Frammenti Di Me

di AyaCere
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Aspettando un angelo ***
Capitolo 2: *** Novità al caffè ***
Capitolo 3: *** Battaglie pericolose ***
Capitolo 4: *** Metamorphosi ***
Capitolo 5: *** Fede ***
Capitolo 6: *** Ricatto ***
Capitolo 7: *** Dolce e salato ***
Capitolo 8: *** Caduta libera ***
Capitolo 9: *** Promessa ***
Capitolo 10: *** Il passato che ritorna ***
Capitolo 11: *** Rivale in amore? ***



Capitolo 1
*** Aspettando un angelo ***


Frammenti Di Me

Salve! Dico due cose prima di iniziare: questa è la stessa fiction che scrissi due anni fa con l'account di _Ceres_, però è riscritta da capo. Capite bene che ho cambiato modo di scrivere e anche alcuni piccoli particolari della storia, ma alla fine si tratta sempre di FdM.

Attenzione! La storia è una long-fiction che parte da un punto imprecisato della serie, e sono presenti molti personaggi inventati; inoltre una delle coppie è Ryo/Retasu. Lo dico perché so che non piace a molti e vorrei evitare commenti del tipo: "Cm t fa a piacere ql lattuga di lory?????? A me fa skifo!!!!!! 6 idiota scrittrice!" ... ecco, non ne voglio vedere. Se non vi piace, o sopportate in silenzio per amore della storia (?) o chiudete la pagina. Grazie ^^

Ovviamente questo si tratta di un prologo, non tutti i capitoli saranno così corti. Recensite, eh!

 

 

Declaimers: Tokyo Mew Mew non appartiene a me, ma a Mia Ikumi e Reiko Yoshida, e non ne possiedo i diritti. Questa storia non ha scopo di lucro né è serializzata.

 

Frammenti Di Me

 

1. Aspettando un angelo

 

Tutto era avvolto in un buio denso. Il silenzio della notte era rotto solo dal dolce e, in un qualche modo, inquietante suono delle bollicine che esplodevano con un piccolo pop sulla superficie della teca. Fuori si udiva il debole ticchettio delle gocce di pioggia che si andavano ad infrangere sui vetri sporchi di quell’enorme fortezza fatta di tenebre e nebbia.

Un improvviso scricchiolio invase la stanza. Aprì piano gli occhi, quasi con fatica, specchiandosi nel riflesso sbiadito delle iridi color caramello nel vetro solcato da alcune incrinature. Le labbra si schiusero, ma al posto dell'aria trovarono solo un liquido gelido. Lo capì troppo tardi. Quell’acqua scivolò lenta e serpentina nella gola, fino ad arrivare ai polmoni.

La paura si impadronì di lei. Per la sensazione di non respirare, per quella di essere in trappola, per quella non poter più vivere…

Fu un attimo.

Crash!

 

In quel momento, a più di quattrocento chilometri di distanza, un ragazzo si svegliò di soprassalto. La sua stanza, al secondo piano di quello strano edificio color confetto, era ugualmente avvolta nelle tenebre, ma nonostante questo l'atmosfera era decisamente diversa da quella della fortezza.

Comunque il ragazzo non si curava dell'oscurità. Sì tirò su spingendo via il piumone del futon* con la mano destra, mentre l'altra si infilava tra la frangia spettinata. I suoi occhi azzurri fissavano spalancati un punto indefinito della stanza, inquieti. Indossava una leggera t-shirt di cotone bianco, piuttosto stropicciata, sotto la quale risuonava il battito impazzito di un cuore.

Non doveva avere più di diciassette, diciotto anni; si chiamava Ryo Shirogane, era il proprietario del caffè Mew Mew ed doveva aver appena avuto un incubo.

Aspettò che il respiro tornasse regolare, poi strizzò gli occhi, infastidito, e soffocò un'imprecazione tra i denti. Ancora quegli incubi, quegli stramaledettissimi incubi notturni così frequenti quando era solo un bambino, che tornavano ogni tanto ad infestargli il sonno. Si passò le mani sulle tempie e scoprì di essere parecchio sudato. Chissà quanto si era agitato prima di riuscire a sfuggire ai mostri della notte. Fece una smorfia di commiserazione. Tsé... odiava quelle sue debolezze, che dimostravano quanto il suo passato fosse impresso nel profondo della sua anima. Ma tanto presto sarebbero spariti per sempre. La realizzazione del Progetto era vicina.

Voltò piano la testa verso il comodino. L'orologio digitale segnava le quattro e mezza del mattino. Era decisamente presto per aprire il caffè, e l'idea di mettersi a computer e continuare con le ricerche gli faceva venire il voltastomaco. D'altra parte, se si conosceva bene, sapeva che non sarebbe più riuscito a chiudere occhio per tutta la notte. Sospirò, sfilando le gambe dal letto per appoggiare i piedi al tatami**.

Improvvisamente aveva voglia di correre.

 

Fuori era buio pesto. La luce dei lampioni non era sufficiente ad illuminare le strade avvolte dalla nebbia di metà Novembre, così aveva scelto una strada piuttosto isolata dove non passavano macchine.

La felpa della tuta blu notte non bastava a proteggerlo dal freddo mattutino, eppure Ryo continuava a correre, il ritmo piuttosto sostenuto e lo sguardo fisso davanti a sé.

Se qualcuno lo avesse visto di certo avrebbe pensato male di lui. In fondo non era affatto normale correre in piena notte, di mercoledì mattina, con l'inverno alle porte. Eppure lui non lo trovava affatto strano. In quel periodo si ritrovava ad avere quella voglia impulsiva di correre praticamente tutte le notti, da quando gli incubi erano tornati a tormentarlo.

Keiichiiro non ne sapeva nulla. A dirla tutta non ne era a conoscenza nessuno, ed a lui andava più che bene così, perché sapeva che sarebbero arrivate le domande strane, gli sguardi preoccupati, le frasi ridicole del "Se hai voglia di parlarne, io sono qui" o quelle ipocrite come "Ti capisco perfettamente, anche io ho delle preoccupazioni che non mi fanno dormire". La verità era che nessuno poteva capirlo. Nessuno poteva sapere come ci si sentiva a veder morire coi propri occhi la propria famiglia, la propria casa, il proprio mondo, e sognarlo ogni dannatissima notte. Nessuno poteva sapere cosa significava sentirsi soli.

Svoltò l'angolo, trovandosi di fronte all'entrata di un parco giochi. Poco lontano da lui stava una fontanella, da cui zampillava un sottile getto d'acqua. Rallentò il passo, avvicinandosi, e ne approfittò per rinfrescarsi e riposarsi qualche minuto.

A volte si sentiva un po' come Satsuki*** di "Moonlight Shadow".

Forse era stupido pensarlo, perché in fondo quello era solo di un romanzo, ma non poteva fare a meno di fare questo confronto. E si chiedeva se anche per lui, un giorno, sarebbe qualcuno a mostrargli il “fenomeno Tanabata” e dargli quella pace che sognava da anni.

Ma no... sbuffò infastidito, e gettò indietro la testa per far scorrere l'acqua gelida lungo il volto accaldato. Meglio abbandonare certi sentimentalismi, non era davvero il caso di lasciarsi andare in pensieri così idioti. Era solo un romanzo, quello. Solo fantasia. La sua, purtroppo, era una vita reale, il che implicava che i miracoli non accadevano così facilmente. Nemmeno ci credeva, ai miracoli.

Stava per riprendere a correre quando uno schiocco improvviso ruppe il silenzio circostante. I muscoli di Ryo si irrigidirono, il suo sguardo si fece guardingo ed attento. I sensi erano all'erta, alla ricerca della fonte di quell'impercettibile suono.

Pochi attimi dopo ne giunse un altro. Crack. Questa volta fu facile individuarlo: uno dei cespugli che facevano da confine ad un'aiuola spoglia si era mosso quel tanto abbastanza da saltare all'occhio. Evidentemente qualcuno, nascosto dietro di esso, s'era impigliato in un rametto e l'aveva spezzato.

Il ragazzo sbuffò, rilassandosi appena. Per un attimo aveva creduto che ci fosse un malvivente o, ancora peggio, gli alieni. Ma evidentemente quel qualcuno doveva essere un gatto, un cane, o al massimo una coppietta che si doveva nascondere agli occhi dei genitori per scambiarsi effusioni. Scosse la testa, poi si sistemò meglio la felpa, per riprendere a correre. In fondo, qualunque cosa fosse, non era affare suo.

Aveva già percorso alcuni metri, quando una voce lo obbligò a fermarsi.

    - Aiuto... -

Era una voce flebile, debole, soffocata, ma Ryo la udì perfettamente. Fissò quel cespuglio con sguardo estremamente serio, chiedendosi se fosse uno scherzo o dietro di esso ci fosse davvero qualcuno in difficoltà. Ma esitò solo per poco, poiché tornò indietro subito, percorrendo con passi veloci la distanza che lo separava dall'aiuola. No, non era uno scherzo. Chi poteva essere quell'imbecille che faceva scherzi alle cinque del mattino?

Ed infatti, ciò che vi trovò dietro fu una ragazzina riversa a terra. I capelli biondicci ed il leggero vestito bianco si erano appiccicati alla pelle graffiata, completamente bagnati di acqua e di sangue. La gamba destra era piegata in una posa strana, innaturale, probabilmente fratturata. I suoi occhi color caramello incontrarono per qualche secondo quelli azzurri di Ryo, ed un leggerissimo sorriso si formò sulle sue labbra mortalmente pallide, che provocarono un brivido freddo lungo la schiena del ragazzo.

    - Finalmente... qualcuno... mi ha sentito. -

Poi chiuse gli occhi e lasciò dondolare la testa da un lato, perdendo coscienza.

 

*

 

* futon: il letto dei giapponesi, composto da una specie di materasso, un cuscino rotondo ed un piumone. Cosa non si sono inventati per risparmiare spazio...

** tatami: il pavimento dei giapponesi, che da noi si usa anche nelle palestre dove si insegnano le arti marziali. E' composto da una specie di "tappeti" fatti di piccole canne di bambu (almeno credo... non ne ho mai visto uno ^^''')

*** "Moonlight Shadow" è il romanzo di Banana Yoshimoto, in cui la protagonista -Satsuki, per l'appunto- si ritrova a correre tutte le notti, perché turbata dai sogni in cui rivive gli attimi vissuti con il suo fidanzato, morto in un incidente. Ryo sembrava fatto apposta per questa parte *.*

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Capitolo 2
*** Novità al caffè ***


Frammenti Di Me

Ecco qui il secondo capitolo! Non c'ho messo troppo, vero? A dir la verità avrei potuto aggiornare prima, ma ho deciso che aggiornerò ogni due settimane, così da non fare i soliti ritardi pazzeschi. L'idea non fa una piega, ma non so quanto durerà =_='''

Passiamo alle recensioni! Che dire... wow! Ma sul serio l'introduzione era così carina? Contenta di saperlo ^^

Anonimo: non so se leggerai questo capitolo, ma sappi che mi hai fatto troppo tenerezza xD non mi arrabbio certo se non ti piace una coppia, anzi! I pairing sono sacri, ed è appunto a quelle persone che non li rispettano che era rivolta la minaccia! Comunque, anche se non leggerai la storia, ti ringrazio per i complimenti, sei stato/a un tesoro.

Pichan: tu sei sicuramente nuovo! Quindi benvenuto xD Chi è quella ragazza lo scoprirai col tempo... mi fa piacere sapere che, sebbene non ti piacciano Ryo e Retasu come coppia, leggerai lo stesso la fic, anche perché le coppie trattate saranno parecchie... cercherò di sviluppare tutti i personaggi, per quanto mi sarà possibile ^^

Caomei: grazie per la comprensione ^^ finalmente qualcuno a cui piace la Retasu/Ryo! Un giorno o l'altro dovremmo creare un vero e proprio fan club per la salvaguardia della coppia U_u

Danya91: anche a me piace tantissimo la coppia Retasu/Pai (in effetti ho in cantiere una one-shot su di loro, ma questo maledetto blocco dello scrittore è una gran brutta bestia...) ma ai fini della storia non li ho potuti mettere insieme. Comunque tranquilla, non ho abbandonato l'altra... prima o poi la continuerò ^^''' (quel prima o poi non ti piace? Nemmeno a me, ma che ci vuoi fare...)

Lory 06: se non sbaglio (e credo di no) tu seguivi anche la prima stesura, vero? Grazie per i complimenti! A dirti la verità la figura di Ryo, nella precedente fic, non era molto approfondita... qui invece lo è abbastanza. Ho cambiato molte cose, spero che ti piacerà comunque ^^

 

 

Declaimers: Tokyo Mew Mew non appartiene a me, ma a Mia Ikumi e Reiko Yoshida, e non ne possiedo i diritti. Questa storia non ha scopo di lucro né è serializzata.

 

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2. Novità al caffè

 

    - Buongiorno a tutti! -

La voce squillante di una ragazza risuonò nel locale già pieno di clienti, ma solo due persone, tra le tante, si voltarono verso di lei. Dovevano essere due cameriere poiché indossavano delle divise colorate, e dovevano anche conoscere la ragazza dai codini rossi ferma davanti all’entrata, perché il loro tono era confidenziale.

    - Sei in ritardo. Come sempre, d’altra parte. -

A parlare era stata la cameriera vestita di blu. Era la più bassa delle tre, forse anche più piccola, ma l’espressione altezzosa ed il sorrisetto di scherno la facevano apparire molto più matura. Non badava affatto ai clienti e sedeva con le gambe accavallate al bancone, dov’era appoggiata una piccola teiera ed una tazza fumante di the.

La ragazza dai codini rossi si fece avanti, piuttosto offesa da quel commento. Indossava una divisa scolastica delle medie di un bel grigio chiaro e teneva sottobraccio una cartella beige.

    - Uffa Mint, non è colpa mia questa volta! E' che nel test di matematica ho preso un brutto voto e il professore mi ha tenuto in classe per farmi una testa così… - si diriesse verso il camerino, ma la cameriera più grande la costrinse a fermarsi. In realtà costringere era un po’ esagerato, perché bastò chiamarla, ma Zakuro era un caso a parte.

    - Ichigo. - il tono della diciottenne era serio, ma non seccato né tanto meno di rimprovero. Qualcosa diceva ad Ichigo che c’erano novità in arrivo, e che non era propriamente piacevoli. Osservò altrettanto seria il volto dell’altra, dai suoi occhi azzurro ghiaccio alla frangetta severa che le sfiorava le sopracciglia scure. - Dobbiamo farti vedere una cosa. -

Infatti... Ichigo appoggiò la cartella sul bancone. Mint lasciò perdere il suo the pomeridiano e si incamminò verso la cucina. Entrarono nella piccolo stanza e si fermarono tutte e tre davanti ad una porta di lucido acciaio, senza maniglie né altri appigli per aprirla.

Mint sfilò dalla tasca un ciondolo dorato e lo fece passare davanti ad un piccolo display incastrato nella parete, un sistema di sicurezza. Passarono pochi attimi, dopodiché il display si illuminò e la porta prese a scorrere. Dall'altra parte si potevano scorgere solo pochi gradini di una scala, ma il resto era inghiottito dal buio.

    - Andiamo nel laboratorio? - Ichigo era preoccupata. - Ci sono problemi con gli alieni? Speravo che avessero lasciato perdere... era un po' che non davano fastidio. -

Mint si incamminò senza fare commenti e Zakuro si limitò a dare una risposta enigmatica, di quelle che era solita dare.

    - No, questa volta no. Almeno è ciò che dobbiamo sperare. -

 

C'era un motivo ben preciso per cui Ichigo detestava quel posto, un motivo che non aveva nulla a che fare con il buio denso in cui era avvolto, dei fili sparpagliati a terra in cui capitava ogni tanto di inciampare o della luce accecante dell'enorme monitor che occupava l'intera parete.

No, lei detestava quel posto perché sapeva di disinfettante.

Era un odore che sentiva dappertutto, fortissimo, le dava alla testa. Quel giorno sembrava essersi quadruplicato nell'aria, rendendole difficile persino respirare. Si appoggiò alla parete, trattenendo il respiro. Una bambina, poco più in là, le lanciò un'occhiata preoccupata. Aveva bei capelli biondo grano raccolti in quattro piccole trecce e teneri occhi marroni a mandorla. Non dimostrava più di dieci anni.

    - Ti senti bene? -

A parlare non era stata la bambina, ma una ragazza di poco più grande di Ichigo appena uscita dalla stanza. Era alta e magra, troppo. Le due lunghe trecce verde foglia le cadevano dolcemente sulla divisa dello stesso colore. Gli occhi blu notte, nascosti dalle lenti degli occhiali, la fissavano preoccupati.

    - No, cioè sì, sto bene. E' solo che... lascia stare. -

Sorrise anche quell'odore nauseante le faceva girare la testa. Retasu continuò a fissarla per alcuni attimi, poi sospirò.

    - Dai, venite dentro, ma fate piano. Mizu sta dormendo. -

    - Chi? - sbottarono in coro Purin ed Ichigo, e l'altra le zittì subito.

    - Shhh! Per favore, ragazze... Ryo ha detto che è importante lasciarla dormire. - Retasu era preoccupata. Le due si tapparono subito la bocca, ma prima di seguire la più grande dentro la stanza si lanciarono un'occhiata, in ansia.

In effetti, c'era un motivo se quel posto sapeva di disinfettante.

Quella stanza era subito accanto al laboratorio centrale, ma non serviva per tenere né computer né archivi. Era una piccola infermeria, dalle pareti di un bianco accecante, ed era piuttosto spoglia. All'interno c'erano due letti ed alcune apparecchiature mediche che Ichigo non aveva mai visto in funzione.

Almeno fino ad allora.

    - Ichigo, Purin, bene arrivate. -

Keiichiiro Akasaka si voltò verso di loro, sorridendo. Era un uomo alto, l'unico adulto del loro guppo; teneva i lunghi capelli raccolti in una coda elegante e sapeva fare un sacco di cose, tra cui cucinare e suonare il pianoforte. Era sempre gentile con tutti, in special modo con le ragazze che lui chiamava "principesse". Ichigo lo adorava.

    - Ciao. - la ragazza ricambiò il saluto, meno sorridente del solito. Nella stanza c'erano anche Mint, Zakuro e Ryo, che erano voltati di spalle e accerchiavano il letto più in fondo alla stanza. Ichigo provò ad allungare il collo per scorgere qualcosa ma era inutile. Si voltò di nuovo verso Keiichiiro. - Allora, cos'è tutto questo mistero? -

    - Già, che ci nascondete? - anche Purin era curiosa. Keiichiiro sospirò e smise di sorridere. Ryo gli lanciò un'occhiata, ma non intervenne.

    - Vedete... quattro giorni fa abbiamo trovato una ragazza svenuta in un parco poco lontano da qui. -

    - Una ragazza? Come sta? L'hanno attaccata gli alieni? -

    - No... cioè, non lo sappiamo. - rispose pacato Keiichiiro, senza prendersela troppo per essere stato interrotto.

    - E allora che c'entra con noi? -

    - E' quella che riposa in quel letto lì? - Purin indicò il letto dove stavano Ryo, Mint e Zakuro. Anche lei sembrava abbastanza confusa. - Ma se era ferita perché non l'avete portata all'ospedale? -

Keiichiiro distolse lo sguardo dalle due ragazze, poi afferrò il pc portatile che teneva sul tavolino a lo avvicinò loro. Sullo schermo era visualizzato un programma piuttosto complicato, pieno zeppo di numeri mischiati a caratteri che Ichigo non aveva mai visto. Aprì bocca per chiedere qualcosa, ma Keiichiiro la precedette.

    - Inizialmente avevamo pensato di fare così. L'abbiamo portata qui al caffè che era svenuta. Aveva ferite da taglio lungo tutto il corpo e bisognava disinfettarle subito, così, visto che Ryo ed io abbiamo fatto studi di medicina, abbiamo deciso di pensarci noi... ma quando abbiamo esaminato il suo sangue abbiamo scoperto... beh, questo. -

Si interruppe, forse per lasciare alle due il tempo di rielaborare le sue parole. Ichigo guardò nuovamente quei numeri strani sullo schermo, ma non ci capì niente lo stesso.

    - Cioè? -

    - Non lo intuisci da sola? - provò a chiedere, ma l'espressione ebete delle due lasciava intendere perfettamente la loro ignoranza in materia. Keiichiiro riprese il discorso, sempre più serio. - Quasi l'ottanta per cento del plasma di questa ragazza è costituito da acqua Cristallo. -

    - CHE? -

La bambina sgranò gli occhi, mentre Ichigo si coprì la bocca con le mani. Osservò lo sguardo mortalmente serio di Keiichiiro, poi non aspettò due attimi prima di avviarsi verso il letto, seguita a ruota da Purin. Retasu rimase alla porta, dove era rimasta tutto il tempo. Zakuro e Mint, vedendole arrivare, si scansarono senza dire una parola. Ryo invece rimase dov'era, stringendo i pugni intorno alla sbarra metallica del lettino.

La ragazza era distesa sotto le coperte bianche, profondamente addormentata. Il suo volto era abbronzato, ma le labbra avevano un colore pallido, esangue. I capelli era corti e lisci, di uno colore a metà tra il biondo e l'arancione, con una lunga frangia che cadeva da una parte del viso. A occhio e croce non aveva più di dodici, tredici anni.

    - Sarebbe questa? - borbottò Purin, squadrandola da capo a piedi con un ditino sul mento. - Però sembra stia bene... cioè, avevi detto che era piena di tagli... -

    - Lo era, infatti. - era la prima volta che Ryo apriva bocca da quando erano arrivate. Sembrava scocciato, ma dopotutto quando mai Ryo non lo era... - Non dimenticatevi però dell'acqua Cristallo che ha nel corpo: dopo poche ore le ferite erano completamente guarite. Aveva una gamba fratturata di brutto, che in casi normali impiegherebbe mesi per mettersi a posto, invece le sono bastati solo quattro giorni per farla tornare come nuova. -

Tutti fissavano seri quella misteriosa ragazzina dormiente, perso ognuno nei propri pensieri.

    - Se... - cominciò Ichigo, trovando il coraggio di parlare. - Se hai detto che sta già guarendo del tutto, perché non si risveglia? -

Questa volta Ryo non rispose subito. Il suo sguardo ceruleo era fermo sul volto della ragazzina, intenso, quasi volesse trapassarla da parte a parte.

    - Da quando è qui si è svegliata solo tre volte. Lei è... insomma... non ricorda niente. E' sotto shock. Kei ed io supponiamo che l'incidente in cui è stata coinvolta, e la caduta che le ha causato la frattura della gamba, abbiano in qualche modo causato una perdita della memoria. Non ricorda niente di sé... tranne quello che forse è il suo nome, Mizu, e la parola "mewmew". -

Ichigo rimase a bocca aperta. Non sapeva se era più sorpresa o perplessa, ma di certo quello era un gran bel mistero.

    - Ragazze - Keiichiiro attirò l'attenzione delle cinque ragazze, ancora molto serio. - Il fatto che questa ragazza abbia nel corpo un quantitativo così enorme di acqua Cristallo significa che da qualche parte a Tokyo o nel mondo, c'è qualcuno oltre a noi che utilizza la Mew Tecnology*, forse in modo anche migliore. Il problema è che non sappiamo se ci è amico o nemico. - prese fiato, osservandole una ad una. - Non è da escludere che oltre agli alieni in futuro non ci sarà qualche altro nemico. Da questo momento Mizu entra a far parte, come noi tutti, del Mew Project. Probabilmente le cose per noi si faranno più rischiose che mai... so che è dura, ragazze, ma per favore... non mollate. -

Keiichiiro si limitò a questo, ma i suoi occhi lasciavano trasparire mille altre parole.

Il futuro è nelle vostre mani, ragazze.

La Terra ha bisogno di voi.

 

*

 

La luce delle stelle sfrecciava veloce davanti ai suoi occhi verdi. Il contrasto col nero dell'universo senza fine era fantastico, ma dava un senso di inquietudine e di abbandono. Il volto pallido dell'aliena era senza espressione, ma era così stanca... si sentiva vuota, completamente svuotata da ogni emozione. Nemmeno il sonno che aveva accumulato in quei giorni terrificanti riusciva a farle chiudere occhio, perché l'unica cosa che riusciva a fare era continuare a girarsi inquieta nel letto, e la sua testa non la smetteva mai di ragionare, di bombardarla di immagini, di spegnersi.

Le stelle sembravano non finire mai... a che velocità stavano andando? Da quanto tempo stavano viaggiando? Minuti, ore, giorni? Quanto mancava alla destinazione? Avevano fatto bene a lasciare il pianeta, oppure ciò che avrebbero incontrato sarebbe stato peggio di ciò che stavano lasciando?

Non lo sapeva... non voleva saperlo. Ormai, non le importava più.

    - ... non trovo Uri. -

Quelle parole bisbigliate nel silenzio la fecero voltare di scatto. Un bambino di poco meno di cinque anni stava di fronte a lei, la testolina bionda abbassata e le mani intrecciate sotto il mento. La tunica nocciola contrastava con la pelle nivea, e sembrava tremare leggermente.

    - Uri? - ripeté Christine dopo alcuni secondi, senza capire a cosa si stesse riferendo. A dir la verità non le importava gran ché, i pensieri erano stati interrotti solo a metà dal piccolo alieno. Lei si sentiva come se non fosse veramente.

    - Il mio cucciolo... non lo trovo più... - sbiascicò il piccolo, la vocina che si faceva flebile e soffocata: era ad un passo dalle lacrime. Christine non rispose subito, ma osservò il volto dell'alieno con tanta pena, perché probabilmente il suo cucciolo era rimasto sul loro pianeta, e chissà che fine aveva fatto...

    - Non ti preoccupare. Ora vai a dormire, domani andremo a cercarlo tutti insieme. Si sarà nascosto da qualche parte nella navicella... - si ritrovò tuttavia a dire, mentre si sforzava di sorridergli. Il tono non era del tutto rassicurante, però bastò per convincere il piccolo alieno.

    - Va bene maestra... - tirò su col naso e fece dietro front, tornando nella stiva dove dormivano tutti gli alieni della sua classe. Christine osservò la sua figura fino a quando scomparì nel buio del corridoio, poi si lasciò cadere sulla sua branda e chiuse gli occhi, pur sapendo che nemmeno quella notte sarebbe riuscita a prendere sonno.

 

*

 

* Mew Tecnology: è il nome (made by me U_u) dello studio e la scienza che ha permesso alle nostre eroine di diventare MewMew unendo il loro DNA con quello di un Red Data Animal, cioè un animale a codice rosso. Dai, sono mica stata brava? Mi sono documentata un sacco! Credo che la lista dei Red Data Animal esista davvero...

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Capitolo 3
*** Battaglie pericolose ***


Frammenti Di Me

Mi piacciono le battaglie *_* attenzione! La scuola in questo periodo si sta facendo davvero pesante per me (rischio almeno due debiti ç_ç) quindi c'è la possibilità che non riesca a rispettare l'aggiornamento... portate pazienza ç_ç

Danya91: cercherò di mettere tutta me stessa per curare il blocco, promesso!

Caomei: bene bene bene, facciamoci notare noi fan della Retasu/Ryo! Se trovo un modo metto davvero in piedi una paginetta per il fan club su di loro xD

Pichan: ah, sei una ragazza! Me lo sarei dovuto aspettare, dopotutto questa è una sezione for girls only xD cercherò davvero di continuarla fino alla fine, davvero-davvero-davvero >_< baci!

Anonimo: ci sei ancora! Che bello ^^ riguardo a Retasu non mi sembra di aver detto nulla di eccezionale, anzi... rileggendo il capitolo, si capiva quasi che la mia preferita fosse Zakuro (ed in effetti mi piace moltissimo). Riguardo ai nuovi personaggi, avrai sicuramente modo di conoscerli meglio, dato che Mizu è una dei pg principali, mentre Christine è profondamente legata con Pai ed un altro personaggio molto importante che conoscerai più avanti... mi fa piacere il fatto che la leggerai lo stesso, davvero! E sì, vorrei sapere chi sei... la curiosità è donna U_u

Lory 06: nooo, non puoi aver salvato la prima stesura! Nooo! O_O Oddio, non so nemmeno il perché della mia disperazione, ma... non so, mi fa uno strano effetto =_= ecco brava, raccogli tanti sostenitori di Ryo&Retasu, che mettiamo davvero su un fan club ufficiale xD

 

 

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3. Battaglie pericolose

 

    - Dannazione... ! -

L'imprecazione dell'alieno rimbombò lungo le pareti spoglie della sala, seguita da sinistri scricchiolii di pezzi di vetro in frantumi. A differenza di qualche giorno fa l'ala della fortezza non era più immersa nelle tenebre, ma era illuminata da una potente luce proveniente da un punto indefinito del soffitto. Spoglia ed enorme, conteneva solo poche apparecchiature d'alta tecnologia e delle teche di vetro addossate alle pareti. Non erano molte, forse solo una decina, tra le quali una completamente in frantumi. Le schegge di vetro erano sparpagliate intorno alla base di metallo e galleggiavano in un sottile strato acquoso.

Il giovane alieno fluttuava di fronte alla teca. Vestiva strani abiti, di certo non umani, come del resto non lo erano le sue orecchie ed il resto dei lineamenti. Aveva occhi blu cobalto, pelle nivea e corti capelli violacei, ad eccezione di una ciocca più lunga da un lato del viso che era legata da un nastro.

Nella fortezza era conosciuto come Pai Ikisatashi, Comandante del primo girone dell'esercito al servizio di Deep Blue, ma soprattutto il medico ricercatore della spedizione aliena sulla Terra.

E quella stanza, il suo laboratorio.

Pai fissava la teca con sguardo truce. Le mani grandi e pallide, lasciate lungo i fianchi, si stringevano convulsamente per la rabbia. Teneva le labbra strette per non imprecare nuovamente.

Era infuriato, decisamente. E c'era da capirlo: il suo esperimento era fuggito. Sparito. Volatilizzato. Non sapeva nemmeno come aveva potuto avere la forza di fare una cosa del genere. Che l'esperimento fosse forte, beh, quello lo sapeva anche troppo bene: l'aveva creato lui. Aveva cercato di ribellarsi molte volte, ma fin'ora lo aveva sempre tenuto a bada con droghe e tranquillanti. Fin'ora... in cosa aveva sbagliato? In cosa?

Scattò in aria, mentre un ventaglio si materializzava nella sua mano destra. Lo agitò forte, con un gesto secco del braccio, ed un fulmine accecante si schiantò sulle teche. Lo schianto fu terribile, tanto che l'intera fortezza tremò per qualche minuto. Pai rimase immobile a mezz'aria con il ventaglio ancora alzato e pronto a colpire nuovamente. I suoi occhi scintillavano di rabbia selvaggia.

Delle urla seguirono il terremoto, accalcandosi all'esterno del laboratorio.

   - Per i Kami*... ! Cos'è stato? -

   - Che è successo?! -

   - COMANDANDE! -

Il portone d'entrata s'aprì di botto, ed alcune figure si precipitarono nella stanza facendosi largo tra la polvere, confusi e spaventati. Pai li intravide con la coda dell'occhio, e subito il ventaglio calò nella loro direzione. Un nuovo fulmine si abbatté nella stanza, senza pietà. Nuove urla, questa volta di dolore.

   - Fuori tutti! FUORI, HO DETTO! - comandò rabbioso Pai alzando nuovamente la sua arma, troppo irato per poter ragionare lucidamente. La polvere s'era abbassata quel tanto da permettere agli altri alieni di vedere la sua figura, e capirono all'istante che in realtà lo schianto era merito della sua ira. Indietreggiarono, spaventati. Pai si spazientì ancor di più. - SIETE SORDI? HO DETTO DI ANDARE VIA, VIA DALLA FORTEZZA! ANDATEVENE! -

Ma prima ancora che finisse di parlare, si ritrovò solo in quell'ala semi-distrutta del castello. Abbassò quasi controvoglia il ventaglio e lo fece smaterializzare, mentre la stanza si faceva più fredda e bluastra. Le pareti sparirono, come anche la polvere, le apparecchiature e le teche ormai distrutte; in uno sbattito di ciglia si ritrovò solo ed inerme di fronte a Deep Blue in persona.

Abbassò lo sguardo istintivamente, mentre il suo cuore sembrava aver smesso di battere nel suo petto. Sapeva che lo aspettavano i dieci minuti più orribili della sua vita. O almeno, quella sulla Terra.

   - Penso che tu debba darmi delle spiegazioni, Pai. -

 

*

 

Aprì gli occhi a fatica, trovandosi ad osservare il soffitto dell'infermeria.

Si sentiva infinitamente debole. Non sapeva bene perché, dato che i muscoli del suo corpo erano guariti completamente, eppure tutti i più piccoli movimenti -quelli delle mani, della testa, perfino quelli del viso- le costavano una fatica immensa. Keiichiiro diceva che era tutta stanchezza psicologica e che l'unica cosa da fare era dormire, ma Mizu non ne poteva più. Da quando l'avevano trovata non s'era mossa da quel lettino dell'infermeria del caffè, ormai l'inattività cominciava a stancarla seriamente.

    - Ben svegliata. Hai fame? -

Voltò di scatto la testa ma si bloccò subito, strizzando gli occhi: quel movimento le aveva provocato un dolore lacerante alla base del collo. Sentì qualcuno avvicinarsi e posarle una mano sulla fronte. Il dolore, a quel contatto freddo ed asciutto, si calmò subito. Riaprì gli occhi, inquadrando un ragazzo biondo e preoccupato: aveva degli occhi stupendi, cristallini. Lo riconobbe subito: era Ryo, quel tipo taciturno che ogni tanto vedeva passare nel laboratorio.

    - Mh... - Mizu scostò la sua mano e cercò di fare leva sui gomiti per mettersi seduta. Questa volta il dolore fu più tenue. Ryo non la bloccò, ma continuò a scrutarla.

    - Come ti senti? -

    - Come se un camion mi avesse prima investito, fosse tornato indietro e mi avesse investito di nuovo. - rispose scontrosa. Non aveva voglia di parlare e sperava che lui lo capisse, ma purtroppo Ryo non era dello stesso parere.

    - Sì, sei ancora convalescente. Ti ci vorranno ancora un paio di giorni per poterti muovere con una certa scioltezza. - lui afferrò una sedia e la trascinò senza tante cerimonie accanto al suo letto, sedendosi. Non aveva ancora levato il suo guardo da quello di Mizu. - Ricordi niente? -

Lei scosse la testa. Ryo sospirò come se non si fosse aspettato nulla di diverso.

    - Per questo credo che sarà piuttosto difficile... la memoria potrebbe tornarti in ogni momento. Tra dieci giorni come due secondi o cinque anni. - esclamò in tono fermo e piatto. Mizu gli scoccò un'occhiataccia.

    - Non sei molto rassicurante, lo sai? -

    - Non volevo affatto esserlo. - rispose tranquillamente, incrociando le braccia. - Non voglio comportarmi come Keiichiiro e raccontarti bugie: questo è e questo rimane. Che non sia rassicurante, beh... non ci posso fare niente. -

Quelle parole, per la mente già instabile di Mizu, furono la classica goccia che fa traboccare il vaso. Strinse le mani intorno al lenzuolo fino a far sbiancare le nocche delle dita.

    - Fantastico! Semplicemente fantastico! - strillò senza riuscire a contenersi. - Non ricordo un accidenti e la sola cosa certa è che sono invischiata in un progetto pazzoide per via di una strana cosa che ho nel sangue, ma a te cosa vuoi che ti importi, già, dopotutto non ci puoi fare niente! - sentì il naso pizzicare e gli occhi farsi lucidi, e fece leva su tutto il suo autocontrollo per non scoppiare in singhiozzi di fronte a lui. Ryo fece finta di non notarlo, ma le lanciò un'occhiata eloquente e lei si ritrovò ad arrossire, vergognandosi per quello sfogo. Non era certo colpa di Ryo, anzi, lui le aveva anche salvato la vita. Balbettò uno - Scusa, è che... non so nemmeno io che cos'ho... - non troppo certo.

Ryo però scolò le spalle.

   - Non ti preoccupare. Sei confusa, è normale... chi non lo sarebbe nel tuo stato? - abbassò il tono di voce, che ora suonava dolce. Così sembrava improvvisamente più affidabile di ciò che Mizu aveva sempre pensato di lui; sentì il bisogno di parlare di ciò che la tormentava da quando s'era svegliata la prima volta.

   - ... ho sempre mal di testa, soprattutto quando cerco di ricordare qualcosa. Sarà sempre così? - chiese con la voce ridotta ad un mormorio roco. Ryo sospirò, scrollando le spalle.

   - Non ne ho idea. Credo comunque che sia un disturbo temporaneo, una conseguenza del trauma che ha provocato la tua amnesia. Dato che la tua mente è confusa, quando cerchi di far riaffiorare un certo ricordo reagisce facendo aumentare il mal di testa. Non dovresti sforzarti. - Ryo s'alzò e sistemò la sedia accanto alle apparecchiature mediche, levando lo sguardo da quello della ragazza. - Sarà difficile, ma per adesso pensa a riposare e non pensarci troppo. Accavallando pensieri su pensieri la tua mente non riuscirà mai a raggiungere un punto di equilibrio... -

   - Ogni volta che chiudo gli occhi, è come se fossi bombardata dagli incubi... -

   - ... ti capisco. - mormorò, mentre il suo sguardo vagava per la stanza, lontano. - Non so, potresti concentrati sui piccoli particolari di qualcosa... i riflessi di luce sull'acqua, il disegno di un quadro. Pensando solo a quello tutti gli altri pensieri non avranno spazio. -

Mizu rifletté qualche secondo sulle sue parole, poi annuì.

   - ... cercherò di fare come mi dici. Grazie. -

   - Prego. - Ryo le rivolse un sorriso. Un sorriso molto semplice, eppure sembrava eccezionale. Forse perché era la prima volta che lo vedeva sorridere.

Poi dei passi affrettati e l'improvvisa entrata di Keiichiiro e Ichigo li costrinsero a voltarsi verso di due.

    - Ryo! Mash ha appena dato l'allarme. Una decina di chimeri sta attaccando i centri di Ikebukuro e Suzuhara! - esclamò lo scienziato, la voce insolitamente potente e seria. - E mancano Zakuro e Purin... -

Alle sue spalle, Ichigo rimase in silenzio aspettando ordini.

    - Cosa?! - fu la reazione incredula del ragazzo, che si fiondò fuori dall'infermeria seguito immediatamente dai due. Prima di uscire le rivolse un sorriso che probabilmente voleva essere rassicurante, ma che invece risultò piuttosto preoccupato. - Tu resta qui e fai la brava. Noi torniamo tra poco. -

Mizu annuì, nonostante non ne fosse del tutto convinta.

 

*

 

    - Ribbon Lettuce Rush! -

Un micidiale getto d'acqua si abbatté sul mostro, facendolo sbattere violentemente addosso ad un edificio. Una luce rossastra lo avvolse e si rimpicciolì sotto i suoi occhi, riducendo l'enorme bestia che aveva cercato di azzannarla fino a pochi attimi prima in un piccolo e spaventato topolino. La luce si riunì in un ammasso informe simile alla gelatina, e cercò di scappare dal campo di battaglia, ma una specie di peluches rosa lo inghiottì prima che riuscisse nel suo intento.

    - Mash l'ha mangiato! Mash ha fatto il suo lavoro! - cinguettò il piccolo robottino con la sua voce a metà tra il melodico ed il metallico. Retasu gli sorrise di rimando, ma la sua gioia durò pochissimo al pensiero che quello era solo uno dei tantissimi mostri che stavano distruggendo e razziando Tokyo, e forse era uno dei meno pericolosi. Dietro di lei, Ichigo e Mint stavano cercando di abbattere uno sciame di enormi api assassine; Purin e Zakuro ancora non si vedevano, ed il che peggiorava ancor più le cose.

Si voltò di scatto e corse verso le amiche, alzando le proprie nacchere e richiamando a sé il suo potere. Lo sentì scorrere nelle mani, desideroso di uscire e debellare quel male che stava spaventando così tanta gente.

    - Ribbon Lettuce Rush! - urlò una seconda volta, e l'ennesimo potentissimo getto d'acqua si infranse sullo sciame, dividendolo e facendo a cadere a terra gran parte delle api di cui era formato. Avevano le ali inzuppate d'acqua a tal punto da rendere loro impossibile volare ancora, facendole così diventare inoffensive. Per le restanti invece non si poteva dire la stessa cosa: un gruppo di tre si calò verso di lei, tanto fulmineo da non renderla nemmeno capace di richiamare a sé un nuovo attacco; strinse gli occhi, aspettando un dolore che però non giunse mai. Quando aprì gli occhi, le enormi api giacevano a terra poco di stante da lei, tramortite da una scintillante freccia azzurra. Mint, nel suo abito celeste, la osservava preoccupata a mezz'aria.

    - Stai bene? -

    - Sì, grazie... Ichigo dov'è? - dovette urlare per sovrastare le urla e gli schianti che si propagavano nell'aria. Mint scese a terra e si voltò a destra, indicando un punto imprecisato dietro la fontana centrale di Suzuhara, ormai distrutta.

    - E' di là... Purin e Zakuro sono appena arrivate, ora la stanno aiutando ad abbattere quello che sembrerebbe il capo di questa nidiata di insetti, ma a quanto pare è più duro di quel che pensavamo... -

    - E se usassimo i nostri poteri in contemporanea? - propose Retasu con un velo di speranza. Mint annuì, ma la sua espressione era piuttosto scettica.

    - E' quello che ha pensato di fare anche Ichigo... tentar non nuoce. - fece una piccola pausa, librandosi nuovamente in aria. - Ma da dove arriveranno tutti questi chimeri?! Sono troppi, accidenti! Pai, Kisshu e Taruto non hanno mai esagerato fino a questo punto... come faranno a tenerli sotto controllo tutti assieme?! - sbottò seccata e nervosa. Retasu non rispose subito.

    - Mi chiedevo la stessa cosa. - rispose, cupa. Poi scrollò la testa, voltandosi verso la fontana di Suzuhara. - ... ma è meglio mettere da parte certe domande e pensare prima a mettere fine a questo inferno... -

Mint annuì, seria. Senza che una delle due aggiungesse qualcosa, si diressero entrambe verso il centro del quartiere.

 

    - Ichigo! -

La voce di Purin la costrinse a voltarsi di scatto, appena in tempo per accorgersi ed evitare con un balzo l'enorme zampata del chimero. Ancora in aria, fece qualche capriola per stabilizzarsi e poi si concentrò, contrattaccando con un calcio ben assestato addosso a quello che doveva essere il gomito del mostro. Questo lanciò delle urla stridule, addirittura assordanti per chi come lei possedeva un udito al di sopra della media; ma Ichigo non perse la concentrazione ed atterrò in piedi poco distante dal mostro, come un vero felino.

Poi si guardò attorno, senza riuscire a nascondere la preoccupazione sul suo volto.

Il centro del quartiere di Suzuhara era semidistrutto. Le vetrine dei negozi erano infrante, i lampioni ed i cartelli stradali giacevano a terra, gli scoppiettii fastidiosamente angoscianti dei cavi elettrici scoperti infrangevano il silenzio, perfino la bellissima fontana bianca con le statue delle Dee Celesti ora era soltanto un ammasso informe di marmo e cemento bagnato da spruzzi incontrollati di acqua. Quella vista le attanagliò il cuore: era proprio a quella fontana che si era incontrata la prima volta con Masaya per un vero appuntamento. Ed ora non c'era più.

    - Ichigo! -

Questa volta il richiamo non era di Purin, né serviva a metterla in guardia dal pericolo. Un ragazzo a qualche metro di distanza da lei le faceva cenno di avvicinarsi. A cavallo della sua moto rossa, era circondato da altre cinque figure, tra cui quattro vestite di strani abiti coloratissimi. Li raggiunse di corsa, facendosi strada tra le macerie e la polvere.

    - Dobbiamo attaccarlo tutte insieme! - esclamò ancor prima che Ryo potesse dire qualcosa, ma questo parve non prendersela troppo.

    - Sì, ma serve un buon diversivo. Quell'essere è enorme, ma questo può essere un punto a nostro favore, giocato come si deve. -

    - In effetti è piuttosto lento... - commentò Purin annuendo. - Ma cosa intendi fare? -

    - Ovviamente distrarlo. - rispose, indugiando qualche attimo. Cercò di non darlo a vedere, ma Ichigo si accorse che qualcosa, nel suo tono, non era calmo e controllato come sempre. - Purin ha detto bene: la sua mole è enorme, e quindi ha dei riflessi lenti. Se qualcosa attirasse la sua attenzione al punto da distoglierlo da voi, potreste approfittarne per unire i vostri attacchi e colpirlo di sorpresa. Non è il massimo della sportività, ma chi se ne frega... -

    - ... e chi farebbe la cavia? Tu? - chiese Zakuro, gettando un'occhiata indecifrabile sul biondo. Lui rispose allo stesso modo riservandole uno sguardo duro mentre si infilava il casco e si chinava sulla moto per accenderla.

    - Esatto. Andate a posizionarvi... -

    - No! - Retasu, Purin e Ichigo cercarono di ribattere, avvicinandosi a lui. - E' troppo rischioso, così correrai il rischio di venire colpito e... - continuò la più piccola delle tre, ma Ryo bloccò il suo discorso sul nascere.

    - E' rischioso tanto per me quanto per voi. -

    - Ryo... sono d'accordo con le ragazze. -

Questa volta la voce era maschile, ed apparteneva al più adulto del gruppo. Keiichiiro era rimasto in silenzio fino ad allora, ma non aveva potuto trattenersi dal dire la sua visti i propositi del suo figlioccio.

    - Hai un'idea migliore, Kei? - lo freddò il biondo alla stessa maniera. Lo scienziato aprì bocca per protestare, ma un nuovo, potentissimo urlo del chimero mise bruscamente fine a quel discorso. Ryo accese la moto, facendo cenno alle altre di spostarsi. - Non c'è tempo per discutere! Andate! - ordinò imperioso prima di dare gas e sfrecciare verso il chimero, creando una scia di polvere alle sue spalle.

Ichigo e le altre, seppur a malincuore, obbedirono correndo verso la stessa direzione.

 

Retasu si aggrappò al primo lampione ancora in piedi che trovò appena la terra prese a tremare bruscamente sotto i suoi piedi. Tre coni di luce -rosa, gialla e viola- si stagliavano verso il cielo, illuminando il buio della sera che stava cominciando a scendere. All'appello mancavano solo lei e Mint. Alzò lo sguardo verso l'alto, cercando l'esile figura della compagna; le bastarono pochi attimi per scorgere un'ombra celeste e l'intensa luce azzurra che la inghiottì in quell'istante. Ora mancava solo lei. Le nacchere che stringeva tra le mani brillavano d'energia, mentre il suo potere sembrava pulsare nelle sue vene. Si sentiva può forte che mai. 

Alzò le braccia al cielo, chiudendo gli occhi e pregando che quell'energia si rivelasse al più presto. Ed il suo desiderio fu esaudito all'istante, perché si sentì avvolta da un'aura calda e rassicurante, ma anche potente e vibrante. Aprì gli occhi appena in tempo per scorgere un guizzo rosso dalla parte opposta alla sua, ed il mostro che tentava in tutti i modi di schiacciarla con la sua lunga coda. Ryo.

Non fece in tempo a pensare ad altro, che i cinque coni di luce scaricarono sul mostro tutta la loro devastante energia: l'esplosione bianca che ne scaturì la costrinse a coprirsi gli occhi con le braccia, e la terra tremò violentemente sotto i suoi piedi. Confusa e spaventata, perse il contatto con la realtà e si accasciò a terra, semi svenuta.

 

Quando riuscì a rialzarsi in piedi, non riuscì a nascondere la propria paura come faceva solitamente.

Dire che Suzuhara era distrutta era dire troppo poco.

Il bel quartiere romantico tanto frequentato dalle neo coppiette era praticamente raso al suolo. La piazza centrale, con le panchine bianche, le aiuole curate e colorate, la mattonelle chiare della pavimentazione e la maestosa fontana erano diventare un bel ricordo e nulla più. Ora, al loro posto, esisteva solo qualcosa di indefinibile che l'energia del loro attacco aveva risparmiato. Anche i negozi che circondavano la piazza erano semi distrutti, colpiti e incasinati dall'onda d'urto dell'attacco. Ora era tutto così triste e desolato che quasi stringeva il cuore in una morsa dolorosa; ma Zakuro non era abituata ad abbandonarsi a certi pensieri, e nemmeno in quel momento smentì la sua natura. Sospirò, ravviandosi i lunghi capelli sporchi di polvere, e si costrinse a levare lo sguardo dalla piazza per cercare il chimero.

Fece fatica a trovarlo, piccolo com'era ora. Quella specie di dinosauro contro cui avevano combattuto non era altro che una piccola lucertola che ora giaceva tramortita nel bel mezzo di quella desolazione.

Sospirò nuovamente, sciogliendo la trasformazione mentre s'avvicinava all'animale. Lo scrutò indifferente per qualche secondo, poi si chinò e lo raccolse. Era ancora caldo e si muoveva leggermente, segno che era ancora vivo; avrebbe potuto lasciarlo lì ed attendere che si risvegliasse, ma Zakuro non aveva voglia di lasciare quella piccola creatura in mezzo a quel casino. Lo accarezzò piano con l'indice, in sovrappensiero. Quel piccolino non aveva nessuna colpa, se non quella di essere capitato al momento sbagliato nel posto sbagliato davanti all'alieno sbagliato.

In quel momento sentì di odiare quella razza più di chiunque altro.

    - Zakuro! -

La voce di Mint la riscosse dai suoi pensieri. Alzò la testa istintivamente verso l'alto, aspettandosi di trovare la sua compagna a mezz'aria. Invece la trovò che correva verso di lei, veloce, con un'espressione sollevata nel vederla viva ed intera.

Aspettò immobile che la raggiungesse.

    - Gli altri? - chiese, ermetica come sempre. Mint annuì e le fece segno di seguirla, avviandosi verso la parte del quartiere da dov'era arrivata. Zakuro scorse le figure delle suoi compagni, distese a terra per riprendere fiato. Retasu le fece un sorriso indefinibile vedendola arrivare. Notò subito la mancanza di Ryo e Keiichiiro.

    - Dove sono... - iniziò lievemente preoccupata, ma Retasu intuì ciò che voleva dire.

    - Sono partiti adesso per l'ospedale. - rispose cupa. Il tono della ragazza era teso, nervoso, forse anche spaventato. - Ryo è... ferito... - continuò, mentre gli occhi blu oltremare, dietro le lenti, si facevano lucidi. Zakuro la osservò in silenzio per alcuni secondi e sentì tanta compassione per lei. S'era accorta del particolare sentimento che Retasu provava per il loro leader. Poi, provò anche preoccupazione: in fondo Ryo per lei era ciò che più si avvicinava ad un amico.

    - Starà benone, vedrai. Non è così fragile... - disse, a voce bassa, passandole una mano sulla spalla. Fu un tocco leggero, perché Zakuro non era mai stata un tipo espansivo, però sembrò rincuorare Retasu.

    - Lo so. Grazie. - le rivolse un debole sorriso.

    - Ragazze, arriva gente! - esclamò all'improvviso Ichigo, additando un punto poco più in là. Un gruppo di gente e le volanti della polizia stavano entrando nel centro di Suzuhara, e sicuramente entro pochi minuti sarebbero arrivate anche le troupe della TV.

    - Andiamo via, forza. - tagliò corto Zakuro, rivolgendosi a tutte. In mancanza di Ryo e Keiichiiro era lei la più adulta del gruppo, e quindi ne aveva la responsabilità. - Ci divideremo per non dare nell'occhio. Cercate di mischiarvi tra la folla e di non dare troppo nell'occhio, tra mezz'ora vi voglio tutte al caffè. Ok? -

Tutte e quattro annuirono e poi, senza dirsi nulla, si incamminarono verso direzioni diverse. Solo Zakuro rimase dov'era, guardandole allontanarsi, ed una volta rimasta sola alzò gli occhi al cielo ormai scuro, chiedendosi per quanto ancora sarebbe durata quella guerra.

 

*

 

* Kami: gli Dei in giapponese.

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Capitolo 4
*** Metamorphosi ***


Frammenti Di Me

Non so ancora come ho fatto, ma ho rispettato la scadenza *.* sono un genio! Anche se sono un po' depressa per via della scuola... passiamo ai commenti:

Caomei: macché visionaria, hai solo fantasia... ed io sono fantastica xD no, scherzo, glassie per i complimenti =*

Lory 06: che questa stesura sia migliore rispetto alla prima era ciò che volevo, sono felice di sapere che almeno per te sia così! Comunque Zakuro avrà abbastanza spazio nella fiction, anche se non subito (lo aveva anche nella prima, ma più avanti e non ci siamo arrivati).

 

 

Declaimers: Tokyo Mew Mew non appartiene a me, ma a Mia Ikumi e Reiko Yoshida, e non ne possiedo i diritti. Questa storia non ha scopo di lucro né è serializzata.

 

Frammenti Di Me

 

4. Metamorphosi

 

    - ... mi spiace di non essere potuta venire al caffè oggi, ma i miei sono via e dovevo badare a mio fratello... -

Retasu pigiò il bottone della lavatrice e si sedette sulla sedia di fronte all'elettrodomestico, rannicchiando le gambe al petto. Lo sguardo blu oltremare dei suoi occhi era rivolto verso l'oblò, ma la sua attenzione era tutta per la telefonata di Ichigo.

   « Non ti preoccupare, tanto non c'è stata molta clientela dopo il casino che è successo ieri... ah, a proposito: c'è stata una riunione poco fa. » la voce stranamente atona dell'amica su sovrastata dalla centrifuga della lavatrice, così da costringere Retasu ad avvicinare maggiormente l'orecchio al cellulare.

   - E... ? - non si preoccupò di alzare il tono di voce, nonostante l'argomento stesse diventando troppo riservato per parlarne in un luogo pubblico: le poche persone che stavano in quella lavanderia a gettoni non si erano nemmeno accorte della sua presenza, senza contare che il rumore delle lavatrici non permetteva di sentire una parola a due passi di distanza. Era proprio per questo che Retasu, quando doveva fare chiacchierate riservate (che trattassero di alieni o ragazzi) sceglieva quella piccola lavanderia sotto casa.

Ichigo, dall'altra parte della cornetta, tirò un lungo sospiro. Non aveva la solita carica di tutti i giorni.

   « Non abbiamo concluso niente... abbiamo trovato strano il fatto che né Pai, né Taruto e tanto meno Kisshu si siano fatti vedere... oh, ovviamente, c'è anche la faccenda di tutti quei chimeri... chissà perché, poi. Non c'era acqua Cristallo né a Sukuhara né a Ikebukuro, Keiichiiro ha controllato. »

   - Nemmeno a me non tornano tante cose. - concordò senza troppa convinzione. In verità non era quello che le premeva sapere. Cioè, non che gli alieni non le importassero, ma il pensiero che l'aveva tormentata in quelle ultime ore era totalmente diverso. Prese fiato, si fece coraggio e chiese: - ... notizie di Ryo? -

Aveva cercato di mantenere un tono neutro di voce, ma senza successo, e il cuore intanto aveva preso a battere più veloce nel petto. Ichigo sospirò nuovamente.

    « Ryo è ancora in ospedale. Keiichiiro ha detto ai medici che ha avuto in incidente in moto... ha avuto una fortuna sfacciata: dopo un volo del genere se l'è cavata con una leggera commozione cerebrale. I medici hanno insistito per tenerlo ancora qualche giorno in osservazione, ma dovrebbero dimetterlo a breve. Lui non ne può più di stare lì... dice che si annoia terribilmente... sembra che non gli piacciano gli ospedali. »

Immediatamente un sorriso sollevato si allargò sulle labbra di Retasu, che lasciò andare la stretta delle braccia intorno alle gambe e si alzò dalla sedia.

   - Oh bene, mi fa piacere... lo andrò a trovare più tardi... - balbettò cercando di non mostrarsi troppo felice, anche se, inutile dirlo, non ci riuscì affatto. Prese a rovistare nel suo cesto della biancheria, alla ricerca di nulla. All'improvviso si sentiva piena di energie.

   « Allora oggi non verrai al caffè? »

   - No, i miei tornano stasera tardi, non posso lasciare Rei da solo. -

   « Vabbeh. » Ichigo fece una piccola pausa, poi si lasciò andare in un lungo sospiro. « Ho tanta voglia di uscire con Masaya... »

   - Ma se lo vedi tutte le mattina a scuola... -

   « Mica è la stessa cosa! Senza contare il suo odiosissimo fan club... è sempre accerchiato da quelle ochette del club di pallavolo, neanche fossero delle body guard... »

Retasu si ritrovò a pensare di nuovo a Ryo. Fortunatamente lei non doveva sopportare nessuna ochetta, anche se i suoi problemi erano ben altri. Le altre al caffè cercavano di non parlarne mai in sua presenza, ma Ryo sembrava attratto da Ichigo e questa era l'unica a non essersene ancora accorta.

Retasu si ritrovò tra le mani un calzino arancione, e senza rendersene conto prese a strizzarlo con tutte le sue forze.

   - Sei una scema, lo sai che lui ti ama alla follia. Dovrebbe bastarti. - non lo fece apposta, ma il suo tono suonò un po' freddo. Ichigo comunque non ci fece caso.

   « Sì, però... insomma... non so che dirti! Vabbeh, adesso stacco che sennò Mint comincia a rompere e non la finisce più. Ci vediamo domani, ciao! »

   - A domani! -

Retasu chiuse lo sportellino del cellulare e lo rimise in tasca, poi sospirò e lasciò andare il povero calzino stritolato. La centrifuga della lavatrice smise poco a poco di girare, si arrestò ed una luce verde segnalò che l'elettrodomestico aveva finito di fare il suo lavoro. Si chinò ed aprì l'oblò per raccogliere i pochi indumenti lavati, poi le sorse un dubbio, ed infilò la mano nella tasca destra della giacca.

Non c'era niente, così provò nell'altra. Ancora niente. Provò nelle tasche dei jeans, ma anche quelle erano vuote. Sbuffò, realizzando di aver nuovamente lasciato il proprio ciondolo nel cesto della biancheria, che quindi era finito in lavatrice assieme ai vestiti. Era già successo altre volte ma per fortuna né il detersivo né le pacche potevano rovinare quell'oggetto.

Afferrò gli abiti lavati e li buttò nel cesto, rovistando. Cercò per diversi minuti, ma del ciondolo nemmeno l'ombra. Leggermente accigliata, cercò di ricordare se l'aveva per caso lasciato in camera sua, o in qualsiasi altro posto; però era difficile che fosse così, perché lo portava sempre con sé per essere sempre pronta in caso di attacco. Ci pensò per diversi minuti, e si accorse con orrore di non avere ricordi del ciondolo dal giorno prima, ovvero da subito dopo la battaglia a Suzuhara.

   - Ma... -

Improvvisamente non si sentiva più molto tranquilla.

Calma, vediamo di ragionare, si disse in tono pratico. Dunque, cosa aveva fatto subito dopo aver lasciato Zakuro? Aveva preso la strada che portava nel quartiere di Nagoya, aveva girato un po' osservando la gente intorno a lei, che non parlava d'altro che della battaglia di poco prima, poi aveva preso la strada per il caffè. A metà del percorso il suo cellulare aveva squillato: mamma le aveva ordinato di tornare a casa immediatamente. Così aveva chiamato Zakuro per avvertirla che non sarebbe potuta venire con loro ed aveva cambiato strada, diretta verso casa.

Dopo aver rassicurato sua madre che stava bene, aveva fatto i compiti, no non si era spaventata e no non era stata coinvolta nell'incidente a Suzuhara, era crollata ancora vestita sul proprio letto e si era addormentata all'istante.

La mattina era andata (controvoglia) a scuola, ed appena tornata a casa aveva dovuto badare a suo fratello. Poi Ichigo l'aveva chiamata e lei si era rifugiata nella lavanderia.

Fine, punto, stop.

Nei ricordi di quelle ultime ore non c'era traccia di pensieri o immagini del ciondolo. Però... cioè, non poteva essere...

... non poteva averlo perso...

    - No... - mormorò flebilmente, sbiancando di colpo.

 

*

 

Mentre vagava per i corridoi deserti del castello non poteva fare a meno di rabbrividire ogni tanto. C'era una tensione quasi palpabile nell'aria, capace di mettere a disagio il più imperturbabile dei guerrieri.

Ma forse era così proprio perché era il più imperturbabile dei guerrieri la causa di quella situazione.

La fortezza era stata per molti mesi un luogo tetro e silenzioso, anche troppo per l'anima infantile di Taruto, ma da qualche settimana non era più così, più precisamente da quando le situazioni critiche di Verena, il loro pianeta, aveva costretto gli alieni sopravvissuti a raggiungere la spedizione di Deep Blue.

Ma quella mattina regnava un silenzio ancor più innaturale di quello precedente all'esodo. Non poteva essere altrimenti, dato che Pai -per qualche ragione inspiegabile- aveva spinto tutti ad abbandonare la fortezza, ed ora che tutti erano tornati si guardavano bene dal fare qualunque cosa che potesse infastidirlo.

Taruto ancora non capiva cosa fosse successo: quando era scoppiato il casino lui era sulla Terra a cercare Kisshu e quando gli erano giunte voci aveva provato a parlare con Pai per chiedergli spiegazioni, ma l'unica cosa che aveva guadagnato era una risposta secca che gli intimava di farsi gli affari suoi.

Gli affari suoi. Gli affari suoi?! Taruto strinse i pugni convulsamente.

Lui era il Comandante del terzo girone, accidenti, forse quelli erano affari suoi! Forse lui aveva tutti i diritti di sapere cosa passasse per la mente di Pai! Forse era anche ora che la smettesse di trattarlo come un moccioso...

Ma ovviamente era inutile farsi prendere dalla rabbia cieca. Ricordò ciò che tutti, a partire da sua sorella, continuavano a ripetergli: "Sei troppo emotivo, Taruto, devi isolare le emozioni". Inutile dire che alla fine Shana era proprio la prima a fare lo stesso errore.

Nel pensarlo, si chiese dove fosse finita. Da quando era arrivata da Verena non l'aveva vista che di sfuggita e per brevissimi lassi di tempo. Pai detestava vedere le persone girare per il castello senza avere nulla da fare, quindi aveva propinato ad ognuno di loro diversi compiti che impegnavano buona parte della giornata. Taruto poi, come Comandante, era impegnatissimo e Shana, essendo più grande, faceva parte del secondo girone, capitanato di Kisshu; insomma, non avevano molte occasioni per incontrarsi.

Ma ora che Pai si era barricato nel suo laboratorio a fare chissà cosa (probabilmente l'ennesimo dei suoi strambi esperimenti) poteva tranquillamente dedicarsi alla sua sorellona, no? Già. Non stava facendo nulla di male, in fondo: voleva solo chiacchierare con l'ultima persona che rimaneva della sua famiglia, non c'entrava niente se non si erano mai sopportati. Troppi anni di differenza, probabilmente, ma accidenti, era sua sorella!

Voltò a destra e prese a fluttuare più veloce, diretto verso l'ala della fortezza riservata al secondo girone. Si fermò davanti ad un portone d'acciaio, che aprì senza far troppo caso al cigolio.

La stanza era grande, rettangolare. All'interno un folto gruppo di ragazzi e ragazze di non più di vent'anni chiacchierava a bassa voce, divisi in piccoli gruppi. Cercò con lo sguardo sua sorella, inutilmente; il che era abbastanza strano, perché Shana non era esattamente il tipo che passa inosservata.

Uno dei gruppi più vicini a lui si accorse della sua presenza e gli rivolse un cenno educato di saluto. Erano tutti più grandi di lui, ma Taruto era pur sempre uno dei tre Comandanti.

Cercò con lo sguardo Kisshu, nonostante sapesse benissimo che da qualche tempo sostava sempre più spesso sulla Terra; infatti non trovò nemmeno lui. In quel periodo non era solo Pai ad essere strano.

Si avvicinò al gruppo.

   - Scusate, sto cercando Shana Daidouji*... - chiese educatamente, cercando di assumere un tono di voce autoritario, ma purtroppo la sua voce era ancora troppo infantile per questo.

I ragazzi si lanciarono un'occhiata, poi tornarono a guardarlo.

   - Ce lo chiediamo anche noi. E' rimasta col nostro gruppo mentre attaccavamo Suzuhara, poi l'abbiamo persa di vista... sei il suo fratellino? -

   - Sì. - rispose, scoccandogli un'occhiata di sfida. Non gli piaceva la parola fratellino e non gli era piaciuto il modo in cui il tipo l'aveva pronunciato.

   - Sì... beh, è probabile che sia andata a cercare Kisshu... l'ho sentita dire qualcosa a proposito... - buttò là l'alieno, scollando le spalle. - ... immagino tu conosca la situazione... - continuò con lo stesso tono allusivo. Taruto sospirò: sapeva benissimo cosa intendeva, conosceva troppo bene la situazione prendi&molla creatasi tra sua sorella e Kisshu. In effetti chiunque avesse frequentato l'Accademia la conosceva, perché la discrezione non era tra le qualità di nessuno dei due. E dopotutto era quasi un anno che non si vedevano più...

   - Va bene, grazie. - si congedò brevemente, voltando le spalle al gruppo.

Di tornare sulla Terra per cercare Shana e Kisshu non ne aveva voglia.

Massì, che se la cavassero da soli, quei due rompiballe...

 

*

 

    - Cosa ci fai qua? -

Ryo la osservava allarmato mentre si avvicinava la suo letto.

    - Sono venuta a trovarti, no? - rispose semplicemente, studiando la camera d'ospedale. Era bianca, molto simile all'infermeria del caffè, ma conteneva una poltrona ed un televisore. Provò una sorta di fastidio: non ne poteva più di vedere infermerie, né di sentire quell'odore fortissimo di disinfettante.

    - Kei ti ha lasciato uscire dal caffè? - sbottò incredulo il biondo. - Nelle tue condizioni? -

    - Io sto benissimo. - lei sbuffò, poi tacque per alcuni secondi per misurare le parole. Sapeva che si sarebbe arrabbiato. - E... non è che è stato Keiichiiro a darmi il permesso... -

Ryo rimase a fissarla per alcuni attimi prima di capire il senso della frase.

    - Sei scappata?! Sei... un'incosciente! Ti rendi conto di cosa ti poteva succedere... - la rimproverò sgranando gli occhi azzurri.

    - Ma sono qui, sono tutta intera. Vedi? Nessun graffio. - non lo lasciò terminare la frase. Era seccata: perché tutti si ostinavano a trattarla come se fosse di cristallo? Accidenti, lei era ormai guarita. Sì, beh, c'era quel piccolo particolare del mal di testa perenne, però ormai non ci faceva quasi caso. - Mi sono stancata di stare sempre chiusa in quell'infermeria a fare niente, ho pensato di venirti a trovare. Scusa tanto, eh... -

A sentire il suo tono amareggiato, Ryo si calmò un poco.

    - Dai, siediti. - indicò con la mano la poltrona accanto al suo letto e Mizu accolse l'invito al volo.

Si squadrarono a vicenda per molti secondi, in silenzio, senza sapere cosa dire: erano entrambi per natura poco chiacchieroni, quindi una discussione fluida era da escludere. Infine lei spezzò l'imbarazzo.

    - Come ti senti oggi? -

    - Insomma. - Ryo rivolse lo sguardo in un punto indefinito del lenzuolo, a disagio. Aveva una garza legata intorno alla testa, ma nient'altro. - Entro poco mi dimetteranno. Non ho niente, però chissà perché si ostinano a volermi qua... -

    - Io credo di saperlo... - borbottò lei con un mezzo sorriso, mentre con la coda dell'occhio notava un gruppo di tre giovani infermiere passare davanti alla camera e soffermarsi per qualche istante di troppo su Ryo. Probabilmente anche il ragazzo se ne accorse, perché arrossì, anche se era quasi impossibile notarlo data la carnagione abbronzata.

    - Mh. - grugnì a disagio. - Come vanno le cose al caffè? - chiese, per cambiare discorso.

    - Come al solito... credo. Non succede mai nulla. - non sapeva cosa rispondere. - Retasu e Purin sono rimaste a casa oggi. - aggiunse per non lasciar cadere il discorso. Era così difficile parlare con Ryo.

    - Come mai? -

    - Dovevano badare ai loro fratelli... si è sentito che sono mancate: nemmeno un piatto rotto! - scherzò, e anche Ryo fece un leggero sorriso.  - Retasu ha detto che sarebbe venuta a trovarti. -

Il ragazzo annuì e non rispose. Ecco, aveva lasciato cadere il discorso. Probabilmente non voleva nemmeno parlare con lei. Magari la trovava antipatica. Mizu sospirò, rannicchiandosi nella poltrona sfondata dell'ospedale.

Rimasero in silenzio per parecchi minuti, ognuno nei propri pensieri; poi una delle tante infermiere che continuavano a gironzolare da quelle parti entrò, non senza arrossire e sorridere seducente.

    - Scusate, ma l'orario delle visite scade tra poco... - avrebbe dovuto rivolgersi a lei, ma i suoi occhi erano solo per il ragazzo. Mizu soffocò una risata. Se quella ragazza avesse saputo com'era il carattere di Ryo forse non si sarebbe mostrata così entusiasta...

Lei si alzò dalla poltrona e gli rivolse un cenno di saluto, mentre si incamminava fuori dalla camera.

    - Allora vado... - Ryo annuì.

    - Torna a trovarmi. - ci pensò alcuni secondi, poi trovò giusto aggiungere: - Col permesso di Kei. -

Lei sogghignò, poi sparì dietro l'uscio della camera. Forse non la trovava così antipatica come credeva.

 

L'orologio digitale che portava al polso segnava le sei, eppure all'orizzonte il sole stava già per tramontare. Era stata via per più di un'ora: sicuramente Keiichiiro si era accorto della sua assenza... chissà cosa avrebbe detto... Mizu velocizzò il passo. I ciottoli del viale del parco scroccavano allegri sotto le sue scarpe da ginnastica prese in prestito da Ryo.

Fuori dall'ospedale e dall'infermeria si sentiva molto meglio. Niente odore di disinfettante, niente strane apparecchiature dai nomi impossibili, niente facce preoccupate che la osservavano come se stesse per morire da un momento all'altro.

Però il mal di testa non accennava a diminuire.

Scostò la frangia portandola dietro l'orecchio, e si premette forte le tempie con i palmi delle mani. Stava benissimo fisicamente -salvo la gamba che ogni tanto le doleva- ma il malessere mentale era ancora lì, che la faceva sentire stanca e pesante. E soprattutto confusa.

Ogni volta che provava ricordare qualcosa, era come se un coltello le trafiggesse la testa. Era un dolore acuto, lancinante, che durava meno di uno sbattito di ciglia ma bastava a lasciarla frastornata. Non ci voleva pensare.

Cercò di rilassarsi. Ora era fuori, era libera; alzò gli occhi al cielo e respirò l'aria a fondo, rallentando il passo. Si voleva godere quella sensazione prima di rientrare al caffè a fare l'ostaggio sofferente.

Ma non passarono nemmeno due secondi che qualcosa di pesante le cadde addosso.

    - Ahhh! -

Finì a terra tra le urla di dolore sue mescolate a quelle di sorpresa di qualcun'altro. Sentiva dolore in tutto il corpo: era schiacciata sulla ghiaia da qualcosa di molto più pesante di lei. Cercò di protestare, di muoversi e scrollarselo di dosso, ma non aveva la forza necessaria per riuscirci.

    - Levati! - urlò, e la figura non se lo fece ripetere due volte: con una leggerezza inaspettata la lasciò libera dal suo peso e Mizu poté finalmente aprire gli occhi.

Un ragazzo fluttuava sopra di lei, osservandola ancora sorpreso con due occhi dorati.

Sulle prime si chiese se non stesse sognando. Magari era finita a terra ed era svenuta e adesso stava avendo uno di quei sogni in cui tutto poteva accadere. Poi la gamba fu attraversata da una dolorosa fitta; no, non poteva essere un sogno. Nei sogni non si soffriva in modo così reale.

    - Scusa... ti sei fatta male? - sbiascicò il ragazzo, osservandola affranto. Stava ancora fluttuando sopra di lei; con una leggerezza inaspettata si allontano di qualche centimetro per lasciarla libera di alzarsi. Notò che oltre alla stranissima tonalità ambrata dell'iride aveva i capelli verde bosco, molto più scuri di quelli di Retasu, e le orecchie da elfo... eh?!

Provò a rialzarsi, ma la gamba le faceva ancora male e ricadde sulla ghiaia. Il ragazzo allungò le mani verso di lei per aiutarla. Mizu ci mise qualche secondo per decidere se afferrarle o meno, perché un po' tutto di lui la intimoriva, ma quando l'ennesima fitta l'attraversò decise di fidarsi.

Poi successe qualcosa di inspiegabile.

Il ragazzo, ancora fluttuante, la stava tirando su; non era ancora arrivata a levare il sedere da terra che lui fece una strana espressione -se ce ne fosse stato motivo, avrebbe detto che fosse odio- e lasciò immediatamente la stretta intorno alle sue mani, lasciandola ricadere a terra.

    - Ehi!!! - protestò lei, ancora troppo inebetita per poter ragionare a mente lucida. Non capiva: perché aveva reagito così?

Il ragazzo la osservava, improvvisamente ostile. Gli occhi dorati, prima così preoccupati, era sembravano quasi lanciare scintille. Mizu provò un'improvvisa paura.

    - Sei solo un'umana... non ti meriti il mio aiuto... - sbiascicò lui con la voce bassa e piena di rancore. Lei provò ad alzarsi, da sola, e questa volta riuscì a mettersi in piedi, ma anche così il ragazzo la sovrastava e non sembrava affatto intenzionato ad andarsene.

Prima ancora di chiedersi da dove fosse piombato e perché si stesse comportando così, il significato di quelle parole la colpirono in pieno.

Fluttuava, aveva orecchie da elfo ed oltretutto era vestito in modo stranissimo -aveva la pancia scoperta anche se era pieno inverno- e l'aveva chiamata umana.

Un pensiero le serpeggiava in testa... un pensiero che nessuno, tranne chi frequentava Ryo & Company, avrebbe potuto avere.

    - Sei un alieno... - era una semplice costatazione. L'espressione interdetta del ragazzo bastò per confermarlo.

    - E tu come fai a... -

Non ci posso credere.

Mizu non sentì il resto della frase; prese a correre in direzione del caffè più veloce che poteva. Si sentiva più spaventata che mai.

Calma, calma, continuava a pensare, il caffè è vicino... eppure il cuore non smetteva di battere all'impazzata. Se fosse stata Ichigo o Mint avrebbe potuto trasformarsi e fargliela vedere; ma lei no, perché non aveva nessunissimo potere, se non quello di guarire molto più in fretta dei normali esseri umani. Per di più non si era portata dietro nemmeno il cellulare, cui avvertire qualcuno era impossibile. Era totalmente indifesa.

Beh, non che quell'alieno avesse dato a vedere di volerla attaccare, ma quell'improvviso cambio d'umore non le piaceva affatto...

Correndo, si voltò per osservarlo con la coda dell'occhio. Fluttuava a pochissimi metri da lei e la osservava con una stranissima espressione. Non sembrava nemmeno alla sua velocità massima... cercando di ignorare le continue fitte di dolore alla gamba e girò l'angolo per trovarsi in...

    - ... un vicolo cieco, dannazione!!! - sbottò mentre era costretta a frenarsi per non sbattere contro il reticolato.

    - Oh oh... game over, bambolina. Il gioco è finito, e tu hai perso. -

Mizu, pur essendo ancora rivolta verso il reticolato -nella speranza di trovare una via d'uscita- sapeva benissimo che lui le stava alle spalle, ancora fluttuante. Però, quando si voltò, sussultò ugualmente: non si aspettava di trovarlo così vicino. Gli stava solo a mezzo metro di distanza. Arretrò di qualche passo, come una bestiola impaurita, sotto il suo sguardo truce.

    - E così tu conosci gli alieni... - la sua voce era un sussurro. Anche lui avanzava, molto più lento ma per questo in qualche modo inquietante. - Come mai? -

Non poteva più indietreggiare, aveva ormai raggiunto il reticolato. Mizu non rispose, paralizzata dal panico. L'alieno sbuffò.

    - Ti ho fatto una domanda, bambolina. -

    - Non... non mi chiamare così. - riuscì a sbiascicare, e suo malgrado la voce giunse isterica, infantile. Lui sogghignò.

    - E come ti dovrei chiamare allora? -

Ora l'alieno le stava a meno di trenta centimetri. Non aveva scappatoie e nel pensarlo le mancò l'aria. Stava per andare in iperventilazione.

    - Rispondi, bambolina! -

    - Non... non lo so! - sbottò senza pensarci, mossa dalla paura. Probabilmente l'alieno si sentì preso in giro, perché il sorrisino sparì dal suo volto; alzò le mani e con uno scatto del polso fece apparire due Sai**.

    - Mi hai fatto perdere la pazienza... - ringhiò rabbioso, impugnando le armi e caricandole in aria, pronto a colpire. Mizu sgranò gli occhi: non era possibile, era sul punto di morire. E pensare che si era appena svegliata, non aveva fatto nemmeno in tempo a ricordare il suo passato e scoprire il perché delle sue stranezze. Era tornata alla vita per essere uccisa soltanto dopo pochi giorni... se esisteva davvero un Dio, da qualche parte lassù, era davvero ingiusto.

Come a rallentatore, vide le lame calarsi su di lei con lentezza esasperante. Migliaia di pensieri l'attraversarono. Non voglio morire, non voglio morire, non-voglio-morire.

Le lame erano a tre centimetri dal suo volto, quando qualcosa scattò; un brivido forte e caldo attraverso il suo corpo, facendole chiudere gli occhi.

    - Ah! -

Qualcuno urlò, ma non era la sua voce. Si costrinse ad aprire gli occhi per dare un'occhiata.

L'alieno si era allontanato di parecchi metri e nella mano teneva un solo Sai. L'altro era abbandonato ai piedi di Mizu ed era avvolto da scintille di fuoco.

    - Come... - l'alieno la osservava meravigliato, forse c'era anche un'ombra di spavento nei suoi occhi ambrati; ma subito quell'espressione svanì e lanciò il Sai restante contro di lei.

Mizu non aveva capito nulla di ciò che era successo, ma di una cosa era certa: era davvero finita. Nella sua testa, così confusa e spaventata da farla star male, c'era solo un pensiero: non-voglio-morire!

Il Sai si avvicinava sempre di più, inesorabile, sempre più veloce e letale...

E per la seconda volta qualcosa di inspiegabile successe.

    - Mew... - iniziò, ma si bloccò vedendo il proprio corpo prendere a brillare. Non sapeva perché aveva detto quella parola: semplicemente era esplosa nella sua mente ed era rotolata sulla lingua. Non capiva più niente; quella parola continuava a chiedere di uscire, prepotente come la sua voglia di vivere.

Il Sai era a meno di mezzo metro da lei...

Non rifletté oltre prima di urlarlo.

    - MewMeggy Metamorphosi! -

E la luce dorata li avvolse entrambi.

 

*

 

*Daidouji: in questa storia i nostri tre alieni preferiti non hanno legami di sangue, cioè non sono fratelli ma solo conoscenti. Hanno quindi cognomi differenti. Chi ha mantenuto il nome 'Ikisatashi' è Pai, dato che è il più grande.

**Sai: i tridenti di Kisshu. Questa versione l'ho trovata riguardo ad Elektra, e questa è l'immagine di un Sai.

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Capitolo 5
*** Fede ***


Frammenti di Me

Innanzitutto mi scuso del tremendo ritardo, ma il mio pc fa il bastardo ogni giorno di più e ogni tanto si blocca, cancellando tutto il documento ç_ç non avete idea di quante volte abbia riscritto questo capitolo… ringrazio Caomei, Lory 06 e Dikar93 che hanno avuto la gentilezza di recensirmi. Siete i miei amorini e vi vojo tanto bene =*

Di bello c’è che ho iniziato a scrivere una specie di seguito alla one-shot su Retasu e Pai… ho tante idee in mente, ma se avete richieste da fare siete le benvenute!

Ok, vi lascio alla storia. Solo una cosa: voglio anche che mi critichiate, che mi dite cosa con vi piace della ff e come potrei migliorare. Me lo fate questo favore? é_è

(ps. so che le formule di Mizu suonano terribilmente sceme, ma che ci volete fare… dovevo attenermi allo stile della Ikumi e della Yoshida =_= se avete qualche suggerimento, fatevi avanti!)

 

 

Declaimers: Tokyo Mew Mew non appartiene a me, ma a Mia Ikumi e Reiko Yoshida, e non ne possiedo i diritti. Questa storia non ha scopo di lucro né è serializzata.

 

Frammenti Di Me

 

5. Speranze irrealizzabili

 

Terra... così diversa da Verena.

Così verdeggiante, così vasta, così generosa nel dare ai suoi figli.

Così sciocca nel perdonare chi se ne frega dei suo futuro.

Così ingenua nel farsi usare da chi non ha rispetto per lei.

Così sporca rispetto a quando i tuoi figli eravamo noi...

 

Il sole cominciava a tramontare dietro i grattacieli di Tokyo.

Dovunque guardasse, tutto sembrava grigio e morto. Il cemento delle strade, gli alberi ormai spogli per l'inverno alle porte, la ghiaia del parco. Kisshu era cresciuto su un pianeta dove l'aria respirabile era poca e per questo il suo popolo era costretto a vivere sottoterra. La luce del sole era uno spettacolo raro, quello di veder fiorire piante e fiori lo era anche di più. Ma sulla Terra non esistevano questi limiti. Lì la natura era libera di dare il meglio di sé e faceva di tutto per sopravvivere. Le piante nascevano dovunque, anche nelle fessure delle strade asfaltate o sui muri di un edificio.

Ed era veramente... frustrante vedere con che facilità si mettevano freni a questo miracolo. Era frustante ricordare per quanti anni il suo popolo avesse sognato anche solo un decimo di tutto questo, mentre gli umani non solo non ne percepivano il valore, ed anzi distruggevano e sporcavano il suolo che permetteva loro di vivere.

Però la cosa che gli faceva venire il sangue al cervello era sapere che una volta, trecentomila anni fa, tutto ciò era stato del suo popolo.

Avevano dovuto abbandonare la Terra per i disastri naturali che la imperversavano. Avevano trovato rifugio su Verena e vi si erano stabiliti; ma era un pianeta vecchio già a quel tempo e con gli anni era peggiorato a tal punto da costringerli a scavare gallerie e costruire città sotterranee. Ormai non era che un pianeta finito: a loro serviva la Terra, era loro di diritto. Le mewmew si ostinavano a proteggere un popolo di orrendi esseri interessati solo a loro stessi...

Improvvisamente qualcosa si illuminò sotto la tunica di Kisshu. Un po' perplesso, l'alieno si guardò in giro: non c'era nessuno nel parco spoglio che affiancava il grande ospedale.

Sciolse l'intreccio delle gambe e si diede una spinta, balzando giù dal ramo. Non si accorse di quella figura che passava nella sua traiettoria di atterraggio: la investì in pieno, schiacciandola col suo peso.

    - Ahhh! -

Era il suo urlo di sorpresa mischiato a quelle di chi stava schiacciando. Kisshu era ancora confuso, decise di alzarsi solo quando la figura cominciò a respingerlo ed intimargli di levarsi di torno. Si alzò in volo quel tanto da lasciarlo libero di muoversi.

Era una ragazzina. A occhio e croce non aveva più di tredici anni. Kisshu la osservò sorpreso per qualche attimo, chiedendosi come non l'avesse notata prima, mentre lei ricambiava il suo sguardo altrettanto sorpresa. Prima che potesse dire qualcosa lei cercò di muoversi, ma si bloccò subito, con una smorfia di dolore sul viso.

    - Scusa... ti sei fatta male? - chiese senza pensarci. Lei ancora lo fissava sbigottita, squadrandolo da capo a piedi. Ritentò ad alzarsi ma di nuovo si bloccò, dolorante. Forse lui, cadendole addosso, le aveva rotto qualcosa. Kisshu le allungò la mano per aiutarla -che lei afferrò dopo qualche attimo di timore- e cominciò ad alzarla, quando improvvisamente realizzò che stava aiutando un'umana.

Un'insulsa usurpatrice del pianeta del popolo di Kisshu.

Assurdo.

Lasciò andare la stretta della mano all'istante, e lei ricadde a terra protestando. Era smarrita, ma lui non si fece fregare nuovamente e la fissò ostile.

    - Sei solo un'umana... non ti meriti il mio aiuto... - le disse, nonostante sapesse che non lo avrebbe compreso. Si allontanò, mentre lei si metteva in piedi da sola. Avrebbe potuto sparire e lasciarla lì come una scema a chiedersi se avesse sognato tutto o no, invece restò, perché lei parve capire.

    - Sei un alieno... - 

Kisshu ci rimase di sale.

    - E tu come fai a... -

Non gli lasciò il tempo di finire; prese a correre verso la parte opposta, nel tentativo di sfuggirgli. Se pensava di farla al grande Kisshu Edokiwa si sbagliava di grosso... era solo un'umana e lui non avrebbe fatto sul serio, ma spaventarla sarebbe stato un grazioso passatempo.

Prese a volare nella stessa direzione, senza metterci particolare impegno. La ragazzina correva veloce, sì, ma niente di eccezionale. Ogni tanto gli lanciava delle occhiate e Kisshu sorrideva tra sé vedendola sempre più spaventata. Avrebbe potuto teletrasportarsi davanti a lei e bloccarla del tutto, ma decise che così era molto più divertente.

Stavano per superare l'uscita del parco, quando inaspettatamente lei scartò a lato, infilandosi in un vicolo buio. Se sperava di prenderlo di sorpresa si sbagliava di grosso: Kisshu aveva memorizzato quasi tutte le strade di Tokyo e sapeva che da quel vicolo non si usciva. Infatti la sentì sbottare rabbiosa mentre lui svoltava con tutta calma. Lei era ferma davanti al reticolato e gli dava le spalle.

    - Oh oh... game over, bambolina. Il gioco è finito, e tu hai perso. - la prese in giro mentre le si avvicinava. La ragazzina si voltò e sussultò nel trovarlo così vicino. Kisshu nascose un sorriso vedendola retrocedere di qualche passo, mentre lui si avvicinava, lento e inesorabile.

    - E così tu conosci gli alieni... come mai? -

Lei non rispose. Aveva ormai raggiunto il reticolato. Kisshu sbuffò infastidito.

    - Ti ho fatto una domanda, bambolina. -

    - Non... non mi chiamare così. - rispose lei con la voce stridula dalla paura, che lo fece sogghignare.

    - E come ti dovrei chiamare, allora? -

Le era di fronte, vicinissimo. Lei sembrava essere incapace di rispondere, immobilizzata dal terrore. Così non c'era neanche gusto... Kisshu non si sentiva più divertito come prima.

    - Rispondi, bambolina! -

    - Non... non lo so! -

Ma lo stava facendo apposta per farlo infuriare? Si sentiva preso in giro. Infastidito come non mai -e stufo di quello stupido gioco- richiamò i Sai e li fece roteare nei palmi delle mani. Chi se ne fregava se non era una mewmew. Lo aveva preso in giro e meritava di morire. Tanto, Deep Blue avrebbe fatto fuori tutto il genere umano una volta riprese le forze... prima o dopo non faceva differenza, no?

    - Mi hai fatto perdere la pazienza... -

Caricò in aria un Sai e lo calò verso la ragazzina, senza pensarci due volte. Lei chiuse gli occhi, terrorizzata. Era a pochissimo dal suo volto quando una fuoco fatuo si sprigionò violento e velocissimo e si avviluppò intorno alla lama.

Urlò dalla sorpresa. Il metallo diventò incandescente e Kisshu dovette lasciarlo per non scottarsi in modo grave. Quando la ragazzina aprì gli occhi, lui si era allontanato di parecchi metri.

    - Come... - sbiascicò lui, senza parole. Non poteva credere a ciò che aveva visto: gli umani non avevano poteri del genere, da quel che ne sapeva solo le mewmew avevano simili capacità, ma era ovvio che quella non era una di loro... come aveva fatto?

Caricò il secondo Sai in aria: questa volta non si sarebbe avvicinato, si sarebbe limitato ad osservare la scena. Lo lasciò andare, veloce, verso di lei.

    - Mew... - iniziò lei nello stesso momento, ma si bloccò subito. Anche Kisshu si immobilizzò, a mezz'aria, vedendo il suo corpo brillare di una luce dorata. Quel fenomeno gli era famigliare, ma non poteva essere… non poteva e basta.

Il Sai si avvicinava sempre di più, ma ormai Kisshu non ci pensava nemmeno.

La ragazzina strizzò gli occhi.

    - MewMeggy Metamorphosi! -

La luce dorata del suo corpo esplose e li avvolse, calda e vibrante come il fuoco.

 

*

 

Ichigo si dondolava sull'altalena di fronte al portone della scuola, imbronciata.

La campanella delle lezioni pomeridiane era suonata da almeno mezz'ora, ma lei non aveva voglia di tornare a casa né tanto meno di andare al caffè. Fissava l'entrata del cortile cupa, ignorando i pochi studenti che si attardavano ai club scolastici.

E dire che Ichigo odiava la scuola: i suoi voti superavano raramente la sufficienza. Ad inizio anno, a costo di non stare in quel postaccio un minuto di più, non si era iscritta a nessun club, nemmeno a quelli che le piacevano.

Eppure eccola lì. Se non era amore, il suo... perché Ichigo lo stava facendo solo per Masaya. Solo e soltanto per il suo dolce ed impegnatissimo ragazzo.

Era stanca di non riuscire a vederlo spesso. Si incontravano solo la mattina andando a scuola ed ogni tanto nei fine settimana, quando lui non aveva gare di kendo e lei turni al caffè. Senza contare gli attacchi improvvisi degli alieni... e quelle stupide primine del club di pallavolo! Le avrebbe volentieri fatte ai ferri con un bel Strawberry Chech, ma Ryo l'avrebbe di sicuro ammazzata.

Sospirò, continuando a dondolarsi. La sua vita era diventata così difficile. E dire che nella top ten dei suoi problemi non c'erano Kisshu & Company, bensì le complicazioni del rapporto con il suo ragazzo. Se lo avesse lasciato sarebbe stato diecimila volte meglio...

Notò solo in quel momento un ragazzo dall'aria famigliare. Lo guardò meglio: indossava la divisa scolastica ed aveva con sé una borsa per l'attrezzatura di kendo. Ma certo, era l'amico di Masaya, come si chiamava... Hiroto o qualcosa del genere. Decise di avvicinarsi a lui.

    - Scusa - stava per aggiungere il nome, ma a quel punto non era sicura che si chiamasse proprio Hiroto e non voleva fare brutte figure. - Conosci Aoyama, vero? E' nel club di kendo... -

Il ragazzo annuì.

    - Tu devi essere Momomiya. Ogni tanto ci parla di te. - fece un leggero sorriso. - Sei l'unica ragazza della scuola coi capelli rossi... -

    - Ehm, sì - Ichigo non sapeva bene cosa rispondere. - Comunque, sai se si sta allenando ancora? -

    - Aoyama oggi non si è fermato agli allenamenti. Aveva un altro impegno... ma non ho capito bene... -

    - Ah. - fu tutto ciò che riuscì a dire. L'aveva aspettato per niente! E lui non le aveva mai parlato di impegni particolari, ultimamente. Sentì montare un certo nervosismo misto a tristezza, ma decise di ignorarlo. - Ok, allora ciao... -

Salutò il ragazzo e prese la strada per il caffè, anche se era il suo giorno libero.

Improvvisamente, un po’ del suo amore per Masaya le sembrava quello di una bambina ingenua.

 

*

 

Mizu aprì lentamente gli occhi, col cuore a mille ed una strana energia che pulsava nelle vene.

Sentiva una sensazione stranissima in tutto il corpo, ma non era spiacevole. Non era più stanca, nemmeno la gamba le faceva male; tuttavia il mal di testa era peggiorato. Si portò una mano all’altezza delle tempie, mentre con l’altra scostò la frangia dagli occhi.

Fu in quel momento che si accorse che qualcosa non andava. Aveva sfiorato qualcosa di morbido, come un peluches. Tornò in quel punto ed il cuore mancò un battito quando, dove normalmente si trovavano le sue orecchie, si trovò a tastare qualcosa di molto peloso.

Confusa e spaventata fece qualche passo, ma c'era qualcosa che non andava. Abbassò gli occhi: la posto delle larghe scarpe da ginnastica di Ryo indossava degli stivaletti arancio che cadevano morbidi lungo il polpaccio. Con un terribile sospetto, passò in rassegna il resto degli abiti, e con orrore si accorse che i jeans e la felpa erano spariti. Al loro posto c’era un abito, dalle ampie maniche a tre quarti, che terminava con una gonna a portafoglio, il tutto dello stesso arancio assurdo degli stivaletti. Perfino le mani erano coperte da guanti -neri, però- di quelli che lasciano le dita libere dalla stoffa*.

    - Che razza di scherzo è questo?! - si era quasi dimenticata di Kisshu. Lui la osservava sorpreso -forse anche offeso, in qualche maniera- a parecchi metri di distanza da lei. - Da quando le mewmew sono in sei?! -

    - Che?-

Mewmew, lei?!

Istintivamente si portò nuovamente le mani sulla testa e toccò quei peluches. E capì che quelle erano le sue orecchie.

Oddio. Non-poteva-essere.

Ancora troppo shockata, notò solo all’ultimo momento l’attacco di Kisshu. Con uno scatto fulmineo -che di certo non avrebbe fatto normalmente- lo evitò in parte, ma il Sai l’aveva graffiata alla spalla.

    - Ah! -

    - Non scappare! - con la coda dell’occhio vide Kisshu recuperare il secondo Sai per preparare un altro attacco micidiale.

    - Te lo scordi! - disse prima di saltarlo via e correre fuori dal vicolo. Non aveva una meta precisa, sapeva soltanto che più lontano sarebbe riuscita ad andare, meglio era per lei.

    - Tsé… sciocca bambolina… - Kisshu la seguì a ruota, rabbioso.

Questa volta però fu un inseguimento diverso da quello di prima. Mizu correva velocissima, ed era agile nello schivare gli ostacoli lungo la strada o nel trovare strettoie sconosciute dove infilarsi. L’alieno dovette impegnarsi con tutto se stesso pur di non lasciarsela sfuggire: ora era guidata da un istinto animale che non la rendeva più una preda, ma una predatrice.

Solo, lei non se ne era ancora resa conto.

Sfrecciavano per le vie di Tokyo sotto gli sguardi spaventati dei cittadini. Kisshu non sapeva dire se Mizu stesse seguendo una particolare strategia o semplicemente corresse senza una precisa direzione, ma quando, dopo pochi minuti, si ritrovarono nello stesso punto di partenza, perse anche la poca pazienza rimasta. Era ora di farla finita con quello stupido giochetto.

La mewmew si voltò per l’ennesima volta e si sorprese quando non trovò la figura volante dell’alieno alle sue spalle. Ma tutto durò un istante: finì addosso a qualcosa, che la strinse a sé così prepotentemente da toglierle il fiato nei polmoni. Quando la lama del Sai le sfiorò la gola, realizzò che gli alieni avevano anche la capacità di teletrasportarsi.

Maledizione…

    - Due a zero per me, bambolina! - sibilò acido l’Alieno, spingendo con forza la lama contro la gola della ragazza, che fu costretta ad alzare il mento per non ferirsi.

Il cuore ricominciò a battere forte, come quando poco prima aveva pensato di essere sul punto di soccombere. Ora però, pensò in un lampo di lucidità, sono una mewmew. Era difficile ragionare in una situazione simile, ma si sforzò. Se era davvero una mewmew, nelle novità del giorno non c’era solo l’abitino arancio con orecchie e coda in coordinato, ma anche dei poteri. Già… ma quali?

    - Quanto sei noiosa… - commentò Kisshu, seccato dal suo silenzio ostinato, e avvicinò il Sai con così tanta forza da ferirla. Un rivolo di sangue vermiglio colò dalla ferita, scivolando sulla pelle della gola. Il suo odore ferroso le entrò con prepotenza nelle narici, e come un campanello d’allarme risvegliò del tutto il suo istinto di sopravvivenza. Di nuovo, delle parole esplosero nella sua mente, e per quanto assurde potessero sembrare, le lasciò uscire senza farsi troppe domande.

    - Meggy Twisted Ring! -

Una luce dorata illuminò il suo corpo, costringendo Kisshu a lasciar andare la stretta attorno al suo corpo. La luce si condensò nei palmi delle mani, dove comparve uno strano oggetto a forma di cerchio. Ovviamente era arancio; tre campanellini erano legati ai bordi da fiocchi marroni.

Sorpresa com’era, notò solo all’ultimo l’attacco fulmineo di Kisshu. Guidata da un istinto innato, evitò il calcio dell’alieno con un balzo, poi contrattaccò con la stessa moneta. Nemmeno lui però era da meno in fatto di agilità: afferrò la gamba di Mizu con decisione e poi, con una forza straordinaria per la sua costituzione gracilina, la gettò verso un edificio.

Fortunatamente c’era quello strano istinto a guidarla. Con una capriola si mise in posizione orizzontale, così che quando gli stivaletti toccarono il muro, le bastò piegare le ginocchia per attutire il colpo.

Ormai, Mizu si era lasciata completamente andare. La sua mente era vuota, ed il corpo reagiva solo all’istinto da predatrice. Niente domande, nessun ragionamento. E quell’istinto era le diceva di attaccare il proprio nemico senza alcuna pietà.

Si diede una spinta e caricò in aria il cerchio. Nuove parole chiedevano di uscire, e lei le lasciò fare, senza nemmeno sapere cosa sarebbe successo.

    - Ribbon Meggy Inferno! -

I tre campanellini si incendiarono all’istante. Lasciò andare il cerchio, che prese a roteare intorno a Kisshu, circondandolo di lingue di fiamma viva.

Ciò che accadde poi, fu così veloce e terribile che Mizu lo registrò solo a tratti.

Sentì l’alieno gridare, forte, un lungo lamento straziante.

Vide la sua figura circondata dal fuoco, che bruciava feroce, ingoiandolo completamente.

Provò una spiacevolissima sensazione, mentre poggiava i piedi a terra e riprendeva coscienza di ciò che aveva appena fatto, e prese a tremare, fissando le alte fiamme che ora le mettevano un terrore folle.

Mentre portava le mani alla bocca, la trasformazione si sciolse e lei tornò ad essere la preda paralizzata dalla paura.

Kisshu si lasciò cadere a terra, gemendo frasi inarticolate, e lei non resisté oltre. Le gambe si mossero da sole, e si diressero verso il caffè, verso "casa".

Le fiamme erano ancora alte e vive quando i primi singhiozzi presero a scuotere la sua figura minuta.

 

*

 

    - Come sarebbe a dire che non vuole vedere nessuno?! -

La giovane guardiana cercò di sorridere alla bionda Aliena che le stava di fronte, nonostante lo sguardo dell’altra sembrava volerla incenerire.

    - Cerchi di capire, signorina. Il Comandante sta lavorando e non vuole essere disturbato per nessun motivo. -

    - Stupidaggini! Mi faccia passare, subito! - replicò furibonda Christine, stringendo le mani a pugno per allentare il nervosismo.

    - Non posso, sono ordini del Comandante stesso. Se disobbedissi, poi… - e lasciò la frase in sospeso, dando a intendere che qualsiasi cosa fosse successo non sarebbe stata piacevole.

Christine abbandonò le braccia lungo i fianchi, esausta. Era stremata dal viaggio e non aveva voglia di discutere oltre con la giovane guardiana. Se fosse stata nel pieno delle sue forze avrebbe fatto il diavolo a quattro, come era solita fare da sempre, ma ora non se la sentiva proprio.

Appena sbarcata alla fortezza i suoi pensieri erano volati su due persone: Kisshu e Pai. Ma quando aveva chiesto del primo le avevano detto che era sulla Terra e che non si sapeva quando sarebbe tornato, così aveva deciso di andare a trovare l’altro. Lui però aveva pensato bene di rinchiudersi tra i suoi amati computer.

Scosse la testa seccata, anche se le sue labbra sottili erano piegate in un leggero sorriso. Era passato un anno, ma Pai era sempre il solito tipo solitario con la fissa del piccolo scienziato pazzo.

Chissà se anche lei era cambiata. Arrossì furiosamente quando il ricordo del loro addio affiorò nella sua mente. Sperò di sì, con tutto il cuore.

    - Senta, gli dica che sono Christine Edokiwa, magari… - era l’ultima carta da giocare, ma non ce ne fu bisogno. La porta scorrevole a cui la ragazzina faceva guardia si aprì all’improvviso, rivelando l’alta e pallida figura del Comandante Ikisatashi.

    - Shizu, mi sembrava di averti detto che non volevo essere disturbato. - rimproverò tagliente la guardiana, che arrossì mortificata. - Chi è che fa tutto questo bacca… - si interruppe appena notò la sua presenza. La sua espressione da pesce lesso avrebbe fatto morire Christine dalle risate, ma in un altro momento. Anche perché l’espressione della ragazza non era da meno.

Si squadrarono a vicenda, sorpresi. Pai era pallido e ancora più magro di quanto lo era su Verena, ma d’altro canto nemmeno Christine era messa meglio. Anche i suoi riccioli dorati, in genere disordinati e splendenti, le cadevano senza energia sulle guance chiare.

    - Ciao… - salutò lei, facendo destare Pai dalle sue riflessioni. Lui riprese il solito cipiglio brusco e ordinò a Shizu di lasciarla passare, quindi si voltò e senza dire una parola di più si incamminò dentro il laboratorio. Christine lo seguì, per niente sorpresa dal suo comportamento (ci aveva fatto l'abitudine...). Notò che il battito del cuore era normale, ma tremava un po’. L'emozione?

    - Che ci fai qui, tu? - la domanda di Pai lasciava intendere un intero discorso fatto in passato, quando lui aveva deciso di partire con Deep Blue e Christine aveva cercato di fargli cambiare idea. Avevano litigato furiosamente, ed alla fine lei aveva lasciato l’Accademia d’armi, per niente convinta della politica di Deep Blue. Il fatto che lei adesso si trovasse proprio nella fortezza era una cosa che andava contro tutte le belle parole che aveva sbandierato un anno addietro.

Ma, invece di infuriarsi per il tono usato dall’alieno, la ragazza si adombrò.

    - Ovviamente, sono venuta qui con il resto dei superstiti. -

Pai si voltò, leggermente perplesso.

    - Cosa intendi? - la sua domanda la fece impallidire.

    - Non dirmi che non sai niente… -

    - Riguardo a cosa? - lui si avvicinò, osservandola preoccupato, e solo allora Christine capì fino a che punto Pai si era isolato dal resto del mondo. Si guardò intorno, a fatica poiché il laboratorio era avvolto in un’oscurità schiarita solo da qualche tenue luce soffusa, e notò in un angolo delle teche rotte ed un sacco di frammenti di vetri tutt’intorno. I computer erano tutti spenti, cosa abbastanza strana.

    - Da quanto sei qui dentro? Cosa stai combinando? -

    - Chris, rispondi. -

Lei tornò a guardarlo, suo malgrado.

    - Abbiamo dovuto lasciare Verena. Ormai è… messa molto male… - cercò di mantenere un tono di voce normale, invece la frase terminò in un sussurro.

    - Quanto male? -

    - Abbastanza da costringere donne, vecchi e bambini a scappare con le navicelle di emergenza ed i restanti a barricarsi nelle città più grandi. -

    - … capisco. -

Christine cercò di capire dall’espressione di Pai ciò che lui stava pensando, ma era impossibile. Sicuramente stava architettando qualcosa. Lo vide assottigliare gli occhi, preso da ragionamenti tutti suoi, e poi dirigersi verso i suoi computer.

Lo seguì, leggermente seccata. Come al solito, quando qualcosa lo preoccupava non lo diceva apertamente, ma cercava una soluzione in quei suoi dannati affari tecnologici. Da una parte era una cosa da ammirare, perché non perdeva tempo a piangersi addosso, ma dall’altra era così frustrante vederlo tentare l’impossibile appoggiandosi solo alla scienza esatta.

Mentre Pai prendeva a digitare velocissimo codici incomprensibili, lei gli si fermò accanto e gli sfiorò il braccio.

    - Pai… -

    - Che c’è? - scacciò con un gesto secco la sua mano, ma lei non si lasciò intimidire.

    - La fortezza è nel caos più totale. Forse faresti meglio a cercare di dare un ordine… -

    - E’ quello che sto cercando di fare. - replicò secco lui.

    - Smanettando coi pc? -

Pai sbatté la mano sulla tastiera e la osservò, gelido.

    - Perché sei venuta qui? -

Christine strinse i pugni. Stava cominciando a innervosirsi.

    - Volevo vederti, è così strano se dopo un anno che stiamo milioni di anni luce di distanza ne abbia voglia? - il tono era un po’ più alto di quanto avrebbe voluto. Lui tornò a fissare lo schermo del computer, ma non riprese il suo lavoro e per qualche attimo rimase in un silenzio ostinato.

    - Mi sei mancata. - disse infine, la voce così bassa che Christine faticò a sentila. - Ma ora devo lavorare. -

L’aliena rinunciò definitivamente a farlo uscire dal suo nascondiglio, ma solo perché era troppo stanca per replicare.

Chiuse gli occhi e si passò le mani tra i riccioli dorati, mentre Pai riprendeva a lavorare.

    - Paichan? -

Lui le fece cenno di continuare, non senza fare un sorrisino per quel nomignolo.

    - Credi ancora che Deep Blue riuscirà a risvegliare Ryez? -

Il sorrisino sparì poco a poco. Ora sul volto di lui c’era la solita espressione indecifrabile.

    - Sì, ci credo. -

Christine fece una smorfia, come se non si fosse aspettata altro.

Troppo stanca per discutere, lo salutò ed uscì dal laboratorio.

Se era frustrante vederlo tentare l’impossibile appoggiandosi alla scienza, lo era ancora di più vederlo credere a speranze che non sarebbero mai diventate realtà.

 

*

 

* so che la descrizione del vestito non è dei migliori, infatti avevo pensato di disegnare Mizu per mostravervelo, ma non ho avuto tempo. Comunque, se vi interessa, ho un'immagine un po' stupida fatta un po' di tempo fa... basta chiedere via mail e ve la mando ^^

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Capitolo 6
*** Ricatto ***


Frammenti di Me

BUH! Ce l'ho fatta a rispettare la scadenza, sono un genio *_* però sono appena tornata dalla piscina (ho le guance alla Heidi xD bruciaaa!) quindi ci saranno un mucchio di errori che non ho notato... avvertitemi se ne trovate!

Questo capitolo non mi piace molto, ma era necessario... voglio scrivere combattimenti e amori, uffi ç_ç ma infondo è normale, no? I primi capitoli sono dei parti incredibili, poi ci prendo la mano e vado tranquilla xD

Ringrazio Caomei e Lory 06 che continuano a recensire, adorabili fino all’ultimo ç_ç pubblicherei solo per voi, sorelle!

 

 

Declaimers: Tokyo Mew Mew non appartiene a me, ma a Mia Ikumi e Reiko Yoshida, e non ne possiedo i diritti. Questa storia non ha scopo di lucro né è serializzata.

 

Frammenti Di Me

 

6. Ricatto

 

L’infermeria sembrava improvvisamente più piccola, così tanto che Mizu non poté fare a meno di stringere con più forza le braccia al petto, seduta all’estremità del lettino dove c’erano anche Purin e Retasu.

Keiichiiro osservava lo schermo, pazientando che i dati venissero elaborati dal computer. Sul suo volto c’era la solita espressione controllata, eppure quella ruga sulla fronte dimostrava come in realtà non fosse tranquillo. Zakuro e Mint stavano alle sue spalle, serie e silenziose; Ichigo non poteva fare a meno di dondolare le gambe, inquieta, mentre sedeva accanto all’uomo.

Ogni tanto Mizu l’aveva sorpresa ad osservarla. Non poteva vederle tutte e cinque, ma avrebbe scommesso che anche le altre la stessero squadrando allo stesso modo, come che lei potesse attaccarle da un momento all’altro.

Ma in fondo avevano tutte le ragioni per crederlo, dopo aver raccontato di come aveva ucciso quell’alieno.

Ucciso…forse.

Soffocò un singhiozzo e ricacciò il senso di colpa che minacciava di tornare a tormentarla. Non avrebbe pianto di fronte a loro. Non di nuovo.

    - Perché ci mette così tanto? - chiese Purin, spezzando il silenzio creatosi nella stanza.

    - E’ piuttosto difficile al programma codificare un codice sconosciuto. Comunque ha quasi finito… tra poco sapremo che animale condivide il DNA di Mizuchan. - rispose semplicemente Kei, con quel sorriso bonario sul viso.

    - Avete già avvertito Ryo? -

Lo sguardo nocciola dell’uomo si posò sul Ichigo, che si torturava il labbro inferiore per l’agitazione.

    - Non ancora… - rispose, leggermente preoccupato. Il che, per i suoi standard, era allarmante. - Quando lo saprà farà il diavolo a quattro pur di farsi dimettere. -

Purin trovò abbastanza divertente la cosa, perché rise allegra. Mizu non disse nulla, mentre il senso di colpa si faceva vivo nuovamente. Ryo… da quando l’aveva trovata, lei non faceva che procurargli guai.

Il computer mandò un lungo segnale e l’attenzione di tutti si concentrò sullo schermo del portatile, che ci mise ancora qualche secondo per caricare il programma ultimato. Quando finì, comparve un documento in lingua inglese ed un’immagine di un branco di animali. Nel riconoscerli, la ragazza spalancò gli occhi.

    - Leoni? -

    - Panthera leo persica*, per la precisione. - disse Kei, colpito quanto lei. - Chiamati comunemente leoni asiatici. - anche le altre sembravano sorprese, soprattutto Purin.

    - Come meee! - esultò la bambina, ma subito Mint la freddò:

    - Tu sei una scimmia leonina, non un leone… -

Purin sbuffò, quindi si avvicinò veloce a Kei e gli si aggrappò alle spalle, in uno dei suoi soliti slanci di affetto.

    - E’ un animale a codice rosso? -

    - Purtroppo sì. E’ una sottospecie che conta soltanto 250 animali adulti… praticamente ad un passo dall’estinzione. - l’uomo fece una smorfia. - Una delle tante. -

Mizu era ancora stupefatta. Guardò le compagne una ad una.

    - Quindi… io sarei come voi? Perché non ce ne siamo accorti prima? -

    - Non ho notato niente di anomalo quando abbiamo esaminato il tuo sangue perché il gene speciale modifica del tutto il DNA alla prima trasformazione. Se tu non avessi incontrato Kisshu, forse non lo avremo mai saputo. -

Non capì molto quel discorso, ma annuì lo stesso. Poi Zakuro si fece avanti. Fu un passo piccolo e misurato, ma bastò per attirare l’attenzione. Era sempre così, con lei.

    - Questo però complica le cose… se prima sospettavamo che ci fosse qualcun altro al mondo capace di sfruttare il potere dell’acqua cristallo, ora sappiamo che questo qualcuno sa anche manipolare i DNA per mischiarli con quelli dei Red Data Animal. -

Keiichiiro annuì, assottigliando gli occhi.

    - Mi piacerebbe sapere la sua identità. Se avesse lo stesso nostro obbiettivo, sarebbe di certo un comodo alleato. - rivolse un’occhiata a Mizu, che li ascoltava leggermente ansiosa. - Quella di mischiare acqua cristallo e DNA animale è stata un’idea azzeccata, anche se decisamente azzardata. La mutazione è instabile… -

    - E’… pericoloso? - Mizu cercò di non far tremare troppo la voce. Sono pericolosa?

Kei non diede una risposta vera e propria.

    - Dovremo fare delle analisi mediche, non vorrei che ti succedesse qualcosa di spiacevole… -

Mizu abbassò la testa, mentre una sensazione orribile serpeggiava nello stomaco, un misto di preoccupazione, ansia e senso di colpa. Non faceva che procurare guai a tutti, era una sorta di calamita delle disgrazie caduto da chissà dove. Sarebbe stato meglio se Ryo l’avesse lasciata morire quella notte, nel parco…

Kei batté le mani per richiamare l’attenzione, sul suo viso era tornato il solito sorriso bonario. Ma come diavolo faceva ad essere sempre così tranquillo e rilassato? Come faceva a guardarla ancora, ora che era un'assassina?

    - Bene, ragazze. - esclamò con una nota divertita nella voce, poi fece un sorrisino che non prometteva nulla di buono. - Chi lo dice a Ryo? -

Le cinque si lanciarono un’occhiata.

    - Io non posso, ho un provino alla televisione proprio adesso. - Zakuro fu veloce a inventare una scusa, così in poco meno di tre secondi era già scappata via.

    - Devo andare a badare ai miei fratellini… - Purin la seguì di corsa, senza nemmeno cercare di sembrare convincente.

    - Purtroppo non credo proprio di avere il tempo per farlo, ho il corso di danza e di ikebana tra pochissimo… - anche Mint fece per alzarsi, ma Ichigo la bloccò subito.

    - Non è vero, manca ancora un’ora e mezza ai tuoi corsi! -

    - Ma prima devo andare dal parrucchiere, fare la french manicure e sistemarmi bene! Si vede proprio che sei una plebea… -

    - Non andareee! -

    - Ciao ciao! - Mint fece un sorriso maligno e lasciò la stanza. Ichigo si voltò verso Retasu, l’ultima rimasta delle cinque amiche, e la guardò con gli occhi pieni di speranza.

    - Retasuchan, fallo tu… con te Ryo non se la prende mai… -

Era ovvio che Ichigo aveva messo tutte le speranze nell’amica, ma questa fece un’espressione dispiaciuta.

    - Veramente… ho un impegno… - pigolò, alzandosi goffamente. Ichigo lanciò un miagolio di disperazione. Kei soffocò una risata.

    - Beh Ichigo, credo proprio che toccherà a te. -

    - Ma perché sempre iooo! Miaaaooo! -

 

*

 

    - Buongiorno Shizu. - Christine salutò cordialmente la guardiana, e quella ricambiò, anche se il suo sorriso era abbastanza tirato. In fondo era proprio per colpa sua che si era presa una sgridata dal suo Comandante, quindi c’era da capire la sua reazione. Ignorando quel particolare, l'aliena si fermò davanti all’ingresso del laboratorio e cinguettò: - Posso entrare? -

La guardiana sospirò, un po’ più severa rispetto alla volta precedente.

    - Sa benissimo che senza il permesso del Comandante non si può passare. -

    - Oh, andiamo - l'istruttrice le fece l’occhiolino con aria cospiratrice, e indicò il vassoio che teneva tra le mani. - Porto da mangiare al Comandante, non ho cattive intenzioni… -

Shizu scosse la testa, imperterrita, ma Christine non si arrese. Quella ragazza non aveva un temperamento deciso, non era adatta a fare la guardiana: sarebbe bastato insistere un po’ e l’avrebbe accontentata di sicuro. E poi, lei non avrebbe gettato la spugna tanto facilmente.

    - Sono stata incaricata di farlo. -

    - Non credo, signorina. Il Comandante mi ha detto personalmente di non far passare nessuno, con nessuna eccezione, e che se avesse voluto mangiare sarebbe andato personalmente in mensa. -

Christine si trattenne dallo sbuffare. Forse non sarebbe stato così facile come aveva pensato.

    - Shizu. Conosco Pai da quand’eravamo insieme all’Accademia, ti assicuro che non si arrabbierà se mi lascerai passare, ed in ogni caso mi prenderò tutte le responsabilità. -

Questa volta la guardiana tentennò, incerta, ma alla fine scosse la testa.

    - No, mi spiace. Mi ha dato precisi ordini ed è mio compito rispettarli. -

Schioccò la lingua, seccata. Probabilmente, dopo che se n’era andata dal laboratorio Pai aveva fatto un bel discorsetto alla sua guardiana, così da rendere inutili tutti i suoi tentativi. A volte lo trovava davvero odioso.

    - Ok, ok… - salutò Shizu e fece dietro front, pensando che avrebbe riprovato un altro giorno, magari più avanti, quando l’effetto della sgridata di Pai sarebbe stato minore. Si era già allontanata di qualche passo, quando la guardiana le bisbigliò:

    - Comunque non avrebbe trovato nessuno nel laboratorio. Il Comandante è altrove, ma non mi chieda dove, non lo so. - Christine si voltò e le fece un sorrisone. Shizu ricambiò, anche se il suo sorriso era molto più incerto, quasi si fosse pentita di averglielo detto. - Io non le ho detto niente, eh… -

Il sorriso di Christine si allargò.

    - Allora grazie… per non avermi detto niente! -

Lasciò quell’ala del castello, passò in cucina per mettere da parte il vassoio di cibo e cominciò a curiosare il resto della fortezza, alla ricerca di Pai. La base era parecchio grande, ma quasi tutte le stanze erano dei dormitori: le sembrava molto improbabile che Pai fosse andato a parlare con qualcuno, così lo cercò nei vari centri d’addestramento, nella mensa e nei luoghi di ritrovo delle autorità.

Dopo mezz’ora passata a fare avanti e indietro per il castello, però, di lui nessuna traccia.

Christine si fermò, perplessa, e cominciò a chiedere in giro se l’avessero visto in giro, ma nessuno sapeva dove fosse. Addirittura c’era gente che non l’aveva mai visto prima d’ora, ma di questo non se ne sorprese. Anche all’Accademia era un tipo solitario, che si rifugiava in posti poco frequentati per fare ciò che più gli piaceva in tranquillità: sperimentare.

Ma se non era nel suo laboratorio, dove cavolo poteva essere finito?

    - Speriamo solo che non sia sparito dalla circolazione come Kisshu… - borbottò seccata, lasciando perdere le ricerche. L’avrebbe cercato al laboratorio un altro giorno. Avrebbe dovuto cercare anche Kisshu, ma non ne aveva voglia. Non era particolarmente legata a suo fratello, forse perché erano cresciuti divisi, forse per il loro carattere naturalmente indipendente. Kisshu non si affezionava facilmente a nessuno, se non alle ragazze che gli piacevano…

Nel pensarlo, le venne in mente che anche Shana non era al castello. Magari si erano incontrati e stavano apposta lontani dalla fortezza per stare da soli, era proprio una cosa da loro. Che due scemi. Non aveva mai conosciuto persone così indisciplinate: rientravano nella Missione solo per le loro eccezionali doti di combattimento e per il loro carisma, caratteristiche essenziali per un Comandante.

Aveva ormai raggiunto le sue stanze, così chiuse a chiave la porta e si lasciò cadere sul suo giaciglio.

Continuò con quei pensieri per un po’, immersa nei ricordi del passato, poi appoggiò la mano al petto, dove una catena d’argento si perdeva tra le pieghe della veste. Seguì il suo percorso con le dita, fino all’incavo dei seni, dov’era nascosto un ciondolo cristallino. Lo osservò qualche secondo, malinconica, poi lo nascose velocemente, attenta che nessuno l’avesse visto.

    - Ryez… - mormorò stanca, e chiuse gli occhi, addormentandosi dopo pochi minuti.

 

*

 

Aveva cercato dappertutto. Dappertutto. Eppure, il suo ciondolo sembrava essere sparito nel nulla.

Retasu si lasciò cadere su una panchina e infilò le mani tra i capelli, disperata. Se non ritrovava più il ciondolo, non sarebbe stato più possibile trasformarsi. Chissà se Kei e Ryo potevano costruirne un altro, o se era possibile averne uno solo e basta. Se così era, la sua carriera di mewmew era finita, e se così non era… beh, non era sicura di avere abbastanza fegato per dire a Ryo che l’aveva perso. Con tutto quello che stava succedendo quella sarebbe stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso. Ryo avrebbe fatto un infarto, come minimo, senza contare che non l’avrebbe più guardata come la guardava ora, e già il suo interesse per lei era minimo...

No, non poteva averlo perso. Avrebbe continuato a cercarlo, fosse stata l’ultima cosa che avrebbe fatto nella sua vita…

Si alzò di scatto dalla panchina, decisa, quando notò una figura addossata ad un ciliegio. Immobile, sembrava stesse dormendo, ma ogni tanto faceva delle scatti improvvisi. Avvicinandosi, notò che aveva delle terribili bruciature. Gemette, e quello voltò di scatto la testa.

    - Kisshu?! -

Era impossibile sbagliarsi. Solo Kisshu poteva somigliare ad un elfo ed avere occhi dorati. Ma tutte quelle bruciature… ma certo, l’attacco di Mizu. Non rifletté due secondi prima di correre verso di lui, che però le lanciò un’occhiata di fuoco.

    - Non ti avvicinare. - la gelò, tentando di mettersi in piedi, ma il dolore delle bruciature lo costrinse a rimanere dov’era. Retasu non si fece intimidire e rovistò nella divisa, alla ricerca di qualcosa per curarlo.

    - Sta’ fermo, peggioreresti la situazione… -

    - Meglio per voi, no? - sibilò l’Alieno, cercando di strisciare lontano da lei. - E stammi lontana! - gridò quando Retasu tentò asciugare il sangue di una ferita con un fazzoletto. Lei ritirò la mano, ma non si allontanò di un millimetro.

    - Se ti lasciassi curare… -

    - Mi lascerò curare quando sarò capace di tornare a volare, e di certo non mi lascerò curare da una mewmew. - rispose, con gli occhi ambrati ridotti a due fessure.

    - Non puoi restare così… -

    - Beh, la prossima volta pensateci due volte prima di appiccare fuoco a qualcuno, eh? -

Retasu si morse il labbro inferiore.

    - Mizu non intendeva ferirti, si è solo… lasciata prendere la mano. -

Kisshu mandò un ringhio cupo.

    - Risparmiati queste cazzate se non vuoi crepare. -

    - Uh, che paura… in queste condizioni non potresti nemmeno muoverti. - replicò lei, per niente spaventata dalla minaccia. Lui però non se la prese, anzi fece un sorriso. Un sorriso che non diceva nulla di buono.

    - Nemmeno tu sei nelle migliori condizioni, vero? -

Pensò immediatamente al suo ciondolo. Kisshu non poteva sapere che lo aveva perso, e doveva fare in modo che continuasse a non saperlo. Alzò le sopracciglia, indifferente.

    - Non capisco di che parli. -

    - Oh sì che capisci. - fece una risata bassa, senza smettere di sorridere in quel modo inquietante. - L’hai perso, giusto? -

Lei non poté fare a meno di sgranare gli occhi. Ma come diavolo…

Poi Kisshu le portò la mano davanti al viso ed aprì il pugno. Sul palmo c’era un ciondolo dorato, con delle venature verdi.

Il suo ciondolo!

    - Ma… ! - scattò per prenderlo, ma lui fu lesto a nascondere la mano.

    - E’ stata una fortuna che lo trovassi, a Suzuhara. - commentò, mentre Retasu lo osservava esterrefatta. - Se non mi avesse protetto il suo potere dell’acqua, credo che la vostra amichetta mi avrebbe fatto fuori davvero. -

Lei continuò ad osservarlo, senza parlare. Che aveva intenzione di fare col suo ciondolo? Un conto era averlo perso, un altro che ce l’avesse il nemico. E dire che le sarebbe bastato così poco, solo pochi centimetri e lo avrebbe preso… anche senza i suoi poteri, affrontare Kisshu ferito sarebbe stato un gioco da ragazzi… no, stava delirando. Lui aveva ancora i suoi poteri, lei invece in forma umana non era niente di più di una liceale goffa e lenta.

    - Chiederti di ridarmelo sarebbe inutile, immagino. -

    - Esatto - rispose tranquillo. - Però… -

    - Però? -

Kisshu sorrise per la consapevolezza di averla in punto, ma d’improvviso si piegò gemendo. Retasu si chinò su di lui, d’istinto.

    - Kisshu! -

Lui scosse la testa, rimase immobile alcuni secondi per domare il dolore e tornò ad appoggiarsi all’albero.

    - … però - continuò, con la voce roca per lo sforzo. - se voi mi ospitaste fino a quando guarirò, potrei ridartelo. -

    - Ryo non ti permetterebbe mai… - cominciò lei, scuotendo la testa.

    - Nemmeno in cambio del ciondolo? -

Retasu si morse il labbro inferiore, seriamente indecisa. Doveva riavere il suo ciondolo, ma Ryo avrebbe accettato un prezzo del genere?

    - Perché all’improvviso vuoi il nostro aiuto? - chiese sospettosa. Kisshu non rispose, si limitò a scrollare le spalle.

Ovviamente aveva in mente qualcosa, ma che altre alternative aveva? Non poteva certo rinunciare ai suoi poteri.

Sospirò, rassegnata, sapendo che la scelta era una sola.

 

    - Cosa? COSA DOVREI DIRE A RYO?! -

    - Ichigo... -

    - MA TU SEI PAZZA! TU DELIRI! -

    - Ma micetta, non sei contenta di avermi qui e potermi accudire con tutto il tuo amore? -

    - Kisshu, levati! Non lo dirò io a Ryo! -

    - Ichigo, credo proprio che accettare di tenere con noi Kisshu sia l'unica cosa possibile da fare. -

    - Anche tu, Kei? Ma non pensi al tuo figlioccio? Ci rimarrà secco! Anzi, prima mi coprirà di insulti e urla, si farà dimettere appositamente per uccidermi, poi farà un bell'infarto e addio Ryo... -

    - Micetta, ci penserò io a proteggerti! -

    - Kisshu vai viaaa!!! Ma perché succedono tutte a me? Perché?! Miaaaooo!!! -

 

*

 

* Il leone asiatico esiste realmente (mi sono documentata per benino, sisi). Se vi interessa andate a questa pagina.

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Capitolo 7
*** Dolce e salato ***


Frammenti Di Me

Scusate il ritardo... un po’ è colpa mia, che non avevo ispirazione, un po’ di mio papà che ha avuto la geniale idea di spostare il pc nel suo ufficio, quindi di conseguenza non potrò scrivere quando voglio e soprattutto senza che qualcuno provi a spiare cosa sto facendo (i miei fratelli mi stanno facendo impazzire >_< un giorno di questi li uccido!) Cercherò comunque di rispettare il termine delle due settimane, ma che rabbia, fanno di tutto per limitare il tempo che uso per scrivere… sono frustrata =_=
Caomei: mi piacerebbe molto leggere una storia tua! E' sempre su TMM, no? E su che coppia? Spero non Ichigo/Ryo, ce ne sono troppe...
Lory 06: i momenti tra Retasu e Ryo arriveranno più avanti, piano piano, e ti assicuro che prenderanno una piega che non si aspetterebbe nessuno... nella prima stesura c'ero quasi arrivata, ma tu dovrai aspettare ancora un po' (mwaahahaha! >=D)
Bene, adesso mi eclisso. Devo andare a preparare la torta di compleanno alla mia mami che oggi compie 27 anni (non è vero, ovviamente, ma lei si è messa in testa che d'ora in poi se le chiedono l'età risponderà così xD). Buona lettura!

Declaimers: Tokyo Mew Mew non appartiene a me, ma a Mia Ikumi e Reiko Yoshida, e non ne possiedo i diritti. Questa storia non ha scopo di lucro né è serializzata.

Frammenti Di Me

7. Dolce e salato

Al mattino il caffè sembrava completamente diverso, senza le chiacchiere dei clienti ed i soliti bisticci delle cameriere. Era ancora molto presto e i corridoi del piano superiore erano immersi in una tranquilla penombra: a Mizu piaceva quell’aria calma e placida, perché la confusione del caffè a volte era difficile da sopportare con l’emicrania che la tormentava sempre. Comunque, era una tranquillità che sarebbe durata poco.
Ryo sarebbe tornato quel pomeriggio: dopo aver ricevuto la telefonata di Ichigo aveva fatto il diavolo a quattro pur di essere dimesso. Mizu non sapeva dire se le avrebbe fatto piacere o no riaverlo al caffè, non sapeva come comportarsi con lui. Chissà come l’avrebbe guardata dopo la faccenda di Kisshu…
Aprì il fusuma* della sua camera ed osservò la figura addormentata nel futon**. L’espressione di Kisshu era leggermente imbronciata, quasi infantile. Il piumone gli copriva solo il bacino, arrotolato in malo modo, perché le scottature non bruciassero a contatto con il tessuto. Come faceva a resistere così? Ormai Dicembre era alle porte ed il freddo si faceva sentire nonostante il riscaldamento. Ma forse gli alieni sopportavano meglio le basse temperature…
Immersa in quei pensieri si avvicinò a Kisshu, e non si accorse del suo sguardo perfettamente sveglio che la scrutava guardingo.
    - Stai pensando di darmi fuoco un’altra volta o a quanto sono affascinante? -
    - Ah! -
Mizu balzo indietro, portandosi in posizione di difesa. Kisshu si stiracchiò e lanciò uno sguardo alla sveglia.
    - E’ un po’ presto per alzarsi. - commentò, piuttosto calmo per essere stato svegliato da una persona che solo il giorno prima lo aveva ricoperto di bruciature. - Però prima di tornare a dormire quasi quasi mi faccio uno spuntino… -
Si alzò, gettando da un lato il piumone, e vestito solo di un paio di vecchi pantaloni di Ryo uscì dalla stanza. Confusa dal suo comportamento, Mizu ci impiegò qualche secondo per decidere se seguirlo o meno: Kei aveva ordinato a tutte e sei di tenerlo d’occhio costantemente, ma c’era una piccola parte di lei che non se la sentiva di farlo. Ok, lui era vivo e teoricamente lei non era un’assassina, ma il senso di colpa si faceva sentire lo stesso. Avrebbe voluto non stargli tra i piedi, ma anche farsi perdonare.
Si limitò a seguirlo fino in cucina, in completo silenzio.
Kisshu tirò fuori dal frigorifero una quantità esagerata di cose, tra cui nutella, panna montata, ketchup, prosciutto cotto, le patatine fritte avanzate la sera prima, tonno, budino alla menta, salsa di soia e maionese, poi cominciò a distribuirle a strati in un panino da hamburger.
    - … hai intenzione di mangiarlo davvero? -
    - Certo che sì. - Kisshu le lanciò un’occhiata strana quando intercettò la sua espressione disgustata, di cui evidentemente non capiva il motivo.
    - Hai mischiato dolce con salato… - protestò lei debolmente. Lui non l’ascoltò e diede un bel morso al panino.
    - Mh… he eshposhione hi husto! - commentò con un’espressione di puro godimento, sputacchiando dappertutto. - Vuoi asshajahe? - le allungò il panino. Mizu scosse la testa, sentendosi male per lui. Kisshu scosse le spalle. - On shai he ti pehdi. - concluse, dando un altro morso alla sua creatura.
Mizu si accomodò su una delle sedie e lo osservò inquieta, certa di vederlo stramazzare a terra da un momento all’altro per intossicazione alimentare, ma Kisshu finì il panino in tre secondi e, non contento, ricominciò a rovistare nel frigo alla ricerca di qualcos’altro di commestibile.
    - Senti un po’ - le chiese d’improvviso Kisshu, mentre scartava una merendina al cacao. - perché non ti sei trasformata subito, quando ti ho attaccata? -
    - Eh? - quella domanda l’aveva presa alla sprovvista. Lo sguardo ambrato di Kisshu ora la osservava, leggermente assorto.
    - Sì, insomma, hai aspettato che ti lanciassi il secondo Sai prima di trasformarti… e poi, invece di contrattaccare sei scappata. C’è qualcosa che non mi torna… ci sono tante cose che non mi tornano, nel tuo comportamento. -
Mizu inghiottì a vuoto, sudando freddo. Lo sguardo di Kisshu sembrava volerla trapassare. Non rispose, così lui si avvicinò, e prima ancora che potesse evitarlo le alzò il mento con due dita. Il cuore di Mizu mancò un battito.
    - La ferita… - le sue dita scesero fino alla gola, dove lui l’aveva ferita solo il giorno prima. Ovviamente non c’era già più nulla, per merito dell’acqua cristallo. - … com’è possibile che sia già guarita? -
Non disse una parola, anche perché per uno strano motivo il suo cervello non riusciva più a formulare il più piccolo pensiero coerente. L’alieno alzò un sopracciglio, come se non si fosse aspettato nient’altro, e la lasciò andare. Mizu prese immediatamente a sistemarsi i capelli, più per nascondere l’imbarazzo che per altro.
    - Hai molto segreti… - commentò lui, allontanandosi dalla cucina. Lei lo seguì di corsa, eseguendo l’ordine di Kei.
    - Non sembri avercela con me… - commentò ansiosa, più per cambiare argomento che altro. Kisshu scosse le spalle.
    - Siamo in guerra, bambolina. Hai fatto il tuo dovere. - si diresse verso l’entrata principale del caffè, chiusa a chiave, e cominciò ad armeggiare con le serrature. Dove aveva intenzione di andare? La serratura scattò. - Comunque sia, la prossima volta evita di fare il tuo dovere su di me… - lasciò la frase in sospeso, fissandola in modo così duro da darle i brividi. Poi distolse lo sguardo e aprì il portone.
L’aria fuori dal caffè era gelida e nel cielo scuro si intravedeva ancora la luna, pallida dietro le nuvole rade. Kisshu fece pochi passi sul selciato e nonostante avesse il petto ed i piedi nudi non tremò affatto per il freddo, al contrario di Mizu.
    - Hai intenzione di scappare? - chiese lei fissando le sue spalle chiare fasciate dalle garze.
    - Potrei farlo. Volare fin lassù sarebbe un problema, ma teletrasportandomi… -
    - Fallo. -
Kisshu si voltò e le sorrise col suo sorriso strano, sghembo.
    - Ci speri, eh? Sai quanti problemi potrei darvi. - rise, in qualche modo divertito da questo. - Però non credo che me ne andrò tanto presto. -
    - Perché vuoi restare qui? -
    - Ma per la mia gattina, ovvio! - cinguettò, tornando dentro il caffè. Mizu si affrettò a chiudere le porte, ghiacciata da capo a piedi.
    - Non ci crede nessuno. E poi Ichigo è già fidanzata… -
Il sorriso sul viso di Kisshu scomparve definitivamente.
    - Dettagli. Nessuna ragazza può resistermi. Le farò una corte spietata… basteranno pochi giorni e correrà da me a braccia aperte! -
A sorridere ora era Mizu.
    - Beh, Mr. Modestia, l’importante è crederci… - gli disse, grondando sarcasmo. Kisshu la fissò in modo strano per qualche attimo, tanto da farle credere che se la fosse presa. Era pronta a fare le sue scuse, quando lui inaspettatamente le sorrise.
    - Wow, ma allora anche tu sai fare espressioni diverse dal solito muso! - ora era lui a grondare sarcasmo, e Mizu arrossì da capo a piedi.
    - Io non… non sono una musona - protestò debolmente facendo ridere Kisshu, mentre salivano le scale per il secondo piano.

*

Christine sbadigliò mentre si sedeva ad un tavolo della mensa, e vi lasciò cadere la testa, sopraffatta dal sonno. Tenere a bada gli alunni era difficile in condizioni normali, figuriamoci dentro una fortezza dove regnava il caos selvaggio. In più, i bimbi erano disperati per aver lasciato Verena, alcuni avevano dovuto lasciare anche la famiglia, e non facevano altro che piangere, isterici. Christine e tutte le istruttrici sapevano che era inutile cercare di calmarli, anche perché nemmeno loro erano messe meglio. L’umore di tutti, adulti e bambini, era instabile in quel periodo.
Appoggiò la testa sulla morbida chioma di riccioli e chiuse gli occhi. Nel buio della mente riaffiorarono un sacco di immagini… ricordi…
Lasciò cadere la sacca accanto al letto, osservando la sua stanza. Era piccola e vuota, tranne che per due letti, il suo e quello della sua compagna.Una decina di borsoni da viaggio erano appoggiati tutt’intorno, segno che l’altra occupante era già arrivata. Christine si chiese chi fosse, per avere tutti quei bagagli al seguito.
    - Sei arrivata, finalmente! Benvenuta all’Accademia!. - si voltò di scatto. Una ragazza della stessa età entrò nella stanza, sorridente. Aveva corti capelli azzurri, mossi e disordinati, da cui spuntavano lunghe orecchie ornate da due orecchini a cerchio. Era minuta, molto meno formosa di Christine, ma si muoveva con un’innata eleganza. Christine ammutolì quando la riconobbe.
    - Ma… -
    - Mi chiamo Ryez, ma tu chiamami Ryechan. - la ragazza non le lasciò il tempo di parlare. Si avvicinò veloce e leggera, osservando meravigliata i suoi capelli. - Oh, che bei riccioli! Mi piacerebbe avere i capelli di questo colore, è così solare... ma hai una sola sacca da viaggio? Non è un po’ troppo poco? Beh, se ti servisse qualcosa chiedimi pure, ho un sacco di vestiti. Mamma mi ha obbligato a portare metà armadio. A proposito, scusa il casino, prima o poi metterò a posto. Tu come ti chiami? Non mi sembri di queste parti, ho ragione? -
Parlava così veloce che Christine fece quasi fatica a seguirla.
    - L-la mia famiglia è del sud… mi chiamo Christine. - impacciata, fece per farle un inchino, ma Ryez le lanciò un’occhiataccia, quindi lasciò perdere.
    - Oh, ti prego, lascia stare. - sbuffò, e le afferrò entrambe le mani, stringendole nelle sue. I suoi occhi azzurri erano grandi e limpidi. - Sono venuta qui perché ero stufa che tutti mi trattassero da principessina, quindi per favore, comportati come se fossi una ragazza qualunque, ok? -
Christine si accigliò, ma annuì. Dopotutto era un ordine della futura regina di Verena.
Ryez sbuffò di nuovo.
    - E non farlo solo perché te l’ho chiesto! - piagnucolò. - Per favore. Cerchiamo di essere buone amiche, ok? -
Questa volta Christine annuì con più convinzione, anche se era rimasta basita dal comportamento della principessa. Da come ne parlava sua nonna, se l’era immaginata come uno ragazzina viziata e tranquilla, anche data la salute precaria. Invece quella che aveva davanti era un’immagine che andava contro tutte le sue aspettative.
Ryez sorrise entusiasta, e aveva un sorriso così bello che Christine si ritrovò ad arrossire.
    - Bene! Adesso andiamo a fare un giro per l’Accademia! Sai Chris… -
    - Chris… -
    - Eh ? -
Aprì gli occhi di scatto. Chinato verso di lei c’era Pai, leggermente perplesso. Era così vicino che arrossì e si scostò, strisciando a lato.
    - Non sei affatto cambiata, dopotutto. Dormi dovunque, in qualunque momento… - commentò lui con un leggero sorriso ironico.
    - Sei venuto per farmi la predica? - sbottò lei, irritata. Era odioso. E dire che una volta… meglio non pensarci.
    - Zitta e vieni con me, forza. -
Christine gli lanciò un’occhiata irritata, ma fece quanto detto. Si alzò e lo seguì verso l’uscita della mensa e lungo i corridoi. Era silenzioso, teso… guardingo.
    - Dove stiamo andando? -
Pai non rispose.
    - Sei sordo? -
Non rispose nemmeno questa volta, ma si voltò verso di lei per un attimo. Christine gli afferrò un braccio.
    - Oh, scemo, ti ho fatto una domanda! -
    - Vuoi fare meno casino? - la rimproverò lui, serio. Lei non lasciò cadere il discorso, anche se non poté fare a meno di abbassare la voce.
    - Rispondimi… -
Pai si guardò fugace attorno -erano soli- ma scosse la testa.
    - Tu seguimi e basta, senza fare domande. -
    - No caro, io non mi muovo di qui se non me lo dici. Dov’è che sei sparito in queste ore? Ti ho cercato, sembravi scomparso… -
    - Ero… - sembrò titubante e teso. - Ero nel posto dove stiamo andando. -
    - A fare cosa? - neanche a dirlo, Pai non rispose nemmeno a questa domanda. - Ok, ho capito, non puoi parlare. Mi dici almeno perché mi porti lì? -
Anche questa volta Pai rimase zitto, tanto che Christine fu sul punto di perdere la pazienza e piantarlo lì una volta per tutte, poi invece si avvicinò e le bisbigliò serio:
    - Per dimostrarti che ti sbagli. -

*

    - Ehm… ben tornato a casa! -
    - Sì, sì, ciao a tutte - Ryo si staccò dal braccio di Keiichiiro ed entrò nel caffè con una certa furia. Aveva una benda candida intorno alla testa e qualche graffio sulle guance, ma per il resto sembrava stesse bene, anche se il comportamento era un po’ anomalo. Si guardava intorno, come a voler controllare ogni minimo centimetro quadrato del caffè, come alla ricerca di qualcosa.
O di qualcuno.
    - Ryo… -
    - Allora, lui dov’è? Eh? - chiese a bruciapelo, squadrandole tutte e cinque.
Appunto.
    - Se cerchi Kisshu, è su che dorme ancora e non ha ancora fatto alcun danno… - Ichigo cercò di calmarlo, ma non servì a niente.
    - Balle! Sta tramando qualcosa, lo so, me lo sento! - e in men che non si dica sgusciò verso le scale che portavano ai piani alti del locale, Ichigo e le altre al seguito che cercavano di fermarlo.
    - Ryo, calma! -
    - Non ti scaldare, non può crearci così tanti problemi dopotutto… -
    - Ah no? - Ryo si voltò di scatto, fronteggiando la rossa. - Un nemico è nella nostra base! Qui teniamo tutti i computer, il laboratorio, le riunioni… -
    - Guarda che nemmeno a me piace l’idea di averlo intorno fino a chissà quando, e nemmeno a Masaya piacerà quando glielo dirò… - la risposta di Ichigo stranamente non migliorò le cose, ma Zakuro ebbe la bella idea di intromettersi tra i due, che sembravano sul punto di scannarsi a vicenda.
    - Nel laboratorio non si può accedere senza ciondolo o senza password, che sono certa nessuno di noi ha intenzione di rivelare a Kisshu. E poi siamo in sette… otto con Mizu… a tenerlo d’occhio, per cui credo che gli sarà difficile tentare qualche… approccio poco simpatico. - e qui si lasciò andare in un sorrisetto divertito, che fortunatamente Ichigo non notò.
I due sbuffarono, ma non replicarono.
    - Comunque sia, voglio mettere subito in chiaro con lui alcune cose… -
    - Ci abbiamo già pensato noi - borbottò stancamente Mint, evidentemente seccata di aver dovuto interrompere il sacro momento del the delle cinque.
    - E abbiamo anche cercato di capire cosa vuole ottenere stando qui, ma… - pigolò Retasu. Ryo alzò gli occhi al cielo.
    - Ma è ovvio ciò che vuole… lui intende rovinarci, carpire tutti i nostri segreti, scoprire le nostre debolezze per poi usarle contro di noi! -
    - Stai delirando… -
    - Siete voi che delirate! - Ryo le osservò una ad una, gli occhi ridotti a due fessure. - Come potete stare così calme sapendo che lui… -
    - Stavate parlando di meee? -
Tutti e sette si voltarono verso le scale. Kisshu stava scendendo, con le mani intrecciate dietro la testa e l’espressione perfettamente tranquilla. Mizu lo seguiva a pochi passi di distanza: quando intercettò lo sguardo di Ryo sembrò sul punto di correre indietro, ma poi ci ripensò e raggiunse il gruppo.
    - Ti sei svegliato, finalmente… -
    - Sai micetta, cominciavo ad avere fame. - le rispose con un sorriso sghembo, che fece arrossire Ichigo, poi si accorse di Ryo. Alzò le sopracciglia scure, sorpreso. - Shirogane! E tu quando sei tornato? -
Ryo si avvicinò con una tale rapidità che Kisshu nemmeno se ne accorse. Il biondo sembrò sul punto di afferrargli il collo, poi notò le bruciature sul corpo pallido e lasciò perdere.
    - Contento di vedere che Mizu ti ha conciato proprio per bene - commentò con un sorrisino crudele, ma Kisshu non se la prese troppo.
    - Non dovresti trattare così la guest star del momento - replicò, così strafottente da far formicolare le mani di Ryo per la voglia di colpirlo. Keiichiiro e le altre li guardavano immobilizzati dalla tensione. Sapevano che mancava poco così che si prendessero a calci e pugni, ma non riuscivano a muovere un muscolo per impedire che accadesse.
    - Accordo o non accordo, se fai un solo passo falso ti sbatto fuori in cinque secondi - soffiò Ryo a meno di tre centimetri dal volto dell’Alieno.
    - Ho già detto che non ho loschi fini, voglio solo stare un po’ di tempo con la mia micetta… o questo è compreso nei passi falsi? - rispose l’altro, con la voce così bassa che lo sentì solo Ryo. E Zakuro.
    - Adesso basta! - sbottò la mew lupo, che si avvicinò e li afferrò entrambi per un braccio, allontanandoli con una forza molto maggiore di quella che sembrava possedere col suo fisico slanciato. - Smettetela di comportarvi come dei bambini sciocchi. Vedete di fare i bravi tutti e due, altrimenti ci penserò io a mettere fine allo scontro, e non vi piacerà… - per un momento il suo sguardo azzurro non era quello solito, ma del lupo solitario e selvaggio dentro di lei, e questo bastò per mettere a tacere i due.
Li lasciò andare dopo qualche attimo. Kisshu, con quel sorriso strafottente ancora sulle labbra, mandò un bacetto in direzione di Ichigo prima di voltare le spalle al gruppo e salire le scale. Ryo lo osservò sparire dietro l’angolo del locale, quindi borbottò qualcosa di indefinibile e prese la strada per il laboratorio. Keiichiiro e le ragazze si guardarono, indecise sul da farsi.
Poi Purin rise, improvvisamente, spezzando la tensione.
    - Mi sa che ci sarà da divertirsi… - commentò ridacchiando.
    - Oh, Purin… solo tu potresti pensare una cosa del genere! -

*

* fusuma: si tratta delle porte scorrevoli delle case giapponesi. Un fusuma è composta da un'intelaiatura in legno e da carta di riso.
** futon: sono i pavimenti giapponesi, composti da una serie di tappeti di canne di bambù.

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Capitolo 8
*** Caduta libera ***


Frammenti di Me

Declaimers: Tokyo Mew Mew non appartiene a me, ma a Mia Ikumi e Reiko Yoshida, e non ne possiedo i diritti. Questa storia non ha scopo di lucro né è serializzata.

Frammenti Di Me

8. Caduta libera

    - Micetta… -
    - Kisshu, basta! Stammi lontano! -
Ichigo allontanò per l’ennesima volta l’alieno con una manata e si allontanò di alcuni passi, sotto lo sguardo incuriosito dei clienti. Riprese a pulire un tavolo, cercando di ignorare tutti, ma non ci volle molto prima che lui tornasse alla carica.
    - Uffa gattina, io mi annoio… -
    - E trovati qualcosa da fare! Io non ho il tempo di farti da balia! Ho ancora mezz’ora di turno, devo ancora fare tutti i compiti per domani e sono già stanca morta! Inoltre devo fare anche il lavoro di Mint perché la principessina non alza un dito! - e alzò la voce quel tanto da farsi sentire dalla diretta interessata, che però continuò a sfogliare una rivista come se stessero parlando con qualcun'altro. Ichigo strinse forte il manico della scopa con le mani, sul punto di scoppiare.
Dio, che incubo.
Erano passati solo pochi giorni da quando Kisshu si era stabilito al caffè e già non ne poteva più. Lui le era sempre attorno, sempre a tenderle imboscate, sempre a provarci…ed era fortunata che avesse l’ordine tassativo di non usare i suoi poteri, con tutti gli umani che giravano da quelle parti. Quando arrivava a casa Ichigo era sempre stanchissima, non aveva nemmeno la forza di uscire un po’ per svagarsi. Doveva trovare qualcosa per tenere Kisshu impegnato, in modo che non le rompesse l’anima tutto il tempo… ma cosa avrebbe potuto fare un'alieno in un caf…
Lasciò cadere la scopa a terra, con gli occhi che brillavano della Divina Illuminazione.
    - IDEA!!! -
    - Ahhh! Mollami! -
Ichigo lo afferrò per un codino e lo trascinò con sé senza tante cerimonie. Lui cercò di divincolarsi, ma la mewmew lo lasciò andare solo quando raggiunsero i camerini. Ichigo chiuse la porta, concia degli sguardi curiosi dei clienti.
    - Perché siamo qui? - chiese lui, osservando la minuscola stanza in penombra mentre si tastava il codino bistrattato.
    - Ti trovo qualcosa da fare! Avanti, togliti quella felpa! -
    - Ah? - Kisshu lasciò immediatamente andare il codino e si voltò di scatto verso la sua micetta, con gli occhi spalancati.
    - Ti ho detto di toglierti la felpa! Vuoi che ti faccia lo spelling o hai capito? -
Ma Kisshu aveva capito benissimo. Sfoderò il sorriso di un bambino davanti ad un lecca lecca, con tanto di bavetta alla bocca.
    – Oh micetta, da quanto aspettavo queste parole! Come sei ardita! Adesso faremo esplodere la nostra passio… -
… ma il suo delirio romantico (ehm) su interrotto da un bel calcio di Ichigo dritto sul naso.
    - Idiota!!! - urlò lei, arrossendo furiosamente. - Intendevo, togliti la felpa per metterti questa! -
Gli lanciò in faccia una camicia bianca. Kisshu la squadrò, poi afferrò i lembi della felpa e fece per togliersela, sotto lo sguardo truce di Ichigo, ma si fermò subito.
    - Se permetti, vorrei un po’ di privacy. - fece, guardandola altezzoso. Lei arrossì, ma si voltò borbottando:
    - Poverino, si vergogna lui… -
    - Io non mi vergogno affatto, il fatto è che mi hai respinto e non ti meriti di ammirare il mio fisico scultoreo! -
    - Uhmpf! - Ichigo trattenne a stento una risata.
    - Che hai detto? -
    - Ehm... niente! Allora, hai finito? -
    - Impaziente di vedere come sto? -
    - E piantala! -
Non aspettò un secondo di più. Sì voltò, ma rimase a bocca aperta: Kisshu, con la tenuta da cameriere di Ryo (che il biondo non aveva MAI usato), sembrava un ragazzo qualunque. Certo, c’era il piccolo particolare delle orecchie da elfo, ma erano mascherate da un cappello nero e se Ichigo non lo avesse saputo, non avrebbe mai sospettato che fossero diverse da quelle degli umani.
Kisshu notò subito la sua sorpresa e non si fece scappare l’occasione di mettersi in mostra.
    - Così sembro ancora più figo, eh? - disse con la sua solita modestia.
    - E bastaaa!!! -
    - Ops… scusate! -
La porta del camerino si aprì all’improvviso. I due si girarono di scatto, incontrando lo sguardo imbarazzato di Mizu. Evidentemente aveva equivocato la situazione, perché si voltò immediatamente dall’altra parte.
    - Ecco la piccola piromane rompipalle… - 
    - Scusate, io non pensavo… però... - balbettò la ragazzina, che aveva tutta l’aria di chi sta per morire d'imbarazzo.
    - Ecco esatto, vai e non rompere le scatole… -
    - KISSHU! - lo rimproverò Ichigo dandogli una gomitata in pieno stomaco. Kisshu si piegò su se stesso, così lei lo lasciò nella sua sofferenza e balzò verso Mizu, impaziente di chiarire la situazione. E poi magari glielo poteva anche scaricare addosso e godersi in pace gli ultimi minuti rimanenti del suo turno.
    - Mizuchan, non pensare male, so che tutto questo può sembrare un po’ strano per chi non conosce i precedenti, ma tra me e quel pervertito non c’è nulla… -
    - O almeno così si spera, finché solo il tuo ragazzo. -
Oh, no. No, no, no!
Ichigo alzò lentamente lo sguardo. Dietro Mizu, notevolmente più bassa di lei, c’era un ragazzo dalla carnagione scura, capelli neri e folti ed un sorriso che avrebbe fatto arrossire chiunque, Ichigo in testa.
    - Masaya… ! C-che ci fai qui? -
Ora era lei quella che aveva tutta l'aria di chi sta per morire d'imbarazzo.
    - Avevo pensato di passare a prenderti… e poi ti dovevo parlare… - Masaya sorrise, ma teneva lo sguardo dietro le spalle di Ichigo, dove doveva essere Kisshu.
Ichigo non riusciva ad essere felice di quell’improvvisata, che sicuramente in un altro giorno avrebbe valso a Masaya cento punti nella scala di gradimento dei ragazzi (dove comunque era già in testa). Ma perché, dopo i tanti giorni passati a sentirsi solo per cellulare, doveva incontrarla proprio quando Kisshu le stava per saltarle addosso?!
E poi Mint le dava della esagerata quando si lamentava della sua sfiga…
    - Oh, cosa dovevi dirmi? Anzi, me lo dici fuori dal locale, tanto ormai qui ho finito… - e dicendolo superò Mizu ed afferrò Masaya per un braccio, smaniosa di trascinarlo quanto più distante da Kisshu.
Mizu li osservò per qualche secondo, poi entrò nel camerino, dove l’alieno in questione si massaggiava ancora lo stomaco colpito.
    - Te lo meritavi proprio, lasciatelo dire. -
Kisshu, che pareva soffrire sul serio, le lanciò un’occhiata di puro fuoco.
    - Uhg… fatti gli affari tuoi, stronza… -
Mizu sospirò, e nonostante le sue gentilissime parole si chinò su di lui.
    - Fammi dare un’occhiata… - delicatamente, gli afferrò le mani e le allontanò da dov’erano, ma lui si divincolò bruscamente.
    - Lasciami in pace! -
    - Ma si è aperta la ferita! - alcune tracce di sangue macchiavano il tessuto bianco della camicia, e si andavano allargando. Tutta il camerino odorava di sangue, e Mizu si sorprese a pensare che aveva lo stesso odore di quello umano. - Vai in camera, intanto prendo bende e disinfettante… -
Kisshu si limitò a sbuffare. Mizu sparì oltre la porta della cucina, e lui ubbidì all'ordine della ragazzina. Salì le scale per il secondo piano ed entrò nella stanza. Si buttò sul letto di Mizu, molto più comodo del futon che gli avevano dato, e cercò di ignorare il bruciore allo stomaco. Solo che così diventava difficile ignorare quello al cuore.
… tra me e quel pervertito non c’è niente…
Chiuse gli occhi.
… finché sono il tuo ragazzo…
Prese il cuscino e ci affondò il volto, furioso con sé stesso, con quel damerino, con Mizu, col mondo. E con Ichigo.
No… con lei no.
Che schifo l’amore.
Era impossibile essere furiosi con la ragazza col sorriso più dolce della Terra, anche se non capiva affatto che, nonostante facesse il buffone, i suoi "Ti amo" venissero dal cuore.

Mizu chiuse l’armadietto dei medicinali ed uscì dall’infermeria, con le braccia cariche di bende, disinfettante, cerotti e altre diavolerie dall’odore nauseante.
Sebbene fosse nel sottolivello del caffè, poteva sentire distintamente le voci di Ichigo e Masaya. Strizzò gli occhi, infastidita: non si era ancora abituata a tutti i sensi da felino che aveva sviluppato dopo la trasformazione. Il minimo odore o rumore le giungeva con una chiarezza disarmante, ed era impossibile ignorarlo. Le sembrava di impazzire, e si chiese come facessero le altre a sopportare tutto questo da così tanto tempo. Però forse col tempo ci avrebbe fatto l’abitudine…
E a proposito di odori, quel giorno ce n’era uno in particolare che l’aveva incuriosita.
Quello di Masaya Aoyama.
Era davvero difficile da spiegare. Non che fosse particolarmente forte o gradevole, però era particolare… non era la prima volta che lo sentiva.
Nel pensarlo, il cuore accelerò il battito. Era la terza cosa che le suonava familiare da quando si era svegliata, ma come le altre due non diceva nulla di chiaro del suo passato. Non sapeva se Mizu era realmente il suo nome, non sapeva chi l’avesse trasformata in mewmew. Ed ora non sapeva cosa c’entrasse il ragazzo di Ichigo con tutto questo. Più tardi ne avrebbe parlato con Ryo e Kei.
Dio, che mal di testa…
    - Come sarebbe a dire, che non andremo al concerto dei Malice Mizer*? -
Alzò lo sguardo verso l’entrata del locale, dove c’erano Ichigo e Masaya. Lei non era più abbracciata a lui, ed aveva un’espressione delusissima sul volto.
    - Mi spiace veramente, ma la squadra ha la gara di kendo nel Kanto proprio in quei giorni… -
    - Uffa, proprio adesso che il Tokyo Dome** era stato ristrutturato dopo l’attacco alieno! Che sfiga… -
    - Eddai, per farmi perdonare stasera ti porto al cinese, ok? -
A sentire la parola “cinese”, il volto di Ichigo si illuminò di gioia.
    - Sììì, cinese! Ti amo, Aoyamakun! - strillò, saltandogli al collo sotto lo sguardo omicida di alcune clienti.
Mizu trattenne un sorrisino. Ichigo aveva la stessa adorazione del cibo di Kisshu, ma aveva come il presentimentoc he se glielo avesse detto si sarebbe guadagnata una bella gomitata nello stomaco… oh, a proposito, si era quasi scordata di Kisshu. Salì le scale per il secondo piano ed aprì piano il fusuma della loro camera, ben attenta a non far cadere le bende che aveva tra le mani.
Kisshu era steso sul suo letto, con il cuscino premuto sul viso.
    - Che stai facendo? -
Lui si voltò di scatto, ma riconoscendola tornò a nascondere la faccia nel cuscino.
    - Sto tentando il suicidio, non vedi? -
    - Per soffocamento? Nah, il più gettonato è il taglio di vene, però devo dire che anche l’overdose di sonniferi e il volo dal grattacielo sono abbastanza di moda… -
    - Però, te ne intendi… -
    - Oh, non c’è giorno in cui non ci pensi. - Kisshu sollevò il cuscino e le lanciò un’occhiata, come per capire se stesse scherzando o meno. - Ovviamente sono ironica. - alzò gli occhi al cielo, mentre si sedeva sul bordo del letto ed appoggiava al grembo tutte le attrezzature mediche. - Dai, togliti la camicia… -
Kisshu sembrò ridere, ma col cuscino in faccia, non ne era sicura.
    - Oggi siete tutte fissate… -
    - Come? -
L’alieno non rispose. Si premette con forza il cuscino in faccia e si voltò dall’altra parte, e rimase immobile. Dato che non obbediva, Mizu prese a sbottonargliela personalmente. Kisshu non fece niente per impedirglielo.
Le bende intorno al torso erano pregne di sangue scuro, la poca pelle lasciata scoperta era rossa e irritata. Con delicatezza le tagliò con una forbicina e cominciò a sfilarle. Kisshu sopportava in silenzio, sussultando ogni volta che la ferita veniva a contatto con le garze.
Quando sfilò anche l’ultima benda, Mizu non poté fare a meno di lanciare un lamento.
    - Allora? -
Nonostante fosse attutita dal cuscino, la voce di Kisshu arrivava bassa, sofferente. Mizu non era così sicura che fosse solo per la ferita, ma tenne il dubbio per sé.
    - Le vesciche sono tutte scoppiate… -
L’alieno borbottò qualcosa in una lingua sconosciuta, ma sicuramente non erano belle parole. Mizu afferrò la boccetta di disinfettante e vi intinse del cotone, per poi passarlo su una delle vesciche. Questa volta Kisshu urlò dal dolore e fece per allontanarle la mano, ma riuscì a trattenersi.
    - … dannazione… - cercava di controllare il tono di voce, senza riuscirci, e lei fu assalita dal solito senso di colpa.
    - Mi spiace… -
    - Tu non c’entri... -
    - No, intendo, per prima… con Ichigo. -
Il mondo sembrava essersi fermato.
… tra me e quel pervertito non c’è nulla…
Poi ripartì, completamente in caduta libera.
    - Sei innamorata di qualcuno? -
L’amore… provava amore per qualcuno? In genere ogni parola rievoca un’immagine particolare legata ad essa; ma quando provò a pensarci, nella mente c’era solo la solita confusione.
    - No. - rispose, e si sorprese della nota amara nella sua stessa voce.
    - Non ti perdi niente. L’amore è uno schifo… -
Ma Mizu non lo ascoltava neanche più.
Non amava nessuno, però forse in passato aveva amato. E quell’amore dov’era finito, ora? Cancellato da un’amnesia, da una commozione cerebrale? E se c’era qualcuno al mondo che l’aveva amata, aveva dimenticato tutto?
Davvero l’amore era così labile?

*

Christine non aveva mai visto quel lato della fortezza.
Nonostante tutto l’edificio fosse inghiottito dalle tenebre, quell’ala sembrava ancor più oscura e inquietante, anche perché aveva il presentimento che non fosse del tutto lecito trovarsi lì. Era un’impressione fondata sul nulla, però c’era. E il mondo di fare che aveva Pai -gettare delle occhiate alle spalle ogni tanto, o metterla a tacere ogni volta che tentava di chiedergli dove si trovassero- non faceva altro che alimentarla.
Ormai aveva del tutto rinunciato a capire dove stessero andando. Non conosceva ancora la base e Pai si era chiuso in silenzio stampa; si limitava a seguirlo attraversi i corridoi a lei sconosciuti, cercando di non fare rumore. Non voleva finire nei casini, nel caso in cui fosse venuto fuori che effettivamente erano in una zona proibita. Anche se l’idea che Pai stesse disubbidendo al suo adorato Deep Blue era ridicola.
Pai aveva creduto fin da subito in Deep Blue, e non aveva avuto dubbi nel prendere parte alle sue idee di conquista.
Da una certo punto di vista era comprensibile: in quel periodo Verena si trovava nella più profonda disperazione, lui in particolar modo. Dopotutto Ryez non era solo la speranza del pianeta, ma anche la sua fidanzata.
Ryez era speciale, unica, Christine lo sapeva bene. Anche lei era stata malissimo, quando era morta.
Sì, però non era il momento di abbandonarsi a tristi pensieri…
    - Quanto c’è ancora? - si azzardò a chiedere. Pai le dava la schiena e lei non poteva vedere la sua espressione, però la sua voce sembrava più rilassata di poco prima.
    - Non molto. -
Christine alzò gli occhi al cielo.
    - Wow, che rispostona… -
Pai si voltò così d’improvviso che per poco non gli finì addosso. Lei protestò con un urlo e lui le scoccò un’occhiataccia delle sue.
    - Siamo arrivati, contenta? -
    - E c’era bisogno di fermarsi così? Tu sei psicopatico… -
    - Grazie. -
Christine cercò di dominare l’istinto omicida e si guardò attorno. Per poco non pensò di essere un po’ psicopatica anche lei.
Dietro, un corridoio infinitamente lungo.
Davanti, un enorme muro senza né porte né passaggi.
    - Ehm… non per dire, Paiuccio, ma siamo in un vicolo cieco - gli fece notare, con un gesto eloquente della mano. La sua espressione ed il tono di voce era quello che si usa con i bambini un po’ stupidi cui si spiegano che il cielo è azzurro o che il sole scalda.
    - Ma dai, non me n’ero accorto - rispose Pai allo stesso modo. La tentazione di saltargli addosso e riempirlo di cazzotti era così forte da farle prudere le mani.
    - Allora ne deduco che: o hai un trucco superganzo per far comparire qualcosa dal nulla, o sei uno psicopatico visionario come ho sempre sostenuto. -
Pai fece un sorrisetto malizioso, che -per quache motivo che lei preferì ignorare- le provocò un brivido lungo la schiena.
    - Mi spiace, ma è la prima. -
Christine non fece in tempo a controbattere, che lui le afferrò il polso e la trascinò verso il muro, in modo molto tranquillo per uno che sta andando a cozzare contro una palizzata di pietre.
    - Paiii! - urlò, cercando di divincolarsi. Strizzò gli occhi, ma anziché finire addosso al muro perse il contatto con il pavimento.
Aprì piano gli occhi, ma li richiuse subito. La luce in quel posto era così intensa ed i suoi occhi erano ancora abituati all’oscurità dei corridoi. Con qualche difficoltà, li riaprì e si guardò attorno.
Era in una di quelle stanze dove lo spazio-tempo non esisteva. Ce n’erano alcune sparse per la fortezza, in genere venivano utilizzate da Deep Blue. Che Pai l’avesse portata al cospetto del loro sovrano? Maledicendo tutti e due, cercò la figura dell’alieno.
Pai era poco più lontano in alto di lei, accanto ad una teca di cristallo come quelle che aveva visto nel suo laboratorio, solo molto più grande. Non riusciva a vedere bene il suo contenuto, era qualcosa di azzurro avvolto da un bagliore argenteo.
Non aveva mai visto di persona Deep Blue e sapeva che erano davvero in pochi quelli a cui aveva fatto l’onore di rivelare il suo volto. Pai, in quanto suo diretto sottoposto, era certamente uno di questi; quel qualcosa poteva anche essere Deep Blue in persona, per quanto ne poteva sapere lei.
Ma perché quale motivo Pai l’avrebbe portata da Lui?
    - Avvicinati, forza. - le ordinò l'alieno, ma più che un ordine sembrava una richiesta. Guardinga, fluttuò fino a mettere a fuoco la teca.
Quello che vide ebbe lo stesso effetto di un cubetto di ghiaccio giù per la schiena.
I capelli azzurri lunghi e sparsi nello spazio, il vestito bianco che fluttuava nell’acqua, la pelle più grigiastra di quel che ricordava eppure così chiara da sembrare trasparente. Gli occhi erano chiusi, come se stesse dormendo, però Christine sapeva esattamente la tonalità delle loro iridi: azzurro, come il cielo dopo un temporale estivo.
Ma sapeva anche che lei non stava dormendo.
Lei se n’era andata un terribile giorno di dieci anni prima e aveva abbandonato la sua famiglia, Pai e tutta Verena.
Lei, alla quale aveva voluto così bene e lo aveva capito solo dopo averla persa.
Lei ed i suoi ricordi, che credeva di aver lasciato alle spalle da molto tempo.
Il mondo sembrava essersi fermato.
Nonostante gli sforzi per trattenersi sentiva gli occhi lucidi, spalancati (per la sorpresa o per l’orrore?) e si portò le mani sulle labbra.
    - Ryez… -
Poi ripartì, completamente in caduta libera…

*

* Malice Mizer: si tratta di un gruppo giapponese realmente esistente. Piace molto ad una mia amica ed è uno dei pochi che conosco. Nel manga si fa riferimento solo agli E-Jump (chissà se esistono davvero) ma questo mi piaceva di più...
** Tokyo Dome: da quel che ho capito è lo stadio di Tokyo. L'attacco alieno è presente nel manga, credo... nell'anime c'è di sicuro, me lo ricordo u_u

Alùr, intanto devi chiedervi perdono in aramaico per il ritardo di sto capitolo, ma tanto sono sicura che nessuno di voi mi capirebbe e quindi passo, mwahahaha!
Ryo: Questo discorso non ha senso O_o
Pai: Perché, gli altri ce l’hanno? =_=
Zitti voi!
Il fatto è che mi sono successe tante cose… i marziani mi hanno rapita per studiare il genere umano, ho distrutto la strega Artemisia che tentava la Compressione Temporale, Orochimaru voleva il mio corpo, ho scoperto di essere la gemella di Harry Potter e quindi ho dovuto aiutarlo a sconfiggere Voldemort con i miei poteri super-magggici da Mary Sue, e…
Pai&Ryo: … e dillo che non dovevi recuperare i debiti, deficiente!
Dling-dlong: si comunica ai lettori che nel prossimo episodio Pai e Ryo verranno spiaccicati da una schiacciasassi e verranno quindi sostituiti da sosia che non mi rompano le palle!
Mi spiace per Valery_Ivanov che tanto ama il biondino… uh, a proposito, grazie per le recensioni, sei un tesoro! Il banner sul linguaggio SMS si riferisce alle storie, tu fai quel che vuoi ^^ naturalmente ringrazio anche Caomei, che un giorno sposerò, e tutte le altre lettrici che mi hanno messo tra i preferiti… vi amo!
Bon, alla prossima puntata ;* baciotti!

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Capitolo 9
*** Promessa ***


Frammenti di Me

Declaimers: Tokyo Mew Mew non appartiene a me, ma a Mia Ikumi e Reiko Yoshida, e non ne possiedo i diritti. Questa storia non ha scopo di lucro né è serializzata.

Frammenti Di Me

9. Promessa

Ci sono ricordi che fanno male.
Momenti che vorresti cancellare, che non vorresti mai aver vissuto…

    - Pensi mai alla morte? -
Christine alzò la testa dal banco e si voltò verso la compagna. Ryez teneva lo guardo azzurro e limpido verso l'istruttrice, ma era ovvio che parlava con lei.
    - Perché, tu sì? - bisbigliò, un po’ scocciata di essere stata interrotta durante il sonnellino mattutino.
    - Rispondi. - il tono era deciso, stava parlando sul serio.
    - Io… no. Insomma, siamo giovani… - Christine si sforzò di capire cosa stesse pensando. Ryez era una ragazza molto solare, anche se un po’ particolare… a volte se ne usciva con dei discorsi così strani che Christine non poteva fare a meno di chiedersi cosa effettivamente ci fosse nella sua testolina spettinata.
    - Essere giovani non implica essere invulnerabili. - rispose Ryez in tono semplice.
    - Sì, ok… però è più facile pensare che siano i vecchi a morire, no? - replicò Christine. - Perché stai facendo questo discorso? -
Ryez fece spallucce.
    - Così… cosa credi che succeda dopo essere morti? -
    - … si viene sepolti? -
Questa volta distolse lo guardo dall'istruttrice, leggermente accigliata.
    - Sii seria! -
    - Ma stai facendo dei discorsi assurdi! Perché tu, proprio tu col tuoi genere di poteri, dovresti pensare ad una cosa così…lugubre? -
L’aliena osservò Christine al alcuni attimi, in silenzio e ancora con quello sguardo serio, poi fece spallucce e tornò a guardare la professoressa.
    - Era tanto per dire qualcosa… -

… momenti che, nel ricordarli, non sai se ridere o piangere…

    - Chris… -
La luce della camera si accese così d’improvviso che Christine urlò, portandosi le coperte fin sopra gli occhi.
    - Argh! Spegni-immediatamente-quella-luce! -
    - Ok, ok… non riesco a dormire. -
    - Io invece ho avuto tre ore di allenamento questo pomeriggio e casco dal sonno. Buonanotte! - e si girò dall’altra parte, decisa ad ignorarla.
    - No Chris, non abbandonarmi! -
Ryez si alzò dal suo letto, gattonò nel buio fino a quello della compagna e prese a scollarle le spalle. Christine strizzò gli occhi e cercò di resistere il più possibile, ma dopo neanche due secondo scostò le coperte con un calcio.
    - Oookey, hai vinto! E con questo ti sei aggiudicata il premio per la persona più rompiballe di Verena! -
    - Che bello quando mi ascolti! Si vede proprio che mi vuoi bene! - cinguettò l’altra, l’unica che poteva essere così pimpante alle tre e quaranta della notte.
    - Vederti così mi deprime… -
    - Zitta e fatti in là - le ordinò, stendendosi accanto a Christine nel suo piccolo letto. Si portò le coperte fin sulla testa, ridendo. - Che freddo! -
Christine soffocò qualche maledizione tra i denti, poi lasciò perdere. Era inutile prendersela con Ryez, tanto faceva sempre di testa sua.
    - Immagino che chiederti di lasciarmi dormire sia troppo, vero? -
    - Immagini bene - Ryez annuì beata mentre abbracciava la compagna in tutta la sua morbidezza. - chiacchieriamo un po’! -
    - Che ne dici invece di provare l’ebrezza di poltrire, ogni tanto? Potresti scoprire che ti piace! -
    - Naaa, tanto non ci riesco, ho l’insonnia cronica. Di notte, poi, mi viene una strana sensazione… - nella sua voce c’era una nota strana, indefinibile.
    - … ovvero? -
    - … lascia stare. Piuttosto, chiacchieriamo di qualcosaaa! -
    - Eh, proponi un argomento! -
    - Non mi viene in mente niente, dì qualcosa tu! -
    - Ah, che bella che sei! Mi vieni a rompere le balle perché non riesci a dormire e vuoi chiacchierare e dopo pretendi anche che sia io a raccontartela! -
    - Mh, sì! - rispose Ryez mostrando tutta la sua faccia tosta. Ah, basta!
    - Ryez! Sono le quattro del mattino! Lasciami dormire, ho sonnooo!!! -
    - Ok, ok… uffi… -
    - Grazie… -
    - Posso restare qui, però? -
    - Massì, resta pure… buonanotte! -
    - ‘notte. -
Christine chiuse gli occhi ed appoggiò la testa al cuscino, coi capelli di Ryez che le facevano il solletico alla gola, ma non passarono nemmeno due minuti che la compagna tornò a rompere.
    - Chrissy… -
Argh! Quella ragazza sarebbe stata la rovina del suo sistema nervoso!
    - Ti prego, ti scongiuro Ryez, abbi pietà di meee! -
    - Sì, sì, solo una cosa, poi non rompo più… anche se sono la rompipalle numero uno di Verena e ti sto sempre tra i piedi e non ti lascio mai dormire… lo faccio perché ti voglio bene, sai? -
… però era così dolce che era veramente impossibile odiarla.
    - … massì, lo so. -
    - E tu? -
Maledettissimo orgoglio, quanto la imbarazzavano questi discorsi!
    - C’è bisogno che te lo dica?! -
    - Amiche per sempre? -
    - Sì, per sempre… -
    - Per l’eternità? -
    - Sì, sì… -
    - Anche dopo la morte? -

… ma sono sempre momenti che, per quanto vuoi dimenticare, non ci riesci, come se ci fosse una piccola parte di te che si aggrappa loro con tutta la forza di cui è capace.
E poi ti rendi conto che nessuno vuole dimenticare davvero. Belli o brutti che siano, i ricordi sono comunque preziosissimi, unici testimoni del tempo che passa…
… di un tempo che non tornerà più…

    - … cos’è, il continuo del discorso di oggi? -
    - Rispondi. - il suo tono era così serio da mettere ansia. Christine provò l’impulso di stringerla forte, e lo fece, molto semplicemente. Al diavolo l’orgoglio.
Ad un tratto, niente le sembrava scontato. Cos’era questa sensazione?
    - Per sempre, per l’eternità. Fino a quando non cesseremo d’esistere. -

Cessare d’esistere.
Ma che significava? Che cosa aveva provato Ryez nel sentire quelle parole, cosa l’aveva indotta a farle una promessa del genere?
Cessare d’esistere… Christine si era dimenticava della promessa, almeno fino a quel momento, a quell’attimo in cui aveva smesso di respirare, di pensare…
    - E’ esattamente come un tempo, come l’avevamo lasciata. - strizzò gli occhi, appannati, e si ricordò all’improvviso della presenza di Pai. Lui le dava le spalle, teneva il volto verso Ryez ed una mano sulla teca, come se avesse voluto toccarla. Il suo tono era triste, malinconico, lontanissimo. - E’ bella come quand’era… -
    - … viva, Pai? - soffiò Christine. Lui si voltò lentamente. Era sceso uno strano gelo intorno a loro.
    - … sveglia era il termine che volevo usare. -
    - Non crederai ancora alla storia della bella addormentata! - aspettò la risposta di Pai, inutilmente: l’alieno si limitava ad osservarla col solito sguardo duro, indecifrabile. Sì, ci credeva. - E comunque, perché è qui?! -
Pai non rispose. Sospirò, le diede nuovamente le spalle e rimase lì, fermo immobile, ad osservare il volto pallido di Ryez, della regina dal riposo eterno.
Così… cosa credi che succeda dopo essere morti?
Ryez sapeva cosa le sarebbe accaduto?
Sapeva che un giorno il suo corpo sarebbe stato rinchiuso in una teca, inutile e freddo come un pezzo di ghiaccio?
    - TI HO CHIESTO PERCHE’ E’ QUI! -
Il suo strillo rimbombò all’infinito, una, due, mille volte; il suo cuore pulsava così forte da farle male. E Pai ancora non le rispondeva, la guardava e basta, come se fosse in attesa che capisse da sola; ma non c’era niente da capire, niente.
Tutto ciò che provava in quel momento era un ammasso confuso di pensieri e sentimenti e la necessità di fuggire, andare quanto più lontano da lì… e da quel corpo morto, morto, morto…
Perché il mondo girava così veloce?
    - Christine, tu non sai… ti posso spiegare, ma tu devi capire… -
    - E’ MORTA, ecco cosa c’è da capire! E tu sei patetico, sei pazzo! -
Faceva fatica a respirare. Guardò un’altra volta Ryez, le sue vesti che fluttuavano nel vuoto, la sua espressione pacifica… pacifica! Era la prima volta che la vedeva così… ma quella non era Ryez, era solo un corpo morto, morto, morto…
Quella parola la ossessionava, dolorosa come una pugnalata.
Pai si avvicinò così velocemente che neanche se ne accorse, ma si scostò appena lui le sfiorò le spalle.
    - Chris… -
    - Deep Blue… è stato lui a volerla portare qui? - la sua voce era spenta, piena di fredda rabbia. Quel maledetto, lo aveva sempre odiato, ed ora aveva fatto questo… ma si sarebbe vendicata, oh sì, non sarebbe stata zitta, tutti dovevano sapere che razza di mostro fosse in realtà…
    - No. -
Strabuzzò gli occhi e guardò Pai, incredula.
    - Cosa? -
    - Sono stato io. Non ne sa nulla. Non lo sa nessuno, meno che te e me ovviamente. -
    - Ma cosa… - si portò la mano alla testa, ormai ragionava a stento. Tutto girava così veloce, cosa voleva dire tutto questo? - Perché? -
    - Perché ora so. - bisbigliò al suo orecchio, così vicino che Christine rabbrividì. - So che è vero, che la posso svegliare, c’è ancora speranza per noi… - il suo sguardo era sicuro, certo delle sue parole, sembrava trapassarla da parte a parte.
    - Pai… - lei scosse la testa, sull’orlo delle lacrime. Faceva così male vederlo così, ancora illuso come l’aveva lasciato, le faceva così pena. Ma Pai la scrollò, più e più volte, con la stretta intorno alle sue spalle che le fermava il sangue; tuttavia non cercò di divincolarsi.
    - Non fare così, ti prego, non cominciare coi soliti discorsi, io ho scoperto… io so… -
Implorante. Così era la voce di Pai, così il suo sguardo. Credimi, ti scongiuro sembrava volesse dire, ma lei non poteva, no davvero.
Era troppo da sopportare, troppo!
    - No, tu non sai… ! - si divincolò d’improvviso, indietreggiando, sotto lo sguardo deluso Pai. - Io so solo che tu sei ossessionato, malato! -
    - Chrissy… -
Sciaff!
Il suono delle cinque dita sulla guancia di Pai.
    - NON MI CHIAMARE COSI’! NON FARLO MAI PIU’! -
Il mondo girava così veloce mentre fluttuava via, superava la barriera e continuava la sua fuga. Ma anche se la distanza da Pai aumentava metro dopo metro, Christine sentiva che era ancora troppo piccola in confronto alla voragine incurabile che si era creata tra loro.
Per sempre, per l’eternità. Fino a quando non cesseremo d’esistere.
Mai aveva provato così tanta voglia di piangere…

*

La ghiaia scricchiolò per l’ultima volta sotto la suola dei suoi stivali quando si fermò davanti alla lapide bianca.
Si chinò, allontanando i lunghi capelli viola dal viso, ed osservò la fotografia al centro del marmo bianco: raffigurava una ragazza di forse sedici anni, corti capelli biondi, grandi occhi neri ed un sorriso radioso. Nel guardarla, anche Zakuro sorrise di rimando.
Depositò a terra il mazzo di girasoli, un terribile contrasto giallo in quel posto grigio e tetro, poi tirò fuori dal giaccone un gruppo di bacchette d’incenso -sempre gialle- e le accese. Il profumo di arancia riempì l’aria, levandosi verso il cielo. Zakuro chiuse gli occhi, aspirando quell’odore pungente.
    - Ormai è quasi un anno… - sospirò, sfiorando con i pollici l’incisione nel marmo. Yuzuyu Mouri. Alcune persone passarono lì accanto e le gettarono un’occhiata curiosa, ma poi continuarono il loro cammino.
Poteva intuire ciò che aveva pensato: “Le somiglia, ma non può essere la famosa modella Fujiwara, figurati se una ragazza così carina e sorridente potrebbe venire a fare visita a qualcuno in un cimitero…”
Tzé. Stupidi.
    - Continuo a non capire la gente, Yuzu. E’ inutile, tutte le tue belle parole non sono servite a niente. Vivo in questo mondo ma non ne faccio parte. Sono un lupo solitario… -
Yuzuyu, dalla fotografia, continuava a guardarla e a sorridere, come se trovasse il suo discorso molto divertente. Ma era un’immagine statica, un pallido ricordo, niente di più.
Zakuro si alzò, la testa ancora bassa ed i lunghi capelli lasciati liberi di svolazzare nel vento aromatizzato di arancio.
    - E’ uno strano presentimento… presto tutto questo avrà fine. E’ ora che mantenga la mia promessa. Tornerò a trovarti, Yuzu… ti voglio bene. - sussurrò con un sorriso dolce. Poi si voltò e si diresse verso l’uscita del cimitero, con gli stivali che scricchiolavano ad ogni passo, i lunghi capelli nel vento e lo scintillio della croce che aveva al collo contro il sole del mattino.

*

Ryo si passò la manica della felpa sulla fronte prima di entrare nel locale. Si piegò, appoggiando le mani alle ginocchia, col fiatone che lo scuoteva ed un gran calore lungo il corpo. Non vedeva l’ora di farsi una doccia, ma il suo stomaco protestò vivacemente. Guardò l'orologio alla parete: erano le sei e mezza e aveva corso per quasi due ere, aveva tutto il diritto di fare uno spuntino. La doccia avrebbe aspettato.
Attraversò il locale al buio, cercando di non inciampare nei tavoli non ancora sistemati, poi entrò in cucina. La luce era già accesa.
    - Buongiorno. Dove sei stato? -
Mizu era seduta al tavolo, già vestita del suo abito rosso da cameriera, con una tazza di the tra le mani e qualche biscotto lì accanto. Non sembrava sorpresa di vederlo.
    - Io? Mi sono appena svegliato. - rispose con tono sicuro, nonostante sapesse di avere ben poche chance di cavarsela così.
    - Se per appena intendi le cinque meno venti… -
Si guardarono, come a volersi studiare a vicenda. Ma certo, doveva averlo sentito uscire: Ryo aveva dimenticato di avere una mewmew dall'udito felino per casa.
    - Non sono l’unico ad essere mattiniero… - borbottò per cambiare discorso. Mizu rimase zitta qualche attimo, poi si arrese al fatto che lui non le avrebbe detto niente e scrollò le spalle.
    - … con Kisshu non ci dormo più. Non so se sia perché è un alieno o perché mangia pesante, ma russa peggio di un orso. -
Ridendo, Ryo prese una tazza di caffè americano e si sedette accanto a lei. Rimasero per un po’ in silenzio, senza un filo di tensione per la mancanza di dialogo: ormai avevano capito di essere entrambi di poche chiacchiere, andavano d’accordo per questo. Tuttavia passarono pochi minuti prima che Mizu rompesse il silenzio.
    - Ryo? -
    - Mh? -
    - Mi chiedevo… tu hai una famiglia, no? In America? -
Il cucchiaio di zucchero si fermò sopra la tazza di caffè, mentre lo sguardo ceruleo di Ryo rimaneva verso il tavolo, leggermente sorpreso.
    - Sì, certo… - rispose a voce bassa, calma.
    - Pensi che l’amore si affievolisca nel tempo, quando non si vede una persona per molto tempo? -
Alzò lo sguardo verso di lei, che lo fissava a sua volta: caramello contro acquamarina.
    - Perché questa domanda? -
Mizu scrollò le spalle, indifferente.
    - Ci stavo pensando… la gente fa di tutto per creare legami con qualcuno, chiunque, perché nessuno vuole sentirsi solo; quindi è innaturale che si abbandonino i propri legami con facilità, giusto? -
    - Credo di sì… - in realtà non ne era tanto sicuro, ma voleva vedere fino a che punto si sarebbe spinta col discorso.
    - Però capita sempre di perdere qualcuno, nella vita - puntualizzò lei, come a voler dimostrare l’errore della sua stessa teoria.
    - A volte capitano cose che non ti aspetti, contro cui non puoi fare niente. - Ryo socchiuse gli occhi, ignorando gli stralci del passato che tornavano a galleggiare. - Ma i legami non sono così facili da recidere… rimangono i ricordi di chi hai amato… -
Mizu rimase zitta, fissando la scodella. Ryo continuò a fissare il suo profilo, chiedendosi cosa stesse pensando. In genere non gli era difficile intuire cosa pensavano le persone, ma nel caso di Mizu era impossibile; anche lui faceva questo effetto alla gente?
    - Che cos’hai? -
    - Nh? - lei alzò la testa di scatto, sorpresa. - Niente. - rispose in fretta, troppo in fretta.
    - Hai ancora mal di testa? -
    - Un po’… ormai non ci faccio più caso. - tacque qualche istante, pensierosa. - Se non si ha ama né odia nessuno, è come se non si esistesse affatto… -
    - Tutti hanno almeno qualcuno al mondo, anche se ogni tanto capita di sentirsi soli lo stesso… -
Mizu gli lanciò un’occhiata indefinibile, come se avesse voluto credergli ma non ci riuscisse ancora.
    - … non credi che esista qualcuno senza legami? -
    - No - ribatté di nuovo, cercando di intuire cosa ci fosse dietro quel discorso. Poi capì, e qualcosa di strano si mosse dietro di lui, qualcosa di indefinibile. - Nemmeno tu. -
Mizu sgranò gli occhi, poi arrossì di vergogna: aveva centrato il punto del discorso.
    - Ryo, io non ho nessuno… - balbettò, mentre la voce di lei si incrinava e di nuovo quella sensazione strana gli rimescolava le viscere.
    - No! - protestò duramente, non sapendo bene perché se la prendesse così tanto. - Hai me, e tanto basta. - non ci rifletté più di tanto nel dirlo. Mizu arrossì di nuovo, questa volta d’imbarazzo, e Ryo si rese conto di cosa aveva effettivamente detto. - Cioè, non… capiscimi! -
Oh, dannazione, non era portato per quei discorsi!
    - Grazie... -
Mizu gli sorrise in modo così dolce, e quella cosa strana dentro di lui sparì, sostituita da una magnifica tranquillità.
Ormai aveva finito il suo caffè. Si alzò, lasciò la tazza nel lavandino e si avviò per l’uscita della cucina.
    - Mi faccio una doccia e poi apriamo il locale… -
    - Ok. Ryo? -
Lui si voltò, ma sperava che non avesse ancora domande complicate da porgli.
    - Come mai la tua famiglia non è qui? -
Oh, accidenti. Lei non poteva saperlo, ma quella era una domanda complicata.
    - I miei sono… beh… tu credi nell’aldilà? -
Silenzio, per alcuni secondi; poi, il gemito di Mizu.
    - Oh Ryo, mi spiace… m-ma avevi detto… -
    - Io ho una famiglia. - precisò, voltando completamente le spalle. - Te l’ho detto, i legami non sono così facili da recidere… e restano i ricordi… -
Senza aspettare risposta uscì dalla stanza, ripensando alle sue stesse parole.
I ricordi, quei terribili attimi che lo tormentavano la notte…
A volte desiderava con tutto il cuore dimenticarli, ma capiva che avrebbe significato perdere i legami con le persone che aveva amato da bambino, e sinceramente… erano la cosa più preziosa che avesse.
Perché nessuno vuole dimenticare davvero. Belli o brutti che siano, i ricordi sono comunque preziosissimi, unici testimoni del tempo che passa…
… di un tempo che non tornerà più…

*

Ta-daaaa, ecco arrivato il momento dello sclero! Però... cielo, che cosa ho scritto? O_O tutto questo filosofeggiare di morte mi porterà al manicomio, lo sento!
Ryo: “E sarebbe anche ora!”
* un enorme incudine cade da chissà dove schiacciando accidentalmente il povero Ryo*
Ryo ancora vivo nonostante tutto: “Avrai notizie dal mio avvocato!”
Cooomunque… scusate l’abuso dei puntini di sospensione, nel rileggerla mi sono accorta di averne messi davvero troppi, ma non ne ho trovati di sacrificabili! Perdono!
Passiamo ai commenti, va' =_=
Caomei: allora fissiamo subito la data del matrimonio *_* però devi sapere che non saresti il mio unico amore, non hai niente contro la poligamia, vero? xD Comunque grazie, spero di migliorare sempre di più!
Valery_Ivanov: ti conviene farti un mini schema della fiction, perché mi perdo pure io xD ormai sono costretta a tenermi scritto tutto perché sennò non so più dove sono arrivata! Sono un disastro =_= e comunque non è difficile ricordare chi è Mizu, è l'unica mewmew dai capelli arancioni e psiche instabile (che pg anomalo O.o non per niente l'ho inventato io)
Mimi18: benvenuta new entry! Ti piace la Retasu/Ryo? *____* ma che ammmore! Non sarà tutto rosa e fiori, ma vedrai, ci sarà comunque da divertirsi *sorride diabolica*
Ci vediamo tra due settimane!

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Capitolo 10
*** Il passato che ritorna ***


Frammenti di Me

Declaimers: Tokyo Mew Mew non appartiene a me, ma a Mia Ikumi e Reiko Yoshida, e non ne possiedo i diritti. Questa storia non ha scopo di lucro né è serializzata.

Frammenti Di Me

10. Il passato che ritorna

L’aria di Tokyo era fredda e pungente.
L’alba cominciava a sorgere all’orizzonte, ma nella città nemmeno si notava, con le luci delle strade che la illuminavano ventiquattro ore su ventiquattro. Ed era davvero un peccato, perché era una vista stupenda; o almeno era quello che pensava Shana, dall’alto di uno dei grattacieli della città. Ma gli umani era troppo presi dai loro stupidi affari per potersi accorgere delle bellezze che li circondavano. Le davano per scontate, semplicemente.
Strinse di scatto i pugni, ma si rilassò subito. Era inutile farsi prendere dall’ennesimo moto di rabbia per il comportamento di quegli esseri ottusi, presto sarebbero spariti, schiacciati dal potere di Deep Blue, e la Terra sarebbe tornata nelle mani dei legittimi proprietari.
Era inevitabile; quelle stupide mewmew non avrebbero potuto fare assolutamente niente per impedirlo. Con Pai, Kisshu e Taruto da soli era facile vincere, senza contare che Deep Blue era ancora troppo debole per permettersi di combattere, ma ora che i guerrieri di Verena erano giunti sulla Terra… l’attacco a Suzuhara era stato solo un piccolo assaggio.
I giochi erano finiti. Ora si faceva sul serio.
Le labbra rosee dell’aliena si piegarono in un sorriso soddisfatto, di chi gusta già la meritata vittoria.
Bisognava solo pazientare… solo un po’…

*

    - Solo un po’! -
    - Ma ne hai già mangiata mezza! Farai un’indigestione! -
    - Quanto sei crudeleee! - Kisshu si lasciò cadere a terra e si aggrappò ai pantaloni di Keiichiiro, implorante. - Ne voglio un’altra fetta! Diglielo tuuu di darmelaaa! -
    - E piantala! Sei patetico! - Mizu indietreggiò ancora, tenendo la torta incriminata ben lontano dall’alieno. - Kei, non vorrai… -
    - No, tranquilla. Kisshu, troppi zuccheri fanno male. E poi quella torta è per i clienti. -
Kisshu scoccò un’occhiataccia ad entrambi, poi tirò su col naso e si stese sul pavimento, gemendo come un disperato. Era semplicemente pa-te-ti-co.
    - Ma io ne ho bisognooo… -
    - L’unica cosa di cui hai bisogno tu è un cervello nuovo. -
Le porte della cucina si aprirono per far entrare Ryo, che osservava la scena irritato. L’alieno si rotolò su se stesso, se possibile più patetico di prima: pareva un personaggio di un cartone. Mizu scosse la testa, sconcertata: e dire che era lo stesso alieno che aveva cercato di farla fuori, lo spietato soldato dell’esercito per la distruzione terrestre.
Chi ci avrebbe creduto, vedendolo così?
    - Shirogane, tu non puoi capire la mia sofferenza! - urlava intanto Kisshu, senza smettere di rotolare.
    - Io capisco solo che se resti qui qualche altro giorno mi manderai sul lastrico! Se vuoi mangiare devi lavorare, chiaro? March! - il biondo indicò l’interno del locale, dove già qualche cliente era seduto ai tavoli. L’alieno assottigliò gli occhi, leggermente irritato.
    - Non provare a trattarmi alla stregua dei tuoi simili, Shirogane. Se ti serve aiuto, c’è la bambolina a cui rompere le palle. - e così dicendo indicò Mizu, rimasta in disparte con la torta tra le mani. Ryo le scoccò una breve occhiata, poi tornò su Kisshu.
    - Piantala di chiamarla così - sibilò gelido. - se hai intenzione di rimanere ancora qui queste sono le regole per te, prendere o lasciare. -
    - Abbiamo un accordo. - sibilò l’alieno allo stesso modo. Stava per rialzarsi, col corpo rigido ed i muscoli pronti a scattare, come un animale in assetto di guerra. Ryo sembrava più controllato, ma i pugni chiusi tremavano leggermente, il che voleva dire se Kisshu avesse attaccato, lui sarebbe stato pronto a farlo nero.
    - Accordo un bel cazz… -
Fu un attimo.
Kisshu scattò, così fulmineo che certamente Ryo e Keiichiiro non avrebbero potuto vederlo; scattò anche lei, con la stessa rapidità, senza pensare; la torta cadde a terra, ma non si sentì il suo tonfo spiaccicato, perché fu più forte quello della schiena di Ryo che finiva addosso alla porta della cucina ed il ringhio di Mizu, cupo e minaccioso, mentre bloccava Kisshu con forza innaturale.
L’aria era carica di tensione.
Ryo e Keiichiiro rimasero immobili, raggelati da ciò che per loro era successo in qualche frammento di secondo, e puntarono gli sguardi sui due che continuavano a starsi addosso. I loro occhi erano ridotti a fessure e le pupille parevano inumane, terribilmente selvagge, svelavano la loro vera natura.
    - Scusate! -
La tensione si spezzò immediatamente. Ryo e Keiichiiro si voltarono verso l’ingresso della cucina, dove una ragazza li osservava attonita. Il biondo lanciò un’occhiata a Mizu, che in quel momento stava mollando la sua stretta intorno all’alieno, poi tornò a rivolgersi alla sconosciuta.
    - Serve aiuto? -
    - Disturbo? Non volevo entrare così, però… - lo sguardo della ragazza era ancora su Kisshu, che osservava Mizu con astio malcelato. Era meglio portare fuori quella ragazza al più presto: occhi ed orecchie curiose erano da evitare per mantenere il segreto del caffè.
    - Ma no, si figuri. - Ryo superò le porte della cucina, facendole segno di seguirlo. - Cosa desidera? Abbiamo torte, brioches appena sfornate, cioccolata al peperoncino… -
Finalmente la ragazza distolse lo sguardo dalla cucina.
    - Oh no, grazie - fece un sorriso e mostrò il plico di fogli che teneva in mano. - Sto passando per i locali per consegnare questi volantini. Sono per la festa delle lucciole*; mi chiedevo se potesse esporne qualcuno nel locale… -
    - Ma certo. - rispose immediatamente con un sorriso che la fece arrossire. Tutto, purché tu te ne vada di qui al più presto. - Li dia pure a me. -
    - Ok… - un po’ impacciata per l’imbarazzo, gliene consegnò una dozzina. - Bene, o-ora vado… grazie! -
    - Di nulla, arrivederci! - ricambiò il suo saluto con un altro sorriso, che sparì immediatamente quando la ragazza uscì dal locale. Girò i tacchi e tornò in cucina, dove Mizu e Kisshu erano ancora uno di fronte all’altro, zitti e immobili.
    - Dov’è Kei? -
    - Aveva da fare in laboratorio. - rispose subito Mizu, alzando ansiosa il viso verso il suo. - Scusa per prima… -
    - Non dovresti essere tu a scusarti. - le passò la mano sulla testa, scompigliandole i capelli aranciati, poi guardò Kisshu. - Non provarci mai più. - sussurrò tagliente.
    - E tu non osare darmi ordini, Shirogane. - gli occhi di Kisshu erano dorati, ma in quel momento davano i brividi tanto quanto quelli di Ryo. - Non ci sarà sempre la bambolina a farti da scudo… -
Mizu percepì di nuovo l’aria di tensione di poco prima, così cercò un pretesto per dividere i due.
    - Cosa voleva quella ragazza? - fu la prima cosa che le venne in mente. Funzionò: l’attenzione di Ryo tornò su di lei.
    - Ha chiesto di attaccare nel caffè dei volantini… per la festa delle lucciole… -
    - Lucciole? - anche l’attenzione di Kisshu fu catturata dall’argomento, ma la sua espressione sembrava quella di un bambino che ha scoperto l'esistenza del Paese dei Balocchi. - Ah, che umani porcellini! Voglio venire anche io, io io io! -
    - Ma che diavolo hai capito!!! - strillò Ryo, poi notò che anche Mizu era arrossita. - E tu non credergli, accidenti! E’ una normalissima festa di fine autunno, si festeggia l’inizio dell’inverno pregando al tempo Meiji Jingu, non ricordi? -
Mizu rifletté qualche secondo, poi scosse la testa. Ryo le passò di nuovo la mano tra i capelli per consolarla, mentre Kisshu li guardava dubbioso. Lui non sapeva della amnesia della mewmew, e le cose dovevano continuare così.
    - Quindi niente lucciole? -
… o forse era solo deluso che non ci fossero donnine dai facili costumi come aveva sperato. Che porco!
    - E con questo ti riconfermi il solito pervertito - lo freddò il biondo, poi rifilò a Mizu i volantini. - Andate ad attaccarli, su… -
La mewmew annuì ed uscì dalla cucina, seguita a ruota da Kisshu. Appena furono fuori dalla portata di Ryo, lui cominciò a pungolarle la schiena con gli indici. Per un po’ Mizu lo ignorò totalmente, non era la prima volta che lui si comportava in quella maniera, tutto stava nello stare impassibili fino a quando si sarebbe stufato del gioco; ma quando Kisshu cominciò a pizzicarla forte fu impossibile rimanere buoni.
    - Piantala! - sbottò divincolandosi, ma Kisshu afferrò un lembo dell’abito per non farla scappare.
    - E’ la punizione per prima! -
    - Sei tu che hai attaccato Ryo… - disse stancamente, come se stesse parlando ad un bambino ottuso. - Fattelo dire, tu ti scaldi troppo facilmente. -
Kisshu la osservò un po’ scocciato, poi stranamente annuì.
    - Già, me lo diceva anche mia sorella… -
    - Hai una sorella? - era sorpresa; non avrebbe mai immaginato che uno come lui avesse fratelli, anzi, le aveva dato l’impressione di un figlio unico viziato. Chissà che tipo era?
    - Se si può dire così… - l’alieno rispose, tuttavia non sembrava felice di parlarne. - Ti pare così strano? -
    - In effetti sì… -
Kisshu sorrise sghembo, poi le infilò le mani tra i capelli e li scompigliò forte, riducendoli ad un ammasso informe color carota. Mizu protestò e se lo tolse di torno, un po’ rossa sulle guance ed il battito accelerato. Chissà perché, poi…
    - Ma senti chi parla, sei tu quella strana! - Kisshu rise, vedendola sistemarsi i capelli. - E la tua famiglia dov’è? -
Era una fortuna che la frangia cadesse agli occhi, perché Kisshu non vide l’espressione triste che li attraversò in quel momento.
    - Ryo è la mia famiglia. - rispose senza pensarci troppo. Kisshu alzò un sopracciglio.
    - Ah… - le si avvicinò, chinandosi quel tanto da raggiungere il suo viso. Sulle labbra aveva ancora quel sorriso sghembo, ironico. - Non è il tuo fidanzatino? -
Se Kisshu si aspettava di metterla in imbarazzo si sbagliava di grosso. Mizu gli lanciò un’occhiata gelida, di puro ghiaccio, anche più fredda di quella di Ryo.
Non permetterti mai più.
Kisshu si sentì rabbrividire ed il suo sorriso si congelò.
    - Kisshu - cominciò lei, senza abbassare lo sguardo. - puoi prendermi in giro, darmi fastidio e chiamarmi bambolina quante volte vuoi, ma non sfottere Ryo davanti a me. Mai. -
Uno, due, tre secondi. Non riusciva a reagire, impietrito. Aveva la sensazione che qualcosa dentro di lei fosse esploso, come quella volta, nel parco di Tokyo... se avesse continuato, gli avrebbe dato fuoco di nuovo?
    - Chiaro? -
Sì, tutto chiaro, basta che smetti di guardarmi così.
   
- Eh, come te la prendi! - rispose subito l’alieno, sforzandosi di usare il solito tono. Va bene farsi intimidire, ma darlo a vedere mai, nemmeno dopo morto! - Chiaro come l’acqua, bambolina! -
Mizu tornò a sistemarsi i capelli, nuovamente umana, inconsapevole di ciò che aveva scatenato con un semplice sguardo.
    - Guarda qui che nodi mi avete fatto tu e Ryo… - sbuffò per scacciare un ciuffo dal nasino. - Dai, finiamo in fretta, oggi si fa shopping. -
    - Shopping? -
Kisshu sgranò gli occhi, mentre nuovi brividi di gelo lo assalivano.
Shopping.
L’incubo peggiore di ogni uomo stava diventando realtà.

*

Era normale amministrazione, per lei.
Davvero, non c’era motivo di essere così nervose.
Dopotutto aveva fronteggiato alieni e chimeri bavosi, cosa poteva essere in confronto un pomeriggio al caffè?
    - Cameriera, quanto ci vuole ancora per quella torta? -
    - Qui un the all’arancia! -
    - Può portarmi il conto? -
Chiuse gli occhi e prese un grosso respiro.
Non c’era nessuno, nessunissimo motivo per essere nervose…
    - Un attimo, arrivo subito! - urlò Ichigo, mentre posava il vassoio sul tavolo e mostrava un sorriso forzato alle tre studentesse che vi erano sedute. - Ecco qui le brioches alla crema… -
    - Veramente avevamo chiesto un frappè alla fragola. -
Il sorriso della mewmew si congelò all'istante. Ormai era l’ottava volta della giornata che sbagliava ordinazione, non era fatta per fare la cameriera, mai e poi mai in futuro avrebbe fatto quel lavoro; perché Ryo e Keiichiiro avevano deciso proprio di costruire un caffè come copertura? Perché?!
    - Scusate, corro subito a prenderlo! -
    - No, non si disturbi, ce ne andiamo. E’ mezz’ora che aspettiamo… -
Le tre si alzarono, borbottando infastidite, e si avviarono verso l’uscita sotto lo sguardo allibito della ragazza. Calma, Ichigo, calma… il cliente ha sempre ragione.
Tornò a sfoderare il solito sorriso a trentadue denti, così finto, così snervante.
    - Come preferite. Tornate a trovarci! -
    - Ma anche no, io qui non ci metto più piede! - sbottò una delle tre, prima di lanciarle un’occhiata altezzosa e sparire dietro le porte del locale.
Una venuzza cominciò a pulsare sulla tempia di Ichigo. Calma, calma… il cliente ha sempre ragione, anche quando si mostra un emerito stronzo!
    - Meglio per me, brutta befana! - sibilò sottovoce, con le dita che si artigliavano attorno al vassoio tanto da piegarne il metallo. Ichigo sussultò, poi guardò a destra e a manca: bene, nessuno l’aveva vista, ma era meglio non rischiare.
Si fiondò nella cucina, rifugio di ogni cameriera dai nervi stressati, poi si lasciò cadere sulla sedia, miagolando.
Odiava perdere il controllo in quel modo e mostrare il lato animale che cercava sempre di nascondere; era una fortuna che non le fossero spuntate coda ed orecchie nel bel mezzo del caffè. Miagolò di nuovo, depressa, lasciando che i clienti la chiamassero a gran voce nel locale. Non voleva uscire da quell’oasi, non voleva tornare nella giungla selvaggia, dopotutto i gatti erano animali da casa, non era fatta per le battaglie… tutto ciò che voleva era rimanere così, rannicchiata nel tepore della cucina, gli occhi chiusi e la testa tra le gambe… non era chiedere troppo, no?
    - Non poltrire, accidenti a te! Che ti pago a fare? -
... sbagliato. Con Ryo in giro, era chiedere veramente troppo!
    - Ryo… - soffiò depressa, alzando il viso verso di lui. Aveva uno sguardo cupo, pericoloso. - Sono stanca. Posso riposare due minuti senza la tua soave voce a rompermi le palle? -
Ma la semplice equazione sguardo animale uguale guai in vista era troppo complicata per Ryo-mi-sono-laureato-a-sedici-anni-e-tu-no-gne-gne-gne-gne-gneee.
    - No, non puoi. Ora alzati e lavora! - Ichigo non si mosse di un millimetro e, mentre lo schiamazzo dei clienti aumentava, da lei si levò un cupo ringhio che a Ryo ricordò tanto quello di Mizu in assetto da guerra. Forse era il caso di farla riposare; la semplice equazione non era poi così complicata, no? - Ok, ti concedo una pausa di due minuti. -
Ichigo ringhiò più forte.
    - Due e mezzo? -
    - Oh, troppo gentile capo! - sbottò Ichigo, balzando in piedi così veloce che lui nemmeno la vide. - Dimmelo! Dimmelo dove sono finite tutte quante, dimmelo perché alla fine in questo dannatissimo caffè ci lavoro solo io! Dimmelo, e già che ci sei dammi una mano anche tu!!! Miaaaooo! -
Ryo rimase interdetto di fronte ad un gattino inferocito venti volte più grande della norma. Ichigo lo guardava furente, le mani strette a pugni; poi, improvvisamente, orecchie e coda si materializzarono con un pop.
Lei sgranò gli occhi, sul punto di una crisi isterica. No, no, noooo, miaooo!
    - Pff… - Ryo stava cercando in tutti i modi di trattenere una risata. Era divertente? Era proprio così divertente? Lei non si stava divertendo affatto!
    - Miaoooo! Mi sento così sola ed incompresaaaa! - si lasciò cadere a terra, senza forze per prendersela anche con lui. Aveva tanta voglia di piangere, o dormire, o uscire da quel posto e non saperne più niente di alieni e pianeti da salvare. - Sono stanca, voglio vedere Masaya… -
Il sorriso di Ryo si spense all’istante.
    - Ma non puoi. - sbiascicò il biondo, senza ben sapere se parlava del turno di Ichigo o in senso generale.
    - Fammi uscire prima, ti prego! Sono stanchissima, non ce la faccio più! Le senti, eh, le senti? - si voltò spaventata verso il locale, da dove arrivavano le voci inferocite dei clienti. - Mi perseguitano, mi fanno impazzire… voglio vedere Masaya! -
    - Piantala di lagnarti! Ti sei dimenticata del tuo compito? -
Lo sguardo di Ichigo tornò violentemente su di lui, rabbioso, furente.
    - NON L’HO DECISO IO! - urlò, con un’aggressività che non aveva mai tirato fuori. - SEI STATO TU A FARCI DIVENTARE QUELLO CHE SIAMO, A RISCHIARE LA VITA OGNI GIORNO! NON MI SEMBRA DI CHIEDERE TANTO, VOGLIO SOLO CERCARE DI ESSERE L’ADOLESCENTE CHE SAREI STATA SENZA DI TE!!! -
Per la prima volta da quando lo conosceva, nell’espressione di Ryo c’era una nota di sofferenza.
Quello che aveva detto era vero, tutti lo sapevano, ma mai nessuno prima d’allora l’aveva mai detto ad alta voce.
E sebbene quell’espressione colpevole stonasse così tanto su Ryo da fare pena a chiunque, Ichigo non si scusò né abbassò lo sguardo.
Rabbia. Dentro di lei dominava quest’emozione.
    - Mi spiace… - pronunciò Ryo dopo tanto tempo, la voce cupa e intrisa di dolore, ma solo per un attimo. Poi alzò lo sguardo ceruleo, senza ombra di emozioni sul volto abbronzato. - Ma ormai è troppo tardi per tornare indietro. La mia adolescenza l’ho spesa tutta sulle ricerche di mio padre, impazzirei se pensassi a cosa sarei diventato se i miei non fossero morti per mano di Deep Blue; sarei stato un normalissimo diciassettenne spensierato, e Kei avrebbe aperto il ristorante dei suoi sogni anziché prendersi la responsabilità di un ragazzino quand’era appena un vent’enne… ma invece eccoci qui. Arrenditi al tuo destino, Ichigo. Questa è la realtà, tu sei stata scelta come protettrice del pianeta Terra. Non sei una normale adolescente, fattene una ragione. -
La rabbia a poco a poco scemò, facendo spazio al dolore.
    - Ma... -
Ma quanto era stupida? Non avrebbe dovuto dire quelle cose così alla leggera, avrebbe dovuto scusarsi… invece rimase immobile, mentre il naso prendeva a pizzicare e gli occhi si facevano lucidi.
Che triste destino, per lei e per tutti loro.
Ryo non ne aveva colpa, ma lei doveva prendersela con qualcuno, perché non era giusto che soffrissero così e nessuno pagasse per questo…
Calde lacrime scivolarono giù dai suoi occhi, così chinò la testa, piena di vergogna.
    - Dai, non fare così… - borbottò Ryo, stanco della situazione e soprattutto dell’impotenza che aveva di fronte a quella ragazza in lacrime. Provava affetto per lei, anche se la trattava peggio di chiunque, vederla così gli dava fastidio; ma cosa poteva fare? Abbracciarla, consolarla, mormorarle parole dolci? Ma quello non era lui, era Masaya, ed Ichigo aveva bisogno solo di lui in quel momento. Sospirò pesantemente. - Per oggi ti lascio andare… -
Ichigo alzò immediatamente il viso su di lui.
    - Sììì! Grazie Ryo, ti adoro! - urlò nel buttargli le braccia al collo, il che fece arrossire il biondo.
    - Ma solo per oggi! - si affrettò ad aggiungere, mentre la ragazza lo lasciava andare, troppo velocemente a suo giudizio. - Non pensare che sarà così tutte le volte… -
    - Figurati se ci speravo - Ichigo roteo gli occhi, poi si avviò verso l’uscita della cucina. Si fermò sulla soglia e si voltò, guardandolo con sospetto. - Non è che in futuro vorrai qualcosa in cambio, eh? -
Per qualche attimo Ryo fu tentato di dirle di sì, ma scrollò la testa.
    - Vai tranquilla. Solo una cosa - il suo sguardo si fece più duro, severo. - Non permettere ai sentimenti di farti dimenticare ciò che sei. -
Ichigo sbuffò scocciata per l’ennesimo rimprovero, ma sorrise subito dopo.
    - Ci proverò… ci vediamo! -
Ryo la osservò uscire, con l’allegria di nuovo addosso, diretta verso Masaya… verso il suo ragazzo… oh.
Non voleva farlo. Davvero.
Il suo corpo si era mosso da solo, non c’era altra spiegazione.
Le afferrò il braccio per farla voltare e la baciò, molto semplicemente, come aveva fatto altre volte.
Chissà se lo aveva mai detto a Masaya…
Non riuscì ad assaporare quelle morbide labbra due attimi di più, perché per la terza volta nella giornata Ryo si trovò ad osservare quello sguardo animale, e seppe che era la fine.
Sciaff!
   
- Non farlo mai più!!! -
Riaprì gli occhi appena in tempo per vedere Ichigo correre fuori dal locale. Si massaggiò la guancia, dove cinque dita erano stampate ad arte, poi sorrise nel sentire sulle labbra un vaso sapore di fragola.
Ne era valsa la pena…

*

    - Ho fame. -
Mizu continuò ad osservare una fila di collane, indecisa su quale scegliere.
    - Ho fame, mi hai sentito? -
Lei continuò ad ignorarlo, totalmente presa dalle collane. Kisshu sbuffò, quindi si avvicinò al suo orecchio, sfiorandolo con le labbra, tanto da farle fare uno strano scatto.
    - HO FAME HO FAME HO FAME HO FAME HO FAME!!! - prese a strillare con la sua soave vocina, ma Mizu era già sgusciata via dalla sua presa, per qualche strano motivo rossa in viso.
    - C-che novità! - sbottò, anche se la voce non aveva la solita intonazione sarcastica. - Ti sei già fermato in tre McDonald, un chiosco di okonomiyaki e due distributori di merendine, come fai ad avere ancora fame?! -
    - Mah. Noi alieni abbiamo un metabolismo molto veloce… e comunque l’ultima merendina risale a più di dieci minuti fa! -
Mizu spalancò la bocca, disgustata.
    - Ryo ha ragione, sapresti sbancarlo a forza di dolci… -
    - Shirogane è ricco sfondato. - l’alieno scrollò le spalle, indifferente.
    - Sei un approfittatore! -
    - Ma senti chi parla! - mostrò le decine di borse che teneva tra le mani, tutti acquisti di Mizu. - Chissà che colpo quando scoprirà tutto quello che hai speso! -
Fu Mizu a scrollare le spalle, questa volta.
    - Tu non sei mica la sua famiglia. -
    - Tzè... -
Kisshu lasciò cadere il discorso, stanco di quel posto.
Era tutto il pomeriggio che passava di centro commerciale in centro commerciale, tra quella gente a lui straniera. Gli umani, col loro chiacchiericcio fastidioso, io io io, insopportabili egocentrici; ogni tanto qualcuno gli lanciava un’occhiata, squadrandolo per il suo strano aspetto, e Kisshu provava l’insensato impulso di mostrargli la sua vera natura, e urlargli ‘Ehy, sono qui ad un passo da voi, pericoloso come nessuno per la vostra lurida specie, vi potrei uccidere tutti quanti e voi nemmeno avreste il tempo di accorgervene!’… ma poi il contatto si spezzava e la voce di Mizu lo riportava alla realtà.
Osservò la ragazzina, così piccola ed innocua all’apparenza, tutta acqua e sapone: chissà se anche lei provava la stesso impulso di urlare al mondo ‘Ehy gente, sono una di quelle che rischia il culo per voialtri, cercate almeno di non rovinare ciò che permette a voi di vivere!’.
    - Come mai sei zitto? - Mizu lo guardò con i suoi grandi occhi color caramello.
Ma no... era troppo umana per questo.
    - Stavo pensando… -
    - Wow! - esclamò ironica. Kisshu le scompigliò i capelli, facendola arrossire nuovamente, poi additò un insegna poco più in là.
    - Ta-daaa! Ho trovato dove sfamarmi! -
Mizu lasciò perdere il tentativo di mettere ordine nei suoi capelli e guardò il locale. Era colorato, con un sacco di lucine rosse e d’oro e due dragoni di pietra ad ogni lato dell’ingresso: non dovette nemmeno leggerne l'insegna, era uno stile inconfondibile.
    - E’ un ristorante cinese, Kisshu… -
    - E allora? Cos’è quel tono? -
Lei lo guardò, incerta.
    - Hai mai… assaggiato cibo cinese? Ti piace? -
    - Non so - rispose semplicemente lui, senza capire il perché della sua espressione. - A te piace? -
    - Sì, certo - rispose senza pensarci. No, un momento: e quando mai aveva mangiato cinese, al caffè? Ma non riuscì a pensare altro che Kisshu l’afferrò per la giacca e la trascinò verso il ristorante.
    - Allora non c’è problema! Oh… aspetta - si bloccò sull’entrata e le sorrise sghembo, indicando il cartello che vietava ai cani di entrare. - Qui gli animali non sono permessi… -
    - Ma brutto… ! - cercò di colpirlo al braccio, ma lui si scostò di scatto, senza fare caso ai passanti: infatti finì addosso ad un tipo appena uscito dal ristorante.
    - Ehy, moccioso, fai attenzione! -
Il tipo non l’aveva presa bene. Kisshu lo guardò malissimo, senza alcuna intenzione di scusarsi.
    - Moccioso a chi? Cerchi rogne? -
Il tipo si gonfiò in tutto il suo metro e novanta per muscoli d’acciaio, pronto a fronteggiare Kisshu. A Mizu bastò un’occhiata per capire che l’alieno non aveva il buon senso di lasciar cadere lì la cosa, così, prima che lui riaprisse quella dannata boccaccia, gli afferrò la testa e lo costrinse a chinarsi.
    - Le chiedo scusa per il comportamento del mio amico, sono stata io a spingerlo… -
L’energumeno la fissò e scoppiò in una risata fastidiosa.
    - Ma che carino, si fa proteggere dalla fidanzatina! Ah ah... -
Kisshu fu velocissimo.
Si scostò la presa di Mizu e aggredì il tipo, senza pensare. Mizu lo afferrò subito per il giaccone, strattonandolo con tutta la sua forza, ma non poteva fare molto in forma umana. Se solo non ci fosse stata così tanta gente…
    - Ehy voi! Niente risse nel mio locale, chiaro?! -
I tre si voltarono di scatto. Un uomo cicciottello si stava avvicinando a loro: indossava una divisa bianca e rossa, che gli stava stretta sui fianchi, ma non reggeva tra le mani vassoi o altro, quindi doveva essere il proprietario del ristorante. Sentendo aria di guai, l’energumeno scostò Kisshu con una semplice manata e si defilò senza dare nell'occhio.
    - Vigliacco… - borbottò Kisshu, ma Mizu gli rifilò subito una manata sul capo.
    - Sei il solito idiota impulsivo! - sibilò, ma dovette tacere quando il proprietario li raggiunse. Prima che questi potesse iniziare la sua predica, lei si fece avanti per scusarsi: chissà, magari se si dimostrava una persona matura (non come qualcun'altro) li avrebbe lasciati senza tanti discorsi. - Deve scusarlo, è colpa mia… -
    - Mizuki… ? -
Si fermò. Non era la voce di Kisshu, ma quella del proprietario, che ora la guardava come se fosse uno spirito, un’apparizione, qualcosa di fuori dal normale. Sapeva di non essere una bellezza, con quei capelli spettinati per colpa di Kisshu e tutto il resto, però... e poi, come l’aveva chiamata? Doveva averla confusa con qualcuno.
    - Ehm… no, io non… - cominciò, ma l’uomo non la lasciò finire.
    - MIZUKI! - ululò abbracciandola con slancio, scosso dai primi singulti del pianto. Stava piangendo?
Non capiva, ma il suo cuore prese ad accelerare come ogni volta che qualcosa le suonava familiare. Perché in effetti non era la prima volta che sentiva quel nome, e quella voce… quel suo odore…
Oddio.
Chiuse gli occhi, mentre il mal di testa martellava incessante la mente.
Ma chi è, chi è? Perché non lo ricordo?
   
- Mizu? - era la voce di Kisshu questa, l’unica cosa che le suonava familiare fino in fondo, ma la ignorò. Kisshu faceva parte della sua nuova vita, ma il passato… doveva ricordare il passato…

Una casa come tante, le scale, una stanza in fondo al corridoio, accanto a quella dei suoi genitori.
La luce del sole sul banco accanto alla finestra.
Il volto di un ragazzo moro e quello di una ragazzina come lei, le voci della folla che accompagnavano quella roca e potente al microfono…

… nuove voci si mischiarono a quelle dei ricordi, confuse intorno a lei, mentre sentiva il cuore battere sempre più forte e le forze venire meno… no, doveva ricordare, ricordare!

… uno scoppio forte, i brividi di terrore, le mani di qualcuno che tiravano le sue, così sudate e scivolose, una nuova ondata di paura nel sentire quel contatto spezzarsi e realizzare di essere soli.
Poi la folla urlante, il corpo sballottato nella marea, un dolore alla testa, lancinante… e l’oscurità.

L’oscurità, quella che l’aveva inghiottita prima di sentire il proprio corpo cadere a terra, senza rumore né dolore…
Il nulla più totale.

*

* festa delle lucciole: che nome equivoco xD non ricordo dove lo lessi, ma era nella prima stesura, così l'ho messo lo stesso. E se non esiste… licenza poetica u_u (?)

Lo so, sono in ritardassimo, però almeno il capitolo è lungo, no?
So che ve lo domandate: ma Mizu con chi finirà, Ryo o Kisshu? Chi sa dalla scorsa edizione taccia, ora partono le votazioni! E sappiate che la regola della Ryo/Retasu non vale, con me tutto può succedere xD (infatti questo pezzo Ryo/Ichigo mi è uscito senza che lo volessi)
Certo è che Mizu legherà con pochissime persone dell’originale. A proposito, è ora che vi sveli un po’ di cose: Mizu in giapponese significa acqua. L’ho scelto perché tutte le mewmew hanno nomi di alimenti, poi ci stava bene per il discorso dell’acqua mew. MewMeggy invece l’ho scelto perché, secondo me, sarebbe stato il nome che la Mediaset avrebbe usato per lei =_=
Il fatto che avesse l’amnesia è stata una delle cose decise fin dall’inizio, ma i possibili passati sono stati molteplici. In uno era persino una cantante straniera O.o (più avanti capirete perché…)
Prometto che comincerò a pubblicare disegni su di lei e gli altri personaggi appena ne avrò voglia!
Caomei: davvero lo pensi? A me sembra il contrario, ci sono giorni in cui sfoglio il dizionario apposta per aumentare il mio lessico =_= a volte leggo storie scritte in modo così dettagliato, eppure per niente pesanti, che mi demoralizzo davvero... quindi grazie ^^
Valery_Ivanov: eh eh eh >=D la risposta alle tue domande è sopra! E te che coppie piacerebbero? E comunque la *possibile* coppia Mizu/Kisshu si svilupperà molto nel prossimo capitolo... ah, per quanto riguarda msn sei libera di fare ciò che vuoi, tranquilla!
Non credo che questo martedì riuscirò ad aggiornare, ma sicuramente il prossimo sì (speriamo!).
Baci ;*

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Capitolo 11
*** Rivale in amore? ***


Frammenti di Me

Declaimers: Tokyo Mew Mew non appartiene a me, ma a Mia Ikumi e Reiko Yoshida, e non ne possiedo i diritti. Questa storia non ha scopo di lucro né è serializzata.

Frammenti Di Me

11. Rivale in amore?

Odiava il silenzio.
Senza distrazioni, i pensieri erano liberi di assillare la mente. Stava impazzendo. Strizzò gli occhi e provò a concentrarsi sui fievoli rumore del ristorante al piano di sotto, dove i suoi genitori (pensarlo era strano, troppo) si preoccupavano di servire i clienti.
Il gocciolio del rubinetto.
Il pianto di un bambino.
Il frantumarsi di un bicchiere…

    - Mizuki! -
Le lacrime scendevano da quegli occhi così simili a propri. Aveva gli stessi tratti del viso, una voce familiare ed un profumo che da solo bastava a far affiorare echi di sensazioni, di ricordi.
    - Mizu… -
E quel nomignolo, una delle poche cose impresse a fuoco nella memoria.
Che sensazione provava mentre anima e corpo si contendevano la fede? Mentre la ragione diceva che quei due sbagliavano, che non era lei la ragazza che credevano; mentre il sentimento urlava che tutti quei particolari ne erano la prova contraria?
Avrebbe doluto esserne felice. Avrebbe voluto crederci con tutta se stessa.
Ma era così confusa…

… le risate di una ragazza.
I bisbigli all’orecchio di qualcuno.
Il tintinnio dei campanellini all’entrata…

    - E così li hai trovati. -
Gli occhi di Ryo era bassi, puntati a terra. Perché non la guardava in faccia?
    - Già. -
La propria voce non era che un bisbiglio strozzato. Cercava disperatamente un contatto, ma niente.
    - Non sei felice? -
Era una domanda retorica, ovviamente. Sì, certo che sono felice!, era la risposta sottintesa, ma non era così.
Lo sapeva e si sentiva in colpa.
Per Ryo riavere la famiglia era il desiderio più grande, però era irrealizzabile. Per un po’ loro due si erano consolati facendosi compagnia l’un l’altro, ma ora?
Mizu lo stava abbandonando. E Ryo stava abbandonando lei.
Perché doveva essere così complicato?
Perché sentiva quella tristezza, quello smarrimento?

… i passi di sua madre (non era affatto normale che dovesse fare uno sforzo per pensarlo) su per le scale, insieme a quelli di qualcun altro.
Questi erano leggeri, quasi volasse a mezz’aria.
Il cuore mancò un battito quando li riconobbe, e con gli occhi cercò una via di fuga, un rifugio.
Ma il fusuma si aprì in quello stesso momento.
    - Mizuki? Hai visite… -

*

    - Mi spiace signori, il caffè chiude tra dieci minuti. -
Retasu alzò gli occhi. Ryo stava chiudendo una porta del locale, segno che i clienti non potevano più entrare ma solo uscire. Era già orario di chiusura? Il tempo era davvero volato. Poi, quando guardò l’orologio, comprese il motivo del suo sfasamento. Erano solo le sei e mezza.
    - Non sono ancora le otto. - gli disse a mo’ di domanda quando lo raggiunse. Lui scrollò le spalle, indifferente, ma aveva qualcosa di diverso, qualcosa di indefinibile.
    - Non voglio farvi lavorare anche il giorno della festa. Avete la serata libera. -
    - E da quando ci lasci le serate libere?! - non voleva sembrare scandalizzata, ma la voce le uscì così e Ryo non mancò di notarlo.
    - Mi credi davvero tanto crudele da farvi lavorare anche durante la festa delle lucciole? - sbottò, così scontroso da far indietreggiare Retasu. Ryo era di malumore o cosa? Con lei non usava mai quel tono.
    - Scusa… - cercò subito di rabbonirlo. - E’ che non è da te, ecco. -
Questa volta Ryo le lanciò una lunga occhiata e lei prese fuoco all’istante. Fortunatamente lui non lo notò, perché rivolse lo sguardo da un’altra parte.
    - Ho deciso di cambiare atteggiamento. -
Retasu piegò la testa, limitandosi ad osservarlo piena di indecisione. Ryo si comportava in modo a dir poco anomalo: era nervoso, scattava alla prima cavolata del giorno per poi scivolare nell’apatia l’attimo dopo. Lunatico, in poche parole; ma qual’era il problema? Non era successo niente di preoccupante negli ultimi tempi, forse solo la faccenda di Mizu… ma Ryo non poteva stare così solo perché quella ragazza aveva ritrovato la sua famiglia, no?
O sì?
Qualcosa schiacciò il suo cuore fino a toglierle il respiro. Guardò Ryo, spaurita: che provasse qualcosa per lei?
No, ti prego… non un’altra rivale, non lo reggerei.
    - Retasu? -
Ryo la osservava vagamente preoccupato.
    - Eh? -
    - Tutto ok? Sei sbiancata… -
Maledizione. Detestava essere una sorta di libro aperto per chiunque.
    - Sì sì, tutto ok! Sono solo un po’ stanca. - si affrettò ad assicurare, gesticolando con le mani.
    - Sarà… - Ryo schioccò la lingua, scettico. - Meglio che ti accompagni a casa. -
    - N-no! - rispose di getto, arrossendo. Il biondo la scoccò un’occhiata che sembrava dire “Tanto lo faccio lo stesso”, quindi a lei toccò accettare senza fare storie. E poi, doveva ammetterlo… la prospettiva non le dispiaceva per niente!
    - Vai a cambiarti, andiamo. - le ordinò, e non se lo fece ripetere due volte: non vedeva l’ora di restare con lui.
Ryo rimase solo nel locale, ormai deserto. Si portò le mani sulla frangia, allontanandola dal bel viso abbronzato, poi sbuffò pesantemente.
Si sentiva stanco, totalmente privo di energie, ma faticava a nasconderlo come faceva di solito.
Era un periodo un po’ critico, con gli incubi che non lo lasciavano dormire, Kisshu che rompeva l’anima, il mistero degli attacchi a Suzuhara e quello di Mizu… già, lei.
Mizuki Hasami*.
Era una chiodo fisso, negli ultimi giorni.
L’aveva trovata in un parco, piena di tagli e ferite, e questo già di per sé era qualcosa di anomalo. Se poi si aggiungeva il discorso acquacristallo, DNA modificato e amnesia totale, diventava un grattacapo.
Ed ora veniva fuori che aveva una famiglia. Era una cosa strana, perché Ryo aveva sempre dato per scontato che non ne avesse una. Non per pessimismo o cosa, solo pensava che chi aveva sperimentato su di lei si fosse curato di non lasciar tracce. Invece per trovare il suo passato sarebbe bastata una ricerca negli elenchi delle persone scomparse.
Però questo non chiariva il mistero, anzi, era l’esatto contrario.
A quanto pareva, i genitori di Mizu avevano denunciato la sua sparizione diversi mesi prima che Ryo la trovasse. Era accaduto proprio in seguito all’attacco alieno del Tokyo Dome, episodio in cui molta gente era morta ed altra risultava tutt’ora dispersa.
Ma nel lasso di tempo che intercorreva l’attacco ed il ritrovamento nel parco, che cos’era successo? Che qualcuno ne avesse approfittato per avere dei corpi vivi su cui sperimentare? E se era così, gli altri dispersi…
Insomma, anche loro… ?
Si sentiva male.
C’era qualcosa di insano, di rivoltante in tutto questo…
Ok, teoricamente anche lui aveva modificato Ichigo e tutte le altre, ma era diverso. Prima di tutto aveva testato la Mew Tecnology su di sé, secondo lo aveva fatto in nome della Terra.
Ma questo qualcuno per cosa lo faceva? In nome di cosa?
    - Ahhhhhhh! -
L’urlo di Retasu lo risvegliò dai propri pensieri.
    - Retasu! -
Corse fino allo spogliatoio ed aprì la porta di scatto: Retasu, ancora strillante, era bloccata al muro da Kisshu che teneva le braccia addosso al muro.
Kisshu, maledetto!
    - Shiroga… - l’alieno si voltò e cercò di dire qualcosa, ma Ryo non lo sentì nemmeno: cercò di colpirlo con un calcio, ma Kisshu si portò dalla parte opposta della stanza con un balzo.
    - Si può sapere che diavolo volevi fare?! - lo aggredì portandosi davanti a Retasu, facendole da scudo nel caso in cui Kisshu avesse voluto riprovare a fare… qualunque cosa stesse facendo, ecco. L’alieno sbuffo, deluso.
    - A lei niente! Pensavo fosse Ichigo… - cercò di spiegarsi l’alieno, ma l’affermazione non migliorò la sua posizione, anzi.
    - E che volevi fare con Ichigo, eh? - gli sbraitò contro. Kisshu fece un sorriso sghembo, portandosi le mani sul cuore.
    - Ma ovviamente tenderle un’imboscata! Baciandola con tutta la passione che provo per lei, si sarebbe accorta che mi ama e sono io l’unico in grado di soddisfare il suo tenero bisogno d’amore! - cinguettò lui in uno dei suoi soliti deliri romantici (?).
    - … lasciamo stare. - Ryo sbuffò, poi lanciò un’occhiata a Retasu, immobile dietro di lui e ancora scossa. - Aspettami fuori, arrivo subito. -
Lei uscì in silenzio.
Intanto Kisshu li guardava, incuriosito.
    - Andate da qualche parte? -
    - Sì - sibilò, ancora furente. - Perciò, ti pregherei di non tentare strane idee in mia assenza. -
    - Ma no, proprio adesso che la piromane rompipalle non è più tra i piedi ed ho campo libero… - rispose col solito atteggiamento provocatorio, ma anziché seccarsi, Ryo si rabbuiò.
    - … al prossimo passo falso ti aizzo contro tutto il Mew Team, chiaro? - si limitò a dire. Kisshu sghignazzò a quella minaccia, ma non disse niente. Meglio così.
Ryo si passò di nuovo la mano nella frangia. Uscire dal caffè anche solo per accompagnare Retasu gli avrebbe fatto di sicuro bene, dopotutto lui voleva solo un po’ di normalità, come aveva detto Ichigo.
Sì, anche lui era stufo di quella guerra. Era stufo da una vita intera. Ma mica poteva smettere così, di punto in bianco! Il compimento del Progetto era così vicino…
    - Hai intenzione di fare al bella statuina ancora per molto? -
Si accorse di essere ancora lì, nello stesso punto di prima. Kisshu si stava sbottonando la divisa da cameriere.
    - Impaziente di rimanere solo? -
    - Oh, sì - uno scintillio passò negli occhi dorati dell’alieno. - così potrò finalmente portare a termine la mia perfida missione riguardo al vostro stupido covo segreto. -
Ryo si immobilizzò. Per un attimo aveva dimenticato il pericolo che costituiva un alieno nel caffè e, nonostante Kisshu per ora non avesse fatto null’altro che portare un po’ di scompiglio tra le fila delle Mewmew, non poteva certo illudersi che non avesse davvero un piano…
Tutt’ad un tratto l’idea di abbandonare il locale non sembrava per niente intelligente.
Però che stress, mica poteva rinunciare a qualche minuto di libertà per colpa di quello stupido essere!
    - Senti un po’, tu - Ryo si avvicinò a Kisshu, l’indice puntato di su lui e lo sguardo gelido. - Ti ho già detto che se fai un passo falso… -
    - … mi sculacci? - a quest’ennesima provocazione, Ryo gli afferrò un lembo della camicia e lo strattonò verso di sé, pronto a pestarlo come sognava di fare da giorni. Kisshu lo lasciò fare, divertito.
Ryo aprì bocca per sibilare una qualsiasi minaccia, ricoprirlo di insulti o qualunque cosa gli suggerisse il suo ego frustrato.
Poi uno scintillio attirò la sua attenzione.
Abbassò lo sguardo, scendendo sul collo pallido dell’alieno fino ad arrivare al torso fasciato dalle bende, e lì la vide.
Una pietra azzurra. No, pietra non era un termine esatto, perché era trasparente, proprio come un cristallo, ma brillava di luce propria, come una stella o qualcosa del genere.
Ok, Kisshu era un alieno. Per quel che ne sapeva, quello poteva essere un frammento di materiale extraterrestre a lui sconosciuto.
Però una strana sensazione si era impadronita di lui. Una sorta di ricordo sfuggente, un deja-vu… sgranò gli occhi.
Non può essere!
    - Il Cristallo… - alzò di scatto il viso verso quello di Kisshu, ma di lui già non c’era traccia.
Era solo, con una camicia in mano ed una morsa di terrore intorno al petto.

*

    - Mizuki? Hai visite... -
Rimase immobile, con gli occhi chiusi ed il respiro di chi è profondamente addormentato.
Sua madre sospirò.
    - Mi spiace, sei venuto in un momento sbagliato, i medici dicono che deve riposare. Puoi ripassare un altro giorno, ehm… ? -
    - Kisshu. -
    - Già, che sbadata! Hai un nome veramente particolare, vedrò di ricordarmelo. -
    - Nel mio paese è piuttosto comune. -
    - Sei straniero? -
Mizu soffocò un sorriso.
Se era straniero? Non era neppure di questo mondo…
    - Diciamo di sì… -
Questa volta non riuscì a non sorridere.
“Diciamo”? O sei straniero o non lo sei, punto e basta.
Poi il sorriso scemò, sostituito da una strana malinconia.
Prima avrebbe dato qualsiasi cosa per scappare da lui o da chiunque altro. Ora però, nel sentire la sua bella voce, il rumore dei suoi passi, persino il suo profumo così diverso da quello degli altri… be’, sì, era contenta di averlo vicino.
Ma allo stesso tempo non lo voleva.
La testa faceva così male…
    - Potrei rimanere lo stesso? Le scrivo due righe su un foglio e me ne vado. Giuro che sarò buonissimissimissimo e non la sveglierò. -
Cooome no.
    - D’accordo. Io intanto torno al ristorante. Ah, Kisshu - la signora Hasami si fermò, titubante. Cosa voleva sua madre da quello lì? - ti prego, stalle vicino. E’ molto scossa, siamo preoccupati. Sei suoi amico, no? -
Seh, figurarsi. Tanto amici da essere in guerra.
E poi non era così scossa come dicevano tutti… non era così debole!
    - Ma certo! - rispose Kisshu, e la sua voce grondava sincerità. - L’affidi nelle mie mani e le assicuro che tornerà ad essere la solita piromane rompiballe di prima! -
    - Eh? - ovviamente sua madre non poteva capire, così lasciò perdere. - Okay Kisshu, l’affido a te… - concluse poco convinta.
I passi della signora Hasami si allontanarono fino a diventare uno dei fievoli rumori confusi al piano di sotto e nella stanza tornò il silenzio, quello stesso silenzio che tanto odiava.
Solo che questa volta la mente era completamente vuota, in attesa.
Di cosa, non lo sapeva bene.
Forse dei passi di Kisshu all’interno della stanza, calmi e leggeri, del fruscio soffocato del fusuma che si chiudeva alle sue spalle, della sua voce bisbigliata, così bassa…
… così bella…
    - So che non stai dormendo. -
Chiuse gli occhi di scatto, arrossendo furiosamente. Il cuore aveva preso ad accelerare i battiti nel petto, ma Kisshu non poteva notare niente di tutto questo, perché era completamente coperta dal piumone del futon.
Non rispose.
D’un tratto si sentiva agitata… cos’era quella situazione strana, anomala?
    - Non mi inganni, quanto dormi russi come un orso in letargo! -
Cosa?
    - EHY! Non è affatto ve… -
Kisshu scoppiò a ridere, additandola.
    - Beccata! Sei una pessima attrice. -
Oh, Porca. Vacca. Che. Cretina.
Proprio come l’alieno aveva progettato, alla sua provocazione era balzata in piedi, senza nemmeno pensarci su, con tanto di coperte alla rinfusa tra sue braccia.
Stupida, stupida, stupida!
Improvvisamente si sentì sperduta, strappata con violenza dal calore protettivo del suo letto. Si sentì indifesa, senza muri che potessero proteggerla dal mondo.
Bastava così poco per farla sentire così?
Era davvero così debole?
    - No! - urlò in risposta alle domande dei suo cuore, e gettò il piumone addosso a Kisshu, che barcollò sotto il peso caldo di cotone e piume d’oca.
    - No cosa? -
Mizu lo ignorò e strinse a pugno le mani.
    - Che sei venuto a fare? -
    - Ma guarda questa! Io ti vengo a trovare e tu mi tratti così! -
    - Nessuno te lo ha chiesto! -
Kisshu appallottolò il piumone e lo gettò in un angolo, poi le lanciò un’occhiataccia.
    - Che carina, così gentile ed affabile! - la schernì lui. - Perché non vieni più al caffè? -
Mizu abbassò lo sguardo, a corto di parole.
    - Non è che non vengo più. Diciamo che mi sono presa un po’ di ferie… -
Lui sbuffò. Ovvio che non ci credeva nemmeno un po’.
    - Non mi guardare così. Sono molto stanca, ho avuto da fare e non sono dell’umore giusto per una chiacchierata. Quindi, gentilmente, se non hai nessun motivo valido per restare… -
    - Già, immagino tu sia molto impegnata - la ribeccò lui, e passò lo sguardo sul suo pigiama stropicciato ed i capelli sparati in aria, indomabili come al solito. Sentendo il suo sguardo dorato su di sé, Mizu arrossi di nuovo.
    - Ti prego, Kisshu, non sono dell’umore. Davvero. - la sua voce era ridotta ad un mormorio soffocato. Mizu si portò le mani alla testa, mentre tutto ricominciava a girare. - Vattene, per favore. -
    - Mizu… -
Era bello sentire il proprio nome mormorato da quella voce magnifica.
Però non lo voleva nessuno vicino, nessuno…
    - Per favore. -
    - Mizuki… - riprovò lui, ma lei strinse più forte le mani sulla testa.
    - NON CHIAMARMI CON QUEL NOME! - urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.
Vai via, accidenti!
Non lo capisci che voglio stare da sola?
    - … non ti capisco. -
Mizu si bloccò qualche istante, chiedendosi se fosse telepatico. Ma Kisshu era semplicemente confuso, e la guardava fisso per cercare di comprenderla almeno un po’, almeno qualcosa dei suoi tanti misteri.
Però non poteva dirgli tutto.
Non solo perché era un nemico (ma poi, quando mai lo aveva pensato così?) ma perché non ne aveva la forza.
Non aveva la forza per fare niente.
    - Ti accompagno alla porta. - fece qualche passo incerto verso l’uscita dalle stanza, ma Kisshu la afferrò forte il polso. Mizu si voltò di scatto: l’espressione dell’alieno era furibonda.
    - No, io rimango qui - esclamò deciso, stringendo con maggior forza il polso della ragazza. - Se c’è qualcuno di stanco, quello sono io. -
    - Kisshu, basta! -
    - MA BASTA TU! - urlò lui, e Mizu indietreggiò fino al muro, tremante. - Sei… sei strana, incomprensibile! Sei comparsa dal nulla e ora stai sparendo! Io…so di essere il cattivo della situazione e magari il tuo mistero fa parte dei tanti segretucci di voi angeli protettori della terra custodi… - ghignò emulando Ichigo, poi fece una pausa e la sua voce diventò più calma. - Vorrei sapere... che ti succede? -
La stretta intorno al polso si allentò, e la mano scese a sfiorare quella di Mizu. Lei l’allontanò con un brivido.
    - … cosa ti importa? - sbottò scontrosa, sebbene qualcosa dentro di lei le suggerisse di lasciarsi andare.
    - Non lo so. M’importa. - tagliò corto lui, con la stessa sincerità assoluta che aveva usato con sua madre, che aveva usato per dire che erano amici.
Aveva mentito?
Ora stava mentendo?
Timidamente, alzò lo sguardo verso il suo viso: era disteso, serio come non mai, e qualcosa nel suo sguardo sembrava voler capire con tutto se stesso.
Davvero posso credere che ti importa di me?
Le dita di Kisshu tornarono a cercare la sua mano. Lei lo lasciò fare.
    - Hai scelto una domanda di cui non conosco la risposta. - fece un sorriso amaro. - Come se per le altre fosse il contrario... -
    - Chi sei? - chiese lui. Mizu abbassò il viso.
    - Mizuki Hasami. Ho quindici anni, frequento la prima superiore e sono figlia unica di quei due tizi che hai visto poco prima. Sono sparita circa tre mesi fa nell’attacco alieno al Tokyo Dome, durante il concerto del mio gruppo preferito, ed ora come ora sono una dei pochi ritrovati dell’incidente. Il mio colore proferito è l’arancione, a quanto pare, perché in questa stanza TUTTO è arancione! - Kisshu la guardava mentre parlava, atona e a sprazzi quasi isterica, e le accarezzava il dorso della mano con il pollice. Ma lei continuava, insensibile al suo tocco e al suo sguardo. - … ufficialmente frequento il club di atletica, ma preferisco passare le giornate a zonzo per Tokyo a fare shopping, eccetera eccetera eccetera. Sei vuoi ti dico anche il tipo di sangue ed i miei hobby… - buttò là Mizu, con un sorriso che non aveva niente di allegro.
In realtà sentiva una gran voglia di piangere.
Chissà perché, poi.
    - Oh, avanti, non mentire… -
Guardò Kisshu con occhi sbarrati. Lui la fissava lievemente scocciato.
    - N-non è una bugia. -
    - Questa non sei tu. -
Gli occhi si inondarono di lacrime.
    - I-invece è così… - la voce cominciava a spezzarsi.
No, no, tutto meno che piangere davanti a lui!
    - Non sei felice di essere tra la tua famiglia? -
La voce di Ryo.
Non sei felice?
Una lacrima rotolò giù dal viso, e poi un’altra e un’altra ancora.
Singhiozzava come una bambina sotto lo sguardo confuso di Kisshu.
    - No! - ammise farfugliando, e si sentì più leggera, come se un peso si fosse stato levato dal petto. - Non è la m-mia famiglia… i-io non sono c-chi credono loro! -
Sentì le braccia di Kisshu abbracciare le sue spalle, con un tocco lento e titubante, ma lei si lasciò andare come una bambina.
Come se lui fosse stato la roccia nel bel mezzo della marea.
    - Calma… - Kisshu iniziò a bisbigliarle parole di conforto, e sebbene fossero un’accozzaglia di frasi senza capo né coda in qualche modo la calmarono un po’.
    - Io volevo dei legami, te lo giuro, ma loro… loro mi guardano come Mizuki e non si rendono conto che non sono la stessa persona… ma come posso farglielo capire? Come posso dirgli che Mizuki non c’è più? Oppure dovrei fingere di essere la stessa? Non lo so… cosa devo fare? -
Kisshu prese a cullarla, senza capire le sue parole, senza pensare ad altro che a quella piccola piromane che ora si stringeva a lui come se fosse l’ultima persona al mondo.
Amici, nemici… stupidaggini.
Era tanto sbagliato che in quel momento desiderasse solo consolarla?
Chiuse gli occhi ed affondò il viso nei suoi capelli disordinati.
    - Vieni con me. - le sussurrò.
L’attimo dopo, di loro rimase solo uno scintillio dorato.

*

Correvano tra la folla festante, unici volti tesi tra gli altri sorridenti.
La musica scandiva il tempo allegra e potente, eppure Retasu la sentiva appena: il cuore batteva così forte da annullare tutto il resto, tranne che la stretta della mano di Ryo sulla sua.
    - Dove pensi che sia andato? -
Urlavano per sovrastare la musica con la voce.
    - Non lo so! Non mi hai ancora detto quello che è successo! -
    - Non ho tempo per spiegarti… - fece sbrigativo, continuando a strattonarla per le strade di Tokyo affollate come non mai. - Se solo non ci fosse la festa! -
    - Tanto non sappiamo nemmeno dove cercarlo! -
Purtroppo Retasu aveva ragione. Si fermò ad un lato della strada e lasciò andare la mano della ragazza, per poi voltarsi verso di lei.
    - Kisshu… be’, ha un frammento di Cristallo Mew legato ad una collana. -
La ragazza lo guardò confusa.
    - Cos’è? Ha a che fare con l’acquacristallo? -
    - Sì. Non ve ne ho mai parlato perché credevo che ormai non esistesse più… - il biondo fece una pausa, distogliendo gli occhi da quelli blu di Retasu. Stava per raccontare una storia che avrebbe taciuto volentieri, ma era necessario. - Mio padre non era uno scienziato, ma un archeologo: diede origine al Progetto Mew dopo aver trovato il Cristallo in uno scavo in un’isoletta a largo del Pacifico. Allora l’effetto serra e l’inquinamento erano problemi ignorati dalla stragrande maggioranza delle persone, compreso mio padre, ma non ci è voluto uno scienziato per capire che quel cristallo era speciale: era in grado di rigenerare all’infinito ogni tipo di cellula, come l’acquacristallo che è un suo derivato potenziato del due percento. Però il Cristallo non era utilizzabile allo stato puro e funzionava solo in situazioni speciali, tra cui i Red Data Animal. -
    - Quindi è da qui che nascono le Mewmew… - si sorprese Retasu.
    - Già. I miei erano ricchi, sai. Crearono un laboratorio adibito allo studio del Cristallo e della Mew Tecnology. Volevano creare un essere in grado di purificare la Terra dall’inquinamento. -
Ryo smise di parlare, lo sguardo ceruleo puntato in un punto alla sua sinistra. Retasu non capiva: cosa c’entravano gli alieni in quel discorso?
    - Però… - fece per parlare, ma Ryo ricominciò come se non l’avesse nemmeno sentita.
    - Allora avevo cinque anni. Una strana entità attaccò il laboratorio col fine di appropriarsi del Cristallo: provarono a fuggire, a combattere, ma tutto bruciò in un enorme incendio. Morirono tutti ad eccezione di me e Keiichiiro, che a quel tempo era il mio maggiordomo personale. Degli appunti, degli esperimenti, del Cristallo e persino dell’entità non rimasero tracce… io e Kei portammo avanti il Progetto in gran segreto, per paura che quella cosa tornasse ad attaccarci. -
Retasu era senza parole. L’espressione di Ryo era impassibile, anche troppo per qualcuno con un passato del genere. Stava cercando di trattenersi e questa consapevolezza la fece penare.
Avrebbe voluto consolarlo, dirgli qualche bella parola, essergli d’aiuto… invece le uscì solo una stupida frase.
    - Le Mewmew in origine dovevano purificare il pianeta? -
    - Dovevate essere lo strumento di utilizzo del Cristallo. Ma come ti ho detto, dopo l’incendio tutto fu perso; portammo avanti il Progetto con lo scopo di creare degli esseri capaci di contrastare quella strana entità. -
Il pensiero arrivò folgorante come un fulmine nell’oscurità.
    - Alieni? Già allora? -
Lo sguardo di Ryo tornò a specchiarsi in quello blu della ragazza.
    - Retasu - cominciò, e nei suoi occhi così glaciale bruciava qualcosa di vivo, rabbioso come fuoco. - Quell’entità era Deep Blue. -
Rimase a bocca aperta.
Così quadrava tutto. Tutto.
Quadrava così perfettamente da risultare persino banale.
Che cosa voleva davvero Deep Blue dalla Terra?
Esistono centinaia di pianeti disabitati nella galassia…
Però c’era qualcosa che non tornava. Un piccolo, stupido particolare che non quadrava affatto.
    - Se Deep Blue vuole il Cristallo, significa che a suo tempo non se ne è impossessato; però Kisshu ne ha un frammento… -
    - … non capisco nemmeno io. - il biondo strinse i pugni, furibondo. - Ha nelle mani un oggetto che può cambiare le sorti di una guerra e lo usa come collanina! -
Retasu era pallida e tremante, ma si fece forza ed afferrò la mano di Ryo.
    - Allora dobbiamo trovarlo. -
E fu lei a trascinarlo nella mischia. Ma fecero solo pochi passi; poi la terra tremò violentemente ed un lampo accecante esplose nel cielo, chiaro come il sole del mattino.

*

Era una sensazione vertiginosa, come un giro sull’ottovolante.
Si sentiva leggera, trascinata da una corrente impalpabile. Per un tempo imprecisabile aveva continuato a girare, poi, senza preavviso, tutto il suo peso era tornato pesante come piombo, ed era caduta nel vuoto.
Aveva strizzato gli occhi, certa di finire spiaccicata al suolo, invece i suoi piedi toccarono semplicemente l’asfalto; le braccia di qualcuno stringevano le sue spalle, ed arrossì quando realizzò di chi fossero.
    - Kisshu! Cosa diavolo… -
    - Qui va bene. - disse lui, senza ascoltarla. Lasciò andare la stretta intorno al suo corpo e lei fece altrettanto, frettolosa. Distolse lo sguardo Kisshu e si guardò intorno, ancora scossa.
Luci, musica, bancarelle di dolciumi e giochi, passanti che li guardavano con tanto d’occhi. Una festa. Oh, santo cielo.
La festa.
    - Dimmi che non ci hai teletrasportato nel bel mezzo di Ikebukuro. -
    - Ok, se non vuoi non te lo dico. -
Quello… stupido!
    - Oh cielo, Kisshu! E’ la volta che Ryo ti squarta, lo fa, sì che lo fa… -
Kisshu sghignazzò.
    - Perché, te ne dispiacerebbe? -
Mizu non rispose e lo trascinò in un viale alberato poco affollato: c’erano poche possibilità che qualcuno li avesse visti, però era meglio non dare nell’occhio. E lei era in pigiama… accidenti!
Si passò una mano sulle guance, dove le lacrime si erano asciugate. Aveva smesso di piangere. Non si sentiva più scossa come prima, anzi, dentro di lei c’era una strana pace, la calma dopo la tempesta. Forse aveva bisogno solo di quello: piangere e sfogarsi. O forse era ancora scombussolata per il teletrasporto e non capiva bene cosa si agitava dentro di lei.
In ogni caso, non riusciva a guardare Kisshu in faccia. Asciugò quel che restava del pianto e rimase in silenzio, sfuggendo allo sguardo dell’alieno. Si sentiva in imbarazzo: sicuramente lui l’avrebbe presa in giro fino alla fine dei giorni…
    - Be’? Hai finito? - disse infatti il ragazzo, rompendo il silenzio. Lei rimase zitta e annuì impercettibilmente. Lui gettò un’occhiata allo spiazzo dove si erano fermati, buio e circondato dagli alberi, il posto ideale per le giovani coppiette che infatti sedevano qua e là, decisamente troppo impegnate per badare a loro. Si sedette su una delle tante panchine scarabocchiate e Mizu fece lo stesso. Rimasero in silenzio per un po’, il che era davvero strano considerato il livello solito di chiacchiere inutili di Kisshu, ma forse aveva paura che lei scoppiasse di nuovo a piangere.
Accidenti… arrossì di nuovo di vergogna.
    - Non so cosa mi sia preso prima - farfugliò pensando a qualche giustificazione, ma era difficile trovarne qualcuna vagamente credibile. Lanciò un’occhiata di striscio a Kisshu: guardava a terra, pensieroso. Che strano. - E’ che… sono successe tante cose, non so se posso… -
Lasciò sfumare la frase nell’incertezza più totale. Kisshu fece un breve sorriso, alzando lo sguardo.
    - Capito. E’ uno dei vostri segretucci di angeli protettori. -
    - Già. -
Di nuovo quel silenzio imbarazzante. E quelle coppiette, così fastidiose! Ovunque posava lo sguardo vedeva cose che la facevano bruciare dall’imbarazzo. E poi Kisshu era così vicino che poteva sentire il suo respiro sul braccio, il che non aiutava affatto.
    - Prima - disse all’improvviso lui, con un tono indecifrabile - hai detto di non essere felice di stare dalla tua famiglia. -
    - S-sì… -
Oddio. Poteva spiegare a Kisshu la sua situazione familiare? Non sapeva nemmeno da che parte cominciare.
Ma l’alieno aveva capito la questione segretezza.
    - Se non ti trovi bene con loro, torna al caffè… -
Mizu scosse la testa.
    - Non posso. Sono la mia… famiglia… in un certo senso. -
    - Però non ci vuoi stare, da loro. -
    - A volte bisogna fare dei sacrifici per un bene più grande. -
Kisshu si chiuse di nuovo nel suo strano silenzio. Mizu si voltò ad osservarlo: un’espressione così, sul quel viso pallido, non l’aveva mai vista. Era… boh, assorto, sembrava più grande, più adulto, in qualche modo più affascinante…
… ma che accidenti stava pensando?! E non era nemmeno la prima volta! Si passò la mano sulla fronte bollente: o aveva la febbre, o la sua mente era più confusa di quanto immaginasse.
    - Secondo me, la gente dovrebbe pensare solo a se stessa. -
Le parole di Kisshu arrivarono così improvvise e fredde da riscuoterla completamente da quei pensieri così sciocchi.
    - Perché dici così? -
    - Un bene più grande… che stupidaggine. Il sacrificio di un uomo potrebbe essere la salvezza di un popolo, ma per quanto? Prima o poi arriverà una nuova minaccia e nuovo sangue dovrà essere sparso, ed il sacrificio non sarà servito a nulla. E’ un ciclo eterno, il mondo: sempre le stesse persone, gli stessi sbagli, gli stessi ideali… sacrificarsi non serve a niente, niente, perché nulla cambierà. - si voltò. I suoi occhi ambrati erano seri, mortalmente convinti. - La vita è tutto ciò che possediamo. Davvero la vuoi sacrificare per “un bene più grande”? -
Mizu non sapeva che dire.
Un filo di vento freddo soffiò su di loro, immobili sulla panchina, lo sguardo specchiato in quello dell’altro. Kisshu era serio, Mizu nella solita confusione.
Di nuovo il mondo si era fermato, ma non era una brutta sensazione.
Per quanto sarebbe durato?
    - Scappa con me, Mizu. Tu non sei come Ichigo e le altre mewmew, non sei come Shirogane, non hai legami, non hai obblighi, sei libera. Vieni con me, fuggiamo da tutto questo… -
La sua voce era così bella, le sue parole così dolci.
Ma c’era qualcosa di sbagliato…
… no?
    - Per dove? -
Doveva resistere a quella tentazione, ma era difficile mentre la mano di lui andava a sfiorare i contorni del suo viso.
    - In un posto dove la nostra vita è l’unica cosa che conta… -
E Kisshu era così vicino che poteva vedere ogni singola gradazione dorata delle sue iridi, e qualche minuscola efelide sul naso, e le sue labbra sottili.
Amici, nemici… stupidaggini.
Era tanto sbagliato che in quel momento desiderasse solo baciarlo, e credere alle sue parole?
Sfiorò con le dita la pelle chiara del collo, lo avvicinò a sé e chiuse gli occhi. Il suono del cuore era così forte da farle male, ma era un dolore bellissimo.
Poi il mondo riprese la sua folle corsa in discesa.
    - MALEDETTO! -
Un urlo, una spinta violenta ed una luce accecante. Avvenne in una successione così rapida che per alcuni secondi non si rese nemmeno conto di essere a terra, sbalzata di qualche metro dalla panchina, che ora era un ammasso di legno in fiamme.
Ma la sua attenzione era da bel altra parte.
Due alieni, sopra gli alberi della radura, si fronteggiavano con i Sai incrociati ed il corpo teso nello sforzo di resistere alla furia dell’altro: Kisshu ed un’aliena dai lunghi capelli castani, che lo fissava con una smorfia di rabbia sul bel volto cadaverico.
    - E la volta che ti uccido sul serio, tu e la tua sgualdrina di turno! -

*

* Mizuki Hasami: nella prima stesura il cognome era Hasagiyama, però è più bello questo (che nota inutile .___.).

Ta-daaa! Eccomi col solito ritardo! Il discorso "ogni due settimane" non va bene per niente. Io non vado bene per niente .__.
E' che non ero dell'umore adatto. FdM parla di legami e tristi passati, quindi devo essere di buon umore mentre scrivo. Sembra un paradosso xD
No, ok, la verità è che ho iniziato a giocare ad un gioco di ruolo su Naruto XD il che è vergognoso considerata la mia età, ma io amo le cose stupide xDDD
Ho fatto un po' di disegni! Purtroppo il mio scanner non va sul nuovo pc, però ho trovato lo schizzo di MewMeggy. E' vecchissimo e colorato male, ma è tanto puccioso! Comunque ho pronto il character design di Mizu con tanto di spoiler (quindi, se riesco, lo pubblicherò più avanti ;P) ed uno schizzo di Christine e Ryez. Si tratta solo di far collaborare lo scanner, seh =_=

E ora, le recensioni! (non aspettavate altro, lo so xD)
Caomei: ti ringrazio ^^ questo conferma la mia ipotesi secondo cui le persona adorano i personaggi contorti... se è così avrò un futuro come fumettista xD comunque hai ragione, a volte i termini troppo studiati rendono pesante ed innaturale lo scritto, infatti la bravura sta nell'usarli in modo adeguato, cosa su cui sto lavorando. Sul discorso Kisshu, in effetti è proprio così! Non posso parlare a nome delle altre fanwriters, ma io dipingo Kisshu come l'avrei dipinto se fossi stata Mia Ikumi, ovvero uno che fa il simpatico per sdrammatizzare la situazione. Penso capirai più avanti la sua psicologia, quando si parlerà del suo passato. Purtroppo la Ikumi dà spazio solo ad Ichigo, che secondo me è il personaggio più banale e semplice di tutti =_= fortuna che esistono le ff...
Valery_Ivanov: davvero sei curiosa di scoprire di Pai, Christine e Ryez? ç_ç Così mi commuoooviii! *scoppia in lacrime* In effetti è una storia che merita, solo... non so se riuscirò a renderla in pieno con le scene dei vari passati. Durante la prima stesura avevo pensato di dedicarci una ff a parte, ma... troppo complicato u_u farò bastare i ricordi di Chris e Pai. Comunque è il classico triangolo amoroso...
Danya91: Danyyyyyyyyy!!! ç______________ç *piange di nuovo per la commozione* Oddio, che colpo quando ho visto la tua recensione! Adesso mi dovrò impegnare ancora di più u_u è vero, Kisshu è un po' strano, me l'ha fatto notare anche Caomei... sarò mica andata OOC? °_° Vabbeh, mi piace così e non lo cambio, al massimo metterò l'avvertimento, maledetta Ikumi è_é Ryez è adorabile! Christine... è una ragazza molto concreta, ha sofferto tanto nella vita (così mi fai passare per emo! ndChris_contrariata) e Mizu è... psicopatica °_° hai visto i primi accenni di pazzia in questo chap... ma la meglio è Shana, vedrai, uhuhuh... >=D

Bon, al prossimo capitolo (che spero di postare al più presto, ma non contateci ç_ç)
Smackete a tutti *-*

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