Le nostre stagioni

di dreamey
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La nostra vera estate ***
Capitolo 2: *** il nostro dolce autunno ***
Capitolo 3: *** La nostra primavera improvvisa ***
Capitolo 4: *** Il nostro magico inverno ***



Capitolo 1
*** La nostra vera estate ***


Il sole caldo, il profumo del mare, i colori della natura nel pieno del suo vigore, le giornate lunghe: la bellezza dei mesi estivi; 
Perchè l’estate è passione, ricordi, brezza lieve, sole che schiocca sulla pelle e nel viso.
E’ il sorriso delle stagioni.. un sorriso che non è più andato via da quando ho incontrato te. Passa più veloce di ogni altra stagione, ma con te la mia estate dura tutta la vita.
Tu sei la mia estate. Calda, intensa, solare. La poesia della mia vita.

 La incontrai un pomeriggio d'estate. In una stagione dove tutto sembra possibile. Dove tutto sembra stupendo, quasi irreale. Ma lei era reale eccome, con lei le cose non sembravano, erano. Tutto era possibile, tutto era stupendo.

 E tutto questo lo è ancora. 

 

-Un penny per i tuoi pensieri!- al suono di quella voce alzai lo sguardo e mi voltai a guardare indietro.
Aveva qualcosa di familiare, il suo sorriso, quelle fossette, la sua espressione.
-Ciao, spero di non averti disturbata- continuò sorridendomi e sedendosi al mio fianco.
-No, tranquilla, non facevo niente di così importante- risposi facendole spazio sulla pietra su cui ero seduta da non so quanto.
Quel posto per me era magico. Solitario e soprattutto fresco per quei giorni caldi d'estate.
Era il mio posto, e presto diventò il nostro. Anzi, era già stato il nostro posto.
Da piccole, molto tempo fa, le nostre anime si incontrarono proprio lì.
Ma il tempo, me l'aveva fatto dimenticare.  In superficie.
E prima di quel giorno, non avevo mai capito perchè quel posto mi sembrava così magico.
C'era qualcosa che ogni giorno mi attirava li, e mi faceva passare ore a contemplare.
Certo, lo facevo anche da piccola, ma di rado.
- Non hai perso l'abitudine di startene da sola eh?-mi disse cogliendomi del tutto di sorpresa.
Lo lesse nel mio sguardo e si mise a ridere.
-Non ti ricordi di me, Calliope!-

Il mio nome, pronunciato in quel modo, mi riportò indietro di una ventina di anni.
Era l'unica che mi chiamava così. L'unica alla quale lo permettevo. Perchè era l'unica che non mi prendeva in giro quando lo faceva. Mi ripeteva sempre che le piaceva chiamarmi così.
-Ti aiuto a ricordare- continuò ancora a parlarmi ignara del fatto che la mia mente in quel momento stava facendo un viaggio nel passato.
Nel mio passato, in cui anche se per poco ,c'era stata anche lei. E in uno dei periodi più belli delle nostre vite, la nostra infanzia.
- Mi chiamavate...-
-Pattini a rotelle!-la interruppi io ritornando a posare i miei occhi su di lei.
-Te ne andavi in giro tutto il giorno su quei cosi- continuai -Certo, quando non eri impegnata a gareggiare con i maschi-  aggiunsi, accennando un sorriso a quel ricordo.
Era tosta, non aveva paura di niente, ed era sempre pronta a sfidare i ragazzi nel gioco, e a volte lo faceva anche per me.
Spesso, nei giochi di squadra, capitava sempre con me. E quasi sempre vincevamo.
Eravamo una coppia vincente da piccole. Il suo coraggio bastava per entrambe.
Quando non ci raggiungeva a giocare, ci annoiavamo senza di lei. Eravamo un bel gruppetto, io, Lexie, Addison ,Mark e Derek,  ma quando c'era lei, tutto era più divertente,  la sua risata, la sua allegria mettevano d'accordo tutti. Tutto mi sembrava migliore quando c'era lei.
Poi, non ritornò più.  Le estati passavano senza di lei, e noi cinque, ormai, eravamo diventati troppo grandi per giocare.
La dimenticai. O almeno così credevo prima di quel pomeriggio, quando una donna, bionda e occhi azzurri interruppe i miei pensieri.
Era cresciuta, ma la sua espressione non era cambiata, il suo sorriso aveva ancora le fossette, i suoi occhi custodivano il cielo, e la sua allegria era rimasta.
Credevo di averla dimenticata, ma mi accorsi ben presto di aver solo rimosso il suo ricordo.
- Arizona!-la salutai continuando a scrutarla.
Lei mi sorrise, di nuovo.  Era esattamente come me la ricordavo.
-Sono così cambiata?-mi disse, - Ci hai messo un bel pò a riconoscermi-  continuò abbozzando una smorfia.
- No,-mi affrettai a rispondere notando un velo di delusione sul suo volto. -Ci ho solo messo un pò a metterti a fuoco, dato che avevo ancora negli occhi il riflesso del sole sul lago-  le dissi, mascherando il fatto che anche lei mi stava facendo quell'effetto in quel momento.
Era ancora così luminosa, ed era diventata così bella.
-Allora? com'è la tua vita?-  mi parlò come se non ci fossimo mai perse di vista.
Erano passati più di vent'anni da quando non l'avevo più vista.
Avevamo dodici anni, l'ultima estate che trascorremmo insieme.  E ne avevamo nove la prima volta che ci incontrammo, proprio lì, quasi proprio come quel pomeriggio.
Io ero seduta sul sasso, a guardare il sole che si rifletteva nel lago, e una bambina della mia stessa età si avvicinò sedendosi sulla mia stessa pietra.
Mi chiese se ero triste, ma io le risposi che semplicemente mi piaceva restare sola ad ascoltare la natura.
-Posso rimanere con te se ti va, possiamo ascoltarla insieme- mi disse.
E da come si era messa a sedere, avevo già capito che non se ne sarebbe andata via.
E rimanemmo lì, insieme in silenzio a guardare i movimenti del lago, e i raggi del sole che si perdevano in esso.
Passammo l'estate insieme a giocare, faceva ormai parte del nostro gruppetto, e ogni estate l'aspettavamo.
Io l'aspettavo.
Ritornò l'estate dopo, e quella dopo ancora. E io l'aspettavo.
L'aspettai ancora, l'estate successiva, ma non tornò.  L'aspettai ancora, poi smisi di aspettare.
La mia vita andò avanti, la sua vita andò avanti, e smisi di ricordarla.
 Ritornò l'estate di vent'anni dopo.
-Non è male- le risposi -Faccio il veterinario- continuai a parlare notando una strana luce nei suoi occhi.
-Era il mio sogno-  mi disse un pò confusa.
Me lo ricordavo.  Una sera d'estate, l'ultima che passammo insieme,  ci ritrovammo a parlare del nostro futuro,  delle nostre aspettative. Di quello che avremmo fatto.
E fu così..
- E tu?le chiesi aspettandomi la stessa mia risposta.
- Sono una fotografa-  mi rispose guardandomi  con aria un pò incerta ma sul punto di sorridere.
-Ok, questo era il mio sogno-  pronunciai quelle parole con un tono sorpreso. Del tutto spiazzata.
 Eravamo riuscite a coronare i nostri sogni,  in maniera certamente diversa da quella che intendevamo vent'anni prima.
Ognuna di noi, aveva realizzato il sogno dell'altra.
- E così-  cominciò di nuovo a parlare interrompendo il flusso dei miei pensieri. -io faccio la fotografa, e tu il veterinario! beh.. è divertente.-
Divertente? definiva quello strano scherzo del destino divertente?
Avevamo scelto la nostra vita, da un discorso che avevamo fatto da adolescenti.
Io avevo portato avanti il suo sogno, lei il mio.
Eppure da quella estate, le nostre vite si separarono.
Ma evidentemente, eravamo legate entrambe allo stesso filo.
-Ero diretta all'università-  non smise di parlare, credo che poteva leggere il grosso punto interrogativo sul mio viso in quel momento, cercò di spiegare -ero uscita da casa con l'intenzione di iscrivermi a veterinaria, poi lessi un volantino che informava su un corso di fotografia che sarebbe iniziato quello stesso pomeriggio. E non so perchè ci andai.-  poi inclinando la testa e sorridendo continuò abbassando leggermente la voce-beh, dall'università non ci sono più passata-
Non so se si accorse dell'espressione sul mio viso. Ero del tutto incredula.
- Uscì di casa quel pomeriggio, ero di corsa, il corso di fotografia stava per iniziare-toccò a me  spiegare la mia scelta, non mi fu difficile da raccontare, ancora lo ricordavo col sorriso quel giorno.-ma sulla mia strada incontrai quel cucciolo, aveva una zampa ferita, e lo portai dal veterinario.  Passai il pomeriggio con lui, l'indomani mi iscrissi a veterinaria.-
Aveva ascoltato il mio discorso mantenendo tutto il tempo quell'espressione così dolce.
-Avevi un gran cuore da piccola Calliope-  mi rispose con un sorriso disarmante.
-Hai sempre vissuto qui?-mi chiese con uno strano tono.
-Si-  le risposi - qui c'è tutta la mia vita. - E tu, invece?-
- Ora vivo a San Francisco-mi rispose, poi continuò -Sai, col mio lavoro sono spesso in giro per il mondo- mi guardò ancora prima di continuare -Non mi fermo mai per molto tempo nello stesso posto.-
Forse il mio sogno, era molto più vicino a lei, pensai.  Non sarei riuscita ad abbandonare il mio paese. Lì c'era  la mia casa.
-Hai frequentato il corso nella tua città a Seattle?- le chiesi.
Era di Seattle.  I suoi lavoravano lì, erano chirurghi.
Ma i suoi nonni vivevano a New Hope, la mia città.  Veniva a trovare i suoi nonni nelle estati che avevamo trascorso insieme.
-Si-mi rispose -Poi non mi sono più fermata- mi abbozzò un sorriso.
Si stava avvicinando il tramonto, il paesaggio stava diventando straordinario.
Rimanemmo in silenzio a guardare quello spettacolo che si dipingeva nel cielo.
Quel pomeriggio non ero sola a contemplare la natura.
Dopo vent'anni , ci ritrovammo di nuovo insieme a condividere in silenzio quel momento così magico.
E non eravamo più bambine.
 
Era ritornata a New Hope per questioni del tutto burocratiche.  I suoi nonni erano morti qualche anno prima, e la loro casa era rimasta vuota.
Finchè i suoi genitori decisero di venderla. Ed era toccato a lei occuparsi delle questioni pratiche.
Ed era ritornata.
Mi fece sapere che non si sarebbe fermata a lungo. Sarebbe ripartita al massimo dopo un mese.
Si doveva occupare delle sue mostre.  Ne aveva una a San Francisco alla fine di agosto.
 Ed era fine giugno quando ci incontrammo.
Nei  due giorni successivi non ci vedemmo.  Io avevo il mio lavoro, lei le sue questioni di famiglia da portare avanti.
Ma non riuscii a dormire per due notti.
Mi ritrovai a pensare a lei notte e giorno.
Dell'effetto strano che mi aveva fatto rivederla, ascoltare di nuovo la sua risata più matura, e il suo modo di parlare ancora così sicuro.
Era diventata una fotografa, mi sarebbe piaciuto vedere qualche sua foto.
 
Il rumore del flash mi fece voltare, sapevo che era lei.
-Ciao- mi disse -Volevo scattare qualche foto-  continuò sorridendomi. -Questo posto è spettacolare-
-Già- le risposi- lo è-  continuando a fissare il suo viso, lei, che guardava estasiata  il panorama che stavo guardando io qualche istante prima.
- Non ho mai visto da nessuna parte uno spettacolo così bello- continuai ioritornando a guardare davanti a me.
-Nemmeno io- la sentii rispondere percependo il suo sguardo fisso sopra di me, e un tono strano nella sua voce.
Cercai di ignorare la fitta che mi attraversò in quel momento lo stomaco.
Mi faceva un effetto strano tenerla seduta accanto a me.
Non era più come quando eravamo bambine.  C'era qualcosa di diverso.  E anche in lei.
-Sei già impegnata questa sera?-  le chiesi.  Non volevo lasciarla andare via. Volevo passare ancora qualche ora con lei.
-No- mi rispose -Dove mi porti?-  mi domandò col suo tono allegro.
-Potremmo andare a mangiare la pizza in  quella pizzeria italiana che ti piaceva così tanto- le feci sapere.
Sembrò meravigliata, non si aspettava che mi ricordassi quel particolare.
Avevo passato due giorni interi a rivivere le mie estati con lei.
- Sempre se ti piace ancora la pizza-aggiunsi.
-oh, certo che mi piace ancora, anche se una così buona come la fanno qui non l'ho più mangiata- mi rispose alzandosi e prendendo la sua macchina fotografica.
Io la seguii. L'andai a prendere da casa dei suoi nonni dopo un'ora, come ci eravamo messe d'accordo.
L'aspettavo vicino al porticato.  Uscì dopo qualche minuto.
Era davvero molto bella. Aveva ancora i capelli biondi, leggermente ondulati e un pò corti, non arrivavano alle spalle. Ma le incorniciavano il viso e la facevano sembrare più piccola della sua età.
 Era stupenda e così.. semplice. E il suo sorriso la rendeva speciale.
Mi incantai qualche secondo mentre veniva verso di me. 
Forse notò che mi ero incantata. 
Mi si parò al mio fianco e prendendomi sottobraccio si incamminò trascinandomi con lei.
- Ehi- mi disse -andiamo, ho una certa fame-
Divorò la sua pizza, io ne assaggiai solo qualche spicchio.
Non riuscivo a mangiare con lei seduta di fronte, che mi guardava, parlava, sorrideva.
Mi bastava guardarla, non avevo bisogno di altro.
Da bambina, avevo condiviso con lei così tante merende, e non avevo mai avuto quelle sensazioni che provavo quella sera.  Facevamo a gara a chi riusciva a divorare per prima il panino preparato da sua nonna.
E vincevo sempre io.
Quella sera, mangiare di fronte a lei mi sembrava impossibile.
Se lo notò non lo diede a vedere.
Il suo fare allegro continuava a circondarmi.
Era semplicemente meravigliosa.
Pensai a questo per l'intera serata.
 
-Domani ritorno a San Francisco-  mi disse prima di entrare nella casa dei suoi nonni.
-Ok- le risposi, cercando di non far notare il tono deluso nella mia voce.
Ma lo percepì.  Non so che significato diede a quel mio tono quella sera.
- Starò via solo per dieci giorni-si affrettò a dire.
E fece quel gesto che non mi aspettavo.  Mi sorrise teneramente accarezzandomi il viso. Si soffermò a guardarmi negli occhi. Aveva una strana espressione. Ma non era un'espressione triste.
-Il lavoro, suppongo-  le risposi non distogliendo i miei occhi da quelli di lei.
-Si, per la mostra.  Ci sono dei problemi e devo controllare di persona.- mi fece sapere, aggiungendo sottovoce sorridendo leggermente -sai, non mi fido molto degli altri. Devo avere il controllo su tutto-
-Beh, allora devo dire che non sei cambiata molto in questi anni-le dissi ridendo. -eri sempre tu ad inventare le regole del gioco da piccoli, e le facevi rispettare a tutti, ci riuscivi persino anche con Mark-
Ridemmo entrambe ripensando a quelle nostre estati spensierate.
-Mi piacerebbe rivederli- mi disse. -Abitano ancora tutti qui?
- Solo Addison, gli altri sono a New York e Chicago-  le feci sapere-  Ma ci incontriamo tutti insieme ogni estate,  magari prima di ritornare a San Francisco riesci a vederli-
-Sarebbe fantastico-  fu la sua risposta.
Lei era fantastica, fu invece quello che pensai io guardandola entrare in casa.
                                                          
Erano passati tre giorni da quando era partita. E già aspettavo il suo ritorno.
Mi mancava lei, il suo viso, la sua risata.
 
Stavo aprendo la porta di casa, ero di ritorno dal lavoro. Sentì squillare il telefono mentre giravo la chiave nella toppa.
Risposi, aspettandomi la voce di mia madre dall'altra parte.
-Calliope!-  mi disse dall'altro capo del telefono.
Era lei. Il telefono mi cascò dalle mani, non avrei mai lontanamente immaginato che potesse essere lei.
-Ehi, ci sei?- sentii in lontananza mentre cercavo di raccogliere il telefono e soprattutto di riacquistare il controllo.
Mi aveva chiamata? Lei? Da San Francisco, nonostante i suoi problemi sul lavoro da risolvere?
Aveva trovato un pò del suo tempo per me.
Sorrisi e mi affrettai a rispondere.
-Ehi ci sono, mi è scivolato il telefono di mano. Ho risposto di corsa.- Le mentii leggermente.
-Pensavo stessi ancora a lavoro. Avevo già provato a chiamarti tre volte ma niente.- sembrava tranquilla mentre mi parlava.
-Giornata un pò caotica in effetti-  le risposi con un tono che volevo sembrasse tranquillo.- Come hai avuto il mio numero?- le chiesi ricordandomi all'improvviso che io non glielo avevo lasciato.
-  Ho fatto l'impossibile per averlo-  scherzò riempiendo il telefono della sua risata cristallina. -Esistono le guide Calliope- mi rimbeccò usando il suo tono ovvio.
Poi pronunciò la frase che disorientò del tutto il mio cervello. E il mio corpo.
-Mi mancavi-
Stavo per accomodarmi sul divano, quando lo disse, e se l'avessi fatto di proposito non ci sarei riuscita, non so come mi ritrovai attorcigliata al filo del telefono.
Mi faceva quell'effetto. 
Silenzio. Non riuscii a spiaccicare parola per qualche secondo. E non perchè fossi occupata a districarmi dal filo. Non ci sarei riuscita in quel momento.  Il mio cervello e il mio corpo non erano più collegati.
Mi decisi a parlare quando la sentii schiarirsi la voce.
Senz'altro aveva quel suo sorriso sulle labbra. E aspettava una mia risposta.
- Stavo pensando a te-  riuscii a trovare il coraggio di pronunciare quella frase.
Ovviamente inconsapevole dello stesso effetto che ottenni.
Silenzio.  Poi sentii un tonfo.  E diversi altri rumori di cose che cadono per terra.
-Uhm.. eccomi ci sono- la sentii dall'altra parte e il suo tono non era più sicuro come qualche istante prima.-Ho urtato per sbaglio la lampada ed è caduta rovinosamente per terra- mi fece sapere con un tono che sembrava decisamente impacciato.
Era un pò imbranata. Questo lo ricordavo. Da piccole riusciva sempre a combinare qualche pasticcio quasi ogni giorno. Inciampava, era più lenta di noi nella corsa, non si sapeva arrampicare sugli alberi, e se aveva in mano qualcosa per più di qualche minuto, la maggior parte delle volte la faceva fuori.
Ma era adorabile così com'era.  Era tosta ma imbranata.  Eravamo una combinazione perfetta sin da piccole.  Quello che non ero io lo era lei. Lei mi completava.
Ma quella sera, non era stata maldestra a causa del suo solito impaccio.
Furono le mie parole a farle perdere il controllo.
Parlammo di quei tre giorni in cui non ci eravamo viste nè sentite.
Discorsi normali, eppure c'era una sensazione strana nell'aria.
Alternava il suo tono allegro a quello dolce che tanto amavo, rideva e faceva silenzio.
Aveva parlato per gran parte della telefonata lei, io mi ero limitata a rispondere qualche volta e sorridere.
Amava parlare, e a me piaceva ascoltarla.
 
Ma era quando facevamo entrambe silenzio, che in fondo ci dicevamo tutto.
E lo sperimentammo quasi tutti i giorni quando ci incontravamo al lago.
Era ritornata a New Hope, come mi aveva promesso.
 
Sapeva di trovarmi sempre li a quell'ora.
Era venuta a salutarmi, era ritornata da poco.
Ma dopo meno di un mese se ne sarebbe andata via di nuovo e questa volta per sempre.
Una volta venduta la casa, non avrebbe più avuto motivo di ritornare. Lì non c'era la sua vita, la sua casa non era New Hope.
Cercai di non pensarci nei momenti che trascorrevamo insieme.
Continuammo a vederci li al lago. Al tramonto, e spesso anche la sera.
Mi raggiungeva tutti i giorni. Era il nostro momento magico.
Non parlavamo,  ci sedevamo sulla stessa pietra, senza mai sfiorarci e rimanevamo in silenzio minuti interminabili  immerse nel tramonto.
Era la mia parte preferita della giornata.
Potevo perdermi nel guardare il celo, quei colori.
Poi finì col perdermi in lei. Sul suo profilo, la sua espressione dolce.
La sua presenza lì accanto a me, riusciva senza nemmeno sforzarsi, a rubare i miei occhi al cielo.
Era così bella illuminata da quei colori. Non riuscivo a non spostare il mio sguardo su di lei.
Mi bastavano pochi attimi per  godere della sua immagine.
Poi ritornavo a guardare davanti a me prima che se ne potesse accorgere.
 
 La mattina riuscivamo a vederci al bar poco distante dalle nostre case.
Successe una mattina per caso che ci ritrovammo a fare colazione insieme.
Io uscivo presto da casa per il lavoro, a lei piaceva dormire. Non era necessario che si alzasse presto, le sue commissioni potevano aspettare anche la tarda mattinata.
Ma una mattina la vidi seduta al bancone intenta a fare colazione. Era lì persino prima di me.
-Ehi- la salutai sorpresa di vederla lì a quell'ora.
-Buongiorno Calliope- mi rispose leccandosi il dito che si era sporcata di zucchero a velo. Poi continuò-Lo so, non mi hai mai vista a quest'ora del giorno- mi disse sorridendo divertita leggendo la mia espressione sul mio volto.
In effetti, non l'avevo mai vista di mattina.
Era così bella persino di primo mattino appena sveglia.
Era bella sempre, la sera e soprattutto al tramonto.
-Devo andare in centro, ho un appuntamento con un probabile acquirente-  completò la sua frase.
Finimmo la colazione insieme poi uscimmo dal bar prendendo strade diverse.
 
Quel pomeriggio non ci vedemmo al lago.  Avevo avuto un'emergenza all'ambulatorio.
Ero ritornata da poco a casa e sentii bussare alla porta.
Era lei, e aveva in mano la pizza.
-Ho pensato che avessi fame- cominciò a parlare.- Non c'eri a pomeriggio al lago,  così ho capito che ti eri trattenuta a lavoro-  sorrise guardandomi poi continuò-Mi fai entrare, o preferisci mangiare la pizza sul porticato?-  ero diventata completamente imbranata in sua presenza.
Mangiammo la pizza, poi uscimmo a sederci sul porticato per mangiare il gelato.
Non riusciva a non sporcarsi, mi faceva sorridere.
Mi raccontò della sua vita in giro per il mondo, dei posti che più le erano piaciuti.
 
-In certe notti d’estate, perdersi con lo sguardo fra le stelle è uno dei modi più saggi di impiegare il proprio tempo.-  Mi disse mentre si metteva comoda ad osservare il cielo.
 
Eravamo in silenzio di nuovo.  Ma in compagnia.
-Esprimi un desiderio, Calliope!-gridò rompendo il silenzio.
Guadai in alto dove stava guardando anche lei.
Non era la notte di San Lorenzo, ma il cielo quella sera risplendeva come non mai in compagnia delle sue stelle.
Non feci in tempo a vedere la stella, ma espressi lo stesso quel desiderio.
Ridemmo insieme.  Poi mi diede la buon notte e la vidi allontanarsi verso la casa dei suoi nonni. Non era molto lontana.  Potevo scorgere la luce del suo porticato dietro gli alberi.
 
La rividi al bar la mattina dopo, poi quella dopo ancora. Era lì sempre prima di me.
Aveva preso l'abitudine di uscire di casa all'alba per scattare le sue foto. Poi mi aspettava al bar per fare colazione insieme.
Veniva anche quando non usciva all'alba. Semplicemente veniva per  fare colazione insieme a me. Non me lo disse mai, ma notai da me che non portava sempre la sua macchina fotografica.
 
Una mattina non passai dal bar, mi avevano chiamata per un'emergenza a pochi passi dal paese.
Arrivò verso le dieci nel mio ambulatorio, nascondeva qualcosa dietro la schiena.
-Non sei passata oggi dal bar-Mi salutò così sorridendomi.
-Cos'hai dietro la schiena?- le risposi di rimando io cercando di sbirciare
-La tua colazione- mi rispose piazzandomi davanti agli occhi il cappuccino e la brioches che prendevo sempre. -ho pensato che ne avessi bisogno dato che questa mattina l'hai saltata-
Era ancora come era stata da piccola. Si prendeva cura di me.
Mi salutò lasciandomi al mio lavoro.
 
Non sapevo come occupava il suo tempo durante la mattinata.
 Dopo il bar la incontravo sempre nel pomeriggio sul lago e la sera spesso veniva a stare sul mio porticato e stavamo ore a parlare.
Quella sera andai io da lei.  Bussai alla porta e attesi che venisse ad aprirmi.
- Calliope-  mi disse sorpresa.
-Vieni- la incitai io prendendola per mano e trascinandola fuori la porta-Voglio mostrarti una cosa- le dissi in un sussurro.
-Devo prendere la mia macchina fotografica?-mi chiese confusa.
-No,non serve, muoviti altrimenti non facciamo in tempo a vederlo- e la trascinai con me.
-Ma che ci facciamo in mezzo al bosco di sera? Era divertente quando aveva paura.
-Shh.. fidati di me- la rassicurai prendendole la mano.
-Ora!- le dissi-guarda tra gli alberi- ci eravamo fermate e l'avevo leggermente fatta piegare.
Sentii la sua mano stringere più forte la mia. Era riuscita a vederlo insieme a me.
-Calliope, è meraviglioso-mi disse, le tremava la voce.
- Non ho mai visto niente del genere, cos'è?-mi chiese, tenendomi ancora la mano. Era così vicina.
- Un fuoco fatuo-le risposi sorridendole-  lo chiamano così- continuai a spiegarle-Sono deboli luci fluttuanti simili a fiammelle, visibili solo di notte, di solito sono blu-
Mi guardava e non accennava a lasciarmi la mano.
Continuai a parlare -Nell'antichità si ritenevano la dimostrazione dell'esistenza dell'anima-
La loro apparizione durava solo pochi istanti, poi come apparivano se ne andavano.
 
Fu così anche con lei.
 
Eravamo sedute sulla stessa pietra, come ogni pomeriggio al tramonto.
Lo guardavamo in silenzio, ma quel pomeriggio le sue parole lo ruppero.
-Ho trovato un compratore, è interessato alla casa- cominciò a parlare non voltandosi a guardarmi.
Anch'io mantenni lo sguardo fisso davanti a me.
Fissavo il tramonto, senza nemmeno vederlo realmente.
La frase che pronunciò mi colpì in pieno stomaco.
Non dissi niente lasciai che fosse lei a parlare. Era in difficoltà, cercava le parole giuste.
-Fra due giorni concludiamo la vendita-si girò a guardarmi -E poi torno a San Francisco-
Se ne stava andando prima del previsto. Non era ancora fine luglio.
Se ne sarebbe andata, come era successo vent'anni prima.
Da piccola l'aspettai per diverse estati. Mi mancava la mia compagna di giochi.
Il tempo passò, le estati passarono senza di lei. Io ormai non giocavo più.
Vent'anni dopo, era apparsa di nuovo dietro di me dal nulla.
Si era seduta di nuovo accanto a me a guardare la natura.
Non eravamo più bambine, non giocavamo più insieme.
Ma quel mese d'estate avevamo condiviso molto di più.
Il tempo mi stava portando via di nuovo lei, le nostre mattine al bar, i nostri pomeriggi sedute in silenzio sul lago al tramonto, le nostre serate sul porticato a respirare l'aria fresca estiva e a perderci a contare le stelle.
Se ne sarebbe andata via. Avrei continuato ad innamorarmi della natura da sola.
L'accompagnai all'aeroporto.  Ci salutammo e me ne andai senza voltarmi indietro.
 
Mi chiamò tre volte da quando era partita.  Io avevo il mio lavoro, lei la sua mostra da organizzare.
Non avevamo tempo entrambe.
 
Una mattina mi arrivò il suo invito della sua mostra a San Francisco. Mancava una settimana alla fine di agosto.
 Tenni per tutto il tempo quel biglietto sul comodino prima di decidere cosa farne.
 
L'aeroporto di San Francisco era molto più grande di quello di New Hope.
Presi il taxi e mi diressi allo stabile dove si teneva la sua mostra.
Entrai nell'edificio,  era davvero molto grande, e anche la sua stanza lo era.
Non riuscivo a vederla tra la  gente. Sentii la sua risata e riuscii a scorgerla.
Parlava con un gruppo di persone e rideva. Nn sembrava tesa.
Aveva quell'aria di città ormai, stretta nel suo tubino nero, tacchi alti, ma i capelli li aveva ancora sciolti, ondulati.
I suoi occhi riuscirono a trovare i miei.
La vidi deglutire, un espressione sorpresa sul volto, ora sembrava tesa.
Mi si mosse incontro. Mi sorrise e mi abbracciò.
-Calliope, sei venuta- mi disse ad un passo da me. -Ci speravo così tanto- aggiunse prendendomi le mani.
-Sono qui- riuscii soloa dirle.
Mi stava portando a guardare le sue foto. Ma fummo interrotte subito. Era molto richiesta quella sera.
Cominciai a fare un giro da sola. E quello che vidi mi disarmò.
C'erano centinaia di foto, alcune di qualche decennio prima, altre più recenti.
E la maggior parte ritraeva il paesaggio dei laghi.
Era andata a vivere in posti dove avrebbe potuto fotografare i laghi constatai.
Ancora prima di rincontrarci.
C'erano laghi fotografati  al mattino, alla sera e al tramonto.
Soprattutto al tramonto.
E poi c'era il mio lago. Era il più bello. Il più bello al mattino, alla sera al tramonto. Ed era l'unico fotografato all'alba.
Erano foto davvero meravigliose. Il paesaggio era ripreso da diverse angolazioni. 
Si poteva leggere la sua anima in quelle foto. Rimasi senza parole.
Eravamo state lontane per più di vent'anni, eravamo cresciute in posti diversi, vite diverse.
Ma in fondo non così lontane. Per niente lontane.
Per anni non ci eravamo incontrate, eppure in parti diverse del mondo quasi ogni giorno ci eravamo ritrovate a fissare un paesaggio simile nello stesso momento.
Le nostre anime avevano la stessa  sintonia.
Mi innamorai di lei, guardando le sue foto meravigliose, c'era lei, la sua persona in ognuna di esse.
E c'ero un pò anch'io. La mia anima.
Avevamo lo stesso modo di percepire il paesaggio. Lo riuscivo a leggere benissimo.
Ovviamente c'erano anche altre foto, altri soggetti, molte altre diverse situazioni.
Foto di grandi città, di animali,  e di bambini che giocavano.
Imparai la sua vita attraverso le sue foto.  Riuscivo a leggerla nello stesso modo in cui lei la viveva.
La sentii  parte di me.  Le nostre vite non erano state così diverse o lontane nonostante tutti gli anni  e i chilometri che ci avevano divise.
-Ehi-mi raggiunse alle spalle. Sorrideva e cercava di leggere l'espressione sul mio volto.
Mi girai e piantai i miei occhi nei suoi. Non dissi niente, mi limitai solo a guardarla. E lei fece lo stesso.
Rimanemmo così qualche secondo.
Parlai io per prima.
-Sono laghi- le dissi voltandomi di nuovo a guardare le sue foto. -Di ogni città in cui sei stata- continuai sentendola avvicinarsi di più.
Anche lei stava guardando le foto.
-Sono laghi- mi rispose- -Di ogni città in cui sono stata- usò le stesse mie parole.
Ma c'era tanto in quelle parole. Nel suo tono, nella sua espressione.
Il silenzio che seguì caratterizzò di nuovo quel nostro momento.
Entrambe sapevamo che stavamo pensando alle stesse cose. Alla nostre vite che seppur distanti,erano rimaste legate insieme.
E il lago era il nostro spazio, il nostro rifugio, il nostro posto magico.
Anche a chilometri di distanza.
Entrambe eravamo rimaste legate a quel momento vissuto da piccole, del nostro primo incontro. Ed ognuna di noi lo aveva custodito dentro la sua anima.
Per vent'anni.
 
La sala si svuotò. Rimasi per poter essere l'ultima ad andare via.
Notai che non era in compagnia di nessuno, nessuno l'attendeva.
Non avevamo parlato della nostra vita privata, non ne avevamo avuto bisogno.
- Sono tutte straordinarie- le dissi una volta rimaste sole.
-So già qual è la tua preferita-  mi rispose avvicinandosi.
-Non è difficile immaginarlo- continuai indicando la foto che ritraeva il mio lago al tramonto.
Sorrise e mi prese per mano.
-Vieni,- mi disse trascinandomi con lei in un'altra stanza dove aveva le sue cose -ancora devi vedere questa-
La seguì e la osservavo mentre estraeva un'altra foto dalla sua borsa.
Si mise dietro di me, in modo che potesse vederla anche lei, e allargò le mani per mostrarla.
Era la più bella.  Era la foto di due bambine che giocavano sul lago. Avevano all'incirca undici anni.
- é meravigliosa-le dissi girandomi a guardarla. -Perchè non l'hai inserita tra quelle nella mostra?- le domandai notando la sua espressione dolce.
-Volevo che la vedessi solo tu- mi rispose porgendomi la foto. -L'ho portata per te. Speravo di poterti rivedere e l'ho portata con me - Voglio che anche tu la tenga-
Anche io.  Più tardi, andando a casa sua, scoprii che aveva la stessa foto un pò ingrandita, appesa nella sua camera.
Andai a dormire nella stanza accanto alla sua. L'indomani mi avrebbe accompagnata all'aeroporto.
Non riuscivo a dormire. Ero innamorata della donna che dormiva nella stanza accanto. A due passi da me.
 E l'indomani sarei andata via.
Erano le due di notte, non dormivo ancora. Mi alzai dirigendomi in cucina per prendere un bicchiere di acqua.
Sentii dei rumori che provenivano dallo scantinato.
Scesi le scale dirigendomi alla porta. La stanza era debolmente illuminata da una luce rossa.
Ero nella sua camera oscura. Stava sviluppando altre foto.
Non si accorse della mia presenza. Mi fermai ad osservarla lavorare qualche minuto.
Era molto concentrata.
Mi avvicinai al ripiano dove c'erano le foto che aveva messo ad asciugare.
Mi tremò lo stomaco.
 C'ero io in quelle foto.
Io seduta sul sasso al tramonto, io inginocchiata ad accarezzare un cane, un primo piano del mio profilo.
Inciampai in qualcosa, feci rumore. Si girò di scatto.
- Calliope-sussurrò -non volevo svegliarti- 
- Non mi hai svegliata tu-le risposi avvicinandomi- beh, per lo meno non facendo rumore- mi avvicinai sempre di più. -è il pensiero di te che mi tiene ancora sveglia-
Ero ad un passo da lei, la sentivo respirare.  Presi il suo viso tra le mie mani e cercai le sue labbra. Al buio.
Le trovai.  La baciai. Mi staccai subito dopo, ma non mi permise di allontanarmi, sentii le sue mani sui fianchi e mi avvicinò di nuovo a lei.
Mi baciò.
Eravamo immerse nel buio, più vicine che mai.
 
 
New Hope era la mia casa. C'era la mia vita lì, la mia infanzia.
Ma non c'era lei.  L'altra parte della mia anima.
 
Ero ritornata da qualche giorno, avevo il mio ambulatorio, i miei animali di cui prendermi cura.
Lei aveva le sue mostre, il suo lavoro.
Le nostre vite viaggiavano in sintonia, ma non erano destinate a fermarsi insieme.
Ci sentimmo un paio di volte al telefono dopo il mio ritorno. Poi avevamo litigato.
Nessuna di noi due voleva abbandonare la propria vita.
Non ci eravamo rese conto che eravamo noi la vita l'una per l'altra.
Io non ero disposta a seguirla in giro per il mondo. Lei non lo era per fermarsi in un posto per sempre.
Era stata molto semplice la ricerca di ciò che ci aveva fatto simili, ma entrambe non riuscivamo a rispettare ciò che ci rendeva diverse.
Eppure io l'amavo.  E anche lei.  Me lo disse nell'ultima telefonata mentre stavamo litigando.
 
Non ci sentimmo per un pò.
L'estate ormai stava finendo, era metà settembre.
Trascorsi quei giorni come sempre. A guardare il cielo, il lago e a ritrovarmi sola la sera sul mio portico a guardare le stelle.
Mi ritrovai a pensare a lei. In una delle ultime telefonate mi aveva accennato che si sarebbe trasferita in un'altra città alla fine dell'estate.
Ormai la sua partenza era imminente.
Questa volta, sarebbe stato più difficile dimenticarla.  Non avrei dovuto dimenticare la mia compagna di giochi. Dovevo dimenticare l'amore della mia vita.
 
Avevo finito da poco di lavorare. Il lavoro mi teneva impegnata, non mi permetteva di pensare a lei.
Ma lì, il mio pensiero ricorrente era lei.
Ero con gli occhi chiusi. Non volevo guardare il tramonto, volevo solo ascoltare il rumore del lago.
-Nella città in cui dovevo andare non c'è il lago- spalancai gli occhi. Mi girai a guardarla.
Senza dire una parola.
-Mi sarei sentita persa senza un posto in cui andare a rifugiarmi- continuava a parlare in piedi dietro di me.-  Lì non c'è questo tramonto, questi colori. Ci sono tanti lampioni, ovunque, non avrei potuto passare le mie sere sul terrazzo a perdermi tra le stelle. E non voglio girare il mondo senza di te-
Non dicevo una parola. Fece silenzio. Avanzò ancora verso di me. Fu lì che notai che aveva in mano due valige.
-Lì non c'eri tu, Calliope-  fu l'ultima frase che le permisi di dire.
Ero già scattata in piedi e la tirai verso di me.
Aveva finalmente trovato anche lei la sua casa. Insieme a me.
La baciai al tramonto, lì nel nostro posto magico sul lago.
 
L'avevo aspettata per così tanto tempo.
 
Ci sposammo l'estate successiva.
C'era il nostro gruppetto, i nostri amici, ormai cresciuti, a festeggiare con noi.
 Era diventata mia moglie in una splendida, calda giornata d'estate.

 
Ringrazio in anticipo chi ha "speso" un pò del suo tempo a leggere la mia storia, e chi la vorrà recensire :)
Spero che sia stata una lettura piacevole per chi si è ritrovato a leggerla.
Grazie, un abbraccio :)

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Capitolo 2
*** il nostro dolce autunno ***


L’autunno porta con sé il ricordo di una stagione generosa; colori, sensazioni, profumi.
  Tutto parla della bellezza della terra, della meraviglia della natura.
Tutto nella mia vita parla di te.

L'autunno, è sempre stata la mia stagione preferita sin da ragazza. Una stagione in cui tutto si riempie di colori;ed è arrivato quel colore, anche nella mia vita, rosso come il tuo amore, il nostro amore.
Ti ho incontrata in autunno, un autunno che tu mi hai fatto scoprire, vivere, assaggiare.
 
-Ancora non riesco a crederci davvero. Tu domani ti sposi, Teddy!
Era arrivato quel giorno. Lo avevamo immaginato così tante volte da piccole. Era la mia migliore amica e mi conosceva meglio di chiunque altro.
Avevamo condiviso così tanto, i nostri giochi, la scuola, l'università, le prime cotte.
- Nemmeno io, Arizona-aveva un viso smagliante. -Troverai pure tu quella giusta, quando non te lo aspetti- me lo disse con quella convinzione che mi fece sorridere.
E avvenne davvero, proprio quando non mi aspettavo niente.
Era il giorno più bello della vita della mia migliore amica in fondo, ma fu anche il mio.
L'ho vista, ho posato i miei occhi su di lei e non sono più riuscita a staccarli.
Era semplicemente lei.
Ma lei sembrava non vedermi. Parlava con i suoi amici, scherzava, ballava, era meravigliosa in tutto quello che faceva. Soprattutto quando ballava. E non aveva fatto altro che ballare quel giorno, al matrimonio di suo fratello. E io non avevo fatto altro che guardarla, quasi tutto il tempo.
La guardavo e mi perdevo nella sua bellezza. Nei suoi occhi, così grandi e neri, nei suoi capelli che ricadevano perfettamente sulle sue spalle, nella sua espressione così intensa.
Ma lei non mi degnava nemmeno di uno sguardo, era persa nel guardarsi intorno, io mi perdevo nel guardare lei.
 
Era la sorella di Henry, l'uomo che aveva fatto perdere la testa alla mia migliore amica.
Stavano insieme da un anno, ma io non l'avevo mai vista, non ci eravamo mai incontrate prima di quel giorno.
Era nei Marines, era sempre in missione. Ma aveva preso un mese di congedo. O almeno, era quello che mi aveva detto. Ed era ritornata a San Francisco.
Era stato un giorno davvero meraviglioso, Teddy era radiosa, suo fratello la rendeva davvero felice, e il loro amore si respirava nell'aria.
Io non facevo altro che respirare il suo profumo, quando per caso capitava vicino a me.
Capitammo di nuovo vicine, al centro della pista, gli sposi erano nel cerchio che si era creato intorno a loro, e fu in quel momento che mi prese per mano per completare il cerchio.
La mia mano era nella sua, il primo contatto tra me e lei. Il mio cuore accelerò i battiti, lei sembrava tranquilla. Rideva e si muoveva, e mi trascinava con lei.
Ballammo ancora, al centro della pista solo noi quattro. Lei con suo fratello, io con Teddy.
La musica continuava, cambiava e la pista cominciò a riempirsi, rifiutai più di un invito e sgaiottolai fuori in cerca di un pò di solitudine.
Era ormai calata la sera, ma i festeggiamenti non accennavano ancora a finire.
Mi diressi nel viale tra il prato che portava sul bordo della grande piscina poco distante dai gazebo.
Sentivo ancora la musica che proveniva dalla pista.
La lasciai lì a ballare con i suoi corteggiatori.
Aveva ballato con quasi tutti gli amici degli sposi. Avevano fatto a gara per riuscire a conquistarsi almeno un ballo con lei.
Sembrava una dea con indosso quel suo vestito, e lo era ancora di più quando ballava.
 
-Ti va di ballare?la sua voce mi fece girare di scatto.
Per la prima volta in tutto il giorno, mi stava guardando, mi aveva parlato e soprattutto aveva pronunciato quella frase che non mi sarei mai aspettata. Avevo senz'altro capito male. Colpa di qualche bicchiere di troppo forse, non che avessi bevuto molto, non mi è mai piaciuto bere. Ma in quel momento l'unica sensazione che provavo era molto simile all'ebbrezza.
-Cosa? Balbettai, sicura di aver certamente capito male.
-Vuoi ballare con me?Questa volta avevo capito bene, quando me lo disse era ad un palmo da me.
Era così vicina, che potevo perdermi nei suoi occhi così intensi.
-Non so ballare-commentai sentendomi davvero molto stupida. Ma la sua vicinanza mi faceva letteralmente perdere il controllo.
- Non importa-mi rispose avvicinandosi sempre più e passando le sue braccia dietro la mia schiena. -segui me, ti guido io. Siamo sole non può vederci nessuno-
Non ebbi il tempo di commentare ero già tra le sue braccia.
Lontano da tutti, immerse nel riflesso della luna, sul prato stavamo facendo il nostro primo ballo.
E non sapevo ancora il suo nome. Lei non sapeva il mio.
Eppure, per tutto il giorno avevo creduto di essere trasparente per lei.
-Questa è per te- me lo sussurrò all'orecchio portandomi ancora più vicina al suo corpo.
Da lontano, la canzone che giunse fino a noi era per me.
Cominciò a sussurrarmi all'orecchio alcune parole della canzone. A cantarle, con la sua voce meravigliosa. La sua voce era così intensa, così dolce che mi sembrava di non aver mai sentito niente di più sensuale.
Chiusi gli occhi e respirai quel momento.
Era così assurdo, eppure il momento più emozionante che avessi mai vissuto prima di allora.
Ero letteralmente abbracciata ad una sconosciuta, ballavo con una sconosciuta, io che odiavo ballare.
Non ci conoscevamo, eppure non ero mai stata così vicina in quel modo con nessuno.
E non si trattava certamente della vicinanza fisica. Quel momento, appese l'una all'altra, a respirarci a vicenda, era di quanto più intenso e vero avessi mai vissuto in tutta la mia vita.
- Quando sorridi, tutto il mondo si ferma e guarda per un pò-me la cantava all'orecchio avvicinandosi sempre di più.
Non mi conosceva, non sapeva ancora il mio nome, non ero mai riuscita ad incrociare il suo sguardo col mio durante la festa, e ora la sua bocca era incollata al mio orecchio e mi stava dedicando una canzone.
-perchè tu sei fantastica proprio come sei- si era allontanata di un passo e mi stava guardando fisso negli occhi, senza minimamente mollare la sua presa su di me.
E io mi facevo stringere.
Finì la canzone, finì di cantare ma io non la lasciai allontanare.
Presi il suo viso tra le mani e la baciai. E ricambiò. E non ci conoscevamo, non ci eravamo mai viste, non ci eravamo ancora presentate.
Finì la canzone, finimmo di ballare, ci staccammo di qualche passo.
Fu lei a parlare per prima.
-Ehi-disse semplicemente sorridendomi.
-Ehi-le risposi io guardandola e socchiudendo entrambi gli occhi.
Pensavo davvero di essere ubriaca a quel punto. Di essermi immaginata tutto.
Persino che lei non fosse realmente lì davanti a me che mi guardava quasi divertita.
Rimasi a guardarla anch'io. Era la donna più bella della festa, la donna più affascinante, la donna più bella che avessi mai visto in tutta la mia vita.
-Giusto per chiarire le cose,- fu di nuovo lei a rompere quel silenzio. -voglio che tu sappia che di solito non vado in giro ad invitare a ballare delle sconosciute- Rideva ed era meravigliosa.
-Giusto per chiarire le cose- continuai io usando le sue stesse parole- voglio che tu sappia che nemmeno io sono il tipo di persona che bacia delle sconosciute-
-Però entrambe questa sera lo abbiamo fatto-rispose avvicinandosi a me sul bordo della piscina.
-Sarà sicuramente colpa dell'alcool- risposi io girandomi a guardarla, e mi ritrovai a fissare il suo profilo.
Realizzai che non ero ubriaca invece. E non lo era nemmeno lei, rise e continuò a parlare.
-Non bevo alcolici- mi disse. - Semplicemente non sono riuscita a resistere alla tentazione-
La guardai, non tanto sicura di seguirla.
Lo lesse sul mio viso. Sospirò e continuò di nuovo.
-Non ho fatto altro che desiderare di ballare con te oggi, da appena ti ho vista. Ma tu non eri quasi mai in pista, eri sempre da qualche parte in piedi a parlare, o seduta a fissarmi-
Pronunciò l'ultima frase non riuscendo a trattenere un sorriso. Sicuramente aveva colto la mia espressione imbarazzata.
Non mi diede il tempo di trovare una giustificazione.
- E ogni volta che cercavo di uscire dalla pista, c'era sempre qualcuno che mi faceva rimanere a ballare. Ho aspettato che prima o poi avresti trovato il coraggio di venire a chiedermi di ballare. Ma quel qualcuno che invece lo faceva, non eri mai tu. E non mi importava niente di ballare con loro, l'unica con la quale volevo ballare-  spezzò il suo discorso avvicinandosi di più e prendendomi per i fianchi mi fece girare verso di lei- beh, eri tu.-
Rimasi impalata ad ascoltare. Poi mi decisi a parlare.
-Non è vero che ti ho fissata sempre- cercai di giustificarmi. Tra tutte le frasi che potevo scegliere di dire in quel momento, nel quale la donna più affascinante e bella che avessi mai visto nella mia vita, aveva tranquillamente espresso che non aveva fatto altro che desiderare tutto il giorno di ballare con me, io pronunciai proprio quella più stupida.
-Tutto il tempo- mi rimbeccò invece lei, non riuscendo a togliersi quel sorriso dalle labbra.
E io non riuscivo a ritrovare il controllo ogni volta che sorrideva.
Non ero mai stata insicura, timida o impacciata, ma con lei di fronte, riuscivo ad essere solo tutto quello.
-Non è vero- continuai io, dovevo riuscire a spuntarla in qualche modo. -Altrimenti avrei notato che anche tu mi fissavi. Invece non ho mai incrociato il tuo sguardo.
Mi guardava divertita. -Chi ti dice che io ti abbia fissata?
- Ti sei accorta che io ti fissavo tutto il tempo, quindi per forza mi hai fissata anche tu. E dato che non ti ho mai beccata che mi guardavi, non ti ho fissata tutto il tempo.
- Sei un avvocato?mi rispose solo, ridendo del mio ragionamento. -Sei brava.- disse ancora ridendo.-ok, diciamo che sono molto brava a non far accorgere le persone di quello che faccio- completò la sua frase con un  tono che non era più molto divertito ma che non riuscii a decifrare in quel momento.
-E per la cronaca, non sono proprio un avvocato. Sono un pubblico magistrato.-  Le risposi, notando che la sua espressione era leggermente cambiata. Ma non feci caso più di tanto.
 E questo lei lo sapeva eccome. Dato che il suo "congedo" a San Francisco riguardava proprio il mio lavoro. Riguardava me.
-E per la cronaca- riprese a parlare con la sua espressione divertita -non è vero che non sai ballare, non sei brava quanto me- si stava avvicinando sempre di più -ma baci da dio-
E si era avvicinata talmente tanto, che questa volta fu lei a baciarmi. Poi ci staccammo.
- Non ti aspetterai ora che io ti dedichi una canzone, dato che questa volta mi hai baciata tu-  stavo ritrovando il mio controllo. Anche se il suo bacio mi aveva lasciata completamente senza fiato.
-Oh, no. Ti ho sentita al karaoke, e credimi, dopo la tua esibizione non te lo chiederei mai.-
Rise. Era così sicura di sè, e nello stesso tempo così dolce.
-Ma se vuoi, posso ricantarti la canzone. E' perfetta per te- intanto ci eravamo sedute sul bordo della piscina.
Mi guardò, come se avesse immaginato che doveva convincermi di quello che mi aveva appena detto.
-I tuoi occhi fanno sembrare che le stelle non brillino-  Aveva davvero cominciato a cantarmi la canzone.
Le sorrisi, per la prima volta, ero riuscita a rilassarmi.
Cantava, quasi sussurrando le parole e mi accarezzava con i suoi occhi così profondi.
Non le lasciai finire la canzone, la baciai di nuovo.
Non mi era mai successo. Non mi era mai successo di baciare una sconosciuta. Non mi era mai successo che qualcuno mi avesse dedicato una canzone.
Scattò in piedi. stava andando via.
-Ci vediamo, Arizona- mi disse prima di voltarmi le spalle.
Rimasi spiazzata. Conosceva il mio nome. Ma io non conoscevo ancora il suo. Scattai in piedi anch'io e mi misi a correre per raggiungerla.
-Ehi, dimmi almeno il tuo nome- le sopraggiunsi da dietro e la fermai prendendole il braccio.
Si girò e mi sorrise.
-Callie- mi rispose, alzando leggermente le spalle. -Puoi chiamarmi così-
Si girò di nuovo, camminando in direzione dei gazebo.
Mi lasciò lì impalata a fissarla andare via.
Finì la festa, tutti andarono via, ed era sparita anche lei.
Almeno sapevo il suo nome. Almeno sapevo che mi aveva vista. Anche lei. Almeno sapevo che le piacevo.
Perchè lei mi piaceva. Mi piaceva tutto di lei, la sua bellezza rara, il suo carattere deciso, la sua voce, il modo in cui ballava.
Io, Arizona Robbins, giudice penale di fama, il più in gamba di tutta San Francisco, anzi, della California,  io, che non perdevo mai il controllo di niente, avevo perso la testa per quella donna.
La pensavo in continuazione; quando non riuscivo a dormire, mi veniva in mente lei; quando ero sommersa dalle mie carte, dal lavoro, mi veniva in mente lei;
Non riuscivo a fare più niente come prima, ovunque nella mia testa, ovunque in tutto ciò che facevo, c'era sempre lei.
E nonostante tutti i miei sforzi per cercarla, per incontrarla per caso, l'unica cosa che ero riuscita a sapere di lei, era il suo nome per intero. Era bella come una dea, e il suo nome era quello di una dea.
Non mi fu facile trovare il suo nome dal diminutivo che mi aveva dato, ma ci riuscii. Riuscivo sempre in quello che volevo.
E si trattava di lei, dovevo riuscirci per forza con lei.
Imparai la storia del suo nome, era un nome meraviglioso,meraviglioso il suo significato: dalla bella voce, calzava a pennello per lei. Era il nome di una musa, ed era l'unico nome adatto a lei.
Ma non riuscivo ancora ad incontrarla. San Francisco era davvero diventata così grande?
Ma avevo comunque il mio lavoro da portare avanti. E quello, era uno dei periodi più impegnativi.
Ero un giudice penale, mi occupavo nel decidere se mandare dentro o meno le persone, e il caso che avevo tra le mani in quel periodo, era uno dei più delicati.
Mi diressi al bar vicino al tribunale, prima di entrare nell'edificio e cominciare la mia giornata lavorativa.
E la trovai lì, al bancone che beveva un cappuccino.
-Calliope- le sopraggiunsi da dietro sfoderando uno dei miei sorrisi.
-Arizona- mi salutò lei indicandomi il posto accanto al suo. -Vedo che hai scoperto il mio vero nome- mi disse abbozzando un sorriso.
-Non mi sono mai piaciuti i diminutivi- le risposi semplicemente io, aggiungendo -E non chiedermi di non chiamarti così, perchè non lo farò, Calliope- mi sorrise con una strana luce negli occhi, e glieli vidi socchiudere quando pronunciai il suo nome.
Non mi chiese mai di farlo, e presto notai che avevo solo io quel privilegio.
Le chiesi come mai era da quelle parti, mi rispose che semplicemente era in giro.
Finimmo di fare colazione, poi io mi incamminai verso il tribunale. Lei restò nei paraggi per tutto il tempo.
E non perchè lì c'era qualcosa da vedere, negozi da girare, o altro. Stava lavorando anche lei.
Riuscì a nascondermelo per quasi un mese. A nascondermi che era un'agente dell' FBI. A nascondermi che lei, era la mia scorta.
Non era a San Francisco per un congedo. Non era nel corpo dei marines come io credevo, e come tutti dicevano, ma era a San Francisco per me, per proteggere me, per proteggermi dal mio lavoro che tanto amavo.
Ero un giudice penale, mandavo dentro dei delinquenti, e questo metteva senz'altro in pericolo la mia vita. Ma non mi importava, il mio lavoro mi appassionava, la giustizia era fondamentale per me. Punire chi sbaglia. Chi commette reati orribili.
Avevo tra le mani un caso delicato, pochi giorni prima avevo sbattuto dentro uno dei criminali più temuti. E ora lei doveva proteggermi. E aveva rischiato la sua vita a causa mia, ogni santo giorno che aveva passato con me.
Aveva rischiato ogni momento.
Ma scoprii tutto questo dopo quasi un mese.
Il mese più bello della mia vita, un tempo, che mi permise di innamorarmi di lei.
 
Mi ero innamorata di lei, l'amavo come non avevo mai amato nessuno in tutta la mia vita.
Ogni giorno mi prendeva sempre di più, ogni giorno la sentivo sempre di più dentro di me. Mi era entrata dentro, mi scorreva nelle vene.
Ogni giorno speravo sempre più intensamente di poterla vedere, di incontrarla, di passare del tempo con lei.
E avvenne proprio questo.
Dopo quella mattina al bar, cominciammo ad incontrarci quasi sempre, per caso. O almeno era quello che pensavo io. Ma non era mai per caso quando la vedevo sbucare all'improvviso fuori dal tribunale, quando la vedevo sotto al mio portone, o quando la incontravo per negozi.
Non facevo caso che riuscivo a trovarla sempre ovunque io andassi. Semplicemente credevo nel destino, e soprattutto credevo al fatto che quando due persone sono destinate a trovarsi, allora si troveranno sempre in qualsiasi luogo. Pensavo davvero tutto questo.
Riuscivo a vederla sempre, ovunque. Riuscivo a passare quasi tutto il mio tempo con lei fuori dal lavoro.
Passai con lei i giorni più belli della mia vita.
A scoprirla piano piano, a scoprirci piano piano.
Nelle lunghe passeggiate al parco, tra gli alberi, tra quelle chiome gialle e arancioni, tra le foglie portate via dal vento.
Nel ritorno dal mio lavoro, spesso ci sedevamo sulla panchina nel parco a parlare. Da lì si poteva vedere tutta la città, era una vista davvero meravigliosa.
Non faceva freddo, o almeno non sentivo freddo con lei accanto.
Adoravo quel vento che c'era, che portava sino a noi le foglie che staccava dagli alberi, ma lo adoravo ancora di più perchè la trovavo meravigliosa ogni volta che le scompigliava i capelli. E lei non si curava di sistemarseli, semplicemente se li spostava dal viso con un gesto quasi automatico, e mi innamoravo ogni volta di lei quando li riportava indietro sulla fronte. Era così bella quando passava la sua mano tra i suoi capelli lunghi senza smettere di parlarmi, di guardarmi di sorridere.
Non ci vedevamo più per caso, entrambe, aspettavamo il giorno successivo per poterci rivedere.
E ci vedevamo ogni giorno. La trovavo sempre fuori dal tribunale ad aspettarmi.
Mi prometteva ogni giorno che l'avrei trovata sempre lì ad aspettarmi dopo il lavoro.
E c'era sempre, mi aspettava e mi sorrideva ogni volta che mi avvicinavo per raggiungerla. E riusciva sempre a sorprendermi con la sua bellezza così naturale, così semplice.
La mattina la incontravo spesso al bar, mi ripeteva sempre che aveva un congedo lungo, che non aveva molto da fare e che le piaceva vedermi al mattino per augurarmi il buongiorno.
Ovviamente non era per quel motivo. Stava lavorando anche lei.
Mi recavo ogni mattina a piedi a lavoro, adoravo passeggiare, soprattutto in autunno, per godere di quei colori che sprigionava la natura, e adoravo rifare  la strada di ritorno con lei accanto.
 A guardare insieme il colore delle foglie, che passava dal verde al giallo, l'arancione, il rosso e il marrone. Un evento naturale, uno spettacolo che avevo la fortuna di condividere con lei.
Ci sedemmo sulla panchina.
-Non c’è niente come l’autunno a San Francisco, non sono solo le foglie a cambiare, qualcosa nell’aria porta alla luce i veri colori di ognuno.-mi disse all'improvviso spostando il suo sguardo verso di me.
- E io che colore ho?-le chiesi ridendo.
Rimase in silenzio a fissarmi. Io la fissavo. Non sarei in grado nemmeno ora di spiegare le sensazioni che in quel momento attraversarono il mio cuore, il mio stomaco,la mia anima.
Era così dannatamente sincera quando mi disse quella frase. Aveva quell'espressione così dolce. Ero lì, seduta accanto a lei, rivolta verso di lei, ad aspettare una sua risposta.
- Tutti quelli che vuoi-mi rispose sorridendomi.
- Sul serio, qua'è il mio vero colore?-glielo richiesi non staccando i miei occhi dai suoi.
-  Dico sul serio Arizona,- mi accarezzò il viso -tu puoi essere, tu sei tutti i colori che vuoi-
Ma non mi accontentai della sua risposta.
- Allora, vediamo, ti aiuto io-dissi all'improvviso sorridendo -Hai detto tutti i colori, arancione perchè?-
Sorrise insieme a me. La trovavo adorabile.
-perchè ti trovi in perfetta armonia con tutto ciò che ti circonda- mi rispose.
Mi girai ancora di più verso di lei e mettendomi seduta con i piedi incrociati sulla panchina. Lei restò com'era, seduta con le sue lunghe gambe accavallate, e la testa inclinata poggiata al suo braccio sullo schienale. E non volevo che cambiasse posizione. Era perfetta.
 Continuò -perchè sei piena di gioia e trasporto.-
La guardai alzando un sopracciglio.
-Ok, andiamo avanti- dissi, ci stavo prendendo gusto- Vediamo, giallo?-
-Perchè sei come il sole, sei energica e piena di vitalità-
Mi guardava intensamente, mi parlava senza mai distogliere lo sguardo dal mio viso.
Prese gusto anche lei e continuò ad elencarmi i colori.
-Azzurro, perchè sei immensa come il cielo-  si mise dritta, rivolta verso di me, poggiò delicatamente la sua mano sul mio mento per sollevarmi leggermente la testa e continuò -perchè porti il cielo nei tuoi occhi-
 Le sorrisi timidamente.
Continuò ancora.
- E poi verde, perchè sei tenace, con uno spiccato senso della giustizia, hai grandezza d'animo e adori la natura.
Ci frequentavamo da poco più di due settimane, e aveva imparato a conoscermi come nessuno, aveva saputo leggere dentro di me, dentro la mia anima.
Ero sorpresa, spaesata, innamorata.
Ma non aveva finito, accarezzandomi trovò l'ultimo colore.
-E poi, c'è quello più bello di tutti- si fece più vicina, intrecciò le sue mani con le mie.
Io restai ferma, in silenzio, intrecciata a lei.
-Sei come il bianco, la tua anima è pura e gentile e bianca come la neve.
Non dissi niente, mi avvicinai a lei, al suo viso alle sue labbra e la baciai. E ricambiò con tenerezza.
Non mi chiese il suo colore. Restammo un altro pò lì, sedute vicine a respirare quell'aria che aveva leggermente l'odore della pioggia.
 E non avrei saputo rispondere con un solo colore, per descrivere lei non sarebbe bastato uno.
 Perchè lei, era tutti i colori insieme, mischiati uno all'altro. Come si mischiavano le mie sensazioni nello stomaco quando ero con lei.
E non glielo avrei potuto dire.
Come potevo scoprirmi a tal punto? Come potevo dirle che per me lei era il mio arcobaleno dopo la pioggia in una meravigliosa giornata d'autunno? Come potevo scoprirmi così? Con lei, che mi aveva fatto perdere la testa, con lei, che non facevo altro che aspettare di vederla, con lei, che sarebbe andata via in meno di un mese?
Ruppi il silenzio. Mi girai verso di lei, la guardai come se all'improvviso avessi capito cosa fare.
Lei mi guardò alzarmi e piazzarmi davanti a lei.
-Ti va di uscire con me?- le sorrisi, lei mi guardo alzando un sopracciglio.
Continuai. -Ti sto chiedendo di uscire, io e te, di sera, come un primo vero appuntamento- continuava a guardarmi, io continuai a parlare -insomma, una cena, un tavolo,io che ti vengo a prendere, tu che mi aspetti, cose così- continuai ancora -Calliope, per amor del cielo, vuoi tenermi impalata qui o me lo dici subito che accetti di uscire con me?
Rise. - Chi ti dice che voglia accettare di uscire con te, signorina so tutto io?
Il suo sorriso mi bastò come conferma.
-ok, fatti bella-   le risposi invece. Ed era una cosa impossibile, improbabile che potesse diventare ancora più bella di com'era. Perchè così era già la perfezione.
 
E invece mi sbagliavo. Non mi sarei mai abituata alla sua bellezza, a vederla ogni giorno più bella del giorno prima, ancora più bella momento dopo momento, istante dopo istante, sorriso dopo sorriso.
La portai fuori a cena, passammo una splendida serata, la passai a fissarla, ad adorarla.
Passeggiammo, parlando di tutto ciò che ci veniva in mente.
Ed era come se ci conoscessimo da una vita. Come se entrambe, non avessimo fatto altro che aspettarci da tutta la vita, che aspettare quel momento, quei momenti insieme.
Si era fatto tardi, le proposi di accompagnarla a casa, e poi sarei andata a casa mia a piedi. Non abitavamo lontane.
Non rispose subito, aveva un'espressione strana. Poi esordì
- Scordatelo, non posso lasciarti sola-poi si bloccò d'un tratto, come se si fosse resa conto all'improvviso di  aver detto una cosa che non avrebbe dovuto.
Non mi lasciò spazio sufficiente per interrogarmi sul suo atteggiamento. Avevo notato la sua espressione preoccupata, apprensiva. Ma continuò subito dopo abbozzando un sorriso.
-Non crederai davvero che possa lasciarti a camminare da sola, di sera a San Francisco.-
Si avvicinò a me e mi prese le mani -Non permetterei mai, che ti  possa succedere qualcosa-
Poggiò una sua mano sul mio volto, l'altra sulla mia spalla -Non ora che ti ho incontrata, che ti ho conosciuta davvero, Arizona.-
Poi mi sorrise, mi prese per mano e ci incamminammo verso casa mia.
Le chiesi di salire, non volevo lasciarla andare.
Fece un giro per la casa, io intanto ero andata in cucina a preparare qualcosa da bere.
-Carina, - mi raggiunse da dietro e mi abbracciò incollando il suo corpo al mio. -la tua casa- aggiunse lasciandomi un bacio sulla spalla.
Ma non mollava la presa, sentivo il suo respiro sul collo, sentivo il suo corpo incollato al mio.
Mi girai, e rimasi bloccata tra il suo corpo e il lavandino, circondata dalle sue braccia. Non accennava a staccarsi, io non volevo che lo facesse.
Sentii la mia schiena toccare il lavandino, il suo corpo completamente poggiato sopra il mio.
Mi ritrovai a fissare il suo viso, i suoi occhi, la sua bocca. La baciai.
 
Mi svegliai prima di lei. Mi sollevai per poterla guardare. Mi misi sul fianco, e la contemplai dormire. Era bellissima. Forse sognava, si dipinse un leggero sorriso sul suo volto, desiderai di poter essere nel suo sogno. Forse lo ero.
Avevamo trascorso il resto della notte abbracciate, avvinghiate l'una all'altra dopo aver fatto l'amore.
- Lo stai facendo di nuovo-mi parlò con voce assonnata. Si era appena svegliata.
- Cosa?-le risposi dandole il bacio del buongiorno e sorridendo.
-Fissarmi, tu mi fissi- sorrise -e adoro quando lo fai-
- E io adoro farlo-non feci in tempo a terminare la frase, che mi tirò verso di lei, in un istante mi ritrovai stesa su di lei.
 Andammo a fare colazione al bar, poi mi accompagnò a lavoro.
 
Il pomeriggio era strana, preoccupata. Più volte la vidi allontanarsi per parlare al telefono.
Parlava e non smetteva di guardarmi da lontano. Non riuscivo a vederla bene da dov'ero, ma notai mentre si avvicinava di nuovo a me che aveva un'espressione preoccupata.
- Brutte notizie?-le chiesi non appena mi fu vicina.
Mi strinse le mani, mi accennò un sorriso, che non riconobbi come suo, e mi rispose -No, niente che non sia sotto controllo-
Ma era strana, camminavamo, mi stringeva a lei ma si guardava costantemente intorno.
-Ehi- non riuscii a non parlare -Sei strana, c'è qualcosa che ti preoccupa- mi voltai a guardarla ma distolse subito lo sguardo dal mio -Sono qui, per te, e voglio che tu sappia che ci sarò sempre ogni volta che ne hai bisogno-
Io che dicevo quelle cose a lei, io, proprio io che ero la causa della sua preoccupazione. Io che ero la persona che lei doveva proteggere.
Mi sorrise, questa volta era più sincera.
- Lo so-mi rispose accarezzandomi -va tutto bene sul serio - continuava a guardarmi capendo che doveva riuscire a convincermi delle sue parole, poi continuò -Ci sarò sempre anch'io per te. Sempre, ogni momento, per qualsiasi cosa. Voglio che tu sappia che non ti succederà mai nulla di male finchè sarò con te, accanto a te-
Si era voltata completamente verso di me. Prese il mio viso tra le sue mani e piantò i suoi occhi nei miei.
Erano lucidi, intensi, decisi.
Il telefono continuò a squillare. E lei continuò a rispondere allontanandosi da dov'ero io.
Mi resi conto che non voleva che io ascoltassi.
Pensai subito che era per il lavoro. Qualcosa a che fare col suo congedo.
Ed era così, non si trattava proprio del suo congedo, ma del suo mandato.
E lo scoprii perchè la sentii gridare al telefono.
Mi giunsero come una doccia fredda le parole che pronunciò. Il mondo sembrava crollarmi addosso.
Mi crollarono addosso quei giorni passati con lei, il nostro ballo, le sue parole.
-Io non mollo, l'incarico è mio non lo lascerò a qualcun'altro incompetente solo perchè voi insinuate che io sia troppo coinvolta. Lei deve essere protetta e sarò io a farlo. Non ritorno a New York fino a quando lei non sarà al sicuro anche senza di me.
Chiuse il telefono, si girò verso di me, aveva avvertito la mia presenza alle sue spalle.
Ero in piedi, sulla porta della mia camera a guardarla. A guardare chi? Callie? Calliope?  In quel momento mi sembrò davvero una sconosciuta.
Non sapevo più chi fosse la donna, in piedi davanti  me che mi guardava con gli occhi sgranati.
-Arizona, io..- si stava avvicinando. Aveva intuito che era arrivata l'ora di dirmi la verità.
-Chi sei?- la interruppi indietreggiando.
Sentivo le lacrime salirmi agli occhi. Mi sentivo schiacciata dalla delusione. Quei giorni vissuti con lei, a scoprirmi, a farmi conoscere, a fare l'amore, a passeggiare, erano solo stati una menzogna.
Mi sentivo schiacciata dalla realtà che avevo davanti, ero stata ingannata, tradita dalla persona di cui mi ero innamorata follemente.
Schiacciata dall'amarezza che tutto quello che avevamo condiviso insieme, per lei non era stato nient'altro che recitare una parte.
Schiacciata dalla mia convinzione. Per lei non ero stata altro che niente. Per me era stata tutto.
-Arizona!-mi afferrò per le braccia, riuscì a fermarmi. -Ascoltami, ti prego-
- Non voglio ascoltare altre tue bugie-mi fermai a guardarla, volevo guardarla con disprezzo ma non ci riuscii, aggiunsi solo con tono aspro -Callie-
- Calliope, Arizona.- Si era avvicinata sempre di più, mi alzò il mento per guardarla negli occhi. -Io sono davvero Calliope, su questo non ti ho mentito-
Rimasi per un attimo a fissarla. I suoi occhi erano sinceri. Ma continuavo a non capire perchè mi avesse mentito. Non dopo tutto quello che mi aveva detto, dimostrato.
-Non hai fatto altro che mentirmi in questi giorni.- Cominciai a parlare. Volevo cominciare a capire davvero. - Non sei nei marines non è vero?
Fu la prima domanda che riuscii a farle.  Era di fronte a me. Mi guardava negli occhi. Capii che aveva deciso di raccontarmi tutto.
- Arizona, tesoro, guardami-le obbedii. -No, non sono nei marines-
Sospirò e cominciò a parlare appena rialzai gli occhi verso di lei. Stavo zitta.
-Sono un'agente dell'Fbi, ho avuto quest'incarico a San Francisco. Hanno mandato me perchè ho già avuto altri incarichi di questo genere, e conosco la città e ho i miei agganci.-
La ascoltavo parlare, non sicura di capirla.
- Mandata a fare cosa?-la interruppi
- Proteggere te Arizona-  mi prese le mani, si fece più vicina. -Volevano il meglio per te,  hanno mandato me-
Indietreggiai, volevo allontanarmi, capì guardandomi a cosa stessi pensando in quel momento.
-Quindi hai messo su questa farsa-  la interruppi di nuovo.- Diventare mia amica, trovare il modo di avvicinarti, per tenermi buona, per tenermi sotto controllo- La guardai fissa negli occhi, prima di pronunciare quella frase che sembrava così assurda persino alle mie orecchie - Hai mentito su tutto, hai mentito su noi, un noi che molto probabilmente per te non c'è mai stato. Eri solo la mia scorta, e io solo una delle tante da proteggere-
Mi guardava, le vidi le lacrime salirle agli occhi.
- Arizona, no! No!-gridò. Mi bloccai.
Continuò di nuovo lei a parlare. La sua espressione divenne all'improvviso dolce.
-Appena ho ricevuto l'incarico, eri una delle tante. Un giudice penale, che rischia la propria vita per la giustizia. Ho letto tutto ciò che riguardava te, il tuo lavoro, la tua vita.
Si avvicinò, la lasciai avvicinare.
- Poi ti ho vista, eri lì, al matrimonio di mio fratello. Eri così semplice, allegra, bella come il sole. Ridevi, parlavi, mi fissavi. Sapevo che l'indomani sarebbe iniziato il mio lavoro. Di proteggerti. E non ho desiderato altro. Come se la mia vita, il mio lavoro non dipendesse altro che da questo. Non mi aspettavo di incontrarti prima del tempo. Ma eri li, la migliore amica della sposa. E mi fissavi. E ti avrei protetta a costo della mia stessa vita.-
Mi accarezzò il viso, posò la sua guancia sulla mia, avvicinò le sue labbra sulla mia fronte.
-Tu non meriti del male Arizona, e non voglio essere io a farti del male-
Mi staccai da lei, non ero più delusa, ma arrabbiata. Arrabbiata con lei, con me stessa.
- Ma io si non è vero?-le dissi con la voce rotta dal pianto -  devo essere io a farti del male?
Mi guardava, rimase in silenzio.
-A farti rischiare la tua vita a causa del mio maledetto lavoro, a causa mia. Hai rischiato di morire ogni momento che hai passato con me, per proteggere me-
- Arizona, non era più un lavoro per me-si era avvicinata di nuovo. -Mi sono innamorata di te, Arizona.
Da subito. Da quando ti ho vista la prima volta al matrimonio in mezzo agli altri a parlare, a sorridere. Da quando ti ho vista che mi fissavi. Da quando ti ho chiesto di ballare. Da quando mi hai baciata all'improvviso.
Mi sono innamorata di te, della persona che dovevo proteggere. Non era più un lavoro per me Arizona.
Non ho mai pensato che stessi rischiando la mia vita. Perchè si trattava di te, e proteggerti era la cosa più naturale del mondo.
E se non ti basta, sono pronta a ripetertelo sino allo sfinimento. Io ti amo, ti amo Arizona. Come non ho mai amato nessuno in tutta la mia vita.-
Ero ferma in piedi ad ascoltarla. Lei era ferma in piedi di fonte a me che mi guardava con quell'espressione così intensa, sincera.
Mi avvicinai all'improvviso, mi gettai tra le sue braccia e sparii completamente nel suo abbraccio.
Mi sentivo protetta. E da come mi stringeva riuscii a capire che lo avrebbe fatto per sempre.
Piansi con il volto coperto sulla sua spalla, avevo paura, paura che le potesse accadere qualcosa a causa mia. Mi staccai e finalmente riuscii a parlare.
- Dovresti fare come ti dicono, devi fare come ti dicono, Calliope-
- Arizona, tu non mi hai ascoltata-  mi rispose prendendomi le mani -questo è il mio posto, proteggere te. Non lascerò a nessuno il mio posto. E' mio. Sarò io a proteggerti.  Da quando ti ho conosciuta mi sembra che io non sia nata per fare altro. E mi sembra così giusto per me.
- Ma non lo è per me, Calliope!-  Alzai di un tono la voce. Era testarda, ma io volevo esserlo più di lei.
Doveva ascoltare le mie ragioni. - Cosa pensi che sarà la mia vita se ti dovesse succedere qualcosa? Qualcosa a causa mia Calliope!
Non voleva ascoltare, era pronta a parlare di nuovo ma la interruppi. Ero decisa.
-Alla donna che amo più della mia stessa vita. Credi che riuscirei a perdonarmi? Che riuscirei a chiamare vita, una qualsiasi vita senza di te? Se non ci sarai più tu a proteggermi, chi lo farà per il resto della mia vita?
Mi guardava, aveva gli occhi lucidi. Ne approfittò del momento in cui mi ero fermata per riprendere fiato.
E pronunciò quelle parole, con la voce rotta dal pianto.
-Arizona, sei in serio pericolo. C'è una taglia che pende sulla tua testa. Ti vogliono fuori. Sei scomoda per loro. Potrebbe succedere da un momento all'altro.  Quindi non te lo ripeterò più. Io non ti lascio.
Si era avvicinata, l'espressione era quella dolce di sempre. Mi sorrise e mi disse -E non ti conviene insistere, tra le due qui, sono io ad avere una pistola.-
Mi fece sorridere insieme a lei.  Mi accarezzò il viso prima di baciarmi. E ricambiai.
-Ti amo, Calliope- le dissi prima di riprendere a baciarla di nuovo.
E mi arresi. Mi arresi, perchè nonostante tutti i miei sforzi, lo lessi nei suoi occhi, nel suo cuore, che non mi avrebbe lasciata.
 
Trascorremmo i giorni successivi come sempre, con lei che mi accompagnava a lavoro, con lei che mi aspettava al ritorno. E la sera eravamo quasi sempre a casa mia.
Una sera, era tesa. Aspettò che finissimo la cena. Poi trovò il coraggio di parlarmi. Si trattava di me.
- Siamo sulla buona strada,abbiamo intercettato delle telefonate. Abbiamo la data.-potevo percepire la sua rabbia.
- E quando sarà la mia esecuzione?le chiesi sapendo già a cosa si riferiva poco prima.

-Arizona- mi rimproverò- non scherzare-
La guardai e le sorrisi.
- Che c'è?- le dissi. -La mia dolcissima, bellissima, coraggiosa guardia del corpo, un giorno mi ha detto che con lei sarei stata sempre al sicuro-  mi avvicinai per baciarla -non ho paura. Mi hai promesso che non mi succederà niente di male. Mi fido di te.-
Mi sorrise prima di parlare.

- Non è così semplice, Arizona. Non mi riferisco a me, non ti succederà niente, te lo prometto. Si fece più vicina prima di continuare.-Ma tu promettimi che sarai coraggiosa, e farai tutto come ti dico. Non una mossa di più.-
Avevo capito senza che lei me lo spiegasse. Avrei dovuto recitare la mia parte, per porre fine a tutto.
Parlò ancora lei.
-Pensano che tu non abbia una scorta. Non hanno capito che io sono la tua scorta. Pensano solo che io-
mi sorrise e prese la mia mano - beh, loro pensano che io sia solo la tua fidanzata-
- E allora perchè non hanno colpito prima?  le chiesi confusa.
-Perchè lo devono fare a modo loro, hanno un piano e tu non sei l'unica che vogliono fare fuori. Perchè, prima di costruire il loro dannato piano, dovevano studiare ogni tuo movimento. E ora abbiamo la data.-
- Tu, tu ti sei accorta che ci seguivano?le chiesi quasi tremando.
-Si, Arizona. Ma non potevo fare niente. Non avevamo ancora il numero preciso di quei bastardi, e ci servono tutti per sbatterli dentro e fermarli.
- E ora hanno il piano- dissi con gli occhi che fissavano il vuoto.
- E noi abbiamo il nostro-  mi sussurrò, e riuscii a tranquillizzarmi. C'era lei, non poteva succedermi niente di male.
 
Passammo la notte abbracciate l' una all'altra. Per tutta la notte mi aveva stretta così tanto che quasi non riuscivo a respirare. Ma avrei passato la mia intera vita stretta a lei in quel modo.
Poi arrivò il giorno. Avevo imparato il piano a memoria.  
Uno sporco avvocato era il loro aggancio. Una cena di lavoro, mi convinse che doveva parlarmi in privato di un caso.  Mi sembrarono ridicoli i suoi sforzi nel creare una scusa plausibile. Conoscevo già il suo piano, il loro piano. Accettai senza tanti preamboli.
All'uscita dal ristorante, era prevista la mia "rapina".
Non mi dovevano sparare, non subito. Solo prendermi e portarmi non so dove.
Non ero agitata, sapevo che la mia Calliope insieme alla sua squadra era li fuori, a pochi passi da me.
Non avevo niente di cui aver paura. Recitai perfettamente la mia parte.
 
Ma qualcosa andò storto, uno di loro si accorse dell' FBI.
Cominciarono a fare fuoco.  Io mi trovavo lì in mezzo. Pronta a ricevere la mia pallottola.
L'unica cosa di cui mi importava era che la sua vita non fosse in pericolo.
Mi illusi che fosse così solo per pochi secondi, fino a quando non la vidi lì in mezzo, pure lei a sparare, e corrermi incontro.
Le mossi incontro.
- Arizona, no- gridava - non muoverti-
Non sentivo altro che spari. Ma volevo proteggerla. Una di quelle pallottole era per me.
Troppo tardi,l'aveva vista prima di me. La pallottola che era diretta verso di me.
La vidi sparare, prima di essere scaraventata a terra da lei.
Si era gettata sopra di me, per farmi scudo con il suo corpo.
Non feci in tempo a proteggerla col mio corpo. Era stata più veloce di me.
Non sentii più niente. Non c'erano più spari.
Ero ancora per terra, con lei distesa sopra di me.
-Sono così arrabbiata con te-  si mise sui gomiti senza staccarsi da me. -Sono così arrabbiata, che quasi mi viene voglia di spararti. Come hai potuto rischiare così tanto Arizona?-
- Volevo proteggerti-  le dissi fissandola negli occhi. -Ti ho vista che mi correvi incontro e ho capito che volevi prenderti quella pallottola al posto mio.-
Intanto si era alzata in piedi.
-Agente Torres,- una voce la fece girare. -Li abbiamo presi tutti.-
- Voi state tutti bene?chiese preoccupata.
C'erano solo due agenti feriti.
Era finito tutto.
Mi diede la mano per alzarmi da terra. Mi tirò con forza verso di lei appena fui in piedi.
Mi guardò negli occhi, prima di parlare.
-Volevo prendere la pallottola al posto tuo, perchè io dovevo proteggere te, Arizona!-  era arrabbiata.
Mi teneva ancora stretta a lei.
Rafforzò la presa, stringendomi di più a lei. - Vorrei che te lo ricordassi per la prossima volta- il suo tono era tornato quello dolce di sempre.
Le gettai le braccia al collo e la baciai.
Mi sorrise, e ancora una volta, il suo sguardo mi confermò che con lei sarei stata sempre al sicuro.
Mi rifugiai tra le sue braccia, mi sentivo a casa. Le sue braccia erano la mia casa.
Chiese il trasferimento a San Francisco.  Venne a convivere da me.
Due mesi dopo le chiesi di sposarmi.
 Ci sposammo ad ottobre. E mi ritrovai di nuovo stretta a lei, al centro delle pista a fare il nostro primo ballo da sposate. La canzone era la stessa, me la cantò allo stesso modo. Me la sussurrò all'orecchio, proprio come aveva fatto un anno prima. E io mi innamorai di nuovo di lei.
Finì la canzone, le sorrisi e la baciai.

 
Ringrazio tutte voi che avete letto, voi che avete letto e recensito.
E come sempre, spero che per voi sia stata una lettura piacevole. :)

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Capitolo 3
*** La nostra primavera improvvisa ***



 
 
 
 La primavera dell’anima arriva quando vuole,
non segue una stagione,
ma dà i suoi frutti quando un cuore si risveglia
allo sbocciare di una nuova emozione.

S. Shan
 
 

- Callie, guarda si è posata una coccinella sulla tua spalla-
- Dove? non riesco a vederla-
-Perchè l'hai appena fatta volare via-
Ero con le mie amiche Addison e Cristina al parco di Seattle.
Andavamo spesso lì durante le nostre pause pranzo, perchè era uno dei pochi parchi che disponeva di panche e tavoli d'appoggio dove poter mangiare comodamente e all'aria aperta. Ed era di fronte l'ospedale dove lavoravamo.
Era primavera, ed era piacevole passare quella scarsa ora di pausa a godere della natura e di quell'aria così mite.
- Lo sai cosa si dice sulle coccinelle?-
- Cristina, vuoi dire che c'è anche una leggenda sulle coccinelle?
- Certo che c'è, Callie. Chi non la conosce?-
- Beh, io non la conosco-
- si dice, che quando una coccinella si posa su di te, e poi dopo un pò vola via, non si poserà a caso su un'altra persona. Si poserà sulla tua anima gemella-
- Cavolate, chi crede ancora a queste storie? Cristina, tu non di certo-
- infatti io non ci credo-
- Io si, ragazze-
- Dai, Addison apri gli occhi-
- Callie, forse dovresti aprirli tu-
- oh, credimi, li ho ben aperti ormai-
- allora ti sarai accorta della direzione che ha preso la coccinella-
- No, perchè non la sto seguendo con lo sguardo. Te l'ho detto Addison, non credo più a queste storie-
- Non posso essere che d'accordo con te, Callie!-
- Ma se me l'hai raccontata tu la storia, Cristina-
- Solo per dimostrare quanto sono stupidi e sentimentali gli uomini-
- Shh, ragazze, guardate intorno a chi sta volando la coccinella-
Seguii lo sguardo di Addison.
E la vidi. Era seduta su una panchina, con la testa chinata a leggere un libro.
Non si curava di quello che la circondava. Non si accorse nemmeno della piccola coccinella che le stava volando intorno.
E che dopo un pò si posò su di lei.
E lei, incurante, continuava a leggere il suo libro.
Era di una bellezza incantevole. Mi bastò un istante per rimanerne affascinata.
Affascinata da lei, dai suoi capelli ondulati e biondi, dal suo modo di star seduta, dalla sua concentrazione su quel libro,  dall'aria di mistero che aveva tutt'intorno.
Era sola, così talmente bella.
- Non a caso si è posata su una donna, guarda-
- Questo non vuol dire niente Addison, magari non è nemmeno interessata alle donne-
- Dovresti andare a scoprirlo-
- Cristina, ma non eri d'accordo con me poco fa?-
- Si, ma non posso fare a meno della scena. Tu che ti alzi e le vai incontro e scopri che è molto etero-
- Cristina, il tuo cinismo è irrecuperabile. Dovresti dare retta a me Callie-
- Magari ha ragione Cristina, sarà sicuramente molto etero-
- Beh, non ti resta che andare a scoprirlo-
- Lo farò solo per dimostrare che questa storiella sulle coccinelle è solo pura invenzione-
- Staremo qui ad osservare- disse Cristina cominciando a ridere.
- Sta zitta, Cristina!- la rimproverò invece Addison. - Dovresti provarci sul serio, Callie-
- Non dovrete ridere quando tornerò con un due di picche-
Non ci credevo sul serio a quella storia che mi aveva raccontato Cristina.
Ma qualcosa in quella sconosciuta mi aveva attratta.
Mi incamminai verso di lei, e mi fermai lì in piedi mettendomi di fronte.
Sollevò lo sguardo. E mi guardò. Puntò per pochi secondi i suoi occhi dentro ai miei e mi guardò con espressione confusa.
Fu lì che mi accorsi del colore dei suoi occhi. Ne rimasi completamente rapita.
Mi innamorai all'istante di lei. Mi ero innamorata di una sconosciuta solo guardandola.
Mi innamorai del suo volto, dei suoi occhi di un blu mai visto, della sua espressione buffa nel guardarmi aggrottando la fronte, del suo modo di socchiudere gli occhi accecata dal sole.
Mi decisi a parlare.
- Credo che  tu sia la donna della mia vita-
- Cosa? no, non credo proprio-
La sua espressione diventò ancora più confusa.
- E invece io credo proprio che tu sia la mia anima gemella-
- E sentiamo, cosa te lo farebbe pensare questo? Ne sembri così sicura-
Aveva aggrottato ancora di più la fronte. Era stupenda. Chiuse il libro che stava leggendo e lo posò sulle sue gambe. Accennò un sorriso. In quell'istante persi la terra sotto ai piedi.
Mi ero innamorata di lei guardando la sua espressione accigliata, confusa. Ma fu quando sorrise che fui persa completamente.
Era perfetta. Meravigliosa, bellissima.
Cominciai davvero a credere a quella strana storia sulla coccinella.
Mi sedetti sulla panchina accanto a lei. Cominciai a rispondere alla sua domanda.
- Ne sono sicura. Quella coccinella che hai sulla spalla, poco fa si è posata su di me-
- e con questo?-
La sua espressione da confusa passò a divertita.
- Da me è volata verso di te. Fino a posarsi su di te-
Era incredibile persino a me stessa il tono sicuro che riuscivo ad usare.
- E questo ti fa credere che io sia la tua anima gemella?-
- Si. Ci sono tantissime persone in questo parco. Ma lei ha scelto te.-
- La coccinella mi avrebbe scelta? E per cosa, sentiamo.-
Aveva un tono risoluto, un misto tra divertito e confuso.
- Ti ha scelta per essere la donna della mia vita-
- Una coccinella? é stata lei a dirtelo? Insomma, una coccinella?-
- Starai pensando che io sia pazza. Ma fidati è così. Tu sei la donna della mia vita.-
Usai un tono deciso, dentro di me, speravo con tutta me stessa che fosse realmente così. E non per la storia della coccinella, lo speravo perchè sentivo che lei era lì, davvero, per me. Che quella donna, così perfetta, fosse per me.
Rise quando pronunciai l'ultima frase.
La sua risata aveva il suono più dolce che avessi mai sentito.
La trovavo perfetta in tutto. Era perfetta in tutto.
- Quindi, tu credi che io sia la donna della tua vita, perchè una coccinella, una minuscola coccinella si è posata su di te e poi su di me?-
- Non lo credo, ne sono convinta. E' così. Le coccinelle non si posano a caso sulle persone, scelgono dove posarsi. Non si fanno scegliere, ti scelgono.
- e avrebbe scelto me? E cosa succede se ora vola e si posa su un'altra persona?-
La coccinella scelse proprio quell'istante per ricominciare a volare. Si staccò da lei, volò intorno a noi, e si posò di nuovo su di me.
La guardai negli occhi. Aveva un'espressione sorpresa sul volto. Io le sorrisi.
- Ok, questo non significa nulla. Sei qui vicino, è normale che si sia posata su di te-
- Poteva scegliere di volare più lontano, ma ha scelto me, si è posata su di me.
- E con questo cosa vorresti dire?-
- Che non sbaglia. Io sono la donna della tua vita, la tua altra metà, la tua anima gemella, l'altra parte di te.-
- Ok, questa è la conversazione più assurda che io abbia mai avuto con una sconosciuta in tutta la mia vita.-
- Oppure, ora, potrei dirti il mio nome e non sarei più una sconosciuta.-
- Non sai nemmeno se io sono interessata alle donne.-
- Callie. Il mio nome è Callie. Non sei interessata alle donne?-
- Ciao Callie, ora devo proprio andare.-
- Non hai risposto. Dimmi almeno come ti chiami.-
- Se sono davvero la tua anima gemella, il destino ci potrà far incontrare di nuovo.-
Mi sorrise, si alzò dalla panchina, e col suo libro in mano si incamminò verso l'uscita del parco.
- Seattle è enorme.-
Riuscii solo a gridarle dietro ma senza ricevere nessuna risposta.
Mi incamminai verso Addison e Cristina che erano ancora sedute sulla nostra panchina.
- Allora, Callie, come è andata?
- Non è interessata alle donne, vero?-
- Cristina, smetti di ridere. Falla parlare-
- Non c'è niente da dire ragazze. Non lo so, non so nemmeno come si chiama-
- E di cosa avete parlato tutto questo tempo?-
- Beh, le ho dimostrato di essere una pazza maniaca che si aggira tra i parchi di Seattle. Le sarò sembrata sicuramente una svitata.-
- Un due di picche insomma.-
- Cristina, smettila con le tue battutine. Callie, non ci pensare ora, magari era nel posto e nel momento sbagliato. Tutto qui.-
- O magari, la coccinella ha rotto il suo radar-
- Cristina, le tue battute non aiutano per niente.-
- E invece, ha ragione Cristina, Addison. A queste storie ci credono solo i bambini, nelle favole.-
Passai il resto del pomeriggio in sala operatoria. Ma non riuscivo a togliermi di testa lei.
Lei che mi aveva incantata con i suoi occhi, lei che mi aveva rapita con l'espressione confusa del suo volto, lei, che mi aveva fatta innamorare semplicemente sorridendomi.
E io, che le ero sembrata completamente una pazza.
 
Ero di turno al pronto soccorso. Mi diressi al punto in cui ero attesa, lessi la cartella che mi passò l'infermiera.
"Donna, Arizona Robbins, 31 anni. Incidente automobilistico, sospetta frattura dell'articolazione tibio-tarsica. "
Leggevo i dati sulla cartella mentre mi dirigevo dalla paziente.
Alzai lo sguardo, mi bloccai. La fissai per pochi secondi prima di decidermi di dire qualcosa. Ero io il medico dopotutto.
Mi guardò sorpresa.
- Ti chiamo un altro medico, lo capisco se non vuoi farti visitare da me- devo esserti sembrata una pazza l'altro giorno al parco.-
E invece mi sorrise. Lo aveva fatto di nuovo, mi mostrò quel suo sorriso che ancora una volta mi fece mancare la terra sotto ai piedi.
- Tranquilla, Callie.  Ops, Scusa, forse dovrei chiamarti dottoressa...?
- Dottoressa Torres, ma tranquilla, va bene Callie.- Le dissi mostrandole il cartellino.
Inclinò la testa leggermente di lato per leggere il nome sul camice.
- Va bene, dottoressa Calliope Torres. E ora, ti prego, dimmi che non si tratta di frattura.-
- Vuoi che ti visiti io? Nonostante il nostro primo incontro, e l'idea che ti sei fatta di me?-
- Pensi che io creda che tu sia pazza?-
- Beh, da come mi guardavi l'altro giorno al parco, si.-
- Beh, ammetto che sia stata la conversazione più assurda che abbia mai avuto in tutta la mia vita, ma non credo che tu sia pazza.-
- Lo dici solo perchè ora sono il tuo medico-
- In effetti, mi hanno rassicurato che mi avrebbero mandato il medico migliore di ortopedia-
- Va bene, Arizona, cominciamo la visita. Dammi il piede.-
- Hai scoperto il mio nome, accidenti!-
Cominciai la visita.
- Lo hai detto tu stessa, probabilmente lo avrei scoperto se il destino ci avesse fatte incontrare di nuovo.-
- Troppo semplice, così.-
- Beh, non siamo l'unico ospedale di Seattle. E tu sei venuta proprio dove lavoro io.-
- Mi ci hanno portata, perchè l'incidente è avvenuto a due isolati da qui.-
-  E proprio  quando ero io di turno.-
- Hanno mandato te, perchè hanno detto che sei il migliore. E a me serve il migliore.-
-  E proprio non appena ho finito la lunga operazione. Dieci minuti fa, ero in sala operatoria.-
- Cosa vorresti dire con questo, dottoressa Torres?
-Che forse siamo destinate ad incontrarci. Forse la coccinella non sbagliava.-
- O forse è stata solo una coincidenza. Beh, una serie di coincidenze.-
- Ok, signorina Robbins, abbiamo finito. Non è rotta. La sua caviglia è salva, metta del ghiaccio e la tenga a riposo.-
- Mi da del lei ora, dottoressa Torres?-
- Sono nella veste di medico ora, non sono la svitata del parco. Devo essere professionale signorina Robbins.-
- Ok, va bene, chiamami Arizona.-
- Oh, ne sono lusingata, Arizona. Può andare, l'infermiera le darà il modulo di dimissione.-
- E puoi darmi del tu.-
- Alla prossima, Arizona.-
Fui io questa volta ad andarmene per prima.  La lasciai in piedi, alle mie spalle, con l'aria confusa.
 
Non riuscivo a togliermela dalla testa, non riuscivo a credere che quella storia sulla coccinella, in qualche modo potesse essere vera.
- Dottoressa Torres, buongiorno-
- ehi Addison-
- Sembri assorta nei tuoi pensieri.-
- C'è una persona, che li occupa quasi tutti.-
- Ma, Callie, è meraviglioso. Allora di chi si tratta?-
- Della ragazza del parco, Arizona.-
- Pensi ancora a lei? Ma Callie, dovresti.. Aspetta, tu sai il suo nome? Si chiama Arizona?-
- Chi va in Arizona?-
- Cristina, nessuno va in Arizona, la ragazza del parco si chiama così.-
- E tu come lo fai a sapere Addison?-
- Me lo stava raccontando Callie, prima che ci interrompessi.-
- Ragazze, è stata solo una coincidenza, ha avuto un incidente ieri sera, ero io di turno e l'ho visitata io.-
-  Callie, non è stata una coincidenza. E' il vostro destino.-
-  La coccinella ha fatto sistemare il suo radar?-
- Smettila Cristina, anzi ti conviene andare se vuoi soffiare quell'intervento ad Alex.-
- Si, in effetti io scappo, ho cose più importanti a cui pensare.-
-  Allora, com'è andata? che ti ha detto?-
- Niente Addison, sosteneva che fossero solo coincidenze.-
Mi squillò il cercapersone proprio in quel momento, lasciai la mia amica li, e corsi via.
Era stata una lunga giornata all'ospedale, tornai a casa e mi buttai sul divano.
 E mi venne di nuovo in mente lei. Di nuovo il suo sorriso. I suoi occhi.
Erano passate quasi due settimane dal nostro secondo incontro, quella sera in ospedale.
Al parco non eravamo tornate spesso, a causa dei turni massacranti in ospedale e delle solite emergenze.
Avevo sempre creduto nell'amore, nel lieto fine. Anche quando la vita mi aveva messa di fronte a situazioni avverse, quando nonostante le relazioni fallimentari ero riuscita sempre ad andare avanti. Perchè, nonostante tutto credevo nel lieto fine.
 E ci ho creduto davvero quando la vidi, quando mi innamorai all'istante di lei. Che era seduta su quella panchina, quel giorno di maggio, avvolta nella sua aura di mistero, sola, incurante di tutto, col vento che le scompigliava i capelli, ed era perfetta ugualmente, ancora più bella con la testa china a leggere concentrata quel libro che aveva in mano. Così talmente bella con la sua espressione confusa nel guardarmi.
Ma di lei, praticamente non sapevo nient'altro. Solo che era perfetta.
Avevo il giorno libero a lavoro. Non capitava molto spesso. E questo significava un pò di libertà, di tempo per me, nonostante l'altissima probabilità che il cercapersone si mettesse a suonare da un momento all'altro.
Decisi di andare  fare shopping, adoravo andare in giro per negozi. Passai il pomeriggio così, entrando ed uscendo dai negozi.
Si era ormai fatto pomeriggio inoltrato, decisi di andare al bar a prendere il mio solito frullato.
- Il solito, Joe-
-Oh, il solito anche per me.-
Girai leggermente la testa di lato, la sua voce l'avrei riconosciuta ovunque.
Mi sorrise. E a me tremò lo stomaco.
- Dottoressa, Calliope Torres- mi salutò continuando a sorridermi.
- Paziente, Robbins- le feci eco io -
Piantai i miei occhi dentro ai suoi. Potevo perdermi in quel blu. Ricominciai a parlare appena riacquistai il controllo.
-Come mai anche lei da queste parti? Devo credere che sia proprio destino, quello di incontrarci per caso-
- Seattle è anche la mia città, ci sono buone probabilità di incontrarci.-
- A parte il fatto che Seattle è enorme, e noi frequentiamo proprio lo stesso bar.-
Ero decisa a mantenere il suo stesso tono tranquillo, incurante.
- E ora, aggiungerà, che non ci siamo mai incontrate qui, ed è successo proprio oggi che aveva il giorno libero.-
- Già, proprio oggi, e proprio lo stesso momento. Di solito ci vengo la mattina in questo bar, sa, prima del lavoro.-
- Continuo ad essere persuasa a credere che si tratti solo di pure coincidenze. Non credo nel destino.-
- Sbaglia, signorina Robbins.-
- Vedo che ti ricordi anche il mio cognome, Callie.- Mi disse improvvisamente passando al "tu". - Vediamo, quale altra informazione segreta, conosci sul mio conto?-
- Oh, purtroppo nient'altro, oltre al fatto che so che hai 31 anni.-
- Beh, questa è un'informazione piuttosto indiscreta. Ora sono costretta a chiederti la tua età per pareggiare i conti.-
- Furbo, da parte tua, Arizona. Dovrò accontentarti se me lo chiedi con quel sorriso.-
- 32. Ora però tu sai più cose di me, sai che lavoro faccio.-
 Stava per rispondermi qualcosa, ma fummo interrotte da Joe.
- Ecco a voi il vostro frullato alla fragola, signore.-
Ci fissammo per un attimo entrambe sorprese.
- Evidentemente abbiamo anche gli stessi gusti, Arizona.-
- Altra pura coincidenza.-
- Va bene, pensala come vuoi.-
Feci appena un sorso del mio frullato, che il cercapersone cominciò a suonare.-
- A quanto pare devo proprio andare. Alla prossima, Arizona.-
Pagai e me ne andai.
Mi stava fissando. Mi allontanai dal bar con la consapevolezza di avere i suoi occhi blu puntati su di me.
E l'ultima cosa che volevo era andarmene.
Era testarda, voleva dimostrarmi a tutti i costi che non credeva nel destino.
Ma dentro di me, speravo di poterla rivedere ancora, e riuscire a farle cambiare idea.
Passai il resto della settimana, con la solita routine a lavoro, a casa, e qualche serata tra donne. Solo che spesso avevo in testa lei. Il suo ricordo non voleva proprio lasciarmi in pace.
Mi sembrava di vederla ovunque andassi; quando mi passavano accanto donne dai capelli biondi, mi veniva in mente subito lei; quando bevevo il mio frullato alla fragola, pensavo costantemente a lei; quando incrociavo degli occhi blu, l'immagine di lei si insediava dentro ai miei occhi. Ma era difficile reggere il confronto con lei, con lei che per me era la perfezione.
Nessun paio di occhi, nessun sorriso, erano mai lontanamente paragonabile ai suoi.
Nessuna altra donna, avrebbe mai retto il confronto con lei.
Avevo finito finalmente di lavorare, ero quasi completamente esausta dopo quattro operazioni di fila.
Avevo trascorso l'intera giornata in sala operatoria, ed ero ben lieta di tornare a casa a piedi.
Non abitavo lontano dall'ospedale, spesso tagliavo per il parco.
Passeggiare tra gli alberi in primavera, con la luce del tramonto, quasi mi rigenerava.
- Calliope-
Sentì una voce chiamarmi. Mi girai e vidi che mi stava correndo incontro.
- Arizona, ci incontriamo di nuovo per caso?-
- Diciamo che ci vengo spesso qui ultimamente. Mi rilassa e mi aiuta a concentrarmi e trovo la giusta ispirazione-
- Sei una scrittrice?-
- Una specie.-
Non mi diede il tempo di approfondire, mi parò qualcosa davanti agli occhi.
- Tieni, questa è per te.-
- Mi stai donando una margherita? E' un messaggio per qualcosa?-
- No, è solo per ringraziarti di avermi offerto il frullato l'altro pomeriggio al bar. Sei subito corsa via che non mi hai dato il tempo di ringraziarti.-
- oh, la margherita e il tuo sorriso valgono molto di più di un semplice grazie.-
- Non la smetterai mai di provarci con me ogni volta che ci incontreremo?-
- No, fino a quando non mi dirai che non sei interessata alle donne.-
Mi guardò per un attimo. Io la guardai per un attimo.
- Allora, non sei interessata alle donne?-
- Non sono interessata all'amore, non ci credo tutto qui.-
- Non credi nell'amore? -
Ci eravamo incamminate sul sentiero tra il prato, non avevamo una meta precisa.
- Non credo nell'amore eterno, non mi interessa. Non sono tagliata per queste cose.-
- Hai avuto una brutta delusione?.-
- Io? no mai. Semplicemente mi piace la mia vita così com'è, non ho intenzione di cambiarla.-
- Dovrò faticare allora, per riuscire a farti cambiare idea. Dovrai accettare prima o poi che noi siamo destinate a stare insieme.-
- Sai come mi hanno sempre chiamata? Regina di ghiaccio. E sai perchè?
-  Perchè hai paura?-
-Perchè non ho mai permesso a nessuno di avvicinarsi talmente tanto da prendersi una parte di me.-
- Sbagli. Non perderesti una parte di te. Troveresti l'altra parte di te.-
- Sono immune a certe cose. E l'amore è una di queste. Sono sempre stata indipendente, autonoma, padrona di me stessa.-
- Credi che perderesti la tua libertà?-
- Esatto. E voglio essere libera, non rinuncerei per niente al mondo alla mia libertà, alla mia vita così com'è ora.-
- Hai dimenticato un aggettivo.-
- Cosa?-
- Prima, quando ti sei descritta, hai dimenticato di dire, che oltre tute quelle cose sei anche molto testarda. E fidati, è quello che li batte tutti.-
- Molto testarda.-
- Già. Non mi resta altro che salutarti e lasciarti con la tua convinzione.-
Mi fermai a guardarla negli occhi per qualche secondo. Sarei rimasta a fissare il suo viso per l'eternità.
Ma mi stavo arrendendo. Avevo dato retta a quella stupida storia sulla coccinella.
E avevo sbagliato. Di grosso. Mi ero innamorata di una donna che non credeva nell'amore.
Che sosteneva di non aver bisogno di nessuno altro oltre che di se stessa.
Avevo sbagliato e dovevo arrendermi.
Mi stava guardando anche lei.
- Addio, Arizona. E' stato un piacere conoscerti.-
- Finisce qui? Potremmo essere amiche. Posso essere una buona amica.-
- Non sono sicura di riuscire a resistere al tuo sorriso.-
- Se vuoi essere mia amica, dovresti cominciare a non provarci più con me.-
Ridemmo insieme.
Da quel giorno ci incontrammo quasi tutti i giorni al parco, passavamo la mia scarsa ora di pausa a parlare, e ridere. Ogni tanto veniva a trovarmi in ospedale.
Mi faceva ridere, era buffa, solare. La sua allegria la distingueva da tutte le altre persone. La sua allegria mi circondava. Mi prendeva pienamente.
Il suo sorriso, i suoi occhi, la sua ristata, erano diventati il motivo principale dei miei sorrisi. Erano diventati tutto ciò che mi portavo dietro. A lavoro, a casa. La speranza di incontrarla il giorno dopo.
Era una persona che sorrideva alla vita.
Mi piaceva la mia vita, mi piaceva anche prima di incontrare lei. Ma era con lei che riuscivo a viverla pienamente.
Giorno dopo giorno.
- Domani vorrei portarti in un posto.-
Le dissi con tutta la semplicità di cui ero capace.
- E' un posto fantastico, Calliope-
- Questo posto lo sento un pò mio. Vengo qui ogni volta che posso.-
Mi ero messa a sedere sul prato. Mi imitò, sedendosi accanto.
In meno di mezzo secondo la feci ritrovare distesa accanto a me.
L'avevo tirata giù con me, mentre la sua risata riecheggiava sonora nella tiepida aria di primavera.
- In questa posizione puoi vedere meglio il cielo-
- Ha un colore stupendo, Callie.-
- Ma non può competere con i tuoi occhi.-
Si girò e mi guardò per qualche secondo.
Si poggiò sul gomito e poggiò la sua testa sulla sua mano.
Continuò a fissarmi. Poi improvvisamente porto il suo viso ad un centimetro dal mio. Le sue labbra erano ad un millimetro dalle mie.
Rimasi immobile. Indugiò qualche secondo, piantò i suoi occhi dentro ai miei prima di chiuderli e inaspettatamente mi baciò.
Mi staccai all'improvviso, mi alzai e mi allontanai. Lei mi seguì.
- Calliope..-
- Non puoi. Non puoi dire di voler essere solo mia amica e poi baciarmi. Non puoi. Non puoi affermare di non credere nell'amore, di non volere una relazione stabile e poi baciarmi. Non puoi.-
Mi guardava senza dire una parola, non c'era traccia della sua allegria che si portava dietro ovunque.
I suoi occhi non brillavano come sempre. I suoi occhi erano pieni di lacrime.
- Calliope, io..-
- Perchè lo hai fatto Arizona?-
- Perchè mi piaci. Tu mi piaci. Mi piace tutto di te.-
Non volevo essere sua amica. Volevo con tutta me stessa che lei potesse essere la donna della mia vita. La mia anima gemella.
Non volevo essere sua amica. Ma da quando l'avevo vista la prima volta, non potevo fare più a meno di lei.
Non volevo essere sua amica, ma essere sua amica era l'unico modo per poterla avere nella mia vita.
Essere sua amica era l'unico modo per poter far parte della sua vita.
Mi ero innamorata di lei appena avevo posato i miei occhi su di lei.
 Il guaio era, che in quel mese che avevamo trascorso insieme, mi ero innamorata di lei ogni giorno di più.
Il guaio era, che lei non era disposta a cambiare la sua vita per me-
- Ma non vuoi una storia seria.-
- Ma non voglio una storia seria.-
Non ci vedemmo più. Non andai più al parco nella pausa-pranzo.
Non tagliavo più dal parco quando tornavo a casa.
Io non la cercai più. Lei non mi cercò più.
Eppure, entrambe, sapevamo dove trovarci. Ma non ci stavamo cercando.
Passarono quasi due mesi.
Mi ero lasciata convincere da Addison a passare una serata a teatro.
Non ero dell'umore giusto, ma mi aveva promesso una serie di sostituzioni al pronto soccorso che fui costretta ad accettare. In fondo, era meglio una serata noiosa a teatro che una lunga notte al pronto soccorso.
Aveva incontrato un tizio qualche settimana prima, era un tecnico delle luci e spesso lavorava per gli spettacoli teatrali.
- Allora, di cosa si tratta questo musical che stiamo andando a vedere?-
Stavamo attraversando la strada, dirette al teatro.
- Ehm, Callie, veramente non è un musical-
- Mi avevi detto che si trattava di un musical-
- Ok, ti ho mentito. E' un monologo.-
- Cosa? Addison! mi hai portata a vedere un monologo? un dannatissimo monologo? Devo stare seduta ad ascoltare una persona che parla sola, su di un palco, per più di un'ora? Dopo un'intera giornata passata in sala operatoria?-
- Magari è divertente.-
- Non sono mai divertenti i monologhi, Addison!-
- Ma questo sembra interessante, fidati. E' una storia autobiografica, l'ha scritta l'attrice che deve andare in scena.-
- Non mi importa, chi l'ha scritta, mi hai portata a vedere un monologo, come minimo mi dovrai sostituire per una settimana al pronto soccorso.-
- Dai, non esagerare, era l'unico modo perchè tu mi accompagnassi.-
- Potevi chiedere a Cristina-
- E ricattarla come? Ci vive in quell'ospedale, non avrebbe mai accettato una sostituzione.-
Avevamo preso posto, lo aveva scelto lei, vicino ovviamente al tecnico delle luci, ma non molto distante del palco.
Calarono le luci, una figura femminile prendeva il posto sul palco, al centro, si era seduta a terra.
Fu puntata su di lei, una luce rossa, ancora non si vedeva bene in volto. Ma qualcosa aveva richiamato la mia attenzione. C'era qualcosa di familiare in lei.
Mi girai verso Addison, per vedere se aveva avuto le mie stesse impressioni.
Ma lo feci invana, i suoi occhi in quel momento stavano puntando altrove, in un'altra direzione, sul tecnico.
Mi voltai nuovamente verso il palco, la luce non era cambiata, ma cominciò a parlare.
Quella voce, mi era così familiare. Si accese un'altra luce, il suo volto si vedeva perfettamente.
Era lei, di nuovo. Il destino ci aveva fatte incontrare di nuovo.
Mi si gelò il sangue
Era un'assistente sociale, questo me lo aveva raccontato durante il mese che avevamo passato insieme. Si occupava più che altro dell'affidamento dei minori disagiati. Il suo lavoro l'appassionava, la coinvolgeva talmente tanto che a volte, passava un'intera serata a raccontarmi la sua giornata a lavoro. Delle battaglie che sosteneva, sempre pronta a difendere i "suoi bambini", come spesso li chiamava. Riusciva a coinvolgere anche me, riusciva a trasmettermi le sue emozioni, riuscivo a leggerlo nei suoi occhi quanto amava il suo lavoro, e io adoravo starmene lì seduta ad ascoltarla.
Mi aveva raccontato anche della sua seconda passione, il teatro. Aveva fatto l'attrice in passato, ma non andava in scena da tanto. Ogni tanto quando il lavoro glielo permetteva, scriveva testi teatrali.
 Ma non andava in scena da tanto. eppure, quella sera,  lei era li.
Percepii Addison che si era voltata a guardarmi.
- Giuro, che non lo sapevo. Sono rimasta sorpresa quanto te. Te l'ho detto che siete destinate. Non può essere altrimenti.-
Era difficile che fosse sorpresa quanto me.
Non dopo essermi resa conto che era lei, su quel palco, lei quasi mezza nuda, con indosso solo biancheria intima.
Faceva parte della scena, lo capivo benissimo, ma un senso improvviso di gelosia non riuscì a darmi tregua fino alla scena successiva, quando cominciò a vestirsi.
Era un gioco di luci, lei che si muoveva disinvolta sul palco a parlare, cambiando tono, lei che si sedeva a terra e poi si alzava, lei che si fermava a guardare in alto, immaginando che quello sopra di lei fosse un cielo vero, che quelle stelle disegnate fossero vere.
Era brava, aveva catturato l'attenzione di tutti gli spettatori, che non facevano altro che guardarla con attenzione, sbilanciandosi ogni tanto per osservare meglio la scena.
Era una sorta di racconto. Non era noioso, tutt'altro. Era la sua vita.
Era fantastica,  riusciva interamente a riempire il palco con la sua bellezza.
Era talmente bella, immersa in quel gioco di luci, che cambiavano quasi ad ogni suo movimento.
Era la donna più bella sulla quale avessi mai puntato gli occhi.
Poi arrivò quel momento. Quella scena, che mai mi sarei aspettata di assistere.
Era completamente vestita ora, aveva sciolto i suoi capelli. Si era seduta su un gradino.
Aveva cominciato a raccontare la scena, le luci continuavano a cambiare.
Potevo vedere benissimo il suo volto, non aveva quell'espressione confusa, ma assunse l'espressione più dolce che avessi mai potuto vedere sul volto di qualcuno.
Non ero sul palco, non ero lì con lei, ma quella scena che stava raccontando, l'avevo vissuta in prima persona, con lei.
E la stavamo rivivendo di nuovo, entrambe,  nello stesso momento.
Aveva un tono dolce, aveva cambiato qualcosa nei dialoghi, in fondo quel momento, era solo nostro. Suo e mio.
Ma aveva cambiato il finale.
E la frase che citò, la frase che poi alla fine pronunciò, mi lasciò completamente immobile.
“L’ amore è sempre nuovo. Non importa che amiamo una, due, dieci volte nella vita: ci troviamo sempre davanti a una situazione che non conosciamo. L’amore può condurci all’inferno o in paradiso, comunque ci porta sempre in qualche luogo. E’ necessario accettarlo, perché esso è ciò che alimenta la nostra esistenza. Se non lo accettiamo, moriremo di fame pur vedendo i rami dell’albero della vita carichi di frutti: non avremo il coraggio di tendere la mano e coglierli. E’ necessario ricercare l’amore là dove si trova, anche se ciò potrebbe significare ore, giorni, settimane di delusione e di tristezza.Perché, nel momento in cui partiamo in cerca dell’amore, anche l’amore muove per venirci incontro. E ci salva"
Fece una piccola pausa, rimase seduta su quel gradino, cambiando posizione.
 L'espressione ancora dolce sul suo volto.
Cominciò a parlare come se si stesse rivolgendo a qualcuno, come se parlasse con qualcuno.
- Solo, che spesso capita, che quando cerchiamo di capirlo, l'amore ci lascia smarriti e confusi-
Si guardò per un attimo intorno prima di continuare.
- Confusi, perchè non capisci cos'è quella sensazione che ti fa tremare lo stomaco;quella sensazione che ti spinge a sorridere ugualmente anche se le cose intorno a te non vanno, quella sensazione che mai avevi provato prima di incontrare lei, la tua anima gemella.-
Aveva la voce roca, rotta dal pianto. 
- E poi ci lascia smarriti, perchè, arriva incurante di tutto, arriva all'improvviso, arriva quando non lo vuoi, arriva quando non lo aspetti. Arriva. Sempre. Anche quando non ci credi. Anche quando ti ostini a credere che non ne hai bisogno. Lui arriva. Arriva e ti presenta l'altra parte di te. E si è ancora più smarriti, perchè nonostante tutte le tue convinzioni, lei sta lì, e capisci che ormai, non puoi più farne a meno.-
Me ne stavo lì seduta, con le lacrime agli occhi, mentre tutta la gente intorno a me applaudiva.
Non mi accorsi nemmeno che avevano acceso tutte le luci. Guardai sul palco, lei non c'era già più.
Ma io ero lì.
L'aspettai all'uscita. Addison era andata via col tecnico delle luci, la pregai io di andare e non se lo fece ripetere più volte.
- Siete destinate, Callie- E strizzandomi l'occhio mi lasciò lì.
Il cuore mi batteva con un ritmo anomalo, non riuscivo quasi a respirare. Ma ero lì, ad aspettarla. E l'avrei aspettata per sempre.
Poi la vidi uscire. Si paralizzò appena mi vide. Poi mi accennò un sorriso e mi venne incontro. Io le andai incontro.
Eravamo all'uscita del teatro. Solo noi due.  Io ero lì, lei era lì, così talmente bella da far invidia alla luna, a quelle stelle che riempivano il cielo sopra di noi.
- Arizona...-
- Shh.. Prima, ho detto che l'amore ci porta sempre in qualche luogo. A quanto pare mi porta sempre da te-
- Ci hai messo un bel pò ad arrivarci però. Ma sei arrivata, finalmente, sei arrivata.-
- Ti amo, Calliope. Ti ho amata da subito, contro la mia volontà, ma mi sono innamorata di te. E ho continuato ad innamorarmi di te, sempre, ogni giorno.-
- Ma avevi paura di cambiare la tua vita.-
- Ma avevo paura di cambiare la mia vita, fino a quando non ho capito che la mia vita è con te.-

Ero ad un passo da lei, dall'amore della mia vita. Annullai la distanza che c'era tra noi, e finalmente la baciai.

Ci sposammo otto mesi dopo. Lei mi chiese di sposarla. Un giorno, mentre eravamo sedute sulla nostra panchina.
Sono passati sette anni da allora, e mi innamoro di lei ogni giorno, mi blocca il respiro ogni volta che la vedo all'improvviso, il suo sorriso, mi fa ancora lo stesso effetto. Mi fa mancare la terra sotto ai piedi ogni volta che mi sorride.

 

 Ringrazio chi di voi ha "speso" un pò del suo tempo a leggere questa storia, e voi, che avete letto e recensito. :)

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Capitolo 4
*** Il nostro magico inverno ***


La incontrai in una stagione in cui la natura diventa magica.
Era Febbraio, un freddo e nevoso febbraio come tanti altri  a New York.
Mi ero trasferita da poco, mi avevano offerto un posto di primario nel reparto di pediatria.  Avevo fatto le mie valige ed ero volata verso la mia città preferita.
Stavo vivendo in un'epoca in cui credevo che nulla al mondo fosse importante quanto me stessa.
Non avevo tempo per l'amore. Diciamo, che temevo la sofferenza, la perdita, l'inevitabile separazione. Ero convinta che per non soffrire, era indispensabile non amare.
Ma lei, lei, mi sembrava di averla amata prima ancora di conoscerla. Lei, era stata da sempre parte di me.
Nell'attimo esatto in cui la vidi, mi innamorai di lei in un modo così intenso che mai avrei creduto fosse stato possibile.
Nell'attimo esatto in cui la vidi, lei cambiò la mia esistenza.
Diventò la mia scommessa.
Volevo cominciare a credere nell'amore. Lei, mi fece cominciare a credere nell'amore.
Ed io, non ho fatto altro che amarla, costantemente. Ci siamo amate così intensamente da giustificare il resto della nostra esistenza.
 
Non faticai a fare amicizia nel mio nuovo ospedale, diventai subito amica di Teddy, primario di cardiochirurgia. Avevamo un caso in comune il giorno in cui la conobbi, diventammo subito amiche.
Era aperta e coinvolgente. E fu a causa del suo temperamento che un giorno mi lasciai convincere ad iscrivermi alle lezioni di salsa.
- Ehi, Arizona, leggi qui- Eravamo in mensa, si sedette al mio tavolo piazzandomi un biglietto praticamente davanti agli occhi.
- Diamo il via ad un nuovo anno tutto da ballare, lasciatevi coinvolgere dal ritmo latino.- Lessi tutto d'un fiato non smettendo di mangiare il mio yogurt.
Continuava a guardarmi sorridendo, con volto implorante.
- E quindi? con questo?-
- Allora, che ne dici? domani c'è la prima lezione-
- Scordatelo. Io non ballo, non ho mai ballato e mai ballerò-
Diciamo che il ballo era una delle rare cose in cui non riuscivo. Ed ero riuscita ad evitarlo, fino a quel momento.
- Ehi, sono solo delle lezioni di salsa. Una volta a settimana.-
- Scordatelo. Il ballo non è contemplato nella mia mente.-
- Ma è un'ottima scusa per staccare un pò la spina da questo posto-
- A me piace questo posto-
- Sai che intendo, Arizona. La cardiochirurgia è la mia vita. Ma abbiamo anche bisogno di altro, per staccare la mente ogni tanto.-
- La mia mente sta a posto così, non ho bisogno di distrazioni.-
- Vedila in un altro modo allora, siamo nuove qui, pensa alla nuova esperienza che potremmo fare, a novi incontri che potremmo fare, a...-
- Ok, hai vinto. Devo scappare, ho un intervento che mi aspetta.-
La lasciai lì, col sorriso sulle labbra, senza rendermi conto che aveva preso sul serio la mia risposta.
Ed eccome se l'aveva presa sul serio.
La mattina dopo mi raggiunse al bar dell'ospedale per fare colazione insieme. Col suo solito sorriso sulle labbra.
- Ci siamo iscritte, cioè ci ho iscritte.-
- Uhm? Abbiamo un convegno in questi giorni?-
Mi ero completamente dimenticata della conversazione del giorno prima, sulle lezioni di salsa.
Le avevo risposto di sì, solo per metterla a tacere. Scherzavo.
Ma evidentemente per lei, ero stata seria.
- Cosa? No! Abbiamo la nostra prima lezione di salsa, stasera alle dieci.-
- Cosa? No, io non vengo.-
- Ma ieri hai detto che saresti venuta.-
- Solo perchè non la smettevi di parlare. Andiamo Teddy, non ero seria.-
- Troppo tardi. Ormai siamo iscritte.-
- Allora dopo chiami e disdici la mia iscrizione-
- No, non puoi farmi questo, ho praticamente implorato il tizio alla reception per farci iscrivere. Il corso era già al completo.-
- Allora non si dispiacerà se deve annullare la mia iscrizione.-
- Quale parte della frase "l'ho dovuto praticamente implorare" non hai capito?-
- Non ho scelta giusto?
- No, se non vuoi perdere la tua migliore amica.-
Ci mettemmo a ridere. Era unica nel suo genere, ed era quasi completamene impossibile dirle di no, anche per una come me.
-E per la cronaca, mi devi i soldi dell'iscrizione, dato che ti ho iscritta io-
- Oh, dato che mi stai praticamente costringendo a venire, non ti aspetterai che ti dia davvero i soldi dell'iscrizione. Puoi proprio scordartelo, mi sembra il minimo.-
Odiavo le costrizioni, le avevo sempre odiate e raramente nella mia vita mi ero ritrovata a fare ciò che gli altri dicevano.
Ero Arizona Robbins, più che altro avevo io questo potere sugli altri. Mi veniva così naturale dare ordini, specie in sala operatoria.
Ma quel giorno, mi lasciai praticamente costringere ad andare, ma appena la vidi, quella costrizione si trasformò in un istante in scelta. Avevo scelto io alla fine ad andare.
Lei, era la mia scelta. Avrei scelto e riscelto lei per tutta la vita.
Avevamo finito il nostro turno in ospedale, erano già le dieci di sera.
- Arizona, sbrigati, la lezione sarà già iniziata, era alle dieci.-
- Sono le dieci.-
- Appunto e siamo ancora nel parcheggio dell'ospedale-
- Non iniziano mai puntuali, fidati. E' solo una lezione di ballo-
- Per te forse, ma per chi insegna è un vero e proprio lavoro.-
- Fare il chirurgo è un vero e proprio lavoro. Ma ballare no, chi balla si diverte e basta.-
- Non la penseresti così se fossi tu, quella che si deve impegnare ad insegnare, specie a due come noi, che non sanno muovere un passo.-
- Ecco, appunto, allora facciamo dietro front e risparmiamo questa inutile fatica al maestro di ballo.- Le dissi, voltandomi per tornare sul serio indietro.
- Troppo tardi, siamo arrivate.- Mi rispose con un eccessivo slancio di allegria, afferrandomi per il braccio e facendomi rigirare nella sua direzione.
Entrammo nell'edificio.
- Cavolo, questo posto è davvero carino- parlai ad alta voce guardandomi intorno.
E lo era, arredato con gusto, divanetti colorati, quadri stilizzati appesi su delle pareti verdi e gialle.
E poi c'erano foto, tante foto di gente che ballava, che sorrideva.
- Arizona, dai da questa parte. E' già iniziata.-
Mi incamminai per raggiungerla davanti alla porta a vetri.
C'erano circa una decina di persone li dentro, che stavano sorridendo, qualcuno evidentemente stava parlando loro, ma da fuori non si riusciva a sentire niente.
E nel punto in cui lei si trovava, da dietro la porta non riuscivo a vederla.
- Sono le dieci e cinque, non può essere iniziata sul serio. Vedi, stanno parlando. Siamo in perfetto orario.- Le risposi ridendo.
Entrò prima Teddy, seguita da me che ancora non avevo fatto in tempo a smettere di ridere. E me ne resi subito conto, quando quasi tutti si voltarono nella mia direzione, guardandomi sbalorditi.
Teddy, mi lanciò subito una gomitata, non appena vide che anche gli occhi dell'insegnante di ballo erano puntati su di me con aria poco divertente.
Sfortunatamente per me, la mia risata era riecheggiata nella sala interrompendo la lezione.
Il sorriso mi morì sulle labbra, non appena incrociai il suo sguardo.
Non era per quell'espressione indecifrabile che aveva, non era per quegli occhi che mi guardavano penetranti e che mi ritrovai a fissare; ero rimasta del tutto spiazzata dalla bellezza di quella donna. Era di una bellezza che aveva qualcosa di estremo. Era di una bellezza quasi sovraumana.
Quella donna era bella da togliere letteralmente il fiato.
Più la guardavo, più mi sembrava di non riuscire a respirare. Più la guardavo, più mi perdevo in lei. Più la guardavo, più sentivo che il mio cuore stava per franare.
- Buonasera- cominciò a parlare non distogliendo il suo sguardo dal mio. - Se siete interessate alla lezione, vi prego di prendere posto, abbiamo già iniziato da qualche minuto.-
- Ci scusi per il ritardo.- intervenne Teddy, scusandosi anche per me e dirigendosi prontamente verso lo spazio ancora vuoto che era riuscita ad intercettare.
Non ero stata veloce quanto lei, me ne stavo ancora lì ferma, vicino alla porta, cercando di riprendere il respiro. Mi ero incantata e non avevo fatto in tempo a registrare quello che era appena successo.
Avevo ancora gli occhi puntati su di me, notai Teddy che disperatamente mi faceva segno di raggiungerla. Troppo tardi.
La sua voce mi raggiunse di nuovo, ma questa volta, cercai di concentrarmi su quello che mi stava dicendo.
- Mi scusi, come le dicevo prima, se è interessata alla lezione, la prego di prendere subito posto. Devo continuare con la mia lezione.
- Oh, certo sono interessata, mi scusi- le risposi accennandole un sorriso imbarazzato.
- Perfetto.- mi rispose tornando al centro della sala - Qui avanti c'è ancora un posto- continuò indicandomi col braccio un posto pericolosamente vicino al suo.
Perfetto. Ero arrivata in ritardo già alla prima lezione di salsa, avevo appena fatto una figura pessima davanti a tutti, mi ero incantata nel bel mezzo della sala, e non sapevo ballare.
- Il ballo, è un arte che si esprime col movimento. E' il linguaggio del corpo. Tutti siamo in grado di muoverci, di ballare, di comunicare. La salsa è tutto questo, è fatta di movimento.- Aveva ripreso il suo discorso, era al centro poco distante da me. Aveva rivolto il suo sguardo verso di me prima di continuare - La salsa ha delle regole codificate.- aggiunse continuando a guardarmi fissa.
Non aveva bisogno di aggiungere altro, era stata abbastanza chiara. L'inizio, non era stato proprio uno dei migliori.
Ci fece ascoltare la musica, ci spiegò la struttura del ballo, il ritmo.
Sapeva attirare l'attenzione, coinvolgere, mettere a proprio agio, tranne me.
Ma sapevo che il problema ero io. E non solo perchè non ero portata e non ci capivo niente di ballo, ma il vero problema era che avevo perso ogni speranza di concentrazione, appena l'avevo vista.  Non riuscivo a concentrarmi quando mi passava accanto, la sua totale bellezza mi distraeva.
- Oggi proverò ad insegnarvi il passo base, lo proveremo prima tutti insieme davanti allo specchio, poi in coppia chiusa.-
Ecco, era arrivato il momento di perdere l'ultimo briciolo di dignità che mi restava quella sera.
Feci come tutti gli altri, mi rivolsi verso lo specchio, come tutti gli altri, ma non ballavo come tutti gli altri.
Cominciò a muoversi appena mise la musica, contava ad alta voce i passi, tutti la imitavano, tranne me, che me ne stavo lì impalata a guardarla muoversi, ballare trasportata da quella musica. Lei che ballava, era ciò che di più bello avessi mai visto in tutta la mia vita.
Era straordinariamente bella, ballava straordinariamente bene.
Non avevo via d'uscita,  e quando notai che mi stava fissando attraverso lo specchio, sentii la dignità che mi era ancora rimasta, scivolarmi sotto ai piedi.
Ci misi almeno mezzo secondo, a realizzare da come mi stava guardando, che si era accorta che non avevo fatto altro che fissarla per tutto il tempo della canzone muovendo si e no al massimo due passi.
Aveva un'espressione indecifrabile e  mi stava fissando.
Rimise la musica. Ricominciò col passo base dandoci il ritmo ad alta voce. Mi costrinsi a fissarle solo i piedi e cercai di imitare i suoi passi; Tentativo inutile, nonostante la mia buona volontà, non riuscivo a coordinarmi. Mi ero ripromessa che la prima cosa che avrei fatto a fine lezione, era di ammazzare Teddy.
Una presenza molto vicina a me, mi fece tornare alla realtà. La sentii muoversi dietro di me, le sue mani sui miei fianchi che cercava di darmi il ritmo.
 Se solo guardarla ballare, mi faceva perdere la concentrazione, ora ero completamente spacciata.
Sentii il cuore fermarsi, lo stomaco tremare, il respiro mancarmi.
Finì la canzone, si allontanò e tornò al centro.
- Bene signori, noto che tutti siete riusciti a seguirmi- Era rivolta verso di noi, stava sorridendo, la vidi dirigere lo sguardo verso di me e infatti riprese subito - beh, o almeno quasi tutti- piantò i suoi occhi dentro ai miei e mi sorrise.
Fu in quel momento che mi resi conto che nemmeno per la mia dignità c'erano più speranze.
- Ora, proviamo a fare gli stessi passi non più da soli, ma in coppia chiusa. Uomini, prendete le vostre dame e formate le coppie.-
Parlava in un modo perfettamente dolce. Sorrideva e io la guardavo, la osservavo, la fissavo.
Tutte le coppie erano state formate, anche Teddy aveva trovato il suo cavaliere, un tipo che non le aveva staccato gli occhi da dosso da quando eravamo entrate.
Io rimasi sola. Mi guardai intorno, ritornai a guardare davanti a me, e lei era  li in piedi che mi tendeva il braccio. Misi la sua mano nella sua e mi avvicinai a lei.
Mi sorrise - A quanto pare sarò io il tuo cavaliere per stasera- mi sussurrò all'orecchio.
Ero già un disastro sola, con lei che mi stringeva così sarei stata irrecuperabile.
Richiamai tutte le mie forze per concentrarmi su quello che diceva.
- Ok, ci siamo.- Ci mettemmo tutti in coppia chiusa. Io e lei ci mettemmo in coppia chiusa.
-L'uomo posa la sua mano destra dietro la schiena della propria ballerina all'altezza della spalla.-  Mentre dava le istruzioni, contemporaneamente eseguiva quello che diceva, e tutti la imitavano.- la mano sinistra dell'uomo le tiene la mano destra.- Si fermò un attimo, poi esordì - la mano destra.- ripetè guardandomi divertita.
- Scusi, ho sempre fatto confusione tra destra e sinistra- tentai di giustificarmi sorridendo.
Questa volta fui io a beccarla a fissarmi con una strana espressione.
Mi prese la mano, e continuò - la mano sinistra della donna tocca la spalla destra dell'uomo- vedendo che non accennavo a fare nessun movimento, sospirando divertita prese l'altra mia mano portandola sulla sua spalla.
Controllò per un attimo che tutti la stessero seguendo prima di aggiungere l'ultimo pericoloso dettaglio.
Eravamo a meno di cinque centimetri di distanza,  poi aggiunse l'ultima istruzione che mi fece letteralmente vacillare- entrambi si guardano diritto negli occhi.-
E lo fece, mi guardò dritta negli occhi per un lasso di tempo più lungo del necessario. Non accennava a smettere di fissarmi, mi portò ancora più vicina a lei senza mai distogliere lo sguardo dal mio.
Quei secondi mi sembrarono interminabili, tuttavia l'ultima cosa che desideravo era che quel momento avesse una fine.
Ma invece fini, si allontanò di qualche passo, mantenendo sempre la stessa posizione, ma non mi stava più fissando, i suoi occhi così profondi non erano più sul mio viso, si era rivolta con lo sguardo per studiare la posizione delle altre coppie, e quando tutto fu a posto, riprese a parlare.
Io, io continuavo a fissarla, appoggiata a lei, la mia mano nella sua, e i miei occhi che non volevano staccarsi dal suo viso.
Spiegò il passo base in coppia, dava il tempo, e sorrideva. Sorrideva sempre.
E dava ordini. Letteralmente. E io dovevo eseguirli, il che rendeva tutto ancora più complicato data la mia poca inclinazione ad obbedire.
- Nella salsa, l'uomo guida e la donna segue. Attraverso il corpo, l'uomo comunica alla donna i vari spostamenti.- Se voglio che la donna vada indietro, porto la mano che guida in basso e verso dietro. Per farla venire avanti, con l'altra mano sul suo fianco, la spingo verso di me-
 Eravamo in coppia e stavamo eseguendo il passo base, o almeno cercava di farmi eseguire il passo base.
-Mi devi seguire, l'uomo dà il comando alla dama, la donna esegue. Sono queste le regole qui- mi guardò negli occhi -io comando, tu esegui- mi accennò un sorriso. Di nuovo.
La guardai negli occhi, poi parlai - Non sono brava a farmi comandare, quasi nessuno ci riesce in effetti. Mi piace avere sempre il controllo della situazione.-
Il fatto era che con lei a pochi centimetri da me, non avevo per niente il controllo della situazione.
- Beh, per farti ballare, devo indicarti il movimento, sono io a doverti guidare. Non è difficile se esegui il comando-  mi sorrise bonariamente, a parte il fatto che quel sorriso divenne leggermente beffardo.  Ci prendeva gusto a rimarcare la cosa.
- Sai, la parola comando, non mi piace per niente.- Le risposi con viso un pò irritato, ma non più di tanto. - E poi, sai una cosa? Credo che il ballo non sia proprio fatto per una come me.-
Intanto la musica stava per finire, ci stavamo sciogliendo dalla posizione di coppia chiusa.
Ci eravamo allontanate di qualche passo.
- Lo dici solo perchè sei tu quella abituata a comandare nella vita giusto?- mi disse prima di allontanarsi e tornare al centro della sala.
- Non puoi dirlo, non mi conosci-
Mi guardò per un attimo negli occhi, senza però rispondermi. Ma con quello sguardo voleva farmi capire che non si sbagliava.
Ed era vero, ma comunque lei non poteva saperlo.
- Bene signori, la prima lezione termina qui. Ci rivedremo alla prossima.-
 Si congedò così, non mi rivolse più nessuno sguardo, si allontanò verso il banco, per spegnere tutto.
In un batter d'occhio mi ritrovai Teddy accanto con la sua solita aria allegra e soddisfatta.
- Non vedo l'ora di partecipare alla prossima lezione, è stato divertente- mi disse prendendomi sottobraccio e  incamminandoci verso l'uscita.
Mi lasciai lei alle spalle.
Alzai il mio sguardo per vederla attraverso lo specchio, e notai che anche lei mi stava guardando. Incrociai di nuovo i suoi occhi, per un'altro breve istante.
- Divertente? mi affrettai a rispondere a Teddy, una volta uscita dalla sala. -Si dà il caso che per me sia stata uno strazio, non sono riuscita a muovere un passo-
- Ma per fortuna sei capitata proprio con l'insegnante. A proposito, sembrerebbe proprio il tuo tipo.-
- Già, e questo rende le cose ancora più difficili. Non riesco a concentrarmi con lei così vicina. Mi fa perdere il controllo-
- Aspetta aspetta, Arizona Robbins che ammette di non saper gestire una situazione?- Ti sei presa proprio una bella cotta.- Sorrideva prendendomi in giro.
- Ma cosa dici, io non mi innamoro. Amare significa perdere il controllo. Evito le cose di cui non posso avere il pieno controllo di me stessa.-
Eravamo arrivate al parcheggio.
- E a proposito, non credo di venire alla prossima lezione, credo proprio che il ballo non faccia per me, e poi mi snerva il fatto che nemmeno qui posso controllare io la situazione. Farsi comandare non è proprio da me.- Le dissi prima di salire in macchina.
- E' solo un ballo Arizona, non è questo il vero problema. Lo sai tu e lo so io. Tu stai scappando perchè lei ti piace.-
E lei mi piaceva. Mi piaceva sul serio. E io dovevo scappare. Lo dovevo a me stessa.
Il fatto era che non avevo fatto altro che collezionare un casino dopo l'altro quella sera.
Il fatto era che sapevo che in amore non esistevano regole, e io fuggivo dalle situazioni nelle quali non potevo imporre le mie regole.
Il fatto era, che anche in quel dannatissimo ballo c'era tutto questo. E c'era lei lì, e io non avrei avuto via d'uscita.
 
Erano passate due settimane, non ero più ritornata alle sue lezioni. Ubbidivo alle mie regole.
Teddy, lei aveva continuato ad andare, ogni tanto mi parlava delle lezioni, era sempre più entusiasta.
Mi parlava del tizio del ballo con il quale si stava frequentando, mi parlava di come le serviva quella sera una volta a settimana per staccare, e poi, poi ogni tanto mi parlava di lei. Dell'insegnante, di quanto fosse brava e simpatica. Mi  aveva detto che si chiamava Callie, ma mai aveva accennato al fatto se avesse mai chiesto di me, ne io fui capace di chiederlo.
 
Era una sera di quasi fine Febbraio, ero in una delle vie più grandi di New York. Mi piaceva uscire a passeggiare quando nevicava,  adoravo guardare la neve ricoprire le strade. Mi fermai davanti alla vetrina di un negozio. Sentii qualcuno avvicinarsi.
- Ciao, ti ho vista da lontano, ero quasi sicura fossi tu. Così ho deciso di attraversare.-
Riuscì a farmi lo stesso effetto. Mi si bloccò il respiro. La sua bellezza mi aveva spiazzata ancora una volta.
Mi girai a guardarla, era ancora più bella di come la ricordassi.
Aveva i capelli sciolti, un berretto di lana in testa, e la sciarpa di quel colore che le donava perfettamente.
Era lì in piedi di fronte a me, sui suoi tacchi e le mani in tasca, e mi sorrideva.
E io, io pure ero li in piedi, ferma di fronte a lei, con la bocca socchiusa che cercavo di far uscire qualche suono di saluto.
- Ciao -  Riuscii alla fine a pronunciare. Ma il respiro, quello non accennava proprio a tornarmi.
- Non ti sei più fatta vedere a lezione.-
Mi prese alla sprovvista, improvvisai la prima giustificazione che mi venne in mente.
- Sono stata molto impegnata col lavoro, ci sono state delle circostanze che non mi hanno permesso di venire.-
Non era del tutto una scusa, rincuorai me stessa.
- Capisco. Di cosa ti occupi?-
Era gentile, e bella, molto molto bella.
- Sono un chirurgo.-
- Ecco da dove deriva il tuo bisogno di avere il controllo della situazione, allora- mi disse scherzando.
- Beh, si, in sala operatoria tendo ad avere questo difetto- buttai lì.
- Solo in sala operatoria? Io non direi proprio. Mi hai reso praticamente impossibile quella sera a lezione farti fare qualche passo.-
- Diciamo che non sono brava ad eseguire gli ordini.-
- Le imponi tu le regole di solito, non è vero?-
Riusciva a leggermi dentro.
La guardai confusa. Fu lei poi di nuovo a parlare.
- Scusa, me ne sto qui a psicanalizzarti e non ti ho chiesto ancora il tuo nome.-
- Arizona, mi chiamo Arizona.- le risposi accennando un sorriso.
- Io mi chiamo Callie,-  disse- nel caso te lo stessi chiedendo.- aggiunse abbassando la voce sorridendo.
- E Callie sta per..-
- Se ti rispondo, prometti di venire con me in un posto stasera? Stavo giusto andando li prima di incontrarti.-
- Dipende da qual è il posto. Sai, non dovrei fidarmi degli estranei- risposi scherzando.
- Se ti dico il mio vero nome, non sarò più un'estranea.-
- Touchè. A quanto pare devo proprio promettere allora.-
Mi sorrise divertita. -  Calliope, mi chiamo così-
Rimasi del tutto affascinata da quella donna, e dal suo nome.
Appena varcammo la porta, mi giunse in un istante alle orecchie la musica della salsa. La riconobbi subito, e realizzai in mezzo secondo dove mi trovavo.
- E' una serata latina- mi gridò nell'orecchio per coprire la musica,  notando l'espressione quasi terrorizzata sul mio viso. Ma lei aveva un'espressione divertita.
- L'ho notato- risposi, dirigendo il mio sguardo al centro della pista dove c'era qualche coppia che ballava. Poi voltandomi verso l'uscita le dissi - ed è meglio che io vada ora, non mi sento molto a mio agio qui.- gridai anch'io per farle giungere la mia voce.
- Ehi, ehi, non puoi andare, hai promesso- mi disse afferrandomi per le spalle e facendomi nuovamente voltare. Continuava a sorridere, senza minimamente mascherare la sua aria divertita.
- Non credo sia una buona idea, sai, dovrei proprio...- non finì la mia frase, mi prese per mano e mi trascinò in pista con lei.
- Shh.. sta zitta e balla.. Questo lo abbiamo fatto a lezione.- Era di fronte a me, molto molto vicina, con una mano nella mia, l'altra dietro la mia schiena.
- Non ricordo praticamente niente della lezione. Sono un disastro col ballo- gridai sbuffando.
- Non saresti un disastro se riuscissi a farti guidare da me. Ti porto io, basta copiare me.-
- Tanto ormai non ho scelta non è vero?-
Mi sorrise, e cominciò a ballare, trascinandomi con lei nei passi.
E io mi facevo trascinare, mentre sentivo che lei mi stringeva ad ogni passo sempre di più come se le appartenessi.
Mi piaceva quella sensazione che provavo, sentivo davvero di appartenerle, o speravo con tutta me stessa di poterle un giorno appartenere.
Ma avevo paura, avevo paura di amare, avevo paura dell'amore.
Perchè l'amore arriva, si insedia e dirige tutto, e io avevo una disperata paura di lasciarmi trasportare.
Ma lei era li, a pochi centimetri da me, che mi guardava, mi sorrideva, mi stringeva.
 E io, feci come mi aveva detto,  cercai di seguirla come meglio mi era possibile.
Finì la musica, ci staccammo e la seguii vicino al bancone del bar.
- Non sei stata un disastro.- mi comunicò sedendosi allo sgabello del bancone.- Almeno non come quella sera a lezione.- aggiunse poi.-
- Lo devo ammettere, non è stato esattamente un buon inizio. Ho combinato un casinò dietro l'altro quella sera.- continuai sedendomi anch'io allo sgabello.-
- Me lo ricordo perfettamente.- rispose ridendo e cominciando a bere il drink che intanto il barista le aveva messo vicino. - Tu non bevi?-
- Oh, no, per questa sera passo-
Rimanemmo li sedute per un pò, a guardare gli altri che ballavano, fino a quando un tipo, che non mi era affatto simpatico si avvicinò per invitarla a ballare.
Io rimasi seduta lì. Cominciò la musica, cominciarono a ballare.
Notai subito come quel tizio la stringeva a sè. Sentii una fitta di gelosia attraversarmi tutto lo stomaco. Ordinai il mio primo drink della serata. Ero dannatamente gelosa.
L'avevo guardata per tutto il tempo.
Ero arrivata all'ultimo sorso, mi raggiunse e riprese il suo posto.
- Non avevi detto che non ti andava di bere?-
- Cambiato idea- le risposi secca.
Mi guardò negli occhi. Poi aggiunse.
- Era una bachata, è uno dei balli più sensuali.- ci tenne a farmi sapere quasi con un tono di giustificazione.
Anche se non era tenuta a giustificarsi. Lo sapevo benissimo. Ma non riuscii ad evitare di dire la frase che pronunciai subito dopo con tono piuttosto acido.
-.E' per questo quindi che si balla stando praticamente appiccicati.- posai il bicchiere sul bancone con una forza maggiore del necessario.
Non la stavo guardando, ma percepii lo stesso il suo sguardo sul mio viso.
 Non avevo il diritto di comportarmi così. Cercai di rimediare almeno per quello che potevo. Ma non sembrava molto infastidita.
  Il resto della serata trascorse tranquilla. Con lei che  mi presentò a qualcuno dei suoi amici, con lei che fece qualche altro ballo con qualche suo vecchio amico, e con me che quando non ero impegnata a rifiutare di andare in pista, mi incantavo nel vederla ballare. E ogni volta mi sembrava impossibile realizzare quanto fosse estremamente bella.
- Sarà meglio che vada ora- le feci sapere - ho una giornata pesante domani a lavoro-
Si era messa in piedi pure lei, aveva deciso anche lei di andare via.
Si avvicinò un ragazzo sulla trentina, piazzandosi davanti a me.
- Ti va di ballare? è  da un pò che ti guardo. O forse, per essere sincero, dovrei dire  che non ho fatto altro che fissarti per quasi tutta la sera.-
Sentii Callie sospirare, avrei giurato che fosse infastidita.
- Veramente sto andando via.-
- Dai un solo ballo- rispose prendendomi per un braccio tirandomi a sè.
Non ebbi il tempo di replicare, lo fece Callie al mio posto.
- Non hai sentito?- il suo tono era fermo e leggermente infastidito. Sembrava quasi gelosa. - Sta andando via, e poi non è una ballerina, non sa ballare.-
La guardai sbalordita, nascondendo un sorriso per l'ultima frase che aveva pronunciato.
Il tizio sorrise tirandomi ancora di più verso di lui - Non importa, le posso insegnare io i passi.-
Infastidita dalla sua arroganza pronunciai quella frase che finalmente lo fece battere in ritirata.
- Forse, dovrei essere più chiara. Non mi interessano gli uomini, mi piacciono le donne.-
Gli lanciai uno dei miei migliori sorrisi e mi liberai dalla sua presa strattonando il braccio.
Uscimmo dal locale. Fuori nevicava ancora.
- Non lo pensavo davvero quando ho detto che non sai ballare.- mi disse un pò imbarazzata. - Non volevo che ti infastidisse ulteriormente, in fondo ti ho trascinata io qui. Gli hai dovuto persino dire che ti piacciono le donne per scrollartelo via di dosso.-
- Già, ma non era una scusa.- La guardai per un attimo negli occhi prima di continuare- Mi piacciono sul serio le donne.-
- Nel senso che...- aveva tirato un lungo respiro prima di pronunciare quella frase.
- Si, nel senso che sono attratta dal genere femminile- continuai per lei.
 - E comunque,hai ragione, sul fatto che non so ballare intendo.- mi affrettai ancora a continuare- E per rimediare, credo che dovrei venire da te a lezione. Non è ancora scaduta l'iscrizione- scherzai.
Mi rivolse uno dei sorrisi più belli che mi fossero mai stai rivolti.
E fu li che feci la mia scelta, fu li che scelsi lei. Stavo cominciando a non ubbidire più alle mie stesse regole.
Fu in quel momento che divenne la mia scommessa. La scommessa di riuscire ad amare, a perdere il controllo per amore.
Solo che io non me ne ero ancora resa conto.
Mi presentai con Teddy il giovedì successivo a lezione.
- Sei in perfetto orario, questa volta.- mi salutò sorridendomi. Poi salutò Teddy, che si era già diretta verso il suo cavaliere preferito.
- Già, vorrei evitare di fare un'altra pessima figura anche alla seconda lezione.- le risposi.
- Scegli un posto, fra poco cominciamo.-
Cominciò la lezione, mise la musica e cominciò ad indicarci i passi.
Non capitai in coppia con lei questa volta. Ma la guardavo ogni tanto. Non proprio ogni tanto, in realtà la guardavo quasi sempre. Non sarei mai riuscita a distogliere lo sguardo da lei per più di cinque minuti.
Ecco che continuavo inevitabilmente a perdere il controllo. Ma non lo diedi a vedere molto, in fondo, potevo attribuire i miei errori alla mia quasi totale incapacità di coordinazione, era una scusa piuttosto plausibile.
Finì la lezione, si avvicinò Teddy - Arizona, ti dispiace se torno con lui, stasera? So che ti avevo promesso che avremmo fatto una passeggiata ma..-
Le sorrisi con sguardo complice - Tranquilla, capisco che hai cose più importanti da fare.- la rassicurai strizzandole l'occhio.
Mi voltai con ancora quel sorriso sulle labbra. Mi bloccai all'istante quando la vidi a meno di qualche centimetro da me - Se mi aspetti, fra cinque minuti posso accompagnarti io a fare una passeggiata.-
La guardai annuendo semplicemente.
Cinque minuti dopo eravamo per strada.
- Calliope, guarda, ricomincia a nevicare.-
- Adoro quando nevica-  mi disse guardandosi intorno.
- Anch'io- rimarcai guardando nella sua direzione. - Quando nevica, è come se tutta la città diventasse..-
-Magica- pronunciammo insieme l'ultima parola. Si girò a guardarmi negli occhi, ricambiai il suo sorriso.
 Passeggiammo ancora per un pò, solo noi due, con la neve che scendeva leggera intorno a noi.
Mi sembrava davvero una serata magica.
Parlammo del mio lavoro, delle sue passioni. Ma era nei momenti di silenzio, che percepivo quegli istanti di assoluta magia, istanti in cui ci scoprivamo insieme a fissarci, istanti in cui ci sorridevamo, istanti in cui guardavamo insieme nella stessa direzione.
Arrivammo al portone del mio appartamento in cui vivevo insieme a Teddy, ma realizzai subito che non avevo con me le chiavi.
- Perfetto, non ho le chiavi- sbuffai al terzo tentativo che avevo fatto nel cercarle in borsa.- Chiamo subito Teddy per farmi portare le sue.-
- Oppure potresti venire da me, il mio appartamento è a quasi due isolati da qui.-
Poi continuò vedendo che non accennavo a rispondere -Sai, è solo che non mi sembra molto saggio disturbare Teddy, ora.-
Mi fece un sorriso eloquente, accettai la sua proposta.
Sapevo molto poco di lei, lei sapeva molto poco di me. Ma mi piaceva, mi aveva presa completamente, come mai mi era successo, come mai avrei creduto che mi potesse succedere.
Ma era successo, mi stavo innamorando di lei, ed era qualcosa di assolutamente intenso.
- Carino il tuo appartamento.- esclamai appena fummo entrate.
- Vieni, andiamo in cucina, preparo una cioccolata calda, ti va?
La guardavo dentro la sua cucina, mi perdevo dietro ogni suo movimento.
Spesso quando mi voltavo nella sua direzione per fare una qualsiasi constatazione sul suo arredamento, notavo che già mi stava fissando dall'altra parte della stanza, poi, prontamente, distoglieva lo sguardo da me e ritornava a fare le sue cose.
- Sono quasi le due di notte- esclamai ad un certo punto.- Da quando le ore scorrono così veloci?-
Non ci eravamo accorte del tempo che passava.
- Succede così ,quando si è in buona compagnia. Non ci si accorge del tempo che passa-
- Ora sarà meglio che vada, Teddy sarà sicuramente rientrata.-
- Puoi fermarti a dormire qui se vuoi.- mi disse quasi esitante.
E sapevo che scegliere di rimanere sarebbe stata una scelta pericolosa. E forse avrei potuto scegliere di andare via, ma non lo feci. Scelsi di rimanere. Scelsi lei, ma questo ancora non lo avevo nemmeno capito io stessa.
Non avevo nemmeno capito io stessa che contro ogni mia regola, stavo scegliendo lei, le stavo dando un posto nella mia vita. La mia vita in cui non c'era posto per l'amore, la mia vita che era perfetta così, senza complicazioni.
Mi aveva preparato la stanza, la sua stanza. Lei sarebbe andata a dormire sul divano.
Rimasi ferma a guardarla mentre mi sistemava il suo letto, poi la vidi avvicinare alla porta.
Si girò a guardarmi prima di uscire - Buonanotte Arizona-  esclamò sorridendomi.
Non le lasciai varcare la soglia, la presi per il braccio e la tirai verso di me.
La guardai negli occhi prima di annullare la distanza che ancora era rimasta e la baciai.
- Buonanotte, Calliope- le risposi appena mi staccai.
Mi sorrise, riprese a baciarmi e senza dire niente prendendomi per i fianchi mi portò verso il letto sdraiandosi su di me.
Passammo la notte a fare l'amore.
Ma nella mia vita, non c'era spazio per le complicazioni, me ne andai la mattina successiva, senza svegliarla.
Non sarei riuscita a lasciarla se si fosse svegliata.
Le lanciai un ultimo sguardo prima di uscire, era ancora più bella quando dormiva.
Lottai con tutte le mie forze per riuscire a staccare i miei occhi da quella meravigliosa immagine, alla fine presi coraggio e scappai via.
E continuai a scappare da lei. Andai alla lezione successiva, ma feci del mio meglio per evitarla, scelsi un posto il più lontano dal suo, feci in modo di non capitare con lei in coppia, cercai di guardarla il meno possibile.
Ma lei era più furba di me, lo aveva capito, e si mise a fare il suo gioco.
- Bene, ora signori prendete le vostre dame, balleremo in cerchio, faremo quella che in salsa si chiama rueda.  Chiamerò le figure che abbiamo imparato, e al mio ordine cambiate dama. Vedo che le donne sono in maggioranza, farò anch'io uno dei cavalieri-
Capii perfettamente il suo gioco. 
Cominciò a chiamare le figure, mi ritrovai a ballare con tutti gli uomini del corso e con lei.
- "Dame"-  chiamò non appena fui nelle sue vicinanze.
- Ho capito quello che stai facendo.- esclamai cercando di non perdere i passi.- E' una strategia per costringermi a parlarti.-
- Esatto, e dato che tu non vuoi darmi l'occasione, me la sto prendendo da sola.-
- Dovresti chiamare la figura, sono dieci minuti che ci fai fare il passo base.-
- Le regole le dò io qui.-
Mi sorrise in maniera provocatoria, poi chiamò la figura- "Carinito"- mi guidò nei passi, per farmi fare la figura e intanto ne approfittò per parlarmi - sei letteralmente fuggita via quella mattina, senza lasciarmi nemmeno un biglietto, e ora mi stai evitando.-
Intanto avevamo concluso la figura - Dovresti chiamare il cambio dame, la figura l'abbiamo completata.-
- Tranquilla, ti lascio il tempo per rispondermi. "Setenta"- chiamò la seconda figura.
- Non è corretto nei confronti degli altri, è già la seconda che chiami con me. E' una ruota come hai spiegato prima tu, proprio perchè dobbiamo girare.-
Parlavamo e nel frattempo ballavamo, eseguivamo le figure.
Mi guardò spazientita prima di chiamare il cambio dame.
Passai al cavaliere successivo.
-" Dame dos. Dame tres. Dame."-
In mezzo giro arrivai di nuovo da lei.
- Stai giocando sporco. Non hai chiamato nessuna figura, solo il cambio dame.-
- Anche tu stai giocando sporco, ti ho fatto delle domande, voglio delle risposte. "Setenta lazo"-
- Non riesco a concentrarmi sui passi se parlo.-
- Ti guido io, e stai già eseguendo la figura. Stai scappando perchè hai paura. Di cosa hai paura, Arizona?-
- Non ho paura e non sto scappando. Dovevo correre a lavoro-.
- "Carinito complicato"-
- Smettila di chiamare sempre le figure più lunghe quando balli con me. Ti ho già risposto.-
Cominciavo ad avere il fiato corto. Era stata davvero furba, aveva scelto la musica di salsa più lunga.
- No, non mi hai risposto per niente invece.-
- Perchè non c'è niente da rispondere. Siamo state a letto, e la mattina dopo sono andata via senza salutarti. E' semplice.-
- "Dame"-
Non avrei dimenticato lo sguardo deluso che mi rivolse prima di lasciarmi andare.
Finì la musica, finì la lezione. Scappai via inventando una scusa a Teddy.
Nella settimana successiva ponderai a lungo la decisione se continuare o meno con le lezioni. Alla fine decisi di andare, non mi era mai piaciuto lasciare a metà le cose che cominciavo e in ogni nuova cosa in cui mi cimentavo mi piaceva riuscire, il ballo era una cosa nuova, una nuova sfida, e non mi ero mai tirata indietro nelle sfide.
O forse era solo una scusa, una scusa per continuare a vedere lei.
Il fatto era che puntualmente ci evitavamo lezione dopo lezione, lei era l'insegnante di ballo, io semplicemente l'allieva.
Era lei ora a fare di tutto per evitarmi, in realtà, ad evitare di ballare in coppia con me, ad evitare di incrociare il mio sguardo.
Ma le cose non erano così semplici. L'aria diventava elettrica quando capitavamo vicine, quasi ostile.
Quando non potevamo evitarci, non facevamo altro che provocarci a vicenda.
Per me quei litigi quasi continui non erano altro che un pretesto per poterle almeno parlare. Cercavo un qualsiasi contatto con lei.
Volevo evitarla ma non ci riuscivo. Ma non volevo complicazioni nella mia vita. Era questa la frase che costantemente avevo ferma ben salda nella mia testa. Non volevo complicazioni, ma non riuscivo ad evitare di volere lei. Il guaio era che lei mi stava già cambiando la vita, in un istante aveva buttato giù tutte le mie convinzioni. Il guaio era, che le lei era la mia complicazione e io volevo lei.
-  Sei più gelida della neve che cade lì fuori.- Esclamai quando capitammo in coppia, dopo l'ennesimo sguardo vuoto che mi aveva lanciato quella sera a lezione.
- Con l'unica differenza che prima o poi la neve si scioglie- rispose con tono ancora più gelido.
- Ma ha bisogno del sole o del sale per potersi sciogliere.- rimarcai.
- Ma tu non sei nè l'uno ne l'altro, giusto? Quindi continuerò ad essere glaciale.-
La situazione non cambiò nelle lezioni successive.
Il dialogo tra di noi era ridotto al minimo indispensabile.
La mia vita stava continuando, ma non era stata mai così vuota, come in quel periodo.
Era riuscita a riempirla solo in un istante, e ora c'era solo la sua assenza a provocami un vuoto completo.
 E la sua vita stava continuano anche senza di me.
Era il compleanno di Teddy quella sera, mi portò in un locale in cui organizzavano le serate di salsa.
Decisi di correre il rischio di incontrare Callie, non sarei riuscita a  rifiutare di andare al compleanno della mia migliore amica.
E infatti, lei era lì, seduta ad un tavolo con degli amici, e una ragazza che le stava particolarmente molto vicina.
Lanciavo delle occhiate intermittenti verso di lei, e non riuscii ad evitare di accorgermi degli sguardi che si scambiavano, dei sorrisi, della troppa confidenza che l'altra riusciva a prendersi.
Ed io me ne stavo li, e mi facevo divorare dalla gelosia.
- Smettila di fissarla, Arizona.-
- Non ci riesco. Non riesco a non guardarla.-
- Hai deciso tu di lasciarla andare, è la sua vita, sta semplicemente andando avanti.-
- Già, sono io quella che da quando l'ha conosciuta non riesce più ad andare avanti.-
- Ehi, se la smettessi di fissarla e soprattutto di bere, ti accorgeresti che c'è una ragazza che non ti sta togliendo gli occhi di dosso da quando siamo entrate.-
-  Forse hai ragione. Forse dovrei ricominciare ad instaurare relazioni non complicate che non durino più di 24 ore-
La verità era che non avevo nessuna intenzione di uscire con qualcun'altro che non fosse lei.
La verità era che da quando avevo conosciuto Callie, non avevo più avuto nessun altro appuntamento.
La verità era che lei stava andando avanti con la sua vita senza di me.
La vidi in pista a ballare con quella ragazza.
Mi vide mentre faceva uno dei suoi balli, incrociò lo sguardo col mio accennando un freddo saluto.
Io ricambiai, distogliendo subito lo sguardo.
Decisi di uscire fuori, lasciai Teddy in compagnia di Mark del suo cavaliere preferito.
Sarei rimasta ore a guardare la neve scendere, mi affascinava tutte le volte.
Sentii la porta del locale aprirsi e poi chiudersi subito dopo.
- Ciao-
Mi girai riconoscendo subito la sua voce.
Non mi diete il tempo per rispondere, feci appena in tempo a voltarmi verso di lei che iniziò a parlare.
- Sai, mi sono innamorata di te all'istante, quando sei piombata improvvisamente in sala con la tua risata, disturbando la lezione. Ma era la risata più bella che avessi mai sentito. Poi, poi ti ho vista, e mi sono bloccata a guardarti, , avevo davanti a me la donna più  incantevole che avessi mai visto. Cavolo, eri stupenda te ne stavi li ferma a non ascoltare quello che dicevo, ma mi fissavi con quegli occhi così splendidi nei quali mi sono persa completamente.
E   continuavi a fissarmi, anche attraverso lo specchio, poi sei capitata in coppia con me. Con me che non avevo fatto altro che desiderare di stringerti per tutta la sera.
Poi sei sparita, ma io mi ero già innamorata, ho continuato ad amarti, e ti ho incontrata per caso quella sera e non volevo lasciarti andare e tu hai accettato di venire con me.-
Infilava una frase dietro l'altra, rideva e piangeva, ero lì di fronte a lei ad ascoltarla, con gli occhi sgranati e non riuscivo a dire niente, e lei, lei continuava a parlare, e io non facevo altro che realizzare quanto fosse bella in quel momento.
Si fermò un attimo per riprendere fiato, poi continuò.
- E abbiamo ballato e io ti stringevo a me, e poi si è avvicinato quel tizio che non voleva lasciarti andare e io sono stata stramaledettamente gelosa, perchè sentivo già che eri solo mia.-
- Calliope..- cercai di interromperla, di dire qualcosa anche se quello che stava dicendo mi stava letteralmente lasciando senza fiato. Ma di nuovo, non me ne diede il tempo.
- Eri mia, sei stata mia la notte in cui sei stata da me, e ti sentivo, ti sentivo perchè eri lì col cuore, eri lì con me. Ma poi sei andata via, di nuovo sei scappata, e stai continuando a farlo, Arizona, stai scappando da me, da quello che potrebbe nascere tra noi.-
- Calliope, non...-
- Non puoi negarlo, Arizona. Non puoi negare  quello che c'è tra noi, solo perchè hai semplicemente paura di amare. -
- Sempilcemente?- Gridai più forte di lei.-  Mi hai incasinata Calliope, da quando ti ho incontrata, mi hai incasinato la vita.- Ero quasi sull'orlo del pianto. - Hai buttato giù tutte le mie certezze, le regole che mi ero imposta, da sola, per non inciampare, per non amare. Ma sei arrivata, all'improvviso nella mia vita e..- Mi fermai a guardarla prima di continuare, lei era di fronte a me ferma, a fissarmi. - E, io ho delle regole, Calliope-
Avevo abbassato gli occhi, non mi accorsi che si era avvicinata a me, fino a quando non prese il mio viso tra le sue mani spingendomi a guardarla.
- E io ti amo Arizona, io ti amo. E sono qui ora, a chiederti se abbandoneresti, se cambieresti tutte le tue regole per me. Sei disposta a lasciarti andare per me, Arizona?-
Aveva le lacrime agli occhi, ma non accennava a lasciar andare la presa su di me, mi guardava, tenendo il mio viso tra le mani. Provai un'immensa voglia di piangere. Non si trattava solo di una domanda. Era una scelta, mi stava chiedendo di  scegliere lei.
Non le risposi subito, mi allontanai di qualche passo da lei, ritornai a guardare la neve, sentii le lacrime venirmi  agli occhi, e mi resi conto che c'era solo una risposta che potevo darle. Mi aveva già cambiata, aveva già cambiato la mia vita, l'avevo scelta  già dal primo istante in cui i miei occhi si erano posati su di lei.
Spostai il mio sguardo su di lei e mi avvicinai prendendole le mani. Non aveva smesso di guardarmi.
- Lo farei Calliope, io, io ho già scelto te.-
Mi avvicinai ancora di qualche passo per poterla finalmente baciare.
La strinsi a me più forte che potevo, mi sembrò per un attimo che tutto il mondo si fosse fermato, mentre noi eravamo lì, perse una tra le braccia dell'altra, tra la bellezza dei fiocchi di neve e la magia dei cristalli di ghiaccio.
 

Ringrazio chi ha "speso" un pò del suo tempo per leggere la mia storia, e chi di voi ha letto e recensito.

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