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“Quella volta in cui…” è una seria di fluff–slice of life casuali, della felice famigliuolaStark. Giusto per diletto.
(1) Quella volta in cui…
“AHI!”
Pepper si chinò per massaggiarsi
il piede, che aveva calpestato qualcosa di spigoloso.
Doveva essere un pezzo di Lego – Adam non faceva altro
che lasciarli in giro, pensò.
“Tony!”
Ovviamente dell’uomo nessuna traccia.
“Adam!”
Scosse il capo, appoggiando la borsetta sul primo ripiano
che le capitò a mano.
La testa di Tony comparve dalla scala del piano di sotto.
“Uh.” Fece quello, correggendosi poi con un improbabile
sorriso. “Ehi! Già a casa? Perché?”
“Riunione finita dopo la terza ora.”
“Cosa?” rasentava il ridicolo. “Così poco?!” chiese, in totale disappunto.
“Metà del nuovo CdA sembra abbia
una vita sociale e familiare – strano, non trovi?” domandò, retorica,
portando le mani ai fianchi.
“Uh. Sì. Indubbiamente. Anomalo. Che gente –” iniziò a
battere con il pugno su un palmo della mano, alternandole. “– dovresti
tornare indietro a licenziarli.”
Pepper strinse le palpebre: quel
gesticolare significava che era in piena fase creativa.
Il che la preoccupava.
“Non posso licenziare quelli del CdA.”
Inclinò il capo “Cosa stai facendo?” domandò, andando
per avvicinarsi alle scale.
“Nulla.” Mentì spudoratamente l’altro.
“Allora non ti dispiacerà se vengo a vedere… nulla.” Fece lei, iniziando a scendere i
gradini.
“No!” si era messo in un mare di guai, lo sapeva. Doveva
solo prendere tempo.
“Se il tuo nulla consiste nell’aver distrutto la taverna…”
“… laboratorio.”
“… direi che è un nulla
piuttosto grande.” Si fermò al terzo gradino.
“Non ho distrutto nulla – io non distruggo.”
“Ah, no? Cosa fai?”
“Cre –” un gridolino
proveniente da suddetta ‘taverna’ lo interruppe, facendogli gelare il sangue.
Con gli occhi incollati su quelli di Pepper, fece per
fare mezzo passo indietro. Ma
la donna era già sbiancata.
“Non ti muovere!”
“Tony!” fece lei, stridula.
“Alt!” continuò lui, molleggiando indeciso sul posto. “Non. Fare. Mezzo passo.” E indietreggiò, mettendosi a
correre. Pepper lo vide sparire, attonita.
Stava per spostare il peso da un piede all’altro per
corrergli dietro quando sentì un rumore scoordinatamente pestato di passi
dietro di lei. Si voltò di scatto, vedendo Adam correrle incontro ed afferrarla per la gonna.
Lei lo guardò con gli occhi
sgranati, senza capire che diavolo stesse a significare quel gesto.
“Adam, che stai facendo?!”
“Diversivo.”
Ormai la donna non sapeva più se piangere o lanciarsi
direttamente in una risata isterica.
Adam, un metro e tre tappi, nove anni ed
una scarica di lentiggini, manteneva la presa salda, gli occhi fissi sulla
madre – leggermente terrorizzati – ok, molto terrorizzati, ma ciò nonostante serissimi. Ci voleva impegno
per mettersi contro la mamma. O lo
zampino di Tony.
Che cosa poteva avergli promesso?
“Adam, lasciami andare immediatamente
o – non lo so, ma lo scoprirai più tardi, e ti farà orrore!”
Pepper cercò di muoversi, ma il
figlio non pareva assolutamente voler desistere.
“Ci sono quasi, è tutto a posto!” urlò la voce di Tony dal
piano di sotto.
La donna rischiava la crisi di nervi, e quest’ultima frase di sicuro non la tranquillizzava. Anzi.
“Adam, lasciami andare!”
Adam fece di no con la testa, mettendosi poi a guardarsi
attorno con fare preoccupato.
“Adam!”
Riuscì a fare uno scalino, ma il bambino tirava come un mulo.
“Piantala! Mollami! Cosa diavolo
state combinando?! Se non me lo dici
ti giuro che non rivedrai la luce del sole fino ai tuoi vent’anni!”
“Non tradisco!” si lasciò scappare il piccolo, grugnendo per
la fatica.
“Tony! Lo stai traviando, che diavolo gli hai promesso?!”
“Resisti, Adam!”
“Non mettere tuo
figlio contro di me! È diseducativo!”
Dalla taverna si sentì un secondo gridolino, e poi un
infantile colpo di tosse.
Pepper sentì il terreno mancarle
sotto i piedi.
Quella era Monica, non poteva esserci minimo dubbio in
merito.
Ecco.
Lo sapeva.
“ANTHONY STARK!”
Monica!
Come aveva osato?
Con un colpo deciso riuscì a far perdere la presa ad Adam:
peccato che, nella foga, non avesse considerato la sua posizione piuttosto
precaria. Il bambino, sbilanciato dal contraccolpo, dopo aver tentato invano di
restare in piedi rovinò sulla madre, che definitivamente cadde all’indietro.
Pepper stava già immaginandosi il
dolore che doveva fare cadere di testa da una rampa di scale in
marmo quando sentì le braccia salde di Tony prenderla al volo – con il
figlio in allegato.
Pepper ancora si massaggiava la
mano, formicolante.
Le sue cinque dita sottili risaltavano, rosse, sul volto di
Tony. Sull’altra gota, i quattro dorsi – le aveva prese anche per Adam, dato chePepper era largamente
contraria all’uso della violenza sui bambini. La scena, ad ogni modo, aveva
traumatizzato a sufficienza il figlio per far sì che ci pensasse dodici volte
prima di farsi incastrare in uno dei più o meno
elaborati piani del padre.
Monica dormiva.
Monica dormiva in una culla.
Monica dormiva in una culla rosso
sgargiante, con intarsi dorati, intenta a fluttuare e a cullarla.
Pepper guardava la culla, le
labbra strette dalla rabbia.
“No, adesso la prendo e la tolgo di lì.”
Pepper fece per alzarsi, scuotendo
minimamente la testa fra incredulità e sconcerto: Tony la bloccò, la mano salda
sulla sua gamba. La scena si ripeteva per la terza volta.
“Pepper” sussurrò, onde evitare di
svegliare la bambina “lo sai meglio di me che quella culla è il posto più
sicuro di tutta la casa in cui possa dormire.”
“Sicura come le tue armature,
intendi dire?” sibilò, roca.
Tony manteneva lo sguardo fisso sulla creatura – otto
mesi e dieci giorni –, beata.
“Ma io non avevo una culla così.”
Pontificò Adam, seduto accanto a Tony. I due, medesima posizione svaccata sul
divano e medesima espressione in volto, erano decisamente
fatti con lo stampino – capelli rossi del piccolo a parte.
“Tu non rompevi così tanto.”
“Oh, sì che rompeva.” Lo smentì Pepper.
“Solo che qualcuno passava molto meno
tempo di adesso in casa, a sorbirsi le urla di un bambino.”
“SShht.”
“E non farmi sshht!”
Rimasero immobili, in silenzio, ad ascoltare il respiro
sereno di Monica.
Poi Adam ebbe una pessima idea.
“Quando mi fai l’armatura, papà?”
“L’armatura! Ma
sei impazzito?!”
“Ti ho detto che non gliela faccio!”
“Ah, così oltre a trascinarlo nei tuoi folli piani di diversvizzazionegli menti pure? Dopo avergli promesso un’armatura, poi!”
“Non gli sto mentendo, doveva trattenerti fino alle sette, cosa che non
è riuscito a fare!”
“Gli hai promesso
un’armatura!”
“Che c’è di male? Quanti genitori promettono ogni santo anno ai figli di portarli a Disneyland?”
“Un’armatura non è
Disneyland!”
“Cosa c’entra? Il principio è lo stesso.”
“Una dannatissima armatura!”
Adam, rimasto in salotto, osservava Monica dormire.
Non solo li sentiva, ma sapeva anche benissimo che la
richiesta dell’armatura, fatta a suo padre, era folle.
Il fatto è che sentirlo far rimproverare da sua mamma era una cosa fantastica.
Fece un’ultima carezza sulla fronte della sorellina, per poi
andarsene, ciondolante, a giocare in camera sua.
… tuo fratello giocò a farmi fare uccidere da tua madre.
Tony allargò le braccia, guardando basito Pepper allontanarsi da lui.
“Alla mia età!” continuò la donna.
“Che età?” chiese quello, che sinceramente non sembrava
capire il motivo di tale affermazione.
“Non mi fregherai così, Anthony Stark.”
Fece Pepper, voltandosi verso di lui.
In mezzo alla sala da pranzo, i due si guardavano
domandandosi vicendevolmente cosa ci fosse di sbagliato nell’altro. Tony, in
particolare, aveva il volto esterrefatto di un bambino che non trova logica nel
fatto che qualcuno gli abbia negato un giocattolo.
Le labbra gli si curvarono, finendo a sorridere stupefatto.
“Non ho alcuna intenzione di fregarti, amore.”
“Hah!” Pepperlo additò “Vedi? Amore.Ma quando mai usi questi termini?”
L’uomo corrugò la fronte. “Sempre?”
“No! Quando vuoi qualcosa, ma questa cosa tu non la avrai,
hai capito?”
“Perché?”
“Tu vivi fuori dal mondo!”
“Ma dimmi almeno perché!” L’uomo
insisteva, le braccia spalancate, spalle basse e sguardo sconcertato.
“Te l’ho già detto, Tony – sono settimane che continuo a dirtelo –” il rumore di piedi scalzi
interruppe il dire della donna, che si zittì.
I due girarono lentamente il capo verso la porta, che si
schiuse. Una testa color carota fece capolino, fissandoli.
“State litigando?”
Era intento a strofinarsi un occhio, acciecato dalla luce
della sala.
“No –” fecero i due, leggermente sfasati.
“ – non sfregarti gli occhi, Adam.” Continuò Pepper. “Te l’ho detto milioni di volte – torna a
dormire, stiamo solo parlando.”
“Ma è tardi…” fece il piccolo,
sostenendo la sua tesi.
“Infatti, perché non sei a letto?” chiese Tony, retorico.
“Ma…”
“Ci hai sentiti?” domandò
dolcemente Pepper.
“No…”
“Allora stavi gironzolando per casa –” ne dedusse
Tony: sebbene il suo tono fosse incalzante, era molto meno aggressivo del suo
solito. “Torna a dormire.”
“Ma non state litigando?”
“No, amore.” Lo rassicurò Pepper.
“Guarda che se domani non sei sveglio entro le sette, ti
puoi scordare di venire in barca.”
Tony l’aveva punto sul vivo: erano mesi che Adam aspettava
quel famoso giro in barca a vela nella baia. Rimase a guardarli un attimo, e
poi decise che conveniva cercare di andare a dormire.
“Notte.”
“E non leggere sotto le coperte!” continuò suo padre.
“Ma non riesco a dormire…”
“Ok, allora leggi.”
Pepper sbuffò, guardando in alto e
facendo di no con la testa, con un vago sorriso.
E quest’uomo voleva…
Bah.
Adam richiuse piano piano la porta: i due ne ascoltarono i
passi, accertandosi che stesse prendendo la direzione di camera sua.
Tony approfittò del momento di calma per riavvicinarsi a Pepper.
“Senti –”
“No.” Fece lei, secca
“Un sacco di gente –”
“Non finire questa frase, Tony.”
“ – ha due figli.”
Pepper lo scrutò, sbuffando.
“Bella ripresa, ma non te la caverai così. So come volevi andare a finire –”
“Come volevo andare a finire?”
“– e in tutto questo ometti
un dettaglio completamente casuale: io.”
“Ma tu sei in forma – !” fece
l’uomo, andando a posarle le mani sui fianchi.
Pepper fece mezzo passo indietro,
dandogli modo solo di sfiorarla. Levò la mano davanti al volto, sventolandogli
l’indice sotto gli occhi: “Non provarci, Stark!”
“Stark?”
“Sai benissimo che sono a tanto così
dalla menopausa, e tu vorresti farmi fare
un figlio?”
“Non sei a tanto così…”
“Sì invece! Piantala con questa
storia!”
“Un sacco di gente –”
“Ah-ha!” lo additò lei, nel bel
mezzo della frase.
“– fa i figli tardi.”
“Continua pure a
girarci intorno, ma sai meglio di me come finisce veramente quella frase!”
“Ah sì?” Tony incrociò le braccia, in segno di sfida. “Bene.
Dimmelo.”
“No. Perché io non sono un sacco di gente.”
“No,infatti
– sei molto più in gamba.”
“Fare un figlio è questione di utero, non di essere o meno in gamba!”
“Stai ignorando il mio complimento.”
“Certo che lo ignoro, non
è un complimento! È una seduzione!”
“Seduzione?”
“Tu mi vuoi sedurre –”
“Cosa?”
“ – per rimettermi incita, ma ti giuro che non ci casco.”
Tony indietreggiò con il capo, scuotendolo.
“Ma ti senti?”
“Certo!”
Pepper assottigliò gli occhi,
inacidita. Voltò le spalle e si incamminò fuori dalla
sala.
“Aspetta!” Tony le corse dietro, afferrandole il gomito.
“Piantala, sono stanca.”
“Perché non possiamo parlarne seriamente? Non fai altro che dirmi di no, e non ho ancora sentito
mezza spiegazione logica.”
“Te l’ho già data, non ti basta?”
“Oh, ma per favore. Non mi dirai che è solo per l’età? Sai meglio di me che ci sono milioni di modi per
risolvere la questione – dio, ci sono donne incinte a cinquantacinque
anni, ormai!”
La donna tornò a voltarsi verso Tony: i due erano a ridosso
della porta.
“Sai cosa mi dà fastidio?”
“Io?”
“A parte te.”
“Quindiio non c'entro.”
“Certo che c'entri. Di solito siamo noi a sbattere i piedi per terra per avere figli – sai, gli
ormoni, l’avvicinarsi della meno –”
“Piantala di nominarla, odio quella
parola.”
“Menopausa, Tony, me-no-pau-sa.”
Sillabò lei.
Tony fece per portarsi le mani alle orecchie, coprendosele.
“Ahh!” mormorò “Che suono orribile!”
“Che ti faccia schifo o no, è una realtà a
cui dovrai abituarti, caro mio. Come io mi sto abituando alla morbida copertina
che da tre anni a questa parte hai posato dolcemente sulla tua tartaruga.”
L’uomo indietreggiò, oltraggiato, guardandola con la bocca
semichiusa.
“Questo è un colpo basso.”
“Questa è la vita!”
“Allora facciamone una nuova!”
Pepper roteò gli occhi al cielo,
disperata.
“Insomma, dovrei essere io
a volere estendere il mio dominio materno, non
tu!”
“Hai un marito moderno.” Concluse
lui.
“NO! Non sei un
marito moderno! Sei retogrado!”
“Cosa?”
Pepper prese ad avanzare verso
Tony, accusatoria: quello, senza nemmeno rendersene conto, muoveva passi
strisciati all’indietro per mantenere la distanza di sicurezza.
“Tu sei il tipico uomo che compare nella vita di un figlio
da quando ha tre fino ai dodici anni –”
“ – ma se –”
“Ma se?! Avrai passato in casa forse tre ore al giorno quando Adam era
piccolo!”
“Ehi, anche io lavoro!”
“Anche
io?! Chi è che sta
dirigendo la tua azienda da dieci anni
a questa parte, Anthony Edward Stark!?”
“Io sono un ingegnere
–”
“– Ma per favore –”
“– e infatti –”
“– la so a memoria –”
“– tu –”
“– questa storia –”
“– sei molto
più brava di me –”
“– eccolo che torna alla carica – guarda che
questo non ha nulla a che fare con il
crescere dei figli!”
“Va bene, ok!
FORSE non ero molto presente.” Questo lo disse guardando l’angolo fra il muro ed il soffitto alla sua destra. Pepper
sbuffò, portandosi le dita alle tempie e lo sguardo in basso.
“Però –”
“Niente però –”
“ – poi mi
sono fatto vedere.”
“Eh! Grazie –” fece lei, gettando la testa indietro“– è facile quando sanno usare il vasino.”
Tony fece una smorfia vagamente disgustata all’idea di che
cosa aveva significato, all’epoca, svuotare quei dannati vasini.
Blha.
“E sai cosa ti dico, Tony?”
Lui levò le sopracciglia, senza sapere se essere curioso o
impaurito: Pepper stava partendo alla carica. Brutta
cosa.
“… sentiamo.” Fece lui, mimando malissimo larga noncuranza.
“Che adesso Adam ha sette anni, e
tu sai benissimo cosa succederà tra poco – sono sicura che tu ci sia
passato in modo largamente amplificato
in questo momento chiave della tua esistenza.”
“Hah –” Tony mosse
inconsciamente un altro mezzo passo indietro. Ancora un poco e finiva addossato
al tavolo da pranzo. “ – non
tirare fuori il mio rapporto con mio
padre –”
“ – oh sì
invece –”
“ – ti stai comportando da vigliacca.”
“Non sono io quella che sta indietreggiando per mezza sala.”
Tony parve svegliarsi da una trance: prese a guardarsi
attorno, realizzando di essere arrivato molto più lontano di dove pensava di
essere. Pepper non si fece scappare l’occasione: “Dagli il tempo di arrivare alle due cifre e vedrai, cosa
succederà.”
“Eh?” fece l’uomo, riportando di scatto lo sguardo
sull’altra. “Chi? Cosa?”
“Adam!”
“Cosa c'entra Adam?”
“Mi ascolti o fai finta?”
“Certo che ti ascolto!”
“Fra meno di cinque anni – considerato il padre – Adam smetterà di
idolatrarti come un Dio, e inizierà a dire la sua! Cosa che disferàil tuo enorme ego!”
“Come può un bambino disfare il mio ego?”
“Lo può un figlio! E tu non vuoi un
secondogenito, vuoi una riserva!”
“Non è vero!”
“Ah no?” la donna girò il capo di lato, scrutando l’altro
con la coda dell’occhio.
“Bene. Dimostramelo.” Pepper mosse
un passo avanti, sfidandolo.
“Stai cercando di barattare?” domandò Tony, pronto a
raccogliere la sfida.
“Non sto barattando –”
“Guarda che sono bravissimo
a barattare –”
“– con il mio
utero ci faccio quello che voglio.”
“ – sì, ma io ottengo sempre quello che io voglio.”
Passo dopo passo, erano tornati
l’uno di fronte all’altro.
“Tu otterresti sempre quello che vuoi?”
Tony sorrise, scrutando la moglie – le braccia
incrociate. “Voglio dire, mi hai sposato.”
“Perché io
volevo.”
“Ti sei messa con me nonostante fossi completamente fuori di testa.”
“Togli il passato, Tony: tu seifuori di testa.”
“E ti ho pure mollata in un
terrazzo ad un ricevimento!”
“Guarda che così non mi invogli a
fare un altro figlio con te!”
“Si sta mettendo in un grande guaio, signorina Potts.”
“Signor Stark.”
Rimasero in silenzio, l’uno di fronte all’altra, guardandosi
negli occhi.
Ad un certo punto Tony portò la
mano sinistra al petto, levando la destra in alto.
“Io, Anthony Edward Stark …”
Pepper sorrise, scuotendo la
testa: “Cosa stai facendo? Guarda che non funzionerà,
qualunque cosa sia.”
Tony, che s’era zittito per
ascoltarla, sostenne il suo sguardo con la sua solita spavalda saccenza. Poi riprese: “Io giuro solennemente –”
“Cosa?”
“– che se la
qui presente Virginia PepperPotts
in Stark –”
“Ma per favore!” la cosa sembrava
farla divertire, ma non sapeva nemmeno lei se era perché folle o perché… no,
ok: era perché era folle. Ed era Tony.
“ – avrà un secondo figlio da me – e lo avrà –” sottolineò, beccandosi
un’occhiataccia sarcastica.
“No, Tony –”
“– io terminerò qualunque
tipo di attività –”
“Cosa?” fece lei, ridendo dall’incredulità.
“ – per dedicarmi a suddetto figlio –”
“Tu non sai cosa stai giurando!”
“ – da perfetto padre
moderno.” Concluse, guardando Pepper in attesa
del suo dire.
“Chiedo alla corte che sia verificata la capacità di intendere e di volere di quest’uomo.” Rispose lei, portando le mani ai fianchi.
“Ah – no, sono perfettamente
capace di intendere e di volere, sigorinaPotts: intendo realizzare il mio desiderio di avere un altro figlio con lei.”
La donna roteò gli occhi, per l’ennesima volta.
“Figlia.” Si
corresse lui, avvicinandosi.
“Figlia?” no, stava davvero delirando, pensò.
Tony le prese le mani ai fianchi, levandogliele da lì per
poterci posare le sue. “Sì, una bella bambina con i tuoi occhi – i
capelli neri…”
“Guarda che non puoi decidere il sesso del figlio.”
“Quindi avremo un secondo figlio?”
domandò lui, retorico, avendo colto lo spiraglio.
“No.”
Ciò nonostante, Pepper non si
mosse: il tono si faceva lentamente meno convinto.
“Da accompagnare a scuola…”
“Inizia a portare Adam
a scuola.”
“Probabilmente sarà una ragazza stupenda –”
“Non ci sarà nessuna ragazza, Tony!”
“– e non hai idea di quanto sarà divertente impaurire
i suoi infiniti pretendenti.”
“Poi ti viene l’ansia ogni volta che esce di
casa da sola…”
Via, la crepa era stata aperta.
“Vedi? La vuoi anche tu, in fondo.”
“Tony, sarà davvero
difficile.”
“Mi piace che non usi il condizionale.”
Peppervolette
mordersi la lingua.
“Lo vedi? Tu non baratti, tu seduci.”
Tony le posò le labbra sulla bocca, sconsideratamente casto
per il suo solito.
“Quindi ti ho sedotta?”
“No.”
Ci riprovò, baciandola.
“E adesso?”
“No…”
L’uomo sorrise.
“Facciamo una bambina.”
“No.”
Riprese a baciarla.
“Tony, guarda che prima devo smettere di prendere la pillola.”
“Il fatto che io voglia una figlia non significa che debba
rinunciare al sesso post-litigio, lo sai?”
“Non puoi decidere il sesso del bambino.”
“Sono io l’Uomo, ho io la gestione degli ultimi due
cromosomi. Mi darò da fare.”
“Tony…”
“Facciamo una bimba.”
“Smettila.”
Bisognava essere un pelino più
azzardati, evidentemente. Passò dalle labbra al collo, stringendosela a sé.
“Smettila.” Continuava lei.
“Una bella bimba.”
“No.”
“Più intelligente di me.”
“Questa, poi.”
“Ce la posso fare.”
“Tony, basta.”
“Tanto lo sai che ho vinto. La resistenza
è inutile.”
Il primo passo era stato incontrare Adam, e già lì aveva
avuto i suoi dubbi.
Un po’ di paura, ecco.
Inquietudine, diciamo.
Soggezione poteva essere un termine più adatto.
Lo venne a prendere con uno degli ultimi modelli della StarkMotors, una cosa che
funzionava con un cocktail di energia solare, reattori arc
e batterie all’idrogeno. Fin qua sarebbe anche potuto andare bene, non fosse che era una di quelle sportive che sono state
immatricolate solo perché gli Stark sanno fare molte,
molte pressioni. Le dimensioni delle frecce dovevano
essere al limite inferiore, e l’uso di telecamere in piena sostituzione degli
specchietti retrovisori non era ancora del tutto contemplato dal codice della
strada.
Liam strinse forte la mano attorno
al mazzo di rose che aveva con sé. Si punzecchiò un pochino.
Adam si fermò esattamente davanti a lui, senza nemmeno
spegnere il motore: lo guardò da dietro gli occhiali e
si limitò, con un gran sorrisone, a fargli cenno col capo di salire.
Il ragazzo si mosse legnosamente, mancando un paio di volte
la maniglia della porta.
“Allora, mi hanno detto che hai ceduto per la limousine modello extralarge.” Fece Adam, voce profonda e
salda. Liam annuì.
Certo ‘cedere’ era una parola grossa.
Accettare, ecco. Annuire. Annuire poteva andare.
E infatti continuava a farlo, senza
motivo.
Adam, con il gomito fuori dal finestrino, fece qualche
rapida manovra e si reimmesse nel traffico: passò a posare lo sguardo su Liam, che pareva essersi inceppato in quel gesto d’assenso.
“Sei teso?”
Liam si limitò a continuare in
quello che stava facendo: annuire.
“Non preoccuparti, è tutta scena…” sogghignò Adam, tornando
a guardare la strada “Penso che aspetti quest’occasione da anni.”
Liam annuiva.
Adam era squadrato, con un tappeto peloso in testa di
capelli rosso-arancioni e ancora qualche rimasuglio di lentiggine sotto la
barba da vichingo. Come il padre, aveva fatto carriera con estrema rapidità: a
ventisei anni stava già tastando il profumo di una cattedra, non appena finito
il suo secondo PostDoc.
Mio dio – realizzò Liam
– era seduto accanto ad Adam Howard Stark. Mio
dio. Doveva essere ipereccitato, in linea teorica – no, era solo terrorizzato. E quel che è peggio, era solo l’inizio.
“Cosa hai deciso per il college?”
chiese lo Stark, nel tentativo di fare conversazione.
“Per... il college?” fece eco il ragazzo.
Adam si voltò un isto verso di lui: “Andrai al college, vero?”
Liam cercò di non farsi mancare il
fiato: “Sì… sì, andrò al college…” si mise a rispondere, neanche fosse stato
colto in fallo. “Sto decidendo tra Harvard e MIT…”
“E stai ancora a decidere?” chiese quello, retorico –
ridendo sommessamente.
La strada scorreva rapida, probabilmente ben oltre i limiti
di velocità. Lasciavano il centro, verso la periferia residenziale – ma
sarebbero dovuti andare ben oltre: impossibile pensare che Liam
potesse arrivare sin lì da solo. Anche se avesse avuto
la macchina – cosa che non aveva, essendo uno dei dodici squattrinati
borsisti della Lennox – si sarebbe comunque perso.
“Beh…” tentennò il ragazzo “Ci sono molti fattori.” Si
limitò a dire.
Adam annuì, apparentemente convinto.
Probabilmente l’unica cosa peggiore di cui avrebbe potuto
parlare era il sesso. Era noto che in casa Stark
c’era una diatriba infinita sulla questione universitaria: il padre era stato
al MIT, e lì dispensava svariate borse oltre che finanziare, con la StarkIndustries Ricerca e
Sviluppo, moltissimi progetti. La madre veniva dalla Columbia – e sebbene
non fosse una fan sfegatata della propria università come lo erano marito e
figlio della loro, aveva comunque una certa influenza. Adam, invece, fatto il
college al MIT aveva cambiato drasticamente idea ed era andato ad Harvard a studiare fisica teorica, sostenendo che al MIT
erano troppo ingegneristici. Cosa che aveva mandato il padre su tutte – o
quasi – le furie.
No, non era il caso di parlare di università in casa Stark, e Liam sapeva che la sua
posizione era delle peggiori immaginabili, dovendo scegliere fra quella di Stark Senior e quella di Stark
Junior.
Grazie a dio le borse con cui sarebbe andato dall’una o
dall’altra parte non erano le borse Stark. O sarebbe stato davvero, davvero un disastro.
“Va bene, ho capito.” Fece Adam, dopo il lungo silenzio del
ragazzo. “Sei saggio ad avvalerti della facoltà di non
rispondere.”
Avesse potuto usarla sempre, sarebbe stato tutto più facile.
Dopo venti minuti di viaggio immerso in un silenzio
imbarazzante – solo per Liam, ovviamente
– lo ‘StarkManor’
comparve in lontananza.
A Liam venne voglia di buttarsi
direttamente fuori dal finestrino, ma desistette. In fondo, quello era un
momento che ogni ragazzo della sua età viveva: era normalissimo. Cioè, non era
normale viverlo in casa Stark, ma per il resto era
fisiologico. Andava fatto e basta.
Cercò di ficcarselo in testa mentre entravano nel giardino
privato: le sue già precarie convinzioni, però, caddero subito.
No, non ce la poteva fare.
Non con Tony Stark che, braccia
incrociate e posizione statuaria, li attendeva in piedi davanti alla porta.
Adam lasciò la macchina davanti all’ingresso principale,
spegnendo il motore e scendendo rapido. Liam non si
mosse subito, forse si era dimenticato di saper muovere gli arti inferiori. E quelli
superiori.
Ci volevano cinque gradini per arrivare alla porta, ragion per cuiStark padre
sembrava molto, molto più alto,
grosso e imponente di quanto fosse in realtà.
Impacciato, sbattendo le rose da tutte le parti e in puro
disagio anche grazie allo smoking, Liam riuscì
finalmente a scendere.
Gli occhi di Stark senior gli si incollarono addosso – o forse li notò solo allora.
“Buon… buongiorno, Signor Stark.” Disse
il ragazzo, cercando di sembrare meno stupido di quanto già si sentisse. Pose
il piede sul primo gradino, e lì si fermò.
“Veramente sono le sei di sera.” Gli fece notare l’uomo.
Liam, gelato, non si mosse.
Un fantastico inizio, pensò. E mancavano ancora quattro
scalini.
Cercò di imbastire un sorriso convincente, e si issò sul secondo. “Scusi…”
“Sono rose, quelle?” domandò l’altro, scettico.
In tutto questo, Adam era già entrato in casa, abbandonandolo:
molto probabilmente se la stava ridendo da dietro la porta.
“Hem … sì.” Rispose il ragazzo,
arrivando al terzo scalino.
Ne mancavano solo due.
Per…? Farsi sbranare direttamente?
“Viva le banalità.” Fu il commento di Tony Stark.
Liam continuava a sorridere,
mentre il sudore iniziava a colargli dalle tempie. Stava per crollare. Meno
uno.
“Ha una casa –” meglio
cambiare discorso, si disse “ – davvero… imponente.” Quest’ultima parola
l’aveva pronunciata alla fine della scala, quando si ritrovò faccia a faccia
con l’uomo.
Stark non rispose, limitandosi a
fissarlo.
Liam era magretto
e un pelino emaciato. Biondino,
aveva la mascella appuntita e un tentativo (fallito) di barbetta selvaggia: tre
peli su una guancia e tre sull’altra, nient’altro. In realtà non era tanto più
basso di Tony Stark, forse un paio di centimetri
– o forse nemmeno quelli, era solo impressione.
Questo probabilmente era dovuto al fatto che, nonostante
fosse più vicino ai settanta che ai sessanta, l’uomo possedesse ancora lo
stesso fisico solido e definito di trent’anni prima. I segni del tempo si
potevano intravedere solo sulle mani – leggermente rugose e sciupate dal
suo continuo lavorare manualmente –, sul collo – anch’esso
leggermente rugoso – e su minima parte del volto. Ah, e ovviamente su
barba e capelli bianchi. Il taglio era però lo stesso di quello delle vecchie
copertine di Wired.
Come avrebbe detto qualunque suo amico, e pure in tono esaltato, Tony Stark era e rimaneva un figo,
non c’era niente da fare.
Liam si sentiva uno schifo, al
confronto.
Dettaglio non trascurabile – come prevedibile, in
fondo – era che Tony Stark era un padre iper-protettivo. Il fatto che nei due mesi precedenti Monica
avesse tentato di preparare e istruire il ragazzo per quell’incontro era del tutto irrilevante. Superfluo. Inutile.
Liam deglutì.
“Allora?” gli chiese Stark,
retorico.
Come la ragazza aveva rimarcato più volte, il signor Stark era dotato di pessimo carattere ed eccessivo carisma.
In pratica, ce l’aveva in pugno.
“Hem…” cosa diavolo avrebbe dovuto
rispondere? “Sono venuto a prendere sua figlia.”
Stark levò un sopracciglio: “Ma
davvero?” fece, sarcastico.
Liam stava finendo la saliva da
deglutire.
“Per… il ballo.” Ormai le cose stupide gli uscivano
automaticamente di bocca.
“Da non credere.”
Il ragazzo era disperato: rimasero in silenzio, finché
l’uomo non decise di rigiragli un metaforico pugnale
fra le metaforiche viscere: “Suppongo che tu voglia entrare.”
“Hem… se posso.”
“In effetti non puoi.”
Liam tacque.
Iniziava a capire perché gli struzzi si sentissero tanto
protetti con la testa dentro un buco – cosa non avrebbe dato per uno in
cui infilarla. Magari profondo. Molto profondo.
“Allora… la aspetto fuori.”
Le labbra di Stark si tesero
minimamente, tornando poi a disegnargli in faccia l’espressione seria con cui
lo aveva accolto.
“Dimmi, a quale titolo vorresti portare mia figlia al
ballo?”
“Va bene, adesso
sta esagerando.”
Pepper osservava la scena dalla
finestra semichiusa: Liam era talmente terrorizzato
da Tony che non si era nemmeno reso conto che mezza famiglia lo stava
guardando, gatto compreso.
“Dai, ancora due minuti –” sghignazzò Adam, accanto a
lei. Quella era una delle cose più divertenti che avesse visto in tutta la sua
vita.
“Adam, lo sta torturando!
Guarda come suda!”
“Eddai, anche la madre di Ellie mi aveva
fatto l’interrogatorio –”
Pepper si voltò di scatto verso il
figlio: “Tu eri uno Stark – tu” lo additò “ti
eri presentato a casa sua in bermuda,
due fiori di campo ed un prototipo non
immatricolato delle StarkMotors!”
Quello rise, ripensando ai tempi andati.
“Bisogna essere idioti a voler uscire con uno Stark –”
“Da che pulpito!”
“– quel ragazzo in confronto a voi due è un santo! Adesso vado a chiamare Monica.”
“No!” Adam la trattenne. “No, ti prego, dai! Ancora un attimo!”
“Hem…” Liam
continuava a deglutire. “Hem… sono… sono il suo
ragazzo.”
Le sopracciglia di Stark parvero
esplodere verso l’alto: “Oh, ma davvero?”
Liam optò per tacere, come
velatamente suggeritogli prima da Adam.
“E com’è che io non ne so niente?”
Possibile?
No, Monica era stata chiara: recitava.
Stava facendo di tutto per metterlo più a disagio possibile.
Riuscendoci.
“Fumi?” L’uomo andò dritto al sodo.
“No.”
“Bevi?”
“No.”
“Strano, curioso che tu sia ancora vivo, senz’acqua –
per tutto questo tempo. Un interessante caso di studio.”
Liam incassava la testa nelle
spalle, ormai dandosi per spacciato.
Grazie al cielo il portone dietro a Tony Stark
si aprì.
Monica spalancò con foga la porta di casa, gli occhi
sgranati dall’ira.
“Stupido padre!”
gridò. Vide Liam scorgerla, bianco e sudato, con in mano un enorme mazzo di rose che stava stritolando
per l’ansia.
Tony si voltò verso la figlia, che sembrava pronta a
saltargli addosso – e il lungo vestito rosso che indossava non sembrava
costituisse per lei alcun impedimento.
“Cosa ci fai qui?!” continuò,
mantenendo la voce piuttosto elevata.
“Ehi – cos’è, non posso stare a
casa mia?” Tony parve sorridere. Da dietro la ragazza comparve anche Pepper, intenta a scuotere il capo.
“Siete due idioti.” fece la donna: stava chiaramente
rivolgendosi anche ad Adam, di poco dietro di lei.
Monica prese a guardarsi attorno, mentre Liam
ancora rimaneva immobile come uno stoccafisso. Surgelato, per giunta.
“Adam, coglione!
Come ho anche solo potuto pensare di
fidarmi di te?!”
Le labbra strette per la rabbia, la ragazza si sistemò uno
dei fermargli che vincolava nell’acconciatura i lunghi capelli neri. Per un
momento i due Stark temettero che nascondesse
nell’enorme volume di capelli un pugnale pronto per essere usato.
“Mi hai cacciato di casa in un
giorno come questo, tesoro!” si
giustificò il padre “Hai idea di quanto abbia aspettato?”
“Certo che ne ho
idea, ed è l’esatto motivo per cui ti ho cacciato
– ma tanto Adam ha mandato a quel paese ogni mio singolo piano! Non fosse
stato per lui saresti ancora in spiaggia a crogiolarti
senza nemmeno pensare al fatto che forse
– dico, FORSE – tua
figlia all’ultimo anno del liceo ha un ballo!
VERO?”
Ora la ragazza guardava Adam, che era palese aver fatto la
spia. Più e più volte.
“Non vale escludermi da queste cose!” protestò Tony “è il
mio lavoro di papà, questo.”
Monica sgranò ancora di più gli occhi, per quanto potesse
parere aver già raggiunto il limite. Facendo di no con la testa, sconvolta,
sorpassò a lunghi passi il padre e andò ad afferrare il braccio di Liam.
“Sono qui, amore” fece al ragazzo, tentando di rassicurarlo.
Liam annaspava.
“Ma dai, è un pesce lesso –”
fece Tony, indicandolo “– lo hai trovato nel banco sconti?”
“Non ti azzardare a dire così – dopo quello che gli hai fatto!”
L’uomo indietreggiò con il capo, apparentemente rimesso in
riga.
“Pensate che riusciremo a fare delle foto prima che svenga?”
Adam era arrivato con la macchina fotografica in mano. “I due futuri studenti
di Harvard.”
“No, adesso ricominciano…” mormorò Pepper,
rassegnata, portandosi la mano alla fronte.
“Harvard? MIT, vorrai dire.” Fu infatti
il commento di Tony.
Liam strinse Monica a sé, più per
cercare conforto che per altro. Non era del tutto sicuro di essere ancora vivo:
forse la sua anima vagava lì in giro, da qualche parte.
“Siete ridicoli.” fu il commento di Monica, dopo aver
lasciato Adam scattare qualche foto.
“Forza, piccola –” disse il padre “– tanto lo
sai che sta a te scegliere, lui ti seguirà.”
“Quindi andranno ad Harvard.” Adam
doveva sempre mettersi in mezzo, chiaro.
Tony guardò la figlia, con una chiara espressione da ‘quello
sta scherzando, vero? Perché non può essere vero’.
Scocciata, la ragazza schioccò la lingua sul palato. Sul
vialetto, fortunatamente, comparve la limousine: bene. Era ora di sganciare la
bomba e filarsela.
“Voi due mi avete talmente tanto rotto con questa storia…”
disse, iniziando a trascinarsi dietro Liam. “Che siete riusciti a farmi prendere la decisione più
netta, chiara e lucida di tutta la mia vita!”
I due la guardavano basiti, il fiato sospeso.
Dietro, Pepper sorrideva
divertita.
“Io andrò a Yale.”
… ma tanto questa te la ricordi.
Volevo ringraziare tutti
quelli che seguono e passano di qua, siete tantissimi =) la cosa mi rende estremamente felice!
Spero che anche questa vipiaccia, e alla prossima! (ne ho
ancora un paio nel cassetto, ma la vena creativa è in piena e ne scrivo di
nuove appena posso..:D )
L’uomo la ignorò deliberatamente,
rigirandosi nel letto.
“Tony!”
Quello strizzò le palpebre, infastidito dal tono della donna
– che andava facendosi isterico.
“Abbiamo un problema –” la voce si era fatta più
vicina.
“Che problema?” masticò lui, rifiutandosi di aprire gli
occhi.
“Tony!” l’uomo sentì la mano di Pepper
prendergli la spalla per scuoterlo: dovette arrendersi. Schiuse le palpebre per
vedere, davanti a sé, il volto sconvolto della donna.
“Sono incinta!”
Quello sussultò, schizzando a
sedere nel letto mentre sgranava gli occhi: “COSA?”
“Come diamine è potuto succedere?”
Dopo lo shock iniziale, Tony si era
lanciato giù per le scale – verso la cucina – continuando a ripetere
“Caffè, caffè, caffè – Jarvis! Caffè!” . Solo una volta bevutane una enorme
tazza poté tentare di ragionare.
Pepper, di fronte a lui,
riassumeva in un’unica persona il concetto di panico.
“Devo abortire –” disse, parlando praticamente
a se stessa.
“– certo che devi abortire!”
La donna sgranò gli occhi: “Cosa hai detto?”
Tony si immobilizzò, fissandola:
incuteva un certo terrore, con quel tono di voce e quell’espressione dissennata.
Dovevano essere gli ormoni, si disse.
“Come ti permetti di dirmi cosa devo fare?!”
continuò, tre volte più isterica di prima.
“Come mi… ma –”
“Mi metti incinta e mi vuoi pure dire che devo abortire?!”
“Cosa – ?” Tony fece una smorfia asimmetrica, che
manifestava la sua più totale incomprensione. Quel discorso mancava di filo
logico, in ogni sua sillaba. “Ma se tu …” iniziò, con il braccio teso in avanti
ed il palmo verso l’alto, ad indicarla.
“Io faccio quello
che voglio, ci siamo capiti?”
“Ma – Pepper!”
non la aveva mai sentita essere così fuori di senno. Di solito spettava a lei
la parte della metà logica della coppia – lui stava più sul passionale e cazzaro, lo sapeva benissimo… ma questa volta Pepper era completamente fuori di sé.
“Cosa?!” strillò infatti quella.
“Vorresti davvero vedere me
crescere un figlio? Ti sembro una
persona responsabile?”
“No, infatti!” convenne lei, seppur continuando
a mantenere il tono della voce elevato e stonato. “Non saresti nemmeno lontanamente in grado – no,
saresti praticamentecontroproducente, un disastro,
un patetico egocentrico senza alcuna scala di valori e pochi barlumi di etica – bisognerebbe essere pazzi per lasciarti avere un figlio!”
“Bene, fantastico.” Annuì, facendo finta di non aver appena
sentito delle cose facilmente riconducibili a insulti. In realtà era fiero di
più della metà di quelle cose, e non aveva la benché
minima intenzione di cambiarle di una virgola. “Adesso, per favore –”
inspirò, esausto“–
ti calmi? Siediti e calmati –” fece, indicandole la
sedia. “ – e poi vediamo come procedere.”
“Come procedere per cosa?”
sibilò lei.
Va bene, non bisognava più in alcun modo pronunciare la
parola con la a
nelle prossime ventiquattr’ore, pensò Tony.
“Siediti.”
Pepper si sedette, ancora intenta
a fulminarlo con lo sguardo.
“Jarvis, falle qualcosa – ”
“Non posso bere,
sono incinta! ”
“– che la calmi…”
“Posso proporre un infuso di valeriana e camomilla,
Signore.” rispose la voce, computerizzata solo per modo di dire, di Jarvis. Aveva quel tono perennemente calmo, con quella sua aplomb, che parve da solo aver diradato parte dell’ansia
di Pepper.
“Sì, grazie.” Fece la donna, prendendosi il volto fra le
mani.
Tony, che sedeva di fronte a lei in mutande, prese a far
roteare la tazza vuota del caffè con le dita.
“Smettila.”
Smise.
Rimasero in silenzio, in attesa che l’infuso fosse pronto.
“Ma come diavolo è potuto succedere?!”
si domandò Tony, ad alta voce.
Pepper era ancora intenta a
sorseggiare l’infuso. Jarvis, al solito, aveva avuto
un’ottima idea. Sarebbe morta, senza quell’avanzatissimo software a dare la
parvenza di ordine e logica in quella casa.
“Quelle pillole sono una fregatura.” Continuò Tony.
Pepper posò la tazza, levando le
sopracciglia in un’espressione di puro stupore: “Pillole?”
“Pillole!” rimarcò Tony. Poi, notando che l’espressione dell’altra
non cambiava, pensò che fosse il caso di tacere.
“Pillole?” ripeté
la donna, talmente sconvolta da trovare la cosa divertente. “Tony, io non
prendo la pillola da un anno.”
Tony sbiancò. “COSA?”
Adesso era lui quello con la voce stridula.
Pepper, incredula, si guardava
attorno senza riuscire a trovare parola che valesse la pena d’esser detta.
“Non ci posso credere.” Fece lei, sorridendo dalla
disperazione. “Sei assolutamente incredibile.”
“Io? Sarei io incredibile?” rimarcò lui, offeso
“Sei tu che hai smesso di prendere la
pillola a tradimento!”
“A tradimento?!”
“Signore –” intervenne Jarvis
– “Temo di dover dar ragione alla signorina Potts.”
“E tu da quand’è che parli senza essere interpellato?”
chiese, retorico, Tony; “Gliel’hai insegnato tu?” domandò
poi scettico alla donna.
“Eh? Tu vaneggi!”
si difese Pepper.
“Sedici mesi fa…” iniziò a narrare Jarvis.
“MUTO.” gli intimò Tony. Il software, ubbidiente, eseguì.
Pepper sospirò, scuotendo
rassegnata il capo.
“E’ per quella storia?”
“Certo che è per quella storia, Tony! Ma – ma dove hai
vissuto negli ultimi mesi, tu?”
“Qui.” Si limitò a rispondere lui.
“E te lo avevo anche detto!”
“Mi sarà sfuggito –”
“Ti è sfuggito il fatto che io abbia
avuto un –”
“ – SHT!” la fermò, levando le mani di scatto in avanti
nel gesto di bloccarla “Se a me è vietata la parola con la aa te
è vietata la parola con la i, ok?”
Pepper roteò gli occhi,
riprendendo a scuotere il capo. Tony si fece quasi turbato, iniziando a
fissarla con una serietà lontanamente più matura di quella con cui aveva
accolto la notizia mattutina.
“Ma si può sapere perché pensi che
ti faccia usare il preservativo ogni volta, eh?”
“Per essere sicuri!”
“E il diaframma!”
“Per essere estremamente sicuri!”
“Ah, ma la vasectomia, LUI, non l’ha pur fatta
– per essere sicuro!”
“Esiste anche una cosa chiamata spirale, se è per quello – vogliamo parlarne?”
“Quello è uno dei metodi più sicuri per non essere protetti, ci sono pile e pile
di studi scientifici che lo dimostrano!”
“Potevi almeno stare attenta al calendario!”
“Io?”
“Beh, io non di
certo.”
“Oh – ma se sai benissimo
quando sono in periodo!”
“Lo so durante,
non prima!”
“Ho il ciclo più regolare di tutta la California e tu non lo hai ancoraimparato?”
“Cosa c’entro io
con il tuo ciclo!”
Pepper ci vide rosso. Sbatté le
mani sul tavolo e dopo aver guardato per un unico – ma inteso –
istante Tony con fare omicida si alzò dalla sedia e uscì dalla stanza.
Tony, braccia incrociate, più che scomposto sulla sedia
– ed ancora in mutande – non si mosse,
rifiutandosi di seguirla.
Quella non era certo la prima volta che litigavano
seriamente – cioè senza finire a letto per direttissima (cosa peraltro
sconsigliabile, in queste circostanze); questa volta, comunque, Tony stringeva
bulloni con più foga del solito.
Demolite le armature, aveva ripreso in mano il suo
precedente hobby: le automobili. Ovviamente, dato che per Tony Stark un hobby non può limitarsi a sistemare due viti e
lucidare dodici carrozzerie, aveva iniziato a mettere su un progetto a lungo
termine – che sarebbe dovuto sfociare in un nuovo ramo dell’azienda
interamente dedicato ad automobili d’avanguardia: un altro motivo di
discussione con Pepper, fortunatamente stemperato
sotto le lenzuola.
“Signore, la signorina Potts è in
avvicinamento.” Comunicò Jarvis.
Tony si passò la mano sporca di grasso sulla fronte,
tracciandovi una spessa linea nera e unta.
“Quanto?”
“Davanti alla porta della taverna, signore.”
“Mi dovrebbe interessare?” domandò, tornando a infilare la
mano nel meccanismo di sterzo su cui stava lavorando.
“E’ andata via, signore.”
“Vedi?” fece lui, retorico e quasi trionfale. “Non era
importane. Alza la musica e vedi di non dire altro. Ferrovecchio, vieni qui a darmi una mano.”
Non era una seduta di meccanica seria se non aveva un po’ di
sana musica a pulire il rumore di fondo del suo
cervello.
“Signore –” cercò di dire Jarvis,
sovrastando a stento la musica.
“MUTO.”
Alle nove di sera Tony decise che poteva essere il caso di uscire
dalla taverna-laboratorio, almeno per farsi una doccia. Stanco e vagamente
soddisfatto per il lavoro della giornata, prese a fare i gradini a due a due
per arrivare il prima possibile alla camera da letto,
per cambiarsi.
L’antistress aveva funzionato sin troppo bene: la sua mente
si era alienata a tal punto che finché non irruppe in camera non ricordò il
vero motivo per cui si era rifugiato nel seminterrato.
Varcata la soglia, le luci non si accesero come dovuto:
evidentemente qualcuno doveva aver disattivato i sensori di movimento. Quel
qualcuno era Pepper, che, man mano che
i suoi occhi si abituavano alla penombra, Tony intravide distesa sul
letto.
Il tutto lo riportò violentemente
alla realtà di quella mattina: Pepper era incinta,
lui si era dimenticato che non prendeva più la pillola (cosa che era avvenuta a
causa di un notevole incidente, tra l’altro), lei aveva le idee altamente
confuse sulla parola con la a e, nel
complesso, avevano avuto discussione piuttosto accesa.
Ok, doveva averla fatta arrabbiare parecchio.
E poi c’erano da considerare gli ormoni, quei piccoli
bastardi che si divertono a rendere la vita di coppia un inferno altalenante
tra euforia e odio reciproco.
“Tony?” mormorò lei, svegliata dalla lama di luce che
entrava dalla porta socchiusa.
L’uomo si bloccò lì, senza ben sapere quanto valesse la pena
indietreggiare o, peggio, avanzare.
Pepper sembrava molto più calma di
prima – assonnata, ma calma.
Tony inspirò a fondo, optando per
entrare. Si socchiuse la porta alle spalle, camminando nel buio.
*THUD* – “Uhg!” sibilò, dopo
aver centrato in piena il margine del letto con la tibia – e sì che
quella stanza era enorme, ci voleva impegno.
“Ti sei fatto male?” fece la donna,
con il tono ancora rintronato dal sonno.
“Dove diavolo sei?” chiese lui,
massaggiandosi la parte lesa. “Chi ha messo qui il letto?”
Pepper si sporse per accendere la
luce – acciecando Tony, che strizzò le palpebre. “Fammi vedere –” fece lei, alzandosi.
Ovviamente nessuno aveva spostato nulla – negli ultimi
dieci mesi, per lo meno. Evidentemente Tony era in uno stato mentale tale da
fargli dimenticare gli avvenimenti dell’ultimo anno, o qualcosa del genere. Ad
ogni modo, ora la memoria gli era ben che tornata.
“Non è niente” mugugnò l’uomo, mentre Pepper,
scalza, gli si avvicinava.
“Sei sporco di grasso.” Fu la
risposta dell’altra.
“Ero in laboratorio.” Disse lui, rizzando la schiena.
“Taverna.” Lo corresse la donna.
“Quel che è.” Fece spallucce.
Rimasero in piedi, l’uno di fronte all’altra, a guardarsi.
Dopo un po’ Tony iniziò a provare disagio, dato che
quella non gli scollava gli occhi di dosso – ed aveva un’espressione
contemplativa che faceva trasparire una certa pena: cosa per lui
incomprensibile, data la situazione.
“Bene, vado a lavarmi.”
“Decisamente.”
“Se mi lasci andare, ci vado.”
“Non mi pare di starti impedendo nulla, Tony.” Pepper incrociò le braccia, poggiando il peso su di un
fianco.
No, certo, fisicamente
non gli stava impedendo nulla – figurarsi.
Fisicamente.
Tony levò lo sguardo al cielo, roteando poi il capo.
“Cosa facevi – ?” le domandò,
con lo stesso tono di un bambino costretto a chiedere scusa ma tutto vuole fare
tranne che quello.
“Dormivo.”
Tornò a guardarla, con un sorriso scettico. “Prestino, per
dormire.”
“Tu cosa facevi?”
“Io armeggio, donna.”
“Armeggio.” Ripeté
lei, seccata. Non certo per quella parola, ma per quel ‘donna’
buttato lì, giusto per infierire. “Tony, posso ricordarti che conviviamo, e che non sono una di quelle ragazze da una – macché, mezza – notte?”
“Certo che lo so.”
“Non mi sembra.”
“Posso andarmi a lavare, adesso?”fece per muoversi, ma lei lo
richiamò non appena voltatele le spalle.
“Tony!”
“Prenderò nota del fatto che ti piacciono gli uomini unti e
sudati.” Disse lui, girandosi.
Pepper trattenne un sorriso.
“Tony, mi hai abbandonata per tutto il giorno.”
Lui inarcò le sopracciglia. “Beh, vale lo stesso per te
– ti pare?”
“No che non mi
pare –”
“– ah, già, eri venuta ma poi hai cambiato idea.”
“– … almeno io ho provato a farmi vedere.”
“Fallendo.” Il volto gli si era indurito, e quest’ultima risposta
era uscita tagliente dalle sue labbra.
Pepper accusò il colpo,
scrutandolo attonita.
“Che stronzo.” Fece lei, voltandogli le spalle.
“Io?”
“Tu! Nemmeno il coraggio di chiedere mezza
scusa!” esplose, camminando a grandi passi verso la porta.
“Io? Ma se neanche lo sapevo che rischiavo di metterti
incinta, Pepper!”
“Sei un idiota!” gridò la donna, sulle scale.
Tony rimase per qualche istante immobile, gli occhi puntati
sulla porta, a fissare il nulla.
Decise poi di andare a farsi la doccia.
Aprì di colpo gli occhi, sveglio e
sconsideratamente lucido. Una fastidiosa sensazione d’ansia lo appesantiva, come
immobilizzandolo nel letto. A fatica voltò il capo verso la sveglia, che
segnava le tre del mattino. Regnava il silenzio.
Come sotto l’effetto di venti caffè si mise di scatto a
sedere: fu quello l’istante in cui si rese conto che suddetto silenzio era
dovuto all’assenza del calmo e leggero respiro di Pepper.
“Pepper?”
Chiese, al nulla.
La sua parte di letto era vuota, le lenzuola ancora
rimboccate.
“Pepper!” la chiamò, scendendo dal
letto. Aprì la porta, andando a cercarla sul ballatoio del secondo piano: il
buio avvolgeva la casa. Scese le scale passandosi una mano sul volto, mentre
cercava di riassemblare idee e ricordi.
Dunque, avevano litigato. Normale.
Pepper era – oh, Cristo, Pepper era incinta!
Anormale, MOLTO anormale!
“Jarvis!” chiamò, a metà della
rampa. “Dov’è Pepper?”
“Nella taverna, signore.” Rispose
il software.
“Nella taverna?!”
Per oscuri motivi l’immagine che gli
si materializzò in mente fu quella di Pepper, pervasa
dalla sua furia di quand’ancora subiva gli effetti dell’Extremis, intenta a
distruggere ogni sua (di Tony) singola creazione e non. Una scena orribile.
“Cosa diamine ci fa in taverna!?”
ribadì, andando a prendere la seconda rampa di scale, verso il seminterrato.
“Al momento dorme, signore.”
“Sì, ma prima?”
“Non saprei, signore.”
“Non registri tutto, tu?!” ormai
era quasi arrivato.
“Mi ha disattivato, signore.”
Temeva seriamente per il peggio.
Ciò nonostante, la situazione che trovò in taverna era
perfettamente normale. Ogni oggetto era al suo posto.
Tony poté concedersi un sospiro di
sollievo.
Prese a cercare la donna, chiedendosi dove potesse essere
finita a dormire – considerato che la ‘taverna’
era invasa da macchine, motori, oggetti, strumenti, bracci robotici Ferrovechio incluso. La trovò nel posto più probabile e
contemporaneamente improbabile che si potesse immaginare: accoccolata sul
sedile del passeggiero della Ford Flathead Roadster.
Se fosse stata cosa studiata o sola casualità, non era dato sapere: ad ogni
modo la scena smosse a sufficienza l’animo di Tony per farlo avvicinare alla
macchina e, tentando di non fare troppo rumore, sedere accanto alla donna, al
posto del conducente.
Il tutto, sempre, in mutande: un dato non trascurabile, visto che la pelle non coperta dai boxer gli si appiccicava
a quella del sedile – una cosa piuttosto fastidiosa.
“Dove stiamo andando?” chiese, poggiando la mandritta sul
cambio e l’altra sul volante, lo sguardo diretto verso il parabrezza.
Pepper schiuse gli occhi,
guardandolo con fare assonnatamente interrogativo.
“New York?” propose Tony, voltandosi verso di lei. “Dicono
che sia bella in questo periodo.”
“Che ora è?” domandò l’altra, cercando di svegliarsi.
“A New York? Le sei.”
“Che cosa fai qui?” continuò lei, cercando di mettersi a
sedere composta.
“Cosa faitu nella Ford.” Gli rimbalzò la domanda
l’altro, fissandola.
Pepper strizzò gli occhi un paio di volte, ispirando profondamente.
Tony staccò la mano dal volante, spalmandosi sul sedile.
Girò giusto la testa per poter guardare Pepper negli occhi.
Rimasero in silenzio, finché Tony non ebbe la prima idea
intelligente da ventiquattr’ore a quella parte.
“Scusa.”
Pepperlo
guardò, senza sapere se valesse la pena essere stupita o se, come spesso
avveniva, il discorso di Tony sarebbe continuato per vie tali da farla pentire
d’aver anche solo sperato in un minimo di ragionevolezza da parte sua.
“Mi sono comportato da idiota.”
Sconvolgente, stava succedendo davvero. Pepper si concesse di sollevare
millimetricamente le sopracciglia.
“Adesso, però…” continuò lui, iniziando già a farle temere
d’aver sperato troppo “potremmo parlarne da persone… ok – per me è una
parola grossa, ma – mature?”
Pepper schiuse le labbra,
sconcertata.
Quello, oltre ogni aspettativa,
andò avanti: “Senti, non voglio costringerti a fare nulla, va bene?”
La donna stava per sciogliersi.
“Cerca solo di chiarirti le idee, e poi… lo sai che posso
fare qualunque cosa.”
Pepper sorrise: “No che non puoi
–” mormorò, scettica “– non penso sapresti gestire un bambino.”
“Nutri sempre una grande fiducia in me.” Commentò,
sarcastico. “Guarda Jarvis com’è venuto su bene
– Jarvis?”
“Sì, signore.”
“Dì a Pepper come ti ho programmato
bene,Jarvis.”
“Sufficientemente bene, signore.” Rispose il software.
“Sufficientemente?
MUTO. – Non lo ascoltare, deve essersi preso qualche virus. Un bel
brodino e gli passa, domani lo sistemo.”
Pepper si era messa a ridere
sommessamente, quasi fosse che la risata in sé stentasse ad
uscire.
“Sei un cretino, Tony.” Finalmente un
insulto affettuoso: quello sorrise, facendo scivolare la mano dal cambio alla
gamba di Pepper.
La donna inspirò profondamente, scuotendo poi leggermente la
testa.
“Era un falso positivo.”
Tony sgranò gli occhi, le rughe sulla fronte che gli si ammassavano l’una sull’altra.
A quella notizia Tony non aveva propriamente reagito: si era
limitato a restarci di sasso. Nella sua mente riecheggiava il vuoto, incapace
di formulare pensieri compiuti.
Dopo il primo minuto di espressione basita, Pepper decise che era abbastanza e tornò a guardare verso
il parabrezza, eludendo lo sguardo di Tony.
Rimasero in silenzio a lungo: cinque minuti dopo erano
ancora lì – ora entrambi intenti a fissare il parabrezza, Tony con la
mano ancora appoggiata sulla gamba di Pepper.
Evidentemente tutti e due avevano
un po’ di cose su cui riflettere.
Pepper posò la sua mano su quella
di Tony, carezzandogli dolcemente le dita.
“In effetti sarei stato un pessimo
padre.” Disse quello, rompendo il silenzio.
“Sì, parecchio.” Assentì lei.
“Considerato poi il mio
di padre…”
“Non ci sarebbe stata speranza.” Concordò.
“Pensa poi se fosse stata una femmina…”
“Mio dio, ogni sera a chiedersi se è ancora viva…” al solo
pensiero Pepper percepiva l’ansia generata da una
situazione del genere.
“… o se è finita in un brutto giro…”
“… dubbi eterni sulla sua verginità…”
“… a diciotto anni avrebbe potuto iniziare a uscire con
gente come me.”
“Non le avrei permesso di fare i miei stessi errori, non ti
preoccupare.”
Tony si voltò verso la donna, offeso: “Cosa, scusa?”
“Sei tu che hai iniziato –” fece lei, abbozzando un
sorriso.
“E un maschio?” domandò poi lui, sinceramente spaventato
all’idea. “Io da piccolo ero una creatura infernale.”
“Ah, non c’è dubbio. Tuo padre doveva essere un santo, per
sopportarti.”
“Ma se hai appena detto che mio padre era una pessima premessa alla mia paternità – !”
“Tu l’hai detto.”
specificò quella.
“Ma tu mi hai sostenuto!”
Pepper sfiatò, spostando lo
sguardo fuori dal finestrino.
“Per non parlare di quanto bisognerebbe spendere per mettere
in sicurezza questa casa…” continuò, guardando Ferrovecchio.
“Basta non lasciarli entrare in taverna.” Rispose lui, con
ovvietà.
“Oh, certo
–” Pepper tornò a guardare Tony “– perché
tu non sei mai entrato nei laboratori di tuo padre!”
Tony stirò il margine di un labbro: touché.
“E poi –” continuò lui, avvicinando il volto a quello
di Pepper. “Sarei stato follemente geloso.”
“Ah… geloso di un bambino?”
“I bambini rubano le madri ai padri – mai sentito
parlare del complesso di Edipo?”
“Allora hai ragione a temerlo.”
Pepper si avvicinò quel poco di
più che bastava per posare le labbra su quelle di Tony.
“Sono geloso al solo pensiero.” Sussurrò lui, prima di prenderla tra le braccia per un bacio, finalmente, serio.
Sorrise, gaudente, pronto a pregustare il fantastico sesso
post-litigio che li attendeva.
Fece per andare a sbottonarle la camicetta, ma di colpo si
fermò.
Aggrottò le sopracciglia, ristabilendo un profondo contatto
visivo con la donna.
Lei si fece interrogativa.
“Tu pensi che io sia davvero così superficiale..?” disse, secco.
“Eh?” questa non se l’aspettava. “Ma – no – un po’ –” si lasciò sfuggire,
“Perché?”
“So perché sei
qui.”
“Non ti seguo, Tony…”
“Sei triste.”
“Sono triste perché…?”
“Tu sei terrorizzata all’idea di un figlio perché io sarei un pessimo padre.”
“Non stavamo per fare sesso post-litigio?”
chiese lei, quasi scocciata.
“Matu?”
“Tony?”
“Pepper, saresti un’ottima madre.”
“Smettila, stai dicendo cose a caso.”
“Cose a caso? Guarda che hai fatto da madre anche a me, in
fin dei conti. So quanto sei brava.”
“Questo non ti fa onore, lo sai?”
“Pepper, tu non volevi abortire.””
“Il problema non si pone più, te lo ricordi?”
Tony sorrise sghembo. “Sì, invece.”
Quel sorriso non le piaceva.
O forse sì?
“Non ho preservativi in questa macchina.”
“Ok… quindi?”
“Vuoi che li vada a prendere?” fece lui, in tono di sfida.
Pepper ammutolì.
La tensione rimaneva lì, dov’era. Bella palpabile. Di quelle
che ti fanno svegliare il giorno dopo felice e contento. O felice e contenta.
“Beh, lo prendo per un no.”
Tony riprese a baciarla, sbottonando – a fatica
– la dannata camicetta.
“Aspetta…”
“No, ormai è andata – decisione presa.” Stava ancora
litigando con l’ultimo bottoncino, e rischiava che quel momento di stallo
riuscisse a far cambiare idea alla donna. Certo non s’aspettava
un concepimento immediato – anche se l’idea che fosse avvenuto nella Ford
era epica – ma in genere, una
volta superato il primo gradino… optò per staccare il bottone con un colpo
secco, non aveva tempo.
“Facciamo un bambino.” mormorò lì Pepper,
con inaspettata convinzione.
“Fantastico –”
“Sì, un fantastico bambino –”
“Facciamo un bambino –” continuò Tony, lanciando via i
boxer “E poi romperò l’anima a quelli
della ricerca perché si inventino una pillola che non
faccia… venire… gli i…”
Tony si abbassò gli occhiali protettivi sul volto,
controllando con interesse la punta del saldatore – che aveva portato
ditta davanti al suo naso.
Si rigirò lo strumento tra le mani, soppesandolo, finché non
si voltò di scatto, intento a perlustrare con lo sguardo il panorama del
laboratorio. Taverna. Quello,
insomma.
L’ambiente era cambiato un po’, negli ultimi anni: la
maggior parte delle mensole e dei mobili era stata portata in alto, assieme a
ripiani e prese della corrente. Pepper lo aveva
obbligato a usare scatole porta attrezzi con chiusure cifrate, complicate e
resistenti. Come se questo avesse potuto fermare Adam.
Beh, per ora lo faceva. Ma era
questione di tempo.
Considerato che poi era Tony stesso
il primo a mettere le chiavi inglesi in mano al bambino…
Quello, comunque, non era uno di quei momenti. Era uno degli altri
momenti. E, dovendo stilare una classifica, non avrebbe saputo quale delle due
categorie collocare al primo posto.
“Dunque…” disse, serio, iniziando a
camminare. “Mi è stato detto –” dette due colpi di tosse, per poi
ricominciare: “Mi è stato detto –” aveva
abbassato notevolmente la tonalità della voce “– che hai appena sfornato
una di quelle invenzioni rivoluzionarie…”
Gironzolando a passi lenti per la taverna, si batteva il
corpo del saldatore sulla spalla, lentamente, la mano stretta sul manico. “Mi
sa proprio che dovrò rubartela, Stark…”
Si fermò, vigile. “O forse mi conviene ucciderti, cara la mia gallinella dalle uova d’oro?”
Aggrottò le sopracciglia, leggermente perplesso.
“Stark!” riprese, alzando il volume della
voce, “Non nasconderti!”
Non ebbe tempo di finire la frase che un urlo acuto e
infantile lo fece girare verso la direzione giusta.
“Non puoi fermare Iron Man!”
Adam gli si avventò contro con
tutto il suo peso, il casco di Mark 42 in testa. Beh, non era il casco, era uncasco. In miniatura. Un giocattolo.
Il fatto che tale casco funzionasse era un dettaglio che
valeva la pena omettere. A Pepper, almeno. Occhio non
vede…
Tony schivò il bambino di poco, levando in alto la mano in
cui serrava il saldatore.
“Fatti sotto, Stane!” urlò il
bambino, ripartendo alla carica. Tony lo schivò di nuovo, afferrandolo per la
collottola e sollevandolo a forza per la maglietta – rossa e gialla, se
non si fosse capito. Una serie di led ne illuminavano
il disegno centrale: anche quelli li aveva montati Tony – non che ci
volesse molto. La maglietta no, faceva parte di un set
di merchandising. In Cina Iron
Man andava ancora parecchio.
“Sei finito, Stark.” Recitò Tony,
puntando a distanza di sicurezza il saldatore – ovviamente spento –
verso la tempia del figlio.
“Signor Stark…” questa era la voce
di Jarvis. “Sua moglie è in avvici
–” “Tony!”
“Jarvis, hai i riflessi un po’
lenti, ultimamente –” commentò Tony, appoggiando il bambino per terra.
“Tony!”
Si voltò verso la porta, totalmente dimentico dell’oggetto
che teneva in mano.
Il volto di Pepper era sconvolto.
“Cosa
stai facendo?”
“Nien – *UGH*”
“Adam!”
In effetti negli ultimi tempi Adam
era cresciuto parecchio: una cosa da valutare, nel momento in cui un bambino ti
carica. Tony si aspettava al più il peso di un cane, e invece si ritrovò
investito dalla foga di un cinghiale. Colto totalmente di sorpresa – ed incapace di contrastare il colpo – perse
l’equilibrio, iniziando a cadere all’indietro.
Adam, che aveva usato tutta la sua massa per riuscire a
sbilanciare il padre, era completamente fuori controllo: dapprima gli ruzzolò addosso, per poi prendere un’altra direzione.
Tony – sotto lo sguardo terrorizzato di Pepper – lasciò cadere il saldatore per terra e si
gettò addosso al figlio, afferrandolo e stringendolo al petto.
Ci fu una serie di rumori metallici, cose che cadevano,
clangori e urla – di Adam e Pepper.
Quest’ultima, non appena vide i due fermi per terra, corse
loro incontro – insultando violentemente Tony. Tali insulti non verranno qui riportati, ma si sappia che dopo questa
esperienza il vocabolario di Adam ne uscì notevolmente ampliato.
L’uomo era ranicchiato, il figlio
stretto tra le braccia, ricurvo sopra di lui per fargli da scudo umano. Cosa
che effettivamente aveva funzionato – sentiva un certo dolore lungo tutta
la schiena.
Quel giorno Pepper inaugurò la
doppia sberla: una per Tony e una per Adam –
data però a Tony.
“Ahia! –” protestò quello,
che già sentiva i segni rossi delle dita comparire sul volto.“ – perché?!”
Pepper tirò su Adam, togliendogli
il casco. “Ti sei fatto male?”
Adam fece di no con la testa, impaurito: la
donna esalò un po’ della sua vita, sfiatando.
“Quante volte ti ho detto di non giocare qui?” fece, dura.
“Ma ero con pa
–”
“Quante volte ti ho
detto di non giocare con papà?”
Tony sgranò gli occhi, cercando di rimettersi in piedi.
“Davvero glielo hai detto?” chiese, sconvolto.
“Certo! Ma ti sei visto? Avevi un saldatore in
mano!”
“Ma era spento!”
“E se lo colpivi?! Ma tu sei
completamente fuori di testa!”
Tony, passandosi la mano sulla schiena indolenzita, mugugnò
qualcosa di incomprensibile. “Come se fosse una
novità” – ecco cosa stava dicendo. E Pepper lo
sapeva benissimo.
“Avete sfasciato tutto!”
“Dai, si ripara…”
“Oh, hai intenzione di ripararti
da solo?”
“Non sarebbe la prima volta che…” a quel punto Tony si
guardò la mano: era ricoperta di sangue. “Dannazione…” Si voltò, osservando il
disastro che avevano combinato: in effetti, era caduto
dritto dritto su Ferrovecchio.
“Sapevo che era colpa sua.”
Grugnì, chinandosi a raccogliere l’oggetto. “Forza, rimettiti su – sei
sempre fra i piedi, stupido affare.”
Pepper, intanto, stava
perlustrando il corpo di Adam alla ricerca di ferite.
Ferrovecchio non rispondeva, palesemente rotto. “Haah – adesso mi tocca pure ripararlo. Perché era qui?!”
“Lo ha posizionato lei, Signore.” Rispose diligentemente Jarvis.
“E perché?”
“Per aiutarla con le sospensioni X-31bis12.” Una delle
infinite cose a cui lavorava – l’apertura della StarkMotors era ormai prossima.
“Come se Ferrovecchio mi potesse mai aiutare. Pepper, mi dai
una mano?”
“No.” Rispose secca la donna.
Tony sospirò, sfibrato.
“A quanto pare siamo rimasti solo io e te,
Jarvis.”
“Sì, signore.”
Pepper aveva trascinato Adam due
piani di sopra, in camera sua – e, facendo due conti, la ramanzina sarebbe
durata parecchio.
“Forza, vediamo di riparare questo
affare.”
“Signore, forse sarebbe il caso di riparare prima lei.” sottolineò Jarvis.
Tony sbuffò, schioccando la lingua sul palato. Si tolse la
maglietta, appallottolandola e buttandola in un angolo. Si distese quindi sul
tavolo da lavoro, puntellandosi sui gomiti e porgendo la schiena al soffitto.
“Scansiona.”
Jarvis procedette.
“Signore, il taglio è superficiale, ma la perdita di sangue
cospicua a causa della dimensione. Considerata l’età –”
“Considerato cosa?”
abbaiò Tony, offeso.
“Signore, se non trattata con la massima cura, c’è
un’elevata probabilità che la cicatrice rimanga visibile.”
“Quanto è profonda?”
“Poco, Signore.”
“Quantifica, Jarvis – sei un
software, fai il tuo lavoro.”
“0,41 millimetri, signore. Più o meno
0,005.”
“Quindinon ha bisogno di punti.”
“No, signore, ma vi sono molti prodotti farmaceutici –”
“Disinfetta, copri e impara a farti gli affari tuoi, Jarvis. Quando ti chiederò un
consulto medico potrai dire la tua – cioè mai.”
Jarvis eseguì i comandi,
applicando con i vari bracci robotici il disinfettante e una striscia di garza
adesiva.
“Fatto, signore.”
Tony balzò giù dal tavolo, inspirando profondamente. Si
sgranchì le spalle, facendole ruotare in sede, e stese i muscoli del collo
inclinandolo da una parte e dall’altra. “Adesso –” fece, strofinandosi le
mani ed andando a prendere una lunga serie di cassette
per gli attrezzi “Vediamo di riparare questo stupido Ferrovecchio.”
“Signore, è a torso nudo.”
“E quindi?” chiese quello, iniziando ad aprire le cassette e
a disporre sul tavolo gli strumenti.
“Signore –”
“Prova a dire di nuovo qualcosa riguardo la mia età e potresti fare la sua stessa fine.”
“Come desidera, Signore.”
“Chiudi l’accesso alla taverna ad Adam – sia mai che
decida che disobbedire a sua madre sia una buona idea.”
“Già fatto, signore.”
“Musica.”
Sei ore dopo
Tony non si era ancora fatto vedere.
Jarvis sosteneva che lavorasse, ma
alle dieci di sera – Adam bell’e addormentato – Pepper
decise di controllare di persona.
Dalla porta insonorizzata si riusciva a sentire la musica da
lavoro di Tony: evidentemente si era messo ad armeggiare sui suoi pezzi di
prototipo, e – al solito – aveva perso la cognizione del tempo.
Aprì la porta chiamandolo: “Tony!”
La musica era decisamente forte. “Jarvis, puoi abbassare, per favore? Tony!”
Jarvis eseguì. Tony, a torso nudo
e con una striscia di garza incollata sopra la ferita che si era procurato quel
pomeriggio, era flesso sul tavolo dove giaceva Ferrovecchio.
“Tony – ancora non l’hai riparato?”
“Vai pure a cenare,Pepper. È solo un po’ più lunga del
previsto.”
“Tony, sono le dieci.”
Quello si rimise dritto in piedi. Aggrottò le sopracciglia,
guardandola perplesso: “Le dieci?”
“Sì. Adam dorme, e tu dovresti mangiare.”
“Meglio di no, ultimamente sto ingrassando.” Fece lui,
voltandosi verso un monitor. Fece scivolare via un paio di schermate e si fermò
a fissare una lunga serie di dati.
Pepper sospirò, scuotendo la
testa. “Io torno su a controllare le mail. Domani mattina dobbiamo
andare al CdA, ricordatelo.”
“Certo che mi ricordo del CdA. Ti
raggiungo fra un attimo, questione di dieci minuti.”
“Va bene…”
A mezzanotte Tony non era ancora salito in camera. Certo,
fosse stato per lui poteva dormire anche solo tre ore, ma poi era lei a pagarne le conseguenze.
Peppersi infilò
la vestaglia di seta e scese verso la taverna.
“Jarvis, cosa sta facendo?”
chiese, ancora sulle scale.
“Medita, signora Stark.”
“Medita…” ripeté lei, a bassa voce, terminando l’ultima
rampa. Una volta davanti alla porta, notò che non ne usciva più musica. O Tony
non aveva rialzato il volume una volta che lei se n’era andata dalla taverna
(improbabile) o Jarvis aveva ragione, stava meditando.
Aprì la porta giusto quel po’ che
le consentisse di vedere all’interno.
Di musica, nessuna traccia: regnava il silenzio. Tony
– ancora a torso nudo – era spaparanzato sulla sedia, intento a
rigirarsi un bicchiere di vetro in mano. Il contenuto, ambrato, era intuibile.
“Tony, è mezzanotte.” Fece lei, entrando. Si risparmiò il
tono d’ammonizione, facendosi invece un po’ preoccupata. Si avvicinò a lui,
cercando di capire cosa lo avesse portato in quella situazione.
“Lo so.” Rispose lui, senza rivolgerle lo sguardo.
Pepperlo affiancò,
guardando nella sua stessa direzione: fissava il tavolo dove giaceva
Ferrovecchio. Iniziò a farsi un’idea di cosa stava succedendo.
“Non riesci a ripararlo?” chiese, dolcemente.
“Tutto si può riparare.” Mormorò lui, portandosi il
bicchiere alle labbra. Bevve un sorso, inspirando poi profondamente. “Ma lui è andato.”
Pepper si flesse sulle ginocchia,
accanto alla sedia di Tony. “Cioè?”
“Aveva una piccola rete neurale indipendente. Nella caduta
devo aver strappato qualche cavo – quello sbagliato, evidentemente – che ha generato un sovraccarico. I
pesi della rete sono completamente sconfigurati.”
“E non li puoi riconfigurare.” A furia di lavorare con Tony,
sia come assistente che come amante, aveva imparato
almeno i fondamentali.
“Non come erano prima. La sua memoria è andata.”
“Mi spiace, Tony.”
“Posso azzerarlo, le componenti
Hardware le ho riparate – ma non faccio un backup da… beh, da prima di Iron Man.”
“Immagino avessi altre preoccupazioni, all’epoca.”
Tony abbozzò un sorriso storto.
“Aveva imparato a fare piccole riparazioni all’armatura
– male, ma le faceva. È tutto
perso. Probabilmente se lo avvio adesso inizierà a
fare dei movimenti improbabili.”
“Vuoi che ti lasci solo?” sussurrò la donna, continuando a
fissare, assieme a Tony, Ferrovecchio.
“Mi sento molto stupido.”
“Non ti preoccupare, lo sei anche quando non piangi un
automa che è stato assieme a te per decenni.”
“Pepper…” continuò, appoggiando il mento su una mano,
ricurvo in avanti “Ho paura per Jarvis.”
Quella stirò le labbra in un sorriso, alzandosi e portandosi
di fronte a lui.
“E per me e per Adam no?”
Tony levò lo sguardo, senza alzare di troppo il capo. Solo
dopo aver indugiato per qualche istante alzò il mento, gli avambracci poggiati
sulle ginocchia. “Sai perfettamente
quanto sia terrorizzato all’idea.”
No, in effetti non serviva
ripeterlo. Si era visto, più e più volte.
“Ma loro…” scuotendo la testa,
tornò a guardare l’ormai cadavere di Ferrovecchio. “Sono macchine, io riparo
queste cose. Dio, ho riparato te!”aggiunse,
indicandola. Pepper sorrise, scuotendo il capo.
“Non ci ho mai lontanamente pensato –”continuò lui “
– per me Jarvis e Ferrovecchio sono sempre
stati esseri immortali. Stupidi, poco esseri, ma immortali.”
Pepper gli prese la testa fra le
mani, passandogli le dita tra i capelli.
Doveva lavarseli, pensò.
E domani avevano una riunione all’alba.
“Nulla è immortale, Tony. Nemmeno gli asgardiani – lo
sai.”
Tony socchiuse gli occhi, lasciandosi cullare dalla donna.
Era una delle rare volte in cui, come meccanico, falliva.
Questa volta faceva anche male.
…Ferrovecchio
se ne andò.
Scusate per l’eccessiva produzione, mi rendo conto di
stare esagerando XD
Alla tenera età di otto anni Adam Howard Stark
sembrava aver ereditato ogni singola attitudine del padre –
dall’intelligenza mostruosa allo charme, in particolare influenzato sull’altro
sesso. A scuola era effettivamente circondato da bambine, cui mostrava
improbabili giochetti imparati da – indovinate chi? Fra questi vi era la
costruzione sul posto di piccoli droni e la riparazione di qualunque
apparecchio elettronico i loro compagni gli porgessero. Agli altri maschietti
il fatto che fosse un farfallone non sembrava dare fastidio, presumibilmente
per la giovane età – anzi: Adam era il leader indiscusso della classe.
Delle classi. Di tutta la scuola.
E se gli girava di fare qualcosa che richiedesse più di due
mani, potete stare tranquilli che qualunque bambino era disposto ad amputarsene
una per lui.
Ovviamente, Adam era un genio. Tony questo lo sapeva –
e gongolava dalla mattina alla sera all’idea di cosa avrebbe potuto fare suo
figlio una volta raggiunti i quindici anni – età
in cui lui aveva iniziato
l’università al MIT.
In tutta questa storia c’era solo una piccola – ma
fastidiosissima – nota stonata: la pagella
di Adam.
Pepper si era limitata a lasciarla
sul tavolo da lavoro della taverna, troppo sfibrata per affrontare
di petto la questione con Tony – il quale, in queste occasioni, si
dimostrava altamente incapace di ragionare razionalmente. Tra l’altro –
si ripeteva – lei era incinta e
lui si era preso un determinato tipo di impegno per quel che riguardava questa gravidanza: quindi
no, non aveva assolutamente voglia di discuterne. Si limitò ad andare a
stendersi sul letto, godendo di quel po’ di silenzio
che per ora regnava in casa.
“Di nuovo?”
La pace era durata poco. Già mezz’ora dopo essersi stesa
aveva sentito i passi di Tony che, di corsa, saliva le scale – fino ad irrompere in camera, pronunciando con tono fra lo
scandalizzato e l’adirato la frase di cui sopra.
Pepper cercò di rigirarsi nel
letto – cosa che la pancia, ormai, le impediva.
“Tony – ” mormorò, posandosi il dorso di una mano
sugli occhi “– stavo dormendo…”
Quello, nel frattempo, era andato a sedersi sul letto,
accanto a lei: si lasciò cadere sul materasso, che grazie al cielo non aveva le molle – cosa che impedì a Pepper
di sobbalzare.
“Ma guarda che schifo!” fece lui, indicando la pagella che
teneva aperta in mano con tanta violenza da darle praticamente
una sberla. “B meno?!
Non dovrebbero nemmeno sognarsi di dare questi voti alle elementari – figuriamoci a lui!”
“Sono le migliori scuole elementari della contea… questo
significa che danno voti bassi, Tony.”
“Come fa un bambino che sa programmare in assembler ad
avere B+ in matematica?!”
“Tony…”
“Ma questa gente non ha la più
pallida idea di che cosa sia un giudizio! Si rendono conto di chi hanno davanti?!”
“Stai diventando irritante, Tony.”
“Io? Loro! A- inscienze. Con quei progetti! E non mi vengano a dire che glieli ho fattiio, lo
vedono ogni giorno trafficare su qualcosa.”
“Sai –” fece Pepper,
mettendosi semi-seduta, puntellata sui gomiti “– forse è
per questo che finisce ad
avere voti bassi. Fa altro.”
“Si annoia.”
La donna roteò gli occhi, sconfortata. Tony era
irrecuperabile.
Almeno Adam se ne fregava, della pagella. Così poteva
metterlo in punizione. Ma poi arrivava Tony a disfare
tutto… ed erano da capo.
L’uomo si alzò, senza preavviso, e si avviò con decisione
verso la porta.
“Tony – dove vai?” chiese lei, preoccupata dal gesto.
“A parlare con gli insegnanti.”
Oh, no.
“TONY!”
Pepper riuscì a stento a
rincorrerlo – considerato il pancione in crescita – fermandolo
prima che potesse mettere in moto la macchina.
“Non provarci!” fece lei, praticamente
parandosi davanti al cofano. Tony fece capolino dal finestrino, guardandola da
dietro gli occhiali da sole.
“Non volevi un marito moderno e responsabile che si cura di
cosa combinano i figli?” domandò, retorico.
Pepper sbuffò.
“Non è questo il
modo. Scendi dalla macchina, non troverai nessuno a quest’ora.”
Quello levò le sopracciglia: “Ah,
no? Allora perché mi hai inseguito fin qua ad
impedirmi di partire?”
Ops.
“Va bene – forse
potresti rischiare di trovare qualcuno… la pagella è arrivata stamattina, abbiamo tempo per ragionarci sopra.”
“Io sono una persona impulsiva, lo sai.” Fece notare lui, premendo
il pulsante d’accensione.
“Appunto – e
spegni quel motore, lo scarico fa
male alla bambina!”
Tony spense il motore, altamente
sensibile sull’argomento. Pepper sapeva usare le sue
armi.
“Quando ne parliamo, quindi?”
Ne parlarono quella sera: Pepper
passò il resto del pomeriggio a controllare, una volta che il bambino fu tornato
a casa dalla scuola, il comportamento di Tony nei suoi confronti. Avesse detto
mezza parola sulla pagella e, peggio ancora, sul fatto che fosse sbagliata, lo avrebbe ucciso. La sua
strategia fu di spedire l’uno in taverna e l’altro in giardino, sperando che si
distraessero entrambi.
Alle undici riuscirono finalmente a
sedersi sul divano della hall, l’uno con un calice di vino, l’altra con una
tazza di infuso.
Rimasero in silenzio per lungo tempo, osservando l’oceano
dalla parete vetrata.
“Tony?” iniziò, infine, Pepper.
Quello rispose con un “Mh.”, senza
nemmeno scostare lo sguardo dall’acqua.
“Ci sono già andata a parlare l’anno scorso, è inutile che
ci torni tu.”
“Mh.” Portò il calice di bianco
alle labbra, sorseggiandone un po’. Era piacevolmente fresco
e leggermente liquoroso. L’ideale, per quell’ora. “Com’è che avevi
detto, all’epoca?” si chiese, retorico. “Controproducente.”
“Neanche lontanamente in grado…”
“Un disastro.”
“Non ti sto criticando, Tony.”
“– ma è meglio che non veda gli insegnanti.” Concluse lui per lei.
Sembrava starla prendendo sportivamente, in fin dei conti.
“Tu che voti avevi in pagella, da piccolo?” domanda stupida.
“Io non sapevo che esistesse la B, da piccolo. Mi limitavo a contare i più.”
“E tuo padre?”
“Perché tiri sempre
fuori mio padre?!”
sbuffò, scocciato, posando il calice sul tavolino.
Pepper sorrise, divertita.
“Mio padre faceva spallucce –”continuò lui, sommesso “– e
mi metteva qualche nuova chiave in mano. In seconda elementare ebbi accesso al
saldatore.”
“Era un premio?”
“Eh?” lui aggrottò le sopracciglia, guardandola perplesso.
“No. Era solo un modo per complicarmi ulteriormente la vita in laboratorio
– lo faceva ogni mese, praticamente. Non mi dava
il tempo di imparare a fare bene una cosa che mi costringeva a farne altre sei,
dieci volte più complicate.”
“Ti costringeva.” rimarcò
Pepper.
“Che poi io mi divertissi era un dettaglio.”
“Non ti eri riappacificato con tuo padre, dopo essere
riuscito a sintetizzare il suo nuovo elemento chimico?” chiese lei, retorica.
“Come faccio a riappacificarmici se ogni volta che Adam ha
un problema tiri fuori mio padre
– ? neanche fosse stato un granpadre – !” fece lui, scettico. Tornò a prendere
il calice, osservandone concentrato il contenuto; poi se lo
portò nuovamente alle labbra.
“È che ha fatto un bel lavoro.” asserì la donna.
Per poco Tony non sputò il vino.
Con gli occhi sgranati si voltò verso Pepper,
talmente sconvolto da non riuscire a ribattere: sembrava addirittura si stesse
dimenticando di respirare, tanto era lo shock. Probabilmente una bestemmia in
chiesa avrebbe provocato reazioni più sobrie di quella.
“Sotto certi aspetti
–” si corresse rapidamente quella, non volendolo vedere svenire per la
mancata ossigenazione.
Tony sfiatò, felice di essere rientrato nel mondo reale: ora le cose avevano più
senso. Inspirò a pieni polmoni, sospirando.
“Mi hai fatto prendere un colpo – non dire mai più una cosa del genere!”
“Vanitoso come sei? Strano.”
“Amore – adoro i complimenti,
ma quello che hai detto è al di fuori di
ogni grazia di dio. Peraltro, ti stai
contraddicendo – ricordi? Controproducente, un
disastro… ah, ecco: patetico egocentrico
privo di ogni scala di valori…”
“In effetti…”
“Grazie.” Tony
buttò giù gli ultimi due sorsi di vino rimasti, grato a madre natura o chi per
lei di aver rifilato la rottura della gravidanza alle donne. Non aveva idea di
come si potesse sopravvivere per nove mesi senza un goccio d’alcool –
meglio non pensarci.
“Tony, tu lo appoggi troppo.”
Ecco – lo sapeva. Lo aveva distratto per giungere dritta
al punto, esattamente nel momento di maggior scopertura.
“Doveva essere colpa mia, non è vero?” grugnì quello,
accavallando le gambe – caviglia su ginocchio. “Padri di qua, di là
– le madri non c’entrano mai
niente, in tutto questo?”
“Ne riparleremo quando dovrò spiegare a Monica come mettere
un preser –”
“ – COSA?”
“E chi pensi che l’abbia insegnato, a me? Le
suore?”
“Non voglio sapere!”
“Tony, sei ridicolo!”
“Stavamo parlando di Adam,
no? Diamo il tempo all’altra di nascere,
prima di pensare a quando dovrà mett…” no, l’immagine
– macché, l’idea
– era troppo cruda per lui. Si bloccò li, scuotendo la testa. In modo
continuato. Brividi.
“Va bene, signormi impressiono. Adam. Piantala
di idolatrarlo – basta già lui che lo fa con te.”
Questa frase schiarì la mente di Tony, facendolo sorridere
in pieno autocompiacimento.
“Senti, non è colpa di Adam né mia se i suoi insegnanti non sanno riconoscere un genio.”
“Einstein è stato bocciato in quinta elementare.”
“Questa è una leggenda metropolitana – e poi Einstein lavoravaall’ufficio brevetti. Noi Stark siamo di un altro
retaggio.”
“Stai davvero usando la parola retaggio?” chiese lei, sarcastica.
“Sì, in pieno
simbolo della mia riappacificazione
con i miei antenati, va bene?”
Quella si limitò a sorridere. “La cosa
più ridicola di tutta questa faccenda è che tu sottovaluti tuo figlio.”
“Eh?” questa era nuova – di tutte le cose sbagliate
che faceva con Adam, sottovalutarlo
non rientrava nel pacchetto. Sino ad allora.
“Tuo padre ti ha
sempre riempito di sfide e non ti ha mai dato mezza soddisfazione. Tu invece
sei riuscito a compiacerti del fatto che Adam avesse imparato a usare la tazza del water.”
“Ehi – era in largo anticipo sulla media! Vorrei ben
vedere se non c’è da compiacersi, considerato il numero di vasini che ci siamo risparmiati di svuotare!”
“Ci siamo?”
“Li ho svuotati anch’io –”
“– lasciamo perdere. Torniamo
al punto: lui ha già il tuo riconoscimento, e per ora gli basta e gli avanza.
Non ha bisogno di dimostrare niente a nessuno, quindi perché dovrebbe perdere tempo a fare compiti, verifiche, o a fare noiose esposizioni di cose noiose davanti ad una classe noiosa che non capisce niente?”
Tony levò un sopracciglio, aggrottando l’altro.
L’espressione era sospetta. Poi, illuminato, esultò: “Hai perfettamente ragione,Pepper! Adam è troppo avanti, dovrebbe andare già allesuperiori.”
La donna si portò le mani al viso, disperata. Sembrava di
combattere contro i mulini a vento. Tony non coglieva – anzi, stravolgeva
tutto. Capace che fosse riuscita a rinforzare la sua idea che Adam era davvero troppo figo per i bambini della sua età.
Scosse il capo, sconcertata.
Non ce l’avrebbe fatta. Si alzò,
rinunciando.
“Io vado a letto.” Fece, arresa.
“Eh? Perché?”
“Non si può ragionare con te.”
“Che cosa ho detto di male, adesso?!”
“Ti prego – non peggiorare ulteriormente la
situazione. Buona notte, Tony.”
Quello rimase a guardarla salire le scale, basito.
Rimaneva in vigore il divieto di parlare con Adam dei suoi
voti e della sua pagella. Nei due giorni successivi – fra una saldatura e
l’altra, giusto per distendere i nervi – Tony cercava di riflettere su
quella sottospecie di discussione avuta con Pepper
qualche sera prima.
Aveva, comunque, fatto un paio di telefonate – per
mero scopo informativo –
chiedendo delucidazioni su come poter far saltare le classi ad Adam. In tutta
la California non esisteva scuola superiore – pubblica o privata che
fosse – disposta ad accettare un bambino di otto anni. Stranamente le motivazioni di tale
impossibilità includevano sempre parole come pedagogia, crescita sana,
maturazione sociale e via dicendo. In
soldoni: ormai i bambini non andavano a scuola per imparare cose, ma per crescere.
Una cosa che lasciava Tony fortemente
contrariato.
Alla fine decise che, per
una volta, fosse il caso di provare a fare quello che bisognava fare (e non quello
che lui aveva deciso di fare). Così,
tanto per sapere cosa si provasse. In fondo – molto in fondo – ci dovrà ben essere
stato un motivo se tutta quella gente
– educatori, Pepper… – sosteneva una
determinata tesi.
Le due settimane successive furono caratterizzate da un
silenzio indaffarato.
Pepper, dopo un lungo discorso di
Tony riguardo le sue responsabilità – andava alla
grande, ultimamente, sui discorsi in
merito, sebbene altra cosa fossero i fatti
– decise che poteva provare a rilassarsi un po’, sperando che suo marito
avesse finalmente acquisito un minimo di competenze paterne.
Adam non accendeva nemmeno più la televisione, talmente era
preso da… quello che stava facendo.
Finalmente.
Alle due di pomeriggio di un apparentemente tranquillo
martedì, il telefono squillò.
‘Stabilizzatori di volo’, aveva detto il preside
– non mancando di sottolineare le virgolette.
Due
finestre disintegrate, un tavolo bruciato, otto lampade alogene vaporizzate e, ovviamente, tutta la scuola evacuata.
Adam premette con forza il muso sulla porta di vetro che separava il corridoio dall’officina.
“Ma mamma non c’è.”
“Ti ho detto di no.”
Il ragazzino sbuffò, creando un largo alone appannato sul vetro.
“Mi serve per la scuola!”
Sì, certo, come no.
Tony Stark non cadeva per la seconda volta nello stesso trucco.
… terza, ok. Terza volta.
“Non puoi stare qua, mi pare fossimo stati chiari l’ultima volta!”
“Dai, è solo un minuto!” insistette Adam.
Con un rapido gesto stizzito Tony si levò gli occhiali da saldatura, riemergendo dalla scocca su cui stava lavorando.
“NO!” urlò al figlio. “Vattene!” Lo additò “Sparisci! Evapora! Non voglio vederti! Sciò! Addio! Via! Via! Via!”
Un’ultima occhiataccia e ripiombò, quasi letteralmente, nel lavoro.
“Dov’è Adam?”
“Non qui.”
Pepper si fece aprire la porta da Jarvis, su cui oramai Tony aveva rinunciato ad avere qualunque tipo di precedenza. Obbediva a lei, non a lui.
Aveva capito come funzionava la baracca.
“È uscito con gli amici?”
“Cosa ne so io?” protestò Tony, senza scollarsi dal computer.
“Jarvis?”
“Temo di non poter rispondere.”
“Tony.”
L’uomo sbuffò, allontanandosi con una spinta dalla scrivania e poi ruotando sulla sedia girevole. “Dimmi.”
“Non è in camera sua. Non è in bagno, in sala, in cucina – non è da nessuna parte. So che è nascosto da qualche parte qui dentro – non avete fantasia, voi due.”
L’ultima volta Adam era rimasto dentro la F60 per venti buoni minuti, mentre lei lo cercava disperatamente in tutta la casa e già s’immaginava scenari post apocalittici causati dal rapimento del figlio. Tony aveva dovuto farlo uscire quando non era più riuscito ad impedirle di chiamare la polizia.
Le ore che seguirono non furono simpatiche.
“Jarvis.” lo chiamò Tony. “Fai vedere a Pepper che Adam non è qui, per cortesia. Dato che a me non crede.”
Al proiettore 3D comparve una rappresentazione della stanza in infrarosso, che mostrava bene le due figure calde di Tony e Pepper – e null’altro.
La donna non era affatto persuasa.
“Va bene, ok – falle vedere le registrazioni, allora!”
Man mano che il video andava avanti, gli occhi di Pepper si sgranavano sempre più.
“Come ti salta in mente di dire cose del genere a un bambino di tredici anni!? TREDICI!”
In quel preciso istante, ancora intento a massaggiarsi il volto per la sberla ricevuta, Tony iniziò a sentire la resa addosso.
Non ce la poteva fare.
L’inabilità conclamata era una sensazione del tutto nuova.
No.
Si impettì, storcendo le labbra. “Non pensavo che potesse essere così stupido!”
“HAH!” esplose Pepper, istericamente divertita. “Uno Stark in piena pubertà, diciotto brufoli a guancia, sbalzi ormonali – adolescenza, Tony! Significa che è biologicamente idiota!”
“Ma se mi hai detto tu di non farlo più entr –”
“Ok, basta. Lo vado a cercare.”
L’uomo aggrottò le sopracciglia, sfiatando. “No, no – è una questione tra uomini.”
Ah, i deliri di Tony. “Vai a prendere Monica, piuttosto. Ci penso io.”
Quello schiuse le labbra, prese fiato e fece per parlare: ma lo sguardo di Pepper lo fece fermarsi prima di far danno ulteriore.
“Io non capisco.” mugugnò, mentre la moglie girava sui tacchi e se ne andava di gran carriera.
“Tu resterai così per sempre, sappilo.”
Monica si strinse alla sue ginocchia, iniziando a dondolarsi. I boccoli neri se ne andavano da tutte le parti, e, come suo solito, sorrideva.
Tony se la prese in braccio, tuffandosi col naso nei suoi capelli – l’odore dei bambini. Ci aveva messo un po’ a capire esattamente cosa fosse, ma in quel momento gli fu chiaro più che mai: erano anni che Adam non profumava più in quel modo.
Aveva iniziato a puzzare, anzi.
E sì che glielo aveva detto, di usare il deodorante.
Gliene aveva anche comperato uno.
Glielo aveva lasciato sul comodino.
Gli aveva pure fatto vedere come funzionava.
Era l’inizio di un brutto periodo, era ovvio. Doveva farsene una ragione.
“Ti comprerò un sacco di bambole, se non crescerai.”
La bimba ridacchiò, stringendosi al collo del padre. “Vabbene!” squittì.
“E un sacco di vestitini rosa. Ti riempirò un armadio di vestiti rosa, con i pizzi, i merletti…”
“Ma a me non mi piace il rosa.”
“Eh?”
La guardò, giusto per capire se non fosse diventato anche daltonico. Non dicevano che tutte le sfortune tendono ad arrivare insieme?
Monica aveva una felpa rosa abbagliante, pantaloni rosso mattone, scarpe viola striate rosa maiale.
Sì, avevano cercato di spiegarle che quei colori non stavano bene, insieme – ma alla fine vinceva sempre lei. L’importante era che tutto tendesse al rosa.
Almeno, fino a quella mattina.
“Paperina, lo sai che la tua felpa è rosa, vero?”
La bimba annuì con ferrea convinzione. “Sìppapà.”
“Non ti piace più la tua felpa?” chiese, lontanamente preoccupato, mentre scendeva le scale dell’asilo.
“No.”
“E che colore ti piace, adesso?”
“Nero.”
“…”
“Come i capelli.”
“Ah. Come i miei capelli?”
“No. Sono grigi. A me mi piace il n-e-r-o!”
… vabé, almeno così non si sarebbe fatta il periodo dark a sedici anni, no?Avendolo avuto a quattro… Era avanti, lei.
“Va bene. Nero.”
“Nero!”
“Nero.”
“Neee-rooo!”
Quando rientrò in casa, ebbe qualche minuto di serena obnubilazione, durante la quale s’era completamente dimenticato dello sciagurato primogenito. Portò Monica in bagno, e nel tempo in cui la preparava per lavarla qualcosa iniziò a grattargli la coscienza.
Ah, già.
Giusto.
Adam.
La casa era vuota, Pepper ancora fuori a cercarlo.
Cercò di preoccuparsi, ma proprio non gli riusciva: era un genitore degenere, doveva farsene una ragione.
“Guarda – ” disse a Monica, asciugandola. “Ti ho anche preso l’asciugamano nero, ti piace?”
“No.” fece la bambina, serissima.
“… ma –”
“A me mi piace il Bianco.”
“Va bene…”
“Sai perché?”
“… perché’?”
“Perché – tu – perché – hai i capelli così – tu.”
Eh, no.
“Sono grigi, amore.”
“No no.”
“Grigi.”
“No.”
Perché?
Mise Monica davanti ai Duplo, sul tappeto, ed afflosciatosi sul divano chiamò Pepper.
“Allora, a casa di chi è?”
“Nessuno. Le ho provate tutte.”
“Dimmi che non hai ancora chiamato la polizia, ti prego.”
“No. Ma fra un po’ lo farò.”
“Senti – prendo un’armat…”
“No!”
“Ok, va bene! Allora lasciami almeno sentire Steve!”
“NO!”
“Tu ti rendi conto che è molto più efficac –”
“NO, TONY! NO! ”
“No, va bene, No.”
“Vado ancora dai Simmons e poi –”
“Torni a casa, ti bevi una tisana, fai un po’ di bimboterapia con Monica e lasci che me la veda io con il cretino.”
Sentì Pepper sospirare, pronta al crollo.
“Pepper.”
“… sì.”
“Anche se è biologicamente idiota, non è uno sprovveduto. Di sicuro è ancora vivo. Poi lo ucciderò, ma per adesso è vivo, fidati.”
Facile promettere quando hai installato chip tessili in ogni singolo capo d’abbigliamento di tuo figlio.
Pepper, questo, non lo doveva sapere.
Era meglio lasciarla preoccuparsi alla vecchia maniera, finché andava tutto bene.
Alle tre di notte Tony si decise a raggiungerlo: si era chiuso in una stupida sala giochi.
Ancora esistevano, le sale giochi?
Quando ci entrò si rese conto di quanto il concetto di sala giochi si fosse evoluto nel tempo: realtà virtuale di qua, tornei ai classici di là, consolle di ultima generazione e gente di ogni tipo felicemente schiaffata su poltrone da cinema. Gruppi di lan party, cibo, alcool, discorsi che andavano dal Super Bowl alle primarie a – aveva sentito bene? Noam Chomsky? Adesso nelle sale giochi si citava gente come Noam Chomsky?
Il tutto alle tre di notte.
Adam era concentrato su di una specie di battaglia campale proiettata a parete, assieme a una decina di altri personaggi – ragazzi, adulti, una notevole quantità di estrogeni, fra l’altro. Chi li poteva più levare da quei posti, ormai? Avevano tutto ciò che una persona sana di mente potesse desiderare: divertimento, nutrimento, socialità di alto livello.
Fece per avvicinarsi alla postazione del figlio, ma l’accesso gli venne precluso da una ragazza di forse vent’anni, poco più bassa di lui, e un vecchio. Cioè, suo coetaneo.
Oddio.
“Gran finale in atto, non si disturbano i giocatori.”
“Tò, mille dollari.”
“Il premio ha qualche zero in più, amico.”
Tony non si stupì. Soppesò la situazione, domandandosi cosa fosse più conveniente: minacce, mazzette, o stare alle loro regole?
Finì peri rincretinirsi a guardare la battaglia che coinvolgeva almeno una cinquantina di personaggi e altrettanti draghi.
I draghi erano degli evergreen.
“Sapete –” si svegliò d’un tratto “– che uno dei giocatori è un tredicenne?”
“Certo.”
“Adam spacca.” commentò la ragazza. “È un grande.”
Tony si voltò di scatto verso l’altro, oltremodo interdetto. “Sono le tre di notte.”
“Ci sono le firme dei genitori, genio. O guardi e taci, o ti accompagno alla porta.”
Biologicamente idiota.
“ADAM!” urlò di colpo, facendosi spazio fra i due a spallate.
“Ma che cazzo, ma perché c’è sempre gente che ha da rompere i coglioni…” si lamentò la ragazza: cogliendolo completamente alla sprovvista, gli si avventò addosso e lo placcò, imbrigliandolo in una presa fulminea e salda. Grugnì qualcosa prima di impattare lo zigomo sul pavimento, lanciando poi un urlo di dolore.
“Ma che sei, la cugina di Widow?!”
“Oh, figo! Grazie!” gli si sedette addosso, ringalluzzita dal compimento. “Che faccio, chiamo?”
“Chiami che?” ringhiò
“La sicurezza. Mi sembri uno da sicurezza.”
“Non sei tu, la sicurezza?”
“Io? No, io gioco a WoW.”
“Ma che –”
A quel punto si levò un boato. Avevano vinto.
Seduto su una poltroncina in penombra, mentre il vecchio – coetaneo – gli sistemava un cerotto sullo zigomo, Tony osservava con ribollente fastidio i festeggiamenti della squadra.
Per intanto aveva tranquillizzato Pepper – ‘Ok, vivo, sano, nessun problema, dormi.’
Almeno, sperava avesse funzionato. C’era solo da sperare che non si mettesse in testa di raggiungerlo, considerato che il giorno dopo avrebbe dovuto andare ad un meeting a New York – non voleva si affaticasse troppo.
“Da quant’è che viene qua, quello?” chiese al tizio, che aveva scoperto essere il proprietario del posto.
“Un paio di mesi, ma impara in fretta.”
“Certo che impara in fretta.”
L’orgoglio del papà non se ne sarebbe mai veramente andato, visto poi quanto era… immenso.
“Cosa sei, lo zio? Non sapevi che aveva l’autorizzazione?”
“Sono il padre e – no, non sapevo che avesse l’autorizzazione.”
Quello lo scrutò perplesso, ma senza grandi reazioni. “Mi sa che ti ha fregato, allora. Succede.”
“Non a me.” Grugnì “Evidentemente avete un sistema un po’ fallato.”
“Senti, amico, è più probabile che abbia fregato te che noi, fidati. Sai quanti cazzi e mazzi ci fanno se ci trovano con dei minorenni non autorizzati a partecipare a tornei internazionali, di notte, durante la settimana?”
“Ho intenzione di farvelo scoprire a breve.” Si alzò. “Fammi vedere i tuoi documenti di merda.”
“Se tu mi fai vedere i tuoi documenti di merda.”
Succede così: uno parte con l’idea di far fare una figura di merda colossale a tutta la baracca, e poi…
“Ti dico che sono Tony Stark, cazzo!”
“Esci, idiota.”
“ADAM! Dio solo sa cosa ti aspetta a casa!”
“Fuori!”
“Vi giuro che tempo tre ore e vi mando i bulldozer!”
“Matt! Karl!”
“ADAM, RAZZA DI TESTA DI CAZZO CHE NON SEI ALTRO!”
Sedevano in silenzio, le braccia conserte, il volto immobile.
Due belle manate rosse.
Una a Stark Senior, l’altra a Stark Junior.
La sberla fu sdoganata quel giorno.
Pepper era partita da qualche decina di minuti, completamente priva di sonno: aveva dovuto andare a recuperare Tony in commissariato, e Adam alla sala giochi.
Monica, almeno, dormiva ancora beata.
“Adam Potts, eh?” sibilò Tony, rompendo il mutismo in cui s’erano rifugiati.
Il ragazzino non rispose.
“Hai pagato qualcuno?”
Silenzio.
“Sicuramente hai pagato qualcuno. Il che significa che mi hai pure rubato dei soldi.”
Carte d’identità false, database violati… quelli erano alla sua portata. Ma per aver avuto un adulto in sede che firmasse per conto suo, doveva per forza aver pagato qualcuno. Il silenzio assenso del figlio era abbastanza eloquente in merito.
“Bella la sberla, eh?”
Nulla.
“Dovresti esser contento, ora che ti sei dimostrato abbastanza grande per prenderne una. Considerala una medaglia al valore.”
“Mph.”
“Allora?”
Scollata di spalle. Adam volse lo sguardo ancora più lontano di quel che poteva.
“Solo una domanda.” disse poi Tony, con tono fattosi improvvisamente più accondiscendente. “Quella doveva essere una fuga da casa?”
“…”
“Te la sei presa per quello che ho detto giù?”
“…”
“Senti, non volevo offenderti.”
“…”
L’uomo inspirò a fondo, raccogliendo le forze psicologiche che gli costava quel discorso.
“È mamma che non vuole che ti lasci andare in officina, lo sai.”
“…”
“Non avrai pensato che non ti volessi in casa, vero?”
“…”
“Non mi sembrava di aver detto delle cose così… brutte, sai.”
“…”
“Ma poi mamma diventa una bestia quando s’arrabbia, e –” “Pà.”
“Oh, il ritrovato dono della parola.”
“Quella partita era in programma da settimane. Mi ero solo dimenticato di inventare una scusa.”
“…”
“Dài, ho vinto cinquantamila dollari!”
“…”
“Così posso farmi l’officina mia.”
“…”
“Dai, non t’incazzare…”
“…”
“Se vuoi puoi mettermi in punizione.”
“…”
“Guarda, mi ci metto da solo, così sto tranquillo in camera a farmi gli affari mei.”
“…”
“Oh, se poi vuoi mandarmi alle scuole militari, a me sta bene.”
“…”
“Pà?”
“…”
“?”
“Vaffanculo, stronzetto.”
S’alzò, andandosene in officina.
… iniziò il regime della sberla e degli insulti. Per Adam.