A quick one while she's away

di StrychnineTwitch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Where were you last night? ***
Capitolo 3: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



 

Prologo


Billie Joe era un uomo sulla quarantina. Folti capelli scuri rigorosamente tinti, grandi ed espressivi occhi verdi, rosee labbra carnose, un'altezza che si sarebbe potuta definire bassezza, e un innato amore per la musica.

Billie Joe era un uomo normale, con una vita normale, una moglie normale, dei normalissimi figli, aveva una normale chitarra acustica con la quale si dilettava la sera prima di andare a dormire, il suo migliore amico si chiamava John e con lui lavorava in un normale ufficio nell'azienda d'assicurazioni della città (nonostante fosse consapevole che il suo lavoro corrispondesse più o meno a quello di un ladro), non aveva un lavoro speciale, non aveva mai visitato luoghi al di fuori della California, non conosceva nessun Mike e/o nessun Frank, e soprattutto, Billie Joe non faceva parte di una band chiamata Green Day.

Billie Joe aveva avuto una vita molto normale. Aveva passato l'infanzia tra i giochi e i divertimenti, tra le coccole del padre, della madre e dei suoi cinque fratelli, dei quali, essendo il minore, era il preferito. All'età di diciotto anni, finite le scuole superiori, si era trasferito in un piccolo appartamento a Davis, venticinque chilometri a ovest di Sacramento, per frequentare l'Università della California, dove si era laureato con eccellenti voti. Il giorno della laurea aveva accidentalmente sbattuto contro una certa Adrienne Nesser, che veniva dal Minnesota, ma che si trovava all'università di Davis per suo cugino, Tom Nesser, che aveva l'età di Billie e con cui condivideva la classe di chimica. Questa Adrienne era poi divenuta la sua fidanzata e in seguito moglie, aveva dato alla luce il primogenito degli Armstrong, questo era il cognome di Billie Joe, il 28 Febbraio 1995, e l'aveva chiamato Joseph Marciano, e dopo tre anni il secondogenito, Jakob.

Ogni mattina Billie Joe si alzava alle 7:00 in punto, premeva il pulsante per spegnere la sveglia e si preparava per il lavoro. Eccezion fatta per la Domenica, giorno in cui gli Armstrong venivano svegliati dalle festose campane della chiesa, proprio dietro casa. Billie Joe era un uomo molto religioso (diceva sempre una preghiera dopo essersi alzato dal letto, e una prima di coricarsi la sera alle 22:30), per questo, durante una delle riunioni parrocchiali aveva avuto la brillante idea, che poi aveva illustrato al parroco, di una sveglia comune per tutti i credenti della città di Berkeley, dove si era trasferito con Adrienne in seguito al matrimonio. Le campane della chiesa suonavano festose e rumorose ogni domenica alle 8:30, un'ora e mezza prima che il parroco iniziasse a predicare la parola di Dio. Conclusa la funzione, era abitudine per la famiglia Armstrong, recarsi alla casa natale del padre di famiglia, dove insieme ai fratelli e ai genitori, si celebrava il pranzo domenicale.

Insomma, era una vita normale, quella di Billie Joe.

 




NdA: Non so quale strano pensiero suicida mi abbia portata a postare il primo capitolo di una mini-long che spero di portare avanti, visto che ho cinquemila cose in ballo. Il "Prologo" diciamo che è venuto come immaginavo, mi piace, è una presentazione sufficiente a introdurre il tutto. 
Non che abbia molto da dire visto che la cosa* mi ha semplicemente lasciata priva di parole a riguardo. Ottimo, spero di aggiornare presto anche se so he la cosa non andrà a finire bene.

*La cosa è la fanfiction

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Capitolo 2
*** Where were you last night? ***



 

Where were you last night?

 

Era una luminosa mattina di primavera, il sole pallido era appena sorto e ora faceva capolino da dietro il piccolo boschetto di alberi con cui la casa degli Armstrong confinava sul lato est. Gli uccellini cinguettavano, i fiori, che coloravano le aiuole di Adrienne, si aprivano pronti a godere della luce del sole, le nuvole si stavano rincorrendo con quel loro lento moto, giocavano tra di loro aspettando il sole sopra di esse, le chiocciole strisciavano lentamente lungo i robusti fili d'erba, dai quali pendevano ancora le gocce di rugiada, e lasciavano una scia umida alle loro spalle, le api si erano appena svegliate e iniziavano a ronzare nel loro alveare che già da qualche mese stava appeso sul melo in mezzo al giardino, quando le ruote di un'automobile scura scivolarono lungo il vialetto che conduceva al garage della casa degli Armstrong. Era una vecchia Impala del 64, un'auto di famiglia che il padre aveva passato al figlio minore, il quale non aveva mai avuto il coraggio di cambiarla, quasi fosse un prezioso cimelio che valesse una fortuna. 

La portiera si aprì scricchiolando, forse avrebbe dovuto mettere del lubrificante a quelle giunture, e dall'abitacolo uscì un uomo sulla quarantina, i folti capelli scuri rigorosamente tinti erano spettinati e gli ricadevano in ciocche sudaticce sulla fronte, i grandi ed espressivi occhi verdi sembravano stanchi, molto più del solito e le palpebre pesanti sembravano volersi chiudere su di essi da un momento all'altro, le rosee labbra carnose piegate in una smorfia. Era vestito come al solito molto elegante, o almeno, i vestiti sarebbero stati eleganti se indossai con un po' più di maniera. I pantaloni di gessato blu erano stropicciati, la cintura slacciata pendeva per una decina di centimetri lungo la gamba sinistra, la camicia era stata schiacciata in malo modo dentro i pantaloni, ma non del tutto, sul retro un lembo di questa sventolava libero percorso dal leggero venticello primaverile. Era sbottonata sui primi e gli ultimi due bottoni. Il nodo della cravatta blu, abbinata al completo, era allentato e ora ricadeva sul suo petto senza un minimo d'eleganza. Persino le scarpe avevano qualcosa che non andava, i lacci non erano annodati con il solito fiocco perfetto, ma strisciavano parallelamente alle scarpe, sul pavimento. 

Billie Joe si avviò verso l'uscio di casa tenendo la giacca, appoggiata sulla spalla, con l'indice e il medio della mano destra. Aveva bisogno di riposare, quella era stata una lunga nottata per lui. Salì i quattro gradini che lo separavano dalla porta e girò il pomello, scoprendo, con un certo disappunto, che l'entrata non era stata chiusa a chiave la sera precedente. Non appena la suola della scarpa appoggiò sulle piastrelle rosate del soggiorno, l'uomo si sentì più tranquillo. Era finalmente a casa. Si trascinò fino al divano dove finalmente appoggiò le membra stanche e doloranti su quel morbido rifugio, lasciò cadere la giacca sul tappeto che troneggiava al centro della stanza, appoggiò la testa al cuscino, e si lasciò andare ad un profondo sonno. 

Le campane della Chiesa Maggiore di Berkeley risuonarono allegre nell'aria alle 8:30 di quella Domenica mattina, I fedeli stavano per alzarsi e prepararsi per la messa delle ore 10:00. 

Se fosse stata una comune Domenica, anche in casa Armstrong le cose si sarebbero svolte in quel modo, ma quella non era una Domenica mattina come tutte le altre.

Adrienne Armstrong aprì gli occhi al primo rintocco delle campane. Le palpebre reggevano a malapena il loro stesso peso a causa del lungo pianto di quella notte. Suo marito non tardava mai. La sera precedente l'aveva chiamata dicendo che si sarebbe fermato a una cena di lavoro fino a tardi (tardi, nel vocabolario di casa Armstrong, significava entro e non oltre le 23:00), Adrienne, che aveva preparato una cenetta a lume di candela per loro due soli mentre i pargoli erano fuori, aveva risposto con un mesto "D'accordo...". A quel punto, sapendo che Billie avrebbe colto una qualsiasi nota triste nella sua voce, aveva aggiunto con falso entusiasmo che sarebbe andata a cena fuori con i ragazzi, e aveva chiuso la chiamata. Fatto ciò, si era recata in sala da pranzo, aveva spento con un soffio, più simile ad un singhiozzo, la fiamma dell'alta candela color crema al profumo di vaniglia, che troneggiava, sul suo bel candelabro d'argento, in mezzo al tavolo, aveva sparecchiato e ripiegato la tovaglia di seta, sospirando tristemente per la sua sua cena andata i fumo. Il tacchino arrosto che aveva cucinato quel pomeriggio, nonché tutte le salse, le patatine fritte, e anche il dessert, erano stati messi nel frigorifero, coperti da un sottile strato di pellicola che li preservasse, e un enorme barattolo di gelato alla crema aveva preso il loro posto come cena della donna.

Adrienne era rimasta ad aspettare sul divano il ritorno della famiglia. Alle 22:00 aveva udito la chiave girarsi nella toppa, Joey era entrato, aveva salutato la madre e le aveva raccontato la sua serata. Adrienne l'aveva ascoltato interessata, per poi raccontare a sua volta la cena annullata con suo padre. Il figlio l'aveva abbracciata dicendole che era molto dispiaciuto, ed Adrienne aveva trovato un po' di conforto almeno in quel suo gesto affettuoso. Alle 22:30 in punto, come da rituale, Joey si era congedato per andare a riposare. Adrienne si era nuovamente rannicchiata sul divano con il suo gelato, Jakob, il minore dei suoi figli, sarebbe rimasto a dormire da un amico quella notte, quindi quando alle 22:55 aveva sentito il campanello suonare, il suo pensiero era subito corso al marito. Si era alzata ed era andata ad aprire. Jakob aveva una smorfia nauseata sul volto e si teneva la mano sulla pancia. A casa di Chris aveva mangiato della salsa di gamberi, che a detta sua non aveva un sapore granché sano, e ora aveva nausea e febbre. Adrienne si era distratta un'altra mezz'ora alle prese con le cure del figlio, per poi tornare sul suo divano, consapevole del mostruoso ritardo di suo marito. Scoccata la mezzanotte era scoppiata in lacrime e si era diretta verso la camera da letto, decisa a riposare comunque. Di sicuro c'era una spiegazione a quella situazione. Dopo svariati tentativi, era riuscita a prendere sonno e non si era risvegliata fino al suono delle campane domenicali.

Adie si mise a sedere e appoggiò i piedi sulle fredde mattonelle della camera da letto, osservando lo spiazzo vuoto accanto a sé. Sospirò soffocando una nuova crisi di pianto e si alzò. 

Trovò Billie sul divano, non aveva un bell'aspetto, sembrava distrutto: la camicia stropicciata e sbottonata, una scarpa a terra e una ancora calzata al piede. Ebbe una morsa allo stomaco nel vederlo così, di certo non era abituata a situazioni di quel genere, non era mai successo, nemmeno con uno dei suoi figli ormai adolescenti. Gli si avvicinò inspirando l'acre odore dell'alcool che lo avvolgeva, e storse il naso. Quello non poteva essere suo marito. Billie Joe era quasi astemio, l'unica eccezione era infatti una birra dopo il lavoro con gli amici; all'università aveva fatto parte della Lega Anti Alcohol e Fumo, e ne andava ancora fiero. Per queste ragioni, Adrienne ci mise un po' a convincersi che effettivamente l'uomo sul divano fosse il suo Billie Joe, ma quando ne fu certa, si sentì montare la rabbia dentro. 

-Billie Joe Armstrong! Alzati subito da quel dannato divano!- urlò con tutta l'aria che aveva nei polmoni.

Joey e Jake, che stavano per entrare in salotto per vedere se papà fosse tornato, al sentire l'urlo della madre, sparirono di nuovo in corridoio. Uno si rintanò nel bagno, l'altro in camera. In casa loro nessuno urlava mai, e faceva uno strano effetto sentire la voce di mamma alzarsi in quel modo e sferzare l'aria come una lama ben affilata.

Billie sussultò, si mosse leggermente girando il viso nel senso opposto rispetto alla fonte dalla quale proveniva la voce. Erano passate solo due ore da quando aveva chiuso gli occhi ed era davvero troppo presto per svegliarsi, ma Adrienne non la pensava così evidentemente. 

-Billie Joe! Giuro su Dio che se non ti alzi da quel maledetto divano io...

-Adie, lasciami dormire, ho sonno...- sussurrò Billie non connettendo subito cosa stesse succedendo, cercò di allungare la mano verso la parte del letto dove credeva ci fosse la moglie, ma la sua mano si scontrò con la morbida imbottitura della parete del divano. L'uomo aprì gli occhi e si girò. Subito riconobbe il salotto di casa sua e, davanti al divano dov'era sdraiato, la moglie in piedi con le braccia incrociate al petto.

-Amore, perché ho dormito sul divano?- mugugnò mettendosi a sedere e avvertendo un forte mal di testa.

-Non lo so!- sbraitò lei, era davvero arrabbiata, era la prima volta che Billie la sentiva così. -Forse dovresti dirmelo tu visto che sei stato fuori tutta notte, puzzi d'alcohol da far schifo.

Billie, girò leggermente il viso e inspirò quasi con il naso appoggiato alla propria spalla. Un acre odore di alcohol e sudore lo investì e lo portò a fare una smorfia disgustata. 

-Non so che sia successo...- cercò di giustificarsi lui quasi in un sussurro davvero confuso e terrorizzato da ciò che potesse essere successo. 

In realtà erano solo l'essere stato preso alla sprovvista, l'accelerare repentino del battito del suo cuore, e la voce incazzata di sua moglie, ad avergli fatto dimenticare improvvisamente gli avvenimenti della sera precedente. In breve tempo sarebbe stato nuovamente conscio di ciò che era successo, conscio come mentre era successo.  


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Capitolo 3
*** Epilogo ***



 

Epilogo

 

-Amore, resto fuori per la cena di lavoro, farò tardi.- mentì guardando con aria complice l'uomo davanti a sé. Non sapeva perché lo stava facendo, non sapeva se fosse lui a parlare o le tre birre e il bicchiere di vodka che aveva ingerito nell'ora precedente.

Riattaccò, l'uomo alto e dai capelli ossigenati gli si avvicinò, circondandogli i fianchi con le braccia.

-Cena di lavoro, eh?- sorrise con una punta di dolcezza nella voce.

-Michael, vorresti essere la cena di lavoro più erotica che io abbia mai avuto?- chiese Billie con tono sensuale, passando delicatamente la punta dell'indice sulle sottili labbra dell'altro.

Il biondo lasciò un bacio sulla punta di quel dito. -Come potrei rifiutare?- fece scorrere il palmo della mano sulla schiena del moro, fermandosi solo una volta arrivato sulle natiche rotondeggianti, strinse la mano, palpandolo per un istante, per poi scoccargli una pacca sul gluteo.

Billie sussultò e un sorriso leggermente imbarazzato si dipinse sulle sue labbra, non era abituato a quel genere di cose.

Per lui, fare l'amore era l'azione sacra adibita solo alla procreazione, si sentiva un peccatore anche a farlo con la moglie ogni tanto, solo per piacere. E ora era tra le braccia di un uomo, mentre questo lo vezzeggiava, lo stuzzicava.

Si sentiva sporco, ma libero e felice allo stesso tempo.

Camminarono in sincrono fino alla camera da letto, Michael continuava a stringerlo, Billie camminava all'indietro, guidato solo dall'altro, di cui sentiva di fidarsi ciecamente. Era come se si conoscessero da sempre, come se, da qualche parte, in un universo parallelo forse, loro non fossero altro che migliori amici, due segreti amanti che nascondevano i propri sentimenti al mondo ma continuavano a cercarsi nell'ombra. Poteva percepire che gli stessi pensieri si stavano facendo strada nella mente di Michael, i suoi occhi espressivi lo tradivano: un cielo azzurro, sfumato da una nuvola grigia portatrice di tempesta. La tempesta di pensieri che avveniva sia nell'uno che nell'altro dei due amanti, mentre quello più alto spingeva il più basso sul morbido materasso, gli sfilava i vestiti, facendo lo stesso con i propri, si metteva in ginocchio davanti a lui e, con azioni a cui l'altro non avrebbe mai creduto di essere pronto, lo trasportava in un nuovo mondo, facendogli provare sensazioni quasi paradisiache, sentiva il piacere crescere, sotto le spinte dell'altro, che diventavano sempre più veloci, le sue mani graffiavano le spalle chiare dell'uomo su di lui, i loro corpi sudati potevano godere di quel magnifico contatto che provocava scariche come elettriche nelle loro fibre, il sangue ribolliva nelle vene, un perpetuo movimento faceva cigolare le molle del letto, spinta dopo spinta, gemito dopo gemito. Il respiro spezzato di entrambi si era fatto affannoso, col passare dei minuti, fin quando entrambi avevano raggiunto il culmine e, non potendo andare oltre, avevano riversato il loro piacere.
Billie Joe poteva percepire il petto dell'altro contro il proprio, muoversi ritmicamente sotto il battito dei loro cuori, aveva gli occhi chiusi, si sentiva appagato e finalmente felice, dopo tanto tempo.

Rimasero in quella posizione per molto tempo, godendo uno del calore provocato dall'altro, in un confortante abbraccio dove i due fedifraghi si sentivano protetti dal loro stesso meraviglioso errore.

 

-Tesoro, svegliati, su, devi finire di compilare quei fogli.

Billie si riprese quasi d'improvviso e lasciò cadere la penna che aveva ancora in mano. Era come caduto in un sogno ad occhi aperti, stava rivivendo quel momento.

Alzò lo sguardo sul tavolo davanti a lui e cercò di mettere bene a fuoco le carte, mancava solo una firma, non sapeva perché fosse così riluttante, erano passati venti minuti da quando aveva finito di rileggere per l'ennesima volta l'atto di separazione, in cui i due coniugi si dividevano i loro averi, avrebbe dovuto firmare, ma poi le sue dita si erano come bloccate, e la mente era viaggiata fino alla camera da letto della casa dove si trovava in quell'istante, in un momento passato della sua vita. Solo la voce di Michael l'aveva riportato alla realtà. Era passato esattamente un mese dal loro primo sguardo, dal loro primo drink insieme, quello che poi era degenerato e li aveva portati a casa del biondo. Era passato un mese da quando aveva confessato ad Adrienne, sua moglie, ciò che era successo, ciò che lui aveva fatto, ciò che lui provava verso l'uomo del quale si era innamorato, fin dal primo sguardo.

Quel giorno era tornato da lui, voleva sfogarsi e sputargli addosso tutta l'amarezza che aveva in corpo, voleva farlo sentire colpevole per sua vita andata in fumo, per la famiglia distrutta a causa sua, per i sentimenti che non era riuscito a non provare quando, trovatoselo davanti, gli aveva buttato le braccia al collo ed era scoppiato in quel pianto liberatorio. La verità era che il motivo del suo ritorno era il voler rivedere l'uomo con cui, la notte prima, aveva violato tutti le sue credenze e i suoi principi.

Il loro era un amore iniziato dall'alcohol e dalla lussuria, dal tradimento e dal desiderio. Un amore difficile, che però presto entrambi avevano accettato.
La fidanzata di Michael l'aveva lasciato ed era tornata a casa dei suoi genitori, ma Billie aveva ancora impresse nella memoria le lacrime di quella che, entro pochi secondi, sarebbe diventata la sua ex moglie. Aveva provato a consolarla, l'aveva abbracciata per istanti infiniti, sentendosi in colpa. Non provava più quel sentimento verso di lei, quello che lo inebriava il giorno del matrimonio. Si era preso tutta la colpa, le aveva detto che ciò che era successo era imperdonabile, si era scusato, l'aveva convinta che il divorzio era la soluzione migliore e poi aveva pianto tra le braccia di Michael, l'emerito sconosciuto della porta accanto del quale si era perdutamente innamorato.

Michael diceva sempre che loro erano fatti per stare insieme, che, sin dal primo momento in cui il cielo aveva incontrato la terra, il loro destino era segnato. E, in fondo, Billie sapeva che era davvero così.

 

Una scia d'inchiostro sporcò la carta bianca.


 



NdA: Ehhh... ecco, questo è già l'epilogo...Tre capitoli, wow, complimenti Stry, meriti un applauso *slow clapping*. 
Me ne vado alla svelta, promesso. Spero solo che questa mini-long abbia soddisfatto la vostra fame di bike almeno per un po'. A me, devo ammettere, non dispiace per niente, ma aspetto commenti da qualcun altro.
Well, non ho mai scritto una mini long e devo ammettere che pubblicare l'ultimo capitolo mi lascia un po'... spiazzata..(?) è durato tutto molto poco. Come un'eiaculazione precoce.
Alla prossima, 


 

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