di contare per Bill, anche se non era certa di cosa ci trovasse in lei, sentiva di essergli necessaria. Quasi quanto lui era indispensabile per lei.

Quindi era ridicolo anche solo pensare di poterlo lasciare. La sola idea la terrorizzava.

“Ti ha detto cosa?” chiesero assieme i due ragazzi.

“Sì, lo torchiato per avere l’informazione. Le sorprese da parte sua mi fanno leggermente paura.” la felicità si arrampicò velocemente lungo il suo viso “Mi ha detto che mi dedicherà Durch den Monsun, alla prima tappa dello Schrei tour.”

“Ah...” uscì dalla bocca di Georg, non era tanto semplice.

Cioè, a malapena quello riusciva a non guardarla come un pesce lesso, e poi quando parlava di lei si capiva perfettamente che tra loro c'era qualcosa. Le fan sarebbero diventate isteriche e ne sarebbe uscito un pandemonio se Bill avesse dedicato la canzone a Lyric.

Lei sembrò leggere i loro pensieri “Calmi, so che non può fare il mio nome. Le vostre ammiratrici e il resto del mondo non devono sapere di me, lo so.” parte del suo entusiasmo diminuì “Infatti non farà un annuncio con i megafoni o cose simili, eviterà anche solo le allusioni. Mi basterà sapere che la sta cantando per me.” fece spallucce cercando di essere convincete.

Le sarebbe piaciuto poter dire alle persone, soprattutto quando qualcuno ci provava, che il suo ragazzo era Bill Kaulitz. Non per vantarsi, non erano cose da lei, più che altro per poter rendere chiaro al resto del globo che era la sua ragazza.

E ovviamente che lui era suo.

Era uno stupido ed irrazionale desiderio d'appartenersi avvicendevolmente, tutto qui, ma non riusciva a farne a meno.

Già non era semplice come situazione, lo sapevano tutti, ma era necessario non far trapelare nulla soprattutto perché i media ci si sarebbero tuffati dentro come pescecani affamati.

“Bè allora ci impegneremo per fargli fare bella figura.” Georg le fece l’occhiolino, complice.

“Avreste fatto del vostro meglio in ogni caso. Ma apprezzerò il gesto.”

Una mano finì sulla sua testa e le stropicciò i capelli in una carezza un po' brusca, dietro le sue spalle.

“La prossima volta fatti regalare qualcosa che non implichi il nostro aiuto. Diventerà ancora più ossessivo se ha intenzione di cantartela. Scema.” Lyric allora si girò per vedere in faccia il ragazzo dall'inconfondibile voce e dall'inconfondibile delicatezza.

“Se vuoi prendertela con qualcuno fallo con tuo fratello. L’idea è sua, comunque, buongiorno nulla-facente.”

“ ’Giorno a te, pedante.” Fece un saluto abbozzato con il capo anche agli altri due “Tutto bene nella nuova scuola?” chiese sbadigliandole sonoramente in faccia. Garbato ed educato come sempre.

Lyric annuì ritornando di buono umore “Sìsì. Mi piace molto, non mi aspettavo di trovarmi così bene.”

Una delle poche richieste di sua zia era stata iscriverla in quello specifico istituto una volta venute ad abitare ad Amburgo, uno di quelli pomposi per capirci, perché pur non avendo le pretese dei genitori di Alphonse anche la zia aveva un’idea precisa di educazione. Lyric aveva accettato sapendo che voleva solo il meglio per lei e poi dopo tutto ciò che aveva fatto era il minimo.

Si erano trasferite per necessità lavorative della parente alla fine di Agosto.

Mandare avanti gli affari della banca da Magdeburg era stato piuttosto complicato per Freia, pur cavandosela bene, e all’inizio dell’estate Lyric aveva insistito per agevolarle il compito. Avrebbero dovuto andare a vivere a Berlino, a dir la verità, ma la zia aveva fatto uno scambio di ruolo con il fratello maggiore, Mark Hörderlin.

Stai tranquilla, ogni tanto facciamo a cambio. Così non ci stanchiamo troppo delle nostre poltrone e poi Mark potrà smetterla di viaggiare così tanto, avrà più tempo da passare con sua moglie e il figlio.” Le aveva assicurato, poiché lei aveva espresso il dubbio che lo avesse fatto per darle una possibilità maggiore di vedere Bill.

Adesso Freia si occupava degli affari esteri e doveva viaggiare un po’ più spesso.

In quei giorni si trovava a Londra per un convegno e appena possibile l’avrebbe chiamata per avere notizie.

“Ho seguito i tuoi consigli e mi sono fatta qualche amicizia femminile. Contento?”

“Ah! Era ora, so che Bill può sostenere benissimo conversazioni sui trucchi, i vestiti, le unghie e annessi ma è sempre un maschio.” Tre persone risero ed una invece si corrucciò.

Tom ricevette ovviamente un schiaffo al collo, era diventata rapida nelle punizioni “Eviteresti certe battute in mia presenza.”

Il rasta sbadigliò ancora passandosi la mano sulla parte lesa “Sei troppo suscettibile, comunque, Bill mi ha appena detto di aver finito, puoi usare il suo bagno adesso.”

“Fantastico!” e corse immediatamente su per i gradini, facendo svolazzare la camicia da notte per via della velocità. Era impaziente di uscire.

Georg allora si avvicinò a Tom e lo condusse verso la cucina con una faccia allegra “Lyric ha preparato la colazione, non sei contenta dolce matrigna?” e fece l'occhiolino a Gustav.

“Matrigna?...” domandò il rasta non collegando l'associazione di idee tra colazione e matrigna.

Gustav che era dietro di loro ridacchiò “Per caso noi saremmo le sorellastre?” fece curioso.

“Io sono Gertrude!”

“Ma che?...” Tom non finì neanche la frase.

Era tempo sprecato cercare di capire i borbottii mattutini di Georg e Gustav, li ignorò.

“Cosa ha cucinato?”

“Pancakes.” risposero.

Tom batte le mani “Grande! Mi ero arreso all'idea di mangiare i cornflakes integrali che mi ha costretto a comprare la mamma.”

Gustav e Georg ridacchiarono di nuovo.


Hit me like a ray of sun

Burning through my darknes night

You’re the only one that I want

Think I'm addicted to your light

I swore I’d never fall again…”


Quando entrò in camera lo trovò davanti allo specchio.

Vestito di tutto punto si stava provando la giacca che avrebbe usato per uscire. Non era il suo genere ma comunque gli stava bene, sarebbe servito allo scopo pensava, non lo avrebbero riconosciuto con quello addosso.

“Mi sta bene?” fece una giravolta su stesso per farsi ammirare e poi si piantò a guardare lei.

“Stupenda.” Commentò con soddisfazione.

“Grazie ma credo che tu volessi dire stupendo.”

“E chi stava parlando di te?” il Bill-centrismo era una filosofia di cui lui era, troppo, fedelmente adepto in certi casi “Io mi riferivo alla bellissima giacca che stai indossando. Quella creata dalle mie mani.”

“Aaaa…era troppo strano che mi facessi un complimento così a buon mercato.”

“Te ne fai già tanti da solo, non credo che te ne servano altri anche da me.”

“Io però te ne faccio!”

“E chi te li ha chiesti?”

“Che stronza.” E mise su un muso da cucciolo di foca “Credevo che mi amassi.”

“Oh quanto sei cretino!”

Si avvicinò per controllare se la giacca gli cadesse bene sulle spalle. Di solito non faceva abiti maschili, non erano proprio il suo forte, ma aveva dovuto trasformare in realtà l’ispirazione fulminea di quando si era immaginato quel capo. All’inizio lo aveva fatto per Alphonse, era qualcosa di particolarmente estroso visto il colore blu accesso del tessuto esterno, ma il cugino le aveva detto “È proprio uguale al blu della tuta di Superman. Idea! Regalalo a Superman!” riferendosi ovviamente a Bill.

Le piaceva molto quella sua creazione soprattutto perché indossandolo si stava comodi e al caldo, aveva lavorato con cura sull’imbottitura interna e le cuciture, e poi aveva fatto anche un ampio cappuccio perché così Bill avrebbe potuto proteggersi le orecchie sensibili.

“Lo senti in qualche modo scomodo?”

Quando si trattava dei suoi vestiti e di chi li indossava Lyric perdeva completamente la testa, diventava maniacale ed insistente, come se non fosse mai convinta del tutto. Quando avrebbe frequentato i corsi di design a Parigi, qualche anno più tardi, avrebbe di certo esasperato i suoi professori, pensava Bill.

“Credo di avertelo detto almeno un centinaio di volte. È perfetto. Ti assicuro che è comodissimo.”

Fece scivolare le dita lungo la fila di bottoni dorati, soffermandosi su quello centrale, su quello si era lasciata andare all’ironia. Allie era diventato letteralmente entusiasta vedendo che Lyric vi aveva fatto incidere il simbolo di Superman.

Bill lo aveva trovato molto divertente.

“Sicuro?”

“Quando accidenti ti convincerai che i tuoi vestiti sono sempre perfetti?”

“Il tuo parere è di parte. Sei il mio ragazzo.”

Sbuffò e le prese le spalle “Allora, visto che non mi credi, non chiedermelo.”

Fece quel ghigno compiaciuto alla Alysei “Tanto mi daresti la tua opinione in ogni caso. È più forte di te.” E gli coprì la testa con il cappuccio. Lyric si immaginò la vocina di Georg “Ci mancava proprio la fata turchina!” e rise.

“Sto parlando con un muro.” Così dicendo andò a sedersi sul letto.

Lyric allora provò qualcosa di famigliare mentre guardava la sua figura illuminata dai raggi di un raro sole d’ottobre.

Si inginocchiò di fronte a lui “Scusa se sono un muro.” Cercando di ammansirlo. Come se le fosse difficile.

Toccò con le punta delle dita il contorno dalle sue labbra. Non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di saperlo ma trovava che avesse una bocca stupenda. L’unica che concepiva di baciare.

Dalla sua posizione studiò il cambiamento della sua espressione, divenne concentrato, su di lei.

Oh come percepiva l’influenza che aveva su di lui! Ne era a conoscenza ma era equilibrata dalla medesima influenza che a sua volta esercitava su di lei. Nessuno dei due vinceva mai.

Mentre le punta delle dita di Bill accarezzavano le sue di labbra Lyric ebbe un flash.

Vuoi sapere dove si trova l’eternità?” riecheggiò nella sua testa.

“Cos’hai?” le chiese Bill.

Quando ci sarai davanti te ne accorgerai. Sentirai come una specie di scossa, potente, come il più forte dei solletichi alla pancia e a quel punto…a quel punto ecco!”

Era stato decisamente il discorso più assurdo che si potesse fare ad una bambina di appena nove anni. Suo padre era sempre stato una persona eccentrica, forse era per quella ragione che sua madre lo aveva sposato, con soggetti simili non ci si annoia mai almeno.

Lyric rise tra se scuotendo la testa “Mi sono ricordata che devo andare a cambiarmi.”

Però ora che si era ricordata capiva anche il senso di quel vecchio discorso.

Si alzò da terra ridendosela ancora. Si sentiva felice. Troppo felice.

Bill rimase a guardarla confuso, il momento magico era stato spezzato in maniera troppo brusca. Forse non doveva pretendere troppo romanticismo, a quanto pare mandava fuori di testa anche lei.

E quando te ne renderai conto, quando ti sarà chiaro, saprai anche che si può vivere per sempre. Lì dove hai scelto di essere.”

Era stata fortunata ad averlo capito tanto presto.

Davvero fortunata.



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Oh! Santo Torres! Dopo quasi due mesi (togliamo il quasi) ho finito il capitolo 11!!

Penso che sia stato il mio parto più difficile, non so come, ma è stato davvero terrificante. Non mi sono mai ossessionata tanto. Credo che sia perché c’è troppa felicità in questo capitolo. Non è da me, non fa per me scrivere di troppa felicità. Io sono una dannata combina-guai, una fatalista che rovina le vite dei propri personaggi, l’orribile Grimilde che avvelena la mela per uccidere Biancaneve. Io sono più brava quando c’è da scrivere di situazioni piene di problemi, perché lì posso sbizzarrire i fatti, posso sorprendervi. Con la pace in terra, nelle mie storie, capita che cada nel patetico e nel banale.

Per questo ci ho messo tanto. Ho combattuto strenuamente contro me stessa e il mio cinismo.

Ho cercato di essere credibile anche in fatti tanto normali come quelli di questo capitolo 11.

Scusatemi se alla fine della lettura avete dato di stomaco per il troppo zucchero ma meno “carini” di così i personaggi non potevo farli. Ora, come al solito spiego.

Non c’è niente di più importante in questo capitolo che la felicità.

Capite? È un momento della loro vita, di Bill e Lyric ma anche dei Tokio Hotel e persino degli Alysei, molto sereno. Ogni problema passato è superato (per Lyric), i sogni sono diventati tangibili (i Tokio Hotel) e le incomprensioni di una famiglia vengono combattute (Alphonse, la nonna e Lyric).

Avevo bisogno di farvi capire l’unicità del periodo che stavano vivendo i personaggi. Meraviglioso no?

Credo che, mentre leggevate, sarete stati felici quanto me di averli visti e guardati felici ma credo anche che come me avrete sentito una stretta di tristezza. Perché sapete che non durerà, sapete che finirà. Però avete anche speranza,

Credete nel mio buon cuore (non temete ne ho uno! XD).

Non so cosa ne penserete di questo capitolo (a dir la verità non lo so mai) ma mi sono davvero sforzata e posso dire che mi piace molto. Lo fatto meglio di quanto mi fossi immaginata. Le scene sono venute fuori belle quasi quanto lo sono nella mia mente. XD



Grazie :


Angeli neri: We are the champions? XD hai più che ragione! Effettivamente ce ne hanno messo di tempo ma cosa vuoi farci, sono dei dannati esibizionisti. XD Ho un po’ calcato di sdolcinatezza nel capitolo 10, quando ho fatto dire a Lyric che Bill era l’amore della sua vita e a Bill ho fatto pensare che lei era il vero amore, ma doveva essere messo in chiaro che il loro rapporto non è una cosa che si vede tutti i giorni. Purtroppo li ho fatti diventare una specie di Rome&Giulietta (come commenterebbe Allie) ma io sono sempre stata abbastanza egocentrica da rendere la loro storia d’amore “epica” e “grandiosa”. Mi piace pensare che possa esistere un amore come il loro. Tu no?

Si amano? Sì! Accidenti se sì! Ma non basterà per un happy end. Non per i miei canoni almeno. Avrete di che penare.

Grazie a te di commentare sempre. Spero che tu non sia già in vacanza perché mi piace leggere i tuoi commenti.

Un bacio!


Lady_ Daffodil: La scena del primo bacio era molto più bella nella mia testa ma alla fine non sono riuscita a fare di meglio. Mi prudevano le mani per la tensione XD credo che Bill&Lyric mi abbiano costretto a farli baciare subito. Ne avevano troppa voglia.

Sai la cosa divertente? Io invece mi sento appagata nel sapere che ho turbato il tuo appagamento per tutto il tempo. Ok, non mandarmi a quel paese ma mi fa piacere sapere di ottenere proprio quello che mi prefisso con quello che scrivo. Quando leggo i tuoi commenti sono sempre gongolante perché riesci proprio a cogliere certe cose e poi esprimi sempre le emozioni che voglio provocare nei lettori. Mi sento come se ce l’avessi fatta! Almeno in un paio di lettori riesco ad ottenere le reazioni che mi aspetto.

Implicazioni? Ovviamente, è quello che faccio, faccio tutto per farvi aprire gli occhi sulle implicazioni dei gesti di ogni personaggio. Se non vi preoccupaste delle implicazioni fallirei la missione.

Kat è una ragazza meravigliosa, sul serio, un’ottima amica e persona. Lei non vuole che Lyric veda Bill perché non vuole vederla soffrire. Capirete, no, vedrete qualcosa di lei nel prossimo capitolo. Così come rivedrete Diane, lei è il mio tesorino. Penso, e lo vedrete anche voi, che non esista qualcuno più vitale di lei. È positività pura concentrata in un piccolo di un metro e sessatacinque. Lei tifa per le missioni impossibili a cui tutti rinunciano, la più grande sostenitrice vivente di Lyric e Bill di nuovo insieme.

Risposte? Non le avrai subito, sono piuttosto pignola in questo casi.

Un grazie sincero per i tuoi commenti. Spero di non averti deluso.

Critica pure se pensi che qualcosa faccia schifo.

Un bacio anche a te.


Pazzarella92: Grazie vivissime anche a te. Spero che anche questo capitolo ti entusiasmi come gli altri. Un bacio.


Ciao-ciao!





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Capitolo 13
*** Capitolo 12: Before the fall ***



Capitolo 12

Non capisci.

Tu saresti anche coraggioso o abbastanza forte da poter vivere senza di me, se fosse la scelta migliore.

Io non saprei sacrificarmi altrettanto.

Devo stare con te. Non posso vivere diversamente.


Bella Swan, Eclipse, © Stephenie Meyer.


Boston

Luglio, 2009.


Non riconosceva con esattezza gli strumenti che avevano usato ma la malinconia così dolce che veniva tessuta tra quelle note era sufficiente a soddisfare le sue domande. L’importante infondo stava nella capacità di quella canzone di tranquillizzarla così profondamente.

Nei primi ventitre secondi, seguendo l’introduzione musicale priva di voce, si liberò di qualunque pensiero. Fece piazza pulita di ogni più piccolo spiffero di preoccupazione e si cullò in maniera quasi ipnotica tra le pieghe meravigliose di quella melodia.

Intanto, davanti ai suoi occhi concentrati, un’altra alba allontanava il buio.

Per la maggioranza delle persone il fatto che il sole sorgesse e scandisse l’inizio di un nuovo giorno era qualcosa di scontato, tanto che non si soffermava quasi mai ad ammirare la bellezza di un momento, ogni volta, unico.

Nessuna alba, infatti, era sempre la stessa. La luce bruciante del sole non era mai della stessa intensità e luminosità, mattina dopo mattina, era irripetibile. L’ennesimo primo respiro di vita.

A causa di queste sue strampalate riflessioni sull’unicità di ogni singolo momento Lyric aveva deciso di aspettare la nuova alba di quel mattino. Voleva cogliere la perfezione semplice ma mai scontata di cui era in grado quell’artista incallita di madre natura. Voleva tornare innocente come una bambina per qualche minuto e meravigliarsi di tanta bellezza come se fosse la prima volta che vedeva il sole levarsi oltre la linea dell’orizzonte. Voleva farlo fintanto che c’era tempo per concedersi soddisfazioni così piccole.

Strinse un po’ più forte le gambe addormentate, che aveva abbracciato con gli arti quando si era seduta, con un grosso respiro colse il fresco dell’aria e contemporaneamente socchiuse un po’ le palpebre. I raggi d’oro pian piano puntavano verso il suo viso, i suoi occhi, inondandola di una luce sfolgorante. Ogni cosa attorno a lei divenne più chiara e visibile mentre le ombre si allungavano dietro agli oggetti, smettendo di mimetizzarsi con il placido buio bluastro di qualche istante fa.

I colori ripresero il loro ruolo di protagonisti, in beffa alla notte che aveva cercato ancora una volta di nasconderli.

Da lì, seduta sul piccolo balcone che sporgeva fuori dalla mansarda di casa, aveva una visuale davvero molto ampia sul quartiere adornato dagli alberi verdissimi. Poteva osservare con tranquillità tutto il mondo che ricominciava a brulicare pian-piano. Vedeva mattutini volenterosi che facevano jogging, sentiva abitazioni che si rianimavano, mamme che si svegliavano per andare a sbrigare le prime faccende. Era uno spettacolo terribilmente normale e banale che celava però un’armonia profonda, delicata, bellissima.

Aveva sempre trovato che la normalità avesse il suo fascino, almeno per come aveva sempre vissuto lei.

Si concentrò allo stesso tempo su ciò che vedeva e ciò che ascoltava, trovando il modo di legarli perfettamente tra loro. Le parole della canzone, secondo il suo modesto parere, accompagnavano bene il momento. Erano il sottofondo perfetto anche se non c’entravano nulla con l’alba.

Chester Bennington aveva davvero una voce magnifica, con un simile interprete il testo diveniva speciale, così come la musica dei Linkin Park era magnetica ed inconfondibile.

In certi pezzi le sembrava cantassero proprio dei suoi pensieri.


[…]

When my time comes

Forget the wrong that I’ve done

Help me leave behind some reasons to be missed

don’t resent me

And when you’re feeling empty

Keep me in you memory

Leave out all the rest

Leave out all the rest

[…]

Si appoggiò ancora di più al muro che si trovava dietro alle sue spalle e sbatté piano il capo contro il cemento. “Dimentica il male che ho fatto.”

Ponderò tra sé, riflettendo ancora una volta su una richiesta importantissima.

Una parte di sé, quella che l’aveva sostenuta nella fermezza, aveva sempre silenziosamente pregato che Bill si dimenticasse di lei. Dimenticarla era stata, ed era tuttora secondo Lyric, la prospettiva migliore per cui lui doveva essersi adoperato. Soltanto così tutto quello che aveva fatto avrebbe avuto un senso.

Averlo lasciato, tre anni prima, era stata la scelta migliore che poteva prendere. In assoluto la migliore per il bene di Bill anche se non lo avrebbe mai saputo. Non se ne era mai pentita, neanche una volta, e il dolore che ne era scaturito non era bastato a farle provare del pentimento.

Sapeva di averlo ferito a morte con quel suo abbandono, quanto si era ferita lei stessa, ma tra la prospettiva di un dolore dimenzionabile ed uno incurabile aveva optato per la strada più giusta. Tra due sacrifici, il suo o quello di lui, aveva deciso quello ragionevole. Quello che poteva portare sulle spalle da sola, era stata l’unica possibilità di proteggere la persona più importante che avesse al mondo.

Prese un altro grosso respiro e distese le gambe e le braccia per sgranchirsi.

Il sole stava diventando sempre più grande con passare dei minuti e, come aveva voluto, Lyric accolse l’alba con adorazione, come se fosse stata un cieco che vedeva la luce per la prima volta.

Già, pensò, un altro nuovo giorno al mondo.

Rimase là allungo. Tanto che il suo lettore mp3 aveva ricominciato da capo le canzoni di Minutes to midnight quando decise di tornare dentro e scendere al piano terra per fare colazione.

Appena posato il piede oltre il primo gradino della scala sentì chiaramente che il proprio soggiorno era occupato da qualcuno. Le casse del suo impianto stereo infatti stavano eseguendo un brano di classica per piano. Lyric non si preoccupò di avere estranei in casa, perché di estranei non si trattava.

Non poteva essere la sua governante, lei arrivava puntualmente alle nove del mattino e di solito durante il lavoro si intratteneva con qualcosa di meno lento, quindi non rimanevano che poche opzioni. Alle otto del mattino l’unica conoscente che ascoltasse musica classica con tanta devozione era Kat.

I suoi sospetti trovarono immediata conferma appena mise piede nell’enorme stanza. La trovò seduta sopra la propria poltrona mentre seguiva con attenzione le dita dell’artista che abilmente volteggiavano sui tasti del piano.

Era uno dei musicisti preferiti di Kathleyn e dopo una lungo percorso anche uno dei preferiti di Lyric.

Con grande impegno l’amica aveva ampliato la sua conoscenza musicale. Le aveva regalato centinaia di dischi di classica, portando lei e Diane il più spesso possibile alle esibizioni dell’orchestra sinfonica di Boston. Lyric aveva cominciato a provare un apprezzamento più consapevole, oltre che della musica, anche del balletto classico ed era ormai diventata una habitué della Symphony Hall a causa sua. A testimonianza dello sforzo educativo di Kat un intero scafale della parete a nord era occupato ordinatamente dai doni dell’amica, assieme ovviamente ai dischi che facevano parte da sempre dei suoi gusti musicali.

Un po’ più a destra rispetto alla sua raccolta di cd trovava dimora anche un presente fattole da Diane.

Era un gigantesca tela, che occupava due quarti dello spazio libero del muro, a metà tra un dipinto ad olio e un intricato arazzo di foto. Nel creare quella nuova opera Diane aveva cercato di trovare un accordo, più o meno ragionevole, tra i due istinti della propria arte.

Sullo sfondo facevano da padroni dei colori intensi e vibranti che rievocavano nella mente qualcosa legato all’impressionismo. Al centro, invece, aveva disposto una quantità enorme di foto che parevano esplodere verso l’esterno giocando con la prospettiva e le illusioni ottiche dettate dalla posizione da cui si guardava. Ritraevano vari momenti vissuti insieme: c’erano scatti di eventi importanti come il giorno del loro diploma alla Wiston o la nascita della sorella minore di Diane, catture di tante occasioni private come i vari viaggi insieme e casuali situazioni in compagnia, c’erano tanti sorrisi e sguardi complici, risate ma anche facce serie e pensierose. In quelle foto erano concentrati tre anni della sua vita assieme a loro, con tutti i sentimenti che era possibile provare ed esprimere, con tutti gli attimi irripetibili che avevano reso quel periodo molto migliore di quanto poteva immaginare.

Guardando le figure di quel quadro Lyric si sentiva fortunata ad avere loro due al suo fianco.

Non erano soltanto amiche, andavano oltre anche il termine di sorelle, loro erano suoi spiriti affini. Per Kat il loro incontro era stato un caso fortuito ma non per questo privo di un suo senso, a Diane piaceva parlare di qualche disegno inevitabile del destino mentre Lyric lo riteneva un gesto di bontà divina.

La loro amicizia era caratterizzata da questa specie di certezza.

Scivolò silenziosamente verso Kathleyn e si sedette sul pavimento di legno scuro, appoggiando poi il capo contro le ginocchia dell’amica “Chopin?” provò ad indovinare Lyric.

“Esatto. Nocturne per piano n°9. Ora sei in vantaggio di venti punti rispetto a Diane.” Kat cambiò musica con il telecomando e dal piano si passò ad una orchestra “Questo?”

“Uhm…” Lyric rimuginò attentamente per una decina di minuti buoni “Spero di non dire una cavolata ma può darsi che sia di Schubert?”

Partì un applauso leggero “Indovinato. Allora tutti i soldi che ho speso in cd non sono andati sprecati. Hai imparato qualcosa.”

“Bè dovevamo pareggiare no? Ora sai più o meno chi sia Yohji Yamamoto ed io so più o meno chi sia Strauss. Frequentarci ha avuto la sua utilità, dopo tutto.”

“Appunto. Sai che spreco di tempo se non avessimo acquisito qualcosa dall’altra?”

“Giusto! E non dimentichiamo che grazie a Diane comprendiamo un po’ di più i musei d’arte contemporanea.”

Kat ridacchiò mentre dalla cucina adiacente si fece udire una persona che fino a quel momento era rimasta in silenzio “E grazie a me siete diventate accanite sostenitrici dei Red Sox!”

Lyric alzò gli occhi verso il viso dell’amica con la fronte aggrottata. Prima ancora di fare una domanda quella rispose annuendo.

“È stata una sua idea venire qui così presto. Io ti avrei volentieri lasciata in pace fino pranzo ma sai com’è lui. Finisce per fare di testa sua ogni volta.”

Ultimamente Alphonse le stava ronzando attorno con grande insistenza ed era praticamente onnipresente. La inondava di tutto l’entusiasmo sprizzante di cui era in possesso ed era sempre lì a non farla sedere troppo tra gli allori. Ovviamente era il suo modo di affrontare gli eventi e Lyric si sentiva un po’ in colpa se provava a fargli abbassare il tiro, per questo non aveva ancora chiesto una restrizione ad un giudice.

Si facevano vedere a casa sua molto più spesso anche Diane e Kat e questo lo imputava, in particolare, alla sua decisione di rivedere Bill. A volte aveva la netta sensazione che si fossero tutti e tre trasferiti a vivere da lei, avevano persino le stanze degli ospiti che preferivano e che consideravano le loro personali camere da letto. Era evidente che la scelta di rivedere il suo ex-ragazzo li avesse fatti scattare in piedi e le loro reazioni erano il frutto di sentimenti che a lungo tenevano silenti.

“Io non sono diventata fan dei Red Sox, rimango dell’idea che il baseball sia uno sport arcano.” Lyric ribatté al cugino e subito dopo si aggiunse Kat “Mi aggrego a quello che ha detto e aggiungo, inoltre, che è noioso.”

Alphonse uscì fuori con un’espressione allibita “Vuoi!” e puntò un dito verso di loro “Come avete potuto dire una cosa del genere del passatempo più amato dagli americani?”

“Hai delle prove per affermarlo?” la cugina inarcò il sopraciglio divertita per il fervore con cui il ragazzo difendeva la propria passione per il baseball. Quando si trattava dei suoi sport preferiti tornava un bambino.

Kathleyn proseguì con un sorriso beffardo “Infatti! Vorrei vedere le indagini fatte al riguardo e le percentuali di gradimento che sono risultate al conteggio finale.”

Fece una linguaccia “Finite sempre per unirvi e rimbeccarmi in due. Comunque è una cosa che sanno anche i bambini. Noi siamo americani e gli americani amano il baseball.” Si impuntò.

Le due ragazze risero mentre lui si avvicinava con l’ardore infiammato negli occhi, drammaticamente interpretato anche con il corpo, così da farlo risultare abbastanza ridicolo. Lo faceva apposta.

“Siamo americani. Ce lo abbiamo nel sangue!” proruppe chiudendo una mano a pugno e inginocchiandosi sul lato destro della poltrona dove Kat era seduta. La fidanzata inclinò il capo e lo osservò con un’espressione compassionevole “Cos’è che avremmo nel sangue Alphonse?”

“L’ardore, la passione e il desiderio di libertà. Non saremo la grandiosa nazione che siamo senza queste qualità.”

“E che cavolo c’entra questo con il baseball?”

Il biondo le dedicò un sorriso abbagliante che mostrò due file di denti bianchissimi “Il baseball è semplicemente un’espressione di queste caratteristiche che ci portiamo incisi nei cromosomi e poiché siamo bostoniani abbiamo i fattori dupplicati!”

“Oh santo cielo!” Lyric scosse il capo. Un giorno avrebbero dovuto far studiare il cervello di quel ragazzo, quasi sicuramente ci avrebbero trovato qualcosa di indubbiamente alieno.

“È da qui, nella nostra splendida città, che è partita la nostra indipendenza, ce lo abbiamo nello spirito. Noi siamo americani al duecento percento.”

Alphonse prese la mano di Kat “Quindi per rispetto della grandezza di cui siamo eredi, con le nostre giovani vite, dobbiamo amare tutto ciò che ci fa ardere, appassionare, vivere liberi! Per questo in quanto americano amo il baseball e in proporzione, essendo un bostoniano, io amo i Red Sox.”

Diede un bacio delicato alle dita di lei “È terribilmente sensato non credi mia cara? Infondo rispetto le volontà dei padri fondatori e amo semplicemente tutto ciò che mi rende vivo.”

La rossa non rispose, presa dal messaggio tra le righe, mentre Lyric si voltava.

Non le dispiaceva che si dimostrassero i propri sentimenti ma lei era abituata ad altro tipo di comportamento. Bill non era mai stato il tipo da dire cose tanto private di fronte alle persone che li conoscevano. Se li era sempre lasciati per quando erano soli, nella loro intimità.

Pur assomigliandosi in certi aspetti Lyric aveva notato che quei due si approcciavano all’amore in modo diverso. Uno lo voleva e lo doveva gridare al mondo tutte le volte possibile mentre l’altro non aveva bisogno di parlarne perché perfino nel silenzio si poteva ascoltare ciò che provava.

Improvvisamente si udì un sibilo dietro alle spalle di Alphonse, proveniva dalla cucina, e sembrava essere il bollitore per l’acqua. Il ragazzo corse immediatamente nell’altra stanza.

“Che sta facendo?”

Kat ruotò gli occhi con un mezzo sorriso “Tè. Insisteva per farlo con le sue manine.” Imitò Allie molto bene, sembrava davvero lui, c’era lo stesso tono miagoloso di quando il cugino faceva il ruffiano.

“E tu glielo hai permesso?”

“Non fare la pignola. Quante probabilità ha di rovinare il tè? Non è così imbranato.”

Non ne fu molto convinta, per amore si può benissimo difendere il proprio fidanzato quando viene criticato, persino riguardo a qualcosa per cui suddetto ragazzo era negato per natura. Una cosa per cui Alphonse non aveva il minimo talento era proprio preparare il tè. Effetto collaterale di una vita passata con una distesa di dipendenti che gli faceva trovare sempre tutto pronto ed impeccabile.

“Aproposito che ci facevi sul balcone del tetto?” le urlò dalla cucina Allie “ Pensavamo di prepararti una colazione a sorpresa appena ti fossi svegliata ma ti abbiamo visto già in piedi quando siamo giunti alle sette.”

“Non mi sono accorta che foste arrivati a casa mia.” Poi carpì la prima informazione “E comunque non disturbarti. Posso fare a meno della colazione preparata dalle tue mani!”

“Mi stai accusando del fatto che non sarei in grado di cucinarti una colazione decente?”

“Noo.” Rispose molto tranquillamente alzandosi poi dal pavimento ed dirigendosi verso la propria cucina “Ma limitati a preparare il tè, è sufficiente.”

Alphonse le fece una mezza pernacchia sputando qualche parolina stizzita in francese. Dal soggiorno si udì la risata di Kathleyn mentre spegneva l’impianto stereo. Lyric intanto si era diretta verso il frigorifero per controllare che ci fosse del succo di frutta, in caso ( piuttosto probabile) che il tè fosse stato imbevibile.

“Comunque stai pure tranquilla, Diane è andata a comprare qualcosa alla pasticceria all’angolo.”

“È venuta anche lei?”

“Sì, a quanto pare voleva vederti presto. È arrivata quindici minuti dopo di noi.” con la faccia immersa dentro al frigo Lyric non poté vedere l’espressione del cugino.

C’era un’implicazione nel fatto che fossero tutti e tre, casualmente, là da Lyric quella mattina. Diane aveva scelto quel giorno per fare il grande annuncio ed Alphonse era pienamente cosciente che sarebbe andato tutto storto. Kat li avrebbe trucidati entrambi, nelle migliori delle ipotesi, e addio pace in terra con la donna che amava, come se ultimamente i loro rapporti non fossero già tesi per via della situazione delicata di Lyric. La propria fidanzata si aggregò a loro proprio in quel momento ed Allie cercò di non guardarla. Aveva la netta sensazione che suonassero stonate anche a lei tutte quelle coincidenze.

“Se avevate così bisogno di me potevate suonare. Sarei scesa.”

“Ti abbiamo vista tutta immersa tra le nuvole e abbiamo pensato di non disturbarti. Siamo entrati con la copia delle chiavi.” Rispose l’amica sedendosi su una sedia, di fronte al lucido tavolo dell’ampia cucina “Allora cosa facevi là sopra? Sei rimasta lì per un ben un’ora.”

“Volevo vedere sorgere il sole.”

Kat si rabbui “Tu sei sveglia da prima dell’alba?”

Lyric si affrettò a tranquillizzarla “Sono andata a dormire presto ieri quindi…” prese posto a capotavola “Sì, ho riposato a dovere mamma.” e si versò del succo in un bicchiere. Kathleyn non fu per niente soddisfatta della risposta.

Proprio quando stava per rimproverarle qualcosa la porta principale venne aperta e sbattuta nel giro di pochi istanti “Ehilà! Lyric ha smesso di appostarsi sul tetto oppure si è trasformata in un usignolo ed è volata via?” trillò una voce acuta e famigliare.

Lyric e Alphonse si lanciarono un’occhiata divertita. Kathleyn invece restò in silenzio, a riflettere.

Due codini di ricci platino svolazzarono verso di loro assieme alla energica presenza della proprietaria “Buongiorno!” fece questa irrompendo tra loro “Ho portato i viveri!” aggiunse mostrando loro una busta di carta come se fosse stato un trofeo di caccia.

“Ed è pronto il tè! Credo proprio che ci sia tutto.”

“Yatta Al!”

Diane appoggiò rumorosamente la busta di carta sul tavolo e con passi altrettanto rumorosi i suoi stivaletti di pelle scattarono verso il soggiorno. Sia Lyric che Kat si guardarono.

La loro amica era in uno stato di fibrillazione acuta. Alphonse, mentre sistemava le tazze e la teiera, si convinse ancora di più che nel giro di qualche minuto sarebbe scoppiato il finimondo.

“Scusate il ritardo, mi sono persa lungo la strada.” Diane continuava a parlare anche dall’altra stanza.

Ad una velocità stratosferica per giunta, forse troppo esagerata per passare inosservata. Se stava provando a mascherare l’agitazione che le si annidava tra i polmoni lo faceva nella maniera meno persuasiva esistente.

“Mi è capitato di beccare un paio di soggetti interessanti e non ho resistito. Li ho dovuti fotografare per forza!” inoltre usava un tono di voce stridulo, come se da un momento all’altro fosse stata sul punto di urlare.

Tornò da loro dopo aver sistemato la propria tracolla e l’inseparabile macchina fotografica su uno dei divani. Si sedette alla destra di Lyric, proprio di fronte a Kathleyn. Quasi subito un imbarazzato silenzio si fece strada da lei.

Allie allora guardò con la coda dell’occhio la vicina finestra, se le cose fossero degenerate almeno ci sarebbe stata una via di fuga, pensava ironico nella sua testa. Diane piroettò lo sguardo, visibilmente agitato, sul viso dei suoi amici: Lyric la studiava perplessa mentre Kat la scrutava in modo indagatore, Alphonse faceva finta di non essere interessato.

“Mangiamo?” propose la bionda con un sorriso tirato e finto.

“Che sta succedendo?” a chiederlo fu Lyric.

Diane era il genere di persona che si poteva comprendere come un libro aperto e in quel momento sulle pagine del suo viso si poteva leggere a caratteri cubitali la parola panico.

Kat appoggiò i gomiti sul tavolo ed incrocio le dita delle mani, come una consumata investigatrice alle prese con l’ennesimo interrogatorio. Sospirò e sulla sua fronte si fecero largo un paio di rughe per niente tranquillizzanti.

“Ti trema la voce.” L’accusò lei e Diane trattenne il fiato, il contenuto delle sue tasche iniziò a bruciare.

“E inoltre parli a raffica. Ci sono solo due ragioni di solito per spiegare queste tue reazioni: o sei felice in modo spropositato…”

“…o sei preoccupata a morte per qualcosa.” Concluse Lyric “Allora, cosa c’è?”

“Speravo che arrivassimo almeno al secondo giro di bignè alla crema prima di parlarne. Mi dispiace che nessuno di noi potrà mangiarli, conoscendovi perderete l’appetito dopo il mio discorso.”

Diane fissò Lyric con grande intensità, era così seria che Kat comprese molto velocemente che qualunque discorso l’amica stesse per fare non sarebbe stato qualcosa che avrebbe digerito. Le dita di Allie sfiorarono le sue sotto il tavolo e con quel gesto comprese anche che lui sapeva già tutto.

Non fu per niente facile mantenere la calma.

Con tutte le probabilità che erano contro di lei negli ultimi mesi Kat era quasi certa che si trattasse di quel onnipresente tedesco. Avere a che fare con Bill Kaulitz era decisamente l’inizio di giornata più brutto che potesse immaginare.

“Dal modo in cui mi stai guardando deduco che io devo centrarci qualcosa.” Lyric invece era molto calma e anche curiosa riguardo a ciò di cui doveva essere messa a conoscenza.

“Mi promettete che non darete in escandescenze fino a quando non finirò di parlare?” disse lei rivolgendosi soprattutto a quella che aveva davanti.

“Smettila di fare questi giochetti infantili e spiegati una volta per tutte Diane!” Kat si liberò della stretta di Alphonse, guardandolo male per un paio di secondi appena, prima di mostrare totale ostilità contro la persona di fronte a sé. Odiava quando si tergiversava troppo su un discorso. Si squadrarono da una parte all’altra del grande tavolo e un altro po’ di silenzio si fece ancora spazio nella cucina.

“Promesso Diane. Non ti lanceremo addosso piatti fino alla fine.” Lyric invitò con un’occhiata l’altra amica a mantenere lo stesso controllo ed un’aria più affabile. Kat arricciò la bocca e annuì per niente entusiasta.

Diane allora infilò una mano dentro la tasca interna della propria giacca e ne estrasse una busta rigida di colore verde.

La mostrò ai presenti con un fievole sorriso “Ho comprato questi, qualche giorno fa.”

Aprì la busta e ne tirò fuori il contenuto “Ma ho aspettato prima di parlarvene perché dovevo essere certa che ne valesse la pena. Che valessero il rischio di farvi arrabbiare…”

Alphonse le diede sostegno con un sorriso.

Non conosceva nessuno di altrettanto coraggioso come quelle tre e tutte lo erano a loro personalissimo modo. Diane per esempio aveva ancora il coraggio di credere nei miracoli.

Diane posò tre cartoncini rettangolari e sottili sul legno scuro del tavolo e ne fece scivolare uno di fronte ad ognuna di loro. Lyric e Kathleyn abbassarono il capo per guardare da vicino e comprendere cosa avessero di tanto importante quei pezzi di carta plastificata da meritare tutta quella agitazione e segretezza.

In meno di una ventina di secondi entrambe avevano già capito che cosa fossero.

“Sono i biglietti per il concerto dell’undici Agosto a Milano.” Confermò Diane “Erano rimasti solo questi, non lo fatto apposta a scegliere l’Italia, giuro. Tutti gli altri concerti europei erano già sold-out e…” si bloccò nella sua spiegazione vedendo Lyric pallida e rigida come una statua di alabastro.

Kat invece le scaricò addosso una quantità enorme di feroci rimproveri e per quell’attimo Diane pensò di aver sbagliato tutto.

“Continua.” La incitò Alphonse.

Diane prese la mano di Lyric e la strinse forte “Non so cosa tu avessi in mente ma questo è il modo più semplice che ho trovato per fartelo rivedere. Al concerto, se saremo tra le prime file, potrai vederlo abbastanza da vicino ma allo stesso tempo sarai così confusa nella massa che lui non vedrà te.”

Kat non riuscì a pensare niente per cui protestare. Diane aveva pensato davvero ad un piano più che ragionevole per le condizioni imposte da Lyric. Ma sapeva in cuor suo che c’era qualcos’altro sotto.

“Allora che ne dite?” chiese non ricevendo segnali da nessuno di loro.

“Lyric?” domandò a sua volta Kat, rimandò la decisione alla diretta interessata.

Per lei la differenza stava proprio nella sua risposta.

“Devo…” tentò di formulare una frase ma non fu per niente facile ritrovarsi. Continuava a fissare il foglietto che aveva davanti chiedendosi quante persone al mondo potessero reagire come lei e ritenersi ancora sane di mente. Scosse la testa alla ricerca della propria lucidità “Dovrò parlarne con Sophia prima.” Decretò non riuscendo a dire altro.

Con la punta delle dita tocco il nome dei Tokio Hotel stampato a caratteri maiuscoli e in grassetto.

Un’espressione quasi incredula le si aprì in viso. Aveva appena toccato, con tutta probabilità, la chiave per uno dei momenti più importanti che aveva ancora da vivere dentro la propria carne.

Grazie a quel insignificante pezzo di carta avrebbe potuto rivedere Bill.

Era incredibile sentirsi addosso una vampata tale di adrenalina per una rivelazione così leggera ed apparentemente insignificante.

Alphonse, vedendola, provò per attimo lo stesso identico sentimento che aveva attraversato gli occhi di sua cugina. Conoscendola come la conosceva lui un cambiamento di quel tipo era più che evidente. Da qualche parte, nel profondo del suo esile corpo, in Lyric si era accesa una scintilla di felicità.

Kathleyn e Diane si guardarono pensando la stessa cosa, anche loro avevano visto, ma le loro reazioni erano agli antipodi: la prima fu attaccata da una tristezza dolorosa, la seconda invece cominciò a brillare di speranza.

“Non so neanche se otterrò il permesso dalla Bayle per andare in Europa.” Rifletté ad alta voce contemporaneamente pensando su ciò che c’era da fare.

Ricorda cosa hai promesso..” Le disse la voce della propria coscienza.

Che appunto inutile, non lo dimenticava mai, non lo avrebbe fatto in quel momento.

Quel biglietto le avrebbe concesso una grande possibilità ma non avrebbe risolto nulla, non avrebbe cambiato nulla.

Le avrebbe regalato, soltanto per un paio di ore, uno degli ultimi ricordi di Bill che si poteva permettere di avere.


Barcellona


“Ok, ok, fratellino.” Tom gli prese la bottiglia di vodka dalle mani e l’allontanò da lui “Ora è il momento di finirla con questa roba!”

“Naaaa, Tomi!” Bill protestò cercando di riprendersela ma barcollò al primo passo. Le cose presero a muoversi, il che gli parve strano perché non sapeva che i mobili potessero farlo, si bloccò spaesato in mezzo alla camera, chiedendosi cosa stesse accadendo.

Quello sta ballando?” l’oggetto che indicò agli amici era, ovviamente, immobile in un angolo.

Bill si avvicinò a tentoni e diede a questi un colpetto con la mano “Fai il bravo e non ti muovere!”

Dopo di che si afflosciò goffamente sul pavimento, distendendosi per tutta la sua pronunciata lunghezza, a gambe aperte. Rimase buono solo qualche secondo “Georg dì a Tom di ridarmi la bottiglia! Ti giuro che reggo ancora!”

Certo, certo e il fatto che tu non stia in piedi conferma la tua tesi, vero?”

Gustav!” provò a trovare appoggio nell’ultimo dei componenti della sua band ma l’occhiata severa che ricevette sminuzzò ogni sua speranza.

Bill era abbastanza sbronzo da non accorgersi dello stato in cui riversava.

Fu decisione comune lasciarlo spalmato al suolo a protestare piuttosto che concedergli ancora dell’alcool.

Il rumore dello sciacquone indicò che Tom si era appena sbarazzato del resto della vodka, al ritorno trovò Georg seduto a terra, con la schiena appoggiata contro la ringhiera del letto, mentre Gustav toglieva le scarpe al fratello.

Ma…ma perché no? Ho sete io!” bofonchiò il cantante con il tipico singhiozzare di quando era ubriaco marcio, agitò un piede e a questo movimento per poco non cavò un occhio al batterista. Se Gustav non avesse avuto i riflessi pronti la scarpa appena slacciata gli sarebbe arrivata addosso, fortunatamente la schivò, ma questa poi picchiò duramente contro un ginocchio di Tom.

Georg rise all’imprecazione fatta a denti stretti dal rasta ma lo fece per poco visto che dovette evitare che quella stessa scarpa gli centrasse la testa. Anche Tom non era in condizioni particolarmente lucide, più del fratello comunque, per questo il lancio non fu adeguatamente veloce. Georg gli fece una pernacchia di derisione appena lo stivale nero si schiantò contro il muro.

Dopo aver fatto il suo dovere si sedette su una poltrona lì vicino e li richiamò all’ordine “Volete finirla voi due?”

Tom e Georg fecero un cenno di scuse ma allo stesso tempo continuarono a ridere come due scemi ancora per un po’. Bill li fissò con gli occhi completamente spalancati, sbatté le palpebre più volte perché confuso, non aveva seguito abbastanza i fatti e quindi non capiva per cosa stesse ridendo quella coppia di bertucce.

Smise di chiederselo appena il suo stomaco fece una contrazione anormale. Allora si portò la mani sopra alla pancia e mandò un bel vaffanculo a qualcuno di imprecisato.

Oddio sto per partorire qualcosa dal mio stomaco!” delirò il minore dei Kaulitz accovacciandosi su di un lato del corpo come un bambino nel grembo materno “Tom!” implorò battendo il palmo di una mano contro il pavimento.

Il rasta sospirò e si stese, in poche mosse, accanto a lui “Tranquillo, Bill.” Lo rassicurò “È solo il vomito che sta risalendo lungo le tue budella. Normale routine visto che hai bevuto parecchio.”

Davvero?” domandò Bill in modo indifeso.

Georg trovò la scena estremamente divertente e rise per l’inusuale premura che dimostrava il maggiore dei Kaulitz. Tom gli fece un gestaccio prima di rispondere al gemello “Sì, davvero. Rigetto fisico, tutto qui.”

Ah, ok…meglio così. Avevo paura di avere chissà cosa…poteva anche uscirmi un Alien dalle viscere, sai, come in quel film. Bleah!”

Possiamo filmarlo per la prossima puntata della Tokio Hotel tv?” Georg scherzò.

Scommetteva che chiunque avrebbe pagato fior di quattrini pur di vedere quel momento impareggiabile, non capitava mica tutti i giorni di avere la diva Kaulitz in balia di un delirio post-alcool.

La serata aveva preso una piega degenerativa nel momento in cui Bill era salito su un tavolo, nel locale in cui si stava svolgendo l’ennesimo party a cui erano stati invitati. Si era messo a ballare al ritmo martellante della musica, agitandosi in modo imbarazzante come una ballerina di lap-dance mancata. Gli altri tre però non se ne erano resi subito conto perché lo avevano perso di vista pochi minuti prima del suo spettacolino. Lo avevano ritrovato proprio mentre si cimentava in quel assurdo comportamento e proprio mentre aveva cominciato a flirtare con la ragazza di un tizio a cui aveva fatto cadere il sex-on-the-beach.

Quando fu chiaro che avrebbe scatenato una rissa Georg lo aveva trascinato fuori di peso mentre Gustav si era scusato per il disturbo e Tom aveva avvertito Tobi che era il momento di tornare in albergo. In macchina Bill si era poi lamentato come un cane del fatto che lo avevano portato via proprio sul più bello, alternando quelle proteste con qualche sorseggiata ad una bottiglia di vodka comparsa nelle sue mani da chissà dove.

Rispetto a prima era decisamente più tranquillo ma si aspettavano che il peggio dovesse ancora venire, vomito compreso.

Si è addormentato?” domandò Gustav.

Boh, sembra di sì.” Rispose Tom vedendo che il fratello aveva chiuso gli occhi e non parlava da più di cinque minuti.

Credete che vada bene che si strapazzi?” Georg espose la preoccupazione che avevano un po’ tutti.

Bé non credo che si stia auto-distruggendo. Voglio dire, questa è la prima sbronza depressiva che si fa, per tutto il resto è semplicemente giù di tono rispetto al normale.”

Gustav parve essere d’accordo “Sì, Tom ha ragione. È stressato, come tutti noi quando siamo in tour, ma non ha combinato niente di troppo stupido. Questa sera ha solo deciso di bere molto più di quello che farebbe normalmente ad una festa.”

Bè che si stesse comportando in modo strano era evidente: prima di tutto è voluto venire ad un party e solitamente quando lavoriamo non lo fa mai poi ha ballato, cosa assurda per lui, ed infine ci ha quasi provato con una ragazza.” Georg elencò i comportamenti strani di Bill numerandoli con le dita.

Tom e Gustav risero all’ultimo punto della lista: il loro frontman non faceva mai cose del genere, di solito erano le ragazze a rivolgergli la parola con l’intento di portarselo a letto.

Bill da qualche mese, poi, non frequentava il genere femminile con quegli scopi in testa. Lo faceva molto meno di quanto facesse prima di ripensare a Lyric. Era diventato un monaco eremita del sesso.

Non si lasciava sfuggire neanche una notte di solo e normale divertimento carnale e questo era più che strano. Qualche volta era capitato che Bill lasciasse da parte la sua naturale visione riguardo i rapporti interpersonali e si divertisse, tra virgolette, un po’ spensieratamente con una ragazza. Ovviamente quelle occasioni erano abbastanza rare, già in passato, ma negli ultimi tempi le donne non le calcolava per niente.

A parte lei.

Mi dispiace che continui a frustrarsi così. Penso che qualche volta potrebbe concederselo uno strappo alla regola, così, per lasciarsi andare di dosso tutta la tensione. Capite cosa intenda.” disse Tom, ancora sdraiato accanto al gemello.

In queste condizioni farebbe cilecca come un ragazzino alle prime armi.” Intervenne Georg facendo una dimostrazione figurativa mimando con l’indice l’imbarazzante caduta d’entusiasmo di un organo sessuale maschile “E poi credo proprio che non le veda neanche le altre ragazze.”

Dalla sua posizione Tom guardò i lineamenti di suo fratello alla ricerca di tutti i mali che lo stavano tormentando “Bill vuole solo rivedere Lyric.” Georg intanto proseguiva con i suoi ragionamenti. Dicendo però cose che sapevano già tutti in quella suite “Dopo tre anni di silenzio passati a fare di tutto per non pensarla Bill è, come dire, scoppiato.”

Tom punticchiò l’unghia dell’indice contro il dorso della mano fraterna corrucciandosi.

Soffre come un cane questo deficiente.” si diceva nella sua testa.

Se non fosse stato ingiusto nei confronti di tutti quelli che lavoravano duramente per mandare avanti la loro baracca Tom avrebbe trascinato Bill sul primo volo diretto a Boston e tanti cari saluti alle situazioni di stallo.

Odiava dover essere ragionevole e pensare alle conseguenze quando il proprio fratello stava così male.

Che idiota.” Mormorò a denti stretti, arrabbiato sia con lui che si trascinava in quello stato schifoso e sia con Lyric. Eppure lei gli aveva promesso che non si sarebbe portata via Bill eppure eccolo lì, davanti ai suoi occhi, con la mente già parecchio lontana.

Traditrice.”

Gustav e Georg si lanciarono un’occhiata nella semi-oscurità, non avevano molto altro d’aggiungere.

Bè, come ha intenzione di trovarla? Non vorrà andare alla cieca?”

Tom scosse la testa a Georg “Naturalmente non è così stupido. Seguirà le tracce del suo nome, ricordate? La famiglia di Lyric in America è molto importante.”

“Il trovarla è un problema relativo, la parte complicata verrà quando le dovrà parlare. Sai per caso come ha intenzione di agire precisamente?” il rasta stava per rispondere che non ne aveva idea quando venne catturato all’istante dagli occhi di Bill.

“Sei sveglio?”

L’altro annuì molto piano, senza muovere la bocca.

Cos’hai? Ti senti male?” chiese allora il gemello vedendo quell’espressione strana.

Questa volta Bill rispose di no, sempre muto.

Allora cosa c’è?”

Le assomigliava…”

Chi?”

La tipa del locale.” Un minuto di silenzio dopo aggiunse “Assomigliava a Lyric.”

I tre fecero avevano capito che si riferiva alla ragazza con cui aveva mezzo flirtato e cercarono di ricordarsela. Nessuno di loro però riuscì a collegare la somiglianza tra questa e Lyric, con le luci a intermittenza e il buio caotico del locale era stata una fortuna anche solo scorgere il loro cantante sopra ad uno dei tavoli, vedere chiaramente i visi della gente che c’era non era stato possibile e poi la loro attenzione, in quel momento, era stata concentrata su altro.

Bill intanto si era messo supino e con un braccio a coprirgli gli occhi. Rise improvvisamente e in maniera parecchio inquietante “Dopo la prime due parole mi ero già accorto che aveva ben poco a che fare con lei ma per un secondo…” si era lanciato incontro ad un monologo a cui per caso presenziavano degli ascoltatori.

Inseguiva delle riflessioni tutte sue.

Per un attimo.” Ripeté ancora “Per un attimo.”

Bill! Ti si è inceppato il disco.” Tom gli diede una piccola scrollata alle spalle “Prova ad andare avanti.”

Il gemello rise un’altra volta e poi un sorriso ebete restò parcheggiato sulla sua bocca qualche attimo.

È ubriaco Tom, non capisce niente al momento.”

“Non sono così ubriaco Gustav!” protestò Bill, soffiò aria dalla bocca e agitò sconclusionatamente il braccio “Io sono in grado di fare un discorso logico.”

Ne siamo certi.” Intervenne beffardo Georg “Allora stavi dicendo?” lo assecondò ben sapendo come ci si doveva comportare con chi aveva alzato un po’ troppo il gomito e soprattutto conoscendo come ci si sentiva dalla parte opposta alla sobrietà. Lui ne aveva vissute di notti alticce.

Bill era nella fase delle confessioni: avrebbe passato un po’ di tempo a farneticare su argomenti che in quel preciso momento considerava fondamentali ma che si sarebbero rivelati, la maggior parte, senza senso. Poi il fisico non avrebbe retto e sarebbe passato con il treno espresso alla fase rigetto, ovvero un bella ed allegra vomitata nel water del bagno.

Era questione di tempo.

Dicevo…ehm…aspettate…”

Perché non gli diamo un colpo in testa così ce ne possiamo andare a dormire?” propose Tom.

Bill batté le mani, non aveva fortunatamente o di proposito colto l’offerta fraterna, e annuì a se stesso “Dicevo che per un attimo…uno soltanto…la tipa ha avuto qualcosa in faccia che mi ha ricordato Lyric.”

Come fai a dirlo? L’ultima volta che l’hai vista aveva sedici anni ed adesso che ne avrà circa diciannove deve per forza essere cambiata.”

Ne ha venti Tom. Compie gli anni ad Aprile, non ti ricordi?”

O porca! Ma ti sembra possibile ridursi così per una donna?”

Non mi sono ridotto in nessun modo deficiente! E poi Lyric è Lyric, non parlo di donne a caso…” Bill fece una smorfia, sentendo uno strano vuoto all’altezza dello stomaco, qualcosa di insopportabile che gli tagliava l’aria. Si portò le mani contro il volto “Ho trovato una sua foto due giorni fa.” Rivelò cogliendoli di sorpresa.

Di che foto parli?” domandò Georg.

Ho fatto una specie di ricerca personale…come ha detto Tom ho inseguito il nome della sua famiglia.” Spiegò con un sottofondo di riluttanza nella voce, ricordarsi le cose spiacevoli non era qualcosa che gli amava fare, benché meno se erano recenti.

Tutto ciò che riguardava lei era sia bellezza che orrore. In eguale misura tra la felicità e il rimpianto.

Continuò “C’erano centinaia di articoli, tutte cose che non mi interessavano. Affari della compagnia di loro proprietà, cene di gala, opere di beneficenze e cose così…poi, dopo ore, ho trovato una foto.”

Da sotto le sue mani uscì una risata sarcastica “Non sapevo che potesse fare così male guardare una cazzo di foto.”

Nella luce giallognola della movida spagnola, che giungeva dalla finestra, si consumò la sua confessione. La mattina seguente avrebbe chiesto scusa per essere stato così lagnoso, si disse in un meandro della sua mente alcolizzata, ma voleva approfittare dell’alcool che aveva in circolo per giustificare il suo comportamento così patetico.

Lo riconosciuta subito…erano i suoi occhi quelli. E poi…Bum! Terrore…” strisciò sull’ultima parola come un sussurro che non sapeva se portare avanti oppure no “Mi sono accorto che era cresciuta e cambiata, mi sono perso tutti i passaggi in mezzo che l’avevano portata a diventare così ed è stato un vero schifo realizzare che mi trovavo di fronte ad una estranea. Qualcosa di lei, in quella dannata fotografia, mi urlava che io non conoscevo tutto.”

Tom smise di guardarlo, si voltò dall’altra parte, ma restò ad ascoltare la scia acquosa che scivolava lungo la pelle del fratello. Così fecero Gustav e Georg, in un rispettoso silenzio. Con quella erano quattro le volte che quei due potevano testimoniare di aver visto Bill piangere.

Le dirò quanto la odio perché non mi ha permesso di esserci mentre cresceva e diventava quella donna!” la voce era solo lievemente spezzata, era ancora troppo orgoglioso da non lasciarsi cadere a pezzi in modo tanto miserabile.

Con tutta probabilità il nostro primo dialogo sarà una litigata memorabile perché porca puttana ne ho di cose da gridarle addosso! Perché dovevo esserci…doveva esserci…” si interruppe perché non ebbe più voglia di parlare.

Smise di piangere di punto in bianco quando prosciugò la tristezza del momento. Poco dopo qualcos’altro la sostituì, i crampi di prima si fecero più forti e la nausea prese dominio su tutto il resto. Se non fosse stato per Gustav la mattina seguente le cameriere avrebbero avuto il loro bel lavorare per sistemare il disastro combinato da Bill.

Capendo cosa stesse per avvenire ed essendo il più lucido in quella camera era scattato in piedi dalla sedia su cui era seduto e con uno strattone forte ad un braccio aveva tirato in piedi anche Bill. Poi, sempre stringendolo per un braccio, lo aveva trascinato nel bagno il più rapidamente possibile, il cantante riuscì a trattenersi quel tanto da avere il water davanti alla faccia dopo di che aveva dato via libera alla sua cena di risalire il suo stomaco.

Il suono di lui che rimetteva fu chiaro e udibile ai due rimasti fuori.

Era giunto alla fase di crollo fisico. Mancava solo il blocco totale, cioè addormentarsi per stanchezza, il che era meglio per lui più di qualunque altra cosa al momento.

Al secondo giro di suoni raccapriccianti Tom li raggiunse per dare una mano.

Lascia, ci penso io.” E prese il posto di Gustav per tenere i capelli del fratello dietro la testa in modo tale che non li sporcasse. Il biondo intanto si adoperò per bagnare un asciugamano con cui poi pulirgli il viso una volta che avesse terminato di spedire la cena nel mare.

Era uno spettacolo piuttosto tenero, tutto quel sostegno da parte loro, peccato che dovessero dimostrarglielo proprio in una situazione tanto imbarazzante.

Mi dispiace, sul serio…” mormorò alzando la testa dalla tazza del cesso.

Tom ignorò le sue scuse e gli passò il panno fresco lungo le guance e la bocca “Taci! Dimmi solo se pensi di fare un altro giro sulla giostra.”

Bill gli fece segno con un dito d’aspettare e si riavvicinò al water per sicurezza. Qualche minuto dopo d’attesa si rialzò sospirando di sollievo “Meglio.”

Gustav allora tirò lo scarico mentre Georg entrava in bagno con in mano un bicchiere d’acqua, lo diede a Bill ordinandogli di bere. Ubbidì e buttò giù in un sorso.

“Grazie.” Disse con sincera gratitudine rivolgendosi a tutti e tre. Ora che aveva vomitato la nausea si era attenuata e si sentiva un po’ meglio anche se il proprio corpo e il proprio cervello non stavano più in piedi, erano completamente al limite. Si distese sulle piastrelle nere del bagno, cercando del fresco e una posizione che gli evitasse qualunque tipo di sforzo. Chiuse gli occhi.

Non era male galleggiare dentro a quel vuoto cognitivo, molto meglio dei crampi in tutti i casi.

“Fortuna che domani non abbiamo impegni se no sai che pandemonio ne sarebbe uscito fuori quando David lo avesse visto ridotto così.” Sentì Georg ridere e pur non vedendolo immaginò il sorriso di lui incresparsi tra i suoi tratti.

Percepì Tom che si sedeva a sua volta per terra e subito Bill cercò di stringere la sua mano, si incontrarono a metà via, anche il fratello si era allungato con la stessa intenzione.

“Tanto domani ce lo ritroviamo qui davanti che sfonda la porta a calci, gridando che siamo degli incoscienti e che vogliamo la sua morte, appena verrà a sapere di questa sera dai giornali.” A parlare era stato Gustav, posizionato a qualche metro da lui.

Georg imprecò “Merda! c’erano dei fotografi? Non li ho visti.”

“No. Non ce ne erano ma quante possibilità ci sono che la notizia di Bill Kaulitz ubriaco ad un party non faccia il giro del mondo? C’erano troppe persone che ci hanno visti e riconosciuti, qualcuno avrà fatto degli scatti con il cellulare o roba simile. Se siamo fortunati avremo qualche giorno prima che lo sappiano anche su Marte.”

“Mi prenderò tutta la colpa.” Si propose subito “Lascerò che David uccida solo me.” Non avrebbe permesso che finissero nei guai a causa dei suoi stupidi comportamenti.

“Bill, sul serio, stai zitto.” Tom parlò prima che potesse aggiungere qualcos’altro “Tu adesso devi solo dormire. Di cazzate come la stampa, gli scandali e David verde-Hulk ce ne occuperemo a mente più lucida e poi non facciamo i tragici.”

Georg mormorò d’assenso “Già! Tranquillo, tra qualche giorno Tom farà una delle sue cavolate e nessuno si ricorderà questa serata.”

Risero tutti quanti per quella piccola consolazione.

Ragazzi?” li richiamò poco dopo. Voleva dire un’ultima cosa prima di arrendersi agli ordini del fratello e spegnersi.

Mi dispiace dello spettacolo penoso.”

Ho troppa tequila in circolo per ricordarmi persino il mio nome figurati se capisco di cosa tu stia parlando…a prova di ciò puoi sentire da te quanto parli sgrammaticato in questo momento, sembrò Tom.” ironizzò Georg ma Bill la prese come la risposta migliore che potesse avere.

Sei fortunato che io sia poco lucido a mia volta se no ti avrei già preso a calci.”

Come se in condizioni normali potessi sfiorarmi Tommolo. Ma ti sei guardato allo specchio? Sei un criceto in confronto a me.”

Ma chiuditi la ciabatta! Sei solo invidioso del fatto che io sia un uomo bellissimo.”

Uomo?Pff…scusa ma io continuo a sostenere che sei un criceto.”

E io sostengo che sia da ubriachi o da sobri il cazzo riuscite sempre a rompermelo se vi ci mettete d’impegno.”

Gustav! Hai detto cazzo! Non si fa!” fece Tom che poi venne seguito a ruota da Georg “Infatti Gus! Tu sei il lato buono di questa band, la nostra coscienza pulita e immacolata. Non puoi dire cazzo quando cazzo ti pare. Che cosa accadrebbe se scoprissero che non incarni gli ideali di bontà e cortesia che ti attribuiscono le fan?”

Giusto dobbiamo mantenere l’ordine: Bill è la viziata diva che non si sa se è uomo o donna.”

Ehi! Io starei ascoltando.” Tom lo ignorò proseguendo con il suo brillante discorso. Tutto preso da una strana ispirazione.

Georg ridacchiava lasciando a ruota libera la sua personalissima ed oscena risata impazzita.

Io sono il chitarrista figo, barra play-boy figo, barra gemello decisamente più figo della creatura androgina. Nonché lo stronzo che piace sempre alle donne.” Poi indicò il sedere di Georg, il quale era praticamente spalmato sul pavimento in preda alle convulsioni “Georg è il nostro bassista dai grandi occhi verdi, barra raperonzolo muscolosa e dai capelli lisci piastrati. Nonché sfigato che piace alle donne con un grande gusto per l’orrido.”

Penso proprio che siano quelle che fanno il filo a te ad avere il gusto per l’orrido ma credici pure.”

Tom ignorò ancora una volta le parole del fratello.

Ed infine ci sei tu. Angelo biondo e rassicurante, con il volto avvolto dalla luce, che si occupava di amalgamare questa combriccola di fenomeni da baraccone e di farli apparire un po’ più umani e rassicuranti di quello che potrebbero essere. Vedi hai una grande responsabilità Gustino. Un grande potere comporta una grande responsabilità.”

Sono d’accordo con Peter Parker!!”

Voi due sapete esattamente in che posto dovreste andare ad infilarvi vero?” fu la sua bellissima risposta.

Proseguirono poi, per qualche altra battuta, quella serie senza senso di stupidaggini. Se ne avesse avuto la forza avrebbe aperto gli occhi per guardarli ma non riuscendoci Bill si accontentò di restare ad ascoltarli ancora un po’.

Quelle chiacchere così leggere erano davvero tranquillizzanti.

Pur avendo appena dimostrato che era un patetico imbecille loro tre si comportavano come sempre. Non lo avevano rimproverato, giudicato o sgridato. Erano stati sensibili ai suoi problemi ed era sicuro che la mattina seguente, una volta finito l’effetto dell’alcool, non avrebbe cambiato atteggiamento nemmeno allora.

Vi voglio bene.” Disse un attimo prima di addormentarsi tutto arrotolato su stesso “Vi voglio davvero bene.”

Bill era capace di un’impareggiabile dolcezza nei momenti meno probabili.

Rimasero per il resto della notte nella suite per ogni possibile evenienza: Gustav si sistemò sopra al divano mentre Georg, dopo essersi spogliato ed essere rimasto con i soli boxer, si lasciò andare su di un grande tappeto accontentandosi di un cuscino.

Tom invece rimase al suo fianco, sul pavimento del bagno, e si addormentò sperando che, per avere giustizia, anche Lyric provasse un’uguale sofferenza.

Non poteva sapere, nella sua ignoranza, quanto peso lei portasse in più di suo fratello.

Non poteva avere idea chi stesse realmente soffrendo: perché la maggior parte delle volte ad avere la peggio non è chi ha subito una scelta ma chi la fatta.


*****


Alphonse la trovò sdraiata sul divano del salotto.

Aveva gli occhi fisse sul lampadario ed era certamente distante leghe e leghe di pensieri dalla realtà. Appariva molto stanca e poteva darsi non avesse neanche toccato cibo.

Tana!” Alphonse si avvicinò a lei allegro come sempre “Sapevo che ti avrei trovata qua.”

Non faresti prima a trasferirti a casa mia? Con tutto il tempo che passi qui dentro mi sembra di avere un inquilino, che per giunta non ha mai pagato l’affitto.”

E perché dovresti pretendere che ti paghi? sappiamo entrambi quanto la mia presenza giovi al tuo umore e quindi la mia persona è ovviamente più che gradita a casa tua. Ne pas?.” Il cugino si sedette sull’altro divano, appoggiando da una parte i vestiti imbustati che era andato a ritirare dalla lavanderia.

Che cosa indosserai sta sera? Ford?…Smith? o magari Klein?”

Nessuno dei tre. Sotto tuo consiglio sono passato al lato oscuro e abbracciato Marc Jacobs. Lo sai? Forse è vero che capisci qualcosa di vestiti.”

Oh-oh! Grazie della tua concessione. Senza avrei continuato a chiedermi se quello che facevo fosse giusto oppure no.”

Eh! lo so che una mia parola conforta più di quella di un predicatore. Non ho mai avuto dubbi al riguardo però se avessi una minima briciola della fede che hai tu avrei potuto farmi ministro di culto.”

Alphonse…” si passò una mano sugli occhi sorridendo sardonica “Non vorrai intraprendere un’altra delle nostre discussioni riguardo al mio credere ancora in Dio perché, te lo dico subito, sarebbe inutile farlo.”

Lo percepì muoversi sul divano. Si era pentito subito di aver citato, anche se solo per scherzare, la fede di sua cugina. Visti i trascorsi riguardo a quell’argomento Lyric l’aveva subito presa come un’altra frecciatina al suo modo di rapportarsi con Dio ma non era così.

Sìsì lo so. Non andiamo avanti neanche di un passo. Essendo io profondamente ateo e tu profondamente credente non possiamo farci nulla. Hai la tua opinione.”

Sentendo quel profondamente seguito da termine credente ho la sensazione che tu mi stia dando della fondamentalista religiosa. Ti ho già spiegato che la mia fede non ha proprio niente a che fare con la religione e poi, sì, non è per romanticismo se credo anche nel paradiso. La giustizia può essere raggiunta in questa vita, lo credo fermamente, ma nel caso non la si ottenesse voglio credere che la si possa avere dall’altra parte.” Stava partendo in quarta. Lo aveva fatto così spesso in quei tre anni, per proteggere le sue scelte, che era ormai una specie di riflesso provare a farle comprendere a chi le voleva bene

Lyric…” Allie ebbe una grande voglia di ridere. Per certe cose non demordeva mai, neanche dopo tutto quello che aveva passato, rinunciava ad arrendersi. Il coraggio di Lyric stava proprio in questo: credere di non sbagliare mai, crederci fermamente ed affrontare a testa alta tutto ciò che comportavano le sue decisioni.

Che fosse coraggio o la si chiamasse testardaggine era ammirevole vederla così combattiva “Io rispetto ciò che pensi e rispetto il fatto che tu creda in Dio, chiunque esso o essa sia, quindi rilassati. Nessun dibattito per favore, sono sempre stata una frana in queste cose.”

Scusa. Mi sono fatta prendere la mano ma sono abbastanza stanca da diventare nervosa per niente. ” Si alzò a sedere sul divano e provò a sistemarsi i capelli con le mani. Quel giorno non avevano proprio voglia di stare ordinati e li sentiva sul capo come una sterpaglia incolta. Non era proprio nelle condizioni di sostenere una cena normale, dal punto di vista fisico, figuriamoci una con l’intero plotone Alysei al rapporto.

Alphonse le lesse nel pensiero “Sta sera devi rimanere a casa e riposarti. Dalla tua faccia non credo che sarebbe sano per te restare nella stessa stanza con zio Vincent e mia madre, per non parlare del fatto che ci saranno Ava, Hector e Adele.”

Scherzi? E dargli la soddisfazione di rinfacciarmi che non mi interesso agli affari di famiglia? Quei tre già mi odiano a morte perché ho ottenuto una quota della società senza che lo avessi mai voluto, se poi non mi faccio vedere mi diranno dietro che sono immeritevole, molto più di quello che sono già ai loro occhi. Zio Vincent non sarà tanto un problema, preferisce fare il noncurante ed ignorare la mia esistenza, è tua madre la mia spina nel fianco. Non mi perdona ancora che sia tornata a tormentare le vostre vite.”

Se con la nonna i rapporti si erano completamente sistemati con il resto del suo parentado le cose erano ben diverse. Due anni prima era finalmente venuta a conoscenza, in modo dettagliato, dell’eredità lasciatele dai suoi genitori. Il che aveva scatenato una tragedia degna di essere raccontata ai posteri.

Entrambi le avevano intestato un mucchio di proprietà: beni immobili, proprietà terriere e liquidi ma alla ciliegina sulla torta ci aveva pensato sua madre. Da ben due anni era, ufficialmente e legalmente, proprietaria di una percentuale cospicua delle azioni della Mirage Group appartenute a loro tempo ad Eleonor.

Gli Alysei erano i fondatori e proprietari della società, di cui il ramo di Cassandra e diretti eredi era quello più influente non che quello che si permetteva di dirigere la compagnia. Molti anni prima, quando i giovani non erano ancora nati, suo nonno Thomas era stato molto abile a prendere il pieno controllo dell’impresa, soppiantando il fratello maggiore Alfred e seguito.

Così da decenni quegli Alysei, di cui lei faceva parte, erano padroni di una grossa fetta della società e per come stavano andando le cose ( i figli maggiori di Cassandra infatti erano decisamente degni di mandare avanti la tradizione di ottimi imprenditori) lo sarebbero stati ancora allungo.

Il problema stava nel fatto che tanto potere e ricchezza alla lunga da alla testa ed era stato scandaloso quasi per tutti che lei, così giovane ed inconsapevole se non addirittura ignorante, avesse ottenuto quel numero di azioni (purtroppo parecchie).

Una parte di queste infatti erano appartenute allo zio Will, quello che non aveva mai potuto conoscere, che a sua volta aveva lasciato le sue alla sorella gemella. Sostanzialmente era una complicata situazione, parecchio difficile, per le spalle di una giovane donna appena ventenne che avrebbe preferito e gradito non essere stata messa in mezzo. A volte aveva pensato di cederle tutte a suo zio Victor ma sentiva che non sarebbe stato corretto nei confronti di sua madre. Eleonor ci aveva messo l’anima nel far progredire l’impresa quando era stata in vita e rifiutare di interessarsi personalmente a quel lascito sarebbe stata un’offesa per il passato impegno della genitrice.

Aveva deciso quindi di rispettare le volontà materne e per questo si teneva aggiornata sulle questioni più importanti che venivano prese per l’andamento dell’azienda. Naturalmente non ci avrebbe mai lavorato dentro, il suo impegno non poteva andare oltre al controllare che non commettessero azioni che sarebbero state rischiose (anche se a questo ci pensava già in maniera egregia zio Victor).

Lyric sapeva perfettamente di non essere portata per quel tipo di lavoro e non si vedeva seduta su una sedia, alla scrivania di uno degli uffici dei loro grattacieli, a dirigere migliaia di dipendenti. Non ne aveva la stoffa.

Ma la responsabilità della sua posizione, datale dal nome che portava, l’aveva finalmente compresa.

I discorsi un tempo trovava astrusi e fastidiosi avevano trovato un nuovo senso, aveva capito il buono che vi era dietro.

Quel buono era la ragione per cui sua nonna non avrebbe mai smesso di occuparsi degli affari, era la stessa ragione per cui suo zio Victor era realmente innamorato del proprio lavoro, la ragione per cui Alphonse aveva deciso di laurearsi ad economia.

Essere Alysei aveva assunto una qualità più profonda, non era solo essere ricchi o snob, significava anche portare avanti un impegno famigliare, ovvero mantenere in vita qualcosa che era profondamente radicato nella loro identità. Avendo compreso questo Lyric aveva perdonato certi aspetti della sua famiglia. Anche se il carattere dei singoli soggetti non poteva essere migliorato allo stesso modo. I suoi parenti restavano, quasi tutti, delle autentiche vipere.

Fregatene e resta a casa. Che te ne importa se ti sparlano dietro? Lo faranno anche se sarai là quindi la scelta migliore è restare a casa.”

Lo sai perfettamente che lo faccio per la nonna. Le fa piacere vedermi a queste dannate cene. La tranquillizzano.”

Non è così ingenua. Saprà capire se per una volta preferisci riposarti invece di rimanere in tensione per due ore filate in mezzo a noi.”

Sopporterò e poi dopo cena devo parlarle.”

Riguardo a cosa?”

“…”

Si guardarono in silenzio per dei minuti interi, si potevano udire le voci delle persone da fuori casa per quanto muti erano diventati. Alphonse spostò i propri occhi da un lato all’altro studiando l’ambiente come se questi avesse potuto parlare e rivelargli l’arcano.

Poi Lyric sorrise “Dai chiedimelo. Sei venuto qui apposta, sapevi che oggi avrei incontrato la Bayle.”

Il cugino aprì la bocca fintamente scandalizzato “Non accusarmi di avere dei fini nascosti. Ti assicuro che ogni volta che vengo a trovarti è per puro piacere personale. Sai quanto ti voglio bene.”

Lyric ritornò a sdraiarsi sul proprio soffice divano e lo guardò con aria furbetta “Alphonse! Niente paroline dolci e chiedimelo. Su! Chiedimelo.”

Ok. Allora il responso della Bayle? Puoi andare in Italia?”

Lo fece attendere giusto per godersi l’evidente attesa, piena di speranze, nel suo volto. Era la stessa espressione di quando lo aveva annunciato a Diane, appena era uscita dal Grace Hospital, l’amica l’aveva appositamente aspettata davanti alla propria macchina pur di avere le notizie il prima possibile.

Sia Diane e Allie riponevano una fiducia esagerata nella sua debolezza, avrebbero capito presto che pur se le cose stessero andando in una direzione che l’avrebbe riportata di fronte a Bill lei non avrebbe ceduto. Non poteva permettersi di parlargli.

Quei due si sarebbero dovuti accontentare di una piccola vittoria.

Ho il permesso.” Gli annunciò e in un battere di ciglia lo vide trasformarsi

Fantastico!”

Ha detto che le mie condizioni attuali sono veramente buone e che non precludono la possibilità di questo viaggio. Mi ha ordinato però di non sforzarmi troppo e di mantenere la situazione sempre sotto controllo. Dovrò portare con me copie della mia documentazione clinica così, se accadesse qualcosa, i medici del momento potranno essere preparati. Vuole assolutamente istruire Diane e Kat ma suppongo che sarà lo stesso discorso fatto quando siamo partite per il Giappone. Inoltre mi ha concesso al massimo due settimane di lontananza, non mi vuole avere ad un oceano di distanza da lei per troppo tempo.” Spiegò in quelle frasi il succo dell’incontro avuto con la sua cardiologa.

Alphonse annuì “Certo. Ovviamente dovrai prendere delle precauzioni. L’hai detto a Diane e Kat?”

Sì. Erano entrambe fuori dal Grace ad aspettarmi, Diane ha reagito come te mentre Kathleyn era meno entusiasta, molto rassegnata a di la verità, ma si è proposta di occuparsi lei di organizzare il viaggio e tutto il resto.”

È semplicemente molto preoccupata per te. Comprendila, ha un po’ di paura.”

Lo so, tranquillo non me la prendo. Di paura ne ho anche io ma sono contenta che Kat mi sostenga, anche se non è al cento per cento convinta che sia una cosa giusta.”

Ne sarà convinta quando vedrà la tua faccia una volta là nella fossa. Anche se Bill non le andrà a genio in ogni caso.”

Lyric mischiò la risata che le venne fuori ad un imprevisto sbadiglio. Era davvero molto stanca. Prima della visita con la dottoressa Bayle aveva passato la mattinata con i bambini del reparto di oncologia e come sempre si era rivelata un’attività intensa oltre che piacevole. Giunta a casa non era riuscita neanche a trascinarsi verso la propria camera da letto e si era accontentata di sdraiarsi sul divano.

Alphonse tentò ancora una volta di dissuaderla dal venire quella sera a cena “Potresti parlare alla nonna di questa cosa anche domani. Anzi sarebbe molto meglio perché oltre che riposata non dovresti vedere le facce dei nostri parenti.”

E lasciarti da solo tra i piragna?”

Me la caverò benissimo!”

Ci penserò.” Gli concesse sbadigliando un’altra volta. Tra qualche minuto sarebbe crollata ed allora sarebbe stato più facile, pensava Alphonse, perché non l’avrebbe svegliata per prepararsi alla cena.

Ma questo non glielo avrebbe detto.

Pian piano la stanchezza stava prendendo sempre più terreno, tanto che non teneva neanche più gli occhi aperti, stava per addormentarsi “Ho parlato con Sophia ieri, riguardo a quello che vorrei fare e anche riguardo a quello che ha fatto Diane.” Parlava con il tipico tono di voce di chi aveva una piede nel regno del sonno.

E cosa ne pensa?”

Mi ha detto che l’idea di Diane è un’ottima opportunità per me e che se sono intenzionata a non parlargli allora non ho altre possibilità di vederlo se non in questa maniera.”

E tu?”

Lyric ripensò a quando, durante la colazione di qualche giorno prima, l’amica aveva appoggiato quei biglietti sul tavolo della cucina. Le era bastato leggere la parola Live per comprendere che cosa fossero e quale fosse il piano escogitato da Diane, così come aveva impiegato poco per farsi andare di traverso persino l’aria.

Sono rimasta destabilizzata dal suo gesto perché non pensavo che stesse covando tali idee e poi, qualche ora dopo, ho riflettuto sull’impegno che ci deve aver messo e mi sono sentita davvero grata. Si sforza sempre più di quello che le viene chiesto.”

Decisamente è stata più brava di me e di Katy. Sapeva cosa tu desiderassi veramente e ha lottato, a suo modo, per permetterti di averlo.”

Già, ha avuto molto più coraggio di tutti noi.”

“Bè anche tu.” La indicò “Se fossi stato in te non ne sarei stato capace, a sedici anni poi, mi sarebbe stato impensabile essere così lucido.”

Lyric non disse niente a seguito di questa frase, sapeva a cosa Allie si stesse riferendo ma quel discorso lo avevano fatto già una volta, non ritenne necessario spiegarsi ancora.

Le ho restituito tutto il denaro che ha speso.”

Hai fatto bene. Puoi immaginarti il terribile senso di colpa che ha avuto dopo aver buttato all’aria tremila dollari.” Entrambi furono colti dalla tenerezza “Era entrata in totale panico eppure non era pentita.” aggiunse Alphonse ammirato da tanta tenacia.

È stata davvero più brava di noi.” Ribadì Lyric consapevole dello sforzo compiuto da Diane per fare qualcosa per aiutarla.

Kat mi ha detto di aver parlato con Diane ieri, si sono chiarite e hanno fatto pace. Ci hai per caso messo il tuo zampino?” passò ad un altro argomento ugualmente correlato alla questione dei biglietti.

Allie scrollò le spalle con finta modestia “Io? Stai parlando con l’ultima persona che è in grado di sostenere il ruolo di pacere, io sono più adatto a prendere e arraffare.” Risero.

Quella definizione poteva essere azzeccata qualche tempo prima ma non lo era più poiché Alphonse, ora, era certo di possedere della sensibilità. A dimostrazione di ciò c’era stato l’intervento per calmare la sua ragazza, in preda al più grande attacco psicotico dai tempi dell’incidente, e il suo aiuto per farla arrivare ad un compromesso con ciò che Diane desiderava e ciò, invece, che Kat tentava di proteggere.

Aveva avuto il suo bel da fare doveva ammetterlo ma ne era valsa la pena. A poco a poco Alphonse diventava sempre più consapevole del valore di un sentimento che anni prima aveva sottovalutato. Nei casi più fortuiti l’amore rendeva davvero migliori.

Comunque la signora Sophia non ti ha parlato di possibili controindicazioni in questa specie di terapia d’urto?”

Lyric sembrò divertita mentre ricordava quello che le era stato detto dalla sua psicologa “Nessun effetto collaterale di rilevanza a parte la possibilità che io provi un’amara sensazione di perdita dopo che sarà tutto finito ma le ho assicurato che potevo farcela.”

Alphonse le si era avvicinato e con cautela l’aveva presa in braccio, per trasportarla in camera sua. Lyric si lasciò prendere senza protestare anche perché era quasi del tutto addormentata.

Quindi ti sei arresa?” domandò una volta che l’aveva appoggiata sopra al materasso.

Lyric lo ringraziò senza però aprire gli occhi.

Già, era ancora nella lista, rivedere Bill intendo dire ma credevo di poterlo evitare.” Rispose con voce distaccata.

La bella addormentata aveva davvero bisogno di dormire.

Per quanto riguarda la seconda parte di questo desiderio? Se fossi in te io glielo direi che sei ancora innamorata.”

Lyric si portò l’indice della mano alla bocca come a dirgli di fare silenzio “Lo sai che non gli parlerò mai più per il resto della mia vita.” E quelle parole erano come sempre impregnate di una serietà che valeva come promessa e come intento “Quello me lo terrò per me. È il migliore regalo che potrò mai fargli.” E poi le si illuminò il viso in una maniera davvero sorprendente persino da mezza-addormentata come era in quel momento, sembrava che le avessero appena dato una notizia meravigliosa. Sembrava felice.

E questa faccia?”

Tra due settimane rivedrò Bill!” fu la sua spiegazione e mentre lo diceva assapò ogni più piccolo segreto significato di quelle parole. A questa risposta ad Alphonse si intenerì il volto.

Lo sentì ridacchiare accanto a sé “Così Giulietta rivedrà Romeo.”

Già, come Edward Cullen non ho resistito molto tempo.”

Vedi che non sono l’unico che fa strani discorsi.”

Lyric scoppiò a ridere e cinque minuti più tardi si assopì del tutto.


*****


Non pensi che dovremmo dirle qualcosa?”

Diane smise un secondo di trafficare con il suo computer portatile “Riguardo?”

Kat indicò in direzione del soggiorno, al piano inferiore “Se ne sta lì, da ore, in silenzio. Tra le mani tiene quei dannati dvd che si è comprata questa mattina.” Mentre diceva questo si era morsa per un istante un angolo del suo labbro inferiore, di solito questo significava che era indecisa sul da farsi, il che era molto raro.

Ore? Addirittura?” la canzonò la bionda tornando a macchinare con il mouse e la tastiera.

Togu!” Diane bloccò le veloci dita che correvano lungo i tasti. Kat non era calma ed era evidente dal fatto che l’avesse appena chiamata con il cognome.

Ma scusa, lasciale fare quello che le pare, no? Non sta disturbando nessuno infondo.”

Disturba la mia tranquillità se vuoi saperlo. Mi preoccupa.”

Dovresti cercare di non prendere ogni cosa che la riguarda come una tua questione personale. Non farti divorare dai tuoi sensi di colpa, non è sempre una tua responsabilità.” Diane si pentì subito di quello che le era uscito dalla bocca.

Fissò la sua amica prodigandosi con lo sguardo in una scusa sincera.

Kat ci passò oltre perché al momento non aveva voglia di discutere sul perché dovesse smettere di auto-punirsi per quell’incidente. Lo sapeva cosa pensava Diane riguardo ai fatti di quattro mesi prima, si era sentita dire più di una volta che per lei non c’era proprio nessuna colpa di cui farsi carico. Era solo Kat a stritolarsi in un pentimento talmente pressante e lo sapevano entrambe.

Ora però desiderava solo che l’altra sua più cara amica trovasse un compromesso con quello che lei pensava giusto fare. Quattro mesi prima, in quella lunga ed infinita sera, si era ripromessa che nessun altro avrebbe dovuto soffrire tanto. Neanche l’insopportabile scopino Kaulitz.

Mi dispiace vederla lì impalata, è…”

È indecisa.” La precedette l’altra.

Kat annuì appoggiandosi contro un lato della scrivania su cui era sistemato tutto l’armamentario da fotografa di Diane. Avevano deciso di trasferirsi da Lyric in modo tale d’aiutarla per la partenza, e questa era la ragione ufficiale del loro insediamento, anche se erano lì soprattutto per starle accanto e controllare che stesse bene. Mancava una settimana ed erano tutte tre in corso di preparativi: Kathleyn aveva programmato il viaggio, occupandosi dei biglietti, dell’albergo e di tutti gli altri dettagli pratici della situazione mentre Diane si era data all’intensa preparazione di qualcosa.

Non era un caso in quel momento si era rinchiusa nella sua stanza a trafficare con il computer.

Sì, è indecisa se guardare quei dannati dvd. Non lo ammette apertamente ma non è ancora così sicura di poter guardare di nuovo la faccia di quell’essere lungiforme con le orecchie da Dumbo.”

Bill?”

Kat ringraziò per non essere stata costretta a pronunciare il nome di quella persona.

A volte rimuginava sul come, in determinati momenti, quel Bill avrebbe potuto agire e se rispetto a lei avesse potuto fare meglio. Poteva darsi, si domandava, che lui sarebbe stato capace di sostenerla meglio di quanto avessero fatto loro? No, non riusciva a crederci.

Dalle tempo. Ci sono voluti tre anni prima che si decidesse a rivederlo, tra dieci giorni lo vedrà effettivamente in carne ed ossa, è ovvio che sia leggermente indecisa.”

E se si agitasse troppo? Se guardi una cosa che hai tanto a cuore ti viene poi voglia anche di toccarla, di sentirla, pensi forse che le sarà facile tornare qui dopo averlo avuto così vicino? Improbabile.”

A dir la verità spero proprio che ceda.”

Questo mi era chiaro.” Fu seccata per l’appunto.

Bè comunque Sophia ha detto che può farlo senza problemi, così come la Bayle, inoltre in caso ci penseremo noi.”

Un susseguirsi di click riempirono per qualche minuto il silenzio che seguì. Gli occhi di Diane intanto sfrecciavano rapidi da un’immagine all’altra mentre Kat la osservava in quel suo lavoro.

Anche io voglio aiutare Lyric.”

Lo so.” Un click e un altro click ancora “Per questo non ti sto impedendo di guardare cosa sto facendo.”

Grazie tante! Per un profano è comunque lingua del mar morto.”

Bé apprezza che sto facendo tutto alla luce del sole.” Kat fu quasi divertita, a forza di frequentarla Diane aveva preso un po’ della sua sfacciataggine mentre lei aveva imparato ad essere paziente.

Diane, sul serio, non ho intenzione di interferire con i tuoi piani però non voglio che tu finisca in certe, possibili, complicazioni in caso qualcosa andasse storto. Vorrei evitare che ti macchi la pedina penale in un altro stato.”

Macchiarmi la pedina penale?”

Ne saresti capace se ti ci mettessi d’impegno.”

Ah! grazie tante per la fiducia.”

Di nulla, signorina Togu.”

In quel momento passò nello schermo una foto che ritraeva loro tre.

Era stata scattata l’estate precedente, quando avevano fatto quel viaggio in Giappone.

Indossavano degli yukata colorati ed allegri che si intonavano all’aria spensierata che, in sfondo, si stava vivendo in quel momento. Avevano partecipato alla festa annuale di Tanabata, una ricorrenza che celebrava la leggenda dei due innamorati divisi dalla Ama no Gawa (la Via Lattea) e a cui era concesso incontrarsi solo una volta all’anno, il sette luglio di ogni estate, per la durata di una breve notte soltanto.

In quell’occasione le ragazze avevano sperimentato l’usanza di appendere su dei rami di bambù i tradizionali tanzaku, dei rettangoli di carta su cui venivano scritte delle poesie, le quali imprimevano con l’inchiostro i desideri e le speranze più intimi delle persone. Il loro volto, nello scatto di quella foto, era così pieno di entusiasmo.

Sembravano essere passati secoli.

Appena lo finisco te ne parlo, giuro.”

Kat fu soddisfatta e smise di guardare il computer.

Diane poi diede un’ultima occhiata al suo preparato prima di spegnere ogni cosa. Era stanca e aveva deciso di finire il resto la mattina seguente. Si stiracchiò per bene i muscoli addormentati e si massaggiò gli occhi.

Allora cosa si mangia questa sera?”

Pensavo di chiedere aiuto al magico telefono e scorrere la lista dei ristoranti d’asporto.”

“Messicanooo!” Partì in quarta Diane saltando su dalla sedia. Kathleyn le fece una faccia da funerale preparandosi ad una lunga arringa sul perché il messicano fosse fuori discussione. Stava giusto per dire che se lo poteva scordare quando Lyric spuntò davanti a loro.

Entrò timidamente, come una bambina che doveva confessare una marachella ai genitori.

Le stava guardando entrambe con uno strano timore mentre in mano teneva uno di quei dvd, sembrava, però, cercare di nasconderlo al loro sguardo. Dischiuse le labbra cercando di tirare fuori le parole che avrebbero spiegato quel suo comportamento.

“Ecco, so che avreste altri piani per la serata ma, mi chiedevo, se vi fosse possibile restare a guardarli con me. Io penso che sarebbe più semplice se ci foste anche voi.”

Kat e Diane rimasero immobili ad osservarla per poco. Si godevano quel lato molto dolce di Lyric che tentava spesso di celare al mondo esterno. Quando si trattava di Bill o dei Tokio Hotel diventava estremamente umana, era molto meno rigida di quando sosteneva il suo ruolo di giovane donna matura.

“Sia chiaro a tutti che non provo nessun desiderio nel guardare quel branco di oranghi crucchi nel loro stupido habitat, se lo faccio è solo perché me lo hai chiesto tu.” Puntualizzò Kat prima di afferrare il dvd dalle mani di Lyric e d’incamminarsi con passo spedito verso la televisione in soggiorno.

Diane invece prese per mano Lyric e con il volto che rappresentava l’essenza stessa della solarità la trascinò con sé “Dobbiamo assolutamente immortalare questo momento! finalmente Kathleyn Holloway, l’ex regina della Wiston, proverà il brivido di guardare ciò che emoziona la classe media! Ti rendi conto che si intratterrà con una band rock?” esclamò con un’allegria contagiosa.

“Diane finiscila di dire sciocchezze!”

“Non sono sciocchezze! Questa è una conquista, stai movendo i primi passi per rapportarti con la gente comune, ti interesserai di un tipico passatempo della classe media.”

Lyric scoppiò a ridere vedendo la scenetta in atto tra le due sue amiche, Kat come sempre era quella esasperata dai continui discorsi sconclusionati dell’altra mentre Diane era sempre così spensierata che era difficile per le persone prendersela a male seriamente. Vedendole in quegli atteggiamenti si sentì pervadere dal sollievo, almeno non pensavano che fosse patetica nell’essere, in certi aspetti, così instabile.

“E poi tra qualche giorno andrai persino ad un live dei Tokio Hotel.”

“Ti prego non ricordarmelo.” Kat fece una smorfia come se le avessero appena fatto vedere una disgustosa miscela organica di dubbia origine “Comunque è tutta colpa tua.”

“Potevi rifiutare, potevi dare il tuo biglietto ad Al, dì la verità…” la biondina la indicò con un sorrisetto “…sotto, sotto, ti piacciono molto.”

“Sì, sotto alla suola delle mie scarpe.”

“Buuuu! Questa battuta era squallida.” Diane la indicò con la bocca spalancata dall’orrore “Squallida! Ressetta e riprovaci.”

“Che ne dici se provo per l’ennesima volta ad eliminarti?” L’espressione comico-omicida di Kat avrebbe inquietato qualcuno ma per le persone in quella stanza quella sua faccia faceva parte di un corredo di abitudini.

Diane smise di dare corda all’altra di punto in bianco e si toccò la pancia dopo che questa aveva brontolato.

“Madre natura pretende che mi riempia lo stomaco.”

“Allora ordiniamo qualcosa.” Lyric si asciugò le lacrime agli occhi e riprese a respirare normalmente.

Diane annuì come un cagnolino a cui era stata promessa una porzione più abbondante di croccantini.

“Sì, raccogliamo vagonate di cibo prima di iniziare a guardare i dvd.”

Kat invece era ammutolita “Che diavolo significa guardare i dvd? Non stavamo parlando di vedercene solo uno?” tra un momento avrebbero toccato la punta estrema della pazienza Hollowayana.

“Prendiamo la pizza!” rumoreggiò Diane ignorandola “Io la prendo vegetariana senza olive!”

“Ok, Kat?” Lyric aveva già preso in mano il telefono e stava per comporre il numero.

“Volete davvero guardarli tutti ?ripeté la rossa ancora ferma su quel punto, rifiutava l’idea che avrebbe guardato tutti quei dannati cosi, Diane le diede un colpetto alla spalla “Tranquilla, tranquilla mentre mangerai la pizza non ci farai neanche caso…” ci stava godendo spudoratamente.

“Io la pizza finirò per rigettarla.”

Diane congiunse le mani “Bè pazienza, in quel caso parlerò agli antenati.”

“E questo a cosa dovrebbe servirmi?”

“Non ne ho idea ma mia nonna dice sempre che il rimedio ad ogni male è affidarsi alla clemenza degli antenati.”

“Ovviamente è di famiglia dire cose che non hanno senso.”

“Certo come nella tua è abitudine avere un senso dell’umorismo totalmente inesistente.”

Diane percepì il pericolo nell’istante in cui vide Kat ghignare in maniera simile alla madre di Alphonse e si ritirò immediatamente dietro le spalle di Lyric.

Quest’ultima rise ancora.

Cosa avrebbe mai fatto senza quelle due? Di certo, quei tre anni, sarebbero stati molto meno sopportabili senza la loro presenza. Con loro non si era sentita sola e le sarebbero state accanto sempre, nella buona e nella cattiva sorte, lo sapeva. Era una delle sue più grandi certezze.


…………………………………………………………………………….


Ed anche questo capitolo è finito. Yatta!

Mi scuso se ho fatto un ritardo di una settimana rispetto a quello che vi avevo promesso ma poiché mi sono dovuta abituare ai ritmi del lavoro, tornando a casa sempre a casa, invece di scrivere preferivo recuperare le forze. Comunque mi sono impegnata e ho finito il capitolo, yeah!

Il capitolo 12 è un capitolo di passaggio o almeno a me piace definirlo in questo modo. Mi piace (come se uno dei miei capitolo non mi piacesse) e credo che lo troverete interessante anche voi perché anche se non sembra vi ho gettato addosso un mucchio di informazioni.

Mi è sembrato giusto cominciare a fare chiarezza nella nebbia delle mie continue allusioni e così è uscita la roba che avete letto da questo capitolo.

In particolare mi sono lasciata trasportare e ho scritto un mucchio di novità riguardo la vita di Lyric. È molto cambiata la mia ragazza rispetto dall’inizio della storia. Seppur la sua situazione attuale non sia fantastica non è caduta in depressione come invece le era accaduto una volta morta la madre. È cresciuta ed ha smesso da tempo di vedere le cose solo in bianco e nero, ora vede tutti i colori possibili ed ha imparato a non giudicare subito le sfumature delle persone. Per esempio ora non vede così di cattivo occhio la sua famiglia, anche se resta in gran parte insopportabile e soprattutto è diventata dannatamente tenace.

Non riesco a spiegarvelo meglio di così quindi non proseguo neanche.

Cos’altro? Ah! Sì! Si stanno avvicinando…si stanno avvicinando….quei due si stanno avvicinando! XDXD…non vedo l’ora e voi? Il cap 13 sarà esattamente quel momento ma non credete di poter indovinare come andranno le cose….personalmente so che mi verranno i crampi alle mani, figuratevi che li ho adesso.

Ahhhhh!

Piccolo appunto, naturalmente la storia si sta svolgendo nell’estate del 2009 e ovviamente quando ho iniziato questa storia mi ero immaginata i Tokio Hotel riuscire a pubblicare il nuovo album per l’inizio di quest’anno…quindi adesso la realtà e ovviamente un’altra cosa da questa FF.

In questa storia Bill e Tom hanno ancora i capelli di fine 2008 (quando Tom era rasta e biondo…mi manca…e la principessa aveva quegli stupendi capelli lisci, scalati e senza la strisciata di mesche bionda platinata), hanno pubblicato il nuovo album a marzo del 2009, hanno fatto un mese di pubblicità mondiale, passando anche per l’america (quella citata da me nel cap 2) e poi hanno iniziato il nuovo tour europeo a fine giugno del 2009. Ecco, la situazione è questa mentre nella realtà sappiamo tutte che le cose non sono così.

Per la mia pignoleria i cambiamenti del look dei gemelli mi hanno incasinato, perché ci tengo sempre ad essere fedele a come sono le persone, quelle che hanno una propria e reale vita fuori da questa ff, ma visto che ho cominciato con Bill e Tom con un dato stile non posso di punto in bianco cambiare. Quindi per il resto di questa storia i gemelli sono quelli, per quanto riguarda i capelli, di fine 2008. XD lo so, sono scema a fare un discorso del genere ma era per essere precise e coerenti.


Grazie


gigia1295: Guarda, sono sicura che leggerai il capitolo 13 quando tornerai a casa, con i tempi che ho è molto più probabile che non ci sia ancora al tuo ritorno XD Comunque ci ho messo un po’ prima di capire che eri tu…XD….


Morgana: Scusa se non ti ho avvertito subito. Ma vedi che questa volta lo fatto. Spero che ti piaccia Baci! Non so ma forse, può darsi, che ci vediamo il 18? Uhm…ma….


Grazie a tutti quelli che leggono anche se non commentano.


Un mega abbraccio e speriamo di scrivere il capitolo 13 il presto possibile!!


PS: BUON ANNIVERSARIO MIA GEORG!! ESATTAMENTE UN ANNO FA NOI ERAVAMO Là IN MEZZO....VORREI PIANGERE PER LA NOSTALGIA MA NON RIESCO ALTRO CHE SORRIDERE A PENSARCI....MI MANCA...MI MANCA COME L'ARIA....MI MANCA ESSERE COSì BIMBAMINCHIA...XD....

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Capitolo 14
*** Capitolo 13: Life ***



Capitolo 13

Infinite scelte.

Infinite possibilità.

Infinite storie.

La vita è esattamente questo.

******* 

Una mano premuta sulla spalla lo fece dondolare per un minuto buono prima di riuscire a svegliarlo.

La sua reazione fu quella di scattare sull’attenti e sbattere goffamente con la fronte contro il finestrino dell’auto. Sentì Tom ridere di lui a pochi centimetri di distanza mentre si portava una mano sulla parte colpita e se la massaggiava un pochino.

Porca!…” inveì per il pessimo modo in cui si era risvegliato.

Stava dormendo così bene, un secondo prima, che l’essere stato allontanato da quella pace senza sogni era risultato un atto per nulla gradevole. Si corrucciò e sbuffò rivolgendosi in protesta con chi, a detta dei suoi ragionamenti, era l’artefice del suo splendido, nuovo, malumore.

Naturalmente Tom comprese subito l’andamento delle acque.

Ehi! Calma. Volevo solo svegliarti per farti notare che tra cinque minuti arriveremo in albergo.” Si difese lui vedendolo incattivito come un gatto a cui avevano tirato erroneamente la coda.

Bill non gli fece la grazia di una risposta e restò testardamente muto ed imbronciato, limitandosi a guardare fuori dal finestrino scuro, finché le ruote della macchina non si fermarono davanti all’entrata del Bulgari.

Tom gli elargì lo stesso trattamento: tentò di ignorarlo, guardando i profili dei palazzi milanesi che si susseguivano uno dopo l’altro sotto la luce giallognola dei lampioni, anche se l’idea di prenderlo per i capelli e sbatterlo violentemente contro la prima superficie dura a portata di braccio lo allettò un paio di volte durante il tragitto. Si trattenne dal farlo solo perché ne aveva le scatole piene di discutere con lui a causa di quei suoi numerevoli ed insopportabili sbalzi d’umore.

Era peggio di loro madre quando era entrata in menopausa.

Continuarono a non rivolgersi la parola nemmeno quando si trovarono in ascensore, assieme a Gustav e Georg, in attesa di giungere al piano riservato dove si trovavano le loro camere. Gli altri due componenti della band, notando l’aria pregna di attrito, non aprirono la bocca a loro volta ben consci di non avere le forze necessarie, in quel determinato momento, per reggere qualunque tipo di incomprensione che quei due potessero avere.

Di sicuro, pensarono entrambi, doveva trattarsi di qualcosa di poco conto o comunque qualcosa che era possibile risolvere la mattina seguente. Se poi quella bolla di sapone, creata per una stupidaggine, fosse esplosa in una fragorosa pioggia di fulmini e saette non sarebbe stato un gran guaio.

I gemelli Kaulitz ne avevano già distrutto un paio, di stanze d’albergo, in quegli anni a causa di un dissidio fraterno degenerato in una vistosa litigata tra due soggetti impulsivi. In tal caso alla lista nera degli atti compiuti contro la salute di David Jost si sarebbe aggiunto il duecentesimo e passa appunto.

Era una conseguenza sostenibile per la loro coscienza.

Gustav e Georg diedero loro la buona notte, visibilmente esausti dalla fatica, appena le porte dell’ascensore si furono aperte e si dileguarono in direzione delle proprie stanze dopo che li pregarono, ognuno a proprio modo con lo sguardo, di non dare escandescenze, soprattutto Bill.

Tom non poté biasimarli per essersi tenuti fuori. Se ne fosse stato capace lo avrebbe fatto anche lui ma, esattamente come il gemello, non era geneticamente predisposto a lasciar passare troppo facilmente i torti che pensava di aver subito. Mantennero quel loro silenzio stampa infantile fino a che non giunsero di fronte alle loro stanze.

Una volta lì sarebbe bastato far passare la scheda magnetica lungo la macchinetta d’identificazione, per aprire le porte ed allontanarsi così dalla possibilità di scontrarsi. Ovviamente era un gesto troppo ragionevole e sensato perché i gemelli lo facessero veramente. Andava contro il loro modo di vivere la vita, seguire la via più facile, intendo.

Bill lo chiamò molto piano, tanto che Tom pensò di esserselo immaginato, e quando si voltò a guardarlo la faccia sprizzante di fastidio ed irritazione che aveva mantenuto fino a quel momento si dissolse. Lasciò il palco ad una muta ed indecifrabile espressione di calma rassegnata. Tom non riusciva a restare arrabbiato quando lo vedeva ridotto in quel modo, l’unico sentimento che gli fluiva nelle vene era solo una detestabile preoccupazione fraterna.

Bill se ne stava dritto ed immobile, come se fosse stato imbalsamato, di fronte alla propria porta, con la mano destra bloccata in una posizione statica al di sopra del lettore elettronico della chiave. Aveva appoggiato la fronte contro la superficie lucida dell’entrata e dal suo viso traspariva una tale stanchezza d’ apparire straordinario il fatto che rimanesse ancora in piedi. Già…Tom percepiva proprio una odiosa preoccupazione all’altezza delle costole che lo schiacciava prepotentemente e questo non indicava nulla di positivo.

Da settimane la situazione emotiva di Bill era degradata ai livelli minimi storici, gli unici momenti in cui si sforzava di essere allegro o comunque fingeva con più successo della spensieratezza erano durante gli impegni lavorativi, per il resto si dilettava ad incupire l’atmosfera restandosene poco socievole, molto irritabile e particolarmente taciturno.

Purtroppo Tom non aveva più idee su come sollevargli il morale: assicurargli che sarebbero presto partiti per la missione impossibile non bastava più e aveva già tentato di distrarlo con varie attività, tutte rivelatosi inutili. Da quella sera a Barcellona Tom sapeva che si era aggiunto qualcos’altro di spiacevole tra i problemi del gemello.

Bill in quel momento fece un grosso sospiro mentre sulla sua bocca si disegnò una smorfia simile a quelle che vengono per i crampi allo stomaco, espressione visibile di quanto fosse esaurito.

Scusami Tom.” Disse infine dopo averlo fatto aspettare. Il modo serio in cui si pronunciò non fecero sorgere dubbi riguardo al suo sincero dispiacere “Mi dispiace di trattarti così male.” Proseguì girandosi a guardarlo e nel farlo strisciò la fronte contro la porta. Sbuffò e si costrinse con forza a prendere una parvenza di vitalità. Tempo sprecato.

Era impossibile non notare il fatto che Bill fosse esausto e non era la solita famigliare stanchezza, quella prodotta dai ritmi incalzanti e frenetici del loro lavoro, no, quella era una stanchezza che perveniva dal suo animo.

Era esausto dentro.

Tom aprì la bocca ma non trovò niente che valesse la pena di essere detta e se ne restò in silenzio, per nulla rassicurato dal fatto che Bill avesse alzato bandiera bianca così presto. Si era aspettato di doverci litigare rumorosamente ed invece aveva ottenuto delle scuse ufficiali, due addirittura, senza molti sforzi.

Bill provò allora a sorridere ma l’unica cosa che ottenne fu di apparire ancora più mesto. Scosse il capo ridendo lievemente, un po’ per se stesso e un po’ per la faccia inquietata del fratello, questi lo stava guardando come se da un momento all’altro si aspettasse di vederlo esplodere in coriandoli colorati.

Rise un’altra volta: era così tremendamente facile carpire i pensieri di Tom. A dir la verità loro due avrebbero potuto intavolare una discussione soltanto guardandosi, stando nel mutismo più assordante, e si sarebbero capiti comunque in modo perfetto. Era naturale come respirare per loro.

Alle dodici e mezza di quella notte milanese, nel mezzo di quel corridoio, Bill lesse nel gemello qualcosa di cui era certo dalla sera in cui si era sbronzato a Barcellona “So esattamente cosa sta galleggiando nell’infinito spazio della tua mente.”

Tom sorvolò sulla battuta tra le righe e fece spallucce “Ah sì?”

Pensi che sia un deficiente se riesco a stare così da schifo per una ragazza che non vedo da ben tre anni.” Ed era la verità, Tom pensava che fosse un idiota, uno di quelli testardi per giunta “Pensi che non ne valga la pena dopo quello che mi ha fatto. Che non si meriti tutta quello che sto passando.”

Il gemello abbassò lo sguardo, inclinando il capo in direzione di qualcosa che non fosse il viso dell’altro, aveva timore di fargli del male dando ragione alle sue supposizioni anche se fu un tentativo inutile fin dall’inizio. La loro empatia comportava quegli inconvenienti.

Di qualcosa.” Lo pregò Bill e nel tornare a guardarlo vide una richiesta.

Una richiesta di sostegno, peccato che non fosse la sera giusta.

Tom scrollò ancora una volta le spalle ma con un fare più agitato “Cosa dovrei dire?” sentiva addosso un fastidio particolare che prese il posto della preoccupazione, era la sensazione che percepiva quando Bill lo scrutava con troppa insistenza.

Cos’altro dovrei aggiungere?” domandò quasi con aggressività lasciando cadere a terra il proprio borsone da viaggio, consumato da centinaia di ore di scorrazzamenti per il globo sulle stive di altrettanti aerei “Hai già detto tutto tu!” giustificò con un tono un po’ più alto. Detto questo Tom decise che era il momento di separarsi e si girò, con la frenesia addosso, per usare la chiave elettronica finora rimasta abbandonata nella sua mano.

Non parliamo più di queste cose, per favore?” appena la serratura elettronica scattò diede un calcio leggero alla porta per aprirla.

Voleva apporre dei muri tra lui e gli occhi penetranti di Bill, lo voleva più di ogni altra cosa al mondo in quel momento, voleva scappare, almeno per qualche ora, così d’avere le idee più chiare nel momento in cui avrebbero avuto il secondo round “Oggi non voglio sentire uno di quei discorsi sul fatto che non puoi farci nulla se pensi ancora a lei. Non posso essere comprensivo e soprattutto non voglio capire perché Lyric debba avere ancora diritto a fare parte della tua vita!”

Lo sapevo.” Lo sentì dire con una certa nota di supponenza. A Tom non piacque per niente.

Cosa?!” scattò avvicinandosi in pochi passi a lui. Bill sospirò abbattuto perché sapeva esattamente che gli avrebbe inferto un colpo duro e lui non voleva farlo stare male, proprio come Tom nei suoi riguardi, però c’era bisogno di mettere in chiaro questo tra loro.

Brucia anche a te il suo abbandono.” Da quella note a Barcellona aveva scoperto questo “Sei troppo incazzato con Lyric, da quando mi ha mollato, per accettare che io possa ancora pensare a lei come una persona importante. Sei così arrabbiato con lei che a volte saresti disposto a fare qualunque cosa pur di farmi desistere. Ti pesa dovermi sostenere in qualcosa in cui non credi ciecamente.”

Aveva capito che, anche facendo appello alla volontà, Tom non sarebbe mai stato d’accordo con la sua scelta di rivederla. Non finché non avesse capito cosa ci fosse di così importante in lei da meritare tanto disturbo e a questo il fratello non ci sarebbe mai arrivato perché restava ottusamente sordo. E di questo Bill se ne rattristava.

Certo che sono incazzato con Lyric!” Era tutto assolutamente vero, così preciso nei dettagli che Tom stentò a credere che non glielo avesse direttamente estrapolato dal cervello su di un foglio stampato.

Gli posò le mani sulle spalle stringendo con forza e trattenendosi appena dallo scuoterlo “Bill ti rendi conto che è tutta un’assurdità?! Non puoi uscirtene così dopo tre anni, devo farti presente passati in modo piuttosto beato e apparentemente per nulla condizionato dalla faccenda, e pretendere che io possa credere realistica tutta questa tristezza! Bill, porca puttana, devi riprenderti! Stai andando in paranoia per una che ti ha mollato di punto in bianco senza darti la decenza di una spiegazione.”

Bill divenne cupo, in una maniera arrabbiata più che triste, e le sue mani arrivarono dal nulla a stringersi attorno al colletto della t-shirt di Tom “Lyric non era una qualunque, cazzo. Lei era una tua amica, la conoscevi anche tu, sai perfettamente quanto valesse. Sai perfettamente cosa provassi per lei.”

Era vero. Lyric non era stata importante solo per Bill, lei era stata l’unica amica che avesse mai avuto, l’unica ragazza con cui Tom avesse avuto un legame ed un rapporto che andassero oltre la conoscenza di una notte di sesso. C’era stato un tempo in cui Lyric era stata una delle poche persone fidate della sua vita ma era passato.

Lei aveva calpestato la fiducia di Bill, aveva tradito la sua fiducia, per lei non c’era più spazio.

Le aveva concesso una possibilità già una volta.

Ti ha tradito Bill! Ha tradito la mia e la tua fiducia… come…? Come pensi che possa essere felice se ti viene voglia di farti male in modo gratuito?”

Bill gli diede un piccolo spintone per togliersi di dosso la presa sulle spalle “Sei un idiota! Un stupissimo idiota!” inveì arrabbiato “Pensi che non ci abbia pensato anche io?! Pensi davvero che non abbia considerato che io sia un deficiente all’inseguimento di un’illusione?” ora Bill si era agitato e il viso rosastro ne era una conferma “Lo so Tom! So che Lyric ha tradito la mia fiducia e mi ha trattato da schifo! Lo so da solo, non c’è bisogno che tu me lo faccia presente.”

Allora perché cazzo stiamo discutendo di queste stronzate quando, a quanto pare, ti è tutto così limpido? Perché l’hai perdonata dopo tutto?!”

Bill diede improvvisamente un pugno contro la porta della propria camera trattenendo a denti serrati l’urlo che avrebbe voluto far uscire e Tom pensò seriamente che avrebbero iniziato a darsele di santa ragione. Era una prospettiva affascinante, aveva il serio bisogno di menare le mani, soprattutto perché la rabbia che stava accumulando man mano che il discorso proseguiva era troppa.

Bill si impose qualche attimo per riprendersi dal moto violento e mentre i suoi respiri ansanti inseguivano la necessaria calma le parole giuste, per renderlo partecipe delle sue ragioni, riuscirono a prendere finalmente una forma. Era un concetto complesso da fargli capire e l’unica maniera che aveva era quella di essere diretto e un po’ insensibile.

Tom doveva accettare il fatto che pur essendosene andata Lyric non era cancellabile dalla sua vita. Sarebbe stato come chiedergli di privarsi di una parte del suo corpo, come se avesse potuto tranquillamente buttare via un arto o un orecchio oppure il suo cuore, non era concepibile. Il fratello doveva rendersi conto che da parecchio tempo, nel suo mondo, non c’era più soltanto Tom stesso. Da tempo il mondo era un posto più grande e luminoso.

Perché se fossi stato tu a tradirmi e a farmi del male ti avrei perdonato nella stessa maniera.” E Bill poté catturare dal suo viso l’istante infinitesimale in cui il significato di quella frase gettò una luce accecante su una verità che a Tom continuava a fare scomodo “È la stessa situazione. Lyric non è solo una persona importante, lei è importante quanto te ai miei occhi.” Era una verità che non poteva capire totalmente e questo perché Tom non l’aveva ancora incontrata. Non aveva ancora incrociato la persona che avrebbe reso il suo, di mondo, un luogo più grande.

Per Tom fu come se un camion fosse spuntato dal nulla nel corridoio di quel lussuoso hotel e lo avesse investito in pieno a tuta velocità. Poi Bill gli diede il colpo di grazia.

Mi è necessaria.”

Tom aveva fatto un passo indietro, lo sguardo confuso, atterrito, un po’ lucido.

Quanto me?” chiese.

Bill annuì dispiaciuto nel vederlo così amareggiato e Tom non volle più sentire niente. Si voltò ad afferrare le sue cose.

Ora per lui era diventato estremamente importante entrare nella sua stanza. Bill però lo fermò ancora una volta, prendendolo ad un braccio, prima che potesse andarsene.

Ho bisogno di entrambi per stare bene.” Doveva dirglielo, doveva spiegarglielo “Per questo io sto andando in paranoia, perché faccio il solito egoista. Mi dispiace che ti senta così arrabbiato con Lyric tanto da non perdonarla, mi dispiace di non avere la tua totale comprensione e il tuo completo appoggio riguardo le mie intenzioni ma, ben sapendo di non meritarmelo da te, ricorda io ho sempre bisogno del mio Tomi. Senza non saprei fare niente.”

Tom gli lanciò un’occhiata, una soltanto, e con questa disse tante cose.

Disse che per quella notte non sarebbe stato al suo fianco, solo per una volta, e che ne avrebbe riparlato, sicuramente, ed inoltre che doveva dargli tempo. Un attimo dopo, così veloce che sembrava non esserci stato veramente, la porta si chiuse con uno scatto e Bill rimase in piedi nel corridoio, solo con se stesso, ancora per qualche minuto.

Buona notte, Tom.” Pensò prima di nascondersi a sua volta tra le mura della propria camera, con la speranza che il mattino non giungesse troppo presto.

******

Un anno prima.

Campagna di Kyoto.

* Stavano scendendo le grandi scale di pietra, dopo aver attraversato l’imponente torii rosso, quando un vento accarezzò le loro pelli ed iniziò a danzare tra i loro corpi. L’aria giunse poi tra le fronde dei maestosi alberi e iniziò a cantare una musica. Il coro frusciante delle foglie si udì chiaramente nella quiete della notte.

Lyric si fermò ad ascoltare quella melodia fatta da parole sospirate, così penetrante e surreale da ipnotizzarla senza che lei potesse rifiutarsi, e mentre lo faceva si meravigliò di fronte alla bellezza ineguagliabile di quel frammento di tempo che si era ritrovata a vivere.

Il cielo era pulito e dava a chi lo guardava la sensazione di poter respirare meglio, trascinato dal blu scuro ma limpido di quella volta infinita. Era il tipo di colore che non si poteva trovare nelle città e questo perché c’erano sempre delle luci prepotenti ad offuscare il mare sopra alle loro teste.

In città c’era sempre troppa confusione per prestare un attimo d’attenzione alle stelle e questo era un vero peccato. Se le persone si fossero concesse di prendere fiato e dare un occhiata ad un banale cielo, trapuntato da luci distanti, avrebbero capito che vivere era l’opportunità più grande di tutte.

Non riuscì ad evitare di sentirsi calma ed inspiegabilmente felice e per parecchi minuti si permise di immergersi nell’armonia di quell’istante perfetto, ben sapendo che non ce ne sarebbe stato un altro simile.

Kathleyn, a pochi gradini sotto di lei, restò a guardarla. In quei minuti sentì addosso quell’onnipresente sentimento, che afferrava con gli artigli i lembi della sua mente. Era ciò che provava quando sapeva che un momento come quello lo avrebbe dovuto custodire tra i ricordi più profondi. Per quando avrebbe sentito la mancanza di Lyric.

Diane a differenza di Kat mise a tacere quella percezione dolorosa e non le permise di passare oltre la soglia delle proprie ombre interiori, dove risedevano le sue peggiori paure. Fino all’ultimo respiro lei non avrebbe cessato di dubitare del futuro.

Come le aveva detto la sua okasan una volta: il destino poteva anche essere scritto ma questo non significava dover chinare il capo con impotenza, voleva solo dire adoperarsi affinché esso corrispondesse alla nostra idea di avvenire. Il fato divino non esiste se non nell’istante in cui si compie, tutto quello che c’è prima viene costruito con le nostre mani mortali.

Diane chiuse gli occhi e pregò i kami che vivevano nella natura di quel santuario sacro. Pregò con il cuore in mano, come non aveva mai fatto in tutti quegli anni da scintoista credente ma non praticante. Lo fece con sincerità sapendo comunque di essere l’ultima persona che avrebbero dovuto ascoltare a causa del suo egoismo.

Quando li riaprì casualmente alzò il voltò verso il cielo e in quel preciso secondo passò rapida una stella cadente. Le venne da sorridere e senza riflettere pregò intensamente anche quell’astro. Infondo, secondo lo shintoismo, ogni cosa nell’universo custodisce in sé l’essenza divina del creato.

Quella stella avrebbe potuto avere pietà ed esaudire il più sacro dei suoi desideri.

******** 

I raggi del sole colpivano con ferocia la sua pelle bianca mentre il caldo le si avvolgeva addosso come una coperta di lana pungente, soffocandola. C’era poi l’afa così pesante da darle l’impressione che ogni suo singolo respiro costasse al suo corpo lo stesso sforzo che avrebbe impiegato per sollevare dei pesi.

Il tutto era poi condito dalla straziante consapevolezza che mancavano ancora cinque ore all’apertura di quei dannati cancelli di metallo, il che significava passare altre cinque ore in compagnia di quella distesa assordante di fan eccitate e la prospettiva peggiore non era questa. Il peggio sarebbe arrivato durante il concerto, quando, quelle infami adoratrici dei Tokio Hotel, sarebbero tutte esplose in un tripudio di delirio, grida estasiate, pianti isterici, cori d’esaltazione, frastuono e felicità violenta.

Se fosse sopravvissuta all’estenuante fila sarebbe giunta nella calca della fossa e l’idea di trovarsi là, tra le più pericolose ed agguerrite di quell’esercito di pazze, le faceva dimenticare per minuti interi il clima torrido di quel giorno d’agosto e al posto del fastidio si facevano spazio i brividi, di paura ed d’orrore.

Kathleyn sudava freddo pensando alla catarsi collettiva (a cui lei non avrebbe partecipato) che avrebbe dovuto affrontare quella sera, dentro a quel palasport. Vista in quella maniera il futuro avrebbe richiesto un suicidio per apporre rimedio alla situazione. Ma forse stava esagerando, molto probabilmente non si sarebbe dovuta uccidere, era quasi certa di essere già passata a miglior vita e di star vivendo, in quel momento, la sua personale versione della dannazione eterna. L’inferno non doveva essere tanto differente dal luogo in cui si trovava.

Arrivata al punto di ebollizione Kat era andata a fare due passi (molto più di due a dir la verità) per ritrovare un briciolo di pazienza e riprendere il fiato. Dopo aver spiegato la sua necessità di evadere a Diane e Lyric, decisamente molto più a loro agio di lei in mezzo a quel manipolo di assatanate, era partita in quarta apparentemente senza una metà.

Per mezz’ora si agirò lungo il perimetro della struttura, stando nelle zone consentite al pubblico, per togliersi di dosso un primo strato d’irrequietezza e sopprimere il grande desiderio di investire qualcuna di quelle fanatiche con la Audi Coupé che avevano affittato. Cercò uno spazio in cui potesse stare in solitudine, almeno vagamente, senza dover ascoltare quelle voci allegre e spensierate che fin dalle prime ore del giorno le avevano fatto compagnia.

Inconcepibile!” aveva protestato due giorni prima contro Diane, nelle loro camere al Four Season, quando le aveva annunciato che si sarebbero presentate al Datchforum alle quattro del mattino.

Non è inconcepibile! Se vogliamo stare tra le prime file dobbiamo essere là molto presto. Ti assicuro che alle quattro ci sarà già parecchia gente. Chiedilo a Lyric.” Aveva ribattuto l’amica con la faccia di chi sapeva di aver ragione.

Lyric allora aveva confermato la versione di Diane e Kat si era dovuta ricredere sulla follia di quelle spiegazioni.

Alle quattro di quel mattino, quando ancora il sole non si era neanche svegliato, davanti alle transenne della biglietteria c’era già un gruppo folto di fan elettrizzate di essere arrivate ad un orario favorevole.

E questo era successo dieci ore prima, eppure sembrava essere passato più tempo. Doveva proprio vederlo con i suoi occhi per credere che al mondo ci fossero davvero persone disposte a tutto pur di essere il più vicino possibile ai propri beniamini.

È fondamentale per ognuna di loro.” Le aveva spiegato Lyric qualche ora prima con l’aria addolcita. Lei capiva quelle ragazze molto meglio di Kat e in qualche modo si sentiva solidale, come se fosse stata anche lei nella loro stessa barca “Queste sono tra le poche occasioni che hanno di vederli dal vivo e per una fan, una che vive di pane, acqua e Tokio Hotel è fondamentale stare il più vicino possibile a loro.” Aveva continuato divertita “È una questione di vita o di morte. Il loro modo di essere del tutto felici, almeno per qualche ora.

Ascoltando quella sua conclusione Kathleyn aveva capito che Lyric stava parlando di ciò che significava per lei in prima persona. In mezzo a quelle migliaia di estranei l’unica che poteva dire di essere lì per una questione di vita o di morte era solo Lyric. Nessuna di quelle ragazze o di quei ragazzi aveva più diritto di stare tra le prime file, perché da quel concerto dipendeva un pezzo considerevole della sua felicità.

Per questo Kathleyn non aveva già compiuto uno sterminio di massa.

Per lei avrebbe affrontato quell’inferno altre centinaia di volte, lo avrebbe fatto ad occhi chiusi e senza fiatare, se questo avesse significato alleggerire il fardello che la sua migliore amica si era imposta di sorreggere sulle spalle.

La sua pazienza, la sue energie, il suo tempo e i suoi desideri erano sacrificabili in confronto alla possibilità di vederla felice e non nella maniera incompleta che vedeva nel volto di Lyric da tre anni.

Kat sarebbe stata lì, nel momento della gioia più grande, e poi sarebbe rimasta, sempre al suo fianco, dopo che la felicità fosse passata e al suo posto fosse sopraggiunta il dolore. Come Lyric c’era stata nel bene ma soprattutto nel male della sua vita, Kathleyn ci sarebbe stata per lei.

Dopo aver girovagato allungo riuscì a trovare un angolino appartato, all’ombra di una parete, lontano dal nodo principale dove si trovava la fila. Doveva essere giunta vicino alla zona riservata ai dipendenti perché a una trentina di metri Kathleyn vedeva chiaramente dei cartelli, su cui era riprodotta la segnaletica di divieto d’accesso, attaccati ad una serie di transenne di metallo. Studiò la situazione nei dintorni e poté constatare che la leggendaria disattenzione italiana si dimostrava, per sua fortuna, un fatto più che concreto piuttosto che una diceria.

Gli addetti alla sicurezza si trovavano infatti tutti impegnati dall’altra parte dello stabilimento, forse pensando erroneamente che nessuno avesse interesse a trovarsi da quelle parti, poiché i fan di solito si comportavano in maniera da non allontanarsi troppo dalle entrate.

Meglio per lei, pensò, mentre posava il sedere a terra e appoggiava la schiena contro il cemento grigio.

Non le interessava particolarmente la possibilità di trovarsi così vicino alle quinte. Per quanto la zona apparisse poco sorvegliata non era così ingenua da credere che non sarebbe stata fermata se avesse avuto l’intenzione di avvicinarsi troppo. Ciò che voleva era più che altro l’opportunità di starsene in pace, col silenzio attorno, e poter fare una telefonata senza doversi tappare le orecchie perché qualcuno si era messo a cantare una canzone a squarciagola.

Tirò immediatamente fuori dalla tasca dei jeans il suo BlackBerry e controllò l’orologio. Appena accordò con se stessa che le dieci di mattina erano un orario più che decente compose il numero che sapeva a memoria dai tempi della riabilitazione in clinica e attese in linea con il ricalcitrante bisogno di parlargli che le cresceva dentro.

Alla fine del secondo trillo Alphonse rispose.

Bonjour ma Katy.” La salutò lui, sbadigliando leggermente subito dopo. Kathleyn si sentì immediatamente meglio nell’udire quella famigliare voce impastata di sonno. Che fosse per telefono, di persona o con un messaggio, le dava sempre il buongiorno: rigidamente in francese ed esclusivamente chiamandola Katy.

Lui la chiamava così molto spesso a dir la verità e se all’inizio lo faceva con il solo intento di darle sui nervi, e vi assicuro che ci riusciva molto bene, adesso era diventata un’abitudine privata a cui tenevano entrambi. Solitamente la infastidiva essere chiamata con quel vezzeggiativo ma ad Alphonse era permesso.

La ragione principale di questo odio erano i suoi genitori: anche loro l’avevano chiamata in quella maniera innumerevoli volte ma quando lo facevano non aveva mai percepito un briciolo d’affetto dalle loro bocche. Al mondo esistono anche i genitori che non hanno nessuna vocazione nel crescere i figli, i suoi per esempio, per questo aveva imparato a considerare i loro gesti solo come degli sforzi per mantenere in scena un idillio famigliare di carta pesta. Quando invece era Alphonse a chiamarla Katy riusciva sempre a percepire la dolcezza di fondo che aveva la sua voce, come se tra le mani avesse avuto qualcosa di prezioso a cui voler prestare delle premure particolari, e comprendendo quanto era sincero lei aveva scoperto che non tutte le persone avrebbero finto di amarla.

Diane, Alphonse e Lyric erano quelle persone.

Ti ho svegliato?” chiese lei immaginandolo con i capelli biondi tutti arruffati, i segni del cuscino ancora su una guancia, gli occhi un po’ socchiusi e le labbra stiracchiate da uno sbadiglio che faceva capolino “Guarda che sono già le dieci del mattino. A quest’ora dovresti essere fuori a vivere. ”

Ci fu una sua risata random “Ma se tu non sei qui che ragione c’è di alzarsi?” fu la sua risposta e Kat seppe che stava per uscirsene con una di quelle frasi tipicamente assurde che solo lui poteva concepire “Non vale la pena di uscire fuori dal proprio letto e vivere quando si è consapevoli di non avere al proprio fianco la ragione per cui si vive. È preferibile restarsene buoni, buoni addormentati aspettando il bacio che sciolga l’incantesimo.”

Esattamente come aveva previsto.

Certe volte si chiedeva se Alphonse se le preparasse in anticipo o venissero fuori così, come follia comandava. Anche Lyric componeva frasi articolate e piene di significati contorti a più livelli per questo era giunta alla conclusione che era di famiglia divertirsi a confondere i propri interlocutori.

Ok, allora resta lì a fare il pigro. L’importante ora è che mi ascolti.” Liquidò così il tentativo di farla emozionare con quella sua dichiarazione romantica di prima mattina. Alphonse rise e sospirò contemporaneamente.

Adorava il modo in cui quella donna riusciva a vanificare i suoi sforzi per sorprenderla e questo perché lo spronava a colpire più duro la volta dopo. La loro relazione era un continuo inseguimento e a lui non dispiaceva la sfida.

In un modo o in un altro Kathleyn era la ragione per cui si sforzava di essere una persona migliore.

Cosa è successo di tanto terribile da farti saltare i nervi?”

Le fan dei Tokio Hotel.” E nel dirlo sembrava parlasse dell'origine dei mali del mondo “Sono completamente uscite fuori di testa! Non fanno altro che emettere gridolini, saltellare e parlare in continuazione sguaiatamente e a velocità ineccepibile. E sai di cosa parlano? Dei Tokio Hotel.”

Bè tesoro, sono fan dei Tokio Hotel, in fila per vedere i Tokio Hotel in concerto. Mi sembrava palese che l’argomento principale fossero loro.” Sfotté neanche troppo velatamente.

Ma non la smettono neanche un secondo!” protestò allibita “Se non fosse necessario suppongo che si risparmierebbero di respirare. Grazie a dio non capisco la maggior parte di quello che dicono, in caso contrario l’emicrania mi avrebbe forato il cranio.”

Ah! Hai ragione.” Concordò lui facendo un sospiro sospetto “Che persone terribili queste fan! Non fanno altro che blaterale su quanto siano eccezionali, fantastici, incredibili quei maledetti tedeschi e tu non li sopporti quei maledetti tedeschi. È una vera tragedia, nessuno ti capisce.”

Vorresti farmi il piacere di smetterla!” pensò al sorriso furbesco di Alphonse e a come, in quel momento, dovesse esibirsi sfrontatamente tra le sue labbra “Sono come tori pronti a caricare da un momento all’altro. Dovevi vederle quando dall’interno si è sentita qualche nota del sound-check. Tu non puoi capire.”

Oh sì, invece! Quando Lyric viveva ancora in Germania siamo andati ad un paio dei loro concerti assieme.”

E diversamente da Kathleyn aveva trovato tutto quel delirio un’esperienza divertentissima, soprattutto perché la felicità esplosiva di quelle ragazze era contagiosa. Si era ritrovato a cantare entusiasta con tutto il pubblico pur non azzeccando una parola delle canzoni e a saltare stupidamente senza sapere neanche il perché.

Scommetto che si sono alzate tutte in piedi, alcune scoppiando a piangere mentre altre gridavano come se da questo dipendesse la loro esistenza e poi, senza nessuna eccezione, si saranno messe a cantare a ritmo, in tedesco per giunta.”

Aveva fatto la cronaca dettagliata, come se anche lui fosse stato presente all’accaduto, ma da come l’aveva detto sembrava che lui lo trovasse spassoso.

Kat non ci aveva visto niente di lontanamente spassoso.

La ragazza al suo fianco, per esempio, si era messa a tremare perché solo il cielo lo sapeva e a piangere, oppure ridere, non l’aveva capito poiché ne era rimasta così inquietata da allontanarsi. Ne aveva poi vista un’altra che si era quasi strozzata con la sua stessa saliva nel tentativo, suicida, di superare il muro del suono gridando “So automatisch!! Du bist wie’ne Machine!” Dopo aver visto come potevano diventare dubitava che durante il concerto si sarebbero trasformate in creature calme e ragionevoli, molto certamente sarebbero state tutto fuorché esseri umani nel pieno delle proprie facoltà.

Ho un terribile mal di testa.” Disse angosciata Kathleyn, sbattendo il capo contro il muro dietro di sé “Vorrei non essere qui Alphonse. Lo vorrei con tutte le mie forze.”

Già, le fan dei Tokio Hotel fanno paura.”

Oh lo sai che non è per loro!” E pestò il piede a terra come se avesse potuto frantumarlo in tanti pezzettini. Alphonse rimase in attesa, dandole il tempo di prendersela fisicamente contro qualcosa come era sua abitudine quando accumulava troppa negatività in corpo.

Era un segreto il fatto che Kat si concedesse certi sfoghi, davanti agli estranei si mostrava sempre controllata e paziente, una roccia dura che sapeva sempre come affrontare ogni problema. Quello era stato il suo metodo di difesa per molto tempo ma adesso si comportava in quel modo più per abitudine che per altro.

Per anni era stata un po’ come la Lyric post zia Eleonor: fragile e priva di fiducia nel prossimo. Come lei aveva sviluppato in peggio una serietà che in caso contrario sarebbe stata sana.

Sua cugina si era chiusa in se stessa, sentendosi abbandonata ed imperfetta, ed aveva diffidato di chiunque prima che Bill le desse qualcuno in cui credere e che la facesse sentire desiderata. Anche Kat si era chiusa dentro ad una corazza d’acciaio e allungo non aveva permesso a nessuno di conoscerla, si era protetta come poteva da una realtà di plastica che aveva preteso da lei sorrisi perfetti ma innaturali. E come era stato per l’Alphonse di una volta Kathleyn aveva ceduto alle sue debolezze, oltrepassato la soglia della sua capacità di sopportare, ed aveva compiuto di conseguenza degli atti di ribellione, solo che le sue stronzate erano state votate tutte alla sua autodistruzione.

Le scelte che aveva fatto anni addietro l’avevano gettata in un mare che aveva già ucciso molta gente e lei sarebbe stata una delle tante vittime che morivano nell’abbraccio tossico delle sue onde. Se la vita non le avesse mandato per caso un’ancora di salvataggio Kathleyn avrebbe fatto una brutta fine, divorata come niente dalla droga. Si era fermata in tempo, lo sapeva, e se ora aveva una vita da mandare avanti lo doveva a quei tre.

Di cosa hai paura?” le chiese Alphonse appena la numerosa serie di pedate al suolo cessarono. Kathleyn repentina abbassò la testa fino ad appoggiarla contro le proprie ginocchia e rimase lì nascosta, respirando piano.

Di cosa hai paura?” ripeté lui spronandola a parlare e Kat sussultò un poco mentre da dentro di lei si faceva spazio tanto di quel panico da immobilizzare ogni suo muscolo.

Lo sai di cosa ho paura, Alphonse. È sempre la solita orrenda verità contro cui cerco di non sbattere, neanche casualmente, da un anno a questa parte.” Kat premette il volto contro le gambe e le strinse con il braccio libero dal telefono mentre la voce si faceva piccola, piccola.

Esistono cose che non si ha il coraggio di affrontare perché dinanzi al confronto ci si sente sconfitti in partenza.

Perdere Lyric era il loro mostro invincibile.

Oddio!” latrò la ragazza “Non ho idea del perché ma da quando siamo arrivate a Milano ha cominciato ad agitarsi dentro la mia testa, violentemente come un trapano, quel pensiero schifosissimo e non riesco a zittirlo!”

Respira Kathleyn.” Le disse sentendo il fiato accelerato e la voce incrinata.

Come accidenti faccio a respirare quando siamo qui, davanti a questo dannato palasport, in attesa di entrare?! Come faccio a restare qui sapendo che questo concerto è il suo ultimo desiderio?! Come faccio a stare calma! Non posso, non è possibile…” riprese fiato e allo stesso tempo alzò il capo dalle sue ginocchia, sbatté le ciglia per far cadere qualcuna di quelle stupide lacrime che avevano cominciato a rantolare dai suoi occhi.

Come faccio a guardare Lyric che è così felice e non andare completamente fuori di testa sapendo che questa felicità non la potrà provare allungo. Questo concerto, vedere quel tizio, non dovrebbe essere il suo ultimo desiderio. Lei si merita una vita intera e centinaia di desideri ancora da realizzare. Invece questo giorno è l’ultima richiesta che pretende. È uno schifo …”

Respira per favore.” la pregò ancora, non potendo essere là con lei e calmarla come avrebbe voluto “Kathleyn, tesoro, respira. Fallo per me.” all'ennesima richiesta finalmente lei si diede del tempo per riprendersi.

Purtroppo la vista continuava ad essere offuscata da una sciocca patina bagnata, una scia acquosa che lentamente scendeva lungo le guance, arrivando alla punta estrema del suo mento. Si sentiva così sciocca.

Detestava piangere in presenza di Alphonse, sentiva di tornare indietro, quando aveva passato quei quattro mesi in clinica a ripulirsi e lui andava a trovarla anche se Kat si rifiutava di mostrarsi indifesa ai suoi occhi.

Allie continuò a parlarle ed ad ogni lacrima che scendeva, prepotente e senza pietà, lui ne cancellava il passaggio con una parola di conforto.

Kathleyn di fronte a tanta generosità si sentì ancora peggio perché lei poteva avere Alphonse mentre a Lyric invece non era concesso avere Bill. Lyric non lo poteva chiamare quando voleva per essere ascoltata e consolata. Non lo poteva vedere, abbracciare, stringere fino a cancellare se stessa.

Era tutto così insensato ed assurdo che quasi, quasi, quella storia sarebbe potuta diventare la sceneggiatura di un film. Uno di quelli che ti fanno rimanere di sasso, con l'amaro sulla lingua e l'incredulità nello sguardo. Quelli che ti fanno anche incazzare perché durante tutta la storia ti hanno fanno credere che l'amore è talmente potente da trionfare, che l'amore vince veramente, ed invece rimane solo il ricordo di una storia emozionante, troppo perfetta per essere vera, però senza nessun “happy ever after...” nell'ultima scena.

E questo perché lo sceneggiatore di questo film ha deciso, sì, di mostrarti una favola meravigliosa ma purtroppo ha anche optato per un finale in cui la felicità non ha il volto di un classico Happy Ending americano. In questo film la protagonista muore.

Dovevi vederla l'altro giorno...” ricominciò “Era..è...così felice! Cazzo...ha visto un manifesto incollato sul muro e dovevi proprio vederla! Lo guardava in maniera così concentrata, totalmente assorta e non mi ero mai resa conto…ne io ne Diane avevamo mai capito…”

Che Lyric fosse così innamorata?” e Kat vide che le sue dita tremolare un poco. Dall’altra parte del telefono Alphonse sorrise tra sé, capendo che forse la sua ragazza aveva cambiato idea su un paio di cose “Sai quando ho capito che la faccenda era davvero seria?”

Quando?”

Successe il giorno che partimmo insieme da Amburgo per tornare a Boston, ero andato a prenderla assieme a mia nonna, in quell’occasione Bill la inseguì in aeroporto per tentare di farle cambiare idea. Le chiese di non lasciarlo, che avrebbero potuto avere una relazione a distanza, che lui avrebbe potuto fare qualunque cosa se solo lei avesse concesso a loro la possibilità di provarci ma Lyrì aveva già fatto le sue scelte.” Kathleyn si concentrò sulle sue rivelazioni.

Piangevano entrambi alla fine del loro discorso. Lyrci gli disse addio e mentre lei se ne andava con la più grande risolutezza che avessi mai visto, senza voltarsi neanche una volta, capì che lei lo amava davvero. Perché lei aveva deciso di privarsene, sacrificare se stessi per l’altro non è forse il punto in cui è chiaramente amore?”

All’improvviso emise uno strano suono dalla bocca, tanto che Kat sussultò. Sembrava una risata mezza divertita e mezza inorridita. Un ibrido un po’ inquietante. Che fosse giunto il momento di impazzire anche per lui?

Alphonse, tutto bene?”

Non ottenne risposta alla sua domanda poiché Allie partì in quarta con tutt’altro “Lyric è davvero molto testarda e quando decide di fare una cosa la porta in avanti fino alla fine. Ho cominciato a pensare che non abbia più paura di niente, dopo tutto ciò che ha affrontato nella vita, non esiste nulla che la possa scalfire. Nemmeno la morte.”

Ti prego non dire queste cose! Te lo detto che detesto pensarci!”

Prima o poi dovremmo affrontarlo.”

Non adesso, ti prego.”

Katy! Sul serio, ascoltami.” Alphonse proseguì nei suoi ragionamenti “Tu credi che Lyric non abbia paura di niente?”

Non capì dove volesse arrivare e rimase in silenzio per un po’ mentre le lacrime si seccavano al sole.

Lyric aveva paura? Sicuramente, molta più di quanto dimostrasse, sarebbe stato normale. Umano.

Non capisco la tua domanda, Allie…”

Ok, te la rifaccio in modo diverso: tu pensi che abbia paura di morire?”

Che domanda stupida!”

Esatto.” Si complimentò ma Kat intuì che non era ancora arrivato dove voleva “Lei ha paura di morire e sarebbe sensato pensare che non ci sia nulla al mondo di cui dovrebbe avere più terrore. Cosa ci può essere di peggio?”

Allie dove accidenti stai cercando di portarmi?!” quando doveva seguire le sue stesse frequenze non era semplice stargli dietro, c’era sempre qualcosa di Alphonse che non poteva essere compreso totalmente. Anche quando si trattava di capire Lyric a volte non ci riusciva.

Era un difetto Alysei essere così incomprensibili.

Ho avuto un’illuminazione!” spiegò lui come se dirle questo spiegasse ogni assurdità “Tu non sei mai stata d’accordo con Diane e me riguardo all’idea di farli rincontrare perché fino adesso non avevi visto che effetto fa Bill a Lyric.”

Ed aveva ragione, si era stupita di quanto Lyric fosse cambiata in quei pochi giorni, c’era una serenità nella sua amica che non aveva mai percepito.

Di la verità? Ti ha sfiorato la mente che il piano di Diane abbia un che di giusto.”

Un altro difetto Alysei era che, se glielo permettevi, riuscivano a metterti le spalle contro al muro perché ti prendevano i pensieri e te li gettavano in faccia senza poterti appellare “E con questo?” sbuffò stanca “Sì! Ammetto che sono ad un passo dall’aiutarla e allora?”

Sai perché è giusto che tu e Diane andiate avanti con il piano da lei escogitato?”

Dimmelo tu!”

Perché sarebbe sbagliato non farlo. Lyric teme la morte solo in modo relativo. Le dispiace pensare di perderci una volta che non ci sarà più ma anche questa è una paura relativa. Ciò che rende la morte per Lyric davvero spaventosa è la consapevolezza che non vedrà mai più Bill.”

Non siamo dentro ad una telenovela di serie B messicana, smettila di dire certe cose! Non parlare di morte e amore come se recitassimo delle battute che dovrebbero strappare commozione e lacrime!”

Ma è la verità Katy!” protestò Alphonse “Lyric è esattamente il tipo di persona che la pensa in questa maniera, lo sai anche tu, e non sto dicendo solo cazzate pseudo-romantiche. Ti sto spiegando perché lei e quel Bill Kaulitz devono rivedersi.”

Kathleyn sentendosi mancare riappoggiò la testa contro le proprie ginocchia. Aveva così tanta voglia di sparire, giusto per non dover essere lì mentre le lacrime riprendevano ad avanzare.

Dannazione! Dannazione! Dannazione!” urlò centinaia di volte dentro la sua testa. Il problema era che non riusciva ad accettare che il dolore di qualcun altro fosse l’unico rimedio alla sofferenza di Lyric.

Lyric non ha paura di niente, tranne che di perderlo. Per questo è giusto che tu aiuti Diane. Sei l’unica che può farlo.”

Dannazione! Dannazione…” La sua coscienza ne sarebbe rimasta macchiata fino alla fine dei suoi giorni.

Non è vero! Tu potresti benissimo trovare le informazioni che le servono.”

Diane vuole il tuo aiuto, non il mio. Pensa che sia un vostro dovere, tuo e suo.”

Aveva cercato del tempo per calmarsi ed invece aveva solo ottenuto di aumentare in maniera considerevole il suo devastante mal di testa.

Katy…” la voce di Alphonse si era addolcita e l’insistenza prevaricatrice di qualche attimo prima non c’era più “Lo so che non è giusto ma se io fossi Bill preferirei esserle accanto.”

E i diritti di Bill?” Fece un profondo respiro “Hai pensato che anche lui ha diritto ad essere felice. Non è una soluzione soddisfacente.”

Non puoi salvare tutti. Siamo fragili creature che commettono migliaia di errori ogni giorno e tu non sei esentata dal non farli. Sei umana.” Anche lui fece un profondo respiro. Era ancora più stanco di quando si fosse svegliato.

Katy…”

Che c’è ancora?”

E se anche non riuscissi mai a perdonarti, perché è questo ciò che ti impedisce di scattare alla porta di quei dannati tedeschi, ti dico una cosa: Lyric ti perdonerà.”

Davvero?” domandò tremante.

Sì.” Fece lui paziente “Alla fine ci perdonerà.”

*******

Le luci si spensero ed ogni corpo fu avvolto dal buio.

La massa urlò ferocemente, come se una sola bocca l’avesse emessa, e fu potente ed assolutamente assordante. Il Datchforum si riempì di grida, erano i battiti di un cuore in accelerazione.

Il suo di cuore invece era muto, impossibilitato dal parlare perché completamente agghiacciato da un terrore graffiante.

Solo qualche minuto, ancora qualche minuto.”

Prometteva a se stessa ma non riusciva a capire se dicendosi questo stesse cercando di tranquillizzarsi oppure se stesse constatando quanto panico riusciva ad instillarsi autonomamente.

Non si vedeva nulla, neanche i profili delle altre persone, perché pareva che ogni cosa fosse stata ingoiata dall’oscurità. Ad illuminare c’erano solo i minuscoli schermi delle macchine fotografiche digitali, tutte puntate con determinazione verso il palco, trepidanti d’attesa mentre le mani che li impugnavano tremavano.

Erano tutti così eccitati, entusiasti e grondanti di adrenalina pronta ad esplodere fuori dalla pelle. Non c’erano persone ma solo un’unica indistinta creatura chiamata pubblico che scalciava impaziente. Ogni respiro, sospiro, movimento sembrava unirsi agli altri e si aggregava al sentimento comune di desiderio e attesa.

Tutte quelle persone, tutte quelle fan, stavano aspettando solo loro e là in mezzo c’era Lyric.

Solo qualche minuto…” continuava a ripetersi, terrorizzandosi.

Percepì delle mani stringere le sue ma fu solo un attimo perché per quanto le riguardava non aveva un corpo in quel momento.

Lyric era sospesa. Era altrove.

Da qualche parte, al di fuori della sua carne, volteggiava in un limbo irraggiungibile.

Non provava assolutamente nient’altro che il completo terrore. Era sola e non importava che venisse spinta continuamente avanti ed indietro da corpi estranei, per lei non c’era nessuno. Non c’era niente al mondo oltre se stessa e quel palco a cinque metri di distanza. Troppo vicino, aveva pensato appena entrata, ma non era importante neanche quello. Lyric era altrove.

Poi fu il buio ad essere cancellato e i riflettori si accesero come stelle che nascevano dal nulla. Il pubblico si svegliò e per un altro attimo fu come se la terra tremasse. Il cuore di quella creatura incappò nel preannunciato infarto.

Ma Lyric non tornò ancora. Il suo cuore non emetteva ancora nessun suono.

Non dovrei essere qui.” Si disse quando alla sua sinistra, nel gioco delle luci, Tom spezzò ogni sua possibilità di fuggire. Era troppo tardi. Ora era definitivo, non sarebbe potuta scappare.

Non dovrei essere qui.” Si ripeté debolmente mentre i primi accordi venivano suonati e le fan attorno a loro si dimenavano. Sentì muoversi qualcosa nel suo petto.

Forse era il vagito di un battito cardiaco, non ne era sicura, ma era certa che fece male quanto una pugnalata.

Non dovrei essere qui.” Ripeté ma erano già parole prive di forza.

Ci furono un’altra serie di urla quando la chitarra venne seguita dal suono di una batteria inconfondibile.

GUSTAAAAAAAAV!” strepitò spaventosamente una ragazza nella prima fila mentre, al suo fianco, una ragazza molto più bassa tendeva le braccia da tutt’altra parte, verso la visione di Georg comparso alla destra del palco.

Lyric inghiottì l’aria, la gola era secca, e tutto d’un tratto sentì di nuovo il suo corpo.

Tutto d’un colpo fu cosciente di essere al mondo.

Spalancò le palpebre anche se avrebbe voluto chiuderle violentemente e questa volta lo percepì chiaramente: uno spasmo dal proprio petto. Fece un male atroce ma fu anche la sensazione migliore che avesse mai provato.

Il suo cuore aveva palpitato. Respirava.

Non dovrei essere qui…” ebbe ancora il coraggio di dirselo ma il secondo dopo era già solo una debole bugia.

Fu la sua voce, prima ancora di lui, a presentarsi al suo cospetto ed improvvisamente Lyric ebbe la certezza che non si era immaginata tutto. Non aveva sognato che lui esistesse davvero.

Era proprio là davanti. Dinanzi ai suoi occhi spaventati.

Bill…” lo chiamò sentendosi inondare da una meravigliosa sensazione di libertà e sollievo. Dire il suo nome aveva molto più senso ora che era davanti a lui. Non suonava estraneo pronunciato dalle sue labbra perché quel giovane uomo sopra al palco era il suo Bill.

Suo. Il Bill che apparteneva a lei.

Lyric sarebbe potuta essere dovunque. Avrebbe potuto essere in qualunque posto ma l’unica verità in quel preciso istante, mentre Bill si avvicinava a passi calcolati alla punta estrema del palco, inconsapevolmente verso di lei, era che nessun luogo era più perfetto di quello.

Lyric fu felice, molto più di tutte quelle persone messe insieme.

Era dove avrebbe dovuto essere in quei tre anni.

Esattamente dove era Bill.

*******

Scivolò contro il muro del camerino non reggendosi più in piedi.

Ebbe la fugace idea che sarebbe svenuto ma il suo cervello smentì preferendo continuare a torturarlo. Era la prima volta che dopo un concerto si ritrovava senza nessuna energia in corpo, neanche l’anno prima, durante il 1000 hotels tour si era sentito così esausto.

Merda!” gli uscì dalla bocca mentre si strappava di dosso tutta l’artiglieria degli accessori di scena. Scaraventò a terra i guanti borchiati, il bracciale di pelle che si snodava come un serpente lungo il braccio, l’assurda collana flessciosa che aveva al collo e la serie di anelli che occupavano lo spazio vitale delle sue dita. Si liberò di ogni oggetto superfluo che portava addosso perché improvvisamente gli pesavano come blocchi di cemento armato.

Merda!” imprecò ancora: lanciò via anche i suoi personalizzati stivali di pelle traslucida e subito dopo fu la volta della giacchetta paliettata, che fu sul punto di rovinare per l’irruenza con cui la gettò contro una sedia lì a fianco. Alcune delle piume nero-verdastre della suddetta si erano staccate dalle spalline ed avevano iniziato ad ondeggiare nell’aria, placidamente. Per qualche strana ragione il loro movimento lento catturò la sua attenzione e lui rimase a fissarle mentre precipitavano una ad una sul pavimento.

Merda!” sussurrò nuovamente quando l’ultima piuma terminò il suo volo.

Bill aprì la bocca ed iniziò a prendere grossi respiri. Si era accorto di non riuscire nemmeno a respirare normalmente. Inoltre aveva così caldo che si sarebbe volentieri strappato la pelle se fosse stato possibile.

C’era stato un attimo, appena i ruggiti della folla furono lasciati alle spalle, in cui Bill non aveva più retto l’estenuante peso che gli era incatenato addosso da quando si era svegliato quella mattina. Si era messo così a divorare metro su metro, in una corsa forsennata verso delle mura in cui nascondersi, in modo che nessuno potesse vederlo crollare come una bambolina di paglia.

E poi non era tutto lì: il culmine era giunto quando tra la massa di volti, nella fossa di fronte a lui, si era immaginato di vedere Lyric che lo fissava. Era stato uno scherzo della sua mente davvero di pessimo gusto quello di fargli avere un’allucinazione in piena regola proprio mentre era sul palco. Per fortuna che l’immagine che aveva creduto di scorgere era sparita la seconda volta che si era girato verso quel determinato punto. Sicuramente era stata una ragazza che alla lontana e tra le luci appena accennate assomigliava a Lyric.

Lyric nella folla di quel concerto? Un delirio con i controfiocchi.

Bill non credeva di essere così stupido. Sul serio, forse avrebbe fatto meglio a farsi visitare da qualcuno perché vedere persone che in verità non c’erano era un peso sulla bilancia che pendeva verso la follia.

Aveva creduto davvero, per un minuto buono, di averla vista là in mezzo? Era impazzito.

Semplicemente i pochi neuroni che si erano salvati dagli anni selvaggi della lacca stavano morendo tutti uno ad uno. Doveva essere questa la spiegazione di tutto.

Si mise a ridere, da solo, per la sciocchezza di quello che era successo e si promise di non farne parola con nessuno. Jost avrebbe finito per spedirlo in una clinica di igiene mentale se solo avesse saputo di quali pazzie si faceva portatrice la sua gallina dalle uova d’oro.

Era così ridicolo da rasentare la pietà.

Tom entrò, improvvisamente, nella sua visuale come se fosse stato chiamato.

Che cazzo ti è preso?” domandò riferendosi al suo comportamento di prima“Sei letteralmente scappato, sconvolto, dal palco. Bill, sul serio, mi hai seriamente fatto venire un colpo.” richiuse la porta dietro di sé e si lasciò scivolare al suo fianco. La testa di Bill prese subito posto sulla spalla del gemello come se non avesse aspettato altro fino a quel momento. Ora c’era l’unica persona che poteva sostenerlo.

Sto decisamente andando fuori di testa.”

Me ne sono reso conto.” E Tom guardò tutti gli effetti personali del fratello sparsi al suolo “Devi darti una calmata Bill. Di questo passo ti farai venire una crisi di nervi, una di quelle pesanti, e poi chi lo spiega alla mamma che non ho saputo fermare la nostra auto-distruzione?”

Il gemello sorrise sentendo quel “la nostra auto-distruzione” infilato apposta nella frase. Perché se stava male uno, anche l’altro lo seguiva a ruota. Uno era la continuazione dell’altro, in una maniera o l’altra, il loro era un legame inscindibile.

Ho riflettuto riguardo quello che ci siamo detti ieri.” Proseguì Tom non sentendolo parlare ancora “Ne hai davvero bisogno vero?”

Bill respirò affondo, godendosi il fatto che fosse il fratello a fare il primo passo. Era stato un bene che lo avesse aspettato “Non parlare di lei come se fosse una pillola per il mal di stomaco Tom.”

Tom roteò gli occhi e Bill ne rise.

Tu sei Tom, il che significa che non esisterà mai nessuno in questo mondo che potrà essere te o avere il tuo posto nella mia vita. Sei mio fratello gemello, sei parte di me da quando sono venuto al mondo, lo eri ancor prima che vedessi la luce. Ho bisogno di te come tu hai bisogno di me. Sarà sempre così.”

Lo so.”

Allora non prendertela così tanto se ti dico che ho bisogno anche di Lyric.”

Tom sbuffò un pochetto ma non era arrabbiato o infastidito, era solo molto stanco anche lui “Tu non hai idea di cosa si prova ad essere il gemello che deve accettare di dividere l’esclusiva.” Gli fece presente.

Non aveva voglia di risolvere tutte le questioni salienti che si erano aperte dalla sera prima, in verità non c’era molto da risolvere, era Tom a doversene fare una ragione. Per il momento bastava fargli sapere che ci sarebbe stato per lui, che fosse o meno d’accordo sulla questione Lyric.

Bill lo aveva appena capito e se ne sentì rincuorato “Vorrà dire che quando arriverà il mio turno eviterò scenate di gelosia e ti aiuterò a capire come cavartela con la tua lei.”

Oh! Vedo come te la stai cavando. Sarai un grande maestro…” sfottè lui ridendosela tra sé. Suo fratello che gli insegnava come relazionarsi con una donna? Sì, certo, magari nella prossima rincarnazione.

Bill gli diede un pizzicotto a tradimento e Tom lo fulminò con lo sguardo “Bill!”

Il gemello gli fece una piccola linguaccia “Non riderai così tanto quando tu sarai al mio posto.” Fece lui immaginandosi Tom che finalmente si innamorava di qualcuna (una piuttosto coraggiosa).

Forse non posso sapere cosa si prova ad essere te in questo momento…” Una rughetta perplessa si innalzò sulla sua fronte “Anche se in linea di principio vorrei evitare di essere te o di pensare come te, sarebbe orrendo…”

Cazzo! Lo sapevo che ti dovevo soffocare con il cordone ombelicale. Ci saremmo risparmiati un mucchio di tue stronzate…”

Bill fece come se non avesse detto nulla “Comunque, dicevo? Bè…in sostanza quando capiterà a te non farai tanto il so-tutto-io.”

Ah-ah.”

Poi restarono in silenzio, pensando ognuno ai fatti propri.

Tom rifletté sul da farsi: mancavano ancora due settimane alla fine del tour, dopo di che avrebbero avuto un mese di libertà, sperava che fosse sufficiente per ritrovare Lyric e mettere apposto le cose. Non sapeva come si sarebbero sistemati i problemi per Bill ma in qualche modo una tale ostinazione sarebbe stata premiata, forse.

Tom.”

Eh?”

Lyric ne vale la pena.”

Come fai a esserne sicuro?”

Bill alzò i palmi delle mani in alto in segno di ovvietà “Se non fosse così a quest’ora non ci starei ancora pensando. Come avevo supposto sono riuscito ad incontrare la mia anima gemella.”

A Tom non piacevano molto quei discorsi, soprattutto perché oltre che trovarli un po’ troppo sulle righe in linea generale quando era Bill a farli erano troppo seri, troppo reali.

E come fai a dire che è proprio Lyric?”

Perché mi manca così tanto da non respirare. Qui…” e Bill ticchettò alla sinistra del suo petto “…Lei era qui e c’è ancora ma allo stesso tempo qui dentro c’è il vuoto.”

Tom sembrò non esserne convinto e perciò Bill gli sorrise comprensivo “Lo capirai anche, Tomi.”

*******

Lyric!” la chiamò Diane appena questa corse ad una velocità inaudita fuori dall’ascensore.

Aspettaci!” tentò ancora di farsi ascoltare ma l’amica aveva già raggiunto la porta della suite in cui erano alloggiate e l’aveva aperta, sparendovi oltre subito dopo. Il tonfo di qualcosa che cadeva e si rompeva le allarmò un poco ed accelerarono il passo per raggiungere il fondo del corridoio.

Quando entrarono videro la grande borsa di Lyric abbandonata su uno dei tavolini all’ingresso, ai piedi di questo erano sparpagliati a terra dei pezzi rossi di ceramica e una miriade di rose bianche. La borsa doveva aver colpito così forte il vaso da farlo precipitare e poi rompere contro il pavimento. A tale vista Diane corse verso Lyric, rintanata nella sua camera da letto mentre Kathleyn chiudeva la porta con calma, lo sguardo fissò sui fiori calpestati.

Che diamine ti è preso?!” Diane le urlò contro una volta che la ritrovò di nuovo di fronte. Lyric, che le dava le spalle, non rispose e continuò a spogliarsi come se fosse stata sola. Voleva gettarsi immediatamente sotto il getto potente della doccia. Lo doveva fare prima di mettersi a piangere.

Aveva tenuto duro per tutto il tragitto in macchina, non mostrando nemmeno il bagliore di un attacco di crisi, ma sapeva che non avrebbe retto allungo. Doveva crollare da un momento all’altro ma lo doveva fare lontano dai loro occhi. Non voleva farle stare male inutilmente.

Lyric, accidenti rispondimi!” la pregò allarmata “Di qualcosa!”

Lyric si sedette sul bordo del letto e si tolse le sneakers, originariamente bianche immacolate, ingrigite dalla polvere accumulata quel giorno. Le tenne entrambe nelle mani, guardandole con troppa intensità, prima di buttarle contro il muro di fronte. Domani le avrebbe gettate dentro un cassonetto. A dir la verità si sarebbe liberata di tutto ciò che aveva indossato, non voleva più avere niente che le ricordasse quel concerto.

Ci sarebbe stato il bellissimo viso di Bill, illuminato dal bianco accecante dei riflettori, continuamente rivisto nella sua testa come il continuo ripetersi di una pellicola, a graffiare con cattiveria lungo le pareti che delimitavano la sua anima. Ci sarebbero stati i suoi profondi e magnetici occhi nocciola, i quali per un casuale istante avevano incontrato i suoi a qualche minuto dalla fine, ad oscurare i suoi pensieri ogni volta che avesse abbassato le proprie difese. Ci sarebbe stata la sua voce a sussurrarle in un orecchio quando fosse stata colta dal silenzio. Sarebbe bastata la memoria di Bill per tormentarla fino all’ultimo giorno della sua vita.

Non aveva bisogno di altre scomode prove per rivivere quel concerto.

Diane fu sul punto di strattonarla per farsi rispondere vedendo la totale mancanza di interesse nei suoi confronti. Lyric infatti proseguì a strapparsi gli indumenti, quasi ne avesse paura, e scagliarli il più lontano possibile da lei. I suoi fantastici jeans a sigaretta lacerati ad arte, il top bianco di cotone leggero e il copri-spalle rosso (disegnati e cuciti di propria mano) vennero scaraventati via senza riguardi, il che non indicava niente di buono. Lyric era una stilista e non portare rispetto per le proprie creazioni non era da lei.

Kat si aggregò a loro solo quando Lyric rimase in indumenti intimi.

Diane lasciala stare per adesso.” Kat portò le mani sulle spalle dell’amica “Non c’è ne bisogno.”

Diane sospirò e provò a calmarsi anche se era improbabile riuscirci. Nessuna di loro lo era.

Kathleyn era estremamente seria, quasi granitica, ma celava male la preoccupazione negli occhi e l’ansia che le dava la pelle d’oca. Diane a sua volta si sentiva insoddisfatta ed arrabbiata perché aveva sperato con tutta se stessa che Lyric decidesse di andare da Bill. Si era illusa di vincere al termine dello spettacolo, nel momento in cui i loro sguardi si erano incrociati per miracolo, e invece era rimasta con un pugno di cenere.

E Lyric era sotto shock: pallida, con il corpo che tremava (ma forse non se ne rendeva neanche conto), gli occhi blu arrossati e un po’ troppo spalancati (chiaramente si stava trattenendo con tutta se stessa).

Lyric aprì la bocca e da lì ne uscì fuori una vocina affaticata “Grazie.” disse l’unica cosa che contasse davvero dire a loro in quel momento “Grazie di tutto.”

Doveva ringraziarle perché non erano scappate quando aveva annunciato che le sue probabilità di vita erano passate dai sessantant’anni ad appena due, di essere rimaste sue amiche anche se una volta morta le avrebbe ferite peggio di qualunque nemico avessero mai incontrato.

Dovevano sapere quanto fosse loro grata di esserci ancora.

Quello che avete fatto per me, oggi, è stato davvero meraviglioso.” Mentre diceva quelle parole sia Kat che Diane non si sentirono a loro agio. Avevano l’impressione che fosse l’introduzione di un discorso di commiato e purtroppo loro rifuggivano l’idea di dirle addio. Poi c’erano quelle lacrime.

Non c’era peggio di quelle innocenti gocce trasparenti e salate a spaventarle. L’avevano vista piangere solo una volta oltre questa, quando la dottoressa Bayle le aveva spiegato che il suo cuore si affaticato a causa della chemio.

Lyric non piangeva mai. La loro Lyric era sempre forte.

Sono davvero felice per quello che avete fatto per me.”

Non dire così.” Sbottò Kat indicando spazientita il suo volto “Non dirci che sei felice quando piangi per il sentimento opposto. Non prenderci in giro!” Si morse il labbro inferiore e poi si rifugiò sulla sedia più vicina, aveva bisogno di un appoggio che la sorreggesse al posto delle sue gambe.

Lyric serrò le palpebre per spremere le lacrime mentre ogni respiro le tagliava in due i polmoni.

No! Dovete credermi…queste lacrime…queste sono solo uno sfogo.” Si concentrò affondo affinché non tremasse troppo, si fece forza, non dovevano vedere come poteva essere quando andava completamente fuori controllo e dentro di lei non c’era spazio se non per la parte più debole di se stessa.

Un corpo caldo le avvinghiò addosso improvvisamente. Diane si era gettata contro di lei, piangente anch’essa, aggrappandosi al suo collo. I singhiozzi dell’amica erano forti come quelli di un bambino spaventato e non venivano trattenuti, tutti i voluminosi ricci platinati di Diane si agitavano ad ogni singulto.

Non dovrebbe essere così! Non è così che dovrebbe andare!!”

Diane…” la richiamò con un tono paziente.

Lyric!” supplicò “Andiamo da lui! Ora! Subito…”

Diane non dire sciocchezze.”

NO! Non ci riesci, senza di lui non ci riesci.” l’accusò “Senza Bill non riesci a stare bene.”

Dice la verità.” Lesse nello sguardo rassegnato di Kathleyn dall’altra parte della camera e Lyric si sentì ancora più triste perché non poteva esaudire i loro desideri.

Non poteva andare da Bill e renderle contente, un poco, facendo felice se stessa. Sarebbe stato molto più doloroso per lei se le avesse accontentate. Lyric lo amava talmente tanto da essere disposta a sacrificare chiunque altro.

E poi chi lo diceva che Bill l’avrebbe ripresa indietro? Chi era così sicuro che a lui importasse ancora qualcosa di Lyric Hörderlin? Non c’erano garanzie al riguardo, al momento erano due perfetti estranei.

Si divincolò da quell’abbraccio serrato.

Prese il volto di Diane e lo accarezzò di un lato, facendo un accenno vago ad un sorriso.

No.” Le disse a mo’ di verdetto finale. Era una negazione contro cui sembrava impossibile opporsi.

Ma…” provò a ribattere ma Lyric le prese il volto tra le mani e scosse la testa lentamente “Nessun ma Diane.”

Guardò Diane e poi Kat, risoluta “Io non voglio vederlo addolorato per me. Non voglio essere amata da lui e amarlo a mia volta sapendo che il tempo sarà sempre troppo vicino alla mia data di scadenza. Io non voglio morire sapendo che lo perderò.”

Lo stai già perdendo.” Diane tentò ancora. Lei ci doveva provare e riprovare e Lyric fu orgogliosa di tanta tenacia.

È vero ma preferisco perderlo in questo modo, senza vivere felice e contenta al suo fianco, piuttosto che perderlo dopo aver toccato la felicità completa. Capisci? Io non posso.”

Lasciò andare l’amica “E poi mi sono promessa che lo avrei protetto. Non voglio fargli del male.”

Poi Lyric sparì, ancora sconvolta e piangente, nel bagno accanto.

Allora Kat si avvicinò a Diane e le accarezzò lentamente i capelli “Te l’avevo detto di lasciarla stare. Ora abbiamo sentito cose che non avremmo voluto udire. Contenta?”

Diane tirò su con il naso e affondò la propria testa contro il fianco dell’amica “E adesso?”

Kathleyn si portò una mano nella tasca dei pantaloni e afferrò con le dita il proprio cellulare “Lo facciamo.”

Sul serio?”

Sì.” Rispose iniziando a cercare nella rubrica un numero che mai credeva avrebbe dovuto usare “Lo facciamo, dammi fino a domani mattina.”

E cosa diremo a Lyric? Si incazzerrà come una furia.”

A fatti compiuti non le resterà molto altro da fare ma tranquilla se ne farà una ragione. Tu devi solo pensare alla tua parte, io farò la mia.” Scorse vari nomi finché non giunse alla lettera acca. Una striscia fucsia mise in evidenza il nome di Charles Holloway, suo padre.

Fece una smorfia al pensiero di dovergli chiedere un favore.

Kathleyn ne sei sicura?” domandò Diane sapendo perfettamente che nell’esatto momento in cui lei avrebbe parlato con quell’uomo non sarebbero più potute tornare indietro.

Sì, ne sono più che convinta!” e la prese per il polso, trascinandola in un'altra stanza della suite.

Ma tuo padre vorrà qualcosa in cambio. No, senti è meglio che chiediamo ad Alphonse. A me importava solo che tu fossi d’accordo con me.”

Alphonse ci metterebbe troppo tempo. Questa è la via più rapida.” Replicò “Non preoccuparti. Al massimo mi imporrà di andare a trovarli più spesso, possibilmente con Alphonse al seguito, e può darsi che mi chieda di ricominciare a parlare con la mia detestabile madre.” Sospirò di fastidio per tutto ciò che quel approfittatore di suo padre le avrebbe chiesto ma era disposta a farlo.

Diane l’abbracciò forte “Ti voglio bene!”

Oh! Non fare la sdolcinata. Non vedevi l’ora che mi arrendessi.”

Vero ma apprezzò tantissimo il sacrificio che stai per fare.”

Ricambiò il gesto d’affetto dandole un’altra carezza ai ricci “Meglio della figura di merda che farai domani con quegli sconosciuti. Cerca di non farti arrestare, mi raccomando.”

Detto ciò si separò da lei e andò sulla terrazza, il cellulare già all’orecchio.

Suo padre Charles rispose subito “Katy, tesoro mio! Com’è Milano in questo periodo?” la chiamata iniziò proprio male. Lo avevo già detto che detestava essere chiamata Katy da chiunque altro non fosse Alphonse?

Calda e afosa, come qualunque città italiana in agosto.” Rispose un po’ acida “Ti ho chiamato perché ho bisogno di un favore.” Passò subito al sodo senza troppi giri di parole.

Un favore di che genere Katy?”

Kat alzò gli occhi all’insù trovando estremamente irritante quella sua finta gentilezza quando in verità Charles era capace di essere davvero maligno “Dovresti dirmi dove alloggiano i Tokio Hotel.”

Va bene e i Tokio Hotel sarebbero?”

*******

“…Purtroppo la felicità durò appena lo sfarfallio di una farfalla.

Appena il tempo di assaporare sulla lingua il sapore che aveva un bel sogno.

Giusto il secondo di capire che la realtà è molto più intensa di qualunque fantasia.

Ma la principessa doveva tornare con i piedi per terra ora.

Il desiderio era stato esaudito e non c’erano più magie da poter chiedere alle fate.

In questa fiaba il principe deve vivere felice e contento senza la principessa.

Alla fine la bella addormentata di questa storia deve dormire per sempre.

L’amore non è detto che vinca sempre.”


Ma che schifo di favola è?!”

*******

Ti svegli al mattino sapendo che hai degli appuntamenti da rispettare.

Per esempio sai che devi alzarti al comando della sveglia, anche se vorresti gettarla fuori dalla finestra, e che devi preparati velocemente così da non far cadere nel panico nessuno dei tuoi assistenti, che con appena cinque minuti di ritardo sarebbero già di fronte alla tua porta con le più catastrofiche supposizioni per la tua mancava venuta all’orario stabilito. Dopo di che ti aspetta la colazione di rito con quei tre casinisti dei tuoi compagni di disavventura che, nonostante l’orario indecente per i loro standard (soprattutto per Tom), non si smentiscono mai e riescono sempre ad essere rumorosi e assurdi fin dalla prima cucchiaiata ai tuoi cereali, come se fossero programmati a dire cavolate e ridere nell’istante in cui riaprono gli occhi.

Ti svegli e sai che il tempo è sempre un passo avanti rispetto a te, certi giorni anche due, e che non c’è ne mai abbastanza per concludere tutti gli impegni lavorativi che quelle sanguisughe dei tuoi manager ti hanno impilato nella scaletta del giorno.

Sai che devi partecipare a una moltitudine di programmi tv, presenziare a centinaia di interviste (e per fortuna che in queste a parlare sono per lo più i gemelli, così non sei tu a dover spiegare e rispiegare le stesse cose tutte le volte), fare qualche breve esibizione, andare in radio, farti fotografare per le riviste e contemporaneamente anche farti filmare da una telecamera, il tuo personale grande fratello, che quasi per miracolo non ti segue anche in bagno (con Tom ci avevano provato una volta e per poco lui non aveva preso a ramazzate il cameraman con la spazzolone per pulire il water). Se poi è un giorno fortunato quella stessa sera devi fare anche un concerto, di fronte ad un pubblico di minimo diecimila persone.

Allora quando ti svegli sai che sarai ancora più stressato perché a quelle tue ammirevoli fan devi dare un ottimo spettacolo e quindi devi provare e riprovare, controllare che il sound sia perfetto, che la batteria sia sistemata senza una grinza. Così ringrazierai come si deve le persone che ti permettono di vivere la tua vita come avevi sognato che fosse, facendo l’unico lavoro per cui sai di essere tagliato.

Ti svegli al mattino sapendo che almeno farai una cosa buona per qualcuno e quando apri gli occhi sapendo ciò non ti senti neanche tanto male. Sei sicuro che dovrai affrontare una giornata folle, come tutte quelle che hai vissuto da tre anni a questa parte, con l’intenzione di essere professionale, certo, ma anche con la consapevolezza che ciò che vivi, giorni pessimi al seguito, non lo cambieresti mai.

Ti svegli e sei Gustav Schäfer, un batterista famoso con degli appuntamenti da rispettare e ciò ti da una certa sicurezza. Hai dei punti fermi e teoricamente non dovresti essere sorpreso da niente eppure capita l’eccezione.

Capita che ti svegli, un giorno qualunque, sempre certo di avere delle tappe fisse e confortanti e di essere comunque stravolto da un inaspettato evento a cui non avresti, lontanamente, pensato.

Succede che la vita ti faccia un brutto tiro.

Era tornato al Bulgari senza gli altri tre, dopo aver passato la mattinata a fare foto per delle riveste italiane ed alcune interviste in radio, con la scusa che doveva assolutamente sdraiarsi per il bene di tutti. La sera prima, al ritorno dal concerto al Datchforum, non aveva dormito molto e si era alzato con i muscoli della schiena un po’ rigidi, perciò aveva chiesto di andarsene prima.

David allora gli aveva concesso, con grande generosità, di non partecipare alle registrazioni dell’ennesima puntata per la Tokio Hotel Tv (un episodio speciale in cui i ragazzi facevano un po’ i turisti per Milano) e gli aveva ordinato di andarsene a riposare, con l’assoluto obbligo di rimettersi in sesto prima del concerto di dopo-domani a Torino. Se non fosse stato bene entro il loro ritorno avrebbero chiamato un massaggiatore, gli aveva detto, e aveva continuato con i consigli fino a che Gustav non era entrato in macchina.

Ad un certo punto aveva temuto che lo avrebbe seguito, per essere certo che facesse come voleva lui ma grazie al cielo Georg lo aveva distratto facendogli notare che Tom si era messo a parlare con una promiscua italiana dall’altra parte della strada. Di fronte ad una trasgressione della top five, durante il lavoro Tom non deve provarci con niente che fosse vagamente una donna, David lo aveva finalmente lasciato andare.

Dormi anche per me.” Georg gli aveva fatto l’occhiolino e poi gli aveva fatto ciao-ciao con la manina, con Bill al fianco che faceva lo stesso. Guardandoli seppe che Tom non si era messo a parlare con quella ragazza per caso. Gustav aveva fatto grazie con un cenno della testa comprendendo l’aiuto ricevuto. Anche se erano uno più cannati dell’altro alla fine si dimostravano degli ottimi amici, soprattutto nei momenti più inaspettati.

Io vado subito in camera mia, d’accordo?” disse al suo inseparabile bodyguard e al suo assistente appena alla reception gli diedero la chiave elettronica della stanza “Ho proprio bisogno di dormire.”

Io ora vado ad occuparmi dei preparativi per domani, comunque se avessi bisogno di me chiamami.” il suo efficientissimo assistente gli diede un colpetto sulla spalla e poi si dileguò nel secondo dopo.

Ti accompagno fino in camera e poi mi metto a sorvegliare il vostro piano.” Lo informò invece il suo body-guard, Sven. Gustav annuì portandosi una mano sulla bocca mentre sbadigliava.

Sperava che il tragitto fino al suo letto non fosse troppo lungo se no l’omone di un metro e novanta che lo proteggeva avrebbe dovuto anche portarlo in braccio. Ne sarebbe stato capacissimo, pensò, mentre le porte dell’ascensore si aprivano dopo il tintinnio dolce di alcune campanelle.

Si sistemò contro uno dei panelli interni di legno, con gli occhi chiusi e il capo abbassato. Percepì Sven schiacciare un pulsante ma prima che gli sportelli si potessero chiudere una voce si fece spazio “Wait me, please! I have to take this elevator!” e a seguito una mano minuta frenò la chiusura dell’ascensore.

Gustav vide entrare una ragazza un poco più bassa di lui.

Indossava un particolare vestito color grigio perla decorato come tartan, anche se era di sicuro cotone leggero, con uno scollo aperto che mostrava le spalle, senza maniche e con la gonna a palloncino che le arrivava a qualche centimetro al di sopra del ginocchio mentre ai piedi portava un paio di ballerine bianche abbellite da un fiocchetto nero sul davanti.

Aveva capelli ricci di un biondo platino scioccante e le incorniciavano il volto ovale dai tratti esotici.

Questa ragazza fece un breve inchino, poggiando le proprie mani sulle ginocchia coperte dai collant vermigli, con naturalezza come se fosse normalissimo per lei farlo.

Scusate ma avevo proprio bisogno di prendere questo ascensore.” Parlò di nuovo in un inglese fluente e dall’accento americano più che udibile.

Quando si rialzò Gustav incrociò due occhi scurissimi, neri come un pozzo senza fondo, dal taglio leggermente a mandorla. Ebbe una strana sensazione, quasi una scossa d’avvertimento, mentre quella lo fissava.

Nessun problema.” Rispose Sven posizionandosi di fronte a Gustav per precauzione. Non poteva sapere se la persona che aveva davanti fosse o meno una di quelle fanatiche che pur di incontrare i Tokio Hotel finivano per compiere più cavolate che altro quindi la prudenza prima di tutto.

La bionda sorrise educatamente, si girò per pigiare un bottone e poi rimase in quella posizione senza più voltarsi neanche una volta. Aveva scelto un piano più in alto del loro notarono sia Gustav che Sven mentre l’ascensore saliva a poco a poco. In quei minuti scarsi Gustav tornò a pensare ai fatti suoi, rilegando ad ansie inutili il sospetto che aveva provato qualche istante prima. A quanto pareva quella strana ragazza sembrava non avere idea di chi fosse e convinto di questo si concentrò sull’idea del suo letto e alle ore di sonno in più di cui avrebbe beneficiato.

Finalmente giunsero al loro piano. Le porte si aprirono nuovamente, sempre dopo il campanellio, e Sven lo precedette.

Gustav lo stava per seguire a ruota, sarebbe stata questione di un attimo, ma prima di andarsene lanciò un’ultima occhiata alla giovane platinata “Buona giornata.” Le disse lui educatamente.

Era tutto perfettamente normale. La gentilezza e l’educazione di Gustav erano rinomati al mondo. Lei avrebbe dovuto solo rispondere con eguale educazione, sorridendo magari di fronte a quel viso rassicurante e invece non fece niente del genere. Gli afferrò invece il braccio più vicino a lei con entrambe le mani “Io devo parlarle.” Se ne uscì così per spiegare il proprio gesto e lo inchiodò con quegli occhi scuri impenetrabili “Sono venuta qui solo per parlare con lei.” Proseguì estremamente seria.

Dal modo in cui lo guardava e nella maniera in cui aveva parlato non sembrava una di quelle fanatiche pericolose. A dir la verità non sembrava proprio una fan. Se lo fosse stata si sarebbe lanciata addosso a lui, abbracciandolo, e urlando disperata che lo amava. Gustav ne fu sorpreso.

Sven intanto si era già avvicinato a loro due e aveva preso per le spalle la ragazza. Naturalmente quella bambolina non avrebbe potuto competere contro un peso massimo come il suo bodyguard eppure non lo lasciò andare, anzi, aumentò la forza della sua presa.

Ok, ok, signorina lascialo andare!” provò ad ammansirla il gigante ma la piccoletta non diede segno di averlo sentito. Era davvero resistente per essere così mignon.

Sul serio, signor Schäfer, io sono qui per parlare di una cosa molto importante!” Sven la sollevò da terra ma questa non cedette, iniziò a scalciare persino, mentre Gustav non sapeva bene come comportarsi. Infondo non aveva ancora fatto niente di male se non averlo colto alla sprovvista.

Ok, ok…calmiamoci tutti.” Decretò alla fine “Ora Sven vi lascerà andare e poi lei lascerà andare me. Una volta che saremmo tutti liberi usciremo dall’ascensore e lei potrà dirmi la cosa molto importante per cui mi ha cercato.” Le propose con estrema calma. Allora la biondina eseguì il comando e smise di affondare le dita nei muscoli del suo avambraccio.

Grazie mille.” Disse lui mentre Sven un po’ bruscamente la trascinava fuori dall’ascensore.

Sven! Lasciala andare.” Ordinò Gustav.

Il body-guard non gli diede retta “Ho già detto che l’avrei ascoltata.” Aggiunse con più fermezza

Gustav incrociò le braccia e si avvicinò alla sconosciuta finché non fu a un metro di distanza “Non è pericolosa.” Disse ancora e allora Sven lasciò andare la presa sulle spalle di lei.

Oh God!” mormorò la ragazza spaventata “Non avevo idea che mi sarebbe andata così bene. Credevo che avreste rifiutato e che avrei dovuto insistere più e più volte. Quando diceva che lei era un tipo comprensivo non credevo che fosse, veramente, così comprensivo.” Partì a parlare in un inglese rapidissimo, tanto che Gustav perse qualche parola nel tentativo di capirla, mentre le mani di lei si agitavano in aria in strani movimenti.

Si fermi, si fermi. Scusi potrebbe parlare con un po’ più di calma? Si sta decisamente agitando.”

Lei annuì convenendo che non avesse tutti i torti “Ha ragione. Ora sto calma.”

Bene. Che ne dici se partiamo con il darci del tu?”

Me lo aveva detto che eri anche piuttosto ragionevole.” Gli disse prendendo subito alla lettera la sua proposta “Ho fatto proprio bene a scegliere di parlare con te.”

D’accordo.” Fece lui non seguendo i soggetti della frase “Tu sembri sapere esattamente chi sia io ma purtroppo io non ho idea di chi sia tu. Un aiutino?”

Mi chiamo Diane Togu.” Si presentò infine “E io ti conosco perché abbiamo un amica in comune.”

Chi?” domandò Gustav incuriosito.

Diane prese un grosso respiro.

Doveva andare fino infondo e non aveva importanza quanta paura avesse, da lì non poteva tornare indietro.

Lyric Hörderlin.” Rivelò.

E come avevo detto a volte ti svegli e non puoi neanche lontanamente immaginare cosa la vita ti riservi quel giorno. Semplicemente finisce per sorprenderti.


……………………………………………………….

* A titolo puramente informativo: i nonni di Diane sono giapponesi (ricordate?) e vivono in una grande casa in campagna, nei presi di Kyoto. Vicino alla loro dimora c’è un tempio scintoista dedicato alla divinità locale. Nel flash-back scritto da me la scena si volge fuori da questo tempio, una sera di luglio durante il loro viaggio in Giappone (citato da me nel capitolo 12). Per chi non lo sapesse il Torii è il nome con cui viene denominato il portale che separa l’esterno di un tempio e l’area vera e propria del santuario. Il confine tra il mondo materiale e quello spirituale. Sono bellissimi, nella loro tinta rosso vermiglio, e maestosi. Danno una sensazione di potere e sacralità. Mi piacciono molto, anche se dobbiamo dire che io amo il Giappone e basta. XD

Comunque, per fare un po’ la saputella, i kami (cioè le divinità) dello shintoismo sono migliaia di migliaia e vivono, secondo il pensiero scintoista, nella materia di ogni cosa. Per questo Diane prega anche la stella cadente (non per il pensiero occidentale che porti fortuna), perché anche quella stella, al pari di tutte le cose vive o artificiali che esistano al mondo, contiene in sé uno spirito divino. Un Kami appunto.

XD ok…fine della spiegazione.


Ora applausi per il capitolo 13!!

È stato veramente difficilissimo scrivere questo capitolo e la difficoltà risiedeva nel fatto che ho dovuto affrontare il mastodontico compito di mostrare i sentimenti e i pensieri di tutti, così da darvi un quadro approfondito della situazione.

Ho introdotto il capitolo dicendo una cosa che penso e che, se siete stati attenti, è veramente ciò accade nella vita reale. Nella realtà, ogni giorno, davanti a noi si presentano opportunità, scelte da compiere e miriadi di strade che potremmo percorrere (vivendo così vite differenti). La vita è esattamente fatta di queste cose.

E spero di averlo dimostrato in questo capitolo dove tutti quanti (Bill, Tom, Lyric, Diane, Kat e Allie) hanno fatto scelte e preso al volo delle opportunità piuttosto che altre. Sia nel presente che nel passato.

Ora passiamo alle mie scuse.

Mi dispiace molto di aver svelato così a crudo il centro nodale di questa storia ma prima o poi doveva venire a galla, non sarei riuscita a portare avanti un capitolo in più se avessi dovuto tenervi nascosto questa bomba. Vi dovevo un po’ di chiarezza XD anche se tanto io resto la solita torturatrice.

Alla fine, come vi avevo avvertito all’inizio di questa ff, la trama è piuttosto banale e semplice ma spero di non aver ancora deluso le vostre aspettative. Credo che ci siano almeno un altro paio di capitoli prima che iniziate a lanciarmi pomodori in faccia. Sì, so che il tema della malattia che si porta via una persona cara sia stra-usata e stra-semplice da adoperare per giustificare molti fatti ma purtroppo per voi nella mia testolina Lyric era destinata ad essere malata.

Ma vi prego di non immaginare il finale, vi assicuro che è meglio non provarci.

Io non vi renderei il compito facile, sono troppo contorta, e se fino ad un certo punto crederete di sapere come andrà a finire io tenterò sempre di sorprendervi. Semplicemente dovete leggere e basta.

Arrivata a questo punto non so di preciso quanti capitoli manchino alla fine ma non sono poi tanti. Riuscirete a vedere la conclusione di questa lunghissima storia e spero che quando quel momento arriverà non mi odierete.

Per chiunque stesse pensando che Lyric è pazza ad aver scelto di non tornare da Bill dico che non dovete giudicare in fretta. Non avete idea di quello che ha dovuto sacrificare, di quanto abbia dovuto pensarci per fare quello che ha fatto tre anni fa. Io sono completamente con lei nella scelta, soprattutto perché Lyric è una persona (XD almeno così lo immaginata) molto coraggiosa e se fossi stata lei io avrei fatto altre scelte.

Sarei stata abbastanza codarda da chiedere a Bill di starmi accanto, sapendo comunque di fargli del male.

Lyric ama veramente Bill.

Non pensate mai il contrario.


Mentre Bill, XD, Bill riceverà una bella batosta in faccia. Sono crudele con lui? Sì, mi scuso.

Alla fin fine lo lascio sempre all’oscuro ma apporrò rimedio al più presto. XD. Se la caverà benissimo. Lui è un alieno in grado di fare qualunque cosa. Saprà cavarsela.

Tratto male anche Tom ma che volete farci è così che vanno le cose. Pensandoci e ripensandoci non ho avuto il minimo dubbio sul fatto che, di fronte a qualcosa di così grande, lui reagisse esattamente così. È abbastanza destabilizzato e non può capire affondo (XD povero bambino) ciò che succede a Bill. Quando toccherà a lui capirà. XDXDXD

Gustav è il mio eroe!!! Semplicemente, semplicemente, lui è il mio eroe. XD A dir la verità sia io e Diane abbiamo pensato a Gustav nel momento in cui è saltato fuori che avrebbero tentato di contattarli. Lui è semplicemente il mio eroe!


Grazie a tutti quelli che hanno commentato. (pazzerella, sei contenta? Ho risposto alla tua domanda mi pare.)

Grazie a tutti quelli che hanno letto.

Grazie a tutti quelli che continueranno a fare entrambe le cose. XD


Ps:_Sono tornati!! Sono tornati!!

I Tokio Hotel hanno ufficialmente aperto la nuova stagione e finalmente noi potremmo riascoltarli nuovamente. Sono così felice che non avete idea! Al momento penso proprio di volare.

Avete ascoltato “Automatisch”? Io la trovo semplicemente stupenda, mi piace soprattutto il testo. Bill mi ha di nuovo fatto venire un infarto. XD

Grazie a Dio sono tornati!!

Un bacio a tutti!!


Ps2: Mia Georg (Lei sa di chi sto parlando), Morgana, sorellina Yumi….è di nuovo il tempo di fare fuoco e fiamme!

XD non aspettavo altro.







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Capitolo 15
*** Capitolo 14: Hier ***



Capitolo 14

 

“Passa …

Il tempo passa, senza che tu te ne possa accorgere.

Passa, ignorandoti, e non ti aspetta, mai.

Il presente sfuma e scompare.

Il passato diviene incancellabile.

Mentre il futuro, beffardo, resta sempre invisibile.”

 

Marzo 2006.

Amburgo.

 

“Stronzate!”

Molte teste, in quella sala d’attesa privata, si voltarono nella loro direzione, alcune prese dalla curiosità mentre altre semplicemente perché urtate da tanto chiasso, ma nessuno dei due diede segno di interessarsi all’improvvisato pubblico che aveva iniziato ad osservarli.

“Perché non mi ascolti?! Perché non mi stai mai ad ascoltare? Questa è una mia scelta! Mia! Non puoi essere venuto qui e aver pensato davvero che una tua parola mi avrebbe fatto cambiare idea, così come a schiocco di dita. Sei stato il solito avventato!” e nel dirlo Lyric fece appello a tutte le forze che aveva per apparire convincente nella sua rabbia, nella sua determinazione, tanto da fargli credere che andarsene era davvero ciò che voleva.

Bill agitò la testa in un movimento frenetico, per qualche secondo, mormorando delle parole sconnesse. Poi la prese per i fianchi e vi affondò aggressivo le dita, graffiando contro il cotone della camicia “Ti ho detto di finirla con le stronzate! Mi stai dicendo che dopo tutto questo tempo pensi di potermi liquidare in questa maniera schifosa e pretendere poi che non reagisca in questo modo?!”  le mani di Bill risalirono lungo il profilo del suo corpo, fino ad arrivare ai lati del suo volto, e le dita afferrarono i suoi capelli, con forza.  Bill portò poi le loro fronti ad unirsi.

“Lyric resta.” Lo disse a metà tra un ordine e un’implorazione.

Uno di fronte all’altro, in quella posizione di stallo ed attesa, se ne restarono muti, a farsi del male gratuito perché spaventati ed incapaci di dire, ufficialmente, la parola fine. I loro fiati erano a corto mentre i loro volti si stavano segnando di ferite che si imprimevano in profondità, oltre lo spazio del visibile, in quel breve lasso di tempo.

Come era possibile essere annientati da così poco?

A Lyric stava andando in fiamme il cranio e sentiva che da un momento all’altro non avrebbe avuto la capacità di reagire ma sapeva che l’ultima parola doveva essere la sua.

Non avrebbe mai rimosso dai suoi ricordi l’immagine di Bill che la scongiurava, anche con rabbia, di rimanere. Tutto ciò che riguardava Bill lo avrebbe custodito, per sempre, nell’unico posto esistente dove era possibile fermare lo scorrere dei secondi, là dove si trovava l’eternità della persona solo per lei. Sperò che fosse così anche per lui, lo sperò anche se un’altra parte di sé gli augurava di lasciarla andare alle spalle. Di abbandonarla nel passato.

Perché, ormai, tutto ciò che avevano vissuto e tutto ciò che avrebbero potuto vivere assieme era solo un frammento di tempo che non sarebbe mai tornato.

Altre lacrime bruciarono, ancora, contro la pelle bagnata delle sua guance troppo martoriate mentre il suo petto arrancava, esattamente come quello di Bill.

“Non possiamo trovare un modo? Non possiamo provarci in qualche maniera…”  Arrivò a supplicare lui, decidendo di affondare persino il suo titanico orgoglio “Tu non vuoi lasciarmi veramente quindi perché sto qui a supplicarti di restare?”

Bill pregò che funzionasse, pregò che qualcosa filasse una buona volta.

Non poteva perdere. Non lei.

 “Bill, io voglio lasciarti, davvero.” Si aggrappò a lui con forza disumana mentre, per quanto i loro corpi fossero uniti, tra loro si frapponeva una grande distanza, nella quale si stava facendo spazio il vuoto. Dove nell’oscurità si sarebbe annidata la mancanza di Bill. Era sempre stata consapevole che avrebbe affrontato una cosa simile ma esserle di fronte, per davvero, era molto più insostenibile di quanto si fosse immaginata.

Lyric lo guardò con serietà e compostezza, creando così un connubio strano con il rossore della pelle e le lacrime.

Doveva essere orrenda da vedersi, tanto quanto Bill appariva a sua volta disastrato.

“Tra cinque minuti quelle porte si apriranno ed io mi imbarcherò. Tu non potrai fare o dire nulla per impedirmi di varcarle. È stata davvero una mossa inutile la tua, soprattutto perché hai reso questo momento più difficile per entrambi.” si interruppe un attimo per impedire alla voce di diventare troppo traballante, il resto del suo corpo invece si concesse di tremare a discapito della sua volontà.

“Mi mancherai. Ti penserò. È vero ma solo per un poco e lo stesso sarà per te.”  E Bill si rese conto che Lyric gli stava davvero scivolando via dalle mani. Se ne stava andando veramente.

“Lei se ne stava andando?”

Il giorno dopo non avrebbe potuto bussare alla sua porta e vederla accoglierlo con un sorriso raggiante da un lato all’altro del viso. Il giorno dopo non avrebbe potuto passare con lei ore a parlare di tutto ciò che frullava nelle loro teste, non avrebbe più sentito la sua voce prenderlo in giro o rimetterlo in riga facendogli notare i suoi errori.

Non ci sarebbero stati sguardi complici, messaggi silenziosi, gesti d’amore.

Non avrebbe più sentito quella sensazione calorosa d’appartenenza e proprietà data della sua presenza sicura ed affidabile.

“Se ne sta andando.”

“E con il tempo, quella cosa che stai sentendo …” e Lyric indicò il suo petto “… si affievolirà. Per entrambi. Così torneremo ad essere estranei. Andrà tutto bene alla fine.”

E Bill fu distrutto da quelle parole tanto che barcollò sui proprio piedi, rischiando di far cadere entrambi.

Si sentì perso perché la prospettiva che le aveva appena dipinto era di una tristezza orrenda.

“Bill?”  In quel momento anche lo sguardo del ragazzo tornò ad annacquarsi senza ritegno.

Quello che Lyric vide nel suo viso la fece vergognare, non avrebbe mai creduto di poterlo distruggere in quella maniera. Anche se a dir la verità stava distruggendo entrambi.

“Lyric...” e Bill immerse il volto tra i capelli di lei “Lyric, Lyric… che cosa ci stai facendo?” sussurrò nel suo orecchio mentre le sue braccia la legavano a sé più dolorosamente di prima. Fu uno strano discorso quello che fece, talmente bello che Lyric in quel momento ci avrebbe voluto credere.

“… Anche se dovessero passare venti o trent’anni questa cosa… che scalcia e si agita in noi non si affievolirà.” Forse non le aveva confessato quei pensieri abbastanza spesso, pensò Bill, poteva darsi che non fossero stati poi così evidenti come aveva creduto.

Magari Lyric non aveva ancora compreso il reale valore che lei possedeva per lui.

Comunque era troppo tardi per pentirsi di negligenza. Lyric se ne stava andando.

“Tra venti o trent’anni, tra centinaia di volti sconosciuti ed incolori, io saprò vederti. Per caso, da qualche parte, un giorno capiterà di rincontrarci. Ti giuro che quando accadrà ti bloccherò, chiamandoti per nome, e ti guarderò dritta, dritta negli occhi...”

Bill, pur nel suo stato confuso e dolorante, sapeva di non star buttando paroline al vento.

Erano gli ultimi sprazzi della sua coscienza prima che venisse sconfitto definitivamente.

“Noi non possiamo tornare ad essere estranei l’uno per l’altro. Quello che stai facendo è inutile. È inutile pensare che ce la farai.” Piangevano entrambi attirando ancor di più l’attenzione delle persone attorno ma se ne fregavano. Se ne fregavano di tutto il resto del mondo.

“Non ce la farò neanche io.”

Lyric vide con la coda dell’occhio Tom entrare nella saletta privata e da lui si lasciò guardare con ostilità e confusione quando la riconobbe, in quel angolo appartato. Bill aveva sempre Tom.

Lui l’avrebbe sostenuto e l’avrebbe tirato fuori dai guai.

C’era qualcuno che si sarebbe preso cura di lui. Ce l’avrebbe fatta, a discapito delle parole che aveva appena pronunciato, Bill se la sarebbe cavata e sarebbe andato oltre. Le porte del gate venero aperte e sua nonna ed Alphonse l’aspettavano là davanti, assicurandosi per primi l’entrata.

Non c’era più tempo eppure il tempo si doveva bloccare. Doveva concedere loro un attimo ancora da passare assieme in cui i loro spiriti o quello che poteva essere definito come i loro animi si legassero ancora una volta, ancora per sempre.

“Bill!”

“Non dirlo! Se lo dirai finirai per farmi incazzare ancora di più quindi non dirmelo!”

“Ti amo.”  Fu inevitabile dirlo, perché lei doveva ricordarglielo, lui doveva comprendere che lo stava facendo unicamente in nome di questo suo amore così disperato e accecante. Lyric lo prese poi al collo ed accostò le proprie labbra a quelle di lui, se ne sarebbe pentita lo sapeva ma non poteva fare altrimenti e il bacio in cui lo coinvolse fu il loro addio.

Fu molto triste, il bacio più triste che fosse mai dato, e diversamente dal loro primo quest’ultimo sapeva di salato e acqua fredda. Infelice, misero, davvero l’ultimo.

Poi Lyric separò entrambi da quell’abbraccio ormai in procinto di scadere nell’eterno e ne andò senza voltarsi.

E a Bill restò solo da crollare contro le spalle di Tom, appena questi lo raggiunse, e nel suo abbraccio si concesse di frantumarsi. Solo per un poco, solo il tempo di rendersi conto che Lyric non c’era più.

 

****

12 Agosto 2009.

Milano.

 

L’aria del mattino ancora acerbo sfregava sulla pelle delle sue braccia scoperte mentre qualche, accennato, alito di vento spifferava contro i rivoli di fumo biancastro della sigaretta tra le sue dita. Nello spazio attorno si poteva così percepire l’odore dolciastro e un po’ acre di ciliegia bruciacchiata.

Erano ormai da due ore piene che se ne stava tutta sola a fumare là fuori.

Come compagnia aveva avuto un pacchetto di Blast aperto in mano e i suoi pensieri febbrili che, in modo delizioso, si erano dibattuti nella sue testa.

Dopo una notte scomoda, passata a rigirarsi nel letto senza dormire veramente, infatti si era infilata le prime paia di scarpe che avevano incrociato i suoi piedi e si era recata nel cortile interno dell’hotel. 

Qui ne aveva consumato una dietro l’altra da quando si era accucciata sopra ad una delle panchine di legno. Alla decima sigaretta, in procinto di essere finita, Kathleyn decretò che sarebbe stata l’ultima. Le stava salendo la nausea e la sua lingua ormai si disgustava al solo contatto con il filtro. Aveva esagerato e sicuramente a causa di questo suo stupido gesto non avrebbe fumato per settimane.

Peccato che fumare troppo intensamente, per lei, si traducesse sempre in un momentaneo rifiuto di quel vizio. Le accadeva anche quando mangiava troppa cioccolata o guardava troppi film horror, esagerare le dosi di qualcosa le faceva venire a stanchezza l’oggetto di tali esagerazioni.

“Accidenti!”  pensò irritata contro se stessa. Aveva appena perso un’ottima valvola di sfogo per i momenti stressanti che avrebbe dovuto sostenere da lì in avanti “Sono un genio…”  pensò sarcastica ed aspirò avidamente i rimasugli della sua sigaretta.

Buttò fuori dalle labbra del denso fumo biancastro che, in filamenti ondeggianti, salì verso l’alto dissolvendosi poi nella luce del sole appena destato.

Kat dopo l’ultima boccata fissò i resti del tabacco che veniva divorato dalle fiammelle rossastre, qualche secondo più tardi schiacciò la punta incenerita della sigaretta contro il vetro smeraldino del posacenere che si era portata appresso.

Le era appena venuto in mente un vecchio discorso fatto con Lyric.

Era nato da un rimprovero che l’amica le aveva fatto proprio sul suo vizio di fumare, proseguito poi tra battute e frecciate ironiche sia dall’una che dall’altra fino all’ammissione dei reciprochi difetti, il tutto giunto infine ad una strana conclusione, che inspiegabilmente era piuttosto coerente con i problemi attuali che Kat aveva dinnanzi.

“Concludendo siamo due persone assolutamente terribili.”

“Già: a te piace cadere tra le braccia dei vizi mentre io sono un caso umano che attira solo problemi.”  Aveva riepilogato l’amica “Ma va bene anche così. Se poi dovessimo trovarci in difficoltà a causa di questi difetti ci sarebbe sempre Diane a pensare a noi.”

Kathleyn ricordò come entrambe avessero sorriso di fronte a quello che Lyric aveva detto.

“Perché possiamo fidarci di Diane, vero?”

Il volto di una Lyric appena diciassettenne si illuminò nella foschia dei suoi ricordi passati “Ovviamente sì. Quando e se fossimo nei guai potremmo fidarci ciecamente di Diane.” 

Kat sentì in quel momento vibrarle il cellulare nella tasca del pigiama. Doveva essere suo padre.

La notte prima l’aveva lasciata assicurandole che avrebbe avuto le informazioni richieste la mattina presto. Prese fuori il suo black barry argentato e vide che era appena arrivata una e-mail, naturalmente era proprio da parte del genitore.

Kathleyn titubò con la punta del pollice sopra il tasto di apertura dei messaggi. Quel piccolo gesto avrebbe innescato una reazione a catena di cui non poteva prevedere il risultato.

Tsk!”  una risata spensierata si fece sentire dal fondo dei suoi pensieri, era la sua voce “Bè, devo ammettere che anche io mi fido di lei.”  Aveva detto a Lyric.

Kathleyn annuì a se stessa.

Non sapeva se era la scelta giusta, forse stavano sbagliando, ma per quante incertezze avesse di una cosa poteva tranquillizzarsi: fidarsi di Diane.

“Perché lei ci vuole davvero bene.”  Avevano detto contemporaneamente quella volta. 

La Kathleyn del presente si tenne stretta a questo pensiero confortante.

Navigava ancora nell’insicurezza e non osava immaginare in che tipi di scenari le loro azioni avrebbero trascinato Lyric ma Diane invece era sicura di ciò che doveva essere fatto. Kat poteva rimettersi alle sue decisioni ad occhi chiusi. 

“Perché mi fido di Diane.” Si disse prendendo in mano la paura.

Aprì l’e-mail.

 

****

 

“Andrà tutto bene.”  aveva assicurato Diane a Kathleyn prima di salire sul taxi che l’avrebbe condotta al Bulgari. Non glielo aveva detto perché fosse certa di come sarebbe andata ma più che altro per rassicurarla, ed anche se stessa, del fatto che in qualche maniera si sarebbe sistemato tutto.

“Vorrei essere ottimista come te.”  Le aveva detto lei in risposta con un’espressione tesa “Ho davvero paura che quel tizio non si dimostri all’altezza. Se non gli importasse più niente di lei, il che non è da escludere, allora tutto ciò che Lyric ha passato si rivelerebbe inutile.”

Diane le aveva tappato delicatamente la bocca con il palmo di una mano e nelle sue iridi scure era balenato per un attimo l’intensa fiducia che riponeva nella sua determinazione. Kat seppe da ciò che Diane ce l’avrebbe messa tutta.

“Stai tranquilla, andrà tutto bene.”  Le aveva ripetuto per la seconda volta e con maggiore convinzione.

Diane l’aveva poi abbracciata, infondendole come sempre quel calore intimo dinanzi alla quale Kat si sentiva, ogni volta, piacevolmente impreparata. Kathleyn aveva poi ricambiato, cedendo al bisogno di essere sostenuta.

“Se quel Bill dovesse essere il più grande pezzo di idiota che natura abbia creato promettimi che prima di lasciarlo lo picchierai violentemente da parte mia.”

La vocina di Diane trillò in una risata “Sì, giuro.”  Le aveva risposto prima di sciogliere delicatamente il loro contatto “Un bel diretto a pugno chiuso sul naso, come mi ha insegnato la migliore.”

Si erano quindi guardate con complicità, rasserenandosi nell’arco di quel breve attimo in cui entrambe le loro bocche avevano accennato ad un sorriso. Poi si erano definitivamente lasciate.

“Ci sono tanti modi di salvare una vita umana.”  pensò Diane in quel preciso momento, ripetendo a se stessa la convinzione che l’aveva portata nel soggiorno di quella suite del Bulgari. La stessa che le aveva permesso di aspettare la bellezza di cinque ore filate nella hall dell’hotel con inflessibile tenacia.

Smise di fissare il riflesso opaco di se stessa, piantato di fronte alla vetrata della porta-finestra che dava sul balcone, quando Gustav rientrò dall’adiacente camera da letto. L’aveva fatta accomodare nell’elegante salotto della sua suite dopo di che si era eclissato per qualche minuto nella stanza adiacente. Quando Gustav tornò Diane notò che sul volto manteneva la stessa aria imperturbabile di quando l’aveva lasciata. Sembrava così calmo, come se, infondo, non fosse successo nulla.

Tutto quello che Lyric le aveva raccontato di lui allora sembrava essere confermato: “Gustav è un ragazzo che prima di agire pensa, prima di giudicare riflette quindi è davvero una persona con la testa sulle spalle.”

Proprio per questo giudizio espresso dall’amica, casualmente, mesi addietro, Diane aveva progettato il suo piano.

“Accomodati pure.” Disse lui e le indicò con educazione una poltrona color crema mentre a sua volta prendeva posto sul divano a fianco. Diane si mosse con molta cautela, studiandolo.

Sembra prestare poca attenzione, perché spesso ha lo sguardo un po’ perso nelle sue faccende ma Gustav in verità è molto più acuto di quel che appare. Sa ascoltare e soprattutto sa comprendere.”  Aveva confidato mentre mostrava loro alcune vecchie foto contenute nelle sue raccolte personali d’album fotografici.

Era successo quando finalmente Lyric aveva ammesso con se stessa che proseguire ad ignorare i propri ricordi non avrebbe potuto essere un comportamento sensato ancora allungo.

Così Diane e Kathleyn avevano avuto modo di entrare in contatto con il passato della loro amica e si erano rese conto quanto avessero contato quelle persone per lei anni addietro. Ciò che per Lyric era definibile con il concetto di famiglia integrava strettamente anche quei quattro tedeschi, i quali si erano impressi a fuoco nel suo animo, tanto dal descriverli ancora con tangibile affetto ogni volta che li nominava.

“Sarei sicuramente rimasto sorpreso dalla mia comparsa.” Esordì Diane occupando finalmente il posto che le era stato segnato. Gustav accompagnò la sua discesa con sguardo concentrato e lei constatò da questo che anche lui fino a quel momento doveva averla studiata.

Ai suoi occhi doveva apparire la personificazione di una situazione piuttosto bizzarra.

“Ovviamente sì.” Rispose lui, accomodando la schiena contro il divano “E non ho la più pallida idea di ciò che dovrei aspettarmi da te. Sono ancora piuttosto turbato dalla tua identità.” Aggiunse, sincero come sempre.

“Non capita di certo tutti i giorni d’incontrare una perfetta estranea che ti afferra per un braccio in un ascensore d’albergo e ti chiede udienza con il pretesto di essere venuta in nome di una comune amica. Come vedi è tutto abbastanza bizzarro, no?”

Diane piegò lievemente il capo verso il basso, imbarazzata “Già, effettivamente sono stata abbastanza precipitosa nel mio modo di presentarmi. Avrai pensato in un primo momento che ero una delle tue tante fan.”

“No, a dir la verità non mi hai dato assolutamente l’impressione di essere una fan e comunque ero un pochino più concentrato sul modo in cui le tue mani si erano avvinghiate al mio braccio. Per essere una ragazza così minuta ne hai di forza.”

Diane si lasciò sfuggire un sorriso divertito e per un attimo la sua naturale solarità fece una piccola apparizione ma sparì subito, la tensione della situazione non smetteva di restarle incollata addosso. 

Dopo tutto non stava facendo una chiacchierata qualunque con una persona qualunque. Da ciò che si sarebbero detti sarebbe dipeso tutto il resto, tutto ciò che si aspettava di realizzare.

“Lyric, Lyric, Lyric…”  echeggiò tra gli anfratti della sua testa.

“Scusami se sono stata terribilmente insistente ma con la fortuna che mi ritrovo dovevo fare tutto quello che potevo per convincerti a parlare con me. Avevo una sola possibilità quindi spero che perdonerai il mio comportamento. Di sicuro ti ho appena messo in una situazione complicata.”

Gustav la studiò con attenzione prima di scuotere il capo e farle un segno d’indifferenza con la mano  “Tranquilla. Non c’è bisogno che tu mi faccia delle scuse. Trascorrere il novanta percento del mio tempo con quel trio di pazzi mi ha reso piuttosto reattivo agli eventi eccezionali. Ne ho vissute così tante di situazioni paradossali a causa loro che ormai tendo a considerare normalità cose che il resto delle persone non definirebbe come tale.” Le assicurò per metterla a suo agio “È vero che mi hai scioccato ma ti prometto che non comincerò a girare per la stanza strillando nel completo panico o imprecando in tutte le salse possibili contro dio. Quelli sono i gemelli.”

Allora la giovane non poté proprio evitarsi di sorridere ancora.

“Davvero fanno così?”

“Più o meno. Di solito quando vanno completamente fuori di testa per una ragione o per l’altra io e Georg evitiamo accuratamente di stare nella stessa stanza con loro. È sempre preferibile che i Kaulitz si facciano del male tra di loro quindi non assistiamo mai al loro completo tracollo psico-emotivo.”

“Oh, credo di capire cosa tu intenda dire. Dovresti vedere quando Kathleyn, l’altra migliore amica mia e di Lyric, si mette a litigare con Lyric o Alphonse o me. È praticamente insopportabile ma dopo un po’ si calma e chiede scusa.”

“Beata te, i gemelli chiedono scusa solo quando sono certi al cento per cento di aver sbagliato e anche quando ne sono consapevoli hanno ancora delle grosse difficoltà a dirtelo in maniera decente. Sono piuttosto carini comunque, a vedersi, quando ti vengono di fianco e provano a chiederti scusa. Come un paio di cagnolini.”

Diane rise un poco seguita a ruota da Gustav “Questo tua versione combacia con quella raccontatami da Lyric. Anche lei mi ha detto che era assolutamente allucinante quando Bill si incazzava o comunque si faceva prendere dall’isterismo per qualche ragione.”

“Vedi che le mie non sono esagerazioni.” A poco a poco il ghiaccio tra loro si stava sciogliendo.

“La cosa straordinaria però era che quando c’era Lyric potevamo contare sul fatto che lei lo avrebbe fatto tornare normale, con le buone o le cattive. Non so cosa o come facesse ma se era lei a rimproverare Bill o a farlo ragionare era sicuro che dopo qualche ora lo avremmo ritrovato molto più rilassato e persino più cortese di prima. Suppongo che dovesse avere a che fare, non solo con ciò che provavano l’uno per l’altro, con il rispetto reciproco che portavano all’altro.”

E mentre Gustav la faceva partecipe dei suoi ricordi in Diane iniziò ad accendersi una strana sensazione, come di un tiepido fuoco che lentamente si insinuava negli angoli del suo corpo, poteva darsi che ci stesse credendo un po’ di più al successo dei suoi piani. Infondo sembrava che neanche Lyric fosse stata poi così cancellata dai ricordi di quelle persone.

Era un fatto incoraggiante.  

“Lyric è sempre stata molto importante per Bill.” Volle dire Gustav, sapendo esattamente dove volesse andare a parare con quelle sue parole neanche un poco casuali “Non sai come si è ridotto quando lei lo ha lasciato. Ne eravamo rimasti tutti molto sorpresi. Personalmente, allora, avevo appena iniziato a pensare che quei due sarebbero stati una di quelle coppie da incorniciare.” E mimò l’idea con le mani “Intendo dire il tipo di relazioni che sembrano destinate a durare per l’eternità e che, pur col passare del tempo, non smettono di avere la stessa intensità. Ero seriamente convinto che Lyric ci sarebbe sempre stata accanto a Bill e che quindi lo sarebbe stata anche nella vita mia, di Georg e di Tom. Peccato che sia andata diversamente.”

Diane annuì “Sotto un certo punto di vista anche io avrei voluto che Lyric fosse rimasta in Germania ma diversamente io non l’avrei mai conosciuta quindi, in parte, sono felice per come siano andati gli eventi. Purtroppo mi sono accorta ben presto che Lyric era turbata da qualcosa.” Ripensò a tutte le volte che l’aveva vista silenziosa, in disparte, mentre si affogava dentro a pensieri e sentimenti che ne lei, ne Kathleyn, avevano possibilità di raggiungere o il permesso di toccare.

Ripensò a quanto fosse stato difficile per Lyric vivere tre lunghi anni con la consapevolezza che la felicità non era mai completa, sempre mancante, rovinata da vuoti incolmabili. E dopo aver scoperto cosa si celasse dietro allo sguardo assorto e distante della sua cara amica Diane aveva anche compreso che la salvezza di Lyric non c’entrava nulla con la risoluzione dei suoi problemi cardiaci.

“Allungo per me siete stati come una sorta di idea metafisica, quasi evanescenti…”

Per salvare Lyric c’era bisogno di qualcosa di più forte e fondamentale di un organo nuovo.

“Avevamo solo una vaga impressione che ci era data dai racconti di Alphonse ma anche se Lyric non parlava mai di voi sapevo, in cuor mio, il valore che avevate per lei. Poi ho scoperto che esisteva Bill e quando lei ce ne parlò, con ritrosia ti confido, dal modo in cui pronunciò il suo nome seppi che ciò che la turbava era lui. Per questo sono qui.”

Ci fu una pausa prima che Gustav ricominciasse il discorso con una domanda.

“Ora invece riesce a parlare di noi?”

Diane serrò impercettibilmente la stretta delle dita incrociate che aveva sul proprio grembo.

“E poi, qualche volta, la sua capacità di intuire può risultare minacciosa ma non c’è da preoccuparsi. Gustav è buono.”

 “Sì, ultimamente parlare di voi non le crea più tanti problemi.” Diane aveva giurato a se stessa che per quanto avesse potuto avrebbe sempre detto la verità quindi per il momento si permetteva di parlare di certi argomenti personali.

Poi le risultava spontaneo essere aperta con Gustav poiché Lyric le aveva dato l’impressione di avere un’opinione assolutamente positiva nei riguardi di quel giovane uomo.

“Pensando che un anno fa era assolutamente proibito anche solo accennare alla sua parentesi Germania la situazione è davvero cambiata. Lei ovviamente non ha nessuna intenzione di fare veramente qualcosa per recuperare i contatti con Bill. E’ l’ultimo dei suoi propositi.” 

Gustav se ne restò tra le sue per un minuto buono prima di concedersi di dirle “Mi ricorda qualcuno.”

“Come?”

“Il comportamento di Lyric mi ricorda un po’ quello tenuto da Bill negli ultimi tre anni.” Si spiegò Gustav osservando come le sue parole avessero catalizzato l’attenzione della sua interlocutrice “Da quando si sono lasciati era saltata fuori la regola non detta di mantenere il più totale silenzio su di lei e tutto ciò che ne concerneva. Invece, ultimamente, parlare di Lyric non crea più tanti problemi neanche a lui.”

Due cose furono sottolineate e furono subito carpite da Diane: primo, sembrava che anche Bill avesse passato, per chissà quale ragione, tempo su tempo a rilegare la memoria di lei in qualche luogo che non potesse scalfirlo e di aver imposto questa sua scelta anche ai suoi amici.

Esattamente come aveva fatto Lyric.

Secondo, e ben più rilevante, anche Bill sembrava ad aver ceduto alla forza di qualcosa che non poteva essere cancellato con il solo sostegno di tanta, ingenua, volontà umana.

Quel Bill forse, come Lyric, non riusciva a stare bene senza l’altro. 

Il raggiungimento di una tale conclusione la rese enormemente sollevata ma allo stesso tempo portò in superficie il senso di colpa che aleggiava, invisibile, nella sua coscienza da quando aveva pianificato tutto “E se poi soffrisse?”  

Si vergognò dell’egoismo delle sue intenzioni.

Gustav assistette ai vari passaggi d’espressione che scorsero sui suoi tratti: la vide irrigidirsi e sbiancare tutto d’un colpo, gli occhi che si sgranavano e divenivano lucidi, mentre una sorta di imbarazzo si stagliava lungo i suoi lineamenti. Per qualche motivo era scioccata.

E Gustav le diede ovviamente tempo di riflettere.

Se da una parte Diane aveva tratto le sue somme anche lui aveva fatto lo stesso ed era ugualmente giunto alle medesime risposte. Il fatto che queste portassero a degli effetti positivi per tutti non ne era certo ma Gustav voleva essere ottimista.

Non sapendo tutte le implicazioni della situazione aveva una sola idea di come sarebbe andata a finire. Era solo questione di poche parole e per lui si sarebbe risolto tutto per il meglio.

“Davvero?” gli domandò Diane dopo alcuni minuti con una vocina atona.

Gustav sbatté piano le ciglia, ponderando su questa reazione così intensa prima di risponderle con un discreto assenso del capo. Gli occhi scuri di Diane si spalancarono ancora di più mentre il pallore sulle sue gote lasciava il posto ad una vampata cremisi.

“Tutto bene?” si volle assicurare ma in risposta ricevette solo un’occhiata sconvolta.

Fu comprensivo.

“Prenditi pure tutto il tempo che vuoi, Diane.” Le disse vedendola ritornare nelle sue silenziose ponderazioni “Non è facile per nessuno di noi due questa conversazione, poiché è la prima volta che ci parliamo e soprattutto perché stiamo affrontando fatti complicati che non ci riguardano, sotto un certo punto di vista, direttamente.”

Gustav emanava un tale senso di calma e assennatezza che Diane capì per qualche ragione Lyric lo avesse definito una persona degna di fiducia.

“Le persone gentili in maniera disinteressata sono davvero poche, Gustav è una di queste.”  

“Ma in ogni caso, pur con tutte le difficoltà che abbiamo, infondo ci troviamo qui perché vogliamo aiutare i nostri due amici. Non è così?” terminò lui invitandola ad essere più distesa.  

A Diane venne quasi da piangere per quanto si sentisse sollevata di aver trovato qualcuno disposto a darle una mano.

“Pensavo di dover passare molto tempo a tirarti fuori delle informazioni decenti e di dover impiegare altrettanto tempo per spiegarti cosa volessi. Vedo però che, forse, avresti voglia di darmi una mano.”

“Sono felice di averti agevolato le cose e sono felice anche per il fatto che io stesso non abbia reso le cose complicate più del necessario. Allora, credo che tu voglia chiedermi di parlare con Bill.”

“Sì, esatto. Vorrei che mi aiutassi a parlare con Bill, oggi stesso, appena arriverà in albergo.”

Le sorrise in quel modo a cui solo Gustav Schäfer riusciva possibile, con quel miscuglio di tranquilla e brillante affabilità che solo quel ragazzo possedeva “Dopo aver piastrato i capelli di Georg e sollevato Tom in mutande perché troppo ubriaco per reggersi in piedi credo di poter fare tutto ormai. Credo che questo si dimostrerà un favore abbastanza semplice.”

“Vorrei che mi presentassi e che facessi da mediatore tra noi, nel caso possa esprimermi male o che lui si agiti per un mio eventuale errore d’espressione.” Precisò Diane.

“D’accordo, anche questo è fattibile.”

Lei annuì nuovamente e proseguì “Vorrei che poi lo mantenessi calmo, perché io non ho idea di come tenerlo buono quando gli proporrò di andare ad incontrare Lyric…”

“Questa credo che sarà la parte più facile. Lui non vede l’ora di rivederla. Più che altro sarà lei a dover essere tenuta calma, mi pare di capire che Lyric non sappia niente di questo tuo piano.”

“Invece penso che dovrai, o dovrete, tenerlo veramente tranquillo perché, il problema più grande non è il fatto che Lyric non sa nulla di questo nostro incontro, il problema è che ho i miei dubbi riguardo al fatto che scoprire che lei è qui, adesso, possa essere una notizia semplice da digerire per Bill.”

Gustav aprì leggermente la bocca “Lyric è a Milano in questo momento?” domandò sbigottito.  

Diane annuì “Sì, lei è qui a Milano.”

Il giovane restò in silenzio, abbastanza preoccupato per ciò che gli era stato appena rivelato.

“Hai ragione effettivamente ho dei dubbi anch’io sul mantenimento della calma di Bil.” sospirò “Effettivamente mi, anzi, ci hai appena messo tutti quanti in una situazione contorta. E Lyric non sa che tu glielo vuoi far incontrare oggi, non è così?”

“Sì. È così.”

“E come pensi reagirà lei appena verrà a saperlo? Pensi che resterà calma?”

“No, per niente.” Diane deglutì saliva “Penso che andrà nel panico più totale e non ho idea di ciò che farà pur di non vederlo quindi c’è anche da combattere contro il fattore tempo. Kat cercherà di tenerla buona il più allungo possibile ma con la sua ostinazione potrebbe decidere di prendere il primo volo per chissà dove piuttosto che incontrare Bill.”

Gustav emise un verso meditabondo “Abbiamo degli amici davvero difficili.”

“Mi dispiace.” Si scusò lei sapendo perfettamente di quante difficoltà avesse appena creato.

“Di che? Se non fossi arrivata tu in qualche modo quei tre me l’avrebbero resa ugualmente stressante. Forse addirittura peggio. No, non devi scusarti, al massimo sono io a dovermi scusare con te. Non so se ti sarò utile in qualche maniera e mi dispiacerebbe deludere le aspettative.”

“Affatto. Le hai rispettate tutte appena hai accettato di ascoltarmi.”

Gustav le sorrise gentile e con un’occhiata veloce controllò l’ora dal suo cellulare “Dovrebbero arrivare a momenti. Vado ad intercettarli nella Hall dell’albergo. Tu puoi restare qui intanto.”

Il giovane si alzò dal divano “Sono certo che, in qualche modo, andrà tutto bene.” La rassicurò prima di andarsene.

“Grazie.” Fu la risposta di Diane e per la prima volta si concesse un vero, e spontaneo, sorriso.

Gustav dopo di che uscì dalla propria suite.

Una volta fuori prese a passarsi un paio di volte le mani sulla faccia, stanchissimo.

“Perfetto, tutto questo non aiuterà per niente il mio mal di schiena.” Commentò tra sé mentre si incamminava verso l’ascensore.

 

****

Lyric.

 

“ Si rincorrono: i secondi.

I minuti.

Le ore.

I giorni.

Le settimane.

I mesi.

Gli anni.

Si inseguono.

Come noi due.”

 

 

****

 

C’era silenzio.

Ovattato e greve colmava ogni angolo della stanza.

E in quel silenzio Lyric si risvegliò dal sonno cieco e muto a cui si era lasciata andare la notte precedente.

Appena tornò a vedere il suo sguardo si imbatté nella luce estremamente intensa del sole, che vibrava, quasi, contro le tende delle finestre. Il bianco del tessuto era così reso ancor più luminoso, di un immacolato accecante, ed ipnotizzava l’attenzione col suo gioco di colore e ombra. Oltre a quel velo di luce e fili di stoffa si poteva cogliere il mondo, con i rumori di Milano che tentavano di entrare nello spazio circoscritto della camera.  

Fortunatamente per lei il silenzio dominava tiranno.

Azzittiva con autoritarismo ogni suono, rendendo meno traumatico il suo ritornare cosciente, persino i suoi stessi respiri una volta emanati venivano prontamente inghiottiti, così che quello stato di immobilità sonora permanesse.

Era meno doloroso svegliarsi in quella inerzia acustica che il silenzio tesseva.

Ciò le permise di immaginare, per qualche lungo minuto, che il tempo le avesse dato retta e si fosse arrestato; le concesse l’illusione di non sentire niente di quello che torturava il suo spirito.

Quel palliativo psicologico però durò appena il tempo di voltarsi verso l’altra metà della stanza.

Una volta che si fu lasciata alle spalle la luce e il mondo al di là della finestra non ci furono possibilità di trattenere l’avanzata del buio. Con la vista rivolta verso la penombra della camera il silenzio assunse un ruolo diverso e la sua tirannia si trasformò in servilismo.

Richiuse i suoni dell’esterno esso aprì le porte alle voci della sua interiorità.

E se nel blackout totale a cui si era aggrappata, una volta addormentatosi, aveva trovato un minimo di sollievo, di fronte alla coscienza accesa e viva del risveglio Lyric venne investita nuovamente dal supplizio dei ricordi.

 

“ Mein Herz kämpft
Gegen mich
Wie'n Alien in mir

Ich steh auf
Dreh mich um

Alles Blutverschmiert

Ich schau in den Spiegel
Und da steht geschrieben…“

 

Lyric si rannicchiò su se stessa, in una posizione quasi fetale, abbracciandosi come poteva il ventre mentre i suoi occhi si nascondevano, serrandosi. Il vuoto ricominciò a pulsare, aritmico, come un cuore sul punto del collasso e sentì di nuovo tutta la vulnerabilità di cui era fatta. Minuscola, sciocca e così fragile.

Ecco come si sentì in quel preciso istante, come brina fredda o sabbia fine, destinata a sgretolarsi prima ancora di poter essere toccata. Non aveva mai desiderato come in quel momento di venire inghiottita dalla terra o di sparire per magia in una nuvola di scintille.

Voleva Dissolversi. Sparire.

Purtroppo, come cantava Bill tra i suoi pensieri, il suo stesso cuore combatteva contro di lei. Come un Alieno.

Se Lyric avesse dovuto descriverlo non ci sarebbero state parole più adatte di quelle della canzone: “Era tutto coperto dal sangue.”  

Già, ogni cosa grondava di sangue. Tutte le paure, tutti i dolori, tutte le perdite.

Scorrevano come acqua e venivano tinteggiate di rosso cupo.

Era davvero il risveglio peggiore degli ultimi tre anni. Comparabile solo con la mattina in cui era tornata a Boston.

Lyric si raggomitolò ancora di più, affondando sotto le coperte avviluppate attorno al suo corpo. Sentiva il peso di macigni di granito trascinarla affondo, da qualche parte, nel suo abisso personale.

 

“Ich bin krank
Ohne dich
Hab schon jedes Gift
Versucht
Und jetzt lass
Ich mich los
Leg mich auf die Glut
Und schau in den Himmel

Und hör deine Stimme…”


E lui continuò a cantare in maniera vivida come se il concerto non fosse ancora passato.

Bill era proprio accanto al suo orecchio e le stava sussurrando con tanta malinconia “Ed ora mi lascio andare. Mi sdraio nel calore. E guardo in cielo. E sento la tua voce…”  

Era sempre stato bravo a scrivere canzoni in grado di entrare nella pelle delle persone e quelle trovavano nelle sue parole qualcosa di se stessi. Lyric pensava che una parte del successo dei Tokio Hotel dipendesse da questo.

La gente nei loro testi poteva percepire una traccia di sé, poiché identificavano i loro sentimenti in quelle incisive frasi, come se Bill avesse seguito le scie dei loro esseri e fosse stato capace di catturare l’invisibilità delle loro idee.

La canzone che risuonava nella sua testa in quel momento, Alien, l’aveva colpita molto la prima volta.

L’aveva percepita piena di una strana tristezza, così inusuale nel Bill che conosceva, e aveva subito distinto una specie di sconforto di sottofondo ma dalla sera prima “Alien” aveva assunto un ulteriore significato: era diventata una richiesta d’aiuto. E tutto ciò non aveva senso, perché Bill non avrebbe dovuto necessitare d’aiuto.

Lui doveva stare bene, doveva essere felice, doveva perché lei era venuta per constatare questo.

Allora come era possibile che in una semplice canzone, nella moltitudine di quelle eseguite, solo lei era riuscita a instillarle un dubbio tanto grande?

Non poteva crederci.

 

Hauch mir deine Liebe ein
Ich will endlich bei dir sein
Hauch mir neues Leben ein
Hörst du meine Seele
Schrein?...”
 

 

Lyric rivide il momento in cui i loro occhi si erano incontrati casualmente, quando le luci di tutto il palasport erano state accese per creare un particolare attimo di collettività in cui Band e pubblico potessero vedersi reciprocamente senza trucchi ne inganni.

Bill aveva proseguito a cantare dopo aver fatto passare tre minuti buoni d’attesa, in cui solo la musica e le grida l’avevano fatta da padroni. Si era messo ad osservare il pubblico, un lato per volta, scatenando grida ed isterismo poiché il suo volto concentrato sulle fan era ripreso dalla serie di schermi giganti disseminati per il palco.

Nel frattempo aveva fatto un passo dopo l’altro verso la punta più lontana della passerella centrale, con lentezza e soppesando ogni movimento in una camminata degna di una divinità scesa a toccare la povera terra mortale.

Fu ipnotico, nel modo che solo lui possedeva.

“Soffia in me il tuo amore. Voglio stare finalmente con te.” Aveva detto suadente contro il microfono.

Aveva incatenato il pubblico con poco sforzo.

Lyric allora si era mossa, senza neanche accorgersene, verso di lui.

Si era fatta spazio con una certa forza per superare il muro di gente la separava dalla linea estrema del palco. Molte ragazze, distratte come erano a guardare quei quattro o concentrate a non perdere ogni più piccolo gesto di Bill, la lasciarono passare senza che si opponessero troppo ma anche se non glielo avessero concesso Lyric sarebbe andata avanti in ogni caso.

Si era avvicinata talmente tanto d’avere la passerella a solo una persona di distanza.

Qualcuno dietro alla sua schiena l’aveva chiamata ma tra le urla delle fan quei richiami si perdettero come echi in una voragine e lei non ne udì neanche uno. Non c’era spazio per nient’altro in lei che la devastante ed assoluta certezza che lui era là davanti. L’aria stessa si era contratta, impazzita, tra le pareti dei polmoni.

Bill era stato così vicino che se solo avesse voluto, in quell’attimo, avrebbe potuto sporgersi, saltare, attirare l’attenzione in qualche maniera e lui l’avrebbe vista.

Sarebbe bastato sporgersi appena un poco per toccarsi, davvero.

“Così soffia in me una nuova vita. Senti la mia anima gridare?”

E il suo Io si scisse in due parti: Egoismo e Ragione.  

“Sì!”  il battito del suo petto era impegnato in una furiosa corsa “VAI DA LUI! VAI DA BILL!!”  e a quell’ordine imperioso e disperato Lyric aveva risposto allungando il braccio fino ad afferrare la balaustra metallica di una transenna, i piedi già pronti ad issarsi sulla base di quella struttura e il corpo preparato a gettarsi, letteralmente, oltre la divisoria. Nella sua mente passò la veloce analisi di come avrebbe superato i bodyguard e la sicurezza intera e si propagò in lei come un fuoco una determinazione accecante, tale che, se avesse deciso di compiere davvero quel gesto, l’avrebbe portata ad ottenere la vittoria ambita.

Per Bill aveva già fatto cose oltre le umane possibilità e il limite di solo qualche decina di persone addestrate a dividerli le era parsa una sciocchezzuola da niente, una specie di gioco da bambini.

Ma prima di poter iniziare quell’azione masochista  i suoi occhi, che mai si erano allontanati da lui, vennero scossi da un evento straordinario. Per caso, per fato, per Dio, per qualsiasi ragione plausibile o impossibile esistente Bill, in un fremito breve del tempo, l’aveva guardata.

L’aveva vista.

La promessa fattale il giorno della loro separazione prese forma concreta e reale.

E i palazzi di sabbia ed aria che aveva diligentemente costruito per tre anni non ebbero più ragione di essere ed esistere. Erano diventati talmente stupidi alla luce di quella nuova coscienza che Lyric aveva sentito una presa soffocante artigliarsi tra le sue costole. Bill aveva poi distolto lo sguardo e aveva proseguito a cantare, il volto rivolto da un’altra parte. Era già tutto finito? Si era chiesta.

“NON ANCORA!”  ritornò a gridare l’Egoismo.

E comandata dalla follia di un sentimento, che allungo aveva tentato di ammansire o di far tacere, Lyric aveva portato i piedi ad incastrarsi in una fessura aperta e disponibile della transenna. Aveva visualizzato se stessa che si lanciava in avanti, usando la balaustra come appoggio, in un salto degno di un’atleta.

Ci sarebbe riuscita e ogni cosa avrebbe smesso di essere così stupidamente insensata.

Ma la Ragione in lei era forte, era potente e conosceva i pericoli di lasciare a briglie sciolte la sua parte egoista.

La sua Ragione la riportò indietro parlandole dell’unica cosa al mondo più forte del desiderio di amare.

“Non puoi…”  diversamente dall’Egoismo lei parlò con estrema calma, senza gridare, e la mestizia del suo tono la colpirono con estrema durezza “Non puoi permettertelo. Devi resistere. Ricordati la promessa che ti sei fatta.”

Lyric si era quindi bloccata e con la stessa velocità di qualche secondo prima era scesa dalla transenna.

Si era poi girata, voltando le spalle al palco, e si era ritrovata i volti di Diane e Kat che la fissavano in un misto tra spavento e preoccupazione.

“La promessa...” Disse nel fragore delle grida.

 

“Weck mich auf aus deinem Traum

Alien sucht Liebe

Lass mich los, lass mich hier raus

Alien sucht Liebe

Deine Liebe….”

 

Lyric si accorse che la federa del suo cuscino si stava bagnando, inspiegabilmente, sotto alla sua guancia.

“Svegliami da questo sogno. L’alieno cerca l’amore. Lasciami andare. Lasciami uscire da qui. L’alieno cerca l’amore.”

Si aggrappò alle coperte con tale veemenza che quasi avrebbe potuto strapparle e prima che il suo grido potesse uscirle dalle labbra annegò il proprio viso nel materasso.

“Il tuo amore.”

“No, no,no…” Lamentò stridula mentre cercava di soffocare le parole prima che potesse udirle.

Dietro alla porta della sua stanza, acquattata vicino agli stipiti, Kathleyn restava ad ascoltare quella scena con tutta l’impotenza di chi non poteva fare molto. Sarebbe andata da lei tra qualche minuto, appena la parte acuta di quella crisi fosse passata, perché la conosceva molto bene e sapeva quando avrebbe voluto la sua presenza.

Attanagliò il suo black-berry tra le dita della mano “Presto Diane.”

 

****

Bill.

 

“Non ho mai vinto, neanche per un momento.

Tu persistevi a restare lì, in silenzio.

Ricordandomi che quel vuoto ti apparteneva.

E tu? Sei mai riuscita a far tacere quell’abisso che gridava così forte?”

 

****

 

Il paesaggio fuori dalla finestra si lasciava vezzeggiare beato dall’abbraccio del sole mentre il vento soffiava contro le lunghe tende immacolate, intrattenendole in una danza. Nella quiete di quell’estate non poteva che sentirsi in pace, era così gradevole quella sensazione che lo coccolava.

Era dolce ma allo stesso tempo penetrante, esattamente come i baci che si erano scambiati l’altro giorno, sotto la leggera pioggia estiva. Era confortante e famigliare come le risate che nascevano durante i loro discorsi e il sorriso che lei gli riservava ogni volta che si vedevano. Era intimo e toccante come i momenti in cui loro erano assieme, oltre che con l’amore dello spirito, anche nel corpo.

Bill smise di restarsene incantato ad osservare la distesa dei tetti e tornò a guardare Lyric. Da qualche minuto aveva smesso di suonare e lo stava fissando con una strana indecisione negli occhi.

Si trovavano nell’enorme attico della villetta a tre piani in cui Lyric e sua zia Freia vivevano, in uno dei quartieri più agiati di Ambguro, adibito a stanza degli svaghi e del rilassamento.

Bill era adagiato sopra all’ampio davanzale di legno della finestra, in mezzo a dei soffici cuscini, con la schiena appoggiata ad una colonna di marmo mentre Lyric era seduta di fronte al lucido pianoforte a coda che zio Victor le aveva regalato per lo scorso compleanno.

“Che cosa c’è? Perché ti sei fermata?”  domandò lui vedendola bloccata con quell’espressione di dubbio.

“Ti stai annoiando per caso?”  fu la sua replica e Bill per poco non si mise a ridere per come avesse mal celato, con quella frase, la piccola preoccupazione che aveva avuto.

“Tantissimo.”  Le disse ma il tono tradiva l’ironia della sua riposta “Mi stavo giusto addormentando, questi cuscini sono talmente comodi che ti invogliano il sonno.”

Lyric roteò gli occhi senza però evitare di mostrare il suo sollievo “Non prendermi in giro. Volevo solo una conferma della tua attenzione, sembravi talmente concentrato per i fatti tuoi mentre fissavi fuori dalla finestra. Mi chiedevo se non ti stessi annoiando con la musica che sto suonando e se forse non ti andava di fare qualcos’altro. Tutto qui.”

“Tutto qui, certo, è perfettamente normale lasciarsi andare ad una tale concentrazione di seghe mentali in appena due minuti.”  Bill venne colpito da un’occhiata affilata e fintamente oltraggiata, il che non poté che aumentare l’allegria che stava provando. Non sarebbe mai riuscito ad evitare di stuzzicarla.

Era talmente naturale il modo in cui si affrontavano sempre, con quel connubio perfetto di sarcasmo ma anche di dolcezza, che Bill lo riteneva una componente del loro essere una coppia. Cercavano sempre di superare l’altro poiché erano due persone combattive, anche se in modi diversi, e poi dalla sua Bill aveva anche un pizzico d’orgoglio mentre a Lyric piaceva semplicemente avere la meglio su di lui.

“Paranoie, si dice paranoie mentali, non seghe. Quelle te le farai nei prossimi giorni da solo.”

“Eh? Ti ho fatto arrabbiare a tal punto?”

“Può darsi.”

“Tu sei folle.”

“No, sono semplicemente suscettibile alle tue reazioni.”

Bill rifletté qualche minuto su cosa nascondessero le sue parole, aveva ormai imparato che Lyric non parlava mai a vuoto o per caso, c’era sempre qualcosa dietro il sipario delle sue frasi. C’era sempre un mondo intero, persino, dietro il suo silenzio.

“Non mi stavo annoiando. Ero talmente…stavo talmente bene che è stato inevitabile perdermi in quella sensazione. Non stavo pensando a niente in particolare, te lo appena detto, ero troppo concentrato sul modo in cui riesci a farmi sentire così in pace per interessarmi a qualunque altra cosa.”

Lyric chiuse gli occhi e prese un bel respiro profondo, senza farsi scoprire però, ci teneva a sembrare assolutamente normale quando lui faceva certe dichiarazioni improvvisate. Erano molto spiazzanti anche se decisamente piacevoli ma lei ne rimaneva sempre un po’ scossa.

“Ok, d’accordo. Perdonato.” Gli concesse poco dopo.

Bill sprizzò di compiacimento. L’aveva spuntata lui questa volta! Si diede mentalmente dieci punti vittoria.

Ma Lyric fece presto la sua mossa e ribaltò la situazione. Riprese a suonare e le note che le sue dita composero contro i tasti bianchi catturarono l’attenzione di Bill ancora una volta.

Fu un’esecuzione rapida ma lo colpì molto. C’era un che di melanconico nella melodia che saltava immediatamente all’orecchio. Rendeva la musica piena di delicatezza e allo stesso tempo, però, energica. C’era anche passione e vitalità, che in certi tratti sorprendevano poiché si ritagliavano uno spazio nella dolcezza senza però ostacolarla o contrapporsi ad essa. Stranamente Bill sentì che c’era qualcosa di famigliare.

Una volta che finì di suonare Lyric si voltò verso di lui “L’ho scritta io qualche tempo fa.”  Disse con leggero imbarazzo “So che non è una grande opera d’arte ma non è totalmente un disastro, almeno lo spero.”

“Mi piace molto. È bella.”

“Grazie. È stata la prima volta che ho composto qualcosa di mia mano e suppongo che sarà anche l’ultima. Non penso di essere tagliata per questo tipo di cose, non ho di certo il talento di Tom o di David.”

“Sciocchezze. Come mai non me l’hai fatta ascoltare subito? Avevi paura che la giudicassi brutta?”

Lyric scosse il capo “No, non temevo il tuo giudizio. Ci ho messo tanto perché non sapevo se rivelarti o meno che questa melodia me l’avevi ispirata tu. Ho pensato di essere troppo sdolcinata.”

“È per me?”

“Sì.” E gli concesse uno dei quei sorrisi furbi e soddisfatti da Alysei  “È ciò che provo anche se non sono riuscita a tradurre tutto completamente in note.”  Si alzò dallo sgabellino“Ma per quello che vale credo che il pezzo sia sufficiente per esprimere, almeno un poco, ciò che sento. A volte finisce per sfinirmi, quasi, e devo farlo uscire in qualche maniera. In quell’occasione il pianoforte mi ha aiutato.”

Si sedette di fronte a lui, togliendosi le scarpe, ed appoggiando i piedi sul legno di quercia del davanzale. Gli prese la mano e incominciò a giocherellare con le loro dita.

“Allora? Cosa hai da dire?”

Bill rise per allentare la stretta ai polmoni e guardò le loro mani unite “Scacco matto?”

“Naa, siamo pari, come al solito ma un giorno accadrà che saprò sorprenderti veramente. Un giorno l’ultima parola sarà la mia.”  

A Bill piacque la sfida appena lanciata “Vedremo. Sono un tipo che combatte, lo sai. Ma di una cosa sono molto certo. Alla fine accetteremo di essere entrambi degli sconfitti.”

“Finché non mi lascerai sola mi andrà bene anche perdere. Non mi importa poi molto.”

“Ora sì che sei sdolcinata, Lyric.”

“Oh, stai zitto!”

E prima che se ne potesse rendere conto Bill si era già allontano da quel ricordo, riportato alla realtà dalla voce di Tom che gli chiedeva qualcosa riguardo ai programmi di quella sera. Sospirò una volta di più rendendosi conto di avere di nuovo fatto qualcosa contro la propria salute. Era davvero frustrante.

“Scusa, mi sono distratto. Dicevi?”

Tom non diede a vedere che aveva notato l’andamento depresso in cui il fratello stava di nuovo scivolando “Vi stavo chiedendo se per voi andrebbe bene mangiare fuori questa sera. In un ristorante o una pizzeria, comunque fuori dalle mura dall’albergo. Ho voglia di stare all’aria aperta per un po’.”

Bill non voleva stroncarlo sul nascere ma non ci teneva neanche ad illuderlo “Tom ti rendi conto che potremmo essere inseguiti dai fotografi se uscissimo dall’hotel?”

“Qui in Italia i giornalisti e i paparazzi non ci assediano come in Germania o in Francia.” Provò ad argomentare ma Bill lo confutò senza particolare pietà “C’è comunque una possibilità che accada e non ho proprio voglia di essere inseguito dai flash delle macchine fotografiche e poi con così poco preavviso David non sarà mai d’accordo. E nella remota possibilità che ci dia il permesso i nostri body-guard sarebbero sempre con noi, il che per il tuo desiderio di libertà temporanea non è di certo l’ideale. È più semplice restarcene buoni dentro al Bulgari.”

“Georg?” cercò un esile appoggio dall’amico, seduto nel sedile di fronte, ma non lo ottenne.

“Mi dispiace Tom ma ha ragione Bill. Lo sai bene quanto noi che non possiamo permetterci certi lussi.”

Tom demorse “D’accordo. Due a uno, non propongo più niente.”

Bill gli diede un piccolo pugnetto contro la spalla “Dai, Tomi, non fa niente.”

Ovviamente Bill aveva capito perché, pur sapendo l’improbabilità della sua idea, Tom avesse fatto quel suggerimento.

Il fratello reagì alle sue parole con un mezzo accenno di un sorriso.

Georg allentò l’atmosfera con una battuta “Se hai tanta voglia di aria, Tom, potremmo andare tutti sul tetto dell’albergo a berci una birra e magari dopo potremmo rifare una versione rivisitata di Spring Nicht. Tu tenti di lanciarti nel vuoto ed io vengo a salvarti correndo in stile Bill.”

Naturalmente si era assicurato le loro risate “Se corri come fa Bill finisce che quando arrivi sono già spalmato al suolo come una frittata.”

“Stai per caso dicendo che corro come una lumaca?”

“Bè questo è ovvio. Se ti ricordi nel video Bill non era riuscito a salvare l’altro se stesso, si era bloccato alla terza rampa di scale. Ti assicuro comunque che ci metterei la stessa disperazione nel tentare di sottrarti al tuo triste destino.”

“Ehi! Perché anche tu stai insinuando che non sono capace di correre velocemente?”

“Che cazzo me ne faccio della tua teatralità se alla fine mi schianto contro l’asfalto? Sarei già morto.”

“Bè sapresti che ti ho voluto così bene da piantarmi in faccia quell’espressione melodrammatica.”

“Idioti.” Georg e Tom si guardarono complici mentre Bill faceva finta di prendersela perché lo avevano ignorato fino a quel momento.

La cosa bella dell’essere amici da così tanto tempo era che non esistevano più i momenti di disagio e che per quanto uno di loro stesse male gli altri tre trovavano il modo di dargli una mano, che riguardasse strappargli un sorriso o distrarlo dalle sue preoccupazioni. Era il bello di quella loro strampalata famiglia.

“Allora? Che facciamo per sta sera?” domandò Tom.

“Birretta da Gustav.” Rispose Georg “Credo che si meriti di avere la stanza devastata per il fatto di aver lasciato il lavoro in anticipo. Le ore di sonno che ha ottenuto ci devono essere ripagate.”

“Perfetto. A che ora ci presentiamo da lui?”

“Io e te potremmo andare verso le dieci mentre Georg ci raggiungerà quando avrà finito.”

Georg apprezzò molto il tatto che Bill dimostrò in quel momento. A volte non era sempre così scontato che Bill riuscisse a scorgere i bisogni altrui, solitamente era molto concentrato sui propri.

Tom capì soltanto dopo qualche minuto “Appuntamento su Skype con Lena?”

Georg annuì “Le ho promesso che oggi sarei riuscito a parlarle.”

“Bè allora salutami la piccoletta.”

“Lo farò Tom.”

“Ah! Oh!” Bill agitò una mano “Georg! Devi ricordare ad Helena che mi ha promesso una gigantesca torta al cioccolato bianco ricoperta di panna, appena fossimo tornati in Germania. La prossima settimana abbiamo una piccola pausa nel week-end quindi faglielo presente.”

“Agli ordini.”

“Che sciocco che sei Bill. Ti pare che Georg avrà il tempo di dirglielo?”

Il gemello lo guardò perplesso “E perché no?”

“Perché ovviamente saranno impegnati a fare sesso virtuale!”

La risposta fece ammutolire sia Bill che Georg ma si ripresero in fretta.

Il fratello schioccò la lingua “A volte ti dimostri esattamente come vuoi apparire al pubblico: una vera testa di cazzo.”

“Concordo con Bill.” Georg iniziò a ridere. Era eccezionale il modo in cui Tom riusciva a fare figure tanto comiche in modo tanto naturale, aveva proprio del talento in quel campo.

“Ma che vuoi? È più che normale che facciano queste cose! Perché non ammetterlo?”

“Tom, a parte che sarebbero fatti miei, tu sei decisamente privo di tatto.”

“Non c’entra il tatto. Lui è semplicemente sprovvisto di un cervello.”

“Ah-ah” fece Tom secco “Siete davvero divertenti. Mi sto ribaltando dalle risate. Invece di lamentarvi dovreste apprezzare la mia meravigliosa sincerità.”

Georg intanto continuava a ridere, quella sera avrebbe dovuto raccontare alla fidanzata tutte le stupidaggini che erano uscite dalle loro bocche quel giorno. Helena avrebbe di sicuro apprezzato, infondo era stata lei a dire che erano meglio di qualunque sit-com fosse stata mai inventata, in loro la realtà superava davvero l’immaginazione.

Finalmente la macchina parcheggiò di fronte all’entrata del Bulgari.

Ora avrebbero avuto la possibilità di rintanarsi in un luogo in cui essere se stessi e non solo degli artisti idolatrati, il fatto che tale situazione era possibile solo tra le mura di un albergo era un poco deprimente ma infondo non potevano lamentarsi più di tanto.

Era la vita che si erano scelti e ogni giorno erano consapevoli del prezzo da pagare per una simile esistenza.

Georg guardò l’orologio: era sicuramente ancora al lavoro, indaffarata come al solito tra pentole e fornelli per soddisfare i clienti che frequentavano la pasticceria in cui era dipendente. Avrebbe avuto il tempo di dormire qualche ora e di prepararsi al loro rand-de-vous in webcam.

Da quando Helena Schneider era entrata nella sua vita e si era straordinariamente reso conto che era la persona adatta per lui Georg non se la passava per niente male, anzi, lo stress del lavoro era molto più sopportabile ora che aveva trovato un modo per restare attaccato alla normalità. Scendendo dalla macchina e incamminandosi all’interno dell’hotel Georg osservò la schiena di Bill pensando a come dovesse sentirsi.

“È ovvio che ti manchi, tu sei innamorato di lei quindi è naturale che ti manchi.”  A suo tempo, quando aveva avuto quella crisi con Lena, Bill l’aveva fatto riflettere molto con quelle parole “Ed è ovvio che lei abbia avuto molta paura di quello che vi state costruendo. Si è spaventata perché ha capito che non è semplice avere una relazione con te, a parte le ovvie ragioni, sei decisamente un ragazzo non poco normale e non poco semplice con cui trattare, Georg.”  

Lo aveva piacevolmente sorpreso in quell’occasione, soprattutto perché non era abitudine di Bill fare la parte del mentore “Ma questa mancanza presto o tardi ti piegherà in due e tu sarai costretto ad ammettere che non puoi avere tante pretese quando c’è di mezzo l’amore. Sì, lo so, è una frase fatta ma è abbastanza veritiera. Devi fare dei compressi e devi farli capire anche ad Helena. Inoltre non sei per niente il tipo da rinunciare a qualcosa di importante, come me. È una della poche cose che abbiamo in comune. Smettila di fare il deficiente e tira fuori le palle.”

La cosa straordinaria fu che Bill ebbe un ruolo piuttosto determinante sull’andamento dei fatti di quel periodo. Bill non solo si era preso il diritto di rimproverarlo ma aveva fatto anche un discorsetto ad Helena stessa, pochi giorni prima che lui e lei si riappacificassero, il che aveva influito parecchio su come erano andate poi le cose.

Per stessa ammissione di Lena.

Alla luce dei fatti attuali Georg aveva compreso perché Bill avesse deciso di intervenire in maniera così decisa, quando in altre situazioni si sarebbe limitato per rispetto. La verità era che anche allora la mancanza che Bill aveva di Lyric era palese e di fronte alla scena dei suoi problemi, in cui aveva di certo visto delle similitudini, si era sentito in dovere di fare qualcosa. Almeno per Georg era stato possibile risolvere in meglio le difficoltà che si erano presentate.

Georg si avvicinò a Bill appena furono nella Hall del Bulgari e gli diede un paio di pacche sulla spalla sinistra.

“Che c’è?”.

“Vedrai che si risolverà per il meglio anche per te quindi cerca di non strapazzarti troppo con la tua vena depressiva, ok? Infondo non sei per niente il tipo da rinunciare a qualcosa di importante, come me.”

Bill rise dolcemente mentre si toglieva gli occhiali da sole “Mi sembra già di averle sentite queste parole, mi sbaglio?”

“Può darsi, credo che le avesse dette qualcuno di nostra conoscenza in grado di molta saggezza, a volte.”

“Già, qualche volta riesce ad essere intelligente anche lui. Grazie Georg.”

L’amico non risposte perché non ce ne era necessità. Tom intanto era tornato con le chiavi magnetiche delle loro stanze e le consegnò ai rispettivi proprietari. Si incamminarono verso gli ascensori parlottando con più leggerezza di prima dei progetti della serata. Proprio mentre discutevano su quale film guardare sulla tv-on-demand da dietro le porte dell’ascensore che stavano aspettando si materializzò Gustav.

Fu subito chiaro a tutti e tre che doveva essere successo qualcosa per via della sua faccia piena di gravità.

“Ciao.” Fu il saluto cauto di Tom “Cos’è quell’espressione così nuvolosa? Ti fa ancora male la schiena? Vuoi che ti chiamiamo un dottore? Se sei incazzato con noi per qualche ragione mettiamo subito in chiaro che la colpa non è mia. Sono sicuro che siano stati o Georg o Bill.”

Georg gli mollò una gomitata al fianco e Bill altrettanto. Tom imprecò violentemente.

Gustav però non diede segno di rilassarsi, sospirò invece “Venite dentro, su.”  E fece loro spazio nell’abitacolo. Doveva essere qualcosa di veramente serio se non si era messo a ridere di fronte ad un’altra delle loro scenette esilaranti. Lo guardarono perplessi ma ubbidirono al comando. Iniziarono a salire.

“Che succede?” domandò Georg un po’ inquieto.

Gustav si passò una mano sulla faccia e poi si concentrò su Bill.

“Non saprei come dirtelo in maniera migliore e sinceramente al momento non mi viene in mente un modo più dolce per metterti al corrente della situazione, perciò te lo dirò senza tanti giri di parole. Perdonami fin da ora per la mia totale mancanza di riguardi, Bill. Se ne fossi in grado ti renderei tutto più semplice ma non so come.”

“Dirmi cosa?” non seppe perché ma dal modo in cui Gustav lo stava guardando Bill sentì uno strattone all’altezza dello stomaco, come se qualche parte di se stesso avesse già capito di cosa gli avrebbe parlato.

“C’è una persona che ti sta aspettando nella mia stanza.” Gustav gli fece cenno di rallentare i propri pensieri con le mani prima ancora che tentasse di aprire la bocca e parlare “Aspetta, aspetta non correre. Fammi finire.”

Bill strinse i denti e serrò la mascella, accanto a sé percepì Tom irrigidirsi come lui.

Georg invece se ne stava in silenzio, attendendo la rivelazione.

“Si chiama Diane ed è venuta qui a Milano soltanto per parlare con te. Vuole incontrarti perché ha delle cose importanti da dirti. È un’amica di Lyric.” Quando il suo nome venne pronunciato Bill ebbe un attimo di vertigini.  

Le porte dell’ascensore si aprirono nuovamente e Bill balzò al di là di queste, senza guardare nessuno, prese a mangiarsi i metri di corridoio che lo separavano dalla camera di Gustav.

“Perché è venuta da te?” urlò contro l’amico “Perché ha cercato te e non me?!”

Gustav lo trattenne per un braccio “Calmati!” gli ordinò “Ha cercato me perché voleva evitare che ti comportassi esattamente come stai facendo adesso. Bill, credimi, non otterrai niente se ti agiti.”

Bill non sembrò ascoltarlo, si riprese il braccio con uno strattone “Portami da lei!”

 

****

 

Pensare troppo non era mai stato nella sua natura e nemmeno riteneva che avere un atteggiamento assennato nei momenti di importanti le sarebbe mai appartenuto in qualche modo. Diane, come l’avevano spesso definita le persone che la conoscevano, era una creatura fatta per l’ottanta percento di istinto animale.

Naturalmente non in una accezione feroce o violenta ma in un senso lato che riguardava la sua capacità di mettere da parte il superfluo ed occuparsi solo delle cose veramente necessarie, proprio come un animale. Se con Gustav si era comportata con una parvenza di controllo e di discreta cautela, di fronte a Bill ogni buon proposito che aveva giurato di seguire alla lettera andò a farsi benedire nel giro di pochi minuti.

Che ragione c’era di essere logici o fiscali? Perché fare lunghi discorsi quando tutto ciò che voleva da lui era che muovesse le gambe e andasse da Lyric? Del fatto del cosa e del come si sarebbe dovuto comportare con lei sarebbero poi stati affari di Bill soltanto. A Diane interessava incastrare fisicamente quei dannati Romeo e Giulietta del nuovo millennio nello stesso luogo e pregare che i kami, o chi per loro, le facessero il piacere di sistemare l’intricata situazione che quei due avevano creato.

Le parole erano talmente superflue a volte e lei stava già facendo appello a tutte le sue energie per riuscire ad uscirne viva, tra breve sarebbe stramazzata a terra per la tensione, con una bella ulcera a corroderle l’intestino.

Quando venne aperta la porta della suite quattro paia di occhi la tranciarono da parte a parte tanto che Diane era stata quasi sul punto di balzare via dalla poltrona. Quegli sguardi la fecero sentire minuscola e piena di soggezione, come se avesse osato rivolgere parole troppo ardite per la pazienza dei quegli Youkai teutonici.

Georg Listing la osservava con una curiosità penetrante, dandole l’impressione di essere diventata il nuovo prototipo di macchina con motore ibrido per le corse automobilistiche, Tom Kaulitz traspariva invece dubbio e un’indefinibile sensazione di disappunto poco velato mentre Gustav le stava chiedendo di essere paziente con quella gentilezza di fondo che indugiava tra le sue iridi. Poté poi imbattersi nell’unico sguardo che contava veramente in quella stanza, quello della persona che stava facendo attendere la sua Lyric.

In un moto incontrollato, dal intimo di se stessa, venne in superficie una felicità scalpitante che brontolava impaziente perché voleva uscire dalla piccola stanza in cui era stata rilegata tanto allungo. Sorrise in maniera talmente raggiante che in confronto il sole d’Agosto avrebbe avuto paura di esserne offuscato. 

La gioia che provò per poco non la fecero ridere di se stessa. Che sciocca sentimentale.

Si sollevò dalla poltrona “Piacere, Bill.” E non cercò neanche di nascondere l’emozione che le dava poterlo chiamare per nome e stargli davanti in carne e ossa.

Chinò il capo ed esibì il suo solito, educato, saluto alla giapponese “Io sono Diane ed è da parecchio tempo che volevo vederti. Non sai quanto tempo mi è ci voluto per raccogliere il coraggio e venire qui da te. Ma decidere di contraddire una Alysei, per quanto questa sia la comprensione fatta a persona come Lyric, non è un atto che puoi intraprendere senza una buona dose di masochismo. Sicuramente finirà per non rivolgermi più la parola per il resto dei miei giorni ma è un prezzo accettabile. Un secondo di più senza che facessi niente per riportarti di fronte a lei e sarei implosa…” aveva iniziato a parlare a raffica, effetto estremo della sua felicità, e dovette subito prendere fiato.

In quella pausa Bill le si avvicinò in una manciata di passi, con il corpo che era in piena iper-attività metabolica e con tanto di sangue che scorreva da una parte all’altra dei suoi vasi sanguigni ad una pressione un tantino più alta della norma. Forse era lui quello che da lì a poco sarebbe imploso come una supernova o qualcosa di simile.

Non sapeva ancora niente di quella sconosciuta e non gli interessava in modo particolare, non era quello il momento di fare nuove conoscenze, sapeva solo una cosa fondamentale: Diane conosceva Lyric e aveva appena detto che era sua intenzione riportarlo di fronte a lei.

Era sufficiente, il resto era importante quanto una goccia d’acqua nel mare.

Gustav dietro le spalle dell’amico, con le braccia incrociate, si sentì sollevato. Alla fin fine non sarebbe servito il suo intervento nella conversazione, quei due erano talmente concentrati sulla meta comune che l’aiuto altrui sarebbe risultato non indispensabile.

Bill le fu davanti in tutta la sua improponibile altezza, coadiuvata da un paio di tacchi dei suoi stivali neri preferiti, e dall’alto di quei un metro e ottantotto e passa centimetri da lampione ambulante si abbassò e si mise quasi in ginocchio per giungere al metro e sessantacinque scarso della sua interlocutrice. E per quanto potesse essere un gesto azzardato, fuori luogo, totalmente insensato Bill l’abbracciò con la sensazione di gratitudine più grande da che ricordasse di aver memoria. Già sapeva di doverle un mucchio di riconoscenza da lì fino alla prossima vita.

Il corpicino minuto di Diane trasalì e l’ovale del suo viso si arrossò come una fragola matura ma non provò imbarazzo. Comprese la natura di quell’azione spontanea e non faticò a rispondere con la medesima delicatezza, accettando senza proteste quello strampalato ringraziamento.

Bill le si tolse di dosso e nel sciogliere il loro contatto le sue labbra si arcuarono in uno dei più incantevoli e luminosi sorrisi che Diane avesse mai visto nella sua vita. Ebbe la conferma che Lyric, in quanto a bellezza, si era decisamente trovato il migliore della specie. Cos’è che le aveva detto una volta?

“Bill è talmente bello da lasciare parecchio sconvolte la prima volta che te lo ritrovi davanti ma non gli ho mai dato la soddisfazione di sentirselo dire dalla mia bocca. Non ce ne era bisogno comunque, lui ne è sempre stato piuttosto convinto senza che lo dovessi confermare.”

“Grazie di aver deciso di venire qui. Mi hai appena fatto la sorpresa più bella degli ultimi anni, non hai idea di quanto sia grato della tua presenza. Allora, dimmi immediatamente ogni cosa.” Le ordinò quasi e Diane sentì nuovamente la voce di Lyric tra i suoi pensieri “E dietro a tutta quella bellezza c’è il caratterino di una prima donna sempre puntato verso un traguardo preciso. È talmente determinato ed instancabile che la sua forza di volontà supera di certo i limiti umani, inoltre è spesso puntiglioso e pretestuoso e non lascia mai vincere quando ha intenzione di prendersi tutto. Possono essere visti come difetti, questa testardaggine e questo egoismo competitivo, però a me piacevano molto. Credo di essermi innamorata proprio di questi suoi lati perché mi divertivano, era talmente sorprendente poi vederlo diventare dolce e mansueto in altri aspetti che lo trovavo affascinante. La complessità del suo carattere lo rendeva così unico che non ho faticato a trovarmi ipnotizzata da esso.”

Già, il Lui di Lyric non poteva di certo essere una persona banale, semplice, e facilmente trattabile. Doveva per forza essere un garbuglio vivente di dissonanze e particolarità comparabili solo con un’opera dell’avanguardia.

Diane lo afferrò per il collo della maglietta e spalancò i suoi grandi occhi orientaleggianti, vista la disponibilità di Bill optò per l’essere concisa, per come stavano andando le cose si sarebbe risparmiata un mucchio di tempo se solo avesse scelto, la sera precedente, di catapultarsi nel backstage del concerto.

Ma ormai era là e doveva prendere i fatti così come stavano.

Bill inarcò un sopraciglio per come era stato strattonato ma l’incertezza cessò di esistere presto, aveva l’impressione che qualcosa di veramente importante gli stava per essere rivelato a guardare bene la serietà travasata dalle pozze scure di quello sguardo.

“Dobbiamo andare immediatamente al Four Seasons. Kat non riuscirà a trattenere allungo la capacità di Lyric di intuire i sotterfugi, li fiuta per istinto come un segugio durante una caccia alla volpe. Abbiamo la possibilità di intrappolarla in tempo se ci muoviamo subito, così non avrà la possibilità di scappare e andarsene da Milano prima di averti incontrato. Se lascia la città potrebbe trovare un modo per scomparire dalla faccia della terra e tu forse puoi comprendere quanto sia determinata quando si mette in testa qualcosa.”

Da quei mulinelli veloci di parole Bill afferrò un’informazione che lo sconvolse, tanto che le vertigini percepite qualche attimo prima in ascensore si accentuarono e per una paio di secondi ci vide sfuocato. Forse avrebbe dovuto mangiare qualcosa in più di due biscotti in croce quella mattina a colazione.

Bill si aggrappò alle spalle della ragazza e si trattenne a stento dallo scuoterla come un ramo di olive, doveva assolutamente evitare di far morire dalla paura la sua attuale fonte di preziosissima vita.

“Lyric è a Milano?!” il modo in cui lo disse parve alle orecchie dei presenti come il suono smorzato di un tuono che crepitava in lontananza, tra le nuvole, e il fervore della sua espressione lo fecero apparire la quinta essenza di chi era stato sconvolto in modo irrimediabile “LYRIC È QUI?!”

Gustav si era prontamente accostato ai due e aveva fatto in modo che Bill liberasse Diane dalla sua presa d’acciaio “Bill non ti agitare, per favore. Così finirai per svenire.”

Bill si rialzò da dov’era inginocchiato e trapassò Gustav come un ago con un povero bambolotto di pezza “Non dovrei AGITARMI?! TI PARE CHE POSSA FARLO?!” urlò con la chiara intenzione di forare i timpani di tutti quelli presenti nel piano dell’hotel.

Bill si prese la testa tra le mani ed iniziò ad aggirarsi per la stanza pallido “Cosa?…è a milano...ma come?...quando…che cazzo sta succedendo?” Mormorò tra sé come un pazzo in preda alla sua nevrosi mentre si sbracciava inconcludentemente nell’aria.

“Bill, cerca di riprenderti.” Lo provò a riportare all’ordine il fratello vedendolo in quello stato febbrile “Non concluderai niente se incominci a fare il pazzoide schizzofrenico.” Gli disse inflessibile mettendosi le mani nelle tasche. Era decisamente meno evidente ma anche Tom era parecchio sconvolto. Così lei era a Milano, decisamente sorprendete la capacità innata di Lyric di incasinare le loro vite. Lo aveva sempre fatto, da quando era comparsa lungo le loro strade e ciò non era esattamente un piacere per lui.

Bill sembrò ascoltarlo perché di punto in bianco si fermò ma quell’immobilità gli servì solo per riprendersi ed uscire di senno più di prima. Si prese nuovamente la testa tra le mani e spalancò la bocca facendo uscire fuori il più assordante grido animalesco che i presenti avessero mai udito nelle loro vite. Fu un atto liberatorio che Bill non riuscì a reprimere, infatti sarebbe stato al di là delle sue forze,e gli concesse di lavare via giorni interi di stress.

Non ci poteva essere spazio per la negatività.

Ora che aveva la certezza matematica che la persona della sua vita, quella che si era fottuta il suo cuore nell’ottobre dei suoi quattordici anni, era fisicamente nello stesso luogo dove si trovava lui a Bill parve che non ci fosse niente di meglio che esserne entusiasti anche se con la giusta dose di paura.

Se avesse avuto tempo da perdere si sarebbe messo a saltellare da una parte all’altra, sopra a qualunque mobile che non rischiasse poi di ammazzarlo, in preda alla cieca felicità amalgamata alla follia che gli navigava nelle vene.

“Cazzo Bill sei deficiente?!” Tom  gli tirò addosso il primo cuscino che fu alla portata della sua mano, sperando che gli perforasse  un polmone, mentre Georg fu indeciso se essere terrorizzato o divertito da tanta assurdità. Gustav optò per un semplice sorriso di comprensione che condivise con Diane.

“Bill, hai finito di sfogarti? Diane è qui che aspetta.”

L’amico diede retta a Gustav e ripresa aria parlò con la sua nuova, migliore, amica “Se potessi sentire ciò che mi scorre dentro potresti perfettamente udirmi gridare –voglio vederla, voglio vederla, voglio vederla- Diane. Io non so cosa ti aspettasi da me e non ho idea di che discorsi volessi farmi ma ti prego di metterli da parte. Non contano niente adesso. Ciò che devi fare se hai un po’ di pietà di me è esaudire il mio desiderio più grande.”

Diane si avvicinò a quel mezzo sconosciuto che condivideva con lei soltanto un amore incondizionato per la stessa Lyric, anche se di nature del tutto diverse, e gli prese la mano nelle sue “Sì, Bill. Andiamo da lei.”

 

****

 

Lyric calzò il paio di ballerine color cipria e si diede un’occhiata allo specchio.

Pensò subito che l’abbigliamento che aveva scelto dicesse “Lasciatemi stare” ed era proprio il suo proposito. Quel giorno voleva passare inosservata a chiunque anche se, con tutta probabilità, avrebbe speso l’ultimo giorno della loro permanenza in Italia sulla terrazza della suite. Uscire era l’ultima delle sue intenzioni.

Si passò la mano tra i capelli, per ravvivarli un poco, ma non ci mise molto impegno e questi restarono abbastanza scomposti. Poco male, pensò, li lasciava corti apposta per non doverci pensare troppo. Da anni infatti, appena arrivavano qualche centimetro oltre le spalle, li andava a tagliare quasi fin sotto le orecchie.

Sbuffò contro lo specchio pensando al perché non li lasciasse più crescere e si diede della sciocca da sola.

Diede poi uno sguardo ai suoi indumenti e constatò una volta di più di essersi vestita davvero con molta semplicità.

Le linee degli short erano pulite ed essenziali, così come l’ampia camicia che scendeva oltre la vita. Erano due capi sobri ed innocui, l’unico dettaglio sfizioso che si era concessa era stato il nastro di gros di seta, allacciato appena sotto il seno per conferire alla blusa un taglio alla coreana.

“È tutto finito.” Disse al proprio riflesso “Davvero?”  Appoggiò il palmo contro il vetro freddo e permise a se stessa di toccarsi.

“Se ritieni di poterti liberare di me in modo tanto semplice allora non ti resta che provare.”  

Colpo basso. Lyric si rabbui e lasciò perdere la sua immagine riflessa.

“L’hai sentita, no? La canzone.”  sussultò un poco. Un altro colpo basso.

“Quelle parole erano le tue. Lo hai notato anche tu, vero? Bill, per qualche inspiegabile motivo, sembra passarsela come te al momento e di fronte a ciò pensi davvero di poter affermare che è tutto finito? Illusa.”

Scagliò il primo oggetto a portata di mano nella direzione dello specchio, lo mancò di poco e quello finì invece per scontrarsi con la parete. Kathleyn, allertata dal rumore di qualcosa che si rompeva, entrò senza bussare.

Trovò l’amica che fissava adombrata i frammenti di un vaso sparsi alla base del muro di fronte.

Senza dire una parola le si accostò al fianco “Vieni, ho fatto portare qualcosa da mangiare. Andiamo in terrazza, così prendi un po’ d’aria e stai al sole. Dopo chiameremo qualcuno a ripulire.”

Cercò di convincerla ma Lyric non si spostò di un centimetro “Volevo rompere lo specchio.” disse.

Assomigliava a lei, considerò Kat, nel periodo seguente l’aver smesso di prendere droghe. In quelle occasioni aveva assecondato le sue follie deliranti e l’aveva stupita perché, per quante stupidaggini avesse detto, Lyric le aveva accettate e soprattutto le aveva perdonate.

Nel giro di qualche mossa Kathleyn si tolse uno degli stivaletti che portava ai piedi e con naturalità andò a colpire con il tacco di questo lo specchio. Dopo un paio di botte si formarono delle lunghe crepe sulla superficie del vetro e qualche frammento cadde a terra “Va bene così?” domandò alla conclusione del suo gesto folle. 

Lyric accennò ad un sorriso e scosse il capo “Siamo pazze.”

Kat fece spallucce e si risistemò lo stivaletto “No, abbiamo stile. Pensa che abbiamo frantumato uno specchio da svariate centinaia di euro con uno stivale che ne vale qualche centinaio in più.”

“Ah, quindi siamo giustificate perché abbiamo usato un tacco di Robanne? Bella filosofia la tua, spero comunque che non ci denuncino.”

“Improbabile.”

“Come minimo faranno lievitare il conto.” 

“Di certo ma sono questioni di cui si occuperà Alphonse.”

La Royal Suite che Katleyn che aveva prenotato era stata un’idea del suo ragazzo. Difatti non era stato negli interessi di nessuno di loro tre occupare un intero piano dell’albergo con l’aggiunta della Executive Suite, che si trovava al piano inferiore ed era collegata con quella di sopra da una scala privata, ma Alphonse aveva insistito affinché “soggiornassero con classe” e non era stato possibile rimuoverlo dalla sua decisione. Fortunatamente aveva anche stabilito che avrebbe pagato di tasca sua, poiché non aveva avuto la possibilità di accompagnarle, il che aveva fatto tacere qualunque loro opposizione.

“Bene, allora la storia è chiusa. Spostiamoci fuori. A questo casino ci penseremo più tardi.”

Andarono sulla terrazza, dove la vista di una Milano assolata dal sole si insinuava nel fiato e dava la possibilità di vedere il volto bello della città lombarda. Un lato che non sempre era immediato come erano invece la frenesia e la cappa di grigiore che attraversavano le strade e gli angoli della metropoli italiana.

Appena si sistemò al tavolo che si trovava immerso nel grande giardino verdeggiante Lyric si perse per qualche tempo nell’osservazione del panorama. Da lassù Milano era diversa: sembrava che i palazzi lasciassero materialismo e pragmatismo da parte e al loro posto cercassero di raggiungere l’aria e il cielo, dove dimorava la libertà di un mondo più buono.

Soltanto dopo che Kat l’aveva richiamata un paio di volte tornò dal suo girovagare di pensieri.

“Quanto ho dormito? Ormai deve essere pomeriggio inoltrato.”

“Sono le sedici infatti. La prima volta ti sei svegliata alle undici ma dopo esserti calmata ti sei riaddormentata subito. Hai passato un bel po’ di tempo nel mondo dei sogni. Credevo che fossi caduta in catarsi.”

“Quindici ore…” rimuginò “E da quanto tempo Diane è fuori? Mi sembra strano che lei non abbia provato a buttarmi giù dal letto. Oggi è l’ultimo giorno a Milano e mi ero aspettata di doverlo passare in giro per permetterle di fare un’ultima serie di fotografie alla città. Credevo che avrebbe tentato di distrarmi in questo modo.”

Kathleyn intanto versò in una tazza del tè caldo e glielo porse mentre prendeva un sorso del suo “È andata via questa mattina alle dieci.” Disse con molta tranquillità, aveva optato per lasciar passare delle mezze verità.

Non era ancora il momento di sapere “Pensi davvero che ti avrebbe costretta a fare qualcosa di così faticoso ben sapendo come dovessi sentirti? Ha pensato bene di lasciarti in pace ed è andata a prendere aria a suo modo. Come me trova abbastanza frustrante dovercene andare senza aver concluso niente.”

Lyric bevve dalla sua tazza e si concentrò un secondo sul sapore del suo tè, Kat aveva aggiunto due zollette di zucchero e un po’ di latte, come piaceva a lei. Si sentì in colpa per Diane e si ripromise che appena fosse arrivata avrebbero parlato.

Poi si accorse di un dettaglio “Anche tu ora sei d’accordo con Diane?”

Kat prese a sbucciare una mela con il coltello, con estrema calma, e non parlò finché cinque pezzi del frutto non si trovarono di fronte all’amica  “Mangia.” le ordinò mentre già iniziava a prepararle un piatto di sandwich con fette di cetrioli e prosciutto cotto e una serie di paste alla marmellata di lamponi.

Lyric guardò le mele: una parte delle buccia rossa era stata tagliata per assomigliare alle lunghe orecchie di un coniglio, era un tipico modo alla giapponese di presentarle che avevano appreso da Diane. L’amica ricordava che le piaceva molto quel dettaglio quando si trattava delle mele. Anche se non era abile come Diane aveva provato a farle quel piccolo piacere.

Non aveva fame, veramente, ma Kathleyn stava facendo di tutto per farle mangiare qualcosa e lei non voleva preoccuparla più del dovuto. Assecondò i suoi voleri.

Durante quel pasto, a metà tra una colazione e un tè pomeridiano, Kathleyn e Lyric non parlarono molto.

Si limitarono a prendersela comoda e concentrarsi su qualunque cosa non fosse lontanamente un discorso serio o spinoso ma la pace durò poco.

“Sì, ora sono d’accordo con una certa parte delle idee di Diane.” Confermò una volta che un cameriere portò via le vivande e le lasciò nuovamente da sole. Kat diede un’occhiata laterale al suo cellulare, appoggiato al fianco del suo gomito, sul tavolo “Quella riguardante il dettaglio Bill. Penso che abbia ragione a fartelo rincontrare.”

Lyric se ne sorprese molto “Come mai questo cambiamento di idea? Pensavo che proprio tu avresti compreso il mio punto di vista.”

“Comprendo perfettamente la tua idea di proteggerlo. Se fossi te e Bill fosse Alphonse avrei fatto la stessa identica cosa ma in questa storia non sono io la protagonista quindi mi permetto di pensarla diversamente.”

“Fino a ieri eri convinta che fosse un male per me poter restaurare dei rapporti con lui. Cos’è cambiato, Kat?”

Le due donne si guardarono e in quella connessione poterono trovare ancora una volta quel loro legame inscindibile fatto di comprensione, persino nella loro diversità. Conoscevano i profondi e veri desideri dell’altra.

“Ti ricordi cosa mi hai detto quando hai scoperto che mi drogavo?”

“Sì, il giorno in cui siamo diventate amiche.”

Kathleyn sentì una stretta al ricordo “Già, dopo che mi hai tirato quel pugno in faccia. Non ti avrei mai creduto in grado di tanto. Mi avevi sorpreso, credevo che ti saresti accontentata di farmi una ramanzina con parole molto dure e invece ti sei dimostrata anche capace di un atto tanto fisico.”

“Bè, eri una testa dura e lo sei ancora. Sei il tipo che deve essere fisicamente o visivamente scosso per poter comprendere qualcosa. Sei sempre stata molto pratica e comunque quella volta mi avevi fatto infuriare.”

Kat rise appena un poco “Vero, sono fatta così mentre tu, anche se ti supplicano o implorano, quando prendi una decisione non la cambi. Io appaio dura e intoccabile ma in verità tra noi due sei tu l’incrollabile.”

“Sembra un complimento ma suona tanto come un rimprovero.”

Risero entrambe e Kathleyn sospirò “Ci vuoi bene e accetti di buon grado i nostri consigli e il nostro aiuto, cerchi il nostro sostegno e ci dimostri che per te non siamo mai scontate. Mi piace sentirmi così importante. Mi piace perché è lo stesso bisogno che io ho di te e Diane.” Si morse un labbro “Ma, come ho detto prima, se ti impunti sei irremovibile. Nemmeno noi riusciamo a smuoverti, ti innalzi ad un altro livello e non ti fai toccare. Diversamente da me a te non basterebbe un pugno in volto e una bella sgridata dopo. Ieri però ho scoperto una cosa.”

“Cosa?” vide sul viso di Kathleyn passare qualcosa che assomigliava ad un po’ di seccatura.

Non rispose e tornò invece all’argomento precedente “Dopo che mi avevi colpita mi hai detto che stavo facendo l’idiozia più grande che fosse possibile fare al mondo. Hai detto che ero un’ingrata e una stupida poiché a differenza tua avevo la sicurezza di un’intera vita da vivere davanti e invece di sfruttarla per essere felice la stavo sciupando.”

Lyric fiutò l’arrivo di qualcosa di poco piacevole.

“Quello che mi hai detto quella volta, ripensandoci adesso, vale anche per te. Pure tu stai sciupando tutte le tue possibilità. Stai scegliendo di non provarci neanche ad essere felice.”

Lyric si ammutolì in un livido silenzio e Kat dovette sostenere uno degli sguardi più duri che avesse mai visto rivolgersi dalla sua migliore amica. Di certo, si disse, l’aveva appena fatta arrabbiare.

“Quindi sei arrivata a pensare, soltanto ieri, che sto provando a non combattere. È così?”

“Non è esattamente ciò che ti sto dicendo.”

“Che stupidaggine.” Disse Lyric con tono seccato “Non venire a parlare con me di combattere perché sono anni che non faccio altro che battermi! Sono anni che mi scontro con tutte le avversità e non mi pare di aver dato l’impressione di aver mai ceduto.”

Kathleyn percepì che si stava già scaldando pur restando composta sopra a quella sedia di vimini, con la schiena dritta e lo sguardo fermo di un soldato prima di una battaglia sanguinosa “Le so queste cose. Ci sono stata, ci sono stata tutto il tempo. Ti ho visto incassare ogni colpo e rialzarti sempre ma…”

Non le permise di proseguire “Io non ho scelto di arrendermi!” E dicendolo sbatté la mano sul mosaico del tavolo “Se lo avessi fatto sarei dovuta morire già a diciassette anni, senza resistere un attimo di più a tutte quelle settimane di chemioterapia per ridurre quel maledetto tumore. Se avessi scelto di cedere non sarei ancora qui a sperare, un minimo, che trovino un cuore o una cura prima che il mio organo ceda e mi faccia morire con lui. Se avessi davvero rinunciato non starei di certo vivendo.”

Kathleyn si sentì un tremendo groppo alla gola che le occludeva le vie respiratorie e dentro di sé avrebbe voluto tanto non dirle le parole che stavano per uscire fuori, ma lei non poteva risparmiarsi di essere dura con Lyric.

Le doveva ancora molto “E tu questa la chiameresti vita?!” si alzò e le andò accanto, inginocchiandosi a terra e prendendola per le mani “Non fare la cinica quando non ti si addice proprio, quello è il mio ruolo. Tu sei quella testolina complicata che vive di ideali romantici e di alti valori. Sei sempre la stessa speciale persona che mi ha insegnato che la capacità degli esseri umani di provare sentimenti non porta soltanto a soffrire o piangere.”

“Kathleyn cosa stai cercando di dirmi?” Lyric la vide in preda ad uno dei rari momenti in cui era agitata e non poté che sorprendersi di fronte ai suoi occhi lucidi. Doveva essere angosciata per davvero e quasi si pentì di essersela presa.

Le stava facendo soffrire: sia Diane, sia Kat. Era una pessima amica.

“Sei stata tu a dirmi che lasciarci avvicinare dalle persone non sempre ci porterà delusione, anzi, molto spesso ci arricchirà e forse ci consentirà di essere realmente felici. Una come te non può accontentarsi di questo. Non puoi fare finta che quello che c’è stato ieri, per te, non sia stato come una specie di ultimo desiderio.”

Lyric si riprese le sue mani e prese il volto dell’amica “Io sono felice. Ho te, Diane, Alphonse che mi rendete felice e poi mia nonna, zia Freia, zio Victor, zio Mark e Frederich. Voi mi consentite di esserlo.”

“Non siamo abbastanza. Lo sai. Se io non avessi Alphonse che mi ama nella maniera che conosciamo entrambe io non sarei veramente felice quindi in conclusione non lo sei neanche tu. Bill…” fu la prima volta che disse il suo nome senza aggiungere un’espressione contrariata o irata, questa volta l’aveva citato con buone intenzioni “Bill è il tuo Alphonse. Lo sappiamo. È quello che smuove ogni cosa attorno al tuo mondo e ti fa pensare: grazie a Dio sono viva. È il viso che vorresti vedere prima che finisca il mondo e quello a cui diresti le tue ultime parole, le quali molto probabilmente sarebbero uno stucchevole –Ti amo-.”

“Sì è tutto questo e allora? Non cambia niente anche se lo dici.”

“No! Cambia tutto invece! Cambia ogni cosa perché da quando ieri lo capito, io, adesso ti posso supplicare. Ti supplico di dare ascolto alla parte masochista di te stessa, ti prego di andare ad incontrare Bill e parlargli, di riprendertelo. Me lo hai detto proprio tu quando era stato il mio turno di farmi ragionare: finché non si è sepolti sotto cinque metri di terra si è ancora in diritto di vivere. Fino all’ultimo si dovrebbe tentare di essere felici.”

Il black-barry di Kat vibrò improvvisamente ed entrambe si voltarono nella direzione del cellulare, ognuna con un determinata sensazione che pulsava sotto la pelle. Per istinto Lyric si ritrovò a pensare che stava per accadere qualcosa mentre Kathlyen provò paura.

“Non rispondi?” domandò Lyric vedendola tanto titubante nell’andare a prendere il cellulare “Kat?”

L’amica chiuse gli occhi e prese un grosso respiro, poi si rialzò da terra e raggiunse l’apparecchio.

“Pronto?”

Lyric la vide sbiancare e divenire granitica solo come nei momenti più seri l’aveva vista fare. Non c’era più traccia della Kathleyn infervorata da una passionale arringa e al suo posto venne fuori la Kat di quando c’era bisogno di un cervello pensante e lucido. La chiamata durò pochi minuti e durante questi non fiatò una singola parola.

“Tra quanto?” ricevette la risposta  e poi attaccò.

“Chi era?” domandò Lyric provando una certa dose di aspettative spaventose. Non voleva pensare alla conclusione a cui una parte di sé era giunta da parecchio tempo prima del termine della chiamata telefonica.

“Era Diane. Sta tornando qui, ha portato a termine la sua missione.” Guardò in basso, negli intrecci delle tessere di ceramica del tavolo ancora incerta su cosa dirle.

“Quale missione?” Lyric scattò in piedi preoccupata dalle implicazioni di quel silenzio così eloquente “Non dirmi che ha osato farmi una cosa del genere, col tuo permesso! Non dirmi che contro la mia volontà lei è andata da lui!”

“Non abbiamo potuto che fare questa scelta estrema. Mi sono fatta dire dove alloggiavano da mio padre e Diane è andata a parlare con lui. Bill sta venendo qui.” Le spiegò di getto.

Lyric crollò a terra senza neanche sapere con esattezza come avesse perso l’equilibrio, anche se molto probabilmente le sue gambe avevano semplicemente deciso di cedere. Dopo averla vista esibirsi in una scena più degna di Diane che di lei Kat si sarebbe messa di certo a ridere, se solo non fosse stata una situazione delicata “Ehi! Tutto bene?” superò nuovamente il tavolo che le divideva.

L’altra non accennò a rispondere perché aveva arrestato ogni minimo movimento, come la linea di connessione di un computer assente o disturbato, e il respiro le si era ghiacciato infondo ai polmoni inducendola a sentirsi privata dell’ossigeno stesso. Venne immediatamente tormentata da una rapida successione di pensieri istantanei, i quali acuminati meglio di coltelli volanti, si raggrupparono tutti nel poco confortante gruppo di quelli estremamente spaventati e turbati. Tutti questi a gran voce chiamavano un solo nome e questo rimbalzava, con tutte le sue relazioni, da un angolo all’altro della mente tramortita.

Kat si era intanto abbassata “Lyric, non fare così per favore. Sembra quasi che abbia appena tentato di accoltellarti.”

“Perché non è quello che hai fatto?” le uscì con un filo di voce rauco e strozzato “Non avete appena fatto qualcosa che mi ucciderà sicuramente?”

“Non esagerare. Quando vedrai Bill, a breve, non sarai della stessa opinione. So che sarà difficile ed imbarazzante alle prime battute ma troverai un modo per far filare le cose. Tu devi incontrarlo, devi riprendertelo”

“E cosa pensi che possa dirgli per RIPRENDERMELO?!” chiese con fervido isterismo mentre cominciava ad accusare delle fitte dolorose al petto “Ciao Bill, ho attraversato l’oceano per poterti vedere ad un concerto perché in questi tre anni non ho mai messo un attimo di essere innamorata di te?! NON FUNZIONA KATHLEYN!”

Diede uno spintone a Kathleyn facendola capitolare a terra “NON SARÀ MAI COSÌ SEMPLICE!” e le si incrinò la voce, spezzata da un mezzo gemito dolente che raschiò contro le pareti della sua gola. Pessima, pessima, pessima reazione del suo corpo.

“Devo andarmene.”  E prima ancora che se ne rendesse conto era in piedi ed aveva già oltrepassato le porte-finestre della terrazza, l’amica naturalmente alle sue calcagna “So esattamente cosa stai pensando di fare ma non credere che lo permetterò! Tu non te ne andrai da questo albergo!” le gridò dietro, seguendola nella camera di lei.

“Davvero?! E come pensi di trattenermi? Con la forza?! Fino a prova contraria segregare una persona contro la sua volontà è un reato punibile per legge anche qui in Europa ed io ci metto poco a chiamare la polizia o chi di dovere per sporgere denuncia.”

Kathleyn non prese seriamente in considerazione quella minaccia perché sapeva perfettamente che Lyric non avrebbe fatto montare su un caso internazionale, con il suo bel cognome in bella vista, per una questione che si poteva e doveva tenere privata.

“Lyric, santo cielo! Non puoi impazzire in questo modo. Datti una calmata e cerchiamo di discuterne in modo civile, ti stai agitando come una folle per niente.”

“NON È UN NIENTE! LO CAPISCI?! Mi volete imporre di vederlo senza un minimo di preparazione e poi cosa vi siete immaginate di ottenere?!” Lyric aveva raccattato il proprio portafogli dalla borsa usata la sera prima e si era poi messa alla ricerca del proprio passaporto “Che cosa pensate che accadrà? Che ci guarderemo negli occhi e come per magia ogni cosa tornerà come tre anni fa? Bill non mi concederà mai qualcosa di simile con facilità. Pretenderà la spiegazione che non gli ho dato sul perché l’ho lasciato, vorrà sapere la verità e di certo sarà incazzato nero per il mio comportamento qui a Milano. Litigheremo, ci urleremo addosso e io non ne ho le forze!!” ansimava e contemporaneamente scuoteva la testa.

“Lyric ascoltami…” lei in tutta risposta lanciò la borsa contro la parete, mandandola a fare compagnia ai cocci del vaso frantumatosi prima “Kathleyn tu lo sai da cosa lo sto proteggendo, vero? Io non voglio che lui mi veda morire, non voglio che stia al mio fianco quando e se questa malattia inizierà a tenermi inchiodata ad un letto d’ospedale. Non voglio doverlo vedere morire con me. Io NON posso! È la ragione per cui me ne sono andata dalla Germania, non riuscivo a concepire di farlo soffrire… dove accidenti è il mio passaporto?!”

“Te lo preso io. Avevo previsto che ti sarebbe venuto in mente qualcosa di estremo per sfuggire alla situazione e quindi te lo nascosto mentre dormivi.” Confessò Kat e Lyric la guardò per un poco di minuti, completamente e totalmente inespressiva, poi andò fuori dalla stanza in fretta. Kat l’afferrò per un polso prima che si appigliasse alla maniglia dell’ingresso “Dove te ne stai andando?”

“Fuori da qui e lontano da Milano.”

“Senza passaporto?”

“Ho abbastanza soldi e carte di credito per pagarmi qualunque cosa, il passaporto diviene superfluo se porti il mio nome e sai con chi parlare.” Stava minacciando sul serio di usare tutto l’ascendente che aveva la sua famiglia e il suo cognome, pensò Kathleyn presa in contropiede, e tutto questo non era da lei. Era veramente impazzita.

“Non stai dicendo sul serio.”

“Sono serissima invece.” E con uno strattone si liberò dalla sua presa “Se vuoi evitare che faccia delle stupidaggini puoi seguirmi e controllarmi oppure guardarmi mentre me ne vado via, qualunque sia la tua scelta io la mia lo già fatta Kathleyn. Non vedrò Bill.”

“Che spreco di energie. Quante volte dovrai cadere prima di arrenderti?”

Una scarica elettrica attraversò i suoi muscoli e la fece tremare da capo a piedi. Il suo cuore era intento a fare il maratoneta mentre la mente la rimproverava di cocciutaggine. Stavano tutti combattendo contro di lei e non aveva idea di quanto tempo avrebbe avuto prima di soccombere alla sconfitta. Per quanto si mostrasse determinata ogni cosa aveva preso ad incrinarsi.   

“Ma quante possibilità hai di trionfare in questa corsa se alla fine i tuoi piedi tornano sempre nello stesso punto? Anche se ci hai voluto credere non puoi pretendere di sciogliere il vincolo che vi lega. Non sei un dio”

“Kathleyn, ti supplico, portami via.” Disse improvvisamente cambiando atteggiamento “Qui dentro non respiro.” La implorò così teneramente che Kat l’avrebbe voluto cullare per sempre tra le sue braccia.

“Portami via.” Non poteva farlo, però, perché c’erano cose che dovevano essere sistemate definitivamente “Andiamo a prendere aria, allora, ma non ti concederò questo desiderio Lyric. So che non lo ammetterai mai ma in verità lo vuoi talmente rivedere che in te si dibattono contraddizioni e volontà. Allora?”

“… Lass mich los, lass mich hier raus…”  concluse la voce di Bill sfruttando ancora i versi di Alien.

E allora? Bè, la Ragione si fece da parte e L’Egoismo esultò di felicità mentre Se Stessa veniva finalmente liberata dalle catene delle imposizioni, così che potesse guardare il cielo e gridare “Voglio vederlo! Voglio vederlo!”.  

“Va bene.” Rispose Lyric provando un tale liberazione da sentirsene quasi intimorita.

 

****

 

_ Stiamo lasciando il Four Seasons, Lyric non si sentiva bene e io la sto portando a prendere aria. Non mi chiedere se ci sia un senso in tutto questo perché dubito che lo potremmo trovare. In ogni caso, non andare in albergo. La porto alla piazza della Scala, te la ricordi vero? Quella di fronte al teatro omonimo. Le piaceva molto quel posto e sarà un luogo non troppo affollato, così non ci saranno problemi per quei vip… Ti aspettiamo là. In fretta, per il momento è tranquilla ma potrebbe decidere di impazzire ancora._

 

Letto il messaggio inviatole Diane ordinò al guidatore di fermarsi e con rapidità cambiò le indicazioni della meta da raggiungere “Si va alla piazza della Scala.”

Bill, seduto al suo fianco, la squadrò con fare indagatore “Cosa è successo adesso?”

“Nulla, Lyric e Kathleyn non sono più al nostro albergo. A quanto pare a Lyric è venuto un attimo di panico e la mia amica la dovuta portare fuori a prendere aria.”

“Lyric ha di nuovo attacchi di panico?” domandò lui sorpreso.

“Sì. Ogni qual volta che c’entri tu diventa così instabile ed è straordinario che soltanto tu riesca a produrre in lei un tale cambiamento radicale.”

Bill non lo trovò affatto un pensiero lusinghiero come invece sembrava pensarlo Diane e l’intenzione di discutere animatamente con Lyric di tutto quel tempo passato divisi era tornata a galla, al quale si affiancava a braccetto, ovviamente, il contrapposto sentimento di entusiasmo che non riusciva a togliersi di dosso.

Fino a qualche ora prima non aveva avuto niente di concreto in mano ed ora invece tutto quel pantano confuso di gesti, parole, avvenimenti avevano reso più che reale la prospettiva di vederla veramente. Riflettendoci non era per nulla preparato all’impatto che avrebbe subito ma non riusciva a frenare la felicità che quel momento doloroso finalmente avvenisse.

“Bill, non scoppiare!” Gli disse in tedesco Tom, per non farsi capire da Diane “Mantieniti concentrato, d’accordo. Quando l’avrai davanti avrai tutto il tempo di sclerare. Cerca di non dargliela vinta subito però. Falle pesare ogni attimo e minuto di questi ultimi anni. Ricordati che ti deve delle spiegazioni.”

“Non pensi di essere troppo duro a dare certi consigli?” domandò Gustav, girandosi a guardare il Kaulitz incazzato “Lo ha detto pure Diane che Lyric è venuta qui di sua spontanea volontà quindi bisognerebbe essere ottimisti al riguardo.”

“Tu sei troppo buono!” lo rimproverò Tom per niente convinto dalle sue belle parole “Bill non deve strisciare ai suoi piedi come un insetto. È lei la causa di tutti i suoi problemi e dei suoi malumori, è per colpa sua che ogni giorno lo abbiamo visto sempre infelice e scuro in volto. Lyric se ne andata, cazzo!”

Gustav ringraziò il cielo di essere seduto davanti e di non avere quindi la possibilità di mollargli un bel pugno nello stomaco, per farlo tacere, il quale molto probabilmente Tom stesso avrebbe gradito volentieri così d’avere una valvola di sfogo per calmarsi.

“Tomi…secondo me sei tu quello al punto di ebollizione.”

“Oh, cazzo! Vorrei anche vedere se non lo fossi!” imprecò un’altra serie di parole in tedesco e poi incrociò le braccia voltandosi a fissare fuori dal finestrino “Ma comunque, anche non dai subito ascolto ai miei suggerimenti, quando l’avrai davanti ti prego solo di non ferirti troppo, Bill. Potrei facilmente venire alle mani se ti vedessi distrutto o cose simili. E già il pensiero delle torture sadomaso a cui David e Benjamin mi sottoporranno se combino altri casini come quella sera con la stalker mi fa accapponare la pelle.”

Gustav scosse la testa, certo, la dolcezza di Herr Tom Kaulitz era riservata solo al fratellino minore, non è così? Certe cose dovevano davvero riprenderle, così avrebbero avuto un’arma con cui minacciare il loro chitarrista ogni volta che avesse oltrepassato le righe.

“A dir la verità dobbiamo ricordare che nessuno di noi deve fare cavolate adesso. Se succede qualcosa e veniamo riconosciuti da qualcuno o ancora peggio veniamo fotografati non solo i nostri manager ci faranno il sedere come budino ma anche Georg ci farà passare l’inferno in terra.” Smorzò i toni Gustav e due i gemelli ne risero un poco.

Già, niente scandali, ne stronzate. Infondo il povero Georg era rimasto al Bulgari per fare da garante al duo di manager inviperiti che li avevano sorpresi prendere nuovamente il minivan della crew. L’amico aveva detto loro di salire in macchina, con Sven alla guida, e di non preoccuparsi del mezzo esercito di demoni sanguinari che sembrava volere le loro teste.

“Ci penso io a loro, mi prendo la responsabilità del gesto e li blocco qui. Voi fate solo in modo di non farmi pentire di questo sacrificio. Dai, scappate!” aveva detto a loro chiudendo le porte dell’auto e sbattendo la mano sul cofano, segnalando a Sven di sgommare via. Bill si era poi esposto fuori dal finestrino mezzo aperto e gli aveva gridato un “Ti adoro Geeeeorg! Grazie!”

L’uomo aveva fatto ciao-ciao con la mano mentre la bestia nera che faceva di nome Jost, accompagnato dal suo compagno Ebel, si buttava letteralmente addosso al povero Listing per avere delle immediate spiegazioni riguardo all’evasione della band.

Diane non se la prese troppo a male se stavano intavolando quel discorso nella loro lingua, senza quindi farle capire un emerita berta, perché si era un attimo concentrata al pensiero di Lyric e della sua reazione. Non aveva pensato che molto probabilmente tutte quelle sorprese e rivelazioni l’avrebbero condizionata dal punto di vista fisico e questo era stato un grande errore sia suo che di Kat. Sperò con tutta se stessa che la situazione non precipitasse in conseguenze gravi e che non fosse necessario nessun tipo di intervento.

“Scheiße!” si sentì udire dalla bocca di Gustav “C’è un ingorgo. Hanno fatto un incidente a qualche metro da noi.”

La notizia colse i passeggeri di sorpresa e Diane vedendo i loro volti oscurati domandò “What? Can you repeat, Gustav?” ovviamente stavano parlando ancora in tedesco e per quanto ne capiva lei poteva aver appena annunciato la fine del mondo in aramaico.

“I’m sorry, Diane.” Fece Gustav “Someone have done an accident and we can’t go ahead.”

Fu la volta di Diane di parlare in una lingua sconosciuta agli altri, difatti prese a mormorare uno scioglilingua di kanji rapidi ed incomprensibili. Aprì il finestrino e osservò la situazione: c’era una fila lunghissima di vetture immobili e il problema più grosso era il fatto che si erano appena imboccati in una strada a senso unico, impossibilitati di fare anche solo dietro-front poiché la coda si era già estesa da dietro le loro spalle.

Pessima, pessima cosa.

“Prima che decida di impazzire ancora…”  le ricordò la sua testa.

“Bill dobbiamo scendere immediatamente, non le raggiungeremo mai così e non possiamo sapere se quella folle di Lyric decida o meno di starsene buona allungo. La piazza è a pochi centinaia di metri da qui. Andiamo!” e nel dirlo aveva già aperto la portiera e ne era già mezza uscita.

“D’accordo!” accettò Bill dopo una veloce valutazione delle alternative. Ma prima di scendere guardò i propri piedi con dubbio “Tomi!”

“Sì,sì, ho capito mi tolgo le scarpe!” disse avendo già letto nei suoi pensieri “Per quanto tu le trovi orrende il mio paio di stupende nike per correre andranno di sicuro meglio dei tuoi stivali di Dior da transgender.”

Bill non diede peso al commento acido su quelle meraviglie di pelle e borchie comprate a Parigi giusto due settimane prima, come sempre riguardo allo stile non avrebbe mai dato retta a quel disadattato del buon gusto, e in pochi gesti i gemelli fecero a cambio di calzature.

Bill non stava particolarmente male con quelle nike, erano anche nere quindi non stonavano più di tanto con il paio di jeans skinny bianche e la semplice t-shirt a maniche corte nera mezza sfrangiata. Tom invece era una versione piuttosto inquietante e ridicola di una Drag Queen mista a un G’s uscito dai bassifondi di Chicago.

“Così va a farsi fottere la mia degna reputazione di Sex Gott. Ma come mi sono ridotto per amore fraterno?” Bill sorrise e gli scoccò un bacio sulla guancia “Sei il migliore fratello maggiore che io potessi mai desiderare di avere.”

“Che ruffiano…” gli disse Tom mentre il gemello si toglieva gli anelli e le collane che portava addosso, era meglio liberarsi anche di quelli visto che gridavano “Guardami sono Bill Kaulitz!!” peggio di un segnale luminoso visibile dallo spazio, e li buttò nelle mani del fratello.

Gustav gli lanciò poi il suo fedele cappello della Element “Metti questo in testa che i tuoi capelli a leccata di mucca sono fin troppo riconoscibili. Regolalo per la misura del tua testa.” Bill ubbidì.

“Allora, passo un po’ più inosservato?” chiese alla fine del piccolo makeover.

I due interlocutori scossero la testa “Vabbè, grazie lo stesso.”

“Non preoccuparti tu scendi ed incamminati con Diane, dall’altra parte della strada che c’è meno gente, mentre io e Gustav faremo il più casino possibile. Vedo che ci sono delle ragazzine nel lato opposto, speriamo che siano nostre fan e comincino a fare un botto assordante tanto da richiamare l’attenzione su noi due.”

Bill annuì ma prima di defilarsela restò a guardarli con un’imprecisata paura che lo percosse momentaneamente.

“Andiamo!” lo chiamò Diane quasi saltellando sulle punte dei piedi.

“Ti raggiungeremo prima possibile, Bill.” Lo rassicurò Tom comprendendo perfettamente cosa lo stesse facendo indugiare “Vai da lei. Ne hai bisogno, proprio come una pillola per il mal di stomaco.”

Sentitosi dire quelle parole Bill uscì dal minivan e con Diane camminò furtivamente verso il lato opposto rispetto alla macchina, sfilando tra le vetture ancora bloccate in quel ingorgo confuso. Una volta sul marciapiede videro che l’auto aveva parcheggiato e da lì erano scesi Tom, Gustav e Sven (già pompato per l’eventuale aggressione di fan).

Appena qualche minuto passato semplicemente di fronte ad una vetrina di un negozio ed una serie di urletti eccitati esplosero nell’aria “Oddiooo! Ma quelli sono Tom e Gustav! Aah! I Tokio Hotel!”.

Grazie al cielo abboccarono alla trappola e in men che non si dica tutto un vociare e un svolazzare di sguardi diedero la loro attenzione al duo. Bill si appuntò mentalmente che avrebbe dovuto a tutti dei regali extra per il seguente Natale. Soprattutto a Tom che fin da quella lontana posizione appariva del tutto incapace di stare in piedi sui suoi tacchi (oltre che essere assolutamente inguardabile). Afferrò per mano Diane e la incitò a guidarlo.

Camminarono speditamente per metri e metri stando ben attenti a non farsi notare troppo, senza una guardia del corpo e nell’eventualità che venisse riconosciuto, si sarebbero ritrovati in grossi guai.

Bill passò quel lungo tempo che lo divideva da Lyric con la sensazione di essersi estraniato ad un livello a metà tra la coscienza e la non coscienza. C’era silenzio in lui e doveva essere impossibile, essendo circondato dal chiasso della gente e dai frastuoni  onnipresenti di una città vivida come Milano, eppure non udiva nient’altro che lo sforzo dei suoi muscoli, l’armoniosa sequenza dei suoi respiri sempre più in rapida successione, e il pestare della suola di gomma contro i mattoni di pietra.

C’era silenzio attonito nella sua testa, troppo perduta nell’imminenza dell’incontro che doveva avvenire. Quello era il suono dell’attesa: un piccolo riguardo verso la sua anima che se stesso gli concedeva in dono per aiutarlo.

Soltanto ai piedi di un gigantesco arco che si affacciava in una galleria si accorse che al suo fianco Diane annaspava, stanchissima, senza un filo di fiato.

Bill non si era accorto di averla trascinata in una corsa quasi forsennata per gli ultimi venti metri.

Lui invece non sentiva niente, ne la stanchezza ne il fiatone, eppure non era mai stato un atleta, tutt’altro.

“Diane, ce la fai?” la ragazza scosse la testa e si riprese la sua mano, fino a quel momento bloccata in quella di lui, mentre si accasciava a terra con il sedere “Non pensare a me. Tu vai, sempre dritto, esci dalla galleria commerciale e poi ti ritroverai subito di fronte la piazza della Scala. Non ti puoi sbagliare, è piccola e circolare ed al centro c’è una statua di Leonardo da Vinci con attorno una serie di panchine di pietra e delle aiuole di rose. Lyric è là! Vai!” Gli ordinò indicandogli con un dito la direzione da prendere.

Bill non se lo fece dire due volte e tornò a correre, più follemente di prima, con la decisione suicida di perdere l’uso dei propri polmoni e di procurarsi carne greve da lì fino al termine delle ere pur di non fermarsi prima di averla vista.

E così fece, sforzando ad ogni costo i suoi limiti.

Alla fine era rimasto da solo in quell’assurdo inseguimento e trovava quella coincidenza un disegno particolarmente ironico del destino. Da quando l’aveva incontrata la prima volta, quel pomeriggio di ottobre, rannicchiata contro un muro Bill non aveva difatti fatto altro che inseguirla. Era successo anche quando erano diventati amici, sotto una pioggia incessante di Novembre, ed anche quando si erano messi insieme durante la prima nevicata dell’anno. Pure il giorno del loro addio, quando si erano lasciati, l’aveva seguita col fiatone fino all’aeroporto.

Bill l’aveva sempre rincorsa e quella era semplicemente l’ennesima volta che combatteva contro il tempo per non perderla. Doveva essere per forza il suo fato quello di morire, fisicamente ed interiormente, per afferrare una volta di più quella sfuggente creatura di cui si era innamorato.

Ma andava bene anche così: l’amore che provava per Lyric, l’unico che avesse mai nutrito così cecamente senza mai vederlo appassire di energia un singolo giorno, doveva ovviamente essere pagato con qualcosa dal medesimo valore.

Se stesso, ovviamente, era il prezzo minimo.

Superò l’uscita della galleria indenne e senza che nessuno lo avesse riconosciuto. Come gli aveva detto Diane si era ritrovato immediatamente davanti ad un piazzale circolare, al cui centro dominava un’alta statua dall’aspetto antico circondata da panchine di pietra e aiuole verdeggianti di rose.

Rallentò di poco il passo, girovagando con lo sguardo alla ricerca di colei che stava cercando.

Non la vedeva ed ebbe paura di essere arrivato troppo tardi. Appena girato l’angolo e liberatasi la visuale però la vide.

Quando accade il mondo divenne un vago rumore indistinto e in lui paura e felicità iniziarono a dimenarsi facendolo sentire sconquassato. La sforzo fatto decise di fargli infine visita e per poco non venne colto da un capogiro così forte da farlo stramazzare al suolo.

Ora si che faticava a respirare eppure era ormai fermo, a due metri da lei.

“Lyric!” la chiamò tirando fuori dalla gola una voce dal suono così strano ed impalpabile, come se per poco non avesse voluto crederci che si stava proprio rivolgendo alla Lyric di carne e sangue.

Lei, che fino a quel momento aveva tenuto gli occhi abbassati e le spalle incurvate per chiudersi in se stessa, sussultò da dove era seduta sentendosi chiamare da Bill. Non avrebbe potuto confonderlo con nessuno altro.

“Va bene anche essere codardi. Va bene anche essere vigliacchi.” Si sentì dire da Kathleyn, rimasta fino a quel momento al suo fianco, prima che questa si allontanasse dalla scena. Lyric pensò che la sua amica le avesse appena accordato il perdono anticipato per i suoi peccati. Accettò quella assoluzione perché non c’erano più ragioni capaci di combattere per lei. Ormai cos’altro poteva fare per sfuggire a Bill?

Niente, perché andava bene cedere alla sconfitta ogni tanto. Ti ricordava di essere umano e ridimensionava l’arroganza con cui credevi di poter sconfiggere te stessa.

Alzò lo sguardo e nel momento in cui incrociò finalmente quello di Bill seppe che la debolezza infondo la stava rendendo molto più felice della forza.

E tutto si sospese.

La luce variegata d’arancio sembrò quasi abbracciarli entrambi, consolandoli come due piccoli bambini che si erano appena risvegliati da un lungo, orrendo, torpore senza sogni.

E tutto divenne vivido.

Era davvero impressionante la quantità di emozioni che poteva colpire contemporaneamente due persone con un semplice contato di sguardi. Naturalmente per loro c’era molto di più che semplice emozione.

Perché ogni cosa esistente prese ad avere senso soltanto in quel momento, il significato stesso della loro vita risiedeva in quello stare nello stesso luogo, uno davanti all’altro.

Infondo Bill aveva sempre cercato Lyric e Lyric aveva sempre cercato Bill. 

Loro si erano desiderati fin dal primo istante in cui erano conosciuti e questo perché esistono certe cose, certe attrazioni, che vanno di gran lunga al di là di ciò che era comprensibile ai più. Di sola mente non si può vivere e deve per forza esserci l’amore a spezzare la monotonia di una canzone ripetitiva.

Bill prese infine un po’ di coraggio e andò a sedersi al suo fianco, con movenza lenta e un po’ impacciata, di certo piuttosto intimorita e Lyric lo seguì passo per passo finché non se lo ritrovò gomito a gomito. Le venne voglia di fuggire spaventata e urlante ma allontanarsi veramente l’avrebbe di certo uccisa dopo poco.

Bill era lì e poteva toccarlo, questa volta, lasciarsi sfuggire una simile possibilità sarebbe stato peggio che essere condannata alle pene più dolorose dell’inferno. Anzi a dir la verità, per quell’occasione, pochi istanti prima avrebbe barattato la sua anima con Lucifero in persona.

E adesso, cosa potevano dirsi che valesse più di quel momento prezioso? C’erano forse parole tanto urgenti da poter spezzare a ragione quel silenzio già di per sé perfetto? Magari tra qualche eternità, quando entrambi sarebbero stati costretti a tornare dall’altra parte del muro, là dove c’era il resto dell’universo.

Ora, invece, ogni minimo sussurro sarebbe stato di troppo e forse anche ingombrante.

Lyric si permise un gesto che avrebbe giustificato dopo, forse, ma che al momento non avrebbe potuto bloccare più di tanto. Le stava davvero piacendo un mondo perdere tutte le battaglie.

La rendeva davvero felice.

E prima che Bill potesse rifiutarsi o fermarla Lyric allungò le mani e il corpo seguì a ruota il movimento delle braccia. Bill se la ritrovò così seduta sulle proprie gambe, il volto contro il collo e le labbra che languidamente indugiavano a pochi centimetri dalla pelle di questo senza particolare sensibilità alla sua estrema percezione, mentre il resto di lei si stringeva contro di lui alla ricerca di un abbraccio.

Fu semplice ricambiarla, istintivo ed immediato.

Se l’avvolse tra le braccia fino a che non sentì il cuore di lei battere contro il proprio petto.

Il profumo della sua pelle, la consistenza delle sue forme e il tepore del suo calore li ritrovò tutti quanti in quell’unione di corpi. Bill poté quasi giurare di aver sentito la sua anima prendere un meraviglioso respiro d’aria fresca mentre se la cullava addosso e tutto se stesso si crogiolava nella felicità di due parole soltanto “È qui.”

 

_________________________________

 

E quasi mi commuovo da sola al pensiero di aver finito.

Non ho molto da dire perché è tutto scritto in questo capitolo, da me partorito con estrema fatica a causa di tantissimi impegni e poco tempo. Questo è il mio ultimo anno di superiori e alla fine dell’arcobaleno ci sarà la maturità per cui comprendete voi stessi l’ardua impresa di avere tempo ed energie per scrivere.

Però ci ho messo tutto il mio impegno e ciò che ho prodotto, personalmente, si soddisfa a pieno.

Spero che sia così anche per voi.

Magari non avrò neanche più un lettore vista l’attesa eterna che avete dovuto patire, mi scuso ancora con tutto il cuore.

Lasciate un commento, lungo per favore, perché dopo così tanto tempo ci vuole una risposta chilometrica ad un capitolo chilometrico. Mi scuso per la lunghezza ma più di tanto non ho voluto tagliare le scene e ridimensionarle ma va bene così, almeno avrete qualcosa che ripagherà l’attesa.

xD

Cos’altro dire, ho fatto del mio meglio e spero mi onorerete di un commentino o di un messaggio di apprezzamento.

Buona lettura, dalla vostra ritardataria Gillian.

Un bacio!

Ah! Ascoltate “World behind my Wall” versione acustica mentre leggete l’ultima parte. La melodia e le parole creano un ottima atmosfera e la voce di Bill accompagna, fantasticamente a mio parere, la corse forsennata del Bill della mia storia verso la fatidica piazza.

Inoltre ho scritto l’ultima scena usando proprio questa canzone come fonte di ispirazione. A chi credeva che ci sarebbe stata una svolta totale chiedo perdono ma non è nella mia natura fare tutto velocemente. Ogni cosa ha i suoi tempi.

Grazie a Sara (quella di Roma!) per il sostegno e grazie a tutti quelli che si sono interessati a questa storia.

Passiamo altro tempo assieme, d’accordo? ps: mi scuso per i primi due paragrafi con senza interlinea. Non è stata una scelta stilistica la mia ma quando ho incollato il codice htlm è uscito fuori così alla fine, ma si legge in ogni caso quindi spero che mi perdonerete. xD Cercherò di sistemarlo quanto prima.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15: Breath ***



Capitolo 15
Breath
 

 
 
 
Galleggiava o almeno era ciò che credeva.
Il suo corpo era sospeso da terra e percepiva che delle braccia la tenevano stretta.
Chi la stava portando in braccio? Era qualcuno che aveva un buon odore, famigliare.
Sapeva di fresco e penetrante, un profumo piacevole che le ricordava Bill. Ma quell’odore non apparteneva a lui. La pelle di Bill aveva un sapore diverso, era una fragranza più avvolgente e calda.  La persona che la stava trasportando non era lui, ne era certa.
Si rese conto di sentirsi intontita, come se fosse stata a mollo in una nebbia densa come l’acqua fredda. Forse aveva perso coscienza e solo adesso stava emergendo fuori, poteva darsi che il suo fisico avesse deciso di staccare la spina qualche minuto prima.
Probabile, nei momenti peggiori quel suo corpo debole e imperfetto prendeva il comando e cedeva. Sicuramente testa e corpo avevano stretto un accordo e avevano deciso di sedarla. Quasi per certo il suo inutile cuore malato non li aveva persuasi del contrario. Ed eccola lì, inconsapevole tra le braccia di qualcuno.
Ad un certo punto smise di ondeggiare nel vuoto e quelle braccia la posarono delicatamente su qualcosa di morbido. Trovò così la forza di alzare le palpebre e per quel che riuscì a scorgere Lyric riconobbe due occhi nocciola,  i quali la stavano penetrando da parte a parte con serietà e una punta di odio per nulla celato.
Se in quegli anni non era cambiato Tom non l'aveva ancora perdonata, forse non l'avrebbe mai fatto. Lui portava rancore a chiunque facesse del male a Bill e Lyric non pretendeva di certo di essere stata l'eccezione, anzi, lei si era macchiata di una colpa molto grave. Aveva tradito la loro promessa.
Lyric aprì la bocca per dire qualcosa, ma la voce le morì in gola. Cosa poteva dirgli?
Non avrebbe mai ascoltato, non avrebbe mai accettato nessuna giustificazione. 
Le bastò spostare di poco la visuale per incontrare lo stesso colore in un altro paio di occhi e ritrovare Bill le diede sollievo. Se non fosse stato troppo avventato si sarebbe concessa di sorridere, ma aveva già commesso l'azzardo di quel abbraccio ed ora, invece, doveva essere cauta.
L'attenzione di Tom schizzò velocemente da lei a suo fratello.
Mentre trasportava Lyric in braccio, guidato dall'amica di lei lungo il corridoio del Fours Seasons, Bill c'era sempre stato. Era rimasto al suo lato, lo sguardo che continuamente passava da lui e lei, indeciso per chi preoccuparsi di più: se del fratello arrabbiato che sosteneva tra le braccia la fonte della sua rabbia o se della ragazza priva di sensi che aveva appena ritrovato.
“Che situazione di merda!”  pensò Tom.
“Ho perso i sensi?” domandò Lyric dopo qualche minuto di silenzio di troppo. Almeno quando era svenuta tutta quella cappa d'imbarazzo e di contrito mutismo non l'aveva dovuta subire. 
“Sì. Avevamo appena parcheggiato le auto nel garage privato dell'hotel e nel momento in cui sei scesa dalla nostra macchina mi sei crollata tra le braccia.” rispose Kathleyn, sbucando da un angolo. Teneva la cornetta del telefono in mano.
“Non dirmi che vorresti chiamare un dottore.”
“Non dovrei?”
“No, non dovresti.” la riprese con tono molto severo “Sto benissimo. Deve essere stato solo un capogiro causato dal caldo o un calo di pressione improvviso.” Non era vero. Aveva perso i sensi perché la prospettiva dell'imminente colloquio con Bill l'aveva terrorizzata. Lo stretto contatto che avevano mente instabile e corpo debole poi aveva fatto il resto.
Kat posò giù la cornetta per niente rassicurata “Se è ciò che vuoi.”
Tom fece l'indifferente e girò le spalle ad entrambe “Vado ad intercettare Gustav.” disse e si incamminò verso la porta con le mani in tasca e lo sguardo basso. Bill gli sfiorò il braccio “Me la caverò.” gli sussurrò veloce.
Il gemello annuì in sua direzione “Vieni rossa?”
Kathleyn non lo azzannò con una risposta carica di astio per cortesia nei confronti di Lyric, non era la situazione migliore per lasciare sfogo ai propri bisogni di prendersela finalmente con un Kaulitz.
Scoccò un'occhiataccia a Bill prima di seguire Tom, il quale rapidamente era scivolato oltre la porta. Rimasero soli l'uno con l'altro, ancora una volta.
Era davvero sorprendente quanto potesse pesare l'intimità, soprattutto quando ironicamente era stata a lungo un'aspirazione mentre, ora, aveva un che di incombente ed estremamente serio. C'era del surreale in tutto ciò che stava accadendo e Bill non era del tutto sicuro di avere la lucidità sufficiente per affrontarla.
“Siediti, per piacere.” Lyric parlò per prima “Se continuerai a restare in piedi e fissarmi in quella maniera mi innervosirai parecchio.” Naturalmente a Bill non piacque il modo aggressivo in cui lo disse.
“Sei già più che nervosa se non lo hai notato e non credo che cambierà molto se soddisfo o meno la tua richiesta adesso.”
“Da quando sei diventato così maleducato da rispondermi in maniera tanto scortese?”
“Ti sto trattando esattamente come vorresti che ti trattassi.” sapeva quello che stava cercando di fare, ma non avrebbe fatto il suo gioco o almeno, se ci fosse cascato, lo avrebbe fatto per sua scelta spontanea.
“Non dire stupidaggini!”
“Non le sto dicendo. Mi tratti male così che io ti tratti male a mia volta. Vuoi pararti le spalle e portare le responsabilità delle mie eventuali escandescenze solo su di me.” la ragazza restò a fissarlo a bocca serrata dalla tensione, l'inaspettata sorpresa di quella risposta così sagace che lampeggiava nel suo sguardo.
Era impreparata al fatto che Bill sapesse ancora capirla. Era un fatto spaventoso.
Non si sentiva in grado di alzarsi dal letto su cui l'avevano adagiata e restare in quella posizione inerme di fronte a lui l'agitava. Sentiva qualcosa di grave che le appesantiva la sterno e la faceva desiderare di allontanare Bill immediatamente. E adesso cosa poteva essere? Cosa era quella sensazione che mulinava dentro di sé con tanta foga?
“Lyric, ascoltami.” Cercò di apparire calma, ma quando il corpo di Bill fece cenno di avvicinarsi lei si mosse istintivamente nella direzione opposta. Si stava spaventando.
Non era più abituata da tempo alla sua voce, riascoltare poi il suo nome pronunciato con tanta naturalezza dalle labbra di Bill la faceva sentire stranita. Non era cambiato niente neanche per lui?
“Lyric, ascoltami.” Ripeté, paziente. 
Era davvero una situazione spaventosa, sembrava davvero che il tempo non fosse minimamente passato.
Perché si parlavano con tanta disinvoltura? Perché litigavano con sarcasmo e punte di aggressività? Perché si cercavano inconsciamente come avevano sempre fatto? Davvero non era cambiato nulla?
Impossibile o come minimo improbabile.
Lyric lo vide sedersi sulla sponda del letto dove si trovava lei, a qualche centimetro di distanza dal suo fianco.
“Non ti nascondo la rabbia che provo in questo momento. Ne ho provata parecchia, per parecchio tempo, ma non concluderò niente se mi lascerò trasportare da essa come un’idiota. Quindi proverò ad essere paziente e non far precipitare nel disastro ogni cosa. Proverò a non essere stupido quando si tratta di te.”
Bill continuò a guardare in direzione totalmente opposta a quella dove era lei e ciò fu un bene.
Il cuore le si contrasse in un battito un po' più profondo del normale e subito dopo si rilassò in un susseguirsi di palpiti più rapidi del consueto.
“Vorrei che non ti agitassi, adesso.”
“Non mi sto agitando.” mentì Lyric.
“Sì, invece.” Bill le diede una rapida sbirciatina e constatò che si era messa a fissare il soffitto con estremo interesse “Prima, quando hai sciolto il nostro abbraccio, sei praticamente saltata in piedi come se avessi avuto una bomba sotto ai piedi e ti sei messa ad arrancare con lo sguardo in tutte le direzioni possibili pur di non dovermi focalizzare. Eri già nel panico in quel momento.”
Li aveva riportati entrambi sulla Terra in un attimo solo e aveva riportato a galla in pochi secondi tutte le questioni irrisolte che esistevano tra loro, lei aveva deciso di ripristinare le loro distanze. Il che non gli aveva fatto piacere, ma aveva accettato di dover riprendere in mano la realtà delle cose.
Lui e Lyric erano persone vere e solitamente le persone non risolvevano tutto in una volta soltanto, ci voleva un'infinità di tempo e una quantità enorme di parole per chiarirsi. Ci voleva una pazienza sconfinata per rammendare gli strappi e persino loro non erano immuni da questo.
“Tu invece sembri così controllato e contenuto.” lo accusò sarcastica “Ti stai trattenendo parecchio, vero?”
“Con tutta la volontà di cui sono capace se vuoi saperlo.” ammise, sincero.
Non la stava aiutando per niente con tutta quella accondiscendenza, stava rendendo sempre più spaventoso ogni attimo che passava e questo perché non voleva che la trattasse con premura, non doveva essere capace di comprenderla così bene. Si sentiva così vulnerabile. 
Lyric si coprì la faccia con il braccio sinistro, ma anche nel buio di quella cecità imposta lo vedeva, lo sentiva, lì a fianco.
Era una presenza solida fatta di fuoco rovente, Bill era lì.
“Vuoi che ti dica che hai ragione? Sì, sono completamente scombussolata dalla tua presenza e vorrei tanto che non fossi comparso perché così avrei mantenuto la mia serenità.”
“Lo stai facendo ancora una volta” Bill rise un poco, amaramente. “Non ostinarti a fare la dura, per favore. Non provocarmi per forza.”
“Lo preferirei a questo tuo atteggiamento da contenuta persona matura!” le uscì senza potersi controllare “Preferirei che mi attaccassi, che urlassi qualcosa con tutta quella bella collera di cui sei capace quando sei davvero infuriato. In quel caso saprei cosa fare, saprei come comportarmi. Invece, se fai il bravo ragazzo comprensivo, io non posso difendermi.” faticava a tenere il fiato al passo con le sue parole.
“Stupido corpo!”  pensò lei impotente.  
Bill ebbe il coraggio di sfiorarle la mano libera con la punta delle dita “Ora smettila di dire idiozie. Calmati, sei già svenuta prima per la troppa agitazione e non voglio che ricapiti ancora. Mi sono già preoccupato abbastanza per te.”
Era davvero spaventoso che lui parlasse in quel modo. Non doveva essere così naturale il modo in cui toccasse gli argomenti giusti, non poteva comprendere così bene le sue reazioni.
Sentì la mano di Bill avanzare sopra la sua finché non la circondò in un muro di calore. Lyric pensò che era leggermente sudata prima di rendersi conto di quello che stava facendo. Da sotto il braccio le palpebre si spalancarono.
“Lyric, respira.” le disse con quella sua voce consolatrice che tanto aveva rievocato in quei mesi “Sono nella tua stessa condizione se vuoi saperlo, ma voglio prendermi cura di te per quanto mi è possibile, quindi se vuoi possiamo respirare assieme. Con calma, un respiro alla volta, prendiamoci un po' di fiato.”
Inspirò aria e Bill la seguì. Presero fiato assieme e da lì avrebbero ricominciato.
 

***

 
Bill stava in perfetto, inviolato, silenzio da quando erano usciti dalla suite di Lyric.
Quei due erano rimasti da soli la bellezza di un'ora intera prima che quella porta sputasse fuori il fratello e nell'arco di quell'attesa spasmodica Tom si era chiesto ripetutamente come il gemello avrebbe reagito.
Cosa si erano detti di così tanto terribile da gettarlo in quello stato ammansito e silente?
Per giunta, ora, Bill si era concentrato ad osservare la propria mano destra come se vi avesse appena scoperto al suo interno qualcosa di speciale che si era però già dissolto. Stava riflettendo, lo intuiva dall'increspatura delle sue labbra, ma sapeva che non doveva inchiodarlo in un interrogatorio, non avrebbe ottenuto molta collaborazione.
“Smettila di guardarmi come se stessi per gonfiarmi e scoppiare.” gli disse Bill che abbandonò la propria mano sopra al ginocchio.
“Ok.” E così Tom si concentrò sulla testa di Gustav, seduto sul sedile di fronte, il quale a dispetto di lui aveva mantenuto un'aria estremamente controllata e serena.
Gustav era permaloso e terribilmente pedante quando era nei suoi momenti peggiori, ma non perdeva mai il senso di ciò che era giusto e corretto. Tom invece era incapace di controllarsi e molto spesso agiva prima di pensare, sbagliando così il novanta percento delle volte. Quanto tempo ancora sarebbe dovuto passare prima che ricevesse un minimo di spiegazioni riguardo al colloquio con lei?
“Senza apparire indelicato potremmo chiederti come è andata con Lyric?” domandò Gustav con tono neutrale “Molto probabilmente Tom salterà giù dalla macchina in corsa se non accennerai a dare qualche informazione e non ci servono altri problemi. Avremmo già da spiegare un mucchio di cose a David e Benjamin.”
“È andata bene.” iniziò Bill pacato “È stato un colloquio particolare.”
“In che senso?” scattò Tom, desideroso di avere più dettagli.
“Ci siamo detti il minimo indispensabile prima di lasciarci.”
“Minimo indispensabile? Siete rimasti rinchiusi in quella camera per un'ora! È impossibile che vi siate messi a fare il gioco del silenzio.”
“Qualcosa del genere, effettivamente.”
Gustav attese che proseguisse mentre Tom si trattenne a stento dal fremere.
“Entrambi non eravamo nelle condizioni per affrontare un discorso serio così all'improvviso, per questo siamo rimasti distesi sul letto a guardare il soffitto finché non ho convenuto che fosse l'ora di andare.”
Bill fece un inaspettato sorriso “Sapete una cosa? I soffitti del Four Seasons hanno davvero delle bellissime rifiniture color panna.”
Gustav ridacchiò “Ottimo risultato direi, potremmo dire a Georg che abbiamo ottenuto qualcosa di interessante da questa nostra fuga. Io invece ho trovato che il panorama dalla terrazza fosse piuttosto piacevole, ma il giardino del Bulgari è imbattibile. È difficile decidere quale dei due sia il più bello.”
“Tieni conto dei gusti personali.” aggiunse Bill, cominciando a parlare rapidamente “Il Four Sesons ha uno stile che rispecchia il gusto di Lyric per le cose vissute e l'eleganza classica mentre il Bulgari ha quell'aria di moderno tipica del lusso attuale. Dipende tutto da ciò che ti da più piacere.”
Tom si stupì che il discorso fosse caduto in quella direzione, ma si tenne per sé i propri pensieri. Gustav sembrava certo di quello che stava facendo e magari quello che diceva aveva un senso.
“Ho pensato anche io che il luogo fosse molto da Lyric, per quanto posso ricordare ha sempre avuto quello stile sofisticato.”
“Già, sembra che non abbia perso quell'aura da signorina di buona famiglia...”
Bill si mise a guardare di nuovo la sua mano destra “Sembra che non sia affatto cambiata. Neanche di una virgola: è sempre la solita che reagisce svenendo o andando in iperventilazione quando si trova di fronte ad una crisi di panico troppo grande.” perché appena prima che si accartocciasse su se stessa e perdesse l'equilibrio aveva visto le ombre del panico nel suo volto troppo pallido “È sempre la stessa che per difendersi attacca con parole dure ed osserva un atteggiamento freddo e schivo.” ripensò a come fosse stato stupefacente ritrovare quel suo comportamento così tipico di quando erano stati insieme e di come, in cuor suo, ciò gli avesse fatto piacere “È sempre la stessa che non me la vuole mai dare vinta e se me lo concede lo fa senza ammettere apertamente che in qualcosa avevo ragione. La stessa che combatte per cavarsela da sola, la stessa che si nasconde....”
Sia Tom e Gustav, in quelle parole, poterono perfettamente ascoltare la corrente frenetica delle riflessioni che si erano messe in moto. Carpirono entrambi la paura, come un suono di sottofondo un po' sordo, ma udibile ad un più attento ascolto, e parallelamente a questa c'era un pizzico di speranza euforica, una voce in primo piano anche se trattenuta per non farsi notare troppo.
“Ragazzi credo di dovervi chiedere ancora un favore.”
“Io di tacchi non ne indosserò più” proruppe Tom “E non avrei la cattiveria di sottoporre Gustav ad una tortura del genere. Gli voglio troppo bene.”
“Grazie Tom. È bello sapere che un amico ti voglia proteggere da certe esperienze.”
“Non scherzerei tanto se fossi in te. Ti assicuro che restare in piedi con quei trampoli è improponibile per un uomo. Bill ci riesce solo perché è un caso a parte.”
“Non fare tante polemiche per appena otto centimetri di tacco! Il tuo problema è che non sei provvisto del benché minimo portamento e comunque stavo per dirvi una cosa seria.”
“E sarebbe l'ora! Sono più di venti minuti che aspetto che tu dica qualcosa di serio!”
“Se stessi zitto Bill potrebbe dire ciò che gli preme e tu potresti ascoltare ciò che vorresti sapere quindi per i prossimi dieci minuti ci faresti il favore di tagliarti la lingua? Grazie anticipato.” 
Tom ingoiò stizzito il suggerimento di Gustav e serrò la bocca mentre Bill convenne mentalmente di doversi comportare con più gentilezza con il fratello, dopotutto lo stava aiutando e lui, accecato come sempre dai propri interessi, non stava prestando attenzione a ciò che provava Tom. Si sarebbe scusato appena fossero stati soli.
“Io e Lyric abbiamo deciso di vederci domani.” annunciò quel “minimo indispensabile”  di cui aveva accennato prima “Le ho detto che avremmo potuto passare il giorno assieme e parlare con calma, se lo voleva. Che saremmo potuti andare da qualche parte a Milano. Le ho detto che con la notte avremmo potuto pensare a cosa dirci e lasciare passare un poco dell'imbarazzo che ci ha colto oggi. Non so se sarò veramente preparato, ma credo di aver preso la decisione più sensata.”
Sia Tom e Gustav colsero il problema che stava dietro il magnifico piano di Bill “E come pensi di convincere Dave a mollarti, libero, per Milano con una ragazza? Piuttosto ti appenderà ad una porta, legando il tuo cazzo con una catena di ferro, e lasciando poi che il sangue ti anneghi il cervello.”
“Ma che schifo Tom!”
“È quello che ti farà!” esplose il gemello indicandolo con un dito accusatorio.
Bill strattonò l'indice di Tom che ancora lo puntava e lo rivoltò all'indietro con l'intendo di romperglielo “Smettila di dire tutte queste stronzate!”
Tom liberò la presa al suo dito e in risposta spintonò la spalla di Bill “Cosa accidenti ti è andato in corto circuito in quello schifo di testa? Vuoi che ti ribadisca il concetto: David Jost, il nostro manager, non ti permetterà di andare a zonzo per una città straniera assieme alla tua ex-fidanzata, con la probabilità che dei paparazzi ti scovino!”
“Lo so! Finiscila di sbraitare cose che so già e per questo che vi sto chiedendo un ultimo favore: in qualche modo dovete aiutarmi a convincerlo.” Bill guardò seriamente suo fratello, supplicandolo in quella maniera per cui Tom non sarebbe mai riuscito a rifiutarsi “Mi sosterrai?”
Per quanto non ci fosse niente di ragionevole in quella sua richiesta negare al gemello l'appoggio per qualcosa di così importante era al di là delle sue capacità. Se Bill fosse stato al suo posto, di certo, avrebbe già accettato.
Infondo rendere felice Bill era sempre stata la prima scelta di ogni suo gesto da quando aveva memoria.
Sbuffò tanto per fare scena “Sì, gigantesco idiota. Ma partiamo svantaggiati visto che siamo di ritorno come colpevoli.”
“E tu cosa ne dici Gustav?”
“Dico che si può fare.” fu la risposta “Se vi fidate di me ne usciremo più o meno indenni.”
“Perché appari così ottimista?” domandò Tom.
“Perché a differenza di voi Kaulitz tendo a non fare il tragico a priori.” Gustav tirò fuori il proprio cellulare “Prima di tutto avvertiamo Georg che stiamo tornando a casa e gli spieghiamo cosa è successo e cosa faremo.”
“E cosa faremo?” chiese Bill innocente.  
“Nulla di particolare, diremo la verità a David e Benji.”
“E ti pare che basterà?” Tom espresse lo scetticismo suo e di Bill.
“Sì, certo. Ti ho detto che dovete avere fiducia in me. Faremo una bella riunione straordinaria tutti e sei insieme e discuteremo come persone civili, per quanto ci sarà possibile. Ciò che è importante è che ci vedano tutti uniti e decisi, dobbiamo mostrare fin da subito una bella coesione di gruppo.”
“Coesione di gruppo?” Tom aggrottò la fronte “E che cavolo significa?”
“Che tu dovrai tenere la bocca chiusa e parlare solo se interpellato.” rispose Gustav portandosi il telefono all'orecchio “Al resto ci pensiamo io, Bill e Georg. Ora fai silenzio.”
“Ma...” Bill gli diede una manata contro l'addome “Ahi!”
“Fai come ha detto Gustav. Ho il sospetto che sappia davvero cosa fare.” non avrebbe mai scommesso che un giorno Bill avrebbe dato manforte ad un ordine di Gustav. Spesso quei due erano in disaccordo su molti punti e quando eccedevano nelle loro singole testardaggini finivano per tirare in piedi litigate impressionanti quindi Tom fu colpito per quel improvviso accordo concesso da Bill.
Era disposto a tutto pur di vedere Lyric, persino ubbidire a Gustav.
Da lì a meno di venti minuti i Tokio Hotel si ritrovarono tutti seduti attorno ad un tavolo con i signori Jost ed Ebel.
Il batterista spiegò con parole semplici e a grandi linee il perché della loro fuga. Rivelò ai due manager le difficoltà di Bill e di come queste lo stavano ostacolando nel rendimento professionale e nella sfera privata da qualche tempo, aggiunse poi le intenzioni di lui per il giorno seguente.
In quel modo consentì all'amico di alleggerire il peso delle spiegazioni da dare di persona.
“Avresti potuto dirci che quella vecchia storia era tornata a crearti questi problemi.” disse Benjamin con fare particolarmente comprensivo “Piuttosto che scappare come dei criminali e lasciare Georg a pararvi le spalle avreste potuto semplicemente dircelo.” tra i due manager sembrava quello più incline ad un trattamento moderato mentre David non celava per niente il suo disappunto “In qualche modo avremmo trovato una soluzione per consentirti di fare quello che volevi.”
“Invece avete fatto di testa vostra e ci ritroviamo con un avvistamento di Tom e Gustav nel pieno centro di Milano documentato per di più dai fotografi, perché ovviamente eravate troppo impegnati per accorgervi che i paparazzi vi stavano dietro. Siete stati fortunati che Sven se ne sia accorto e li abbia seminati prima di ricongiungervi con Bill.” David appariva davvero adirato “Ho sorvolato sulla vostra sbronza di gruppo a Barcellona recensita da tutti i giornali scandalistici di mezza Europa e posso farlo anche su voi due...” indicò sia Gustav che Tom “...che venite assaliti dalle fans e su Tom che si mette in ridicolo indossando gli stivali di suo fratello, ma avete la minima idea della tragedia che avete sfiorato?”
Puntò su Bill “Posso comprendere le tue difficoltà, ma renditi conto che sei stato graziato se oggi nessuno ti ha beccato con Lyric Hörderlin! La tua storia con lei è una mina vagante e i Tokio Hotel non hanno bisogno di bombe sotto i piedi al momento.”
“Ora stai esagerando David.” intervenne Georg “Non potete impedirci di avere una vita privata e trovandomi coinvolto in una storia sentimentale so quanto costa mantenere in piedi qualcosa di così delicato in mezzo a questa giostra mediatica. So quanto vi preoccupiate e vogliate, in un certo senso, proteggere i Tokio Hotel da tutte le malelingue e le osservazioni inopportune dei giornali, ma non potete far sentire in colpa Bill se vuole vedere Lyric. Essere i Tokio Hotel non può impedirci di essere Georg, Tom, Gustav o Bill. Siamo persone, non solo i musicisti alle dipendenze del management.”
Erano parole gravose e ne furono coscienti tutti quanti in quella stanza.
“La situazione per te è diversa Georg.” cercò di spiegare Benjamin, ma venne interrotto subito.
“So anche questo.” disse il maggiore dei quattro “Io non sono il frontman e di certo non ho addosso la stessa quantità di riflettori che deve sopportare Bill. La posizione che abbiamo io e Lena è privilegiata perché la nostra privacy riusciamo a mantenerla integra, almeno per adesso, invece Bill verrebbe scoperto subito e Lyric con lui.”
“Tieni conto che dire Helena Schneider non è lo stesso che dire Lyric Hörderlin. I giornalisti tentano da mesi di scoprire l'identità della tua ragazza, ma non ci sono ancora riusciti perché siete stati attenti e cauti e noi vi abbiamo aiutato a coprire il tutto, però Helena è una ragazza qualunque. Lyric invece porta un cognome troppo altisonante in Germania, per non parlare della sua posizione negli stati Uniti. Lo scandalo che ne uscirebbe fuori sarebbe colossale.”
Bill fu stupito che loro due sapessero così tanto della posizione di Lyric e si chiese quando avessero avuto il tempo di raccogliere tutte quelle informazioni “Pensi davvero che non ne sapessimo niente, Bill?”
“Penso che avreste potuto dirmelo che eravate a conoscenza di tutte queste cose Dave. Da quando fate le spie?”
“Siamo stati messi al corrente dalla signora Freia Hörderlin.” spiegò David “Eravate entrambi minorenni all'epoca e i Tokio Hotel stavano appena conquistando successo. La decisione di tenere segreta la vostra relazione fu una scelta ovvia date le premesse e il fatto che voi due avevate preso spontaneamente la stessa decisione ci ha facilitato. Giovani come eravate sareste stati rovinati dall'esposizione pubblica della vostra relazione.” fu difficile non arrabbiarsi, ma Bill volle accettare in buona fede le parole di David, sembrava sincero.
“Resta comunque ipocrita e inappropriato che impediate a Bill di seguire in libertà le sue scelte.” Gustav riportò il discorso sulla questione principale “Lui è adulto, per quanto non lo voglia mai dimostrare, e ricordo che Lyric era fin troppo matura già a quindici anni, non sono degli sprovveduti. Se temete che la nostra immagine possa esserne danneggiata in qualche modo non dovete impensierirvi neanche di questo: i Tokio Hotel siamo ancora noi quattro e in quanto tali non temiamo di vederla rovinata. La serenità di uno di noi ha molto più valore dell'immagine.”
E dopo di lui fu il turno di Bill.
“Sono abbastanza grande da prendermi le responsabilità delle mie azioni e vi posso assicurare che non mi lamenterei. Ne è passato di tempo da quando ero solo un ragazzino inesperto ed innocente che accettava la vostra guida con remissività. Ora sono un uomo e su questioni come la mia vita sentimentale non accetto limiti o costrizioni poste come ordini da parte vostra.”
Sia Ebel che Jost si resero conto che davanti a loro stava avvenendo un vero è proprio atto di ribellione.
“Sarebbe un ultimatum il vostro?” chiese Benji scandagliando singolarmente il viso di ognuno di loro “Tom?” si rivolse alla persona rimasta in un sospettoso silenzio da quando la discussione era incominciata.
Per qualche attimo la faccia del chitarrista fu una maschera di cera impassibile, fissava l'invisibilità oltre le teste dei due manager, ma riprese vita in fretta “Sentite, questi tre filosofi ai miei lati fanno troppi giri di parole quindi io ve lo spiego in modo molto più semplice: Bill domani uscirà con Lyric indipendentemente da ciò che desiderate e noi tre non faremo niente per fermarlo perché ci siamo rotti le palle di averlo attorno così alterato. Ce ne fotte in maniera relativa se verrà scoperto domani o tra qualche settimana, tanto sarebbe tutta pubblicità per il gruppo e il far parlare i media è di certo meglio del loro silenzio. Se volete pensare che sia un ultimatum fate pure, ma a dir la verità non vi stavamo chiedendo il permesso.”
Georg ridacchiò appena e Gustav fu interiormente sollevato.
Tom era di certo restio quanto David e Benji nel lasciarlo andare, ma lo aveva aiutato e ciò non poteva essere altro che un altissimo gesto d'affetto. Bill ne fu enormemente colpito e grato.
David si sentiva esausto ma non gli stavano dando molte alternative “Se per te è così importante allora sei libero di intraprendere questa strada.” disse rassegnato e poi uscì in silenzio senza aggiungere altro. 
“Domani gli sarà già passata.” li rassicurò poco dopo Benji alzandosi a sua volta “Sa quanto me che non sono capricci i vostri. Dopo cena ci metteremo d'accordo per organizzarti l'uscita con più sicurezza.” detto ciò si congedò a sua volta.
Contro le loro più tetre aspettative ce l'avevano fatta senza dover sacrificare le proprie vite sull'altare dei loro manager e ciò era una ragione più che sufficiente per essere felici.
“Vorrei fare una piccola richiesta, Bill.” disse Georg serio.
“Ciò che vuoi.” azzardo l'altro senza pensare. Era talmente in debito che sarebbe stato disposto a fare qualunque cosa, anche la più stupida ed imbarazzante. 
“Ora chiamiamo il servizio in camera e ci facciamo portare la cena con una buona quantità di birra scura e mentre mangiamo mi racconti bene come sono andate le cose.”
“Certo.”
Georg poi sorrise furbescamente, come lo stregato di “Alice nel paese delle meraviglie” di Tim Burton: adorabile e contagioso, ma allo stesso tempo inquietante.
“E poi costringerai Tom a rimettersi i tuoi stivali con il tacco e gli faremo fare un giro di passerella lungo il soggiorno.”
“Uhm...” Bill si strinse le spalle “Se ci tieni tanto a vedere qualcosa di così orrido.”
“Piuttosto ti uccido.” minacciò Tom con gli occhi ridotti a due fessure assassine.
“Ho il diritto di vederti! Io vi ho parato il culo.”
“Para il tuo dal lampadario che ti infilerò per quel buco se proverai a dire ancora qualcosa al riguardo.”
“Dai, Tomi. Glielo devo.” Bill gli fece gli occhi dolci, ma Tom non si fece placare da così poco questa volta.
“Io non devo niente a nessuno. Già l'Europa intera mi riderà dietro quando quelle foto usciranno sui giornali, senza contare quanto mi massacrerà Andreas quando lo verrà a sapere. Non ho intenzione di essere pure il saltimbanco di Georg.”
“Lo sei già. Sei il mio personale buffone di corte portatile e ritraibile.”
“Muori Hagen.”
“Dopo che ti avrò visto con i tacchi.”
Gustav inclinò il capo e guardò il cantante con esasperazione. Bill dalla sua parte restò ad assistere all'ennesimo partita di “Tom&Georg fanno gli stupidi” con una grande sensazione di leggerezza addosso. Erano come sempre gli stessi, irrimediabili, due idioti di cui non sarebbe riuscito a fare a meno più Gustav Schäfer, la persona più complicata che conoscesse dopo di lui e che possedeva la straordinaria capacità di essere generoso come pochi amici lo sarebbero stati mai.
 

***

 
Diane rimescolò il suo espresso, portando così allo scioglimento il fantasma dell'ultimo granello di zucchero, scomposto ormai da chissà quanto tempo.  Kathleyn si era invece cimentata nella decapitazione crudele di una fetta di melone, con tagli netti e precisi, lasciando poi sparpagliati sul piatto delle porzioni informi color arancio. Anche il suo stomaco aveva deciso di scioperare quella mattina e non era previsto nessun ritorno dell'appetito fin tanto che Lyric non parlava a nessuna delle due.
“Quanto manca all'appuntamento con il lampione?” chiese quest’ultima, smettendo di ammazzare la frutta.
Diane rinunciò a sua volta all'ennesima mescolata e sbirciò velocemente l'orologio al proprio polso “Un'ora e mezza, dovremmo andare a controllare che si sia svegliata?”
“Non credo, sicuramente uscirà dalla sua camera a breve.”
“Quando sono andata a riferirle le indicazioni di Gustav avrebbe potuto almeno rispondermi invece di rimanere in silenzio dietro la porta.” difatti non vedevano Lyric da quando Bill e gli altri si erano congedati il pomeriggio scorso.
“È la nostra punizione.” Kat si rivolse verso la porta che dava sul terrazzo, dove si trovavano lei e Diane, aspettando di vederla uscire “Ed è la pena peggiore che potesse imporci. Sarebbe stato meno fastidioso se si fosse scagliata su di noi, come faccio io di solito.”
“Così invece è tutto più straziante. Escluderci, momentaneamente, è davvero una condanna pesante.”
“Già, con il silenzio che si accumula ogni minuto che passa mi chiedo quanto grande possa essere la frattura tra noi e lei. Ho paura che questa volta possiamo aver osato troppo, Diane.”
“Se abbiamo davvero oltrepassato il limite di quello che potevamo permetterci le chiederemo scusa.” disse Diane dopo una pausa di riflessione “Anche se non sentiamo di avere delle reali colpe le chiederemo perdono, lo faremo se è quello che vorrà sentirsi dire. Non ho paura di aver aperto uno strappo, quello potremmo sempre ricucirlo, più che altro sto in ansia perché Lyric ancora una volta vuole fare tutto da sola.”
“È la solita cocciuta. Se le fosse possibile morirebbe da sola piuttosto che appoggiarsi agli altri. Hai notato che fino all'ultimo Lyric non vuole mai pesare sulle nostre spalle? È davvero cocciuta.” Kathleyn si rabbuiò in volto “Ma dalla sera del concerto ho capito, sai? E dopo averla vista avere quella reazione, quando Bill è comparso di fronte a lei, ne sono stata certa.”
“Hai capito che se c’è Bill lei è disposta a far trapelare la sua debolezza?” Kat si morse un labbro per trattenere un verso di fastidio. Fu un particolare modo di dare l'assenso alla sua domanda.
“Se è Bill ad esserle accanto è capace di liberarsi di ogni sua protezione. Hai capito che lui può farle cambiare direzione.” Diane le dedicò un sorriso tenero, comprendendo quanto costasse all'amica ammettere di essere stata surclassata da Kaulitz “E tutto questo perché Lyric nutre una fiducia completa nei suoi confronti e non sto dicendo che non ne nutra per noi, ma è diverso. Bill è l'unico a cui abbia mai concesso il permesso di toccare l'interezza dalla sua persona, nel bene e nel male. Lui riesce a calmare le sue paure più profonde.”
E su di loro scese una consapevolezza che le turbò.
“Saremo con lei qualunque cosa accada.” disse Kat poco dopo e Diane annuì.
“Qualunque cosa accada ad entrambi.” la corresse.
“Ti senti già in colpa Diane?” la canzonò affettuosamente.
“No.” rispose risoluta “Ma se dovesse succedere il peggio, almeno voglio prendermi la responsabilità dell'infelicità di Bill. Infondo lo sto usando per il mio tornaconto personale.”
“Non fare la penitente, questa colpa da ieri possiamo dividercela in due, anzi, contando Alphonse siamo in tre.”
In quel momento dei passi attenuati annunciarono la presenza di qualcuno e simultaneamente si voltarono verso la porta per assistere a Lyric che entrava nel giardino-terrazza.
Uno dei sopranomi con cui erano solite chiamare Lyric era “Sleeping Beuty”, Bella addormentata, ed era un'abitudine che avevano preso da Alphonse. All'origine di questo nomignolo c'era il fatto che  Lyric avesse l'abitudine di protrarre il sonno ben oltre il risveglio.
Difatti quando si svegliava, per carburare e tornare nel mondo dei vivi, ci metteva molto tempo il che le dava un'aria assopita e sperduta per almeno una quarantina di minuti. In quel momento stava interpretando perfettamente il suo alter ego fiabesco.
Se ne stava in piedi in una posa molleggiata, sulla cima dei gradini che collegavano la suite al terrazzo, e aveva i pantaloni del pigiama afflosciati e spiegazzati mentre la t-shirt extra large penzolava dalle spalle scoprendogliene una. Ma più che l'aspetto di uno caduto erroneamente dal letto, a darle l'aria di una addormentata, c'era il suo sguardo. Appariva annebbiato o vacuo, quasi come se la sua mente stesse elaborando la sorprendente scoperta dell'esistenza del mattino. Era buffa, ma allo stesso tempo dava la sensazione che ci fossero centinaia di pensieri in elaborazione, i quali, erano forse la vera causa di quel suo fare così incerto. Sia Diane che Kat trattennero le lingue, nell'attesa di vedere come si sarebbe comportata.
Lyric prese posto a capo tavola senza averle degnate di un'occhiata, non ne furono offese, non prestare attenzione a niente e nessuno era  nel suo modus operandi da bella addormentata nel bosco. La osservarono mentre appoggiava i gomiti sul tavolo, lasciava uscire fuori un rantolo stanco dalla propria gola e successivamente si metteva a scrutare i resti del melone assassinato da Kathleyn.
Dopo un altro piccolo verso e qualche minuto ancora di mutismo parlò, restando comunque a fissare in basso, verso il mosaico decorativo del tavolo “Ho paura.” se ne uscì con voce molto bassa “Ho davvero tanta paura per questo appuntamento ed è tutta colpa vostra.”
Kat accennò ad aprire bocca, ma Diane le mollò un calcio al ginocchio. 
“Ci ho messo tantissimo prima di riuscire ad addormentarmi e non avete idea di quanto mi sia agita nelle lenzuola, il mio letto sembra un campo di battaglia. Ed è tutta colpa vostra.” si strofinò gli occhi e le tempie le si contrassero un poco “Ma dopo ore passate a riflettere su cosa aveste combinato mi sono resa conto che il danno era stato già stato fatto e io non posso far tornare indietro il tempo.”
Le dita delle sue mani si intrecciarono, il viso sempre nascosto “Sono ancora arrabbiata con voi perché, pur comprendendo le vostre intenzioni, non avete idea di cosa avete scatenato. Voi non siete consapevoli di quanto sarà difficile per me, ora che l'ho rivisto, vivere in pace.” le sue palpebre si chiusero.
“Prima di morire mia madre mi fece promettere che avrei fatto di tutto per essere felice e due mesi fa, durante quel guasto all'auto, ho ricordato quelle sue parole. Sono state queste a portarmi qui, avevo dimenticato quel giuramento e sapevo in cuor mio di non averlo rispettato da quando ho lasciato la Germania.” e la sua voce acquisì una nota particolare. C'era rassegnazione e consapevolezza, come se Lyric stesse finalmente obbedendo ad un comando superiore che per troppo tempo aveva contrastato.
“Pensavo di potermi accontentare, pregavo che mi fosse bastato vederlo al concerto, ma mentivo a me stessa ed ora devo fare i conti con ciò che voglio veramente.” finalmente Lyric guardò le sue amiche e mentre faceva ciò un sorriso dalla delicatezza struggente si appropriò del suo volto.
“Ho una paura atroce, ve lo ripeto, ed è perché la mia felicità da parecchio tempo non può coincidere con la sua e questa consapevolezza renderà qualunque mia azione un errore. Non so cosa devo fare, non ho la più pallida idea di come finirà questa storia, ma oggi vorrei lasciare da parte tutti questi dilemmi. Almeno per oggi vorrei solo passare del tempo con Bill.” concluse.
Diane, istintiva com'era, le piombò sulle gambe e la serrò in un abbraccio che non venne rifiutato.
“Facciamolo!” esclamò entusiasta mentre i riccioli biondi coprivano la visuale di Lyric “Io sono sicura che andrà tutto bene!”
Kat rise e sospirò contemporaneamente “Allora iniziamo con il fare colazione e poi pensiamo a darti una sistemata.” e le porse immediatamente il cesto delle brioche.
Lyric, liberata dalla presa d'acciaio di Diane, ne prese una alla marmellata di boschi.
Iniziò a gustarla in silenzio “Sono davvero così brutta oggi?” chiese poco dopo.
“Sei orrida” risposte la rossa e Diane le regalò un altro calcio al ginocchio “Ma è la verità!” protestò.
“Ora è semplicemente trasandata, ma dopo che si sarà lavata e vestita sarà splendida come al solito.”
Ci fu un momento di calma prima che Lyric reagisse a quelle parole sbiancando in volto e lasciando cadere nel piatto la brioche.
“Che c'è?” domandò Diane.
“Non so cosa mettermi.” se ne uscì preoccupata “E mancano meno di quarantacinque minuti all'appuntamento...”
Le due amiche ebbero una voglia incredula di ridere. Non avrebbero mai creduto nella loro vita di poter vedere un giorno Lyric trovarsi in crisi per una questione di vestiario.
Lei sapeva sempre cosa mettersi. Lo sapeva indipendentemente dall'evento, dal tempo, dai casi, ma in quel momento appariva sinceramente incapace di trovare una soluzione a quell'insignificante problema.
“Tu sai sempre cosa metterti.” la sfotté Kat “Cosa ci sarebbe di diverso oggi?”
“Bill non deve avere impressioni sbagliate.”
“Del tipo?”
“Del tipo: questo è un appuntamento romantico.”
“Non lo è?”
“No.”
“Ah, ne sei sicura?”
“Sì.” disse in tono lapidario. 
“Vacci vestita così.” fu allora l'ironico suggerimento di Kathleyn.
Ricevette il terzo calcio della giornata.
Continuando di quel passo si sarebbe dovuta sottoporre ad un intervento di chirurgia ricostruttiva. Se non avesse saputo che Diane era una cintura marrone di karate a Kat sarebbe piaciuto sfidarla ad un sano incontro corpo a corpo, per farle pagare quella violenza gratuita al suo ginocchio, peccato che dietro a quell'immagine innocente c'era un maledetto drago asiatico che sapeva tirare calci alla Bruce Lee.
“Dico sul serio.” scandì Lyric guardandola torva, si portò una mano nella parte bassa dello sterno e tocco da sopra la t-shirt del pigiama la cicatrice rosata reduce dall'operazione che aveva subito mesi addietro, in seguito all'incidente in macchina con Kat.
“A meno che Bill non decida di spogliarti non credo che vedrà quella piccola cicatrice.” l'anticipo Diane cogliendo la sua preoccupazione infondata. Lyric annuì, doveva riprendere il controllo della ragione, e saltò giù della sedia, diretta spedita verso il bagno della sua stanza.
“È così normale!” commentò Diane raggiante una volta che l'amica si fu eclissata “Vero?”
Kat le riservò una mezza smorfia “Non parlare come quel poeta da quattro soldi di Alphonse, non c'è bisogno di stupirsi così tanto.”
“Ah no? Quando l'hai mai vista nella nostra lunga convivenza agitarsi per cosa indossare ad un appuntamento con un ragazzo?” Diane appoggiò il mento sopra alle mani incrociate, i gomiti adagiati sul tavolo, e le regalò un'espressione da schiaffi “Parli proprio tu che hai passato un mese intero per convincere Lyric ad accettare le avances di Lawrence Wright e il mese seguente a lamentarti del fatto che Lyric fosse così incapace di relazionarsi con l'altro sesso in maniera normale. Sei ipocrita.”
Kat non prestò attenzione al commento “Smettila di blaterare e vai a prepararti! Dobbiamo portarla dalla pertica.”
Diane le fece una pernacchia, assottigliando gli occhi in due lame.
“Sul serio, Diane, non gongolare di felicità per queste piccole conquiste. Non è ancora tutto così sicuro, lo sai bene quanto me. Dall'appuntamento di oggi Lyric deciderà il daffare e sono convinta che non mi piacerà per niente quello che finirà per stabilire.”
“Non ti va ancora a genio l'idea che scelga Bill, vero?”
Kat sbuffò “Esatto. Ne hai parlato tu prima, il senso di colpa c'è già e dovremmo affrontarlo. Tutta quello che accadrà da adesso in avanti aggiungerà colpa su colpa e non mi piacerà dovergli chiedere scusa quando Lyric gli dirà la verità.”
“Esistono molti modi di salvare una vita umana.” la solennità con cui Diane lo disse la bloccò nel ribattere “La felicità di Lyric mi è sempre apparsa come la meta da conquistare. La sua serenità e la sua gioia sono ciò di cui ha bisogno e questi elementi sono legati al vivere accanto a lui. So che ti farà venire il latte alle ginocchia quello che sto per dire, ma è la verità: Bill è il solo ed effettivo modo che esista per salvare Lyric. Se, e ricorda che per me quel se non è ancora diventato un quando, lei morirà voglio che lo faccia da persona felice.”
“E Bill? Della sua salvezza che mi dici?”
Diane guardò in direzione dell'interno della suite “A quella ci penserà Lyric. Non devi per forza pensare sempre al peggio. L'equazione per quei due è la stessa.”
Kat borbottò qualcosa tra sé mentre si alzava e sgranchiva la schiena “Aaaah! Non ci capisco assolutamente niente, ma avere fiducia è ciò che sto facendo da quando ho accettato il tuo piano, quindi non farà del male a nessuno se continuo lungo questa condotta.”
Diane le sorrise alzandosi a sua volta “Davvero?”
“Sì, sembra strano dirlo, ma ho fiducia in te e nelle tue idee strampalate.”
“Grazie.”
“Non ho detto che per questo tu sia diventata una persona normale. Resti sempre un nanetto orientale completamente fuso di testa.”
“Quanto sei dolce.” si incamminarono verso le loro stanze “Anche io ho fiducia in te, ma resti sempre la solita spilungona repubblicana ottusa ed intrattabile.”
“Repubblicana?”
“Al mi ha detto che se te lo dicevo ti arrabbiavi.”
“Ho un ragazzo idiota.”
“Bè, te lo sei scelta tu quindi, se fai un conto, tra i due sei tu la più stupida.”
“Sei migliorata con le battute acide.”
“Ho avuto te come maestra.”
 

*** 

 
“Pensi di restare chiuso lì dentro ancora a lungo?”
La risposta fu un prolungato verso di silenzio.
“Non ti starai per caso truccando, vero?” il dubbio era fondato, si parlava sempre di suo fratello  “Non è una buona idea, sai che non devi farti riconoscere per strada.”
Bill ci aveva impiegato giusto qualche secondo per recuperare dei vestiti che non dessero nell’occhio, per i suoi standard ovviamente.  Anche se addosso lui un paio di jeans, la prima t-shirt che aveva trovato in valigia ed una felpa nera non erano garanzia di anonimato. Di truccarsi non si doveva neanche accennare.
“Evita anche di metterti il tuo solito cappellino di lana, quello è segno distintivo di Bill Kaulitz versione casalinga.”
Ancora silenzio, Tom si divertiva un mondo a parlare con nessuno.
“Bill?” sì alzò dal letto e andò a bussare alla porta “Mi devo preoccupare?”
“Ci sono!” Si aspettò che aprisse, ma non accadde. Bill proseguì a starsene nascosto in quel buco di bagno “Dammi qualche minuto, Tom.”
“Ma che diamine stai facendo?” Tom si morse l’interno delle guance.
“Mi sto preparando.” Lo liquidò semplicemente al che Tom capì che non avrebbe ottenuto niente di meglio. 
Bill dal bagno udì il suono di una porta sbattuta con troppa forza.
Sbuffò, finendo contemporaneamente di lavarsi i denti e poi sbatté lo spazzolino dentro il borsellino.
Tornò a fissare il suo riflesso allo specchio: poteva competere per pallore con un cadavere. Non era esattamente l’aspetto con cui aveva pensato di presentarsi a Lyric, ma non c’era tempo per un grande ripristino. Lei era già arrivata, David glielo aveva annunciato dieci minuti prima ed ora lo stava aspettando nella suite di Gustav. Non sarebbe mai stato pronto, neanche se avesse passato anni in quel bagno a cercare di riprendersi un minimo di decenza. Disperato ravvivò con una manata brusca il lungo ciuffo di capelli che gli cadeva sul volto e con una smorfia si fece una linguaccia “Sei orrido.” sentenziò “Inguardabile!”
Uno strato spesso e incatramato di matita nera sarebbe stato più che utile in quel momento, ma come aveva detto Tom poca fa non era la mossa più furba da fare per passare inosservato. Si arrese alla sua catastrofica bruttezza e uscì dal bagno rifiutandosi di guardare un secondo di più il suo volto deturpato dalla stanchezza.
Se solo avesse dormito più di un paio di ore, ma come era prevedibile pensare la notte l’aveva passata insonne, a rotolare sul letto in preda ad un vociare assordante di pensieri.
Raccattò il suo portafoglio e il cellulare dal comodino, poi li infilò entrambi nelle tasche posteriori dei pantaloni. Solitamente non avrebbe potuto farlo con una delle sue paia di jeans skinny, ma quella mattina era tornato ad un paio di Diesel dalle dimensioni più che normali. Seguì il consiglio fraterno e non prese neanche il suo confortante cappellino di lana optando invece per un capello marcato NY che Tom aveva provato a rifilargli perché troppo piccolo per la sua testa.
Sfidava lui a far entrare il capoccione del gemello dentro a quel cappello, improponibile.
Lo avrebbe indossato una volta fuori dall’albergo.
Sì guardò attorno cercando ancora qualcosa che gli fosse utile da portare, ma non c’era niente di indispensabile da trascinarsi dietro. Stava solo tergiversando più che poteva.
“Oh, andiamo!” brontolò esasperato da se stesso “Un po’ di palle Bill! Sii un uomo con le palle!”
Andò verso la porta, ma una volta che la mano fu sulla maniglia si accorse che una cosa indispensabile l’aveva dimenticata eccome: le sue scarpe. Era ancora in pantofole e calzini. Latrò di esasperazione ancora una volta e si diede contro per un altro paio di minuti. Epiteti come ‘deficiente’ e ‘imbecille’ volarono da una parte all’altra della camera ed erano tutti rivolti a lui medesimo.
“Le scarpe, coglione! Stavi per uscire con le pantofole!” il che non lo avrebbe aiutato a passare inosservato, soprattutto perché le sue pantofole erano a forma di cagnolino. Anche Tom ne aveva un paio, le aveva comprate per entrambi qualche mese fa in un mercatino a Los Angeles, in un momento di completa assenza di assennatezza.
Riparato a quell’ultimo inconveniente lasciò finalmente la stanza, con la sensazione sempre presente di non essere assolutamente pronto per quell’appuntamento. Oltre al modo in cui si presentava, che non era il problema maggiore, c’era di fatto la sua impreparazione ad affrontare qualsivoglia discorso con lei.
Non aveva la remota idea di cosa avrebbe detto o su di cosa voleva andare a parare. Passare ore e ore senza dirle niente era sicuramente una prospettiva alquanto patetica e fare discorsi a vuoto gli sembrava quanto mai inadeguato. Ma non poteva essere immediatamente serio, ne tanto meno poteva essere troppo superficiale.
Erano da secoli che non aveva un appuntamento con una donna, forse dalle ere del Giurassico. Se solo fosse stata una donna qualunque non ci sarebbero stati così tanti problemi, ma si stava parlando di Lyric.
Lei era molto più di una qualsiasi donna del mondo. Era la donna di cui era follemente innamorato da sei anni della sua vita. Sei anni!
Chi diavolo non si sarebbe fatto sotto dal terrore? Quale razza di insensibile animale sarebbe riuscito ad essere impassibile e distaccato? La ragione non aveva nulla a che fare con tutto questo.
La camminata dagli estremi opposti del corridoio fu estremamente rapida, anche se dubitava di aver mai fatto così pochi metri con uno stato d’animo simile, forse solo la sera del primo concerto ufficiale dei Tokio Hotel. Oh sì, decisamente ciò che provava era molto vicino al miscuglio di paura atroce ed euforia paradisiaca di quella volta.
Era sorpreso che non se la stesse facendo addosso per quanto era teso.
Digrignò i denti, si fermò e sbatté con la schiena contro uno dei muri del corridoio.
“Dai, puoi farcela benissimo. Ieri sei stato fantastico, davvero! Sei stato semplicemente grandioso, non sembravi neanche devastato dalla sua vicinanza. Super, sul serio, un grande!” prese a mormorarsi una specie di discorso d’incoraggiamento “Ora vai là, la saluti e poi uscite dall’albergo. Puoi farcela, tira fuori solo le palle Bill.”
Annuì “Posso farcela.”
Detto ciò arrivò alla meta, ma fuori dalla porta trovò Georg e Tom in una posizione persino più ambigua di quella che aveva lui due minuti prima. Tom era appoggiato contro il muro, vicino alla teca di un estintore, mentre Georg aveva le mani sulle spalle del fratello e pareva proprio premerlo contro la parete beige scuro.
Bill si bloccò a qualche metro da loro, perplesso. 
“Ascoltami Tom, dico sul serio, sai che non ti mentirei mai. Penso proprio che tu ti debba trattenere.”
“Lo so, lo so, ma pensi che per me sia facile?! Non posso farlo!” Tom sembrava frustrato e quasi sofferente, Bill lo intuì dalla linee disegnate attorno alla sua bocca e da quelle rughe sulla sua enorme fronte a lampadina.
“Come non puoi farlo? Guarda che è una cosa semplicissima. Prendi un bel respiro e ti trattieni la lingua dentro la bocca.”
Lingua? Che lingua?”  
“Ma la mia lingua vuole uscire eccome!” protestò l’altro emettendo contemporaneamente un sbuffo vistoso “Ho una voglia matta di usarla e fare un bel po’ di casino!”
“Non a tutti piace essere attaccati in quel modo.” Proseguì Georg continuando ad avere un tono di voce pacato e giudizioso, anche se autoritario “A me non è piaciuto per niente come l’hai usata qualche minuto fa e se persino io sono stato urtato dal tuo modo di fare così, diciamo, troppo irruento prova a chiederti come si è sentita lei. Tu devi darti una controllata, compreso?”
Bill si raschiò la gola rumorosamente. Questi si voltarono in contemporanea.
“Mi dovete per caso confessare qualche sordido segreto?” chiese indicando la loro posizione “Non è esattamente la giornata adatta per dirmi che avete una relazione segreta. Sapete quanto sia liberale nei confronti delle coppie omosessuali, davvero...”
Tom e Georg se ne uscirono con due identiche espressioni sbalordite, con tanto di bocche semiaperte e arcate sopraccigliari tese verso l’alto “Ma che cazzo stai dicendo?” balbettò il fratello.
“No, sul serio. Che cosa state dicendo voi piuttosto?” mosse la mano con quel suo tipico fare da cartone animato indicandoli ancora una volta “Siete in un corridoio d’albergo, Georg ti sta premendo contro un muro e tu glielo lasci fare, per di più fate discorsi sul fatto che hai voglia di usare la lingua, ma a lui non piace troppa irruenza.”
Georg solo dopo quelle parole mollò la presa sulle spalle di Tom e portò le mani in alto come a discolparsi “Tu hai appena insinuato una vera stronzata. Ti pare? Con Tom? Se fossi lontanamente gay non mi abbasserei mai a provarci con lui. Dio, che idea malata ti è venuta in mente?”
“E voglio ben dire!” proruppe Bill avvicinandosi a loro “Oggettivamente Tom è un bel uomo, ha preso tutto da me, ma seriamente, sai che orrenda fine avresti fatto se ti fossi innamorato di lui. Ti faccio più intelligente di così Georg.”
“Oh, non sta accadendo davvero. No, non può averlo pensato sul serio.” Tom prese a sussurrare quelle parole alzando gli occhi verso il soffitto “Ragazzo, tu sei davvero un idiota.”
“Questa volta gli do ragione, Bill sei un idiota.” Confermò Georg che si lasciò scappare comunque una risata.
In quel momento la porta della suite davanti alla quale si stavano intrattenendo si aprì e Gustav li guardò uno ad uno “Ehi, si sentono le vostre voci da dentro. Che state facendo?”
“Tu lo sapevi che Georg e Tom hanno una tresca segreta e limonano nei corridoi degli hotel a nostra insaputa?”
Gustav rimase perplesso giusto qualche attimo, poi uscì anche lui nel corridoio e chiuse la porta.
“Sì, lo sapevo che si frequentavano, ma non volevano dirtelo perché sapevano che avresti poi spiattellato tutto a Lena e avresti messo nei guai Georg.”
“Eh?” esclamò il maggiore dei quattro. Quando Gustav decideva di essere sarcastico ci andava giù pesante. Il modo serio con cui si espresse, poi, poteva quasi insinuare il dubbio che stesse dicendo la verità.
“Gustav, non assecondare Bill che ci crede.” Tom glielo chiese supplichevole.
“E come avrei dovuto rispondere? Lo hai sentito anche tu, dovevo dire una cavolata adeguata alla sua, in quanto a fantasia non sono da meno.” Rise “Ora che ne dici di entrare, Bill?”
“Oooh! Rinuncio a capirvi, mi spiegherete quando sarò tornato.” Li liquidò il loro cantante “Mi state facendo perdere tempo.”
“Ma sentitelo!” Gustav gli impedì di ricominciare con Tom e lo strattonò per un braccio, trascinandolo verso la porta “Sentì, fregatene. Ora vieni dentro.”
Bill ritornò con i piedi per terra ed entrò nella suite. Si aspettò di vederla immediatamente, invece ciò che trovò furono le sue due amiche, entrambe sedute sul divano del salottino.
“Finalmente!” Kathleyn non si risparmiò dall’essere sgarbata quando lo vide “Lo trovo abbastanza detestabile che certa gente ritenga la puntualità un optional.” Aggiunse con un sorriso piuttosto finto.
Bill sorpassò sul commento, già da ieri aveva capito di non essere tra le persone preferite di quella riccia, rossa e spilungona. Non sapeva il perché e scoprirlo era l’ultimo dei suoi interessi attualmente.
Diane lanciò un’occhiata di avvertimento alla propria amica prima di salutare Bill.
Il suo fortunatamente fu un sorriso più che sincero “Buongiorno Bill!” esclamò allegra.
“Ciao, Diane. Lei dov’è?” 
“È andata un secondo in bagno, se non ti dispiace Gustav.”
“Per niente.” E si accomodò sul divano su cui era seduta anche Diane.
Bill preferì restare in piedi e per non avere l’aria di uno stoccafisso incrociò le braccia al petto, assumendo una posa meno rigida. Almeno ci provò.
Georg e Tom richiusero la porta solo in quel momento, erano rimasti fuori a parlatore tra loro ancora qualche minuto.
Nel passargli di fianco Georg gli diede una pacca sulla spalla, poi si stravaccò poco elegantemente su uno dei poggiapiedi “Allora, a causa del guastafeste prima non abbiamo avuto modo di presentarci.” Incominciò lui rivolgendosi alle due ospiti “Io sono Georg, piacere. Loro sono Gustav, Tom e ovviamente Bill.”
“Io sono Diane, ci siamo conosciuti ieri.”
“Già, come dimenticarti? Hai praticamente rapito i Tokio Hotel e non è impresa da tutti.” Quel commento la fece arrossire “Mentre tu sei?”
Kat incrociò lo sguardo del bassista e si limitò ad un laconico “Potete chiamarmi Kat.”
Tom si avvicinò all’orecchio del fratello “Quella mi sta sul cazzo.”
Bill annuì d’accordissimo “Idem. È semplicemente irritante. Dovevi sentirla qualche minuto fa, ha starnazzato contro di me come se fosse dio sceso in terra.” Bisbigliò a sua volta in tedesco.
“Magari è il tipo che ha perennemente il ciclo e riversa tutto su gli altri.”
“Può darsi, ma più probabilmente non le vado a genio.”
“Starle a genio? Bill, quella sembra odiarti in maniera viscerale. Ogni volta che si nomina il tuo nome fa una lieve smorfia all’angolo della bocca e le vengono le rughe sulla fronte. ”
Il gemello alzò le spalle come se la cosa non lo toccasse minimamente “Non le ho fatto niente, cosa vuoi che me ne freghi se quella acida mi odia.”
Tom rise “Se non fosse così rompi cazzo un pensierino lo farei, anche se temerei per la mia vita una volta a letto. Credo che sarebbe capacissima di soffocarmi per il solo fatto che ho la tua stessa faccia.”
“Perché devi sempre finire per parlare di sesso?” gli diede uno schiaffetto alla testa.
“Per essere stronza è stronza, ma devi ammettere che è una stronza piuttosto attraente. Non è il mio genere, ma nella vita bisogna provare.”
“Se dovessi andare a segno, cosa di cui dubito proprio perché hai la mia stessa faccia, allora spero che tenti di soffocarti per davvero mentre ci state dando dentro.”
“Quanto sei insensibile. Guarda che a dire certe cose, se dovessero accadere, poi te ne penti.”
Bill rise e scosse la testa, solo Tom riusciva a farlo sentire così sereno con poche parole.
“A quanto pare non avete perso il vizio di bisbigliarvi segreti anche quando siete in pubblico.” La voce di Lyric li sorprese alle loro spalle “Comunque, per tua informazione Tom, Kat è già occupata ed è parecchio innamorata. Lascia perdere. Neanche tu sei il suo genere.”
Ed entrambi i Kaulitz si rividero quattordicenni, fuori dai cancelli della scuola in quel pomeriggio di Autunno, mentre interrompevano la loro sequela di complicità fraterna e si voltavano verso di lei. Come tanti anni prima la presenza di quella particolare persona era nuovamente riuscita ad azzittirli. 
Bill non trovò niente di più intelligente da fare che osservarla. Stentava ancora a credere che l’aveva nuovamente di fronte agli occhi, reale e viva. Niente allucinazioni questa volta. 
“Tom è il genere delle infermiere che pensano di redimere il cattivo della situazione.” Disse la prima cosa che gli venne in mente “E la tua amica, invece, sembra proprio il tipo che i cattivi della situazione li stronca in due.” aggiunse.
“Ti ha per caso detto qualcosa di sgarbato?” chiese lei intuendo subito del perché di quella battuta ironica.
“Sì, ma non l’ho considerata.” Confermò lui e la piacevole sensazione di naturalezza che c’era tra loro due lo resero subito un piccolo uomo felice. Sulla bocca di Lyric si abbozzò una tenue espressione di divertimento.
Non aveva mai imparato ad essere immune dalla gioia che aveva dividere qualche parola con Bill.
“Anche questo è un tuo tipico comportamento: ignorare deliberatamente chiunque decida di odiarti.”
“Quindi lo ammetti che la tua amica mi odia.”
“Nessuno mi pare te lo stava nascondendo.”
“E il motivo di tanto odio?”
Lyric sospirò “Sinceramente non ne ho idea, ma in parte deve essere colpa mia.”
Tom dal canto suo, come tanti anni prima, si sentì estraniato e allontanato. Un po’ come gli altri del resto.
“Bene, allora, se non avete di meglio da fare che confabulare in una lingua che io e Diane non possiamo capire perché non ve ne andate? Sarà meglio farlo iniziare questo appuntamento.” Kat interruppe l’idillio tra quei due molto bruscamente e Tom gliene fu grato. Si era appena guadagnata un punto-simpatia nella sua graduatoria.
Bill roteò gli occhi e si morsicò la lingua .
“Kat! Sei simpatica come del Mochi vecchio sui vestiti.” Diane si alzò dal divano e andò incontro a Lyric “Anche se il modo non è stato molto delicato ha ragione, ora potete andare.”
“Grazie.” L’amica afferrò la borsa che Diane le stava porgendo “Se avrete bisogno di qualcosa contattatemi sul cellulare.” Buttò un’occhiata a Kathleyn e si scrutarono molto seriamente “Non provare neanche a dirlo.” l’ammonì, tirando fuori un cappellino dalla sua Marc Jacobs.
“Io non ti stavo per dire niente.”
“Oh, sì! Eccome, ma tranquilla. Farò la brava.”
“Sarà meglio.”
 “Andiamo?” Bill l’afferrò per un polso e si diresse verso la porta. Doveva allontanarsi prima che decidesse di farla finita con l’educazione e cominciasse a fare lo stronzo con quella piattola riccioluta.
“Divertitevi!” fu l’ultima e accorata raccomandazione di Diane prima che quei due sparissero.
“Non ci ha neanche salutati quell’ingrato.”
“Oooh, Tom se le presa.”
“Taci Georg! Lo sai anche tu cosa intendo. Quando c’è lei tutto il resto sparisce.”
“E Tom non ha ancora smesso di essere un fratello geloso e possessivo.” Pure Gustav lo sfotté “Facevi così anche in passato, ricordi?”
“Fin troppo bene, grazie.”
“Scusate, ma forse non è chiaro il concetto: io e Diane non capiamo una sillaba di tedesco.” Kathleyn si fece notare, ancora, e Diane questa volta la rimproverò apertamente “Sei davvero impossibile! La finiresti di essere così intrattabile? Mi faresti un piacere enorme. Non puoi semplicemente essere contenta che stia filando tutto liscio? No, devi per forza mettere mano alla tua lingua biforcuta ed essere arcigna. Quando fai così mi chiedo quanti anni hai.”
L’amica fu sul punto di ribattere, ma all’ultimo si trattenne. Calò il silenzio.
“Allora, avete impegni per il pranzo?” a Georg non piaceva la tensione nell’aria.
Aveva già Tom in procinto di andare giù di testa, non aveva bisogno che si aggiungesse anche l’amica di Lyric.
Gustav lo appoggiò “Siete ufficialmente invitate a restare a pranzo con noi.”
Diane non perse l’occasione “Sì, per favore. Ci piacerebbe molto restare se non vi diamo troppo disturbo.”
Kathleyn bofonchiò un sì.
Si alzò dal divano e andò alla finestra. Tom le guardò la schiena chiedendosi cosa la spingesse ad essere così contraria, era convinto che lei fosse felice quanto lui del fatto che quei due andassero a zonzo insieme.
In quello stesso istante Bill e Lyric erano in ascensore, diretti al piano terra.
“Da quando ti lasci dare ordini?”
“Kat non mi dato nessun ordine.”
“A me pareva che te ne avesse dato uno sottointeso.”
“Uhm…”
“Che c’è?”
“Non sapevo che sapessi leggere nel pensiero della gente.” Lyric abbassò lo sguardo, le stava ancora tenendo il polso.
“So ciò che ho visto. Cosa significa che farai la brava?”
“Significa che cercherò di non mettermi nei guai, anche se il fatto di stare con te aumenta le possibilità di rischio.”
Bill accarezzò con il pollice il suo polso e spuntò sulle sue labbra una tipica espressione smaliziata “Io non ti ho mai messo nei guai quando stavamo insieme.”
Ebbe un fremito per via di quel gesto inaspettato “No, non mi hai mai messo nei guai, però ti piaceva sconvolgermi la vita. Lo facevi sempre, consapevole o meno che fossi.” ed indicò la sua mano e quel dito che proseguiva a passare lentamente sulla sua pelle “E penso che non ti sia passato il vizio neanche adesso.”
“Sciocchezze.” Lasciò andare delicatamente la presa “Sei sempre stata tu a scombussolarmi la vita. Non che mi dispiacesse, lo sai. Adoravo la tua capacità di rendere ogni cosa memorabile.”
Le porte dell’ascensore si aprirono e Bill le fece segno di precederlo.
Prima di uscire però gli prese il cappellino che teneva in mano e glielo mise in testa “Guarda che a me piaceva terribilmente come riuscivi a sconvolgermi. E credo proprio di non aver ancora perso questo vizio.”
Detto ciò si incamminò, seguita da un Bill pieno di aspettative.
 
 
 
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Non ci credo, sono riuscita a finire questo capitolo.
Wow, credo che una mia amica esclamerà “Era ora!”
Non ho molto da dire, i miei neuroni sono fusi. È passato così tanto tempo che avrò già perso tutti i lettori che mi seguivano, spero che qualcuno commenti e legga questo parto epocale. Per i vecchi lettori che leggeranno dico: scusate.
Per i nuovi: benvenuti.
Ora vi lascio alla lettura di questo capitolo, abbastanza corto per i miei standard, ma mi è parso chiaro che se avessi insistito con l’idea iniziale che avevo al riguardo sarebbe diventato un poema troppo prolisso.
Spero che il prossimo capitolo non esca troppo distante da questo. Buona lettura.
Gillian Kami.
 
 
 
 
 
 

 
 

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