Sei dove dovrei essere

di Ca7
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


William Shakespeare scrisse: “I matrimoni affrettati raramente fanno buona riuscita.”

 

Prologo

 

Il brunch domenicale della famiglia Jones, era una specie di tradizione che si tramandava di generazione in generazione e sempre rispettata da ogni membro. Un nodo che legava ogni famiglia. Spesso, però, una tradizione può diventare la maschera che mantiene le apparenze, specialmente se si porta il peso di un cognome importante. E se i tuoi genitori possiedono una casa estiva negli Hamptons, quel rituale nasconde agli occhi indiscreti e curiosi le crepe all’interno delle mura domestiche. Mettendo, quasi a tacere, le voci di un possibile crollo finanziario della compagnia di tuo padre. Ma si sa, tutte le famiglie colpite da una tempesta, prima o poi, crollano.

<< Potrei anche sterzare e tornare indietro …>>, disse Madison al volante.
<< E sfidare l’ira di Delia Jones? >>, rispose Jennifer seduta a lato, << Sai bene quanto sia importante per mia madre.>>
<< Lo so! Chissà magari una volta sposate, la scusa dell’avere una tradizione tutta nostra, potrebbe andar bene.>>
<< Ti piacerebbe. Penso che mia madre sarebbe capace addirittura di rapirci, tenerci in ostaggio e con sguardo inquisitore ripeterci: “è il brunch di famiglia! Non ve ne andrete mai da qui.”>>, risero entrambe.
<< Senti, Madison.>>, Jennifer assunse un tono serio, << A proposito di famiglia … forse dovremmo rimandare il matrimonio di qualche settima.>>
<< Perché? >>
<< Beh, perché entrambe siamo impegnate con il lavoro da non avere tempo materiale da dedicargli.>>
<< Non eravamo d’accordo sul fatto che avrebbe pensato a tutto tua madre? >>
<< Ecco, è questo il punto. Vorrei che fossimo noi ad occuparcene, invece. Insomma, è il nostro matrimonio e dovremmo decidere insieme come volerlo.>>
<< Secondo me, Delia saprà gestire la cosa nel migliore dei modi. Ha una lunga carriera alle spalle, d’altronde.>>
<< Si, ma …>>
<< Dai, tesoro non fare i capricci. Di sicuro se lo rimandassimo salterebbe fuori qualche contrattempo. E poi, ti ricordo che tua madre è la Wedding Planner più brillante e ricercata. Praticamente organizzare matrimoni per lei è come una religione. E si è anche offerta spontaneamente.>>, Madison accennò un sorriso, sperando di averla convinta.
L’auto sulla quale viaggiavano si fermò davanti al cancello automatico di casa Jones. Madison attese che si aprisse, per poi guidare la macchina fino al parcheggio. Le due donne scesero e s'incamminarono verso la porta d’ingresso. Subito dopo aver suonato il campanello, la porta si aprì e ad accoglierle in casa fu proprio la signora Delia Jones.
<< Jenny. Madison. Finalmente! >>
<< Ciao Delia.>>, Madison la salutò con un classico bacio sulla guancia.
<< Ciao mamma.>>, anche Jennifer fece altrettanto.
<< Come mai questo ritardo? Aspettavamo solo voi due.>>
<< Scusaci. Avevo una conferenza online con un probabile investitore e non potevo disdirla.>>, rispose Madison.
<< Dovresti concederti un po’ di tregua.>>
Parlavano camminando verso la sala da pranzo.
<< La parola “riposo” è bandita dal suo vocabolario.>>, puntualizzò Jennifer.
<< Gestire una rivista di moda non è per niente una passeggiata, tesoro.>>
<< Sì, certo. Stakanovista.>>
Appena arrivate di fronte l’ingresso della sala da pranzo, Delia prese la figlia per un braccio.
<< Jennifer, dovrei parlarti un attimo. Va’ pure Madison. Vi raggiungiamo subito.>>, sfoderò il suo solito sorriso di circostanza per un breve secondo, dopodiché trascinò Jennifer in cucina. Prima di iniziare la discussione, fece cenno ai domestici di uscire.
<< Dimmi che il mal di pancia di questi giorni ti è passato e che non hai più alcun ripensamento riguardo al matrimonio.>>
<< Mamma, non mi sembra corretto paragonare le mie perplessità a uno stupido “mal di pancia”. I miei dubbi sono reali e non so se me la sento di …>>
<< No, no signorina. Stammi bene a sentire: tuo padre rischia di perdere la sua società, di perdere tutto, hai capito? Byron Williams gli ha proposto di diventare soci e si impegnerà a sistemare tutto il casino creato da quell’insolente di George Murphy.>>
<< E cosa c’entra il mio matrimonio con questo?>>
<< C’entra eccome Jennifer.  Ci sono delle clausole nel contratto che tuo padre si ostina a non accettare. Quindi, tu sposerai Madison, così Byron sarà più elastico verso di lui, diventeranno soci e la nostra famiglia sarà salva.>>, la inchiodò con lo sguardo, << E poi Madison ti ama, tu la ami. Niente più ma. Chiaro? >>, concluse facendole capire di non aver diritto di replica.
In quel momento la porta della cucina si aprì ed entro Brody Jones, rispettivamente figlio e fratello delle due donne.
<< Oh, eccovi qui. Di là iniziamo ad avere tutti fame.>>
<< Veniamo subito. Io e tua sorella abbiamo finito.>>, lanciò un’occhiata a Jennifer, sorrise al figlio ed uscì dalla cucina.
<< Non ti ho ancora fatto i miei complimenti, sorellina. Non credevo che saresti riuscita ad incastrare una del calibro di Madison Williams.>>, tentò di provocarla, << Ricca, decisamente sexy. Fossi stata una donna lesbica avrei fatto un tentativo per scoparmela.>>, sorrise compiaciuto.
<< Oddio! Sei così pateticamente disgustoso. Ancora mi stupisce come abbia fatto Caroline a sposare un’idiota come te.>>

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Jennifer il matrimonio l’aveva sempre sognato. Fin da quando le fu regalato il libro di “Cinderella”, all’età di 11 anni. E come la maggior parte delle ragazzine fu rapita dal romanticismo, la magia e l’incanto di quella fiaba. Da allora aveva sempre fantasticato su come sarebbe stato vivere quel momento, anche dopo essersi resa conto di essere gay, non aveva smesso di immaginarsi nel suo abito da sposa al fianco della donna che avrebbe amato. Per un solo giorno si sarebbe sentita una speciale e non una donna qualunque.
Adesso però, ad un passo dal vivere la sua favola, questa sembrava proprio non essere tale, piuttosto l’inizio di un incubo.
Non sempre spetta ai genitori doversi sacrificare per i figli: a volte capita che siano i figli a dover compiere dei sacrifici per il bene della famiglia.
<< Andrà tutto bene.>>, ripeteva a se stessa, mentre Caroline, la cognata, le ripassava il trucco. << Una volta sposate, i problemi con Madison spariranno.>>, sospirò.
Lo diceva nella sua mente per tranquillizzarsi, per placare quell'inquietudine che non le dava tregua da due giorni e zittire quella strana e irritante vocina che le sussurrava di aprire gli occhi e fermarsi finché era ancora in tempo. D’altro canto, nessuno le stava puntando una pistola alla testa: una frase del tipo “mi dispiace, ma non posso” e sarebbe finita lì.
Il matrimonio con annessa cerimonia si svolgeva nella tenuta dei Williams. Jennifer e Caroline si trovavano in una delle dependance riservate per gli ospiti. La porta dell'abitazione si aprì e Delia Jones entrò sprigionando tutta l'emozione e l'orgoglio che solo una madre sa provare verso una figlia che sta per sposarsi. In lei, però, queste sensazioni erano raddoppiate, dato che da quest’unione ci avrebbe ricavato un terno all'otto.
<< Allora, è arrivata?>>, domandò Jennifer.
<< No, tesoro.>>
<< Dannazione! Dove cavolo è?>>, sbuffò nervosamente.
<< Jenny, non dovresti agitarti così.>>, la donna si avvicinò a lei e sistemò il corpetto dell’abito, << Se non arriva in tempo c’è sempre Caroline che può sostituirla.>>, disse con il suo solito modo pacato.
<< Nessuno sostituirà nessuno. Micky è la mia damigella e deve esserci.>>, puntualizzò Jennifer.
<< Magari ha bucato una gomma e non può rispondere. Provo a chiamarla di nuovo.>>, intervenne Caroline guardando la ragazza. Sperava vivamente che l’eccessivo ritardo di Micky fosse a causa di un qualche imprevisto, piuttosto che a una sua scelta. Dubbio che si era insinuato nella sua testa da qualche minuto.


La giacca del tailleur nero gessato stava ancora lì, sopra il letto della sua camera. Micky doveva solo prenderla, indossarla e nolente o volente recarsi al matrimonio della sua migliore amica. Con le mani poggiate sopra i bordi del lavandino fissava il suo volto riflesso nello specchio del bagno, chiedendosi seriamente se per una volta poteva comportarsi da perfetta egoista stronza e non presentarsi. Deludere J.J., - come lei la chiamava - per non soffrire o evitare di ferirla continuando a soffrire silenziosamente? Se non fosse per quel piccolo grande dettaglio cui non poteva fare a meno di pensare, tale domanda non se la sarebbe neanche posta. Valeva la pena correre questo rischio? Si chiese ancora. La risposta la conosceva già: no. Così, prese un tocco di gel dal barattolo e lo passò tra i capelli biondi, poi li raccolse e li legò in una coda ben salda. Uscì dal bagno, andò verso il letto e notò che il cellulare vibrava e il display lampeggiava: rispose.
<< Dove cazzo sei? Dove cazzo sei Micky?>>, la voce alterata di Caroline usciva dall'apparecchio, << E’ la decima volta che ti chiamo. Jennifer è nel panico più assoluto perché tu ancora non ci sei. Non farle questo Micky, ti prego, è il suo matrimonio. Sbrigati!>>
<< Sto arrivando.>>, rispose Micky senza scomporsi più di tanto e terminò la telefonata. S’infilò la giacca e uscì dall'appartamento.
Micky aveva imparato da qualche tempo a reprimere l’enorme amore che provava per J.J., solo per continuare a starle accanto. Si era rassegnata al ruolo di amica nonostante le costasse una fatica immensa, ma era l’unico modo per averla nella sua vita.

<< Allora?>>, domandò Jennifer a Caroline.
<< Tranquilla, sta arrivando.>>, le rispose sorridendo.
<< Grazie al cielo!>>, disse la signora Jones, << Irrispettosa, comunque, con questo ritardo. Mi auguro non si presenti accompagnata proprio all'ultimo momento. I posti sono tutti assegnati.>>, mormorò stizzita.
<< No, mamma. Verrà da sola.>>, disse Jennifer roteando gli occhi.
<< Delia, forse è il caso di andare a rassicurare gli invitati e soprattutto Madison.>>, intervenne Caroline.
<< Hai ragione cara.>>
Caroline aspettò che fosse la donna a uscire per prima e avere così qualche secondo a disposizione per parlare con la cognata.
<< Okay, Jenny, sto per farti una domanda che vorrei tanto evitare, ma devo. E rispondimi sinceramente: sei sicura?>>, la guardò dritto negli occhi.
<< Certo che sì Caroline. Come ti viene in mente?>>
Caroline fece un’espressione piuttosto eloquente.
<< Senti, sto per sposarmi e voglio che la mia migliore amica sia accanto a me, tutto qui.>>
<< Bene! Allora, vado.>>, si avvicinò per abbracciarla, << Oddio! Sono già emozionata.>>
<< No, non piangere adesso altrimenti mi farai sciogliere il trucco.>>
<< Okay, sparisco.>>, le mandò un bacio con la mano e uscì.
Cinque minuti dopo bussarono nuovamente alla porta. Micky entrò nella dependance e in quell'istante tutta la tensione che Jennifer aveva accumulato si sciolse come neve sotto i caldi raggi del sole. Per Micky fu diverso: fu colpita da quella misteriosa bellezza che circonda una donna in abito da sposa. Jennifer era indubbiamente una che rispecchiava i canoni della tipica ragazza dai capelli biondi - lunghi con tanto di frangetta - con occhi azzurri e cristallini come l’oceano, e dai lineamenti delicati. Ma oggi vi era in lei una luce particolare che le mozzò il fiato. Se ne stava immobile a guardarla come se fosse la donna più bella mai vista prima.
<< Ce ne hai messo di tempo.>>, Jennifer parlò per prima.
<< Scusa, ho trovato traffico lungo la strada.>>, disse Micky schiarendosi la voce.
<< Avrei rinviato la cerimonia.>>
Micky mise le mani dentro le tasche del pantalone e avanzò a piccoli passi verso J.J.
<< Saresti passata alla storia come la sposa che annulla il matrimonio per via dell’assenza della damigella. Una roba mai sentita.>>, la bocca si curvò leggermente in un sorriso.
<< Io la metterei più per l’assenza di una delle persone più importanti per la sposa.>>
<< D’accordo, ma non avresti comunque evitato la ramanzina dei tuoi genitori. Soprattutto di tua madre. Riesco ad immaginare la sua reazione: “figlia ingrata. Hai disonorato la famiglia.”>>, le sue origini siciliane le permettevano di poter dare il giusto accento alle sue parole.
Jennifer rise di gusto.
<< Comunque, sei davvero splendida.>>
<< Grazie!>>
<< E’ come se fossi nata per indossare l’abito da sposa.>>
<< Lo dici solo perché l’ho creato io.>>
<< No, dico sul serio. E’ quello che percepiscono i miei occhi.>>, e quegli stessi occhi inchiodarono quelli di J.J. Istintivamente Micky corrugò la fronte, come se qualche spiacevole pensiero stesse cavalcando la sua mente; ed era così. Indietreggiò di qualche passo, scosse il capo e tornò a guardare l’amica. << Io oggi ti perdo.>>, sentiva le parole strozzarsi in gola, << L’ho realizzato mentre ero in macchina. Nel momento in cui diventerai la moglie di Madison, lei in un certo senso occuperà il mio posto … è un dato di fatto. Lei diventerà la persona alla quale confiderai tutto. Lei sarà la spalla sulla quale poggerai quando ne avrai più bisogno. Condividerai a pieno la tua vita con lei. Io sarò solo una figura sbiadita, un’ombra, presente, ma pur sempre un’ombra. Io oggi ti perdo J.J. e mi fa male.>>, le rimase un solo filo di voce, gli occhi lucidi.
In momenti come questo malediva il suo essere emotivo che le faceva vivere le emozioni a 360° e che non riusciva a gestire.
Jennifer rimase inerme di fronte a lei e alle sue parole, provando un disagio inaspettato che non riusciva a comprendere o forse non voleva comprendere. Preferiva cullarsi nell'idea che Micky si sbagliava e che il suo matrimonio non avrebbe mutato di una sola virgola la loro amicizia, invece che dar retta a quella vocina che le diceva: “Micky ha ragione! Ma il tuo matrimonio è solo la goccia che farà traboccare il vaso. Il vostro legame è già cambiato.”. Il silenzio che inondava la stanza, iniziò a farsi pesante, più di quanto non lo fosse già la situazione in sé.
<< Bene! Ci siamo. Vado a occupare il mio posto.>>, riprese a parlare Micky che guardò ancora un attimo negli occhi J.J. per poi dirigersi verso la porta.

Sia Madison sia Jennifer, avevano espresso la volontà di avere una cerimonia intima, fatta della presenza degli amici più cari e i familiari più stretti. Ma entrambe le loro madri, scelsero un matrimonio più “corposo”. E alla fine gli invitati arrivarono intorno alle 100 persone. Ogni cosa era stata organizzata impeccabilmente e minuziosamente da Delia Jones. Dalla disposizione dei tavoli, alla scelta delle decorazioni floreali, dal menù alla musica. Lo faceva di mestiere, l’aveva fatto due anni prima per le nozze del figlio Brody con Caroline e non poteva essere da meno con il matrimonio che le avrebbe garantito la parentela con i Williams. E fu Byron, il padre di Madison, a ufficiare le nozze. Quando tutto diventò reale - letteralmente - ogni invitato occupò posto al proprio tavolo per mangiare e brindare.
Micky si assentò giusto due minuti per tornare a respirare a pieni polmoni. Una piccola fuga in bagno le servì per ricomporsi. Dopodiché tornò fuori in giardino, diede un’occhiata in giro e raggiunse il tavolo dove c’erano sua madre Angela con Greg - il suo compagno - Quinn, Milo e Dustin.
<< Oh, ecco la ritardataria.>>, disse Quinn appena la vide.
<< Ciao a tutti!>>
<< Però, quanta gente! Mi aspettavo meno persone … e anche Jennifer, credo.>>, osservò sorpreso Dustin.
<< Beh, la maggior parte sono tutti clienti e conoscenti del signor Theodore e del signor Williams.>>
<< Comunque, Jennifer è davvero favolosa!>>, continuò il ragazzo.
<< Già!>>
<< Tutto bene Micky?>>, le chiese la madre.
<< Sì, mamma. Tranquilla.>>, le strizzò l’occhio.
<< La tua faccia dice tutt'altro.>>, costatò Quinn.
<< Sentite, oggi è il giorno di J.J., quindi cerchiamo di goderci la giornata ed essere felici per lei. Okay?>>
Annuirono senza contraddirla.
<< Allora, su cosa avete scommesso questa volta?>>
<< Scommesso? Noi? Cosa?>>, disse Milo cercando di essere indifferente.
<< Abbiamo evitato. Volevamo scommettere sul “verrà o no, Micky al matrimonio?”, ma conoscendoti avremmo puntato tutti sul “sì”, quindi ….>>, disse Quinn facendo spallucce.
<< Oh, sono davvero commossa per la vostra sensibilità.>>, disse ironica.

Nonostante il passare delle ore, Jennifer si sentiva ancora frastornata. Di tanto in tanto, tra i sorrisi e le congratulazioni degli invitati, guardava la fede al dito come prova tangibile di quanto era avvenuto qualche ora prima. Oltre l’entusiasmo c’era ancora quella parte di sé che si sentiva a disagio, ancor di più durante il discorso da parte di Micky.
<< Non so a quanti di voi sia capitato di incontrare una persona e sentire sin da subito una certa sintonia. Beh, a me è accaduto con Jennifer. Quando l’ho conosciuta, ho come avuto la sensazione che avremmo legato facilmente, non so spiegarvelo bene. La nostra amicizia è cresciuta con il passare del tempo, è diventata un’amicizia importante, ma la cosa che mi ha stupito è stata quella di realizzare quanto lei fosse diventata una presenza fondamentale nella mia vita. E quando tieni tanto a una persona, speri che abbia solo il meglio. Jennifer è una donna straordinaria... quindi amala, proteggila e falla sentire speciale ogni giorno, Madison.>>, con il gesto simbolico, sollevò il bicchiere di champagne per brindare alle due spose.
Un disagio che aumentò quando quest’ultima la invitò a ballare e si ritrovò a faccia a faccia.
<< Grazie per quello che hai detto.>>
<< Figurati!>>
Rimasero in silenzio per un po’.
<< Ti prego Micky non guardarmi così.>>
<< Così come?>>
<< Come se mi stessi amando.>>, riuscì a proferire Jennifer sottovoce.
<< Non so in che altro modo guardarti J.J.>>
Imbarazzata, Jennifer nascose il suo volto tra la spalla e il collo dell’amica, chiuse gli occhi e forse per il modo in cui Micky la abbracciava, per il contatto delle sue mani con la propria pelle... si sentì più leggera.
Poi la musica finì, riaprì gli occhi e tornò alla realtà distaccandosi da lei.
Qualche ora più tardi, i festeggiamenti terminarono e man mano andarono via tutti. Rimasero soltanto i camerieri del catering e Micky, intenta a raccogliere i regali.
<< L’ultimo sforzo.>>, farfugliò sottovoce.
<< Allora, hai finito? Possiamo andare?>>
<< Ehi, Quinn!>>, fu colta di sorpresa, << Ma non eri andata via con Milo e Dustin?>>
<< Ho pensato che avresti avuto bisogno di un po’ di compagnia.>>, le sorrise e la aiutò mettendo i regali dentro una grande busta.
<< Grazie!>>
<< Posso dirti una cosa?>>
<< Prego, fa pure. Tanto anche se ti dicessi di no, la diresti lo stesso.>>
<< Tu fai sempre molto di più di ciò che dovresti per Jennifer. E spesso neanche se lo merita.>>, puntualizzò Quinn.
 
 
 
Tornata a casa, Micky poté finalmente mettere fine alla lunga e pesante giornata. Era stato uno di quei giorni in cui al mattino ci si sveglia col desiderio che la notte arrivi al più presto. Entrata nella sua camera, si tolse la giacca e si lasciò cadere a peso morto - con le braccia aperte - sul letto, completamente distrutta.

The broken clock is a comfort, it helps me sleep tonight
Maybe it can stop tomorrow from stealing all my time
I am here still waiting though I still have my doubts
I am damaged at best, like you’ve already figured out

I’m falling apart, I’m barely breathing
With a broken heart that’s still beating
In the pain there is healing
In your name I find meaning
So I’m holdin’ on, I’m holdin’ on, I’m holdin’ on
I’m barely holdin’ on to you

The broken locks were a warning you got inside my head
I tried my best to be guarded, I’m an open book instead
I still see your reflection inside of my eyes
That are looking for purpose, they’re still looking for life

I’m falling apart, I’m barely breathing
With a broken heart that’s still beating
In the pain is there healing
In your name I find meaning
So I’m holdin’ on, I’m holdin’ on, I’m holdin’ on
I’m barely holdin’ on to you

I’m hanging on another day just to see what you will throw my way
And I’m hanging on to the words you say
You said that I will be ok

The broken lights on the freeway left me here alone
I may have lost my way now, haven’t forgotten my way home

I’m falling apart, I’m barely breathing
With a broken heart that’s still beating
In the pain there is healing
In your name I find meaning
So I’m holdin’ on, I’m holdin’ on, I’m holdin’ on
I’m barely holdin’ on to you

I’m holdin’ on
I’m holdin’ on
I’m barely holdin’ on to you


 

N.B.: La canzone inserita in questo capitolo è "Broken" - Lifehouse

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


A volte un attimo può cambiare il corso degli eventi. A volte una notte può stravolgere completamente la vita di qualcuno.
Era luglio inoltrato in New York City quando Caroline e Micky organizzarono l’addio al nubilato di Jennifer, nel terrazzo del palazzo in cui abitava Micky. Oltre a loro e Dustin, c’erano alcune ex colleghe d’università di Jennifer. La festa era trascorsa nel migliore dei modi tra una chiacchiera e l’altra, aneddoti e risate. Jennifer era entusiasta e anche un po’ brilla. Un fattorino aveva consegnato un enorme pacco regalo indirizzato a lei.
<< Questa è opera tua, vero?>>, chiese Caroline a Micky.
<< Guarda!>>, rispose sorridendo.
Dall'enorme scatola uscì una danzatrice del ventre. A prima vista Jennifer scoppiò a ridere ma quando la ragazza iniziò a ballare con le sue movenze, ancheggiando i fianchi, il suo volto divenne un mix di colori: viola, fucsia, rosso.
<< E’ proprio brava. Cavolo!>> disse Micky estasiata, mandando giù l’ultimo sorso di Margarita.
<< E questa bravura la stai notando fissandole il sedere?>>, Caroline la colpì a un braccio.
<< Non le sto guardando il sedere! Solo ammirando con attenzione questo tipo di arte.>>
<< Sei tremenda!>>
<< Ed anche egoista.>>, s’intromise Dustin, << Avresti dovuto pensare anche al tuo caro amico e al resto delle donne etero qui presenti, invece che rifarvi gli occhi soltanto tu e Jenny.>>
<< Ben detto Dustin!>>, rispose Caroline dandogli il cinque.
<< Beh, mi farò perdonare quando organizzerò il tuo addio al celibato, Dustin. E poiché siamo in argomento “pretese”, per il mio compleanno voglio una sorpresa simile. Che siano tre ballerine, però: una svedese, una russa e una brasiliana.>>, Micky mostrò un ampio sorriso.
<< Tutte e tre assieme?>>, Caroline la guardava disgustata.
<< Certo!>>
<< Fai schifo!>>
<< Grazie!>>
<< Prego! A te l’alcol non fa bene.>>
Alla fine, nessuno dei tre riuscì a trattenersi dal ridere.
<< Comunque, scendo un attimo giù in bagno. Micky, tieni d’occhio la futura sposa, non vorrei facesse qualcosa d’insensato a due giorni dal matrimonio.>>
<< Tranquilla, ci penso io.>>
La festa terminò quando ormai era già sera. Jennifer era rimasta per dare una mano a Micky a rimettere ordine, nonostante si sentisse stordita dall'effetto dei troppi drink bevuti.
<< Micky, mi sembra di stare su di una giostra. Per favore dammi qualcosa.>>, disse sedendosi sul divano.
<< Vuoi che ti accompagni direttamente agli alcolisti anonimi?>>
<< Idiota, non sfottere. Ho la testa che mi scoppia.>>, Jennifer fece una smorfia.
<< Avevo già pensato al rimedio: una tazza di caffè bollente e tornerai come nuova.>>, Micky si sedette di fianco a lei porgendole la tazza. Prese la borsa della donna e tirò fuori il suo cellulare.
<< Che fai?>>
<< Avverto Madison. Resti a dormire qui, perché in questo stato non vai da nessuna parte.>>, precisò guardandola.
<< Non esagerare. Posso guidare benissimo.>>, Jennifer cercò di alzarsi, ma barcollò all'istante. << Okay, va bene. Hai ragione.>>, sbuffò.
<< Dai vieni, ti porto in camera.>>, Micky aiutò la ragazza ad alzarsi, sorreggendola.
<< Aspetta! Devo dire a Madison che non torno a casa.>>
<< L’ho fatto io un minuto fa J.J. . Soffri anche di Alzheimer precoce? Andiamo bene.>>, disse Micky alzando gli occhi al cielo.
<< La smetti di prenderti gioco di me? Non è leale. In questo momento non capisco nulla.>>, Jennifer la picchiò sul braccio.
Entrata in camera, Micky la adagiò sul letto e la ragazza per vendicarsi fece presa sul suo collo in modo da farle perdere l’equilibrio e cadere su di sé. Poi avvinghiò le gambe alla sua schiena, bloccandola.
<< J.J. che cavolo fai?>>
<< Sei in trappola.>>, Jennifer rise di gusto.
<< Okay, ti sei vendicata. Lasciami andare adesso.>>
<< No, non ancora.>>
<< Dai J.J. lasciami andare.>>
<< No, no.>>, continuava a ridere.
<< J.J.?>>, il tono in cui Micky pronunciò il nome suonava come un rimprovero.
<< Perché? Mi sto divertendo. Non fare la guastafeste.>>
Valutando che l’amica non l’avrebbe lasciata andare tanto facilmente, Micky provò a liberarsi, ma Jennifer stringeva con tutta la sua forza. Socchiuse gli occhi, perché in quella posizione, a due centimetri dalle sue labbra, col desiderio di baciarla più vivo di quanto non era mai stato, guardarla era un suicidio. Accadde qualcosa d’inaspettato, proprio quando Micky pensava che non avrebbe resistito un minuto di più. A lasciare il freno della libidine fu Jennifer che d’istinto premette le sue labbra contro quelle dell’amica. Il bacio fu intenso e l’atmosfera iniziò a scaldarsi. Micky portò entrambe le mani sotto la maglia della ragazza, salì lentamente fino a sfiorare il reggiseno. Da sotto il tessuto dell’indumento, le strinse i seni, in maniera così decisa da farla eccitare. Rapidamente, una mano andò giù fin sotto la gonna e le mutandine. Quanto accadde sotto le lenzuola di quel letto, nel bene e nel male, avrebbe segnato profondamente la vita di entrambe.

Il mattino dopo, Jennifer si svegliò nuda e con un forte mal di testa. Vide i suoi abiti sparsi per terra e cercò di ricordare cosa fosse successo dopo che la festa finì. Erano solo piccoli flashback quelli che in quel momento riuscì a visualizzare e l’ultimo si fermava a quando Micky la condusse in camera. Pensò che durante la notte per via del caldo torrido si fosse spogliata togliendosi persino gli indumenti intimi. Rise pensando a ciò, sembrava davvero assurdo. Voleva capire, ma in quel momento desiderava solo metter fine all'incensante rumore del martello pneumatico che si ritrovava in testa. Così si alzò, si rivestì e uscì dalla camera in cerca di Micky. Quest’ultima stava in cucina, sorseggiava del caffè, pensierosa e preoccupata di quello che sarebbe successo non appena si fosse trovata di fronte Jennifer.
<< Buongiorno!>>
Micky la salutò con un cenno del capo.
<< Ci sono delle aspirine sul tavolo. Nel caso ne avessi bisogno.>>
<< Grazie! Mi hai salvata.>>, Jennifer si avvicinò al tavolo, prese una pillola e la mandò giù con dell’acqua, << Senti Micky, è abbastanza imbarazzante, ma… ecco, insomma mi sono svegliata completamente nuda e so di aver bevuto un po’ troppo ieri, ma sono sicura di non aver improvvisato spogliarelli o roba simile. Che cosa è successo?>>, arrossì.
<< Non ricordi nulla?>>
<< Solo fino al momento in cui mi hai accompagnata in camera tua.>>, disse versandosi del succo di frutta in un bicchiere.
<< Nient’altro?>>
Jennifer fece di no con la testa e questo non aiutò per niente Micky che si trovò ancor di più in difficoltà nell'affrontare l’argomento.
<< Wow!>>, rise nervosamente.
<< Oddio Micky! Che cosa ho fatto ieri sera?>>
<< No, che hai fatto, ma che abbiamo fatto.>>, Micky divenne seria, << Abbiamo fatto sesso.>>, confessò guardandola dritto negli occhi.
<< Dai, non scherzare.>>
<< Oh, beh, vorrei tanto che si trattasse di uno scherzo, ma non lo è.>>
Jennifer capì che Micky parlava seriamente e senza rendersene conto rovesciò il succo di frutta sul tavolo, assieme al bicchiere.
<< Oh mio dio! No, non è possibile.>>, indietreggiò.
<< E’ successo tutto così in fretta. Ti sono caduta addosso e poi mi hai baciata e… spiazzato.>>, era visibilmente dispiaciuta.
<< Micky, ero ubriaca!>>
<< Tecnicamente eri brilla!>>
<< Non cambia nulla. Non sapevo cosa stessi facendo … ho agito senza pensare e tu … Oddio! Che cosa ho fatto?>>, disse sconvolta.
<< J.J. ascolta …>>, si avvicinò a lei.
<< Devo andarmene.>>, velocemente prese la sua borsa dal divano e se ne andò sbattendo la porta d’ingresso.

Una volta arrivata nell'appartamento in cui viveva insieme a Madison, Jennifer si recò in bagno, si tolse i vestiti ed entrò nella doccia. Scoppiò a piangere mentre l’acqua scendeva sul suo corpo: prese la spugna e la sfregò con tutta se stessa sulla pelle. Si sentiva sporca per aver tradito Madison e per averlo fatto proprio con la sua migliore amica. Passava e ripassava la spugna su ogni parte del suo corpo, sperando che tale gesto potesse cancellare lo sbaglio commesso. Però niente lo avrebbe fatto. Prima ancora di ricordare per filo e per segno ogni cosa, prima ancora di chiarire la situazione con Micky, doveva decidere se dire la verità a Madison o farla diventare un segreto e tenerlo nascosto. Era certa che scegliendo la prima ipotesi, le conseguenze sarebbero state enormi.  

Più tardi, Micky arrivò presso “Bloomingdales”, una delle più importanti catene di grandi magazzini di New York, dove ogni newyorkese che si rispetti ha fatto acquisti almeno una volta nella vita. Accanto ad esso, vi si trovava la Boutique di abiti da sposa di Jennifer.
<< Ciao Caroline, J.J. è qui?>>
<< Ohi, ciao. E’ sul retro.>>
Caroline era anche socia in affari di Jennifer: gestiva la parte finanziaria dell’attività e di tanto in tanto dava una mano in negozio. Negozio che comprendeva anche l’abbigliamento maschile per cerimonie, del quale si occupava Dustin.
Il retro era suddiviso in due stanze: una grande, una sorta di magazzino, dove era depositata la merce e i manichini. L’altra un po’ più piccola, era lo studio in cui Jennifer e Dustin disegnavano e creavano i loro modelli.
<< J.J. dobbiamo parlare.>>, esordì Micky.
<< Lo so. Chiudi la porta, per piacere.>>
Micky lo fece e avanzò di qualche passo.
<< Ricordo com'è andata, ma prima di parlare di questo, voglio sapere se c’è dell'altro che devi dirmi.>>
<< Che cosa intendi?>>
<< Micky, tu non mi hai fermato, anzi hai assecondato quello che stavo facendo e un motivo ci sarà.>>
<< J.J. non rendere tutto più difficile, ti prego.>>
<< Perché pensi che la situazione possa peggiorare? Sto cercando di metabolizzare la cosa e più ci penso e più sento che è stato diverso e non solo perché è successo con la mia migliore amica. Quindi, perché non mi hai fermato?>>, scandì attentamente ogni singola parola di quest’ultima frase.
<< Okay, vuoi che sia onesta fino in fondo? Perché ti amo J.J. . Lo so che non doveva accadere, ma è così e non posso farci nulla. Per tutto questo tempo ti ho amato in silenzio e non ricordo neanche quando ho iniziato a farlo.>>, confessò guardandola negli occhi.
<< Perché non mi hai mai detto nulla?>>
<< Perché non volevo che le cose tra noi due cambiassero.>>
<< E stanotte come me la spieghi?>>
<< J.J., hai detto che ricordi e capisco che ne sei sconvolta, ma se giustificare le tue azioni dicendo che eri ubriaca, ti fa sentire meglio… allora fa pure. Ma non raccontarmi cazzate, perché mi offenderebbero.>>
<< Micky, cosa stai insinuando?>>
<< Sto dicendo che tu ieri sera hai voluto fare sesso con me. L’aver bevuto, è relativo. Eri lucida mentre mi tenevi avvinghiata con quella strana mossa ed eri altrettanto lucida quando mi hai afferrato per baciarmi. Quindi, non sono l’unica a dover essere onesta.>>, Micky la inchiodò con lo sguardo.
<< Micky, andiamo … siamo amiche, non ti ho mai considerato sotto quell'aspetto. E’ una discussione ridicola.>>
<< Beh, a quanto pare hai fatto un’eccezione.>>, c’era parecchia tensione tra le due, << Senti, J.J., non voglio rovinare il tuo rapporto con Madison, a breve vi sposerete … quindi me ne starò al mio posto, nessun problema.>>
Jennifer si avvicinò e le mise una mano sul viso.
<< Non cambierà nulla tra noi?>>
Si sentì un rumore provenire dalla stanza accanto: dalla porta uscì prima la sagoma di un manichino e dopo Dustin.
<< Ops! Ciao! Non stavo origliando, giuro … ero di là e ….>>, disse abbastanza imbarazzato.
<< Bene! Ci mancava solo questo.>>, Jennifer alzò la voce esasperata.
<< Ragazze, che sta succedendo qui dentro?>>, disse Caroline entrando.
<< Ho bisogno di stare da sola. Scusate.>>, giusto il tempo di terminare la frase e Jennifer andò via.
<< Dannazione J.J., non scappare di nuovo.>>, Micky fece un gesto di stizza.
<< Mi sono persa qualcosa?>>, Caroline guardò contemporaneamente Micky e Dustin.
<< Sono andate a letto insieme!>>, disse Dustin tutto d’un fiato come se non riuscisse a trattenersi nel rivelare ciò che aveva, involontariamente, ascoltato.
<< Cosa?>>, Caroline spalancò gli occhi meravigliata.
<< Cazzo Dustin, ma non riesci mai a tenere chiusa quella bocca?>>, fulminò l’amico con un’occhiataccia.
<< E’ stato questo il tuo modo di tenerla d’occhio per evitarle di fare cose insensate?>>
<< Non ora, Caroline.>>, Micky uscì dalla stanza e dal negozio. Correndo raggiunse l’auto di Jennifer: non voleva lasciare la questione in sospeso e aveva solo un giorno a disposizione per chiarire tutto. Con il palmo della mano diede un colpo sul finestrino facendo trasalire Jennifer mentre cercava di infilare le chiavi nella serratura per avviare il motore. Quest’ultima non la degnò nemmeno di uno sguardo, allora Micky tentò di aprire la portiera ma il suo tentativo fu invano: Jennifer partì in fretta per andare chissà dove, a riflettere.
Anche Micky doveva schiarirsi le idee, più che altro, doveva trovare la forza di accettare che l’amicizia tra lei e Jennifer sarebbe cambiata e che niente sarebbe stato più come prima. Allora prese la sua auto e si recò a Central Park: una passeggiata, forse l’avrebbe aiutata, ma più camminava più non desiderava altro che avere a portata di mano una macchina del tempo, tornare indietro di qualche ora ed evitare di andare a letto con Jennifer, nonostante ammettesse nel suo io più profondo che fare l’amore con lei era stato qualcosa di unico e fantastico e non un errore. Tirò fuori il cellulare dalla tasca dei jeans e iniziò a scrivere un sms: “Non ho idea, dove ci porterà tutto questo, ma non lascerò che il peso di quello che è stato, ricada sulla nostra amicizia. Abbiamo sbagliato. Dimentica tutto, io farò lo stesso e andiamo avanti con le nostre vite.”, lo rilesse una volta soltanto e poi lo inviò a Jennifer.
Sentì una strana pesantezza addosso. Tornata nel suo appartamento si stese sul divano e si addormentò per qualche ora. Quando riaprì gli occhi, l’orologio accanto alla libreria segnava le 18:30 e proprio in quel momento suonò il campanello. Si alzò e andò ad aprire.
<< Il mio motto è: mai andare a letto con l’amica sbagliata.>>, disse Quinn entrando.
<< Lo sai anche tu!>>, rispose Micky per niente contenta.
<< E Milo, tua madre e probabilmente anche Greg.>>
<< Non mi resta che salire in terrazzo e urlarlo a tutta New York City, allora.>>
<< Tranquilla, resterà tra di noi.>>, Quinn le fece l’occhiolino.
<< Ah, beh … grazie!>>
<< Lo sai vero che se fossi venuta a letto con me, non si sarebbe scatenato tutto questo dramma?>>
Quinn si avvicinò e mise le braccia intorno al collo dell’amica.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Poggiata alla finestra del bungalow, Jennifer osservava il mare di fronte a sé. Soffiava un leggero vento fresco, che non provoca fastidio ma soltanto una bellissima sensazione di spensieratezza e rilassamento dei sensi. Samana, la grande penisola di Santo Domingo, era davvero stupenda; non solo per la lunga distesa di sabbia bianca e dorata, la cordialità e l’allegria della gente del posto, ma perché lì il tempo scorreva più lento rispetto alla città. Forse era solo la diversa prospettiva che Jennifer aveva scelto di adottare per godersi al meglio ogni singolo attimo della luna di miele o forse a Samana il tempo è davvero amico della gente e lei di tempo da dedicare a sè stessa ne aveva bisogno. Si chiedeva come il cuore, il suo, potesse contenere sentimenti contrastanti che si alternano senza logica. Pensava a Micky: a cosa stesse facendo in quel preciso momento, a come si sentisse adesso che per la prima volta da quando si conoscevano, si ritrovavano distanti l’una dall’altra. Non c’era mai stata occasione in cui non fossero insieme: festività, compleanni, ricorrenze, viaggi. Magari era questo il vero motivo che spingeva Jennifer a pensarla continuamente, per lei diventava sempre un problema separarsi dalle persone a cui teneva, anche se si trattava di pochi giorni. Ma ora, ciò che la spaventava, era il modo in cui la pensava: i suoi pensieri non erano innocenti, bensì forti, intensi, colmi di un nuovo sentimento a cui non riusciva a dare nome, forma e consistenza.
Madison emerse dall’acqua dopo averci passato più di un’ora e risalì la spiaggia per tornare al bungalow. Lei era sempre stata una incline allo sport: da ragazzina, per un lungo periodo, aveva preso lezioni di scii e giocato a tennis al liceo. Crescendo, ogni estate si concedeva viaggi verso località in cui fosse possibile praticare immersioni: una delle sue passioni.
<< Laggiù è un paradiso! >>, disse entusiasta una volta raggiunta Jennifer. << Questo posto è un paradiso. Sai dovremmo fare una pazzia: lasciare tutto e trasferirci quì.>>, concluse baciandola.
Lei ricambiò con altrettanto entusiasmo e la trascinò dentro, spingendola verso il letto. Madison intuì le intenzioni della moglie e si tolse la muta da sub mentre Jennifer si era già distesa. Si mise sopra di lei, ripresero a baciarsi e di punto in bianco, Jennifer iniziò a pensare alla notte trascorsa con Micky, e si stranì.
<< Che c’è?>>, le chiese la donna.
<< Niente. Continua …>>, rispose lei ansimando.
Chiuse gli occhi e li tenne così per tutto il tempo in cui fecero l’amore. Pensava fosse la soluzione giusta per scacciare via quei pensieri inopportuni.

A Manhattan, Micky non se la passava male, per sua fortuna. Dustin, Milo e Quinn, piombarono nel suo appartamento.
<< Sorpresa!>>, urlò Quinn appena entrata, << Qualsiasi cosa avevi in programma di fare può aspettare.>>, le sorrise.
<< Ciao lecca ciuffi!>>, la salutò Dustin entrando con una busta tra le mani, subito dopo la ragazza. Dietro di lui, Milo con un’altra busta.
<< Ma prego, entrate pure, fate con comodo.>>, sorrise ironica, << Come mai siete quì?>>
<< Barbecue tra amici. Abbiamo da mangiare, da bere … ci divertiremo.>>, le rispose Milo sorridendo.
<< Ci restano gli ultimi giorni di ferie … quindi quale modo migliore per goderseli fino in fondo?>>, Quinn stampò un bacio sulle labbra di Micky.
<< Bene, nel frattempo che tu e Milo preparate da mangiare, io e Quinn andiamo a prenderci il sole.>>, Dustin diede la busta all’amica, << Vieni cara.>>, prese sottobraccio Quinn, camminarono verso la finestra della cucina e uscendo salirono i gradini della scala d’emergenza che portava al terrazzo.
<< Rassegnati, quando quei due si mettono d’accordo non puoi contraddirli.>>, disse Milo dando una pacca sulla spalla a Micky.
Qualche ora dopo, erano tutti nelle rispettive sedie a sdraio in completo relax.
<< Dustin non ti ho ancora chiesto scusa per l’altra volta…>>
<< Nessun problema, Micky. Acqua passata.>>, rispose Dustin sorridendo, << Però ci terrei lo stesso a dire che sono consapevole di parlare troppo, a volte …>>
<< Proprio “a volte”, eh Dustin?>>, lo riprese Milo.
<< Dicevo … >>, lo ignorò volontariamente , << Riconosco di avere questo difetto, ma al di fuori di voi insulsi amici, non ho mai spifferato niente a nessuno.>>, precisò.
<< Lo so e mi dispiace di essermela presa con te.>>, disse Micky.
<< Scuse accettate, my darling!>>
<< Se ci pensate bene, lui sa tutti i nostri segreti più intimi.>>, continuò Milo.
<< Oh, ma guarda, non ci avevo mai pensato. Volendo potrei fare come la tizia misteriosa di Gossip Girl che sputtana tutti dalla mattina alla sera.>>, rise compiaciuto.
<< Dopodichè noi saremo autorizzati ad ingaggiare un serial killer.>>, Quinn si girò verso di lui mostrando un ampio sorriso.
<< Come sei suscettibile, stavo scherzando.>>
 Nel frattempo, Quinn, a loro insaputa aveva preparato e nascosto alcuni palloncini pieni d’acqua, prendendone uno lo tirò addosso a Dustin. Bastò quel gesto per scatenare una vera e propria battaglia.
Quella sera stessa, si recarono a Greenwich Village, per andare allo Stonewall In. Non ci mettevano piede da molto per via del poco tempo che avevano a disposizione, specialmente Micky e Milo: essendo medici il loro orario di lavoro non si poteva di certo definire “normale”. Presero da bere e ci restarono fino alle 23:00.


Erano trascorsi quindici giorni dal matrimonio e durante il viaggio di nozze Jennifer e Micky non avevano avuto nessun tipo di contatto telefonico. Di ritorno da Santo Domingo, Jennifer - il giorno dopo prima di recarsi in negozio - decise di andare a trovarla. La prima persona che voleva rivedere era sicuramente lei. L’ospedale presso cui lavorava Micky come chirurgo neonatale specializzato in ostetricia e ginecologia, era il New York Presbyterian. L’afflusso di pazienti dopo le vacanze estive era sempre cospicuo: le aspettava una bella mattinata di visite e nel pomeriggio c’erano già fissati due parti. Adorava i bambini ma ancor più adorava l’idea di essere la guida di ogni madre durante il percorso della gestazione ed essere in parte l’artefice del miracolo della nascita. Sì, Micky la considerava un miracolo vero e proprio avendo visto il lato negativo della gravidanza: aborti spontanei, complicanze durante il parto e interventi in cui il nascituro non sopravvive.
Si trovava nel suo studio e stava controllando le cartelle cliniche delle pazienti che avrebbe incontrato, la porta era aperta e non si accorse minimamente della presenza di Jennifer.
<< Ciao Micky!>>
<< J.J.!>>, alzò lo sguardo sorpresa.
<< Posso entrare?>>
<< Certo.>>, le fece cenno con la mano, << Quando sei tornata?>>
<< Ieri sera. Ma che fine hanno fatto i tuoi capelli?>>, le chiese incuriosita dalla nuova acconciatura.
<< Storia lunga.>>, rise, << In sostanza ho perso una scommessa con Quinn e questo è il risultato.>>, disse indicando i capelli. Li aveva tagliati corti, accorciando la lunghezza alla base del collo, e la riga era spostata verso sinistra con qualche ciocca che cadeva sulla fronte.
<< Capisco. Beh, ti stanno bene.>>
Entrambe consapevoli che il loro discorso era pieno di convenevoli, erano comunque contente di vedersi.
<< Grazie! Anche tu non stai niente male, l’abbronzatura ti dona parecchio.>>, la guardò dritto negli occhi e Jennifer avvertì una sorta di imbarazzo, << Allora, questa settimana sul Mar dei Caraibi, com’è stata?>>
<< Fantastica! Sembrava di stare su un altro pianeta che non avesse nulla a che vedere con la terra.>>
<< Il tuo entusiasmo rende l’idea.>>, Micky le sorrise.
<< A proposito, ti ho preso questo.>>, Jennifer aprì la sua borsa e prese un bracciale con delle conchiglie inserite l’una dietro l’altra in un robusto filo nero, elasticizzato. Prese il polso di Micky e glielo infilò. << Non è nulla di che … ma queste sembrano essere conchiglie particolari.>>
Micky notò che lo indossava anche lei.
<< E vogliono dir qualcosa?>>
<< Riguardano l’amicizia, ma adesso non ricordo bene cosa …>>, tergiversò ricordando le esatte parole che la donna dalla quale l’aveva acquistato le disse sul significato delle conchiglie “la tua vita sarà intrecciata a quella dell’altra persona.”.
<< Senti Micky, prima che vada. Madison mi ha chiesto di dirti se questa sera sei disponibile o meno. Due sue amiche sono in città e ha avuto l’idea di organizzare una cena per mostrarvi le foto e i filmini del viaggio.>>
<< Sembra interessante.>>
<< Sì. Samana è davvero bella.>>
<< Non mancherò, allora.>>
<< Bene. Lo dici tu a Milo?>>
<< Glielo dirò io, certo. In quel “voi” è inclusa anche Quinn?>>, era una domanda intenzionale ma anche un modo per punzecchiarla, conoscendo la non simpatia reciproca delle due donne.
<< Sì, puoi dirlo anche a lei.>>
<< A che ora devo venire?>>
<< Alle 20:00.>>
Tutte e due tentennarono sul come salutarsi, ritrovandosi a metà strada tra un bacio sulla guancia e un ciao.
<< Beh, a stasera.>>, disse infine Jennifer e se ne andò.


Madison e Jennifer si erano conosciute due anni prima durante un evento di beneficenza sponsorizzato dalla compagnia finanziaria del signor Theodore Jones. Madison vi partecipò assieme al padre Byron, in quanto proprietario della “Williams Pubblications”, nonché cliente del signor Jones. Lei, invece, era capo redattore della rivista di moda “Fashionable”. Donna molto ambiziosa e affascinante, riusciva sempre ad ottenere ciò che voleva. Quella sera, oggetto del suo desiderio, era stata Jennifer. Sapeva già chi fosse e cosa facesse, così oltre a chiederle un appuntamento, le propose di far apparire i suoi modelli nella nuova rivista dedicata a abiti da sposa alla quale stava lavorando da tempo. Madison non era esperta di relazioni a lungo termine: nonostante fosse sicura di sé anche nel rapportarsi con le donne e cosciente di avere un certo ascendente, non voleva intralci nella sua carriera. Ma quella fatidica sera dovette rivedere il suo modo di pensare. Non solo, lei e Jennifer iniziarono a frequentarsi e a collaborare; nel giro di un anno arrivarono addirittura a sposarsi.
Abitavano in un appartamento di un imponente palazzo a Park Avenue, con l’ascensore che apre direttamente all’interno e il parquet e i mobili sono stati realizzati con puro legno di ciliegio.
Jennifer per l’occasione aveva cucinato delle lasagne e del pollo con patate.
<< Questo vino è fantastico!>>, disse Madison dopo aver bevuto un secondo bicchiere di Syrah.
<< Non per essere di parte … ma i vini italiani sono i migliori.>>, rispose Micky.
<< Dovrei procurarmi qualche bottiglia…>>
<< Non preoccuparti a casa ho una scorta, te ne farò avere qualcuna.>>
<< Oh, grazie!>>
<< Quindi sei nata in Italia, Micky?>>, intervenne una delle amiche di Madison.
<< No, no. Sono nata qui a New York City. I miei genitori dalla Sicilia sono migrati qui, in periodi differenti però. Si sono conosciuti, innamorati, sposati e… separati.>>
<< Sei mai stata lì?>>
<< Sì, certo. Le mie radici sono siciliane, in un certo senso appartengo a quella terra e ci torno con piacere quando posso.>>, sorrise fiera.
<< L’ultima volta siamo andate insieme, ricordi?>>, intervenne Jennifer guardandola.
<< Sì, ricordo.>>, Micky abbozzò un sorriso.
<< Non mi avevi raccontato di essere stata in Sicilia, tesoro.>>
<< A dire il vero, te ne ho parlato Madison.>>, precisò Jennifer.
<< Davvero? Probabilmente in questo momento mi sfugge. Comunque, che ne dite di spostarci sui divani e iniziare a vedere qualche filmato del viaggio?>>, propose infine Madison.
Gli ospiti acconsentirono e la seguirono in salotto. Man mano che le immagini scorrevano nel televisore, Micky iniziò a sentirsi a disagio e di tanto in tanto distoglieva lo sguardo dallo schermo. Voleva anche lei, come i suoi amici, poter fare battute e commenti divertenti, farsi ammaliare da quel luogo davvero invitante, ma non ci riusciva. Divenne taciturna, irrequieta, una gamba iniziò a tremarle. Era fermamente convinta di poter  sopportare l’intimità tra Jennifer e Madison - come si era abituata a fare - ma capì che non era così.
<< Sento caldo, esco a prendere una boccata d’aria.>>, disse alzandosi improvvisamente. Uscì in balcone dalla vetrata della cucina e poco dopo Jennifer la raggiunse.
<< Micky, va tutto bene?>>, le chiese preoccupata.
<< Sì.>>
<< Sei sicura? Ho notato che ti sei incupita, sei diventata silenziosa e hai evitato i miei sguardi.>>
Micky era in silenzio come se stesse riflettendo su ciò che doveva dirle. Jennifer le sfiorò un braccio.
<< Sai quella cosa del volere esclusivamente la felicità della persona che si ama? Beh, in questo momento mi risulta alquanto difficile considerare la tua di felicità, visto che quella che riceve i pugni allo stomaco sono io.>>, le disse duramente.
Jennifer si irrigidì.
<< Credevo che non ci fossero problemi, che niente sarebbe cambiato tra di noi.>>
<< Lo speravo anche io. Ma siamo realiste, J.J., siamo andate a letto insieme e questo cambia tutto.>>, replicò Micky a denti stretti.
<< Sei stata tu a dirmi che saremmo andate avanti comunque>>, Jennifer si mise sulla difensiva.
<< E’ vero, ma io adesso non riesco più a nascondere ciò che provo, ne tanto meno a far finta che non sia successo niente. Se tu ci riesci veramente a dimenticare, buon per te, brava. Ma non puoi pretendere che per me sia lo stesso. Quella notte, non è stata come le altre volte in cui sono stata con una donna. Quella notte, io non ho fatto del sesso … c’ho fatto l’amore con te, J.J.>>, la inchiodò con lo sguardo.
Poi tornò dentro visibilmente agitata.
<< Scusate, devo andare. Una paziente sta per partorire.>>, si limitò a dire, << Buona notte.>>

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Micky uscì dal suo studio visibilmente stanca.
<< Micky? Buongiorno.>>, Milo passava di lì.
<< Ehi, ciao.>>, gli sorrise.
<< E’ stato un lungo parto?>>
<< No. In realtà non c’è stata nessuna emergenza ieri sera.>>
<< Ah, capisco! Era solo una scusa.>>, disse guardandola,  << Caffè?>>
<< Mi hai letto nel pensiero.>>
Percorsero il corridoio fino ad arrivare al distributore di bevande.
<< Allora, che succede tra te e J.J.? Tirava un’aria strana tra voi due.>>
<< Vorrei capirlo anch’io. Pensavo di poter gestire la situazione con tranquillità…>>
<< Invece è tutto il contrario.>>
<< Già.>>, Micky rimase in silenzio per un attimo, << Ieri, quando sono tornata a casa, sono rimasta a fissare il letto della mia camera senza riuscire a muovermi. Pensavo solo a quello che era successo lì con J.J. … e così sono andata via.>>
<< Di questo avete parlato quando ti ha seguito fuori?>>
<< Sì e non la pensiamo uguale al riguardo. Ma posso capirla… insomma, si è sposata.>>
<< E per quanto ancora sarai disposta a sacrificarti, Micky?>>, Milo la guardò sapendo di aver colto il punto cruciale di tutta la vicenda.
Una donna sui trentacinque anni con un grande pancione si avvicinò interrompendo la discussione.
<< Dottoressa DeLuca!>>
<< Salve, Annie.>>, le sorrise cordiale.
<< Ti lascio alla tua paziente, ci vediamo.>>, strizzò l’occhio all’amica e andò via.
<< Non le sembra che sette mesi siano sufficienti per smetterla di darmi del lei?>>
<< Può darsi… ma lei è una mia paziente.>>
<< Beh, d’ora in poi ha il mio permesso per darmi del “tu”. Mi fa sentire vecchia, altrimenti.>>
S’incamminarono verso la stanza per l’ecografia.
<< D’accordo.>>, le sorrise, << Allora, come sta la signorina lì dentro?>>
<< Ultimamente è parecchio movimentata.>>, Annie rispose portandosi le mani sul grembo.
<< E’ normale durante questo mese.>>
Arrivate a destinazione Micky aprì la porta e fece entrare per prima la sua paziente. Annie si sdraiò sul lettino, si scoprì il ventre, Micky le spalmò il gel dopodiché poggiò la sonda e attese che le immagini del feto apparissero sul monitor dell’ecografo.
<< Com’è andata la sua estate? Conosciuta qualcuna d'interessante?>>, chiese di punto in bianco.
<< Chissà perché mi aspettavo questa domanda.>>, lanciò un’occhiata alla donna, << No, sono ancora single. Hai qualche amica da presentarmi?>>
<< Purtroppo no. Ma se dovesse capitare di conoscerne qualcuna, lo terrò a mente.>>
<< Comunque, tua figlia cresce perfettamente. Puoi guardare tu stessa.>>
<< Fa uno strano effetto vederla lì. La rende… più reale.>>, Annie sorrise emozionata.
Micky prese della carta e gliela diede affinché potesse togliere il gel.
<< Posso dirle una cosa con tutta sincerità?>>
<< Certamente!>>
<< Al di là, della sua professionalità, sembra una persona in gamba e penso che una donna sarebbe molto fortunata ad averla.>>
<< Grazie! Gentile da parte tua.>>
<< Se la sua situazione sentimentale non dovesse cambiare e non le costa troppo aspettare un bel po’ di anni … potrei farla uscire con mia figlia, nel caso fosse lesbica.>>
<< E’ una proposta allettante. Se sarà bella quanto la madre, potrei prenderla in considerazione.>>
<< Bene! Allora inizio a preparare psicologicamente il padre.>>, fece un ampio sorriso e si diresse verso la porta.
<< Salutamelo. A presto.>>
 

La mano di Jennifer si destreggiava fra i tratteggi e i contorni di quello che poi dalla carta al tessuto sarebbe diventato un abito da sposa: l’ennesimo della sua collezione. Molto spesso è difficile spiegare alla gente cosa significhi avere una passione e tutto l’arcobaleno di emozioni che ne deriva. Che cosa voglia dire creare qualcosa dal nulla, qualcosa che sta rintanato nella propria immaginazione e prende forma attraverso le proprie mani. Avere del talento consiste in questo: fare ciò che qualcun altro non è in grado di fare o che non potrà mai fare come lo fai tu. La realizzazione è la forma più pura dell’arte. Ma non tutti sono in grado di capirlo e questo Jennifer l’aveva provato sulla propria pelle, quando, terminato il liceo comunicò ai genitori la decisione di voler frequentare il “Fashion Istitute of Technology”, cioè l’istituto universitario di arte, moda e design. Credeva che l’avrebbero appoggiata, nonostante loro aspirassero a college come Yale o Cambridge; soprattutto contava sul sostegno del padre, l’uomo che stimava, ammirava, venerava più di chiunque altro. Ma la sua brusca reazione quel giorno raggelò Jennifer.
Perché vuoi sprecare il tuo tempo tagliando e cucendo pezzi di stoffa? E’ inammissibile che mia figlia butti al vento il suo futuro basandolo su un’illusione e non su qualcosa di concreto, che dia garanzie.”, e anche se provò a imporre le su ragioni, il padre non cedette, anzi rincarò la dose, “E’ ora che impari a capire come si sta al mondo, sei un’adulta quindi pagati gli studi da sola perché da me non avrai un centesimo.”
Risucchiata in incubo tremendo, Jennifer si sentì tradita da quell’uomo che la capiva con il solo guardarsi, con cui si sentiva complice in qualsiasi situazione. Neanche sulla madre poté fare affidamento: Delia Jones era una di quelle donne che di dovere e responsabilità ne aveva fatto uno stile di vita, che in rare occasioni si dimostrava madre e da sempre era affetta da un’incomprensibile gelosia per il rapporto tra la figlia e il padre.
Così Jennifer si ritrovò completamente sola, ad affrontare smarrita una situazione nuova e più grande di lei.
Per sua fortuna, però, all’istituto conobbe la persona che meglio potesse capire quella parte di lei: Dustin. Anche lui lì con il sogno di diventare stilista, di vedere le sue creazioni addosso alla gente.
Un giorno le disse: “Noi abbiamo il privilegio di avere un dono. Non lasciar sminuire il tuo talento a nessuno!”, e da allora Jennifer quelle parole se le cucì addosso. Nei momenti di sconforto furono la sua forza, come quando si rendeva conto che l’appagamento nell’essersi realizzata professionalmente non rendeva invisibile quella piccola rottura impressa nel rapporto con il padre.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Le stagioni s’immergono profondamente nelle città che ne assorbono colori, odori, sensazioni, dando loro nuova linfa. E se ci si sofferma a guardare questi cambiamenti, le città ci appaiono più belle, con qualcosa in più da dire, da raccontare, anche se tutto quanto intorno è lo stesso paesaggio. E questo accade anche con le persone. A volte scopriamo di provare sensazioni diverse che cambiano il flusso dei nostri pensieri, portandoci alla deriva, confondendoci. Ma forse segnano un confine su cosa vogliamo e cosa desideriamo.
New York City accoglieva l’autunno: la stagione in cui le ombre del mattino e della sera quasi si fondono.
<< Pensavo che oggi potremmo andare un po’ più tardi a lavoro e concederci del tempo solo per noi due.>>, esordì Madison mentre baciava la moglie sulle labbra.
<< Hai scelto il giorno sbagliato. Mi aspettano due clienti in negozio per la prova d’abito.>>
<< Non puoi rimandare l’appuntamento a pomeriggio?>>, Madison accarezzava la gamba di Jennifer dal basso verso l’alto.
<< No, non posso.>>, Jennifer bloccò tempestivamente la mano di Madison prima che arrivasse alla “zona rossa”.
<< Che palle!>>, sbuffò. Rimase su di lei e la guardò con serietà.
<< Tu lo vorresti un bambino?>>
<< Come scusa? Parli sul serio?>>
<< Sì.>>
<< Siamo sposate da soli due mesi, non ti sembra di correre un po’ troppo?>>
<< No, perché di tempo ne passerebbe prima di averlo. E magari Micky potrebbe aiutarci. Conoscerà di sicuro qualche ottima clinica che si occupa di fecondazione, no?>>
<< Non lo so, può darsi. Resto sempre dell’idea che sia affrettato, comunque.>>
<< Perché? Ti ricordo che noi un figlio dobbiamo progettarlo.>>
<< Progettarlo? Oddio Madison, si tratta di un bambino, è davvero triste chiamarlo così.>>, disse irritata.
<< Jennifer, è solo una parola.>>, cercò di minimizzare.
<< No, non lo è. E comunque, io … io non mi sento pronta.>>, Jennifer si agitò visibilmente, << E poi sia il mio lavoro sia il tuo, ci impegna molto e ci porta via parecchio tempo. Come potremmo occuparci di un bambino? Come lo cresceremo?>>
<< Se la metti su questo piano, noi un figlio lo avremo mai, allora.>>, Madison si alzò scocciata e si diresse verso il bagno per farsi una doccia.
Jennifer si portò una mano sulla fronte sbuffando più volte. Non si era mai chiesta se un giorno avrebbe voluto avere un figlio o meno. E la cosa la turbò. Scese giù dal letto e si preparò per affrontare un’altra giornata lavorativa.
Prima di recarsi in boutique, però, passò al New York Presbyterian. Chiese di Micky a un’infermiera la quale la informò che era in sala parto ma che a momenti sarebbe uscita. Per ingannare l’attesa, fece un giro nel reparto maternità fermandosi davanti alla Nursery: la tenerezza e l’ingenuità di tutti quei neonati, quasi la commosse. L’infermiera addetta stava adagiando un nuovo arrivato in un lettino libero.
<< Mi è stato detto che mi cercavi.>>, Micky spuntò alle sue spalle.
<< L’hai fatto nascere tu?>>
<< Sì, e non voleva venir fuori.>>
<< E’ davvero dolce. Come si chiama?>>, Jennifer continuava a guardare il neonato.
<< Christopher.>>
<< Comunque, sì ti cercavo …>>, si voltò verso di lei, << Oggi, Madison mi ha chiesto se voglio avere un figlio. Le ho risposto di no, o meglio che non è il momento giusto, ma la conosco e so che non mollerà tanto facilmente. Il punto è che ha tirato in ballo anche te, pensa che con le tue conoscenze potresti aiutarci.>>
<< In effetti, sì.>>, rispose cercando di restare lucida.
<< Beh, nel caso dovesse chiedertelo… dì no o inventa qualche scusa.>>
<< D’accordo!>>
<< Grazie!>>, Jennifer sorrise sollevata.
<< Ma… un giorno lo vorresti avere un figlio?>>
<< Non lo so proprio. Forse sì, forse no.>>, chinò il capo e poi tornò a guardare i neonati dietro il vetro, << Non contemplavo l’idea di un figlio, sino a oggi. E il solo pensarci mi fa sentire inadeguata.>>
<< Nessuno nasce genitore.>>
<< E non tutti ne sono capaci. Ho una diretta esperienza con mia madre.>>, disse con sarcasmo, << Insomma, un figlio ha bisogno di attenzioni, di cure, di genitori responsabili, presenti. E ti prego non dirmi che essere spaventati è normale e che sarò sicuramente un’ottima mamma.>>
<< Infatti, stavo per dire che saresti una pessima mamma.>>, le rispose Micky ridendo. Poi, le prese una mano e la abbracciò.
<< Grazie!>>, le sussurrò Jennifer, << E scusa se con il mio comportamento a volte ti ferisco. Credimi, non è mia intenzione farlo.>>
<< Lo so J.J.>, Micky le sorrise.
I loro sguardi s’incontrarono: Jennifer poteva tranquillamente andar via e sarebbe finita lì, ma all’improvviso avvicinò lentamente le sue labbra a quelle di Micky e la baciò. Lei ricambiò e il bacio divenne intenso.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


<< Dov’è la donna più bella del mondo?>>, disse Micky entrando nella pasticceria della madre.
Angela si trovava dietro il bancone.
<< E’ così che fai colpo sulle ragazze? Adulatrice!>>
<< Certo, mamma.>>, Micky le diede un caloroso bacio sulla guancia, << Non la vedi la fila di corteggiatrici che mi porto dietro?>>, sorrise ampiamente poggiandosi di spalle al bancone.
<< Se tu volessi, le avresti.>>, guardò la figlia di sottecchi.
<< Sai mamma, dovresti smetterla di frequentare i miei amici.>>
<< Lasciali stare i miei ragazzi.>>
<< Di questo passo dovrò farmi adottare da un’altra famiglia.>>
<< Sì, continua pure a scherzare. Lo dico per te, hai 32 anni e dovresti iniziare a trovarti una donna con cui costruirti un futuro.>>
<< Ecco, adesso che esce il tuo animo di mamma italiana, ti riconosco.>>, rise.
<< Mi preoccupo per te e a differenza di qualche troglodita là fuori, io voglio una nuora e dei nipotini. Intesi?>>, precisò puntandole un dito contro.
<< Va bene, Donna Angela!>>, le sorrise e l’abbracciò.
Angela si tolse il suo grembiule e lo diede alla figlia.
<< Sei sicura che puoi restare fino a quando non torno?>>, chiese a Micky mentre raggiungeva la porta per uscire, << Non starò via molto. Voglio solo controllare come sta Greg e portargli le medicine.>>
<< Se vuoi dopo posso passare a dargli un’occhiata.>>
<< Ha l’influenza non è mica incinto.>>
<< Ti ricordo che sono comunque un medico. Ma và pure tranquilla, posso restare. E poi mamma, a famigghia iè tuttu!>>
La donna roteo gli occhi ed uscì dalla pasticceria. Micky si mise il grembiule e ne approfittò per dare una sbirciata nel laboratorio dove venivano preparati dolci e torte. Sul grande tavolo d’acciaio posto al centro della stanza, c’era un recipiente contenente della crema rocher: immerse l’indice per assaggiarla e le venne in mente che era sempre stato uno di quei rituali che faceva assieme a J.J., si passò la lingua tra le labbra per assaporare ulteriormente la delizia della crema e si ricordò del loro ultimo bacio. Scosse la testa e poco dopo sentì il suono della campanella appesa sopra la porta d’ingresso che oscillava ogni qual volta si apriva. Tornò di là.
<< Salve!>>, entrò una ragazza dalla carnagione mulatta e dai capelli neri, lisci come spaghetti.
<< Ciao, desideri?>>
<< Dottoressa DeLuca?>>, disse sorpresa.
Micky la guardò perplessa.
<< Lavoro al Presbiteryan. Sono un’infermiera.>>
<< Perdonami, ma siete in tante e ricordo soltanto quelle del mio reparto.>>
<< Capisco, non si preoccupi. Ma cosa ci fa qui?>>, chiese curiosa.
<< Mia madre è la proprietaria.>>
<< La signora Angela è sua madre?>>
<< Per la serie com’è piccolo il mondo?>>
<< Già!>>, la ragazza rise.
<< Allora, dimmi pure.>>
<< Sì! Allora, vorrei 5 muffin al mirtillo, 2 alla banana e 3 al cioccolato.>>
<< Perfetto.>>, disse Micky sorridente, << Da quanto ho capito sei una cliente affezionata?>>
<< Beccata!>>, sorrise.
La campanella suonò una seconda volta e in pasticceria entrò Jennifer.
<< Tu, dietro il bancone, a servire clienti. E’ un momento storico.>>
La pasticceria si trovava di fronte il negozio di Jennifer, proprio dall’altra parte del marciapiede. Jennifer l’aveva vista arrivare mentre sistemava una vetrina.
Quel mattino si era svegliata con il forte desiderio di incontrarla; si era perfino pettinata i capelli nel modo in cui piacevano a Micky: legati a coda di cavallo che copriva il collo verso la parte destra e cadeva verticalmente sul petto. Ore prima, mentre si trovava nel bagno del suo appartamento a spazzolarsi, colta da un improvviso flashback tornò indietro di qualche anno, a quando si stava preparando per uscire con una ragazza che frequentava a quel tempo.
<< Allora, come sto ? Sì sincera>>
<< Sei… sei… wow! Decisamente wow! Dovresti tenerli spesso così i capelli.>>
Nel rivivere quella situazione, Jennifer si era resa conto che il consiglio dell’amica adesso assumeva tutt’altro significato.
Micky la osservava mentre passava dietro il bancone, pensando che quando qualcuno conosce esattamente i tuoi punti deboli, sei fregata … in tutti i sensi.
<< Mia madre si è dovuta assentare e le sto dando una mano.>>, le rispose.
<< Greg sta ancora male?>>
Micky fece cenno di sì con la testa.
<< Ecco i tuoi muffin.>>, porse la scatola di cartone e lo scontrino alla ragazza.
Lei pagò, prese la scatola ma tentennò prima di andarsene.
<< Sicuramente non si ricorda neanche che mi deve un caffè …>>
<< Ehm … no! Sto facendo una pessima figura, me ne rendo conto.>>, affermò, arresa.
<< Okay, le vengo in contro.>>, dalla sua borsa uscì un block notes e una matita, e scrisse sul primo foglio: Adriana Donovan, reparto di chirurgia, 3° piano… più il numero di cellulare. Strappò il foglio e lo diede alla diretta interessata.
Micky lesse con stupore il numero.
<< Nel caso in cui si perdesse nel reparto di chirurgia.>>, disse Adriana prima di andarsene.
<< Lavora in ospedale?>>, chiese Jennifer.
<< Sì, ma non ricordo di averla vista.>>
<< Hai intenzione di uscirci?>>
<< Uscirci?>>
<< Non dirmi che hai creduto alla storia del numero? Stava palesemente flirtando con te.>>, le prese il foglio dalle mani.
<< E se anche fosse?>>, Micky si girò verso di lei, incrociando le braccia, << Gentilmente, mi ridai quel foglietto?>>
Jennifer guardava quel pezzo di carta come se da un momento all’altro i suoi occhi potessero emanare un raggio laser inceneritore. Mascherando per bene la sua gelosia, lo piegò e lo infilò in una tasca del jeans di Micky. Poi, con calma, alzò lo sguardo su di lei.
<< Lo conservi attentamente, dottoressa DeLuca.>>
<< Vieni di là.>>, Micky la prese per mano e la portò nel laboratorio, << E’ la crema rocher, ed è favolosa. Assaggia.>>
Jennifer l’assaggiò e spinta da un impulso irrefrenabile, si ricordò di essere in grado di sedurre. Intingendo nuovamente il dito nella crema lo portò alla bocca di Micky.
<< J.J. cosa stai facendo?>>, inarcò il sopracciglio destro.
<< Hai detto che è di tuo gradimento … mangiane un altro po’.>>, il suoi occhi erano pieni di malizia.
Il contatto tra il dito di Jennifer e le labbra di Micky fece scattare ancora una volta la loro libido. Quest’ultima afferrò l’amica e il bacio frenetico e instancabile che si scambiarono, non fece altro che confermare la forte attrazione nata tra le due.
Ma nelle settimane successive, non ci fu modo e occasione per poter parlare della strana situazione che si era creata.


 
Erano le 22:30 pm, Micky si stava dirigendo verso la sua auto quando riconobbe la figura dell’infermiera Adriana Donovan. Cambiò direzione e aumentando il passo la raggiunse.
<< Buonasera, Adriana Donovan, infermiera del 3° piano di chirurgia.>>
<< Buonasera a lei, Dottoressa.>>, sorrise, << Ha fatto i compiti … mi fa piacere.>>
<< Stai per iniziare il tuo turno o hai finito?>>
<< Finito!>>
<< Perfetta coincidenza, allora. Che ne dici se ti offrissi quel famoso caffè? O qualsiasi cosa tu voglia, ovviamente.>>
Adriana si soffermò a guardarla, pensierosa.
<< Vada per il caffè.>>
Raggiunsero una caffetteria lì vicino.
<< Giusto perché tu lo sappia, volevo rimediare già da prima, ma le volte in cui sono venuta a cercarti non ti ho trovata.>>, precisò Micky.
<< I miei turni sono molto più infernali, diciamo. Però meglio tardi che mai.>>, Adriana sorrise ammiccando.
<< Senza dubbio. Comunque, devi ricordarmi o meglio spiegarmi questa storia del caffè. Ah … al di fuori dell’ospedale, sono Micky.>>
<< Va bene! Dunque, avevi un intervento assieme al dottor Thorpe, dovevi far partorire una donna che aveva problemi al cuore. Era un’operazione delicata e qualche ora prima avevi già avuto un parto. Detto sinceramente non avevi una bella cera quella sera. Io avrei assistito la paziente subito dopo e per affrontare la lunga nottata, mi ero presa del caffè, ma visto che tu ne avevi più bisogno, te l’ho ceduto. E dopo avermi ringraziata, mi dicesti di essere in debito di un caffè.>>, fece spallucce.
<< Credo di ricordare vagamente …>>
<< E’ una sciocchezza comunque. Ho solo giocato un po’ quando ti ho vista in pasticceria. Non dovevi sentirti obbligata.>>, Adriana la guardò, << Diciamo che ho colto l’occasione per cercare di rimediare un appuntamento.>>
<< La mia amica aveva ragione, allora.>>
<< Perché?>>
<< Aveva intuito che stessi flirtando con me.>>
<< E adesso che sai che è vero, ti dispiace?>>
<< No!>>, farfugliò, improvvisamente imbarazzata.
<< Uhm! Però stai arrossendo.>>
<< E’ che … sei senza dubbio una bella ragazza che mi piacerebbe conoscere …>>
<< Ma?>>
<< Ma... tempismo sbagliato.>>
<< Ah, capisco! Non sapevo però che fossi impegnata …>>
<< Non lo sono. Però sto vivendo una situazione un po’ particolare e non voglio complicare ulteriormente le cose coinvolgendo altre persone.>>, Micky la guardò.
<< Mi sembra giusto! Se non sono indiscreta: è fidanzata?>>
<< Sposata!>>
<< Cavolo!>>, disse Adriana spalancando gli occhi, << Non è proprio una situazione facile da affrontare.>>
<< Ci sei passata anche tu?>>
<< Sì, ma la mia situazione non era catastrofica come la tua.>>
<< E alla fine com’è andata?>>
<< Ho lasciato perdere. Sai, Micky, anche alcune donne sono attratte dall’avventura, si lasciano andare per noia o per mancanza di attenzioni … ma alla fine dei giochi non lasciano la propria partner per un’altra.>>
<< Capisco cosa tu voglia dire. Però nel mio caso è diverso. Non credo si tratti di una semplice “avventura” né per me, né per lei.>>, rispose Micky sicura.
<< Può darsi sia così.>>
<< Aspetta! Non l’hai detto soltanto per farmi desistere?>>
<< No. E’ come la penso. Sai ho capito che è un luogo comune che non vale soltanto per gli uomini.>>, disse sincera, << Anche se devo ammettere che non avere alcuna chance con te … mi ha un po’ delusa. Ma vabbè, pazienza.>>, sorrise e Micky ricambiò.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Un mese dopo

 

 
Sopra il divano marrone, appesa al muro, una cornice racchiudeva una serie di fotografie di Micky con i suoi amici. Al centro ce n’era una di dimensioni più grandi rispetto alle altre e aveva come soggetti lei e Jennifer. Era stata scattata durante la loro vacanza in Sicilia. Micky se ne stava lì di fronte con un bicchiere mezzo pieno di vino rosso. Soffermarsi a guardarla così attentamente la portò a realizzare quanto siano più le circostanze a influire nei legami con le persone che non il tempo trascorso assieme. Bevve un lungo sorso prima di lasciare il bicchiere in cucina e salire su in terrazzo. La temperatura si era notevolmente abbassata durante la sera, ma sentire la brezza gelida sulle guance e sulla tempia la faceva rilassare: spesso riusciva a scacciar via ogni pensiero. Spesso, appunto. In quel momento il suo stato d’animo le impediva di farlo.
E’ talmente incredibile quanto la malinconia possa renderci vulnerabili, specie quella silenziosa che arriva quando cala la notte e ci lascia soli con i ricordi taglienti di ciò che è stato e non potrà più essere; quando le cose andavano bene. Si voltò di colpo senza neanche riuscire a capire se lo volesse fare davvero o se fosse stato un riflesso incondizionato del suo corpo, e la vide lì, ferma dietro di lei.
<< Ho usato le mie chiavi.>>, esordì Jennifer mentre si avvicinava.
Micky la guardava senza spiccicare parola.
<< Di solito non faccio caso al tempo che passa. Solo che, senza sapere perché, mi sono ritrovata a contare i giorni.>>, le tremava la voce, << Un mese, Micky. Un mese.>>, disse a denti stretti, << Come siamo arrivate a questo punto?>>
<< Non lo so!>>
<< Penso che la nostra amicizia meriti di più.>>
<< Non credo che “amicizia” sia ancora il termine giusto da usare. Ci ho riflettuto, e onestamente non ho più idea di cosa siamo tu ed io. Amiche, amanti, entrambe le cose o peggio ancora, più nulla.>>
<< E’ così importante definire necessariamente cosa siamo?>>
<< Sì! E il fatto che tu me lo chieda mi fa capire che non riesci proprio a comprendere quanto sia diventato doloroso per me starti accanto.>>
<< E non pensi che valga lo stesso per me? Vuoi delle risposte che io non so darti.>>, la guardò intensamente, << Micky, sono uscita nel cuore della notte lasciando mia moglie a letto a dormire da sola perché il bisogno di vederti, di parlarti, è stato più forte del senso di dovere che ho nei confronti di quella donna. Mi comporto in maniera ambigua perché non ho la più pallida idea di cosa mi stia succedendo.>>, Jennifer smise di parlare per un attimo e senza pensarci più di tanto si gettò tra le sue braccia come se farsi stringere in un caldo e forte abbraccio fosse l’unica cosa che avesse importanza, << Ti chiedo solo un po’ di comprensione e ti prego non allontanarti mai più da me, altrimenti mi uccidi.>>, le sussurrò a occhi chiusi mentre il vento gelido spazzò via dal suo viso una lacrima.
E così, in quel momento, Micky si arrese all’idea che la donna che stava stringendo a sé, fosse diventata il suo punto più debole. Perché in questo dannato universo c’è per tutti una sola e unica persona che sarà sempre in grado di smuovere le corde delle nostre emozioni, chiunque essa sia.
<< Ti va di parlare?>>, la invitò a sedersi su una delle sedie a sdraio.
Jennifer annuì e si sedettero.
<< Mi sento cambiata. Qualcosa dentro di me è cambiato e non fa che spingermi sempre più verso di te. Ma al tempo stesso, una parte di me, dice che tutto questo è sbagliato, che non dovrei provare nulla per te che non vada oltre tutto il bene che già provo e mi ricorda che sto con Madison e che ho preso un impegno con lei. Sono così confusa che mi sembra di impazzire.>>, sbuffò e sorrise nervosamente.
Micky si stupì. Le servì qualche minuto prima di mettere a fuoco ogni singola parola che aveva ascoltato.
<< Dì qualcosa.>>, la supplicò Jennifer.
Micky unì le sue mani l’una all’altra.
<< Mi hai spiazzata.>>, il labbro superiore s’inarcò in un mezzo sorriso, << Ed è come se mi avessi dato quel briciolo di speranza che non ho mai avuto.>>
<< Non voglio illuderti, ma non so davvero perché mi sento così… alla deriva.>>, Jennifer sospirò.
<< E’ normale sentirsi confusi. Il matrimonio, questa cosa tra me e te… è successo tutto in fretta e contemporaneamente. >>, con l’indice della mano sinistra le spostò alcune ciocche della frangetta in modo da poterle baciare la fronte. Poi, rimasero semplicemente a guardarsi.
 

Alcune mattine dopo, Jennifer si recò alla “Williams Pubblications” per vedere in anteprima i provini fotografici della collezione primavera-estate e scegliere quali mandare in stampa per il nuovo numero di “The Best Bride”. Era una scelta che Madison le aveva concesso fin dall’inizio della loro collaborazione. Arrivata nell’ufficio della moglie – momentaneamente assente come riferitole dalla segretaria - attese che quest’ultima tornasse. Si sedette alla sua scrivania – il PC era acceso – e notò l’Home Page del sito internet di una clinica per l’inseminazione. Su un foglio lì vicino c’era anche segnato il numero di telefono corrispondente. Jennifer capì immediatamente e divenne nervosa.
<< Ciao tesoro.>>, entrò Madison, << E’ da molto che aspetti? Sono dovuta scendere in sartoria per un controllo.>>
<< No, sono arrivata da poco.>>, si alzò in piedi e accettò senza entusiasmo il bacio della donna, << Potresti spiegarmi questo?>>, indicò con un dito il sito internet.
<< Avrei preferito parlartene questa sera a casa ma giacché ci siamo… ho fatto qualche ricerca tra le cliniche che si occupano d’inseminazione e questa è la migliore in tutto lo stato di New York. Pensa che quando ho chiamato, ho scoperto che il direttore è un caro amico di mio padre e mi ha garantito che qualora fossimo interessate, ci farà avere la precedenza.>>
<< Certo, togliamo la possibilità a chi vuole veramente avere un figlio e aspetta da mesi, solo perché di cognome facciamo Williams.>>
<< Sai Jenny, sei pesante quando fai così. Ti ricordo che anche il tuo cognome pesa tanto quanto il mio.>>, rispose stizzita.
D’istinto Jennifer le diede uno schiaffo.
<< Questa potevi risparmiartela. A differenza tua non ho mai sfruttato il mio cognome per ottenere le cose più facilmente. E quando parli, io almeno ti ascolto. Ti ho esplicitamente detto che non voglio avere un figlio e tu ti comporti come se avessi detto l’esatto opposto.>>
<< Ho solo pensato di sondare il terreno, così qualora tu cambiassi idea, sapremo già a chi rivolgerci.>>
<< E se io non cambiassi idea? Sentiamo Madison, saresti disposta a intraprendere tu la gravidanza? Ad assentarti dal lavoro, stare in casa, partorire e allattare il figlio che tanto desideri?>>
Madison la guardava senza dire una parola, perché il suo silenzio era già una risposta.
<< Come pensavo.>>, continuò Jennifer ancor più nervosa. Fece per andarsene e Madison parlò.
<< Lo dirò una volta sola e spero che tu finalmente riuscirai ad accettarlo: porto un cognome importante, sono una privilegiata, figlia di un uomo ricco e influente, e se questo è sinonimo di garanzia, ben venga. Non devo chiedere scusa a nessuno né per la famiglia in cui sono nata né tanto meno per la donna che sono diventata.>>
<< Bene, allora sappi questo: impara a scindere la Madison donna d’affari con la Madison sposata che vuole avere una famiglia, perché la prima non mi piace per niente. I giochi di potere, i favoritismi e l’arroganza, andranno bene con le persone con cui fai affari o con cui lavori, ma con me no. E tu questo lo sai benissimo.>>, Jennifer le puntò un dito contro e poi andò via dall’ufficio mandando al diavolo anche il motivo per cui era andata lì.
 
Qualche ora più tardi, appena uscita da una sala operatoria, Micky fu fermata da un’infermiera.
<< Dottoressa DeLuca? Scusi, dovrebbe mettere una firma quì.>>, le indicò il punto esatto.
<< E’ dimessa oggi la signora White?>>
<< La paziente della 23? Sì. Ma come fa a ricordarsi tutti i nomi?>>
<< Sono persone, prima di tutto.>>, sorrise.
<< Senta, giù c’è una donna che ha chiesto di lei.>>, concluse l’infermiera.
Pensò subito a Jennifer, così s’incamminò verso l’ascensore e scese al piano terra. Ma proseguendo verso l’entrata principale vide Madison.
<< Madison? Ciao!>>, disse con stupore.
<< Ciao Micky. Hai un minuto? Dovrei parlarti.>>
<< Sì … okay!>>, disse e fece strada verso la sala d’attesa, << Allora, dimmi pure.>>
<< Credo di aver esagerato con Jennifer. Abbiamo avuto una discussione qualche ora fa … davvero antipatica.>>
<< Riguardo cosa?>>
<< Suppongo te l’abbia detto che abbiamo parlato dell’idea di avere un bambino.>>
<< Sì, me l’ha detto.>>
<< Beh, pur sapendo come la pensa, ho fatto di testa mia e ho ignorato i suoi sentimenti. E la cosa l’ha spazientita parecchio.>>
<< Posso immaginare, conoscendola.>>
<< Lo so, sono stata la solita stronza viziata.>>
Micky annuì.
<< E’ che a volte ho la sensazione di… non conoscerla per niente. Di non conoscere cosa pensa, cosa prova, cosa desidera.>>, ammise con fatica, << E non è piacevole.>>
<< So che sei una donna schietta che non ama giri di parole, quindi voglio farti una domanda: perché le hai chiesto di sposarti? Ci credevi davvero o è stata l’idea di sposarla che ti ha spinto a farlo?>>
Madison rimase a bocca aperta. Assunse l’aria di una alla quale era stata fatta una domanda cruciale.
<< Non fraintendermi.>>, precisò Micky, << Ma molte persone amano qualcuno perché sono innamorate dell’idea di amare. Ed è come se seguissero uno schema, come se il fatto di amare garantisca che tutto debba andare in un certo modo. Ma la realtà spesso non è così. Forse tu hai semplicemente idealizzato Jennifer. Le hai cucito addosso un’immagine che le va stretta … ed è una di quelle cose che lei odia.>>
<< Non avevo mai pensato a questo! A dire il vero, il matrimonio non rientrava proprio nella mia prospettiva di vita. Però…>>
<< Poi hai conosciuto lei…>>
<< Esatto! Comunque, oltre a scusarmi e organizzarle una cena questo fine settimana, hai qualche valido consiglio da darmi per rimediare?>>
<< Impara ad ascoltarla.>>
Durante la giornata non fu solo Madison a cercare Micky, anche Jennifer si presentò al Presbyterian Hospital.  Chiedendo di lei, la raggiunse alla mensa, dove stava mangiando.
<< Ciao!>>, si sedette. Il tono della voce era quasi incolore.
<< Giornata schifosa?>>
<< Abbastanza!>>
<< Aspetta!>>, Micky si schiarì la voce assumendo un atteggiamento piuttosto serio, << Micky DeLuca consulente matrimoniale. In cosa posso esserle d’aiuto?>>, sorrise ampiamente.
Jennifer scoppiò a ridere.
<< Perché pensi che abbia a che fare con Madison?>>
<< Perché è venuta questa mattina. Voleva parlarmi e mi ha detto che avete avuto una brutta discussione.>>
<< Madison è venuta qua per… confidarsi con te?>>
<< No, è stato il suo avatar!>>
<< Scema! Non pensi che sia stato decisamente strano?>>
<< Eccome! Ed è stato anche piuttosto imbarazzante.>>
<< Cosa ti ha detto?>>
<< Ha parlato di te, di voi. Di come a volte sente che camminiate su strade opposte.>>
<< Non ha tutti i torti.>>
<< Ha spiegato che il motivo del litigio è stato il fantomatico “bambino”.>>
<< Non solo. Ha detto cose che mi hanno lasciato un po’ perplessa. E poi mi sono sentita umiliata, messa da parte, come se non contassi nulla. Tanto aveva già deciso tutto lei.>>
Micky allungò una mano per accarezzare il viso di Jennifer.
<< Ti va di stare insieme stasera? Ho bisogno di tranquillità.>>
<< Una serata tra amici ti andrebbe bene lo stesso? Andiamo allo “Stonewall Inn”.>>
Jennifer annuì e le sorrise.

 
Quella sera, l’ultima ad arrivare al locale fu Quinn. Intravedendo il tavolo dove erano seduti i suoi amici, s’incamminò e una volta raggiunti si sedette proprio accanto a Micky.
<< Ciao bellezza!>>, la salutò  ammiccando, << Ciao pervertiti!>>, salutò così Milo e Dustin.
<< Come mai così in ritardo?>>, domandò Dustin.
<< Un piccolo contrattempo. Niente di che.>>, gli sorrise, << Oh ma ciao principessina. Ci sei anche tu questa sera.>>, si rivolse a Jennifer.
<< Non dovresti essere lungo il marciapiede?>>, rispose di rimando.
<< Okay, va bene, fine primo round.>>, si intromise Micky gesticolando.
<< E’ bello vedervi sempre così amiche.>>, aggiunse Milo per sdrammatizzare.
<< Non ci vediamo da un po’, tutto bene?>>, chiese Micky.
<< Sì, sto bene.>>, Quinn mise un braccio intorno al collo dell’amica, << Lo sai che sei sempre nei miei pensieri più intimi?>>, le sussurrò.
<< Guarda che abbiamo sentito tutti.>>, disse Jennifer infastidita.
Micky, Milo e Dustin risero di gusto.
<< Vado a prendere da bere.>>, Quinn fece l’occhiolino ai due ragazzi e si alzò dal tavolo.
<< E’ necessario che sculetti in quel modo solo per andare a prendere da bere?>>
Micky scosse il capo divertita.
<< Non ci trovo nulla da ridere!>>, puntualizzò Jennifer.
<< Dai Jenny, ancora non hai capito che il 90% di quello che fa Quinn lo fa solo per provocarti?>>, spiegò Milo.
<< Beh, potrebbe evitare di prendersi tanto disturbo. E’ irritante.>>
<< Se solo la smettesti con questa ridicola gelosia, potreste andare d’accordo.>>, disse Micky.
<< Esatto! Quinn non è quella che sembra.>>, aggiunse Dustin.
<< E’ chiaro che voi tre fate parte del fan club “Tutti pazzi per Quinn.”>>, disse Jennifer, << E comunque, non sono gelosa di Quinn.>>, terminò lanciando un’occhiataccia a Micky.
<< Come no!>>, bisbigliò Dustin.
<< Lascia stare amico. E’ una battaglia persa in partenza.>>, Micky rivolse lo sguardo fissò verso  Jennifer, << Vi spiego una cosa: ogni donna, che lo ammetta o no, che lo lasci a vedere o no, si sentirà sempre meno bella, meno attraente, meno sexy di un’altra. Nonostante non abbia nulla da invidiare a nessuna, e ci tengo a sottolineare nessuna. E quando hai a che fare con una di queste donne, potrai stare ore e ore a farle capire quanto la desideri, a dirle che dal primo momento che l’hai vista, ti ha completamente sconvolto l’esistenza, ma non servirà a nulla. Nella sua testa continuerà a pensare che lì fuori c’è sempre qualcuna più bella, più attraente, più sexy di lei che potrebbe interessarti. E sarà talmente ostinata da non capire che quel “più”, tu l’hai già trovato in lei.>>
Jennifer arrossì palesemente e si ammutolì.
<< Okay, concetto afferrato. Milo? Alza il culo tesoro … siamo di troppo.>>, Dustin ci scherzò su.
<< Eccomi!>>, disse Quinn di ritorno, << Mi sono persa qualcosa?>>
<< No, niente di nuovo.>>, rispose Milo sorridendole.

 
Più tardi, Micky riaccompagnò Jennifer a casa.
<< Non hai più aperto bocca. Suppongo che il mio discorso ti abbia messo a disagio.>>, esordì Micky dopo aver spento il motore della macchina.
<< Più che a disagio, direi in imbarazzo. Nessuna mi aveva mai parlato così.>>, Jennifer si voltò per guardarla.
<< C’è sempre una prima volta.>>, Micky fece spallucce.
<< Comunque, non avevi tutti i torti.>>, Jennifer fece un respiro profondo, << Fin da ragazzina, nutrivo sempre un po’ d’invidia nei confronti di ragazze come Quinn. Insomma, lei è sicuramente una che non passa inosservato e penso che quelle come lei non si siano mai sentite goffe, a disagio, inappropriate. Lo so che “ci prova con te” per provocare me, anche se non ne capisco il motivo, ma il punto è che ci sa fare; sa come sedurre. E quindi poi penso che lesbiche così ce ne siano in giro… e che tu ne potresti restare affascinata e… andarci a letto.>>, confessò timidamente.
<< Non vado a letto con nessuna, J.J.>>
Calò il silenzio. Jennifer comprese che Micky le stava dando una fedeltà che lei non le aveva chiesto o preteso. E capì fino a che punto la amava.
<< Perchè ci tieni così tanto a farci diventare amiche? Non possiamo semplicemente essere Jennifer e Quinn che non si sopportano?>>
<< Per quanto mi divertano i vostri battibecchi… siete entrambe due persone importanti per me e mi piacerebbe vedervi andare d’accordo… o magari avere un rapporto un po’ più civile. E ti sbagli di grosso sul fatto che lei non si sia mai sentita strana o diversa. Siamo tutti un po’ difettosi in questo mondo.>>
Jennifer ci pensò su.
<< Grazie per la serata, comunque.>>, stava per salutare Micky con un bacio in guancia, quando quest’ultima non resistette alla tentazione di baciarla sulle labbra.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Dentro ad uno dei camerini della boutique - insieme con una cliente - Jennifer con il metro intorno al collo, tre spilli tenuti stretti tra i denti e uno nella mano destra, stava apportando alcune piccole modifiche all’abito da sposa indosso alla ragazza.
<< Avrei dovuto dar retta a chi mi ha detto che organizzare il proprio matrimonio consuma parecchie energie.>>, si lamentò la donna guardandosi allo specchio, << Hai fatto un ottimo lavoro con questo vestito e aver perso 6 kg ha rovinato tutto. Ti sto dando una scocciatura, scusami.>>
<< Ma figurati! Per me è una sciocchezza.>>, Jennifer le sorrise guardando verso lo specchio di fronte.
<< Se un giorno mai dovessi sposarti, ti dò un consiglio: non crearti aspettative. C’è sempre qualcosa che non va…>>
<< Come vorresti. So bene di cosa parli, ti ho già preceduto.>>, disse Jennifer mostrando la fede.
<< Da quanto?>>
<< Circa quattro mesi.>>
<< E com’è, essere sposata? A parte tutto il resto pre-matrimoniale, ovviamente.>>, dal tono della donna si poteva intuire chiaramente quanto volesse essere tranquillizzata.
<< E’… è bello.>>, Jennifer si schiarì la voce e poi cercò di mostrare un sorriso sereno.
<< Scusa la franchezza ma non mi sembri del tutto convinta.>>
<< Sai, i primi mesi sono quelli migliori e non te ne rendi neanche conto.>>, rispose sperando di essere stata convincente se non per se stessa, ma almeno per la sua cliente. Anche se con tutta sincerità avrebbe voluto risponderle tutt’altro modo. Avrebbe voluto dirle: “Non avere paura di avere dubbi o ripensamenti. Rifletti 300 volte prima di compiere un passo così importante. Forse a volte è meglio prestare attenzione alla propria insicurezza, a dare ascolto all’unica voce fuori coro che ti suggerisce di non fare il passo più lungo della gamba se non ne sei totalmente sicura. Altrimenti ti ritrovi incasinata e con il rischio che quello che dovrebbe essere il periodo più bello della tua vita, diventi quasi un incubo.”
<< Già, sarà così.>>, la donna sospirò.
<< Bene, ecco fatto!>>, Jennifer appuntò l’ultimo spillo nel corpetto, << Come vedi, devo solo ridurlo di qualche centimetro, nulla di che.>>
<< Grazie mille!>>
<< Ti lascio rivestire e ti aspetto di là.>>, disse Jennifer uscendo dal camerino. Tornò nello showroom e quando vi mise piede, si arrestò di colpo, pietrificata.
<< Papà!>>, esclamò con un flebile suono di voce.
Suo padre oltre a non aver mai messo piede in boutique, non si era neanche lontanamente avvicinato alle vetrine, fino a ora.
<< Posso entrare?>>
<< Non devi chiederlo.>>
Il signor Jones entrò e Jennifer avanzò verso di lui.
<< Se non è un buon momento, posso passare più tardi.>>
<< No!>>, Jennifer rispose quasi urlando. Stentava a credere che fosse lì, era un’occasione da cogliere al volo. << Puoi restare, tranquillo.>>
Comparve la donna con l’ansia da matrimonio e distese il vestito sul bancone più vicino a Jennifer.
<< Allora, aspetto la tua chiamata?>>
<< Vieni domattina! Sarà pronto.>>, rispose Jennifer.
La donna fece un cenno con la testa, la salutò e andò via.
<< Sei da sola?>>, chiese il signor Jones mentre si guardava attorno.
<< C’è Dustin. E’ sul retro, sta disegnando un modello.>>
<< Capito! Hai messo su davvero un bel negozio, brava.>>
Jennifer emozionata lo abbracciò senza pensarci oltre.
<< Non hai idea cosa significhi per me vederti qui, papà.>>
<< Sarei dovuto venire molto tempo prima.>>, ammise pentito. << Tesoro, mi dispiace davvero tanto di aver cercato di ostacolare il tuo sogno e non averti appoggiato. Non avrei mai dovuto comportarmi in quel modo. Mi dispiace.>>, guardò la figlia negli occhi.
<< Papà…>>
<< No Jenny, lasciami finire. In quegli anni credevo davvero che tu stessi sprecando il tuo tempo e la tua intelligenza in qualcosa che non ti avrebbe gratificato, ma tu mi hai dato prova del contrario. Hai talento, metti passione in ciò che fai e soprattutto lavori davvero sodo. Mi è capitato di ascoltare i discorsi tra tua madre e le sue clienti che non smettevano di congratularsi con lei perché le loro figlie o i loro figli, il giorno delle loro nozze hanno indossato abiti da far invidia. E questo mi ha fatto capire che ho aspettato fin troppo per poterti dire quanto sia orgoglioso di te.>>
Con gli occhi bagnati dalle lacrime, Jennifer lo abbracciò ancora una volta.
<< Il tuo opporti non è stato del tutto distruttivo, sai? Mi ha insegnato a essere indipendente, mi ha dato fiducia.>>
<< Sei diventata una gran donna, tesoro.>>
<< Grazie, papà.>>, si asciugò le lacrime.
<< Comunque non sono venuto qua solo per scusarmi. E’ da un po’ che non parliamo e volevo sapere come stai, come vanno le cose con Madison.>>
<< Onestamente? Dovrebbero andar bene, ma… non vanno bene.>>
<< Come mai?>>
<< Ultimamente discutiamo parecchio.>>
<< E’ normale! Capita in tutti i matrimoni, fidati… ho sposato tua madre.>>, rise.
<< Hai mai avuto dei dubbi? Sì, insomma ti sei mai chiesto se sposare mamma fosse stata la cosa giusta? Se lei era davvero la donna della tua vita?>>
<< Sì, qualche volta… ma dopo parecchi anni. Quando fai una scelta e ti penti subito di averla fatta… forse non è proprio la scelta giusta. Che succede, tesoro?>>
Si guardarono reciprocamente negli occhi.
<< Dimmi come va con la compagnia, invece?>>
<< Il peggio è passato. Far entrare Byron nel consiglio d’amministrazione mi è stato di grande aiuto.>>
<< Sono contenta.>>
Jennifer voleva tanto raccontargli tutto, certa che suo padre avrebbe capito e non l’avrebbe giudicata, ma il coraggio veniva meno.

Di sera, dopo la chiusura del negozio, prese un taxi per andare a casa. Era felice Jennifer: un piccolo arcobaleno era spuntato nel grigiore momentaneo che stava vivendo a livello sentimentale. Per questo sentiva il bisogno di condividere la sua gioia insieme a Micky, parlarle di persona. Sua moglie però la stava aspettando a casa. Mentre rifletteva sul da farsi, alcune gocce d’acqua colpirono il vetro dell’autovettura. Alla fine decise di andare da Micky, giusto il tempo di comunicarle la notizia e avrebbe fatto ritorno da Madison. Comunicò la nuova destinazione al taxista e si mise a guardare attraverso il finestrino la pioggia battente che scendeva su Manhattan.
Quando arrivò presso l’appartamento dell’amica, suonò due volte ma non ebbe risposta, allora prese il suo mazzo di chiavi ed entrò per aspettarla. Si sedette sul divano. Non cessò minimamente di piovere, anzi l’acqua si face sempre più insistente, pesante. Un’ora dopo, la porta si spalancò e dopo aver chiuso l’ombrello - lasciandolo sul pianerottolo - Micky entrò, ignara di trovarvi Jennifer che si buttò istintivamente tra le sue braccia.
<< Mio padre è venuto in boutique, oggi.>>
<< Sul serio?>>, Micky fu sorpresa.
<< Sì. E’ venuto a scusarsi per non avermi dato il suo appoggio in questi anni e dirmi che è fiero di come sono riuscita a realizzarmi professionalmente.>>
Micky la abbracciò con entusiasmo.
<< Sono felice per te, J.J.>>
Si trovarono faccia a faccia, con i loro nasi che si sfioravano.
<< Volevo dirtelo di persona e subito, senza aspettare. Ma ora... devo andare.>>, Jennifer deglutì.
Micky la stava guardando dritto negli occhi in un modo da farle sentire le farfalle allo stomaco.  Cercò di uscire, ma lei la ostacolò ponendosi davanti.
<< Resta!>>
<< Non posso!>>, Jennifer si spostò leggermente verso destra e contemporaneamente Micky imitò il suo movimento.
<< Sicura?>>
<< Sì!>>, abbassò lo sguardo.
Allora, Micky si spostò lasciandole libero il passaggio, allungò un braccio in segno di cortesia come a dirle che poteva andarsene. Però in quel preciso istante la luce nell’appartamento andò via e anche le luci di tutta Manhattan si spensero improvvisamente. New York City era in preda a un temporale pazzesco e un black-out generale.
<< Ora sei obbligata a restare.>>
Si guardarono, ci fu silenzio, e poi Micky baciò Jennifer. Con calma, facendo attenzione a non sbattere contro i muri o altro, si recarono in camera. Jennifer mise una mano tra i capelli di Micky mentre lei le sfilava il maglione per poi baciarle il collo, le spalle; la adagiò sul letto, e quando arrivò vicino la bretella del reggiseno, si fermò: alzò lo sguardo verso J.J. come se volesse avere il suo permesso e lei acconsentì con un lieve cenno del capo. Micky l’abbassò lentamente, baciandola appena sopra il seno, J.J. sussultò di colpo, ansimando e poi roteo su Micky in modo da trovarsi su di lei. Le baciò lo spazio che separa i seni e scese giù, fino ad arrivare all’ombelico. Con un dito tracciò la linea centrale che la condusse verso il primo bottone dei jeans, lo sbottonò e rapidamente le sfilò via l’indumento.
Fecero l’amore due volte quella notte con una dolce passione sfrenata: un cocktail di sesso e amore.


Here we are
Isn't it familiar
Haven't had someone to talk to
In such a long time
And it's strange
All we have in common
And your company was just the thing I needed tonight
Somehow I feel I should apologize
Cuz I'm just a little shaken
By what's going on inside
I should go
Before my will gets any weaker
And my eyes begin to linger
Longer than they should
I should go
Before I lose my sense of reason
And this hour holds more meaning
Than it ever could
I should go
I should go
Baby, I should go
It's so hard
Keeping my composure
And pretend I don't see how
Your body curves beneath your clothes
And your laugh
Is pure and unaffected
It frightens me to know so well the place I shouldn't go
I know I gotta take the noble path
Cuz I don't want you to question
The intentions that I have
I should go
Before my will gets any weaker
And my eyes begin to linger
Longer than they should
I should go
Before I lose my sense of reason
And this hour holds more meaning
Than it ever could
I should go
I should go
Baby, I should go
I don't mean to leave you with a trivial excuse
And when you call tomorrow, I'll know what to do
I should go
Before my will gets any weaker
And my eyes begin to linger
Longer than they should
I should go
Before I lose my sense of reason
And this hour holds more meaning
Than it ever could
I should go
I should go
Baby, I should go



N.B.: Il testo inserito in questo capitolo fa riferimento alla canzone "I Should Go" di Levi Kreis

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Non più tardi delle 7:30 del mattino, Jennifer rientrò in casa e vi trovò Madison dormiente sul divano. Si tolse le scarpe dai piedi per evitare di svegliarla con il rumore dei tacchi, ma la donna si svegliò comunque. Aveva passato tutta la notte ad aspettarla e quando fu allo stremo delle forze, crollò, addormentandosi con il desiderio di vedere sua moglie rincasare.
<< Jennifer, sei tornata finalmente.>>, si alzò di scatto andandole in contro.
<< Scusami, non volevo svegliarti.>>
<< Non fa niente. Stai bene? Dove sei stata? Il black-out ha interrotto tutte le linee di comunicazione, non sapevo come rintracciarti…>>
<< Sto bene! Ero passata da Micky ieri sera e quando stavo per andarmene, è scoppiato il diluvio. Così, sono dovuta restare a dormire da lei.>>
<< Bene, menomale, eri al sicuro.>>, la strinse a sé per poi baciarla, << Ammetto di essere andata un po’ nel panico non vendendoti tornare a casa. A un certo punto ho anche pensato che ti fosse successo qualcosa.>>
<< Mi dispiace. Sono stata un incosciente, dopo il lavoro sarei dovuta venire subito a casa, ma…>>, era mortificata e questo suo dispiacere era maggiormente accentuato dal senso di colpa.
<< Non fa niente, è acqua passata ormai… in tutti i sensi.>>, Madison sorrise, << Comunque, vado a farmi una doccia e poi scappo.>>
Nel frattempo Jennifer si recò in cucina per preparare la colazione: cucinò dei french toast, preparò una bella brocca di caffè fumante e dal frigo uscì del burro e della marmellata alle fragole. Cinque minuti dopo Madison entrò in cucina e addentò al volo una fetta di french toast.
<< Pranziamo insieme?>>, le chiese Jennifer.
<< No, sarà un’altra giornata impegnativa. Non so neanche se riuscirò a tornare per cena.>>, Madison la baciò e uscì da casa.
Non aveva molta voglia di andare a lavoro, Jennifer; perlopiù sentiva il bisogno di starsene un po’ per conto suo e rilassarsi. Così chiamò in boutique e avvertì Caroline. Fu proprio quest’ultima a recarsi da lei durante la pausa-pranzo.
<< Ciao Jenny!>>
<< Ehi, Caro. Qualche problema in negozio?>>
<< No, è tutto okay lì. Sono passata perché vorrei parlarti.>>, disse seriamente.
Si accomodarono sul divano.
<< Sono settimane che mi chiedo perché improvvisamente tu abbia smesso di confidarti con me. So bene che non mi consideri una sorella come ti considero io… insomma, hai Micky che è… praticamente tutto per te, ma sappi che mi mancano le nostre chiacchierate.>>, fece un mezzo sorriso, << Ho visto come l’essere andata a letto con la tua migliore amica ti abbia sconvolto, ma avverto che c’è qualcos’altro che ti turba, che non ti da pace e se non me ne parli, è perché evidentemente ho detto qualcosa di sbagliato.>>
<< Hai ragione! Ho smesso di confidarmi con te perché ultimamente mi sono sentita giudicata. Ogni volta che dalle mie labbra esce il nome di Micky, non fai che ripetermi che sono sposata e di considerare quel che è successo tra me e lei come “un piccolo incidente di percorso”.>>
<< E non è così?>>
<< All’inizio credevo lo fosse, invece più passa il tempo e più mi rendo conto che i miei sentimenti stanno cambiando. Mi spaventa il modo in cui penso a Micky, mi spaventa il fatto di essere attratta da lei e più di ogni altra cosa, mi spaventa l’idea che mi stia innamorando di lei.>>, confessò Jennifer esasperata.
<< Mi dispiace! Credevo di darti semplicemente la mia opinione, giudicarti era l’ultima cosa che volevo. Tutta questa storia ha spiazzato anche me. Non prendevo neanche in considerazione le battute di Dustin o Quinn, su voi due. Per me scherzavano e basta. E non avrei creduto che un giorno tu e Micky sareste finite addirittura a letto insieme.>>, ammise Caroline.
<< Non sei la sola.>>
<< Perché hai così tanta pausa di ammettere che te ne sei innamorata?>>
<< Oh, beh i motivi sono tanti…>>
<< Dico: a parte quelli più evidenti.>>
<< Perché è Micky. E’ semplice. Lei vuole delle cose e se io non fossi in grado di dargliele? Se non riuscissi a essere alla sua altezza? Che farei poi? Le direi: ci abbiamo provato Micky, ma non può funzionare perché io non vado bene per te? No, non esiste. Non potrei mai farle una cosa del genere.>>
<< Ti fai troppe paranoie. Penso che Micky ti ami per come sei e non per come dovresti essere.>>
<< C’è un’altra cosa.>>
Caroline attese che la cognata continuasse.
<< Brody ti ha parlato di quando la compagnia stava rischiando di fallire, vero?>>
<< Sì, certo.>>
<< E cosa ti ha detto, in generale o nello specifico?>>
<< Che il loro commercialista era riuscito a derubare quasi tutto il capitale.>>
<< E riguardo Byron Williams?>>
<< Mi ha detto di essersi offerto di aiutarli mettendo a disposizione il suo denaro in modo da non far perdere gli investimenti dei loro clienti.>>
<< Si è limitato a questo, quindi.>>
<< Sì, non è sceso nei dettagli, sai com’è tuo fratello in queste cose.>>, Caroline iniziò a insospettirsi, << Perché stiamo affrontando quest’argomento?>>
<< Non ti è sembrato strano che di punto in bianco, proprio Byron Williams, abbia deciso di essere così solidale e assumersi una responsabilità del genere?>>
<< No. Ho solo pensato che fosse un gesto nobile nei confronti della famiglia della fidanzata di sua figlia.>>
<< Beh, il fatto è che, non so come né quanto, il matrimonio tra me e Madison ha giocato un ruolo importante in tutta questa faccenda.>>
<< Stai scherzando?>>
<< Vorrei.>>
<< Cioè, mi stai dicendo che se tu e Madison non vi foste sposate, la compagnia avrebbe potuto fallire?>>
<< E’ probabile.>>
<< Non ci credo!>>, rimase a bocca aperta, << Madison ne è al corrente?>>
<< Lo escludo. Ha i suoi difetti ma non si spingerebbe fino a tanto. E poi le avevo già detto sì.>>
<< Qualcuno ha fatto pressioni?>>
Jennifer annuì.
<< Delia?>>
Jennifer annuì una seconda volta.
<< Oh mio dio!>>, Caroline stentò a crederci.
Jennifer sospirò.
<< E’ un gran bel casino, Caroline.>>

 
Mentre Jennifer e Caroline recuperavano il tempo perso, chiacchierando; Micky decise di andare a trovare la madre.
<< Ormai per poter passare del tempo con mia figlia devo fare domanda al Presidente!>>, Angela mise in tavola il piatto di pasta, dove era seduta Micky.
<< Greg, mia madre è amica di Obama e tu non sei geloso?>>
<< Non posso competere con il Presidente.>>
I due risero complici ma Angela sembrò ignorarli.
<< Comunque, hai ragione mamma ci siamo viste poco di recente quindi cercherò di rimediare quando potrò.>>
<< Sono abituata ormai agli orari particolari del tuo lavoro. Il punto è con chi decidi di passare il tempo libero.>>, la canzonò.
<< Dobbiamo proprio spostare l’argomento su J.J.?>>
<< Sì, dobbiamo! Perché continuate a vedervi e non di certo per fare le parole crociate…>>
<< Mamma, ho provato ad allontanarmi da lei e non è stato per niente facile.>>
<< Lo so Micky, ma io non ho messo al mondo una figlia che faccia l’amante e tanto meno non l’ho educata a intromettersi nei matrimoni altrui.>>, sentenziò duramente Angela.
<< Wow! Mia madre che riesce a farmi sentire un misero verme. Devo aver toccato il fondo.>>, lasciò andare la forchetta sul piatto, l’appetito le era passato in un batter d’occhio.
<< Tesoro…>>, Angela era visibilmente mortificata.
<< No, mamma ascolta: io capisco quello che vuoi dire, ti preoccupi per me e continuerò ad apprezzarlo anche quando avrò ottant’anni, tanto tu vivrai più di tutti noi, ne sono sicura.>>, sorrise, << Solo, cerca di capire me. Per mia fortuna sono una persona che non ha mai sentito la necessità di stare per forza con una donna solo per sentirsi bene con se stessa. E probabilmente questo mi ha aiutato a capire cos’è che voglio da una relazione. Quindi, non voglio assolutamente svegliarmi una mattina e pormi domande sul futuro che mi aspetta con la donna che c’è accanto a me. Io voglio svegliarmi, guardarla e desiderare di invecchiare insieme. Jennifer adesso è confusa. Le serve del tempo per capire perché il suo mondo si sia capovolto così. E’ la donna che amo. E se dovrò rinunciare a lei… beh, lo farò soltanto quando avrò la certezza che non c’è una sola possibilità di stare insieme. Ti prometto, che se i miei pensieri e le mie sensazioni si rivelassero solo illusioni, umilmente verrò a chiederti scusa per averti deluso così.>>, si allungò verso la donna per darle un bacio sulla fronte.
<< Se posso dire la mia: Micky non ha tutti i torti.>>, disse Greg, << Una vita di rimpianti non è vita, porta solo altri rimpianti. Tanto è vero che se io non avessi insistito con te, Angela, non sarei quì. La confusione spesso è un bene, serve a capire qual è la strada giusta per noi.>>, strizzò l’occhio a Micky.
<< La nostra situazione era ben diversa. Io non stavo più con il mio ex marito… ma, okay, ho capito, starò zitta e mi farò i fatti miei.>>
<< Impossibile!>>, replicò Greg, ridendo.
L’atmosfera si distese e poco dopo il cellulare di Micky squillò: la conversazione fu breve, si udì solo un “d’accordo” e prima di parlare Micky aspettò un istante.
<< Era l’avvocato di papà.>>, guardò la madre, << Domani lo rilasciano.>>

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Micky passeggiava nervosamente davanti all’ingresso del Metropolitan Correctional Center (il carcere federale situato nel downtown di Manhattan) in attesa che il padre uscisse. Sapeva che avrebbe dovuto aspettare un altro anno prima di rivederlo e la notizia improvvisa della sua scarcerazione l’aveva trovata impreparata. Ci si sente sempre in bilico quando qualcosa ci coglie di sorpresa.
Albert DeLuca uscì dall’edificio dove era stato rinchiuso per ben cinque anni, accompagnato da una guardia. Padre e figlia andarono l’una incontro all’altro e si abbracciarono stretti.
<< E’ bello rivederti, Micky.>>, esordì l’uomo quasi commosso.
<< Anche per me, papà.>>, gli sorrise, << Come stai?>>
<< Libero!>>, rispose sollevato.
<< Chiamo un taxi e andiamo a prenderci un caffè, okay?>>
<< Sì, ma se non ti dispiace, vorrei passeggiare un po’. Non ho mai sentito il bisogno di camminare per la città, come oggi.>>
 Micky annuì e s’incamminarono.
<< L’avvocato mi ha accennato che ti hanno ridotto la pena per aver collaborato. Quando si è svolto il processo? Perché non mi hai fatto sapere nulla? Sarei venuta, lo sai.>>
<< Proprio per questo ho chiesto espressamente al mio avvocato di non dirti niente. Volevo che restassi lontana da tutto ciò. Avevi già fatto abbastanza venendomi a trovare tutte le volte.>>, abbozzò un sorriso.
<< Era il minimo. Non ti avrei lasciato da solo, papà.>>
Anni addietro, la pasticceria della famiglia DeLuca attraversò un periodo di crisi, aggravato da qualche debito con alcuni fornitori. Per far fronte alle spese, Albert si ritrovò a fare affari con gente poco raccomandabile e fu poi condannato per detenzione e spaccio di droga.
 
Lungo i marciapiedi di Manhattan camminavano anche Jennifer e la madre Delia.
<< Dunque cara, non dimenticarti di inviare il fax di conferma per la partecipazione. Anche se è solo una formalità…>>
<< Sì, mamma. Lo farò subito appena tornata in boutique.>>
<< Ho già parlato con l’organizzatrice e fortunatamente per quest’anno sono riuscita a farti avere l’angolo più ampio dove poter esporre i tuoi abiti.>>
<< Andava bene anche quello degli anni precedenti.>>
<< Sciocchezze! A tal proposito, Jennifer, non che voglia intromettermi nel tuo lavoro, ma penso che dovresti dare un tocco di classe ai tuoi abiti.>>
<< Cosa c’è che non va nei miei abiti? Li hai sempre adorati.>>
<< E continuo a trovarli meravigliosi, ma poiché quest’anno hai l’opportunità di metterli in mostra più notevolmente, dovresti iniziare ad attirare anche una clientela più…>>
<< Raffinata?>>
<< Sì, esatto.>>
<< Senti, mamma…>>, Jennifer stava per controbattere ma la donna la ignorò del tutto.
<< Oh, ecco. Entriamo qui e beviamo qualcosa.>>, disse mentre passavano di fronte ad una caffetteria.
 Jennifer alzò gli occhi al cielo ed entro insieme alla donna. In quello stesso posto avevano scelto di fare colazione Micky e il padre.
<< Perfetto! C’è un tavolo libero lì in fondo. Vieni, Jenny.>>
<< Aspetta! C’è Micky…>>, Jennifer accortasi della loro presenza li raggiunse. Delia seguì la figlia ma si mantenne a distanza.
<< Signor DeLuca!>>,
Sentendosi chiamare, l’uomo girò il capo e vedendo la ragazza si alzò per salutarla.
<< Ehi, Jennifer.>>, sorrise entusiasta.
<< Salve, non mi aspettavo di vederla. Sua figlia non mi ha detto nulla.>>, lanciò un’occhiata sorpresa verso Micky.
<< Oh, beh… non prendertela con lei. Ha saputo tutto all’ultimo minuto.>>
 In quel momento, anche Micky si alzò dalla sedia e baciò Jennifer su una guancia.
<< Tua madre è consapevole che in carcere non si contagia la lebbra e che non sarebbe giustiziata se si facesse vedere in nostra compagnia?>>
<< Mi scusi, signor DeLuca…>>, Jennifer di sottecchi guardò in direzione della madre, sentendosi mortificata.
<< Tranquilla! Dovrò fare i conti con gli sguardi e i pettegolezzi della gente, d’ora in poi. E comunque, non devi essere tu a scusarti.>>, le sorrise per rassicurarla, << Ah, ho saputo del matrimonio. Auguri, anche se con parecchio ritardo.>>
<< Grazie! Sono davvero contenta di rivederla. Adesso vi lascio… avrete sicuramente tante cose da dirvi.>>, abbracciò Albert, << E tu, chiamami appena puoi.>>
<< Okay!>>, le rispose Micky.
Tornati a sedersi, padre e figlia, ripresero la conversazione interrotta.
<< Da un lato è confortante sapere che certe cose siano tali e quali a come le avevo lasciate: Jennifer è sempre la bellissima ragazza solare che conosco e Delia Jones è sempre la stessa… Delia Jones.>>
<< Oh, andiamo papà, puoi dirlo: è sempre la solita stronza snob.>>, aggiunse Micky ridendo.
<< Tua madre come sta? In pasticceria come procede?>>, chiese l’uomo tentennando.
<< Tutto sommato le cose in pasticceria vanno bene. E anche mamma sta bene. E’… è felice.>>
<< Bene! E’ bello sentirlo dopo quello che è successo.>>, Albert fece una pausa e cercò di mettere in ordine le parole che stava per dire, << Io so bene che oramai sei una donna adulta e questo discorso potrei anche non fartelo, ma ci tengo davvero tanto a dirti che mi dispiace. Mi dispiace che a causa della mia debolezza e vigliaccheria abbia rovinato la nostra famiglia, il matrimonio con tua madre… e soprattutto mi dispiace averti deluso ed essermi perduto gli ultimi cinque anni della tua vita.>>, scostò lo sguardo verso la finestra, guardando fuori, trattenendo le lacrime, << Ogni giorno che passavo in carcere, mi ripetevo che avrei dovuto essere un padre e un marito migliore e il mio unico desiderio era di impegnarmi con tutto me stesso, una volta uscito, a essere, almeno, quel tipo di padre. Mi dicevo: “Al, hai tirato su una ragazza in gamba.... glielo devi.”>>
<< Papà, tu non mi devi niente. All’inizio è stata dura. Non volevo credere che avevi trascinato la tua famiglia in un incubo simile. Mamma è sempre stata una donna forte, una combattente… e, in quel periodo, vederla soffrire… mi ha fatto male e ti ho odiato per questo. Ma poi ho capito e ti ho perdonato. Hai fatto uno sbaglio, non perché avessi intenzione di farlo, ma perché hai pensato di agire a fin di bene per noi. La cosa ti è sfuggita di mano e anche se hai preso una decisione sbagliata, non mi sono mai vergognata di te. E non ho mai desiderato di avere un padre migliore… perché hai sempre fatto di tutto per non farmi mancare niente. E’ grazie a te e alla mamma se sono quello che sono. La vita, i miei amici mi hanno insegnato tante cose, ma quelle fondamentali, i principi, i valori… questi me li avete insegnati voi due. Quindi non devi più sentirti colpevole di niente nei miei riguardi… hai già scontato la tua pena. Adesso, l’unica cosa che dobbiamo fare e continuare a vivere il tempo a nostra disposizione. Il passato è passato.>>
Albert annuì stringendo la sua mano a quella di Micky.
<< Senti, non te l’ho chiesto prima, ma… hai un posto in cui stare? Puoi venire da me, altrimenti.>>
<< No, grazie. Il mio avvocato è riuscito a trovarmi un appartamento in affitto… non è il massimo, ma sempre meglio di una cella carceraria.>>, abbozzò un sorriso.
<< D’accordo. Comunque, va a trovare mamma, dopo che ti sarai sistemato. Sono sicura che le farà piacere.>>, gli strizzò l’occhio e l’uomo annuì.


Le luci all’interno della boutique erano spente da quasi due ore. Dentro, però, c’era ancora Jennifer che aveva deciso di fermarsi ben oltre l’orario di lavoro. Il suo ufficio nel retro del negozio sembrava essere stato messo sotto sopra da alcuni vandali: quantità industriali di tessuto grezzo di cotone gettato per terra; bozzetti sparsi qua e là sopra il tavolo, alcuni ammucchiati nel cestino dell’immondizia; una decina di manichini vuoti a occupare ogni spazio libero. Uno soltanto si stava vestendo di tessuto. Jennifer era alle prese con la tecnica del “Moulage”, in cui il tessuto è direttamente adattato sul manichino dando la forma desiderata. Una tecnica istintiva e creativa, che permette di ottenere armonia tra il tessuto e il disegno e dare una visione reale del modello stesso.
<< Dannazione!>>, Jennifer si era accidentalmente punta un dito. Uscì un po’ di sangue e si allontanò per prendere un cerotto dal tavolo.
<< Ti sei fatta male?>>, esordì Micky entrando.
<< Oddio! Sei tu.>>, Jennifer sobbalzò,
<< Già! Per questa volta ti è andata bene. Chiudi bene la porta d’ingresso quando resti a lavorare più a lungo. Soprattutto da sola.>>
<< Ero presa da tutt’altro e me ne sono dimenticata.>>
<< Cos’è successo qui dentro?>>
<< Niente. Non succede proprio niente. In sei ore sono riuscita a mettere su solamente un misero abito da sposa.>>, lo indicò con una mano.
<< Io non lo definirei misero. E’ bellissimo, invece. Mi piace.>>
<< Eh no, non basta. Deve essere molto di più... e non solo questo. Tutti quelli che dovrò fare, dovranno essere gli abiti da sposa più splendidi che si siano mai visti nella storia dei matrimoni. Altrimenti mia madre avrà un motivo in più per ripetermi che non valgo nulla.>>, ribatté Jennifer irrequieta.
<< Hmm… immaginavo avesse a che fare con lei.>>
<< Partecipiamo anche quest’anno all’Expò della Sposa nel New Jersey. E mia madre è riuscita a farmi ottenere il padiglione più grande e più in vista. Quindi, se non riesco a creare dei modelli come lei si aspetta, puoi star certa che mi rinfaccerà tutto.>>
<< Sei un fascio di nervi. Hai bisogno di prenderti una pausa dalla Delia-follia.>>, Micky mise le sue mani sulle spalle di Jennifer e iniziò a massaggiarle.
<< Allora raccontami di questa mattina. Com’è andata con tuo padre?>>
<< Piuttosto bene. Tutta la faccenda è stata improvvisa. L’ultima volta che ero andata a trovarlo in prigione non mi aveva parlato di una sua possibile scarcerazione. E ieri sera, invece, ho ricevuto la notizia dal suo legale. Ma fa lo stesso, sono contenta che sia di nuovo un uomo libero, che riprenda la sua vita e che sia tornato nella mia quotidianità.>>, Micky sorrise.
<< Ho sempre ammirato il tuo modo di affrontare i problemi.>>, confessò Jennifer, << Tuo padre finisce in prigione, la pasticceria di tua madre rischia di chiudere. Poi, i tuoi si separano… e dopo un po’ tua madre ha un altro uomo accanto. Io avrei dato di matto. Lo so che non è stato per niente facile per te, ma ho visto come hai gestito la cosa: hai mantenuto equilibrio, ti sei fatta forza… e in mezzo a tutto questo caos sei riuscita a diventare un ottimo medico. Mi hai stupita, allora.>>
<< Non mi sopravvalutare così. Il sostenerci l’un l’altra con mia madre, era l’unico modo possibile per andare avanti. E se ce l’ho fatta, è anche perché ho avuto accanto te… Quinn, Dustin e Milo. Ma tu, più di loro, sei stata la mia ancora di salvezza.>>
Jennifer allungò una mano per accarezzarle il viso.
<< Non sai quanto vorrei baciarti in questo momento.>>, Micky le fissava le labbra con desiderio.
<< Fallo!>>
<< Non posso!>>
<< Perché?>>
Micky le prese la mano sinistra sollevandola quanto basta.
<< Per questa.>>, passò il pollice sopra la fede, << E’ una continua lotta: prima contro i miei sentimenti, ora contro ciò che vorrei fare ma non devo.>>
Incrociarono i loro sguardi. Un istante dopo, Micky la portò vicino all’ammasso bianco di seta.
<< Quest’accozzaglia ti serve?>>
<< Uno: è seta. Due: hai idea quanto mi sia costata quest’accozzaglia?>>, le lanciò un’occhiataccia.
<< Okay, scusa, non mordere. Anche se sei sexy quando ti arrabbi.>>
<< Quanto puoi essere ruffiana?>>
<< Non più di quanto pensi tu.>>, Micky spalancò un sorriso, << Okay, vieni qua “Miss Arrossisco a ogni parola!”>>, la invitò, dapprima a sedersi e poi a sdraiarsi insieme, << Ora chiudi gli occhi, rilassati. Immagina di essere sdraiata sopra una nuvola e sei libera. Libera di fare ciò che vuoi. Non sei la moglie di nessuno, la figlia di nessuno, l’amica di nessuno. Solo Jennifer.>>

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Due settimane dopo

 
<< Dottoressa DeLuca?>>, un uomo e una donna andarono – frettolosamente - in contro a Micky, non appena la videro uscire dall’ascensore.
<< Dottoressa, buongiorno. Si ricorda di noi?>>
<< Pete e Margaret Wilson. Certo che sì! Come potrei dimenticarmi proprio di voi?>>, strinse la mano a entrambi.
<< Ci fa piacere!>>, rispose l’uomo.
<< Come state? La piccola Frankie?>>
<< Oh, beh … insomma. Purtroppo è un brutto periodo.>>
<< Che succede? Ditemi.>>, Micky guardò entrambi preoccupata, << E’ per caso incinta Magaret e qualcosa non va?>>
<< No, no. Non sono incinta. Io e Pete, fisicamente stiamo bene.>>
<< Si tratta di nostra figlia.>>, intervenne Pete Wilson, << Frankie… lei…la nostra bambina sta per morire.>>, confessò a fatica stringendo la mano della moglie nella sua.
Fu come un fulmine a ciel sereno per Micky, sbiancò in un attimo.
<< Oddio! Mi… mi dispiace. Che cos’ha?>>
<< Leucemia. Le è stata diagnosticata due anni fa.>>, rispose Pete Wilson, << C’eravamo trasferiti da pochi mesi in Germania, quando è successo. Frankie ha iniziato la chemioterapia e inizialmente sembrava funzionare, ma poi il dottore che la seguiva, attraverso le analisi aveva riscontrato che si trattava di leucemia nella forma linfoblastica acuta. In questo caso…>>, andando avanti con la spiegazione gli venne un groppo in gola.
<< Le cellule tumorali crescono in maniera più rapida.>>, proseguì Micky a malincuore.
<< Abbiamo tentato ogni tipo di cura.>>, l’uomo riprese a parlare, << Stupidamente abbiamo anche pensato che in un ospedale diverso, magari migliore, avrebbe potuto guarire. Siamo qui per questo…>>
<< Ma non è altro che una sofferenza continua per lei, per noi. E’ straziante, dottoressa.>>, aggiunse Margaret Wilson.
<< Io non so cosa dire, oltre che mi dispiace davvero. Sapete… ho sempre nutrito un particolare affetto per la piccola Frankie, sarà perché è stata la prima bambina che ho fatto nascere. Tutto questo è ingiusto.>>, disse guardandoli negli occhi, << Mi piacerebbe conoscerla, se per voi va bene.>>
<< Certamente!>>, rispose Margaret Wilson.
Si recarono al quinto piano dell’ospedale, presso il reparto di Oncologia Pediatrica. Nella stanza 230 si trovava la piccola Frankie Wilson. Colorava su di un album le sagome disegnate di “Hanna Montana”.
<< Tesoro? C’è una persona che vorrebbe conoscerti.>> , le disse la madre non appena entrarono.
Frankie distolse lo sguardo dal disegno e li guardò. Micky fece qualche passo in più e si sedette sul bordo del letto.
<< Ciao Frankie. Sono la dottoressa DeLuca. Ma tu puoi chiamarmi Micky.>>
<< Ciao dottoressa Micky!>>, le sorrise, << Sei la dottoressa che ha aiutato la mia mamma a farmi nascere?>>
<< E’ molto sveglia. La sa lunga su molte cose.>>, sussurrò Pete Wilson.
<< Beh, sì. Sono proprio io.>>
<< Fico!>>, disse Frankie entusiasta.
<< Allora, cosa stai colorando?>>
<< Hanna Montana. Però lei in realtà non si chiama così. E’ Miley Cyrus. E quando recita diventa Hanna Montana. Tu la conosci?>>
Micky rimase stupita dall’attenta spiegazione della bambina.
<< Sì, la conosco. E’ la tua cantante preferita?>>.
Frankie rispose di sì con la testa mentre riprendeva a colorare.
<< Sai dottoressa Micky, il mese scorso papà e mamma mi hanno portato a un suo concerto. E’ stato bellissimo.>>
<< Sono contenta che tu ti sia divertita. Posso aiutarti?>>
La bambina prese la matita color giallo e la diede a Micky.
<< Ha i capelli biondi.>>, le disse sorridendo.
Circa mezz’ora dopo, il pediatra oncologo che seguiva il caso, il dottor Kent, bussò alla porta.
<< Signori Wilson? Scusate, dovrei parlarvi un momento.>>
Pete e Margaret uscirono dalla stanza, seguiti da Micky.
<< Dottoressa DeLuca! Lei che ci fa qui?>>, chiese piuttosto sorpreso.
<< Conosco i signori Wilson. Margaret è stata una mia paziente e ho saputo della figlia…>>
<< Capisco!>>, il dottor Kent si schiarì la voce, << Ho visto i risultati delle ultime analisi. Purtroppo non hanno un esito positivo: non c’è più nulla da fare.>>
<< Quanto le resta?>>, Micky capì il momento delicato e si prese la briga di porre la domanda che un genitore in una situazione del genere, non vorrebbe mai fare.
<< Una settimana e qualche giorno… al massimo.>>, il dottor Kent, dal canto suo, rispose con le parole che un genitore in una situazione del genere, non vorrebbe mai sentire.
Pete e la moglie si strinsero in un abbraccio, i loro occhi si riempirono di lacrime. Questa era la sentenza definitiva.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


<< Micky!>>
<< Ciao Madison. Jennifer è in casa?>>
<< Sì, è rientrata pochi minuti fa. E’ sotto la doccia adesso. Ma vieni, entra pure.>>
<< Grazie!>>, Micky fece un mesto sorriso ed entrò.
<< Scusa se piombo così all’improvviso e a quest’ora. Non ero neanche sicura di trovare J.J., ma dovrei parlarle.>>
<< Figurati, nessun problema. Stavo per aprire una bottiglia di vino, te né verso un bicchiere?>>
<< Sì, grazie.>>
<< Non hai una bella cera. Giornata difficile?>>, Madison stappò la bottiglia di vino rosso, riempì metà dei due bicchieri e uno lo porse a Micky.
<< Abbastanza. Oggi ho saputo che una bambina che ho fatto nascere sei anni fa… sta per morire.>>
<< Oh!>>
<< Già.>>
Calò il silenzio, entrambe fissarono il pavimento, immerse in chissà quali pensieri. Poi, Madison riprese a parlare.
<< Forse rischio di risultare pesante anche con te, ma vorrei chiederti un parere.>>
Micky la guardò in attesa.
<< Secondo te, Jennifer vorrà mai avere un figlio?>>
<< Penso di sì. Arriverà il giorno in cui capirà che non diventerà come sua madre. Voglio dire, se penso a lei e al modo in cui è cresciuta avendo come madre un tipo come Delia… non è da biasimare. Sempre a dimostrarle di essere degna di essere sua figlia. E’ normale che si senta insicura.>>
<< Quindi la colpa è di mia suocera. Bene!>>, Madison sorrise ironica.
<< Anche lei fa parte del pacchetto.>>
<< Dovete spiegarmi perché le poche volte che v’incontrate, finite sempre col parlare di me.>>, esordì Jennifer.
<< Probabilmente perché è l’unica cosa che abbiamo in comune.>>, Madison si avvicinò e la baciò sulla guancia.
Sia Micky sia Jennifer si guardarono negli occhi come se il momento di vedersi fosse stata l’unica cosa desiderata in tutta la giornata.
<< Okay, sono un po’ stanca. Vado a letto. Ti aspetto.>>, sussurrò all’orecchio della moglie, << Notte Micky.>>
<< Notte Madison.>>
<< Che succede?>>, chiese Jennifer, mettendo una mano sul braccio dell’amica.
<< Scusa, sarai stanca per il viaggio… solo che, ho veramente bisogno di te!>>, Micky le rispose con un filo di voce.
Si spostarono verso il salotto e si sedettero sul divano. Micky bevve un altro sorso di vino per poi poggiare il bicchiere sul tavolino di fronte, mise i gomiti sulle sue ginocchia, si sfregò le mani e prendendo un bel respirò iniziò a raccontare tutto a Jennifer.
<< Questo pomeriggio è venuta in ospedale una mia vecchia paziente, insieme col marito. Mi ha fatto un enorme piacere rivederli, è stato un po’ un tuffo nel passato. Lei è stata la prima dopo la laurea. Scoprì di essere incinta, ma sfortunatamente perse il bambino un mese dopo. Ci riprovò, rimase incinta una seconda volta, ma ebbe un altro aborto spontaneo. Quel giorno, era presente anche il marito e ricordo ancora nei loro occhi la disperazione del non riuscire ad avere un figlio. Al terzo tentativo, poi andò tutto bene.>>, fece una pausa, << Oggi, però, ho rivisto quella disperazione. Sembrava che si stessero chiedendo perché la vita ha deciso di punirli portandogli via la figlia che tanto avevano desiderato in passato.>>, i suoi occhi s’inumidirono.
<< Cos’è successo alla bambina?>>
<< Sta morendo di leucemia. Sai, l’ho conosciuta. Si chiama Frankie ed è una bambina intelligente, sveglia, sorridente. Ma anche se non fosse tutto questo, è solo una bambina e dovrebbe avere l’opportunità di vivere la sua vita. Dovrebbe poter andare a scuola e studiare, fare amicizia, giocare con i suoi coetanei e poi andare al collage o fare altro, innamorarsi. Questotutto questo non è giusto. Non è giusto, J.J.>>, scandì con un pizzico di rabbia queste ultime parole.
Jennifer le cinse il collo con un braccio, stringendola a sé.
<< Dimmi del New Jersey, è andata bene? Devo distrarmi, quindi raccontami anche i dettagli più insignificanti.>>
<< Okay! Beh, direi che è andata abbastanza bene.>>, Jennifer le raccontò di aver trovato alcune nuove clienti, di aver venduto alcuni abiti esposti e dell’esilarante battibecco che la madre ebbe con un ragazzo del catering. Quando si accorse che Micky era in preda alla stanchezza e che le palpebre dei suoi occhi si chiudevano da sole, la invitò a sdraiarsi.
<< Forse è il caso che torni…>>
<< No. Resti qui.>>, detto ciò si sdraiò anche lei.

Il mattino successivo Micky si svegliò ritrovandosi nell’abbraccio di J.J. . Si alzò lentamente, scostandosi con cautela per non svegliarla; d’altronde erano solo le 7:00 am. Camminò verso la cucina e preparò del caffè. Se ne versò una tazza e bevve a piccoli sorsi: era bollente. In quel momento, Jennifer ebbe un brusco risveglio: si mise a sedere di scatto e guardò intorno in cerca di Micky.
<< Sono quì.>>, avvisò Jennifer, raggiungendola e si sedette accanto a lei. << Buongiorno!>>,  le sorrise.
<< Ciao!>>, Jennifer ricambiò il sorriso, sollevata.
<< Hai avuto un incubo?>>
<< No o si… non lo so, è successa una cosa strana…>>, sembrava turbata, << Non sentivo più il tuo corpo contro il mio… e ho avuto la sensazione di sprofondare.>>
Avvicinandosi prontamente con la testa, Micky le diede un bacio delicato sulle labbra.
<< Adesso che sensazione hai avuto?>>
<< Direi migliore! Che ora è?>>
<< Le 7:05. Credo che Madison sia già uscita.>>
<< E’ andata a correre.>>
<< Jogging mattutino? Non lo farei neanche sotto tortura. Preferisco il sessallenamento.>>, sorrise maliziosa.
<< Il s-e-s-s-a-l-l-e-n-a-m-e-n-t-o. Solo tu potevi coniare un termine del genere.>>, scosse la testa ridendo.
<< Beh, ho unito l’utile al dilettevole. Comunque, dovresti tornare a dormire. E’ ancora presto per te.>>, disse Micky alzandosi. Tornò in cucina e lasciò la tazza nel lavandino. Poi si diresse verso l’ingresso.
<< A quante donne regalerai la gioia, oggi?>>
<< Tre, sicure.>>
<< Quindi lavorerai tutto il giorno?>>
<< No, faccio il turno di mattina ma credo di prolungarlo e restare in ospedale. Sai, nel caso in cui i Wilson avessero bisogno… voglio tenermi a disposizione.>>,
<< Ma stai meglio?>>,
<< Sì, tranquilla.>>, mise la mano sulla maniglia della porta, la aprì e mentre stava per uscire, si fermò ancora un attimo voltando lo sguardo verso Jennifer, << Vorrei tante altre notti e tante altre mattine come queste.>>


La porta della stanza 230 era aperta. Micky bussò prima di entrare.
<< Ciao Frankie!>>
La piccola guardava la TV, si voltò verso la donna non appena la vide.
<< Ciao dottoressa Micky.>>, mostrò un ampio sorriso.
Margaret Wilson dormiva ancora nel letto accanto a quello della figlia, ma sentendo le loro voci aprì gli occhi e si raddrizzò.
<< Dottoressa! Salve.>>, cercò di darsi una sistemata.
<< Scusi, non volevo svegliarla. Sono solo passata per dare una cosa a Frankie.>>, teneva nella mano destra una borsa di plastica di un negozio d’abbigliamento.
<< Non si preoccupi. In realtà stavo facendo un sonno a metà… mi tengo sempre vigile.>>
<< Capisco! Comunque, questa è per te.>>, diede la borsa alla bambina, << Spero ti piaccia.>>
Frankie tirò fuori il contenuto e la sua espressione entusiasta parlò da sé. Era una maglietta con una foto di Hanna Montana accompagnata dalla scritta “Rock Star”.
<< Wow! E’ fantastica. Grazie dottoressa.>>
<< Prego. Puoi anche indossarla se ti va e se qualche infermiera dovesse dire qualcosa, tu dille che ti ho dato il permesso io, okay?>>
<< Okay. Mamma mi aiuti a metterla?>>
<< Certo, tesoro. E’ stata davvero carina, dottoressa.>>
<< Si figuri.>>, le sorrise, << Senta Margaret, vorrei parlarle di una certa questione.>>
<< Va bene.>>
<< Frankie, parlo un po’ con la tua mamma, adesso. Noi due ci vediamo più tardi, okay?>>
Frankie annuì e la salutò agitando la mano. Le due donne si spostarono verso la porta in modo tale da poter parlare in tranquillità.
<< Volevo dirle che può riferire a suo marito che coprirò io le spese mediche della vostra assicurazione. In realtà avrei voluto fare ben altro, qualcosa che avrebbe potuto aiutare Frankie…>>
<< Oh, no, dottoressa. Apprezzo il suo gesto, la sua generosità, ma questo è troppo. Io e Pete non possiamo…>>
<< La prego Margaret. E’ il minimo.>>, Micky la guardò negli occhi. << Voi due dovete solo passare il tempo che vi rimane assieme a vostra figlia. Alla burocrazia ci penso io.>>
Margaret era ancora titubante. Poi, però, commossa si convisse ad accettare l’offerta.
<< Grazie!>>, disse mentre abbracciò Micky.
<< Non c’è di che! Adesso il dovere chiama.>>, Micky guardò l’orologio sul suo polso, << Tra cinque minuti esatti inizia il mio giro di visite. Ci vediamo più tardi.>>

Come dichiarato, Micky andò a trovare Frankie verso sera. E il giorno dopo fece altrettanto. E anche il giorno dopo ancora. Andò a trovarla tutti i giorni, prima di un parto, prima del giro visite e dopo aver terminato di lavorare. In sostanza, il divano del suo studio diventò il letto in cui dormire. Questa routine andò avanti fino al momento in cui il cuore della piccola Frankie smise di battere.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Oscar Wilde scrisse: “Le sensazioni sono i dettagli che compongono la storia della nostra vita.”




 


 
Arrivò San Valentino e Jennifer era quasi pronta per andare a cena fuori con Madison. Quando la moglie, il giorno prima, le disse di aver prenotato un tavolo in un ristorante, si stupì che avesse scelto di concedersi del tempo da passare insieme. Ormai erano talmente rari, anzi rarissimi, i momenti trascorsi assieme come coppia, che si abituò alla sensazione di vivere intrappolata in un matrimonio che la soffocava ogni giorno di più. Mentre s’infilava le scarpe - seduta sopra il letto - il telefono di casa iniziò a squillare, così allungò una mano sul materasso e rispose, reggendo l’apparecchio tra il collo e la spalla.
<< Pronto?>>
<< Jennifer, sono io.>>, la voce di Madison uscì dall’apparecchio.
<< Okay, sono pronta. Sto scendendo.>>
<< No, aspetta tesoro. Non sono sotto casa.>>
<< Ah! Ma sei comunque per strada?>>
<< Sì, sono per strada ma non per venire a prenderti. Non ti arrabbiare, ma dobbiamo disdire la cena.>>
<< Scusami? Avevi promesso che almeno per questa sera ti saresti liberata da ogni impegno.>>
<< Lo so e mi dispiace, ma è appena atterrato da Los Angeles, Patrick Porter. Devo giocare d’anticipo per convincerlo a organizzare la sua sfilata a “Fashionable”. Sto andando in aeroporto per poi portarlo a cena fuori. E’ importante, cerca di capire.>>
<< Già, come sempre.>>
<< Giuro che mi farò perdonare. Se mi aspetterai, quando sarò a casa, cucinerò per te.>>
<< Sì… chissà a che ora rientrerai.>>, Jennifer sbuffò chiudendo gli occhi per un secondo. << Senti, lascia stare. Concludi questo fondamentale affare.>>, riagganciò.
Sconsolata prese il suo cellulare, scrisse un sms per sfogarsi e lo inviò a Dustin: intavolarono una breve discussione. Poi si tolse via i vestiti, s’infilò direttamente il pigiama, andò in cucina e dal freezer tirò fuori un barattolo di gelato al cioccolato. Sollevò il coperchio, prese un cucchiaio e si diresse verso il salotto, con il solo scopo di consolarsi mangiando il gelato guardando un film.
Intorno alle 22:00 circa, sentì suonare il campanello. Controvoglia si alzò e andò ad aprire la porta.
<< Oh! Ciao.>>, disse sorpresa mentre con una manica si asciugava il volto bagnato.
Prima di risponderle Micky la guardò con aria interrogativa.
<< Ti prego, non dirmi che stai guardando Ghost proprio oggi.>>
<< Sì.>>, la guardò di sottecchi, << Come mai qui? Non dovresti essere in ospedale?>>
<< Beh, avevo un intervento ed è andato tutto bene. Tre delle mie pazienti hanno già partorito e per l’ultima ci vorranno almeno altre quattro ore; non è ancora del tutto dilatata.>>, rispose Micky entrando in casa. << E poiché qualcuno ha saputo che la tua serata è saltata… ho pensato che era il caso di rimediare.>>
Jennifer la guardò intensamente negli occhi provando a cercare una spiegazione razionale al fatto che Micky riuscisse sempre a trovare il modo di sorprenderla in qualunque situazione si trovasse.
<< Perché quello che dovrebbe fare Madison, lo fai tu?>>
<< Cioè?>>, chiese Micky curiosa.
<< Come puoi notare lei non mette da parte il suo lavoro per me...>>
<< Mentre io, sì?>>, rispose di rimando.
<< Beh, avresti potuto e dovuto restare in ospedale, invece sei qui.>>
<< Pensavi che non avrei mantenuto la promessa, adesso che sei sposata?>>
Anni addietro Micky le aveva promesso che (fidanzate di turno permettendo) non le avrebbe fatto trascorrere un solo San Valentino da sola.
<< Ti sono grata del fatto che mantieni la promessa, però detto sinceramente non sei costretta a farlo, considerando che odi San Valentino.>>
<< Mettiamola così: adoro vederti entusiasta. E poi, io non odio San Valentino… penso solo che sia l’ennesimo inno al consumismo e mentre tutti credono di esaltare “l’amore” in questo giorno, credo che facciano l’esatto contrario. J.J., io ti amo ogni giorno da quattro anni, pensi sul serio che oggi il mio sentimento possa essere maggiore solo perché qualcuno ha proclamato il 14 febbraio “la festa degli innamorati”? Fosse così, sarebbe riduttivo e patetico. Se tu fossi la mia ragazza o mia moglie, non perderei occasione per dimostrarti quanto sia bello averti accanto come compagna di vita.>>
Jennifer rimase impietrita; le venne la pelle d’oca.
<< Comunque, è il caso che tu vada a cambiarti.>>, riprese Micky.
<< Dove andiamo?>>
<< Ti porto a cena fuori.>>


Quella sera Central Park era affollato: in mezzo a fidanzati e coppie sposate, loro due. Qualsiasi cosa fossero, in quel momento era superfluo. Jennifer sentiva di essere felice e non avrebbe voluto essere da nessun’altra parte; di questo era certa. Distesero un telo sul prato e una volta sedute, Micky uscì da una busta di carta i contenitori take-away del ristorante cinese nel quale si erano fermate durante il tragitto.
<< Spaghetti di soia misto mare e l’immancabile biscotto della fortuna, per te>>, lo porse a Jennifer, << E spaghetti di soia misto carne e biscotto della fortuna, per me. Pollo all’ananas e alle mandorle.>>, questi ultimi due li poggiò sul telo.
<< Non hai idea quanto mi sia mancato mangiare cinese.>>, affermò Jennifer mentre apriva il suo biscotto della fortuna.
<< Che cosa dice?>>
<< Dunque…>, si schiarì la voce, << In qualsiasi direzione vai, vacci con tutto il cuore.>>
<< Non fa una piega.>>
<< Leggi il tuo.>>
<< Allora, il mio dice: bacia la donna vicino a te.>>, spalancò un ampio sorriso.
<< Non è vero. Non ti credo.>>
<< Giuro, sta’ scritto proprio così.>>
Jennifer afferrò il biglietto e costatò che quanto aveva letto la ragazza, corrispondeva.
<< Tu hai imbrogliato. Hai detto alla cameriera di scriverlo, vero?>>
Micky scoppiò a ridere e alzò le mani in segno di arresa. Poi le prese un braccio, lo girò e delicatamente pose le sue labbra tra la fine del palmo della mano e il polso.
<< Che fai?>>
<< C’è scritto che devo baciarti, ma non dove.>>, le strizzò l’occhio.
Mangiarono e quando terminarono l’attenzione di Jennifer fu catturata da un cuore di cartapesta illuminato al suo interno da una piccola candela (aveva la stessa struttura di una mongolfiera), che si stava innalzando verso il cielo.
<< Guarda lassù Micky!>>
A poco a poco ne spuntarono altri e il cielo si riempì.
<< E’ bellissimo!>>, continuò Jennifer.
Micky spostò il suo sguardo sulla donna che le stava seduta accanto. Osservò il volto sereno, le labbra distese in un dolce sorriso e l’espressione entusiasta dei suoi occhi.
<< Sai, dovresti proprio guardarti in questo momento.>>
<< Perché?>>
<< Perché sei felice e non ti vedevo così da parecchio.>>
Jennifer la guardò lasciandosi catturare dall’azzurro profondo dei suoi occhi. Sentiva il cuore batterle più forte del solito ed ebbe l’impulso di avvicinarsi ancor di più e baciarla, ma una serie di beep alternati rovinò il momento. Tirò fuori dalla sua borsa il cellulare che segnalava l’arrivo di un sms sul display, lesse il contenuto e rispose.
<< Madison sta per raggiungerci. A quanto pare l’affare è andato in porto e vuole festeggiare.>>, disse con un pizzico di rammarico.
<< Capisco!>>, Micky s’irrigidì e corrugò la fronte.
<< Scusa. Non volevo che la nostra serata finisse…>>
<< Non fa niente. E’ tua moglie, d’altronde.>>

Madison giunse poco dopo, con una bottiglia di champagne in mano. Jennifer e Micky si alzarono.
<< Ce l’ho fatta!>>, disse baciando Jennifer sulle labbra.
<< Ne ero certa.>>, Jennifer le sorrise, nonostante aleggiasse aria d’imbarazzo sulle loro teste.
<< A casa festeggiamo.>>, continuò Madison mettendo un braccio intorno ai fianchi della moglie.
<< Beh, congratulazioni.>>, le disse Micky guardandosi attorno.
<< Grazie! E grazie anche per aver tenuto compagnia a Jennifer.>>
Micky strinse le spalle e fece un mesto sorriso.
<< E’ meglio se andiamo, Madison.>>, disse Jennifer lanciando un’occhiata fugace verso Micky.
<< Okay! Ciao Micky.>>
Micky ricambiò il saluto con un lieve cenno del capo. Poi si apprestò a raccogliere la roba da terra e mentre l’immagine delle due donne che si allontanavo lentamente si offuscava, qualcosa riuscì a farle vedere l’insieme con più chiarezza. Fu come se la luce abbagliante di un faro la colpì, costringendola ad aprire gli occhi. In quell’attimo realizzò di essere l’altra. Lei era l’amante, quella che scaldava il letto di Jennifer. Nient’altro. Le sue certezze si sbriciolarono all’istante. Capirlo, non fu per niente consolatorio, ma probabilmente questa consapevolezza si sarebbe rivelata liberatoria: una decisione andava presa. Serviva un taglio netto, nel bene o nel male, per non correre il rischio di essere travolta dall’agonia di una storia messa in bilico dalla paura e dall’incertezza.
Il segnale acustico del suo cercapersone la distolse da quei pensieri. Il pronto soccorso chiedeva della sua presenza. Così s’incamminò verso la sua macchina.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Arrivata al pronto soccorso del New York Presbyterian, chiese a un infermiere chi la stesse cercando, quando si sentì sfiorare il braccio.
<< Sono stato io.>>, dichiarò Milo, << Vieni con me.>>
<< Perché la tua espressione mi spinge a preoccuparmi?>>
<< Perché devi. Si tratta di Quinn.>>
Milo spostò la tenda bianca del divisorio: Quinn – tremante - era seduta sul lettino con un occhio tumefatto ed evidenti lividi su entrambe le braccia.
Micky le si avvicinò shockata e la abbracciò.
<< Ehi, Quinn. Che ti è successo? Chi è stato?>>
<< Un verme schifoso.>>
<< Figlio di puttana, aggiungerei.>>, disse Milo.
Micky rivolse un’occhiata a entrambi cercando di capirci qualcosa.
<< Mi spieghi cosa ti è capitato?>>, le scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro.
<< Ne possiamo parlare dopo, ti prego?>>, Quinn stava piangendo.
<< Certo.>>, Micky la abbracciò di nuovo e questa volta avvertì la stretta dell’amica. << Tranquilla adesso. Ci siamo noi.>>
Con delicatezza Milo le poggiò un sacchetto del ghiaccio sull’occhio e dopo le fece prendere un antidolorifico.
<< Senti, devo entrare in sala operatoria con una paziente. Aspettami qui dopo che Milo finisce di visitarti, okay? Torni a casa con me.>>
<< Okay.>>, rispose Quinn.
<< Ci penso io.>>, disse Milo rivolgendosi a Micky.
<< Milo, va pure se hai pazienti da operare o visitare. Non è un problema se mi lasci visitare da un’infermiera.>>
<< Neanche per idea. Mi prenderò io cura di te.>>, le strizzò l’occhio mentre la aiutava a stendersi.
<< Hai avvertito anche Dustin?>>
<< No. Di sicuro ci resterà secco, quindi preferisco dirglielo di persona… almeno potrò aiutarlo.>>
Quinn rise.
<< Come sei riuscita a scappare? >>, si accorse che il ginocchio sinistro della ragazza sanguinava, così prese l’occorrente per curare la ferita.
<< Mentre stava per colpirmi ancora… l’ho colpito con un calcio nelle parti basse. E quando si è accasciato… l’unica cosa a cui ho pensato è stata correre via.>>
<< Hai idea di chi sia?>>
<< Forse. Era buio e la strada era poco illuminata. Però, quando sono riuscita a intravederlo… aveva un viso familiare.>>
<< Beh, prova a ricordare meglio. Sarà utile alla polizia per beccarlo.>>
<< Non so se voglio denunciarlo.>>
<< Stai scherzando? Devi farlo Quinn. Te lo dirà anche Micky, anzi ti ci porterà di forza in una qualche centrale, e se sarà il caso, la aiuterò.>>, fece una pausa, << Non è stata colpa tua.>>, le lanciò un’occhiata.
 
Qualche ora più tardi, Quinn e Micky si ritrovarono sedute sul divano dell’appartamento di quest’ultima.
<< Bevila. E’ una tisana, ti aiuterà a rilassarti.>>, Micky le porse la tazza.
<< Grazie.>>
<< Ti fa ancora male?>>, mise l’indice sotto il mento di Quinn e girò il viso per poterla guardare meglio.
<< Non molto.>>, sorseggiò un po’. << Lo so, non sono neanche lontanamente attraente in questo stato.>>
<< Oh, andiamo. Quinn St. James è sempre attraente.>>, le sorrise.
Quinn bevve un altro sorso dalla tazza, prese un respiro e iniziò a raccontare tutto, mentre Micky poggiando il gomito sulla spalliera del divano, era pronta ad ascoltarla.
<< All’incirca un mese fa, sono stata licenziata.>>, aveva lavorato per due anni in una tavola calda a Brooklyn, << Ho cercato subito un altro impiego, ma niente. Nessuno sembra più assumere personale nuovo a New York City. E nel frattempo sono stata anche sfrattata: quell’idiota di un affittuario non ha voluto concedermi del tempo in più per pagare. Sono sempre stata puntuale con l’affitto, ma non ha voluto sentir ragione e così un giorno, tornando, ho trovato tutta la mia roba messa fuori davanti alla porta. L’ho raccolta e mi sono “trasferita” nella mia auto.>>
<< Aspetta, aspetta. Mi stai dicendo che “vivi” in macchina?>>
<< Sì. E so che stai per dire che sarei dovuta venire da te o da Milo o Dustin a chiedervi aiuto, ma per una volta nella mia vita, volevo cavarmela da sola senza essere un peso per voi tre.>>
<< Che significa “essere un peso”? Siamo amici, Quinn.>>, la guardò con disappunto.
<< Fammi finire.>>
<< Okay, scusa. Continua.>>
<< Qualche giorno dopo, ho trovato un volantino di un Night in cui c’era scritto che il gestore era alla ricerca di due ragazze disposte a “intrattenere” i suoi clienti con la lap-dance. Così sono andata… e pensa, il tizio non mi ha nemmeno chiesto se fossi in grado di sculettare: gli è bastato vedermi per darmi il posto. Non sapevo cos’altro fare, la paga era buona e così ho accettato.>>
<< A ridurti così è stato uno che frequenta quel posto?>>
<< Sì. Mi ha aggredita dopo che ho finito di lavorare. E’ un abitudinario del Night e da qualche settimana si era preso una fissa per me, ma io non gli ho mai dato segnali che potesse equivocare. Figurati se mi mettevo a flirtare con un uomo per qualche mancia in più. Facevo quello per cui ero stata presa e basta. E stasera non è stato diverso. Solo che, evidentemente, lui ha immaginato altro in quella sua mente depravata. Mi ha attaccata alle spalle e mi ha messo una mano sulla bocca. Ho cercato di liberarmi; in qualche modo sono riuscita a mordergli un dito, lui si è arrabbiato e mi ha colpita con un pugno…>>, si fermò lasciando cadere il discorso, non aveva più voglia di continuare.
Micky capì, le mise il braccio intorno al collo e la avvicino a sé.
<< Sai il suo nome?>>
<< Ho sentito solo una volta il mio capo chiamarlo Larry o Jerry.>>
<< E sapresti riconoscerlo?>>
<< Sì.>>
<< Bene. Domani mattina andremo alla centrale di polizia…>>
<< Sarà una perdita di tempo. Diranno che faranno il possibile, bla bla bla… e già nel momento stesso in cui lasceremo la centrale, archivieranno il caso. Nessun poliziotto si attiverà per cercare un tizio che ha picchiato una ballerina di lap-dance. Immagino già i loro pensieri: “Mostri tette e culo per quattro soldi, cosa pretendi?”>>
<< Ehi, stammi a sentire: quello stronzo andrà in galera e pagherà per quello che ha fatto. Non la passerà liscia, Quinn. E verrai a stare qui… senza obiezioni.>>
<< D’accordo, Dottoressa.>>
Terminata la conversazione, Micky preparò il letto nell’altra camera dell’appartamento e dopo essersi accertata che Quinn dormisse, andò in cucina, aprì il frigorifero e si preparò il consueto bicchiere di vino rosso. Era arrabbiata per quanto successo alla sua amica e frustrata per la situazione con Jennifer. Diede una rapida occhiata al suo orologio da polso che segnava le due di notte, si spostò verso il salotto e si mise a osservare il via vai di luci ipnotiche delle vetture immerse nelle strade della città.
Le tre e Micky era ancora lì, in piedi a fare i conti con la sua coscienza tirando le somme.
<< Ancora sveglia?>>
<< Non ho molto sonno.>>, rispose Micky.
Quinn si avvicinò.
<< Ne vuoi parlare?>>
<< Beh non è nulla di che… e tu devi dormire. Hai bisogno di riposo, Quinn.>>
Quinn la guardò negli occhi, sospirò, la prese per mano e la condusse verso quella che era diventata la sua camera. Entrarono e la porta si chiuse alle loro spalle.
 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


La serratura dell’appartamento scattò, la porta si aprì e Jennifer entrò in cerca dell’amica.
<< Micky, ci sei?>>
Riconoscendo la voce della donna, Micky uscì dalla camera indossando il jeans del giorno prima e il reggiseno.
<< Buongiorno.>>, disse sbadigliando.
<< Ciao. Dato che hai la giornata libera, ho pensato che sarebbe stato carino fare colazione insieme.>>, le sorrise.
<< Sì, solo che…>>, non fece in tempo a finire la frase che anche Quinn uscì.
Jennifer di primo acchito rimase immobile, poi guardò entrambe, senza neanche badare all’aspetto malconcio di Quinn e la camera dalla quale erano uscite, spalancò gli occhi e sul suo volto apparve un’espressione disgustata. Scappò via.
<< Cazzo! Jennifer aspetta.>>, Micky le corse dietro.
Jennifer aveva preso l’ascensore, così fu costretta a scendere per le scale, e affinché arrivasse prima o almeno nello stesso istante, saltò qualche scalino. Fortunatamente arrivò proprio quando Jennifer stava per uscire dall’ascensore.
<< J.J. che diavolo ti è preso? >>, la afferrò per le braccia.
<< Lasciami andare Micky.>>
<< No!>>
<< Ti ho detto lasciami andare.>>, disse furiosa.
<< No, se non mi dici perché sei scappata via così.>>, la guardava perplessa. << E’ per via di Quinn? Ti sbagli di grosso se… >>
<< Zitta! Stà zitta Micky! Non le voglio sentire le tue patetiche scuse.>>
Micky mollò la presa e senza pensarci più di tanto, Jennifer la schiaffeggiò. In preda alla collera persero la lucidità: il loro rapporto si stava rompendo come un elastico che se tirato troppo a lungo alla fine si spezza con uno schiocco violento, brusco e inaspettato. Si guardarono per un momento e subito dopo Jennifer uscì dal palazzo, lasciando l’amica completamente senza parole.

Dopo aver trascorso metà mattinata alla centrale di polizia di Manhattan sulla 21esima strada e aver denunciato l’aggressore di Quinn, Micky si recò a fare la spesa - non metteva piede in un supermercato da mesi e il suo frigo sentiva la mancanza di cibi da ospitare – e Quinn, invece, con la scusa di un inesistente colloquio di lavoro, ne approfittò per andare in negozio da Jennifer. Non le erano mai piaciute le donne indecise: per lei la vita era “sì” o “no”, “bianco” o “nero”. Rintanarsi nell’indecisione era solo una scusa per soddisfare i propri bisogni a spese degli altri. E poi non sopportava quell’idea di ragazza per bene che tutti avevano di Jennifer; non era una santa e mai lo sarebbe stata.
<< Ciao!>>, disse con un tono di voce neutro, entrando.
<< Dustin è fuori per una commissione, tornerà a breve.>>
<< Non sto cercando lui.>>, si tolse gli occhiali scuri.
Alla vista di quel viso maltrattato, Jennifer si sentì chiudere lo stomaco.
<< Senti, Dustin mi ha raccontato tutto e mi dispiace sul serio per…>>
<< Lasciamo stare questo finto buonismo, okay? Tu ed io non ci siamo mai piaciute e questo,>> indicò l’occhio nero, << non cambierà le cose.>>
<< Hai ragione. Ma, mi dispiace ugualmente. Ti è successa una cosa orribile e volevo soltanto essere gentile.>>
<< Bene, adesso che abbiamo messo in chiaro che ti dispiace… chiariamo un’altra cosa. Non che debba dare spiegazioni a te sulla mia vita privata, anzi potrei fare tutto il fottuto sesso che voglio con Micky e a te non dovrebbe importartene affatto.>>
<< Invece sì.>>, punta nel vivo, Jennifer rispose sulla difensiva.
<< Perché?>>, Quinn la guardò con occhi di sfida, << Stai con Madison da quasi due anni e l’hai persino sposata… Quindi, che vuoi da Micky?>>
<< Per te è sempre tutto così semplice Quinn, ma è più complicato di così.>>
<< Non me ne importa niente della tua crisi esistenziale, del tuo conflitto interiore e di tutto quello che cavolo hai. Ami Madison, stai con lei. Non la ami, lasciala. Sai fossi stata io o un’altra qualsiasi lesbica di questo mondo, ti avrei mandato già a quel paese per questa tua incoerenza. Ma Micky, no. Micky ti ama talmente tanto che se ne sta lì ad aspettarti, a tormentarsi per avere un po’ di te. E anche se le voglio bene, penso che sia stupida perché spreca il suo tempo così. Prendi una decisione, cazzo. Comportati da donna.>>, Quinn si rimise gli occhiali da sole, << E comunque, abbiamo parlato tutta la notte di te.>>, girò sui tacchi e andò via.

Il pomeriggio stesso, con la coda tra le gambe, Jennifer si presentò a casa dell’amica. Questa volta non usò la sua chiave, preferì suonare. Micky aprì la porta e la fece entrare senza neanche salutarla.
<< Innanzitutto, sappi che mi sento una totale idiota.>>, schiarì la voce, << Scusami per stamattina. Ho esagerato.>>
<< Molto.>>
<< Già! Non dovevo comportarmi come una pazza isterica, tanto meno trarre conclusioni affrettate.>>
<< Mi fa piacere che tu l’abbia capito. Stava risultando un po’ infantile questa tua gelosia nei confronti di Quinn.>>, l’espressione sul volto di Micky era seria. Incrociò le braccia al petto. << Ma quello che è successo stamattina è solo la punta dell’iceberg. La questione è un’altra.>>
<< Noi due.>>
<< Esatto. Che cosa stiamo facendo J.J.? All’inizio è stato eccitante e bello… ma guarda a cosa ci ha portato.>>
<< Lo so.>>
<< Ti sarà capitato almeno per un attimo di pensare a noi due insieme, come una coppia?>>
<< Sì.>>, confessò.
<< Quindi?>>
<< Ho paura Micky.>>
<< Ed io sono stanca, J.J. .>>, la guardò dritto negli occhi.
<< Immaginavo che la tua pazienza si sarebbe esaurita un giorno di questi. E se tra noi non funzionasse?>>
<< Wow! Ci dai per sconfitte ancora prima di iniziare. E’ questa l’unica ipotesi che hai preso in considerazione? L’unica visione del nostro possibile futuro?>>
<< Sì, ho pensato solo a questo, perché significherebbe non averti. Il solo pensiero di non parlarti, di non vederti più, mi divora dentro, Micky.>>, parlò con voce strozzata, << Io ho un costante bisogno di te nella mia vita, lo capisci? Fammene una colpa se vuoi, non m’importa, è così.>>
<< E’ più probabile che ci perderemo in questo modo.>>, le mise una mano sul viso, << Ascoltami J.J., ho capito e accettato la tua confusione, d’altronde capita a tutti sentirsi così. Ma a un certo punto la confusione sparisce. Ed io penso che quel momento per te sia arrivato da un bel po’. Penso che tu ti sia innamorata di me, che mi ami: lo sento quando mi baci, quando facciamo l’amore. Il tuo modo di starmi accanto è cambiato. E quella che tu chiami paura, è la tua solita insicurezza di non essere all’altezza di niente e di nessuno, soprattutto di me. Odio come tua madre ti abbia inculcato questo fin da quando eri una bambina; però ti prego… smettila di credere che sia così e prova ad aver fiducia in quello che potremmo diventare.>>
Jennifer teneva il capo chino cercando di rimandare le lacrime indietro.
<< Perché? Perché lo fai?>>, iniziò a gesticolare nervosamente, << Riesci a trasformare in parole i miei pensieri più intimi e non lo sopporto. Loro stanno lì, dentro la mia testa. Sono innocui o per lo meno cerco di renderli tali e posso decidere di non ascoltarli. E poi arrivi tu, puntuale a renderli reali. Perché non puoi essere meno di quello che sei? Sarebbe stato più facile, così non mi sarei innamorata di te.>>
Micky sbottò all’istante.
<< Vuoi che ti renda le cose più facili? Sul serio? Bene, mi comporto da stronza. Scegli: me o Madison. Fino allora non avremo nient’altro di cui parlare.>>, disse duramente. Aprì la porta e aspettò che Jennifer uscisse.

 
 
 

 Tre settimane di silenzi dopo…


 



Jennifer era da poco arrivata a casa dei suoi genitori per prendere i bozzetti dimenticati la sera prima. Erano ancora lì, sul tavolo del soggiorno. Li prese e mentre camminava lungo il corridoio, le venne nostalgia della sua vecchia camera, così decise di darci un’occhiata. Era rimasta tale e quale a come l’aveva lasciata prima di andare a convivere con Madison. Metterci piede significò tornare indietro nel tempo, agli anni della sua infanzia e adolescenza. Con aria serena si guardò attorno: passò una mano sopra il copriletto come se quel tocco la potesse catapultare verso quei momenti. Aprì le ante dell’armadio contenente ancora alcuni vestiti che non aveva più portato con sé, in mezzo vi trovò ancora appesa la divisa della “Marymount School”. Osservandola, un ricordo affiorò nella mente, così seduta stante. Si spostò verso la scrivania in cerca di una piccola scatola di legno, ben conservata in uno dei quattro cassetti posti in basso ai lati: nello specifico, il secondo di destra.
<< Trovata!>>, disse trionfante tirandola fuori.
Sollevò il coperchio e le apparve la foto di lei e Lauren Gibson: la sua prima, vera, cotta adolescenziale. Si volevano un gran bene, ma non come due sorelle, né come due amiche; ed erano inseparabili. Lo erano state almeno fino a quando Lauren cambiò scuola improvvisamente. Curvò le labbra in un sorriso innocente, meravigliandosi di come a volte un ricordo del passato possa essere assai vivido nel presente. Sotto la foto c’era conservato anche un foglio a righe, lo prese, lo aprì e lesse cosa c’era scritto:

“Ho letto queste parole da qualche parte, sono di un certo Stephen Littleword e anche se non ho idea di chi sia, deve essere uno in gamba. “Se non sei capace di prendere decisioni per te stesso, gli altri le prenderanno per te, e vivrai una vita in catene.” Le ho fatte diventare mie e vorrei che ti accompagnassero in ogni decisione importante che prenderai per la tua vita.
Ti amo Jennifer, tua Lauren.”


Anche un dubbio lasciato nell’ombra del dimenticatoio può tornare a mettersi in luce. Jennifer prese la foto e uscì spedita in cerca della madre, la quale era in giardino a occuparsi dei suoi fiori.
<< Mamma?>>
<< Trovati i bozzetti, cara?>>
<< Sì e non solo. Potresti smettere per un attimo?>>
Delia, chinata sulle ginocchia, la guardò dal basso - attraverso il cappello da giardinaggio - e si alzò.
<< Te la ricordi?>>, Jennifer le mostrò la foto indicando Lauren.
<< No, cara. Dovrei forse?>>, rispose neutrale.
<< Sì!>>, disse Jennifer seccamente, << E’ Lauren Gibson. Abbiamo frequentato insieme le scuole medie.>>
<< Jennifer, come posso ricordarmi di una tua vecchia compagnia di scuola? Su, ho altro da fare.>>
<< Non era una compagnia di scuola qualunque e tu questo lo sai molto bene, mamma. Come sapevi che mi ero presa una cotta per lei e che lei mi ricambiava. L’avevi capito fin da subito che mi sentivo attratta dalle ragazze e conoscendoti deve essere stato un tremendo shock scoprirlo.>>
<< Ti rendi conto che stai dicendo delle cose insensate?>>
<< Sei stata tu a farle cambiare scuola, vero? Eri così tanto amica della madre che probabilmente vi siete messe d’accordo per allontanarci.>>, la accusò alzando la voce.
<< Eravate solo delle ragazzine. Non capisco perché ti stai impuntando su una questione chiusa da un secolo.>>
<< Rispondi alla mia domanda.>>
<< E va bene, sì. E’ stata colpa mia, contenta?>>
<< No, per niente. Come hai potuto farlo? Mi odi a tal punto?>>
<< Oh, non essere ridicola. Sei mia figlia.>>
<< Appunto, mamma. Sono tua figlia e non perdi mai occasione per ferirmi. Sono stata davvero male per lei e non te n’è fregato nulla. L’importante era che le cose fossero andate secondo i tuoi piani.>>
<< Stai rendendo la cosa più drammatica di quanto lo sia stata, Jenny.>>
<< Scommetto che hai preso accordi anche con Byron, vero? Altrimenti perché insistere tanto per le mie nozze.>>
<< Si è solo accertato che sua figlia sposasse la donna che ama. E anch’io dopotutto.>>
<< Sei un’ipocrita egoista, mamma.>>
<< Ehi signorina, non ti permetto di parlarmi così.>>, senza trattenersi più di tanto, Delia la schiaffeggiò.
Jennifer, amareggiata, camminò velocemente per rientrare in casa.
<< Dove stai andando?>>
<< Lontano da te.>>
<< Non ho accettato una figlia lesbica per vederla compiere scelte sbagliate.>>, le urlò contro.
Raggiunta la propria auto, con gli occhi gonfi di lacrime, non si accorse dell’arrivo del padre.
<< Ciao tesoro mio.>>, la salutò entusiasta, << Non ti fermi a pranzo con noi?>>
Jennifer si girò verso di lui e lo abbracciò singhiozzando. Di colpo sentì solamente il bisogno di farsi avvolgere dalle braccia forti e protettive del padre, come quando era bambina. L’uomo la strinse a sé e aspettò che si calmasse.
<< Hai discusso con tua madre.>>
Jennifer annuì con la testa.
<< Vieni, parlane con me.>>, raggiunsero i gradini della scalinata principale e si sedettero.
<< Io non dovevo sposare Madison, papà. Ho lasciato che mamma mi manovrasse ed è stato l’errore più grande che potessi fare.>>
<< In che senso?>>
<< La storia tra me e Madison aveva preso una brutta piega, sentivo di non provare più gli stessi sentimenti.  Solo che l’ho vista impegnarsi per far si che le cose potessero aggiustarsi e quando mi ha chiesto di sposarla… beh, ho pensato che il matrimonio sarebbe potuta essere la nostra occasione. E poi, un giorno mamma mi ha raccontato dei problemi che stava attraversando la tua società, dell’aiuto che il signor Williams si era offerto di darti. Mi ha spiegato che c’erano delle questioni burocratiche che stavano rischiando di far saltare l’accordo e mi ha fatto capire esplicitamente che sposare Madison avrebbe salvato la società e non solo. Così mi sono lasciata convincere. Ma ho capito di non amare più Madison e non ce la faccio più ad andare avanti così.>>
Theodor si portò le mani sul viso.
<< Cos’hai combinato Delia?>>, disse allibito pensando a voce alta, << Non dovevi darle ascolto, Jennifer. E’ stata una follia.>>
<< Me ne rendo conto solo adesso.>>
<< Io… io non riesco a credere che tua madre sia arrivata a tanto.>>, scosse la testa, << Mi spiace, tesoro. E’ come se fossi stato cieco: non mi sono accorto di niente per tutto questo tempo e così facendo ho dato il via libera a tua madre di agire alle mie spalle.>>
<< Papà, non è colpa tua.>>
<< Sì invece. Ho lasciato che gli affari intaccassero te, mia figlia. Non dovevo permetterlo.>>, disse visibilmente sconsolato, << E poi perché hai accettato di stare alle condizioni di tua madre? Scommetto che è riuscita a far leva su i tuoi sentimenti per me.>>
<< Non volevo che perdessi la società. Ti ho visto costruirla con tutto te stesso.>>
<< Questo lo apprezzo, ma non dovevi sacrificarti così Jennifer. Dovevi venire a raccontarmi tutto. Mi sarei sacrificato io, perché così sarebbe stato giusto. Avrei trovato un’altra soluzione; anzi forse era meglio lasciar fallire la società, magari tua madre si sarebbe accorta quanto il denaro l’abbia avvelenata.>>
<< Posso chiederti quali fossero queste “famose” questioni burocratiche?>>
<< C’era una clausola nel contratto che ritenevo scorretta. Byron voleva licenziare gran parte dei miei collaboratori e alcuni membri del consiglio d’amministrazione per far spazio ai suoi. E sinceramente non ritenevo fosse giusto. Si trattava di persone che si sono sempre dimostrate efficaci nel loro lavoro e soprattutto fidate. E la fiducia, negli affari, come nella vita in generale, è un aspetto fondamentale; anche se mi si è rivoltata contro. Comunque, gli avrei licenziati solo se ci fosse stato un motivo più che valido e non a causa di un capriccio di un ricco assetato di potere.>>, fece una pausa, sospirò. << Poi un giorno si è dimostrato inaspettatamente comprensivo e ha fatto togliere quella clausola.>>
<< Ed è successo dopo il matrimonio, ovviamente.>>
<< Sì.>>, ammise chinando il capo. << Comunque, per inciso, sono sicuro che Madison non ha nulla a che vedere con tutto questo.>>
<< Lo so!>>
<< Tesoro, non dar retta più a nessuno. Se devi prendere una decisione, fallo solo pensando a ciò che è meglio per te.>>

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


<< Ciao Angela.>>
Quasi timorosa, Jennifer entrò nel laboratorio della pasticceria della signora DeLuca.
<< Oh! Ma tu guarda. Ero quasi sicura che ti fossi dimenticata di come si attraversi la strada.>>
<< Tuscè!>>
<< Non ti sei fatta più vedere. Ho chiesto più volte a Dustin il perché della tua dipartita... ma inventava sempre delle scuse alle quali non ho abboccato.>>
<< Dustin non sa mentire.>>
<< Ed è un punto a suo favore.>>
<< Già!>>, Jennifer si avvicinò al tavolo pieno di scodelle di grosse e piccole dimensioni, << E’ per la torta di Micky?>>, chiese alla donna guardando il monta panna in azione.
<< Sì, la sto preparando adesso.>>
<< Posso darti una mano?>>
<< Mi farebbe piacere.>>, le sorrise cercando di distendere la situazione, << Posso sapere però, perché non sei più venuta a trovarmi?>>
<< Beh, il punto è che parlare con te mi piace. Il rapporto che abbiamo… I tuoi pareri, i tuoi consigli… contano molto per me; ma visto il mio trascorso con tua figlia… venire qua mi metteva in soggezione.>>
<< Jennifer, non ho mica un fucile nascosto sotto il bancone.>>
<< Lo so.>>, rise, << Ero sicura di averti delusa.>>
<< E ora hai cambiato idea?>>
<< Per niente.>>
<< Ascolta, ti adoro quasi quanto una seconda figlia e so come sei fatta. Capisco quello stai passando, hai l’aria di una donna in cerca di se stessa…>>
<< In effetti, è così. Sto cercando di ritrovare Jennifer.>>
<< E la ritroverai. Ma io sono anche una madre, mi preoccupo per mia figlia e non voglio che alla fine dei conti sia Micky a rimetterci. Capisci cosa intendo?>>
<< Sì.>>
<< Osservo voi ragazzi fin da quando vi ho conosciuto. Vedo l’effetto che avete l’uno sull’altra quando state insieme; il modo in cui vi divertite, scherzate e prendete in giro a vicenda. Provate dell’affetto sincero. E poi, in mezzo al gruppo, vedo te e Micky insieme… e sembra che siate avvolte da un’aura di complicità e intesa che probabilmente solo voi riuscite a comprendere. Quindi, dovrà pur significare qualcosa, o no?>>
Angela avvicinò la teglia con il Pan di Spagna verso Jennifer che iniziò a bagnarlo di rum con leggere pennellate, proprio come le aveva insegnato una volta la donna.
<< Posso chiederti una cosa?>>
<< Certo!>>
<< Quando hai conosciuto Albert… hai capito subito che era l’uomo giusto per te?>>
<< No, l’ho capito col passare del tempo. Ma continuo tuttora a pensare che sia così.>>
<< Non ti seguo.>>
<< Vedi, secondo me ognuno di noi attribuisce un proprio significato alla questione della persona giusta. Albert ed io ci siamo amati tanto e abbiamo avuto una figlia; anche se poi ci siamo separati… rifarei tutto d’accapo. Ai nostri tempi, un uomo doveva corteggiarla una donna, dimostrargli di avere intenzioni serie e lui con me è stato molto paziente, ammetto di avergli dato del filo da torcere. Per me lui è stato questo: l’uomo che mi ha dato il coraggio per sposarmi e mettere al mondo un figlio e che non mi ha fatto pentire delle mie scelte.>>
Mentre ascoltava la signora DeLuca, Jennifer sentiva nella sua testa l’incessante risuono delle parole “Hai sposato la donna sbagliata.”
<< Posso confermare due posti per stasera, quindi?>>
<< Sì. Anche se tua figlia non avrà molta voglia di vedermi.>>
<< Pazienza. Ti ho invitata io.>>, Angela le sorrise.

 
La casa di Angela e Greg, era pronta per festeggiare i 34 anni di Micky. Erano tutti lì o quasi. Milo, Dustin, Quinn (il suo aggressore fu arrestato e lei trovò lavoro in una caffetteria) e Albert DeLuca. Si respirava un’aria rilassata e allegra. Poco prima di occupare posto a tavola per cenare, arrivarono anche Jennifer e Madison. Angela andò a salutarle, seguita da Greg che prese i loro cappotti. Tra i saluti generali, gli sguardi di Micky e Jennifer si catturarono a vicenda e tutto intorno si offuscò. In quel preciso istante, a dividerle non era una distanza materiale fatta di un lungo tavolo, si trattava di una distanza ben più profonda fatta di verità nascoste, di decisioni sbagliate prese e decisioni giuste non prese.
Era bella come non mai Jennifer, pensò Micky mentre la guardava. Desiderava prenderla tra le sue mani, spogliarla e fare l’amore, una, due, tre, tutte le volte che sarebbero servite a cancellare tutto e crearsi il loro angolo di paradiso.
<< Ciao Micky.>>, Jennifer andò a salutarla, << Auguri!>>
<< Grazie!>>, le rispose senza scomporsi.
<< Questo è per te.>>, era un pacco regalo rettangolare di medie dimensioni, << E’ una camicia. L’ho creata per te. Spero possa piacerti.>>
<< Grazie!>>, Micky prese il pacco e lo aggiunse al regalo degli altri suoi amici.
Angela portò in tavola una teglia di tagliatelle ai funghi porcini, riempì i piatti con porzioni abbondanti mentre ognuno dei presenti occupava posto.
<< Scusate un attimo.>>, disse poi prendendo in mano il suo bicchiere, << Prima di iniziare, vorrei dire una cosa.>>
<< Oh no! Qualcuno la blocchi.>>, intervenne Micky.
<< Innanzitutto, sono davvero felice di avervi tutti qui, specialmente voi ragazzi.>>
<< Aspetta mamma. Vado a prendere un lenzuolo per Dustin.>>
<< La smetti di interrompere tua madre? Maleducata.>>, Dustin prese della mollica dal pane e la tirò addosso all’amica.
<< Grazie, Dustin.>>, Angela lanciò un’occhiataccia alla figlia.
<< Mi scusi Donna Angela. Prego, continui pure.>>
<< Stavo dicendo… oggi ci ritroviamo insieme per festeggiare Micky, ma voglio che ognuno di noi si ricordi quanto sia fortunato a essere presente nella vita dell’altro, nonostante i problemi e le avversità.>>, guardò rapidamente tutti quanti, << Non farò tanti giri di parole perché quello che voglio dirti Micky, è che sei una figlia di cui vado fiera, senza alcun dubbio.>>, le strizzò un occhio, << Tuo padre potrà dire lo stesso e sono altrettanto sicura che concorderà con me nel dire che abbiamo fatto un ottimo lavoro nel tirarti su.>>
<< Sicuramente.>>, confermò Albert, << Buon compleanno, Micky.>>, terminò portando in alto il suo bicchiere.
Anche tutti gli altri imitarono il suo gesto e brindarono alla ragazza. Più tardi, si spostarono in salotto per giocare a Taboo: Micky, Milo, Albert, Quinn, formavano una squadra; Madison, Dustin, Angela, Greg e Jennifer, l’altra.
Per qualche ora, si divertirono tanto a suon di risate.

<< Ehi, sei qui.>>, Milo entrò in cucina e ci trovò Micky.
<< Avevo bisogno di estraniarmi un po’ da tutto…>>, alzò le spalle.
<< Li abbiamo stracciati di là.>>
<< Era scontato.>>
<< Tua madre avrà qualche birra in frigo?>>
<< Non saprei. Controlla.>>
Milo si avvicinò al frigorifero e lo aprì.
<< Bingo! Ne vuoi una? O ti verso del vino?>>
<< No, farò un’eccezione sta volta. Passami una birra.>>
<< Okay!>>, Milo prese due bottiglie, tolse via i tappi e una la porse all’amica.
<< Grazie.>>
<< Allora, come va?>>
<< Domanda interessante.>>
<< Nessun chiarimento con Jennifer?>>
<< No.>>, sospirò, << Sai pensavo: non è che hai a disposizione un cuore da trapiantarmi? Magari con un cuore nuovo potrei non amarla più.>>
<< Forse ti servirebbe un trapianto di sentimenti che di un nuovo organo.>>
<< Bella questa! “Trapianto di sentimenti.” Usala per rimorchiare qualche ragazzo, potrebbe funzionare.>>
<< Lo terrò a mente.>>, rise, << Lo vorresti davvero?>>
<< Cosa?>>
<< Cancellare ciò che provi per lei?>>
<< No, credo di no. Solo che, detto tra me e te, a questo punto sto seriamente chiedendomi se ho fatto bene a dirle la verità.>>
<< Io penso di sì. E’ vero che tutto si è complicato da allora, ma almeno sei stata onesta con te stessa e con Jennifer. E’ un po’ come quando noi facciamo coming-out: ammettiamo chi siamo affrontando ciò che verrà.>>
Micky lo guardò stupita.
<< Quindi tu avresti fatto lo stesso?>>
<< Probabilmente sì. Insomma, io non mi sono innamorato nemmeno una volta fino ad ora… quindi non so darti consigli sul da farsi, però se fossi al tuo posto la domanda che mi farei, sarebbe: vale la pena lottare per J.J.? Intendo lei come donna, per quello che rappresenta per te.>>
<< Disse il ragazzo che non si è ancora innamorato.>>
Mandarono giù un sorso di birra contemporaneamente, ignari che Jennifer, nascosta nella penombra del corridoio, avesse ascoltato i loro discorsi. Si convisse di meritare di essere ferita e che Micky avesse tutto il diritto di farlo. Quando si accorse che Milo stava uscendo dalla cucina, indietreggiò di qualche passo per non farsi scoprire e dare l’idea di essersi recata lì, in quel momento.
Micky si era poggiata al mobile del lavello, ma appena vide entrare la ragazza si raddrizzò. Jennifer non sapeva cosa fare: inventare una scusa, tacere, prendere da bere e andarsene semplicemente. Poi la sua bocca parlò per lei.
<< Ho sentito quello che hai detto a Milo.>>
<< Ah!>>
<< Tranquilla! Non devi scusarti per ciò che pensi.>>
<< Non ero sicura di vederti stasera.>>
<< A dire il vero, non sapevo neanche io se sarei venuta o no.>>, si fermò e rise nervosamente, << Sono sempre io… l’eterna indecisa.>>
<< A volte scegliere è semplice.>>
<< Come scegliere di non amarmi?>>
Micky si strofinò le mani sul viso e sospirò di nuovo.
<< Anche se volessi, non ci riuscirei. E comunque, sai cos’altro penso? Penso che se stessimo davvero insieme, come coppia, potremmo essere migliori di come siamo adesso. Questa storia… l’essere amanti, è solo distruttivo. Non fa bene a te… non fa bene a me. Io sono diventata quel tipo di persona che s’intromette nelle relazioni altrui e spinge a tradire, e tu una donna che mente alla propria donna. Noi non siamo questo.>>
Rimasero in silenzio finché Jennifer si strinse a lei in un abbraccio che durò innumerevoli minuti.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


E’ quando ci ritroviamo faccia a faccia con il nostro io più intimo che confessiamo apertamente i nostri reali sentimenti e ciò che vogliamo davvero. Senza maschere, senza contraddizioni, senza censure.
<< Sei stata stranamente silenziosa questa sera.>>, disse Jennifer a Madison mentre rincasavano.
<< Anche tu. E’ successo qualcosa che non so?>>
<< Sì. E ne dobbiamo parlare.>>
<< Okay! Ma è successa una cosa anche a me… e ne dobbiamo parlare.>>
<< Okay!>>, Jennifer la guardò perplessa.
<< Non ti piacerà per niente sentirla, però sei mia moglie e la verità te la devo.>>
<< Va bene, ti ascolto.>>
<< Ti ho tradita.>>, confessò tutto d’un fiato.
Jennifer cambiò espressione: lo stupore spazzò via la perplessità, ma non era arrabbiata.
<< La sera in cui Micky è venuta a cercarti; il mattino dopo quando ti ho visto dormire abbracciata a lei come facevi con me… razionalmente sapevo che pur senza malizia, avrei dovuto provare almeno un po’ di gelosia e invece non sentivo nulla. Inizialmente la cosa mi ha lasciata con l’amaro in bocca e non capivo perché non ero gelosa di mia moglie. Poi, una sera che sono rimasta in ufficio fino a tardi… ho flirtato con una delle stagiste e abbiamo fatto sesso. E’ avvenuto tutto con naturalezza. Non ho avvertito l’impulso di fermarmi, non ho pensato che fosse dannatamente sbagliato tradirti, e così finalmente ho capito. Ho capito che lo sbaglio di fondo è stato sposarci. Ho sempre vissuto una vita frenetica e quando te l’ho chiesto… allora desideravo qualcosa di normale.>>, prese una pausa per scrutare qualche reazione nel volto di Jennifer, << Mi conosco e so che non sono fatta per questa vita: il matrimonio, una famiglia, una casa da condividere. Ci ho provato, ma non basta. E per quanto possa sembrare assurdo, ti ho amata sul serio Jennifer. Mi dispiace averti trascinata in questa finzione, perché tutto sommato, nel nostro periodo migliore sono stata davvero bene con te.>>, più sincera di così, forse Madison non lo era mai stata.
Non era strano per Jennifer sentirsi sollevata. A lungo aveva sopportato il peso del tradimento, per poi scoprire che non era stata la sola a farlo.
<< Devo essere sincera anch’io con te. Non sei stata l’unica a tradire… anzi, io ho fatto anche peggio perché mi sono innamorata di quella donna: di Micky.>>
<< Micky, eh? Avrei dovuto intuirlo in un certo senso. Ma la realtà è che non ti accorgi di qualcosa perché in fondo non t’interessa.>>
<< Che faremo adesso?>>
<< Siamo libere, Jennifer.>>, Madison le sorrise, si avvicinò per baciarla un ultima volta, << Ci tengo, però, a continuare la collaborazione per la rivista. Spero valga lo stesso per te.>>
<< Sì.>>
 
1:45 a.m.

Micky dormiva profondamente in camera sua, quando improvvisamente Jennifer s’infilò sotto le coperte e le cinse la vita con un braccio.
Micky aprì gli occhi stralunata, sembrava essersi appena svegliata da un’anestesia. Allungò un braccio verso il comodino, pigiò l’interruttore della lampada che emanò un leggero bagliore di luce.
<< Sto sognando?>>
<< No.>>
<< Okay!>>, sorreggendosi con le braccia, si mise seduta.
<< Il matrimonio tra me e Madison è finito. Entrambe ci siamo rese conto che è stato uno sbaglio e che la cosa giusta da fare era smettere di continuare.>>
<< E tu come stai?>>
<< Oh beh… a dire il vero, non so bene di preciso come mi senta: forse più leggera ma al tempo stesso stranita.>>
<< Quindi, fammi capire: tu e Madison vi siete lasciate e sei corsa subito da me?>>
<< Ti sorprende? E’ quello che ho sempre fatto in tutti questi anni. Da quando ti conosco, sei sempre stata al mio fianco con la tua solita premura: in ogni momento, sapevo che se avessi avuto necessità di chiedere aiuto, avrei trovato te. E tu eri lì, nei giorni buoni e in quelli meno buoni. Come sapevo anche che se avessi perso me stessa, un giorno, voltandomi indietro ci saresti stata tu: la mia migliore amica, la donna per la quale il mio cuore sta battendo all’impazzata.>>, sorrise, << La mia casa.>>, guardò Micky dritto negli occhi. Quest’ultima - rimasta ad ascoltarla con attenzione - le mise una mano sul viso e la baciò con tutta la passione trattenuta finora.
Di buon’ora, il mattino seguente, mentre le due donne facevano colazione, qualcuno suonò al campanello con una non indifferente insistenza. Micky andò ad aprire e si trovò davanti Delia Jones.
<< Ciao, Micky. Sto cercando mia figlia.>>, entrò in casa con disinvoltura.
<< Mamma?>>, squillò Jennifer, << Che ci fai qui?>>
<< E’ quello che chiedo a te. Dovresti essere a casa tua, dove io sono appena stata, con tua moglie, la quale mi ha detto una sciocca assurdità.>>
<< Ne avrei parlato con te e papà… ma poiché già ne sei al corrente, va bene lo stesso.>>
<< Parlare di cosa? Non mi sembra il caso di informare me o tuo padre di un banale litigio con Madison, capita tra coppie sposate. Adesso devi solo tornare da lei, chiedere scusa e tutto si aggiusta.>>
<< Chiedere scusa?>>, squillò Micky, << Senti Delia, sono stata zitta e in disparte per rispetto verso J.J., ma adesso ne ho fin sopra le scatole. Quando la smetterai di darle addosso? Quando la smetterai di disapprovare ogni suo minimo comportamento?>>, alzò il tono della voce, << Dannazione! Hai una figlia fantastica e neanche te ne accorgi. E’ diventata il tuo zerbino soltanto per ricevere un po’ di quell’amore che dovresti darle incondizionatamente. Che razza di madre sei?>>
<< Non osare mai più rivolgerti a me con questi toni.>>, Delia le rispose duramente, << Non mi sei mai piaciuta, quindi non immischiarti in questioni che non ti riguardano.>>
<< Mamma smettila.>>, urlò Jennifer, << Io non devo chiedere scusa a nessuno e non tornerò con Madison. Ci siamo lasciate, lo abbiamo deciso insieme, quindi smettila di intrometterti nella mia vita. Micky ha ragione: ho fatto di tutto per farmi accettare da te, per essere guardata allo stesso modo con cui guardi Brody. Ma non c’è verso, per te non sarò mai all’altezza. E se prima mi faceva star male non capire perché mia madre non riesce a volermi bene… ora non me ne importa più nulla.>>, puntualizzò.
<< Bene, sei stata molto chiara, Jennifer.>>, attutito il colpo, Delia guardò la figlia e subito dopo uscì dall’appartamento.
Jennifer, snervata, chiuse gli occhi, cacciò un lungo sospiro e pianse. Micky la avvolse da dietro con le sue braccia, stringendola forte.
 
Cinque giorni dopo, Quinn comunicò a Micky il suo trasferimento nell’appartamento di Milo e Dustin. Jennifer viveva con lei adesso, e oltre a voler lasciar loro i propri spazi e la propria intimità; una convivenza assieme a Jennifer non era proprio l’ideale per nessuna delle tre.




 

Due anni e due mesi dopo



 



Jennifer rientrò in casa dopo una pesante giornata di lavoro: avere a che fare con la gente, a volte, può provocare un enorme stress.
Era talmente stanca che impiegò qualche istante prima di accorgersi che il salotto era pieno di piccole candele al profumo di vaniglia e che tutte insieme illuminavano la stanza quasi a farla brillare. Si portò una mano sulla bocca quando vide che i divani furono spostati e al centro, il posto del tavolino era occupato da un manichino vestito con un abito della sua ultima collezione. Iniziò a camminare lentamente verso di esso, notando che sulla spalla sinistra era poggiata una margherita, la prese sorridendo.
Nella penombra del corridoio, Micky la osservava silenziosamente contenta.
<< Conosco una persona che quando era bambina affidava le sue decisioni ai petali delle margherite. Lei non diceva “m’ama o non m’ama”, ma “sì o no”.>>, passo dopo passo si avvicinò a Jennifer, << Una volta, mi disse che molto spesso i bambini della sua età la prendevano in giro dicendole che era una stupida, un’ingenua, se credeva davvero che quel giochino potesse decidere per lei. Le dicevano: “I fiori sono solo fiori, non fanno mica le magie.”. Ma lei questo lo sapeva perché non era di certo una stupida. Aveva semplicemente trovato un modo diverso per darsi coraggio per far ciò che più la spaventava. Perché nonostante fosse una bambina bellissima, intelligente, gioiosa, lei si sentiva sempre insicura. Quando il suo papà le insegnò ad andare in bicicletta senza le rotelle, cadde due volte. Allora suo padre le raccolse una margherita e togliendo tutti i petali, l’ultimo rimasto fu quello del “no”. “Aspettiamo, papà.”, disse lei, “Aspettiamo.”, le rispose lui, perché sapeva cosa significava. Aspettarono, e giorni dopo quella bambina riuscì ad andare in bicicletta senza le rotelle. Così riuscì anche a partecipare alla gara di spelling alle elementari; ad andare sott’acqua senza il timore che l’oceano potesse trascinarla giù e tante altre cose. Con gli anni, quella bambina è diventata una donna che a un certo punto della sua vita, ha incontrato un’altra donna… molto cocciuta, talmente tanto che non voleva rassegnarsi all’idea di non poter star con lei, anche se sembrava che il fato avesse staccato un grande petalo di “no”. Ma poi, fortunatamente per lei, tutto cambiò.>>, sorridendo prese la margherita dalle mani di Jennifer e legando una parte del gambo su se stesso, formò una specie di anello, << Penso che abbiamo aspettato abbastanza, tu che dici?>>, prese la mano sinistra di Jennifer e lentamente le infilò quell’anello di margherita, << Mi vuoi sposare?>>
<< Sì! Certo che sì.>>, le rispose Jennifer con i suoi bellissimi occhi azzurri lucidi e irradiati di felicità.

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Un anno dopo, Jennifer si ritrovò distesa sul lettino della sala ecografie del “New York Presbyterian Hospital”.
<< Grazie per esser venuto con me papà.>>
<< Figurati, tesoro. E’ il minimo che possa fare per te e la mia nipotina.>>, Theodor fece un sorriso affabile.
Jennifer sospirò accarezzandosi il pancione. Era incinta di sei mesi e da qualche settimana aveva avuto delle perdite di sangue.
<< J.J.?>>, Micky entrò nella sala dopo essere stata informata della presenza della moglie, << Ciao Theodor. Che succede?>>
<< Ciao Micky. Si è sentita poco bene… così, d’un tratto.>>
<< Ho avvertito delle fitte al ventre e… continuo ad avere perdite.>>
<< Che significa “continuo ad avere perdite?”>>, le lanciò un’occhiataccia, << Ne hai avuto altre e non ti è venuto in mente di dirmelo?>>
<< Tu hai detto che è una cosa che a volte capita in gravidanza… quindi ho pensato fosse normale.>>
<< Okay, va bene. Controlliamo.>>, le sorrise per tranquillizzarla, dopodiché le scoprì il ventre, spruzzò il gel e muovendo la sonda cercò di capire la causa del malore. Destra, sinistra, giù. L’espressione seria che comparve sul suo viso, non sembrò di buon auspicio.
<< Micky, è tutto apposto?>>, chiese preoccupato Theodor.
Ma Micky non rispose. I suoi occhi erano incollati al monitor dell’ecografo e la sua mano fece di nuovo lo stesso percorso sul ventre di Jennifer, per essere certa di aver visto bene.
<< Tesoro?>>
Prima di parlare, Micky prese un fazzoletto e tolse via il gel.
<< Pensavo di sbagliarmi, ma l’ecografia ha confermato il mio sospetto. Hai la placenta previa.>>
<< Spiega tutto in termini meno tecnici possibili, Micky.>>, disse Theodor.
<< Allora… di norma la placenta si sviluppa nella parte superiore dell’utero. La tua invece si è sviluppata nella parte bassa e ciò può ostruire parzialmente o totalmente l’uscita del feto. A causa di questa posizione anomala, si è distaccata prematuramente.>>
<< Ma la bambina sta bene, vero?>>
<< Sì, la bambina sta bene.>>, Micky prese le mani di Jennifer tra le sue, << Ma dobbiamo tenere la gravidanza sotto controllo, più di quanto abbiamo fatto finora. E soprattutto, niente sforzi, niente stress, assoluto riposo, intesi?>>
<< D’accordo.>>, Jennifer annuì.
Micky si chinò per poterle dare un bacio.
<< Andrà tutto bene, ragazze. C’è mia nipote lì dentro.  E’ una tipa tosta, lo sento.>>, disse Theodor.
<< Sei consapevole che nostra figlia sarà straviziata?>>
<< Ahimè, sì.>>, rispose Jennifer sorridendo.
<< Ovviamente, io e tuoi genitori, Micky, saremo i primi della lista.>>
<< Ovviamente.>>, rispose di rimando.
<< E poi ci saranno i vostri amici.>>
<< Ehi, piccolina, resta lì dentro, non uscire. Lo dico per il tuo bene.>>, Micky sussurrò al pancione.
 

La sera, finito il turno, mentre usciva dall’ospedale, Micky ebbe modo di pensare un po’ a come fossero andate le cose negli ultimi anni e alla nuova situazione che lei e Jennifer avrebbero dovuto affrontare a questo punto della gravidanza. Così, senza rimuginarci più di tanto, decise di recarsi a casa dei genitori di sua moglie per parlare con Delia. Quando arrivò a destinazione, ad accoglierla alla porta ci fu la domestica.
<< Salve, la signora CruDelia è in casa?>>
<< La chiamo subito, aspetti qui.>>, rispose la donna ridendo sotto i baffi.
Delia apparve pochi minuti dopo.
<< Oh, sei tu!>>
<< Sempre lieta di vederti Delia.>>, Micky sorrise con ironia.
<< Hai sprecato benzina e tempo inutilmente. Sai bene quanto non gradisca discutere con te.>>
<< Ma infatti, parlerò io. Tu devi solo ascoltare… per favore.>>
<< Va bene.>>, disse portandosi una mano alla collana di perle.
<< Voglio farti vedere una cosa.>>, le porse la cartella che teneva tra le mani.
In un primo momento, Delia tentennò. Poi la prese e aprendola vide che conteneva una stampa fotografica di un’ecografia.
<< E’ tua nipote. Che tu lo accetti o no, diventerai nonna, comunque.>>, guardò l’espressione della donna prima di proseguire, << Jennifer è già arrivata al sesto mese di gravidanza, ed è raggiante. Credo di non averla mai vista così… è bellissimo. Nonostante il vostro legame burrascoso e dopo quanto è successo, so che le manchi. Lei si ostina a dire che è acqua passata, che sta bene… ma mi accorgo che non è così. Sta per diventare madre per la prima volta e anche se ha accanto me, mia madre, tuo marito… vorrebbe condividere questo momento anche con te.>>, fece una pausa, << Io non so perché non nutri simpatia nei miei confronti e per qualche svariato motivo non mi consideri abbastanza per Jennifer, ma recuperare il rapporto con lei deve essere più importante di questo, Delia. Avevi ragione, sai. E’ una questione che non riguarda me, riguarda voi due. Quindi chiarisci tutto con tua figlia. Dubito fortemente che non ti manchi.>>
Delia teneva ancora lo sguardo basso verso la fotografia.
<< Ecco, volevo dirti solo questo. Buona serata, Delia.>>
 

Jennifer stava guardando alla TV una puntata del “David Letterman Show” quando Micky rientrò in casa.
<< Ehi!>>
<< Ciao, mamma super-sexy.>>, Micky si sedette accanto a lei sul divano e la baciò sulle labbra, << Come ti senti?>>
<< Bene.>>, Jennifer le prese una mano e la mise sul suo pancione, << E anche lei.>>
<< Perfetto!>>
<< Hai tardato un po’.>>
<< Sono stata a casa dei tuoi. Ho parlato con tua madre.>>
<< Scusami?>>, Jennifer spalancò gli occhi, << Potresti ripetere?>>, prese il telecomando e pigiò il tasto muto, << Perché l’hai fatto?>>
<< Perché è tua madre, J.J.>>
<< Oh, no... quella donna ha manipolato la mia vita fin da quando sono nata e l’unica cosa giusta che abbia fatto per me, è stata quella di allontanarsi.>>, s’innervosì e poi il suo viso si contorse in una strana espressione di disgusto.
<< Nausea?>>
Jennifer annuì, così Micky le prese un braccio e le fece un massaggio Shiatsu per alleviare il senso di nausea. Mise l’indice e il medio a distanza di quattro centimetri dalla prima piega del polso - immediata prossimità del palmo della mano – in mezzo ai due tendini, e iniziò a muovere entrambe le dita in senso orario per dieci secondi.
<< Adesso passerà. E comunque, non agitarti.>>, la ammonì.
<< Va bene.>>, prese un respiro profondo, << Oltre al fatto “che è mia madre”, perché ci sei andata?>>
<< Perché nonostante quello che dai a vedere, so che ti manca… e non dire il contrario. Sai, a volte capisci di dover fare la cosa giusta, anche se non ti entusiasma molto. E se le circostanze fossero state diverse, se Delia fosse stata una madre peggiore, cioè una drogata, un’alcolizzata o una madre violenta, credimi avrei lasciato le cose così come stanno. Non dico che con la mia visita possa cambiare idea, anzi sicuramente ho peggiorato la situazione…>>
<< Peggio di così, ne dubito.>>, specificò Jennifer.
<< Però era un tentativo che andava fatto. Credo che abbiate bisogno di un’occasione per poter costruire un vero rapporto.>>
Si guardarono per un po’, poi Jennifer poggiò la sua testa sul petto di Micky, mentre lei accarezzava il pancione.
<< Ti amo!>>, disse Jennifer, che equivaleva anche a un “Grazie”.

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Quante volte si sente dire che le cose capitano per un motivo, che nulla viene solamente per nuocere, che ciò che non ti uccide ti rende solamente più forte e che la ruota gira? Tante volte, probabilmente troppe. Queste apparenti frasi fatte, col senno di poi, sono vere. Il punto è che, prima di quel famoso “senno di poi”, quando il dolore di una tragedia inaspettata, bussa alla tua porta per distruggere la bolla di felicità nella quale stai vivendo; tutto quello che dicono è soltanto un infinito mare di stronzate.
Accade così, una mattina: sei una donna pienamente soddisfatta della propria vita, fai il lavoro che hai sempre voluto fare, sei sposata, in procinto di partorire il tuo primo figlio. E pensi che, nonostante tutto, ce l’hai fatta.
E poi?


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Accade così, una mattina: sei una donna pienamente soddisfatta della propria vita, fai il lavoro che hai sempre voluto fare, sei sposata con la donna che hai amato da sempre, che a breve metterà al mondo il vostro primo figlio. E pensi che, nonostante tutto, ce l’avete fatta.
E poi?







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Poi, dopo aver comperato un paio di scarpe per la tua futura figlia – quelle che ti piacevano tanto – e una tutina con le figure di tutte le principesse Disney… Succede che mentre stai per salire in auto, un tizio al volante perde il controllo della sua auto e ti travolge.
In un attimo ti ritrovi scaraventata a terra: frastornata, impaurita, a chiederti perché tua cognata e uno dei tuoi più cari amici, urlano fissandoti sotto shock.




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Poi, dopo aver visto per la millesima volta, la gioia nei volti di un uomo e di una donna, per la nascita del loro bambino, e pensi che finalmente toccherà anche a te provare un sentimento simile, se non più forte… Succede che, uscendo dalla sala operatoria, ti accorgi che il tuo cercapersone è squillato ripetutamente, il display mostra: codice rosso - pronto soccorso. Non sai di cosa si tratti, ma essendo un medico sai che è un’urgenza e allora, corri. Corri fino ad arrivare al pronto soccorso e vedere che nella barella che è appena scesa dall’ambulanza, c’è tua moglie... con in grembo tua figlia. Confusa e in preda al panico, la raggiungi e le assicuri che andrà tutto bene, stringendole la mano, mentre uno dei tuoi più cari amici - medico come te - ti dice che bisogna portarla immediatamente in sala operatoria. E una volta lì dentro, spegni le emozioni che stai maledettamente provando, per far spazio al miglior chirurgo neonatale che c’è in te, perché sai perfettamente che la vita di tua figlia è nelle tue mani, letteralmente.

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Micky si recò presso la sala d’aspetto, sapendo di trovarvi Caroline e Dustin. Ma non erano da soli. Theodor, Delia, Brody, Quinn, Angela, Greg e Albert, erano tutti lì in attesa di ricevere notizie. Ognuno di loro sperava fossero buone.
<< Micky! Grazie al cielo!>>, Theodor scattò subito in piedi non appena la vide arrivare, << Come stanno Jennifer e la bambina? Sono ore che nessuno viene a dirci qualcosa.>>
<< La bambina adesso sta bene. E’… bellissima.>>, rispose emozionata, << Ma su Jennifer non ho ancora notizie. C’è stata qualche complicanza dopo la nascita. Sono dovuta uscire dalla sala operatoria per tenere sotto controllo il battito cardiaco della piccola.>>, non sapere come procedesse l’intervento su sua moglie, la rendeva parecchio frustrata. Sua madre Angela la abbracciò caldamente per confortarla.
<< Micky, mi dispiace tantissimo.>>, Caroline si avvicinò a lei, visibilmente provata, << Avevamo appena raggiunto l’auto e Jennifer stava aprendo la portiera e poi è arrivata un’altra auto, sparata dritto verso di lei. E’ successo tutto senza che ce ne accorgessimo. Mi dispiace.>>
Micky si sforzò di mantenere la calma, anche se una parte di lei avrebbe voluto cercare il bastardo responsabile dell’incidente e prenderlo a pugni.
Proprio in quell’istante, alle loro spalle, arrivò Milo, scuro in volto.
<< Allora? Come sta? Posso andare a vederla?>>
<< Aspetta, Micky.>>, si fece coraggio prima di continuare, << Ha subito un forte trauma cranico che le ha provocato un’emorragia intracranica. Il dottor Sanders è riuscito a intervenire... ma… >>
<< Ma cosa, Milo?>>
<< Jennifer è in coma, Micky.>>, Milo deglutì.
Micky sentì le sue gambe tremare come se un terremoto 7.0 le stesse attraversando gli arti. Guardò l’amico come se avesse appena parlato in sanscrito, pronunciando parole incomprensibili. Poi, fu come una scena a rallentatore con i suoni che divennero ovattati, le luci al neon dell’ospedale sembrarono accecarla e i volti dei presenti pian piano andarono a sfocarsi. Il mondo si era appena spaccato e una voragine l’aveva risucchiata nell’oscurità.
<< No! No! No!>>, ripeté scuotendo la testa e si allontanò via da lì.
Come non l’era mai successo prima, crollò perdendo il controllo di sé. Entrata nel suo studio, scaraventò con rabbia tutto quello che c’era sopra la scrivania, diede un calcio al divano e si lasciò cadere su di esso. Scoppiò a piangere singhiozzando. Più tardi, inaspettatamente, Delia si presentò davanti allo studio. La porta era rimasta spalancata, notò il disordine sparso per terra e indugiò a entrare. Micky alzò lo sguardo e la vide. Allora Delia avanzò verso di lei e si sedette a fianco. Seguì un lungo silenzio vuoto.
<< Puoi dirlo liberamente. Tanto già lo so.>>, disse Micky di punto in bianco, << E’ colpa mia se Jennifer adesso si ritrova in coma. Io… io non avrei dovuto dirle niente. Non avrei dovuto confessarle ciò che provavo per lei. Ero la sua migliore amica, avrei dovuto tacere e continuare a esserlo. Avrei dovuto proteggerla. Invece no, sono stata una stupida presuntuosa egoista. E sai qual è la cosa buffa, Delia? E’ che ancora una volta tu hai avuto ragione, perché io non merito tua figlia. Pur amandola con tutta me stessa… io non la merito.>>, precisò con durezza. Si aspettava che la donna le desse ragione rincarando la dose.
<< Ti sbagli.>>, rispose invece, << Quella in difetto sono io. Ho avuto torto marcio nel credere con ostinazione che Jennifer, scegliendo te, non sarebbe mai stata felice. Non mi fidavo di te. Ma poi tu, mi hai diciamo costretta a fare un passo indietro. Quando sei venuta a parlarmi, cercando di convincermi a far pace con mia figlia… beh, è stato un gesto che ho apprezzato molto e che mi ha portato a riflettere un po’ su tutto quello che ho fatto nella mia vita. Ma soprattutto, ho capito quanto Jennifer sia importante per te. Quindi, quella stupida, presuntuosa ed egoista, sono io, Micky. Tu sei un’ottima moglie e sarai un’ottima madre. Tu e Jennifer, lo sarete assieme. Lei ce la farà.>>, allungò una mano sulla spalla di Micky.
Il rigore e la freddezza che da sempre la rappresentavano, lasciarono il posto alla comprensione e alla compassione. Delia aveva mostrato il suo lato umano e nei suoi occhi Micky riconobbe la sua stessa angoscia.


Di norma il coma dura dalle due alle quattro settimane. Superata questa soglia, c’è il rischio che il paziente possa non risvegliarsi più. Jennifer aveva superato la prima settimana senza cenni di ripresa. Nel frattempo, quasi tutti, amici e familiari, erano andati a farle visita. Tutti, tranne Micky.
Aveva portato a casa la bambina e poteva contare sull’aiuto dei quattro neo nonni. Chi la conosceva si aspettava di vederla sempre al capezzale della moglie, sicuri che non si sarebbe mai mossa di lì; invece la sua reazione all’accaduto fu del tutto diversa e imprevista. Dal giorno dall’incidente non era andata a trovarla neanche una volta. Un pomeriggio la osservò per un momento solo attraverso la veneziana e fu davvero insopportabile.
La stranezza delle aspettative è che tutto può risultare il contrario di tutto. E se c’è qualcuno che stupisce in negativo, qualcun altro, invece, può sorprendere.
<< Ciao Jennifer!>>, camminando a passi incerti, Quinn avanzò verso il lettino sopra il quale stava Jennifer e si fermò ai suoi piedi, << Eh già! Quella stronza antipatica di Quinn è venuta a trovarti.>>, le mani le sudarono, << Allora, ti decidi a riaprire gli occhi, eh? Mi sto annoiando senza nessuno con cui litigare. Con Dustin non c’è gusto: è come sparare sulla croce rossa. E con Milo non ci riesco proprio… insomma, capisci cosa voglio dire, no? Come si fa a litigare con un ragazzo come lui? E’ il fratello buono che tutte le ragazze vorrebbero. Senti, in realtà, ho pensato che potremmo trovare un compromesso. E’ chiaro, non diventeremo mai grandi amiche, ma possiamo provare ad andare d’accordo, che dici? Giuro che m’impegnerò ad avere un rapporto civile, se lo farai anche tu.>>, fece una pausa, << Micky è distrutta, ha bisogno di te e anche vostra figlia… a proposito è uno spettacolo.>>, sorrise, << Quindi, svegliati Jennifer, così tutto tornerà alla normalità.>>
Quinn uscì dalla stanza mentre il dottor Sanders, il neurochirurgo che aveva operato Jennifer, entrava per la consueta visita di routine.
 


Una settimana e mezzo dopo.
Micky terminò di allattare la bambina con il biberon: la mise nella giusta posizione per farle fare il ruttino, dopodiché la sistemò per bene nella carrozzina e rimase a guardarla. Sua figlia era l’unica cosa di quel periodo che le trasmetteva pace e tranquillità. La piccola sbadigliò: aveva un’espressione beata in viso. Micky le parlava e lei ascoltava come rapita dal suono di quella voce.
<< Devi andare a trovarla prima o poi, lo sai vero?>>, esordì Angela dalla cucina.
<< Sì! Lo so mamma.>>
<< Allora perché non oggi? Farebbe bene a te e aiuterebbe Jennifer.>>
<< Non ce la faccio. Non ci riesco. Il solo pensiero di immaginarla in quel dannato letto… >>
<< Micky smettila di dire così. Che significa “non ce la faccio”, “non ci riesco”? Tua moglie sta lottando per rimanere in vita e non puoi proprio permetterti di dire cose del genere.>>, le disse duramente, << Non ho la minima idea di come tu stia, okay? Però immagino sia tremendo e doloroso e che ti senti impotente.>>
<< E’ così. Sai mamma, io sono sempre stata dall’altra parte, sinora. Quando dovevo dire alle mie pazienti che il loro utero era sterile o che avevano perso il loro bambino... o un parto, un’operazione andava male, per quanto fossi solidale… rimanevo comunque la dottoressa che comunicava loro certe notizie. Che cosa provassero poi io non lo sapevo. La sofferenza apparteneva a quelle persone. Mentre adesso…>>
<< Appartiene a te.>>
<< E non ho mai odiato il mio mestiere, come adesso. Insomma, so di non essere un neurochirurgo… ma mi chiedo che senso ha essere un medico se poi non puoi far nulla per la persona che ami?>>
<< Lo so che non è il massimo… però, starle accanto, è l’unica cosa che puoi fare. E’ Jennifer ad aver più bisogno di te, ora. Va da lei, Micky.>>
<< Non posso perderla mamma.>>
<< Non succederà. Jennifer si riprenderà.>>
<< E se non fosse così?>>
<< Non pensarlo neanche.>>
<< Basta mamma, per favore. Sono stufa di sentirmi dire che andrà bene e che resterà soltanto una brutta esperienza.>>, si alterò, << Se…>>, un nodo alla gola la bloccò, << Se J.J. non dovesse farcela… io come farò?>>

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Alla fine Micky ci riuscì. Trovò la forza necessaria per oltrepassare la soglia e ritrovarsi accanto alla sua J.J.
<< Ciao, tesoro mio.>>, si schiarì la voce, << Non sarai molto fiera di me, suppongo.>>, abbassò per un istante lo sguardo sulla propria fede nuziale, << Non so perché mi sono comportata così. Il fatto è che non ho mai dovuto affrontare l’idea di poter perdere fisicamente qualcuno a cui tengo. Non mi sono mai posta il dubbio di come avrei reagito, come sarebbe stato e cosa avrei provato. E non voglio scoprirlo con te.>>, le prese la mano, << Hope ti manda un bacio. E’ stupenda nostra figlia, sai? Non vede l’ora di conoscerti. Ha due occhi così grandi e vivaci, sembrano chiari al momento, forse diventeranno azzurri come i tuoi e i miei. E poi ha un sacco di capelli. Ho la sensazione che da grande farà tante conquiste.>>, smorzò un sorriso, << Tua madre dice che somiglia a te quando sei nata. Già, tua madre… sorpresa, vero? Viene ogni giorno, ma non ti parla perché quello che ha da dirti preferisce farlo quando ti sveglierai. Ti aspettano tutti, J.J. . Io starò qui, non ti abbandono… promesso.>>
Rimase tutta la giornata a vegliarla, trascorrendo lì anche la notte.
I successivi giorni furono un alternarsi di ospedale, casa, ospedale, casa, ospedale, casa, ospedale. E un unico pensiero fisso: e se non si risvegliasse più?
 

Tre settimane. Quattro giorni. 2 ore… in più.


<< Sto pensando al nostro matrimonio. Dio quant’eri bella! Non è passato molto da quel giorno o per meglio dire, per gli altri, due anni è un tempo sufficientemente lungo, ma non lo è per me. Non lo è per noi. La nostra vita insieme è appena iniziata e non ho aspettato in disparte tutti quegli anni solo per viverti così poco.>>, strinse i pugni e poi si alzò dalla sedia per avvicinarsi a Jennifer, << Ricordi la canzone che abbiamo ballato al nostro matrimonio? Mi sento quasi ridicola nel farlo, però la musica aiuta a stimolare il cervello e sinceramente per adesso poco importa se scientificamente è ancora difficile da dimostrare che possa funzionare. Non dico che ti sveglierai all’istante, ma se può aiutarti… >>
Micky aveva preso in prestito da Dustin il suo iPod: aveva tolto tutte le canzoni presenti e inserita soltanto una. Sistemò una cuffia in un orecchio della moglie e l’altra nel suo e premette Play.
<< Non so più cos’altro fare J.J. . Ti prego, torna da me.>>, le sussurrò baciandola sulle labbra mentre risuonavano le note di “Fix You” dei Coldplay.
 

When you try your best but you don't succeed
When you get what you want but not what you need
When you feel so tired but you can't sleep
Stuck in reverse
 
And the tears come streaming down your face
When you lose something you can't replace
When you love someone but it goes to waste
could it be worse?
 
Lights will guide you home
and ignite your bones
And I will try to fix you
 
High up above or down below
when you're too in love to let it go
but If you never try you'll never know
Just what your worth
 
Lights will guide you home
and ignite your bones
And I will try to fix you
 
Tears streaming down your face
When you lose something you cannot replace
Tears streaming down your face and I
 
Tears streaming down your face
I promise you I will learn from my mistakes
Tears stream down your face and I
 
Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you


 

Sei mesi più tardi

 

5:30 del mattino: Manhattan dorme ancora. La piccola Hope DeLuca Jones, però, ne aveva abbastanza dell’affascinante mondo di Morfeo. Si svegliò piangendo proprio nel momento in cui Micky rientrava dal suo turno di notte.
<< Lascia, faccio io.>>, disse a Jennifer intenta ad alzarsi dal letto, << Continua a dormire.>>
<< Ma sarai stanca morta…>>
<< Non fa niente. Non è un problema.>>, si avvicinò alla culla, prese la bambina tra le braccia e uscì dalla camera. Camminò verso il salotto e si sedette sul divano. << Buongiorno, scricciolo.>>, Hope le sorrise, << Mamma Jennifer ha ancora bisogno di riposo, quindi tu ed io adesso parliamo un po’. Sai, quando ti ho sentito scalciare per la prima volta, mi è mancato il fiato. E’ stato allora che ho capito che dovevo iniziare a essere un miliardo di volte più responsabile. E quando sei nata, mentre ti tenevo tra le mie braccia e ti vedevo così minuscola e indifesa, ho capito che era arrivato il momento in cui sarei stata disposta a fare qualsiasi cosa per te. In quei giorni mi sono venute in mente un sacco di cose da dirti… così, una sera ti ho scritto una lettera. La porto con me, per potertela dare quando sarai grande. Non ti scoccia se te la leggo?>>
<< Per niente.>>, Jennifer arrivò improvvisamente, si sedette di fianco, intrecciò le sue braccia al braccio destro della moglie e rimase ad ascoltarla.
<< Crescendo imparerai tante cose, alcune saranno belle e altre no. Imparerai che esistono cose giuste e cose sbagliate e che molto stesso la gente preferisce fare quelle sbagliate. Io che queste cose già le so, vorrei riuscire ad avere la capacità di proteggerti da tutto il male che c’è nel mondo. Ma purtroppo non posso. Purtroppo so che qualsiasi cosa farò per te, sarà sempre la metà di quello che vorrei fosse in realtà. Capirai sulla tua pelle cosa significhi avere il cuore spezzato; capirai che anche le persone che ti vogliono bene, possono ferirti. E qualche volta ti deluderanno. Capirai che ci sono amici che se ne vanno e amici che invece restano. Capirai che si fanno molti più sacrifici di quelli che si vorrebbero, per ottenere qualcosa e che a volte nonostante ciò, non la si ottiene lo stesso. Incontrerai persone che avranno sempre uno stupido motivo per giudicarti, per non farti sentire all’altezza, ma anche persone che ti accetteranno per quella che sei, senza fiatare. Spero che darai retta al tuo istinto, alle tue emozioni, ai tuoi desideri, qualsiasi cosa tu faccia e che i tuoi valori siano dei fari sempre accesi nel tuo cammino. Pensa con la tua testa e osserva con i tuoi occhi. Non tutti hanno la volontà di vedere al di là di una cosa, di conoscere cosa c’è realmente nel profondo di una persona. Ti diranno bianco o nero? Tu rispondigli che esistono anche le sfumature. Che ogni colore ha le sue gradazioni, le sue diversità e che sono molto più interessanti da scoprire. Ti capiterà di litigare con noi e con tutta probabilità non sempre sarai d’accordo con ciò che diciamo o facciamo, ma voglio che tieni bene a mente che noi, io e tua madre Jennifer, saremo sempre le uniche due persone sulla faccia della terra che ti ameranno a prescindere da tutto. Saremo sempre la tua famiglia: quando cadrai, quando ti rialzerai, quando incasserai una sconfitta, quando vincerai, quando avrai paura e quando vorrai mangiarti il mondo con i denti.
Noi siamo e saremo la tua certezza, Hope.

                                                                    Ti voglio bene,
                                                                                       mamma Micky
.>>



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Con questo capitolo, siamo arrivati alla fine. Ci tengo a ringraziare tutte le persone che hanno seguito questa storia sia silenziosamente che commentando. La cosa più importante per me, oltre al fatto che vi sia piaciuta, è che abbia suscitato in voi delle emozioni. Ho in serbo un'altra storia e spero tanto che vi unirete anche in questo nuovo viaggio. Grazie ancora :)

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