Be strong and hold my hand.

di perrysplugs
(/viewuser.php?uid=441817)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I can't run away anymore ***
Capitolo 2: *** A strange night ***
Capitolo 3: *** Advices ***
Capitolo 4: *** I'm sorry for the man I was ***
Capitolo 5: *** Confessions and Feelings ***
Capitolo 6: *** Nobody prays for the heartless. ***
Capitolo 7: *** I don't want to get this confused ***
Capitolo 8: *** I need you by my side. ***
Capitolo 9: *** Laughs and Tears ***
Capitolo 10: *** I'm ready if you support me. ***
Capitolo 11: *** Hail Mary, forgive me. ***
Capitolo 12: *** A mighty storm in a tiny brain ***
Capitolo 13: *** Trust me. ***
Capitolo 14: *** Black Holes And Revelations ***
Capitolo 15: *** Why do we run from things we're scared of? ***



Capitolo 1
*** I can't run away anymore ***


09 maggio 2013 – Los Angeles

 «Sto per entrare, devo stare calmo, salire su quel maledetto palco e cantare. Nessuno se la prenderà con me e saremo tutti felici.» si ripetè Kellin. Stava per sfiorare un attacco di panico e lo sapeva, l’idea di scappare si insinuò nella sua mente un paio di volte, ma non poteva, era scappato per troppo tempo. Così si riscaldò e fece il suo ingresso correndo, cosa strana per lui.

«IMAGINE LIVING LIKE A KING SOMEDAY, A SINGLE NIGHT WITHOUT GHOST IN THE WALLS, AND IF THE BASS SHAKES THE EARTH UNDERGROUND…». La sua voce acuta si unì a quella di un sorpresissimo Vic Fuentes senza tradire alcune emozione. Il pubblico era letteralmente in estasi: amavano quella canzone e sentirla suonare dalla loro band preferita era un sogno, se poi aggiungiamo la presenza inaspettata ma tutt’altro che sgradita di Mr. Quinn …Quello che non sapevano era però che lui era più emozionato di loro. Ovviamente anche i membri dei Pierce The Veil erano particolarmente stupiti ma soprattutto felici, tutti tranne Tony, non perché non volesse Kellin lì, anzi, ma perché semplicemente il ragazzo gli aveva già confessato di aver intenzione di far loro visita un giorno, ma subito sopo esserselo lasciato scappare lo pregò di non farne parola con gli altri. Tony penso fosse particolarmente importante per lui perciò fece come gli disse, abbastanza incuriosito a dire il vero.
Finita la canzone si lanciarono tutti in un abbraccio caloroso e alquanto gay, ma tanto non importava a nessuno, se non ai fan che erano, se possibile, ancora più entusiasti. La band completò la scaletta mentre Kellin perdeva un po’ di tempo sul palco canticchiando qualche strofa, ma soprattutto pensando alle conseguenze che quel gesto avrebbe avuto. Non vedeva Vic da troppo e gli mancavano i loro contatti, di qualunque tipo fossero, ma adesso non sapeva se per l’amico fosse lo stesso.
«Kells sveglia, scendi e andiamo a bere qualcosa insieme!». Si svegliò dal suo torpore; avrebbe riconosciuto quella voce e quel soprannome tra mille, e infatti non mancò di sentire il cuore battere ad una velocità preoccupante. Arrossì anche, ma per fortuna il messicano non sembrò notarlo.
Raggiunsero un pub poco lontano dove tutti si divertirono da matti, ma era ovvio, c’era Jaime, che da ubriaco era ancora più divertente. Quando Mike, che bevve da far schifo, vomitò anche i polmoni, i ragazzi lasciarono il locale, non proprio tutti però. Kellin cercò di alzarsi almeno per aiutare Tony a trasportare quei due pesi morti, ma un braccio muscoloso lo trattenne: «Kells rimani qui, dobbiamo parlare.». A quelle parole di Vic il più giovane sbiancò, ma recuperò il controllo e si sedette. «Kellin sei arrossito prima sul palco. So che sei alquanto, ehm delicato, ma non ti era mai capitato prima con me. Ti conosco da abbastanza tempo da sapere che ti succede solo quando sei a disagio.» disse Vic, lasciandosi scappare una risatina pensando al fatto che Kellin era sempre rosso in compagnia di Katelynne e lei continua a scambiarlo per amore, anche se in fondo sarebbero stati una bella coppia. Allora l’altro rispose, prendendo di nuovo colore sulle guance: «Beh, è comunque un concerto, avevo continuato a cantare ed ero preoccupato che il pubblico non mi volesse lì e tante … ah ok, non prenderei in giro neanche tuo fratello nelle condizioni in cui si trovava dieci minuti fa. La realtà è che volevo vedervi, anzi no, volevo vederti, vedere te Vic.»


eccomi, questa è la mia prima storia perciò se fa pena provate solo a dirmelo in modo delicato çç 
questo capitolo è solo un accenno perciò è piuttosto breve ma ci ho lavorato tanto e significherebbe molto per me se mi lasciaste una recensione, in modo da capire cosa posso migliorare o se devo anche semplicemente darmi all'ippica. No, meglio di no, mi romperei una gamba nel giro di tre giorni, ma questi sono dettagli. 
Cercherò di pubblicare uno o due aggiornamenti alla settimana ma potrebbero essere di più, non lo so, poi vedremo. Comunque un bacio **
-perrysplugs

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** A strange night ***


«Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato il momento, dobbiamo affrontare quello che successe durante le riprese di King For A Day.»
«Tu … tu ricordi?» disse Kellin evidentemente stupito, ma ben presto l’ansia divenne l’emozione predominante in lui, era visibile soprattutto dalla gamba destra: aveva preso a tremare senza sosta, e gli si era anche seccata la gola. «Bella merda Quinn, davvero, complimenti.»
«Si, beh non proprio tutto, e poi Mike mi ha raccontato qualcosa. Dannazione, quel figlio di putt … ops, mi capita sempre.» e scoppiò a ridere rumorosamente della stronzata appena sparata, per poi riprendersi. «Intendevo dire che ha l’incredibile capacità di ricordare ogni dettaglio anche il giorno dopo la più colossale delle sbronze.»
«Beh, a questo punto dovremmo … non lo so nemmeno io …»
«Kellin ci siamo baciati, non è la fine del mondo, sarà capitato anche a te di baciare un tuo amico, magari al liceo mentre stavi capendo di essere, beh … come sei.»
«Vic puoi dirlo, sono omesessuale, lo so. Il fatto che io non trovi necessario far diventare gli Sleeping With Sirens la band gay del momento ascoltata solo da undicenni in calore rivelandomi non vuol dire che me ne vergogni. Comunque sì, ma credo che qui sia diverso. Inoltre non sto capendo dove vuoi arrivare. »
«E’ stato un bacio, nient’altro, possiamo tranquillamente far finta di niente e amici come prima.»
«COOSA? Tu non solo sai e aspetti mesi e mesi per dirmelo, e poi vorresti anche nascondere tutto? Almeno tra noi cerchiamo di essere sinceri: perché mandi a puttane tutte le tue relazioni dopo pochi mesi? Perché quando bevi ti trasformi in una spogliarellista isterica? Perché piangi guardando “Le pagine della nostra vita”? So che è triste vedere la vecchia che non ricorda più neanche la sua prima scopata, per non parlare di quando muiono insieme, ma cristo Vic, quello non lo faccio nemmeno io!» rispose l’altro con un po’ troppa foga.
Il messicano lo trascinò nel retro del locale borbottando che non era il caso di parlarne dentro perché potevano sentirli. Una volta lì si sfogò: «Vorresti che io ammettessi così, all’improvviso, nel bel mezzo di un pub, di essere gay? Cosa cazzo ti aspettavi Kellin? Ah, va bene …» disse infine inumidendosi le labbra. Quello che accadde dopo fu del tutto inaspettato per il più giovane, ma sentire le labbra dell’altro sulle sue fu una sensazione piacevole, anzi, più che piacevole, eccitante calza di più, perciò decise di rendere quel bacio più “attivo”. Schiuse leggermente le labbra, abbastanza da permettere alla lingua di Vic di entrare, facendo in modo che la sua gli solleticasse il palato. Chiuse gli occhi e assaporò il momento in cui baciava, ancora, quello che per troppo tempo aveva creduto il suo migliore amico, con l’unica differenza che adesso non aveva scuse.
«Allora frocio, vuoi ancora rinnegare il tuo vero io?» disse Kellin dopo scherzando.
«Non mi sembra che tu sia diverso!» rispose Vic fingendo di colpirlo con una mossa molto femminile. «Avrei voluto che quel bacio non finisse mai.» continuò tornando serio.
«A questo si può rimediare.» si sentì rispondere trovandosi piacevolmente eccitato nel vedere Kellin mordersi il labbro inferiore e guardarlo in un modo che non lascia spazio all’interpretazione. Da lì in poi fu tutto un movimento di lingue, mani, capelli, corpi, fin quando non ricordarono il luogo in cui si trovavano.
«Andiamo da te?» domandò Kellin ansimando leggermente.
L’altro ci pensò un po’ su e poi: «No, n-no senti non è il caso, n-non dovremmo, è un errore. Insomma, ci stavamo divertendo, ma ognuno ha la propria vita e … Kells non è per te, sei un ragazzo fantastico e anche uno dei più belli che io abbia mai visto ma …» non ebbe il tempo di finire la frase che fu interrotto: «Ascolta, con te è sempre la stessa fottuta storia, non so perché abbandoni le persone. So che lo fai perché non vuoi farle stare male, perché metti gli altri al primo posto, ma non ti capisco, è un modo malato di agire. Stasera non ho per niente voglia di stare a sentire le tue giustificazioni del cazzo.» Per un paio di secondi si sentirono solo sospiri e passi. «Anzi no, mi ha preso la curiosità, come continuano? Sono bello e gentile ma non la solita troietta senza impegno? Stare con me porterebbe a delle conseguenze e a tante menzogne, e il buon Vic Fuentes non vuole vero? Lui non mente, vuole solo sentirsi amato senza nulla da dare in cambio. Avanti, urlamelo!»
«Kells, non farmi questo! I-io, tu mi conosci, sai quanto può farmi male sentirmi dire certe cose.»
«E non pensi a me? Sentire che tutto quello che voglio e ho sempre voluto è un errore non è dura per me? Non è un colpo?» faceva fatica a trattenere la rabbia adesso, ma sapeva che l’amore era anche questo e la cosa lo spaventava anche un po’ ad essere onesti. «Ah, e quella notte non ti saresti fermato solo ad un bacio Fuentes, mi sono ritrovato la tua mano nei pantaloni senza neanche rendermi conto del perché gli altri erano con le groupie e tu con me. Ti ho fermato per paura che mi vomitassi addosso. Questo Mike non te l’ha detto vero?! Non ho voluto lasciarti fare qualcosa di cui ti saresti pentito, ti ho messo a letto e ho dovuto pensare da solo alla mia erezione. Quella notte sarebbe stata un errore.» detto questo si girò e iniziò a camminare senza una meta precisa, mentre Vic scivolava lentamente con la schiena contro il muro fino a ritrovarsi seduto con le ginocchia al petto e qualche lacrima a bagnargli i pantaloncini.
Strano, nessuno dei due si sarebbe mai aspettato che quella serata sarebbe potuta andare a finire così, ma soprattutto nessuno dei due l’avrebbe mai voluto.


beh saalve, questo è il continuo del primo capitolo che serviva solo da introduzione - Capitan Ovvio proprio - e nella fretta l'altra volta avevo dimenticato di spiegare che l'idea mi era venuta vedendo alcune foto di Vic e un suo tweet, di cui però non riesco a copiare l'url.
Se la storia vi fa tanto schifo prendetevela con la mia idea di tagliarmi i capelli perché l'ho elaborata mentre ero dal parrucchiere, tanto i miei capelli non sono sensibli, e poi vi capirei, questo capitolo è davvero pessimo. 
Una recensione sarebbe davvero ben accetta e ringrazio tutti quelli che l'hanno già lasciata, messo la storia tra preferiti, seguite, ricordate ecc. 
- perrysplugs

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Advices ***


5 giorni dopo - Casa Quinn

*drin driin*
«Amore vai tu? Che mi sto facendo un panino.»
Katelynne Quinn si ritrovò improvvisamente a pensare che amava quell’uomo, sempre che avesse compreso cosa voleva dire amare, ma certe volte era un rompicoglioni assurdo, perciò con aria tutt’altro che allegra si avviò verso la porta della loro villa in Michigan, aspettandosi Matty o qualche membro della band, di certo non quella figuta alta e tatuata che cercava di imporsi nonostante la sua faccia da tartaruga.
«T-Tony!» balbettò una voce dalla cucina facendo cadere una posata, coltello presumibilmente.
«Sorpreso di vedermi Kell?» domandò l’altro sfoggiando uno dei suoi luminosi sorrisi.
«A dire il vero un po’ si Turtle.» ma si affrettò a salutarlo e a farlo accomodare sul divano di pelle bianca del salone. Dio se amava quel divano, forse però gli ricordava un po’ troppo Katelynne, ma non era colpa di nessuno, cioè sì, proprio di quella donna che ora si trovava in giro per la casa cercando di far fare la pappa a Copeland. Quella bambina era l’unica cosa buona che aveva fatto in tutta la sua vita, ed era pronto a darle tutto l’amore di cui un bambino ha bisogno, tutto l’amore che a lui era mancato. Ok, ora stava divagando, si era perso nei suoi pensieri come al solito, e aveva un Tony Perry di fianco a lui piuttosto perplesso che glielo ricordava, più “tartarugoso” che mai. «Posso offrirti qualcosa?»
«No Kellin, saltiamo tutti i convenevoli, so che è successo qualcosa tra te e Vic, ma non so cosa.»
«Non è successo niente con Victor, cosa vuoi che debba succedere?» sbottò l’altro un po’ troppo in fretta e istericamente per risultare credibile agli occhi di chiunque.
A Tony bastò alzare un sopracciglio per essere travolto da un fiume di parole, alcune dette anche troppo velocemente per i suoi gusti. Quando finalmente scese di nuovo il silenzio si ritrovò a pensare ad alta voce: «Ora si spiega tutto, sia quando l’ho trovato a piangere nel bagno sia tutti quei “Kellin!” mormorati nel sonno…»
«Lui cosa?! Cioè mi pensa e mi sogna addirittura?!» era evidentemente sconvolto, ma non si poteva stabilire se in positivo o in negativo.
«Cosa? Ah cazzo, di nuovo, dovrei imparare a stare zitto. Dai, ormai è fatta perciò, cosa hai intenzione di fare?»
«Non lo so Tony, visto che più in basso non posso andare, o forse sì ma è meglio non provare, ti posso dire che se non è amore, allora ci va maledettamente vicino. Le volte che sono vicino a lui sono le uniche in cui mi sento bene, anche se basta un respiro di troppo e mando tutto a puttane.»
Ancora silenzio; Tony era spiazzato da tutta quella sincerità per continuare a parlare e Kellin troppo imbarazzato, anche se alla fine fu lui a prendere nuovamente la parola.
«Credi che farà la prima mossa se gli lasciamo il tempo per rifletterci?»
«Ma chi, lo stesso Victor Fuentes che conosco anche io? Quell’essere di un metro e settanta di pura timidezza e rimorso? Già il fatto che ti abbia baciato mi stupisce a dirla tutta, questo vuol dire che ci tiene a te in modo particolare, sei consapevole di questo?»
«Sì Tony lo so, ma a me non basta.»
«Certo Kell che sei insaziabile.»
«Non. Mi. Riferivo. A. Quello.» ma mentre lo diceva pensava a quanto sarebbe stato bello condividere quei momenti di intimità con Vic; che disgustoso gay, con sua moglie e sua figlia appena qualche stanza più in là, le uniche due persone oltre la madre che l’avessero amato incondizionatamente. In effetti non è stata una saggia mossa parlarne così apertamente in salotto, ma ormai era andata e c’era in gioco l’amore della sua vita, fortuna che la casa è grande.
«Sdrammatizzavo, scusa. Comunque se proprio vuoi portare a termine questa cosa allora metti l’orgoglio da parte ma soprattutto fai soffire il numero minore di persone.» e la sua testa andò ad indicare proprio il punto da cui provenivano gli strilli di Cope; avrà ancora fame.
«Già, probabilmente hai ragione, ho fatto finta di non pensarci per cinque giorni con il solo risultato di far stare male tutti quelli a cui tengo. Devo fare qualcosa, fargli capire che lo amo ma senza mettergli pressione. Non sembra facile neanche a parole, dannazione.»
«Qualcosa di semplice allora? Credo che un “Ti va un caffè domani alle 11?” possa andare bene.»
«Perry tu-sei-perfetto! Mi chiedo perché tu non abbia un ragazzo, ehm no scusa, volevo dire una ragazza.» - ci fu un momento di imbarazzo tra i due, prontamente interrotto da un:
«Beh, se mai io volessi un ragazzo potrei rifarmi con Mr. Kellin Sassy Divah Quinn.» ed entrambi scoppiarono a ridere tanto da doversi tenere la pancia con le mani. Erano belli quei momenti con il messicano, perché sapeva metterti a tuo agio come pochi altri, Kellin lo ringraziava di questo ogni volta che poteva.
Lo squillo di un cellulare lì portò alla realtà: era la madre di Tony, per fortuna niente di grave ma i due ragazzi si lasciarono in fretta e furia rimuginando su quello che si erano detti. «Forse è meglio che mi vada a fare un caffè prima di affrontare tutto.» pensò Kellin dirigendosi verso la cucina a grandi passi.


allora, ho parecchie cose da dirvi:
- la storia prima si chiamava "Could you be my saviour?" ma ammettiamolo, faceva un po' schifo ed inoltre non c'entrava niente. Adesso il titolo mi sembra leggermente più azzeccato e scatena tutti i miei Killjoys feelings, anche se la fanfiction non ha niente a che vedere con i My Chem.
- ho aggiunto Fluff come genere perché da come avrete notato si è aggiunto anche Mr. Perry che anche solo con la sua presenza rende il tutto più fluff, ammettiamolo. E dai prossimi capitoli ve ne renderete conto *Elvira stahp con gli spoiler inutili*
- è un po' inutile il capitolo, ma smetto di autocommiserarmi. Se però lasciaste una recensione mi fareste estremamente felice. Ringrazio chi recensisce, mette la storia tra le preferite, seguite, ricordate eccetera e anche chi legge e basta. Vi lowwo tutti incredibilmente. Grazie mille ancora.

-perrysplugs

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** I'm sorry for the man I was ***


Vic Fuentes si chiedeva cosa fosse quella sensazione, era una sorta di malessere generale alla quale però non sapeva dare un nome, che nervi. Sapeva comunque che era del tutto dovuta a Kellin Quinn, la persona più vicina che avesse, il ragazzo con la voce d’angelo, e ogni volta che doveva vederlo si trasformava in una perfetta donna mestruata, ma oggi era diverso. Ancora non capiva perché si era comportato così quella notte. Sarà stata paura? Magari era solo un coglione in fondo, ma non così coglione da sprecare tutte le sue occasioni. Oggi sapeva di dover fare qualcosa. L’altro l’aveva invitato in un posticino appartato e confortevole per parlare. Il messicano aveva apprezzato davvero tanto quel gesto, perché stava a significare che non voleva perderlo, magari era ancora arrabiato, o peggio ancora deluso, ma non abbastanza da voler spezzare i loro legami. Vic ne sarebbe uscito distrutto in quel caso, solo a pensarci lo prendeva il panico. Si prese un bicchiere d’acqua per calmare i nervi, finì di allacciare le sue adorate Vans, indossò il cappello e scese lasciando le chiavi alla receptionist dell’albergo in cui alloggiava.
Mentre camminava pensava a tutto e a niente, guardandosi intorno. Era un tipo molto introverso ed empatico a dirla tutta, e anche per questo non voleva far soffire nessuno, perché poi a rimorso e senso di colpa si sarebbe aggiunto il dolore provocato agli altri. Senza rendersene conto era arrivato, perché riconobbe la figura slanciata con cui aveva un appuntamento intenta a consumare quella che si direbbe una Marlboro. Aveva provato più volte a farlo smettere, ma per fortuna non fumava a livelli preoccupanti, almeno a quanto sapeva. Già, perché era proprio quello il problema, lui non sapeva, mentre per Kellin sembrava quasi un giochetto leggergli dentro. Si vennero incontro comunque e Vic per dimostrargli di non voler essere passivo durante quell’incontro gli prese la mano pallida e affusolata e la strinse forte. Si avviarono dentro e ordinarono distrattamente la colazione.
«Allora, innanzitutto ci tenevo a scusarmi per quel, beh, casino che ho combinato dopo il concerto. Non volevo usarti né rifilarti una di quelle scusa da seconda mano, tu meriti di meglio, meriti la verità.» e detto questo si affrettò a prendere nuovamente la mano del più giovane per posarla sui suoi pettorali, con l’intento di fargli percepire le palpitazioni che gli provocava.
«Vic guarda che non c’è probl …»
«No, non dobbiamo dimenticare e non esiste che finisca così.» Pensò abbastanza a lungo alle prossime parole, non sapeva se era il caso di pronunciarle, ma alla fine di getto gli uscirono: «Vieni, andiamo da me.»
«Ma Vic, abbiamo ordinato!»
«Per un momento ho pensato di scappare senza pagare in memoria dei bei vecchi tempi al liceo, insomma, alla fine mica tanto belli … comunque no, lasceremo sul mio conto. Del caffè possiamo anche fare a meno.» così si alzarono, lasciarono anche la mancia e si diressero verso l’hotel visibilmente eccitati ed emozionati. Arrivati presero velocemente le chiavi e salirono fino al piano dove si trovava la “loro” camera ed entrarono. Una volta dentro Vic stampò un bacio alquanto casto sulle labbra dell’altro e gli chiese di mettersi comodo ad aspettare. Kellin non sapeva dove voleva arrivare e anzi, aveva anche un po’ paura di qualche strano giochetto erotico messicano che poteva essergli venuto in mente, anche se a dirla tutta non gli sarebbe dispiaciuto un Fuentes Senior versione sadomaso in camera da letto. Noo, proprio no a giudicare dalla stoffa dei suoi skinny che si facevano via via più stretti. All’improvviso arrivò Vic, vestito esattamente come prima, cosa che lasciò inevitabilmente Kellin un po’ deluso, solo scalzo e con … una chitarra acustica?!
«Cosa hai intenzione di fare con quella?»
«Rompertela in testa, è da tanto che non lo facciamo. Ma sei stupido o cosa? Ti suono un pezzo.» rispose sorridendo il chitarrista, ed iniziò: «I’VE BEEN THINKING LATELY ABOUT YOU AND ME, AND ALL THE QUESTIONS LEFT UNANSWERED, HOW IT ALL COULD BE, AND I HOPE YOU KNOW, YOU NEVER LEFT MY HEAD, AND IF I EVER LET YOU DOWN, I’M SORRY.» Quel concertino improvvisato fu interrotto da un urlo sorpreso: «Aspetta, ma questa è una mia canzone, degli Sleeping, di Feel, che non è nemmeno ancora uscito. Tu … come?»
«Ho le mie fonti Quinn.» rispose scherzando. «Comunque sai che ogni tanto Gabe esce a bere qualcosa con noi e gli ho chiesto gli spartiti. Questa canzone sembrava perfetta perciò eccomi qui a cantartela.»
«Oddio Vic è fantastico, è la cosa più carina che qualcuno abbia mai fatto per me!» e in un attimo fu disteso sopra di lui, prendendo a baciarlo con passione e lasciargli piccoli morsi e baci sul collo che presto si sarebbero trasformati in lividi violacei tutt’altro che discreti.
 «Ehi Kells, calmo, ho preparato tanto questa canzone e voglio … fartela sentire per intero, se continui così anche solo un minuto di più credo di … potermi anche dimenticare di farti sentire Sorry.» rispose lasciandosi fuggire qualche gemito e prendendosi delle pause di tanto in tanto, provocate dalla lingua di Kellin che continuava a scendere giù per il suo collo. Entrambi si rimisero seduti anche se non era quello che volevano, e la voce di Vic ritornò a riempire la stanza, sebbene stonasse un po’ a causa delle note troppo alte: «AND YOU KNOW THAT YOU CAN TAKE ALL OF ME, I SWEAR I WILL BE BETTER THAN BEFORE, SO SING IT BACK.» e a questo punto Kellin si unì rispondendo alle occhiate languide di Vic: «I AM SORRY FOR THE THINGS I’VE DONE, THINGS I’VE DONE, I’M SORRY FOR THE MAN I WAS AND HOW I TREATED YOU.»
Ad un tratto entrambi esclamarono: «You never left my head.» e seppero che era vero.


ehi bella gente (?), mi sono ricordata ora di non essermi presentata o sbaglio? Chiamatevi Vì c:
scusate per questo spettacolo pietoso che vi sto proponendo, ogni volta che rileggo i miei capitoli sembrano peggiorare çç in ogni caso c'è questa parte molto molto fluff che, credo, vi abbia fatto fangirlare come non mai. Dico così perché io lo facevo mentre scrivevo, lol. Tornando a noi una recensione sarebbe davvero molto gradita, anche se mi invitate a smettere di scrivere. Ringrazio che recensisce, i vecchi e i nuovi lettori.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Confessions and Feelings ***


«You never left my head.» a quelle parole non riuscirono più a controllarsi, c’era stato abbastanza tempo per il romanticismo, anche se entrambi sapevano che potevano continuare all’infinito a fare i “fidanzati carini” perché era proprio nella loro natura, ma le cose avevano bisogno di riscaldarsi, lo volevano uno più dell’altro e sapevano che era la cosa giusta. Kellin tornò nella posizione in cui si trovava 5 minuti prima e prese a sbottonare i pantaloni di Vic e a stuzzicarlo con baci e piccoli morsi. Incredibile come l’incavo dietro l’orecchio del messicano sembrasse fatto apposta per suoi i baci. Con una mossa sexy e decisa Vic decise di invertire le posizioni, togliendo la maglietta al più giovane rapidamente e prendendo a baciarlo con trasporto scendendo poi fino all’ombelico e risalendo. Con una mano gli sbottonava i jeans mentre l’altra prendeva a stuzzicargli i capezzoli. Decise che era meglio divertirsi un po’ e far divertire anche Kells, ma che altruista che era. Motivo per cui scese con le labbra fino al membro dell’altro e iniziò a fare quello che entrambi aspettavano. «Vic, ti prego non fermarti.», urlò quasi l’altro, e infatti lo ascoltò. Kellin venne nella bocca di Vic, che ingoiò tutto, e dopo alcuni baci appassionati il più giovane rimase in attesa di veder tornare l’altro con il lubrificante. Il fatto che ne avesse con sé era abbastanza sospetto, ma non gli importava, anzi era solo meglio. Tornò dopo poco e se ne spalmò un po’ sulla mani e poi sull’apertura del ragazzo. Prima di entrare dentro di lui provò con un paio di dita e si stupì di come riuscisse ad essere ancora così deliziosamente stretto nonostante gli avesse confessato di essere decisamente passivo il più delle volte.
 
L’atto fu più rapido del previsto, ma entrambi erano più che soddisfatti. E poi oltre a questo c’era da dire che era la loro prima esperienza insieme, la prima cosa che condividevano, ed era stato pieno di sentimenti. Rimasero un po’ in silenzio - dopo quelle urla era un controsenso - per pensare e prendere atto di quello che era appena successo tra di loro, a giocare con le mani l’uno dell’altro.
 
Vic si girò su di un fianco e prese a fissare Kellin. Era bellissimo; percorse mentalmente la linea del suo profilo, dalla fronte, per una volta scoperta dai suoi capelli neri, passando per il naso leggermente all’insù, il più bel naso che avesse mai visto - che complimento strano, pensò - fino ad arrivare alle labbra sottili che sapevano donare uno dei sorrisi in grado di risollevare il morale anche a chi stava pensando di farla finita. Ad un tratto aprì gli occhi di quel colore indefinito, profondo come il mare aperto. Kellin aveva sempre quello sguardo triste, con gli occhi chiari all’ingiù, e questo faceva preoccupare l’altro ogni volta che lo vedeva, gli veniva in mente il peggio. Intristivano anche lui, l’avevano sempre fatto. Quegli occhi avevano un potere sugli altri più grande di quanto il suo possessore si rendesse conto, ma probabilmente era meglio così, lo amava con quel modo un po’ buffo e spontaneo di fare, senza pretese …
Aspettate, aveva forse detto che lo amava? Forse è vero, pensò, ed una volta che l’aveva ammesso a sé stesso il tutto sarebbe risultato anche più semplice. Non era un adolescente, non diceva di amare una persona se non lo intendeva. Magari era presto, anzi quasi sicuramente era presto, ma d’altronde c’è forse un limite o una data? Non credeva se ne sarebbe pentito, allora perché non rendere partecipe l’altro del suo amore?
«Ma ciao straniero!» disse sorridendo. Quelle parole misero Vic così di buonumore da fargli prendere coraggio: «Ciao amore, avevo paura che ti fossi addormentato.»
«Paura? E perché mai?» rispose senza smettere di sorridere. Dio, quel sorriso lo faceva morire dentro.
«Perché al risveglio avresti potuto non ricordare niente, credere che sia stato solo un sogno o peggio ancora te ne saresti pentito. Non voglio che tutto questo accada Kellin, voglio che fra me e te le cose vadano avanti, bene, che ci godiamo questi momenti come se fossero gli ultimi ma sapendo invece che abbiamo una vita avanti per essere felici. Non è solo sesso fra noi, ci sono delle responsabilità, dei rischi, e io finalmente sono pronto ad assumermeli tutti per stare con te. Perché io ti amo Kells.». Ecco, l’aveva detto, tutto d’un fiato e senza metterci un minimo di passione, ma l’aveva detto, e sperava che anche per lui questo fosse l’importante. Ci fu una specie di silenzio imbarazzato fra di loro, carico di parole non dette.
«Ti prego, dì qualcosa o credo che potresti portarmi sulla coscienza.» continuò.
«Stavo solo prendendo del tempo per pensare.» fu la risposta, secca e senza sfumature di tono nella voce.
«Pensare a se mi ami?»
«Certo che no, so che ti amo, lo so da sempre. Sei tu quello che doveva prendere coscienza di quello che ci può essere tra noi.» disse Kellin con una semplicità disarmante.
 
Dopo questo Vic aveva una tormenta in testa, non poteva dirglielo subito invece che aspettare quei fatidici 10 secondi che ti fanno capire che le cose fra di voi finiranno dopo che tu abbia detto la più grande stronzata della tua vita? “Brutto stronzo, stavo per morire d’angoscia!” avrebbe voluto dirgli, ma ormai sapeva di essere amato da lui, e non gli serviva altro.
Nonostante ciò però continuò ad ascoltarlo, perché ogni parola che usciva da quelle meravigliose labbra era importante, perché voleva sapere cosa l’aveva spinto a prendersi quel momento di riflessione interiore.
«Pensavo alla prima volta che ti ho visto, quando incrociammo i nostri sguardi. Non eravamo altro che ragazzini, ognuno con il proprio sogno. Devo ammettere che io ti ho sempre trovato carino. Pensavo a quando ho fatto outing con te, sai sei stato uno dei pochi a cui ho sentito il bisogno di dirlo, perché io volevo che tu sapessi. All’inizio avevo solo bisogno di un amico, ma tu hai fatto così tanto per me che ho iniziato a pensare che essere tuo amico non mi bastasse più. Certo, solo nei miei sogni più incontrollati arrivavo a… beh, oggi. Credevo che impedendomi di pensarci sarebbe passata, ma non è stata così. Ti amo da sempre Victor, tu sei l’unica cosa che mi tiene vivo. Spesso mi chiedevo se tu, essendo la bontà fatta persona, avresti mai potuto amare me, un essere così … piccolo, con tanti difetti, pieno di sé ma al tempo stesso insicuro, se avresti mai potuto accettare il lato oscuro con il quale convivo ormai da anni. Pensavo a quella notte, quando mi baciasti. Riuscivo a sentire il mio cuore al di sopra del rumore delle casse. Mai un bacio aveva provocato così tante sensazioni dentro di me. Pensavo a quante lacrime ho versato ricordando che quella notte tu fossi ubriaco, che tu non volessi davvero farlo. Pensavo a quando mi imbucavo ai vostri concerti cercando di non essere riconosciuto, e a dirla tutta, sono diventato anche abbastanza bravo. Certo, la tua band è fenomenale e i ragazzi sono come fratelli, ma ora sai perché lo facevo. Pensavo a quel concerto di una settimana fa, a LA, all’attacco di panico che precedette la mia goffa entrata in scena. O almeno tentavo di pensare a tutte queste cose perché avevo dimenticato che tu meriti una risposta. Te l’ho data?»
Vic credette che parlare fosse superfluo dopo tutto quello che aveva detto il ragazzo, ed inoltre niente avrebbe retto il confronto con quella che avrebbe potuto essere una canzone, una poesia, un’opera d’arte. L’unico modo che immaginò per ringraziarlo, per fargli comprendere quanto significassero per lui le sue parole e quei momenti, fu abbracciarlo, forte, perciò gli cinse la vita con le braccia muscolose. L’altro rimase un po’ di stucco a questa reazione, ma dopo un paio di secondi si rilassò e appoggio la testa sul petto del messicano, inalando a pieni polmoni il profumo che lo contraddistingueva. Neanche concentrandosi avrebbe potuto spiegare di cosa si trattasse, ma tutti sapevano che quello era l’odore di Vic e la cosa lo rendeva anche non poco geloso, come se gli altri non fossero degni di respirarlo. A risvegliarlo, come sempre, fu un suo tocco. Gli sollevò il mento e posizionò i loro volti alla stessa altezza. Gli occhi tristi andarono ad incontrare quelli marroni e caldi, che li avvolsero come in un abbraccio e li fecero sciogliere. «Non c’è niente che non vada in te, niente che gli altri debbano sforzarsi di accettare, men che meno tu. Non riesco a trovare un solo motivo per cui qualcuno non dovrebbe amarti, ma se solo qualche altro ragazzo ci prova io lo gli farò assaggiare la furia di San Diego. Tu sei mio, sei perfetto e sei mio. Ora vieni, dormiamo, siamo stanchi.» ed insieme si posizionarono sotto le coperte nonostante il caldo e a poco a poco si lasciarono prendere dal sonno, abbracciati, come è giusto che due persone che si amano facciano.
 
Avrebbero portato quella camera d’albergo per sempre nel cuore.


uh beh ecco, questo capitolo piace anche a me e ne sono abbastanza soddisfatta, tranne alcune cose che credo siano alquanto irreali ma ehi, questa è una fanfiction, tutto è irreale! *Elvira se devi giustificarti almeno fallo bene, lol* Beh, in ogni caso recensite, recensite, recensite e avrete il mio amore forevah ** Baci ancora a tutti quelli che leggono.
- perrysplugs

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Nobody prays for the heartless. ***


Nel frattempo in albergo
 
Chissà come starà Kellin adesso, sarà tornato davvero a casa? O sarà andato a perdere tempo come suo solito evitando i problemi? No, non l’avrebbe fatto, ci tiene troppo alla sua famiglia per farlo, come avrebbe potuto? E se tutto fosse andato male? Se Katelynne l’avesse cacciato di casa? O se peggio, l’avesse cacciato dopo aver scoperto tutto? E se … Vic Fuentes devi smetterla di farti tutte queste cazzo di domande a cui ovviamente non saprai dare una risposta finché non lo rivedrai. “Che paranoico che sei oh!” Aspettate che questa è bella, parla da solo, e si insulta anche, perfetto.
Si buttò sul letto a peso morto non riuscendo a non notare quanto fosse comodo, sarebbe stato bello sprofondarci e mandare a fanculo tutto per un paio di giorni, ma lo aspettavano. Aveva voglia di rivedere i suoi genitori e i ragazzi, in effetti doveva anche sbrigarsi a prenotare il volo. No, meglio aspettare di passare un altro po’ di tempo con il suo “ragazzo” - doveva iniziare a chiamarlo così perché era sottointeso che lo erano vero? – tanto nessuno si sarebbe preoccupato finché rispondeva alle chiamate fingendo di spassarsela con qualche bella gnocca. Dopotutto gli era già capitato di farlo dopo un lungo tour.
Certo che però passare quei momenti in compagnia di Kellin era stato fantastico, non avrebbe voluto lasciarlo mai andare, però purtroppo era necessario. E se lo avesse chiamato? No, avrebbe aspettato che lo avesse fatto lui perché non sapeva cosa stava combinando mentre era certo che lui sapesse della solita monotonia di Vic. Anche se la voglia di sentirlo era maledettamente forte doveva resistere.
Le pensava davvero tutte quelle cose che aveva detto, anche perché lui non era il tipo da partire sparato senza riflettere su quello che faceva, quella parte della famiglia era Mike, anche se certi momenti avrebbe voluto assomigliargli di più, pensare di meno e beh, scopare di più. Non solo questo ovvio, ma alla fine il concetto è che meno pensavi meglio stavi.
Si alzò di scatto dal letto e si vestì meglio: perché buttare una giornata? Perciò scese come aveva fatto il giorno prima e si incamminò per la città. Vide tanta di quelle gente che immaginò ci fosse un qualche evento nelle vicinanze, ma osservando meglio comprese che era solo l’orario di punta, tutti sembravano focalizzati su qualcosa di personale. Continuò a camminare con le mani in tasca aggiustandosi il cappello di tanto in tanto.
Ogni volta che vedeva qualcuno non poteva fare a meno di farsi delle domande, come per esempio “I suoi capelli sono davvero di quel colore o li ha tinti?”, “C’è qualcosa che avrebbe voluto fare con tutto sé stesso ma a cui ha rinunciato?”, “Come ha passato gli anni del liceo?”, oppure “Qual è stato il suo viaggio più emozionante?”, o ancora “Deve ringraziare qualcuno se è ancora vivo?”, e avrebbe potuto continuare per ore, infatti fu tentato di chiedere a qualche passante alcune delle prime domande che gli passavano per la testa. Si perse nell’immensità delle cose che avrebbe potuto scoprire, ma ad un tratto fu risvegliato da un tocco delicato sulla spalla sinistra. «Scusi signor Fuentes, no cioè Vic, oh, come devo chiamarti? In ogni caso sono Bridgit, una tua grande fan.», questa la voce di chi l’aveva “svegliato”. Si girò e si ritrovò una ragazza mediamente alta, magra, con un grazioso vestitino a fiori e i capelli biondo platino raccolti in una lunga treccia. Il suo viso aveva tratti abbastanza marcati ma una spruzzata di decise lentiggini rendevano il tutto più adorabile. Detto così avrebbe potuto passare facilmente inosservata per una classica ragazzina da college inglese, ma c’era qualcosa di più in lei, di incredibilmente forte, e non lo si capiva solo dal paio di Dr. Martens consumate che portava ai piedi, dal trucco marcato intorno agli occhi, ma proprio da quello sguardo intenso, pieno di storia. «Mammaaaa! Pappaa!» strepitò con una vocina da amare il piccolo bimbo che aveva in braccio. Era tutto guance e occhioni azzurri, con un pantalone di jeans in cui annegava e una maglietta variopinta. Avrebbe potuto essere il bambino più bello che aveva mai visto, dopo Cope ovviamente, tutta suo padre. Augurava a quel bambino tutto il bene del mondo, probabilmente perché avrebbe voluto augurarlo alla madre, ma credeva che ormai fosse un po’ tardi.
«Vic è perfetto, io invece posso avere l’onore di chiamarti Bridgit?» rispose il cantante.
«Certo, puoi chiamarmi come vuoi.» rispose lei in tono entusiasta, e poi continuò: «Vuoi prendere qualcosa? Dici solo e faremo il possibile per accontentarti, è solo che voglio parlare con te, non credo che mi sarebbe mai capitata un’occasione del genere e non ho intenzione di sprecarla.»
«Se non ti dispiace potremmo anche prendere posto su questa panchina qui vicino, tanto non credo che molte persone mi conoscano qui.»
«Sfortunatamente hai ragione, ma i Pierce The Veil meritano tutto il rispetto e le fan di questo mondo.»
«Grazie davvero. Allora, c’è qualcosa in particolare di cui vuoi parlarmi?» le chiese sorridendo.
«Principalmente vorrei ringraziarti. Insomma, seguo te e i ragazzi da sempre praticamente, mi avete aiutata tantissimo; non ho mai avuto una di quelle vite difficili di cui la gente ama tanto vantarsi solo per sentirsi dire che sono forti abbastanza, ma c’è stato un periodo in cui ho sfiorato la depressione e ne sono uscita grazie a voi. Subito dopo ho creduto di dover recuperare tutto ciò che mi ero persa in quel periodo e ho iniziato a fare cose di cui non andare fiera, ma ora sono pulita da tutto e la gioia delle mia vita è Tay. Avevo pensato di dargli il nome di una vostra canzone ed il massimo che la mente abbia partorito fu Cara se fosse stato una femminuccia. Anche alle miei ovaie faceva schifo questo nome e me l’hanno dato maschio.» Iniziarono a ridere un po’ per il modo di parlare della ragazza, aveva infatti un accento strano, esotico però, magari aveva origini scozzesi, chissà. Comunque continuò a parlare: «Quando ascoltai per la prima volta One Hundred Sleepless Nights all’inizio risi perché mi comportai esattamente così con il mio ragazzo di allora, lo feci sedere nel mio salotto e gli diedi la notizia, ma poi piansi tutto quello che avevo in corpo perché avrei tanto voluto che lui rimanesse, l’avrei tanto voluto, credevo di amarlo ma alla fine per lui era un gioco e per me le cose si stavano facendo serie. Cazzo, ero incinta, più serie di quello!». Altre risate.
«Sai che mi dispiace per te Bridgit vero? Ma mi fa anche piacere rappresentare questo nella tua vita, anche io ho un punto fisso e sono i miei genitori, loro ci saranno sempre, così come tu sai che noi ci saremo sempre. Vieni qui, fatti abbracciare.» e si strinsero forte per qualche minuto insieme a quel bimbo bellissimo che sbavava ovunque. Ok, magari questo non era proprio bello in quel preciso istante.
«Promettimi che non vi scioglierete mai.» gli disse ad un tratto lei quando si furono lasciati, incrociando quello sguardo di ghiaccio con gli occhi di Vic.
«Bridg, sai che non posso prometterti questo. Arriverà un momento in cui noi avremmo finito di dare al mondo quello di cui il mondo ha bisogno, ma saremo sempre noi, i Pierce The Veil, quei quattro messicani unitissimi sia nel salvare vite con la musica sia a sparare stronzate ballando a ritmo di I Wanna Dance With Somebody. Questo posso promettertelo.»
«Ho appena ricevuto un soprannome da un Vic Fuentes che mi ha spezzato il cuore dicendo che coloro che mi sono stati più vicini della mia famiglia un giorno non ci saranno più. Fantastico.»
«Detto così sembra quasi carino, ma non devi dire così sulla tua famiglia!»
«Vic, sei adorabilmente ottimista, ma devo, insomma, mia madre mi ha dato della … Amore puoi metterti le mani sulle orecchie e ripetere La La La – disse rivolta al bambino, e dopo essersi accertata che avesse obbedito continuò – mi ha dato della puttana quando era successo lo stesso a lei. Ma ti rendi conto? Non posso fare a meno di ridere ogni volta che ci penso. Beh, feci i bagagli e me ne andai prima che quel pelatone del suo secondo marito potesse ordinarmi di sloggiare. Ma in fin dei conto sto meglio così.»
Vic non poté far a meno di chiedersi cos’altro avesse potuto passare quella povera anima prima di essere con lui quella mattina a parlare delle proprio esperienze, perciò pesò con cura le parole che le rivolse dopo: «Immagino tu sappia qualcosa sulla mia storia, anche io i miei guai me li sono andati a cercare perciò posso dirti che le cose si risolvono sempre se hai la forza di alzarti e riprendere in mano la tua vita. Sono sicuro che tu l’abbia fatto prima di oggi e sono incredibilmente fiero di te, nonostante tu possa dire di essere una brutta persona, perché la maggior parte dei miei fan lo dicono quando in realtà non farebbero del male neanche ad una mosca. Tutti in fondo siamo brutte persone, quello che facciamo di noi dipende da quanto in fondo lo siamo. Tu ora hai questo bambino e hai te stessa: goditeli, perché sei bellissima e hai il mondo ai tuoi piedi. Abbi fiducia e affrontalo a viso aperto.»
A queste parole lei si coprì il volto con le mani, probabilmente per coprire il trucco che colava, ma lui gliele scostò e quello che vide fu una Bridg ancora più bella di prima, perché più vulnerabile. «Che ne dici di un biglietto per il nostro prossimo concerto?» le offrì infine.
«No, io non posso, non sono speciale, e quando usciranno le date se saranno vicino e se me lo potrò permettere allora verrò.» fu la sua risposta decisa ma alquanto singhiozzata.
«Sei incredibile Bridg davvero, ti ammiro dal profondo della mia anima. Vorrei insistere per quella storia del biglietto, ma qualcosa mi dice che sarebbe inutile. Se cambi idea prova solo a contattarci e farò in modo che il manager mi passi la telefonata, ok? E non piangere, non ne hai motivo.»
«Va bene Vic, e sappi solo che la mia stima nei tuoi confronti è cresciuta ancora di più dopo stamattina, e fidati che non credevo fosse umanamente possibile.»
«Vuoi qualcosa? Ti prendo da bere?» le chiese.
«No no, ora devo andare, ma hai reso questo giorno il migliore della mia vita. Addio Vic.»
«Arrivederci Bridg, e ciao anche a te piccolo Tay!». E presero vie diverse per vite diverse.


E Vic si allontanò dalla parte opposto alla quale  la ragazza si diresse. Gli stava venendo fame, magari avrebbe preso un taco, chissà se lì vicino li vendevano. Credeva di si. Nel frattempo pensò a quanto potessero risultare improbabili quella madre e quel bimbo agli occhi degli altri, ma per lui erano solo … affascinanti. Poteva essere quella la parola giusta? Sapeva solo che voleva conoscerli meglio. Ma adesso doveva smettere di pensarci, non sapeva perché ma il suo istinto gli diceva che era meglio così.
«Signoore, signore con i capelli lungoo!» strepitò una vocina accompagnata da piccoli passi maldestri. Possibile che fosse Tay? No, doveva smetterla, basta, stop, fermarsi, e tanti altri verbi. Si girò ma vide proprio Tay, senza Bridg, strano … Si preoccupò per lui perché a giudicare doveva avere meno di cinque anni e non poteva di certo girare da solo. Si abbassò e disse: «Campione, che ci fai qui?» mentre gli scompigliava i capelli. Aveva sempre amato i bambini, perché allora non poteva diventare padre?
«Volevo vedere te!» e gli puntò il dito contro una guancia, mancando per poco l’occhio sinistro.
«Allora sono qui, vieni che ti prendo in bracco e ti porto dalla mamma.»
«Mamma non so dove sta.»
«E allora la cerchiamo insieme, dove l’hai lasciata.»
«Vieni che ti faccio vedere.» strepitò per essere lasciato a terra, afferrò un dito di Vic e lo portò indietro per la grande via. Sperava davvero che non fosse lontana.
«Sai dov’è la mamma?» chiese al bimbo dopo vari minuti.
«Eccola! Eccola! Però prima che la raggiungiamo, fai stare bene la mamma, lei è contenta quando sente voi, altre volte io non la vedo così. Mamma è una brava persona, perciò credo che anche voi lo siete. Mi piacciono i tuoi capelli!» rispose il piccolo. A quelle parole Vic si commosse, non sapeva perché, sarà stato perché di certo quelli furono i complimenti più sinceri che avesse mai ricevuto, perché vedeva in quel bambino un futuro che per lui era lontano … non lo sapeva, ma quando incontrarono Bridgit era nelle stesse condizioni. Probabilmente piangeva perché non trovava Tay, era comprensibile, fatto sta che quando li vide non aveva parole per ringraziare il messicano.
«Non c’è di che, lui è venuto da me e non potevo fare altro che riportartelo.»
«Mi sono distratta per rispondere al telefono e in un attimo non era più dietro di me, mi sono preoccupata come non ho mai fatto nella mia vita. Giuro di saper essere una buona madre, solo che stavol … »
«Non ti preoccupare, può capitare a tutti.» la interruppe lui.
«Avrai una famiglia fantastica Vic, te la meriti e tutti ti ameranno. Grazie.» le rispose lei, regalandole il sorriso migliore che avesse per fargli capire quanto dal profondo avesse intenzione di ringraziare, ed in effetti riuscì ad essere davvero bella. Dopo qualche frase imbarazzata però si salutarono ed ebbero l’idea che stavolta sarebbe stato definitivo.
Quell’incontro gli aveva lasciato una sensazione strana, come se qualcosa rimbalzasse per la sua testa senza che lui stesso riuscisse a capire di cosa si trattava. Ci ripensò su mentre cercava un ristorante messicano, e ancora e ancora, finché non gli venne un’idea, l’idea.


salve gente, è vì che parla e beh, questo capitolo non è niente di che, è solo un capitolo di transizione, ma è speciale per me preché è estremamte personale, e spero che voi vi emozionerete a leggere così come io l'ho fatto mentre scrivevo. Mi scuso per gli eventuali errori grammaticali e ringrazio chi legge e mette la storia fra le seguite e le preferite, ma soprattutto chi spende qualche minuto per fami sapere cosa pensa della mia fanfiction, sia tramite recensioni che su twitter. In particolar modo, visto che come avete visto questo capitolo è incentrato sulla figura di Vic, vorrei dedicarlo a giosh, aka Caraphernelia come recensore, per ringraziarla per tutte le recensioni, per essere un'amica, per incoraggiarla e anche perché mi ricorda molto quella scimmi di messicano. Quindi che dire, grazie a tutte, ci vediamo alle recensioni e ai prossimi capitoli c:
- perrysplugs

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** I don't want to get this confused ***


La mattina
 
Il primo a svegliarsi Kellin, il quale alzando lo sguardo fu immensamente lieto di vedere ancora Vic lì vicino, nella stessa posizione in cui si erano addormentati. Certo che avevano dormito tanto, non sapeva neanche che ore erano ma non voleva spostarsi e controllare l’orologio, perché sarebbe come porsi dei limiti, accettare la realtà e le conseguenze. Già, perché anche se fingeva di fregarsene, quello che sarebbe accaduto dopo avrebbe superato le loro più nere aspettative, lo sapevano ma non volevano accettarlo. Non era il Kellin Quinn esuberante e menefreghista che gli altri credevano, lui era terrorizzato la maggior parte della sua vita e stare con Victor tirava fuori questo suo lato ancora di più.
I suo occhi però scivolarono sul comodino e notò che erano le 10, porca merda, le 10 mattina. Come era umanamente possibile? Si alzò in fretta e furia svegliando, ovviamente, il compagno.
«Dove stai andando?». L’ansia era percepibile nel suo tono di voce.
«Ti rendi conto vero che sono uscito di casa tipo 24 ore fa? Non è il massimo, nessuno avrà chiamato la polizia ma ho qualcuno a cui badare.»
«E … quindi ora di noi?»
«Quindi ora io mi rimetto i pantaloni, torno a casa facendo finta di niente, mi invento una qualche scusa e intanto penso a quanto fantastico sia stato il nostro tempo insieme, perché c’era talmente tanto amore da far vomitare arcobaleni anche a Jesse. »
«Non dimenticarti di noi.»
«Potrei mai?» e gli stampò un bacio a fior di labbra, incamminandosi poi verso la porta con la sua roba.
Ad un tratto il messicano gli si parò davanti, ancora nudo a dir la verità, e lo baciò dolcemente ma con decisione. Non avrebbe dovuto farlo, ora Kellin era del tutto tentato di non tornare a casa almeno per un’oretta, ma doveva. Perciò con uno sforzo inaudito - no, non sto esagerando – lo scostò delicatamente e lo salutò.
 
Si incamminò per le strade della città e per il nervosismo si accese una sigaretta, doveva smettere, tanto per quanto fumava era proprio inutile, ma in momenti come quello una Marlboro era tutto quello che gli serviva.  Come aveva potuto vivere tutto questo senza sentire quei respiri sulla sua pelle? Mentendo a sé stesso e a lui soprattutto sui sentimenti che provava? “Meglio rimanere concentrati.” si disse, sapeva quanto era facile per lui perdersi sovrappensiero.
Tornato a casa prese un bel respiro, riordinò i proprio pensieri, ripassò il piano e si preparò ad inserire le chiavi nella porta, finendo inevitabilmente per sentirsi uno schifo.

«Alla buon’ora. Dove sei stato? E per favore non andare via, fingere di non saperne niente, rifilarmi qualche stronzata che ti amputo prima la mano con cui tieni il microfono e poi tutto il braccio!»
La sua adorata mogliettina non gli aveva neanche fatto mettere piede in casa, ma quanto la amava? Decisamente troppo.
«All’inizio ho incontrato Vic, poi ho deciso che mi serviva staccare un po’ la spina, scrivere qualcosa, prendermi del tempo per riflettere e ho guidato un po’.»
«Con le chiavi della macchina ancora qui?» gli domandò allora Katelynne.
«Ne ho affittata una, te l’ho detto, dovevo staccare e quindi è stato tutto improvvisato.»
L’interrogatorio andò avanti ancora un po’ dopo che Kellin ebbe risposto a tutte le domande che gli fece la moglie. La conosceva così bene che nemmeno una lo prese impreparato, si sentiva onorato ad avere al suo fianco una persona che si fidasse così ciecamente da aprirsi senza riserve, ma anche uno stronzo per non riuscire ad apprezzarla a sufficienza. Una volta finito di discutere si abbracciarono, sapendo però che per quanto credibili ci voleva ben altro per prendere in giro Katelynne Quinn, era una donna maledettamente in gamba. «Amore, tutto bene?» perciò le chiese.
«Sì, sono felice che tu sia di nuovo qui.» e si avviò a passo veloce verso il piano di sopra, asciugandosi una lacrima non appena il marito fosse abbastanza lontano.
Chissà cosa si provava ad essere amati incondizionatamente dalla persona che si ama. Ad essere ricambiati, semplicemente. Lei sapeva che Kellin le voleva un bene nell’anima, che avrebbe dato la vita per lei, ma non era amore quello, o almeno non lo stesso tipo di amore che provava lei per lui. Se ne accorgeva dal modo in cui le parlava, in cui le teneva la mano o le accarezzava i capelli durante un film, era come se non fosse presente, come se la cose non lo riguardasse. Ci stava davvero da cani al solo pensiero, magari non era una donna modello ma ficcarsi in questa situazione era stato decisamente lo sbaglio più grande della sua vita. Lei era solo una copertura, non serviva che a continuare a mentire. Un peso le si posizionò sul petto, in corrispondenza del cuore; era come se quest’ultimo avesse deciso di sprofondare, come se la cassa toracica si fosse incrinata e avesse assecondato i suoi movimenti. Come potevano due buoni amici, finti amanti come loro crescere Copeland insegnandole ad essere sincera e che per amore si combatte? Era tutto una fottuta bugia, un incubo dal quale non si sarebbe rassegnata. Ma poteva fare un ultimo disperato tentativo.
 
Scese le scale ancora più velocemente di come le avesse salite e si precipitò dal ragazzo, intento a guardare un programma musicale alla televisione. «Facciamo l’amore Kellin, è da tanto che non lo facciamo e Copeland è dai Mullins.» gli disse in tono suadente all’orecchio prima di prendere a morderglielo delicatamente. Il moro non ne aveva davvero voglia, e a quanto pare neanche il suo amichetto di sotto, dato che non diede il benché minimo cenno di un “risveglio”, ma si sentiva troppo in colpa perciò decise che magari non era del tutto sbagliato dare alla moglie una possibilità. Perciò prese il suo viso tra le mani e iniziò a baciarla, trattenendosi da pensieri erotici che non riguardavano lei. Si stupì di quanto questo gli risultasse relativamente semplice, si concentrò sulla moglie e basta. Dopo questo le sfilò il top che rivelò un reggiseno di pizzo nero che decisamente non era lì a caso e un fisico che sembrava scolpito. Ringraziava i tratti mascolini di lei, probabilmente erano quelli che continuavano a rendere credibile la sua messa in scena, ma nel momento stesso in cui Katelynne sbottonandogli i jeans scese giù dalle labbra di Kellin al suo sesso gli vennero in mente tutti i ricordi del giorno precedente. Fu un colpo durissimo, perché quando le afferrò i capelli era sicuro di avere in mano la chioma ribelle di Vic e di certo non quei capelli così dannatamente lunghi e femminili.
Non riusciva, davvero non ce la faceva più a mentire a sé stesso e a subire quelle “attenzioni” che magari avrebbero fatto più che piacere alla maggior parte dei suoi conoscenti, ma non a lui. Non riuscì a lasciarla continuare, era come se non stesse succedendo nulla fra i due: «Katelynne io non …»
La ragazza si rialzò, gli pose un indice sulle labbra e andò via senza dire neanche una parola. Quella frase avrebbe potuto significare molto altro, avrebbe potuto benissimo essere una frase balbettata nell’eccitazione del momento, ma non per loro che sapevano tutto l’uno dell’altra.
Erano sposati da meno di un mese ma si conoscevano da quattro anni e sapevano entrambi delle loro tendenze e necessità. Allora perché continuavano a far finta che non sia così? Non lo sapevano ma non era un bene, sarebbe stato meglio mettere le cose in chiaro una volta per tutti perché con i singhiozzi e i rimorsi niente sarebbe migliorato.
 
Questo era il loro pensiero ricorrente, motivo per cui Kellin dopo quelle che parvero ore ma che furono certamente di meno, si alzò dal divano e cercò la donna.
«Vuoi parlarne?» le chiese una volta averla vista nella camera della bimba intenta a cercare qualcosa.
«No, ma dovremmo.» fu la sua risposta secca.
«Allora forse è meglio se andiamo in camera da letto e ci mettiamo comodi.»
La abbracciò ponendole un braccio sulla spalla sinistra e avvicinandola a sé. Una volta nella loro camera si avvicinò all’armadio e le prese una camicetta larga e comoda, sapeva che aveva bisogno di qualcosa in cui stringersi quando qualcosa non andava o quando si doveva affrontare un discorso importante.
«Allora amore perché … »
«Non chiamarmi così Kells.» lo interruppe con tono calmo ma deciso.
«Va bene Kate, comunque perché sei scesa di nuovo giù cercando di venire a letto con me?»
«Sei mio marito, posso.»
«Sì ma mi sembrava che tu avessi capito di avere un marito gay.»
«Certi momenti non ti sei fatto di questi problemi.»
«Certi momenti ero ubriaco o pensavo ad altro.» rispose in maniera molto sottile, sperando di non farla soffrire troppo, ma poi cosa voleva? Doveva urlargli che gli piaceva il cazzo ogni volta che gli saltava addosso? Però voleva comunque evitare di risultare indelicato.
«Sei andato con Vic ieri vero?».
Silenzio.
«Sei un stronzo, il peggiore. Sapevo che non mi avresti mai amata, l’ho sempre saputo e me ne sono fatta una ragione. Sapevo anche un giorno ti saresti trovato un amante, ma di certo non ora. NON SIAMO SPOSATI DA NEANCHE UN FOTTUTO MESE, TE NE RENDI CONTO?» il suo tono passò da consapevole ad arrabbiato ed infine scoppiò in un pianto incontrollato. Come aveva potuto essere così cieca?
Riprese il controllo e gli fece delle domande, anche se non credeva di essere abbastanza forte da voler ascoltare le risposte. «Da quanto va avanti questa storia?»
«In realtà oltre ad un bacio da ubriachi l’anno scorso, ieri è stata la nostra prima volta.»
A questa risposta la donna non riuscì a contenere le risate, e c’era un ché di malvagio e cinico in esse.
«Sei l’unico coglione in grado di farsi beccare a scopare con un altro la prima volta Quinn.». Il ragazzo giurò di vedere anche qualcos’altro in quella risata, avrebbe potuto essere rassegnazione?! Magari si stava illudendo, ma non sarebbe stato del tutto improbabile se Kate l’avesse accettato così in fretta, sapeva quanto forte era.
Tornando seria gli chiese l’unica cosa alla quale non voleva rispondere: «Lo ami?», ma ormai era fatta, perciò non poteva più tirarsi indietro. «Sì, sono innamorato di lui, lo amo.». Sembrava ormai che a tutti l’unica cosa che importava fosse questa, e guarda caso tutti lo capivano. Aveva scritto in fronte con lo smalto fluo “I love Vic Fuentes”? Gli scappò una risatina al pensiero, non sarebbe stata un’idea cattiva, magari non con  lo smalto però.
«Se lui ti ricambia allora non perdere quest’occasione, non sarebbe un bene per te né come artista, né come padre e persona. A me passerà.»
«Tesoro starai bene. Meriti un vero uomo, che ti faccia sentire una donna e ami i tuoi figli. Per favore pensa di più a te stessa la prossima volta. Non è un male concedersi qualche attimo di egoismo a volte. Mi dispiace di non essere l’uomo che ti serve, quello che per cui aspetti da 28 anni, ma arriverà, fidati. Al futuro penseremo più tardi, per il  momento concentrati sullo stare bene. Per favore, fallo per me.»
«Sai che non sarà facile vero? Nessuno mi aveva mai fatto credere di aver toccato il fondo per poi portarmi di nuovo su come te e viceversa, lo sai questo? Ma non fa niente, ho i bambini e ho preferito saperlo ora. Spero ti mischi una qualche malattia a trasmissione sessuale.» gli augurò infine sorridendo e asciugandosi l’ennesima lacrima.
«Sapevo anche questo, e per renderti contenta gli ricorderò di non usare il preservativo!»
Questo mi fa stare immensamente meglio.» e presero a ridere fingendo di essere buoni amici.
Anzi no, senza fingere.


eccomi di nuovo qui. allora, questo capitolo è alquanto angst, o almeno per me lo è, e la lunghezza è quello che non mi convince di più, perché originariamente dovevano essere due capitoli ma non sapevo come dividerli, perciò mi son detta "Fuck this shit", ne faccio solo uno e spero che per voi vada bene e non sia troppo lungo. E beh, sono arrivata in quel momento in cui a furia di rileggere i miei capitoli più e più volte stanno iniziando a piacere anche a me, quindi basta all'autosabotaggio psicolgogico e alle note depressive. Contenti?** ora vorrei ringraziare chi continua a recensire e leggere perché comunque siete importanti e mi fate capire che magari così negata non sono. Detto questo Vì vi saluta, ci vediamo alle recensioni se volete o al prossimo capitolo c:
- perrysplugs

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** I need you by my side. ***


A casa Quinn
 
Forse ancora non si era reso conto di quello che stava combinando, decisamente no. Aveva rovinato il suo matrimonio dopo appena un mese, sapeva che era del tutto organizzato ma non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine delle lacrime di Katelynne che le scendevano per le guance. In quel momento non importava se si trattasse di Vic, di Johnny Depp, di Oprah Winfrey o di uno dei Muppets. Sua moglie stava soffrendo per colpa sua. E se anche Cope avesse sofferto? Avrebbe sfasciato una famiglia, la sua. Cercò di allontanare il pensiero e per farlo, incredibile ma vero, decise di andare a telefonare Vic. Magari questo l’avrebbe fatto sentire meno in colpa. Era solo in casa perché per Kate rimanere lì faceva solo più male. Gli sembrava che fosse andata a prendere la figlia ma non ne era sicuro, non prestava mai attenzione a dove lei andava, e non perché era uno stronzo insensibile ma perché sapeva che sapeva badare a sé stessa e in ogni caso sapere dove fosse non avrebbe cambiato le cose.
Compose il numero, squillò e poi un secondo di silenzio. Kellin non seppe dire se Vic avesse attaccato e poi risposto, il tempo è stato davvero troppo poco. Poi un respiro.
«Pronto?» finalmente Vic si decise a parlare.
«Ehi amore, sono io, Kellin.»
«Kells, che bella sorpresa. In realtà mi chiedevo quando avresti chiamato.» disse con tono evidentemente imbarazzato. Dire quelle parole doveva essergli costato non poco sforzo.
«Scusami, solo che la situazione con Kate si è complicata un po’ e non potevo liberarmi prima.»
«Oh, cosa è successo? Voglio sapere.»
«Mi sembra giusto. Che ne dici di vederci?»
«Perfetto. – si poteva quasi sentire il sorriso del messicano allargarsi sempre di più dal telefono – Dimmi solo dove.»
«Casa mia credo si debba evitare, il tuo albergo anche. Non so Vic … »
«Ehi, abbiamo un conto in sospeso in quel bar ricordi? Dovrei pagare.»
«Sei un genio Fuentes. Quanto ci metti ad arrivare?»
«E se fossi già lì?»
«Corro.» e chiusero la conversazione.
Kellin era già vestito, ma si precipitò a cercare le sue amate Toms nere. Dove si erano cacciate? Ah, eccole. Le prese, e cercò di infilarle mentre correva verso le specchio. I suoi capelli non lo convincevano molto ma non poteva far aspettare la sua scimmietta. All’improvviso inciampò in uno dei dvd che la figlia lasciava in girò, rotolando per tutto il tappetto in una scena al limite del tragi-comico, ma si fermò proprio di fronte alla parete a specchio. Almeno in questo gli era andata bene. Si avvicinò ulteriormente gattonando e una volta di fronte al suo io riflesso si sedette a gambe aperte e cercò di aggiustarsi i capelli. O al diavolo, avevano dormito insieme e si erano visti sporchi e sudati, Vic doveva saperlo ormai di quanto potessero essere alla cazzo i suoi capelli.
Si alzò velocemente e si buttò letteralmente fuori di casa. Raggiunse il locale quasi correndo e quando lo vide gli sembrò stesse aspettando da tempo. Ovviamente Vic lo raggiunse con lo sguardo e gli rivolse un sorriso in grado di illuminare una città a giorno. Kellin accelerò il passo e incurante della gente lo baciò con passione, facendo aderire il proprio corpo a quello dell’altro, che non sembrò disdegnare minimamente il contatto fisico. Poi però lo allontanò bruscamente.
«Kellic c’è poca gente e non siamo di certo i Brangelina, ma è plausibile che passi un paparazzo qui e, credo tu possa confermare, non abbiamo proprio bisogno di qualche scoop. Non ora che il vostro cd sta per uscire e io dovrei riprendere il tour.», ma pronunciò queste parole con una tristezza tale da spegnere il sorriso del più giovane.
«Entriamo?» disse infine, cercando di recuperare qualcosa che aveva spento con le sue parole. Non era giusto, ma soprattutto non erano pronti. Avrebbero lasciato tutto senza essersi goduti niente di quello che avrebbero potuto godersi. Perché? Tra un tour che iniziava e uno che finiva quando avrebbero potuto stare insieme? Perciò a Vic era venuta quell’idea.
Mano nella mano entrarono e parlarono al cameriere del loro conto. Una volta risolto tutto si accomodarono l’uno di fronte all’altro ad un tavolino della tavola calda.
«Allora Kellin, mi vuoi spiegare un po’?» prese nuovamente la parola il messicano.
«Sì beh abbiamo parlato e lei ha capito. Ha dato di matto e ha giustamente rag …»
«DIO, LEI HAI DETTO CHE SIAMO STATI INSIEME IERI?» alzò la voce e iniziò a tremare.
«Non potevo mentirle Vic, capisci? E’ una donna eccezionale, si rialzerà e non ti chiuderà mai le porte in faccia. Ce l’ha con me, solo con me, e me lo merito. Chiamiamo le cose con il proprio nome: l’ho tradita, il fatto che io abbia sempre amato te mentre mi sembrava chiaro che non avrei mai potuto farlo con lei non cambia quello che ho fatto. Ora tranquillo però, mi preoccupo quando fai così.» e gli accarezzò i capelli in modo molto dolce, coinvolto, profondo, con un mezzo sorriso capace di sciogliere i ghiacciai. Vic si riprese e alzando la testa gli prese la mano e la strinse come se fosse il suo unico appiglio, con sicurezza ma come se da quel gesto dipendesse la loro intera vita. Si fece coraggio, batté un paio di volte le palpebre, prese aria e gettò fuori: «Kellin partiamo.»
La risata del moro fu un po’ indelicata, non si era reso conto probabilmente che la cosa era più seria di quanto egli credesse, perciò continuò: «Non scherzo, perché non partiamo? Subito dopo il prossimo tour. Non ce la faccio ad aspettare di concludere tutti i nostri impegni e di certo non mi accontento di passare qualche notte in albergo con il mio ragazzo come se fosse una puttanella. Ce lo meritiamo Kells, pensaci. Quanto tempo abbiamo perso? Perché non cercare di recuperare? Potrebbero essere le nostre ultime occasioni. Vuoi sprecarle?»
Messa così la proposta sembra davvero allettante. Loro due, a quanto aveva capito, in un viaggio on the road perché Kellin l’avrebbe imposto: romanticismo, sesso, niente regole, occasioni afferrate e nuove esperienze. Solo loro due. Kellin e Vic. Vic e Kellin. Dopo un paio di secondi si stupì del perché ci stava ancora pensando.
«E così hai deciso che sono il tuo ragazzo?» disse il più giovane alzandosi, sedendosi vicino all’altro e prendendo a ridere e giocare con la sua pancia come si fa con i bambini. Vic aveva davvero un fisico fantastico, l’idea di essere l’unico a poterlo toccare in quel modo lo lusingava parecchio. Continuando disse: «E se non fossi d’accordo?»
«Perché non dovresti?» chiese allora il messicano smettendo di ridere istericamente per puntare i suoi occhi da cucciolo sul volto del giovane.
«Perché sei il mio schiavo, ovvio.» allora rispose quello dandosi delle arie da diva che stonavano così tanto con tutto quello che stava cercando di dirgli tanto da farlo risultare ancora più amabile.
«’Padrone.» fu la risposta di Vic, accompagnata da un piccolo inchino.
«Allora, come primo ordine, è tuo compito portarmi in giro per gli Stati Uniti in macchina non appena avrai finito il tour. Magari prendiamo anche dei biglietti aerei per un posto in cui tu vuoi andare, proprio perché si stanno svolgendo tante manifestazioni contro il maltrattamento dei propri schiavi domestici e proprio ora non vorrei tutto l’odio dei media su di me.» affermò Kellin con tono scherzoso.
«Ma quindi partiamo? Noi due soli? Ma è fantastico amore!» e gli si buttò al collo.
«Ehi ehi, sono io che avrei dovuto avere questa reazione. Tu mi hai proposto di venire con te in viaggio e ora dovresti anche ringraziarmi?»
«Stammi a sentire – disse il messicano, e assunse un’aria anche abbastanza seriosa – non mi interessa come reagisci. So che mi ami e il fatto che tu voglia venire mi rende il finto trentenne più felice del mondo. Motivo per cui esaudirò tutti i vostri desideri signor Quinn.»
E iniziarono a guardarsi in modo malizioso senza però accorgersi del cameriere che cercava di farsi notare disperatamente per posare il vassoio con l’ordine e lo scontrino. I suoi colpi di tosse simulati li riportarono alla realtà. Da quel momento le risate non finirono più.
Sembravano una coppia di fidanzati alla loro prima uscita ufficiale, ma non erano proprio questo in effetti? Promesse, sorrisi e difficoltà.


eccomi ad aggiornare a orari e giorni improbabili, scusate. E scusate anche se questo capitolo non è niente di che, magari mi aspettavate altro, ma evito di assillarvi con i miei complessi. Mi farebbe piacere se commentaste con una recensione, anche se parecchio critica, accetto tutti. Vi ringrazio e prima che possiate menarmi mi dileguo. Alla prossima, vì c:

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Laughs and Tears ***


Un mese dopo
 
Tutto procedeva a gonfie vele tra Kellin e Vic, osavano dire che non sarebbero potuto andare meglio. Ancora non lo sapeva nessuno però, a parte Kat e Tony che avevano intuito il tutto da soli e sapevano che avrebbero mantenuto il segreto, perché al contrario del ragazzo Vic sapeva essere un po’ più discreto. Entrambi erano tornati alle loro vite abituali, tra tour, sala prove e famiglia. Inutile dire che le cose in casa Quinn si erano raffreddate; essendo entrambi genitori responsabili, tutti glielo riconoscevano, non avevano nessuna intenzione di turbare i bambini, ma fingere era diventato innegabilmente più dura. A San Diego invece le cose erano tranquille come al solito, i componenti della famiglia Fuentes avevano un rapporto invidiabile e il tour non stressava minimante i due musicisti di casa, anche se Vic avvertiva sempre di più la mancanza del suo cucciolo e la cosa lo distraeva, ma non abbastanza da non notare i comportamenti alquanto inusuali di Mike.
Dovevano ripartire con i Woe Is Me e gli Hand Like Houses, ma a quanto pare nessuno ne aveva voglia. Non avevano mai stretto più di tanto con questi due gruppi, e poi anche a Tony e Jaime mancavano amici e famiglia. Dannazione, non c’era un attimo di riposo per loro. Ah, ma quando saranno passati quella manciata di giorni sì che sarà un bel periodo per Vic, con Kellin. Si perse in quei pensieri sul suo ragazzo senza contare di non essere solo, ma a provare con i suoi amici.
«Cariño, ¿estás ahí?» gli chiese d’un tratto Jaime ridendo. Sapevano che preferiva parlare spagnolo quando erano tra di loro, ma delle volte era quasi fastidioso sentirsi rispondere in una lingua diversa da quella che hai usato per primo. Per fortuna non era questo il caso, ma non era molto difficile da dire Tesoro, ci sei?, o chiedeva troppo? Bah, era un adorabile coglione e basta.
«Si tesoro, sono qui, mi ero distratto giusto un po’, riprendiamo.» rispose l’altro accentuando il vezzeggiativo in maniera abbastanza acida.
«Ok, basta fare i piccioncini e attaccate con Stained Glass Eyes.» li interruppe Tony facendo l’occhiolino a Vic. Che stesse cercando di coprirlo?
 
«One, two, and one, two, three.
I changed your minds,
and ended up here,
through stained glass eyes
and colourful tears.
Fine …
Maybe I’ll pretend right now
 but I swear to God I’m gonna change the world …»
 
Finita la canzone si complimentarono tutti gli uni con gli altri e si strinsero in un abbraccio.
«Ragazzi stasera ci siete per una birra solo noi? Come i vecchi tempi.» furono le prime parole che pronunciò Mike da ore tranne dei “Buongiorno.” borbottati a inizio mattinata.
Tutti annuirono soddisfatti, già pregustando le risate di quella sera. Come sapevano divertirsi a San Diego, da nessun’altra parte.
 
 
Quella sera, non a San Diego
 
«Merda, quando arriva Kellin?» sbottò Jack.
«Parli come se fosse la prima volta che ci fa aspettare davanti ad un locale. Chi ha una sigaretta?» fu Justin a parlare, notevolmente più calmo, ma solo perché sapeva che prendersela con quella checca era un’impresa simile a farlo sembrare un uomo mentre cantava All My Heart.
«Vieni che ti faccio accendere.» gli rispose Gabe, scatenando un’occhiata torva da parte del chitarrista moro.
«Lo chiamo?» intervenne il rosso Jesse.
«Lascia perdere, è inutile.» disse Justin aspirando profondamente dalla sigaretta appena accesa dal batterista. Qualche cicca dopo ecco arrivare il cantante.
«Alla buon’ora cazzo.» gli urlò contro Jack, per poi proseguire: «Sai da quanto ti aspettiamo?»
«A giudicare dalla puzza di Gabe abbastanza, quanto cazzo hai fumato amico? Devi darti una regolata.» rispose Kellin rivolgendosi prima all’incazzatissimo Jack e poi all’altro.
«E tu usare un fottuto orologio.» gli disse prima di regalargli un grande abbraccio.
«Entriamo ora? Che qui ci si scioglie e fra un po’ inizia lo spettacolo delle ragazze.» si intromise di nuovo Jesse. Ebbene si, avevano trascinato Kellin in uno stupido strip club, eppure sapevano benissimo che li odiava, perfino quelli maschili, anche se a dirla tutta quelli erano già più piacevoli. Stasera avrebbe dovuto sopportare di parlarle con quattro scimmie arrapate mentre magari lui voleva discutere di cose serie. Tanto ormai aveva accettato e in realtà aveva solo voglia di bere, non ci avrebbe creduto nessuno se avesse detto di voler parlare seriamente perché non è da lui di solito, e quella sera non era diversa. Gli mancava Victor, da morire, ma avevano appena iniziato il tour e Feel stava dando loro un sacco di soddisfazioni. Non vedeva l’ora di abbandonare tutti e prendere quella dannata macchina con il suo amore. Si era già procurato i biglietti per Mosca ma questa è una sorpresa, lo sapeva solo lui e aveva intenzione di farlo sapere a Vic solo al momento adatto, cioè una volta all’aeroporto o poco prima.
Ecco le spogliarelliste, erano tre, una bionda, una mora e una rossa, insomma il massimo della fantasia. L’ultima aveva l’aria di stare per sentirsi male da un momento all’altro, ma ovviamente nessun altro lo notò. La bionda invece era davvero carina, lo ammetteva, mentre la mora era alquanto scialba ma sapeva muoversi meglio delle altre due messe insieme.
«Allora ragazzi, chi offre il primo giro?» chiese Jesse inevitabilmente più contento.
«Se bevi come una spugna, come al tuo solito, mi sa che tu fa giro a sé.» rispose allegramente Gabe, e tutti iniziarono a ridere.
«Và che offro io stasera.» rispose Kellin sorprendendo tutti.
«Kell abbiamo un concerto all’aperto domani, lo sai? Evita di farlo saltare, non ti preoccupare.»
«Simpaticissimo Justin, mi chiedo come tu sia ancora qui a fare il bassista di un’inutile band invece che andare a fare uno spettacolo di cabaret.»
«Perché mi unirei anche io in quel caso e il nanetto qui mi sopporta già poco.» rispose Jesse fermando l’amichevole botta e risposta tra i due, approfittando anche per scompigliare i capelli a Justin.
«In ogni caso ci andiamo giù pesanti tutti? Perché almeno uno dovrebbe guidare.» chiese timidamente il batterista, ma tutti sapevano che era solo una scusa per trovare qualcuno che guidasse mentre lui poteva ubriacarsi come se non avesse una dignità. Ci riusciva sempre, colpa di quella sua faccia da cucciolo.
«Suoniamo domani Gabe, non provarci nemmeno, dobbiamo mantenere un po’ di contegno. Tu sei inutile e per di più seduto, se ti addormentassi non se ne accorgerebbe nessuno, ma noi non possiamo fare surfing sulla folla versione cadaveri.» rispose Justin deciso ma ironico come al solito.
«Almeno lui però è più alto di Kellin.» lo difese Jack facendo riferimento all’altezza di due dei componenti della band, afferrando al volo una birra da una cameriera vestita poco più delle spogliarelliste.
«Seriamente amico, è imbarazzante. Hai provato con qualche rialzo nelle scarpe?» continuò poi ridendo.
«Almeno io non sbavo dietro ad un batterista semi pelato con la faccia da orsacchiotto. Anche se ammetto che il sesso con lui è stato fantastico. Non è vero Barhamuccio?» rispose Justin aggiungendo un tono mieloso e infantile alla voce nell’ultima domanda e facendo schioccare la lingua.
«E mollami.» fu la reazione divertita di Gabe quando vide le mani del bassista giù per il suo corpo.
«In realtà sono io che me la dovrei prendere, avete iniziato a prendere in giro anche me per via della mia più che rispettabile altezza! E poi alla fine lo sapete, chi è piccolo in verticale ha qualcosa di grande in orizzontale.» disse Kellin chiaramente ironico. Era consapevole di essere uno sputo, ma almeno il suo messicano era ancora più piccolo.
La scena risultava decisamente comica, tanto che alla fine tutti si trovarono a ridere dell’esilarante ambiguità che si veniva a creare fra di loro, esilarante sempre fin quando qualcuno non ci rimaneva scottato. Lo sguardo furente di Jack non sfuggì al cantante, lo conosceva fin troppo bene, ma cosa poteva fare? In quel caso davvero non c’era speranza, e le sue parole sarebbero risultate solo inutili.
E nel frattempo la loro serata andava avanti tra uno spettacolino e una frecciatina, tra una risata e una birra.


buonasera, buongiorno, salve eccetera eccetera, eccomi. Allora tralasciando il fatto che mi sono data alla pazza gioia con il corsivo, e vbb, vorrei "scusarmi" per gli accenni Gabe x Jack, come se vi dessero davvero fastidio e  niente di che alla fine, spero che vi piaccia il capitolo, alquanto inutile devo dire. 
Oddio quanto è inutile anche il mio spazio qui sotto, al pari del capitolo. Ci vediamo alle recensioni se volete comunque perché sto iniziando a delirare, lol, ciau c:
- perrysplugs

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** I'm ready if you support me. ***


La mattina

Kellin si risvegliò nella sua stanza d’albergo con dei vaghi ricordi su ciò che successe la notte precedente. Aveva solo dei rapidi flashback che lo tormentavano: vari giri dei più strani liquori, un paio di tette che si dirigevano dritte al loro tavolo, un posto vuoto, una rissa, un barista muscoloso niente male. Poi nient’altro. Provò al alzarsi dal letto e si ritrovò senza vestiti con un assurdo mal di testa che rischiò di farlo inciampare in Jesse. Il rosso era disteso per terra in mutande abbracciato ad una tettona alquanto ambigua, ma chi era lui per giudicare? Sperò solo che si fosse divertito abbastanza in questo ultimo periodo perché una volta tornato a casa avrebbe dovuto prendersi cura di Ashley e del bambino in arrivo, lui sapeva cosa significava. Gli altri dov’erano? Justin stava dormendo beatamente nel letto a fianco e sapeva che Jack e Gabe avevano preso una stanza a parte dall’altra parte del corridoio; non sapeva però se questa fosse una cosa positiva per il loro rapporto o no. Di una cosa però era certo: se la dovevano vedere loro.
Lui nel frattempo si affettò a prendere i suoi vestiti dalla poltrona, scrivere un biglietto in cui spiegava di chiamarlo se si fossero svegliati, ne dubitava, e ad uscire silenziosamente senza urtare niente e nessuno.
Non sapeva dove andare – sai che novità – perciò decise di sedersi alla prima panchina libera e riparata dalla folla che trovò per fare delle chiamate.
Compose il numero, il telefono squillò, poco dopo una voce sconsolata rispose con:
«Ehi.»
«Come sta andando a casa?»
«Tutto bene, manchi a Cope però.»
«Kate tu come ti senti?»
«Ho attraversato momenti migliori, lo sai, ma ho il lavoro e la tua bambola voodoo per sfogarmi.»
«Te ne posso procurare un’altra se ti rende più felice.»
«In fondo niente servirebbe a nulla.»
«Non voglio vederti così dai.»
«E come allora? Non sei neanche qui, come fai a vedermi? Avrei bisogno di te vicino in qualsiasi modo tu sei disposto a stare con me, eppure non sei presente. Io … » dei singhiozzi interruppero la voce della donna.
«Devo andare avanti e far stare male quello stronzo di Kellin. Credo che la tua frase dovesse finire così.»
«Vi prego brevettate un modo per odiarti.» riprese Katelynne.
«Oh, puoi chiedere a molte persone. Tu saresti fra quelle.»
«Ora devo scappare, ci sentiamo ok? Date sempre il meglio di voi.»
«Ok, ciao tesoro. Eh, una cosa, mi saluti la scimmietta per favore? Magari poi metti un mio disco.» le chiese lui con tutta la dolcezza di cui era capace.
«Certo, lo farò.» lo salutò alla fine lei.
 
“Ed una è andata”, pensò Quinn, “Passiamo al lato semplice di quella mattinata.”
«Amore!»
«Ehilà messicano.»
«Il tour?»
«L’abbiamo appena iniziato ma va discretamente bene. Il vostro?»
«Partiamo domani per Atlanta. Siamo tutti molto eccitati, insomma avremmo preferito rimanere a casa ma siamo animali da palcoscenico noi no? E comunque non saremo soli, condivideremo il pal … »
«Aspetta hai detto Atlanta?» lo interruppe Kellin visibilmente emozionato.
«Si perché?» chiese sospettoso Vic.
«Perché siamo in zona. Che ne dici di vederci?» propose il più giovane.
«Ma ci sono i ragazzi, come faremo ad inventare una scusa credibile per lasciarli?»
«Chi dice che dobbiamo lasciarli?» fu l’imminente non risposta di Kellin.
«Cosa hai intenzione di fare Quinn?» chiese l’altro anche più sospettoso di prima.
«E’ da tanto che la cosa tra di noi va avanti. Tony lo sa, Mike è tuo fratello e i miei ragazzi sono la mia famiglia. Perché non proviamo a dirglielo?» chiese poi notevolmente più timido.
«Primo: non provare mai più a chiamarli i tuoi ragazzi perché trasalisco ogni volta.
Secondo: non lo so Kells, di certo non possiamo provare, o glielo diciamo o no. Tu lo vuoi fare?»
«Ho te, ho lottato per averti, mi manca quest’ultima battaglia.»
«Se tu sei convinto allora credo che sia la cosa giusta da fare. Si, sono pronto. Siamo pronti, è il nostro momento.» concordò il messicano.
Si misero d’accordo e chiusero la chiamata dopo circa venti minuti. Nessuno dei due era mai stato così felice e convinto di confessare qualcosa.
 
 
Il giorno dopo
 
Il concerto del giorno prima per gli Sleeping With Sirens fu fenomenale, l’America dava sempre loro i risultati sperati, l’America non li avrebbe mai delusi, rinnegati.
In questo momento vedevano il sole tramontare sopra le loro teste, erano in viaggio tutti presi a chiamare le loro compagne, tranne Kellin. Sapeva che Katelynne non voleva sentirlo, voleva averlo, e chiamarla spesso l’avrebbe solo fatto sentire peggio. Stavano per dirigersi ad Atlanta, il cantante aveva il cuore che batteva tanto da sentirsi a chilometri di distanza. Era definitivamente pronti ma un coming out non è mai una cosa facile. “Calmo Kellin, rilassati.” si disse chiudendo gli occhi e prendendo un profondo respiro. Si concentrò sulla traiettoria del bus: una strada dritta, un rallentamento improvviso, deve esserci traffico, riprendono la strada, l’autista svolta bruscamente a destra, Jesse finisce addosso a Gabe poco delicatamente, imprecazioni varie, Kellin sta per addormentarsi ma no, deve rimanere sveglio. Un paio di manovre altamente discutibili e arrivano al bar. Aveva già anticipato ai ragazzi che stavano per incontrare i Pierce The Veil, e dal suo sguardo nervoso qualcuno sembrava aver intuito qualcosa ma aveva cercato di non dare a vedere altro e le cose si erano alleggerite.
Mentre i ragazzi scendevano dal bus per fumare e sgranchirsi le gambe il ragazzo vide Vic, e quella vista bastò a fargli passare il tremolio alle mani. Si vennero incontro titubanti ma contenti, si abbracciarono e il messicano sussurrò all’orecchio dell’altro «Sii forte e prendimi la mano.»
Ed entrarono nel locale prendendo posto vicini al tavolo che avevano prenotato, guardandosi intensamente e aspettando che gli altri entrassero.
«Ehi ragazzi, siete già qui?» chiese una voce non ben identificata, ma si vide Jesse in testa e tutti gli altri, tra Sleeping With Sirens e Pierce the Veil, a seguirlo a ruota. Si posizionarono tutti al tavolo, Tony di fronte loro due come a dargli coraggio, Gabe vicino a Jack e gli altri alla rinfusa.
«Allora ragazzi, come sta andando il tour?» chiese contento Jaime.
«Davvero bene, siamo carichissimi, voi?» rispose Justin.
«Tutto alla grande!» rispose l’altro sbagliando qualche lettera.
«Ottimo, quand’è che fate uscire un nuovo cd? Ah, voglio fare una collaborazione anche io, che ne dite se canto un pezzo originale?» continuò il bassista americano, improvvisando una versione a luci rosse di una vecchia canzoncina inglese, scatenando grosse risate da parte di tutti, tranne da parte dei due innamorati.
«Cosa c’è ragazzi?» chiese Jack interrompendo tutti e riferendosi ovviamente a Vic e Kellin.
«Beh, vorremmo parlarvi.» prese la parola Kellin mordendosi le labbra e stringendo ancora di più la mano del ragazzo sotto il tavolo.
«Ah diteci.» risposero in coro i ragazzi, chi con tono sorpreso, chi preoccupato, chi spensierato. Solo due voci non si unirono al coro.
«Beh, diciamo che vogliamo dirvi quanto ci teniamo a voi, a tutti voi, siete come una famiglia, e in famiglia le cose si accettano e si condividono.» stavolta fu Vic a parlare, per poi continuare: «Perciò, la cosa di cui vogliamo mettervi al corrente io e Kellin è …» e si fermò un attimo, lasciando tutti con il fiato sospeso, sé stesso con la gola secca e un silenzio carico di parole nell’aria: «Che ci amiamo ragazzi, è così. Io sono gay, Kells è gay, e stiamo insieme.» dopo di che si fermò, visibilmente scosso. Il compagno lo accarezzò discretamente per poi riprendere il discorso: «Non vogliamo che questo sconvolga il bellissimo rapporto che c’è fra le nostre due band, che sono più che colleghi. Non vogliamo neanche però rinunciare l’uno all’altro, ci amiamo, la cosa va avanti da un po’ e non eravamo sicuri di poter continuare a mentire. Per favore non trattateci diversamente, siamo gli stessi di dieci minuti fa.»
«Va benissimo, insomma ragazzi si vedeva lontano un miglio. L’amore regna, gaio è bello eccetera eccetera. Ora mi passate quella birra?» reagì Justin, meglio di quanto la coppia si aspettò, e a lui si accodarono Tony, ovviamente, Gabe e Jack, un Jesse già alquanto alticcio, mentre Jaime si limitò a mandare finte occhiate furibonde al suo messicano, ma in realtà era felice come un bimbo a Natale. Vic è sempre stato il suo migliore amico, hanno un rapporto fantastico, magari non il classico rapporto da amici, magari confuso e ambiguo in certi casi, ma avrebbero dato la vita l’uno per l’altro, e la cosa valeva per tutti gli altri componenti della band, è questo che caratterizzava i Pierce The Veil no?  Perciò Jaime decise che sarebbe andato a congratularsi con Vic solo dopo, così l’avrebbe abbracciato e preso un po’ in giro. Sperava davvero che fosse felice con Kellin, lo merita, eppure …  Mike invece reagì in modo del tutto inaspettato. Si alzò dalla sedia buttandola per aria, dandole calci e imprecando in spagnolo. La sua reazione preoccupò tutti in modo particolare, ma per il fratello fu come un sprangata sui denti. Le lacrime gli scesero copiose sul viso e le labbra si arricciarono in una smorfia dolorante. Kellin riuscì a imporsi di non pensare di rendere a Mike il favore, la sua mente stava davvero per comandare ai suoi pugni di fargli passare un brutto quarto d’ora, ma per ora si limitò ad asciugare il viso del suo amore. Gli strinse nuovamente la mano, e gli sussurrò parole rassicuranti all’orecchio, ma non voleva sbilanciarsi troppo, i suoi amici erano ancora lì e era ancora abbastanza imbarazzato. Ciononostante Vic sembrò apprezzare lo stesso perché gli sorrise e gli lasciò un leggero bacio sulla guancia, per poi spiegargli che era suo fratello e doveva necessariamente parlargli. Perciò si alzò, e sforzandosi di non crollare sulle ginocchia  si diresse verso il giardino sul retro del locale dove era sicuro di trovare Mike e buttò fuori un balbettante: «Ehi mi hermano!»
«Perché non me l’hai detto Vic?» chiese Mike e voltandosi Vic notò che anche lui aveva il volto rigato.
«Credi sia semplice? Cosa avrei dovuto dirti?»
«Stai con quello che credevo fosse il tuo migliore amico.»
«Lo credevo anche io.» lo interruppe Vic.
«Si ma diamine, non mi ha mai neanche detto di essere gay, devo aspettare trent’anni? E non venire a dirmi che l’hai capito solo adesso che non sono nato ieri, so come funzionano … queste cose.»
Silenzio da parte di Vic, solo singhiozzi.
«Ho letto dei messaggi da parte di Kellin la settimana scorsa, sul tuo cellulare.»
«TU COSA?» chiese notevolmente agitato il maggiore.
«Te ne arrivò uno mentre eri in bagno e lo lessi, non credevo che avessi ancora i tuoi bei segretucci da quindicenne. Ora torna tutto.»
«E adesso ti credi un fottuto detective, è così? Mi dispiace non avertelo detto, ma avevo paura esattamente di questo, non capisci quanto sia difficile per me? Potresti non guardarmi con gli stessi occhi, potresti non capire, non accettarmi. Tu sei così forte, sai ciò che sei e io sto avendo una crisi che non è né adolescenziale né di mezza età. Io non so che fare, e Kellin mi aiuta in questo, mi ama, e io amo lui. Non importa a nessun’altro, so che con te il rapporto è diverso, ma dovresti accettarmi, perché in fondo sono gay, ma sono anche altro. Era per questo che eri incazzato con il mondo?»
«Ero deluso con mio fratello, colui che mi ha insegnato a prendere sempre tutto con filosofia, perché io non ci riuscivo e volevo essere come lui. Ero deluso con te perché non mi avevi considerato abbastanza. Ti avrei accettato, non mi da nessun problema il fatto che non ti piacciono le donne, vuol dire più per me in tour, né che tu stia con Kellin, è un bravissimo ragazzo e non ti fa sembrare neanche tanto nano, ma quello che non capisci è che il vero problema sta nel fatto che io mi senta preso in giro.»
«Ma io ho bisogno del mio Mike, di mio fratello minore, la mia ispirazione, e ho bisogno che lui mi voglia bene così come gliene voglio io. Ma ti prego, non chiedermi di rinunciare a Kellin.» lo implorò con gli occhi pronti ad esplodere Vic.
«Non lo farei mai, ma per favore non mentirmi, non farlo mai più.» fu la risposta del minore.
«Mai, scusa se sono stato un idiota.»
«Ci sono abituato.» e si abbracciarono presi dalla foga del momento. Niente avrebbe potuto rovinare il rapporto tra i fratelli Fuentes, ora lo sapevano.


salve bella gente c: *sparge amore*
allora, qui sotto non ho granché da scrivere perché credo che il capitolo si commenti da solo. *vì smettila, è che non hai fantasia, non ci crede nessuno*, di consuguenza mi limiterò a ringraziarvi del vostro tempo e se per favore mi lasciaste una piccola recensione mi fareste mooolto contenta, fatelo per dare supporto morale a Vic (?). No ok, mi ritiro.
Ah, un'ultima cosa, la settimana prossima sarò in vacanza senza pc perciò niente aggiornamente fino a domenica prossima credo, I'M SOOORRY FOR THE (wo)MAN I WAS AND HOOOOW I TREEAATED YOUUU *keep singing*. 
Baci, Vì ♡

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Hail Mary, forgive me. ***


Altri due mesi dopo

«Due cornetti grandi al cioccolato grazie.» ordinò Vic Fuentes. Dopo che l’inesperto ragazzino del bar glieli ebbe consegnati si diresse a grandi passi all’albergo dove alloggiavano. In genere durante il Warped le band usufruivano dei bus forniti dagli sponsor ma lui e Kellin avevano preferito prendere una camera per stare un po’ in pace e beh, divertirsi fra loro due. Ultimamente le cose erano davvero perfette tra loro, ma non sembrava così per tutti. Alle poche esibizioni del Warped Tour a cui si era imbucato – perché i Pierce The Veil non vi avevano partecipato per impegni precedenti, ancora non se lo perdonavano – Kellin non aveva dato il meglio di sé, anzi a dirla tutta aveva davvero fatto pietà, ma pochi ragazzi se ne erano accorti. Sperava che questo non avrebbe fatto perdere fan agli Sleeping With Sirens ma sapeva che sarebbe successo. Nessuno aveva avuto il coraggio di dirlo al cantante, tranne Justin, ma sempre in modo indiretto. Era davvero preoccupato per questo fatto, ma non solo: Kells sentiva Katelynne sempre più raramente, e quando questo succedeva sentiva lei sbraitare dal telefono e lui trattenersi dal fare lo stesso. Non tornava quasi mai a casa tra uno show e l’altro e gli amici cominciavano a notarlo, e anche Copeland. Kellin gli diceva che la sentiva piangere dal telefono, le mancava il padre. Era una situazione davvero spiacevole, Kellin sembrava a suo agio solo quando erano da soli, neanche con la band stava davvero bene. Non riusciva a capire come comportarsi, sentiva i dubbi crescere. Inevitabilmente il suo Kells avvertiva uno stress maggiore, perché aveva più persone a cui pensare ed era più fragile. Ci sono certi momenti in cui Vic si svegliava presto e lo guardava per un paio di minuti prima di alzarsi e scendere, proprio come quella mattina, e si sorprendeva ogni volta a credere che fosse fatto di porcellana. Quando gli stringeva troppo la mano o quando facevano l’amore più violentemente del solito aveva paura di spezzarlo, trovarlo in mille pezzi. Aveva paura.
Lui stressava Kellin e Kellin lo metteva in ansia. Era una relazione senza via di uscita, ossessiva, ma magnifica, si amavano, ma era quella la cosa giusta?
 
Arrivò all’hotel, salì fino alla loro stanza, aprì la porta e lo trovo ancora avvolto nelle lenzuola leggere dell’albergo. Era davvero bellissimo, in pace per una volta. Si spogliò e gli mise la busta con i cornetti sotto al naso per svegliarlo. Subito aprì gli occhi acquosi e inspirò a pieni polmoni il profumo di pasticceria. Si mise seduto con un po’ di fatica e si avvicinò a Vic come per baciarlo, ma due millimetri prima del volto del messicano si abbassò e prese il suo cornetto.
«Te l’ho fatta Fuentes.» disse a metà tra il masticare e il ridere vedendo l’altro con gli altri già chiusi.
«Come?» chiese un po’ confuso Vic prima di iniziare a ridere fragorosamente. Continuò: «Ah si? Me la paghi questa.» e gli si buttò letteralmente prima di fargli il solletico sulla pancia, sapeva quanto lo detestava. Risero tanto quella mattinata dove non avevano concerti: mangiando riempirono il letto di briciole, perciò le tolsero e le appallottolarono sotto il letto. Dopo uscirono mano nella mano, baciandosi romanticamente non appena arrivarono in un parco fuori città. Quando si stancarono di quella solitudine guidarono fin quando la benzina glielo permise, pranzarono in un ristorante etnico nei paraggi, dall’etnia sconosciuta anche dopo il pasto, ma a loro stava bene così, nessuno dei due aveva bisogno di pensare se non all’altro. Fu proprio una bella mattinata, solo che verso il tardo pomeriggi Kellin doveva riunirsi con gli Sleeping With Sirens, chissà perché; erano troppo distratti per prestare attenzione a queste cose. Già, distratti, è un’altra cosa che Vic notava sempre più spesso, erano perennemente distratti, consumati dai propri pensieri verso l’altro. Si allontanarono dal ristorante saltellando e camminando in modo buffo perché così diceva loro la testa e si misero di nuovo in viaggio.
«Vic , ti amo.» le parole di Kellin riempirono l’auto.
«Lo so, ti amo anche io. Non c’è bisogno di ripeterlo.» fu la risposta.
«No, tu non capisci. Io ti amo come non ho mai amato nessuno, come se la mia intera vita fosse destinata a giungere fino a questo momento. Come se solo adesso io fossi una persona completa. E quando provi qualcosa di così immenso per una persona devi farglielo sapere, per sempre.»
«Kells, non ce ne è bisogno, davvero.» disse Fuentes mentre accostava e lo baciava delicatamente. Lo amava anche lui, ma sentirsi dire quelle cose era ogni volta un colpo, il suo cuore si scioglieva e i suoi occhi si bagnavano. Ripartirono una serie di baci dopo, uno dei due con il cuore più leggero e l’altro più pesante.
 
 
Quando arrivarono all’albergo si sistemarono sul letto ormai senza lenzuola, Vic seduto e Kellin disteso con la testa poggiata sulle sue gambe. Le loro mani si cercavano anche nei gesti più semplici, come giocare con i capelli l’uno dell’altro o accarezzarsi sotto i vestiti mentre parlavano del più e del meno, dei concerti, delle nuove canzoni, chi appena scritte chi ancora da scrivere, della famiglia, dei propri sentimenti. Quando però si arrivò a questi ultimi argomenti Kells scoppiò a piangere: all’inizio le lacrime scesero silenziose sul suo viso, neanche si notarono, incolore su bianco latte, ma poi queste gli impedirono di respirare bene creando come un nodo alla gola. Vic lo notò e si preoccupò non poso, gli asciugò le lacrime e gli prese qualcosa da bere, ma questo sembrava non bastare. La voce impastata di Kellin che cercava di spiegargli che era solo uno sfogo del momento lo tranquillizzò mentre correva su e giù per la stanza in sovrappensiero.
Non poteva lasciare che questo accadesse.
 
Passata la crisi abbracciò il suo piccolo Kells in maniera, così credeva, dolce e protettiva, fino a quando non suonò la sveglia, perciò si alzarono contro voglia, il giovane si preparò e prima che scendesse in reception si salutarono amorevolmente.
Vic era più preoccupato e deciso che mai, non sapeva quando sarebbe stato, forse quella sera stessa, gli serviva solo un ultimo consiglio, perciò prese e il telefono e compose il numero, sperando rispondesse. Dopo un numero interminabile di squilli disse «Ce l’hai fatta! Sono Vic.» e una voce allegra che presto si sarebbe spenta lo travolte.
 
 
«Kellin, ehi!» lo salutò Vic dopo esserlo andato a prendere cercando di sovrastare il rumore del proprio cuore che batteva all’impazzata.
«Amore!» fu la reazione dell’altro che gli corse incontro.
«No aspetta, dobbiamo parlare. Gli altri se ne stanno andando?» chiese il messicano allontanandosi da lui.
«Cosa c’è? E’ successo qualcosa di grave?»
«No, ma dobbiamo parlare, ed è meglio se lo facciamo da soli.», e detto questo lo prese per mano guidandolo poco lontano da lì, ma riparato da sguardi indiscreti, perciò continuò: «Kells, siamo una coppia fantastica noi, molto affiatati vero?»
«Beh, si insomma, stiamo davvero bene insieme, anzi soprattutto quando stiamo insieme.» rispose Quinn.
«Ecco, hai centrato il punto, noi non stiamo bene con gli altri, e a dirla tutta noi non stiamo bene nemmeno tra di noi, tu credi che sia così, perché non hai mai provato un altro tipo di relazione in cui stavi meglio, ma così non possiamo andare avanti.»
«Ah, perché tu si? Hai provato una relazione migliore della nostra? Stavi con qualcuno che ti faceva sentire meglio?»
«Beh, in realtà si Kellin, ma non è che ci stavo, io mi ci sto sentendo anche adesso. Sto bene con lui, non ci facciamo pressioni e mi scarico dalla tensione che accumulo con te.» rispose Vic.
Le lacrime ripresero a scorrere copiose sul viso del più giovane, esattamente come quel pomeriggio. Non riusciva a crederci, cosa aveva sbagliato? In che cosa non era stato abbastanza? Ed è proprio quello che gli chiese: «Perché?»
«Evidente piccolo Kells – e si interruppe per accarezzargli una guancia – ero io quello da cui stare alla larga.»
«Non toccarmi. Avevi detto di amarmi. VIC HAI DETTO CHE MI AMI POCHE ORE FA! NON TI FAI SCHIFO?»
«Non mi perdonerai mai, lo so, ma avevo bisogno di stare bene, e Jaime ci riesce.»
«AH, E’ JAIME. Mi FIDAVO DI LUI. FANCULO TU E QUELL’ALTRO SCHIFOSO, PER FAVORE NON FATEVI PIU’ VEDERE.» rispose Kellin piangendo e urlando. Non riusciva più a contenere le emozioni, non ne era mai stato capace. Forse è questo che lo rende un artista, anche se certi momenti si vedeva più come un bambino indifeso.
«Kellin … » fu tutto ciò che riuscì a balbettare Victor. Si sentiva in colpa come non mai. Era un errore? Non lo sapeva. Nel frattempo però l’altro se ne era andato, via, correndo, e lui non poteva far altro che guardarlo in lontananza, sperando di vederlo stare meglio. Non sapeva più niente.
Solo come una pagina al vento. La loro storia non sarebbe andata dimenticata. Vero?


non odiatemi, non merito di essere odiata. Sono una persona sensibile, se proprio dovete farlo, odiatemi in silenzio.
non mi trattengo a scrivere molto qui sotto perché peggiorerei solo la situazione. mi scuso. sparisco.
- Vì ♡

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** A mighty storm in a tiny brain ***


Kellin corse, corse fino a perdere il fiato. Le lacrime gli colavano sul viso e dannazione, non poteva fare niente per fermarle, anche se quella sensazione calda sul viso gli piaceva almeno un po’. Non si sentiva solo, come se ci fosse qualcosa che lo accarezzasse, come se in quel modo potesse stare meglio. Ad un certo punto una fitta all’altezza dello stomaco lo travolse, perciò fu costretto a fermarsi. Dalla foga si sedette a terra e rimase lì per un paio di minuti. Nessuno lo riconobbe, nessuno lo vide, era solo. Kellin Quinn Bostwick alla fine era solo un nome, destinato a essere dimenticato, polvere nel vento, nemmeno chi fingeva di amarlo lo avrebbe ricordato, era la sua vita, il suo destino. Ma credeva che facendo musica avrebbe potuto cambiarlo. Si illudeva. Continuò a piangere in silenzio per un altro po’ fino a che non decise di alzarsi e orientarsi un po’. Scoprì di non essere lontano dal bus della band perciò vi si diresse barcollando, come se fosse ubriaco. Per fortuna erano tutti fuori a divertirsi, aveva detto di non aspettarlo e così avevano fatto. Beh, meglio, in questo modo non avrebbe dovuto mentire e il tempo per pensare non gli mancava.
Arrivò lì evitando le altre band riunite per il Warped, recuperò le chiavi che fortunatamente portò con sé, entrò e si posizionò nella cuccetta più in basso, quella più piccola e scura, riparata dalle altre. Si rilassava sempre lì, aveva voglia di pensare e quello forse era il luogo più adatto.
 
Perché Victor non l’aveva lasciato prima? Perché gli aveva fatto vivere quella giornata speciale e detto “Ti amo.” prima di parlargli? Cosa ne sarebbe stato di lui, di Vic? Di quello che era stati insieme, delle canzoni che si erano dedicati. Sarebbero più stati capaci di cantarle davanti ad un pubblico risultando veri, senza lasciarsi sopraffare dai ricordi? Cosa avrebbero fatto del loro viaggio? Era la prima cosa grande che poteva essere unicamente di Vic e Kellin, e ora erano solo biglietti colorati che giacevano abbandonati in un cassetto. Perché non gli era corso dietro quando si era allontanato? Lui aveva bisogno del suo messicano, più di chiunque altro, ma a quanto pare il sentimento non era reciproco. Lo amava ancora, d’altronde non si può smettere di amare una persona da un giorno all’altro, anzi non si può proprio smettere di amare se era vero amore. Kellinr riponeva le sue speranze in questo, che Vic non fosse l’amore della sua vita. Se era destinato a stargli lontano voleva almeno che prima o poi smettesse di fare così maledettamente male.
Jaime era davvero tanto meglio? Senza problemi, più alto, più muscoloso, più libero, più divertente, più e basta. Sì, era davvero meglio di un problematico e complessato ragazzino dalla voce e dall’aspetto femminile. Cristo, non aveva l’autostima così sotto i piedi da quando era poco più che un adolescente. In un’intervista ricordava di aver detto al suo stesso adolescente che poteva farcela. A fare cosa? Si chiedeva ora. Abbastanza presto invecchierà e l’unica cosa che le persone che lo conoscevano davvero ricorderanno saranno le sue bugie. Era una fottuta menzogna che camminava, altro?
Per stare con lui si era gettato contro il mondo, aveva lottato, messo da parte l’arroganza che lo contraddistingue, ma non è stato abbastanza. Probabilmente però farebbero tutto d’accapo, questo valeva anche per Victor e lo sapeva, leggeva la forza nei suoi occhi ora.
Rimase a pensare al più e al meno un altro po’, intristendosi ancora e ancora, cacciando più lacrime di quanto non credesse di avere, addormentandosi cullato dalle sue stesse paure.
 
Quella notte i ragazzi tornarono a casa tardi e Jack fu l’unico ad accorgersi di Kellin. Gli mancava il suo migliore amico, e ogni tanto andava a controllare il suo posto preferito, perciò quella sera trovandolo lì si sentì sollevato e preoccupato allo stesso tempo, ma decise di avvisare gli altri e non disturbarlo. Era successo qualcosa con il suo ragazzo, altrimenti non sarebbe mai tornato al bus, ma cosa? Gli era mancato, in certi momenti sembrava che solo Kell lo capisse, averlo lontano, soprattutto mentalmente era stata dura, ma sapeva che era felice e questo gli faceva passare un po’ il malumore, ma ora vederlo lì, rannicchiato e bagnato di lacrime lo fece credere anche un po’ colpevole, magari inutilmente, ma non poté evitarlo. Voleva davvero che le cose si risolvessero, per sé stesso, per Kellin, per Gabe, per Vic, per tutti.
Il mattino seguente avevano un concerto e per evitare di distrarre Kellin nessuno mise in mezzo l’argomento. Il cantante lo notò e prese nota mentalmente di ringraziarli e spiegare loro quanto successo, per ora però la priorità era il concerto, doveva essere epico, il migliore.
Si misero in viaggio presto quasi in silenzio, e dopo pochi chilometri arrivarono.
 
«Have you ever been in a shitty relationship?». Queste le parole che precedevano ogni performance live di If You Can’t Hang. Questa volta però sembrava più sentita come cosa, il pubblico lo notò e iniziò a urlare, tanto che Kellin fu costretto a ripete in scream: «HAVE YOU EVER BEEN IN A SHITTY RELATIONSHIP?». Prima di salire sul palco era un po’ abbattuto, ma ormai erano arrivati alla fine e niente poteva fermarli o rovinare il loro momento. Se Vic non poteva sopportare la loro relazione, quella era la porta. La gente si butta sulla carriera quando la vita sentimentale va in rovina, e la carriera di Kellin era salvare sé stesso e quei ragazzi.
 
« … You're the lowest type, 
You're the lowest. 
I met a girl stuck in her ways, 
She found a boy she knew she'd change. 
I changed my clothes, my hair, my face, 
To watch us go our separate ways. 
She said we'd grown apart for some time, 
But then he found somebody new, 
I hope Mr. Right put up with all the bullshit that you do.
»
 
Fu la loro migliore esibizione di quella canzone, e di molte altre, in effetti quel concerto fu fantastico, tutti lo definirono emozionante. Il cantante era elettrico, correva da una parte all’altra, cantava pezzi di canzoni non previste dividendo il microfono con Jesse, provò persino a strimpellare qualcosa alla chitarra, era sempre in mezzo al pubblico senza paura, e come lui anche gli altri componenti: la batteria di Gabe sembrava sul punto di esplodere da un momento all’altro tanto dai colpi violenti, le chitarre riempivano l’aria all’unisono e Justin si divertì ad intrattenere il pubblico con le sue solite mosse idiote. Kellin è il fulcro della band, da lui partiva tutto, e gli Sleeping With Sirens stavano per risorgere da quel breve buio periodo. Le cose si sarebbero aggiustate per tutti loro, e Vic, beh Vic poteva andarsene a fanculo, lui era più forte.
Non avrebbero voluto che quel concerto finisse mai, soprattutto vedendo le lacrime, i sorrisi e gli abbracci che provenivano dal pubblico, ma sapevano che era così che funzionava. Ne avrebbero avuti molti altri da condividere, altre emozioni e soddisfazioni.
«Questo concerto è stato per tutti coloro che hanno vissuto brutti momenti, che li stanno vivendo ancora ora. Ragazzi alzatevi, vi prometto che le cose andranno meglio. Credetemi. Mi credete? La merda non dura per sempre. Dite no a tutto ciò che vi fa soffrire, amate e pretendete di essere amati, perché lo meritate. Questo concerto è stato un incoraggiamento a tutto quelli che si stanno facendo del male: smettete di tagliarvi, di vomitare, ricominciate a mangiare, contattate degli amici, basta piangere la notte con il viso nel cuscino. Le cose si sistemeranno prima o poi, ma perché aspettare che lo facciano da sole? La vostra vita vale la pena di essere vissuta. Ragazzi, io credo in voi, credo, anzi so che avrete una bellissima vita davanti. Le delusioni non sono altro che piccole ostacoli per testare se siete forti abbastanza. Non credete a ciò che vi dicono, voi siete abbastanza.»
E con queste parole Kellin Quinn chiuse il concerto, confermandosi ancora una volta l’eroe di tutti quei ragazzi che avevano solo bisogno di qualcosa in cui credere.
 
Non pretendeva di darla a bere a tutti, non stava di certo bene, ma quel concerto l’aveva risollevato. Un poco alla volta si sarebbe rialzato, lo sapeva, al ritmo di Feel ce l’avrebbe fatta. Si è ripetuto per una vita intera «Sometimes you’ve gotta fall before you fly.» ma solo ora sapeva capire davvero cosa significava quella frase per tutti i ragazzi lì fuori che lo aspettavano per un abbraccio e per ringraziarlo. Era lì per loro.


questo è probabilmente il capitolo più emotivo di tutti, perché non è Kellin che parla e prova quelle sensazioni, siamo tutte noi, e stranamente ne vado anche orgogliosa. Non riesco a fare a meno di pensare al modo in cui scrivevo, come se non fossi nemmeno io, come se me le sentissi dire da qualcun'altro, e forse quel qualcun'altro è proprio Kellin, o Vic, o Gerard, o tutti gli altri che per voi e per me sono di esempio e ispirazione. Noi siamo abbastanza.
Ora vado via prima di scoppiare in lacrime scrivendo le mie solite inutili note. Ringrazio chi recensisce frequentemente, chi lo fa ogni tanto, chi lo farà per a prima volta leggendo questo capitolo, ma anche chi legge silenziosamente, vi invito ad esprimere il vostro parere, per favore. E niente, addio (?) e alla prossima.
- Vì ♡

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Trust me. ***


«Ehi amico, sei stato una forza. Non ti vedevo così da tempo, cos’è? Vic ti ha dato una bella botta?» chiese Jesse in modo molto indelicato al cantante appena scesero dal palco. Evidentemente non aveva capito; informarlo sarebbe stata la scelta giusta? Si domandò tra sé e sé Kellin, ma alla fine optò per una risatina nervosa e si allontonò per andarsi a lavarsi. Sudavano da far schifo durante quei concerti, non era una novità, perciò si diresse verso la doccia, regolò il getto su ustionante, si spogliò e vi entrò. Fu una doccia rilassante, del tipo che ti schiarisce i pensieri, riordina le idee, di quel tipo che serve più per la mente che per il corpo. Infatti una volta finito sapeva perfettamente catalogare le proprie emozioni, al pari di un robot: quello che provava per Victor era ancora forte, non avrebbe mai avuto il coraggio di mandarlo a fanculo dopo un giorno solo, e neanche dopo due, una setttimana o un mese o una vita se continuava a pensarci così frequentemente. Di certo era deluso, svuotato dei suoi pensieri positivi, di quelli che gli avevano fatto scrivere canzoni come The Best There Ever Was, You Kill Me o Let’s Cheers To This, ma era uno di quelli che si riprendeva in fretta, gliel’aveva insegnato Katelynne come fare.
Quando si erano conosciuti lui era ancora un fragile ragazzino che aveva appena intrapreso la carriera di cantante in una band dandola a bere a tutti facendo finta di essere il figo che se ne fotte di tutto, mentre lei ne aveva già passate di tutti i colori, aveva una famiglia, una carriera nella moda avviata, e usava ripetergli «Avanti Kell, quando ti capita qualcosa di brutto pensa solo ai prossimi cinque anni. Vedili nel modo più roseo possibile, e vedi che questo ti darà la forza di affrontare tutto di nuovo e mandare a fanculo ciò che ti fa stare male. Io lo faccio sempre.»
Doveva proprio chiamarla, è tanto che non la sentiva. Anzi, un giorno di questi sarebbe andato lì, la sua famiglia gli mancava da morire. Chissà come starà Copeland … sì, sarebbe partito il prima possibile.
 
Poco lontano, qualche giorno dopo
 
«Ehi ragazzi, avete sentito la performance degli Sleeping al Warped l’altro giorno? Fenomenale, tutti ne parlano, i video su Youtube sono triplicati. Quei figli di puttana sanno come essere epici.» esclamò Mike saltando sul divano e stappandosi una lattina di birra contento.
«Uhm si, ne ho sentito parlare un po’ in giro … » rispose vago Vic.
«Ehi fratello, c’è qualcosa che vuoi dirmi? Non ti sei perso una singola performance di Kellin da tipo 5 mesi e ora mi dici che “ne hai sentito parlare”. Per favore non ricadiamoci, l’ultima volta che mi hai nascosto qualcosa non ho reagito bene e non vorrei ripetermi.»
«No tranquillo, ne parliamo più in là magari.» fu la risposta del maggiore.
«Cosa sta succedendo qui?» chiese Jaime arrivando all’improvviso, sorridente come al solito. Quel ragazzo era capace di mettergli il buon umore solo fissandoti, era incredibile.
«Uh, discutevamo degli Sleeping With Sirens e il signorino si è rabbuiato.» fu Mike a prendere la parola prima del fratello. Sentendo questo anche l’espressione di Preciado cambiò radicalmente, tant’è che afferrò il maggiore per un braccio e lo trascinò via fuori dal bus.
«Cosa ti prende? Mi sembra che fossimo d’accordo. E’ per Kellin che stai così, lo so.» lo scosse.
«Come posso mai stare? Sai che è stato importante, e poi quanti giorni sono passati dai?» rispose Vic, chiaramente infastidito, per poi continuare ironicamente: «Non è mica che sei geloso?»
«No, scherzi? Di quel piccoletto? Eppure non voglio vederti così.»
«Lui sta bene e io no, e l’ho lasciato io. Non posso fare a meno di pensarci.»
«Dai, vieni qui, hai me ora, più di prima.» disse Jaime prima di stringerlo fra le sue braccia muscolose in un abbraccio che se fosse stato una loro canzone sarebbe stato Hold on Till May.
Dopo averlo stretto e aver cercato di trattenere le lacrime per qualche minuto Vic finalmente si separò dall’altro, come per respingerlo. Non voleva che lo vedesse così, era il suo dolore, la sua parte debole, non di Jaime, Mike, Tony o chi altro. Kellin stava bene e questo lo faceva sentire feccia giusto un poco di meno.
La voce bassa di Jaime avvolse Vic in un caldo abbraccio: «Ehi nano, non respingermi, non voglio farti del male, non lo vorrei mai. Ti fidi di me? Fidati per una buona volta, le persone non sono tutte cattive, e nemmeno tu lo sei, ricordalo.»
«Sai, cose del genere mi ricordano perché tra tanti, proprio tu.»
«Dovresti ricordarlo sempre, non solo ora.»
«Lo faccio.» chiuse il discorso il cantante cingendolo.
 
 
Panico.
Ecco cosa avrebbero trovato se avessero malauguratamente aperto la testa di Victor Vincent Fuentes, magari con una sega senza anestesia, così sarebbe morto lì, tra atroci sofferenze, e avrebbe per una volta capito il modo in cui faceva sentire la gente. Ma che diceva, la gente? No, a lui della gente come entità era sempre fregato poco, non riusciva a comprenderli, ma se parlavamo della gente che amava e che lo amava, allora il discorso cambiava. Se si parlava di Kellin… Si pentiva di tutto a momenti alterni, Jaime era perfetto per lui, per la causa, per quel momento, perfetto era la parola giusta, ma a nessuno piace la perfezione, dopo un po’ non c’è più gusto. Ci aveva pensato a lui in quel modo, spesso, avevano realizzato tutto ciò che erano sempre stati, ma era amore? Vic credeva di non essere destinato a ricevere amore. Non più, aveva bruciato le sue occasioni. Le canzoni che scrivevano erano false, lui mentiva da anni, ma ora sapeva che le sue emozioni erano aride, non ci sarebbe più riuscito. Avrebbe scritto di foglie appassite che si staccavano da alberi morti. “Vic cazzo ma fai pena anche a te stesso, spero che quella idea delle foglie ingiallite sia una cover di qualche squallida canzone da centro commerciale canadese. Fai un favore a tutti e scopa di più.”.
“Basta cervello per favore, mi farai impazzire. Ok ho capito, ho fatto tutte le stronzate possibili nella mia vita, ora ne pago le conseguenze. Basta ok?”
E ancora blaterando da solo in preda a veloci ma lo stesso preoccupanti raptus di schizofrenia si diresse verso la branda di Jaime.
 
 
allora, parliamo di quanto faccia schifo questo capitolo. No, parliamone. Anzi no, non parliamone. Oh, parlate di ciò che volete. 
In ogni caso era da un po' che si parlava solo di Kellin ed ecco un capitolo quasi tutto su Vic, ma sapete che ho un debole per quella principessina di Kellin, non ci possiamo fare niente, sono fatta così (?) 
comunque oggi parlo poco perché ho anche un po' sonno e una puntata di Sherlock che mi aspetta, oltre alla totale assenza di fantasia per le mie note.  Mi scuso per la lunghezza imbarazzante del capitolo perché è davvero corto, perdonatemi ragazze, ily c:
- Vì **

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Black Holes And Revelations ***


«Paaapppà! A casa!!»
«Sì amore sono tornato.» rispose Kellin alla figlia. Non ebbe nemmeno il tempo di mettere piede dentro casa che la piccola gli era corsa incontro, cadendo e gattonando per proseguire. L’amore della sua vita in una parola: Copeland. Katy nel frattempo li guardava sorridente vicino allo stipite della porta della cucina: era splendida nei suoi pantaloni vintage e nella casacca marrone che indossava. Raggiante, forte e originale. E’ una donna da ammirare, per tutto ciò che fa. Spesso si tende ad ammirare e considerare eroi solo chi ne ha passate di tutti i colori nella propria vita, ma non è così, puoi essere un eroe del tuo quotidiano, della tua vita da comunissimo essere umano.
«Kell, ci sei mancato tanto.» gli rivolse lei la parola per prima.
«Ora sono qui per voi, per te.» e la abbracciò stretta, respirando il profumo dei suoi lucenti capelli.
«Ehi, mi dispiace interrompere questo adorabile momento di familiarità, ma io che faccio? Vado via?» a parlare fu Matty Mullins, storico migliore amico di Kellin. Lui si era infatti preso “l’incarico” di portare l’amico dall’aereoporto fino a casa.
«Amico figurati. Ehm, allora ci vediamo stasera? Andiamo a bere qualcosa come i bei vecchi tempi, non voglio sentire ragioni!» rispose Kellin.
«Alzo le mani. – disse Mullins mimando il gesto con le mani – Ah, e Kate, stai benissimo, ti saluta tanto Brittany.»
«Tesoro, ringraziala tanto da parte mia e di Kellin.»
E continuando a sorridere Matty si diresse fuori proprietà Quinn salutando la sua seconda famiglia.
«Siamo finalmente un po’ soli amore, non vedo l’ora di riprendere il gioco della famiglia felice per un po’. Rendeva tristemente felice anche me.» sussurrò la donna all’orecchio del giovane per far sì che Copeland non la sentisse. Anche se magari non poteva capirli, era sempre preoccupata che potesse crescere male senza una figura delle due presente, figuriamoci se aveva intenzione di turbare la tranquillità in casa.
Kellin riprese leggermente scosso udendo quelle parole: aveva sempre sofferto. «Siamo qui adesso, insieme, non roviniamo il tutto pensando a quanto ci siamo fatti del male.»
«Hai ragione. Dimmi un po’ qualcosa, è tanto che non ci sentiamo.» disse lei cambiando argomento e cullandosi tra le braccia del marito.
 
 
«E poi si è fatto quello stronzo del suo bassista mentre ero con lui. Capisci?» disse Kellin visibilemente turbsto e ubriaco al tempo stesso, ma tutto sommato quasi divertito dalla situazione.
«Sai cosa dovremmo fare ora?» chiese Matty già ridendo sotto la barba.
«Non lo so, mi vengono in mente parecchie cose diverse.» biascicò l’altro avvinandosi.
«Io direi … un altro giro grazie!» urlò il rosso al barman.
«Tu sì che sai risollevare un amico.» scoppiò a ridere Kellin dandogli pacche sulla spalle.
«Mah, ora però come stai?»
«Come vuoi che io stia? Di certo non è il mio momento migliore, ma andiamo, Kellin Quinn è superiore a queste stronzate. Ti pare che ci perda ancora tempo?»
«Beh, in realtà sì, non hai fatto altro che parlare di Vic ma ok, ti credo.» rispose Mullins buttando giù l’ennesimo shot. Lui sì che reggeva l’alcool, non come l’amico, che era sicuro vedesse già doppio. La cosa lo aveva sempre divertito. Una cosa che invece non lo divertiva affatto al momento invece era quello che vide esattemente di fronte a lui intento a prendere un drink da solo.
«Kellin per favore, te lo chiedo da amico, non girarti.»
«Cattiva mossa Mullins, non si devono mai dire queste parole, soprattutto ad un tipo curioso come me. Motivo per cui, io adesso mi girerò per sapere cos’è che ti preoccupa così taan … CHE CAZZO CI FA LUI QUI? ANDIAMO VIA. Aaanzi noo, ora gli vado a paarlare.»
A queste parole il rosso si preoccupò sensibilmente, ma i suoi tentativi di dissuadere Kellin furono così deboli che si sorprese di voler davvero vederli discutere. Vide il suo amico barcollare fino all’altro lato del bar e dire: «E così siamo entrambi qui eh?» diretto proprio all’indesiderato, che rispose:  «Avanti Kellin sei ubriaco. Sono venuto qui per parlare con te, ma non in queste condizioni. Non ti reggi in piedi.»
«Sono abbastanza sobrio da sentire cosa mi rispondi se ti chiedo come è scopare qualcuno che prima l’ha infilato dentro di me.»
«Ma per favore Kellin, riprenditi che così sei solo patetico.» rispose Jaime con una palese espressione disgustata sul viso.
«Rivoglio Vic chiaro?» disse il cantante cercando di darsi un tono serio ma a quanto pare non ci riuscì perché il messicano gli svuotò il contenuto di un bicchiere d’acqua gelida in viso urlando: «KELLIN CRISTO NON TI FACEVO COSI’ STUPIDO. E’ passato un mese e ancora non ti sei accorto di niente? Non ti sei fatto domande vero? Magari perché non ci tenevi così tanto come facevi credere … Quanto ci metterai a capire che Vic in realtà non ha mai voluto lasciarti perché non ti ama, ma perché stavi morendo con lui? Non saremmo mai stati insieme, non dopo aver visto il modo in cui vi guardate. E’ tutta una fottuta bugia, lui ci sta di merda adesso, nel bus, cercando di non scoppiare a piangere durante i concerti e tu sei a divertirti con il tuo amichetto. Lui voleva questo per te, ma io no. Sono il suo migliore amico, ho il dovere di dirti queste cose e di fare ciò che più ritengo opportuno per non vederlo cadere a pezzi. Si sono invertite le situazioni eh, Quinn? Ho preso il primo volo che ho trovato quando mi sono reso conto che non posso consolarlo ogni notte che si presenta nella mia cuccetta in lacrime, disperato. Voleva te, te e lui insieme, come in uno di quei film d’amore che non avete mai potuto sopportare ma che continuavate a guardare la domenica pomeriggio, ma non ti avrebbe mai più cercato, me l’ha detto soffrendo, e quando soffre è sincero come non mai. Sono volato fin qui e chiamando Kate mi ha detto dove trovarti. Non mi ha neanche chiesto perché. Quella donna ormai sembra essersi rassegnata ad avere un’adolescente alle prese con il fidanzatino come marito.»
All’inizio Kellin non capì, si poteva facilmente intuire dal modo in cui sbatteva le palpebre e scuoteva la testa, ma poi si accasciò su uno sgabello con la testa appoggiata al bancone. La rivelazione ebbe la potenza di mille pugni, come una mandria sul suo corpo, come se l’avessero aperto e ci avessero rimesso gli organi rimescolati al contrario dentro. Avrebbero dovuto dire “Confuso come un Kellin Quinn.” da quel giorno in poi. In effetti la cosa non gli sarebbe dispiaciuta.
«Dimmi che scherzi.» riuscì a biascicare una volta ripreso.
«Non sono mai stato così serio. Sai come è Victor, è quel tipo di persona che pensa sempre prima agli altri e poi a sé stesso. Ti ripeto che tutto quello che ha fatto di recente per cui tu hai passato il tempo ad odiarlo in realtà è stato fatto per il tuo bene.»
«C-cosa devo fare o-ora Jaime? Io non sono un bambino, affronterò le cose con più maturità ora, lo prometto, non ho bisogno di essere protetto, ho imparato ad essere il mio stesso eroe.» esordì quindi singhiozzando Kellin dopo un paio di minuti.
«Se lo ami e sei forte abbastanza da sopportarlo allora va da lui, ti prego. Ti sto pregando Kellin, non è una cosa che faccio spesso, figurati se volevo pregare te, che stai facendo stare così Vic, ma lui ne ha bisogno. Lo faccio per Vic, ricordalo. E’ il migliore amico che potessi capitarmi, sto cercando di ricambiare il favore. Digli ciò che vuoi, non posso aiutarti, non sono bravo con le parole, sei tu che le scrivi le canzoni strappalacrime. Magari vai lì e gli dici che il suo per sempre è tutto ciò di cui hai bisogno e altre stronzate così.» rispose dapprima serio e poi ridacchiando.
«Giusto.» fu la sua pensierosissima reazione.
«No coglione, guarda che scherzavo.»
«E invece no, quand’è che torni dove state?»
«Ehm, non so, abbiamo un concerto tra due giorni. Li raggiungo direttamente lì.»
«Prenota un biglietto anche per me. Possibilmente non vicino a te, sono ancora incazzato.»  ordinò Kellin con tono decisamente regale, quando ci si metteva riusciva davvero a essere preso sul serio.
«So che è l’alcool che parla, ma lo farò lo stesso perché quel dannato Vic ne ha bisogno. Potresti ritrovarti in terza classe, sappilo.» rispose Jaime, senza il tono scherzoso che ci si sarebbe aspettato dall’ultima frase.
«E’ Victor che conta.» fu la risposta allegra di Kellin che si mise a canticchiare e saltellare per la sala.
Sì, era decisamente ubriaco.
 
Nel frattempo però Matty aveva raggiunto il limite della sopportazione: e andava bene fare il tassista e portalo a casa dall’aeroporto, e andava bene uscire insieme e sentirlo parlare delle sue scopate con Vic ormai giunte al termine, ma ora basta, non puoi perdere la serata a parlare con il primo che incontri, lasciando il coglione, giustamente, al tavolo a bere da solo sperando che finisse presto. Adorava Kellin, ma era un tale rompicazzo certe volte che Matty si stupì come in tutti quegli anni non lo avesse ancora mandato a quel paese per davvero.
A questo punto però lasciato detto al barista che se ne stava andando mise piede fuori da quel buco. Magari stavolta avrebbe imparato; ne dubitava.


scusate per la prolungata assenza, ma ora siamo tornati e ZAN ZAN - un capitolo riassunto in due parole.
Allora ragazze, ecco svelato il "mistero". Ringrazio chi legge, chi recensisce, chi è qui a leggere ciò che scrivo nonostante vari impegni, chi segue assiduamente la storia e chi ci torna ogni tanto, insomma tutti. Vi prego, lasciate anche una piccola recensione in modo che io possa sapere cosa ne pensiate, mi accontento anche di un "Ehi tu, la tua idea fa schifo." perché insomma, sì. La smetto ora, e vi saluto. Ah, vorrei precisare che il titolo deriva da un album dei Muse, band alternative rock che io amo alla follia e mi sembrava anche abbastanza azzeccato, poi non so. Kiaau *ok, no*
- Vì c:

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Why do we run from things we're scared of? ***


Allora, in genere non mi faccio sentire sopra, ma sotto, e anche stavolta non sarà diverso. Sono qui solo per consigliarvi di leggere il capitolo con "Deja Vu" degli sws di sottofondo. Ok, torno nel mio angolino, scusate per la distrazione. Buona lettura c: (?)

Fuentes ti conviene chiudere le finestre se non vuoi che tutto il quartiere ti veda ballare le canzoni degli All Time Low senza dignita dal marciapiede di una delle più prestiogiose strade di Portland.
 
Aspetta Kellin ma che cazzo? Dove sei?
 
Affacciati ballerino.
 
Dopo questo confuso scambio di messaggi Vic si affacciò alla finestra e quasi cadde dal primo piano nel vedere Kellin giù, che lo salutò con il gesto di due dita dalla tempia. Diamine, era bellissimo. I suoi capelli erano cresciuti ancora, gli arrivavano praticamente alle spalle ora, se solo li avessi tinti di nuovo tutti di nero sarebbe stato ancora più mozzafiato, ma per fortuna le ciocche castane quasi non si vedevano più. Aveva il cappello nero che aveva indossato in un’intervista insieme e con la Jardine, Vic ricordava di avergli consigliato personalmente di indossare quel cappello.
 
«Sei bellissimo oggi Kellin, ma con la maglia a righe io ci vedo .. uhm – disse frugando nella borsa con i cappelli del pià giovane – questo! Ti starebbe benissimo. » e glielo passò delicatamente.
 
Era vestito in maniera semplicissima, pantaloni stretti attillattissimi, maglia scollata azzurra e toms. Aveva sempre trovato quelle scarpe orribili, ma su Kellin, oh su Kellin avevano un fascino particolare. Il suo ex ragazzo gli sorrideva come se sapesse qualcosa che non dovrebbe sapere, sembrava una versione moderna e più figa della Giocanda, l’avrebbe chiamato Kellin Lisa Quinn. Ok, Vic si ricompose e gli regalò lo sguardo più interrogativo che gli riuscì sporgendosi forse un po’ troppo dalla ringhiera del balcone.
«Allora stronzo, mi fai salire o vuoi che ti canto la serenata?» chiese il giovane ridendo.
«N-no, puoi salire, chiedi della camera 311. Dovrebbero darti la seconda chiave. T-ti aspetto.»
Che cazzo ci faceva lì Kellin? Non lo sapeva, si aspettava che non l’avesse mai più voluto vedere, eppure era lì, bellissimo, sorridente. E .. Jaime era partito. Cazzo, ora era tutto chiaro. Adesso Kellin sapeva tutto perché il suo bassista aveva deciso che non gli andava bene quello che faceva. Aveva trent’anni e ancora non poteva prendersi le responsabilità delle sue decisioni: il fratellino che gli faceva la morale sulla sincerità, un ventisettenne che “rimediava ai suoi errori sentimentali”. Amici miei, e fatevi un po’ i cazzi vostri.
Nel frattempo però si calmò perché qualcuno stava entrando e lui stava ancora girando in tondo con la faccia incazzata.
«Kellin io .. » esordì, pensando a qualcosa di geniale da dire per esordire, ma un lungo dito affusolato gli si posò sulle labbra carnose. «Lascia parlare me.» disse il più giovane, per poi continuare: «So tutto, e la colpa è solo mia, non ero ancora pronto, credevo di esserlo, e ho scaricato tutto su di te. Non lo meriti. Ora sono più forte, questa “rottura” mi ha fatto rialzare quando non credevo nemmeno di essere caduto, e ancora una volta devo ringraziare te Vic. Posso essere l’unica speranza per te? Perché tu sei l’unica speranza per me.»
«Beh Kell, il punto però è che non volevo, non voglio e mai vorrò farti del male. Non possiamo strare insieme, anche se tu lo vuoi, anche se io lo voglio, noi non possiamo. Ti sei già dimenticato come piangevi senza motivo quando eravamo insieme? Come ti estraniavi dal mondo quando non ero con te? Le prove saltate, i concerti andati male, le telefonate perse. Io non posso farti questo.»
«Sta diventando più dura andare avanti Vic, senza di te non mi reggo in piedi quando sono solo, mi sento piccolo e tremo, tremo senza un perché. A questo punto però dovresti dirmi qualcosa del tipo Ti stringerò forte e ti mostrerò che non sei distrutto o qualcosa di simile, non so, tanto per dirne una.» concluse cantando e ridendo Kellin.
«Devo cantarti la tua intera discografia Kellin?» rispose l’altro scherzando a sua volta.
«Non lo so, potresti, ma non so come ricambiare, io la tua non la conosco molto bene.» disse Quinn continuando lo scambio di battute e avvicinandosi pericolosamente al ragazzo e sorridendogli a due centimentri dal volto.
«Mmh no, non posso, meriti molto di meglio.» e si voltò sensibilmente dall’altro lato.
«Sai cosa? Sembra di essere tornati all’inizio, a quando non ero abbastanza semplice per te. E sai un’altra cosa? Avevi ragione, è per questo che hai mollato. Ma non mi arrabbio, non posso, perché il mio cuore è con te, ti amerò fino alla vera fine. Ricordatelo e basta, così magari ti accorgi che per te è lo stesso, lo ammetti, vieni da me e chiariamo una volta per tutte. Io non ho voglia di rimanere con te a discutere di cose che vuoi evitare. A quando caccerai le palle Fuentes.» concluse con un inchino Quinn, dimostrandosi ancora una volta un uomo coraggioso, orgoglioso e onorevole, nonostante le sembianze da ragazzina e ciò che le malelingue dicevano e avrebbero sempre detto. “Kellin Quinn la checca viziata.” Oh no, lui non aveva bisogno di questo tipo di finti fan, lui aveva bisogno dei ragazzi che lo avrebbero sempre sostenuto, anche quando ci sarebbe stato da correggerlo. I suoi fan, la sua famiglia, la sua band, e anche Victor, ci sarebbero sempre stati per lui. Lo sapeva. Nel frattempo era arrivato alla porta e stava per aprirla, ma delle braccia lo inchiodarono lì, lasciandolo incapace di muoversi e riflettere.
Vic lo fissava serio, e dopo aver preso un lungo respiro gli chiese forte e chiaro: «Perché scappiamo dalle cose da cui siamo spaventati?».
«Non lo so Fuentes, sei tu che devi dirmelo, sai che fuggire non è nel mio stile.» rispose il giovane accentuando la malizia nei suoi occhi con la voce.
E Vic si sporse, avvicinando il naso a quello di Kellin, inclinò la testa e rimase così per un secondo, respirando piano, fissandolo con gli occhi chiusi e le labbra contratte, pronte per quel bacio. In quel momento era come se nella sua mente ci fosse un coro di gente soddisfatta di quello che stavano per fare, una melodia celestiale fatti dalle chitarre e dalle tastiere delle loro serenate improvvisate, dai rumori della pioggia misti a risate di quando erano fuori a passeggiare e fare gli stupidi e iniziava a diluviare e dovevano correre all’albergo con le scarpe da ginnastica zuppe, dai bicchiere che tintinnavano di quando brindavano in compagnia, dalle parole incomprensibili ma piene di amore che Kellin sussurrava nel sonno. E in quel momento le loro labbra si schiusero, le loro lingue si cercarono, i loro sospiri si sincronizzarono e tutto fu perfetto.


e rieccomi! ok, scusate l'assenza prolungata, ma y'know, la scuola cc
bene ehm, allora io non so cosa commentare sotto questo capitolo, solo "BITCHES, THEY'RE TOGETHER AGAIN!"
detto questo ehm, ho messo davvero troppe citazioni, i'm so sorry, ma stavo sentendo With ears to see and eyes to hear e volevo condividere la perfezione di quell'album con voi perciò di nuovo sorry. Continuo a ringraziare tutte voi, per le letture, le recensioni e tutto, davvero. Al prossimo capitolo, Vì :3

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2003746