I Nostri Rocambolici e Misteriosi Tetti dell'Ospizio

di Subutai Khan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** No ehi, perché incontro gente che non dovrebbe esistere? ***
Capitolo 2: *** Abbiam fatto due, facciam tre ***
Capitolo 3: *** Porca vacca se ne è passato di tempo ***
Capitolo 4: *** Vecchio, facci vedere cosa nascondi nel tuo sacco da Babbo Bastardo ***
Capitolo 5: *** Gente che torna e gente che va ***
Capitolo 6: *** Vi sarebbe piaciuto rimanere solo in due, ragazzacci ***
Capitolo 7: *** Akane la Sfregiata e Ranma il Galeotto: maneggiare con cura ***
Capitolo 8: *** Un ragazzo più furbo del previsto e una ragazza più incazzosa del previsto ***
Capitolo 9: *** Al Nekohanten si parla da persone normali o si spezzano ossa ***
Capitolo 10: *** Fuori i fazzoletti, su ***
Capitolo 11: *** Idee malsane e conversazioni che non credevi possibili ***



Capitolo 1
*** No ehi, perché incontro gente che non dovrebbe esistere? ***


10 dicembre 2007.
Off. E anche questa pallosa giornata di scuola è finita.
Il preside Kuno ha cercato, ancora una volta, di raderci tutti a zero. Per fortuna l’ennesimo piano sgangherato di quell’uomo ridicolo ha rimediato un buco nell’acqua, come gli infiniti precedenti e gli altrettanti che seguiranno.
Un buco nell’acqua e un calcio in faccia da parte di quella virago di Haruka. La mia migliore amica è un gran bel soggettone, c’è proprio da dirlo.
Perché quel sacchetto di merda non se ne torna alle Hawaii lasciando il Furinkan in mano a una persona normale, mi chiedo? Cos’abbiamo fatto di male, come scuola, per meritarci una simile persecuzione? E non per forza alle Hawaii, anche in fondo a un vulcano attivo andrebbe benissimo.
Mamma mi ha raccontato che all’epoca anche zia Akane, zia Nabiki, Ranma, Ukyo e Kuno il kendoista pazzo hanno dovuto lottare contro quel cretino con le palme in testa. Brutta gente non cambia, pare.
Vabbè, pericolo allontanato per ora.
Tiro fuori il mio caro iPod dalla tasca e setto la riproduzione casuale. Anche se è un baraccone del 2002 mi serve fedelmente e, da bravo compagno di vita, per ora non ci pensa neppure a rompersi. I miei, poi, non me ne comprerebbero uno ultima generazione. Costa troppo, tsk. Assicurati di durare ancora un po’, bastardello.
Vediamo cosa offre il DJ.
Counterstrike? Non posso proprio lamentarmi.
Six days of fire, one day of rest, June ’67 taught them respect, control Jerusalem…
Tamarri svedesi che cantano della Guerra dei Sei Giorni. Cosa c’è di meglio per allietarsi il cammino mentre si torna a casa?
Sono talmente di buonumore che mi metto a fischiettare. Chiunque mi conosce potrebbe identificare questa situazione come un miracolo, visto che non fischietto mai.
Poi, in lontananza nella strada deserta, vedo un ragazzo che corre. Si avvicina veloce a dove mi trovo e riesco a vederlo in faccia: all’incirca della mia età, i capelli scuri tagliati corti e un aspetto orribile. Proprio in volto dico, appare disperato e... completamente sperduto.
“Tu!” mi indica. Meno male che tenevo il volume basso.
“Che c’è?” gli chiedo annoiato togliendomi un auricolare dall’orecchio.
“Cos’è successo all’Ucchan? Perché è in rovina? Dove sono finiti i miei genitori?”.
Eh? Cosa? Come? Perché?
“Aspetta, calmati”. Cerco di tenerlo fermo perché, oltre ad essere agitato a parole, lo è pure fisicamente. Si potrebbe pensare sia preda delle convulsioni.
“Fai un respiro, su” insisto. Ringrazia che sono di buzzo buono, altrimenti un bel Vaffanculo sul muso non te l’avrebbe risparmiato nessuno.
Da bravo ometto obbedisce e prova a recuperare un ritmo respiratorio più normale. Fa molta fatica, questo è fuori da ogni dubbio. Deve aver visto qualcosa che l’ha davvero sconvolto.
“Va un po’ meglio ora?” chiedo dopo qualche minuto.
“S-sì... un pochino, grazie”.
“Allora ti spiacerebbe spiegarmi di cosa farneticavi?”.
Mi guarda con gli occhi di uno che crede di essere caduto in un incubo, spalancati e increduli: “Come farneticavo? Casa mia... è praticamente diroccata”.
Non riesco a trattenere un rimarco sarcastico: “Beh, mi spiace per te se hai scelto di vivere in mezzo ai rifiuti, alla polvere e allo sporco. Quel posto è così da anni, oramai”.
“Da anni? DA ANNI?” alza il tono. Guarda che non sono sordo.
“Da anni” confermo con voce piatta “Sin da quando la sua proprietaria è morta, prima che io nascessi”.
E a questo sviene, cadendo verso di me. Non prima di aver assunto l’espressione dell’uomo ritratto ne L’Urlo di Munch.
Cazzo, non mi serve un bagaglio. Ho già la mia cartella.
Che faccio ora? Sono da solo e ‘sto tizio mi pesa addosso.
Non trovo niente di meglio che telefonare a casa ed avvisare che ho avuto un contrattempo, quindi farò tardi.
Mi viene da chiedermi perché mi sto prendendo a cuore la situazione quando potrei benissimo fottermene, buttarlo su un lato della strada e tornarmene alla mia vita. Ma c’è qualcosa in lui che mi spinge a non disinteressarmene. Non saprei dire cosa, ma c’è. Una sensazione indistinta, indefinita. Ma forte.
O forse, come mi capita sin troppo spesso, sono solo un curioso del cazzo che non sa farsi i fatti propri e vuole capire.
Poi, mentre cerco alla bell’e meglio di piazzarlo in una posizione comoda per trascinarlo, mi avvedo di un particolare quantomeno insolito: ha degli evidenti canini, quasi da vampiro.
Io ho già visto o sentito una cosa simile da qualche parte.
Oh.
“Ryoga Hibiki, il ragazzo dall’inesistente senso dell’orientamento e dai canini sporgenti, era giunto a Nerima per sistemare i conti con Ranma. Coincidenze strane avevano fatto in modo che poi continuasse a gravitare attorno al dojo Tendo”.
Parole di mamma per descrivere uno dei Sette. L’amico-nemico di Ranma, mi pare.
Che sia suo parente? Suo fratello? Suo nipote? Qualcosa del genere?
Forse sto solo galoppando con la fantasia. Ma la storia del ristorante degli okonomiyaki non mi torna per niente e stuzzica la mia solita, molesta curiosità.
Sarebbe da accertarsi che non sia sotto l’influenza di qualche sostanza strana, tipo la marijuana. O la candeggina.
Riesco a portarlo al parchetto più vicino, ad appoggiarlo su una panchina e a recuperare due lattine di qualcosa di analcolico da una macchinetta. Poi mi dedico all’opera di risveglio, che per fortuna di tutti è breve e indolore.
“Uh? Che diavolo... cheddiavoloèsuccesso?”.
“Sei svenuto”.
Si volta nella mia direzione, ancora evidentemente rincoglionito. Mi focalizza e salta spaventato all’indietro.
“Ehi, io non ti ho fatto nulla e non voglio fartelo. Sei al sicuro”.
“Certo, sono al sicuro. Specialmente dopo che mi hai detto che mia madre è morta”.
...
Sua... madre?
Sua madre era una dei Sette. Non c’è più da quasi vent’anni.
Trovo importante fargli una domanda ben precisa: “Scusa, ma tu come ti chiami?”.
“Akira Hibiki. Tu?”.
...
Ecco il perché dei canini, allora. Dev’essere un segno distintivo di quella famiglia.
“Shinichi Ono”.
“Hai lo stesso cognome del dottore. Sei un suo cugino?”.
“Cugino? È mio padre”.
“Impossibile, il dottor Tofu non ha figli. Non è neanche sposato”.
“Ah sul serio? E io chi sarei allora, il fantasma dell’opera? Inoltre, per tua informazione, è sposato da quindici anni”.
Puoi smetterla di far finta di ringhiarmi, sono scombussolato tanto quanto te.
Frena Shinichi, frena. Ragiona.
Innanzitutto consideriamo l’ipotesi che stia mentendo per chissà quale cazzo di ragione. Ciò non spiegherebbe perché è rimasto pesantemente disorientato quando gli ho detto che Ukyo Kuonji non è nel mondo dei vivi. È notizia vecchia ormai. E poi, ora che ci rifletto meglio... quanti diamine di anni ha costui?
“Akira, quanti anni hai?”.
“Sedici”.
Sedici? Questo non è solo impossibile, è esageratamente impossibile. Se quella che spaccia per sua madre è morta nel 1989, come può un suo ipotetico figlio avere sedici anni nel 2007?
Inoltre, se di cognome fa Hibiki, salvo sorprese impreviste... suo padre dovrebbe essere Ryoga. Mi sembra giusto, perché accontentarsi di un genitore inverosimile quando se ne possono avere due?
Figlio di due cadaveri decomposti. Dev’essere una sensazione inebriante.
La cosa peggiore è che non credo sia un pallista. È apparso veramente fuori di sé quando gli ho detto che Ukyo è morta.
Prendiamo per buono che sia sincero, resta il fatto che sta dicendo una quintalata di fregnacce. I suoi genitori che lo avrebbero concepito e avuto da spiriti; mio padre che non solo non sarebbe sposato ma non avrebbe figli, invalidando quindi la mia presenza...
Lo osservo di sottecchi e mi dà la sensazione di essere immerso a sua volta in calcoli ed elucubrazioni. Sempre presupponendo che non stia vomitando balle di proposito, anche a lui non torneranno un sacco di cose. Tipo come posso esistere se, a detta sua, Tofu Ono è single e senza prole.
“Hai detto di chiamarti Shinichi, giusto?” interrompe la calma.
“Sì, Shinichi”.
“Shinichi, devo chiederti una cosa”.
“Spara”.
“Che anno è?”.
“Oggi è il 10 dicembre 2007”.
Ed eccolo, il fuoco d’artificio definitivo: scatta in piedi puntandomi un dito addosso. La mano gli trema visibilmente.
“Sei un cazzo di bugiardo! Io sono nato nel 2009! Dovrebbe essere il 2025!”.
Oh, finalmente qualcosa di facilmente dimostrabile. Senza scompormi tiro fuori di tasca il mio cellulare e gli mostro il display, ben sapendo che recita la “mia” data.
Gli si spalanca la bocca. Non ha parole per controbattere, né aria per respirare.
“Cosa... cosa... cosa...”.
“Dice 2007, vero?”.
“S-s-s-s-ì...”.
“Te l’avevo detto io” piazzo lì una frecciata gratuita e antipatica. Non ci posso far nulla, sono fatto così e mi diverto così.
“Potresti... potresti averlo modificato... apposta... per fregarmi...”.
“Andiamo a prendere un giornale, allora”.
“Sì, andiamo...”.
Ci avviamo verso l’edicola appena fuori dal parchetto e, da bravo samaritano quale sono, pago io.
Gli porgo la copia dello Yomiuri Shinbun per la prova del nove.
Al centro, appena sotto il nome della testata, appare 10 dicembre 2007.
“Adesso mi credi, Akira?”.
“Tutto ciò... non ha il minimo senso...”.
“Per quanto mi riguarda neanche la tua esistenza ha il minimo senso” affermo mentre ci allontaniamo “Così come immagino la mia non ne abbia per te. Ci sono troppe circostanze che stonano, da una e dall’altra parte”.
Nessuno dei due aggiunge nulla per un po’. Siamo entrambi preoccupati, turbati e molto poco in possesso delle nostre facoltà mentali.
Lo conduco, ammetto in maniera involontaria, verso casa mia.
“È come” rompe il ghiaccio senza preavviso “è come se venissimo... da due mondi diversi...”.
E questa sua frase buttata lì, immagino senza il minimo intento di serietà, mi apre le porte dell’illuminazione.
Se il Torneo si è svolto fra combattenti di realtà parallele... perché non è possibile che lui venga da una delle suddette realtà parallele?
“Akira?”.
“Che c’è?”.
“Mi è appena venuta in mente una possibile spiegazione per tutti questi errori e incongruenze. Però prima avrei bisogno che tu mi dicessi tutto della tua vita, dei tuoi parenti, dei loro amici, degli amici degli amici”.
“Perché?”.
“Fallo e basta, cazzo. O non vuoi capire cosa ti sta succedendo?”.
“Pffff. Va bene, va bene. Mi chiamo Akira Hibiki e sono nato a Nerima il 4 dicembre del 2009 da Ukyo Kuonji e Ryoga Hibiki. I miei, tonti come sono, hanno convissuto per tipo trent’anni prima di sposarsi. Si sono messi assieme dopo che Akane Tendo e Ranma Saotome si erano sposati perché Ukyo era cotta di Ranma e Ryoga di Akane. Con i loro sogni romantici infranti rischiavano seriamente di perdersi in loro stessi e nella loro solitudine, ma hanno trovato conforto l’uno nell’altra e si sono innamorati. E per fortuna sono riusciti ad aggiustare i problemi del passato e adesso sono quattro cinquantenni che vanno in vacanza assieme e si trovano tutte le settimane per il poker, dove Ranma dimostra la sua inesauribile scarsezza”.
I quattro nomi che ha pronunciato mi provocano quattro fitte di dolore, e naturalmente la fitta più forte arriva da zia Akane.
Sento la fiamma di qualcosa che non credo mi piacerà: invidia.
“Shinichi, stai bene? Sei pallido”.
Inspiro prima di rispondergli: “Sì, sto bene. Vai avanti”.
“Ok. Ranma e Akane hanno una figlia, Misaki, che ha quattordici anni più di me e mi sta addestrando nelle arti marziali. Ci sono poi i cinesi Shan-Pu e Mousse con la loro figliola Lian-Fu... e cos’altro...”.
“Basta così, è sufficiente”.
Sì, gli ho fatto esporre tutto questo solo per soddisfare quel figlio di puttana del mio desiderio di conoscere.
Incredibile. È proprio un altro mondo, totalmente. Gente per me morta che respira e ha eredi. E mio padre scapolo e senza figli.
Eppure io abito in una realtà in cui sette ragazzi -anzi, sei ragazzi e una vecchia tricentenaria- hanno sacrificato la propria vita contro persone che venivano da altri universi. Una cosa del genere, per quanto inconcepibile, posso accettarla. A fatica ma posso accettarla.
“Allora, questa ipotesi?” mi chiede, ridestandomi dai miei pensieri.
“Oh, sì. Ascolta, prima di parlartene vorrei farti chiacchierare con una persona. Tu conosci il Nekohanten, vero?”.
“Ha chiuso quando ero piccolo ma sì, so che esisteva un posto del genere. Perché?”.
“Mi piacerebbe che tu scambiassi due parole con Shan-Pu”.
“Con Shan-Pu?”.
“Capirai al momento giusto. Andiamo”.
Credo sia la scelta più opportuna. In quanto unica testimone oculare del Torneo, chi meglio di lei potrebbe spiegargli la mia teoria?
Ci incamminiamo, di nuovo immersi nel silenzio. Ho come la sensazione di non essergli troppo simpatico, anche se forse sono l’unico faro che ha in questo ambiente a lui ostile e sconosciuto. Stando alle sue convinzioni non è nemmeno ancora nato.
E io? Sono ancora un po’ invidioso del fatto che lui... lui li conosce. Dice di conoscerli. I suoi genitori, mia zia, Ranma. Sono facce familiari nella sua testa e non nella mia. So qualcosa di loro tramite i racconti di mamma, ma non ho nessun ricordo vissuto in prima persona. Per quanto, tranne un paio, non è che neanche abbia tutta questa smania... punge comunque.
Ok, basta con queste stronzate.
Ci vogliono una decina di minuti e finalmente arriviamo.
Toh, zia Shan-Pu è all’esterno e sta parlando con qualcuno. Qualcuno che... mi sembra di riconoscere, anche se siamo abbastanza lontani.
Alla mia destra sento un gemito: “G-Genma?”.
Mi giro nella sua direzione: “Akira?”.
“Io... io non credo... a quel che vedo...”.
“Che ti succede?”.
“Genma... Genma è morto...”.
Alé, altre cose sballate.
Più ci avviciniamo e più lo focalizzo ed è... diverso rispetto alla visita che ci ha fatto un paio di mesi fa: sembra più giovane, ma ha i baffi e degli occhiali spessissimi, molto più di quelli che indossava l’ultima volta. Però sì, direi che è indubbiamente lui.
Arriviamo accanto a loro e quel che sento è parecchio strano. Come se non mi fosse già capitata una grana non indifferente: “Shan-Pu, ti prego. Fammi parlare con tua nonna, è importante”.
“Genma, non so cosa tu abbia fatto nel periodo in cui sei stato lontano ma se questo è uno scherzo è davvero di pessimo gusto. Sai benissimo cos’è successo a mia nonna”.
“No che non lo so. Anzi, è per questo che le devo parlare”.
“Piantala. Sul serio, non è divertente”.
Vedo una massa abnorme di ulteriori cazzi portarsi sopra le nostre teste e minacciare di cagare giù di tutto. Perché Shan-Pu ha ragione, Genma non può ignorare cos’è successo alla vecchia. Porca troia, io so di quel casino perché è stato lui a introdurmici.
“Shinichi” mi sussurra Akira all’orecchio “da quando Shan-Pu sa parlare così bene il giapponese? E da quando è così giovane?”.
“Te lo chiedo come piacere personale” rispondo altrettanto a bassa voce “Se noti un particolare differente da come te lo ricordi tienitelo per te e ne parliamo dopo, ok? Altrimenti facciamo notte”.
“Va bene, va bene. Ti piace fare il piccolo boss, eh?”.
Scrollo le spalle. Può essere. Forse perché normalmente vengo maltrattato da quel macho mancato di Haruka.
La mia parente acquisita preferita si accorge di noi e mi saluta con affetto. Meno di un secondo dopo punta un dito inquisitore in direzione di Akira e fa: “E lui chi è? Un amico tuo?”.
Tossicchio prima di risponderle: “Non esattamente. Possiamo entrare? Avremmo delle cose da chiederti”.
“Ehi, bambocci!” si scalda Genma “Mettetevi in fila, c’ero prima io. E poi chi diavolo siete voialtri? Tu li conosci, Shan-Pu?”.
Ah, nemmeno mi riconosci?
Uhm. Aspetta un secondo.
Ha chiesto di avere una discussione con la vecchia Obaba, che in quanto membro di quel gruppo di magnifici suicidi non è qui e non può rispondergli. E questo Genma Saotome non può non saperlo, proprio non può. Ma manco per il cazzo.
Vuoi vedere che...
“Genma, mi sai dire che anno è?”.
“Che domande fai, ragazzo? È il...” e tentenna.
“Dimmi pure, non ti mangio”.
“Il 1989, mi sembra chiaro”.
Sì, ti sembra chiaro. Persin banale, perché trattenersi.
Ci terrei ad aggiungere agli sguardi frastornati di Shan-Pu e Akira il mio, ma mi sa di averci azzeccato.
“Zia Shan-Pu, ti spiacerebbe farci entrare tutti e tre?” prendo in mano la situazione.
Non trova nulla da ridire. E vorrei anche vedere.
Una volta seduti attorno a un tavolo...
“Bene Shinichi, che ne dici di spiegarci cosa cavolo sta succedendo oggi?”.
“Volentieri” rispondo assumendo la tipica posizione di Gendo Ikari, quella col mento appoggiato sulle mani incrociate “Vedi cara Shan-Pu, ho incontrato il qui presente Akira poco fa per strada e quel che mi ha riferito... beh, diciamo che non credevo alle mie fottute orecchie non descrive del tutto la mia situazione. Ad esempio, con tuo sommo stupore, voleva sapere cos’è successo all’Okonomiyaki Ucchan”.
E scoppia a ridere. Ossantoddio, non è proprio il caso.
“Per favore, cerca di evitare. È un argomento delicato per lui”. Mi sorprende sentirmi dire certe cose. Non credevo di aver sviluppato un tale grado di empatia con questo sconosciuto che, se ho ragione, viene da un altro mondo.
“Uh?” si interrompe dalla sua crisi di risarola isterica “Cosa vuol dire che è un argomento delicato? Quel ristorante è in rovina da un pezzo. Sai di cosa sto parlando”.
“Sì, io lo so. Lui no”.
“Come lui no? Non è un fatto successo ieri”.
“Akira, puoi gentilmente ripetere a Shan-Pu quello che hai detto a me prima? La tua biografia, per capirci”.
Esegue.
Al termine del racconto ci manca tanto così che gli occhi di Shan-Pu scappino dalle loro orbite. E, buttando un occhiata furtiva a Genma, lo stesso vale per lui.
“A te dà la sensazione che stia mentendo, Shan-Pu?”.
La vedo assumere un atteggiamento vagamente dubbioso ma, se ho imparato a riconoscere un po’ la sua mimica facciale, non del tutto incredulo.
“Mah. Sai che non sono granché brava a riconoscere i bugiardi, ma onestamente non mi sembra proprio” risponde grattandosi la testa.
“Neanche a me”.
“Certo che non sto mentendo, bastardi che non siete altro!” scoppia dall’incazzatura, con tanto di manata sul tavolo. Ehi tipo, calmati. Qua nessuno ti sta accusando di nulla, al contrario.
“Mettiamo che sia così, Akira. Non stai mentendo. Allora come giustifichi la differenza di date e di informazioni in possesso mio e di Shan-Pu rispetto alle tue? Perché, fidati, neanche lei crede sia il 2025”.
“Confermo”.
E improvvisamente si trasforma in un pulcino bagnato: “Non... non lo so, davvero non lo so...”.
“Neanch’io ne avevo idea, fino a quando non hai detto una cosa particolare”.
“Cosa?”.
“Hai buttato lì quella frase sui mondi diversi”.
Gli occhi di Shan-Pu si illuminano. Brava zietta, vedo che hai afferrato.
“F-fammi capire bene, Shinichi” comincia balbettando “vorresti intendere che loro...”.
“Non lo so. Sei tu l’esperta di mondi paralleli. L’unica ancora in vita, quantomeno”.
Naturalmente gli altri due ci restituiscono due facce da ma che cazzo vi siete fumati voi, l’asfalto? e non posso negare che, in condizioni normali, li capirei fin troppo bene.
“Shan-Pu” riprendo dopo un microsecondo di calma “ti spiace spiegare ai nostri ospiti del Torneo, in particolare di quella nota a margine sulla provenienza degli avversari? Ah, e ti scongiuro: tatto”. Non che voglia sparlare di lei, ma quella dote le è sempre mancata.
Sentendo l’attenzione comune focalizzata su di sé si schiarisce la voce e comincia: “Se l’intuizione di Shinichi fosse giusta, e se lo fosse spiegherebbe praticamente tutto, voi non appartenete a questo mondo ma venite da realtà parallele in cui, com’è evidente, le cose sono andate in maniera molto diversa rispetto a qui. Perché qui Ranma Saotome, Akane Tendo, Mu-Si, mia nonna Ku-Lun, Tatewaki Kuno, Ukyo Kuonji e Ryoga Hibiki sono morti da parecchio tempo. Per la precisione diciotto anni fa, nel 1989”.
“Perché dovremmo credere a una stupidaggine del genere, si può sapere?” chiede Genma, moderatamente alterato. In effetti, rispetto ad Akira, non ha in mano assolutamente nessun elemento che possa dar credito a questa storia.
Shan-Pu alza le mani in un gesto di arrendevolezza: “Se non vuoi libero di farlo, anche perché non ho niente che possa provarlo incontrovertibilmente. Però lasciate che vi dica questo: nel Torneo, che è la causa per cui quei sette non sono qui con noi ora, i partecipanti dovevano affrontare e sconfiggere in combattimento guerrieri provenienti da realtà parallele con in palio la sopravvivenza del proprio piano d’esistenza. Per essere più chiara: chi perdeva si portava nell’aldilà il proprio mondo. E questo l’ho sentito dalle mie stesse orecchie quando Jun, l’entità che li ha guidati, lo ha spiegato a tutti loro. Già, ero presente. Così come ero presente a ogni loro scontro”.
“Conosco questa sensazione” mormora Genma, molto più quieto.
“Quale sensazione?” intervengo.
“La sensazione di dire la verità senza poterla dimostrare, con tutti coloro che ti circondano che non esitano a contestarti e mettere in dubbio quel che affermi a ogni piè sospinto. E ciò nonostante tu non stia per niente cercando di raccontar frottole”.
“Sono nella tua stessa identica posizione, Genma. Quel che ho esposto è la verità per questo mondo, che voi ci crediate o meno è indifferente. Se però foste così carini da farlo ci eviteremmo tutti un bel po’ di problemi, non pensi?”.
“Quindi, se hai detto che diciotto anni fa era il 1989 ora...”.
“2007, già”.
“Oh santo cielo, ho in testa un macello che non avete idea”.
“Lo stesso varrà per Akira. E anche per noi due, non è che siamo più belli”.
“No, vi assicuro che il mio è peggio”.
“E perché lo sarebbe?”.
“Perché, presupponendo che questa baggianata delle realtà parallele sia vera, nel mio mondo io ho viaggiato indietro nel tempo. Prima di questo casino mi trovavo nel mio 1989, ma provengo da dieci anni più tardi”.
“Eh?” è il coro di domande che tutti e tre gli rivolgiamo.
“Visto che siamo in vena di grandi confessioni devo mostrarvi una cosa. Vi pregherei di allacciare le cinture di sicurezza, sarà una roba molto poco piacevole”.
Ciò detto si leva gli occhiali.
Alla faccia del cazzo incatramato.
Quest’uomo... non ha gli occhi. Due buchi neri, vuoti.
Se li rimette in fretta.
“Ve l’avevo detto io” commenta vedendo Akira semi-svenuto sul tavolo, la testa retta solo da una mano molle.
“Che... che cos'era quello?”.
“Vedete, nel mio 1999 succederà una cosa terrificante che porterà allo sterminio dell’intera famiglia Tendo-Saotome. Per pura fortuna sono scampato e ho visto di persona tutti loro, morti nelle maniere peggiori che eviterò di raccontarvi nelle specifiche. Soverchiato dall’orrore non ho trovato niente di meglio che appoggiarmi alla nobile Obaba per poter tornare nel passato, capire la causa di quel massacro e se possibile evitarlo. Per la faccenda degli occhi... Shan-Pu, tu conosci l’Artiglio della Chimera?”.
“Mia nonna ti ha lasciato usare l’Artiglio? Ma dico, è impazzita?”.
“No. L’ho implorata con tutte le mie forze, volevo... dovevo farlo”.
“Allora capisco il tuo... problema”.
“Oh wow...” mi lascio scappare. Immagino di essere palesemente esterrefatto da quanto abbiamo appena sentito.
“Tu non hai nessuna storia truce, Akira? Tanto per rimanere in scia” gli chiedo in tono scherzoso. Lui scuote la testa, evidente come sia contento di non condividere una situazione simile.
“Fortunello” esce a Genma e a Shan-Pu in contemporanea. Lei aggiunge “Se riuscissimo a scoprire come, penso che ogni tanto verrei a visitare il tuo mondo”.
“Hai sollevato un punto interessante, zia: il come. Come hanno fatto loro due a capitare qui? Non c’entrerà mica il tuo amico Jun?”.
“Mai più visto sin dallo scontro di Akane. E poi che senso avrebbe prendere persone da mondi diversi e trasportarle qui per un ipotetico secondo Torneo, se lo scopo è che la nostra realtà presenti i propri campioni a sua difesa? Non regge”.
“No, in effetti sarebbe troppo campato per aria...”.
Devo capire, ora è una questione di principio. Non esiste mistero che Shinichi Ono, nella migliore tradizione di quei minchioni di Scooby Doo, non possa risolvere. “Gente, non è che magari avete percepito qualcosa di strano? Non so, tipo che siete svenuti e vi siete ritrovati in un posto che non vi era familiare, o... che ne so... qualcosa così, insomma”.
“No, niente del genere” liquida Genma.
“Io invece sì...” risponde Akira.
Ecco, raccontaci tutto.
“Dimmi, dimmi”.
“Stavo camminando per strada, tornavo a casa. A un certo punto ho sentito come... non so come definirlo, una specie di... sfasamento. Per qualche secondo ho tremato. E dopo, ora che mi ci fai riflettere, l’ambiente attorno a me era leggermente diverso. Particolari, come il colore differente di un segnale stradale o lo stile datato della scritta di un’insegna. Non capisco perché, ma il mio cervello ha deciso che questi dettagli non erano importanti e ha scelto di ignorarli. Forse anche perché mi sono quasi subito trovato davanti l’Ucchan con l’ingresso sprangato”.
È un inizio. Stentato e senza troppo senso per chi non è pratico di viaggi fra i piani di esistenza, ma è un inizio.
Mai come ora rimpiango l’assenza di Obaba. Stando a quanto mi hanno raccontato era una vera esperta di caratura mondiale per eventi strani come questo e sicuramente avrebbe saputo tirar fuori qualche spiegazione dal cilindro.
Cazzi. Lei non c’è, toccherà a noi.
“Signori” dichiara Shan-Pu alzandosi in piedi “mi spiace essere scortese, ma fra non molto il locale apre e devo mettermi al lavoro. Vi devo chiedere di lasciarmi campo libero, per favore”.
“Va bene. Perché, finché non troviamo una soluzione a questo problema, voi due non venite a stare da me?”.
“Non vedo alternative migliori” concede Genma, e Akira conferma subito dopo. D’altronde, fossi in loro, prenderei al volo qualsiasi mano allungata nella mia direzione. Dev’essere parecchio fastidioso trovarsi in un posto che assomiglia a quello che ti ricordi ma sai perfettamente non esserlo, e dove tutte le iterazioni e la gente che conosci non ci sono o ci sono in forma profondamente diversa.
“Mi raccomando Shinichi, tienimi aggiornata su questo affare” dice mentre ci accompagna all'uscita.
“Contaci. Ti ho tirata in ballo e non ti lascio all’oscuro”.
“Bravo ragazzo. Ah, e fintanto che non si risolverà le nostre lezioni sono ufficialmente sospese”.
“Ricevuto, signora”.
SBAM.
Guarda che nessuno ti paga per sfondarti la porta, furba che non sei altro.
“Facci strada, Shinichi”.
“Penso che in realtà non serva, Akira. Da quel che ho capito entrambi sapete dove si trova il dojo Tendo”.
“Sì, ovvio”.
“Idem io visto che ci abito... abitavo... abiterò. Quel che l’è”.
“Ecco, sto lì. Mia madre l’ha ereditato quando è venuto a mancare mio nonno e ci si è stabilita con la famiglia”.
“Una curiosità che ho sin da quando ci siamo conosciuti, Shinichi: chi è tua madre?”.
“Kasumi”.
“Davvero?”.
“Eh, capisco che ti possa suonare strano se nel tuo mondo il dottor Tofu è single. Qui si è sposato con lei pochi anni dopo il Torneo”.
“Non è tanto lo sposarsi, quanto il fatto che abbia figli...”.
“Ragazzo, Kasumi Tendo può avere figli da due sole fonti: Tofu Ono o lo Spirito Santo” commenta sarcastico Genma, non mancando di notare lo sguardo istupidito mio e di Akira.
“Lasciamo stare, non è niente che vi serva davvero capire”.
Proseguiamo.
Ok, finalmente a casa.
“Tadaima. Ci sono... ospiti” urlo al mio solito. Nessuna risposta.
Poi, improvvisamente, la porta della cucina si spalanca.
Ne esce...
...
...
...
No, non credo a quel che sto vedendo.
“Oh, finalmente è arrivato qualcuno! Kasumi è svenuta e io... chi siete voi? Signor... Genma?”.
Mi sa che seguirò mamma nel fatato mondo dell'incoscienza.
Prima di perdere i sensi sento Genma che esclama: “A-Akane? Cosa... cosa ti è successo in faccia?”.



Note dell'autore
Sì, è vero. Di solito non perdo tempo con 'ste cose, ma qui sono a dir poco fondamentali. Perché, nel caso chi legga non lo abbia capito da sé, ho fatto un mischione di almeno quattro canon differenti.
C'è Shinichi Ono, voce narrante di questo primo capitolo, che viene dalla saga di Bokurano 1/2. C'è Akira Hibiki, protagonista di un paio di shot della raccolta Tetto dell'Ospizio. C'è il Genma Saotome di Rocamboliche Avventure. E soprattutto, in chiusura, appare l'Akane Tendo di Mysterious Secrets post-combattimento amazzone. Si ringrazia la socia Mana Sputachu per avermi concesso l'usufrutto di un personaggio anche suo.
Ok, quel che avevo da dire l'ho detto. Circolare, circolare, non c'è più nulla da vedere qui.

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Capitolo 2
*** Abbiam fatto due, facciam tre ***


Sono di nuovo sotto attacco amazzone. Per forza. Non vedo altra spiegazione per questa follia.
Un momento stavo camminando per casa assieme a Ukyo, lei ancora intenta a sommergermi di scuse per il suo comportamento passato nei miei confronti e io che mi prodigavo nel cercare di farla smettere spiegandole che non era il caso di ritirare fuori l’argomento per l’ennesima volta. Il momento dopo mi ritrovo sola per il corridoio.
Cos’altro devo pensare, considerato che siamo asserragliati e ogni tanto uno di noi sparisce per magia ritrovandosi scaraventato nei suoi peggiori incubi?
Certo, contavo di aver già dato. La cicatrice sulla mia guancia sinistra dovrebbe testimoniarlo a sufficienza.
Ma a quanto pare qualcuno non è d’accordo con me.
Ho di fronte a me tre persone, di cui due completamente sconosciute e la terza è un Genma Saotome a me molto poco familiare. Appare consumato e gli occhiali che indossa non sono i soliti.
“Ok, ho capito. Sputate le vostre cattiverie, sono pronta a tutto” dichiaro ad alta voce. Loro mi guardano a dir poco straniti, non capendo a cosa mi sto riferendo.
“Z-zia Akane... ehm, Akane... o cacchio” dice il ragazzo ancora sveglio prima di rivolgersi al suo coetaneo privo di sensi per terra. È già la seconda persona che faccio svenire da quando sono finita in quest’allucinazione: prima una Kasumi... molto invecchiata, poi lui.
Quando quello strano Genma si muove nella mia direzione...
“Ferma lì, illusione. Non un passo di più o ti metto le mani addosso. Una di voi mi ha lasciato questo ricordino, sarei veramente fessa a permettere a un’altra di voi cose di avvicinarsi più del dovuto”.
Pare non scomporsi. Si limita ad alzare le mani bene in vista e a proseguire. Rimango in guardia, conscia di star esponendomi a un potenziale pericolo, ma non ricevo aggressività da lui. Da nessuno di loro, in effetti. Il finto Ranma, al contrario, emanava rabbia e voglia di farmi a pezzi.
Quel che sento mi spiazza totalmente: “Oh santo cielo Akane, cosa ti hanno fatto?”. Pronunciato con una tale dolcezza e preoccupazione che... che comincio a dubitare.
Che non sia quello che penso?
Sì, ma se non lo fosse... allora cosa mi è successo? Dove sono? Perché sono circondata da gente che non riconosco o che ricordo diversa?
“Vorrei porti qualche domanda. Posso?” chiede in tono innocente, fermandosi a circa un metro da me.
Parlare non farà male, spero.
“Puoi. Ma al primo scherzo ti cambio i connotati”.
“Quanti anni hai e che anno credi che sia?”.
“Che... che razza di domande sono?”.
“Ti prego, rispondi. È importante”.
Anche il miraggio che chiede cose idiote, giusto quello mi mancava.
Non gli stacco gli occhi di dosso: “Ho diciotto anni ed è il 1991”.
Sospira pesantemente. Si volta verso gli altri due tizi con cui è entrato e dice: “Akira, è come noi”.
“Cosa intendi, Genma? Che anche lei...”.
“Sì, intendo quello”.
Intendi cosa, vecchiaccio?
“Akane” riprende tornando a volgere l’attenzione verso di me “innanzitutto ti chiedo di abbandonare la postura da battaglia. Io, Akira e Shinichi non siamo tuoi nemici”.
Che faccio, mi fido? Rischio di trovarmi con conseguenze ben peggiori di un segnetto sul volto. Però, lo devo proprio ammettere, non mi sento minacciata da lui. Per nulla.
E fidiamoci.
“Grazie. Ora, immagino tu ti senta confusa...”.
“Ci puoi giurare. Appaio improvvisamente davanti a mia sorella che avrà almeno vent’anni in più e quella, non appena si accorge della mia presenza, sviene tipo sacco svuotato. Mi impanico, non capendoci una mazza, quando sento la porta di casa. Il resto lo sai”.
“E dimmi, cosa ci dici di me? E di lui? E dell’altro?”.
“In che senso?”.
“Sai chi sono?”.
“No, loro due no. Mai visti prima. Tu sì, ovviamente so chi sei. Ma...”.
“Ma?”.
“Sei diverso. Più anziano”.
“Akane, siediti per favore. Abbiamo un lungo discorso da affrontare, io e te”.
“Voglio risposte”.
“Cercherò di soddisfarti al meglio delle mie capacità. Sappi però che sarà complicato, perché io stesso non ho ben capito e non sono neanche sicuro di averlo del tutto accettato”. Detto ciò si siede e fa cenno all’altro ragazzo, quello chiamato Akira, di avvicinarsi e di mettersi accanto a lui.
Mi sono davanti tutti e due, adagiati di fronte a me.
Perché non imitarli? Danno davvero l’intenzione di voler solo chiacchierare.
“Akira” fa poi rivolgendosi al suo compagno più giovane “vuoi magari gestire tu il discorso? Visto che hai parlato un po’ con Shinichi prima di incontrare me, può darsi che tu riesca a spiegare meglio”.
“Veramente quel che ho scoperto quando eravamo solo io e lui non ha fatto altro che gonfiarmi la testa, almeno finché non siamo andati da Shan-Pu. Ma ora sì, ne sono in grado. Akane, sei pronta?”.
“Io sono nata pronta”.
“Accidenti. Anche da ragazza sei uguale a come ti ricordo. Stessa granitica sicurezza”.
“Ragazza? Uguale a come mi ricordi? Tu chi sei? Non ti conosco”.
“Immagino di no, ma io conosco te”.
“... scusa?”.
Altro sospiro. Ho idea che sarà qualcosa che non mi piacerà per nulla.
“Akane, non c’è un modo semplice per spiegarlo. Quindi, mi spiace, mi toccherà essere diretto: io, te e Genma siamo finiti, in un modo che non siamo ancora riusciti a capire, nel mondo di Shinichi. Il ragazzo che hai fatto svenire apparendo dal nulla”.
“... prego?”.
“Ascoltami. Sia io, sia Genma ci siamo ritrovati catapultati in questa realtà, in questa Nerima a noi estranea. Per esempio io ho trovato l’Okonomiyaki Ucchan... sai cos’è, vero?”.
“Non prendermi in giro! Certo che so cos’è!”.
“Non volevo prenderti in giro. Te l’ho chiesto perché qui, da queste parti, quel posto è un cumulo di macerie da tipo vent’anni”.
“Menti! Io stessa sono corsa lì, due giorni fa, ad avvisare Ukyo e Ryoga che le amazzoni erano tornate per vendicarsi!”.
“Vendetta amazzone?” si intromette Genma “Il tuo mondo sembra interessante”.
“Il mio... mondo?”.
“Sì” riprende le briglie Akira “Come ti ho detto questo non è il tuo mondo. Non è il mio mondo. Non è il mondo di Genma. È il mondo di Shinichi. E credo di aver intuito perché lui e Kasumi hanno perso i sensi non appena ti hanno vista”.
“Perché?”.
“Akane, nel loro mondo tu... sei morta”.
Ho... ho un mancamento. Troppe informazioni da elaborare e assimilare tutte assieme.
Rischio di franare a terra, ma entrambi mi sono addosso in un istante e mi aiutano a sorreggermi.
“Tutto bene, piccola?”. Ho gli occhi chiusi per il sovraccarico ma riconosco l’autore di questa frase. Akira sembra più giovane di me.
Portandomi le mani alle tempie rispondo: “Sì, non... non è niente. Sto bene”.
“Sicura?”.
“Sicura, sicura. Proseguite pure. Ad esempio mi interessa la parte per cui sarei morta”.
Tornano nelle loro posizioni.
“È uno shock, vero? Probabilmente ti sei sentita come mi sono sentito io quando ho scoperto che qui lo stesso destino è toccato a mia madre. E a mio padre”.
“Tua madre... e tuo padre? Chi sono?”.
“Ukyo e Ryoga”.
“Da-davvero?”.
“Davvero. Mi chiamo Akira Hibiki, piacere”.
Allunga la sua mano verso di me in un atto di presentazione formale.
Non... non so come devo reagire. Se prima pensavo che le cinesi ci avessero messo in un guaio gigantesco... beh, ora quella al confronto è robetta.
Sono... sarei finita in una specie di... mondo parallelo... in cui sono morta. E non solo io, a quanto pare.
Lo guardo fisso negli occhi e ciò che mi arriva è solo genuina gentilezza.
Penso di non dover temere nulla, da nessuno di loro.
Stringo la mano.
“Ti direi il mio nome ma già lo sai”.
Ridacchia: “Vero, non serve”.
“Come fate a sapere che io qui sono...”.
“Ci ha raccontato tutto Shan-Pu. Pare che lei e tuo nipote Shinichi abbiano un eccellente rapporto, al punto che lui la chiama zia. Come faccio io con la tua versione del mio mondo”.
“Nipote? Lui è...”.
“Figlio di Kasumi”.
“E del dottor Tofu, spero”.
“Oh sì, del dottor Tofu. Com’è che avevi detto prima, Genma?”.
“Ho detto che Kasumi Tendo può avere figli da due sole fonti: Tofu Ono o lo Spirito Santo. Visto che dubito Akane sappia a cosa mi riferisco ve la spiegherò così: o il padre è il buon dottore, o ci vuole un intervento divino”.
Scoppiamo a ridere. Sacrosanta verità, questa.
“Torniamo a noi” intimo, riacquistando di botto la serietà che questa storia merita “e al fatto che io qui sono... deceduta”.
“Sì, va bene. Devo dire che Shan-Pu non è stata chiarissima a proposito. Da quel che ho capito qua, nel 1989, si è svolto una sorta di torneo di arti marziali in cui sette persone dovevano andare letteralmente a morire per la salvezza del mondo. Capisco la tua faccia disorientata”.
“Quindi... mi stai dicendo che...”.
“La te stessa di questo mondo lo ha fatto. Insieme a Ranma, ai miei genitori, a Kuno, a Mousse e alla nonna di Shan-Pu”.
“Santi numi...”.
Non credo alle mie orecchie. In questo mondo sono andata a morire di mia volontà, più o meno.
E con me... l’ha fatto Ranma.
Mi immagino la scena: lui che cerca di farla desistere e lei che si ostina con la testardaggine che ogni Akane Tendo, in ogni posto di ogni universo, possiede per sua stessa natura.
Diamine, io... io forse l’avrei fatto.
“E come fa Shan-Pu a sapere tutto questo? A rigor di logica, essendo viva, vuol dire che non ha partecipato”.
“No, lei no. Ma ha anche aggiunto che ha visto i loro combattimenti, dal primo all’ultimo”.
“C-cosa?”.
“Questo è quanto ci ha riferito. O mi sbaglio, Genma?”.
“Non ti sbagli, Akira. Ha detto proprio così”.
Sconvolta. Sono totalmente sconvolta.
Devo distrarmi. Pensare a qualcosa di più stupido.
“Aspetta. Hai detto... nel 1989? Che anno è qui, adesso?”.
“Il 2007”.
“E fatemi capire, voi da che anno venite?”.
“2025” risponde fulmineo Akira.
Genma assume un’espressione strana, invece: “Per me è un po’ più complicato. Tecnicamente 1999, ma questo... spostamento di mondi mi è capitato mentre mi trovavo nel 1989”.
“Tu hai viaggiato nel tempo?”.
“Già. E non per una vacanza”.
“Genma Genma Genma! Ti prego, non ripetere quella cosa. Una volta mi è bastata. E ti scongiuro, te lo chiedo in ginocchio: non toglierti gli occhiali”.
Cosa sta blaterando adesso?
“Hai ragione, le procurerei solo un inutile trauma e mi sembra già abbastanza provata. Akane, ti basti sapere che sotto questi occhiali c’è uno spettacolo orribile. Tornando alla mia dislocazione temporale, diciamo solo che... ecco... come spiegarlo senza urtare questo tenero virgulto di Akira...”.
“Nel suo presente la sua famiglia è stata uccisa ed è tornato indietro nel tempo per evitarlo” giunge una voce alle loro spalle.
Si voltano.
È Shinichi, in piedi.
“Grazie tante, Shinichi. Sei veramente la delicatezza fatta persona” dice scocciato Akira.
“Ragazzo, stai bene?” gli chiede Genma, una nota di preoccupazione nella voce.
“Sì, tutto ok. Ho solo avuto un leggero calo di zuccheri nel vederla”.
Si riferisce a me, è evidente. Mi sta osservando con uno sguardo... lo definirei quasi affamato.
Se quel che mi è stato raccontato è vero, io sono la controparte di sua zia che è morta da vent’anni e che, a giudicare dal suo aspetto, non ha mai conosciuto in prima persona.
Si siede alla destra di Akira, che si trova quindi fra lui e Genma.
“Abbiamo un terzo intruso” dice quasi con allegria. Sembra che l’idea non lo scalfisca più di tanto. Poi aggiunge: “Oh, dimenticavo. Devo avvisare Shan-Pu della novità”.
Tira fuori dalla tasca un... cos’è, un telefono portatile? Esistono simili aggeggi nel ventunesimo secolo?
Smanetta un po’ e si porta il marchingegno all’orecchio.
“Pronto, zia Shan-Pu? Sì, sono Shinichi”.
“...”.
“Lo so che sei impegnata col ristorante e che è quasi l’ora di punta, ma ti ricordi che mi avevi detto di tenerti informata con quella storia? Ecco, ci sono aggiornamenti”.
“...”.
“Sono diventati tre. E non sarai contenta di scoprire la sua identità”.
“...”.
“È Akane”.
“...”.
“Dici sul serio? Vuoi davvero chiudere tutto e venire qui? Ma ti sei rincoglionita o cosa?”.
“...”.
“Va bene, come cazzo vuoi. Il piatto vuoto alla fine del mese è il tuo. Ti aspettiamo”.
Riattacca.
Siamo sicuri che sia figlio di Kasumi e Tofu? Un tale cafone?
Torna a fissarmi e chiede: “Quanto sai?”.
“Un pochino. Genma e Akira mi hanno spiegato qualcosa, su come saremmo sperduti in una realtà non nostra. Mi hanno anche detto di... tua zia. Mi dispiace”.
“Anche a me, dispiace anche a me. E mi dispiace anche per quella... cosa che hai in faccia”. Il cambio di tono è persino irritante.
“Oh sì, con tutto il casino che ti abbiamo dovuto raccontare ci eravamo completamente scordati. Cosa ti è successo, Akane?”. Non credevo che avrei mai potuto dirlo, ma questo Genma è molto più premuroso e gradevole del mio.
Tocca a me parlare, a quanto pare. Colpo di tosse finto, come da miglior tradizione, e parto: “Ecco, la storia è piuttosto lunga. Da me... nel mio mondo sono accadute parecchie cose che, presumo, vi suoneranno poco meno di impossibili. Come ad esempio che Mousse ha finalmente alzato la testa contro Shan-Pu e sua nonna, ribellandosi al loro maltrattamento nei suoi confronti. Ha sfidato la sua amata a duello. L’ha sconfitta. E questo ha dato il là a tutta una catena di eventi incredibili: è saltato fuori che loro due erano in realtà promessi sin da piccoli, io e Ranma ci siamo naturalmente trovati immischiati nostro malgrado nella bagarre, Ukyo ha dovuto fingere di essere la fidanzata di Shan-Pu per salvare le loro teste di fronte al Gran Consiglio di Joketsuzoku, abbiamo rischiato di farci ammazzare dalla dittatrice del suddetto Consiglio, io e Ranma ci siamo dichiarati, Ryoga è tornato a Nerima e ha trovato gli equilibri a cui era abituato completamente a soqquadro, lui e Ukyo sono usciti assieme e hanno finito con il fidanzarsi... e fare l’amore in uno sgabuzzino di casa mia. E quando alla fine credevamo di essere ormai al sicuro, le amazzoni sono tornate alla carica e ci hanno presi di mira uno ad uno, gettandoci in scenari farlocchi dove le nostre peggiori paure ci aggredivano psicologicamente e fisicamente. Il mio nuovo migliore amico mi è stato causato da un’ombra a forma di Ranma, che poco prima di colpirmi non smetteva di ripetermi quanto fossi imperfetta e... e...”.
Sto cedendo. Sento il dolore di quei momenti riemergere prepotente. Meglio fermarsi qui, non voglio scoppiare a piangere di fronte a degli sconosciuti. Amichevoli e carini, per carità, ma sempre sconosciuti.
Mi guardano come se fossi un fantasma. Che posso capire nel caso di Shinichi, meno per gli altri.
“Basta così Akane, non serve proseguire” sentenzia... mio nipote. Mi fa un senso assurdo chiamarlo così. E se lo fa a me dicendolo, chissà quanto ne deve fare a lui sentendolo. Sarà meglio che continui a usarlo solo nella mia testa.
Va bene ragazzina, calmati. Fai un respiro profondo.
“Bene gente, adesso che si fa? Intendo dire... come facciamo noi vagabondi dei mondi a tornarcene a casa?” chiedo. Non penso che qui mi troverei poi così tanto male, ma resta che questo non è il mio mondo e se fosse possibile gradirei andarmene.
Sì, me ne sto convincendo ormai. Che loro non siano frutto delle simpatiche vecchiette di Joketsuzoku è più che evidente e il fatto che si dimostrino bendisposti nei miei confronti mi porta a credere a quanto affermano.
“Ancora non lo sappiamo, purtroppo. Non abbiamo neppure capito perché voi tre siete qui. Personalmente conto su Shan-Pu: lei è l’unica che, sebbene in maniera indiretta, ha già avuto a che fare con ‘sti bordelli spazio-tempo-luogo. Inoltre ha ereditato tutto l’immenso ciarpame di sua nonna, pieno di formule magiche e sortilegi e maledizioni. È il vostro migliore biglietto di ritorno”.
VRAAAAAM.
Parli del diavolo cinese ed eccolo spuntar fuori.
Sarò sincera: i suoi trenta e rotti anni, o quanti cavolo sono, se li porta da dio. Assomiglia paurosamente alla “mia” Shan-Pu, salvo qualche minuscolo accenno di rughe attorno agli occhi. Anche l’abito che indossa, il più classico dei suoi completi fucsia, potrebbe essere uscito da un armadio che ho aperto personalmente. Per non parlare dei capelli, tenuti alla perfezione.
Dovrò farmi dare qualche dritta in tema di fashion, prima o poi.
Ansima appoggiata allo stipite della porta, provata da un’evidente corsa. La distanza fra il Nekohanten e il dojo Tendo non è copribile in così poco tempo a passo normale.
Senza esitare punta gli occhi su di me.
No dai, finitela di farmi sentire il centro dell’attenzione. Solo perché sono l’ultima arrivata.
“Oh santo *anf*... se fosse stata *anf* la prima... credo *anf* che sarei venuta meno seduta *anf* stante...”.
Mi farò chiamare Akane Tendo, la Donna che Sveniva la Gente.
“Terza in ordine di arrivo, zia. Non cercare di fotterci il posto”.
“Shinichi, per l’amor del cielo. Abbi rispetto per lei e per quel che starà provando!” esclama Genma dopo essersi alzato e avergli dato una leggera pacca di rimprovero sulla schiena.
No, sul serio. Chi è quest’uomo?
“Ascolta” riprende poi “perché non vai a dare un’occhiata a tua madre? Al momento è sconsigliabile che le caschi l’occhio su uno qualsiasi fra me, Akira e Akane. Probabilmente avrà pensato di aver avuto un incubo o un abbaglio e ha bisogno di facce conosciute, non facce di persone che per lei sono... morte. Poi magari, più in là, potremo spiegare anche a lei la situazione”.
“Mi sembra una buona idea”. Si alza e si porta in cucina senza dire un’ulteriore parola.
Per qualche minuto aleggia il silenzio, intervallato solo dai boccheggi di Shan-Pu che cerca di recuperare il fiato. Nel frattempo noi tre, che ci siamo tirati in piedi, ci guardiamo senza saper bene cosa dire o fare. Akira si è pure appoggiato al muro, le gambe incrociate e le braccia conserte.
Poi, inaspettatamente, lei mi si avvicina. Mi guarda. Mi abbraccia.
Alzo le mani, travolta dalla sorpresa.
“Sh... Shan-Pu? C-che fai?”.
“So che non capirai quanto sto per dire, ma sei quello che più la ricorda. Ti chiedo scusa, Akane. Perdonami, ti scongiuro”.
Io? Perdonare lei? Non so neanche chi è davvero, cazzarola! Tanto per cominciare non capisco come faccia a farsi comprendere così bene, impedita come la conosco con il giapponese.
“Per-perdonarti?”.
“Non tu... tu. La te stessa di questa terra. Sono stata crudele con lei e, tramite te, vorrei poter espiare un po’ della mia colpa”.
Mi scosto con delicatezza, la situazione mi metteva a disagio. Sorride, un sorriso colmo di tristezza e rimorso.
“Di cosa stai parlando? Non capisco”.
“Certo. Come puoi capire senza che ti spieghi?”.
Almeno ci arriva da sola.
“Akane, non so quanto ti hanno detto del Torneo che si è svolto in questo mondo ormai diciotto anni fa...”.
“Qualcosina. Ad esempio so che è a causa di quell’avvenimento se gli indigeni tendono a perdere i sensi vedendomi”.
“Allora sai anche cosa ti... le è successo”.
“Sì, lo so. E so che tu eri presente”.
“C’ero. Ed è lì che mi sono macchiata del torto peggiore, proprio in occasione del suo combattimento. Ho riso. Vedendola battersi io ho riso, sempre più forte e senza preoccuparmi che sentisse o meno. Non le sono stata accanto mentre esalava l'ultimo respiro. Non l’ho ringraziata, di persona o in silenzio che fosse, per il suo sacrificio. Quando poi l’ho raccolta ero contenta, contenta di vederla finalmente senza vita. E questo nonostante Ranma se ne fosse andato già da un pezzo. Le sue sorelle mi hanno parzialmente assolta, ma posso togliermi definitivamente questo peso dalla coscienza solo scusandomi in ginocchio con la diretta interessata... o con colei che più le assomiglia. Pertanto...”.
E lo fa. Si mette in ginocchio.
“Akane, se puoi perdonami”.
Sono ammutolita. E schiacciata dalla gigantesca quantità di sofferenza che mi ha gettato addosso.
È veramente pentita. Lo si vede. Lo si sente. Lo si annusa, persino.
Come ha potuto sopravvivere tutto questo tempo con un tale fardello?
Le prendo il polso e la aiuto ad alzarsi: “Va bene Shan-Pu, se può darti sollievo... Akane Tendo ti perdona”.
“D-dici sul serio?”.
“Dico sul serio. Se l’Akane di questo mondo mi assomigliava almeno un po’ sono convinta che, di fronte a questa dimostrazione di grandissimo rammarico, non avrebbe esitato e ti avrebbe teso la mano in un gesto di pace”.
“Io... io...”.
No per favore, non farlo. Non metterti a piangere. Ti verrei dietro.
Ma non mi dà retta.
Eccole, le sento salire.
Cominciamo assieme. Ed è naturale, quasi automatico stringerci l'una all’altra. I maschi non fanno un suono, né paiono intenzionati a interromperci.
Non so quanto ci sfoghiamo. Poi, esattamente com’era venuto, ci lascia. Con le gote bagnate e un senso di pacata rassegnazione.
Staccandoci pare accorgersi della cicatrice e mi chiede, sussurrando, come me la sono procurata. Le spiego velocemente le circostanze. Senza stupirmi minimamente chiede anche se può toccarla, mettendo fin troppo riguardo nella richiesta. Dico senza stupirmi perché pare essere diventato sport nazionale, non importa quale sia il mondo in cui mi trovo, tracciarne i contorni. La gente si trastulla con poco.
Staccando il dito domanda: “Ma quindi siamo state noi amazzoni a farti questo?”.
“Non usare il noi, tu... lei non c’entra nulla. Da quando è successo tutto quel casino con Mousse la sua posizione con la tribù è... diciamo compromessa. E non solo la sua”.
“Si sono ribellati?”.
“Praticamente sì, a conti fatti. Ed è per questo che loro hanno deciso di punirci. Questo fa parte della punizione”.
“Mi fai sentire ancora più in colpa, così...”.
“Ti prego, no. Tu non hai davvero nulla a che fare con questo. E poi, rispetto a qui, da me si sta molto meglio. Io e la gente che ci gira attorno abbiamo superato i sedici anni, per esempio. E forse, fra un po’, ci sarà qualcuno che mi farà tornare in mente uno dei presenti...”. Butto lì senza impegno quest’ultima allusione, notando che chi di dovere arrossisce.
Quei due fanno faville un po’ ovunque, a quanto sembra. Tranne quando muoiono adolescenti.
Chissà se qui io e Ranma abbiamo almeno ammesso i nostri sentimenti...
Poi si apre la porta d’ingresso.
Oh cavolo, è vero. Siamo a casa di Shinichi. E ha anche un padre, oltre a una madre.
E pure una sorella, vedo. Sorella che...
Maledizione. Potrei essere io una decina d’anni fa. È identica.
Anche Tofu è sempre uguale a se stesso. Ci osserva inebetito, saltando con gli occhi da me a Genma ad Akira e poi facendo il giro al contrario.
“Ma... che... cosa... chi...” balbetta. Pover’uomo. La piccola invece ci guarda sorridendo, evidentemente ignara delle implicazioni.
Vediamo se riesco a fare tre su tre con i malori degli Ono. Per precauzione mi avvicino, nell’eventualità che anche lui non regga all’impatto di vedermi.
“A-A-Akane?”. Ok, forse ho corso un po’ troppo. Naturalmente è scosso, ma non dà l’idea di uno che sta per perdere i sensi.
“Dottore...” inizio in tono remissivo, come se dovessi scusarmi della mia presenza.
“Come... come... puoi essere qui? E... e così... giovane...”.
“SHINICHIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!” è l’urlo che ci squassa le orecchie. Mi giro verso Akira, il suo autore, con una faccia che dice ti sei bevuto il cervello?. Fa spallucce.
L’interpellato accorre rapido, spuntando dalla cucina.
Vede il padre e la sorella.
“Occazzo. Papà, Rei. Tempismo perfetto”. ‘Sto ragazzo deve essere stato adottato, per forza.
“Cosa sta succedendo, figliolo?” chiede Tofu, leggermente meno traballante.
Un sospiro formato famiglia prima di rispondergli: “Papà, è un puttanaio che al confronto il Torneo sembrava un giochetto per poppanti”.
“Aspetta, aspetta! Rei, perché non vieni con me? Ti mostro una cosa divertente” interviene Shan-Pu afferrando la mano della bambina e trascinandola fuori, sorda alle sue proteste.
Mi viene da pensare che sia stato un colpo di genio, anche se non ho elementi per stabilirlo con certezza. Credo che, essendo lei ancora così piccina, non sappia nulla.
Shinichi comincia a spiegargli. E più spiega, più la faccia di Tofu si distorce in un qualcosa di indefinibile. Ma di sicuro non bello.
“Mi stai chiedendo di credere a una storia tanto assurda...” afferma una volta finito il riassunto.
“Benvenuto nella mia situazione quando ho scoperto del Torneo” gli risponde senza battere ciglio.
“Tua madre dov’è? Sa di tutto questo?”.
“All’incirca. Per cause al di fuori del nostro controllo era in cucina quando ha visto Akane per prima e... ecco, immaginati come sono andate le cose...”.
“È svenuta, vero?”.
“Stecchita”.
“Adesso come va?”.
“Meglio. Si è ripresa ed ero con lei quando siete rientrati. Stavo tentando di introdurla pian piano alla patata bollente”.
“Passami il tuo cellulare, per piacere” gli ordina con una voce autoritaria di cui non lo credevo sinceramente capace.
Quando ha l’affare in mano schiaccia pulsanti a caso, movimenti che come con Shinichi mi risultano del tutto oscuri.
Dopo un po’ comincia a parlare: “Shan-Pu, sono Tofu. Puoi tenere Rei lontana da casa per qualche ora? Non voglio rischiare che senta”.
“...”.
“Certo che lo spieghiamo a Kasumi. Ha il diritto di essere messa al corrente”.
“...”.
“No, non credo di comportarmi in modo avventato. E poi ha già un piede nel fango, tanto vale farglieli mettere tutti e due”.
“...”.
“Shan-Pu, per favore. Sono abbastanza vacillante a livello emotivo da non poter reggere un litigio. Fa’ come ti ho detto. Te lo chiedo come piacere personale”.
“...”.
“Ecco, quando sei accomodante mi piaci molto di più. La prossima seduta per i tuoi dolori articolari è gratis. Consideralo il mio modo di sdebitarmi”.
Toh, ma allora il tempo passa anche per lei. Ha già i reumatismi.
Mentre ridà il trabiccolo a Shinichi gli dice: “Torna da tua madre e assicurati che stia bene, poi raggiungeteci in salotto. Vi aspettiamo lì”.
Esegue senza una protesta. Il ragazzo è pestifero e dalla lingua biforcuta, ma si nota che lo rispetta. L’evidenza mi scalda il cuore.
Seguiamo il capofamiglia mentre ci conduce verso il nostro obiettivo. Devo ammettere che mi fa piacere vederlo reagire con sangue freddo e compostezza.
Ci accomodiamo. Per caso finisco sul divano, proprio al suo fianco sinistro. Qualche anno fa sarei diventata rossa come un peperoncino di Cayenna all’idea. Avrei finito col giochicchiare nervosamente con l’estremità della mia coda di cavallo, borbottando frasi senza senso. Prima di Ranma.
“Quindi siete capitati qui per caso non sapendo come?” inizia.
“Proprio così”.
“Eggià”.
“Quel che hanno detto loro”.
“Voi non sospettate nemmeno quanto sia destabilizzante avervi qui. Specialmente tu, Akane. Se sei stata aggiornata sullo status quo di questo mondo...”.
“Praticamente la prima cosa che mi hanno riferito. E sì, capisco benissimo quello che intendi. Fin troppo bene grazie a Shan-Pu”.
“Cos’ha fatto Shan-Pu?”.
“Ha tirato insieme una pantomima da teatro, con tanto di scuse in ginocchio. Mi ha messa in imbarazzo”.
“Oh. Mi spiace. Ma cerca di capirla, ha vissuto molto male gli ultimi momenti...”.
“Era fin troppo chiaro. Quella poveretta deve aver passato cento e più notti a disperarsi, ricordando come si era comportata”.
Vi prego, chiudiamo il discorso. Mi sento in colpa, anche se lucidamente mi rendo conto di non aver fatto nulla che mi possa essere rimproverato.
“Piuttosto, perché non...”.
La frase di Genma viene troncata dal sopraggiungere di Kasumi e Shinichi.
Bene Akane, è il momento della verità.
La guardi. Lei ti guarda.
Ti alzi.
Si tocca la guancia e noti immediatamente un accenno di lacrime agli angoli dei suoi occhi.
Ti avvicini. Lei si avvicina.
Apri le braccia. Ci si tuffa come un pesce scemo dentro il retino.
La stretta è soffocante, calda, confortevole.
“Mi sei mancata Akane, mi sei mancata da morire”.
“Io non sono lei”.
“Non importa. Mi sei mancata lo stesso”.
Ti commuovi di nuovo? Stai diventando una mollacciona, Tendo.


Per gentile concessione di Laura Pex

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Capitolo 3
*** Porca vacca se ne è passato di tempo ***


10 dicembre 2008.
Dodici mesi. Siamo bloccati qui da dodici mesi esatti.
Ho festeggiato il mio diciassettesimo compleanno un anno prima di essere nato, circondato da persone che conosco a malapena.
Niente Masashi. Niente Kazuo. Niente Yuichiro. E soprattutto niente Chigusa, la ragazza per cui avevo una mezza cotta e che, prima di questa disavventura, stavo seriamente pensando di invitare fuori per un caffè.
Alzo la testa verso il cielo senza rompere la posizione del loto con cui sono seduto in giardino. Anche se è metà mattina non sono andato a scuola, come non l’ha fatto Akane. In tutto questo tempo siamo rimasti fermi a livello educativo, impegnati come siamo a cercare una soluzione al nostro problemuccio.
Il sole è pallido e scalda poco, normale per il periodo. Ma non ho freddo, la temperatura è comunque gradevole.
“Ehi, bell’addormentato!”.
Non mi volto, ormai ho imparato a riconoscere quella voce.
“Akiko, cosa c’è? Stavo provando a meditare”. Chiudo gli occhi per dare più credibilità alla scenata.
Un ringhio di disapprovazione. Odia che venga usato il suo nome finto. Una delle mille precauzioni che sono state prese nel suo particolare caso, visto che è l’unica di noi transfughi che non può proprio prendersi il lusso di uscire e camminare in pace.
Succederebbe un macello se qualcuno la riconoscesse e cominciasse a urlare “Akane Tendo è tornata dall’aldilà più giovane! E con una cicatrice da gangster! Aiuto, invasione degli spiriti della vendetta!”. D’accordo che usano la BB cream per mascherarla un po’ ma, come mi sono permesso di far notare fin da subito, non aiuta granché.
“Potresti essere gentile ed evitarti di pronunciarlo se non è strettamente necessario, no?” dice sedendosi al mio fianco. Nonostante le evidentissime differenze è simile a sufficienza alla “mia” Akane da permettermi di poter capire cosa si cela davvero dietro le sue parole. E in questo caso, nonostante la scocciatura superficiale, la sento tutto sommato divertita.
Si dev’essere alzata bene. Al contrario di me.
Per qualche istante la ignoro. Poi gli istanti diventano molti.
“E potresti essere meno scortese con quella che consideri una tua zia” aggiunge soffocando male un risolino.
Mi fa piacere che tu sia di buonumore. Me ne venderesti mica un po’, per favore?
“Non sei lei. Trentaquattro anni di divario non sono bruscolini. Per non parlare del segnetto”.
“Pignolo. L’essenza di una persona rimane sempre la stessa, a prescindere dall’età”.
“Quindi mi stai dicendo che consideri quel Genma il tuo quasi suocero e la Kasumi di qui tua sorella?”.
Fa un verso strano, a metà fra lo sconcerto e la costernazione: “Non... non esattamente. Ma in spirito sì. Più o meno. A volte”.
“Potevi far che dire no, ti saresti risparmiata delle distinzioni inutili”.
“Ora non farmi il criticone a tutti i costi. Guarda che lo so che di base la pensiamo uguale. E poi come saresti riuscito a capirmi e a legare così bene con me altrimenti? È perché ti sei rifatto alle tue esperienze passate con lei e hai saputo sin da subito come prendermi”.
“Tu dici? Io pensavo fosse stata più fortuna sfacciata”.
“Ti sottovaluti, Akira”.
“Non mi va di parlarne, ok?”.
“Ok” annuisce, la voce un pochino affranta.
Torna il silenzio. Per come sto adesso la cosa non mi crea problemi. Anzi.
Contro ogni mia intenzione cosciente sono io a romperlo: “Akane...”.
“Sì?”.
“Credi... credi che torneremo mai a casa?”.
Ok ok ok, aspetta prima di aggredirmi. Ricordo benissimo il diktat secondo il quale l’argomento è off-limits. Solo che... solo che è già passato un anno.
Comincio a preoccuparmi sul serio.
La vita qui non è una tragedia, capiamoci. Gli Ono si sono svenati e si stanno svenando, monetariamente e affettivamente, per cercare di renderci la permanenza meno traumatica possibile. E fra noi tre si è instaurato un rapporto solidale, da anime afflitte dallo stesso morbo che cercano consolazione in chi è come loro. Come dimenticare, ad esempio, i gavettoni che mi hanno tirato addosso solo sei giorni fa mentre cercavo di spegnere le candeline della torta? Va bene, forse dei gavettoni non sono tutta ‘sta gran manifestazione di attaccamento ma... per dire, anche solo qualche mese fa non sarebbe andata così: ci saremmo trovati attorno a un tavolo e mi avrebbero cantato Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri ad Akira, tanti auguri a te in tono loffio, quasi fosse un obbligo. O magari si sarebbero evitati persino quello. Invece lì vibrava l’atmosfera lieta, tipica del compleanno di un amico o di un parente stretto.
Piccole cose del genere, niente di eclatante. Ma abbastanza da farmi sentire benvoluto e accettato, anche in uno strano capannello di persone come il nostro.
E come non sottolineare una volta in più l’estrema ospitalità che questa famiglia ci ha fornito e continua a fornirci, incurante del fatto che siamo piombati all’improvviso nelle loro vite mettendogliele sottosopra? Non ho nessuna remora nel definire Tofu e Kasumi come due genitori adottivi, dei migliori fra l’altro. Sempre disponibili, comprensivi, attenti, rispettosi. E in un certo senso è come se ci avessero davvero adottato, a me e ad Akane, visto che abitiamo qui, mangiamo a spese loro, ci vestiamo a spese loro, ci svaghiamo a spese loro.
Nel caso di lei la cosa è più facile da comprendere, è pur sempre il simulacro di una sorella perduta brutalmente in una sorta di gioco al massacro in cui la tua unica scelta era se volevi crepare da solo o portandoti dietro il mondo intero.
Ma io, a fare i cinici, non sono nulla per loro. Non esisto, non sono mai esistito e non esisterò mai. Sono il figlio di due vaghi conoscenti morti da vent’anni. Eppure non hanno esitato a considerarmi parte della famiglia, come se non ci fosse la minima barriera fra di noi.
Da un anno Tofu Ono e Kasumi Tendo in Ono hanno quattro figli e non due. Per modo di dire, chiaramente, e soprattutto non per il resto della città. La versione ufficiale sostiene che io e Akiko siamo dei cugini di altissimo grado, qualcosa attorno al quinto o sesto, da parte di Kasumi e che siamo venuti a vivere con loro dopo che i nostri genitori sono morti in un incidente. Genma è Genma, non c’è stato bisogno di nessuna copertura e semplicemente ha deciso di tornare a Nerima dopo aver girato tutti i continenti in lungo e in largo.
Oh giusto, dimenticavo: la balla vale anche per Rei. Non hanno avuto il fegato di riempirle la testa con tutte quelle informazioni che la sua mente di dodicenne ingenua non avrebbe mai potuto comprendere. E, onestamente, come biasimarli? Per lei la cicatrice di Akane è dovuta a quello schianto con la macchina.
Tutto ciò è molto bello. Commovente quasi. E non sono sarcastico, lo intendo sul serio.
Però questo è un mondo estraneo. Nonostante tutto a me casa mia manca. Mi mancano i miei genitori, i miei compagni di classe, arrivo persino a farmi mancare i professori. Per dire come sto messo.
“Perché me lo chiedi, Akira?”. La sua voce non tradisce il minimo cenno di tensione. Sembra tranquilla. Ma non credo neanche per un istante che, durante tutto questo periodo, non abbia mai pensato una sola volta alla peggiore delle eventualità.
Comincio a schiacciarmi e a muovere le dita in maniera convulsa. Mi capita sempre quando sono nervoso, e tutta questa calma da parte sua mi rende tale.
Voglio conoscere il tuo cacchio di segreto.
“Sai com’è, un anno di buchi nell’acqua non è un bell’auspicio”. Detto con il tono più neutro che mi esce, visto che è a tutti gli effetti un dato di fatto.
“Non hai torto, già. Però sono serena. Prima o poi qualcosa troveremo, abbi fiducia”.
“In chi? In cosa? In un intervento divino? In qualche kami che decide di guardare giù e fa «massì, rimandiamoli da dove vengono che hanno sofferto abbastanza»? Spiegami come puoi non sentire il desiderio di tornare al luogo cui appartieni”.
Al che mi guarda e assume quella che trovo un’espressione da pesce lesso, troppo cotto e pure un po’ bruciacchiato sulla griglia: “Akira, cosa ti fa credere che non mi sia mai successo? Esattamente come avevo predetto, non immaginando che sarebbe stato necessario averne una conferma pratica, qua non si sta affatto male. Ma hai ragione quando dici che la sete di casa si fa sentire. In questo preciso istante sono solo fortunata che l’essermi alzata col piede giusto dal letto mi sta aiutando a non pensarci, o almeno lo stava facendo finché tu non hai portato a galla l’argomento. In realtà è più semplice di quanto sembri: io, te e Genma siamo abbastanza impotenti rispetto alla situazione, nel senso che possiamo solo aiutare a spulciare il mare di scartoffie di Shan-Pu ma non è che possiamo prendere, dire «Ok, ora vado a casa» e farlo. E quindi, come mi piace dire atteggiandomi da Akane la Saggia, in una situazione di questo genere è meglio cercare di mantenere una prospettiva il più possibile ottimista, ché il disfattismo porta solo danni e crisi isteriche. Soddisfatto, nipote?”.
Quel sorriso sbruffone, da chi ha ragione e sa di averla e non fa niente di niente per non trasmetterti quella sensazione, mi dà una e una sola cosa: la voglia di tirarle uno schiaffo.
Non me ne faccio uno stracazzo di nulla di una che fa la parte del grande maestro buddhista di ‘staceppa. E sono pure troppo di cattivo umore per accettarlo passivamente.
“Sì Akiko, soddisfattissimo. Ma solo una curiosità: il tuo soprannome non dovrebbe essere La Donna che Sveniva la Gente? Parole tue, eh”. Se tu giochi sporco lo posso fare anch’io.
Un altro ringhio, un po’ più gutturale del precedente. Allora vediamo... così non è ancora fuori di sé, palese dal fatto che non mi abbia scagliato su Marte, ma comincia ad accusare il colpo. Poi però scoppia a ridere, spiazzandomi.
Che cos’è questa stregoneria? L’Akane che ricordo, quella del mio mondo intendo, non sapeva cercare di mettere le briglie a una sfuriata montante. Memorabile l’occasione in cui suo marito, in un crescendo di ottusità e totale carenza di garbo, è riuscito a portarla al punto di ebollizione in meno di due secondi e otto decimi e ci ha guadagnato fratture multiple e quattro giorni di trattamento del silenzio. Il tutto partendo da un commento apparentemente leggero sul colore delle scarpe di lei. Papà aveva ragione a definirlo maledetto genio del male mancato.
“Questo tuo autocontrollo è nocivo al divertimento, lo sai?” mi lascio sfuggire ad alta voce, dando corpo ai pensieri.
“Rido per non piangere. E per non riempirti di botte come meriteresti. D’altronde non vogliamo che i tuoi ti vedano senza metà dentatura ed entrambi gli occhi neri, no?”. Uuuuuh, questo tono ilare. Smettila, sennò ti mando a Fanculolandia per direttissima.
“Però vedi che così facendo dai ragione a me? Se tu fossi stata lei io non sarei più qui, nel giardino di casa Ono, bensì sarei a cavalcioni di un orso bianco nel bel mezzo dell’Artide”.
“Uhm. Tre decenni e rotti di differenza... no, saresti in mezzo a qualche foresta africana, probabilmente”.
“Addirittura? Al contrario del vino buono, più invecchi e più peggiori”.
“Dipende dai punti di vista, giovanotto”.
“Ehi! Hai due anni più di me, non cinquanta!”.
“Scusa. Mi sono calata troppo nella parte”.
“Insomma, non chiedo tanto. Vorrei solo rivedere le persone a cui voglio bene. E non che a voi non ne voglia, ma ecco... non è proprio la stessa cosa. Senza offesa”.
“Ovvio che non sia la stessa cosa, e stai tranquillo che non mi offendo. Mi sono affezionata a te, a Shinichi, a Genma, alla Kasumi che ogni tanto faccio ancora fatica a riconoscere... ma non siete voi i miei veri affetti. Come prima hai ragione, innegabilmente. Ogni giorno che passo qui è un giorno che non passo con Ranma, con Ukyo, con Ryoga e persino con Shan-Pu. E quegli splendidi idioti mi mancano da matti. Piuttosto, non ti stufi mai di essere sensato?” conclude alzandosi e sorridendomi ancora.
“E adesso dove vai?”.
“A sfondare qualche mattone. Devo scaricare un po’ di rabbia, tuo gentile regalo”.
Mentre osservo la sua schiena che si allontana...
“Scusa Akane, davvero scusa. Non intendevo irritarti”.
Si ferma e, senza voltarsi nella mia direzione, risponde: “Lo so, Akira. Ho imparato a riconoscere i tuoi giorni no, quindi capisco che buona parte di quanto hai detto è causato solo dal malumore. Passerà. Non lasciarti andare, l’assenza di fiducia uccide. Noi torneremo a casa”.
“Vorrei poterti credere, ma oggi non mi è proprio possibile”.
“Sarà per un’altra occasione, allora”. E, per la prima volta dall’inizio di questa conversazione, il suo tono conciliante non mi infastidisce.
La vedo sparire senza un ulteriore rumore.
Fatico a credere a quanto ho visto e sentito. Sono sempre più convinto che si sbagli, in merito all’essenza delle persone. Perché in lei non c’è l’essenza dell’Akane che conosco, o se c’è è molto indebolita. Manca l’impulsività, l’invidiabile capacità di equivocare apposta, la voglia di far volare le mani al primo sgarro.
Passano dieci minuti e comincio a sentire, in lontananza, grida che mi sono parecchio conosciute.
“Bruttostronzocretinoinsensibilezoticobastardo!”.
Forse la mia teoria non è del tutto giusta. O forse, incredibilmente, quest’Akane diciannovenne ha più autocontrollo dell’Akane ultracinquantenne del mio mondo. Come se poi fosse difficile.
Torno a guardare un punto a casaccio di fronte a me.
All’improvviso dalla mia tasca risuona La Cavalcata delle Valchirie. Beh, uno non può avere una suoneria del cellulare non tamarra per caso? Inoltre ho sempre amato Riccardo Van.
Lo tiro fuori. Tsk, non sono abituato a un preistorico smartphone. Rivoglio lo schermo 3D del mio geniusphone. Ma a cellulare donato dai tuoi benefattori non si guarda nel display.
È Genma.
“Pronto?”.
“Ciao Akira”.
“Ciao vecchio”.
“Oh. Cattivo umore?”.
“Un po’, sì. Che c’è?”.
“Lo sai cosa c’è. È l’ora del nostro rituale quotidiano. Raccatta Akane e troviamoci al solito posto”.
“Ok”.
“A tra poco”.
“A tra poco”.
Cheppalle. Sono talmente sfasato che oggi non ho nemmeno voglia di fare quella cosa. Che, per inciso, è praticamente l’unica possibilità di rimediare alla mia... alla nostra situazione attuale. E quindi di farmi passare lo scazzo. Divertenti i circoli viziosi, proprio divertenti.
Vado a recuperare Cita l’Urlatrice Folle.
“Akane” esclamo entrando nel dojo, mentre lei sta posando altre mattonelle da frantumare “ha chiamato Genma. Ci aspetta al Nekohanten”. Ne hanno fatto scorta dopo l’occasione in cui, essendone sprovvista, non ha trovato niente di meglio da fare che dare un pugno al muro incrinandolo.
Uhm. Che abbia ragione lei?
“Yaaaaaaaah”.
CRONCK.
“Va bene. Dammi due minuti che mi sistemo, indosso l’armamentario e ci avviamo”.
“Ricevuto”.
La osservo con fare annoiato mentre ripone quel poco che ha spostato e si dirige verso quella che è diventata camera sua. Ovviamente, per comodità di tutti, le hanno assegnato la stanza che la sua controparte di qui occupava ai tempi e sulla porta c’è ancora la paperella con il suo nome. Io invece sono finito nell’ex-camera da letto di Nabiki e il vecchio, per cercare di non pesare troppo sui poveri Ono, ha ben pensato di affittare un appartamento lungo la via e di trovarsi un lavoretto. Non so bene, a dire il vero, ma credo che faccia l’operaio perché, nonostante l’età non proprio più verdissima e quel suo maledetto viziaccio del fumo, è ancora molto tonico e capace di sostenere impegni di una certa fatica. Il “mio” Genma non l’avrebbe mai e poi mai fatto, per quel poco che conosco di lui tramite i racconti di zio Ranma.
No, ho ragione io.
La vestizione è rapida, come al solito. Ed eccovi Akiko Honda, siore e siori: trucco pesante ma non perché le piaccia, parrucca di lunghi e setosi capelli biondi, lenti a contatto rosse, felpa di pail anonima, gonna lunga tutto il polpaccio e oltre.
“Continua a meravigliarmi come tu non dia in escandescenze ogni volta per doverti conciare in questa maniera” le dico poggiandole una mano sulla spalla con tono sinceramente rammaricato. Non la sto sfottendo, serio. Se tanto mi dà tanto, cioè se lei ha gli stessi gusti di chi so io, vestirsi in questo modo le fa a dir poco ribrezzo. E io non le voglio così male.
“Ancora che non devo frequentare scuola ridotta così. Con la sfiga che mi gira attorno il travestimento sarebbe andato a pallino in meno di una giornata, e poi vai a raccontare perché sono qui invece di essermene restata buona buonina nel mio loculo”.
“Oh su, Akiko. Tu e il tuo fratellino siete giustamente rimasti traumatizzati dal botto che si è portato via i vostri genitori ed è più che normale che vi siate presi un anno sabbatico”.
“... mi fa ridere che stia parlando del fantomatico Akira Honda come se fosse un’altra persona”.
“Perché, non lo è?”.
“Ora sei ridicolo, non solo buffo”.
“Puoi burlarti di me mentre ci avviamo. Poi sai come diventano se facciamo tardi”.
Sorride per l’ennesima volta mentre mi spinge via e mi incita ad incamminarci. Se davvero mi sto sbagliando ne sono proprio contento, umore odierno a prescindere.
La passeggiata è abbastanza piacevole, tutto considerato. E anche abbastanza veloce.
Varchiamo la soglia del Nekohanten.
E... sì, ci siamo proprio tutti, tranne Shinichi che è bloccato in quel posto di perdizione e tortura chiamato scuola.
Siamo fin troppi, anzi.
Perché c’è pure Nabiki. 

13 dicembre 2007.
“Akira, per favore! Calmati! È Nabiki, non un branco di leoni!” mi implora Kasumi, inquieta.
“Avrei preferito il branco di leoni!”.
Per fortuna siamo solo noi tre. Non so dove siano gli altri, ma li ringrazio di non essere presenti. Evito volentieri la figuraccia astronomica che probabilmente sto rimediando agli occhi della maggiore delle Tendo.
“Insomma, si può sapere cosa ti prende?” mi chiede la signora Ono poggiandomi le mani sulle spalle. Sopprimo l’impulso di scostarla, non è con lei che ce l’ho. Bensì con la strega travestita da essere umano che ha appena varcato la soglia di casa e ci sta osservando con un sorrisino che le toglierei volentieri a sberle.
“Cosa mi prende? Mi chiedi cosa mi prende?”.
“Esatto, ti chiedo cosa ti prende. Non capisco il tuo comportamento”.
“Rispondile, Akira” mi provoca. E non sa quant’è vicina a farsi gonfiare la faccia.
“Io non mi fido di lei” sentenzio. Inutile star qui a girare attorno al problema, meglio cavarsi subito il dente.
“In merito a cosa?”.
“In merito alla situazione mia, di Akane e di Genma. Kasumi, non voglio credere di dover essere io a spiegarti con chi abbiamo a che fare”.
“Non devi, infatti. Credo di conoscere mia sorella un po’ meglio di te”. Uh, la nota d’astio. Devo aver detto una parola o due di troppo.
“Non ne dubito” cerco di salvare il salvabile “Ma resta che di Nabiki Tendo la Cannibale non mi fido”.
La diretta interessata, a quanto pare stufatasi di rimanere in disparte, interviene: “E sentiamo, cosa hai paura che possa fare?”.
“Oh, non lo so. Non sono mefistofelico come te. Non fatico a credere che qualcosa di spregevole ti verrà in mente”.
Per un solo, misero istante c’è silenzio. Poi l’imputata, perché tale la considero in questo momento, copre la distanza che ci separa e si pone esattamente di fronte a me. Chiede a Kasumi di scostarsi e quella acconsente, anche se è evidente che la situazione la preoccupa.
“Vuoi la verità, marmocchio? Tutta la verità, nient’altro che la verità?”.
“Ci puoi scommettere, megera”.
“In primis ringrazia che io non conosco le arti marziali e non mi piace alzare le mani come alla fu Akane, altrimenti adesso ci sarebbe un buco in più nel tetto di questa casa e tu avresti l’invidiabile possibilità di salutare i passeggeri del più vicino aereo. In secondo luogo: come ti permetti? Come ti permetti di sputare giudizi nei miei confronti?”.
“Mi permetto perché ti conosco”.
“Mi conosci? Tu mi conosceresti? Ragazzino, vedi di non farmi perdere la calma o potrei rimangiarmi il proposito sulla violenza”.
“Non lo faresti, Nabiki Tendo è tutto fumo e niente arrosto da quel punto di vista. Peccato che, da altri punti di vista, sia il peggior squalo che infesta il mar del Giappone”.
“Dimmelo, allora. Cosa temi da me? Perché tutta questa circospezione? Perché ti fasci la testa prima di essertela rotta?”.
“Lo ripeto, visto che a quanto pare qualcuno qui non ci sente da un orecchio: ti conosco. So di cosa sei capace. Ti ho vista all’opera. Sono consapevole del fatto che per te non esistono limiti e non esiste moralità. Se vedi soldi in fondo alla via la percorri a testa bassa, incurante di chi potresti schiacciare sul percorso”.
“Fammi capire bene” dice incrociando le braccia al petto “In quella tua testolina è fiorito il sospetto che io possa, per esempio, vendere voi tre a qualcosa o qualcuno per profitto? È questo che credi?”.
“Fermamente”.
“Lascia che ti dica questo allora: non succederà. Io sono tornata a Nerima per le vacanze natalizie e nulla di più. Ammetto che venire a conoscenza della vostra situazione è stata una stangata direttamente fra capo e collo, ma la mia cara qui presente sorella ha avuto la lungimiranza di introdurmi al discorso con gradualità, evitandomi spiacevoli colpi al cuore. Perché, che tu ci creda o no, io un cuore ancora ce l’ho. Logorato forse, e di sicuro non limpido come un laghetto di montagna. Ma ce l’ho. E ha ripreso a battere per alcune persone già da parecchio tempo, oramai. Da diciotto anni”.
La pausa è solo per dare carica drammatica al pistolotto strappalacrime.
“Oh, puoi toglierti quel sorrisetto da piccola faina. Ho intuito a cosa stai pensando e no, non sto cercando di fotterti. Anche perché non me la faccio con i minorenni. Ma seriamente, no. Da quando è morta Akane ho fatto un solenne giuramento con me stessa: non toccare mai più i parenti e gli amici più stretti. Questa minuscola cerchia include Kasumi e famiglia e Shan-Pu. E da tre giorni, mio malgrado, include anche voi. Cioè, tu davvero pensi che io potrei vendere una versione di mia sorella, qualcuno che manca dalla mia vita da quasi due decenni? Non ho idea da che mondo arrivi e cosa posso aver combinato dalle tue parti -anche se mi dovrai fare un resoconto in merito, prima o poi- ma questo no, non lo farei. Mai. Per nessun motivo. Neanche per un triziliardo di yen. Non perderò Akane una seconda volta per non aver saputo controllare i miei istinti, anche se non è davvero sangue del mio sangue. Preferirei che un vampiro mi gettasse in testa uno schiacciasassi urlando
«Wryyyyyyyyyyyyyyy!». Considerati fortunato che la sua immunità si estenda anche a voi, che al contrario non avrei nessun problema a rifilare al primo barbone trovato in strada per un tozzo di pane duro”.
Grugnisco. Anche le citazioni da una brutta copia di Hokuto No Ken si mette a fare. Tsk.
Decido che stavolta, solo per stavolta, mi toccherà fidarmi di questa serpe. Anche perché temo sarei impotente se decidesse di mettere in moto uno dei suoi piani di devastazione delle vite altrui, eccezion fatta per l’eventualità in cui le pianto un’accetta in fronte e passo i prossimi quarant’anni della mia vita in galera.
“Vedi di non farmi pentire della scelta” dico sottovoce.

“Cosa ci fa lei qui?” chiedo in tono inquisitorio.
“Che c’è, Akira? Devo forse chiedere a te il permesso per trascorrere il Natale con la mia famiglia?” risponde accigliata.
Sì, l’antipatia è decisamente reciproca.
Scelgo di ignorare, non è il caso che scoppi un litigio in grande stile. Inoltre, per non so quale miracolo, non ha spifferato del piccolo incidente occorso fra me e lei l’anno scorso e non sarebbe saggio darle motivo per tirarlo fuori.
“E poi non è meglio avere un paio di occhi e di braccia in più per passare in rassegna questo quintale di roba?” indicando la spropositata quantità di rotoli, pergamene e libroni più alti di me che, come ogni mattina, decorano i vari tavoli del Nekohanten.
“Sigh. Temo tu abbia ragione, Nabiki”. Kasumi, diavolo. Non darle corda.
“Forza gente, che non siamo qui per fare salotto. Diamoci da fare” è la perentoria esortazione di Genma a cui tutti ubbidiscono.
E, tanto per cambiare, buttiamo via un sacco di tempo.
Niente. Non riusciamo a trovare niente di niente.
Allo stato attuale quel che abbiamo in mano è la stessa quantità di informazioni in nostro possesso il giorno in cui è accaduto tutto: un cazzo.
Non sappiamo come siamo finiti qui. Non sappiamo chi o cosa contattare per farcelo spiegare, presupponendo che l’esserne a conoscenza serva a qualcosa di realmente concreto e non sia solo per soddisfare la curiosità. Non sappiamo come invertire il processo.
Sento come delle neanche troppo virtuali catene che si stringono attorno alle mie caviglie. Giudicando dagli sguardi sconsolati dei miei due compagni, per loro non dev’essere troppo diverso. Ma al contrario di me nei loro occhi c’è ancora la fiammella della speranza, che so per certo del tutto assente in me, quantomeno per oggi. Le sfighe del cattivo umore.
“Signori” fa ad un certo punto Nabiki, dopo essersi lasciata cadere su una sedia disfatta dalla fatica “so che quanto sto per dire suona azzardato. Se però quel che mi avete detto è vero, cioè che in questi trecentosessantacinque giorni avete esaminato tutta questa roba senza giungere alla minima conclusione... beh, come si suol dire a mali estremi, estremi rimedi”.
“Sarebbe?” mi azzardo a chiedere. Mi piace essere il primo ad afferrare il forcone per respingere quello che percepisco come un potenziale pericolo.
“Sarebbe che la gentile Shan-Pu non è l’unica persona in possesso di materiale che può dar risposta alle vostre domande. E anzi, da par suo ha pure un sacco di esperienza diretta...”.
Le facce dei presenti si distorcono in smorfie per nulla rassicuranti. Davvero sono l’unico a non aver colto il riferimento?
“Non so di cosa tu stia parlando, Nabiki” dico ad alta voce, sinceramente spiazzato.
“Non... non puoi volerlo coinvolgere...”.
“Tu sei pazza, Tendo. Pazza”.
“Penso sia evitabile tirare in ballo proprio lui...”.
Va bene, va bene. Ho capito. Sta parlando di una specie di demone in forma umana, d’accordo. Non serve che facciate i buffoni per forza, ve l’ha mai detto nessuno?
“Akira” esclama lei sorpresa “davvero non sai di chi sto parlando?”.
“Direi. Non mi viene in mente una sola persona che giustifichi questa reazione”.
“Nel tuo mondo siete fortunati. Chissà, magari una delle orde di studentesse che derubava l’ha finalmente preso e gliel’ha fatta pagare come si meritava”.
Uh?
“Ti dice niente il nome Happosai?"

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Capitolo 4
*** Vecchio, facci vedere cosa nascondi nel tuo sacco da Babbo Bastardo ***


Come sono carini mentre litigano.
“Da quel maniaco sessuale non ci andiamo, è chiaro? No no no no no!”.
“Nabiki ha detto una cosa sensata, potrebbe essere la soluzione vincente”.
“Preferisco rimanere qui che essere in debito con lui!”.
“Ragiona, Akane...”.
“Proprio perché sto ragionando dico così! Ma insomma, solo io ci vedo della pazzia in questa proposta?”.
Se conosco almeno un po’ il carattere della mia defunta sorella so che ne potrebbero avere per molto, pertanto mi alzo senza far rumore e mi avvio verso l’uscita. Ho voglia di una sigaretta. E poca voglia di sentir loro che si scannano.
Tanto già so come andrà a finire: prima o poi qualcuno la butterà sul tragico e riusciranno a convincere quella testa dura che la mia idea, sebbene io sia la prima ad ammettere che è azzardata e potenzialmente disastrosa, è probabilmente l’unica occasione per uscire dal pantano che ha fatto loro da casa nell’ultimo anno.
D’altronde, in situazioni del genere, prima del Torneo i casi erano due: o ci si rivolgeva a Obaba, che forse non era sempre ortodossa ma di cui tendenzialmente ci si poteva fidare... o ci si rivolgeva ad Happosai e si stringevano fortissimo le dita sperando di beccarlo di buzzo buono. E non che quando è di buzzo buono sia poi una compagnia così piacevole, eh. Ma almeno c’è una discreta possibilità che decida di aiutare.
Poi il Torneo arrivò, via una cariatide si portò e andare dall’altra la sola opzione restò.
Ok, mai più. Come poetessa faccio schifo.
Scorgo di sfuggita Shan-Pu che mi guarda male mentre armeggio col pacchetto e l’accendino. Le faccio capire con un cenno della testa che non ho intenzione di impestarle il locale con il mio catrame e che sto per andare fuori.
Una volta all’esterno mi appoggio al muro, guardando distrattamente i passanti, e finalmente mi godo il mio piccolo tesoro.
Passano dieci minuti e un cigolio al mio fianco mi ridesta dai miei pensieri sulla mia personale tabella di marcia finanziaria.
È Ak... Akiko. Meglio che, quando siamo in un ambiente con degli estranei, pensi a lei in quei termini. Non voglio lasciarmi sfuggire un nome di troppo.
Sembra abbacchiata. Può darsi che l’abbiano persuasa.
“Ebbene?” chiedo con nonchalance.
“Continuo a pensare che sia una pessima trovata, ma non posso negare che siamo davvero con le spalle al muro e che potrebbe darci una grossa mano”.
“Chi sono io per darti torto?”.
“La lontana cugina rompiballe, ecco chi sei”.
“Oh su Akiko, non fare così. Sai che il mio pragmatismo viene utile in situazioni del genere”.
“Forse. Questo non ti rende meno antipatica”.
Va bene, non posso fargliela passare liscia. Mi avvicino al suo orecchio e le sussurro: “Senti un po’ piccola Akane, non credi di stare esagerando? Quel che ho detto l’ho detto per cercare di uscire dall’impasse. Impasse che, ci tengo a ricordarti, è vostra e non mia. Io sono a casa”.
“Non... non vale giocare sporco, bastarda”. Cos’è questo tono tremulo, bimba? Ti avrò mica messa a disagio con così poco?
“Non sto giocando sporco e lo sai. Se stessi giocando sporco tu ora saresti su un tavolo operatorio della CIA mentre ti vivisezionano, cercando di capire come hai fatto a tornare in vita”.
Rifiuta di rispondermi e si scansa, disgustata.
Temo di avere esagerato. Non mentivo quando ho detto ad Akira che lei, per me, è sacra in quel senso.
Sto per scusarmi ad alta voce quando anche gli altri escono.
C’è un certo buon umore in loro, evidente nei sorrisi di Genma e specialmente di Akira. Il ragazzo non sa quanto sono brutte le fauci in cui ci stiamo infilando.
“Bene ragazzi” esordisce proprio il nostro caro ingenuotto “perché non ci mostrate dove abita il signor Happosai? Kasumi ha detto che vive da solo già da molti anni”.
“Io non ne ho idea” rispondo onesta. Passo di qui solo per le festività e non perdo di certo tempo per scoprire dov’è andato a stare quel minuscolo maiale.
“Datemi un attimo che chiudo il ristorante e ve lo mostro io” dice Shan-Pu.
“Com’è che lo sai, di grazia?” le viene chiesto.
“Una volta ci sono andata per riprendermi un reggiseno che mi aveva fregato, quell’invasato del cazzo. Spero solo che la concussione cerebrale che gli ho provocato non lo abbia rincoglionito troppo”.
Bonjour finesse, madamoiselle.
“Poi ci si chiede perché Shinichi parla come un camionista” butta lì Akira fischiettando. Come dargli torto? Il vocabolario del mio caro nipotino è parecchio sboccato e, se tanto mi dà tanto, qualcosa da lei l’ha ben assorbito. Però a me, al contrario di sua madre, la cosa non crea alcun problema.
Attendiamo che la cinese concluda con le operazioni di chiusura e lasciamo che ci faccia da battipista.
Proseguiamo vicini e compatti.
Per un puro caso al mio fianco c’è finita Akane. E visto che con lei ho un discorso in sospeso...
Faccio per accostarmi nuovamente al suo orecchio quando la vedo allontanarsi. Devo aver toccato qualche corda profonda per farla reagire così.
E va bene, non sono obbligata a bisbigliare.
“Scusami, prima ho detto una parola di troppo”. Non rivolgendomi direttamente nella sua direzione, ma a voce abbastanza alta da far sì che chi deve capire capisca.
Nessuna risposta, né vocale né in altro modo.
Oh beh, non pretendo un abbraccio strappalacrime e una riappacificazione plateale. Quel che dovevo fare l’ho fatto e mi so accontentare.
Il resto del viaggio è tranquillo.
Ci troviamo di fronte a una casetta modesta, quasi alla periferia di Nerima.
“Ci siamo, signori. Happosai dovrebbe trovarsi qui” dice Shan-Pu indicando l’ingresso.
“Cosa aspettiamo allora? Entriamo” proclama Akira avvicinandosi a grandi falcate alla porta e aprendola senza preoccuparsi di suonare o di rendere altresì nota la propria presenza al padrone di casa.
Lo seguiamo sospirando, chi più chi meno stupefatto da tanto giovanile ardore. Ma lo capisco, il ragazzo starà pregustando la possibilità di tornare al mondo cui appartiene e si sentirà elettrizzato.
È proprio figlio di Ukyo e Ryoga, comunque. Non per un solo istante ha espresso titubanza, lasciandosi guidare dall’istinto. E ok, si presume non sappia con chi abbiamo a che fare ma questo non toglie che non sia il comportamento più prudente. Specie quando chi ti circonda, che al contrario di te sa bene chi stiamo immischiando in ‘sta storiaccia, appare meno che entusiasta alla prospettiva.
Inaspettatamente lo troviamo subito, lì nel salone. Come al suo solito intento a stirare l’ultimo bottino.
Porco che vince non si cambia.
“Tu chi sei, bamboccio?” esclama verso il primo invasore. Giudicando dal tono, e soprattutto dal fatto che non lo abbia scagliato verso il tetto con quella sua odiosa pipa, potrebbe essere un momento fausto.
“Lei è il signor Happosai, giusto?”.
“Sono io. Ci conosciamo, giovanotto? Oh, ma ti sei portato una bella banda. Kasumi, Shan-Pu, Nabiki e...”.
Trasale.
Credo abbia riconosciuto Akane nonostante il travestimento.
“Che cos’è questo scherzo? Chi è quella ragazza?”.
Interviene Genma, ponendosi di fronte ad Akira: “Venerabile maestro, abbiamo estremo bisogno della sua sconfinata saggezza ed esperienza”.
“Genma? Sei tu? Faccio fatica a riconoscerti...”.
“Sono io e non sono io, sì. Se posso sedermi e spiegarle...”.
Provvede e comincia ad aggiornarlo sui più recenti avvenimenti.
Il racconto termina, almeno nelle sue linee principali, e la sua espressione non esprime neanche un’oncia dello stupore che mi sarei aspettata di trovarci.
Allunga una mano al suo fianco, raccoglie la pipa e se la accende. Aspira profondamente prima di aprire bocca: “Se non fossi chi sono ammetto che questa storia mi avrebbe confuso parecchio. Ma, per vostra fortuna, io sono Happosai”.
“Puoi anche evitare di fare la ruota come un pavone con il colera, vecchio” lo apostrofo acidamente. Non sono venuta qui per sentirlo tessere le lodi di se stesso, bensì per vedere se possiamo risolvere questa scomoda situazione. Dopo un secondo di pausa riprendo: “Piuttosto, com’è che la notizia non...”.
“Semplice, Nabiki. Ho indirettamente vissuto un’esperienza simile, in gioventù”.
Che cosa?
Si alza un coro di “Impossibile!”, “Non ci credo!” e similari.
“Prego?”.
“Mi hai sentito. Parecchi decenni fa, forse addirittura un secolo... ho trovato una mia versione a cui era capitato il vostro stesso contrattempo”.
“E...”.
“Vedi un altro me stesso nei paraggi, per caso?”.
Poi dite che non mi vengono intuizioni geniali, eh. Mai dare il biscottino alla povera Nabiki quando se lo merita.
“E allora cosa aspetti?” prorompe Akira “Dicci come hai fatto a rispedirlo nel suo mondo!”. Uoh ragazzo, uoh. Calmati. Adesso probabilmente capirai perché c’era tanta ritrosia al volerlo coinvolgere.
“A me cosa ne viene in tasca? Non sono qui a fare beneficenza per voialtri”.
Vedi? Stiamo parlando di Happosai, non di una brava persona.
Però, neanche venti secondi dopo, decide di smentirmi: “Anche se potrei pure accettare di aiutarvi... dietro un congruo compenso”. Parzialmente, almeno.
Va bene, adesso lasciatemi lavorare in santa pace.
“Cosa vuoi, barattolo di immondizia umana?” chiedo ponendomi direttamente di fronte a lui.
“Mandate avanti il piccolo piranha, vedo. A me sta bene, se non è Nabiki-chan non mi diverto”. Grrrr. A distanza di tutto questo tempo ancora si ricorda di quanto quel nomignolo mi manda in bestia.
Parte una serratissima contrattazione, in cui volano pagamenti e contro pagamenti di un’unica natura: riviste porno, reggiseni e mutandine di varia foggia e materiale, bambole gonfiabili. Non appena tenta di pronunciare un qualsiasi pronome che si riferisce a noi gli pesto un piede.
A un certo punto alza fin troppo la posta e spara un “Voglio una compagna di letto, esperta nelle arti amorose, per riscaldare le mie vecchie ossa nelle fredde notti invernali”. Richiesta negata senza appello, non glielo possiamo proprio concedere. Dopo questa Kasumi cerca di coprire le orecchie di Akira ed Akane, ignorando cosa sono riuscita ad estorcere alla nostra quasi-sorella. Sapesse. E comunque fallisce, i due ragazzotti sembrano piuttosto interessati al discorso.
Alla fine ci accordiamo per una fornitura bi-annuale di quattro hentai mensili fra i più zozzi e perversi che conosco, un camion di biancheria intima consegnabile anche a rate e Keiko la Porcona, il modello con la bocca che si muove come a fare una fellatio.
“Hai ottenuto quel che volevi, ora dacci quel che vogliamo”.
“Immediatamente, cara Nabiki-chan”.
Tenetemi o lo sventro prima che possa risponderci.
Apre un armadio, ravana un po’ nelle sue scartoffie e tira fuori un rotolo che, a guardarlo da qui, sembra più datato di lui. So che suona difficile da credersi.
Ce lo stende davanti, ma credo che nessuno di noi sia in grado di interpretarlo. Dobbiamo solo sperare che decida di non inventarsi una storia assurda delle sue.
“Allora, fatemi ricordare bene...”.
“Coraggio vecchio, non abbiamo tutto il giorno” lo istiga Shan-Pu.
Più passano i secondi, più lui sta in silenzio e più sento il ripetersi dell’affaire Happo Daikarin. Solo che lì si poteva tranquillamente fare a meno del contenuto, qua un po’ meno.
Percepisce di essere il centro focale del nostro gruppetto e, come suo solito, comincia ad agitarsi. Memori del precedente, io e Kasumi provvediamo a tenerlo fermo. Se si infervorasse e riducesse la pergamena a brandelli non sarebbe piacevole.
“Concentrati, Happosai” gli dico, seria. Questa faccenda non mi riguarda direttamente, è vero, ma ho la precisa sensazione di dover fare un po’ il capo della baracca.
“Va bene, va bene” risponde dopo che l’abbiamo mollato.
E finalmente otteniamo quel che cercavamo.
C’è solo un piccolo problema.
“Uh oh”.
“Uh oh cosa?”.
“Devo essere onesto, non me lo ricordavo. È possibile rispedire al mittente un intruso, sì... solo che...”.
“Solo che?”.
La tensione sale.
“Solo che c’è un’altissima probabilità che qualcosa vada storto”.
“Cosa intendi con qualcosa vada storto, esattamente?”.
“Non lo so, non l’ho mai sperimentato in prima persona. Dice che è pressoché impossibile che qualcuno possa tornare al momento in cui è partito. O che torni come se stesso”.
“Si potrebbe spiegare un po’ meglio, maestro?”.
“Presupponiamo che adesso usi questo metodo su Akane, che se non ricordo male viene dal 1991. Per tornare nel suo mondo ci torna, in quel senso funziona bene. Ma per il resto... beh, diciamo che è praticamente certo che non arriverebbe nel 1991. Potrebbe trovarsi nell’era Sengoku, durante la restorazione Meiji, nel paleolitico, durante l’epidemia di peste in Europa o alla fine del pianeta Terra. Oppure sì, potrebbe tornare nel 1991... e avere l’aspetto di un uomo africano settantenne. O di una ragazza bulgara. O di un ispanico di mezza età”.
Il silenzio accarezza le facce dei presenti come un manto di spine.
Cosa ti eri detta non più di venti minuti fa, Nabiki? Come poetessa fai schifo. Evita.
“Oh, la cosa è ancora più interessante. Se si è particolarmente sfigati è possibile che si realizzino entrambe le eventualità”.
“Settantenne nel paleolitico?” chiede Akane. Trema.
“O una qualunque delle altre combinazioni. Ma sì, il succo è quello”.
“Toglimi una curiosità, vecchiaccio” non mi trattengo “Se questo sistema è tanto instabile, perché l’hai usato su una tua copia?”.
Mi osserva come se fossi un’alunna delle elementari che ha appena sbagliato un’addizione dopo l’intera annata passata a studiarle: “Che domande sono, Nabiki? Ti facevo più furba”.
“Beh, scusa se non sono particolarmente brava a interpretare il cervello di un pervertito che ha cento volte la mia età”.
“Mi ferisci parlando così. Comunque, semplicemente, abbiamo deciso di comune accordo che due Happosai non potevano coesistere nello stesso mondo. Troppi squilibri”.
“Qualcosa che ha a che fare con il continuum spazio-temporale?”. Sì, e Grande Giove e uno virgola ventuno gigawatt.
“No. Non c’era abbastanza biancheria da rubare per entrambi”.
... giuro che lo ammazzo.
“E comunque c’è scritto che, anche se l’aspetto esteriore risultasse diverso, la personalità rimane sempre la stessa. Quindi non importa che corpo occupa o in che epoca possa essere finito, di ragazze gnocche da spiare ce n’è sempre in abbondanza”.
“Ma perché la possibilità di tornare al momento giusto è così bassa?”.
“Lo vieni a chiedere a me, Genma? Non lo so. Qua viene solo detto che si tratta di forze generate dal caos entropico interplanetario, o qualche stupidaggine ampollosa del genere, e che sostanzialmente decidono a seconda del loro umore di quel giorno. E pare che di solito siano capricciose e poco inclini al lieto fine. Non c’è uno straccio di spiegazione sensata”.
Cazzo. E mi scoccia dover ricorrere al turpiloquio anche se solo nella mia testa, però stavolta lo trovo ampiamente giustificato.
Guardo i nostri turisti.
Akane è terrorizzata, non c’è altra parola adatta a descriverla. Dopo essersi divorata tutte le unghie si sta praticamente mangiando una mano dal nervoso. Lei è da escludere, non ha la faccia di una disposta a osare così tanto.
Genma appare un poco più calmo. Sembra meditabondo. Eventualità non da scartare del tutto.
Akira... Akira è quello che dei tre mi trasmette la sensazione meno rassicurante. Ha negli occhi la luce della speranza. Sta seriamente considerando l’ipotesi.
E io che devo fare in questo caso? Impedirglielo? Fregarmene? Augurargli buona fortuna?
Brutta roba essersi autonominata capo della baracca.
Decido che per il momento la cosa migliore da fare è accomiatarci dal vecchio, vuoi perché non abbiamo più motivo di restare qui e vuoi perché altrimenti mi salirebbe la voglia di fargli sputare i denti per tutta la fatica che mi ha fatto fare. A vuoto.
Pertanto prendo in mano la situazione e impongo di sloggiare. Senza neanche salutarlo, che nemmeno se lo merita.
Adesso ce ne andiamo a casa e ne parliamo per bene.
“Nabiki, cosa ti salta per la testa? Perché siamo venuti via così di fretta?”. Toh, il mio fan numero uno non è d’accordo con il piano d’azione.
Mi volto lenta verso di lui, preparando mentalmente la risposta.
“Ti sembrava furbo rimanere ancora lì, Akira?”.
“Se ti riferisci al vecchio no, e finalmente posso dire di capire perché c’era ostruzionismo all’idea di venire a trovarlo. È veramente una persona orribile”.
“Mi fa piacere che l’abbia afferrato” si intromette Akane.
“Se però ti riferisci allo scartare in toto la soluzione che ci ha offerto... beh, lascia che ti dica...”.
“Akira, taci. Non adesso”.
“No che non taccio! Quell’uomo sa come rimandarci a casa”.
“Sa come rimandarti a casa, vorrai dire. Io non ne voglio sapere nulla”.
“Ak... iko?”.
“Se proprio ci tieni a riapparire davanti al tuo Ucchan sottoforma di una ballerina di flamenco ingrassata fai pure, non mi impiccerò. Ammesso e non concesso che andrà così, visto che potresti capitare nel bel mezzo della battaglia di Sekigahara. Ma evita di parlare anche per me, perché io una simile follia non intendo toccarla neanche con un bastone sterilizzato”.
“Sul serio getteresti al vento la tua unica chance?”.
“Sì, sul serio. È troppo pericoloso e non so come tu non possa rendertene conto”.
“Certo che me ne rendo conto, santo dio. Non sono un cretino, non così tanto almeno. Ma io voglio tornare. Ho nostalgia dei miei genitori e dei loro amici, dei miei amici, di Misaki, di quelli che fanno davvero parte della mia vita. Non di voi fantasmi”.
“Tutto questo è ridicolo. E offensivo verso di me, verso Genma e verso gli altri. Non posso credere che scaricheresti una prospettiva di vita sì lontana dal posto cui realmente appartieni, ma alla fin fine serena e fra persone che possono volerti bene... per rischiare il tutto per tutto in un tentativo praticamente suicida”.
“Sono disposto a farlo! Come hanno fatto Akane, Ranma e gli altri qui!”.
“Le circostanze sono molto diverse e lo sai. Loro avevano poca scelta, o forse è più corretto dire che non ne avessero. Ne andava del destino del mondo. Se invece tu rinunciassi stai pur sicuro che non morirà nessuno. Oh, e una cosa”.
“Cosa?”.
“Non. Azzardarti. Mai. Più. A. Tirarla. In. Ballo. Sono sensibile sull’argomento. E non sono l’unica, forse neanche la più sensibile. Anzi, sicuramente non lo sono”. Inutile, lo sguardo da Akane Tendo ti Spiezza in Due non cambia, di qualunque realtà parallela si stia parlando. Fra l’altro grazie, da parte mia e di Kasumi, per la difesa.
Vi siete divertiti abbastanza, comunque. Tempo di riportare l’ordine: “Va bene poppanti, adesso finitela. Proseguirete la bega a casa”.
“Ma Nabiki, io...”.
“A casa, Akiko. E lo stesso vale per te, Akira”.
“Però...”.
“A CASA”.
Era ora che accettaste la mia autorità, accettazione palesata dal loro abbassare la testa sconfitti e incamminarsi in silenzio.
Rivolgo lo sguardo verso Kasumi, chiedendole senza parole se per caso non abbia ecceduto. E lei, col suo solito sorriso da paziente matrona, mi assicura che no, non ho ecceduto. Che tu sia santificata, sorellina.
Non viene pronunciata una sola parola nel tragitto di ritorno. Non mezza. Neanche uno starnuto.
La padrona apre la porta di casa Ono che l’orologio scocca l’una. Erano tre ore fa che siamo usciti, senza avere in mano uno straccio di risposta. Sono all’incirca quindici minuti che uno straccio di risposta ce l’abbiamo, e però è quella sbagliata. O quantomeno non è ciò che ci aspettavamo.
Meglio non lasciarmi sfuggire quel poco di potere che sono riuscita a stabilire: “Ok ciurma, vi voglio tutti in salotto. Come avevo promesso, adesso possiamo discutere con calma e sangue freddo di questo grosso casino”.
Obbediscono senza un fiato. Così mi piacete davvero molto.
Ci accomodiamo sui vari divani e poltrone, tranne Kasumi. Ha da preparare il pranzo e avvisare Tofu su quanto abbiamo scoperto.
“Allora” inizio “giusto per cominciare vorrei dire questo: personalmente sono contraria. È un’idea troppo, troppo folle e presenta un sacco di variabili del tutto incontrollabili. Diciamo che, se io fossi al posto di uno di voi tre, l’avrei già cancellata dalla mia mente non considerandola un’alternativa valida. Ciò detto, perché mi sembrava giusto farvi sapere come la penso in merito, vorrei ricordarvi che non siete dei gemelli siamesi, bensì tre individui distinti e ognuno di voi ha il diritto e il dovere di poter scegliere per sé e per sé solo”.
Shan-Pu mi guarda confusa: “Nabiki, da quando sei diventata così sensibile?”.
“Da quando mi sono resa conto che fare leva sul senso di sé delle persone è un’eccellente arma per mandarle sul lastrico e fregarmi tutti i loro soldi”.
Una risata generale. L’ho detta come battuta, ma non è che sia poi così falso.
“No, ma seriamente. Visto che voi tre non dovete temere nulla da me, quanto ho appena detto lo intendevo nell’accezione più vera e positiva. Solo per esprimervi i miei dubbi rispetto al litigio che Akane ed Akira hanno messo in piedi di fronte all’abitazione di Happosai, tutto qui”.
“Cosa intendi? Che non capisci perché abbiamo cominciato a battibeccare?” chiede Akane.
“Esatto. Non è mica che dobbiate fare questa cosa mano nella mano. Lui va e tu no”.
“Beh, non è sbagliato. È solo che io mi sono affezionata a lui e non voglio saperlo disperso chissà dove, magari rinchiuso nel corpo di un culturista azerbaigiano dopato”.
Oh, ma che dolce. Io Akane non me la ricordavo così premurosa, in particolar modo con tanta semplicità e chiarezza. Cioè, dubito si sia innamorata di Akira e quindi il paragone con Ranma è improprio, ma comunque non è mai stato da lei esporsi senza il minimo timore.
Vivere una vita diversa ti rende una persona diversa. Abbiamo presentato Nabiki Tendo dà Mirabilmente Vita a Capitan Ovvio, da gennaio su tutti i vostri teleschermi.
L’altro interpellato non dice nulla, limitandosi a fissarla. Dà la sensazione di non credere alle proprie orecchie. Poi finalmente apre bocca: “A-Akane, quel che hai detto... è molto bello. Ti ringrazio”.
“Ci mancherebbe. Sai, l’aver vissuto un intero anno sotto lo stesso tetto ha inevitabilmente finito con il modificare la mia percezione di te. Posso quasi dire che ti considero... un fratello. Con tutte le distinzioni del caso, chiaramente. Ma è per questo che mi sono agitata, prima. Davvero non voglio pensarti mentre vaghi in un tempo non tuo e magari incapace di comunicare perché hai avuto tanta sfortuna e sei capitato nella foresta amazzonica. Ti chiedo almeno di rifletterci un po’. So che oggi senti in modo ancora più acuto del solito la mancanza di casa tua, ma... sono troppo egocentrica nel pensare che questa può essere la tua piccola seconda scelta? Che forse puoi evitarti un rischio assicurato per rimanere qui con noi?”.
“Akane... apprezzo immensamente il tuo affetto nei miei confronti. Però non posso darti con sicurezza la risposta che vorresti, e mi rendo conto di procurarti un dolore. Dolore per il quale mi scuso sin da ora, per quel che vale. E mi scuso anche per le parole affrettate che vi ho rivolto prima, quando vi ho chiamati fantasmi. Non ve lo meritate, per niente. Nessuno di voi. Anzi, dovrei gettarmi in ginocchio e ringraziarvi all’infinito per tutta la comprensione e l’altruismo che avete dimostrato a me e ai miei due compagni di sventura”.
Shan-Pu prende inaspettatamente la parola: ”Akira, sono arcisicura che se fosse capitato a qualcuno di noi e ci fossimo trovati di fronte ai tuoi genitori... sono arcisicura che loro non avrebbero fatto nulla di diverso. Ci avrebbero ascoltati, ci avrebbero accolti e avrebbero sgobbato assieme a noi per cercare una soluzione. L’unica differenza, immagino, è che non ci avrebbero tenuto a dormire da loro, ma per il resto sarebbe stata la stessa identica cosa. Perché mi sembra il minimo, una volta accettata l’assurdità della situazione, che tu ti prenda a cuore il benessere di qualcuno che forse non conosci direttamente ma che sai essere in qualche modo relazionato con te o con le persone che fanno parte della tua vita. Quindi non ringraziarci per quanto era nostro dovere fare”.
“Addirittura... dovere?”.
“Addirittura. Akane è Akane, Genma è Genma, tu sei figlio di Ryoga e Ukyo. Con che faccia saremmo potuti andare a pregare sulle loro tombe se vi avessimo scacciato, se vi avessimo negato il nostro aiuto?”.
“Quel che dice Shan-Pu è sacrosanto” confermo “Se Kasumi e Tofu non hanno mai avuto da ridire su di voi è perché hanno intuito, probabilmente solo a livello inconscio, quanto dev’essere stato alienante per voi tre l’impatto con un mondo non vostro, dove non esistevate o eravate deceduti da decenni. Le loro coscienze, e le nostre, hanno giustamente deciso che la cosa da fare era una e una sola: sostenervi in tutti i modi possibili”.
“Perdonate se interrompo”. È Genma.
“Cosa c’è?”.
“Capisco il discorso di Akane e, nel caso specifico di Akira, posso dire che mi trovo d’accordo con lei. Ha poco senso esporsi così tanto di fronte a un risultato per nulla sicuro. Il mio problema, però, è di natura e di urgenza totalmente differente”.
“Di cosa stai parlando? Qualcosa che non so?”.
“Esattamente, Nabiki. A quanto ho capito Akira avrebbe solo da perderci a sottoporsi al metodo del maestro, visto che la sua vita prima del misfatto era quella di un adolescente senza particolari difficoltà. E anche Akane, nonostante il conflitto con le amazzoni, era tutto sommato ben sistemata. Ma io...”.
“Tu?”.
“Io ho una famiglia sterminata alle spalle”.
“Famiglia... sterminata?”.
“Sterminata. Se questo fosse un film adesso direi li ho visti morti con questi miei stessi occhi, ma qui siamo oltre. Dei presenti solo Akira e Shan-Pu possono davvero capire il significato di questa mia frase ed è meglio che la situazione resti così, non voglio essere causa di un vostro malore. Comunque, per tornare al discorso principale... io non posso permettermi di restare qui. Proprio non posso”.
“Non ti sto seguendo tanto bene. Hai detto che... morti...”.
“Assassinati. Tu, Kasumi, Soun, Nodoka, Ranma e Akane. Nel mio mondo il 16 aprile del 1999 è l’ultimo vostro giorno di vita”.
“Tu... stai scherzando...”.
“No”. Il suo tono ha pressappoco il peso specifico del titanio.
Credo di stare per svenire. Poi mi faccio forza e resisto.
Genma riprende: “Capisci ora perché affermo che non posso rimanere bloccato qui? Devo evitare quel massacro”.
“Saotome, sei un povero illuso” gli rinfaccio. Devo pur mantenere il ruolo di esemplare alpha.
“Perché lo sarei?”.
“Rifletti invece di giocare al piccolo eroe. Se usi il metodo Happosai non hai nessunissima garanzia di poter fare ciò che ti prefiggi. Anzi, è più facile che la tua faccia baffuta sbatta contro un suolo straniero”.
“Non importa. Io, al contrario di loro due, ho una motivazione letteralmente di vita o di morte. Nel mio caso il gioco vale la candela. Totalmente”.
“A che pro correre un rischio simile se non hai neanche la certezza minima di ritrovarti dove devi essere?”.
“Mi farai la lezione di profitto applicato quando troverai tutti i tuoi parenti sbudellati come cani randagi. Naturalmente, proprio come Akira, sono consapevole che quel procedimento porta solo danni e nessuna assicurazione di successo. Però, al contrario suo... e non volermene, ragazzo... io ho qualcosa di più importante a cui rimediare. Inoltre, giusto per aggiungere ulteriore pepe al mio sedere, se mai dovessi rivedere il mio mondo ho la sensazione che dovrei combattere il responsabile dell’eccidio. Ora, io sono già abbastanza avanti con gli anni e se rimanessi trattenuto qua troppo a lungo... diciamo che la vedo grama, ecco”.
Mi ammutolisco, ed è una sensazione a cui non sono abituata e che non mi piace. Però non posso negare che, al contrario degli altri due, capisco limpidamente la discrepanza di obiettivi e di intenti. E so che il suo discorso ha delle fondamenta solide.
“Nabiki, ovviamente non ce l’ho con te e non ti sto accusando di nulla. Inoltre, come tu stessa hai detto poco fa, ognuno di noi ha il diritto e il dovere di decidere per se stesso. Ebbene, se qua non salta fuori un’alternativa valida all’idea fornitaci dal maestro sappi che io ho tutte le intenzioni di provarla. Succederà quel che succederà”.
Non riesco a opporre nulla di efficace di fronte a una tale presa di posizione. Non ne ho il diritto, né il coraggio.
Genma, credimi quando ti dico che mi spiace per quel che hai vissuto.

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Capitolo 5
*** Gente che torna e gente che va ***


22 marzo 2009.
“Noooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo!”.
Schizzo in posizione eretta, sudata fradicia.
Frittata fatta. Per stanotte non si dorme più.
Ho sognato Akane dopo il suo combattimento.
Era da un bel po’ che non mi succedeva. Sin da quando la sua versione più giovane mi ha perdonata.
Da quel momento la sua ingombrante presenza onirica non si era fatta più viva, concedendomi delle notti tranquille. Fino ad oggi.
Mi strofino gli occhi e cerco di asciugarmi. Tanto vale alzarsi, di riprendere sonno non se ne parla. Anche se non lo sperimentavo sulla mia pelle da un anno e mezzo, oramai, ricordo bene le conseguenze: un sano pianto espiatorio, una camminata a vuoto per i tavoli del Nekohanten e l’alba che sopraggiunge.
Quasi quasi scendo di sotto per recuperare qualcosa da sgranocchiare.
E così hai deciso di tornare a infestare i miei pensieri quando sono in fase REM, eh? Mi piacerebbe chiederti il perché, credevo avessimo raggiunto una tregua in tal senso. Io ho fatto l’unica cosa concessami, cioè gettarmi in ginocchio a peso morto implorando pietà per le mie malefatte, e tu in cambio te ne saresti rimasta sulla tua nuvoletta di beatitudine senza infastidirmi più.
Cos’è cambiato ora?
Vabbè, inutile frignare su quel che è stato. Sei arrivata e, abilissima com’eri fino a qualche tempo fa, mi hai completamente privata di ogni possibilità di riposare decentemente.
Non che tu abbia di botto perso il diritto di poterlo fare. Continuo a non darmi pace fino in fondo per quel mio essere stata così appagata, così infame... così fottutamente stronza. L’assoluzione di Akiko, che chiamerò così per distinguervi, mi ha di sicuro alleggerita dal peso ma non l’ha portato via del tutto. Niente potrà mai riuscirci.
Solo la feccia trae godimento dalla morte di un’altra persona. E io l’ho fatto.
C’è qualcosa di marcio in me. Qualcosa che temo non se ne sia andato nonostante i proclami di pentimento, che comunque sono onesti e sentiti.
No ok, adesso basta veramente Shan-Pu. Girare il cacciavite nello squarcio che ti sei fatta da sola nel cuore non ti aiuta. A meno che, con la parola aiuto, tu non intenda escogitare un sistema rapido e possibilmente indolore per suicidarsi.
Non lo voglio, no.
Andiamo a prendere questo snack vampiresco, và.
Mi alzo, indosso la vestaglia, inforco le ciabatte e mi avvio.
Quando sono in cima alle scale, accingendomi a scenderle...
Uhm.
Qua qualcosa non va.
Percepisco... una presenza.
Cavolo, spero di sbagliarmi. Non sono nelle condizioni migliori per poter stendere qualcuno. Psicologicamente e, soprattutto, per come sono vestita.
Sto per urlare il più classico dei “Chi va là?”, ma poi decido che è poco prudente. Se davvero non sono sola meglio che non si accorga che io me ne sono accorta.
Preferisco far finta di niente, rizzare le antenne e tenermi pronta a ogni evenienza.
Vado verso il frigorifero della cucina. Lo apro e lo scruto alla ricerca di qualcosa di buono che possa farmi compagnia, perché si sa che a noi ragazze fa bene affogare i dispiaceri in una gigantesca vasca di gelato. Per fortuna, però, io non sono una mocciosa di una commediola americana e non tengo quelle bombe caloriche nel mio congelatore. Quindi mi sa che dovrò abbozzare.
Anzi, nemmeno. Non c’è nulla di minimamente stuzzicante qui.
Lo richiudo sbuffando.
...
Ancora. Ho sentito di nuovo quel flebile ki che si spostava.
Non riesco a impedirmi di non muovere un muscolo, potenzialmente facendogli capire che l’ho beccato.
E sia. Giochiamo a carte scoperte, che il ruolo della finta tonta non mi è mai piaciuto.
“Avanti, intruso. Mostra la tua brutta faccia”.
Nessuna risposta.
“Puoi venire fuori. Se lo fai ora ti prometto che te la caverai con solo quattro o cinque ossa rotte”.
Niente.
“Cos’è, hai voglia di giocare a nascondino? Alle quattro e mezza del mattino? Pensavo che voi malviventi aveste metodi migliori per passare il tempo”.
Non un suono.
Sono convinta di non essermi sbagliata, qui c’è qualcuno che mi sta osservando. E probabilmente sta ridendo di me.
“Feh. Il mio Umisenken non è più infallibile come una volta”.
Questa voce... Genma.
Mi rilasso. Per quanto non sia entusiasta di una sua intromissione, perlomeno so che non ho nessun combattimento di fronte a me. Anche perché, in tutta sincerità, sono parecchio arrugginita. Avrei faticato.
Mi appare davanti all’improvviso, una mano sulla nuca. E ha il buon gusto di mostrarsi imbarazzato.
“Come... come hai fatto?” chiedo stupita. Con gli occhi controllo che non indossi il mantello dell’invisibilità. E sì, penso proprio che la signora Rowling abbia tratto ispirazione da uno dei tantissimi oggetti dotati di poteri mistici che tengo in cantina. Ma no, non porta niente del genere.
“Umisenken. È una tecnica che ho elaborato molti anni fa. Permette di celare completamente la propria presenza. O almeno, lo faceva quando ero al meglio. A quanto pare non è più questo il caso”.
“In effetti no, mi sono accorta pressoché subito del fatto che c’era qualcuno a gironzolare per il ristorante”.
“Sono invecchiato e fuori forma”.
“La seconda vale anche per me, sappilo”.
“Oh dai, sei ancora nel pieno delle forze e...”.
“Genma, cosa ci fai qui a quest’ora? E perché non volevi farti vedere?”.
“Uff. Ti scoccia se ci sediamo?”.
“Prego”.
In pochi istanti ci siamo accomodati.
“Bene Genma, cosa ti ha portato a calarti nel ruolo del topo d’appartamento?”. Cerco di nascondere l’irritazione, perché mi sembra logico che il trovarmelo qui non mi riempia di felicità.
“Faccio che togliermi il dente: mi sono introdotto furtivamente in casa tua per...”.
Si interrompe. Pare cercare le parole più adatte.
Fai con comodo, tanto non ho fretta. Non vado da nessuna parte, men che meno a letto. Zero voglia di osservare il soffitto.
“Mi vergogno come il peggiore degli scassinatori di periferia”.
“Cosa che, in questo momento, in realtà sei”.
“Incasso la frecciata, non posso negarlo. Volevo... volevo prendere l’Artiglio”.
L’Artiglio della Chimera? L’artefatto che concede qualunque desiderio gli venga chiesto al prezzo di una parte di sé e di un ulteriore pagamento non ben identificato ma che è sicuramente qualcosa di molto poco gradevole? Lo stesso artefatto per cui sei senza occhi? Ti si è fuso il cervello, nonno.
“Per cosa?”. Metto più durezza del dovuto nella voce. Non mi piace che si scherzi su queste cose.
Si distende all’indietro sulla sedia prima di rispondermi: “Shan-Pu, al contrario di Akane ed Akira io non posso restare qui. Conosci il motivo. Ho perso quindici mesi bloccato in questo mondo. Il sistema del maestro Happosai è troppo aleatorio, troppo impreciso. Se ti ricordi il discorso che abbiamo avuto a casa Ono non mentivo quando ho detto che ero d’accordo col punto di vista di Akane. Però ero, sono talmente disperato che mi è balenata in testa quest’idea. Alla quale, nonostante tutto, non ho rinunciato. Solo che ora sono messo nella posizione di dovertelo chiedere, invece di poter fare da me”.
Akane... sbaglio a considerarti una specie di angelo custode? Perché adesso la tua venuta nei miei incubi ha improvvisamente assunto un senso.
Sono stata la peggiore testimone possibile e tu mi aiuti lo stesso, se quel che penso è vero? Grazie. Non ti merito.
“Per favore, dimmi che è solo frutto di una settimana in cui non hai mangiato né bevuto nulla. Non posso credere che tu voglia davvero sottoporti per la seconda volta a una simile idiozia”.
“No, a dire il vero è il frutto di una settimana in cui non ho fatto altro che rivedere le facce dei miei parenti subito dopo il loro assassinio. Ovunque mi girassi c’erano ad accogliermi Nodoka affogata nel laghetto, Kasumi eviscerata sul tavolo, Soun col collo piegato di novanta gradi, Nabiki e la sua testa che avevano creato una scultura d’arte moderna assieme al corrimano delle scale, Akane che aveva ben altri graffi e tagli rispetto a quello che porta adesso con orgoglio, Ranma con una spada nel petto. Santi kami....”.
Se non fossi a stomaco vuoto vomiterei.
Non credo a quanto ho appena sentito. Non ci credo. Non posso crederci. Non voglio crederci.
Da una parte penso che dovrei farmi toccare di meno da questo racconto degno dello Zio Tibia, io sono quella che ha visto alcuni di loro morti ai suoi piedi. Ma non così. E poi loro erano consapevoli, avevano deciso di propria volontà. Di certo non si può dire lo stesso di quelli a cui si riferisce lui.
“Io ho paura, Shan-Pu. Quelle immagini hanno preso ad ossessionarmi, da un po’ di giorni a questa parte. È come se il mio subconscio mi spronasse a tornare dove dovrei essere, cioè nel mio 1989, per poter cancellare quest’orrore dalla storia e soprattutto dalla mia testa. Per questo ho assoluto bisogno di quell’oggetto. Devo poter essere sicuro del punto di atterraggio”.
Gli scosto una lacrima da sotto gli occhiali. Pare non essersi nemmeno accorto di aver cominciato a piangere. E non chiedetemi come possa farlo, non so rispondervi e nemmeno ci tengo a scoprirlo.
Tanta determinazione e tanta angoscia mi fanno vacillare. Razionalmente so benissimo che l’Artiglio andrebbe sigillato e buttato in fondo all’oceano, dove non può nuocere a nessuno; emotivamente, invece, capisco il dilemma di quest’uomo e non oso immaginare cosa vorrebbe dire trovarsi al suo posto.
Dentro di me si scatena un conflitto termonucleare.
La mia parte razionale dice: “Genma, non ti posso permettere di gettarti via in questo modo scriteriato. Che cosa puoi ottenere se ti ripresenti al dojo Tendo del tuo 1989 senza un braccio e, per ipotesi, l’incapacità di poter spiccicare un discorso sensato? Come pretendi di evitare quell’immane tragedia se non siamo neanche sicuri che sarai abbastanza in te da poterlo fare?”.
Senza preavviso prende le mie mani fra le sue e mi fissa dritto negli occhi. Fortunella me che li ho.
“Conto sul tuo buon cuore. Fra tutti coloro che sanno di noi tu sei quella che può capirmi meglio, visto che hai vissuto in prima persona un altro evento atroce come il Torneo. Sai cosa vuol dire toccare il cadavere di una persona cara, sentirne il polso freddo e senza battito, vederne gli occhi vitrei, annusare l’odore della vita che evapora lentamente di fronte a te. Ma io posso rimediare perché il loro momento non era ancora giunto. La mia famiglia non doveva morire in quel modo. So che le due situazioni hanno le loro differenze, ma non puoi negare che abbiano anche parecchie similitudini. Solo io e te, nella nostra cerchia, conosciamo davvero il significato di queste mie parole. Le tue pupille riflettono la comprensione che alberga in te. Ed è su quella che faccio leva per ottenere ciò che desidero. Quello di cui ho più necessità dell’aria. L’Artiglio della Chimera, l’unica cosa che può darmelo con certezza”.
Maledetto farabutto. Non è corretto premere quei pulsanti.
Non voglio essere complice di questo azzardo. E nel contempo voglio, o quantomeno sono disposta a girarmi dall’altra parte e augurargli tutta la buona fortuna di questo e degli altri mondi.
Suggeritemi l’azione migliore. Da me non sono in grado di deciderla. Entrambe le opzioni hanno i loro punti di forza che premono nella mia scatola cranica, urlando e strepitando. Mi farete venire un mal di testa colossale, bastardi.
Più lo guardo in faccia e più la mia corazza di logica si incrina, si piega, si deforma. Quell’espressione miserabile saprebbe perforare una lastra d’acciaio e io, anche se mi piace atteggiarmi, sono più fragile. Parecchio più fragile. Specialmente stanotte.
Butto lì qualche altro ammonimento generico sempre meno convinto e lui risponde con la stessa tiritera, che sarà poco varia ma non perde di certo in efficacia.
Mi sta convincendo. E una parte di me ancora abbastanza forte cerca di opporsi come può, ottenendo qualche risultato. Perché riesco, con l’ultimo barlume di lucidità ancora in mio possesso, a posticipare di un giorno. Non ventiquattr’ore esatte, vorrei riuscire a riposare più di otto minuti in due giorni.
Domani sera ci ritroveremo qui e gli saprò dare la mia risposta. Spero.
“Dimmi almeno che ne parlerai con Kasumi e gli altri, ti prego. Non farti carico di questa cosa tutto da solo, ti schiaccerebbe” gli dico, nella debole speranza che loro sappiano convincerlo a ripensarci. Riuscendo dove io adesso ho clamorosamente fallito.
“Qualcosa dovrò pur riferire se poi, come auspico, tornerò da dove provengo. Non me la sento di sparire così, da un giorno all’altro, senza il minimo preavviso. Anzi, se non fosse così tardi telefonerei seduta stante”.
“Ecco, è tardi. Perché non te ne torni a letto pure tu?”.
Pure tu? Non hai l’aria di una che ha dormito bene, cara mia”.
“Niente che ti riguardi. E ora su, smamma. Hai disturbato abbastanza”.
“Ne convengo. Ti chiedo ancora scusa per l’intrusione”.
“Sì sì, va bene. Buonanotte, Genma”.
“Buonanotte, Shan-Pu, e cerca di recuperare almeno un paio d’ore di sonno”.
“Non accadrà”.
“Come mai?”.
“Akane è passata a trovarmi. La... mia Akane”.
“Oh”.
“Eh. E quando succede significa nottata in bianco”.
“Mi... mi spiace”.
“Dillo a me”.

*

Mi appoggio al bancone, sfiancata. È stata una giornata terrificante. Un’orda di clienti come non se ne vedevano da tempo.
Ci sono rumori vari, dalle ultime persone che se ne vanno chiacchierando ai miei camerieri che cominciano a riordinare. Cosa credevate, che tenessi un ristorante così grande da sola? Non ho tutta questa voglia di morire di stanchezza a meno di quarant’anni. Perché poi, se me li posso tranquillamente permettere e danno una grossa mano?
Qualcuno mi tocca il lobo dell’orecchio sinistro.
Se non fossi ridotta così ti spezzerei le braccia e te le farei ingoiare, Shinji.
“Quante volte ti ho detto di non farlo?” ringhio con la poca forza rimastami.
“Eddai Shan-Pu, mi diverto troppo a infastidirti. Specie quando sei sciolta dalla fatica e non puoi contrattaccare neanche volendo”.
Non mi muovo nemmeno, ma so bene che adesso lo stronzetto sta sorridendo.
“Ringrazia che mi servi e che nonostante tutto mi sei simpatico, altrimenti un bel calcio nel deretano non te l’avrebbe risparmiato nessuno”.
“Me la faccio proprio sotto, guarda. In queste condizioni non faresti paura nemmeno a degli gnomi pacifisti”.
“Va bene. Domani non presentarti a lavoro, sei licenziato”.
“Farò comunque lo sforzo. Voglio che mi sbatti la lettera in faccia”.
Pfff. Non riesco nemmeno a spaventare un dipendente con una minaccia farlocca. Sto veramente messa male.
“Che fai, Shan-Pu? Flirti con un ragazzotto?”.
...
“Non ti facevo pseudo-pedofila, considerata la sua età”.
...
...
“Quanti anni avrà? Meno di venti?”.
...
...
...
...
Peggio di quanto pensassi.
Devo essere sul punto di svenire. Ho le allucinazioni uditive e sento Mu-Si che mi parla.
“Alza la testa invece di fare la miscredente”.
Allucinazioni che continuano. E mi danno ordini.
E alziamo ‘sta testa. Cos’ho da perdere, sanità mentale a parte?
...
...
...
...
“Ciao Shan-Pu. È da un bel po’ che non ci si vede”.
Non... non... non...
Una mano sulla mia spalla. Di carne, ossa e sangue.
“Tutto bene, Shan-Pu?”.
“Shinji... per favore, lasciami sola...”.
“Sicura? Ti vedo...”.
“Vai”.
“Cooooooooome vuoi”.
Attendo che il locale sia deserto.
Non muovo un muscolo. Esausta e scioccata come sono sarebbe un’impresa impossibile.
Senza staccargli gli occhi di dosso un solo momento. E lui ricambia sorridendo, uno di quei sorrisi leggeri e senza preoccupazioni.
Ci vogliono circa dieci minuti prima che tutti sbaracchino. Shinji mi estorce la promessa di farmi una lunga e rigenerante dormita che domani, nonostante gli abbia intimato di non tornare, non vuole vedermi così fragile.
Fosse solo la carenza di sonno, piccolo.
“Va bene, adesso non c’è nessuno che può prenderti per pazza. Possiamo parlare”. Si avvicina e poggia le sue braccia quasi invisibili sul bancone, usandole per reggersi la testa.
“Mu-Si... io... non credo a quanto vedo...”.
“Credici. D’accordo che in vent’anni è la prima volta che mi è concesso di venire a farti visita, però è molto difficile ottenere un permesso. Sanno essere parecchio testardi”.
“Un... un permesso?”.
“L’aldilà è più complesso e meno piacevole di quanto potresti immaginarti. Ma non sono qui per parlare dei miei fastidi burocratici, che oltre ad essere fuori luogo ti annoierebbero. Sono qui per ben altro motivo. Però lasciami dire che mi aspettavo un’altra reazione e sono un po’ deluso”.
“Pensavi mi sarei messa ad urlare, spaventata a morte dalla tua improvvisa apparizione? Ingenuo. Ok, non me lo aspettavo e lo shock mi ha colpita forte, ma ho visto abbastanza cose strane per non lasciarmi sconvolgere più di tanto. A cominciare dal Torneo fino al nostro problema attuale”.
“Akane, Akira e Genma vero?”.
“Deduco che lassù abbiate un’eccellente visibilità”.
“Chi ti dice che vengo da sopra?”.
“Mu-Si...”.
“Scherzavo, scherzavo. Ma sì, non ci possiamo lamentare del segnale e dell’ampio bouquet di canali. Ed era proprio a loro tre che mi riferivo prima, in special modo all’anziano signore senza occhi”.
“E alla questione dell’Artiglio, presumo”.
“Uffa. Non sei per nulla divertente, te l’ha mai detto nessuno? Non posso neanche atteggiarmi a misterioso fantasma che torna nel mondo dei vivi con un messaggio criptico da comunicare”.
“Sono troppo vecchia per queste buffonate. E ho troppa esperienza per cadere in un simile, patetico cliché. E in questo momento sono troppo stanca per darti corda. Piuttosto, perché sei davvero qui? A voi morti cosa frega di quel che succede da questa parte?”.
“Quanta rudezza da parte tua. Potresti anche mostrare un po’ più di entusiasmo nel rivedermi dopo tutti questi anni”.
“Potrei. Non lo farò. Ho già abbastanza pensieri per la testa senza stare a preoccuparmi della sindrome dei sentimenti offesi di uno spirito”.
“Sempre la solita stronza”.
“Se lo dici sorridendo non ci fai una gran bella figura, Mu-Si”.
“Sai com’è, essere fatto di pura aria ti concede una tranquillità... ultraterrena”.
“Se tu potessi farlo, adesso ti chiederei di abbracciarmi”.
“Mi getterei su di te come un bambino che ritrova la mamma dopo essersi perso per un giorno intero”.
“Lo so. Hai sempre la stessa faccia da anatroccolo innamorato”.
“Io vorrei essere incazzato con te, Shan-Pu. Seriamente. Ci ho provato. Ma non ci riesco, neanche a distanza di vent’anni. Dicono che il tempo sedimenti ciò che passa sotto di sé e nel mio caso è vero, perché nonostante il tuo comportamento nei nostri confronti durante il Torneo io non posso fare a meno di sentirmi come uno scolaretto che sospira dietro alla ragazza più carina della classe. Bada però, questo non toglie che mi renda pienamente conto di quanto poco simpatica sei stata in quei frangenti. Il solo fatto che non possa e non voglia fartela pagare non vuol dire che non lo sappia”.
“Se hai aspettato due decenni per farmi la paternale hai proprio sprecato il tuo tempo. Sono tutte cose che so, meglio di quanto credi. Inoltre, non eravate voi che avevate un gran bel segnale?”.
“Sì, so che tu sai che io so. Volevo solo sottolinearlo una volta di più”.
“Lezione recepita. E ora, potresti gentilmente spiegarti per bene? Non ho ancora capito cosa ci fai qui, esattamente”.
“Certe cose non cambiano neanche quando schiatti, tipo tu che mi bistratti. Mi fai salir la voglia di infilarti una mano nel petto e stringerti il cuore”.
“Sì sì, va bene. Nel caso non te ne fossi accorto sono leggermente stressata e indebolita, quindi prima ce la sbrighiamo qui e meglio è per tutti”.
“Ok, ok. Quanta fretta. Lasciami rimirarti un po’, diamine. Comunque, cercando di essere seri... il motivo della mia venuta è piuttosto semplice. Volevo solo consigliarti di permettere a Genma di usare l’Artiglio”.
Ecco, ci mancava il parere di un pazzo furioso trasparente.
“Cosa ti salta in testa, è lecito saperlo?”.
“Non mi salta in testa niente, è solo ciò che penso onestamente”.
“E sentiamo, perché secondo te dovrei far così?”.
“Quell’uomo ha fatto la sua scelta. Sei libera di non essere d’accordo, ci mancherebbe, ma non hai nessun diritto di importi fino ad ostacolarlo attivamente”.
Sono circondata da squilibrati, vivi o morti che siano.
“Si dà il caso, caro mio, che l’Artiglio non sia di sua proprietà. E io ho l’ultima parola per un suo eventuale uso”.
“Vero. Per questo sto cercando di convincerti a farti da parte”.
“Non vedo la minima logica in quel che dici. Ma lo sai o no cosa potrebbe succedergli?”.
“Potrai non vederci logica, ma ci vedi del senso. Noi cari estinti possiamo manifestarci solo dopo lunghe code e un sacco di mal di gambe per il troppo stare in piedi, ma ti assicuro che se vogliamo non ci sfugge neanche un pensiero di quanto accade da queste parti. E io ti ho vista stanotte. Ho visto il tuo tormento interiore. Ho visto che, a un livello più profondo, comprendevi la sua pena fin troppo bene”.
“Essere empatici con qualcuno non significa dargli carta bianca per suicidarsi”.
“Non è così e lo sai. È vero, con l’Artiglio rischia moltissimo e probabilmente non sarà mai più lo stesso. Potrebbe persino morire. Ma dimmi, questo non ti ricorda nulla?”.
Piccolo bastardo immateriale...
“Parli... di voi sette?”. La mia voce è molto meno salda di quanto mi piace.
“Proprio di noi sette. Proprio come lui noi abbiamo deciso di nostra sponte e abbiamo portato fino in fondo le conseguenze delle nostre azioni. E anzi, rispetto a noi lui non è automaticamente, totalmente condannato. Potrebbe riuscire a scamparsela in qualche modo, o forse trovare un rimedio o che ne so io. Resta il fatto che Genma non era bugiardo quando ha detto che ci sono molti parallelismi fra la nostra situazione all’epoca e la sua attuale, perché è così. Li vede lui e li vedo anch’io, e non sono il solo nel nostro gruppetto. I miei compagni la pensano esattamente allo stesso modo. Specialmente Akane”.
Il solo citare quel nome mi rende le ginocchia di pastafrolla. Dopo stanotte non potrebbe essere diversamente.
“Oh Shan-Pu, non fare così. Lei ti ha perdonata. Del tutto. Non ti porta il minimo rancore per quanto è successo. Certo, quando è arrivata era un pochino alterata...”.
“Perché la cosa non mi stupisce?”.
“Perché la conoscevi. E ti sei resa conto che, vostri motivi di contrasto a parte, non era poi una così pessima persona. Era capace di saper superare i difetti, propri ed altrui. Se lo aveste voluto sareste potute essere non dico amiche, ma civili a sufficienza da non spaccarvi i tavoli in testa. Ma non farmi divagare, che il tempo a mia disposizione comincia ad essere pochino”.
“Ah, avete anche le scadenze?”.
“Cavolo se ce le abbiamo. E non mi va proprio di farmi prendere per le orecchie da Arnold e farmi sbatacchiare come un bambolotto di peluche”.
“Arnold?”.
“Il nostro funzionario di quartiere. Un tizio poco raccomandabile”.
“... non voglio sapere. Prosegui, dai”.
“Quel che avevo da dire in realtà l’ho detto. Se però vuoi posso alzare il tiro ed essere brutale”.
“Morire ti è servito a qualcosa. Ti ha fatto crescere della spina dorsale”.
“Ah ah ah ah ah. Spiritosa. Allora lo sarò senza neanche chiederti il permesso: tu non sei nessuno per impicciarti di fatti non tuoi. Si tratta del suo mondo, della sua vita e della sua famiglia. Se ha davvero deciso di gettarsi nel cesso pur di avere anche solo una vaga speranza di scongiurare quell’evento luttuoso non puoi, proprio non puoi mettergli i bastoni fra le ruote. È un problema suo e solo suo che, purtroppo, richiede una soluzione estrema. E visto che non siete arrivati a nulla di meglio, pur dopo un anno e mezzo di studio matto e disperatissimo, le sue alternative si sono ridotte o a morire qui di vecchiaia, o di tornare a casa sua usando quel diabolico aggeggio. L’ipotesi marchiata Happosai credo sia saggio lasciarla lì dov’è, c’è troppa disparità fra risultato e cose che potrebbero andare storte. Sappiamo tutti che è un rischio enorme, eppure ha deciso di non farsi toccare dalla cosa e sta puntando all’obiettivo. Se hai un briciolo di buon cuore, per mancanza di un’espressione migliore, ti scosterai e gli darai l’Artiglio. E io so che ce l’hai, ben più di un briciolo”.
“Ma voialtri almeno capite perché resisto così strenuamente?”. Meno male che l’ultima volta ho pianto all’arrivo di Akane, più tempo passa fra un episodio e l’altro e meglio sto. Ho ancora la mentalità amazzone, dopotutto.
“Certo. Non siamo stupidi. Ti sei affezionata a lui. E ad Akira. E ad Akane. Specialmente ad Akane. Quindi, dal tuo punto di vista, posso dire di capire perché ti opponi. Ma così facendo agisci per il tuo vantaggio, non per il suo. Che poi il vantaggio, nella situazione particolare, sia relativo è un altro discorso che non c’entra e non dipende da nessuno dei coinvolti. Lo fai perché... non so, non vuoi che esca dalla tua vita?”.
“E-esatto...”.
“Lui non è di queste parti, però. Dai, non sei una bambina dislessica a cui bisogna spiegare con le dita come si fanno le addizioni. Ci arrivi da sola, anche senza il mio tutoring”.
“Tralasciando che la dislessia è tutt’altro... sì, il tuo paragone è chiaro. Quel Genma Saotome non appartiene a questo mondo, non l’hai mai fatto e non lo farà”.
“Eggià. Io non credevo che fossi arrivata a un tale punto di solitudine, Shan-Pu...”.
“No, non sono così tanto disperata. Cioè, è vero che non voglio che se ne vada ma non per quel motivo. Non solo. Ho davvero timore di quello che potrebbe succedergli. Due usi consecutivi dell’Artiglio sono inauditi, il più delle volte uno basta e avanza per mandarti agli antenati”.
“L’età ti ha proprio ammorbidita. Ti guardo e in te c’è davvero poco della ragazzina testarda, orgogliosa e non disposta a scendere a compromessi. Non che sia un male”.
“Nella prossima vita cercherò di non maturare man mano che cresco, allora”.
“Scema”.
“Scemo tu”.
“Ehi, che fai? Perché...”.
“Taci, papero!”.
Cala il silenzio.
Del tutto sovrappensiero ho afferrato un bicchiere d’acqua che stava a pochi centimetri da me e gliel’ho scagliato addosso. Ovviamente gli è passato attraverso andando a rompersi per terra.
In quei venti secondi non avevo trentasei anni, bensì sedici. E ho pensato che Mousse fosse vivo.
I fatti parlano chiaro e dicono molte cose interessanti: ogni tanto si agisce senza riflettere; Mu-Si è rimasto un idiota uguale a se stesso; loro sette, tutti e sette, anche quelli che in vita sopportavo poco e male, mi mancano. Molto più di quanto sospettassi. E a distanza di vent’anni la cosa assume ombre preoccupanti.
Ci penserò poi.
“Cacchio, è già ora. Il mio tempo è quasi scaduto” dice, facendo palesemente finta che con l’acqua non sia successo nulla. Fai l’imbarazzato da morto? Sul serio?
“Di già? Quanto sei stato qui, cinque minuti?”.
“Non so che dirti. A parte ribadire che stasera, se la mia fiducia in te è ben riposta, gli lascerai usare l’Artiglio”.
“Vedrò. Mu-Si...”.
“Dimmi. Ma in fretta”.
“Ringraziala per stanotte”.
“Oh. Lo farò, non temere. Certo che...”.
“Che?”.
“Non posso fare a meno di rimanerci male vedendo come il centro della tua vita sia sempre qualcun altro. In vita era Ranma, in morte è Akane. Mai io”.
“Mi... mi spiace... dev’essere perché lei è stata l’ultima e si è impressa con maggior forza nella mia mente... ma ora che mi ci fai pensare... se è d’accordo con Genma perché mi ha svegliata?”.
“Credo perché, anche se la pensa allo stesso modo, non voleva fargli commettere impunemente una delle sue solite azioni da vigliacco. Vuoi usare l’Artiglio? Bene, capisco il perché e approvo. Però lo fai alla luce del sole, parlandone con la proprietaria, e non nascondendoti nelle ombre come il più spregevole dei ladri. Penso ci abbia messo mano anche Ranma ma non ne sono del tutto sicuro. Cazzo, è proprio ora. Ti devo salutare, Shan-Pu”.
Muove la mano nel più classico dei gesti di arrivederci. Sorride.
Pare sereno. D’altronde è lui quello morto, che preoccupazioni può avere?
“Ci sottovaluti, cara mia”.
Uh?
“Te l’avevo detto che possiamo leggere anche i pensieri dei vivi”.
“Sareste delle spie ineguagliabili”.
“Eh sì, lo saremmo. Addio”.
“Addio? Non... non tornerai più?”.
“Difficile. Ma mai dire mai. E comunque si tratta solo di una manifestazione più o meno fisica. Noi in realtà siamo sempre nei paraggi”.
Pian piano i suoi contorni si fanno sempre più labili fino a che, inevitabilmente, svanisce.
Lascio cadere la testa sul bancone.

*

“So che me ne pentirò, fra qualche tempo. Lo so benissimo” mormoro a mezza voce mentre consegno l’Artiglio a Genma. Mezza voce ma non abbastanza bassa perché lui non senta.
E difatti risponde: “Non sei tu quella che deve pentirsene, in caso. Ti ho solo chiesto un piacere e tu sei stata abbastanza gentile da esaudirlo”.
“Taci e fai quel che devi”.
Mi giro, non voglio vedere. Scusa.
Dopo circa un minuto sento un tonfo. È l’Artiglio, caduto per terra.
Andato.
Uno dei tre vagabondi è tornato a casa sua. È una bella notizia.
Allora perché mi sento così... così...
‘Fanculo.

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Capitolo 6
*** Vi sarebbe piaciuto rimanere solo in due, ragazzacci ***


17 febbraio 2012.
Fantastico.
Con che faccia mi presento a casa senza venire preso a scarpate in culo dal giardino alla più vicina yobikou? In quelle scuole preparatorie del menga finisci stretto come una sardina a puzzare di chiuso.
Mamma sarà incazzata come una biscia e papà mi guarderà come il figlio idiota che canna il quarto esame d’ammissione nell’arco di una settimana.
Mi hanno rimbalzato ovunque. Se ci fosse una facoltà per bidelli avrei preso il benservito pure lì. Troppo fico e troppo magro, almeno per quella.
No, ma veramente. È una cazzo di tragedia.

Cosa... cosa diavolo ho appena visto?

Shinichi, sei un fottuto ignorante. E a te la cosa non dà onestamente nessun problema. Peccato che debba sopravvivere nel mondo reale, dove un exploit del genere ti marchia a vita come fallito.
D’accordo, c’è anche da dire che praticamente non ho studiato. Ero troppo in altre faccende affaccendato. Niente di realmente importante, ma cose che mi hanno sottratto tempo e concentrazione.
Quindi forse è più corretto dire che non sono un fottuto ignorante, sono un fottuto fancazzista. E non so quale delle due cose sia peggiore.
Cammino lento. Non ho nessunissima fretta di arrivare a destinazione.
Potrei accampare mille scuse: il maltempo, i dischi rotti, i nostri due ospiti residui che continuano ad occuparci abusivamente casa, i muri che bisbigliano di ciulate nel bel cuore della notte, una dichiarazione di guerra della Confederazione Marziana Unita che è atterrata sulla mia scrivania... ma appunto, sarebbero scuse. Non serve star qui a nascondersi dietro un dito scarnificato, non ho fatto un cazzo e ne pago le conseguenze.
Puff. La vita di un giovane adulto giapponese è una merda se manchi i traguardi minimi. Vedo certi miei amici che hanno improvvisamente trovato terra bruciata attorno a sé dopo il terzo tentativo mancato. Alcuni perché sono veramente intelligenti come un tombino, altri perché soffrono della mia stessa malattia, altri ancora perché la vita ha cospirato contro di loro in ogni modo possibile ed immaginabile. Fatto sta che ‘sti poveretti vengono visti come scarti della società, marmaglia a cui non vale la pena imprestare neanche duecento yen per comprarsi un caffè.
Fatemi posto, sto per arrivare come un missile nel vostro poco esclusivo club.
Quasi quasi devio e faccio un salto nel garage più vicino a procurarmi Betty, quella che diventerà la mia spranga prediletta e con cui scalerò le gerarchie della malavita locale. Sarà la mia compagna di scorribande, con lei metterò in pratica i piani malvagi malvagini che faranno del male a tanta gente che è buona. E poi mi ricorderà papà e la scenata con cui mi ha diseredato.
Dopo qualche giro a casaccio sono finalmente davanti all’ingresso.
Inventate il teletrasporto, voi cervelloni che usate le lauree come carta igienica. Mi servirebbe per rendermi irreperibile e sfuggire all’ira genitoriale. Magari in una capanna a Sumatra, ben protetto dalla foresta tropicale.

Qui qualcuno mi dovrà dare delle spiegazioni molto approfondite. Molto, molto approfondite.

Sospiro.
Avanti mentecatto, entra. Rimandare allunga solo l’agonia in maniera del tutto gratuita. Butta il petto in fuori e affronta il tuo destino.
Entro, al contrario delle mie abitudini senza urlare e senza sbattere la porta.
Non riesco neanche a fare due passi due che Akane mi aggredisce da dietro, cingendomi le spalle. “Ehi cuginetto, com’è andato l’esame?”.
Ti eri appostata, stronza? Aspettavi che tornassi per far scattare la trappola?
“Bocciato”.
“Oh. Cavolo, mi spiace Shinichi. Dico sul serio”.
“Sì sì, ok. Ma mollami per favore, sei molesta a starmi troppo addosso”.
“Scusa”. E si scosta senza proteste, apparentemente davvero amareggiata.
Mi volto per fronteggiarla.
In questi ultimi tre anni sono state apportate delle leggere modifiche al suo aspetto fisico: si è lasciata crescere i capelli, che ormai le arrivano a metà schiena, e ha preso a tingerli castani. Molto più pratico e sbrigativo del dover indossare una parrucca ogni due per tre. Peccato non si possa tingere anche gli occhi, sarebbe così comodo.
“Dai Akane, non fare quella faccia” dico riferendomi al suo musino corrucciato “È il primo anno, ho altre possibilità di entrare da qualche parte”.
“Ma non è bello farsi stampare”.
“Non lo è, hai ragione. Però è solo colpa mia, non ho fatto un cazzo negli ultimi due mesi e raccolgo ciò che ho seminato. Non ho nessuno da accusare tranne me stesso”.
“Kasumi non ne sarà felice, temo...”.
“Mamma è una persona pacifica e tranquilla, lo sai bene. Ma è il classico tipo che si incazza una volta per secolo e quando lo fa rade al suolo tutto quello che tocca. Probabilmente tu non hai mai avuto reale esperienza di questo suo lato”.
“Devo dire di no, non ricordo una sola volta in cui l’ho vista alterata. E Tofu...”.
“Lui adotterà quella che si può chiamare tranquil fury: niente urla, niente strepiti, nulla del genere. Solo tanta delusione trasmessa in maniera subdola e probabilmente troppo fine perché io possa accorgermene appieno”.
“Forse stai un po’ esagerando, però. Come hai detto è solo il primo tentativo...”.
“Può darsi e onestamente ci spero. Cercherò di indorare la pillola invocando sfiga cosmica che mi ha danneggiato”.
“Scorretto”.
“Faresti lo stesso se ne andasse della tua cotenna”.
“Addirittura pensi di essere in pericolo di vita?”.
“Chiaramente no, non nel vero senso della parola. Ma per me la convivenza in questa casa, nei prossimi mesi, sarà decisamente più dura”.
“Datti una pacca sulla spalla e complimentati dell’eccellente lavoro svolto, furbastro”.
“Cacchio, non le mandi proprio a dire tu”.
“Sei stato il primo ad assumerti la responsabilità di questo buco nell’acqua. Non vedo perché non dovrei adeguarmi”.
“Perché è poco carino da parte tua”.
“Ma vero. Preferisco l’onestà all’ipocrisia”.
“Troppa onestà uccide”.
“Un rischio che correrò”.
Mi sorride e ricambio, nonostante l’umore di merda. La mia piccola zia riesce sempre ad alleggerire l’atmosfera.
Visto che sono, almeno in parte, in tema di pensieri poco allegri: da quando è capitombolata da queste parti l’assenza della mia vera zia pesa immensamente meno su di me. Non è lei, ovvio, ma stando a quanto mi dicono le assomiglia parecchio. E anzi, per certi versi è persino meglio: più pacata, più aperta nei propri sentimenti, meno irascibile. In confidenza mi ha raccontato di un paio di eventi capitati nel suo mondo che le hanno fatto cambiare atteggiamento in tante cose, tipo il periodo in cui ha fatto sesso forsennato con Ranma cercando di nascondersi al resto della famiglia. Dubito che la sua controparte di qui sia arrivata a tanto e per come la conosco -intendendo sia lei lei, sia la sorella di mia madre- non potersi sfogare non aiuta il suo carattere.
Ora che ci faccio caso è vestita da combattimento. Si sarà portata avanti per la lezione pomeridiana.
Oh già, adesso la prode Akiko Honda conduce il dojo ex-Tendo. I miei non hanno mai pensato, voluto o trovato necessario sbarazzarsene, anche perché non c’era un effettivo bisogno dello spazio extra ed è rimasto uguale sin dal periodo del Torneo. Quando il tempo di permanenza degli estranei è raddoppiato e poi triplicato... beh, diciamo che è saltata fuori l’esigenza che facessero qualcosa della loro vita, anche nella tetra eventualità che siano davvero bloccati qui per sempre. Akira passa le proprie giornate chiuso in camera a disegnare come uno posseduto da un oni artista perché vuole essere sicuro oltre ogni ragionevole dubbio di non seguire le mie orme e di farsi prendere alla scuola per mangaka. Akane, invece, ha afferrato al volo l’occasione che le si è presentata davanti e ha proposto ai miei di riaprire la palestra, così da prendere due piccioni con una fava e potersi rendere utile al bilancio familiare facendo quello che davvero voleva. La soluzione era perfetta per entrambe le parti in causa, quindi da circa un anno la Scuola di Lotta Indiscriminata è risorta dalle proprie ceneri. Certo, un po’ rosica perché è obbligata ad usare un nome falso e per il suo orgoglio personale è un grosso smacco, ma come si suol dire shit happens. Meglio così che un calcio in bocca, d’altronde.
Sto per proporle di accompagnarmi in cucina che vorrei sgranocchiare qualcosa quando...
“Ecco, cercavo proprio te Shinichi”.
Mi giro nella direzione della voce, e con me lo fa Akane.
È Rei.
Avanza verso di noi, impettita e con una faccia... sembra quasi incazzata. Sotto al braccio stringe...
O porca puttana lurida.
Lo riconosco da qui. È l’album delle foto delle sorelle Tendo.
Cazzi astronomici a ore dodici, primo ufficiale. Alzare gli scudi alla massima potenza. Prepararsi all’impatto.
Inchioda a mezzo metro da noi, punta l’attenzione su di lei, alza il più classico degli indici inquisitori e dice: “Tu non sei una lontana cugina, vero?”.
Il gelo ci copre come una coltre mortale.
“Chi sei? E perché assomigli moltissimo a me e all’unica ragazza che non riconosco di questo album di fotografie intitolato Le mie adorate bambine, di Soun Tendo?”.
Fantastico bis.
Credevo che questa sarebbe stata la peggior giornata dei miei ultimi otto anni. Ha appena ritoccato il record a salire e ora è probabilmente la peggior giornata dei miei ultimi ventinove anni, anche se di anni ne ho solo diciotto.
“Esigo un chiarimento, fratello. E lo esigo ora”.
Perché io? Son mica io che mi trovo in un mondo non mio, ciccia.
“S-scusa, perché da me?”.
“Volevo parlarne con mamma, ma un parente vale l’altro. Tanto lo so che ci sei dentro anche tu in questa cospirazione”.
Non ti darò la soddisfazione di dirti che hai ragione, Sherlock Holmes con le tette. Neanche tante. Mai pensato a un push-up?
“Allora, ‘sta risposta?”.
“Perché non lo chiedi alla campionessa dell’onestà? Eh Akane, cosa ne pensi?” sogghigno allungando lo sguardo nella sua direzione. Belli i discorsi sull’essere impeccabile, vediamo come li metti in pratica però. E la frecciata di usare il suo vero nome di fronte a Rei era evitabile, lo so, ma quell’uscita di prima mi ha fatto scattare la vena vendicativa.
Mi guarda spaventata, ma nel suo volto vedo indistintamente una certa qual dose di serietà. Potrebbe star meditando sulla possibilità di svuotare il sacco fino in fondo, lasciandole l’ingrato compito di mettere assieme i pezzi e di farli combaciare.
“Basta che qualcuno mi spieghi cosa sta succedendo qui. Ho la sensazione di aver appena scoperchiato il pentolone infernale”. Bimba, quanto ci stai andando vicina.
“Andiamo in salotto. Servirà sedersi” intima la mia piccola zia. Il tono da generalissimo la dice lunga sulle sue intenzioni.
E sia. Devastiamo la mente di mia sorella con la verità, nient’altro che la verità lo giuro amen.
La seguiamo placidi mentre apre la strada.
Ci sediamo.
“Chi vuole avere l’onore di cominciare a spiegarmi, dunque?”.
“Faccio io” dico.
“Come preferisci, Shinichi. A te la palla”.
“Bene Rei, quello che sto per raccontarti ha a dir poco dell’incredibile e mi sa che farai molta fatica a crederci. Anzi, non mi meraviglierei se non succedesse e scapperai da qui urlando. Io ho avuto la tentazione di farlo, quando sono stato al tuo posto”.
“Mi sottovaluti”.
“No, non credo. Quello che stringi è, come avrai intuito da te, l’album che il nonno ha raccolto sulle sue tre figlie”.
“Tre?”.
“Sì, tre. Nostra madre Kasumi, zia Nabiki... e zia Akane”.
Si ammutolisce. Su ragazzetta, siamo appena all’inizio della cavalcata oscura. Hai tutto il tempo per farti venire un infarto coi fiocchi.
“Ma... prima lei... l’hai chiamata Akane...”.
“Non avere fretta, ci sono tante altre cose che devi sapere per poter collegare quelle foto alla persona che ci sta facendo compagnia in questo momento. Ebbene, avrai anche notato che l’album si ferma a quando zia Akane aveva sedici anni. E questo perché, reggiti forte, non poteva andare avanti almeno nel suo caso per un semplicissimo motivo: Akane è morta”.
Penso che adesso Rei preferirebbe un bastone infuocato giù per la gola, lo troverebbe piacevole al confronto.
Hai voluto fare la donnetta intraprendente? Ora ti sorbisci tutta la storia senza intervalli, così impari. Pertanto riprendo senza darle neanche il tempo di rifiatare: “Già, zia Akane è morta a sedici anni. Era il 1989. E vuoi sapere come? Lei e altri sciroccati hanno deciso di partecipare al Torneo, una roba orribile che richiedeva un vero e proprio sacrificio per salvare il mondo dalla distruzione. Puoi benissimo toglierti quella faccia incredula, non sarei in grado di inventarmi una palla del genere se non sapessi che le cose sono andate davvero così. Perché lei, il suo promesso Ranma e tutta la gente che ci ronzava attorno erano praticanti di arti marziali e a quanto pare serviva gente della loro risma per quel lavoro. Il problema è che chi si immischiava in questa cosa era condannato a tirare le cuoia, a prescindere dall’esito del proprio scontro. Partecipi? Muori. Quindi, in quei cinque mesi, in sette sono andati e hanno combattuto per me, per te, per mamma, per papà e per tutto il mondo. Pagandone il prezzo ultimo. Shan-Pu può confermarti, se com’è logico non ci stai credendo. Lei è l’unica persona sulla faccia della terra ad aver assistito con i propri occhi, ed è stata lei a raccontare i particolari più truci a mamma e a zia Nabiki”.
Mi sono fatto trascinare talmente dal discorso che neanche mi ero accorto come la poveretta stesse per svenire. Meno male che Akane, più reattiva di me, ha provveduto a sostenerla e a cercare di farle aria per non lasciarle perdere i sensi.
“Hai la sensibilità di un bulldozer, Shinichi. Ti costava tanto cercare di spiegarti a rate, senza buttar fuori tutto in un sol colpo?”.
“Mi spiace ma se l’è cercata. Una che arriva marciando con quell’aria tracotante cerca rogna, e visto che ne ho a quintali da regalarle...”.
“Che fratello degenere”.
“Risparmiatelo per quando la favola dell’orrore sarà finita. Già Rei, questa era solo l’introduzione”.
Un flash di angoscia nei suoi occhi.
Sto davvero esagerando. Ma è stata lei a chiedere.
“Manca un particolare che, col senno di poi, ha assunto una notevole importanza: il Torneo era strutturato in combattimenti singoli, dove i nostri eroi dovevano affrontare... persone provenienti da mondi diversi”.
Ormai la sua voce è un rantolo strozzato: “Mondi... diversi?”.
“Essì. Sembra che la teoria del multiverso sia vera e che, oltre alla nostra, esistano infinite realtà. Che possono essere simili ma anche completamente diverse. E qua subentra lei” indicando Akane.
“Se dopo quello che ti ho detto stai pensando che il suo sia un caso di omonimia con nostra zia... sbagli. Ti presento ufficialmente Akane Tendo, sorella di Kasumi e Nabiki Tendo. Tecnicamente non è nostra zia, bensì è un’immigrata clandestina in un mondo non suo”.
“Shinichi!” sbotta la diretta interessata “Sul serio, vuoi ammazzarla?”.
“Come glielo devo dire sennò, girandoci attorno? Non ho tutto il prossimo mese a disposizione. Tanto vale essere spediti”.
“Fai un piacere all’umanità e taci. Da qui ci penso io”.
“E va bene, zietta. Mi ritiro in buon ordine e lascio la patata bollente a te”.
Le si siede accanto e prende a coccolarla per cercarle di far andare via quella brutta cattiva di una crisi catatonica. Sussurra parole dolci che non riesco a sentire da qui, e che se sentissi probabilmente mi farebbero solo venire la nausea.
Poi decide che anch’io ho il diritto di ascoltare: “Sssssh, calmati su. Tuo fratello è stato sin troppo diretto, ma quel che ha detto è vero. Tutto vero. So che è difficile da comprendere, lo so. Prenditi il tuo tempo, nessuno ha intenzione di farti fretta. Sarebbe stato meglio se non l’avessi scoperto in modo così traumatico” con tanto di occhiataccia verso di me, occhiataccia che liquido con un gesto della mano “ma... ormai il danno è fatto. Non dovrei peggiorare la situazione confermando che la storia di Akiko e Akira Honda è completamente falsa. Io e lui proveniamo da altri mondi, non lo stesso, e ci siamo trovati qui per puro caso e senza neanche saperne il perché. Dai, adesso cerca di prendere un respirone profondo e di tranquillizzarti”.
Wow. Ci sai fare con i marmocchi. Vedrò se si riesce a darti una raccomandazione per quel ruolo vacante di maestra d’asilo nido.
Lasciamo trascorrere qualche minuto nel silenzio. Le ha pure stretto la testa al petto nel tentativo di frenare un preventivabilissimo attacco di pianto isterico. La sta persino cullando.
Vuoi il ciuccio, bimba?
“Q-quindi...” riesce a mormorare Rei, immagino facendo un notevole sforzo di presenza di spirito “tu... ed Akira... venite da... altri mondi?”.
“Esattamente” le risponde con immensa delicatezza.
“E tu... sei...”.
“Come ha detto Shinichi. Sono Akane Tendo. Da me non è successo nulla di quanto accaduto qui, col Torneo e tutto il resto. Abbiamo avuto i nostri pensieri perché Ranma ha sempre funzionato da magnete per personaggi folkloristici e casinisti, ma nulla di così sconvolgente”.
“E... la tua cicatrice?”.
“Oh, adoro quando me lo si chiede. Vedi Rei, come ti ho appena detto abbiamo avuto i nostri pensieri. Uno di questi pensieri sono state le amazzoni, la tribù di Shan-Pu dai più profondi meandri della Cina pastorale. Il discorso è troppo lungo e complicato e al momento non è proprio il caso di sovraccaricarti ulteriormente di informazioni superflue, ti basti sapere che siamo entrati in conflitto con loro e che questa è il risultato di uno dei loro attacchi nei nostri confronti”.
“Mi... mi dispiace... zia...”.
“Non chiamarmi zia, per favore. Neanche tuo fratello lo fa, così come vostra madre non mi chiama sorella. Lo trovo irrispettoso nei confronti della vostra vera zia, che è morta tanto tempo fa. Io posso avere il suo aspetto e il suo nome ma sono una persona diversa”.
Qualcosa in me mi porta a fare un appunto: “Migliore”.
Lo sguardo irritato che mi restituisce mi appare sinceramente fuori luogo: “Come fai a dirlo se non l’hai mai conosciuta?”.
“Ho sentito i lunghi racconti di mamma su lei e Ranma. Ti conosco da quattro anni, credo di averti inquadrata a sufficienza”.
“Cosa puoi sapere veramente su di me, Shinichi? Quattro anni sono nulla”.
“No, non sono nulla. Non saranno molti, mica dico di no, ma non sono neanche nulla. E comunque, grazie a quanto so su di lei e a quanto vedo di te, posso dirlo con un certo margine di certezza. Ad esempio sono abbastanza sicuro che le tue frequenti... attività amatorie non siano state eguagliate da nostra zia”.
Ecco, trovato il trucchetto per metterla a tacere. Basta parlare di quando ha fatto, o fa, sesso e comincia ad arrossire furiosamente, manco fosse una suora beccata a leggere fumetti porno.
“Shinichi! Non raccontare i cazzi miei di fronte a Rei!”. Se ti scappano pure delle parolacce, a te che sei di solito così composta nel linguaggio, il nervo toccato fa davvero male.
Improvvisamente mi sento immerso nel mio habitat naturale, quello della volgarità gratuita, e rispondo colpo su colpo: “Beh, non posso farci nulla se a te piace andare a sfarfallare a destra e a manca. Mica sono io a zoccoleggiare, cara mia”.
Il semi-ruggito che si lascia sfuggire è musica per le mie orecchie: “Senti tu, non ti sembra di aver creato abbastanza caos per oggi? Ti sei fatto bocciare come un coglione all’esame, hai scioccato tua sorella facendo quello che ce l’ha grosso e potente e adesso spifferi con superficialità ciò che ti ho detto in confidenza. Datti una regolata, stronzetto”.
Adesso tocca a me emettere versacci poco rassicuranti: “Mi stai sfidando, Akane? Perché guarda che, se mi ci costringi, non ho problemi a gonfiarti la faccia come un sacco per gli allenamenti della boxe. Altro che sfregio”.
“Tu? Gonfiare me? In quale sogno, bamboccio?”.
“Nessun sogno. Solo la cruda, dolorosa realtà”.
“Allora fatti sotto”.
“Non chiedo niente di meglio”.
Quella che sta per trasformarsi in una scazzottata in piena regola viene interrotta da una voce. A me sconosciuta.
“Ma... ma... dove sono? Chi? Cosa? A-A-Akane...”.
Tutti e tre ci voltiamo in quella direzione, verso l’ingresso della stanza.
E...
Sì, ma sul serio? Cazzo succede oggi, si può sapere?
Davanti a noi c’è... Ranma, il pomello della porta aperta ancora in mano.
Non ho neanche il tempo materiale per poterlo inquadrare, ringraziando anzi quelle sue poche foto mostratemi da mia madre che mi hanno permesso di identificarlo, che lui si avventa su Rei e la strizza in un abbraccio.
Borbotta qualcosa di incomprensibile su morte, pugni e coltelli. E la chiama Akane. Amico, ti stai sbagliando.
Io e Akane siamo completamente paralizzati dallo stupore.
Il mio cervello registra a stento la nozione che lui sta stringendo la presa. E non pare per nulla intenzionato a lasciarla andare.
“Mi... mi soffochi...”.
E solo dopo questo appello a mezza voce rinsavisce e la molla.
Fra i colpi di tosse di mia sorella che prova a recuperare un normale ritmo di respirazione e gli occhi di Akane che tentano di fuggire dalle proprie orbite, la situazione riprende una vaga parvenza di normalità.
Raccatto abbastanza materia grigia per studiarlo: è vestito con un orribile completo grigio pieno di macchie, che per quanto ne posso sapere sono di grasso o qualcosa del genere; dal taschino spunta la testa di un accendino; ha la barbetta, una roba appena accennata.
Non sto neanche a perdere tempo con le ipotesi e do per scontato che sia un altro profugo da una realtà diversa. Una realtà in cui gli dev’essere andata particolarmente male, perché non ha un gran bell’aspetto. E soprattutto mi inquieta la foga con cui si è gettato su Rei, come...
Come se non la vedesse da chissà quanto. E non mi si chieda com'è possibile, visto che a rigor di logica non l'ha mai vista in vita sua.
Ora, lungi da me fare il menagramo. Ma fra il Torneo del mio mondo, il massacro da Venerdì 13 del mondo di Genma e il macello con le amazzoni del mondo di Akane... chi mi dice che questo ceffo non è reduce da qualche evento estremamente brutto? Inoltre il suo abito mi trasmette un brivido freddo, perché se non sbaglio... è una divisa da carcerato.
Scatto come una saetta e vado a cercare mamma. Abbiamo un potenziale serial killer per le mani.
Questa è realmente la giornata peggiore della mia vita. Ma a mani bassissime.



Note dell'autore
Due in pochi capitoli. Sto battendo tutti i record. Solo per comunicare che il Ranma che fa qui la sua comparsa viene da Panda Ciccione, uno dei What If? di Secrets. E giusto per essere del tutto chiari: i mondi di Akane la Sfregiata e Ranma il Galeotto non sono del tutto separati (Panda Ciccione fa parte della Quadrilogia Barattolosa, che è appunto una serie di What If? di Secrets. Fino a un certo punto le due storie erano perfettamente parallele, poi c'è stato un momento di rottura e le strade si sono separate).

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Capitolo 7
*** Akane la Sfregiata e Ranma il Galeotto: maneggiare con cura ***


18 febbraio 2012.
Credevo di averle viste tutte.
Vecchi e vecchie dall’aura potentissima e spesso rivolta contro di me, tizi dalla lingua mostruosamente lunga e dalla bocca mostruosamente grossa, pattinaggio marziale, ginnastica ritmica marziale, cheerleading marziale... sì, la mia vita tendeva a ruotare attorno a quello. E spiriti gatto, spiriti acquatici, spiriti quelchetipareatechetantounol’hodisicuroincontrato.
Ho sempre avuto una routine a dir poco strana.
Poi quello che credevo avrebbe scardinato ogni limite senza possibilità di essere superato: in un solo giorno, era ottobre, ho visto tutto quello che mi circondava andare in microscopici frantumi. Talmente piccoli che se provi a raccoglierli ti rimane la scheggia sottopelle, di quelle che fanno un male della malora.
In poche ore mi sono morte attorno due delle persone più importanti per me: Akane ed Ukyo.
Ed entrambe per colpa mia.
Più o meno, più o meno. Non le ho di sicuro uccise di mia mano. La mia mancanza è stata più che altro quella di non essere stato abbastanza veloce.
Con Akane non sono neanche riuscito ad accorgermi del pugnale di Mousse che volava imperterrito verso la sua gola e che gliel’ha attraversata.
Con Ukyo non sono proprio stato in grado di levarla di mezzo, di spostarla dalla traiettoria del pugno assassino di Ryoga che avrebbe dovuto colpire me e portare a termine il lavoro di cui si era fatto carico, che era ammazzarmi.
Lui probabilmente pensava che quello sarebbe stato un crimine, una cosa riprovevole. Ma si sarebbe sbagliato. Non era altro che un atto di pietà, un porre fine a quel continuo dolore che da qualche ora era per me il solo atto di respirare.
Ogni inspirazione. Ogni espirazione. Una martellata.
Mi ricordava che Akane non aveva più quel privilegio.
A conti fatti io ero già morto, sin dal preciso istante in cui l’ho vista cadere per terra nel giardino sul retro del Nekohanten, il collo perforato e una macchia rossa che si espandeva di secondo in secondo.
Era solo stupida biologia, e un po’ di stronzaggine, a non darmi la pace del sonno eterno che meritavo.
E allora ho pensato di rimediare a questa grave mancanza. Ho fatto chiamare la polizia e ho detto loro che ero un killer. Ok, non era proprio tecnicamente corretto ma, per quanto mi riguardava, non risultava neanche troppo diverso dalla verità.
Di fronte a un reo confesso -parole di cui ho scoperto il significato solo molto dopo, troppo complicate per me- non hanno avuto altra scelta che portarmi in guardina, se non altro per accertarsi che non fossi un bugiardo seriale o un mitomane. Poi hanno fatto tutte le loro indagini, con i loro stupidi cappelli da Sherlock Holmes e le lenti di ingrandimento e le pipe piene di cocaina, e sono riusciti nella mirabolante impresa di considerarmi colpevole materiale di entrambi gli omicidi. Nonostante non ci fosse una singola prova schiacciante a mio carico.
Era quello che volevo, non ci si lasci ingannare dal tono sarcastico. Dico solo che, a quanto pare, la polizia giapponese è composta da macachi.
Pertanto me ne stavo buono buonino nel braccio della morte attendendo la mia sentenza. Oh già, abbiamo ancora la pena di morte in vigore anche se non viene usata troppo spesso. Per un sedicenne presunto duplice omicida hanno fatto una mezza eccezione, eccezione per la quale li ringrazio. Dicevo, me ne stavo lì bel bello, con il mio lavoro sfiancante di spaccapietre sotto al sole cocente d’agosto quando è suonata la sirena di fine turno e ce ne siamo tornati in cella. Non mi hanno neanche lasciato fumare una sigaretta. Cattivi cattivissimi.
Ero stanco e sudavo acido. Perciò, quando è successo, ho creduto di avere le allucinazioni. Non sarebbe neanche stata la prima volta che mi passavano davanti agli occhi immagini create dalla mia mente.
Solo che questa era un’allucinazione particolarmente ostinata perché non se ne voleva andare. Non se n’è andata ancora adesso, a distanza di parecchie ore.
E cos’è successo? Oh, nulla. Ho solo aperto la porta del bagno della mia stanzetta due per due... ritrovandomi in una casa che non riconoscevo, di fronte a gente che non riconoscevo.
O che credevo di non riconoscere.
Ho avuto bisogno di quattro secondi quattro. Poi una delle tre facce mi ha travolto con la forza di una locomotiva ad uranio: era Akane.
Era. Akane.
Viva, di fronte a me.
Tralasciamo l’inspiegabile spostamento che mi ha portato dal carcere che mi ha fatto da casa nell’ultimo anno e mezzo a quella che, ho scoperto in un secondo momento, è casa Ono. Per ora me ne disinteresserò.
Avevo Akane davanti.
Era praticamente identica al giorno in cui è morta.
Il mio corpo si è mosso da sé e ha deciso che la cosa migliore da fare fosse abbracciarla. Stretta. Più stretta. Ancora più stretta.
Senza neanche sapere bene cosa stessi dicendo le ho chiesto scusa per non aver saputo proteggerla come meritava. Ho idea di averla quasi asfissiata da tutto l’impeto che ci ho messo.
Nessuna domanda su dove fossi finito e sul come, sul perché me la fossi ritrovata davanti, su chi fossero gli altri due. Nessuna. Ho agito per puro sentimento, con buona pace della mia striminzita parte razionale che in quel momento era seduta sulla tazza del wc ad evacuare e non voleva saperne niente.
Ha sussurrato “Mi... mi soffochi...”. E io, da bravo ragazzo quale sono, l’ho prontamente mollata.
Uno dei due che non ho riconosciuto, il maschio, ha d’un tratto levato le tende correndo via. Bof, chissenefrega. Invece l'altra -che comunque non mi era del tutto estranea, ma non riuscivo ad inquadrarla- mi si è avvicinata, mi ha sfiorato la guancia con il dorso della mano e senza preavviso alcuno mi ha stretto le braccia al collo.
È stato il mio turno di essere preso in contropiede.
“Ranma, Ranma... tu non hai idea di quanto mi sia mancato, anche se non so da dove vieni...”.
Eh? Chi sei? Che vuoi?
Ed eccoci qui, ad oggi.
Alla camera di Akane. A lei seduta sul letto e io sulla sua sedia girevole.
Ci guardiamo. E siamo decisamente imbarazzati. Fra l’altro dovrò prima o poi chiedere scusa alla ragazza che ho rischiato di stritolare.
Io poi non sono solo imbarazzato. Sarebbe pretendere un po’ troppo dal sottoscritto. Spero non si accorga che sto sudando.
“Ranma, finalmente abbiamo un momento di pace in cui posso parlarti”.
“Sì, ma io...”.
“Fai ancora fatica a capirci qualcosa, vero?”
“Qualcosa? Non ho capito nulla di nulla”.
“Sei un novellino, è normale. Datti uno o due mesi e ci farai l’abitudine”.
“Uno o due mesi?”.
“Ah già, non ti ho detto da quanto sono qua”.
“Qua? Cosa vuol dire qua? Perché parli come se fossi dove non devi essere?”.
“Ma insomma, nessuno si è preso la briga di dirti qualcosa?”.
“Niente di niente”.
“A Shinichi devo ancora una castagna per quella faccenda lì, ora saranno due. No, ma sul serio. Non ci posso credere. Tu hai dormito in questa casa senza sapere?”.
“Esattamente”.
“Kasumi e Tofu stanno invecchiando, evidentemente. Bene Ranma, comincerò con le domande di rito: quanti anni hai e che anno pensi che sia?”.
Scusa? Che razza di domanda è?
“Non credo di aver capito...”.
“So che ti sembra stupido ma per favore, assecondami”.
No. Non può aver già intuito che non sono in condizione di rifiutare una sua qualunque richiesta. Anche se è castana e con una orribile cicatrice in faccia.
Sì, l’unica cosa che ho capito bene di questo gigantesco casino è che lei è Akane, non l’altra. Devo ancora trovare una spiegazione plausibile al suo essere rediviva. E a un sacco di altri quesiti.
È straniante. Doloroso. Ma è la sola base a cui ho deciso di aggrapparmi con tutte le mie forze, dopo essere stato catapultato in questo posto. Spettro, cyborg, clone o qualunque cosa sia mi ha detto di essere Akane. E questo mi basta. Me lo faccio bastare.
Quindi mi tappo il naso e le rispondo: “Ranma Saotome, classe 1973, diciotto anni. È il 1991”.
Alza la testa al cielo e ride lievemente. Sembra molto divertita dalla mia confusione.
“Gli assomigli davvero molto...”.
“A chi assomiglio?”.
“Non ora. È troppo presto”.
“Ma...”.
“Ho detto non ora. Non disubbidirmi”.
Sì, l’ha intuito. Abbasso la testa.
“Va bene. E posso anche chiederti perché indossi una divisa da carcerato? Certo che Akira o Shinichi potevano imprestarti qualcosa di meno brutto”. A quel poco che ho capito Shinichi è il tipo che stava con loro quando sono arrivato, mentre non ho la minima idea di chi sia questo Akira.
La domanda è molto meno innocua di quella che l’ha preceduta.
Tentenno. Non poco.
Alla fine, dopo false partenze e sillabe mezze mangiate, riesco a formulare qualcosa di minimamente sensato: “Ecco... ero in prigione... perché...”.
“Perché?” mi incalza.
“Perché... io... ti ho uccisa...”.
Salta subito all’indietro, palesemente intimorita.
“Tu hai fatto cosa?”.
“No no, aspetta. Fammi spiegare meglio” mi affretto a correggere. Non mi piace vederla così, in nessun caso e per nessun motivo “Non ti ho davvero uccisa, non materialmente. La colpa, del tutto involontaria, è stata di Mousse. È successo verso la fine del suo duello con Shan-Pu”.
“Duello? Questo... mi accende una lampadina in testa...”.
“Sì, il duello. Si erano sfidati all’ultimo sangue per via di quelle loro leggi del cacchio...”.
“...perché era saltato fuori che erano promessi sposi fin da piccoli ma nessuno dei due voleva saperne mezza”.
...
“Tu chi sei davvero?” le chiedo “Come fai a sapere queste cose?”.
“Io... io mi ricordo di quella scena. Poi per fortuna era arrivata Ukyo e si era messa in piedi quella spassosa finzione del fidanzamento lesbico...”.
Cosa? Fidanzamento lesbico?
Ma... ma veramente no.
“Un’altra domanda: prima di questa cosa, del... duello, sarà mica successo che Mousse aveva sconfitto Shan-Pu in allenamento proprio nel momento in cui io e te passavamo per caso di lì?”.
La pianti di leggere i miei ricordi, strega?
Non posso che confermare. È andata proprio così.
“Capisco. Evidentemente le nostre storie personali collimano fino a quel momento, per poi assumere strade diverse. Finisci di raccontare”.
Beata te che capisci. Io son più sperduto di un bambino in mezzo al bosco, da solo, di notte, col lupo mangiabambini che lo insegue.
Diamole corda, mi sembra comunque una che sa cosa sta facendo. Ed è Akane. Anche volendo non potrei fare nient’altro.
“Beh, quella è semplicemente stata la peggior giornata della mia vita. In poche ore ho visto morirmi davanti agli occhi te ed Ukyo, lei sventrata da un pugno di Ryoga che mi stava pestando a sangue dopo che gli ho raccontato cosa ti era successo. Poi quell’imbecille è andato a perdersi da qualche parte e io, per la seconda volta, sono rimasto accasciato per terra con il cadavere di una persona cara davanti”.
Mi trattengo un attimo. Rievocare tutto fa più male di quanto sospettassi. Lei è ovviamente sconvolta, con tanto di mano sulla bocca e occhi sgranati.
“Allora ho deciso di farla finita: l’ho portata nello studio del dottor Tofu, ho fatto chiamare la polizia e mi sono costituito per la sua e la tua morte. Mi hanno sbattuto in galera e, dopo un processo abbastanza ridicolo, condannato alla pena capitale. Stavo aspettando la mia meritata fine quando... è successo questo”.
In un primo momento non riesce a dire nulla, e io di sicuro non gliene farò una colpa. Poi pare scuotersi un attimo, mi guarda e mormora: “Porca eva... dalle tue parti la vita ha assunto una piega fin troppo tragica”.
Allora, la vogliamo piantare di parlare per enigmi?
“Scusa la brutalità, ma che cazzo vuol dire dalle tue parti? Ti degneresti finalmente di spiegarmi cosa mi sta accadendo? Cosa devo pensare di te, per esempio? Sei un’illusione, un fantasma, un parto della mia mente schiacciata dal senso di colpa? Perché ti vedo respirare di fronte a me quando il mio ultimo ricordo di te è un coltello che ti perfora la gola uccidendoti sul colpo?”. Freno a stento una lacrima che sento salire prepotente.
Bello. Sono ancora capace di piangere, allora.
Non fa una piega mentre si sistema in una posizione più comoda e si fissa verso di me: “Ok Ranma, è tempo di farti comprendere per bene come stanno le cose. Tu credi alla storia secondo la quale il mondo in cui vivi non è l’unico dei mondi possibili, ma anzi è solo uno dei tanti che realmente esistono?”.
Supposizioni da fantascienza di serie Z? Sul serio? Che cavolo le devo rispondere?
“A dire il vero non ci ho mai dato importanza. Con la vita piena che ho avuto sin dal mio arrivo a Nerima avevo altre urgenze. Dovresti saperlo”.
“In effetti sì, capisco. E non sei neanche il tipo da porsi certe domande. Allora lascia che risponda io per te: quella storia è vera. Esistono infiniti mondi paralleli”.
... quanti anni pensa che abbia, due e mezzo?
“Mi prendi per il naso, vero?”.
“Ti piacerebbe. No, è proprio così. Io ne sono la dimostrazione”.
“Tu?”.
“Io sono Akane Tendo, che tu ci voglia o possa credere o meno. Tu provieni da un mondo in cui sono morta in quella maniera orribile, io evidentemente no. Ranma, fammi capire bene: con tutto quello che hai passato fra specchi greci, serpenti a otto teste, marmocchi che sparano fuoco, acqua maledetta... è davvero così inconcepibile credere a una cosa del genere?”.
A metterla così no, neanche troppo. A ben guardare ho visto e avuto esperienza di cose altrettanto bizzarre.
“Ti dirò di più. Non solo io provengo da un altro mondo, ma tu e io siamo nella stessa situazione. Ci troviamo in un terzo mondo non nostro. E qui a nessuno dei due è andata bene. In questo momento della storia Akane Tendo e Ranma Saotome risultano deceduti da ventitré anni”.
...
È ufficiale: sono finito in una candid camera.
Non credo a quanto ho appena sentito. Non ci credo.
“Menti”. La mia è un’affermazione. Devo convincermene.
“Immaginavo avresti reagito così, per questo mi sono premunita. Girati e guarda cosa c’è sulla scrivania”.
Faccio come mi è stato detto e ci trovo un giornale.
“È il quotidiano di oggi. Prova a leggere la data”.
18 febbraio 2012.
Non sembra essere stata modificata in alcun modo.
Ma questa non è una prova. Sono solo delle cifre.
“Hai ancora lo sguardo del miscredente. Perfetto, ho il metodo per convincerti. Dammi due secondi”. Detto ciò estrae dalla tasca dei pantaloni un... cacchio è quell’affare? Non riesco a capirlo.
Pasticcia un po’ e se lo porta all’orecchio.
“Kasumi? Sono Akane. Sì, scusa se ti telefono mentre ci troviamo nella stessa casa, ma mi servirebbe un piacere. Potresti salire in camera mia?”.
“...”.
“Grazie mille. Ti aspettiamo”.
“Che cos’era quella trappola?”.
“Questo, intendi? È un cellulare. Un telefono portatile. Sono la norma nel ventunesimo secolo”.
“Sì, vabbè. Piuttosto, perché hai chiamato tua sorella?”.
“Lei non...”.
“Eccomi, Akane” ci interrompe qualcuno aprendo la porta. E ho di nuovo di fronte a me quella stranissima Kasumi. Stranissima perché... dimostra una quarantina d’anni.
Uhm. Aspetta, che in matematica sono sempre stato lento come un mulo da soma. Se è davvero il 2012...
Punto sotto la colonna Akane non sta mentendo.
Però, cavolo... l’ultima volta che l’ho vista Kasumi mi ha trapassato da parte a parte con uno sguardo glaciale. Mi sembra anche ovvio, era il momento in cui ho riportato a casa Tendo il corpo senza vita di sua sorella. La capisco. Ora invece mi osserva pacifica, un mezzo sorriso in volto. Mi ci devo riabituare.
“Urca, sei stata rapidissima. Grazie”.
“Ci mancherebbe. Con il nostro nuovo... ospite, ho pensato che fosse necessario”.
“Ti prego di scusarci, Ranma, ma prima di cominciare con la parte che ti riguarda avrei una domanda per lei”.
Mi limito a un cenno affermativo con la testa. Spero solo che non ci metta troppo.
“Kasumi, di grazia... perché avete lasciato questo poveretto all’oscuro della sua situazione per un’intera giornata? Con me, Akira e Genma non era andata così”.
In questo marasma di novità fa piacere vedere che l’espressione solare di Kasumi è sempre la stessa. Salterò a piè pari la citazione del nome di mio padre, per ora non ne voglio sapere nulla.
“Vedi Akane, con Tofu abbiamo deciso di darti un po’ di spazio... privato. E poi, senza offesa Ranma, il tuo aspetto non era dei più rassicuranti e ci è sembrato necessario prenderci un po’ di tempo per appurare che tu non potessi rappresentare un pericolo per la nostra famiglia. Sai, quello che indossi ci ha spaventati”.
“Sì, ma se fosse stato un malintenzionato ci avrebbe potuti sopraffare con facilità”.
“A quel punto non sarebbe cambiato nulla. L’unica che avrebbe avuto una pallida speranza di fermarlo saresti stata tu, noi saremmo stati del tutto impotenti. Abbiamo giocato col fuoco ma ci è andata bene”.
“Non vi facevo così temerari. Addirittura non farlo neanche cenare assieme a noi”.
Sì, quello è stato parecchio scortese. Ci sono rimasto piuttosto male, non lo nego.
“È stato anche per non sovraccaricarlo di troppe informazioni. Colpevole o innocente che fosse, era palese che qualcosa gli era successo. Tu te la saresti sentita di buttargli in faccia la verità a bruciapelo?”.
“Beh...”.
“Vedi?”.
“Ok, ok. Il vostro ragionamento non fa una grinza. Ora torniamo a noi, però. Kasumi, ho appena esposto a Ranma la situazione mia e di Akira, che ora condividiamo anche con lui. Però il mascalzone non ci crede troppo e...”.
“Veramente non ci credo per nulla” mi permetto di inserirmi.
“Fai silenzio, solo per un attimo”.
“Signorsì signora”.
“E allora ho pensato che il tuo apporto potesse giovare alla causa. D’altronde si sa come Kasumi sia incapace di mentire, non è vero Ranma?”.
Come la posso contraddire?
“Allora, potresti raccontare a questo incredulo come sono andate le cose in zona? E come io e il mio caro fratellino siamo piombati nella vostra routine?”.
“Certamente. Ranma, premetto che posso intuire quanto dev’essere difficile per te credere a quanto sto per narrarti. Ma come ha giustamente sottolineato lei, sai che ho una certa politica riguardo le bugie. Ebbene, qua tu e Akane avete imboccato la via del martirio. Voi due, Ryoga, Ukyo, la vecchia Obaba, Mousse e persino Kuno. Tutti voi. Fra l’8 marzo e il 27 luglio del 1989 siete venuti a mancare, uno dopo l’altro, a causa di quel maledettissimo Torneo... oh santo cielo, dopo tutti questi anni fa ancora un male del diavolo...”.
Si interrompe e comincia a singhiozzare. Akane si alza dal letto e le si avvicina per confortarla, tirando fuori un fazzoletto e porgendoglielo. In pochi istanti è un continuo e rumoroso soffiarsi il naso.
Io... porca miseria, non volevo. Non posso farla stare così.
“Va bene, va bene” dico alzando le mani “Puoi anche fermarti qui, non serve proseguire. Ci credo. Ci credo”.
Entrambe si voltano verso di me, un poco meravigliate.
Poi succede una piccola cosa che mi lacera il cuore: Akane mi sorride. Deve aver apprezzato la mia delicatezza.
Che i kami mi portino via adesso se non si divertono a vedermi mentre mi squaglio tipo pozzanghera a terra.
La congeda gentilmente, ringraziandola ancora per lo sforzo.
Quando siamo di nuovo soli si riposiziona sul materasso, stavolta più vicino a me. Nascondo maldestramente l’avvampare che si impossessa delle mie guance. Da questa distanza la sua cicatrice mi sembra ancora più brutta.
Cazzo. Solo ora realizzo appieno la situazione che sto vivendo: ho davanti a me Akane. Se allungo un braccio posso toccarla. Se allungo la faccia posso baciarla.
Pensavo che una simile gioia mi fosse stata strappata per sempre. E invece mi trovo nella condizione di dover ringraziare questo imprevisto, pazzo, insensato stato di cose che mi ha concesso di poterlo rifare. Non che l’abbia mai fatto quando ne avevo l’occasione, ma le seconde possibilità devono avere un gusto totalmente diverso.
Deglutisco. Non è il momento. Neanche so se lo sarà mai.
Perché continui a sorridermi, dannato maschiaccio? Sai quanto mi sconvolgi?
“L'increscioso incidente non era previsto. Dopo provvederò a scusarmi con lei, mi è spiaciuto farle rivangare eventi dolorosi del suo passato. Non è la stessa cosa ma, visto che so bene come si sono svolti i fatti, mi metterò al posto suo”.
“È... è spiaciuto anche a me...”.
“Si è notato. È stato un bel gesto da parte tua, grazie”.
Un altro minuto così e mi esplode la testa, lo giuro.
Smettila. Smettila di sorridermi. Non lo reggo.
“Ranma? Tutto bene?”. Ce l’avrò scritto in faccia che mi sta venendo una crisi isterica.
Ed ecco, la cosa che non ti aspetti: lei capisce. O almeno credo capisca. Qualunque sia il motivo, mi fa il carissimo piacere di scostarsi un po’ all’indietro e di togliersi quel meraviglioso sorriso, sostituendolo con uno sguardo appena appena dispiaciuto.
“Ranma, non volevo metterti a disagio. Perdonami. È che... sono più di quattro anni che non ti... che non lo vedo”.
Checcosa? Quattro... anni?
“Q-quattro?”.
“Sì, quattro. Io e Akira siamo capitati in questo mondo nel 2007. Nel loro 2007. Da quel fottuto 10 dicembre...”.
Tutto ad un tratto scopro... riscopro la facoltà di percepire dolore che non sia il mio.
“Io e lui... stavamo assieme, alla luce del sole... eravamo finalmente riusciti a superare la nostra stupidità e a dichiararci, facendoci forza con i nostri soli sentimenti... non hai idea di quanto mi sia sentita felice in quel momento, quando abbiamo preso a calci tutto quell’immenso cumulo di orgoglio, ottusità e paura e ci siamo appropriati di noi stessi e di quello che condividevamo...”.
Ok, questa sensazione è nuova.
Sono geloso di me stesso. Se ce l’avessi davanti cercherei di ammazzarlo.
“Io... io mi vergogno... ma una parte di me... sta cercando di convincermi a saltarti addosso, buttarti sul letto... e strapparti i vestiti... so che è sbagliato... per un miliardo di motivi... ma faccio... una fatica incredibile... a controllarmi...”.
...
...
...
Non so se devo spaventarmi, eccitarmi o tutte e due le cose.
“Allora... forse è meglio se tolgo il disturbo... non credi?”. Ho scelto di spaventarmi e credo di aver fatto bene.
“Sì, penso... sia meglio”.
“Con permesso”.
Mi alzo e mi avvio verso la porta. Da un momento all’altro mi aspetto che succeda qualcosa. Che lei mi afferri il polso, mi giri verso di sé e mi soffochi con un bacio disperato.
Ma, per fortuna, non succede.
Mentre esco sento indistinto l’inizio di un pianto.
Appena sono sicuro di essere fuori dalla sua portata visiva scappo via come un ladro. In uno sprazzo di lucidità mi rendo conto di non dovermi nascondere da nulla, non ho colpe di nessun genere. Questa volta non ho contribuito alla morte di nessuno, non posso rimproverarmi neanche volendo. E nonostante questa consapevolezza, capisco che la nostra convivenza sarà a dir poco tumultuosa. Troppe emozioni inespresse o conflittuali.
Suona impossibile, ma quasi rimpiango la mia situazione di prima. È vero, ero in attesa della condanna a morte per due omicidi che non ho commesso ma, a conti fatti, ero più tranquillo di quanto possa mai essere adesso. Rassegnato e indurito, attendevo solo quella che vedevo come una liberazione.
Adesso, invece, qualche divinità dispettosa ha deciso che devo soffrire. E lei con me.
Siete dei figli di puttana.
Per caso finisco in salotto e ci trovo Kasumi, impegnata ad essere la propria brutta copia. Seduta e con le mani nei capelli, neanche si accorge della mia presenza.
Forse non è il caso che la disturbi.
“Ranma...”.
Oh. Allora non sono trasparente.
Per un istante sono indeciso. Poi vedo in lei una possibile ancora di salvezza, una momentanea distrazione.
Mi avvicino e mi accomodo al suo fianco sul divano.
“Stai bene? Hai una cera orrenda” mi chiede. Santa donna, preoccupati un po’ per te stessa ogni tanto.
“Volevo fare il paio con te. Ascolta, mi spiace davvero per...”.
“Sssssh. Non è colpa tua e non è neanche colpa di Akane. È solo ancora tanto doloroso, persino dopo due decenni”.
Ma cribbio, è possibile che proprio adesso mi debba salire la curiosità di sapere cos’era il fantomatico torneo a cui ha accennato prima? Sei proprio un pezzo di piombo, Ranma.
“Kasumi, io...”.
“Vuoi sapere, vero?”.
Cos’è, sono un libro aperto?
“Se ti dicessi di sì?”.
“Diresti la verità”.
“E allora ti lascerò a bearti del tuo micidiale intuito”.
“Raccontamela tutta. È successo qualcosa di brutto con Akane, vero?”.
La domanda mi mette in sincera difficoltà. Non lo so se è successo qualcosa di brutto. Di sicuro non era bello.
“Diciamo di sì. Sono saltati fuori particolari... pesanti da digerire. Per tutti e due”.
“Non voglio entrare nei dettagli, sono fatti vostri. Ti dirò solo questo: dalle tempo. E datti tempo. È una situazione nuova e da esplorare per entrambi. Dovete abituarvici e...”.
“Kasumi, io... nel mio mondo... l’ho vista morire”.
Silenzio tombale.
“Questo... non me lo aspettavo. Ti va di parlarne?”.
Ottimo interrogativo. Potrebbe farmi bene o potrebbe annientarmi definitivamente.
I suoi occhi sono colmi del desiderio di aiutarmi, nonostante il suo attuale stato emotivo. Mi chiedo da quale strato celeste sia scesa questa signora, perché non può essere umana.
“Ne sei sicura? È una storia molto poco piacevole”.
“Se mi offro volontaria me la sentirò”.
“Apprezzo l’intenzione, ma temo di...”.
“Stai zitto e spiegati. In cambio, quando avrai finito, ti dirò quel che vuoi sapere su questo mondo”.
Proponiamo un baratto, eh? Lo accetto.
“Va bene, come vuoi”.
E comincia una lunga, lunghissima chiacchierata. Al termine della quale ci troviamo accasciati l'uno sulle spalle dell'altra, in lacrime.

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Capitolo 8
*** Un ragazzo più furbo del previsto e una ragazza più incazzosa del previsto ***


21 febbraio 2012.
Non so cosa pensare.
Ranma è qui da ormai tre giorni, tre giorni e mezzo a fare i pignoli. Da quel momento in camera mia ci siamo relazionati direttamente molto, molto poco.
Turbamenti a profusione, da entrambe le parti. Forse non avrei dovuto dirgli di quel mio leggero... problema ormonale. O forse, al contrario, ho fatto più che bene ed è servito a mettere una giusta dose di distanza.
Non che voglia sul serio evitarlo, dico solo che... oh insomma, è complicato da morire. Glielo leggevo benissimo in faccia che il mio solo sorridergli gli provocava scompensi di ogni genere, e stavo cercando di non far trasparire più del dovuto. Era davvero un sorriso di genuino apprezzamento per quelle parole gentili rivolte a Kasumi. Quindi figurati cosa avrei potuto scatenare in lui se avessi azzardato sottintendere qualcosa, sconcio o meno che fosse.
Da parte mia mi era praticamente impossibile, e lo è tuttora, non rivedere in lui il mio Ranma. A parte pochi particolari sono fisicamente la stessa identica persona. Però la barbetta gli sta bene, conferisce al pacco quel non so che di sexy che...
Taci Akane. Certi pensieri è meglio evitarli.
Fisicamente sono uguali, ok. Ma anche un moccioso dell’asilo capirebbe che il tutto è ben più contorto. Innanzitutto per lui, che poveretto non avrà fatto altro che rivivere quel pomeriggio da incubo. Ho idea da subito, sin da quando ha poggiato gli occhi su Rei che, inevitabilmente, gli avrà riportato alla mente la sua Akane.
Certo, sto dando per scontato che quel che vale per me e per il mio Ranma valga allo stesso modo nel suo caso. È automatico. Magari sto correndo un po’ troppo, ma è sempre meglio dare per assodato il peggio. Mal che vada ci si è fatti degli scrupoli inutili ma non si è rischiato di spezzare nessun cuore. E comunque mi sembrava abbastanza evidente, da come ha parlato di lei -anche se si è limitato a poche parole- e da come sembrava che io fossi fatta di porcellana, quasi avesse paura di toccarmi perché temeva potessi andare in mille pezzi.
Quel ragazzo è pesantemente traumatizzato e non vedo come possa essere altrimenti, considerato quel che ha vissuto. Penso che, seppure con tempi e numeri diversi, possa rivaleggiare con la Shan-Pu di questo mondo che va bene, ha visto morire più persone ma in un lasso di tempo molto più lungo. E soprattutto non se n’è assurdamente accollata la responsabilità. Aveva la disperazione più nera negli occhi quando ha detto “Io... ti ho uccisa”. Non mi meraviglierebbe scoprire che quello stupido crede davvero di essere colpevole. So che non è così, Kasumi ha provveduto a ragguagliarmi ed è a dir poco lampante che non c’entra praticamente nulla.
È innocente.
Non del tutto, però. Ha una torto, non grande in proporzione all’evento ma ce l’ha: come al solito si fa carico di tutto e di tutti, come se da lui dipendesse la salvezza dell’intera umanità. Non riesce proprio a togliersi dalla testa che non sempre si è in grado di mettere al sicuro capra e cavoli. Capita che, nonostante i più nobili propositi, qualcosa lo si perda.
Il più delle volte Ranma Saotome è un cavaliere in armatura dalla bravura sopraffina. Per questo, nelle rare occasioni in cui gli va male, il fallimento pesa come un macigno. Specie se porta a simili conseguenze.
Senza di me e senza Ukyo. Le nostre storie sono immagino identiche fino al momento del duello, che per mia fortuna è stato scongiurato dal tempismo perfetto della stessa Ukyo. Incredibile come l’assenza di una sola persona possa influenzare fino a questo punto l’esistenza di tutta questa gente. La mia, la sua, quella di tutti i parenti, quella della mia migliore amica.
Grazie a quell’esperienza io e Ranma ci siamo avvicinati come non mai, abbiamo gettato la maschera riuscendo finalmente a dirci in faccia cosa proviamo l’uno per l’altra, abbiamo persino... approfondito carnalmente. A lui tutto questo è stato negato per una piccola, sfortunata coincidenza. Piccola, sfortunata coincidenza che gli ha devastato la vita.
Getto un sasso nello stagno. Sono nella stessa posizione di Akira quella famosa mattina di più di tre anni fa, quando abbiamo fatto la gitarella da Happosai giusto per perdere un po’ di tempo.
Già, come i fatti dimostrano nessuno ha davvero voluto sfruttare quel metodo a dir poco precario. Il mio finto fratello ha alla fine deciso di soprassedere, nonostante per lunghi periodi abbia riportato a galla, a intervalli intermittenti, l’idea dal fondo del mare dove l’avevamo gettata; Genma ha optato per un sistema altrettanto pericoloso ma che, se non altro, dovrebbe avergli dato la certezza dell’arrivo nel posto e nel momento giusto. Anche se Shan-Pu ha teorizzato che di lui non dev’essere rimasto poi molto, vista la simpatica abitudine dell’Artiglio di farsi pagare in pezzi di corpo. Brrrrrr.
Non ho voglia di far nulla. La mia vita qui è in una sorta di limbo, anche se tengo in piedi la palestra da sola. Perché ho carenze di fondo, così palesi che nemmeno perderò tempo ad elencarle. E quindi sento l’insoddisfazione serpeggiarmi fra le dita, come un minuscolo cobra. Non che l’insoddisfazione sia davvero così rettilosa, ma mi piaceva la figura retorica.
Un sospiro. Uno sbuffo. Una mezza parolaccia sussurrata.
“Akane! È ora di pranzo, potresti andare a chiamare Akira per favore? È ancora chiuso in camera a studiare”. La voce di Kasumi mi desta da questi decadenti pensieri da artista maledetto.
Mi alzo e faccio quel che mi è stato chiesto. Da circa una settimana il signorino Hibiki mette il naso fuori dalla propria stanza solo per i pasti, assorbito com’è dall’esame di ammissione. Essendosi rassegnato a rimanere qui per chissà quanto ha deciso di fare qualcosa di più consistente che ciondolare per casa senza meta, lamentandosi all’aria del suo ingiusto destino. Se non altro pare convinto a non voler ripetere i magnifici exploit di Shinichi, che dall’arrivo di Ranma non ha più la facoltà di poggiare neanche un solo piede oltre la soglia di casa.
Fra l’altro gli devo ancora un diretto, a quello lì.
Un breve cammino e sono di fronte alla sua porta.
TOC TOC.
Nessuna risposta.
TOC TOC.
“Akira, cacchio. Ci aspettano di sotto, è pronto. Alza le chiappe”.
Niente.
La cosa mi insospettisce.
Senza preoccuparmi troppo apro la porta.
E la stanza è vuota.
“Akira, dove ti sei cacciato?” chiedo ad alta voce, ma non ottengo alcuna risposta.
Ma che strano, non è da lui sparire in questo modo. Con tutto l’impegno che stava investendo nello studio e...
Uh? Che cos’è quel block notes sulla scrivania? Non dà proprio l’aria di essere parte del suo materiale di preparazione.
Lo apro. E quel che leggo e vedo... sì, mi spaventa.
È pieno, pieno di schizzi. Ogni singolo centimetro. E questi schizzi lo rappresentano in posizioni e atteggiamenti che, col gergo di questo secolo, sono definibili emo. Lui che guarda fuori dalla finestra, lo sguardo avvilito e malinconico; lui in disparte rispetto a un gruppetto, di cui fra gli altri facciamo parte io e Shinichi, con la testa bassa e la più classica delle lacrime da femminuccia intristita; lui che osserva una foto incorniciata di due persone, i cui volti non sono ben definiti, vestite per una cerimonia... un matrimonio, forse?
Le poche parole presenti acuiscono solamente il mio disagio: voglio tornare a casa, questo posto è sporco e vuoto e non vi sopporto più, maledetti spettri.
Oh santi kami benedetti.
Questo... questo è grave. Molto grave.
Poi il colpo di grazia. In un angolo, quasi coperto da altri scarabocchi, appare chiaramente un disegno dell’Artiglio della Chimera. O almeno credo che lo sia non avendo mai io visto quell’oggetto, ma una specie di corno di rinoceronte cos’altro potrebbe essere?
Porca di quella...
Chiudo il quadernetto e lo porto al piano di sotto, correndo verso la cucina.
Spalanco la porta. Dentro ci sono Kasumi, al solito impegnata nel pranzo, e Ranma che la osserva con sguardo famelico. Quello lì non smette mai di avere un buco nero al posto dello stomaco, qualunque sia l’universo dal quale proviene.
“Ehi Akane... ciao” mi saluta, un lieve balbettio nella voce. Se non avessi pensieri più pressanti mi sentirei intenerita. Ricambio con un velocissimo cenno della testa. Per svariati motivi non ho intenzione di calcare troppo la mano.
“Kasumi! Akira non è in camera sua e guarda cos’ho trovato”.
Le porgo il quaderno e la esorto a sfogliarlo. Ranma deve aver annusato qualcosa di strano, visto che prende a fissarci.
No, non hai tempo di rivolgerti a lui dicendogli quanto sta bene vestito in maniera umana. E dire che indossa solo una camiciola un po’ sbottonata sul collo, che mi fa intravedere...
Cazzo. Concentrazione Akane, concentrazione. Non distrarti.
“Akane... quanto è scritto qui... mi preoccupa”.
“Preoccupasse solo te”.
“Scusate se mi intrometto” dice il bel tomo avvicinandosi a noi “ma posso sapere di cosa state parlando? Mi avete incuriosito”.
Sto per rispondergli di farsi una scarica di affaracci suoi, risposta scortese dovuta più alla concitazione del momento e al fatto che se mi viene troppo addosso rischio di cominciare a sudare, quando Kasumi mi precede: “Si tratta di Akira. Questo sembra un suo blocco da disegno e ci ha scarabocchiato sopra delle cose un po’ inquietanti”.
“Del tipo?”.
“È una storia lunga, Ranma. Ti spiego mentre andiamo al Nekohanten, se vuoi venire con me” tronco la conversazione che rischiava di farci perdere tempo prezioso.
Oh sì, sono abbastanza convinta che il misfatto sia stato compiuto da poco. Stamattina a colazione Akira c’era e non credo abbia lasciato questa casa da troppo. Tu chiamalo, se vuoi, intuito femminile.
“Al... Nekohanten?”.
“Sì. È lì che Shan-Pu tiene l’Artiglio”.
“Verrei volentieri con voi” dice la mia quasi sorella “ma temo che vi sarei solo d’impiccio. Inoltre non voglio che il pranzo bruci”.
... le priorità della vita, questo insondabile mistero della testa di Kasumi Ono.
Afferro il polso del nostro galeotto e lo trascino fuori. Se mi fossi fermata un attimo a riflettere non credo l’avrei fatto, non è che la sua presenza mi sia così fondamentale... e ciò dimostra che non ho riflettuto. Non credo di potermi permettere di buttar via un solo secondo, potrebbe essere quello decisivo.
“Akane... Akane! Mollami, per favore. So correre da solo e mi ricordo dov’è il ristorante!” guaisce il mio prigioniero quando siamo già in strada.
“Uh. Sì, scusa. La foga...”.
“Non importa” commenta più pacato dopo che l’ho lasciato andare “Piuttosto, perché non mi racconti cos’è questo Artiglio?”.
“Non so molto, non sono neanche del tutto sicura che Akira lo abbia disegnato sul serio. Però quel poco che so non è rassicurante”.
“E cos’è che sai?”.
“Vedi, l’Artiglio è un artefatto amazzone che a quanto pare può concedere qualunque desiderio a chi lo sfrutta ma...”.
“Ma... ma è splendido!”.
“No, non lo è”.
“Non capisco perché dici così”.
“Perché non mi hai fatto finire, birbantello. L’Artiglio concede il desiderio di chi lo usa, sì... ma in cambio vuole un pagamento”.
“Che genere di pagamento?”.
“Una parte dell’utilizzatore. Un pezzo di sé”.
“Un... che?”.
“Un pezzo di sé. Ti ho detto che io e Akira siamo qui da più di quattro anni, giusto? Ebbene, non eravamo soli. C’era anche una versione di tuo padre. Nel suo mondo lui l’aveva usato, difatti è a causa sua se noi sappiamo dell’esistenza di quell’aggeggio. Ed è sempre grazie a quel coso che è tornato a casa sua”.
“L’aveva... usato? Perché?”.
“Lo vuoi davvero sapere?”.
“Direi di sì. Papà non è mai stato tipo da fare una pazzia del genere”.
“Beh, ti posso assicurare che aveva un motivo molto valido. Ha detto che nel 1999 la sua famiglia, noi due inclusi, è stata massacrata ed è tornato indietro nel tempo nel tentativo di impedirlo. Per farlo, però, ci ha rimesso gli occhi. E chissà cosa per abbandonare questa realtà”.
Sento indistinto il rumore di qualcuno che inchioda. È ridicolo, lo so, ma è proprio ciò che arriva alle mie orecchie.
Mi volto e lui è piantato in mezzo alla via.
Diamine Ranma, non ostacolarmi. Devo impedire ad Akira di finire su una sedia a rotelle.
“Massacrati...”.
“Ometto con la barba, muovi il culo. Ti dico tutto dopo se proprio ci tieni a saperlo. Non adesso”.
Si scuote, come se si fosse appena svegliato. Poi mi guarda determinato e riprende a correre.
Bravo ragazzo. Mi fa piacere vedere che là dentro c’è ancora il Ranma che conosco e amo.
“Quindi” riattacca dopo qualche minuto “vuoi impedire ad Akira di mettere le mani su quella trappola...”.
“Esatto. Non ci tengo a saperlo senza un arto”.
“Perché? Cosa ti interessa di lui?”.
 “Non puoi sapere, già. Io e lui abbiamo legato piuttosto bene durante la nostra permanenza qui, è scattato subito qualcosa di bello”.
“Qualcosa... di bello?”.
Ma toh, colgo una nota di gelosia.
“Oh no, non nel senso che la tua testolina buffa può aver creduto. Poi figurati, lui ogni tanto mi chiama zia perché nel suo mondo sono pappa e ciccia con i suoi genitori. Penso che non concepisca neanche la possibilità, abituato come dev’essere a vedermi come un’amica di famiglia e null’altro”.
“Uff. Meno male, và”.
Vedo che le mie supposizioni di prima hanno centrato il bersaglio.
Giungiamo. Devo prendermi un attimo per rifiatare, sono un pochino stanca. Quel buzzurro, invece, mi sfotte continuando a saltellare da fermo, apparentemente in piena forma.
Tsk. Lo so che sei più forte e figo di me, non c’è bisogno di ricordarmelo.
Alt, fermi tutti. C’è un problema.
Shan-Pu non ha ancora visto Ranma. A quel che ne so negli ultimi giorni è sempre rimasta tappata lì dentro, oberata di lavoro fin sopra i capelli. E tutto il frastuono che ci arriva parrebbe confermare che anche oggi è giornata piena.
“Ranma...” azzardo. Mi guarda spaesato, immagino non capisca dove voglio andare a parare. Non è mai stato il suo forte l’essere arguto.
“Se per caso te ne fossi dimenticato il Nekohanten è il ristorante di Shan-Pu...”.
“Sì, lo so. E allora?”.
“Come allora, tonto? Non capisci che reazione potrebbe scatenare in lei il vederti?”.
“Eri tu quella di fretta, Akane. Che vogliamo fare, entrare e pensare dopo a tutte queste paranoie o rimanere qui a sbrodolare nel dubbio?”.
Eh, non posso negare che il suo ragionamento non faccia una grinza. D’altronde adesso non c’è proprio tempo.
Lo precedo. Con la cinese andrà come deve andare.
Quando siamo dentro... porca eva, cos’è tutto ‘sto bordello? Qua dentro ci saranno almeno una settantina di persone, anche di più.
C’è un viavai incessante fra i tavoli, con i camerieri che saltano di palo in frasca senza sosta. Non li sto invidiando per nulla.
Riesco ad agganciare Shinji, l’unico che riconosco, e mi conferma che Shan-Pu è in cucina a diventare idrofoba per stare dietro agli ordini.
Durante il tragitto verso la temuta Ping, flagello di ogni porta del Giappone, mi sale una punta di nostalgia nel ricordare i bei tempi andati in cui la nostra banda considerava questo posto un po’ come casa propria e ci entrava e ci usciva con nonchalance. Qua mi sa che mi toccherà scusarmi per l’intrusione.
VRAAAAM.
Con tutto il trambusto che c’è nessuno pare accorgersi di due individui in più. Almeno finché, sempre spalleggiata dall’Al Capone del sol levante, non picchetto le spalle di Shan-Pu che sta sbraitando istruzioni come un feldmaresciallo della Wehrmacht.
“Keiko, porta questo al tavolo quattro. Kazushi, dov’è Kazushi? Sakura, non starmi fra i piedi! Satoshi, i tuoi ramen dovranno aspettare di essere pronti...”. Poi si volta e qualsiasi altra parola le muore in gola.
“Scusa l’invasione, è stato maleducato da parte nostra. E sì, lui è Ranma. Ora non posso proprio spiegarti, abbiamo un’emergenza per le mani. Ti spiace accompagnarci nel posto dove tieni l’Artiglio? Temiamo tu abbia un altro clandestino che gironzola da queste parti”.
“Akane, ma che...”.
“Shan-Pu, no. Dopo. Andiamo”.
“Non puoi irrompere con un Ranma con una barbetta affascinante e cercare di ammutolirmi così, diamine!”.
“Guardami bene: dopo. D-o-p-o”.
Un secondo di silenzio, almeno fra noi tre. Cerco di convincerla col solo sguardo a non restare lì impalata che ho fretta, nel caso non si fosse capito. Lei dimostra di essere molto poco recettiva alle mie necessità.
Al che, visto che non voglio seguire le orme di Genma e presumibilmente quelle di Akira e ci tengo a renderla partecipe, mi scatta lo sghiribizzo: la prendo per l’avambraccio e la trascino via. Non posso permettermi di giocare alle belle statuine. Una piccola parte di me è persin stupita da tanta fermezza.
Oggi, oltre a La Donna che Sveniva la Gente, mi dovranno chiamare La Donna che Afferrava i Burattini.
Non oppone resistenza. Temo sia rimasta scioccata dall’aver visto una versione del suo airen con vent’anni meno di lei. Un po’ la capisco.
“Shan-Pu” le dico una volta al riparo da orecchie indiscrete “per favore, non svenirmi addosso. Mi servi attiva”.
Per fortuna decide di darmi retta e si passa le mani sugli occhi. Pare aver riacquistato il senno. Un cenno della testa lo conferma.
Ci conduce verso la cantina. Sospettavo uno sviluppo del genere, c’ero quando durante le sessioni di ricerca mattutina recuperava i rotoli e le pergamene da lì, però era comunque giusto farci vedere e dirle cosa sta accadendo. Anche se forse abbiamo perso tempo prezioso.
“Potevate avvisarmi della sua presenza, comunque...” butta lì con finta noncuranza mentre smanaccia sul muro alla ricerca dell’interruttore. Chi cerchi di prendere in giro, gattina?
“Ci abbiamo provato, ma in questi ultimi tre giorni eri più irreperibile di un alpinista sul K2. Shinichi ti avrà telefonato almeno sette volte e ogni singola volta nessuno ha risposto. Mi sembra si sia anche fatto vivo di persona in un paio d’occasioni, ma c’era tanta di quella gente che dev’essere stato un miracolo se sei riuscita a respirare”.
“Non dirmelo per favore, è stato un incubo e non è ancora finita. Ci dev’essere qualche convegno strano qui in città, non ho mai visto una tale frotta di turisti irrompermi nel locale”.
“Se non altro starai facendo affari d’oro”.
“Per quello sì, non mi posso lamentare. Ecco, trovato”.
E luce fu.
Ranma non ha detto una sola parola da quando siamo entrati. Cocchino, si sentirà imbarazzato e forse anche un po’ intimorito da questa Shan-Pu che, lo devo proprio ammettere, a uno sguardo esterno può dare un’idea forse un po’ distorta di sé. Nel senso che appare più arcigna e burbera di quanto non sia davvero. Modestamente, però, posso dire di conoscerla abbastanza bene e quella è... boh, una maschera? Una forma di difesa? Non è di certo il succo della persona che ora, davanti a noi, scende le scale e ci fa cenno di seguirla. E poi, di sicuro, avrà anche delle remore perché... Kasumi mi ha raccontato anche che fine ha fatto dalle sue parti. Quel giorno di ottobre dev’essere passato alla storia di Nerima come Giorno della Strage dei Sedicenni Combattenti.
Mi chiedo se, Shinichi e Rei ed Akira a parte, ci sia qualcuno che lui non ha visto morirgli attorno. Ed esagero fino a un certo punto, ha un record molto poco invidiabile. Povero ragazzo, mi fa sinceramente dispiacere.
Finalmente giungiamo. Apre l’unica porta d’ingresso e ci fa strada.
Un’altra luce da accendere e...
Qui non c’è nessuno.
Il mio cervello comincia ad elaborare mille possibili spiegazioni, tutte accantonate mestamente quando scorgo l’Artiglio per terra. O almeno, se quello non è l'Artiglio della Chimera mi chiedo cosa ci faccia qui un corno di rinoceronte.
Quel cretino di Akira...
Siamo arrivati tardi.
L’abbiamo perso. L’ho perso.
Calmati, calmati. Respira.
“Bene Akane, siamo arrivati. Ora?” chiede Shan-Pu.
Che voglia di darle un gancio sul grugno.
“Ora niente. Grazie al tuo immobilismo abbiamo perso tempo e non ce l’abbiamo fatta”.
“A far cosa? Scusa eh, ma non ti seguo”.
“Dovevamo impedire ad Akira di usare quel robo, ecco cosa! E come vedi...”.
“Oh”. Risposta intelligente, cara la mia amazzone.
“Io non sto capendo poi tanto” pigola Ranma alle mie spalle.
Sono circondata da gente con l’acume di una cassapanca.
Voltandomi gli scocco uno sguardo omicida, riconosco immeritato ma non è un problema mio al momento: “Baka che non sei altro! Te l’ho ben spiegato, mi pare. Akira ci ha battuti sul tempo ed è riuscito a tornare nel suo mondo. Forse senza un rene, forse su una gamba sola. Chi lo sa”.
“Beh” commenta ancora miss Nekohanten raccogliendo l’oggetto da terra “nessuno può rimproverarci per non averci almeno provato”.
Che cos’è questo tono conciliante? Ma sul serio, sono l’unica a cogliere la gravità di quanto è appena successo? Ditemelo se vi devo prendere a sberle, al momento vedo poche alternative altrettanto soddisfacenti.
“Deh, ma vi siete rimbambiti o cosa? Come potete reagire con tutta ‘sta calma?”.
“Quel che è fatto è fatto, Akane. Ormai il dado... anzi, l’artiglio è tratto”.
“Non prendermi per il culo, Shan-Pu. Non sopporto quell’aria da santone in pace col mondo. Non ti si addice”.
“No, hai ragione. Anzi, se devo essere sincera sto ribollendo di mille emozioni diverse”.
“A giudicare da come hai reagito prima non si direbbe”.
“Se parli di quando i miei occhi hanno incrociato quelli di Ranma... mi stai mancando di rispetto, ragazzina”.
Ah davvero? Ti sto mancando di rispetto, vecchia ciabatta? Decido di lasciarle campo libero, sarà divertente sentirla sproloquiare.
“Tu non hai neanche la minima idea, ma neppure per sbaglio, cosa mi è frullato per la testa da quando Genma mi ha ricordato dell’esistenza dell’Artiglio. Non sai quante volte ho avuto la terribile tentazione di scendere qui sotto, vendere entrambe le mani e...”.
“E? Non fare la timida, Shan-Pu. Sputa il rospo, che son tanto curiosa”.
“Avrei voluto... avrei voluto cancellare il Torneo. Avrei voluto... riavere mia nonna, Mousse e tutti gli altri ancora fra i piedi... anche adesso, mentre lo stringo, questo bastardo mi sta tentando. Mi bisbiglia che, se solo gli rivolgessi una richiesta chiara, potrebbe darmi quel che desidero...”.
Uh.
Sezione logica, quartier generale sito nel cervello: va bene Akane, non superare il limite. Sei arrabbiata per tanti motivi, lo so e lo capisco. Ma non è giusto da parte tua sfogarti su Shan-Pu, lei non ha reali colpe. Adesso fatti avanti, chiedile scusa e...
Sezione emotiva, quartier generale sito nelle ascelle: senti, simpaticissimo ammasso di sinapsi e cazzate. L’unica cosa che va fatta è rifilarle un pugno sul naso, fregarsi l’Artiglio e usarlo per i fatti propri. E a ‘fanculo tutto il resto, che non siamo qui a fare beneficienza.
Questo simpatico scontro fra titani avviene in quella che mi visualizzo come una steppa battuta dal vento, pressappoco all’altezza delle tonsille. I due contendenti se le danno di santa ragione, insultandosi e dandosi i peggiori epiteti.
Alla fine, seppur stremato, Emotività finisce col calpestare la faccia di un Logica steso per terra come una pelle di daino ai piedi del caminetto e mi urla: “Allora coglioncella, ti dai una smossa o no?”.
“Sì Shan-Pu, terribilmente commovente. Guarda quanto me ne frega. Se però ora volessi darmi quel gingillo...” e allungo le mani per prenderlo.
Lei, molto poco carinamente, lo tira a sé impedendomelo.
“Cosa stai cercando di fare, Akane?”.
“Di non essere l’unica fessa che non approfitta della situazione per andarsene di qui”.
“Vorresti... fare tre su tre?”.
“Ci puoi giurare”.
Sto per ritentare quando mi sento cingere da dietro.
Ranma... ti spacco le ossa se non mi molli.
“Akane” mi sussurra all’orecchio mentre tento di divincolarmi “sei agitata e nervosa. Non fare qualcosa di cui ti pentiresti”.
“Lasciami andare, gorilla che non sei altro!”.
“No. Poi mi ringrazierai. Shan-Pu, se volessi trovare una soluzione a questo problema...”.
Scalcio, tento la gomitata a tradimento, provo in tutti i modi a farmi mollare. Senza successo. È ancora troppo forte per me. Mi sento di nuovo come il primo allenamento con il mio Ranma, quando Ukyo temeva che stesse per uccidermi a furia di darmele.
“Sì, dunque...”. Si guarda attorno alla ricerca di qualcosa.
Prega di trovarlo, o appena sono libera...
“Ok, forse ho trovato cosa può fare al caso nostro”. Si avvicina agli scaffali che stanno contro il muro, dà un’occhiata al volo e alla fine prende in mano un martello.
No... no...
Continuo a dimenarmi come una carpa. Inutilmente.
Cala il primo colpo, a cui ne seguono molti altri. Pur dalla mia scomoda posizione riesco a vederla mentre abbatte lo strumento di distruzione sulla mia unica via di fuga.
SDONK SDONK SDONK SDONK SDONK.
Ogni botta è come se la desse a me. Una sullo stinco, una sulla mano, una sulla clavicola. Fa male.
Va bene ragazzi, aspettate solo che possa muovermi come voglio e vi rimescolo i connotati neanche fossero i pezzi di un puzzle. Starai bene con le tette, Ranma.
“Fatto” annuncia soddisfatta asciugandosi la fronte “ora quel diabolico affare è polvere e non potrà più cercare di fregare nessuno”.
... liberatemi. Liberatemi. Devo pestarvi a sangue.
Mi sorride sbruffona, probabilmente assaporando un non ben precisato gusto della vittoria.
Ok. Sono ufficialmente fuori di me.
Dopo l’ennesimo tentativo riesco a sbilanciare il mio aguzzino quel tanto che basta da divincolarmi e sottrarmi alla sua presa. Dopodiché, più veloce che posso, mi avvento su Shan-Pu e le assesto un diretto sul naso.
Mica scherzavo, eh.
“Perché l’hai fatto, bastarda? Perché? PERCHÉ?” lascio che la mia angoscia scappi via dalla bocca.
“Perché... non potevo permetterti di usarlo” arriva la sua tremolante risposta alle mie spalle.
“E allora perché Genma...”. Mi salgono le lacrime da quanto sono furiosa, ferita, alterata.
“Tu non sei lui! Sei Akane! Non avrei mai potuto lasciartelo! Mai!”.
Non mi giro, sospetto che sia scoppiata a piangere. La sto per imitare, me lo sento.
Certo che è buffo: la prima volta che io e lei ci siamo viste è stata una scenata da tragedia greca, con capelli strappati e disperate richieste di perdono. Ora ho solo voglia di metterle le mani addosso.
“Akane...” dice Ranma mentre percepisco il suo avvicinarsi a me. Mi poggia una mano sulla spalla e istintivo è scostarmi, in maniera piuttosto brusca. Non voglio contatti con nessuno in questo momento, mordo.
“Andiamo a casa, su. Potremo discutere meglio di fronte a un buon piatto di Kasumi e...”.
“Vai al diavolo, tu! Cosa ne vuoi sapere, che sei qui da appena tre giorni? Non hai la minima idea di cosa provo, né di cosa voglia dire essere lontani da casa per tutto questo tempo! Non sai nulla!”. Finisco la tirata perché poi mi giro verso Shan-Pu, le scocco uno sguardo che spero le abbia bagnato le mutande e ricomincio, più furibonda che mai: “E per quanto riguarda te... mi rimangio il perdono, schifosa infame che non sei altro. Tutta quella lagna su come ti dispiaceva e mi si è spezzato il cuore e bla bla bla. Palle, erano solo palle. Sei rimasta la stessa identica egoista insensibile del cazzo a cui non importa nulla di come si sentono gli altri, ma che pensa solo a se stessa. Mi fai vomitare! E vaffanculo, già che ci sei”.
Evito i loro sguardi, che so perfettamente essere carichi di stupore e disprezzo per questa lunga accusa, e mi porto verso l’uscita. Prima di imboccarla mi fermo e scarico la frustrazione sotto forma di un pugno sul muro.
CRACK.
No, non è il muro che si incrina. Sono le mie nocche che si rompono.
Non sono ancora a quel livello.
Con la testa abbassata e un principio di crisi isterica -anzi no, altro che principio, qua siamo già quasi all’apice- butto fuori un’ultima badilata di rabbia: “Se uno di voi due mi rivolge la parola nei prossimi sei mesi... non risponderò delle conseguenze. Fate tesoro di quest’unico mio avvertimento”.
Poi esco, ignorandoli completamente.
Datemi qualcosa da sfasciare.

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Capitolo 9
*** Al Nekohanten si parla da persone normali o si spezzano ossa ***


27 luglio 2012.
Guardo il cellulare che reggo nella destra, seduta a un tavolo casuale di un Nekohanten chiuso.
Sono le tre del pomeriggio.
Esattamente ventitré anni fa, mezz’ora più mezz’ora meno, moriva Akane Tendo. E adesso sto per affrontare Akane Tendo.
Carino quando puoi formulare frasi che appaiono degli ossimori pur non essendolo.
Ho lasciato campo libero troppo a lungo a quella ragazzetta irascibile. Da più di cinque mesi non ho trovato l’ardire di disubbidirle una sola volta, dopo quella scenata da annali che ha piantato nella cantina di questo stesso ristorante.
Sì, aveva detto sei. Se ne farà una ragione, io sono più che stufa di sottostare ulteriormente a quest’idiozia. Anzi, ci ho messo sin troppo tempo a decidermi.
Intimare a me di non rivolgerle la parola. Pazzesco. Così com’è pazzesco, se ci piacciono gli eufemismi, pensarla come una giovinastra irrispettosa. Si dà il caso che io e Akane, secondo logica, dovremmo essere coetanee. Invece io ho trentanove anni e lei ventitré. Toh, le casualità dei numeri e delle ricorrenze.
Ma no, figurati. Perché tenere le cose semplici e pulite? Qualcuno si diverte a mandarci la vita a donne di facili costumi perché sennò non è abbastanza spassoso.
Di chiunque sia la colpa di questo immenso, irrisolvibile casino: vaffanculo. Detto con tutto il cuore.
Va bene, basta ciance.
Compongo rapidamente il suo numero.
TUTUTUTUTUTUTUTU.
Su su, rispondi. Non fare la marmocchia testarda.
TUTUTUTUTUTUTUTU.
Avanti. Avanti.
TUTUTUTUTUTUTUTU.
CLICK.
“Shan-Pu”.
“Akane”.
Niente smancerie, eh. Mi sta bene.
“Cosa vuoi? Il tempo non è...”.
“Al diavolo. La farsa è durata sin troppo. Hai avuto il tuo periodo per sbollire e ragionare. Adesso, se la cosa non ti crea problemi, alza il culo e vieni qui. Ti aspetto”.
“Perché dovrei?”.
“Perché abbiamo entrambe qualcosa da farci perdonare. E non voglio continuare questo insensato mutismo”.
Un attimo, breve, di pausa.
“Sai che, potenzialmente, potrei venire lì con il solo scopo di gonfiarti di botte... vero?”.
“Certo, ma non m’interessa. Preferisco quello che andare avanti così. Lo considererei un passo, che è meglio”.
“Ok, Puffetta Quattrocchi. Arrivo appena posso. Per precauzione prepara il kit del pronto soccorso”.
Riaggancio.
È fatta, Shan-Pu. Hai appena lanciato il sasso nello stagno. Ora vediamo se il suddetto stagno si coagula in un mostro d’acqua che vuole farti affogare.
Sei consapevole dei rischi che questa tua spavalda azione può portare. Hai deciso di non preoccupartene. Ritieni giusto mettere in chiaro almeno un paio di punti della faccenda.
Attendo fischiettando. Sono molto meno nervosa di quanto sospettassi e a quanto pare intendevo sul serio quelle parole sul come per me qualunque sviluppo sia preferibile a questo stallo. Ovviamente non ci penso neppure a porre su un lato del tavolo cerotti e disinfettante, uno perché dubito arriveremo davvero a tanto, due perché nel caso non sarò io ad avere bisogno di cure. Ma sul serio, se possibile preferirei evitare. Non parto con l’intenzione di picchiarci. Ammetto di essere parecchio infastidita dall’attuale stato di cose, ma non vuol dire che non possa almeno tentare di aggiustare la situazione.
Insomma, è di Akane che sto parlando.
...
...
Feh. Aveva ragione Mousse, quella volta che è venuto a trovarmi. Così come prima del Torneo la mia vita girava attorno a Ranma, ora di riffa o di raffa gira attorno ad Akane. O comunque lei, o una sua versione extradimensionale, c’è sempre dentro per un motivo o per l’altro. E un po’ mi spiace per lui. Pardon.
Fatte le giuste scuse, aspetto con pazienza la sua venuta.
Dopo un po’ arriva una serie di colpi all’ingresso. Orpo, invece di star qui a rigirarmi i pollici avrei potuto pensarci prima e aprire.
Vabbè.
BAM BAM BAM BAM.
Con calma ragazzotta, con calma. Vorrai mica sfondarmi la porta. E poi ti ho chiamata io, pensi che adesso voglia lasciarti fuori?
Mi alzo e provvedo a farla accomodare, non senza lanciarle un’occhiata scocciata per l’eccessiva foga. Fa come se non esistessi e va a sedersi.
Uff. Sarà una cosa lunga.
Mi accomodo accanto a lei. Siamo faccia a faccia.
“Poche balle, Shan-Pu. Dimmi perché sono qui e facciamola finita”.
“Mi sembrava di essere stata abbastanza chiara, al telefono. Inoltre non ti ho mica obbligata e se sei qui è perché, evidentemente, hai qualcosa da dire”.
“Oppure potrei darti una papagna sul naso e tornarmene a casa”.
“Prego”. E con la coda dell’occhio vedo la sua mano destra, che penzola assieme al braccio lungo il fianco, chiudersi a pugno.
Fai quel che devi. Sono pronta.
“Prima di pestarmi, però, vorrei ricordarti che giorno è oggi”.
Mi sa che l’ho presa in contropiede, almeno a giudicare dallo sguardo stupito che mi restituisce. A quanto pare non ha fatto i suoi calcoli.
“Perché, che giorno è oggi?”.
“Il 27 luglio. Strano che non te ne sia accorta, pensavo che in casa Ono si sarebbe detto qualcosa in merito”.
“Mi sto perdendo. Ti spiacerebbe essere più chiara o devo convincerti con le maniere forti?”.
“La violenza sarebbe di troppo. Ventitré anni fa, precisi esatti spaccati, era il giorno del combattimento di Akane”.
“Oh...”.
Va bene, forse sono riuscita a instradare il discorso su dei binari più congeniali per la mia mascella. La sensazione è corroborata dal suo pugno che si scioglie e torna ad essere un palmo aperto.
“Non vedo perché portare a galla l’occorrenza” esclama, non senza una buona dose di confusione.
“In realtà non c’entra niente. Però... non so, forse inconsciamente ho scelto questo giorno per parlarti a proposito di quanto è successo con l’Artiglio”.
“Hai accennato a qualcosa che entrambe dovremmo farci perdonare...”.
“L’ho fatto. E parlavo del tuo essere testa calda e della mia insensibilità. Da quale preferisci che parta?”.
C’è un minuto cronometrato di silenzio. Ho idea stia riflettendo sulla sua voglia di confrontarsi, il che presumibilmente implica prendere a calci quanto le è rimasto addosso di quella vulcanica incazzatura. Da parte mia reputo intelligente non aprire bocca e lasciarla decidere in coscienza.
Poi, finalmente, emette la propria sentenza.
“Dalla tua insensibilità, mi pareva scontato”. E un sorriso leggero da parte sua mi fa capire che forse non dovrò farmi ingessare nessun arto rotto.
“Ma dai, che risvolto clamoroso. E sia, prima io. Ti devo chiedere scusa, Akane, perché in quel momento credo di aver esagerato. O meglio, a mia discolpa posso dire che il risultato probabilmente non sarebbe cambiato. È vero che mi sono fatta trascinare dall’impulso del momento, ma non ti avrei comunque lasciato usare l’Artiglio. Né in quel momento, né fra un anno, né fra dieci anni. Non a te”.
Sbatte la mano sul tavolo e le si gonfia la vena in testa.
Ehi, credevo avessimo superato quella fase.
“È questo che mi ha mandato e mi manda in bestia, Shan-Pu. Perché hai concesso a Genma la facoltà di utilizzarlo, e quando l’ha fatto Akira hai dimostrato estremo menefreghismo... e poi ti impunti in questo modo per me?”.
Se non fosse fisicamente impossibile giurerei che i suoi capelli castani si stiano sforzando per diventare rossi, come a voler manifestare anche a livello visivo la rabbia. E che la cicatrice abbia preso a pulsare. Non bastassero gli occhi che, fossero provvisti di punte da trapano, mi avrebbero già fatto due crateri in testa.
“Ecco, adesso capisco perché ho scelto proprio oggi”. Realizzazioni estemporanee, queste sconosciute.
“E perché? Sentiamo”.
“Non ci arrivi? Guarda che non serve una laurea per comprenderlo”.
“Se stai cercando di provocarmi il tuo è un ottimo lavoro, cinese”.
“No ok, ritiro. Però davvero, è palese. Io... io non voglio perderti... una seconda volta”.
“Che... che cosa?”.
“Akane, non sei sorda. Ho detto che non voglio perderti. Non di nuovo. Stavolta ne morirei, lo so. Forse solo dentro e non per forza anche fuori, ma mi succederebbe”.
Avviene quello che, fino a pochi minuti fa, ritenevo inconcepibile. Ogni possibile sintomo d'ira evapora dal suo volto e il suo respiro si fa affannoso.
“Akane? Tutto bene?”.
“Non... non... io non...”.
Ehi. Va bene prendersi male, ma non così tanto.
Fa per dire qualcosa ma... no, non le esce nulla se non respiri smozzicati.
Che sta succedendo? Niente scherzi.
La afferro per le spalle e la scuoto, sperando che mi dia un segno di vita. Non lo fa. Si limita a fissarmi, istupidita.
O diavolo, no. Non era mia intenzione.
“Akane! Akane!”.
Niente.
Comincia a salirmi una matta preoccupazione.
Poi, per fortuna, si ridesta da sé.
“Shan... Shan-Pu...”. La sua voce è flebile, come se si fosse appena ripresa da uno svenimento.
“Santo cielo Akane, stai bene? Mi spiace, non volevo....”. La mollo e le lascio spazio per respirare meglio.
“Non so che dire. Mi hai totalmente sconvolta con quell’uscita”.
“Scusa, sul serio. Non...”.
“Io... sono stata cieca. Totalmente cieca”.
“No ehi, che blateri?”.
“La verità. Avevi ragione, è così evidente. Non solo la scelta, inconsapevole o meno che sia, di questo preciso giorno. Non mi capacito di non averlo capito da sola”.
Rimango quieta, preferisco lasciarla parlare. Ma lei non pare d’accordo e continua a guardarmi, adesso con la faccia di qualcuno che deve farsi perdonare una gigantesca marachella.
“Shan-Pu, nonostante quanto mi si dice attorno io resto sempre Akane Tendo e certi lati di me, quelli che generalmente mi mettono nei guai, non possono o non vogliono andarsene. Uno di questi lati è la mia incredibile, incontrollabile capacità di farmi travolgere dall’onda emotiva e di tapparmi occhi, orecchie e qualsiasi altro organo recettivo. Altrimenti non si spiega, non si può spiegare quanto sono stata ottusa e crudele nei tuoi confronti”.
“Akane, non sei stata crudele. Ottusa sì, un pochino. Ma non crudele”.
“Ne sei sicura? Perché io così mi sento ora, come una che ha appena cercato di piantarti un coltello nel petto”.
“Melodrammatica. No, sul serio. Non devi”.
Senza preavviso scoppia a piangere.
Kami del cielo, questo non era previsto. Né tantomeno voluto. Chi ci pensava a trascinarla in un giocoso guilt trip con tanto di giri della morte e capriole assortite?
Sto per abbracciarla quando mi anticipa.
No cretina di una Shan-Pu, evita di sentirti come una mamma con sua figlia. A parte che significherebbe che sono rimasta incinta a sedici anni... no, ti prego. È un pensiero raccapricciante.
Eppure, brividi a parte, una parte di me spinge per cercare di calmarla. La cosa meno equivoca che mi viene in mente è di accarezzarle i capelli. Come farebbe una mamma.
No basta no togliti questa roba dal cervello.
Dalla sua gola arrivano solo sconnessi suoni senza il minimo senso, presumo tentativi di imbastire un discorso a cui le lacrime e i gemiti impediscono di concretizzarsi.
Non c’è fretta, su. Butta fuori tutto.
Mentre la lascio sfogarsi mi balena chiara una cosa: prima ho mentito. A fin di bene, ma ho mentito. Perché, in tutta sincerità, ho trovato il suo modo di porsi crudele oltre che ottuso. Mi ha vomitato addosso calunnie gratuite così, per il puro gusto di farmi del male. È in parte giustificata e comunque non le porto rancore per questo, ma non penso di essermi meritata quel torrente di insulti e rinfacciamenti. Specie quando mi ha detto che il mio pentimento era fasullo... lì mi ha davvero ferita.
Io sono umana e, in quanto tale, piena di difetti. Ma una e una sola cosa non mi si può proprio rimproverare: che non abbia passato settimane e settimane e settimane a darmi virtuali frustrate sulla schiena per espiare il mio orribile comportamento in occasione del Torneo. Me ne sono resa conto quasi subito, sin dalla volta in cui vennero a trovarmi Kasumi e Nabiki. E da quel momento, gli spiriti mi sono testimoni, avrei dato anche entrambi i reni per poter rimediare. Se i miei compagni... i miei amici non fossero morti, io avrei passato il resto della mia vita a implorare il loro perdono pur sapendo di non poterlo ottenere.
“Comunque non credere di essere l’unica a dover fare ammenda, Tendo. Per mia sfortuna la cosa è reciproca. D’accordo che sono partita con l’intenzione di essere la prima a scusarsi, ma poi il tutto è deragliato a questo. E non è giusto nei tuoi confronti”.
Mi aspettavo di vederla alzare la testa verso di me, ma non succede. Si limita a continuare con il suo delizioso singhiozzare, anche se forse si sta un poco calmando.
Inutile gettare l’esca e poi ritirare la mano, pertanto proseguo: “Ti porgo le mie più autentiche scuse, Akane. Non avrei dovuto distruggere l’Artiglio di fronte ai tuoi occhi, è stato insensibile da parte mia. Avrei voluto dire anche immotivato ma, se devo svuotare il sacco fino in fondo, non lo pensavo allora e non lo penso adesso. Ho avuto le mie ragioni per farlo, ragioni che sicuramente tu non condividi e immagino ritenga meschine. E forse sono io ad essere in torto, chi lo sa. Resta che non è stato un capriccio dettato da una stupida vendetta senza senso. Non mi rimangio le intenzioni, solo le azioni. Spero che questo ti basti”.
Suonerà egocentrico e capisco il perché, ma mi sento proprio di dirmelo: brava, Shan-Pu. Sei stata onesta al punto giusto, non hai indorato la pillola a suo vantaggio e non ti sei addossata demeriti che non credi di avere. Era facile rischiare di cadere nell’auto compatimento, nella fiera della critica senza base, nell’esagerazione spinta. Non è successo ed è una cosa che, per quanto frivola, mi rende fiera di me stessa e dell’equilibrio che ritengo di aver messo in mostra. Il solo fatto di essermi tenuta dentro parte delle considerazioni sul suo atteggiamento verso di me... beh, è cosa buona e giusta.
“Sì Shan-Pu... mi... mi basta” è la risposta, attutita dalla stoffa che ancora è a contatto con la sua bocca.
Tiro un sospiro di sollievo, anche se solo interno. Sono molto felice di aver evitato conseguenze spiacevoli, come ho detto in lungo e in largo proprio non avrei voluto.
“Adesso basta, su. Hai pianto a sufficienza e non sono neanche sicura di meritarmi tutto questo profluvio di disperazione” le dico poi alzandole di peso il volto e facendo in modo che incontri il mio. Sorrido, voglio non dare adito a dubbi riguardo le mie buone intenzioni.
“Inoltre” riprendo senza darle il tempo di controbattere “non sei tu quella che era arrivata minacciando setti nasali in fiamme e interventi chirurgici di ogni genere? Se adesso fai così non riuscirai più a spaventare neanche un pulcino, d’ora in avanti”.
“Non preoccuparti troppo della mia tenuta, la posso recuperare quando e come mi pare”.
“Se lo dici tu”.
“Cretina”, con tanto di scappellotto sul braccio. E un sorriso, stiratissimo e stanco ma pur sempre un sorriso.
Ok, credo di poter dire con tutti i crismi dell’ufficialità che il peggio è passato. Ma vediamo di assicurarcene senza errore.
“Quindi posso prendere per buono che... fra me e te le cose si sono aggiustate?”.
Non risponde subito, forse per darmi un brivido d’incertezza. Anche se quello sguardo molto più rilassato e calmo tradisce la sua reale risposta.
“Puoi”.
Solo uno sforzo consapevole mi impedisce di gettarle le braccia al collo, vuoi perché sarebbe un poco sconveniente e vuoi perché non fa bene al mio orgoglio amazzone mostrarmi così melensa.
“Bene. Questo prolungato stato di cose danneggiava troppo il mio fegato”.
“Solo perché non ti ho rivolto la parola per cinque mesi”.
“Hai detto poco. Ti sembra il modo di trattare una tua senpai?”.
“Non menare il can per l’aia, Shan-Pu. Tecnicamente non sei la mia senpai”.
“Ma fattualmente sì. Le mie rughe la dicono lunga, bimbetta”.
“Oh dai, adesso non attaccare con la scenata della vecchia incartapecorita che picchia la nipote irrispettosa col bastone. Come se poi, così vicina agli anta come sei, non avessi ancora la pelle liscia di una ragazzina”.
“Non mi servirebbe il bastone, nonostante tutto sono ancora abbastanza in forma da poter usare i pugni”.
Siamo così ridicolmente carine che mi parte un embolo di risarola isterica e dopo tipo sette secondi e mezzo lei mi segue.
Per un paio di minuti il Nekohanten non è un ristorante, bensì il covo di due scemette.
All’improvviso smette, buttandomi addosso una manciata di preoccupazione.
“Sono contenta di aver raggiunto una tregua con te, però...” inizia.
“Però?”.
“Non sei l’unica persona a cui devo le mie scuse”.
E il mio pensiero corre rapido a un certo ragazzo col codino.
“Se tanto mi dà tanto” commento “hai passato tutto questo tempo tenendogli il muso...”.
“Già. E, proprio come non lo è stato con te, non è giusto neanche verso di lui”.
“Ti arrabbi se concordo?”.
“No. È quanto ho appena detto”.
“Scusa, la prossima volta cercherò di urtarti con tutte le mie forze”.
“Ma sarai una deficiente da primato, tu”.
“Faccio del mio peggio. Cribbio, non sai quanto riuscire ad essere così con te mi faccia piacere e nel contempo mi ferisca...”.
“Ti ferisce? Perché?”.
“Perché, da brava nonnina che vive nel passato, non riesco a togliermi dalla testa il rimpianto per non aver saputo superare le differenze con l’Akane di questo mondo e per averla vista morire con occhi pieni di soddisfazione”.
È inutile, Shan-Pu. Non riuscirai mai a perdonarti. Mai. Probabilmente, sotto sotto, neanche vuoi realmente farlo perché non te ne reputi degna.
Il suo tono conciliante mi spiazza meno di quanto mi aspettassi: “Si matura, cara mia. E guarda, da una parte trovo sacrosanto che tu debba portare il peso di quanto hai fatto per tutto il resto della tua vita. Sai meglio di me, per esperienza diretta, che certe cose lasciano un segno profondo nelle persone e bisogna conviverci, volenti o nolenti. D’altro canto, però, penso che dovresti darti un po’ di spazio per respirare. Ti assicuro che, se mi fosse capitato quel che è capitato a te, non sarei stata capace di avere una reazione migliore... quantomeno non prima della grande onda curativa scatenata da Mousse. E lo stesso, ci metterei la mano sul fuoco, sarebbe valso per la zia di Shinichi e Rei. Siamo umani, solo umani e a volte i nostri biechi istinti prevaricano anche il più nobile dei propositi. Ora cambiamo argomento, non mi va di vederti intristita dopo che abbiamo fatto pace. Anzi, se mi concedi di prendere l’iniziativa...”.
Tira fuori il cellulare.
“Cosa vuoi fare?”.
“Spero non ti scocci se lo faccio venire qui, mh?”.
Mi scoccia?
No, non direttamente. Anche se...
Anche se non sarà facile per me ritrovarmelo davanti.
“Posso chiederti perché vorresti chiamarlo?”.
“La mia geniale mente ha escogitato questo splendido piano d’azione: gli intimo di alzare le chiappe e di raggiungerci, cosicché io possa discolparmi per bene con entrambi. Prendere due piccioni con una sola fava è così conveniente”.
“Io... io non credo sia una buona idea...”.
“Uh? Cosa vai blaterando, di grazia?”.
“Non potreste... chessò... sistemarvela in privato fra di voi?”.
“Shan-Pu... tu hai paura di vederlo. Te lo leggo negli occhi”.
Mayday, mayday. La portaerei ha preso un colpo fatale in B5 e sta colando a picco.
Sì, ho paura. E non mi sento per nulla pronta ad avercelo davanti. Mi sembrerebbe di assistere all’arrivo di uno spettro con i campanacci e le catene alle caviglie.
Ridicolo, lo so. Specie considerando che ho già avuto un’esperienza simile. E, se mi stai ascoltando, ti chiedo scusa per il paragone Mousse.
Ma sul serio, la sua sola presenza scatenerebbe in me qualcosa di forte, violento e che preferirei evitare almeno per ancora un po’ di tempo. Ad esempio temo che potrei scoppiare a piangere e cominciare a battergli il petto con i miei pugni, implorandolo di andare a impiccarsi da qualche parte se ciò potesse riportare in vita il Ranma di questo mondo. O magari sfogherei tutti i rimpianti e il dolore per questo crudele scherzo del destino, lo stesso che mi permetterebbe di parlargli nonostante sia morto da due decenni. Non lui chiaramente, specificare sarebbe stato complicato.
“Te lo chiedo come piacere personale, Akane. Se non è necessario evitamelo, per favore...”. La testa mi si abbassa da sé.
“Shan-Pu, io non credevo che... a distanza di tutti questi anni... tu soffrissi ancora così tanto per lui...”.
“Non lo credevo neanch’io, almeno fino a quando non avete fatto irruzione nella mia cucina prendendomi alla sprovvista. Nel tuo caso sapevo a cosa andavo incontro e hai visto comunque i risultati, ho avuto un mezzo crollo psico-fisico. Inoltre, senza offesa, ero innamorata -anche se forse sarebbe più corretto dire infatuata- di lui e non certo di te...”.
“Tsk. Ed ecco di nuovo l’insensibilità Tendo in azione, sempre più stolta e schiamazzante”.
Torno a guardarla faccia a faccia: “Adesso finiscila, davvero. È normale che non ci abbia pensato”.
“No, non è normale. Qualunque microcefalo ci sarebbe arrivato”.
“Devo rifilarti un ceffone per rimetterti in riga, bimba discola? Impara a rispettare i senpai”.
“E torna fuori ‘sta fregnaccia della senpai. Non lo sei, cara la mia MILF”.
Qua degeneriamo. Meglio mettere un freno all’isterismo rampante: “Ok, propongo un compromesso: se smetto di usare quella brutta parola, in cambio tu la smetterai di dire che sei acuta come uno spillone. Ci stai?”.
“Va bene, va bene”.
“Brava così”.
Ripone il telefono nella tasca da cui era uscito e dice che ci ha ripensato, riguardo all’idea di invitarlo qui. Di questo la ringrazio profondamente.
“Bene. Sembra che qui abbiamo finito, no?”.
“Direi di sì. Ho ottenuto quello che volevo senza rimetterci neanche un dente. Penso di potermi considerare molto fortunata”.
“Spiritosa come un ubriaco che fa battute sconce, guarda. Il senso dell’umorismo di Joketsuzoku è sempre come me lo ricordavo”.
“Cosa pretendi? Si fa quel che si può. Ah, e Akane... grazie. Di cuore”.
“Non hai nulla per cui ringraziarmi. Anzi no, sono io che devo ringraziarti”.
“Uh?”.
“Esattamente come la Shan-Pu del mio mondo, sotto quella scorza di durezza amazzone c’è una persona che vale la pena di considerare propria amica. Ti devo chiedere scusa per il nostro passato”.
“Oh suvvia, sono stati solo cinque mesi e...”.
“No. Intendo per tutto il nostro passato”.
“Eh?”.
“Siamo state due testone impossibili, tu e io. E ci siamo precluse a lungo qualcosa di bello, che avrebbe solo fatto bene ad entrambe. Forse per la filosofia di vita con cui sei stata cresciuta può sembrare banale e da deboli, ma io credo sia meglio essere amici che nemici con qualcuno. Come tu, in ogni dimensione che ho visitato, mi hai ripetutamente dimostrato”.
Oh. Se volevi portarmi a tanto così dal pianto sei stata molto brava, Tendo. Molto, molto brava.
Mi alzo e la spingo verso l’uscita, cercando di mascherare il mio stato emotivo con delle chiacchiere insensate. Continuo a non essere particolarmente entusiasta di fronte alla prospettiva di frignare come una mocciosa.
Davanti alla porta smetto di spintonarla. Lei ne approfitta per un inchino e un ennesimo ringraziamento, al quale rispondo con piacere.
Quando fa per uscire...
“Ranma? Che... che ci fai tu qui?” chiede, stupita di vederselo davanti con ancora il pomello della porta in mano.
Beh, gran figata. Io riesco a convincere ‘sta cocciuta a tenermelo lontano e lui pensa bene di agire per i fatti suoi. No, ma bravo eh. E grazie tante.
“R-Ranma...”.
“Shan-Pu...”.
“Okvabenevoidueavretedaparlarefatelofuoridiquiciaograzieearrivederci!”.
Ultima spinta sulla schiena di Akane per farla accomodare fuori e velocissima chiusura. Sono bastati questi trenta secondi per mandarmi qualcosa di non ben definito in gola. Penso il pancreas.
Ora sono tutti cavoli tuoi, Tendo. Auguri e tanta fortuna.

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Capitolo 10
*** Fuori i fazzoletti, su ***


Osservo la porta che ci sbatte in faccia.
Va bene cinesina, non sei entusiasta di vedermi. Posso capire il perché, considerato quel che so di te e del tuo mondo.
Sai cosa? Chissenefrega. Non è per lei che sono qui.
Bensì per l’esemplare dai lunghi capelli castani che in questo momento mi sta guardando inebetita.
“Ehi, tutto bene?” chiedo. Per una pura precauzione preferisco evitare di usare un qualunque nome, tanto siamo solo noi due e non c’è rischio di confondersi. Persino io, dopo aver ricevuto una breve spiegazione sul perché e sul percome delle cose qui, mi rendo conto che sarebbe poco furbo. Poi non mi preoccupo di mascherarmi o di trovarmi uno pseudonimo, ma a quel punto mi si chiederebbe troppo.
“Che ci fai qui? E senza il minimo travestimento?”.
“O santo cielo, non cominciare a farmi la paternale su questo. Mi sono già preso il cazziatone da Shinichi mentre uscivo e mi è bastato”.
“Sei sempre un testone. Va bene, facciamo così”. E finita questa frase si dà una rapida occhiata attorno, assicurandosi di non avere testimoni per la cosa che vuole dire/fare/baciare/lettera/testamento, e poi...
ZOMP.
No. Non ci credo.
È appena saltata sul tetto del Nekohanten. Senza il minimo sforzo, come se avesse... che ne so, come se avesse aperto una finestra. L’impegno è stato lo stesso.
Cosa mi sono perso?
La raggiungo. Devo essere particolarmente buffo, dato che mi guarda sogghignando. Stai parlando con me? Eh, stai parlando con me? Devi per forza star parlando con me, sono l’unico qui.
“Che c’è, Ranma? Il gatto ti ha morso la lingua?” mi sfotte sorridendo. C’è da dire che, rispetto a quando l’ho vista uscire da casa una mezz’ora fa, il suo umore pare nettamente migliore. La cosa mi fa piacere, nonostante tutto.
Fa finta di spolverarsi i pantaloni per sottolineare una volta di più che è stata una passeggiata: “Ti vedo stupito. Non te lo aspettavi, vero?”.
“No, devo proprio dire di no. Come hai fatto?”.
“Come fai tu: sono saltata”.
“Ma intendevo...”.
“Sì, so cosa intendevi. E alla risposta ci puoi arrivare, su”.
“Ma non sei mai stata...”.
“A questo livello? Ti ho appena smentito, mio caro macho”.
Mi gratto la testa. Devo ammettere che in effetti mi ha proprio smentito e azzittito.
“Nel tuo mondo ti sei davvero data da fare”.
“È stato tutto merito... suo. L’ho convinto ad addestrarmi, dopo un sacco di insistenza, e come premio ho ottenuto queste sbalorditive capacità. Che ok, tu sai maneggiare ad occhi chiusi ma io...”.
“Già. Capisco che lo consideri un grande passo avanti. E fai bene”.
Ed eccolo, di nuovo quel sorriso ammazza-Ranma.
Deciditi, ometto col codino: o la smetti di darle motivo per sfoderarlo, o impari a convivere con il mal di cuore.
“Grazie. Sembri... inusualmente gentile, oggi”.
“Lo penso davvero, e immagino che lo stesso valga per lui. So che per te migliorarti nelle arti marziali è importante quanto l’aria che respiri... e quanto lo è lui”.
“Uh? Perché continui a tirarlo in ballo?”.
“Perché è parte del motivo per cui ti ho raggiunta qui al ristorante e per il quale volevo parlarti”.
“Ah, non era solo per fare il temerario che vuole esporsi al mondo esterno senza timore di farsi riconoscere?”.
“Ma quanto sei spiritosa. No, non è per quello”.
“Almeno dimmi che ti penti di quella scemenza”.
“No. Non m’interessa nulla, a dire il vero. Possiamo saltare i convenevoli e arrivare al succo del discorso, per favore?”.
“Dai, va bene. Ti do il permesso di parlare male di lui”.
“Parlare male di lui? Cosa ti fa credere che lo voglia fare?”.
“Ranma, non prendermi in giro. In questi cinque mesi ho percepito chiaramente, in più di un’occasione, che tu sei geloso da morire nei suoi confronti. Dimmi la verità, vorresti avercelo davanti per riempirlo di botte e rapirmi o qualche cretinata del genere”.
“Non sono un animale! Ammetto che non lo inviterei fuori a bere assieme come due vecchi marpioni che si conoscono da un’eternità, ok... ma non diventerei mai manesco. Anche perché è facile che lui, mantenendosi in forma come io non ho potuto fare, mi sia superiore”.
“Il grande Ranma Saotome che ammette di essere secondo a qualcuno. Aspetta che me la segno sul calendario, questa”.
“Non è cosa che capita spesso, è vero. Ma ti ricordo che sto parlando di un’altra versione di me stesso, quindi in realtà pecco comunque di superbia. E adesso, se per favore volessi smetterla di interrompermi che è già difficile così...”.
Si incupisce di botto. Da una parte grazie perché lo stiletto si sfila da solo dal mio petto, dall’altra... non è mai bello vederla così.
Avanti Saotome, sei stato tu a mettere la questione sul tavolo. Ora non azzardarti a tirarti indietro.
Gli ultimi cinque mesi sono stati fra i più tormentati e difficili della mia vita. E ho un passato a dir poco tragico alle spalle, quindi non penso a una frase del genere con leggerezza.
Ma è proprio così. Non mi capitava di soffrire in questo modo da molto tempo, probabilmente dal giorno fatale in cui sono morte Akane e Ukyo.
Riesci sempre ad essere la causa del mio malessere, adorabile maschiaccio dalla vita larga.
Mi siedo e la invito a fare altrettanto. Accoglie ma preferisce mettersi a un paio di metri. Temo che non voglia starmi troppo vicino.
Ricordo il perché. E con me lo ricorda lo spillo che si sta trastullando con la mia nuca.
“Coraggio Ranma, sputa il rospo” mi esorta, badando bene a usare un tono più neutro. Mi sa che ha capito di cosa voglio parlarle e stia cercando di mettere più distanza, fisica e non, fra di noi.
Inspiro.
Non ero così teso neanche quando mi sono costituito.
La osservo con la coda dell’occhio, cercando malamente di non farmi beccare. E fallendo. È troppo sveglia per non accorgersene.
“Non ti mangio, prometto”. Una parte di me lo preferirebbe.
“Akane... tu sai di cosa voglio parlare, vero?”.
“Me ne sono fatta un’idea. Ma mi piacerebbe sentirlo dalle tue labbra, non sia mai che l’imperatore delle arti marziali non riesca in un compito che si è prefissato. O sbaglio?”.
Guarda te che infame. Te lo meriteresti uno scappellotto, lo sai sì? Ma sì che lo sai, quel sorrisetto malizioso la dice lunga.
Lascio trascorrere ancora qualche secondo, racimolando il fiato e le parole più appropriate che posso. Poi sfido chi devo sfidare, qualunque cosa sia: “Akane, per me è complicato e quindi mi scuso sin da adesso se in certe parti risulterò sconclusionato e senza senso. Il senso ce l’ha, però potrei far fatica a tirarlo fuori. Ok?”.
“Ok, ok. So bene che non sei un campione di retorica”.
“Simpaticissima”.
“Faccio del mio peggio”.
No cazzo, non ridere. Maledetta.
“Vedo che con Shan-Pu è andata bene” inizio prendendola larga.
“Molto bene. Abbiamo parlato e ci siamo chiarite per tante cose, anche se forse sono stata un po’ troppo buona con lei...”.
“Uh? Perché dici così?”.
“No, probabilmente è solo una mia convinzione sbagliata. Ma non riesco a togliermi dalla testa che potrei averla perdonata un po’ troppo facilmente...”.
“Credo che sì, sia solo una tua convinzione sbagliata”.
Non so perché ho detto questo. E non so come riesco a sostenere quegli occhi iracondi senza sbrodolarmi.
“No guarda, evita. Sono già abbastanza nervoso di mio senza il trattamento da ti spiezzo in due. Se potessi evitare...”.
“Insomma, si può sapere cosa mi devi dire di così sconvolgente? Sei in tensione sei ti sorrido, sei in tensione se mi arrabbio, sei in tensione solo perché esisto!”.
“È esattamente questo il problema”.
“Cosa?”.
“La tua sola esistenza mi mette in tensione. Ti rendi conto o no cosa vuol dire per me averti davanti, non importa in quale stato d’animo? Ho vissuto gli ultimi due anni della mia vita, esclusi questi cinque mesi, con l’orribile consapevolezza di averti vista morta ai miei piedi. E se stai per controbattere dicendo che ho avuto tempo per abituarmi... mi dispiace doverti dare dell’illusa, ma è così. Non puoi sperare che in così poco mi sia passata magicamente e che adesso accetti la tua presenza con animo sereno. Proprio no. Akane, io sto male ad averti vicina... e non per colpa tua, sia chiaro. Non è in te il problema, è in me. E nonostante ciò io vorrei... vorrei...”.
Ecco, subentra quel che temevo: mi inceppo. Non riesco a proseguire.
Approfitto della pausa obbligata per studiare la sua reazione e... mi spavento.
Non scorgo nulla suo volto. Non un’ombra di dubbio, non una domanda, non un moto di qualsivoglia cosa una simile dichiarazione avrebbe potuto... dovuto scatenare.
Con calma, Ranma. Non correre. Magari sta solo riordinando le idee e cerca una risposta adeguata.
Ma più passano gli istanti, rigorosamente immersi nel silenzio, più mi impanico.
Dimmi qualcosa! Qualsiasi cosa! Accetto volentieri anche un pugno! Possibilmente non in faccia, ma mi andrebbe bene pure lì.
Trenta secondi.
Un minuto.
Due minuti.
Non un suono dalla sua direzione. E io muoio sempre di più.
Non reggo.
Mi balena in testa un proposito. È brutale e insensibile, ma non sopporto più lo stallo. Ho perso la voglia di farla finita, ormai, e questo mutismo non mi consegna altro.
Fiato alle trombe, allora.
“Akane” riprendo “ho intenzione di chiederti cosa vogliamo fare... io e te. Su di noi, intendo. Cosa siamo? Come dobbiamo vederci? Come due estranei? Come due ex? Come due persone che si odiano? Non so più cosa pensare e il non saperlo mi distrugge un po' alla volta. Quel che ho vissuto mi ha portato a indurirmi e a perdere speranza nel futuro, quindi non fatico a dubitare delle nostre possibilità di tornare a casa. Hai mai pensato a questa eventualità... e a me?”.
Se non altro dà un segno di vita. Peccato che fosse l’ultimo che volevo: piange.
Due strisce di lacrime che le cadono lungo le guance. Senza strilli o altre manifestazioni rumorose. Solo tanta... non so cosa c’è nei suoi occhi. Ma è una cosa che mi spaventa.
“Ranma...” riesce a mormorare, ed è evidente che il solo pronunciare il mio nome le costa fatica.
Perché? Perché non posso abbracciarla e consolarla come meriterebbe? Perché mi sento incatenato da qualcosa che non esiste, eppure è tremendamente robusto e mi tiene ancorato dove sono?
Vorrei fare un miliardo di cose. Scusarmi, stringerla, tutta la solita lunghissima serie di cose che si fanno nei romanzi rosa. Non trovo la forza di metterne in atto una che sia una.
E muovetevi, pezzi di cemento che avete sostituito le mie braccia. Le sue spalle singhiozzanti non aspettano altro che un vostro gesto.
Muovetevi. Muovetevi. Muovetevi!
Nulla.
Una sola altra volta mi sono odiato così tanto. Speravo di non dover ripetere l’esperienza.
“Ranma...” ripete. Sto uno tale schifo che non riesco neppure a risponderle. Se ne accorge e, asciugandosi, prende in mano la situazione: “Ranma... perché hai portato a galla tutto questo? Non potevamo continuare com’eravamo prima, in quel limbo di niente?”.
Raccolgo la mia pochissima forza e riesco miracolosamente a formulare qualcosa di un minimo sensato: “Io... io non voglio un limbo di niente... preferisco sapere che mi disprezzi, piuttosto, ma questo...”.
“...”.
“... questo... è molto peggio. Vedere che mi eviti, che non mi rivolgi la parola se non strettamente necessario...”.
“...”.
“... non scherzo quando dico che mi distrugge un poco alla volta. Meglio essere distrutto in un colpo solo. Le sofferenze a fuoco lento non fanno per me”.
Nuovamente la cappa.
Perlomeno pare avere riacquistato una parvenza di calma. Non piange più. È una misera consolazione, ma vedendo come si stava mettendo ne sono quasi soddisfatto.
Poi, a bruciapelo, una frase che mi stordisce più di una masso sulla testa: “Io... devo andarmene di qui... perdonami, Ranma...”.
Si alza e fa per fuggire.
No.
No.
No.
Non te lo posso permettere. Abbi pazienza, proprio non posso.
Riesco ad afferrarla per il polso.
“Akane, non farmi questo. Se, come spero, non mi odi... non farmelo. Ti scongiuro”.
“Imbecille che non sei altro. Come potrei odiarti?”.
“Non... non mi odi?”.
“Certo che no. Non ne ho motivo. Io non avrò una mente acuta, ma nemmeno tu scherzi”.
“Non... non capisco”.
“Lascia stare. Anzi, è proprio perché non ti odio che... che faccio fatica a sostenere questo discorso...”.
“In che senso?”.
“Ranma, scusami se te lo dico ma sei davvero il massimo dell’ottusità. Come puoi non capire che anch’io sto male nell’averti vicino, e non per le cause che potresti immaginarti?”.
Io... io... io...
Svegliatemi. Vi prego svegliatemi.
“Tu... tu sei praticamente lui. Nel mio cervello le vostre due immagini si sovrappongono quasi alla perfezione. Non riesco a distinguervi, oramai, e la barba non fa più la differenza. Ma al contempo so che tu non sei lui e il mio cuore si premura di ricordarmelo ogni santa volta con una fitta. È a lui che mi sono dichiarata con tutta me stessa, non a te...”.
“Ma se, come tu stessa hai detto... siamo la stessa persona...”.
“No Ranma, non lo siete. Vi assomigliate paurosamente, ma non lo siete”.
La lascio andare, non vorrei stringere troppo in preda a un impulso involontario. In compenso la imploro di non piantarmi in asso, non ancora. Vorrei approfondire più che possiamo.
Acconsente e la ringrazio calorosamente. È palese che non sia per nulla a suo agio, ma apprezzo tantissimo lo sforzo.
“Se vuoi sederti...” offro.
“No grazie, ho la sensazione che diventerei ingestibile se non potessi muovermi”.
“Come preferisci. Akane, mi dispiace metterti in difficoltà e i kami sanno quanto non vorrei... però questo peso mi stava soffocando e...”.
“... e hai pensato bene che via il dente, via il dolore”.
“Mi conosci, sono uno dai ragionamenti elementari”.
“No Ranma, hai fatto bene. È giusto che ci sia chiarezza in questo nebuloso blocco che abbiamo finito col creare, specie se come temi rischiamo davvero di rimanere per sempre qui”.
“Ascolta, per quello mi scuso. Ero...”.
“... solo onesto. Soggiorno da queste parti da più tempo di te e i miei sogni di rivedere un giorno casa sono ancora più flebili dei tuoi. All’inizio di questa pazza vicenda ero completamente convinta che prima o poi io e i miei compagni di sventura avremmo potuto rivedere i nostri cari. Loro ci sono riusciti. Per me, come sai, quella possibilità non esiste più. E se non si fossero creati l’occasione tramite l’Artiglio, non sarebbe esistita neanche per loro. I capricci delle divinità, o di chiunque tiri le fila di un simile scherzo, non paiono intenzionati a cambiare tanto a breve. Fidati di chi subisce questo tormento da quattro anni e mezzo e non da cinque mesi”.
“Akane...”.
“Su, non fare così. Sto imparando lentamente ad accettarlo, anche se è sempre arduo afferrarne appieno il significato. Ci riuscirai anche tu, ne sono sicura”.
“Oh, non ne dubito affatto. Io, al contrario tuo, non ho nulla a cui tornare...”.
Si porta una mano alla bocca, rendendosi conto di quello che ha involontariamente detto. Provvedo a toglierle le castagne dal fuoco: “Ehi, tranquilla! So che non intendevi nulla di strano, lo capisco”.
“È vero, ma mi spiace di averti fatto ricordare...”.
“... quel che è successo nel mio mondo? Non è colpa tua. Di là mi aspetta solo un cubicolo di lerciume, così l’ha definito una volta il mio avvocato al processo, e una condanna a morte. Oltre al disprezzo di un’intera nazione che vede in me un macellaio non ancora ventenne”.
“Ora capisco...”.
“Cosa?”.
“Perché ti premeva così tanto affrontare la faccenda. Se davvero dobbiamo restare qui... non vuoi ripetere quanto hai già vissuto. Con l’aggravante che stavolta io non sono morta”.
“Non posso negarlo” confermo timidamente.
“Oggi è la giornata in cui l'universo mi urla fortissimo nelle orecchie quanto sono stupida”.
“No, non dire così”.
“Ma è vero. Prima Shan-Pu che mi ha insegnato a fare due più due, poi tu...”.
“Sei dura con te stessa. Troppo”.
“Forse. O forse no”.
“Lo sei”.
“Tu continua pure a fare l’emo, tanto la gradasseria Saotome non ti abbandonerà mai”.  Vederla sorridere mi ripaga degli ultimi, pesantissimi minuti.
“Vogliamo andare?” chiede, il tono decisamente più rilassato.
“Prima di farlo... so di starti chiedendo molto, ma... posso avere una risposta, ti prego?”.
Per favore per favore per favore, per una volta nella mia vita, lasciatemi ottenere quello che voglio. Solo per stavolta. Credo di meritarmelo, con tutte le disgrazie che ho vissuto.
“Su quel che siamo io e te uno per l’altra, intendi?”.
“Su quello”.
“Ranma, credimi se ti dico che non voglio spezzarti il cuore. Credimi. Eppure succederà, perché so che quanto sto per dire non ti piacerà. Ho capito cosa vorresti da me, fin troppo bene. E al momento non sono pronta. Mi sentirei una traditrice verso di lui, per quanto la situazione sia bizzarra e volendo potrei riuscire a giustificarmi dicendo che non sarebbe un vero e proprio mettergli le corna. Ma mi prenderei in giro, e prenderei in giro te. Non te lo meriti. Se davvero non torneremo mai a casa... allora, in quel caso...”.
È stata gentile a specificare che non era sua intenzione ferirmi, perché il colpo d’ascia l’ho sentito forte e chiaro. Anche se non posso rimproverarla, è umano non riuscire a decidersi così su due piedi. E anzi, il solo fatto che abbia lasciato una porta socchiusa...
“Nel frattempo possiamo cercare di comportarci civilmente, non credi? Come due buoni amici”.
Nonostante i miei deliri di vederla cascare come una pera fra le mie braccia... questo è più di quanto mi aspettassi realmente. In lei c’è tanta comprensione e dolcezza verso di me, anche se non è in grado di darmi quello che desidero con tutto me stesso.
“Penso... penso sia un’ottima idea. Ti ringrazio, Akane”.
“Ti chiedo scusa, Ranma”.
Non le rispondo, a costo di sembrare sgarbato. Mi verrebbe una crisi isterica se lo facessi.
In compenso allungo la mano verso di lei, nel più telefonato degli atti di intesa. Mi piace che le cose siano chiare e precise.
Me la stringe.
“Amici?”.
“Amici. Per ora”.
“Ranma!”.
“Un galeotto avrà il diritto di sognare, almeno”.
“Certo. Ma una sfregiata avrà il diritto di riportarlo coi piedi per terra se dovesse essere necessario”.
“Io non ho fatto nulla di male. Non ancora”.
“E vedi di non farlo, perché ti assicuro che certe cose fra me e te non cambieranno mai”.
“La solita rozza con la mano svelta”.
“Mi piaccio così. E piaccio anche a qualcun altro”.
Occavolo, non mettermi in una situazione così sin da subito. Non vale approfittarsene così biecamente. Scorretta.
Quasi a leggermi nel pensiero mi fa una linguaccia.
Sorrido, un poco sollevato. Quel che verrà mi farà un male del diavolo e sarà assurdamente bello.
Con un balzo improvviso scappa via, direzione casa Ono. Sbraitandole dietro la inseguo.

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Capitolo 11
*** Idee malsane e conversazioni che non credevi possibili ***


10 dicembre 2015.
“Otto anni. Otto lunghissimi anni” è il fastidioso lamento di Akane fra una sorsata e l’altra del suo caffè. Ha preso l’abitudine di consumarlo a colazione solo da poco tempo, un paio di mesi al massimo. Prima era più tradizionalista.
“Che c’è? Hai una crisi improvvisa?” la canzono, sempre fedele a me stesso e alla linea.
E l’intera famiglia, ovviamente radunata attorno al centenario tavolo del salotto, comincia a guardarmi di un male, ma di un male...
No, va beh. Se non ho diritto di battuta basta dirlo.
“Comincio a capirti, Akane. Non posso vantare una così lunga permanenza, però non mi sto facendo mancare niente neanch’io” commenta Ranma, cercando di poggiarle una mano sulla spalla e venendo rimbalzato scortesemente.
La zia non mi sembra di grande umore oggi. Fossi in te la lascerei nel suo brodo.
E nonostante questo noto che il viso di mia madre, come sempre impegnata a servire e spostare i piatti vuoti, è lieto. Sembra... felice per loro.
Mi sa che simili scenette le mancavano.
Ho riflettuto in merito e sono giunto a una conclusione: pur avendo vissuto dei momenti a dir poco scioccanti, io sono convinto che le due Tendo superstiti abbiano accolto questa cosa come una sorta di benedizione.
Sia chiaro: sia mamma, sia zia Nabiki che li guarda di traverso con il suo solito sorriso da iena, hanno sofferto. Molto. Non riesco neanche a immaginare quante difficoltà possano aver avuto ad abituarsi a tutto questo, a un Ranma in libertà e soprattutto a una sorella che è ripiombata nelle loro vite pur senza lasciare la sua comoda tomba.
Però non prendiamoci in giro. Si vede lontano un chilometro che, una volta lasciato alle spalle un periodo di aggiustamento, hanno accolto la novità con sollievo. E non le posso biasimare, penso farei lo stesso se succedesse qualcosa a Rei e fra trent’anni mi trovassi davanti una sua versione da un altro mondo.
E comunque posso dire che le capisco. Si respira aria gagliarda a questa tavolata, fra ammiccamenti velati e vetriolo lanciato sotto forma di missili terra-aria-acqua-cosmo. Prima non era così, e pur non preferendo lo stato di cose precedente... oh, vaffanculo. È complicato da spiegare e io non sono nelle mie migliori condizioni.
Proseguono allegri in frizzi, lazzi e ingestione di cibo. Volano insulti al sarcasmo, risposte pungenti e pure una bacchetta da parte di Ranma che, per sua fortuna, non se n’è privato prima di finire la sua scodella di riso. Posso dire di conoscerlo un po’ e la cosa non mi meraviglia troppo, avendo lui dimostrato un appetito sconfinato e la capacità digestiva di uno stormo di elefanti.
In tutto questo io dove e come mi inserisco? Eh, bella domanda. Io...
“Andiamo, Shinichi” ordina seccamente papà alzandosi, mentre provvede a baciare la sua sposa e a salutare calorosamente tutti i componenti del nucleo familiare.
Ecco, volevate sapere di me? Accontentati.
La mia vita è diventata lammerda.
Non sono più riuscito a entrare in una qualunque università, neanche nella più pidocchiosa e malfamata dell’intero paese. Mi dev’essere subentrato tipo un blocco psicologico o qualche cazzata del genere, altrimenti non me ne spiego il motivo.
Non sono cretino, porca troia. Sono solo un pochino sprovvisto di voglia di sbattermi. Sai che colpa grave.
Pertanto i miei, a ragione imbufaliti oltre la soglia di guardia, hanno ben pensato di punirmi in maniera appropriata e, sin dal giorno successivo all’ultima stampatura sbattuta in piena faccia, hanno trovato una condanna esemplare.
Obbligato a fare l’assistente di papà nel suo studio. Gratis.
“Oh sì, è proprio un lavoraccio Shinichi. Invidierai gli spazzacessi e quelli che cambiano i mutandoni ai vecchi”. Le sento le vostre voci ironiche, stronzi senza volto. E vi assicuro che non è la passeggiata di salute che potete credere.
Lavorare nell’ambulatorio del dottor Ono è massacrante. Date le sue indubbie doti, il signore qua ha sempre una quantità impressionante di clienti che entrano, ruttano, buttano le cartacce per terra, lasciano chili di fango sul pavimento e chi più ne ha più ne metta.
Uccidetemi. Lo preferisco.
“Se posso intromettermi...” dice zia Nabiki alzandosi.
Uh?
“Cosa c’è?” chiede papà, guardandola un po’ accigliato. Credo non abbia apprezzato l’intervento.
“Sia chiaro che non sto cercando di minare la tua autorità, caro cognatino. Ma spero non ti scocci se, per oggi, ti porto via il carcerato per qualche ora”.
“E perché lo vorresti fare?”.
“Ho programmato una scampagnata e lui mi serve”.
“Dove?”.
“Non si rovinano così le sorprese, suvvia. Non fare l’ammazzagioie”.
Interviene mamma: “Nabiki, cosa stai architettando?”.
“Niente di distruttivo, sorellina. Ti pare che rovinerei in maniera sconsiderata il mio nipote preferito?”.
“Grazie tante, zia. Grazie tante” borbotta Rei, comprensibilmente piccata.
“Maschio, intendevo nipote maschio. E comunque sei invitata anche tu. E pure voi” conclude indicando Ranma e Akane.
I due si guardano interdetti. “Tu hai idea di che si tratta?”. “A me lo chiedi? La sorella è la tua, mica la mia”. “Non è davvero mia sorella e lo sai”. “Va bene, ma è più tua sorella che mia”. “E se mio padre aveva le ruote era un trolley”. “Non sapevo che Soun fosse così pieno di optional”. “... vai a quel paese e restaci”. Tutto questo non se lo dicono parlando, ma solo a smorfie.
Ora comincio a essere incuriosito. Cosa può volere da noi quattro?
“Va bene, Nabiki. Sputa il rospo. E che sia una risposta soddisfacente”. Mi dimentico sin troppo spesso che mamma sa essere molto, molto forte se ci si mette. Per fortuna delle mie costole non le succede spesso.
“Ma in questa casa non si può far mai nulla di non catalogato. Che noia che barba che barba che noia. Di cosa hai paura, Kasumi?”.
“Non lo so, non sono mefistofelica come te”.
“Mi ricordi troppo Akira, in questo momento”.
“Scusa tanto se tengo alla salvaguardia dei miei figli, di nostra sorella e di Ranma. La prossima volta te li lascerò sbranare in pace”.
“Comunque no, non te lo dico. In compenso posso giurarti sulla cosa più preziosa che ho al mondo che non intendo torcere loro un solo capello, neanche come conseguenza involontaria”.
“Sarà meglio per te. Altrimenti neanche essere il megadirettore galattico della ditta per cui lavori potrà salvare la tua pellaccia”.
Non trattengo una risata. Mia madre e mia zia sanno sempre imbastire degli spettacolini spassosissimi.
“Allora è deciso: sequestro i quattro giovincelli per una mezza giornata e ve li riporto intonsi e lustrati, come se fossero appena usciti dalla concessionaria. Siamo tutti d’accordo? Rimostranze? Rimbrotti? Altre perdite di tempo?”.
C’è del parlottio fra i miei genitori, ma nessuno dei due sembra abbastanza cazzuto da volersi opporre con fermezza. E poi credo che le continue rassicurazioni li abbiano, nonostante tutto, messi abbastanza con l’anima in pace. La resa ufficiale arriva per bocca di papà, che concede a malincuore la propria benedizione.
Evviva. Si va a spasso con zia Nabiki.
Ci fa alzare e ci impone di uscire. Quando poi siamo all’esterno, appena oltre la soglia di casa, intona quello che appare come un discorso grave: “Molto bene, marmaglia. Vi starete chiedendo cosa mi frulla per la testa, no? Diciamo che ho avuto un’idea in parte terapeutica e in parte da pazzoide. Ma tutta questa situazione è da pazzoidi, alla fin fine. Comunque è presto detto: si va tutti assieme appassionatamente al cimitero”.
...
Ma vai a cagare.
“Ehi, cos’è ‘sto scherzo di pessimo gusto?” se ne esce Ranma, presto spalleggiato da tutti gli altri.
“Bamboccetto, abbassa la crestina. Non vuoi neanche sapere il perché di questa mia decisione?”.
“Ma guarda, non sono così interessato a scoprire i meandri di una mente psicotica”.
“Perché, hai addirittura dei motivi? Se non ti conoscessi giurerei che questa vuole solo essere una gigantesca presa per il culo” mi inserisco.
“Quand’ero più giovane, che tu ci creda o no, persino io ogni tanto mi concedevo qualche sfizio. Ma qui, anche se potrà sembrarvi assurdo, la questione è più importante di quanto può apparire ai vostri occhi”.
“E quale sarebbe questa oh così fondamentale causa?”.
“Akane, tu dovresti essere proprio l’ultima ad apostrofarmi con tanto sarcasmo. Ricordami un po’ da quant’è che sei bloccata qui”.
“Ma dici sul serio? Lo sai bene da quanto...”.
“Rispondimi”.
No, ok. Posso contare sulle dita di una mano monca le occasioni in cui Nabiki ha mostrato tutta questa serietà. Non le brillano gli occhi con l’istinto omicida del pescecane che sta per spolpare l’ennesimo malcapitato, non ha quella parvenza da femmina fatale, non si lecca lascivamente le labbra. Al contrario, è fredda e composta. Sa essere una bastarda totale anche da fredda e composta in realtà, ma percepisco una nota differente.
“A oggi... sono esattamente... otto anni” risponde l’interpellata, intimorita.
“Ecco. Otto anni. Ora, sono solo io a considerare come più probabile l’eventualità peggiore, cioè che voi due non riuscirete mai a tornare da dove venite?”.
Silenzio. Pesante.
“Come volevasi dimostrare. E allora ho pensato che forse sarebbe utile per voi realizzarlo definitivamente con un breve saluto alle vostre controparti di qui”.
Questa... è follia. Che cos’hai in quella testa, donna mia? Scarti radioattivi?
“Zia, scusami se mi permetto” mi anticipa Rei “ma io non ci vedo nulla di sensato in tutto ciò. E poi cosa c’entriamo io e Shinichi?”.
“Strettamente nulla, è vero. Ma volevo rendervi partecipi, anche per una piccola lezione sul mondo difficile, la vita intensa, la felicità a momenti e il futuro incerto. Male di certo non vi farà”.
Io non me la ricordavo mica così macabra, eh.
“Ammetto” esordisce d’improvviso Akane “che un paio di volte ho pensato di farmi accompagnare da qualcuno a visitare il luogo di riposo della me stessa di qui. Ma vuoi per paura e vuoi perché non lo ritenevo necessario, ho sempre preferito evitare. Messo in questi termini, però, non nego che il tuo ragionamento abbia un suo senso. Indubbiamente lugubre ma ce l’ha. Forse mi serviva solo una spinta esterna per farmene rendere conto appieno”.
“Mi fa piacere” risponde mentre si accende una sigaretta -catrame già di prima mattina, vai così- “che tu abbia compreso le mie ragioni. E per quanto riguarda il signorino ribelle con la barba, mh? Ancora contrario all’idea?”.
“Non... non lo so. Dopo che ti sei spiegata... anch’io devo concedere che se non altro non è uno dei tuoi squallidi trucchetti per trarne profitto”.
“In tal senso puoi stare tranquillo, Saotome. Non devi temere nessun tiro mancino da me. Come gli altri tre possono confermarti io, in questi otto anni, non ho mai attentato una sola volta al benessere di Akane e di chi era stato così sfortunato da condividere con lei questo destino infame. Aiuta anche il fatto che sono da queste parti solo per le vacanze natalizie... ma è il sentimento che conta. E quello è sincero, te lo posso giurare”.
Ok. Se non si convince dopo questa non si convince più. Mai, e non scherzo quando dico mai, ho sentito parlare zia Nabiki con simile solennità.
“Confermi quanto ha detto, Akane?”.
“Lo confermo. Non sai quanto questa cosa mi abbia spiazzata, ma non si è comportata in maniera equivoca una sola volta”.
Dopo qualche attimo di tentennamento le risponde: “E... e va bene. Hai vinto”.
“Eccellente. Voi, nipoti adorati? Vi aggregate?”.
Lascio che sia mia sorella a prendere per prima la parola, dandole anche una piccola pacca per esortarla: “Ribadisco che una trovata del genere è degna di uno squilibrato, ma...”.
“Ma?”.
“Ma... una parte di me è incuriosita. Parecchio incuriosita. E sta cercando di farmi cedere”.
“La sostengo con tutta me stessa. Credimi quando ti dico che, a parte un po’ di straniamento, una passeggiata al camposanto non è la tragedia che si può pensare. Inoltre, non vorresti andare a trovare il nonno? È molto che gli fai mancare la tua presenza e non è cortese. Nipote degenere”.
“Sì, hai ragione...”.
“E allora approfittane. Magari tu e Shinichi potete dedicarvi a lui, mentre i nostri clandestini sistemano le loro faccende”.
Insiste ancora un po’ e alla fine le strappa un sì.
Rimango solo io. Mi affretto ad accettare, che preferisco tutto a un turno di sedici ore nell’ambulatorio di papà. Anche una roba grama come il trekking in mezzo ai morti.
Ci avviamo.
Mentre camminiamo con passo rilassato mi accorgo che Ranma e Akane, un paio di metri davanti a me, sembrano molto... vicini. A quanto pare a lei è passato il malumore di prima, visto che non è avara di risolini e sguardi complici con il suo bel fusto.
A me nessuno dice più nulla in casa, non dopo quella sfilza di bocciature che mi hanno ridotto la vita al cumulo di letame fumante su cui sono seduto da sin troppo tempo. Ma mi sembra di aver origliato, non ricordo se direttamente dalla bocca degli interessati, di un loro strano accordo sul fatto che si sarebbero considerati niente più che amici. Quel che vedo mi pare raccontarmela diversamente.
Poi boh, non è che neanche me ne fotta qualcosa. Diciamo solo che è... curioso.
“Tutto bene, Shinichi?” mi chiede Rei, ridestandomi dai miei pensieri.
“Sì sì, ero solo distratto”.
“Sei sempre distratto, fratellone”.
“E fatti gli affaracci tuoi una volta tanto”.
“Ma guarda te che stronzo. Io mi preoccupo e lui fa lo snob di ‘stocazzo”.
So che è patetico, ma un po’ mi manca la Rei riverente e asservita che mi ronzava attorno anche solo qualche anno fa. Dal giorno in cui le abbiamo raccontato del Torneo se n’è andata e non è ritornata più. Me la sono voluta.
Dopo una decina di minuti abbondanti siamo a destinazione e zia Nabiki, com’è sua abitudine, prende in mano la situazione: “Shinichi, tu e tua sorella da nonno Soun. Io porto gli altri due dove devono stare. Ci si rivede qui all’ingresso fra una mezz’ora. Marsch”.
Li vedo allontanarsi e osservando le loro schiene mi vorticano infinite domande nel cervello. A cui rispondo con infiniti vaffanculo. 

Qui giace
Akane Tendo (
1973-1989)
L’ultima, la più valorosa
 

Ciao Akane.
Era da un po’ che meditavo di passare a porti il mio rispetto.
Se non fossi dove sei mi staresti chiedendo chi sono, da quale incubo esco e perché non ci torno.
Alla prima domanda ti rispondo agilissima: io sono te. In un certo senso. Lunga storia.
Alla seconda ti rispondo: non esco da un incubo, anche se per certi versi la mia esperienza si può considerare tale.
Alla terza ti rispondo: lo farei se potessi. Ma Shan-Pu ha deciso per me e non credo di potermene andare, a meno di insperati miracoli.
Accidenti, non è cosa da tutti i giorni poter guardare una lapide su cui c’è scritto il tuo nome. Scusami, mi sento scombussolata.
Nabiki si alterna nel fissare me e Ranma. Eh già, c’è pure lui. Un gran casino, vero? Non rovinerò quest’occasione speciale con il resoconto delle nostre disavventure, ti annoierei.
Accetta solo la mia esistenza, senza fare domande. È più pratico per entrambe.
Non... non so bene cosa dire. È dannatamente complesso da affrontare e metabolizzare.
Sono davanti a una tomba che potrebbe essere la mia, non lo è e in un certo senso lo è.
Devo dare atto alla tua sorella cannibale, aveva ragione: averti di fronte ora mi fa toccare con mano la mia realtà, cioè che ora sono l’Akane Tendo “ufficiale”.
Tranquilla che si fa per dire. Non rubo il posto agli eroi.
Una delle prime cose che mi hanno raccontato di te. Come hai preso di petto la prospettiva di morire per il bene del mondo, come sei riuscita a tenere testa a quel mulo di Ranma e come hai affrontato con immenso coraggio la tua prova finale. Kasumi è stata prodiga di particolari, pur nella sua limitata conoscenza, e si è premurata di spiegarmi per filo e per segno tutto quello che era in grado di dirmi sull’ultimo periodo che hai trascorso su questa terra. Senza contare quel che ho sentito dalla viva voce dell'unica testimone oculare.
Ti ammiro. Hai avuto una forza d’animo e uno spirito indomito che al momento a me mancano. Non riesco neanche ad affrontare come si deve la questione con Ranma. E sì, so bene che è difficile, fra viaggi nei mondi e situazioni al limite del film splatter, ma... vedo te e mi sento piccola, misera, incompleta.
E a soli sedici anni. Ricordo di aver pensato che forse lo avrei potuto fare anch’io, ma più passano i giorni e più realizzo che non ci sarei mai riuscita. Troppo grande il peso di cui mi sarei dovuta far carico, troppa responsabilità, troppa angoscia a rosicchiarmi e a farmi crollare pian piano, ora dopo ora. Anche il fatto che sei stata l’ultima e hai retto più di quattro mesi vedendo gli altri morirti attorno, uno dopo l’altro, non fa che confermare quanto cuore avevi.
Se avessi potuto essere testimone del tuo calvario io... io... io avrei finito col santificarti, o qualcosa del genere. Non sarei mai e poi mai rimasta indifferente. Presumo anche con i tuoi compagni, verso i quali non intendo mancare di rispetto perché il loro sacrificio vale tanto quanto il tuo, ma per te... beh, capirai da sola perché il tuo caso avrebbe avuto più valore ai miei occhi.
E invece sono qui a ventisei anni, dopo otto che mi trovo in una realtà non mia, a piangermi addosso e a non sapere cosa voler fare. Di me e di lui.
Abbi pazienza se ti uso come valvola di sfogo.
Forse ciò che ci differenzia è che io mi ero un po’ seduta sugli allori: avevo ottenuto la dichiarazione che tanto bramavo, l’amicizia di Ukyo e di tutti gli altri, una routine fatta di risate e facce allegre. A te tutto questo non era stato concesso e... non so, può darsi che quell’insoddisfazione latente ti abbia donato l’incoscienza necessaria per prendere una simile decisione e portarla fino alle sue estreme conseguenze.
Mi sembra quasi di sentirti, con la voce che ormai non è più cosa mia, mentre mi rimproveri: “Akane, santo cielo. Datti una svegliata. È vero che sei lontana da casa tua e probabilmente non ci potrai tornare mai più, ma c’è di peggio nella vita. Guarda me. Non voglio atteggiarmi da supereroina dei fumetti ma diamine, tu ci sei ancora. Respiri. Puoi ricostruirti. Avanzare. Concludere la tua vita guardandoti indietro e vedere più di sedici, brevi anni concitati. Non mi pento della mia scelta, era necessaria in quel momento. Ma sai benissimo, se io e te ci assomigliamo almeno un po’, quanto mi sia costato prenderla. Cerca di sfruttarla al meglio delle tue possibilità e rendimi orgogliosa di te”.
...
Mi chiedo se questo sia davvero un monologo.
In ogni caso grazie. Non credevo che una simile idea folle potesse avere tutti questi risvolti positivi.
Non reggo più e mi inginocchio, cercando di non disturbare la quiete del luogo sacro con le mie sciocche lacrime di bimba spaventata.
 

Qui giace
Ranma Saotome (1973-1989)
Il primo, il più sprezzante
 

Ehilà, ragazzo fortunato.
No, non ti sto prendendo in giro. So che può suonare così, ma no. Lo dico per un semplice motivo: ti invidio.
Sono qui da quattro anni, in questo mondo straniero dove tu e quell’altra suicida di Akane vi siete gettati di vostra volontà nella tazza del wc. Ebbene, neppure voi due potete sperare di competere con quanto è successo a me.
Va bene, va bene. Devo smetterla di prendere tutto come una sfida da vincere, è uno dei miei peggiori difetti. Però non lo si può negare neanche volendo che ti è andata ancora di lusso se ti paragoni con me.
Tu hai visto morire Akane? No, non ti è successo. E d’accordo, sei crepato per primo e non dev’essere stato piacevole, capisco.
Ripeto, al confronto sei stato fortunato.
Come se non bastasse la mia unica possibilità di... chiamamola rivalsa per mancanza di una parola migliore, mi è stata negata.
Inutile essere reticente con un te stesso morto, quindi te lo posso dire: io la amo. Amo Akane Tendo qualunque siano il suo mondo di provenienza, la lunghezza e il colore dei suoi capelli e l’eventuale presenza di cicatrici sul suo volto.
Amo quel suo carattere orgoglioso, testardo, indipendente.
Amo il fatto che non sia disposta a farsi mettere i piedi in testa da nessuno. Nemmeno da me.
Amo il suo sorriso.
Lei lo sa. Lo sa benissimo. E guarda, con tutto quel che è capitato ad entrambi so che sto comunque accelerando i tempi e che ha bisogno di lasciarlo andare e che non posso pretendere troppo.
Mi indico la testa con un dito. Qua lo so.
Poi mi indico il cuore. Qua un po’ meno.
Cerco di fare del mio meglio per sopportarlo, e anzi la sto ringraziando silenziosamente ancora adesso per lo spiraglio che ha lasciato libero. Solo che fa tanto male comunque e tutto questo dolore comincia a pesare un po’ troppo, persino per un macho come il sottoscritto.
D’altro canto io non voglio tornare a casa. Cosa c’è per me là? Un metro e mezzo per un metro mezzo di puzza, topi morti agli angoli e un cappio desideroso di fare la mia conoscenza. Evito, grazie tante.
Qua invece, anche se non posso dire di vivere felice e contento, ho una possibilità. Un’ipotesi. Qualcosa a cui posso volermi aggrappare con la forza della disperazione, per quanto fragile e scivoloso.
Qua ho lei. Posso avere lei.
Sono stato un cretino spaziale nel non essere mai riuscito a dire niente alla mia Akane, neanche dopo che è stramazzata agonizzante ai miei piedi. E poi un gioco bizzarro e senza senso mi restituisce la voglia di vivere. Riscopro cosa significa non tirare avanti per inerzia, ma anzi con rinnovata speranza nel domani. Speranza in una sua parola a me favorevole, in un suo gesto distensivo, in un suo bacio.
Potrei non avere mai nulla di tutto questo. Ma preferisco una pur vaghissima opportunità al nulla assoluto, nero e vorace che mi attende oltre il muro.
Non mi starai capendo. Normale, è un discorso sin troppo complicato per chiunque. Figurati per uno al mio stesso livello d’intelligenza, quindi parecchi metri sotto terra.
Scusa, non avrei dovuto trasformare questo prezioso incontro in una lagna ripetitiva su come non sono corrisposto dalla persona per cui darei tutto. Cioè, non proprio da lei ma... insomma, fai sì con la testa.
Ti chiederei come ti va ma, incredibile, neppure io arrivo a tanto.
Comunque stai pur sicuro che non intendo mollare di un solo millimetro. Ho fiducia in me, in lei e in quello che ci lega. Magari non lega me e lei, ma lega comunque Akane Tendo e Ranma Saotome senza farsi fermare da stupide barriere dimensionali.
Va beh, non ho molto altro da dire. Quindi ti saluto e ti prometto che prima o poi tornerò a trovarti, sempre che tu voglia di nuovo la mia compagnia.

E allora? Vogliamo fare notte? Io e Rei siamo qui ad aspettare da quasi un quarto d’ora.
Ok, non ho neanche tutta ‘sta urgenza di concludere perché significherebbe tornare alle catene di papà, però mi scazza starmene qui fermo a far nulla.
Ecco, finalmente si degnano di tornare. Era pure ora.
“Com’è andata?” chiedo, fintamente interessato.
Nessuno dei due mi risponde, ma dai loro sguardi si capisce chiaramente che zia Nabiki non diceva palle. Hanno una strana espressione, tutti e due: Akane appare un po’ tirata ma nel complesso sembra a posto, anche se nei suoi occhi brilla qualcosa che non riesco a definire; Ranma invece è determinato, esattamente come appariva nelle poche foto che mamma mi ha mostrato.
Tutto commovente, gente. Ora vogliamo andarcene fuori dai coglioni?
No, a quanto pare no. Akane mi si avvicina, un sorriso malvagio.
SOCK.
“Adesso siamo pari, Shinichi. Ringrazia che te la sei sfangata per tutto questo tempo”.

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