I Nostri Rocambolici e Misteriosi Tetti dell'Ospizio di Subutai Khan (/viewuser.php?uid=51)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** No ehi, perché incontro gente che non dovrebbe esistere? ***
Capitolo 2: *** Abbiam fatto due, facciam tre ***
Capitolo 3: *** Porca vacca se ne è passato di tempo ***
Capitolo 4: *** Vecchio, facci vedere cosa nascondi nel tuo sacco da Babbo Bastardo ***
Capitolo 5: *** Gente che torna e gente che va ***
Capitolo 6: *** Vi sarebbe piaciuto rimanere solo in due, ragazzacci ***
Capitolo 7: *** Akane la Sfregiata e Ranma il Galeotto: maneggiare con cura ***
Capitolo 8: *** Un ragazzo più furbo del previsto e una ragazza più incazzosa del previsto ***
Capitolo 9: *** Al Nekohanten si parla da persone normali o si spezzano ossa ***
Capitolo 10: *** Fuori i fazzoletti, su ***
Capitolo 11: *** Idee malsane e conversazioni che non credevi possibili ***
Capitolo 1 *** No ehi, perché incontro gente che non dovrebbe esistere? ***
10 dicembre 2007.
Off. E anche questa pallosa giornata di scuola è finita.
Il preside Kuno ha cercato, ancora una volta, di raderci tutti a zero. Per fortuna l’ennesimo piano sgangherato di quell’uomo ridicolo ha rimediato un buco nell’acqua, come gli infiniti precedenti e gli altrettanti che seguiranno.
Un buco nell’acqua e un calcio in faccia da parte di quella virago di Haruka. La mia migliore amica è un gran bel soggettone, c’è proprio da dirlo.
Perché quel sacchetto di merda non se ne torna alle Hawaii lasciando il Furinkan in mano a una persona normale, mi chiedo? Cos’abbiamo fatto di male, come scuola, per meritarci una simile persecuzione? E non per forza alle Hawaii, anche in fondo a un vulcano attivo andrebbe benissimo.
Mamma mi ha raccontato che all’epoca anche zia Akane, zia Nabiki, Ranma, Ukyo e Kuno il kendoista pazzo hanno dovuto lottare contro quel cretino con le palme in testa. Brutta gente non cambia, pare.
Vabbè, pericolo allontanato per ora.
Tiro fuori il mio caro iPod dalla tasca e setto la riproduzione casuale. Anche se è un baraccone del 2002 mi serve fedelmente e, da bravo compagno di vita, per ora non ci pensa neppure a rompersi. I miei, poi, non me ne comprerebbero uno ultima generazione. Costa troppo, tsk. Assicurati di durare ancora un po’, bastardello.
Vediamo cosa offre il DJ.
Counterstrike? Non posso proprio lamentarmi.
Six days of fire, one day of rest, June ’67 taught them respect, control Jerusalem…
Tamarri svedesi che cantano della Guerra dei Sei Giorni. Cosa c’è di meglio per allietarsi il cammino mentre si torna a casa?
Sono talmente di buonumore che mi metto a fischiettare. Chiunque mi conosce potrebbe identificare questa situazione come un miracolo, visto che non fischietto mai.
Poi, in lontananza nella strada deserta, vedo un ragazzo che corre. Si avvicina veloce a dove mi trovo e riesco a vederlo in faccia: all’incirca della mia età, i capelli scuri tagliati corti e un aspetto orribile. Proprio in volto dico, appare disperato e... completamente sperduto.
“Tu!” mi indica. Meno male che tenevo il volume basso.
“Che c’è?” gli chiedo annoiato togliendomi un auricolare dall’orecchio.
“Cos’è successo all’Ucchan? Perché è in rovina? Dove sono finiti i miei genitori?”.
Eh? Cosa? Come? Perché?
“Aspetta, calmati”. Cerco di tenerlo fermo perché, oltre ad essere agitato a parole, lo è pure fisicamente. Si potrebbe pensare sia preda delle convulsioni.
“Fai un respiro, su” insisto. Ringrazia che sono di buzzo buono, altrimenti un bel Vaffanculo sul muso non te l’avrebbe risparmiato nessuno.
Da bravo ometto obbedisce e prova a recuperare un ritmo respiratorio più normale. Fa molta fatica, questo è fuori da ogni dubbio. Deve aver visto qualcosa che l’ha davvero sconvolto.
“Va un po’ meglio ora?” chiedo dopo qualche minuto.
“S-sì... un pochino, grazie”.
“Allora ti spiacerebbe spiegarmi di cosa farneticavi?”.
Mi guarda con gli occhi di uno che crede di essere caduto in un incubo, spalancati e increduli: “Come farneticavo? Casa mia... è praticamente diroccata”.
Non riesco a trattenere un rimarco sarcastico: “Beh, mi spiace per te se hai scelto di vivere in mezzo ai rifiuti, alla polvere e allo sporco. Quel posto è così da anni, oramai”.
“Da anni? DA ANNI?” alza il tono. Guarda che non sono sordo.
“Da anni” confermo con voce piatta “Sin da quando la sua proprietaria è morta, prima che io nascessi”.
E a questo sviene, cadendo verso di me. Non prima di aver assunto l’espressione dell’uomo ritratto ne L’Urlo di Munch.
Cazzo, non mi serve un bagaglio. Ho già la mia cartella.
Che faccio ora? Sono da solo e ‘sto tizio mi pesa addosso.
Non trovo niente di meglio che telefonare a casa ed avvisare che ho avuto un contrattempo, quindi farò tardi.
Mi viene da chiedermi perché mi sto prendendo a cuore la situazione quando potrei benissimo fottermene, buttarlo su un lato della strada e tornarmene alla mia vita. Ma c’è qualcosa in lui che mi spinge a non disinteressarmene. Non saprei dire cosa, ma c’è. Una sensazione indistinta, indefinita. Ma forte.
O forse, come mi capita sin troppo spesso, sono solo un curioso del cazzo che non sa farsi i fatti propri e vuole capire.
Poi, mentre cerco alla bell’e meglio di piazzarlo in una posizione comoda per trascinarlo, mi avvedo di un particolare quantomeno insolito: ha degli evidenti canini, quasi da vampiro.
Io ho già visto o sentito una cosa simile da qualche parte.
Oh.
“Ryoga Hibiki, il ragazzo dall’inesistente senso dell’orientamento e dai canini sporgenti, era giunto a Nerima per sistemare i conti con Ranma. Coincidenze strane avevano fatto in modo che poi continuasse a gravitare attorno al dojo Tendo”.
Parole di mamma per descrivere uno dei Sette. L’amico-nemico di Ranma, mi pare.
Che sia suo parente? Suo fratello? Suo nipote? Qualcosa del genere?
Forse sto solo galoppando con la fantasia. Ma la storia del ristorante degli okonomiyaki non mi torna per niente e stuzzica la mia solita, molesta curiosità.
Sarebbe da accertarsi che non sia sotto l’influenza di qualche sostanza strana, tipo la marijuana. O la candeggina.
Riesco a portarlo al parchetto più vicino, ad appoggiarlo su una panchina e a recuperare due lattine di qualcosa di analcolico da una macchinetta. Poi mi dedico all’opera di risveglio, che per fortuna di tutti è breve e indolore.
“Uh? Che diavolo... cheddiavoloèsuccesso?”.
“Sei svenuto”.
Si volta nella mia direzione, ancora evidentemente rincoglionito. Mi focalizza e salta spaventato all’indietro.
“Ehi, io non ti ho fatto nulla e non voglio fartelo. Sei al sicuro”.
“Certo, sono al sicuro. Specialmente dopo che mi hai detto che mia madre è morta”.
...
Sua... madre?
Sua madre era una dei Sette. Non c’è più da quasi vent’anni.
Trovo importante fargli una domanda ben precisa: “Scusa, ma tu come ti chiami?”.
“Akira Hibiki. Tu?”.
...
Ecco il perché dei canini, allora. Dev’essere un segno distintivo di quella famiglia.
“Shinichi Ono”.
“Hai lo stesso cognome del dottore. Sei un suo cugino?”.
“Cugino? È mio padre”.
“Impossibile, il dottor Tofu non ha figli. Non è neanche sposato”.
“Ah sul serio? E io chi sarei allora, il fantasma dell’opera? Inoltre, per tua informazione, è sposato da quindici anni”.
Puoi smetterla di far finta di ringhiarmi, sono scombussolato tanto quanto te.
Frena Shinichi, frena. Ragiona.
Innanzitutto consideriamo l’ipotesi che stia mentendo per chissà quale cazzo di ragione. Ciò non spiegherebbe perché è rimasto pesantemente disorientato quando gli ho detto che Ukyo Kuonji non è nel mondo dei vivi. È notizia vecchia ormai. E poi, ora che ci rifletto meglio... quanti diamine di anni ha costui?
“Akira, quanti anni hai?”.
“Sedici”.
Sedici? Questo non è solo impossibile, è esageratamente impossibile. Se quella che spaccia per sua madre è morta nel 1989, come può un suo ipotetico figlio avere sedici anni nel 2007?
Inoltre, se di cognome fa Hibiki, salvo sorprese impreviste... suo padre dovrebbe essere Ryoga. Mi sembra giusto, perché accontentarsi di un genitore inverosimile quando se ne possono avere due?
Figlio di due cadaveri decomposti. Dev’essere una sensazione inebriante.
La cosa peggiore è che non credo sia un pallista. È apparso veramente fuori di sé quando gli ho detto che Ukyo è morta.
Prendiamo per buono che sia sincero, resta il fatto che sta dicendo una quintalata di fregnacce. I suoi genitori che lo avrebbero concepito e avuto da spiriti; mio padre che non solo non sarebbe sposato ma non avrebbe figli, invalidando quindi la mia presenza...
Lo osservo di sottecchi e mi dà la sensazione di essere immerso a sua volta in calcoli ed elucubrazioni. Sempre presupponendo che non stia vomitando balle di proposito, anche a lui non torneranno un sacco di cose. Tipo come posso esistere se, a detta sua, Tofu Ono è single e senza prole.
“Hai detto di chiamarti Shinichi, giusto?” interrompe la calma.
“Sì, Shinichi”.
“Shinichi, devo chiederti una cosa”.
“Spara”.
“Che anno è?”.
“Oggi è il 10 dicembre 2007”.
Ed eccolo, il fuoco d’artificio definitivo: scatta in piedi puntandomi un dito addosso. La mano gli trema visibilmente.
“Sei un cazzo di bugiardo! Io sono nato nel 2009! Dovrebbe essere il 2025!”.
Oh, finalmente qualcosa di facilmente dimostrabile. Senza scompormi tiro fuori di tasca il mio cellulare e gli mostro il display, ben sapendo che recita la “mia” data.
Gli si spalanca la bocca. Non ha parole per controbattere, né aria per respirare.
“Cosa... cosa... cosa...”.
“Dice 2007, vero?”.
“S-s-s-s-ì...”.
“Te l’avevo detto io” piazzo lì una frecciata gratuita e antipatica. Non ci posso far nulla, sono fatto così e mi diverto così.
“Potresti... potresti averlo modificato... apposta... per fregarmi...”.
“Andiamo a prendere un giornale, allora”.
“Sì, andiamo...”.
Ci avviamo verso l’edicola appena fuori dal parchetto e, da bravo samaritano quale sono, pago io.
Gli porgo la copia dello Yomiuri Shinbun per la prova del nove.
Al centro, appena sotto il nome della testata, appare 10 dicembre 2007.
“Adesso mi credi, Akira?”.
“Tutto ciò... non ha il minimo senso...”.
“Per quanto mi riguarda neanche la tua esistenza ha il minimo senso” affermo mentre ci allontaniamo “Così come immagino la mia non ne abbia per te. Ci sono troppe circostanze che stonano, da una e dall’altra parte”.
Nessuno dei due aggiunge nulla per un po’. Siamo entrambi preoccupati, turbati e molto poco in possesso delle nostre facoltà mentali.
Lo conduco, ammetto in maniera involontaria, verso casa mia.
“È come” rompe il ghiaccio senza preavviso “è come se venissimo... da due mondi diversi...”.
E questa sua frase buttata lì, immagino senza il minimo intento di serietà, mi apre le porte dell’illuminazione.
Se il Torneo si è svolto fra combattenti di realtà parallele... perché non è possibile che lui venga da una delle suddette realtà parallele?
“Akira?”.
“Che c’è?”.
“Mi è appena venuta in mente una possibile spiegazione per tutti questi errori e incongruenze. Però prima avrei bisogno che tu mi dicessi tutto della tua vita, dei tuoi parenti, dei loro amici, degli amici degli amici”.
“Perché?”.
“Fallo e basta, cazzo. O non vuoi capire cosa ti sta succedendo?”.
“Pffff. Va bene, va bene. Mi chiamo Akira Hibiki e sono nato a Nerima il 4 dicembre del 2009 da Ukyo Kuonji e Ryoga Hibiki. I miei, tonti come sono, hanno convissuto per tipo trent’anni prima di sposarsi. Si sono messi assieme dopo che Akane Tendo e Ranma Saotome si erano sposati perché Ukyo era cotta di Ranma e Ryoga di Akane. Con i loro sogni romantici infranti rischiavano seriamente di perdersi in loro stessi e nella loro solitudine, ma hanno trovato conforto l’uno nell’altra e si sono innamorati. E per fortuna sono riusciti ad aggiustare i problemi del passato e adesso sono quattro cinquantenni che vanno in vacanza assieme e si trovano tutte le settimane per il poker, dove Ranma dimostra la sua inesauribile scarsezza”.
I quattro nomi che ha pronunciato mi provocano quattro fitte di dolore, e naturalmente la fitta più forte arriva da zia Akane.
Sento la fiamma di qualcosa che non credo mi piacerà: invidia.
“Shinichi, stai bene? Sei pallido”.
Inspiro prima di rispondergli: “Sì, sto bene. Vai avanti”.
“Ok. Ranma e Akane hanno una figlia, Misaki, che ha quattordici anni più di me e mi sta addestrando nelle arti marziali. Ci sono poi i cinesi Shan-Pu e Mousse con la loro figliola Lian-Fu... e cos’altro...”.
“Basta così, è sufficiente”.
Sì, gli ho fatto esporre tutto questo solo per soddisfare quel figlio di puttana del mio desiderio di conoscere.
Incredibile. È proprio un altro mondo, totalmente. Gente per me morta che respira e ha eredi. E mio padre scapolo e senza figli.
Eppure io abito in una realtà in cui sette ragazzi -anzi, sei ragazzi e una vecchia tricentenaria- hanno sacrificato la propria vita contro persone che venivano da altri universi. Una cosa del genere, per quanto inconcepibile, posso accettarla. A fatica ma posso accettarla.
“Allora, questa ipotesi?” mi chiede, ridestandomi dai miei pensieri.
“Oh, sì. Ascolta, prima di parlartene vorrei farti chiacchierare con una persona. Tu conosci il Nekohanten, vero?”.
“Ha chiuso quando ero piccolo ma sì, so che esisteva un posto del genere. Perché?”.
“Mi piacerebbe che tu scambiassi due parole con Shan-Pu”.
“Con Shan-Pu?”.
“Capirai al momento giusto. Andiamo”.
Credo sia la scelta più opportuna. In quanto unica testimone oculare del Torneo, chi meglio di lei potrebbe spiegargli la mia teoria?
Ci incamminiamo, di nuovo immersi nel silenzio. Ho come la sensazione di non essergli troppo simpatico, anche se forse sono l’unico faro che ha in questo ambiente a lui ostile e sconosciuto. Stando alle sue convinzioni non è nemmeno ancora nato.
E io? Sono ancora un po’ invidioso del fatto che lui... lui li conosce. Dice di conoscerli. I suoi genitori, mia zia, Ranma. Sono facce familiari nella sua testa e non nella mia. So qualcosa di loro tramite i racconti di mamma, ma non ho nessun ricordo vissuto in prima persona. Per quanto, tranne un paio, non è che neanche abbia tutta questa smania... punge comunque.
Ok, basta con queste stronzate.
Ci vogliono una decina di minuti e finalmente arriviamo.
Toh, zia Shan-Pu è all’esterno e sta parlando con qualcuno. Qualcuno che... mi sembra di riconoscere, anche se siamo abbastanza lontani.
Alla mia destra sento un gemito: “G-Genma?”.
Mi giro nella sua direzione: “Akira?”.
“Io... io non credo... a quel che vedo...”.
“Che ti succede?”.
“Genma... Genma è morto...”.
Alé, altre cose sballate.
Più ci avviciniamo e più lo focalizzo ed è... diverso rispetto alla visita che ci ha fatto un paio di mesi fa: sembra più giovane, ma ha i baffi e degli occhiali spessissimi, molto più di quelli che indossava l’ultima volta. Però sì, direi che è indubbiamente lui.
Arriviamo accanto a loro e quel che sento è parecchio strano. Come se non mi fosse già capitata una grana non indifferente: “Shan-Pu, ti prego. Fammi parlare con tua nonna, è importante”.
“Genma, non so cosa tu abbia fatto nel periodo in cui sei stato lontano ma se questo è uno scherzo è davvero di pessimo gusto. Sai benissimo cos’è successo a mia nonna”.
“No che non lo so. Anzi, è per questo che le devo parlare”.
“Piantala. Sul serio, non è divertente”.
Vedo una massa abnorme di ulteriori cazzi portarsi sopra le nostre teste e minacciare di cagare giù di tutto. Perché Shan-Pu ha ragione, Genma non può ignorare cos’è successo alla vecchia. Porca troia, io so di quel casino perché è stato lui a introdurmici.
“Shinichi” mi sussurra Akira all’orecchio “da quando Shan-Pu sa parlare così bene il giapponese? E da quando è così giovane?”.
“Te lo chiedo come piacere personale” rispondo altrettanto a bassa voce “Se noti un particolare differente da come te lo ricordi tienitelo per te e ne parliamo dopo, ok? Altrimenti facciamo notte”.
“Va bene, va bene. Ti piace fare il piccolo boss, eh?”.
Scrollo le spalle. Può essere. Forse perché normalmente vengo maltrattato da quel macho mancato di Haruka.
La mia parente acquisita preferita si accorge di noi e mi saluta con affetto. Meno di un secondo dopo punta un dito inquisitore in direzione di Akira e fa: “E lui chi è? Un amico tuo?”.
Tossicchio prima di risponderle: “Non esattamente. Possiamo entrare? Avremmo delle cose da chiederti”.
“Ehi, bambocci!” si scalda Genma “Mettetevi in fila, c’ero prima io. E poi chi diavolo siete voialtri? Tu li conosci, Shan-Pu?”.
Ah, nemmeno mi riconosci?
Uhm. Aspetta un secondo.
Ha chiesto di avere una discussione con la vecchia Obaba, che in quanto membro di quel gruppo di magnifici suicidi non è qui e non può rispondergli. E questo Genma Saotome non può non saperlo, proprio non può. Ma manco per il cazzo.
Vuoi vedere che...
“Genma, mi sai dire che anno è?”.
“Che domande fai, ragazzo? È il...” e tentenna.
“Dimmi pure, non ti mangio”.
“Il 1989, mi sembra chiaro”.
Sì, ti sembra chiaro. Persin banale, perché trattenersi.
Ci terrei ad aggiungere agli sguardi frastornati di Shan-Pu e Akira il mio, ma mi sa di averci azzeccato.
“Zia Shan-Pu, ti spiacerebbe farci entrare tutti e tre?” prendo in mano la situazione.
Non trova nulla da ridire. E vorrei anche vedere.
Una volta seduti attorno a un tavolo...
“Bene Shinichi, che ne dici di spiegarci cosa cavolo sta succedendo oggi?”.
“Volentieri” rispondo assumendo la tipica posizione di Gendo Ikari, quella col mento appoggiato sulle mani incrociate “Vedi cara Shan-Pu, ho incontrato il qui presente Akira poco fa per strada e quel che mi ha riferito... beh, diciamo che non credevo alle mie fottute orecchie non descrive del tutto la mia situazione. Ad esempio, con tuo sommo stupore, voleva sapere cos’è successo all’Okonomiyaki Ucchan”.
E scoppia a ridere. Ossantoddio, non è proprio il caso.
“Per favore, cerca di evitare. È un argomento delicato per lui”. Mi sorprende sentirmi dire certe cose. Non credevo di aver sviluppato un tale grado di empatia con questo sconosciuto che, se ho ragione, viene da un altro mondo.
“Uh?” si interrompe dalla sua crisi di risarola isterica “Cosa vuol dire che è un argomento delicato? Quel ristorante è in rovina da un pezzo. Sai di cosa sto parlando”.
“Sì, io lo so. Lui no”.
“Come lui no? Non è un fatto successo ieri”.
“Akira, puoi gentilmente ripetere a Shan-Pu quello che hai detto a me prima? La tua biografia, per capirci”.
Esegue.
Al termine del racconto ci manca tanto così che gli occhi di Shan-Pu scappino dalle loro orbite. E, buttando un occhiata furtiva a Genma, lo stesso vale per lui.
“A te dà la sensazione che stia mentendo, Shan-Pu?”.
La vedo assumere un atteggiamento vagamente dubbioso ma, se ho imparato a riconoscere un po’ la sua mimica facciale, non del tutto incredulo.
“Mah. Sai che non sono granché brava a riconoscere i bugiardi, ma onestamente non mi sembra proprio” risponde grattandosi la testa.
“Neanche a me”.
“Certo che non sto mentendo, bastardi che non siete altro!” scoppia dall’incazzatura, con tanto di manata sul tavolo. Ehi tipo, calmati. Qua nessuno ti sta accusando di nulla, al contrario.
“Mettiamo che sia così, Akira. Non stai mentendo. Allora come giustifichi la differenza di date e di informazioni in possesso mio e di Shan-Pu rispetto alle tue? Perché, fidati, neanche lei crede sia il 2025”.
“Confermo”.
E improvvisamente si trasforma in un pulcino bagnato: “Non... non lo so, davvero non lo so...”.
“Neanch’io ne avevo idea, fino a quando non hai detto una cosa particolare”.
“Cosa?”.
“Hai buttato lì quella frase sui mondi diversi”.
Gli occhi di Shan-Pu si illuminano. Brava zietta, vedo che hai afferrato.
“F-fammi capire bene, Shinichi” comincia balbettando “vorresti intendere che loro...”.
“Non lo so. Sei tu l’esperta di mondi paralleli. L’unica ancora in vita, quantomeno”.
Naturalmente gli altri due ci restituiscono due facce da ma che cazzo vi siete fumati voi, l’asfalto? e non posso negare che, in condizioni normali, li capirei fin troppo bene.
“Shan-Pu” riprendo dopo un microsecondo di calma “ti spiace spiegare ai nostri ospiti del Torneo, in particolare di quella nota a margine sulla provenienza degli avversari? Ah, e ti scongiuro: tatto”. Non che voglia sparlare di lei, ma quella dote le è sempre mancata.
Sentendo l’attenzione comune focalizzata su di sé si schiarisce la voce e comincia: “Se l’intuizione di Shinichi fosse giusta, e se lo fosse spiegherebbe praticamente tutto, voi non appartenete a questo mondo ma venite da realtà parallele in cui, com’è evidente, le cose sono andate in maniera molto diversa rispetto a qui. Perché qui Ranma Saotome, Akane Tendo, Mu-Si, mia nonna Ku-Lun, Tatewaki Kuno, Ukyo Kuonji e Ryoga Hibiki sono morti da parecchio tempo. Per la precisione diciotto anni fa, nel 1989”.
“Perché dovremmo credere a una stupidaggine del genere, si può sapere?” chiede Genma, moderatamente alterato. In effetti, rispetto ad Akira, non ha in mano assolutamente nessun elemento che possa dar credito a questa storia.
Shan-Pu alza le mani in un gesto di arrendevolezza: “Se non vuoi libero di farlo, anche perché non ho niente che possa provarlo incontrovertibilmente. Però lasciate che vi dica questo: nel Torneo, che è la causa per cui quei sette non sono qui con noi ora, i partecipanti dovevano affrontare e sconfiggere in combattimento guerrieri provenienti da realtà parallele con in palio la sopravvivenza del proprio piano d’esistenza. Per essere più chiara: chi perdeva si portava nell’aldilà il proprio mondo. E questo l’ho sentito dalle mie stesse orecchie quando Jun, l’entità che li ha guidati, lo ha spiegato a tutti loro. Già, ero presente. Così come ero presente a ogni loro scontro”.
“Conosco questa sensazione” mormora Genma, molto più quieto.
“Quale sensazione?” intervengo.
“La sensazione di dire la verità senza poterla dimostrare, con tutti coloro che ti circondano che non esitano a contestarti e mettere in dubbio quel che affermi a ogni piè sospinto. E ciò nonostante tu non stia per niente cercando di raccontar frottole”.
“Sono nella tua stessa identica posizione, Genma. Quel che ho esposto è la verità per questo mondo, che voi ci crediate o meno è indifferente. Se però foste così carini da farlo ci eviteremmo tutti un bel po’ di problemi, non pensi?”.
“Quindi, se hai detto che diciotto anni fa era il 1989 ora...”.
“2007, già”.
“Oh santo cielo, ho in testa un macello che non avete idea”.
“Lo stesso varrà per Akira. E anche per noi due, non è che siamo più belli”.
“No, vi assicuro che il mio è peggio”.
“E perché lo sarebbe?”.
“Perché, presupponendo che questa baggianata delle realtà parallele sia vera, nel mio mondo io ho viaggiato indietro nel tempo. Prima di questo casino mi trovavo nel mio 1989, ma provengo da dieci anni più tardi”.
“Eh?” è il coro di domande che tutti e tre gli rivolgiamo.
“Visto che siamo in vena di grandi confessioni devo mostrarvi una cosa. Vi pregherei di allacciare le cinture di sicurezza, sarà una roba molto poco piacevole”.
Ciò detto si leva gli occhiali.
Alla faccia del cazzo incatramato.
Quest’uomo... non ha gli occhi. Due buchi neri, vuoti.
Se li rimette in fretta.
“Ve l’avevo detto io” commenta vedendo Akira semi-svenuto sul tavolo, la testa retta solo da una mano molle.
“Che... che cos'era quello?”.
“Vedete, nel mio 1999 succederà una cosa terrificante che porterà allo sterminio dell’intera famiglia Tendo-Saotome. Per pura fortuna sono scampato e ho visto di persona tutti loro, morti nelle maniere peggiori che eviterò di raccontarvi nelle specifiche. Soverchiato dall’orrore non ho trovato niente di meglio che appoggiarmi alla nobile Obaba per poter tornare nel passato, capire la causa di quel massacro e se possibile evitarlo. Per la faccenda degli occhi... Shan-Pu, tu conosci l’Artiglio della Chimera?”.
“Mia nonna ti ha lasciato usare l’Artiglio? Ma dico, è impazzita?”.
“No. L’ho implorata con tutte le mie forze, volevo... dovevo farlo”.
“Allora capisco il tuo... problema”.
“Oh wow...” mi lascio scappare. Immagino di essere palesemente esterrefatto da quanto abbiamo appena sentito.
“Tu non hai nessuna storia truce, Akira? Tanto per rimanere in scia” gli chiedo in tono scherzoso. Lui scuote la testa, evidente come sia contento di non condividere una situazione simile.
“Fortunello” esce a Genma e a Shan-Pu in contemporanea. Lei aggiunge “Se riuscissimo a scoprire come, penso che ogni tanto verrei a visitare il tuo mondo”.
“Hai sollevato un punto interessante, zia: il come. Come hanno fatto loro due a capitare qui? Non c’entrerà mica il tuo amico Jun?”.
“Mai più visto sin dallo scontro di Akane. E poi che senso avrebbe prendere persone da mondi diversi e trasportarle qui per un ipotetico secondo Torneo, se lo scopo è che la nostra realtà presenti i propri campioni a sua difesa? Non regge”.
“No, in effetti sarebbe troppo campato per aria...”.
Devo capire, ora è una questione di principio. Non esiste mistero che Shinichi Ono, nella migliore tradizione di quei minchioni di Scooby Doo, non possa risolvere. “Gente, non è che magari avete percepito qualcosa di strano? Non so, tipo che siete svenuti e vi siete ritrovati in un posto che non vi era familiare, o... che ne so... qualcosa così, insomma”.
“No, niente del genere” liquida Genma.
“Io invece sì...” risponde Akira.
Ecco, raccontaci tutto.
“Dimmi, dimmi”.
“Stavo camminando per strada, tornavo a casa. A un certo punto ho sentito come... non so come definirlo, una specie di... sfasamento. Per qualche secondo ho tremato. E dopo, ora che mi ci fai riflettere, l’ambiente attorno a me era leggermente diverso. Particolari, come il colore differente di un segnale stradale o lo stile datato della scritta di un’insegna. Non capisco perché, ma il mio cervello ha deciso che questi dettagli non erano importanti e ha scelto di ignorarli. Forse anche perché mi sono quasi subito trovato davanti l’Ucchan con l’ingresso sprangato”.
È un inizio. Stentato e senza troppo senso per chi non è pratico di viaggi fra i piani di esistenza, ma è un inizio.
Mai come ora rimpiango l’assenza di Obaba. Stando a quanto mi hanno raccontato era una vera esperta di caratura mondiale per eventi strani come questo e sicuramente avrebbe saputo tirar fuori qualche spiegazione dal cilindro.
Cazzi. Lei non c’è, toccherà a noi.
“Signori” dichiara Shan-Pu alzandosi in piedi “mi spiace essere scortese, ma fra non molto il locale apre e devo mettermi al lavoro. Vi devo chiedere di lasciarmi campo libero, per favore”.
“Va bene. Perché, finché non troviamo una soluzione a questo problema, voi due non venite a stare da me?”.
“Non vedo alternative migliori” concede Genma, e Akira conferma subito dopo. D’altronde, fossi in loro, prenderei al volo qualsiasi mano allungata nella mia direzione. Dev’essere parecchio fastidioso trovarsi in un posto che assomiglia a quello che ti ricordi ma sai perfettamente non esserlo, e dove tutte le iterazioni e la gente che conosci non ci sono o ci sono in forma profondamente diversa.
“Mi raccomando Shinichi, tienimi aggiornata su questo affare” dice mentre ci accompagna all'uscita.
“Contaci. Ti ho tirata in ballo e non ti lascio all’oscuro”.
“Bravo ragazzo. Ah, e fintanto che non si risolverà le nostre lezioni sono ufficialmente sospese”.
“Ricevuto, signora”.
SBAM.
Guarda che nessuno ti paga per sfondarti la porta, furba che non sei altro.
“Facci strada, Shinichi”.
“Penso che in realtà non serva, Akira. Da quel che ho capito entrambi sapete dove si trova il dojo Tendo”.
“Sì, ovvio”.
“Idem io visto che ci abito... abitavo... abiterò. Quel che l’è”.
“Ecco, sto lì. Mia madre l’ha ereditato quando è venuto a mancare mio nonno e ci si è stabilita con la famiglia”.
“Una curiosità che ho sin da quando ci siamo conosciuti, Shinichi: chi è tua madre?”.
“Kasumi”.
“Davvero?”.
“Eh, capisco che ti possa suonare strano se nel tuo mondo il dottor Tofu è single. Qui si è sposato con lei pochi anni dopo il Torneo”.
“Non è tanto lo sposarsi, quanto il fatto che abbia figli...”.
“Ragazzo, Kasumi Tendo può avere figli da due sole fonti: Tofu Ono o lo Spirito Santo” commenta sarcastico Genma, non mancando di notare lo sguardo istupidito mio e di Akira.
“Lasciamo stare, non è niente che vi serva davvero capire”.
Proseguiamo.
Ok, finalmente a casa.
“Tadaima. Ci sono... ospiti” urlo al mio solito. Nessuna risposta.
Poi, improvvisamente, la porta della cucina si spalanca.
Ne esce...
...
...
...
No, non credo a quel che sto vedendo.
“Oh, finalmente è arrivato qualcuno! Kasumi è svenuta e io... chi siete voi? Signor... Genma?”.
Mi sa che seguirò mamma nel fatato mondo dell'incoscienza.
Prima di perdere i sensi sento Genma che esclama: “A-Akane? Cosa... cosa ti è successo in faccia?”.
Note dell'autore
Sì, è vero. Di solito non perdo tempo con 'ste cose, ma qui sono a dir poco fondamentali. Perché, nel caso chi legga non lo abbia capito da sé, ho fatto un mischione di almeno quattro canon differenti.
C'è Shinichi Ono, voce narrante di questo primo capitolo, che viene dalla saga di Bokurano 1/2. C'è Akira Hibiki, protagonista di un paio di shot della raccolta Tetto dell'Ospizio. C'è il Genma Saotome di Rocamboliche Avventure. E soprattutto, in chiusura, appare l'Akane Tendo di Mysterious Secrets post-combattimento amazzone. Si ringrazia la socia Mana Sputachu per avermi concesso l'usufrutto di un personaggio anche suo.
Ok, quel che avevo da dire l'ho detto. Circolare, circolare, non c'è più nulla da vedere qui. |
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Abbiam fatto due, facciam tre ***
Sono
di nuovo sotto
attacco amazzone. Per forza. Non vedo altra spiegazione per questa
follia.
Un momento stavo
camminando per casa assieme a Ukyo, lei ancora intenta a sommergermi
di scuse
per il suo comportamento passato nei miei confronti e io che mi
prodigavo nel
cercare di farla smettere spiegandole che non era il caso di ritirare
fuori
l’argomento per l’ennesima volta. Il momento dopo
mi ritrovo sola per il
corridoio.
Cos’altro
devo
pensare, considerato che siamo asserragliati e ogni tanto uno di noi
sparisce
per magia ritrovandosi scaraventato nei suoi peggiori incubi?
Certo, contavo di
aver già dato. La cicatrice sulla mia guancia sinistra
dovrebbe testimoniarlo a
sufficienza.
Ma a quanto pare
qualcuno non è d’accordo con me.
Ho di fronte a me tre
persone, di cui due completamente sconosciute e la terza è
un Genma Saotome a
me molto poco familiare. Appare consumato e gli occhiali che indossa
non sono i
soliti.
“Ok, ho
capito.
Sputate le vostre cattiverie, sono pronta a tutto”
dichiaro ad alta voce. Loro
mi guardano a dir poco straniti, non capendo a cosa mi sto riferendo.
“Z-zia
Akane... ehm,
Akane... o cacchio” dice il ragazzo ancora sveglio prima di
rivolgersi al suo
coetaneo privo di sensi per terra. È già la
seconda persona che faccio svenire
da quando sono finita in quest’allucinazione: prima una
Kasumi... molto
invecchiata, poi lui.
Quando quello strano
Genma si muove nella mia direzione...
“Ferma
lì, illusione.
Non un passo di più o ti metto le mani addosso. Una di voi
mi ha lasciato
questo ricordino, sarei veramente fessa a permettere a
un’altra di voi cose di
avvicinarsi più del dovuto”.
Pare non scomporsi.
Si limita ad alzare le mani bene in vista e a proseguire. Rimango in
guardia,
conscia di star esponendomi a un potenziale pericolo, ma non ricevo
aggressività da lui. Da nessuno di loro, in effetti. Il
finto Ranma, al
contrario, emanava rabbia e voglia di farmi a pezzi.
Quel che sento mi
spiazza totalmente: “Oh santo cielo Akane, cosa ti hanno
fatto?”. Pronunciato
con una tale dolcezza e preoccupazione che... che comincio a dubitare.
Che non sia quello
che penso?
Sì, ma se
non lo
fosse... allora cosa mi è successo? Dove sono?
Perché sono circondata da gente
che non riconosco o che ricordo diversa?
“Vorrei
porti qualche
domanda. Posso?” chiede in tono innocente, fermandosi a circa
un metro da me.
Parlare non
farà
male, spero.
“Puoi. Ma al
primo
scherzo ti cambio i connotati”.
“Quanti anni
hai e
che anno credi che sia?”.
“Che... che
razza di
domande sono?”.
“Ti prego,
rispondi.
È importante”.
Anche il miraggio che
chiede cose idiote, giusto quello mi mancava.
Non gli stacco gli
occhi di dosso: “Ho diciotto anni ed è il
1991”.
Sospira pesantemente.
Si volta verso gli altri due tizi con cui è entrato e dice:
“Akira, è come
noi”.
“Cosa
intendi, Genma?
Che anche lei...”.
“Sì,
intendo quello”.
Intendi cosa,
vecchiaccio?
“Akane”
riprende
tornando a volgere l’attenzione verso di me
“innanzitutto ti chiedo di
abbandonare la postura da battaglia. Io, Akira e Shinichi non siamo
tuoi
nemici”.
Che faccio, mi fido?
Rischio di trovarmi con conseguenze ben peggiori di un segnetto sul
volto.
Però, lo devo proprio ammettere, non mi sento minacciata da
lui. Per nulla.
E fidiamoci.
“Grazie.
Ora,
immagino tu ti senta confusa...”.
“Ci puoi
giurare.
Appaio improvvisamente davanti a mia sorella che avrà almeno
vent’anni in più e
quella, non appena si accorge della mia presenza, sviene tipo sacco
svuotato.
Mi impanico, non capendoci una mazza, quando sento la porta di casa. Il
resto
lo sai”.
“E dimmi,
cosa ci
dici di me? E di lui? E dell’altro?”.
“In che
senso?”.
“Sai chi
sono?”.
“No, loro
due no. Mai
visti prima. Tu sì, ovviamente so chi sei. Ma...”.
“Ma?”.
“Sei
diverso. Più anziano”.
“Akane,
siediti per
favore. Abbiamo un lungo discorso da affrontare, io e te”.
“Voglio
risposte”.
“Cercherò
di
soddisfarti al meglio delle mie capacità. Sappi
però che sarà complicato, perché
io stesso non ho ben capito e non sono neanche sicuro di averlo del
tutto
accettato”. Detto ciò si siede e fa cenno
all’altro ragazzo, quello chiamato
Akira, di avvicinarsi e di mettersi accanto a lui.
Mi sono davanti tutti
e due, adagiati di fronte a me.
Perché non
imitarli?
Danno davvero l’intenzione di voler solo chiacchierare.
“Akira”
fa poi
rivolgendosi al suo compagno più giovane “vuoi
magari gestire tu il discorso?
Visto che hai parlato un po’ con Shinichi prima di incontrare
me, può darsi che
tu riesca a spiegare meglio”.
“Veramente
quel che
ho scoperto quando eravamo solo io e lui non ha fatto altro che
gonfiarmi la
testa, almeno finché non siamo andati da Shan-Pu. Ma ora
sì, ne sono in grado.
Akane, sei pronta?”.
“Io sono
nata
pronta”.
“Accidenti.
Anche da
ragazza sei uguale a come ti ricordo. Stessa granitica
sicurezza”.
“Ragazza?
Uguale a
come mi ricordi? Tu chi sei? Non ti conosco”.
“Immagino di
no, ma
io conosco te”.
“...
scusa?”.
Altro sospiro. Ho
idea che sarà qualcosa che non mi piacerà per
nulla.
“Akane, non
c’è un
modo semplice per spiegarlo. Quindi, mi spiace, mi toccherà
essere diretto: io,
te e Genma siamo finiti, in un modo che non siamo ancora riusciti a
capire, nel
mondo di Shinichi. Il ragazzo che hai fatto svenire apparendo dal
nulla”.
“...
prego?”.
“Ascoltami.
Sia io,
sia Genma ci siamo ritrovati catapultati in questa realtà,
in questa Nerima a
noi estranea. Per esempio io ho trovato l’Okonomiyaki
Ucchan... sai cos’è,
vero?”.
“Non
prendermi in
giro! Certo che so cos’è!”.
“Non volevo
prenderti
in giro. Te l’ho chiesto perché qui, da queste
parti, quel posto è un cumulo di
macerie da tipo vent’anni”.
“Menti! Io
stessa sono
corsa lì, due giorni fa, ad avvisare Ukyo e Ryoga che le
amazzoni erano tornate
per vendicarsi!”.
“Vendetta
amazzone?”
si intromette Genma “Il tuo mondo sembra
interessante”.
“Il mio...
mondo?”.
“Sì”
riprende le
briglie Akira “Come ti ho detto questo non è il
tuo mondo. Non è il mio mondo.
Non è il mondo di Genma. È il mondo di Shinichi.
E credo di aver intuito perché
lui e Kasumi hanno perso i sensi non appena ti hanno vista”.
“Perché?”.
“Akane, nel
loro
mondo tu... sei morta”.
Ho... ho un
mancamento. Troppe informazioni da elaborare e assimilare tutte assieme.
Rischio di franare a
terra, ma entrambi mi sono addosso in un istante e mi aiutano a
sorreggermi.
“Tutto bene,
piccola?”.
Ho gli occhi chiusi per il sovraccarico ma riconosco l’autore
di questa frase.
Akira sembra più giovane di me.
Portandomi le mani
alle tempie rispondo: “Sì, non... non è
niente. Sto bene”.
“Sicura?”.
“Sicura,
sicura.
Proseguite pure. Ad esempio mi interessa la parte per cui sarei
morta”.
Tornano nelle loro
posizioni.
“È
uno shock, vero?
Probabilmente ti sei sentita come mi sono sentito io quando ho scoperto
che qui
lo stesso destino è toccato a mia madre. E a mio
padre”.
“Tua
madre... e tuo
padre? Chi sono?”.
“Ukyo e
Ryoga”.
“Da-davvero?”.
“Davvero. Mi
chiamo
Akira Hibiki, piacere”.
Allunga la sua mano
verso di me in un atto di presentazione formale.
Non... non so come
devo reagire. Se prima pensavo che le cinesi ci avessero messo in un
guaio
gigantesco... beh, ora quella al confronto è robetta.
Sono... sarei finita
in una specie di... mondo parallelo... in cui sono morta. E non solo
io, a
quanto pare.
Lo guardo fisso negli
occhi e ciò che mi arriva è solo genuina
gentilezza.
Penso di non dover
temere nulla, da nessuno di loro.
Stringo la mano.
“Ti direi il
mio nome
ma già lo sai”.
Ridacchia:
“Vero, non
serve”.
“Come fate a
sapere
che io qui sono...”.
“Ci ha
raccontato
tutto Shan-Pu. Pare che lei e tuo nipote Shinichi abbiano un eccellente
rapporto,
al punto che lui la chiama zia. Come faccio
io con la tua versione del mio mondo”.
“Nipote? Lui
è...”.
“Figlio di
Kasumi”.
“E del
dottor Tofu,
spero”.
“Oh
sì, del dottor
Tofu. Com’è che avevi detto prima,
Genma?”.
“Ho detto
che Kasumi
Tendo può avere figli da due sole fonti: Tofu Ono o lo
Spirito Santo. Visto che
dubito Akane sappia a cosa mi riferisco ve la spiegherò
così: o il padre è il
buon dottore, o ci vuole un intervento divino”.
Scoppiamo a ridere.
Sacrosanta
verità, questa.
“Torniamo a
noi” intimo,
riacquistando di botto la serietà che questa storia merita
“e al fatto che io
qui sono... deceduta”.
“Sì,
va bene. Devo
dire che Shan-Pu non è stata chiarissima a proposito. Da
quel che ho capito
qua, nel 1989, si è svolto una sorta di torneo di arti
marziali in cui sette
persone dovevano andare letteralmente a morire per la salvezza del
mondo.
Capisco la tua faccia disorientata”.
“Quindi...
mi stai
dicendo che...”.
“La te
stessa di
questo mondo lo ha fatto. Insieme a Ranma, ai miei genitori, a Kuno, a
Mousse e
alla nonna di Shan-Pu”.
“Santi
numi...”.
Non credo alle mie
orecchie. In questo mondo sono andata a morire di mia
volontà, più o meno.
E con me...
l’ha
fatto Ranma.
Mi immagino la scena:
lui che cerca di farla desistere e lei che si ostina con la
testardaggine che
ogni Akane Tendo, in ogni posto di ogni universo, possiede per sua
stessa natura.
Diamine, io... io
forse l’avrei fatto.
“E come fa
Shan-Pu a
sapere tutto questo? A rigor di logica, essendo viva, vuol dire che non
ha
partecipato”.
“No, lei no.
Ma ha
anche aggiunto che ha visto i loro combattimenti, dal primo
all’ultimo”.
“C-cosa?”.
“Questo
è quanto ci
ha riferito. O mi sbaglio, Genma?”.
“Non ti
sbagli,
Akira. Ha detto proprio così”.
Sconvolta. Sono
totalmente sconvolta.
Devo distrarmi.
Pensare
a qualcosa di più stupido.
“Aspetta.
Hai
detto... nel 1989? Che anno è qui, adesso?”.
“Il
2007”.
“E fatemi
capire, voi
da che anno venite?”.
“2025”
risponde
fulmineo Akira.
Genma assume
un’espressione strana, invece: “Per me è
un po’ più complicato. Tecnicamente
1999, ma questo... spostamento di mondi mi è capitato mentre
mi trovavo nel
1989”.
“Tu hai
viaggiato nel
tempo?”.
“Già.
E non per una
vacanza”.
“Genma Genma
Genma!
Ti prego, non ripetere quella cosa. Una volta mi è bastata.
E ti scongiuro, te
lo chiedo in ginocchio: non toglierti gli occhiali”.
Cosa sta blaterando
adesso?
“Hai
ragione, le
procurerei solo un inutile trauma e mi sembra già abbastanza
provata. Akane, ti
basti sapere che sotto questi occhiali c’è uno
spettacolo orribile. Tornando alla
mia dislocazione temporale, diciamo solo che... ecco... come spiegarlo
senza
urtare questo tenero virgulto di Akira...”.
“Nel suo
presente la
sua famiglia è stata uccisa ed è tornato indietro
nel tempo per evitarlo”
giunge una voce alle loro spalle.
Si voltano.
È Shinichi,
in piedi.
“Grazie
tante,
Shinichi. Sei veramente la delicatezza fatta persona” dice
scocciato Akira.
“Ragazzo,
stai bene?”
gli chiede Genma, una nota di preoccupazione nella voce.
“Sì,
tutto ok. Ho
solo avuto un leggero calo di zuccheri nel vederla”.
Si riferisce a me,
è
evidente. Mi sta osservando con uno sguardo... lo definirei quasi affamato.
Se quel che mi
è
stato raccontato è vero, io sono la controparte di sua zia
che è morta da
vent’anni e che, a giudicare dal suo aspetto, non ha mai
conosciuto in prima
persona.
Si siede alla destra
di Akira, che si trova quindi fra lui e Genma.
“Abbiamo un
terzo
intruso” dice quasi con allegria. Sembra che l’idea
non lo scalfisca più di
tanto. Poi aggiunge: “Oh, dimenticavo. Devo avvisare Shan-Pu
della novità”.
Tira fuori dalla
tasca un... cos’è, un telefono portatile? Esistono
simili aggeggi nel
ventunesimo secolo?
Smanetta un
po’ e si
porta il marchingegno all’orecchio.
“Pronto, zia
Shan-Pu?
Sì, sono Shinichi”.
“...”.
“Lo so che
sei
impegnata col ristorante e che è quasi l’ora di
punta, ma ti ricordi che mi
avevi detto di tenerti informata con quella storia? Ecco, ci sono
aggiornamenti”.
“...”.
“Sono
diventati tre.
E non sarai contenta di scoprire la sua identità”.
“...”.
“È
Akane”.
“...”.
“Dici sul
serio? Vuoi
davvero chiudere tutto e venire qui? Ma ti sei rincoglionita o
cosa?”.
“...”.
“Va bene,
come cazzo vuoi.
Il piatto vuoto alla fine del mese è il tuo. Ti
aspettiamo”.
Riattacca.
Siamo sicuri che sia
figlio di Kasumi e Tofu? Un tale cafone?
Torna a fissarmi e
chiede: “Quanto sai?”.
“Un pochino.
Genma e
Akira mi hanno spiegato qualcosa, su come saremmo sperduti in una
realtà non
nostra. Mi hanno anche detto di... tua zia. Mi dispiace”.
“Anche a me,
dispiace
anche a me. E mi dispiace anche per quella... cosa che hai in
faccia”. Il
cambio di tono è persino irritante.
“Oh
sì, con tutto il
casino che ti abbiamo dovuto raccontare ci eravamo completamente
scordati. Cosa
ti è successo, Akane?”. Non credevo che avrei mai
potuto dirlo, ma questo Genma
è molto più premuroso e gradevole del mio.
Tocca a me parlare, a
quanto pare. Colpo di tosse finto, come da miglior tradizione, e parto:
“Ecco,
la storia è piuttosto lunga. Da me... nel mio mondo sono
accadute parecchie
cose che, presumo, vi suoneranno poco meno di impossibili. Come ad
esempio che
Mousse ha finalmente alzato la testa contro Shan-Pu e sua nonna,
ribellandosi
al loro maltrattamento nei suoi confronti. Ha sfidato la sua amata a
duello.
L’ha sconfitta. E questo ha dato il là a tutta una
catena di eventi
incredibili: è saltato fuori che loro due erano in
realtà promessi sin da
piccoli, io e Ranma ci siamo naturalmente trovati immischiati nostro
malgrado nella
bagarre, Ukyo ha dovuto fingere di essere la fidanzata di Shan-Pu per
salvare
le loro teste di fronte al Gran Consiglio di Joketsuzoku, abbiamo
rischiato di
farci ammazzare dalla dittatrice del suddetto Consiglio, io e Ranma ci
siamo
dichiarati, Ryoga è tornato a Nerima e ha trovato gli equilibri a cui era abituato completamente a
soqquadro, lui e Ukyo sono usciti assieme e hanno finito con il
fidanzarsi... e
fare l’amore in uno sgabuzzino di casa mia. E quando alla
fine credevamo di
essere ormai al sicuro, le amazzoni sono tornate alla carica e ci hanno
presi
di mira uno ad uno, gettandoci in scenari farlocchi dove le nostre
peggiori
paure ci aggredivano psicologicamente e fisicamente. Il mio nuovo
migliore amico
mi è stato causato da un’ombra a forma di Ranma,
che poco prima di colpirmi non
smetteva di ripetermi quanto fossi imperfetta e... e...”.
Sto cedendo. Sento il
dolore di quei momenti riemergere prepotente. Meglio fermarsi qui, non
voglio
scoppiare a piangere di fronte a degli sconosciuti. Amichevoli e
carini, per
carità, ma sempre sconosciuti.
Mi guardano come se
fossi un fantasma. Che posso capire nel caso di Shinichi, meno per gli
altri.
“Basta
così Akane,
non serve proseguire” sentenzia... mio nipote. Mi fa un senso
assurdo chiamarlo
così. E se lo fa a me dicendolo, chissà quanto ne
deve fare a lui sentendolo.
Sarà meglio che continui a usarlo solo nella mia testa.
Va bene ragazzina,
calmati. Fai un respiro profondo.
“Bene gente,
adesso
che si fa? Intendo dire... come facciamo noi vagabondi dei mondi a
tornarcene a
casa?” chiedo. Non penso che qui mi troverei poi
così tanto male, ma resta che
questo non è il mio mondo e se fosse possibile gradirei
andarmene.
Sì, me ne
sto
convincendo ormai. Che loro non siano frutto delle simpatiche
vecchiette di
Joketsuzoku è più che evidente e il fatto che si
dimostrino bendisposti nei
miei confronti mi porta a credere a quanto affermano.
“Ancora non
lo
sappiamo, purtroppo. Non abbiamo neppure capito perché voi
tre siete qui.
Personalmente conto su Shan-Pu: lei è l’unica che,
sebbene in maniera
indiretta, ha già avuto a che fare con ‘sti
bordelli spazio-tempo-luogo.
Inoltre ha ereditato tutto l’immenso ciarpame di sua nonna,
pieno di formule
magiche e sortilegi e maledizioni. È il vostro migliore
biglietto di ritorno”.
VRAAAAAM.
Parli del diavolo
cinese ed eccolo spuntar fuori.
Sarò
sincera: i suoi
trenta e rotti anni, o quanti cavolo sono, se li porta da dio.
Assomiglia
paurosamente alla “mia” Shan-Pu, salvo qualche
minuscolo accenno di rughe
attorno agli occhi. Anche l’abito che indossa, il
più classico dei suoi
completi fucsia, potrebbe essere uscito da un armadio che ho aperto
personalmente.
Per non parlare dei capelli, tenuti alla perfezione.
Dovrò farmi
dare
qualche dritta in tema di fashion, prima o poi.
Ansima appoggiata
allo stipite della porta, provata da un’evidente corsa. La
distanza fra il
Nekohanten e il dojo Tendo non è copribile in
così poco tempo a passo normale.
Senza esitare punta
gli occhi su di me.
No dai, finitela di
farmi sentire il centro dell’attenzione. Solo
perché sono l’ultima arrivata.
“Oh santo
*anf*... se
fosse stata *anf* la prima... credo *anf* che sarei venuta meno seduta
*anf*
stante...”.
Mi farò
chiamare
Akane Tendo, la Donna che Sveniva la Gente.
“Terza in
ordine di
arrivo, zia. Non cercare di fotterci il
posto”.
“Shinichi,
per l’amor
del cielo. Abbi rispetto per lei e per quel che starà
provando!” esclama Genma
dopo essersi alzato e avergli dato una leggera pacca di rimprovero
sulla
schiena.
No, sul serio. Chi
è
quest’uomo?
“Ascolta”
riprende
poi “perché non vai a dare un’occhiata a
tua madre? Al momento è sconsigliabile
che le caschi l’occhio su uno qualsiasi fra me, Akira e
Akane. Probabilmente
avrà pensato di aver avuto un incubo o un abbaglio e ha
bisogno di facce conosciute,
non facce di persone che per lei sono... morte. Poi magari,
più in là, potremo
spiegare anche a lei la situazione”.
“Mi sembra
una buona
idea”. Si alza e si porta in cucina senza dire
un’ulteriore parola.
Per qualche minuto
aleggia il silenzio, intervallato solo dai boccheggi di Shan-Pu che
cerca di
recuperare il fiato. Nel frattempo noi tre, che ci siamo tirati in
piedi, ci
guardiamo senza saper bene cosa dire o fare. Akira si è pure
appoggiato al
muro, le gambe incrociate e le braccia conserte.
Poi,
inaspettatamente, lei mi si avvicina. Mi guarda. Mi abbraccia.
Alzo le mani,
travolta dalla sorpresa.
“Sh...
Shan-Pu? C-che fai?”.
“So che non
capirai
quanto sto per dire, ma sei quello che più la ricorda. Ti
chiedo scusa, Akane. Perdonami,
ti scongiuro”.
Io? Perdonare lei?
Non so neanche chi è davvero, cazzarola! Tanto per
cominciare non capisco come
faccia a farsi comprendere così bene, impedita come la
conosco con il
giapponese.
“Per-perdonarti?”.
“Non tu...
tu. La te
stessa di questa terra. Sono stata crudele con lei e, tramite te,
vorrei poter
espiare un po’ della mia colpa”.
Mi scosto con
delicatezza, la situazione mi metteva a disagio. Sorride, un sorriso
colmo di
tristezza e rimorso.
“Di cosa
stai
parlando? Non capisco”.
“Certo. Come
puoi
capire senza che ti spieghi?”.
Almeno ci arriva da
sola.
“Akane, non
so quanto
ti hanno detto del Torneo che si è svolto in questo mondo
ormai diciotto anni
fa...”.
“Qualcosina.
Ad
esempio so che è a causa di quell’avvenimento se
gli indigeni tendono a perdere
i sensi vedendomi”.
“Allora sai
anche cosa
ti... le è successo”.
“Sì,
lo so. E so che
tu eri presente”.
“C’ero.
Ed è lì che mi
sono macchiata del torto peggiore, proprio in occasione del suo
combattimento.
Ho riso. Vedendola battersi io ho riso, sempre più forte e
senza preoccuparmi
che sentisse o meno. Non le sono stata accanto mentre esalava l'ultimo
respiro.
Non l’ho ringraziata, di persona o in silenzio che fosse, per
il suo
sacrificio. Quando poi l’ho raccolta ero contenta, contenta
di vederla
finalmente senza vita. E questo nonostante Ranma se ne fosse andato
già da un
pezzo. Le sue sorelle mi hanno parzialmente assolta, ma posso togliermi
definitivamente questo peso dalla coscienza solo scusandomi in
ginocchio con la
diretta interessata... o con colei che più le assomiglia.
Pertanto...”.
E lo fa. Si mette in
ginocchio.
“Akane, se
puoi perdonami”.
Sono ammutolita. E
schiacciata dalla gigantesca quantità di sofferenza che mi
ha gettato addosso.
È veramente
pentita. Lo
si vede. Lo si sente. Lo si annusa, persino.
Come ha potuto
sopravvivere tutto questo tempo con un tale fardello?
Le prendo il polso e
la aiuto ad alzarsi: “Va bene Shan-Pu, se può
darti sollievo... Akane
Tendo ti perdona”.
“D-dici sul
serio?”.
“Dico sul
serio. Se
l’Akane di questo mondo mi assomigliava almeno un
po’ sono convinta che, di
fronte a questa dimostrazione di grandissimo rammarico, non avrebbe
esitato e
ti avrebbe teso la mano in un gesto di pace”.
“Io...
io...”.
No per favore, non
farlo. Non metterti a piangere. Ti verrei dietro.
Ma non mi
dà retta.
Eccole, le sento
salire.
Cominciamo assieme.
Ed è naturale, quasi automatico stringerci l'una
all’altra. I maschi non fanno un
suono, né paiono intenzionati a interromperci.
Non so quanto ci
sfoghiamo. Poi, esattamente com’era venuto, ci lascia. Con le
gote bagnate e un
senso di pacata rassegnazione.
Staccandoci pare
accorgersi della cicatrice e mi chiede, sussurrando, come me la sono
procurata.
Le spiego velocemente le circostanze. Senza stupirmi minimamente chiede
anche
se può toccarla, mettendo fin troppo riguardo nella
richiesta. Dico senza
stupirmi
perché pare essere
diventato sport nazionale, non importa quale sia il mondo in cui mi
trovo,
tracciarne i contorni. La gente si trastulla con poco.
Staccando il dito
domanda: “Ma quindi siamo state noi amazzoni a farti
questo?”.
“Non usare
il noi, tu... lei non
c’entra nulla. Da
quando è successo tutto quel casino con Mousse la sua
posizione con la tribù
è... diciamo compromessa. E non solo la sua”.
“Si sono
ribellati?”.
“Praticamente
sì, a
conti fatti. Ed è per questo che loro hanno deciso di
punirci. Questo fa parte
della punizione”.
“Mi fai
sentire
ancora più in colpa, così...”.
“Ti prego,
no. Tu non
hai davvero nulla a che fare con questo. E poi, rispetto a qui, da me
si sta
molto meglio. Io e la gente che ci gira attorno abbiamo superato i
sedici anni,
per esempio. E forse, fra un po’, ci sarà qualcuno
che mi farà tornare in mente
uno dei presenti...”. Butto lì senza impegno
quest’ultima allusione, notando
che chi di dovere arrossisce.
Quei due fanno
faville un po’ ovunque, a quanto sembra. Tranne quando
muoiono adolescenti.
Chissà se
qui io e
Ranma abbiamo almeno ammesso i nostri sentimenti...
Poi si apre la porta
d’ingresso.
Oh cavolo,
è vero.
Siamo a casa di Shinichi. E ha anche un padre, oltre a una madre.
E pure una sorella,
vedo. Sorella che...
Maledizione. Potrei
essere io una decina d’anni fa. È identica.
Anche Tofu
è sempre
uguale a se stesso. Ci osserva inebetito, saltando con gli occhi da me
a Genma
ad Akira e poi facendo il giro al contrario.
“Ma...
che... cosa...
chi...” balbetta. Pover’uomo. La piccola invece ci
guarda sorridendo,
evidentemente ignara delle implicazioni.
Vediamo se riesco a
fare tre su tre con i malori degli Ono. Per precauzione mi avvicino,
nell’eventualità che anche lui non regga
all’impatto di vedermi.
“A-A-Akane?”.
Ok,
forse ho corso un po’ troppo. Naturalmente è
scosso, ma non dà l’idea di uno che
sta per perdere i sensi.
“Dottore...”
inizio
in tono remissivo, come se dovessi scusarmi della mia presenza.
“Come...
come... puoi
essere qui? E... e così... giovane...”.
“SHINICHIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!”
è l’urlo che ci squassa le orecchie. Mi giro verso
Akira, il suo autore, con
una faccia che dice ti
sei bevuto il
cervello?.
Fa spallucce.
L’interpellato
accorre rapido, spuntando dalla cucina.
Vede il padre e la
sorella.
“Occazzo.
Papà, Rei.
Tempismo perfetto”. ‘Sto ragazzo deve essere stato
adottato, per forza.
“Cosa sta
succedendo,
figliolo?” chiede Tofu, leggermente meno traballante.
Un sospiro formato
famiglia prima di rispondergli: “Papà,
è un puttanaio che al confronto il Torneo
sembrava un giochetto per poppanti”.
“Aspetta,
aspetta!
Rei, perché non vieni con me? Ti mostro una cosa
divertente” interviene Shan-Pu
afferrando la mano della bambina e trascinandola fuori, sorda alle sue
proteste.
Mi viene da pensare
che sia stato un colpo di genio, anche se non ho elementi per
stabilirlo con
certezza. Credo che, essendo lei ancora così piccina, non
sappia nulla.
Shinichi comincia a
spiegargli. E più spiega, più la faccia di Tofu
si distorce in un qualcosa di
indefinibile. Ma di sicuro non bello.
“Mi stai
chiedendo di
credere a una storia tanto assurda...” afferma una volta
finito il riassunto.
“Benvenuto
nella mia
situazione quando ho scoperto del Torneo” gli risponde senza
battere ciglio.
“Tua madre
dov’è? Sa
di tutto questo?”.
“All’incirca.
Per
cause al di fuori del nostro controllo era in cucina quando ha visto
Akane per
prima e... ecco, immaginati come sono andate le cose...”.
“È
svenuta, vero?”.
“Stecchita”.
“Adesso come
va?”.
“Meglio. Si
è ripresa
ed ero con lei quando siete rientrati. Stavo tentando di introdurla
pian piano alla
patata bollente”.
“Passami il
tuo
cellulare, per piacere” gli ordina con una voce autoritaria
di cui non lo
credevo sinceramente capace.
Quando ha
l’affare in
mano schiaccia pulsanti a caso, movimenti che come con Shinichi mi
risultano
del tutto oscuri.
Dopo un po’
comincia
a parlare: “Shan-Pu, sono Tofu. Puoi tenere Rei lontana da
casa per qualche ora?
Non voglio rischiare che senta”.
“...”.
“Certo che
lo spieghiamo
a Kasumi. Ha il diritto di essere messa al corrente”.
“...”.
“No, non
credo di comportarmi
in modo avventato. E poi ha già un piede nel fango, tanto
vale farglieli
mettere tutti e due”.
“...”.
“Shan-Pu,
per favore.
Sono abbastanza vacillante a livello emotivo da non poter reggere un
litigio. Fa’
come ti ho detto. Te lo chiedo come piacere personale”.
“...”.
“Ecco,
quando sei
accomodante mi piaci molto di più. La prossima seduta per i
tuoi dolori
articolari è gratis. Consideralo il mio modo di
sdebitarmi”.
Toh, ma allora il
tempo passa anche per lei. Ha già i reumatismi.
Mentre ridà
il
trabiccolo a Shinichi gli dice: “Torna da tua madre e
assicurati che stia bene,
poi raggiungeteci in salotto. Vi aspettiamo lì”.
Esegue senza una
protesta. Il ragazzo è pestifero e dalla lingua biforcuta,
ma si nota che lo rispetta.
L’evidenza mi scalda il cuore.
Seguiamo il
capofamiglia mentre ci conduce verso il nostro obiettivo. Devo
ammettere che mi
fa piacere vederlo reagire con sangue freddo e compostezza.
Ci accomodiamo. Per
caso finisco sul divano, proprio al suo fianco sinistro. Qualche anno
fa sarei
diventata rossa come un peperoncino di Cayenna all’idea.
Avrei finito col
giochicchiare nervosamente con l’estremità della
mia coda di cavallo,
borbottando frasi senza senso. Prima di Ranma.
“Quindi
siete capitati
qui per caso non sapendo come?” inizia.
“Proprio
così”.
“Eggià”.
“Quel che
hanno detto
loro”.
“Voi non
sospettate
nemmeno quanto sia destabilizzante avervi qui. Specialmente tu, Akane.
Se sei
stata aggiornata sullo status quo di questo mondo...”.
“Praticamente
la prima
cosa che mi hanno riferito. E sì, capisco benissimo quello
che intendi. Fin
troppo bene grazie a Shan-Pu”.
“Cos’ha
fatto
Shan-Pu?”.
“Ha tirato
insieme
una pantomima da teatro, con tanto di scuse in ginocchio. Mi ha messa
in
imbarazzo”.
“Oh. Mi
spiace. Ma
cerca di capirla, ha vissuto molto male gli ultimi
momenti...”.
“Era fin
troppo
chiaro. Quella poveretta deve aver passato cento e più notti
a disperarsi,
ricordando come si era comportata”.
Vi prego, chiudiamo
il discorso. Mi sento in colpa, anche se lucidamente mi rendo conto
di non
aver fatto nulla che mi possa essere rimproverato.
“Piuttosto,
perché
non...”.
La frase di Genma
viene troncata dal sopraggiungere di Kasumi e Shinichi.
Bene Akane,
è il
momento della verità.
La guardi. Lei ti
guarda.
Ti alzi.
Si tocca la guancia e
noti immediatamente un accenno di lacrime agli angoli dei suoi occhi.
Ti avvicini. Lei si
avvicina.
Apri le braccia. Ci
si tuffa come un pesce scemo dentro il retino.
La stretta
è
soffocante, calda, confortevole.
“Mi sei
mancata
Akane, mi sei mancata da morire”.
“Io non sono
lei”.
“Non
importa. Mi sei
mancata lo stesso”.
Ti commuovi di nuovo?
Stai diventando una mollacciona, Tendo.
Per gentile concessione di Laura Pex |
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Porca vacca se ne è passato di tempo ***
10 dicembre 2008.
Dodici mesi. Siamo
bloccati qui da dodici mesi esatti.
Ho festeggiato il mio
diciassettesimo compleanno un anno prima di essere nato, circondato da
persone
che conosco a malapena.
Niente Masashi.
Niente Kazuo. Niente Yuichiro. E soprattutto niente Chigusa, la ragazza
per cui
avevo una mezza cotta e che, prima di questa disavventura, stavo
seriamente
pensando di invitare fuori per un caffè.
Alzo la testa verso
il cielo senza rompere la posizione del loto con cui sono seduto in
giardino.
Anche se è metà mattina non sono andato a scuola,
come non l’ha fatto Akane. In
tutto questo tempo siamo rimasti fermi a livello educativo, impegnati
come
siamo a cercare una soluzione al nostro problemuccio.
Il sole è pallido e
scalda poco, normale per il periodo. Ma non ho freddo, la temperatura
è
comunque gradevole.
“Ehi, bell’addormentato!”.
Non mi volto, ormai
ho imparato a riconoscere quella voce.
“Akiko, cosa c’è?
Stavo provando a meditare”. Chiudo gli occhi per dare
più credibilità alla
scenata.
Un ringhio di
disapprovazione. Odia che venga usato il suo nome finto. Una delle
mille precauzioni
che sono state prese nel suo particolare caso, visto che è
l’unica di noi
transfughi che non può proprio prendersi il lusso di uscire
e camminare in
pace.
Succederebbe un
macello se qualcuno la riconoscesse e cominciasse a urlare
“Akane Tendo è tornata
dall’aldilà più giovane! E con una
cicatrice da gangster! Aiuto, invasione
degli spiriti della vendetta!”. D’accordo che usano
la BB cream per mascherarla
un po’ ma, come mi sono permesso di far notare fin da subito,
non aiuta
granché.
“Potresti essere
gentile ed evitarti di pronunciarlo se non è strettamente
necessario, no?” dice
sedendosi al mio fianco. Nonostante le evidentissime differenze
è simile a
sufficienza alla “mia” Akane da permettermi di
poter capire cosa si cela
davvero dietro le sue parole. E in questo caso, nonostante la
scocciatura
superficiale, la sento tutto sommato divertita.
Si dev’essere alzata
bene. Al contrario di me.
Per qualche istante
la ignoro. Poi gli istanti diventano molti.
“E potresti essere
meno scortese con quella che consideri una tua zia” aggiunge
soffocando male un
risolino.
Mi fa piacere che tu
sia di buonumore. Me ne venderesti mica un po’, per favore?
“Non sei lei.
Trentaquattro anni di divario non sono bruscolini. Per non parlare del
segnetto”.
“Pignolo. L’essenza
di una persona rimane sempre la stessa, a prescindere
dall’età”.
“Quindi mi stai
dicendo che consideri quel Genma il tuo quasi suocero e la Kasumi di
qui tua
sorella?”.
Fa un verso strano, a
metà fra lo sconcerto e la costernazione: “Non...
non esattamente. Ma in
spirito sì. Più o meno. A volte”.
“Potevi far che dire no,
ti saresti risparmiata delle
distinzioni inutili”.
“Ora non farmi il
criticone a tutti i costi. Guarda che lo so che di base la pensiamo
uguale. E
poi come saresti riuscito a capirmi e a legare così bene con
me altrimenti? È
perché ti sei rifatto alle tue esperienze passate con lei e
hai saputo sin da
subito come prendermi”.
“Tu dici? Io pensavo
fosse stata più fortuna sfacciata”.
“Ti sottovaluti,
Akira”.
“Non mi va di
parlarne, ok?”.
“Ok” annuisce, la
voce un pochino affranta.
Torna il silenzio.
Per come sto adesso la cosa non mi crea problemi. Anzi.
Contro ogni mia
intenzione cosciente sono io a romperlo: “Akane...”.
“Sì?”.
“Credi... credi che
torneremo mai a casa?”.
Ok ok ok, aspetta prima
di aggredirmi. Ricordo benissimo il diktat secondo il quale
l’argomento è
off-limits. Solo che... solo che è già passato un
anno.
Comincio a
preoccuparmi sul serio.
La vita qui non è una
tragedia, capiamoci. Gli Ono si sono svenati e si stanno svenando,
monetariamente e affettivamente, per cercare di renderci la permanenza
meno traumatica
possibile. E fra noi tre si è instaurato un rapporto
solidale, da anime
afflitte dallo stesso morbo che cercano consolazione in chi
è come loro. Come
dimenticare, ad esempio, i gavettoni che mi hanno tirato addosso solo
sei
giorni fa mentre cercavo di spegnere le candeline della torta? Va bene,
forse
dei gavettoni non sono tutta ‘sta gran manifestazione di
attaccamento ma... per
dire, anche solo qualche mese fa non sarebbe andata così: ci
saremmo trovati
attorno a un tavolo e mi avrebbero cantato Tanti
auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri ad Akira, tanti auguri a
te in
tono loffio, quasi fosse un obbligo. O magari si sarebbero evitati
persino
quello. Invece lì vibrava l’atmosfera lieta,
tipica del compleanno di un amico
o di un parente stretto.
Piccole cose del
genere, niente di eclatante. Ma abbastanza da farmi sentire benvoluto e
accettato, anche in uno strano capannello di persone come il nostro.
E come non sottolineare
una volta in più l’estrema ospitalità
che questa famiglia ci ha fornito e
continua a fornirci, incurante del fatto che siamo piombati
all’improvviso
nelle loro vite mettendogliele sottosopra? Non ho nessuna remora nel
definire
Tofu e Kasumi come due genitori adottivi, dei migliori fra
l’altro. Sempre
disponibili, comprensivi, attenti, rispettosi. E in un certo senso
è come se ci
avessero davvero adottato, a me e ad Akane, visto che abitiamo qui,
mangiamo a
spese loro, ci vestiamo a spese loro, ci svaghiamo a spese loro.
Nel caso di lei la
cosa è più facile da comprendere, è
pur sempre il simulacro di una sorella
perduta brutalmente in una sorta di gioco al massacro in cui la tua
unica
scelta era se volevi crepare da solo o portandoti dietro il mondo
intero.
Ma io, a fare i
cinici, non sono nulla per loro. Non esisto, non sono mai esistito e
non
esisterò mai. Sono il figlio di due vaghi conoscenti morti
da vent’anni. Eppure
non hanno esitato a considerarmi parte della famiglia, come se non ci
fosse la
minima barriera fra di noi.
Da un anno Tofu Ono e
Kasumi Tendo in Ono hanno quattro figli e non due. Per modo di dire,
chiaramente, e soprattutto non per il resto della città. La
versione ufficiale
sostiene che io e Akiko siamo dei cugini di altissimo grado, qualcosa
attorno
al quinto o sesto, da parte di Kasumi e che siamo venuti a vivere con
loro dopo
che i nostri genitori sono morti in un incidente. Genma è
Genma, non c’è stato
bisogno di nessuna copertura e semplicemente ha deciso di tornare a
Nerima dopo
aver girato tutti i continenti in lungo e in largo.
Oh giusto,
dimenticavo: la balla vale anche per Rei. Non hanno avuto il fegato di
riempirle la testa con tutte quelle informazioni che la sua mente di
dodicenne
ingenua non avrebbe mai potuto comprendere. E, onestamente, come
biasimarli? Per
lei la cicatrice di Akane è dovuta a quello schianto con la
macchina.
Tutto ciò è molto
bello. Commovente quasi. E non sono sarcastico, lo intendo sul serio.
Però questo è un
mondo estraneo. Nonostante tutto a me casa mia manca. Mi mancano i miei
genitori, i miei compagni di classe, arrivo persino a farmi mancare i
professori. Per dire come sto messo.
“Perché me lo chiedi,
Akira?”. La sua voce non tradisce il minimo cenno di
tensione. Sembra
tranquilla. Ma non credo neanche per un istante che, durante tutto
questo
periodo, non abbia mai pensato una sola volta alla peggiore delle
eventualità.
Comincio a
schiacciarmi e a muovere le dita in maniera convulsa. Mi capita sempre
quando
sono nervoso, e tutta questa calma da parte sua mi rende tale.
Voglio conoscere il
tuo cacchio di segreto.
“Sai com’è, un anno
di buchi nell’acqua non è un
bell’auspicio”. Detto con il tono più
neutro che
mi esce, visto che è a tutti gli effetti un dato di fatto.
“Non hai torto, già.
Però sono serena. Prima o poi qualcosa troveremo, abbi
fiducia”.
“In chi? In cosa? In
un intervento divino? In qualche kami che decide di guardare
giù e fa «massì,
rimandiamoli da dove vengono che
hanno sofferto abbastanza»?
Spiegami come puoi non
sentire il desiderio di tornare al luogo cui appartieni”.
Al che mi guarda e
assume quella che trovo un’espressione da pesce lesso, troppo
cotto e pure un
po’ bruciacchiato sulla griglia: “Akira, cosa ti fa
credere che non mi sia mai
successo? Esattamente come avevo predetto, non immaginando che sarebbe
stato
necessario averne una conferma pratica, qua non si sta affatto male. Ma
hai
ragione quando dici che la sete di casa si fa sentire. In questo
preciso
istante sono solo fortunata che l’essermi alzata col piede
giusto dal letto mi
sta aiutando a non pensarci, o almeno lo stava facendo
finché tu non hai
portato a galla l’argomento. In realtà
è più semplice di quanto sembri: io, te
e Genma siamo abbastanza impotenti rispetto alla situazione, nel senso
che
possiamo solo aiutare a spulciare il mare di scartoffie di Shan-Pu ma
non è che
possiamo prendere, dire «Ok, ora
vado a casa» e farlo. E quindi, come
mi piace dire atteggiandomi da Akane la Saggia, in una situazione di
questo
genere è meglio cercare di mantenere una prospettiva il
più possibile
ottimista, ché il disfattismo porta solo danni e crisi
isteriche. Soddisfatto,
nipote?”.
Quel sorriso
sbruffone, da chi ha ragione e sa di averla e non fa niente di niente
per non
trasmetterti quella sensazione, mi dà una e una sola cosa:
la voglia di tirarle
uno schiaffo.
Non me ne faccio uno
stracazzo di nulla di una che fa la parte del grande maestro buddhista
di
‘staceppa. E sono pure troppo di cattivo umore per accettarlo
passivamente.
“Sì Akiko,
soddisfattissimo. Ma solo una curiosità: il tuo soprannome
non dovrebbe essere
La Donna che Sveniva la Gente? Parole tue, eh”. Se tu giochi
sporco lo posso
fare anch’io.
Un altro ringhio, un
po’ più gutturale del precedente. Allora
vediamo... così non è ancora fuori di
sé, palese dal fatto che non mi abbia scagliato su Marte, ma
comincia ad
accusare il colpo. Poi però scoppia a ridere, spiazzandomi.
Che cos’è questa
stregoneria? L’Akane che ricordo, quella del mio mondo
intendo, non sapeva
cercare di mettere le briglie a una sfuriata montante. Memorabile
l’occasione
in cui suo marito, in un crescendo di ottusità e totale
carenza di garbo, è
riuscito a portarla al punto di ebollizione in meno di due secondi e
otto
decimi e ci ha guadagnato fratture multiple e quattro giorni di
trattamento del
silenzio. Il tutto partendo da un commento apparentemente leggero sul
colore
delle scarpe di lei. Papà aveva ragione a definirlo maledetto genio del male mancato.
“Questo tuo
autocontrollo è nocivo al divertimento, lo sai?”
mi lascio sfuggire ad alta voce,
dando corpo ai pensieri.
“Rido per non
piangere. E per non riempirti di botte come meriteresti.
D’altronde non
vogliamo che i tuoi ti vedano senza metà dentatura ed
entrambi gli occhi neri,
no?”. Uuuuuh, questo tono ilare. Smettila, sennò
ti mando a Fanculolandia per
direttissima.
“Però vedi che così
facendo dai ragione a me? Se tu fossi stata lei io non sarei
più qui, nel
giardino di casa Ono, bensì sarei a cavalcioni di un orso
bianco nel bel mezzo
dell’Artide”.
“Uhm. Tre decenni e
rotti di differenza... no, saresti in mezzo a qualche foresta africana,
probabilmente”.
“Addirittura? Al
contrario del vino buono, più invecchi e più
peggiori”.
“Dipende dai punti di
vista, giovanotto”.
“Ehi! Hai due anni
più di me, non cinquanta!”.
“Scusa. Mi sono
calata troppo nella parte”.
“Insomma, non chiedo
tanto. Vorrei solo rivedere le persone a cui voglio bene. E non che a
voi non
ne voglia, ma ecco... non è proprio la stessa cosa. Senza
offesa”.
“Ovvio che non sia la
stessa cosa, e stai tranquillo che non mi offendo. Mi sono affezionata
a te, a
Shinichi, a Genma, alla Kasumi che ogni tanto faccio ancora fatica a
riconoscere... ma non siete voi i miei veri affetti. Come prima hai
ragione,
innegabilmente. Ogni giorno che passo qui è un
giorno che non passo con Ranma,
con Ukyo, con Ryoga e persino con Shan-Pu. E quegli splendidi idioti mi
mancano
da matti. Piuttosto, non ti stufi mai di essere sensato?”
conclude alzandosi e
sorridendomi ancora.
“E adesso dove vai?”.
“A sfondare qualche
mattone. Devo scaricare un po’ di rabbia, tuo gentile
regalo”.
Mentre osservo la sua
schiena che si allontana...
“Scusa Akane, davvero
scusa. Non intendevo irritarti”.
Si ferma e, senza
voltarsi nella mia direzione, risponde: “Lo so, Akira. Ho
imparato a
riconoscere i tuoi giorni no, quindi capisco che buona parte di quanto
hai
detto è causato solo dal malumore. Passerà. Non
lasciarti andare, l’assenza di
fiducia uccide. Noi torneremo a casa”.
“Vorrei poterti
credere, ma oggi non mi è proprio possibile”.
“Sarà per un’altra
occasione, allora”. E, per la prima volta
dall’inizio di questa conversazione,
il suo tono conciliante non mi infastidisce.
La vedo sparire senza
un ulteriore rumore.
Fatico a credere a
quanto ho visto e sentito. Sono sempre più convinto che si
sbagli, in merito
all’essenza delle persone. Perché in lei non
c’è l’essenza dell’Akane che
conosco, o se c’è è molto indebolita.
Manca l’impulsività, l’invidiabile
capacità di equivocare apposta, la voglia di far volare le
mani al primo
sgarro.
Passano dieci minuti
e comincio a sentire, in lontananza, grida che mi sono parecchio
conosciute.
“Bruttostronzocretinoinsensibilezoticobastardo!”.
Forse la mia teoria
non è del tutto giusta. O forse, incredibilmente,
quest’Akane diciannovenne ha
più autocontrollo dell’Akane ultracinquantenne del
mio mondo. Come se poi fosse
difficile.
Torno a guardare un
punto a casaccio di fronte a me.
All’improvviso dalla
mia tasca risuona La Cavalcata delle Valchirie. Beh, uno non
può avere una
suoneria del cellulare non tamarra per caso? Inoltre ho sempre amato
Riccardo Van.
Lo tiro fuori. Tsk,
non sono abituato a un preistorico smartphone. Rivoglio lo schermo 3D
del mio
geniusphone. Ma a cellulare donato dai tuoi benefattori non si guarda
nel
display.
È Genma.
“Pronto?”.
“Ciao Akira”.
“Ciao vecchio”.
“Oh. Cattivo umore?”.
“Un po’, sì. Che
c’è?”.
“Lo sai cosa c’è. È
l’ora del nostro rituale quotidiano. Raccatta Akane e
troviamoci al solito
posto”.
“Ok”.
“A tra poco”.
“A tra poco”.
Cheppalle. Sono
talmente sfasato che oggi non ho nemmeno voglia di fare quella cosa.
Che, per
inciso, è praticamente l’unica
possibilità di rimediare alla mia... alla nostra
situazione attuale. E quindi di farmi passare lo scazzo. Divertenti i
circoli
viziosi, proprio divertenti.
Vado a recuperare
Cita l’Urlatrice Folle.
“Akane” esclamo
entrando nel dojo, mentre lei sta posando altre mattonelle da
frantumare “ha
chiamato Genma. Ci aspetta al Nekohanten”. Ne hanno fatto
scorta dopo
l’occasione in cui, essendone sprovvista, non ha trovato
niente di meglio da
fare che dare un pugno al muro incrinandolo.
Uhm. Che abbia
ragione lei?
“Yaaaaaaaah”.
CRONCK.
“Va bene. Dammi due
minuti che mi sistemo, indosso l’armamentario e ci
avviamo”.
“Ricevuto”.
La osservo con fare
annoiato mentre ripone quel poco che ha spostato e si dirige verso
quella che è
diventata camera sua. Ovviamente, per comodità di tutti, le
hanno assegnato la
stanza che la sua controparte di qui occupava ai tempi e sulla porta
c’è ancora
la paperella con il suo nome. Io invece sono finito
nell’ex-camera da letto di
Nabiki e il vecchio, per cercare di non pesare troppo sui poveri Ono,
ha ben
pensato di affittare un appartamento lungo la via e di trovarsi un
lavoretto.
Non so bene, a dire il vero, ma credo che faccia l’operaio
perché, nonostante
l’età non proprio più verdissima e quel
suo maledetto viziaccio del fumo, è
ancora molto tonico e capace di sostenere impegni di una certa fatica.
Il “mio”
Genma non l’avrebbe mai e poi mai fatto, per quel poco che
conosco di lui
tramite i racconti di zio Ranma.
No, ho ragione io.
La vestizione è
rapida, come al solito. Ed eccovi Akiko Honda, siore e siori: trucco
pesante ma
non perché le piaccia, parrucca di lunghi e setosi capelli
biondi, lenti a contatto
rosse, felpa di pail anonima, gonna lunga tutto il polpaccio e oltre.
“Continua a meravigliarmi
come tu non dia in escandescenze ogni volta per doverti conciare in
questa
maniera” le dico poggiandole una mano sulla spalla con tono
sinceramente rammaricato.
Non la sto sfottendo, serio. Se tanto mi dà tanto,
cioè se lei ha gli stessi
gusti di chi so io, vestirsi in questo modo le fa a dir poco ribrezzo.
E io non
le voglio così male.
“Ancora che non devo frequentare
scuola ridotta così. Con la sfiga che mi gira attorno il
travestimento sarebbe
andato a pallino in meno di una giornata, e poi vai a raccontare
perché sono
qui invece di essermene restata buona buonina nel mio loculo”.
“Oh su, Akiko. Tu e
il tuo fratellino siete giustamente rimasti traumatizzati dal botto che
si è
portato via i vostri genitori ed è più che
normale che vi siate presi un anno
sabbatico”.
“... mi fa ridere che
stia parlando del fantomatico Akira Honda come se fosse
un’altra persona”.
“Perché, non lo è?”.
“Ora sei ridicolo,
non solo buffo”.
“Puoi burlarti di me
mentre ci avviamo. Poi sai come diventano se facciamo tardi”.
Sorride per l’ennesima
volta mentre mi spinge via e mi incita ad incamminarci. Se davvero mi
sto
sbagliando ne sono proprio contento, umore odierno a prescindere.
La passeggiata è
abbastanza piacevole, tutto considerato. E anche abbastanza veloce.
Varchiamo la soglia
del Nekohanten.
E... sì, ci siamo
proprio tutti, tranne Shinichi che è bloccato in quel posto
di perdizione e
tortura chiamato scuola.
Siamo fin troppi,
anzi.
Perché c’è pure
Nabiki.
13 dicembre 2007.
“Akira, per favore! Calmati! È Nabiki, non un
branco di leoni!” mi
implora Kasumi, inquieta.
“Avrei preferito il branco di leoni!”.
Per fortuna siamo solo noi tre. Non so dove siano gli altri, ma li
ringrazio di non essere presenti. Evito volentieri la figuraccia
astronomica
che probabilmente sto rimediando agli occhi della maggiore delle Tendo.
“Insomma, si può sapere cosa ti prende?”
mi chiede la signora Ono
poggiandomi le mani sulle spalle. Sopprimo l’impulso di
scostarla, non è con
lei che ce l’ho. Bensì con la strega travestita da
essere umano che ha appena
varcato la soglia di casa e ci sta osservando con un sorrisino che le
toglierei
volentieri a sberle.
“Cosa mi prende? Mi chiedi cosa mi prende?”.
“Esatto, ti chiedo cosa ti prende. Non capisco il tuo
comportamento”.
“Rispondile, Akira” mi provoca. E non sa
quant’è vicina a farsi
gonfiare la faccia.
“Io non mi fido di lei” sentenzio. Inutile star qui
a girare attorno al
problema, meglio cavarsi subito il dente.
“In merito a cosa?”.
“In merito alla situazione mia, di Akane e di Genma. Kasumi,
non voglio
credere di dover essere io a spiegarti con chi abbiamo a che
fare”.
“Non devi, infatti. Credo di conoscere mia sorella un
po’ meglio di te”.
Uh, la nota d’astio. Devo aver detto una parola o due di
troppo.
“Non ne dubito” cerco di salvare il salvabile
“Ma resta che di Nabiki
Tendo la Cannibale non mi fido”.
La diretta interessata, a quanto pare stufatasi di rimanere in
disparte, interviene: “E sentiamo, cosa hai paura che possa
fare?”.
“Oh, non lo so. Non sono mefistofelico come te. Non fatico a
credere
che qualcosa di spregevole ti verrà in mente”.
Per un solo, misero istante c’è silenzio. Poi
l’imputata, perché tale
la considero in questo momento, copre la distanza che ci separa e si
pone
esattamente di fronte a me. Chiede a Kasumi di scostarsi e quella
acconsente,
anche se è evidente che la situazione la preoccupa.
“Vuoi la verità, marmocchio? Tutta la
verità, nient’altro che la
verità?”.
“Ci puoi scommettere, megera”.
“In primis ringrazia che io non conosco le arti marziali e
non mi piace
alzare le mani come alla fu Akane, altrimenti adesso ci sarebbe un buco
in più
nel tetto di questa casa e tu avresti l’invidiabile
possibilità di salutare i
passeggeri del più vicino aereo. In secondo luogo: come ti
permetti? Come ti
permetti di sputare giudizi nei miei confronti?”.
“Mi permetto perché ti conosco”.
“Mi conosci? Tu mi conosceresti? Ragazzino, vedi di non farmi
perdere
la calma o potrei rimangiarmi il proposito sulla violenza”.
“Non lo faresti, Nabiki Tendo è tutto fumo e
niente arrosto da quel
punto di vista. Peccato che, da altri punti di vista, sia il peggior
squalo che
infesta il mar del Giappone”.
“Dimmelo, allora. Cosa temi da me? Perché tutta
questa circospezione?
Perché ti fasci la testa prima di essertela
rotta?”.
“Lo ripeto, visto che a quanto pare qualcuno qui non ci sente
da un
orecchio: ti conosco. So di cosa sei capace. Ti ho vista
all’opera. Sono
consapevole del fatto che per te non esistono limiti e non esiste
moralità. Se
vedi soldi in fondo alla via la percorri a testa bassa, incurante di
chi potresti
schiacciare sul percorso”.
“Fammi capire bene” dice incrociando le braccia al
petto “In quella tua
testolina è fiorito il sospetto che io possa, per esempio,
vendere voi tre a
qualcosa o qualcuno per profitto? È questo che
credi?”.
“Fermamente”.
“Lascia che ti dica questo allora: non succederà.
Io sono tornata a
Nerima per le vacanze natalizie e nulla di più. Ammetto che
venire a conoscenza
della vostra situazione è stata una stangata direttamente
fra capo e collo, ma
la mia cara qui presente sorella ha avuto la lungimiranza di introdurmi
al
discorso con gradualità, evitandomi spiacevoli colpi al
cuore. Perché, che tu
ci creda o no, io un cuore ancora ce l’ho. Logorato forse, e
di sicuro non
limpido come un laghetto di montagna. Ma ce l’ho. E ha
ripreso a battere per
alcune persone già da parecchio tempo, oramai. Da diciotto
anni”.
La pausa è solo per dare carica drammatica al pistolotto
strappalacrime.
“Oh, puoi toglierti quel sorrisetto da piccola faina. Ho
intuito a cosa
stai pensando e no, non sto cercando di fotterti. Anche
perché non me la faccio
con i minorenni. Ma seriamente, no. Da quando è morta Akane
ho fatto un solenne
giuramento con me stessa: non toccare mai più i parenti e
gli amici più
stretti. Questa minuscola cerchia include Kasumi e famiglia e Shan-Pu.
E da tre
giorni, mio malgrado, include anche voi. Cioè, tu
davvero pensi che io
potrei vendere una versione di mia sorella, qualcuno che manca dalla
mia vita
da quasi due decenni? Non ho idea da che mondo arrivi e cosa posso aver
combinato dalle tue parti -anche se mi dovrai fare un resoconto in
merito,
prima o poi- ma questo no, non lo farei. Mai. Per nessun motivo.
Neanche per
un triziliardo di yen. Non perderò Akane una
seconda volta per non
aver saputo controllare i miei istinti, anche se non è
davvero sangue del mio
sangue. Preferirei che un vampiro mi gettasse in testa uno
schiacciasassi
urlando «Wryyyyyyyyyyyyyyy!».
Considerati fortunato che la
sua immunità si estenda anche a voi, che al contrario non
avrei nessun problema
a rifilare al primo barbone trovato in strada per un tozzo di pane
duro”.
Grugnisco. Anche le citazioni da una brutta copia
di Hokuto No Ken si mette a fare. Tsk.
Decido che stavolta, solo per stavolta, mi
toccherà fidarmi di questa serpe. Anche perché
temo sarei impotente se
decidesse di mettere in moto uno dei suoi piani di devastazione delle
vite
altrui, eccezion fatta per l’eventualità in cui le
pianto un’accetta in fronte
e passo i prossimi quarant’anni della mia vita in galera.
“Vedi di non farmi pentire della scelta” dico
sottovoce.
“Cosa ci fa
lei qui?” chiedo in tono inquisitorio.
“Che
c’è, Akira? Devo forse chiedere a te il permesso
per trascorrere il Natale con la mia famiglia?” risponde
accigliata.
Sì,
l’antipatia è decisamente reciproca.
Scelgo di ignorare,
non è il caso che scoppi un
litigio in grande stile. Inoltre, per non so quale miracolo, non ha
spifferato
del piccolo incidente occorso fra me e lei l’anno scorso e
non sarebbe saggio
darle motivo per tirarlo fuori.
“E poi non
è meglio avere un paio di occhi e di braccia
in più per passare in rassegna questo quintale di
roba?” indicando la
spropositata quantità di rotoli, pergamene e libroni
più alti di me che, come
ogni mattina, decorano i vari tavoli del Nekohanten.
“Sigh. Temo
tu abbia ragione, Nabiki”. Kasumi,
diavolo. Non darle corda.
“Forza
gente, che non siamo qui per fare salotto.
Diamoci da fare” è la perentoria esortazione di
Genma a cui tutti ubbidiscono.
E, tanto per cambiare,
buttiamo via un sacco di tempo.
Niente. Non riusciamo
a trovare niente di niente.
Allo stato attuale
quel che abbiamo in mano è la
stessa quantità di informazioni in nostro possesso il giorno
in cui è accaduto
tutto: un cazzo.
Non sappiamo come
siamo finiti qui. Non sappiamo chi o
cosa contattare per farcelo spiegare, presupponendo che
l’esserne a conoscenza
serva a qualcosa di realmente concreto e non sia solo per soddisfare la
curiosità. Non sappiamo come invertire il processo.
Sento come delle
neanche troppo virtuali catene che si stringono attorno alle mie
caviglie.
Giudicando dagli sguardi sconsolati dei miei due compagni, per loro non
dev’essere
troppo diverso. Ma al contrario di me nei loro occhi
c’è ancora la fiammella
della speranza, che so per certo del tutto assente in me, quantomeno
per oggi.
Le sfighe del cattivo umore.
“Signori”
fa ad un
certo punto Nabiki, dopo essersi lasciata cadere su una sedia disfatta
dalla
fatica “so che quanto sto per dire suona azzardato. Se
però quel che mi avete
detto è vero, cioè che in questi
trecentosessantacinque giorni avete esaminato
tutta questa roba senza giungere alla minima conclusione... beh, come
si suol
dire a mali
estremi, estremi rimedi”.
“Sarebbe?”
mi azzardo
a chiedere. Mi piace essere il primo ad afferrare il forcone per
respingere
quello che percepisco come un potenziale pericolo.
“Sarebbe che
la
gentile Shan-Pu non è l’unica persona in possesso
di materiale che può dar
risposta alle vostre domande. E anzi, da par suo ha pure un sacco di
esperienza
diretta...”.
Le facce dei presenti
si distorcono in smorfie per nulla rassicuranti. Davvero sono
l’unico a non
aver colto il riferimento?
“Non so di
cosa tu
stia parlando, Nabiki” dico ad alta voce, sinceramente
spiazzato.
“Non... non
puoi
volerlo coinvolgere...”.
“Tu sei
pazza, Tendo.
Pazza”.
“Penso sia
evitabile
tirare in ballo proprio lui...”.
Va bene, va bene. Ho
capito. Sta parlando di una specie di demone in forma umana,
d’accordo. Non
serve che facciate i buffoni per forza, ve l’ha mai detto
nessuno?
“Akira”
esclama lei sorpresa
“davvero non sai di chi sto parlando?”.
“Direi. Non
mi viene
in mente una sola persona che giustifichi questa reazione”.
“Nel tuo
mondo siete
fortunati. Chissà, magari una delle orde di studentesse che
derubava l’ha
finalmente preso e gliel’ha fatta pagare come si
meritava”.
Uh?
“Ti dice
niente il
nome Happosai?" |
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Vecchio, facci vedere cosa nascondi nel tuo sacco da Babbo Bastardo ***
Come
sono carini
mentre litigano.
“Da quel
maniaco
sessuale non ci andiamo, è chiaro? No no no no
no!”.
“Nabiki ha
detto una
cosa sensata, potrebbe essere la soluzione vincente”.
“Preferisco
rimanere
qui che essere in debito con lui!”.
“Ragiona,
Akane...”.
“Proprio
perché sto
ragionando dico così! Ma insomma, solo io ci vedo della
pazzia in questa
proposta?”.
Se conosco almeno un
po’ il carattere della mia defunta sorella so che ne
potrebbero avere per
molto, pertanto mi alzo senza far rumore e mi avvio verso
l’uscita. Ho voglia
di una sigaretta. E poca voglia di sentir loro che si scannano.
Tanto già
so come
andrà a finire: prima o poi qualcuno la butterà
sul tragico e riusciranno a
convincere quella testa dura che la mia idea, sebbene io sia la prima
ad
ammettere che è azzardata e potenzialmente disastrosa,
è probabilmente l’unica occasione
per uscire dal pantano che ha fatto loro da casa nell’ultimo
anno.
D’altronde,
in
situazioni del genere, prima del Torneo i casi erano due: o ci si
rivolgeva a
Obaba, che forse non era sempre ortodossa ma di cui tendenzialmente ci
si
poteva fidare... o ci si rivolgeva ad Happosai e si stringevano
fortissimo le
dita sperando di beccarlo di buzzo buono. E non che quando è
di buzzo buono sia
poi una compagnia così piacevole, eh. Ma almeno
c’è una discreta possibilità
che decida di aiutare.
Poi il Torneo
arrivò,
via una cariatide si portò e andare dall’altra la
sola opzione restò.
Ok, mai
più. Come
poetessa faccio schifo.
Scorgo di sfuggita
Shan-Pu che mi guarda male mentre armeggio col pacchetto e
l’accendino. Le
faccio capire con un cenno della testa che non ho intenzione di
impestarle il
locale con il mio catrame e che sto per andare fuori.
Una volta
all’esterno
mi appoggio al muro, guardando distrattamente i passanti, e finalmente
mi godo
il mio piccolo tesoro.
Passano dieci minuti
e un cigolio al mio fianco mi ridesta dai miei pensieri sulla mia
personale
tabella di marcia finanziaria.
È Ak...
Akiko. Meglio
che, quando siamo in un ambiente con degli estranei, pensi a lei in
quei
termini. Non voglio lasciarmi sfuggire un nome di troppo.
Sembra abbacchiata.
Può darsi che l’abbiano persuasa.
“Ebbene?”
chiedo con
nonchalance.
“Continuo a
pensare
che sia una pessima trovata, ma non posso negare che siamo davvero con
le
spalle al muro e che potrebbe darci una grossa mano”.
“Chi sono io
per
darti torto?”.
La lontana
cugina
rompiballe, ecco chi sei”.
“Oh su
Akiko, non
fare così. Sai che il mio pragmatismo viene utile in
situazioni del genere”.
“Forse.
Questo non ti
rende meno antipatica”.
Va bene, non posso
fargliela passare liscia. Mi avvicino al suo orecchio e le sussurro:
“Senti un
po’ piccola Akane, non credi di stare esagerando? Quel che ho
detto l’ho detto
per cercare di uscire dall’impasse. Impasse che, ci tengo a
ricordarti, è
vostra e non mia. Io sono a casa”.
“Non... non
vale
giocare sporco, bastarda”. Cos’è questo
tono tremulo, bimba? Ti avrò mica messa
a disagio con così poco?
“Non sto
giocando
sporco e lo sai. Se stessi giocando sporco tu ora saresti su un tavolo
operatorio della CIA mentre ti vivisezionano, cercando di capire come
hai fatto
a tornare in vita”.
Rifiuta di
rispondermi e si scansa, disgustata.
Temo di avere
esagerato. Non mentivo quando ho detto ad Akira che lei, per me,
è sacra in
quel senso.
Sto per scusarmi ad
alta voce quando anche gli altri escono.
C’è
un certo buon
umore in loro, evidente nei sorrisi di Genma e specialmente di Akira.
Il
ragazzo non sa quanto sono brutte le fauci in cui ci stiamo infilando.
“Bene
ragazzi”
esordisce proprio il nostro caro ingenuotto
“perché non ci mostrate dove abita
il signor Happosai? Kasumi ha detto che vive da solo già da
molti anni”.
“Io non ne
ho idea”
rispondo onesta. Passo di qui solo per le festività e non
perdo di certo tempo
per scoprire dov’è andato a stare quel minuscolo
maiale.
“Datemi un
attimo che
chiudo il ristorante e ve lo mostro io” dice Shan-Pu.
“Com’è
che lo sai, di
grazia?” le viene chiesto.
“Una volta
ci sono andata
per riprendermi un reggiseno che mi aveva fregato,
quell’invasato del cazzo.
Spero solo che la concussione cerebrale che gli ho provocato non lo
abbia
rincoglionito troppo”.
Bonjour finesse,
madamoiselle.
“Poi ci si
chiede
perché Shinichi parla come un camionista” butta
lì Akira fischiettando. Come
dargli torto? Il vocabolario del mio caro nipotino è
parecchio sboccato e, se
tanto mi dà tanto, qualcosa da lei l’ha ben
assorbito. Però a me, al contrario
di sua madre, la cosa non crea alcun problema.
Attendiamo che la
cinese concluda con le operazioni di chiusura e lasciamo che ci faccia
da
battipista.
Proseguiamo vicini e
compatti.
Per un puro caso al
mio fianco c’è finita Akane. E visto che con lei
ho un discorso in sospeso...
Faccio per accostarmi
nuovamente al suo orecchio quando la vedo allontanarsi. Devo aver
toccato
qualche corda profonda per farla reagire così.
E va bene, non sono
obbligata a bisbigliare.
“Scusami,
prima ho
detto una parola di troppo”. Non rivolgendomi direttamente
nella sua direzione,
ma a voce abbastanza alta da far sì che chi deve capire
capisca.
Nessuna risposta,
né
vocale né in altro modo.
Oh beh, non pretendo
un abbraccio strappalacrime e una riappacificazione plateale. Quel che
dovevo
fare l’ho fatto e mi so accontentare.
Il resto del viaggio
è tranquillo.
Ci troviamo di fronte
a una casetta modesta, quasi alla periferia di Nerima.
“Ci siamo,
signori.
Happosai dovrebbe trovarsi qui” dice Shan-Pu indicando
l’ingresso.
“Cosa
aspettiamo
allora? Entriamo” proclama Akira avvicinandosi a grandi
falcate alla porta e
aprendola senza preoccuparsi di suonare o di rendere altresì
nota la propria
presenza al padrone di casa.
Lo seguiamo
sospirando, chi più chi meno stupefatto da tanto giovanile
ardore. Ma lo
capisco, il ragazzo starà pregustando la
possibilità di tornare al mondo cui
appartiene e si sentirà elettrizzato.
È proprio
figlio di
Ukyo e Ryoga, comunque. Non per un solo istante ha espresso titubanza,
lasciandosi guidare dall’istinto. E ok, si presume non sappia
con chi abbiamo a
che fare ma questo non toglie che non sia il comportamento
più prudente. Specie
quando chi ti circonda, che al contrario di te sa bene chi stiamo
immischiando
in ‘sta storiaccia, appare meno che entusiasta alla
prospettiva.
Inaspettatamente lo
troviamo subito, lì nel salone. Come al suo solito intento a
stirare l’ultimo
bottino.
Porco che vince non
si cambia.
“Tu chi sei,
bamboccio?” esclama verso il primo invasore. Giudicando dal
tono, e soprattutto
dal fatto che non lo abbia scagliato verso il tetto con quella sua
odiosa pipa,
potrebbe essere un momento fausto.
“Lei
è il signor
Happosai, giusto?”.
“Sono io. Ci
conosciamo, giovanotto? Oh, ma ti sei portato una bella banda. Kasumi,
Shan-Pu,
Nabiki e...”.
Trasale.
Credo abbia
riconosciuto Akane nonostante il travestimento.
“Che
cos’è questo
scherzo? Chi è quella ragazza?”.
Interviene Genma,
ponendosi di fronte ad Akira: “Venerabile maestro, abbiamo
estremo bisogno
della sua sconfinata saggezza ed esperienza”.
“Genma? Sei
tu?
Faccio fatica a riconoscerti...”.
“Sono io e
non sono
io, sì. Se posso sedermi e spiegarle...”.
Provvede e comincia
ad aggiornarlo sui più recenti avvenimenti.
Il racconto termina,
almeno nelle sue linee principali, e la sua espressione non esprime
neanche
un’oncia dello stupore che mi sarei aspettata di trovarci.
Allunga una mano al
suo fianco, raccoglie la pipa e se la accende. Aspira profondamente
prima di
aprire bocca: “Se non fossi chi sono ammetto che questa
storia mi avrebbe
confuso parecchio. Ma, per vostra fortuna, io sono Happosai”.
“Puoi anche
evitare
di fare la ruota come un pavone con il colera, vecchio” lo
apostrofo
acidamente. Non sono venuta qui per sentirlo tessere le lodi di se
stesso,
bensì per vedere se possiamo risolvere questa scomoda
situazione. Dopo un
secondo di pausa riprendo: “Piuttosto,
com’è che la notizia non...”.
“Semplice,
Nabiki. Ho
indirettamente vissuto un’esperienza simile, in
gioventù”.
Che cosa?
Si alza un coro di
“Impossibile!”, “Non ci credo!”
e similari.
“Prego?”.
“Mi hai
sentito.
Parecchi decenni fa, forse addirittura un secolo... ho trovato una mia
versione
a cui era capitato il vostro stesso contrattempo”.
“E...”.
“Vedi un
altro me
stesso nei paraggi, per caso?”.
Poi dite che non mi
vengono intuizioni geniali, eh. Mai dare il biscottino alla povera
Nabiki
quando se lo merita.
“E allora
cosa
aspetti?” prorompe Akira “Dicci come hai fatto a
rispedirlo nel suo mondo!”.
Uoh ragazzo, uoh. Calmati. Adesso probabilmente capirai
perché c’era tanta
ritrosia al volerlo coinvolgere.
“A me cosa
ne viene
in tasca? Non sono qui a fare beneficenza per voialtri”.
Vedi? Stiamo parlando
di Happosai, non di una brava persona.
Però,
neanche venti
secondi dopo, decide di smentirmi: “Anche se potrei pure
accettare di
aiutarvi... dietro un congruo compenso”. Parzialmente, almeno.
Va bene, adesso
lasciatemi lavorare in santa pace.
“Cosa vuoi,
barattolo
di immondizia umana?” chiedo ponendomi direttamente di fronte
a lui.
“Mandate
avanti il
piccolo piranha, vedo. A me sta bene, se non è Nabiki-chan
non mi diverto”.
Grrrr. A distanza di tutto questo tempo ancora si ricorda di quanto
quel
nomignolo mi manda in bestia.
Parte una
serratissima contrattazione, in cui volano pagamenti e contro pagamenti
di
un’unica natura: riviste porno, reggiseni e mutandine di
varia foggia e
materiale, bambole gonfiabili. Non appena tenta di pronunciare un
qualsiasi
pronome che si riferisce a noi gli pesto un piede.
A un certo punto alza
fin troppo la posta e spara un “Voglio una compagna di letto,
esperta nelle
arti amorose, per riscaldare le mie vecchie ossa nelle fredde notti
invernali”.
Richiesta negata senza appello, non glielo possiamo proprio concedere.
Dopo
questa Kasumi cerca di coprire le orecchie di Akira ed Akane, ignorando
cosa
sono riuscita ad estorcere alla nostra quasi-sorella. Sapesse. E
comunque
fallisce, i due ragazzotti sembrano piuttosto interessati al discorso.
Alla fine ci
accordiamo per una fornitura bi-annuale di quattro hentai mensili fra i
più
zozzi e perversi che conosco, un camion di biancheria intima
consegnabile anche
a rate e Keiko la Porcona, il modello con la bocca che si muove come a
fare una
fellatio.
“Hai
ottenuto quel
che volevi, ora dacci quel che vogliamo”.
“Immediatamente,
cara
Nabiki-chan”.
Tenetemi o lo sventro
prima che possa risponderci.
Apre un armadio,
ravana un po’ nelle sue scartoffie e tira fuori un rotolo
che, a guardarlo da
qui, sembra più datato di lui. So che suona difficile da
credersi.
Ce lo stende davanti,
ma credo che nessuno di noi sia in grado di interpretarlo. Dobbiamo
solo
sperare che decida di non inventarsi una storia assurda delle sue.
“Allora,
fatemi
ricordare bene...”.
“Coraggio
vecchio,
non abbiamo tutto il giorno” lo istiga Shan-Pu.
Più passano
i
secondi, più lui sta in silenzio e più sento il
ripetersi dell’affaire Happo
Daikarin. Solo che lì si poteva tranquillamente fare a meno
del contenuto, qua
un po’ meno.
Percepisce di essere
il centro focale del nostro gruppetto e, come suo solito, comincia ad
agitarsi.
Memori del precedente, io e Kasumi provvediamo a tenerlo fermo. Se si
infervorasse e riducesse la pergamena a brandelli non sarebbe piacevole.
“Concentrati,
Happosai” gli dico, seria. Questa faccenda non mi riguarda
direttamente, è
vero, ma ho la precisa sensazione di dover fare un po’ il
capo della baracca.
“Va bene, va
bene”
risponde dopo che l’abbiamo mollato.
E finalmente
otteniamo quel che cercavamo.
C’è
solo un piccolo
problema.
“Uh
oh”.
“Uh oh
cosa?”.
“Devo essere
onesto,
non me lo ricordavo. È possibile rispedire al mittente un
intruso, sì... solo
che...”.
“Solo
che?”.
La tensione sale.
“Solo che
c’è
un’altissima probabilità che qualcosa vada
storto”.
“Cosa
intendi con qualcosa
vada storto,
esattamente?”.
“Non lo so,
non l’ho
mai sperimentato in prima persona. Dice che è
pressoché impossibile che
qualcuno possa tornare al momento in cui è partito. O che
torni come se
stesso”.
“Si potrebbe
spiegare
un po’ meglio, maestro?”.
“Presupponiamo
che
adesso usi questo metodo su Akane, che se non ricordo male viene dal
1991. Per
tornare nel suo mondo ci torna, in quel senso funziona bene. Ma per il
resto...
beh, diciamo che è praticamente certo che non arriverebbe
nel 1991. Potrebbe
trovarsi nell’era Sengoku, durante la restorazione Meiji, nel
paleolitico,
durante l’epidemia di peste in Europa o alla fine del pianeta
Terra. Oppure sì,
potrebbe tornare nel 1991... e avere l’aspetto di un uomo
africano settantenne.
O di una ragazza bulgara. O di un ispanico di mezza
età”.
Il silenzio accarezza
le facce dei presenti come un manto di spine.
Cosa ti eri detta non
più di venti minuti fa, Nabiki? Come poetessa fai schifo.
Evita.
“Oh, la cosa
è ancora
più interessante. Se si è particolarmente sfigati
è possibile che si realizzino
entrambe le eventualità”.
“Settantenne
nel
paleolitico?” chiede Akane. Trema.
“O una
qualunque
delle altre combinazioni. Ma sì, il succo è
quello”.
“Toglimi una
curiosità, vecchiaccio” non mi trattengo
“Se questo sistema è tanto instabile,
perché l’hai usato su una tua copia?”.
Mi osserva come se
fossi un’alunna delle elementari che ha appena sbagliato
un’addizione dopo
l’intera annata passata a studiarle: “Che domande
sono, Nabiki? Ti facevo più
furba”.
“Beh, scusa
se non
sono particolarmente brava a interpretare il cervello di un pervertito
che ha cento
volte la mia età”.
“Mi ferisci
parlando
così. Comunque, semplicemente, abbiamo deciso di comune
accordo che due
Happosai non potevano coesistere nello stesso mondo. Troppi
squilibri”.
“Qualcosa
che ha a
che fare con il continuum spazio-temporale?”. Sì,
e Grande Giove e uno virgola ventuno
gigawatt.
“No. Non
c’era
abbastanza biancheria da rubare per entrambi”.
... giuro che lo
ammazzo.
“E comunque
c’è
scritto che, anche se l’aspetto esteriore risultasse diverso,
la personalità
rimane sempre la stessa. Quindi non importa che corpo occupa o in che
epoca
possa essere finito, di ragazze gnocche da spiare ce
n’è sempre in abbondanza”.
“Ma
perché la possibilità
di tornare al momento giusto è così
bassa?”.
“Lo vieni a
chiedere
a me, Genma? Non lo so. Qua viene solo detto che si tratta di forze
generate
dal caos entropico interplanetario, o qualche stupidaggine ampollosa
del
genere, e che sostanzialmente decidono a seconda del loro umore di quel
giorno.
E pare che di solito siano capricciose e poco inclini al lieto fine.
Non c’è
uno straccio di spiegazione sensata”.
Cazzo. E mi scoccia
dover ricorrere al turpiloquio anche se solo nella mia testa,
però stavolta lo
trovo ampiamente giustificato.
Guardo i nostri
turisti.
Akane è
terrorizzata,
non c’è altra parola adatta a descriverla. Dopo
essersi divorata tutte le
unghie si sta praticamente mangiando una mano dal nervoso. Lei
è da escludere,
non ha la faccia di una disposta a osare così tanto.
Genma appare un poco
più calmo. Sembra meditabondo. Eventualità non da
scartare del tutto.
Akira... Akira
è
quello che dei tre mi trasmette la sensazione meno rassicurante. Ha
negli occhi
la luce della speranza. Sta seriamente considerando l’ipotesi.
E io che devo fare in
questo caso? Impedirglielo? Fregarmene? Augurargli buona fortuna?
Brutta roba essersi
autonominata capo della baracca.
Decido che per il
momento la cosa migliore da fare è accomiatarci dal vecchio,
vuoi perché non
abbiamo più motivo di restare qui e vuoi perché
altrimenti mi salirebbe la
voglia di fargli sputare i denti per tutta la fatica che mi ha fatto
fare. A
vuoto.
Pertanto prendo in
mano la situazione e impongo di sloggiare. Senza neanche salutarlo, che
nemmeno
se lo merita.
Adesso ce ne andiamo
a casa e ne parliamo per bene.
“Nabiki,
cosa ti
salta per la testa? Perché siamo venuti via così
di fretta?”. Toh, il mio fan
numero uno non è d’accordo con il piano
d’azione.
Mi volto lenta verso
di lui, preparando mentalmente la risposta.
“Ti sembrava
furbo
rimanere ancora lì, Akira?”.
“Se ti
riferisci al
vecchio no, e finalmente posso dire di capire perché
c’era ostruzionismo
all’idea di venire a trovarlo. È veramente una
persona orribile”.
“Mi fa
piacere che
l’abbia afferrato” si intromette Akane.
“Se
però ti riferisci
allo scartare in toto la soluzione che ci ha offerto... beh, lascia che
ti
dica...”.
“Akira,
taci. Non
adesso”.
“No che non
taccio!
Quell’uomo sa come rimandarci a casa”.
“Sa come
rimandarti a
casa, vorrai dire. Io non ne voglio sapere nulla”.
“Ak...
iko?”.
“Se proprio
ci tieni
a riapparire davanti al tuo Ucchan sottoforma di una ballerina di
flamenco
ingrassata fai pure, non mi impiccerò. Ammesso e non
concesso che andrà così,
visto che potresti capitare nel bel mezzo della battaglia di
Sekigahara. Ma
evita di parlare anche per me, perché io una simile follia
non intendo toccarla
neanche con un bastone sterilizzato”.
“Sul serio
getteresti
al vento la tua unica chance?”.
“Sì,
sul serio. È
troppo pericoloso e non so come tu non possa rendertene
conto”.
“Certo che
me ne
rendo conto, santo dio. Non sono un cretino, non così tanto
almeno. Ma io voglio
tornare. Ho nostalgia dei miei genitori e dei loro amici, dei miei
amici, di
Misaki, di quelli che fanno davvero parte della mia vita. Non di voi
fantasmi”.
“Tutto
questo è
ridicolo. E offensivo verso di me, verso Genma e verso gli altri. Non
posso credere
che scaricheresti una prospettiva di vita sì lontana dal
posto cui realmente
appartieni, ma alla fin fine serena e fra persone che possono volerti
bene...
per rischiare il tutto per tutto in un tentativo praticamente
suicida”.
“Sono
disposto a farlo!
Come hanno fatto Akane, Ranma e gli altri qui!”.
“Le
circostanze sono
molto diverse e lo sai. Loro avevano poca scelta, o forse è
più corretto dire
che non ne avessero. Ne andava del destino del mondo. Se invece tu
rinunciassi stai pur sicuro che non morirà nessuno. Oh, e
una cosa”.
“Cosa?”.
“Non.
Azzardarti.
Mai. Più. A. Tirarla. In. Ballo. Sono sensibile
sull’argomento. E non sono
l’unica, forse neanche la più sensibile. Anzi,
sicuramente non lo sono”.
Inutile, lo sguardo da Akane
Tendo ti Spiezza
in Due non
cambia, di qualunque realtà parallela si stia parlando. Fra
l’altro grazie, da parte mia e di Kasumi, per la difesa.
Vi siete divertiti
abbastanza, comunque. Tempo di riportare l’ordine:
“Va bene poppanti, adesso
finitela. Proseguirete la bega a casa”.
“Ma Nabiki,
io...”.
“A casa,
Akiko. E lo
stesso vale per te, Akira”.
“Però...”.
“A
CASA”.
Era ora che
accettaste la mia autorità, accettazione palesata dal loro
abbassare la testa
sconfitti e incamminarsi in silenzio.
Rivolgo lo sguardo
verso Kasumi, chiedendole senza parole se per caso non abbia ecceduto.
E lei,
col suo solito sorriso da paziente matrona, mi assicura che no, non ho
ecceduto. Che tu sia santificata, sorellina.
Non viene pronunciata
una sola parola nel tragitto di ritorno. Non mezza. Neanche uno
starnuto.
La padrona apre la
porta di casa Ono che l’orologio scocca l’una.
Erano tre ore fa che siamo
usciti, senza avere in mano uno straccio di risposta. Sono
all’incirca quindici
minuti che uno straccio di risposta ce l’abbiamo, e
però è quella sbagliata. O
quantomeno non è ciò che ci aspettavamo.
Meglio non lasciarmi
sfuggire quel poco di potere che sono riuscita a stabilire:
“Ok ciurma, vi
voglio tutti in salotto. Come avevo promesso, adesso possiamo discutere
con
calma e sangue freddo di questo grosso casino”.
Obbediscono senza un
fiato. Così mi piacete davvero molto.
Ci accomodiamo sui
vari divani e poltrone, tranne Kasumi. Ha da preparare il pranzo e
avvisare
Tofu su quanto abbiamo scoperto.
“Allora”
inizio
“giusto per cominciare vorrei dire questo: personalmente sono
contraria. È
un’idea troppo, troppo folle e presenta un sacco di variabili
del tutto
incontrollabili. Diciamo che, se io fossi al posto di uno di voi tre,
l’avrei
già cancellata dalla mia mente non considerandola
un’alternativa valida. Ciò
detto, perché mi sembrava giusto farvi sapere come la penso
in merito, vorrei
ricordarvi che non siete dei gemelli siamesi, bensì tre
individui distinti e
ognuno di voi ha il diritto e il dovere di poter scegliere per
sé e per sé solo”.
Shan-Pu mi guarda
confusa: “Nabiki, da quando sei diventata così
sensibile?”.
“Da quando
mi sono
resa conto che fare leva sul senso di sé delle persone
è un’eccellente arma per
mandarle sul lastrico e fregarmi tutti i loro soldi”.
Una risata generale.
L’ho detta come battuta, ma non è che sia poi
così falso.
“No, ma
seriamente.
Visto che voi tre non dovete temere nulla da me, quanto ho appena detto
lo
intendevo nell’accezione più vera e positiva. Solo
per esprimervi i miei dubbi
rispetto al litigio che Akane ed Akira hanno messo in piedi di fronte
all’abitazione
di Happosai, tutto qui”.
“Cosa
intendi? Che
non capisci perché abbiamo cominciato a
battibeccare?” chiede Akane.
“Esatto. Non
è mica
che dobbiate fare questa cosa mano nella mano. Lui va e tu
no”.
“Beh, non
è
sbagliato. È solo che io mi sono affezionata a lui e non
voglio saperlo
disperso chissà dove, magari rinchiuso nel corpo di un
culturista azerbaigiano
dopato”.
Oh, ma che dolce. Io
Akane non me la ricordavo così premurosa, in particolar modo
con tanta
semplicità e chiarezza. Cioè, dubito si sia
innamorata di Akira e quindi il
paragone con Ranma è improprio, ma comunque non è
mai stato da lei esporsi
senza il minimo timore.
Vivere una vita
diversa ti rende una persona diversa. Abbiamo presentato Nabiki Tendo dà Mirabilmente Vita a Capitan Ovvio, da gennaio su tutti i vostri teleschermi.
L’altro
interpellato
non dice nulla, limitandosi a fissarla. Dà la sensazione di
non credere alle
proprie orecchie. Poi finalmente apre bocca: “A-Akane, quel
che hai detto... è
molto bello. Ti ringrazio”.
“Ci
mancherebbe. Sai,
l’aver vissuto un intero anno sotto lo stesso tetto ha
inevitabilmente finito
con il modificare la mia percezione di te. Posso quasi dire che ti
considero...
un fratello. Con tutte le distinzioni del caso, chiaramente. Ma
è per questo
che mi sono agitata, prima. Davvero non voglio pensarti mentre vaghi in
un
tempo non tuo e magari incapace di comunicare perché hai
avuto tanta sfortuna e
sei capitato nella foresta amazzonica. Ti chiedo almeno di rifletterci
un po’.
So che oggi senti in modo ancora più acuto del solito la
mancanza di casa tua,
ma... sono troppo egocentrica nel pensare che questa può
essere la tua piccola
seconda scelta? Che forse puoi evitarti un rischio assicurato per
rimanere qui
con noi?”.
“Akane...
apprezzo
immensamente il tuo affetto nei miei confronti. Però non
posso darti con
sicurezza la risposta che vorresti, e mi rendo conto di procurarti un
dolore.
Dolore per il quale mi scuso sin da ora, per quel che vale. E mi scuso
anche
per le parole affrettate che vi ho rivolto prima, quando vi ho chiamati
fantasmi. Non ve lo meritate, per
niente. Nessuno di voi. Anzi, dovrei gettarmi in ginocchio e
ringraziarvi all’infinito
per tutta la comprensione e l’altruismo che avete dimostrato
a me e ai miei due
compagni di sventura”.
Shan-Pu prende
inaspettatamente la parola: ”Akira, sono arcisicura che se
fosse capitato a
qualcuno di noi e ci fossimo trovati di fronte ai tuoi genitori... sono
arcisicura che loro non avrebbero fatto nulla di diverso. Ci avrebbero
ascoltati, ci avrebbero accolti e avrebbero sgobbato assieme a noi per
cercare
una soluzione. L’unica differenza, immagino, è che
non ci avrebbero tenuto a
dormire da loro, ma per il resto sarebbe stata la stessa identica cosa.
Perché
mi sembra il minimo, una volta accettata
l’assurdità della situazione, che tu
ti prenda a cuore il benessere di qualcuno che forse non conosci
direttamente
ma che sai essere in qualche modo relazionato con te o con le persone
che fanno
parte della tua vita. Quindi non ringraziarci per quanto era nostro
dovere fare”.
“Addirittura...
dovere?”.
“Addirittura.
Akane è
Akane, Genma è Genma, tu sei figlio di Ryoga e Ukyo. Con che
faccia saremmo
potuti andare a pregare sulle loro tombe se vi avessimo scacciato, se
vi
avessimo negato il nostro aiuto?”.
“Quel che
dice
Shan-Pu è sacrosanto” confermo “Se
Kasumi e Tofu non hanno mai avuto da ridire
su di voi è perché hanno intuito, probabilmente
solo a livello inconscio,
quanto dev’essere stato alienante per voi tre
l’impatto con un mondo non
vostro, dove non esistevate o eravate deceduti da decenni. Le loro
coscienze, e
le nostre, hanno giustamente deciso che la cosa da fare era una e una
sola:
sostenervi in tutti i modi possibili”.
“Perdonate
se
interrompo”. È Genma.
“Cosa
c’è?”.
“Capisco il
discorso
di Akane e, nel caso specifico di Akira, posso dire che mi trovo
d’accordo con
lei. Ha poco senso esporsi così tanto di fronte a un
risultato per nulla
sicuro. Il mio problema, però, è di natura e di
urgenza totalmente differente”.
“Di cosa
stai
parlando? Qualcosa che non so?”.
“Esattamente,
Nabiki.
A quanto ho capito Akira avrebbe solo da perderci a sottoporsi al
metodo del
maestro, visto che la sua vita prima del misfatto era quella di un
adolescente
senza particolari difficoltà. E anche Akane, nonostante il
conflitto con le
amazzoni, era tutto sommato ben sistemata. Ma io...”.
“Tu?”.
“Io ho una
famiglia
sterminata alle spalle”.
“Famiglia...
sterminata?”.
“Sterminata.
Se
questo fosse un film adesso direi li ho
visti morti con questi miei stessi occhi, ma qui siamo oltre. Dei
presenti
solo Akira e Shan-Pu possono davvero capire il significato di questa
mia frase
ed è meglio che la situazione resti così, non
voglio essere causa di un vostro
malore. Comunque, per tornare al discorso principale... io non posso
permettermi di restare qui. Proprio non posso”.
“Non ti sto
seguendo
tanto bene. Hai detto che... morti...”.
“Assassinati.
Tu,
Kasumi, Soun, Nodoka, Ranma e Akane. Nel mio mondo il 16 aprile del
1999 è l’ultimo
vostro giorno di vita”.
“Tu... stai
scherzando...”.
“No”.
Il suo tono ha pressappoco
il peso specifico del titanio.
Credo di stare per
svenire. Poi mi faccio forza e resisto.
Genma riprende:
“Capisci
ora perché affermo che non posso rimanere bloccato qui? Devo
evitare quel
massacro”.
“Saotome,
sei un
povero illuso” gli rinfaccio. Devo pur mantenere il ruolo di
esemplare alpha.
“Perché
lo sarei?”.
“Rifletti
invece di giocare al piccolo eroe. Se usi il
metodo Happosai non hai nessunissima garanzia di poter fare
ciò che ti
prefiggi. Anzi, è più facile che la tua faccia
baffuta sbatta contro un suolo
straniero”.
“Non
importa. Io, al
contrario di loro due, ho una motivazione letteralmente di vita o di
morte. Nel
mio caso il gioco vale la candela. Totalmente”.
“A che pro
correre un
rischio simile se non hai neanche la certezza minima di ritrovarti dove
devi
essere?”.
“Mi farai la
lezione
di profitto applicato quando troverai tutti i tuoi parenti sbudellati
come cani
randagi. Naturalmente, proprio come Akira, sono consapevole che quel
procedimento
porta solo danni e nessuna assicurazione di successo. Però,
al contrario suo...
e non volermene, ragazzo... io ho qualcosa di più importante
a cui rimediare.
Inoltre, giusto per aggiungere ulteriore pepe al mio sedere, se mai
dovessi
rivedere il mio mondo ho la sensazione che dovrei combattere il
responsabile
dell’eccidio. Ora, io sono già abbastanza avanti
con gli anni e se rimanessi trattenuto
qua troppo a lungo... diciamo che la vedo grama, ecco”.
Mi ammutolisco, ed
è
una sensazione a cui non sono abituata e che non mi piace.
Però non posso
negare che, al contrario degli altri due, capisco limpidamente la
discrepanza
di obiettivi e di intenti. E so che il suo discorso ha delle fondamenta solide.
“Nabiki,
ovviamente
non ce l’ho con te e non ti sto accusando di nulla. Inoltre,
come tu stessa hai
detto poco fa, ognuno di noi ha il diritto e il dovere di decidere per
se
stesso. Ebbene, se qua non salta fuori un’alternativa valida
all’idea fornitaci
dal maestro sappi che io ho tutte le intenzioni di provarla.
Succederà quel che
succederà”.
Non riesco a opporre
nulla di efficace di fronte a una tale presa di posizione. Non ne ho il
diritto, né il coraggio.
Genma, credimi quando
ti dico che mi spiace per quel che hai vissuto. |
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Gente che torna e gente che va ***
22 marzo 2009.
“Noooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo!”.
Schizzo in posizione
eretta, sudata fradicia.
Frittata fatta. Per stanotte
non si dorme più.
Ho sognato Akane dopo
il suo combattimento.
Era da un bel po’ che
non mi succedeva. Sin da quando la sua versione più giovane
mi ha perdonata.
Da quel momento la
sua ingombrante presenza onirica non si era fatta più viva,
concedendomi delle
notti tranquille. Fino ad oggi.
Mi strofino gli occhi
e cerco di asciugarmi. Tanto vale alzarsi, di riprendere sonno non se
ne parla.
Anche se non lo sperimentavo sulla mia pelle da un anno e mezzo,
oramai,
ricordo bene le conseguenze: un sano pianto espiatorio, una camminata a
vuoto
per i tavoli del Nekohanten e l’alba che sopraggiunge.
Quasi quasi scendo di
sotto per recuperare qualcosa da sgranocchiare.
E così hai deciso di
tornare a infestare i miei pensieri quando sono in fase REM, eh? Mi
piacerebbe
chiederti il perché, credevo avessimo raggiunto una tregua
in tal senso. Io ho
fatto l’unica cosa concessami, cioè gettarmi in
ginocchio a peso morto
implorando pietà per le mie malefatte, e tu in cambio te ne
saresti rimasta
sulla tua nuvoletta di beatitudine senza infastidirmi più.
Cos’è cambiato ora?
Vabbè, inutile
frignare su quel che è stato. Sei arrivata e, abilissima
com’eri fino a qualche
tempo fa, mi hai completamente privata di ogni possibilità
di riposare
decentemente.
Non che tu abbia di
botto perso il diritto di poterlo fare. Continuo a non darmi pace fino
in fondo
per quel mio essere stata così appagata, così
infame... così fottutamente
stronza. L’assoluzione di Akiko, che chiamerò
così per distinguervi, mi ha di
sicuro alleggerita dal peso ma non l’ha portato via del
tutto. Niente potrà mai
riuscirci.
Solo la feccia trae
godimento dalla morte di un’altra persona. E io
l’ho fatto.
C’è qualcosa di
marcio in me. Qualcosa che temo non se ne sia andato nonostante i
proclami di
pentimento, che comunque sono onesti e sentiti.
No ok, adesso basta veramente
Shan-Pu. Girare il cacciavite nello squarcio che ti sei fatta da sola
nel cuore
non ti aiuta. A meno che, con la parola aiuto,
tu non intenda escogitare un sistema
rapido e possibilmente indolore per suicidarsi.
Non lo voglio, no.
Andiamo a prendere
questo snack vampiresco, và.
Mi alzo, indosso la
vestaglia, inforco le ciabatte e mi avvio.
Quando sono in cima
alle scale, accingendomi a scenderle...
Uhm.
Qua qualcosa non va.
Percepisco... una
presenza.
Cavolo, spero di
sbagliarmi. Non sono nelle condizioni migliori per poter stendere
qualcuno.
Psicologicamente e, soprattutto, per come sono vestita.
Sto per urlare il più
classico dei “Chi va là?”, ma poi decido
che è poco prudente. Se davvero non
sono sola meglio che non si accorga che io me ne sono accorta.
Preferisco far finta
di niente, rizzare le antenne e tenermi pronta a ogni evenienza.
Vado verso il
frigorifero della cucina. Lo apro e lo scruto alla ricerca di qualcosa
di buono
che possa farmi compagnia, perché si sa che a noi ragazze fa
bene affogare i
dispiaceri in una gigantesca vasca di gelato. Per fortuna,
però, io non sono
una mocciosa di una commediola americana e non tengo quelle bombe
caloriche nel
mio congelatore. Quindi mi sa che dovrò abbozzare.
Anzi, nemmeno. Non
c’è nulla di minimamente stuzzicante qui.
Lo richiudo
sbuffando.
...
Ancora. Ho sentito di
nuovo quel flebile ki che si spostava.
Non riesco a
impedirmi di non muovere un muscolo, potenzialmente facendogli capire
che l’ho
beccato.
E sia. Giochiamo a
carte scoperte, che il ruolo della finta tonta non mi è mai
piaciuto.
“Avanti, intruso.
Mostra la tua brutta faccia”.
Nessuna risposta.
“Puoi venire fuori.
Se lo fai ora ti prometto che te la caverai con solo quattro o cinque
ossa
rotte”.
Niente.
“Cos’è, hai voglia di
giocare a nascondino? Alle quattro e mezza del mattino? Pensavo che voi
malviventi aveste metodi migliori per passare il tempo”.
Non un suono.
Sono convinta di non
essermi sbagliata, qui c’è qualcuno che mi sta
osservando. E probabilmente sta
ridendo di me.
“Feh. Il mio Umisenken
non è più infallibile come una volta”.
Questa voce... Genma.
Mi rilasso. Per
quanto non sia entusiasta di una sua intromissione, perlomeno so che
non ho
nessun combattimento di fronte a me. Anche perché, in tutta
sincerità, sono
parecchio arrugginita. Avrei faticato.
Mi appare davanti
all’improvviso, una mano sulla nuca. E ha il buon gusto di
mostrarsi
imbarazzato.
“Come... come hai
fatto?” chiedo stupita. Con gli occhi controllo che non
indossi il mantello
dell’invisibilità. E sì, penso proprio
che la signora Rowling abbia tratto
ispirazione da uno dei tantissimi oggetti dotati di poteri mistici che
tengo in
cantina. Ma no, non porta niente del genere.
“Umisenken. È una
tecnica che ho elaborato molti anni fa. Permette di celare
completamente la
propria presenza. O almeno, lo faceva quando ero al meglio. A quanto
pare non è
più questo il caso”.
“In effetti no, mi
sono accorta pressoché subito del fatto che c’era
qualcuno a gironzolare per il
ristorante”.
“Sono invecchiato e
fuori forma”.
“La seconda vale
anche per me, sappilo”.
“Oh dai, sei ancora
nel pieno delle forze e...”.
“Genma, cosa ci fai
qui a quest’ora? E perché non volevi farti
vedere?”.
“Uff. Ti scoccia se
ci sediamo?”.
“Prego”.
In pochi istanti ci
siamo accomodati.
“Bene Genma, cosa ti
ha portato a calarti nel ruolo del topo
d’appartamento?”. Cerco di nascondere
l’irritazione, perché mi sembra logico che il
trovarmelo qui non mi riempia di
felicità.
“Faccio che togliermi
il dente: mi sono introdotto furtivamente in casa tua per...”.
Si interrompe. Pare
cercare le parole più adatte.
Fai con comodo, tanto
non ho fretta. Non vado da nessuna parte, men che meno a letto. Zero
voglia di
osservare il soffitto.
“Mi vergogno come il
peggiore degli scassinatori di periferia”.
“Cosa che, in questo
momento, in realtà sei”.
“Incasso la
frecciata, non posso negarlo. Volevo... volevo prendere
l’Artiglio”.
L’Artiglio della
Chimera? L’artefatto che concede qualunque desiderio gli
venga chiesto al
prezzo di una parte di sé e di un ulteriore pagamento non
ben identificato ma
che è sicuramente qualcosa di molto poco gradevole? Lo
stesso artefatto per cui
sei senza occhi? Ti si è fuso il cervello, nonno.
“Per cosa?”. Metto
più durezza del dovuto nella voce. Non mi piace che si
scherzi su queste cose.
Si distende
all’indietro sulla sedia prima di rispondermi:
“Shan-Pu, al contrario di Akane
ed Akira io non posso restare qui. Conosci il motivo. Ho perso quindici
mesi
bloccato in questo mondo. Il sistema del maestro Happosai è
troppo aleatorio,
troppo impreciso. Se ti ricordi il discorso che abbiamo avuto a casa
Ono non
mentivo quando ho detto che ero d’accordo col punto di vista
di Akane. Però ero,
sono talmente disperato che mi è balenata in testa
quest’idea. Alla quale,
nonostante tutto, non ho rinunciato. Solo che ora sono messo nella
posizione di
dovertelo chiedere, invece di poter fare da me”.
Akane... sbaglio a
considerarti una specie di angelo custode? Perché adesso la
tua venuta nei miei
incubi ha improvvisamente assunto un senso.
Sono stata la
peggiore testimone possibile e tu mi aiuti lo stesso, se quel che penso
è vero?
Grazie. Non ti merito.
“Per favore, dimmi
che è solo frutto di una settimana in cui non hai mangiato
né bevuto nulla. Non
posso credere che tu voglia davvero sottoporti per la seconda volta a
una
simile idiozia”.
“No, a dire il vero è
il frutto di una settimana in cui non ho fatto altro che rivedere le
facce dei
miei parenti subito dopo il loro assassinio. Ovunque mi girassi
c’erano ad
accogliermi Nodoka affogata nel laghetto, Kasumi eviscerata sul tavolo,
Soun
col collo piegato di novanta gradi, Nabiki e la sua testa che avevano
creato
una scultura d’arte moderna assieme al corrimano delle scale,
Akane che aveva
ben altri graffi e tagli rispetto a quello che porta adesso con
orgoglio, Ranma
con una spada nel petto. Santi kami....”.
Se non fossi a
stomaco vuoto vomiterei.
Non credo a quanto ho
appena sentito. Non ci credo. Non posso crederci. Non voglio crederci.
Da una parte penso
che dovrei farmi toccare di meno da questo racconto degno dello Zio
Tibia, io
sono quella che ha visto alcuni di loro morti ai suoi piedi. Ma non
così. E poi
loro erano consapevoli, avevano deciso di propria volontà.
Di certo non si può
dire lo stesso di quelli a cui si riferisce lui.
“Io ho paura,
Shan-Pu. Quelle immagini hanno preso ad ossessionarmi, da un
po’ di giorni a
questa parte. È come se il mio subconscio mi spronasse a
tornare dove dovrei
essere, cioè nel mio 1989, per poter cancellare
quest’orrore dalla storia e
soprattutto dalla mia testa. Per questo ho assoluto bisogno di
quell’oggetto.
Devo poter essere sicuro del punto di atterraggio”.
Gli scosto una
lacrima da sotto gli occhiali. Pare non essersi nemmeno accorto di aver
cominciato a piangere. E non chiedetemi come possa farlo, non so
rispondervi e
nemmeno ci tengo a scoprirlo.
Tanta determinazione
e tanta angoscia mi fanno vacillare. Razionalmente so benissimo che
l’Artiglio
andrebbe sigillato e buttato in fondo all’oceano, dove non
può nuocere a
nessuno; emotivamente, invece, capisco il dilemma di
quest’uomo e non oso
immaginare cosa vorrebbe dire trovarsi al suo posto.
Dentro di me si
scatena un conflitto termonucleare.
La mia parte
razionale dice: “Genma, non ti posso permettere di gettarti
via in questo modo
scriteriato. Che cosa puoi ottenere se ti ripresenti al dojo Tendo del
tuo 1989
senza un braccio e, per ipotesi, l’incapacità di
poter spiccicare un discorso
sensato? Come pretendi di evitare quell’immane tragedia se
non siamo neanche
sicuri che sarai abbastanza in te da poterlo fare?”.
Senza preavviso
prende le mie mani fra le sue e mi fissa dritto negli occhi. Fortunella
me che
li ho.
“Conto sul tuo buon
cuore. Fra tutti coloro che sanno di noi tu sei quella che
può capirmi meglio,
visto che hai vissuto in prima persona un altro evento atroce come il
Torneo.
Sai cosa vuol dire toccare il cadavere di una persona cara, sentirne il
polso
freddo e senza battito, vederne gli occhi vitrei, annusare
l’odore della vita
che evapora lentamente di fronte a te. Ma io posso rimediare
perché il loro
momento non era ancora giunto. La mia famiglia non doveva morire in
quel modo. So
che le due situazioni hanno le loro differenze, ma non puoi negare che
abbiano
anche parecchie similitudini. Solo io e te, nella nostra cerchia,
conosciamo
davvero il significato di queste mie parole. Le tue pupille riflettono
la
comprensione che alberga in te. Ed è su quella che faccio
leva per ottenere ciò
che desidero. Quello di cui ho più necessità
dell’aria. L’Artiglio della
Chimera, l’unica cosa che può darmelo con
certezza”.
Maledetto farabutto.
Non è corretto premere quei pulsanti.
Non voglio essere
complice di questo azzardo. E nel contempo voglio, o quantomeno sono
disposta a
girarmi dall’altra parte e augurargli tutta la buona fortuna
di questo e degli
altri mondi.
Suggeritemi l’azione
migliore. Da me non sono in grado di deciderla. Entrambe le opzioni
hanno i
loro punti di forza che premono nella mia scatola cranica, urlando e
strepitando. Mi farete venire un mal di testa colossale, bastardi.
Più lo guardo in
faccia e più la mia corazza di logica si incrina, si piega,
si deforma.
Quell’espressione miserabile saprebbe perforare una lastra
d’acciaio e io,
anche se mi piace atteggiarmi, sono più fragile. Parecchio
più fragile.
Specialmente stanotte.
Butto lì qualche
altro ammonimento generico sempre meno convinto e lui risponde con la
stessa
tiritera, che sarà poco varia ma non perde di certo in
efficacia.
Mi sta convincendo. E
una parte di me ancora abbastanza forte cerca di opporsi come
può, ottenendo
qualche risultato. Perché riesco, con l’ultimo
barlume di lucidità ancora in
mio possesso, a posticipare di un giorno. Non ventiquattr’ore
esatte, vorrei
riuscire a riposare più di otto minuti in due giorni.
Domani sera ci ritroveremo
qui e gli saprò dare la mia risposta. Spero.
“Dimmi almeno che ne
parlerai con Kasumi e gli altri, ti prego. Non farti carico di questa
cosa
tutto da solo, ti schiaccerebbe” gli dico, nella debole
speranza che loro
sappiano convincerlo a ripensarci. Riuscendo dove io adesso ho
clamorosamente
fallito.
“Qualcosa dovrò pur
riferire se poi, come auspico, tornerò da dove provengo. Non
me la sento di
sparire così, da un giorno all’altro, senza il
minimo preavviso. Anzi, se non
fosse così tardi telefonerei seduta stante”.
“Ecco, è tardi.
Perché non te ne torni a letto pure tu?”.
“Pure tu? Non hai
l’aria di una che ha dormito bene, cara mia”.
“Niente che ti
riguardi. E ora su, smamma. Hai disturbato abbastanza”.
“Ne convengo. Ti
chiedo ancora scusa per l’intrusione”.
“Sì sì, va bene.
Buonanotte, Genma”.
“Buonanotte, Shan-Pu,
e cerca di recuperare almeno un paio d’ore di
sonno”.
“Non accadrà”.
“Come mai?”.
“Akane è passata a
trovarmi. La... mia Akane”.
“Oh”.
“Eh. E quando succede
significa nottata in bianco”.
“Mi... mi spiace”.
“Dillo a me”.
*
Mi appoggio al
bancone, sfiancata. È stata una giornata terrificante.
Un’orda di clienti come
non se ne vedevano da tempo.
Ci sono rumori vari,
dalle ultime persone che se ne vanno chiacchierando ai miei camerieri
che
cominciano a riordinare. Cosa credevate, che tenessi un ristorante
così grande
da sola? Non ho tutta questa voglia di morire di stanchezza a meno di
quarant’anni. Perché poi, se me li posso
tranquillamente permettere e danno una
grossa mano?
Qualcuno mi tocca il lobo dell’orecchio sinistro.
Se non fossi ridotta
così ti spezzerei le braccia e te le farei ingoiare, Shinji.
“Quante volte ti ho
detto di non farlo?” ringhio con la poca forza rimastami.
“Eddai Shan-Pu, mi
diverto troppo a infastidirti. Specie quando sei sciolta dalla fatica e
non
puoi contrattaccare neanche volendo”.
Non mi muovo nemmeno,
ma so bene che adesso lo stronzetto sta sorridendo.
“Ringrazia che mi
servi e che nonostante tutto mi sei simpatico, altrimenti un bel calcio
nel
deretano non te l’avrebbe risparmiato nessuno”.
“Me la faccio proprio
sotto, guarda. In queste condizioni non faresti paura nemmeno a degli
gnomi
pacifisti”.
“Va bene. Domani non
presentarti a lavoro, sei licenziato”.
“Farò comunque lo
sforzo. Voglio che mi sbatti la lettera in faccia”.
Pfff. Non riesco
nemmeno a spaventare un dipendente con una minaccia farlocca. Sto
veramente
messa male.
“Che fai, Shan-Pu?
Flirti con un ragazzotto?”.
...
“Non ti facevo
pseudo-pedofila, considerata la sua età”.
...
...
“Quanti anni avrà? Meno
di venti?”.
...
...
...
...
Peggio di quanto
pensassi.
Devo essere sul punto
di svenire. Ho le allucinazioni uditive e sento Mu-Si che mi parla.
“Alza la testa invece
di fare la miscredente”.
Allucinazioni che
continuano. E mi danno ordini.
E alziamo ‘sta testa.
Cos’ho da perdere, sanità mentale a parte?
...
...
...
...
“Ciao Shan-Pu. È da
un bel po’ che non ci si vede”.
Non... non... non...
Una mano sulla mia
spalla. Di carne, ossa e sangue.
“Tutto bene,
Shan-Pu?”.
“Shinji... per
favore, lasciami sola...”.
“Sicura? Ti vedo...”.
“Vai”.
“Cooooooooome vuoi”.
Attendo che il locale
sia deserto.
Non muovo un muscolo.
Esausta e scioccata come sono sarebbe un’impresa impossibile.
Senza staccargli gli
occhi di dosso un solo momento. E lui ricambia sorridendo, uno di quei
sorrisi
leggeri e senza preoccupazioni.
Ci vogliono circa dieci
minuti prima che tutti sbaracchino. Shinji mi estorce la promessa di
farmi una
lunga e rigenerante dormita che domani, nonostante gli abbia intimato
di non
tornare, non vuole vedermi così fragile.
Fosse solo la carenza
di sonno, piccolo.
“Va bene, adesso non
c’è nessuno che può prenderti per
pazza. Possiamo parlare”. Si avvicina e
poggia le sue braccia quasi invisibili sul bancone, usandole per
reggersi la
testa.
“Mu-Si... io... non
credo a quanto vedo...”.
“Credici. D’accordo
che in vent’anni è la prima volta che mi
è concesso di venire a farti visita,
però è molto difficile ottenere un permesso.
Sanno essere parecchio testardi”.
“Un... un permesso?”.
“L’aldilà è più
complesso e meno piacevole di quanto potresti immaginarti. Ma non sono
qui per
parlare dei miei fastidi burocratici, che oltre ad essere fuori luogo
ti
annoierebbero. Sono qui per ben altro motivo. Però lasciami
dire che mi
aspettavo un’altra reazione e sono un po’
deluso”.
“Pensavi mi sarei
messa ad urlare, spaventata a morte dalla tua improvvisa apparizione?
Ingenuo.
Ok, non me lo aspettavo e lo shock mi ha colpita forte, ma ho visto
abbastanza
cose strane per non lasciarmi sconvolgere più di tanto. A
cominciare dal Torneo
fino al nostro problema attuale”.
“Akane, Akira e Genma
vero?”.
“Deduco che lassù
abbiate un’eccellente visibilità”.
“Chi ti dice che
vengo da sopra?”.
“Mu-Si...”.
“Scherzavo,
scherzavo. Ma sì, non ci possiamo lamentare del segnale e
dell’ampio bouquet di
canali. Ed era proprio a loro tre che mi riferivo prima, in special
modo
all’anziano signore senza occhi”.
“E alla questione
dell’Artiglio, presumo”.
“Uffa. Non sei per
nulla divertente, te l’ha mai detto nessuno? Non posso
neanche atteggiarmi a
misterioso fantasma che torna nel mondo dei vivi con un messaggio
criptico da
comunicare”.
“Sono troppo vecchia
per queste buffonate. E ho troppa esperienza per cadere in un simile,
patetico
cliché. E in questo momento sono troppo stanca per darti
corda. Piuttosto,
perché sei davvero qui? A voi morti cosa frega di quel che
succede da questa
parte?”.
“Quanta rudezza da
parte tua. Potresti anche mostrare un po’ più di
entusiasmo nel rivedermi dopo
tutti questi anni”.
“Potrei. Non lo farò.
Ho già abbastanza pensieri per la testa senza stare a
preoccuparmi della
sindrome dei sentimenti offesi di uno spirito”.
“Sempre la solita
stronza”.
“Se lo dici
sorridendo non ci fai una gran bella figura, Mu-Si”.
“Sai com’è, essere
fatto di pura aria ti concede una tranquillità...
ultraterrena”.
“Se tu potessi farlo,
adesso ti chiederei di abbracciarmi”.
“Mi getterei su di te
come un bambino che ritrova la mamma dopo essersi perso per un giorno
intero”.
“Lo so. Hai sempre la
stessa faccia da anatroccolo innamorato”.
“Io vorrei essere
incazzato con te, Shan-Pu. Seriamente. Ci ho provato. Ma non ci riesco,
neanche
a distanza di vent’anni. Dicono che il tempo sedimenti
ciò che passa sotto di
sé e nel mio caso è vero, perché
nonostante il tuo comportamento nei nostri
confronti durante il Torneo io non posso fare a meno di sentirmi come
uno
scolaretto che sospira dietro alla ragazza più carina della
classe. Bada però,
questo non toglie che mi renda pienamente conto di quanto poco
simpatica sei
stata in quei frangenti. Il solo fatto che non possa e non voglia
fartela
pagare non vuol dire che non lo sappia”.
“Se hai aspettato due
decenni per farmi la paternale hai proprio sprecato il tuo tempo. Sono
tutte
cose che so, meglio di quanto credi. Inoltre, non eravate voi che
avevate un
gran bel segnale?”.
“Sì, so che tu sai
che io so. Volevo solo sottolinearlo una volta di
più”.
“Lezione recepita. E
ora, potresti gentilmente spiegarti per bene? Non ho ancora capito cosa
ci fai
qui, esattamente”.
“Certe cose non
cambiano neanche quando schiatti, tipo tu che mi bistratti. Mi fai
salir la
voglia di infilarti una mano nel petto e stringerti il cuore”.
“Sì sì, va bene. Nel
caso non te ne fossi accorto sono leggermente stressata e indebolita,
quindi
prima ce la sbrighiamo qui e meglio è per tutti”.
“Ok, ok. Quanta fretta.
Lasciami rimirarti un po’, diamine. Comunque, cercando di
essere seri... il
motivo della mia venuta è piuttosto semplice. Volevo solo
consigliarti di
permettere a Genma di usare l’Artiglio”.
Ecco, ci mancava il
parere di un pazzo furioso trasparente.
“Cosa ti salta in
testa, è lecito saperlo?”.
“Non mi salta in
testa niente, è solo ciò che penso
onestamente”.
“E sentiamo, perché
secondo te dovrei far così?”.
“Quell’uomo ha fatto
la sua scelta. Sei libera di non essere d’accordo, ci
mancherebbe, ma non hai
nessun diritto di importi fino ad ostacolarlo attivamente”.
Sono circondata da
squilibrati, vivi o morti che siano.
“Si dà il caso, caro
mio, che l’Artiglio non sia di sua proprietà. E io
ho l’ultima parola per un
suo eventuale uso”.
“Vero. Per questo sto
cercando di convincerti a farti da parte”.
“Non vedo la minima
logica in quel che dici. Ma lo sai o no cosa potrebbe
succedergli?”.
“Potrai non vederci
logica, ma ci vedi del senso. Noi cari estinti possiamo manifestarci
solo dopo
lunghe code e un sacco di mal di gambe per il troppo stare in piedi, ma
ti
assicuro che se vogliamo non ci sfugge neanche un pensiero di quanto
accade da
queste parti. E io ti ho vista stanotte. Ho visto il tuo tormento
interiore. Ho
visto che, a un livello più profondo, comprendevi la sua
pena fin troppo bene”.
“Essere empatici con
qualcuno non significa dargli carta bianca per suicidarsi”.
“Non è così e lo sai.
È vero, con l’Artiglio rischia moltissimo e
probabilmente non sarà mai più lo
stesso. Potrebbe persino morire. Ma dimmi, questo non ti ricorda
nulla?”.
Piccolo bastardo
immateriale...
“Parli... di voi
sette?”. La mia voce è molto meno salda di quanto
mi piace.
“Proprio di noi
sette. Proprio come lui noi abbiamo deciso di nostra sponte e abbiamo
portato
fino in fondo le conseguenze delle nostre azioni. E anzi, rispetto a
noi lui
non è automaticamente, totalmente condannato. Potrebbe
riuscire a scamparsela
in qualche modo, o forse trovare un rimedio o che ne so io. Resta il
fatto che
Genma non era bugiardo quando ha detto che ci sono molti parallelismi
fra la
nostra situazione all’epoca e la sua attuale,
perché è così. Li vede lui e li
vedo anch’io, e non sono il solo nel nostro gruppetto. I miei
compagni la
pensano esattamente allo stesso modo. Specialmente Akane”.
Il solo citare quel
nome mi rende le ginocchia di pastafrolla. Dopo stanotte non potrebbe
essere
diversamente.
“Oh Shan-Pu, non fare
così. Lei ti ha perdonata. Del tutto. Non ti porta il minimo
rancore per quanto
è successo. Certo, quando è arrivata era un
pochino alterata...”.
“Perché la cosa non
mi stupisce?”.
“Perché la conoscevi.
E ti sei resa conto che, vostri motivi di contrasto a parte, non era
poi una
così pessima persona. Era capace di saper superare i
difetti, propri ed altrui.
Se lo aveste voluto sareste potute essere non dico amiche, ma civili a
sufficienza da non spaccarvi i tavoli in testa. Ma non farmi divagare,
che il
tempo a mia disposizione comincia ad essere pochino”.
“Ah, avete anche le
scadenze?”.
“Cavolo se ce le
abbiamo. E non mi va proprio di farmi prendere per le orecchie da
Arnold e
farmi sbatacchiare come un bambolotto di peluche”.
“Arnold?”.
“Il nostro funzionario
di quartiere. Un tizio poco raccomandabile”.
“... non voglio
sapere. Prosegui, dai”.
“Quel che avevo da
dire in realtà l’ho detto. Se però vuoi
posso alzare il tiro ed essere brutale”.
“Morire ti è servito
a qualcosa. Ti ha fatto crescere della spina dorsale”.
“Ah ah ah ah ah.
Spiritosa. Allora lo sarò senza neanche chiederti il
permesso: tu non sei
nessuno per impicciarti di fatti non tuoi. Si tratta del suo mondo,
della sua
vita e della sua famiglia. Se ha davvero deciso di gettarsi nel cesso
pur di
avere anche solo una vaga speranza di scongiurare
quell’evento luttuoso non
puoi, proprio non puoi mettergli i bastoni fra le ruote. È
un problema suo e
solo suo che, purtroppo, richiede una soluzione estrema. E visto che
non siete
arrivati a nulla di meglio, pur dopo un anno e mezzo di studio matto e
disperatissimo, le sue alternative si sono ridotte o a morire qui di
vecchiaia,
o di tornare a casa sua usando quel diabolico aggeggio.
L’ipotesi marchiata
Happosai credo sia saggio lasciarla lì
dov’è, c’è troppa
disparità fra
risultato e cose che potrebbero andare storte. Sappiamo tutti che
è un rischio enorme,
eppure ha deciso di non farsi toccare dalla cosa e sta puntando
all’obiettivo.
Se hai un briciolo di buon cuore, per mancanza di
un’espressione migliore, ti
scosterai e gli darai l’Artiglio. E io so che ce
l’hai, ben più di un briciolo”.
“Ma voialtri almeno
capite perché resisto così
strenuamente?”. Meno male che l’ultima volta ho
pianto all’arrivo di Akane, più tempo passa fra un
episodio e l’altro e meglio
sto. Ho ancora la mentalità amazzone, dopotutto.
“Certo. Non siamo
stupidi. Ti sei affezionata a lui. E ad Akira. E ad Akane. Specialmente
ad
Akane. Quindi, dal tuo punto di vista, posso dire di capire
perché ti opponi.
Ma così facendo agisci per il tuo vantaggio, non per il suo.
Che poi il
vantaggio, nella situazione particolare, sia relativo è un
altro discorso che
non c’entra e non dipende da nessuno dei coinvolti. Lo fai
perché... non so,
non vuoi che esca dalla tua vita?”.
“E-esatto...”.
“Lui non è di queste
parti, però. Dai, non sei una bambina dislessica a cui
bisogna spiegare con le
dita come si fanno le addizioni. Ci arrivi da sola, anche senza il mio
tutoring”.
“Tralasciando che la
dislessia è tutt’altro... sì, il tuo
paragone è chiaro. Quel Genma Saotome non
appartiene a questo mondo, non l’hai mai fatto e non lo
farà”.
“Eggià. Io non
credevo che fossi arrivata a un tale punto di solitudine,
Shan-Pu...”.
“No, non sono così
tanto disperata. Cioè, è vero che non voglio che
se ne vada ma non per quel
motivo. Non solo. Ho davvero timore di quello che potrebbe succedergli.
Due usi
consecutivi dell’Artiglio sono inauditi, il più
delle volte uno basta e avanza
per mandarti agli antenati”.
“L’età ti ha proprio
ammorbidita. Ti guardo e in te c’è davvero poco
della ragazzina testarda,
orgogliosa e non disposta a scendere a compromessi. Non che sia un
male”.
“Nella prossima vita
cercherò di non maturare man mano che cresco,
allora”.
“Scema”.
“Scemo tu”.
“Ehi, che fai?
Perché...”.
“Taci, papero!”.
Cala il silenzio.
Del tutto
sovrappensiero ho afferrato un bicchiere d’acqua che stava a
pochi centimetri
da me e gliel’ho scagliato addosso. Ovviamente gli
è passato attraverso andando
a rompersi per terra.
In quei venti secondi
non avevo trentasei anni, bensì sedici. E ho pensato che
Mousse fosse vivo.
I fatti parlano
chiaro e dicono molte cose interessanti: ogni tanto si agisce senza
riflettere;
Mu-Si è rimasto un idiota uguale a se stesso; loro sette,
tutti e sette, anche
quelli che in vita sopportavo poco e male, mi mancano. Molto
più di quanto
sospettassi. E a distanza di vent’anni la cosa assume ombre
preoccupanti.
Ci penserò poi.
“Cacchio, è già ora.
Il mio tempo è quasi scaduto” dice, facendo
palesemente finta che con l’acqua
non sia successo nulla. Fai l’imbarazzato da morto? Sul serio?
“Di già? Quanto sei
stato qui, cinque minuti?”.
“Non so che dirti. A
parte ribadire che stasera, se la mia fiducia in te è ben
riposta, gli lascerai
usare l’Artiglio”.
“Vedrò. Mu-Si...”.
“Dimmi. Ma in fretta”.
“Ringraziala per
stanotte”.
“Oh. Lo farò, non
temere. Certo che...”.
“Che?”.
“Non posso fare a
meno di rimanerci male vedendo come il centro della tua vita sia sempre
qualcun
altro. In vita era Ranma, in morte è Akane. Mai
io”.
“Mi... mi spiace...
dev’essere perché lei è stata
l’ultima e si è impressa con maggior forza nella
mia mente... ma ora che mi ci fai pensare... se è
d’accordo con Genma perché mi
ha svegliata?”.
“Credo perché, anche
se la pensa allo stesso modo, non voleva fargli commettere impunemente
una delle
sue solite azioni da vigliacco. Vuoi usare l’Artiglio? Bene,
capisco il perché
e approvo. Però lo fai alla luce del sole, parlandone con la
proprietaria, e
non nascondendoti nelle ombre come il più spregevole dei
ladri. Penso ci abbia
messo mano anche Ranma ma non ne sono del tutto sicuro. Cazzo,
è proprio ora.
Ti devo salutare, Shan-Pu”.
Muove la mano nel più
classico dei gesti di arrivederci. Sorride.
Pare sereno. D’altronde
è lui quello morto, che preoccupazioni può avere?
“Ci sottovaluti, cara
mia”.
Uh?
“Te l’avevo detto che
possiamo leggere anche i pensieri dei vivi”.
“Sareste delle spie
ineguagliabili”.
“Eh sì, lo saremmo. Addio”.
“Addio? Non... non
tornerai più?”.
“Difficile. Ma mai
dire mai. E comunque si tratta solo di una manifestazione
più o meno fisica.
Noi in realtà siamo sempre nei paraggi”.
Pian piano i suoi
contorni si fanno sempre più labili fino a che,
inevitabilmente, svanisce.
Lascio cadere la
testa sul bancone.
*
“So che me
ne
pentirò, fra qualche tempo. Lo so benissimo”
mormoro a mezza voce mentre
consegno l’Artiglio a Genma. Mezza voce ma non abbastanza
bassa perché lui non
senta.
E difatti risponde:
“Non
sei tu quella che deve pentirsene, in caso. Ti ho solo chiesto un
piacere e tu
sei stata abbastanza gentile da esaudirlo”.
“Taci e fai
quel che
devi”.
Mi giro, non voglio
vedere. Scusa.
Dopo circa un minuto
sento un tonfo. È l’Artiglio, caduto per terra.
Andato.
Uno dei tre vagabondi
è tornato a casa sua. È una bella notizia.
Allora
perché mi
sento così... così...
‘Fanculo. |
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Vi sarebbe piaciuto rimanere solo in due, ragazzacci ***
17 febbraio 2012.
Fantastico.
Con che faccia mi
presento a casa senza venire preso a scarpate in culo dal giardino alla
più
vicina yobikou? In quelle scuole preparatorie del menga finisci stretto
come
una sardina a puzzare di chiuso.
Mamma sarà incazzata
come una biscia e papà mi guarderà come il figlio
idiota che canna il quarto
esame d’ammissione nell’arco di una settimana.
Mi hanno rimbalzato ovunque.
Se ci fosse una facoltà per bidelli avrei preso il
benservito pure lì. Troppo
fico e troppo magro, almeno per quella.
No, ma veramente. È
una cazzo di tragedia.
Cosa...
cosa diavolo
ho appena visto?
Shinichi,
sei un
fottuto ignorante. E a te la cosa non dà onestamente nessun
problema. Peccato
che debba sopravvivere nel mondo reale, dove un exploit del genere ti
marchia a
vita come fallito.
D’accordo, c’è anche
da dire che praticamente non ho studiato. Ero troppo in altre faccende
affaccendato. Niente di realmente importante, ma cose che mi hanno
sottratto
tempo e concentrazione.
Quindi forse è più
corretto dire che non sono un fottuto ignorante, sono un fottuto
fancazzista. E
non so quale delle due cose sia peggiore.
Cammino lento. Non ho
nessunissima fretta di arrivare a destinazione.
Potrei accampare
mille scuse: il maltempo, i dischi rotti, i nostri due ospiti residui
che
continuano ad occuparci abusivamente casa, i muri che bisbigliano di
ciulate nel
bel cuore della notte, una dichiarazione di guerra della Confederazione
Marziana Unita che è atterrata sulla mia scrivania... ma
appunto, sarebbero
scuse. Non serve star qui a nascondersi dietro un dito scarnificato,
non ho
fatto un cazzo e ne pago le conseguenze.
Puff. La vita di un
giovane adulto giapponese è una merda se manchi i traguardi
minimi. Vedo certi
miei amici che hanno improvvisamente trovato terra bruciata attorno a
sé dopo
il terzo tentativo mancato. Alcuni perché sono veramente
intelligenti come un
tombino, altri perché soffrono della mia stessa malattia,
altri ancora perché
la vita ha cospirato contro di loro in ogni modo possibile ed
immaginabile.
Fatto sta che ‘sti poveretti vengono visti come scarti della
società, marmaglia
a cui non vale la pena imprestare neanche duecento yen per comprarsi un
caffè.
Fatemi posto, sto per
arrivare come un missile nel vostro poco esclusivo club.
Quasi quasi devio e
faccio un salto nel garage più vicino a procurarmi Betty,
quella che diventerà
la mia spranga prediletta e con cui scalerò le gerarchie
della malavita locale.
Sarà la mia compagna di scorribande, con lei
metterò in pratica i piani malvagi
malvagini che faranno del male a tanta gente che è buona. E
poi mi ricorderà
papà e la scenata con cui mi ha diseredato.
Dopo qualche giro a
casaccio sono finalmente davanti all’ingresso.
Inventate il
teletrasporto, voi cervelloni che usate le lauree come carta igienica.
Mi
servirebbe per rendermi irreperibile e sfuggire all’ira
genitoriale. Magari in una
capanna a Sumatra, ben protetto dalla foresta tropicale.
Qui
qualcuno mi dovrà
dare delle spiegazioni molto approfondite. Molto, molto approfondite.
Sospiro.
Avanti mentecatto,
entra. Rimandare allunga solo l’agonia in maniera del tutto
gratuita. Butta il
petto in fuori e affronta il tuo destino.
Entro, al contrario
delle mie abitudini senza urlare e senza sbattere la porta.
Non riesco neanche a
fare due passi due che Akane mi aggredisce da dietro, cingendomi le
spalle. “Ehi
cuginetto, com’è andato
l’esame?”.
Ti eri appostata,
stronza? Aspettavi che tornassi per far scattare la trappola?
“Bocciato”.
“Oh. Cavolo,
mi
spiace Shinichi. Dico sul serio”.
“Sì
sì, ok. Ma
mollami per favore, sei molesta a starmi troppo addosso”.
“Scusa”.
E si scosta
senza proteste, apparentemente davvero amareggiata.
Mi volto per
fronteggiarla.
In questi ultimi tre
anni sono state apportate delle leggere modifiche al suo aspetto
fisico: si è
lasciata crescere i capelli, che ormai le arrivano a metà
schiena, e ha preso a
tingerli castani. Molto più pratico e sbrigativo del dover
indossare una
parrucca ogni due per tre. Peccato non si possa tingere anche gli
occhi,
sarebbe così comodo.
“Dai Akane,
non fare
quella faccia” dico riferendomi al suo musino corrucciato
“È il primo anno, ho
altre possibilità di entrare da qualche parte”.
“Ma non
è bello farsi
stampare”.
“Non lo
è, hai
ragione. Però è solo colpa mia, non ho fatto un
cazzo negli ultimi due mesi e
raccolgo ciò che ho seminato. Non ho nessuno da accusare
tranne me stesso”.
“Kasumi non
ne sarà
felice, temo...”.
“Mamma
è una persona
pacifica e tranquilla, lo sai bene. Ma è il classico tipo
che si incazza una
volta per secolo e quando lo fa rade al suolo tutto quello che tocca.
Probabilmente tu non hai mai avuto reale esperienza di questo suo
lato”.
“Devo dire
di no, non
ricordo una sola volta in cui l’ho vista alterata. E
Tofu...”.
“Lui
adotterà quella
che si può chiamare tranquil fury:
niente urla, niente strepiti, nulla del genere. Solo tanta delusione
trasmessa
in maniera subdola e probabilmente troppo fine perché io
possa accorgermene
appieno”.
“Forse stai
un po’
esagerando, però. Come hai detto è solo il primo
tentativo...”.
“Può
darsi e
onestamente ci spero. Cercherò di indorare la pillola
invocando sfiga cosmica
che mi ha danneggiato”.
“Scorretto”.
“Faresti lo
stesso se
ne andasse della tua cotenna”.
“Addirittura
pensi di
essere in pericolo di vita?”.
“Chiaramente
no, non
nel vero senso della parola. Ma per me la convivenza in questa casa,
nei
prossimi mesi, sarà decisamente più
dura”.
“Datti una
pacca
sulla spalla e complimentati dell’eccellente lavoro svolto,
furbastro”.
“Cacchio,
non le
mandi proprio a dire tu”.
“Sei stato
il primo
ad assumerti la responsabilità di questo buco
nell’acqua. Non vedo perché non
dovrei adeguarmi”.
“Perché
è poco carino
da parte tua”.
“Ma vero.
Preferisco
l’onestà all’ipocrisia”.
“Troppa
onestà uccide”.
“Un rischio
che
correrò”.
Mi sorride e ricambio,
nonostante l’umore di merda. La mia piccola zia riesce sempre
ad alleggerire l’atmosfera.
Visto che sono,
almeno in parte, in tema di pensieri poco allegri: da quando
è capitombolata
da queste parti l’assenza della mia vera zia pesa
immensamente meno su di me.
Non è lei, ovvio, ma stando a quanto mi dicono le assomiglia
parecchio. E anzi,
per certi versi è persino meglio: più pacata,
più aperta nei propri sentimenti,
meno irascibile. In confidenza mi ha raccontato di un paio di eventi
capitati
nel suo mondo che le hanno fatto cambiare atteggiamento in tante cose,
tipo il
periodo in cui ha fatto sesso forsennato con Ranma cercando di
nascondersi al
resto della famiglia. Dubito che la sua controparte di qui sia arrivata
a tanto
e per come la conosco -intendendo sia lei lei, sia la sorella di mia
madre-
non potersi sfogare non aiuta il suo carattere.
Ora che ci faccio
caso è vestita da combattimento. Si sarà portata
avanti per la lezione
pomeridiana.
Oh già,
adesso la
prode Akiko Honda conduce il dojo ex-Tendo. I miei non hanno mai
pensato, voluto
o trovato necessario sbarazzarsene, anche perché non
c’era un effettivo bisogno
dello spazio extra ed è rimasto uguale sin dal periodo del
Torneo. Quando il
tempo di permanenza degli estranei è raddoppiato e poi
triplicato... beh,
diciamo che è saltata fuori l’esigenza che
facessero qualcosa della loro vita,
anche nella tetra eventualità che siano davvero bloccati qui
per sempre. Akira
passa le proprie giornate chiuso in camera a disegnare come uno
posseduto da un
oni artista perché vuole essere sicuro oltre ogni
ragionevole dubbio di non
seguire le mie orme e di farsi prendere alla scuola per mangaka. Akane,
invece,
ha afferrato al volo l’occasione che le si è
presentata davanti e ha proposto
ai miei di riaprire la palestra, così da prendere due
piccioni con una fava e
potersi rendere utile al bilancio familiare facendo quello che davvero
voleva.
La soluzione era perfetta per entrambe le parti in causa, quindi da
circa un
anno la Scuola di Lotta Indiscriminata è risorta dalle
proprie ceneri. Certo,
un po’ rosica perché è obbligata ad
usare un nome falso e per il suo orgoglio
personale è un grosso smacco, ma come si suol dire shit happens. Meglio così che
un calcio in bocca, d’altronde.
Sto per proporle di
accompagnarmi in cucina che vorrei sgranocchiare qualcosa quando...
“Ecco,
cercavo
proprio te Shinichi”.
Mi giro nella
direzione della voce, e con me lo fa Akane.
È Rei.
Avanza verso di noi,
impettita e con una faccia... sembra quasi incazzata. Sotto al braccio
stringe...
O porca puttana
lurida.
Lo riconosco da qui.
È l’album delle foto delle sorelle Tendo.
Cazzi astronomici a
ore dodici, primo ufficiale. Alzare gli scudi alla massima potenza.
Prepararsi
all’impatto.
Inchioda a mezzo
metro da noi, punta l’attenzione su di lei, alza il
più classico degli indici
inquisitori e dice: “Tu non sei una lontana cugina,
vero?”.
Il gelo ci copre come
una coltre mortale.
“Chi sei? E
perché
assomigli moltissimo a me e all’unica ragazza che non
riconosco di questo album
di fotografie intitolato Le mie adorate
bambine, di Soun Tendo?”.
Fantastico bis.
Credevo che questa
sarebbe stata la peggior giornata dei miei ultimi otto anni. Ha appena
ritoccato il record a salire e ora è probabilmente la
peggior giornata dei miei
ultimi ventinove anni, anche se di anni ne ho solo diciotto.
“Esigo un
chiarimento,
fratello. E lo esigo ora”.
Perché io?
Son mica
io che mi trovo in un mondo non mio, ciccia.
“S-scusa,
perché da
me?”.
“Volevo
parlarne con
mamma, ma un parente vale l’altro. Tanto lo so che ci sei dentro
anche tu in
questa cospirazione”.
Non ti darò
la
soddisfazione di dirti che hai ragione, Sherlock Holmes con le tette.
Neanche
tante. Mai pensato a un push-up?
“Allora,
‘sta
risposta?”.
“Perché
non lo chiedi
alla campionessa dell’onestà? Eh Akane, cosa ne
pensi?” sogghigno allungando lo
sguardo nella sua direzione. Belli i discorsi sull’essere
impeccabile, vediamo
come li metti in pratica però. E la frecciata di usare il
suo vero nome di
fronte a Rei era evitabile, lo so, ma quell’uscita di prima
mi ha fatto
scattare la vena vendicativa.
Mi guarda spaventata,
ma nel suo volto vedo indistintamente una certa qual dose di
serietà. Potrebbe
star meditando sulla possibilità di svuotare il sacco fino
in fondo,
lasciandole l’ingrato compito di mettere assieme i pezzi e di
farli combaciare.
“Basta che
qualcuno
mi spieghi cosa sta succedendo qui. Ho la sensazione di aver appena
scoperchiato il pentolone infernale”. Bimba, quanto ci stai
andando vicina.
“Andiamo in
salotto.
Servirà sedersi” intima la mia piccola zia. Il
tono da generalissimo la dice
lunga sulle sue intenzioni.
E sia. Devastiamo la
mente di mia sorella con la verità, nient’altro
che la verità lo giuro amen.
La seguiamo placidi
mentre apre la strada.
Ci sediamo.
“Chi vuole
avere l’onore
di cominciare a spiegarmi, dunque?”.
“Faccio
io” dico.
“Come
preferisci,
Shinichi. A te la palla”.
“Bene Rei,
quello che
sto per raccontarti ha a dir poco dell’incredibile e mi sa
che farai molta
fatica a crederci. Anzi, non mi meraviglierei se non succedesse e
scapperai da
qui urlando. Io ho avuto la tentazione di farlo, quando sono stato al
tuo posto”.
“Mi
sottovaluti”.
“No, non
credo.
Quello che stringi è, come avrai intuito da te,
l’album che il nonno ha
raccolto sulle sue tre figlie”.
“Tre?”.
“Sì,
tre. Nostra
madre Kasumi, zia Nabiki... e zia Akane”.
Si ammutolisce. Su
ragazzetta, siamo appena all’inizio della cavalcata oscura.
Hai tutto il tempo
per farti venire un infarto coi fiocchi.
“Ma... prima
lei... l’hai
chiamata Akane...”.
“Non avere
fretta, ci
sono tante altre cose che devi sapere per poter collegare quelle foto
alla
persona che ci sta facendo compagnia in questo momento. Ebbene, avrai
anche
notato che l’album si ferma a quando zia Akane aveva sedici
anni. E questo
perché, reggiti forte, non poteva andare avanti almeno
nel suo caso per
un semplicissimo motivo: Akane è morta”.
Penso che adesso Rei
preferirebbe un bastone infuocato giù per la gola, lo
troverebbe piacevole al
confronto.
Hai voluto fare la
donnetta intraprendente? Ora ti sorbisci tutta la storia senza
intervalli, così
impari. Pertanto riprendo senza darle neanche il tempo di rifiatare:
“Già, zia
Akane è morta a sedici anni. Era il 1989. E vuoi sapere
come? Lei e altri
sciroccati hanno deciso di partecipare al Torneo, una roba orribile che
richiedeva un vero e proprio sacrificio per salvare il mondo dalla
distruzione.
Puoi benissimo toglierti quella faccia incredula, non sarei in grado di
inventarmi una palla del genere se non sapessi che le cose sono andate
davvero
così. Perché lei, il suo promesso Ranma e tutta
la gente che ci ronzava attorno
erano praticanti di arti marziali e a quanto pare serviva gente della
loro
risma per quel lavoro. Il problema è che chi si immischiava
in questa cosa era
condannato a tirare le cuoia, a prescindere dall’esito del
proprio scontro. Partecipi?
Muori. Quindi, in quei cinque mesi, in sette sono andati e hanno
combattuto per
me, per te, per mamma, per papà e per tutto il mondo.
Pagandone il prezzo
ultimo. Shan-Pu può confermarti, se
com’è logico non ci stai credendo. Lei
è l’unica
persona sulla faccia della terra ad aver assistito con i propri occhi,
ed è
stata lei a raccontare i particolari più truci a mamma e a
zia Nabiki”.
Mi sono fatto
trascinare talmente dal discorso che neanche mi ero accorto come la
poveretta
stesse per svenire. Meno male che Akane, più reattiva di me,
ha provveduto a
sostenerla e a cercare di farle aria per non lasciarle perdere i sensi.
“Hai la
sensibilità
di un bulldozer, Shinichi. Ti costava tanto cercare di spiegarti a
rate, senza
buttar fuori tutto in un sol colpo?”.
“Mi spiace
ma se l’è
cercata. Una che arriva marciando con quell’aria tracotante
cerca rogna, e
visto che ne ho a quintali da regalarle...”.
“Che
fratello
degenere”.
“Risparmiatelo
per
quando la favola dell’orrore sarà finita.
Già Rei, questa era solo l’introduzione”.
Un flash di angoscia
nei suoi occhi.
Sto davvero
esagerando. Ma è stata lei a chiedere.
“Manca un
particolare
che, col senno di poi, ha assunto una notevole importanza: il Torneo
era
strutturato in combattimenti singoli, dove i nostri eroi dovevano
affrontare...
persone provenienti da mondi diversi”.
Ormai la sua voce
è
un rantolo strozzato: “Mondi... diversi?”.
“Essì.
Sembra che la
teoria del multiverso sia vera e che, oltre alla nostra, esistano
infinite realtà.
Che possono essere simili ma anche completamente diverse. E qua
subentra lei”
indicando Akane.
“Se dopo
quello che
ti ho detto stai pensando che il suo sia un caso di omonimia con nostra
zia...
sbagli. Ti presento ufficialmente Akane Tendo, sorella di Kasumi e
Nabiki Tendo.
Tecnicamente non è nostra zia, bensì è
un’immigrata clandestina in un mondo non
suo”.
“Shinichi!”
sbotta la
diretta interessata “Sul serio, vuoi ammazzarla?”.
“Come glielo
devo dire
sennò, girandoci attorno? Non ho tutto il prossimo mese a
disposizione. Tanto
vale essere spediti”.
“Fai un
piacere all’umanità
e taci. Da qui ci penso io”.
“E va bene,
zietta.
Mi ritiro in buon ordine e lascio la patata bollente a te”.
Le si siede accanto e
prende a coccolarla per cercarle di far andare via quella brutta
cattiva di una
crisi catatonica. Sussurra parole dolci che non riesco a sentire da
qui, e che
se sentissi probabilmente mi farebbero solo venire la nausea.
Poi decide che
anch’io
ho il diritto di ascoltare: “Sssssh, calmati su. Tuo fratello
è stato sin
troppo diretto, ma quel che ha detto è vero. Tutto vero. So
che è difficile da
comprendere, lo so. Prenditi il tuo tempo, nessuno ha intenzione di
farti
fretta. Sarebbe stato meglio se non l’avessi scoperto in modo
così traumatico”
con tanto di occhiataccia verso di me, occhiataccia che liquido con un
gesto
della mano “ma... ormai il danno è fatto. Non
dovrei peggiorare la situazione
confermando che la storia di Akiko e Akira Honda è
completamente falsa. Io e
lui proveniamo da altri mondi, non lo stesso, e ci siamo trovati qui
per puro
caso e senza neanche saperne il perché. Dai, adesso cerca di
prendere un respirone
profondo e di tranquillizzarti”.
Wow. Ci sai fare con
i marmocchi. Vedrò se si riesce a darti una raccomandazione
per quel ruolo
vacante di maestra d’asilo nido.
Lasciamo trascorrere
qualche minuto nel silenzio. Le ha pure stretto la testa al petto nel
tentativo
di frenare un preventivabilissimo attacco di pianto isterico. La sta
persino
cullando.
Vuoi il ciuccio,
bimba?
“Q-quindi...”
riesce
a mormorare Rei, immagino facendo un notevole sforzo di presenza di
spirito “tu...
ed Akira... venite da... altri mondi?”.
“Esattamente”
le
risponde con immensa delicatezza.
“E tu...
sei...”.
“Come ha
detto
Shinichi. Sono Akane Tendo. Da me non è successo nulla di
quanto accaduto qui,
col Torneo e tutto il resto. Abbiamo avuto i nostri pensieri
perché Ranma ha
sempre funzionato da magnete per personaggi folkloristici e casinisti,
ma nulla
di così sconvolgente”.
“E... la tua
cicatrice?”.
“Oh, adoro
quando me
lo si chiede. Vedi Rei, come ti ho appena detto abbiamo avuto i nostri
pensieri.
Uno di questi pensieri sono state le amazzoni, la tribù di
Shan-Pu dai più
profondi meandri della Cina pastorale. Il discorso è troppo
lungo e complicato
e al momento non è proprio il caso di sovraccaricarti
ulteriormente di
informazioni superflue, ti basti sapere che siamo entrati in conflitto
con loro
e che questa è il risultato di uno dei loro attacchi nei
nostri confronti”.
“Mi... mi
dispiace...
zia...”.
“Non
chiamarmi zia, per favore. Neanche tuo
fratello lo
fa, così come vostra madre non mi chiama sorella.
Lo trovo irrispettoso nei confronti della vostra vera zia, che
è morta tanto
tempo fa. Io posso avere il suo aspetto e il suo nome ma sono una
persona
diversa”.
Qualcosa in me mi
porta a fare un appunto: “Migliore”.
Lo sguardo irritato
che mi restituisce mi appare sinceramente fuori luogo: “Come
fai a dirlo se non
l’hai mai conosciuta?”.
“Ho sentito
i lunghi
racconti di mamma su lei e Ranma. Ti conosco da quattro anni, credo di
averti
inquadrata a sufficienza”.
“Cosa puoi
sapere
veramente su di me, Shinichi? Quattro anni sono nulla”.
“No, non
sono nulla.
Non saranno molti, mica dico di no, ma non sono neanche nulla. E
comunque,
grazie a quanto so su di lei e a quanto vedo di te, posso dirlo con un
certo
margine di certezza. Ad esempio sono abbastanza sicuro che le tue
frequenti...
attività amatorie non siano state eguagliate da nostra
zia”.
Ecco, trovato il
trucchetto per metterla a tacere. Basta parlare di quando ha fatto, o
fa, sesso
e comincia ad arrossire furiosamente, manco fosse una suora beccata a
leggere
fumetti porno.
“Shinichi!
Non
raccontare i cazzi miei di fronte a Rei!”. Se ti scappano
pure delle parolacce,
a te che sei di solito così composta nel linguaggio, il
nervo toccato fa
davvero male.
Improvvisamente mi
sento immerso nel mio habitat naturale, quello della
volgarità gratuita, e
rispondo colpo su colpo: “Beh, non posso farci nulla se a te
piace andare a
sfarfallare a destra e a manca. Mica sono io a zoccoleggiare, cara
mia”.
Il semi-ruggito che
si lascia sfuggire è musica per le mie orecchie:
“Senti tu, non ti sembra di
aver creato abbastanza caos per oggi? Ti sei fatto bocciare come un
coglione
all’esame, hai scioccato tua sorella facendo quello che ce
l’ha grosso e
potente e adesso spifferi con superficialità ciò
che ti ho detto in confidenza.
Datti una regolata, stronzetto”.
Adesso tocca a me
emettere versacci poco rassicuranti: “Mi stai sfidando,
Akane? Perché guarda
che, se mi ci costringi, non ho problemi a gonfiarti la faccia come un
sacco
per gli allenamenti della boxe. Altro che sfregio”.
“Tu?
Gonfiare me? In
quale sogno, bamboccio?”.
“Nessun
sogno. Solo
la cruda, dolorosa realtà”.
“Allora
fatti sotto”.
“Non chiedo
niente di
meglio”.
Quella che sta per
trasformarsi in una scazzottata in piena regola viene interrotta da una
voce. A
me sconosciuta.
“Ma... ma...
dove
sono? Chi? Cosa? A-A-Akane...”.
Tutti e tre ci
voltiamo in quella direzione, verso l’ingresso della stanza.
E...
Sì, ma sul
serio?
Cazzo succede oggi, si può sapere?
Davanti a noi
c’è...
Ranma, il pomello della porta aperta ancora in mano.
Non ho neanche il
tempo materiale per poterlo inquadrare, ringraziando anzi quelle sue
poche foto
mostratemi da mia madre che mi hanno permesso di identificarlo, che lui
si
avventa su Rei e la strizza in un abbraccio.
Borbotta qualcosa di
incomprensibile su morte, pugni e coltelli. E la chiama Akane. Amico, ti stai sbagliando.
Io e Akane siamo
completamente
paralizzati dallo stupore.
Il mio cervello
registra a stento la nozione che lui sta stringendo la presa. E non
pare per
nulla intenzionato a lasciarla andare.
“Mi... mi
soffochi...”.
E solo dopo questo
appello a mezza voce rinsavisce e la molla.
Fra i colpi di tosse di mia
sorella che prova a recuperare un normale ritmo di respirazione e gli occhi di Akane
che
tentano di fuggire dalle proprie orbite, la situazione riprende una
vaga
parvenza di normalità.
Raccatto abbastanza
materia grigia per studiarlo: è vestito con un orribile
completo grigio pieno
di macchie, che per quanto ne posso sapere sono di grasso o qualcosa
del
genere; dal taschino spunta la testa di un accendino; ha la barbetta,
una roba
appena accennata.
Non sto neanche a
perdere tempo con le ipotesi e do per scontato che sia un altro profugo
da una
realtà diversa. Una realtà in cui gli
dev’essere andata particolarmente male,
perché non ha un gran bell’aspetto. E soprattutto
mi inquieta la foga con cui
si è gettato su Rei, come...
Come se non la
vedesse da chissà quanto. E non mi si chieda com'è possibile, visto che a rigor di logica non l'ha mai vista in vita sua.
Ora, lungi da me fare
il menagramo. Ma fra il Torneo del mio mondo, il massacro da
Venerdì 13 del
mondo di Genma e il macello con le amazzoni del mondo di Akane... chi
mi dice
che questo ceffo non è reduce da qualche evento estremamente
brutto? Inoltre il
suo abito mi trasmette un brivido freddo, perché se non
sbaglio... è una divisa
da carcerato.
Scatto come una
saetta e vado a cercare mamma. Abbiamo un potenziale serial killer per
le mani.
Questa è
realmente la
giornata peggiore della mia vita. Ma a mani bassissime.
Note dell'autore
Due in pochi capitoli. Sto battendo tutti i record. Solo per comunicare che il Ranma che fa qui la sua comparsa viene da Panda Ciccione, uno dei What If? di Secrets. E giusto per essere del tutto chiari: i mondi di Akane la Sfregiata e Ranma il Galeotto non sono del tutto separati (Panda Ciccione fa parte della Quadrilogia Barattolosa, che è appunto una serie di What If? di Secrets. Fino a un certo punto le due storie erano perfettamente parallele, poi c'è stato un momento di rottura e le strade si sono separate). |
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Akane la Sfregiata e Ranma il Galeotto: maneggiare con cura ***
18
febbraio 2012.
Credevo di averle
viste
tutte.
Vecchi e vecchie
dall’aura potentissima e spesso rivolta contro di me, tizi
dalla lingua
mostruosamente lunga e dalla bocca mostruosamente grossa, pattinaggio
marziale,
ginnastica ritmica marziale, cheerleading marziale... sì, la
mia vita tendeva a
ruotare attorno a quello. E spiriti gatto, spiriti acquatici, spiriti
quelchetipareatechetantounol’hodisicuroincontrato.
Ho sempre avuto una
routine a dir poco strana.
Poi quello che credevo
avrebbe scardinato ogni limite senza possibilità di essere
superato: in un solo
giorno, era ottobre, ho visto tutto quello che mi circondava andare in
microscopici
frantumi. Talmente piccoli che se provi a raccoglierli ti rimane la
scheggia
sottopelle, di quelle che fanno un male della malora.
In poche ore mi sono
morte attorno due delle persone più importanti per me: Akane
ed Ukyo.
Ed entrambe per colpa
mia.
Più o meno,
più o
meno. Non le ho di sicuro uccise di mia mano. La mia mancanza
è stata più che
altro quella di non essere stato abbastanza veloce.
Con Akane non sono
neanche riuscito ad accorgermi del pugnale di Mousse che volava
imperterrito
verso la sua gola e che gliel’ha attraversata.
Con Ukyo non sono
proprio stato in grado di levarla di mezzo, di spostarla dalla
traiettoria del
pugno assassino di Ryoga che avrebbe dovuto colpire me e portare a
termine il
lavoro di cui si era fatto carico, che era ammazzarmi.
Lui probabilmente
pensava che quello sarebbe stato un crimine, una cosa riprovevole. Ma
si
sarebbe sbagliato. Non era altro che un atto di pietà, un
porre fine a quel
continuo dolore che da qualche ora era per me il solo atto di respirare.
Ogni inspirazione.
Ogni espirazione. Una martellata.
Mi ricordava che
Akane non aveva più quel privilegio.
A conti fatti io ero
già morto, sin dal preciso istante in cui l’ho
vista cadere per terra nel
giardino sul retro del Nekohanten, il collo perforato e una macchia
rossa che
si espandeva di secondo in secondo.
Era solo stupida
biologia, e un po’ di stronzaggine, a non darmi la pace del
sonno eterno che
meritavo.
E allora ho pensato
di rimediare a questa grave mancanza. Ho fatto chiamare la polizia e ho
detto
loro che ero un killer. Ok, non era proprio tecnicamente corretto ma,
per
quanto mi riguardava, non risultava neanche troppo diverso dalla
verità.
Di fronte a un reo
confesso -parole di cui ho scoperto il significato solo molto dopo,
troppo
complicate per me- non hanno avuto altra scelta che portarmi in
guardina, se
non altro per accertarsi che non fossi un bugiardo seriale o un
mitomane. Poi
hanno fatto tutte le loro indagini, con i loro stupidi cappelli da
Sherlock
Holmes e le lenti di ingrandimento e le pipe piene di cocaina, e sono
riusciti
nella mirabolante impresa di considerarmi colpevole materiale di
entrambi gli
omicidi. Nonostante non ci fosse una singola prova schiacciante a mio
carico.
Era quello che
volevo, non ci si lasci ingannare dal tono sarcastico. Dico solo che, a
quanto
pare, la polizia giapponese è composta da macachi.
Pertanto me ne stavo
buono buonino nel braccio della morte attendendo la mia sentenza. Oh
già,
abbiamo ancora la pena di morte in vigore anche se non viene usata
troppo
spesso. Per un sedicenne presunto duplice omicida hanno fatto una mezza
eccezione,
eccezione per la quale li ringrazio. Dicevo, me ne stavo lì
bel bello, con il
mio lavoro sfiancante di spaccapietre sotto al sole cocente
d’agosto quando è
suonata la sirena di fine turno e ce ne siamo tornati in cella. Non mi
hanno
neanche lasciato fumare una sigaretta. Cattivi cattivissimi.
Ero stanco e sudavo
acido. Perciò, quando è successo, ho creduto di
avere le allucinazioni. Non
sarebbe neanche stata la prima volta che mi passavano davanti agli
occhi
immagini create dalla mia mente.
Solo che questa era
un’allucinazione particolarmente ostinata perché
non se ne voleva andare. Non
se n’è andata ancora adesso, a distanza di
parecchie ore.
E
cos’è successo? Oh,
nulla. Ho solo aperto la porta del bagno della mia stanzetta due per
due...
ritrovandomi in una casa che non riconoscevo, di fronte a gente che non
riconoscevo.
O che credevo di non
riconoscere.
Ho avuto bisogno di
quattro secondi quattro. Poi una delle tre facce mi ha travolto con la
forza di
una locomotiva ad uranio: era Akane.
Era. Akane.
Viva, di fronte a me.
Tralasciamo
l’inspiegabile spostamento che mi ha portato dal carcere che
mi ha fatto da
casa nell’ultimo anno e mezzo a quella che, ho scoperto in un
secondo momento,
è casa Ono. Per ora me ne disinteresserò.
Avevo Akane davanti.
Era praticamente
identica al giorno in cui è morta.
Il mio corpo si
è
mosso da sé e ha deciso che la cosa migliore da fare fosse
abbracciarla.
Stretta. Più stretta. Ancora più stretta.
Senza neanche sapere
bene cosa stessi dicendo le ho chiesto scusa per non aver saputo
proteggerla
come meritava. Ho idea di averla quasi asfissiata da tutto
l’impeto che ci ho
messo.
Nessuna domanda su
dove fossi finito e sul come, sul perché me la fossi
ritrovata davanti, su chi
fossero gli altri due. Nessuna. Ho agito per puro sentimento, con buona
pace
della mia striminzita parte razionale che in quel momento era seduta
sulla
tazza del wc ad evacuare e non voleva saperne niente.
Ha sussurrato
“Mi...
mi soffochi...”. E io, da bravo ragazzo quale sono,
l’ho prontamente mollata.
Uno dei due che non
ho riconosciuto, il maschio, ha d’un tratto levato le tende
correndo via. Bof,
chissenefrega. Invece l'altra -che comunque non mi era del tutto
estranea, ma non
riuscivo ad inquadrarla- mi si è avvicinata, mi ha
sfiorato la guancia con il
dorso della mano e senza preavviso alcuno mi ha stretto le braccia al
collo.
È stato il
mio turno
di essere preso in contropiede.
“Ranma,
Ranma... tu
non hai idea di quanto mi sia mancato, anche se non so da dove
vieni...”.
Eh? Chi sei? Che
vuoi?
Ed eccoci qui, ad
oggi.
Alla camera di Akane.
A lei seduta sul letto e io sulla sua sedia girevole.
Ci guardiamo. E siamo
decisamente imbarazzati. Fra l’altro dovrò prima o
poi chiedere scusa alla
ragazza che ho rischiato di stritolare.
Io poi non sono solo
imbarazzato. Sarebbe pretendere un po’ troppo dal
sottoscritto. Spero non si
accorga che sto sudando.
“Ranma,
finalmente
abbiamo un momento di pace in cui posso parlarti”.
“Sì,
ma io...”.
“Fai ancora
fatica a
capirci qualcosa, vero?”
“Qualcosa?
Non ho
capito nulla di nulla”.
“Sei un
novellino, è
normale. Datti uno o due mesi e ci farai
l’abitudine”.
“Uno o due
mesi?”.
“Ah
già, non ti ho
detto da quanto sono qua”.
“Qua? Cosa
vuol dire qua? Perché parli come
se fossi dove non
devi essere?”.
“Ma insomma,
nessuno
si è preso la briga di dirti qualcosa?”.
“Niente di
niente”.
“A Shinichi
devo
ancora una castagna per quella faccenda lì, ora saranno due.
No, ma sul serio. Non
ci posso credere. Tu hai dormito in questa casa senza
sapere?”.
“Esattamente”.
“Kasumi e
Tofu stanno
invecchiando, evidentemente. Bene Ranma, comincerò con le
domande di rito:
quanti anni hai e che anno pensi che sia?”.
Scusa? Che razza di
domanda è?
“Non credo
di aver
capito...”.
“So che ti
sembra
stupido ma per favore, assecondami”.
No. Non può
aver già intuito
che non sono in condizione di rifiutare una sua qualunque richiesta.
Anche se è
castana e con una orribile cicatrice in faccia.
Sì,
l’unica cosa che
ho capito bene di questo gigantesco casino è che lei
è Akane, non l’altra. Devo
ancora trovare una spiegazione plausibile al suo essere rediviva. E a
un sacco
di altri quesiti.
È
straniante.
Doloroso. Ma è la sola base a cui ho deciso di aggrapparmi
con tutte le mie
forze, dopo essere stato catapultato in questo posto. Spettro, cyborg,
clone o
qualunque cosa sia mi ha detto di essere Akane. E questo mi basta. Me
lo faccio
bastare.
Quindi mi tappo il
naso e le rispondo: “Ranma Saotome, classe 1973, diciotto
anni. È il 1991”.
Alza la testa al
cielo e ride lievemente. Sembra molto divertita dalla mia confusione.
“Gli
assomigli
davvero molto...”.
“A chi
assomiglio?”.
“Non ora.
È troppo
presto”.
“Ma...”.
“Ho detto non ora. Non disubbidirmi”.
Sì,
l’ha intuito.
Abbasso la testa.
“Va bene. E
posso
anche chiederti perché indossi una divisa da carcerato?
Certo che Akira o
Shinichi potevano imprestarti qualcosa di meno brutto”. A
quel poco che ho
capito Shinichi è il tipo che stava con loro quando sono
arrivato, mentre non
ho la minima idea di chi sia questo Akira.
La domanda
è molto
meno innocua di quella che l’ha preceduta.
Tentenno. Non poco.
Alla fine, dopo false
partenze e sillabe mezze mangiate, riesco a formulare qualcosa di
minimamente
sensato: “Ecco... ero in prigione...
perché...”.
“Perché?”
mi incalza.
“Perché...
io... ti
ho uccisa...”.
Salta subito
all’indietro, palesemente intimorita.
“Tu hai
fatto cosa?”.
“No no,
aspetta.
Fammi spiegare meglio” mi affretto a correggere. Non mi piace
vederla così, in
nessun caso e per nessun motivo “Non ti ho davvero uccisa,
non materialmente.
La colpa, del tutto involontaria, è stata di Mousse.
È successo verso la fine
del suo duello con Shan-Pu”.
“Duello?
Questo... mi
accende una lampadina in testa...”.
“Sì,
il duello. Si
erano sfidati all’ultimo sangue per via di quelle loro leggi
del cacchio...”.
“...perché era
saltato fuori che erano promessi sposi fin da piccoli ma nessuno dei
due voleva
saperne mezza”.
...
“Tu chi sei
davvero?”
le chiedo “Come fai a sapere queste cose?”.
“Io... io mi
ricordo
di quella scena. Poi per fortuna era arrivata Ukyo e si era messa in
piedi
quella spassosa finzione del fidanzamento lesbico...”.
Cosa? Fidanzamento
lesbico?
Ma... ma veramente
no.
“Un’altra
domanda:
prima di questa cosa, del... duello, sarà mica successo che
Mousse aveva
sconfitto Shan-Pu in allenamento proprio nel momento in cui io e te
passavamo
per caso di lì?”.
La pianti di leggere
i miei ricordi, strega?
Non posso che
confermare. È andata proprio così.
“Capisco.
Evidentemente le nostre storie personali collimano fino a quel momento,
per poi
assumere strade diverse. Finisci di raccontare”.
Beata te che capisci.
Io son più sperduto di un bambino in mezzo al bosco, da
solo, di notte, col
lupo mangiabambini che lo insegue.
Diamole corda, mi
sembra comunque una che sa cosa sta facendo. Ed è Akane.
Anche volendo non
potrei fare nient’altro.
“Beh, quella
è
semplicemente stata la peggior giornata della mia vita. In poche ore ho
visto
morirmi davanti agli occhi te ed Ukyo, lei sventrata da un pugno di
Ryoga che mi
stava pestando a sangue dopo che gli ho raccontato cosa ti era
successo. Poi
quell’imbecille è andato a perdersi da qualche
parte e io, per la seconda
volta, sono rimasto accasciato per terra con il cadavere di una persona
cara
davanti”.
Mi trattengo un
attimo. Rievocare tutto fa più male di quanto sospettassi.
Lei è ovviamente sconvolta,
con tanto di mano sulla bocca e occhi sgranati.
“Allora ho
deciso di
farla finita: l’ho portata nello studio del dottor Tofu, ho
fatto chiamare la
polizia e mi sono costituito per la sua e la tua morte. Mi hanno
sbattuto in
galera e, dopo un processo abbastanza ridicolo, condannato alla pena
capitale.
Stavo aspettando la mia meritata fine quando... è successo
questo”.
In un primo momento
non riesce a dire nulla, e io di sicuro non gliene farò una
colpa. Poi pare
scuotersi un attimo, mi guarda e mormora: “Porca eva... dalle
tue parti la vita
ha assunto una piega fin troppo tragica”.
Allora, la vogliamo
piantare di parlare per enigmi?
“Scusa la
brutalità,
ma che cazzo vuol dire dalle
tue parti?
Ti degneresti finalmente di spiegarmi cosa mi sta accadendo? Cosa devo
pensare
di te, per esempio? Sei un’illusione, un fantasma, un parto
della mia mente
schiacciata dal senso di colpa? Perché ti vedo respirare di
fronte a me quando
il mio ultimo ricordo di te è un coltello che ti perfora la
gola uccidendoti
sul colpo?”. Freno a stento una lacrima che sento salire
prepotente.
Bello. Sono ancora
capace di piangere, allora.
Non fa una piega
mentre si sistema in una posizione più comoda e si fissa
verso di me: “Ok Ranma,
è tempo di farti comprendere per bene come stanno le cose.
Tu credi alla storia
secondo la quale il mondo in cui vivi non è
l’unico dei mondi possibili, ma
anzi è solo uno dei tanti che realmente esistono?”.
Supposizioni da
fantascienza di serie Z? Sul serio? Che cavolo le devo rispondere?
“A dire il
vero non
ci ho mai dato importanza. Con la vita piena che ho avuto sin dal mio
arrivo a
Nerima avevo altre urgenze. Dovresti saperlo”.
“In effetti
sì,
capisco. E non sei neanche il tipo da porsi certe domande. Allora
lascia che
risponda io per te: quella storia è vera. Esistono infiniti
mondi paralleli”.
... quanti anni pensa
che abbia, due e mezzo?
“Mi prendi
per il
naso, vero?”.
“Ti
piacerebbe. No, è
proprio così. Io ne sono la dimostrazione”.
“Tu?”.
“Io sono
Akane Tendo,
che tu ci voglia o possa credere o meno. Tu provieni da un mondo in cui
sono
morta in quella maniera orribile, io evidentemente no. Ranma, fammi
capire
bene: con tutto quello che hai passato fra specchi greci, serpenti a otto
teste,
marmocchi che sparano fuoco, acqua maledetta... è davvero
così inconcepibile
credere a una cosa del genere?”.
A metterla
così no,
neanche troppo. A ben guardare ho visto e avuto esperienza di cose
altrettanto bizzarre.
“Ti
dirò di più. Non
solo io provengo da un altro mondo, ma tu e io siamo nella stessa
situazione.
Ci troviamo in un terzo mondo non nostro. E qui a nessuno dei due
è andata
bene. In questo momento della storia Akane Tendo e Ranma Saotome
risultano
deceduti da ventitré anni”.
...
È
ufficiale: sono
finito in una candid camera.
Non credo a quanto ho
appena sentito. Non ci credo.
“Menti”.
La mia è un’affermazione.
Devo convincermene.
“Immaginavo
avresti
reagito così, per questo mi sono premunita. Girati e guarda
cosa c’è sulla
scrivania”.
Faccio come mi
è
stato detto e ci trovo un giornale.
“È
il quotidiano di
oggi. Prova a leggere la data”.
18 febbraio 2012.
Non sembra essere
stata modificata in alcun modo.
Ma questa non
è una
prova. Sono solo delle cifre.
“Hai ancora
lo
sguardo del miscredente. Perfetto, ho il metodo per convincerti. Dammi
due
secondi”. Detto ciò estrae dalla tasca dei
pantaloni un... cacchio è quell’affare?
Non riesco a capirlo.
Pasticcia un
po’ e se
lo porta all’orecchio.
“Kasumi?
Sono Akane.
Sì, scusa se ti telefono mentre ci troviamo nella stessa
casa, ma mi servirebbe
un piacere. Potresti salire in camera mia?”.
“...”.
“Grazie
mille. Ti
aspettiamo”.
“Che
cos’era quella
trappola?”.
“Questo,
intendi? È
un cellulare. Un telefono portatile. Sono la norma nel ventunesimo
secolo”.
“Sì,
vabbè.
Piuttosto, perché hai chiamato tua sorella?”.
“Lei
non...”.
“Eccomi,
Akane” ci
interrompe qualcuno aprendo la porta. E ho di nuovo di fronte a me
quella
stranissima Kasumi. Stranissima perché... dimostra una
quarantina d’anni.
Uhm. Aspetta, che in
matematica sono sempre stato lento come un mulo da soma. Se
è davvero il
2012...
Punto sotto la
colonna Akane
non sta mentendo.
Però,
cavolo... l’ultima
volta che l’ho vista Kasumi mi ha trapassato da parte a parte
con uno sguardo
glaciale. Mi sembra anche ovvio, era il momento in cui ho riportato a
casa
Tendo il corpo senza vita di sua sorella. La capisco. Ora invece mi
osserva
pacifica, un mezzo sorriso in volto. Mi ci devo riabituare.
“Urca, sei
stata
rapidissima. Grazie”.
“Ci
mancherebbe. Con
il nostro nuovo... ospite, ho pensato che fosse necessario”.
“Ti prego di
scusarci, Ranma, ma prima di cominciare con la parte che ti riguarda
avrei una
domanda per lei”.
Mi limito a un cenno
affermativo con la testa. Spero solo che non ci metta troppo.
“Kasumi, di
grazia...
perché avete lasciato questo poveretto all’oscuro
della sua situazione per un’intera
giornata? Con me, Akira e Genma non era andata
così”.
In questo marasma di
novità
fa piacere vedere che l’espressione solare di Kasumi
è sempre la stessa.
Salterò a piè pari la citazione del nome di mio
padre, per ora non ne voglio
sapere nulla.
“Vedi Akane,
con Tofu
abbiamo deciso di darti un po’ di spazio... privato. E poi,
senza offesa Ranma,
il tuo aspetto non era dei più rassicuranti e ci
è sembrato necessario
prenderci un po’ di tempo per appurare che tu non potessi
rappresentare un
pericolo per la nostra famiglia. Sai, quello che indossi ci ha
spaventati”.
“Sì,
ma se fosse
stato un malintenzionato ci avrebbe potuti sopraffare con
facilità”.
“A quel
punto non
sarebbe cambiato nulla. L’unica che avrebbe avuto una pallida
speranza di
fermarlo saresti stata tu, noi saremmo stati del tutto impotenti.
Abbiamo
giocato col fuoco ma ci è andata bene”.
“Non vi
facevo così
temerari. Addirittura non farlo neanche cenare assieme a noi”.
Sì, quello
è stato
parecchio scortese. Ci sono rimasto piuttosto male, non lo nego.
“È
stato anche per
non sovraccaricarlo di troppe informazioni. Colpevole o innocente che
fosse,
era palese che qualcosa gli era successo. Tu te la saresti sentita di
buttargli
in faccia la verità a bruciapelo?”.
“Beh...”.
“Vedi?”.
“Ok, ok. Il
vostro
ragionamento non fa una grinza. Ora torniamo a noi, però.
Kasumi, ho appena
esposto a Ranma la situazione mia e di Akira, che ora condividiamo
anche con
lui. Però il mascalzone non ci crede troppo e...”.
“Veramente
non ci
credo per nulla” mi permetto di inserirmi.
“Fai
silenzio, solo
per un attimo”.
“Signorsì
signora”.
“E allora ho
pensato
che il tuo apporto potesse giovare alla causa. D’altronde si
sa come Kasumi sia
incapace di mentire, non è vero Ranma?”.
Come la posso
contraddire?
“Allora,
potresti
raccontare a questo incredulo come sono andate le cose in zona? E come
io e il
mio caro fratellino siamo piombati nella vostra routine?”.
“Certamente.
Ranma,
premetto che posso intuire quanto dev’essere difficile per te
credere a quanto
sto per narrarti. Ma come ha giustamente sottolineato lei, sai che ho
una certa
politica riguardo le bugie. Ebbene, qua tu e Akane avete imboccato la
via del
martirio. Voi due, Ryoga, Ukyo, la vecchia Obaba, Mousse e persino
Kuno. Tutti
voi. Fra l’8 marzo e il 27 luglio del 1989 siete venuti a
mancare, uno dopo l’altro,
a causa di quel maledettissimo Torneo... oh santo cielo, dopo tutti
questi anni
fa ancora un male del diavolo...”.
Si interrompe e
comincia a singhiozzare. Akane si alza dal letto e le si avvicina per
confortarla, tirando fuori un fazzoletto e porgendoglielo. In pochi istanti
è un
continuo e rumoroso soffiarsi il naso.
Io... porca miseria,
non volevo. Non posso farla stare così.
“Va bene, va
bene”
dico alzando le mani “Puoi anche fermarti qui, non serve
proseguire. Ci credo.
Ci credo”.
Entrambe si voltano
verso di me, un poco meravigliate.
Poi succede una
piccola cosa che mi lacera il cuore: Akane mi sorride. Deve aver
apprezzato la
mia delicatezza.
Che i kami mi portino
via adesso se non si divertono a vedermi mentre mi squaglio tipo
pozzanghera a
terra.
La congeda
gentilmente, ringraziandola ancora per lo sforzo.
Quando siamo di nuovo
soli si riposiziona sul materasso, stavolta più vicino a me.
Nascondo
maldestramente l’avvampare che si impossessa delle mie
guance. Da questa
distanza la sua cicatrice mi sembra ancora più brutta.
Cazzo. Solo ora
realizzo appieno la situazione che sto vivendo: ho davanti a me Akane.
Se allungo
un braccio posso toccarla. Se allungo la faccia posso baciarla.
Pensavo che una
simile gioia mi fosse stata strappata per sempre. E invece mi trovo
nella
condizione di dover ringraziare questo imprevisto, pazzo, insensato
stato di
cose che mi ha concesso di poterlo rifare. Non che l’abbia
mai fatto quando ne
avevo l’occasione, ma le seconde possibilità
devono avere un gusto totalmente
diverso.
Deglutisco. Non
è il
momento. Neanche so se lo sarà mai.
Perché
continui a
sorridermi, dannato maschiaccio? Sai quanto mi sconvolgi?
“L'increscioso
incidente non era previsto. Dopo provvederò a scusarmi con lei, mi
è spiaciuto farle rivangare
eventi dolorosi del suo passato. Non è la stessa cosa ma, visto che so bene come si sono svolti i fatti, mi metterò al posto
suo”.
“È...
è spiaciuto
anche a me...”.
“Si
è notato. È stato
un bel gesto da parte tua, grazie”.
Un altro minuto
così
e mi esplode la testa, lo giuro.
Smettila. Smettila di
sorridermi. Non lo reggo.
“Ranma?
Tutto bene?”.
Ce l’avrò scritto in faccia che mi sta venendo una
crisi isterica.
Ed ecco, la cosa che
non ti aspetti: lei capisce. O almeno credo capisca. Qualunque sia il
motivo,
mi fa il carissimo piacere di scostarsi un po’
all’indietro e di togliersi quel
meraviglioso sorriso, sostituendolo con uno sguardo appena appena
dispiaciuto.
“Ranma, non
volevo
metterti a disagio. Perdonami. È che... sono più di quattro anni
che non ti... che non
lo vedo”.
Checcosa? Quattro...
anni?
“Q-quattro?”.
“Sì,
quattro. Io e
Akira siamo capitati in questo mondo nel 2007. Nel loro 2007. Da quel
fottuto
10 dicembre...”.
Tutto ad un tratto
scopro... riscopro la facoltà di percepire dolore che non
sia il mio.
“Io e lui...
stavamo
assieme, alla luce del sole... eravamo finalmente riusciti a superare
la nostra
stupidità e a dichiararci, facendoci forza con i nostri soli
sentimenti... non
hai idea di quanto mi sia sentita felice in quel momento, quando
abbiamo preso
a calci tutto quell’immenso cumulo di orgoglio,
ottusità e paura e ci siamo
appropriati di noi stessi e di quello che condividevamo...”.
Ok, questa sensazione
è nuova.
Sono geloso di me
stesso. Se ce l’avessi davanti cercherei di ammazzarlo.
“Io... io mi
vergogno... ma una parte di me... sta cercando di convincermi a
saltarti
addosso, buttarti sul letto... e strapparti i vestiti... so che
è sbagliato...
per un miliardo di motivi... ma faccio... una fatica incredibile... a
controllarmi...”.
...
...
...
Non so se devo
spaventarmi, eccitarmi o tutte e due le cose.
“Allora...
forse è
meglio se tolgo il disturbo... non credi?”. Ho scelto di
spaventarmi e credo di
aver fatto bene.
“Sì,
penso... sia
meglio”.
“Con
permesso”.
Mi alzo e mi avvio
verso la porta. Da un momento all’altro mi aspetto che
succeda qualcosa. Che
lei mi afferri il polso, mi giri verso di sé e mi soffochi
con un bacio disperato.
Ma, per fortuna, non
succede.
Mentre esco sento
indistinto l’inizio di un pianto.
Appena sono sicuro di
essere fuori dalla sua portata visiva scappo via come un ladro. In uno
sprazzo
di lucidità mi rendo conto di non dovermi nascondere da
nulla, non ho colpe di
nessun genere. Questa volta non ho contribuito alla morte di nessuno,
non posso
rimproverarmi neanche volendo. E nonostante questa consapevolezza,
capisco che
la nostra convivenza sarà a dir poco tumultuosa. Troppe
emozioni inespresse o
conflittuali.
Suona impossibile, ma
quasi rimpiango la mia situazione di prima. È vero, ero in
attesa della condanna a morte per due omicidi che non ho commesso ma, a conti fatti, ero
più
tranquillo di quanto possa mai essere adesso. Rassegnato e indurito,
attendevo
solo quella che vedevo come una liberazione.
Adesso, invece,
qualche divinità dispettosa ha deciso che devo soffrire. E
lei con me.
Siete dei figli di
puttana.
Per caso finisco in
salotto
e ci trovo Kasumi, impegnata ad essere la propria brutta copia. Seduta
e con le
mani nei capelli, neanche si accorge della mia presenza.
Forse non è
il caso
che la disturbi.
“Ranma...”.
Oh. Allora non sono
trasparente.
Per un istante sono
indeciso. Poi vedo in lei una possibile ancora di salvezza, una
momentanea
distrazione.
Mi avvicino e mi
accomodo al suo fianco sul divano.
“Stai bene?
Hai una
cera orrenda” mi chiede. Santa donna, preoccupati un
po’ per te stessa ogni
tanto.
“Volevo fare
il paio
con te. Ascolta, mi spiace davvero per...”.
“Sssssh. Non
è colpa
tua e non è neanche colpa di Akane. È solo ancora
tanto doloroso, persino dopo
due decenni”.
Ma cribbio,
è
possibile che proprio adesso mi debba salire la curiosità di
sapere cos’era il
fantomatico torneo a cui ha accennato prima? Sei proprio un pezzo di
piombo,
Ranma.
“Kasumi,
io...”.
“Vuoi
sapere, vero?”.
Cos’è,
sono un libro
aperto?
“Se ti
dicessi di sì?”.
“Diresti la
verità”.
“E allora ti
lascerò
a bearti del tuo micidiale intuito”.
“Raccontamela
tutta.
È successo qualcosa di brutto con Akane, vero?”.
La domanda mi mette
in sincera difficoltà. Non lo so se è successo
qualcosa di brutto. Di sicuro
non era bello.
“Diciamo di
sì. Sono
saltati fuori particolari... pesanti da digerire. Per tutti e
due”.
“Non voglio
entrare
nei dettagli, sono fatti vostri. Ti dirò solo questo: dalle
tempo. E datti
tempo. È una situazione nuova e da esplorare per entrambi.
Dovete abituarvici
e...”.
“Kasumi,
io... nel
mio mondo... l’ho vista morire”.
Silenzio tombale.
“Questo...
non me lo
aspettavo. Ti va di parlarne?”.
Ottimo interrogativo.
Potrebbe farmi bene o potrebbe annientarmi definitivamente.
I suoi occhi sono
colmi del desiderio di aiutarmi, nonostante il suo attuale stato
emotivo. Mi
chiedo da quale strato celeste sia scesa questa signora,
perché non può essere
umana.
“Ne sei
sicura? È una
storia molto poco piacevole”.
“Se mi offro
volontaria me la sentirò”.
“Apprezzo
l’intenzione,
ma temo di...”.
“Stai zitto
e spiegati.
In cambio, quando avrai finito, ti dirò quel che vuoi sapere
su questo mondo”.
Proponiamo un
baratto, eh? Lo accetto.
“Va bene,
come vuoi”.
E comincia una lunga,
lunghissima chiacchierata. Al termine della quale ci troviamo
accasciati l'uno sulle spalle dell'altra, in lacrime. |
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Un ragazzo più furbo del previsto e una ragazza più incazzosa del previsto ***
21
febbraio 2012.
Non so cosa pensare.
Ranma è qui
da ormai
tre giorni, tre giorni e mezzo a fare i pignoli. Da quel momento in
camera mia
ci siamo relazionati direttamente molto, molto poco.
Turbamenti a
profusione, da entrambe le parti. Forse non avrei dovuto dirgli di quel
mio leggero...
problema ormonale. O forse, al contrario, ho fatto più che
bene ed è servito a
mettere una giusta dose di distanza.
Non che voglia sul
serio evitarlo, dico solo che... oh insomma, è complicato da
morire. Glielo
leggevo benissimo in faccia che il mio solo sorridergli gli provocava
scompensi
di ogni genere, e stavo cercando di non far trasparire più
del dovuto. Era
davvero un sorriso di genuino apprezzamento per quelle parole gentili
rivolte a
Kasumi. Quindi figurati cosa avrei potuto scatenare in lui se avessi
azzardato
sottintendere qualcosa, sconcio o meno che fosse.
Da parte mia mi era
praticamente impossibile, e lo è tuttora, non rivedere in
lui il mio Ranma. A
parte pochi particolari sono fisicamente la stessa identica persona.
Però la
barbetta gli sta bene, conferisce al pacco quel non so che di sexy
che...
Taci Akane. Certi
pensieri è meglio evitarli.
Fisicamente sono
uguali, ok. Ma anche un moccioso dell’asilo capirebbe che il
tutto è ben più
contorto. Innanzitutto per lui, che poveretto non avrà fatto
altro che rivivere
quel pomeriggio da incubo. Ho idea da subito, sin da quando ha poggiato
gli
occhi su Rei che, inevitabilmente, gli avrà riportato alla
mente la sua Akane.
Certo, sto dando per
scontato che quel che vale per me e per il mio Ranma valga allo stesso
modo nel
suo caso. È automatico. Magari sto correndo un po’
troppo, ma è sempre meglio
dare per assodato il peggio. Mal che vada ci si è fatti
degli scrupoli inutili
ma non si è rischiato di spezzare nessun cuore. E comunque
mi sembrava
abbastanza evidente, da come ha parlato di lei -anche se si
è limitato a
poche parole- e da come sembrava che io fossi fatta di porcellana,
quasi avesse
paura di toccarmi perché temeva potessi andare in mille
pezzi.
Quel ragazzo
è
pesantemente traumatizzato e non vedo come possa essere altrimenti,
considerato
quel che ha vissuto. Penso che, seppure con tempi e numeri diversi,
possa
rivaleggiare con la Shan-Pu di questo mondo che va bene, ha visto
morire più
persone ma in un lasso di tempo molto più lungo. E
soprattutto non se n’è
assurdamente accollata la responsabilità. Aveva la
disperazione più nera negli
occhi quando ha detto “Io... ti ho uccisa”. Non mi
meraviglierebbe scoprire che
quello stupido crede davvero di essere colpevole. So che non
è così, Kasumi ha
provveduto a ragguagliarmi ed è a dir poco lampante che non
c’entra
praticamente nulla.
È innocente.
Non del tutto,
però.
Ha una torto, non grande in proporzione all’evento ma ce
l’ha: come al solito
si fa carico di tutto e di tutti, come se da lui dipendesse la salvezza
dell’intera umanità. Non riesce proprio a
togliersi dalla testa che non sempre
si è in grado di mettere al sicuro capra e cavoli. Capita che,
nonostante i più nobili
propositi, qualcosa lo si perda.
Il più
delle volte
Ranma Saotome è un cavaliere in armatura dalla bravura
sopraffina. Per questo,
nelle rare occasioni in cui gli va male, il fallimento pesa come un
macigno. Specie
se porta a simili conseguenze.
Senza di me e senza
Ukyo. Le nostre storie sono immagino identiche fino al momento del
duello, che
per mia fortuna è stato scongiurato dal tempismo perfetto
della stessa Ukyo.
Incredibile come l’assenza di una sola persona possa
influenzare fino a questo
punto l’esistenza di tutta questa gente. La mia, la sua,
quella di tutti i
parenti, quella della mia migliore amica.
Grazie a
quell’esperienza io e Ranma ci siamo avvicinati come non mai,
abbiamo gettato
la maschera riuscendo finalmente a dirci in faccia cosa proviamo
l’uno per
l’altra, abbiamo persino... approfondito carnalmente. A lui
tutto questo è
stato negato per una piccola, sfortunata coincidenza. Piccola,
sfortunata
coincidenza che gli ha devastato la vita.
Getto un sasso nello
stagno. Sono nella stessa posizione di Akira quella famosa mattina di
più di
tre anni fa, quando abbiamo fatto la gitarella da Happosai giusto per
perdere
un po’ di tempo.
Già, come i
fatti
dimostrano nessuno ha davvero voluto sfruttare quel metodo a dir poco
precario.
Il mio finto fratello ha alla fine deciso di soprassedere, nonostante
per
lunghi periodi abbia riportato a galla, a intervalli intermittenti,
l’idea dal
fondo del mare dove l’avevamo gettata; Genma ha optato per un
sistema
altrettanto pericoloso ma che, se non altro, dovrebbe avergli dato la
certezza
dell’arrivo nel posto e nel momento giusto. Anche se Shan-Pu
ha teorizzato che
di lui non dev’essere rimasto poi molto, vista la simpatica
abitudine
dell’Artiglio di farsi pagare in pezzi di corpo. Brrrrrr.
Non ho voglia di far
nulla. La mia vita qui è in una sorta di limbo, anche se
tengo in piedi la
palestra da sola. Perché ho carenze di fondo,
così palesi che nemmeno perderò
tempo ad elencarle. E quindi sento l’insoddisfazione
serpeggiarmi fra le dita,
come un minuscolo cobra. Non che l’insoddisfazione sia
davvero così rettilosa,
ma mi piaceva la figura retorica.
Un sospiro. Uno
sbuffo. Una mezza parolaccia sussurrata.
“Akane!
È ora di
pranzo, potresti andare a chiamare Akira per favore? È
ancora chiuso in camera a
studiare”. La voce di Kasumi mi desta da questi decadenti
pensieri da artista
maledetto.
Mi alzo e faccio quel
che mi è stato chiesto. Da circa una settimana il signorino
Hibiki mette il
naso fuori dalla propria stanza solo per i pasti, assorbito
com’è dall’esame di
ammissione. Essendosi rassegnato a rimanere qui per chissà
quanto ha deciso di
fare qualcosa di più consistente che ciondolare per casa
senza meta,
lamentandosi all’aria del suo ingiusto destino. Se
non altro pare convinto a non voler ripetere i magnifici exploit di
Shinichi,
che dall’arrivo di Ranma non ha più la
facoltà di poggiare neanche un solo
piede oltre la soglia di casa.
Fra l’altro
gli devo
ancora un diretto, a quello lì.
Un breve cammino e
sono di fronte alla sua porta.
TOC TOC.
Nessuna risposta.
TOC TOC.
“Akira,
cacchio. Ci
aspettano di sotto, è pronto. Alza le chiappe”.
Niente.
La cosa mi
insospettisce.
Senza preoccuparmi
troppo apro la porta.
E la stanza
è vuota.
“Akira, dove
ti sei
cacciato?” chiedo ad alta voce, ma non ottengo alcuna
risposta.
Ma che strano, non
è
da lui sparire in questo modo. Con tutto l’impegno che stava
investendo nello
studio e...
Uh? Che
cos’è quel
block notes sulla scrivania? Non dà proprio l’aria
di essere parte del suo
materiale di preparazione.
Lo apro. E quel che
leggo e vedo... sì, mi spaventa.
È pieno,
pieno di
schizzi. Ogni singolo centimetro. E questi schizzi lo rappresentano in
posizioni e atteggiamenti che, col gergo di questo secolo, sono
definibili emo. Lui che guarda fuori dalla
finestra, lo sguardo avvilito e malinconico; lui in disparte rispetto a
un
gruppetto, di cui fra gli altri facciamo parte io e Shinichi, con la
testa
bassa e la più classica delle lacrime da femminuccia
intristita; lui che
osserva una foto incorniciata di due persone, i cui volti non sono ben
definiti, vestite per una cerimonia... un matrimonio, forse?
Le poche parole
presenti acuiscono solamente il mio disagio: voglio tornare a casa, questo
posto è sporco e vuoto e non vi
sopporto più, maledetti spettri.
Oh santi kami
benedetti.
Questo... questo
è
grave. Molto grave.
Poi il colpo di
grazia. In un angolo, quasi coperto da altri scarabocchi, appare
chiaramente un
disegno dell’Artiglio della Chimera. O almeno credo che lo
sia non avendo mai
io visto quell’oggetto, ma una specie di corno di rinoceronte
cos’altro
potrebbe essere?
Porca di quella...
Chiudo il quadernetto
e lo porto al piano di sotto, correndo verso la cucina.
Spalanco la porta.
Dentro ci sono Kasumi, al solito impegnata nel pranzo, e Ranma che la
osserva
con sguardo famelico. Quello lì non smette mai di avere un
buco nero al posto
dello stomaco, qualunque sia l’universo dal quale proviene.
“Ehi
Akane... ciao”
mi saluta, un lieve balbettio nella voce. Se non avessi pensieri
più pressanti
mi sentirei intenerita. Ricambio con un velocissimo cenno della testa.
Per
svariati motivi non ho intenzione di calcare troppo la mano.
“Kasumi!
Akira non è
in camera sua e guarda cos’ho trovato”.
Le porgo il quaderno
e la esorto a sfogliarlo. Ranma deve aver annusato qualcosa di strano,
visto
che prende a fissarci.
No, non hai tempo di
rivolgerti a lui dicendogli quanto sta bene vestito in maniera umana. E
dire
che indossa solo una camiciola un po’ sbottonata sul collo,
che mi fa
intravedere...
Cazzo. Concentrazione
Akane, concentrazione. Non distrarti.
“Akane...
quanto è
scritto qui... mi preoccupa”.
“Preoccupasse
solo te”.
“Scusate se
mi
intrometto” dice il bel tomo avvicinandosi a noi
“ma posso sapere di cosa state
parlando? Mi avete incuriosito”.
Sto per rispondergli
di farsi una scarica di affaracci suoi, risposta scortese dovuta
più alla
concitazione del momento e al fatto che se mi viene troppo addosso
rischio di
cominciare a sudare, quando Kasumi mi precede: “Si tratta di
Akira. Questo
sembra un suo blocco da disegno e ci ha scarabocchiato sopra delle cose
un po’
inquietanti”.
“Del
tipo?”.
“È
una storia lunga,
Ranma. Ti spiego mentre andiamo al Nekohanten, se vuoi venire con
me” tronco la
conversazione che rischiava di farci perdere tempo prezioso.
Oh sì, sono
abbastanza convinta che il misfatto sia stato compiuto da poco.
Stamattina a
colazione Akira c’era e non credo abbia lasciato questa casa
da troppo. Tu
chiamalo, se vuoi, intuito femminile.
“Al...
Nekohanten?”.
“Sì.
È lì che Shan-Pu
tiene l’Artiglio”.
“Verrei
volentieri
con voi” dice la mia quasi sorella “ma temo che vi
sarei solo d’impiccio.
Inoltre non voglio che il pranzo bruci”.
... le
priorità della
vita, questo insondabile mistero della testa di Kasumi Ono.
Afferro il polso del
nostro galeotto e lo trascino fuori. Se mi fossi fermata un attimo a
riflettere
non credo l’avrei fatto, non è che la sua presenza
mi sia così fondamentale...
e ciò dimostra che non ho riflettuto. Non credo di potermi
permettere di buttar
via un solo secondo, potrebbe essere quello decisivo.
“Akane...
Akane!
Mollami, per favore. So correre da solo e mi ricordo
dov’è il ristorante!”
guaisce il mio prigioniero quando siamo già in strada.
“Uh.
Sì, scusa. La
foga...”.
“Non
importa”
commenta più pacato dopo che l’ho lasciato andare
“Piuttosto, perché non mi
racconti cos’è questo Artiglio?”.
“Non so
molto, non
sono neanche del tutto sicura che Akira lo abbia disegnato sul serio.
Però quel
poco che so non è rassicurante”.
“E
cos’è che sai?”.
“Vedi,
l’Artiglio è
un artefatto amazzone che a quanto pare può concedere
qualunque desiderio a chi
lo sfrutta ma...”.
“Ma... ma
è
splendido!”.
“No, non lo
è”.
“Non capisco
perché
dici così”.
“Perché
non mi hai
fatto finire, birbantello. L’Artiglio concede il desiderio di
chi lo usa, sì...
ma in cambio vuole un pagamento”.
“Che genere
di
pagamento?”.
“Una parte
dell’utilizzatore.
Un pezzo di sé”.
“Un...
che?”.
“Un pezzo di
sé. Ti
ho detto che io e Akira siamo qui da più di quattro anni,
giusto? Ebbene, non
eravamo soli. C’era anche una versione di tuo padre. Nel suo
mondo lui l’aveva
usato, difatti è a causa sua se noi sappiamo
dell’esistenza di quell’aggeggio.
Ed è sempre grazie a quel coso che è tornato a
casa sua”.
“L’aveva...
usato?
Perché?”.
“Lo vuoi
davvero
sapere?”.
“Direi di
sì. Papà
non è mai stato tipo da fare una pazzia del
genere”.
“Beh, ti
posso
assicurare che aveva un motivo molto valido. Ha detto che nel 1999 la
sua
famiglia, noi due inclusi, è stata massacrata ed
è tornato indietro nel tempo nel
tentativo di impedirlo. Per farlo, però, ci ha rimesso gli
occhi. E chissà cosa
per abbandonare questa realtà”.
Sento indistinto il
rumore di qualcuno che inchioda. È ridicolo, lo so, ma
è proprio ciò che arriva
alle mie orecchie.
Mi volto e lui
è
piantato in mezzo alla via.
Diamine Ranma, non
ostacolarmi. Devo impedire ad Akira di finire su una sedia a rotelle.
“Massacrati...”.
“Ometto con
la barba,
muovi il culo. Ti dico tutto dopo se proprio ci tieni a saperlo. Non
adesso”.
Si scuote, come se si
fosse appena svegliato. Poi mi guarda determinato e riprende a correre.
Bravo ragazzo. Mi fa
piacere vedere che là dentro c’è ancora
il Ranma che conosco e amo.
“Quindi”
riattacca
dopo qualche minuto “vuoi impedire ad Akira di mettere le
mani su quella
trappola...”.
“Esatto. Non
ci tengo
a saperlo senza un arto”.
“Perché?
Cosa ti
interessa di lui?”.
“Non
puoi sapere, già. Io e lui abbiamo legato
piuttosto bene durante la nostra permanenza qui, è scattato
subito qualcosa di
bello”.
“Qualcosa...
di
bello?”.
Ma toh, colgo una
nota di gelosia.
“Oh no, non
nel senso
che la tua testolina buffa può aver creduto. Poi figurati,
lui ogni tanto mi
chiama zia perché nel suo
mondo sono
pappa e ciccia con i suoi genitori. Penso che non concepisca neanche la
possibilità, abituato come dev’essere a vedermi
come un’amica di famiglia e
null’altro”.
“Uff. Meno
male, và”.
Vedo che le mie
supposizioni di prima hanno centrato il bersaglio.
Giungiamo. Devo
prendermi un attimo per rifiatare, sono un pochino stanca. Quel
buzzurro,
invece, mi sfotte continuando a saltellare da fermo, apparentemente in
piena
forma.
Tsk. Lo so che sei
più forte e figo di me, non c’è bisogno
di ricordarmelo.
Alt, fermi tutti.
C’è
un problema.
Shan-Pu non ha ancora
visto Ranma. A quel che ne so negli ultimi giorni è sempre
rimasta tappata lì
dentro, oberata di lavoro fin sopra i capelli. E tutto il frastuono che
ci
arriva parrebbe confermare che anche oggi è giornata piena.
“Ranma...”
azzardo.
Mi guarda spaesato, immagino non capisca dove voglio andare a parare.
Non è mai
stato il suo forte l’essere arguto.
“Se per caso
te ne
fossi dimenticato il Nekohanten è il ristorante di
Shan-Pu...”.
“Sì,
lo so. E allora?”.
“Come
allora, tonto? Non
capisci che reazione potrebbe scatenare in lei il vederti?”.
“Eri tu
quella di
fretta, Akane. Che vogliamo fare, entrare e pensare dopo a tutte queste
paranoie o rimanere qui a sbrodolare nel dubbio?”.
Eh, non posso negare
che il suo ragionamento non faccia una grinza. D’altronde
adesso non c’è
proprio tempo.
Lo precedo. Con la
cinese andrà come deve andare.
Quando siamo
dentro... porca eva, cos’è tutto ‘sto
bordello? Qua dentro ci saranno almeno
una settantina di persone, anche di più.
C’è
un viavai
incessante fra i tavoli, con i camerieri che saltano di palo in frasca
senza
sosta. Non li sto invidiando per nulla.
Riesco ad agganciare
Shinji, l’unico che riconosco, e mi conferma che Shan-Pu
è in cucina a
diventare idrofoba per stare dietro agli ordini.
Durante il tragitto
verso la temuta Ping, flagello di ogni porta del Giappone, mi sale una
punta di
nostalgia nel ricordare i bei tempi andati in cui la nostra banda
considerava
questo posto un po’ come casa propria e ci entrava e ci
usciva con nonchalance.
Qua mi sa che mi toccherà scusarmi per
l’intrusione.
VRAAAAM.
Con tutto il
trambusto che c’è nessuno pare accorgersi di due
individui in più. Almeno
finché, sempre spalleggiata dall’Al Capone del sol
levante, non picchetto le
spalle di Shan-Pu che sta sbraitando istruzioni come un feldmaresciallo
della
Wehrmacht.
“Keiko,
porta questo
al tavolo quattro. Kazushi, dov’è Kazushi? Sakura,
non starmi fra i piedi! Satoshi,
i tuoi ramen dovranno aspettare di essere pronti...”. Poi si
volta e qualsiasi
altra parola le muore in gola.
“Scusa
l’invasione, è
stato maleducato da parte nostra. E sì, lui è
Ranma. Ora non posso proprio
spiegarti, abbiamo un’emergenza per le mani. Ti spiace
accompagnarci nel posto
dove tieni l’Artiglio? Temiamo tu abbia un altro clandestino
che gironzola da
queste parti”.
“Akane, ma
che...”.
“Shan-Pu,
no. Dopo.
Andiamo”.
“Non puoi
irrompere
con un Ranma con una barbetta affascinante e cercare di ammutolirmi
così,
diamine!”.
“Guardami
bene: dopo.
D-o-p-o”.
Un secondo di
silenzio, almeno fra noi tre. Cerco di convincerla col solo sguardo a
non
restare lì impalata che ho fretta, nel caso non si fosse
capito. Lei dimostra
di essere molto poco recettiva alle mie necessità.
Al che, visto che non
voglio seguire le orme di Genma e presumibilmente quelle di Akira e ci
tengo a
renderla partecipe, mi scatta lo sghiribizzo: la prendo per
l’avambraccio e la
trascino via. Non posso permettermi di giocare alle belle statuine. Una
piccola
parte di me è persin stupita da tanta fermezza.
Oggi, oltre a La
Donna che Sveniva la Gente, mi dovranno chiamare La Donna che Afferrava
i
Burattini.
Non oppone
resistenza. Temo sia rimasta scioccata dall’aver visto una
versione del suo
airen con vent’anni meno di lei. Un po’ la capisco.
“Shan-Pu”
le dico una
volta al riparo da orecchie indiscrete “per favore, non
svenirmi addosso. Mi
servi attiva”.
Per fortuna decide di
darmi retta e si passa le mani sugli occhi. Pare aver riacquistato il
senno. Un
cenno della testa lo conferma.
Ci conduce verso la
cantina. Sospettavo uno sviluppo del genere, c’ero quando
durante le sessioni
di ricerca mattutina recuperava i rotoli e le pergamene da
lì, però era
comunque giusto farci vedere e dirle cosa sta accadendo. Anche se forse
abbiamo
perso tempo prezioso.
“Potevate
avvisarmi
della sua presenza, comunque...” butta lì con
finta noncuranza mentre smanaccia
sul muro alla ricerca dell’interruttore. Chi cerchi di
prendere in giro,
gattina?
“Ci abbiamo
provato,
ma in questi ultimi tre giorni eri più irreperibile di un
alpinista sul K2.
Shinichi ti avrà telefonato almeno sette volte e ogni
singola volta nessuno ha
risposto. Mi sembra si sia anche fatto vivo di persona in un paio
d’occasioni,
ma c’era tanta di quella gente che dev’essere stato
un miracolo se sei riuscita
a respirare”.
“Non dirmelo
per
favore, è stato un incubo e non è ancora finita.
Ci dev’essere qualche convegno
strano qui in città, non ho mai visto una tale frotta di
turisti irrompermi nel
locale”.
“Se non
altro starai
facendo affari d’oro”.
“Per quello
sì, non
mi posso lamentare. Ecco, trovato”.
E luce fu.
Ranma non ha detto
una sola parola da quando siamo entrati. Cocchino, si
sentirà imbarazzato e
forse anche un po’ intimorito da questa Shan-Pu che, lo devo
proprio ammettere,
a uno sguardo esterno può dare un’idea forse un
po’ distorta di sé. Nel senso
che appare più arcigna e burbera di quanto non sia davvero.
Modestamente, però,
posso dire di conoscerla abbastanza bene e quella è... boh,
una maschera? Una
forma di difesa? Non è di certo il succo della persona che
ora, davanti a noi,
scende le scale e ci fa cenno di seguirla. E poi, di sicuro,
avrà anche delle
remore perché... Kasumi mi ha raccontato anche che fine ha
fatto dalle sue
parti. Quel giorno di ottobre dev’essere passato alla storia
di Nerima come
Giorno della Strage dei Sedicenni Combattenti.
Mi chiedo se,
Shinichi e Rei ed Akira a parte, ci sia qualcuno che lui non ha visto
morirgli
attorno. Ed esagero fino a un certo punto, ha un record molto poco
invidiabile.
Povero ragazzo, mi fa sinceramente dispiacere.
Finalmente giungiamo.
Apre l’unica porta d’ingresso e ci fa strada.
Un’altra
luce da
accendere e...
Qui non
c’è nessuno.
Il mio cervello
comincia ad elaborare mille possibili spiegazioni, tutte accantonate
mestamente
quando scorgo l’Artiglio per terra. O almeno, se quello non è l'Artiglio della Chimera mi chiedo cosa ci faccia qui un corno di rinoceronte.
Quel cretino di
Akira...
Siamo arrivati tardi.
L’abbiamo
perso. L’ho
perso.
Calmati, calmati.
Respira.
“Bene Akane,
siamo arrivati.
Ora?” chiede Shan-Pu.
Che voglia di darle
un gancio sul grugno.
“Ora niente.
Grazie
al tuo immobilismo abbiamo perso tempo e non ce l’abbiamo
fatta”.
“A far cosa?
Scusa
eh, ma non ti seguo”.
“Dovevamo
impedire ad
Akira di usare quel robo, ecco cosa! E come vedi...”.
“Oh”.
Risposta
intelligente, cara la mia amazzone.
“Io non sto
capendo
poi tanto” pigola Ranma alle mie spalle.
Sono circondata da
gente con l’acume di una cassapanca.
Voltandomi gli scocco
uno sguardo omicida, riconosco immeritato ma non è un
problema mio al momento: “Baka
che non sei altro! Te l’ho ben spiegato, mi pare. Akira ci ha
battuti sul tempo
ed è riuscito a tornare nel suo mondo. Forse senza un rene,
forse su una gamba
sola. Chi lo sa”.
“Beh”
commenta ancora
miss Nekohanten raccogliendo l’oggetto da terra
“nessuno può rimproverarci per
non averci almeno provato”.
Che
cos’è questo tono
conciliante? Ma sul serio, sono l’unica a cogliere la
gravità di quanto è
appena successo? Ditemelo se vi devo prendere a sberle, al momento vedo
poche
alternative altrettanto soddisfacenti.
“Deh, ma vi
siete
rimbambiti o cosa? Come potete reagire con tutta ‘sta
calma?”.
“Quel che
è fatto è
fatto, Akane. Ormai il dado... anzi, l’artiglio è
tratto”.
“Non
prendermi per il
culo, Shan-Pu. Non sopporto quell’aria da santone in pace col
mondo. Non ti si
addice”.
“No, hai
ragione.
Anzi, se devo essere sincera sto ribollendo di mille emozioni
diverse”.
“A giudicare
da come
hai reagito prima non si direbbe”.
“Se parli di
quando i
miei occhi hanno incrociato quelli di Ranma... mi stai mancando di
rispetto,
ragazzina”.
Ah davvero? Ti sto
mancando di rispetto, vecchia ciabatta? Decido di lasciarle campo
libero, sarà
divertente sentirla sproloquiare.
“Tu non hai
neanche
la minima idea, ma neppure per sbaglio, cosa mi è frullato
per la testa da
quando Genma mi ha ricordato dell’esistenza
dell’Artiglio. Non sai quante volte
ho avuto la terribile tentazione di scendere qui sotto, vendere
entrambe le
mani e...”.
“E? Non fare
la
timida, Shan-Pu. Sputa il rospo, che son tanto curiosa”.
“Avrei
voluto...
avrei voluto cancellare il Torneo. Avrei voluto... riavere mia nonna,
Mousse e
tutti gli altri ancora fra i piedi... anche adesso, mentre lo stringo,
questo
bastardo mi sta tentando. Mi bisbiglia che, se solo gli rivolgessi una
richiesta
chiara, potrebbe darmi quel che desidero...”.
Uh.
Sezione logica,
quartier generale sito nel cervello: va
bene Akane, non superare il limite. Sei arrabbiata per tanti motivi, lo
so e lo
capisco. Ma non è giusto da parte tua sfogarti su Shan-Pu,
lei non ha reali
colpe. Adesso fatti avanti, chiedile scusa e...
Sezione emotiva,
quartier generale sito nelle ascelle: senti,
simpaticissimo ammasso di sinapsi e cazzate. L’unica cosa che
va fatta è
rifilarle un pugno sul naso, fregarsi l’Artiglio e usarlo per
i fatti propri. E
a ‘fanculo tutto il resto, che non siamo qui a fare
beneficienza.
Questo simpatico
scontro fra titani avviene in quella che mi visualizzo come una steppa
battuta
dal vento, pressappoco all’altezza delle tonsille. I due
contendenti se le
danno di santa ragione, insultandosi e dandosi i peggiori epiteti.
Alla fine, seppur
stremato, Emotività finisce col calpestare la faccia di un
Logica steso per terra
come una pelle di daino ai piedi del caminetto e mi urla:
“Allora coglioncella,
ti dai una smossa o no?”.
“Sì
Shan-Pu,
terribilmente commovente. Guarda quanto me ne frega. Se però
ora volessi darmi
quel gingillo...” e allungo le mani per prenderlo.
Lei, molto poco
carinamente,
lo tira a sé impedendomelo.
“Cosa stai
cercando
di fare, Akane?”.
“Di non
essere l’unica
fessa che non approfitta della situazione per andarsene di
qui”.
“Vorresti...
fare tre
su tre?”.
“Ci puoi
giurare”.
Sto per ritentare
quando mi sento cingere da dietro.
Ranma... ti spacco le
ossa se non mi molli.
“Akane”
mi sussurra
all’orecchio mentre tento di divincolarmi “sei
agitata e nervosa. Non fare
qualcosa di cui ti pentiresti”.
“Lasciami
andare,
gorilla che non sei altro!”.
“No. Poi mi
ringrazierai. Shan-Pu, se volessi trovare una soluzione a questo
problema...”.
Scalcio, tento la
gomitata a tradimento, provo in tutti i modi a farmi mollare. Senza
successo. È
ancora troppo forte per me. Mi sento di nuovo come il primo allenamento
con il
mio Ranma, quando Ukyo temeva che stesse per uccidermi a furia di
darmele.
“Sì,
dunque...”. Si
guarda attorno alla ricerca di qualcosa.
Prega di trovarlo, o
appena sono libera...
“Ok, forse
ho trovato
cosa può fare al caso nostro”. Si avvicina agli
scaffali che stanno contro il
muro, dà un’occhiata al volo e alla fine prende in
mano un martello.
No... no...
Continuo a dimenarmi
come una carpa. Inutilmente.
Cala il primo colpo,
a cui ne seguono molti altri. Pur dalla mia scomoda posizione riesco a
vederla
mentre abbatte lo strumento di distruzione sulla mia unica via di fuga.
SDONK SDONK SDONK
SDONK SDONK.
Ogni botta
è come se
la desse a me. Una sullo stinco, una sulla mano, una sulla clavicola. Fa
male.
Va bene ragazzi,
aspettate solo che possa muovermi come voglio e vi rimescolo i
connotati
neanche fossero i pezzi di un puzzle. Starai bene con le tette, Ranma.
“Fatto”
annuncia
soddisfatta asciugandosi la fronte “ora quel diabolico affare
è polvere e non potrà
più cercare di fregare nessuno”.
... liberatemi.
Liberatemi. Devo pestarvi a sangue.
Mi sorride sbruffona,
probabilmente assaporando un non ben precisato gusto della vittoria.
Ok. Sono
ufficialmente fuori di me.
Dopo
l’ennesimo
tentativo riesco a sbilanciare il mio aguzzino quel tanto che basta da
divincolarmi e sottrarmi alla sua presa. Dopodiché,
più veloce che posso, mi
avvento su Shan-Pu e le assesto un diretto sul naso.
Mica scherzavo, eh.
“Perché
l’hai fatto,
bastarda? Perché? PERCHÉ?” lascio che
la mia angoscia scappi via dalla bocca.
“Perché... non potevo permetterti di
usarlo” arriva la
sua tremolante risposta alle mie spalle.
“E allora perché Genma...”. Mi salgono
le lacrime da
quanto sono furiosa, ferita, alterata.
“Tu non sei lui! Sei Akane! Non avrei mai potuto
lasciartelo! Mai!”.
Non mi giro, sospetto che sia scoppiata a piangere. La
sto per imitare, me lo sento.
Certo che è buffo: la prima volta che io e lei ci
siamo viste è stata una scenata da tragedia greca, con
capelli strappati e disperate
richieste di perdono. Ora ho solo voglia di metterle le mani addosso.
“Akane...” dice Ranma mentre percepisco il suo
avvicinarsi a me. Mi poggia una mano sulla spalla e istintivo
è scostarmi, in
maniera piuttosto brusca. Non voglio contatti con nessuno in questo
momento,
mordo.
“Andiamo a casa, su. Potremo discutere meglio di
fronte a un buon piatto di Kasumi e...”.
“Vai al diavolo, tu! Cosa ne vuoi sapere, che sei qui
da appena tre giorni? Non hai la minima idea di cosa provo,
né di cosa voglia
dire essere lontani da casa per tutto questo tempo! Non sai
nulla!”. Finisco la
tirata perché poi mi giro verso Shan-Pu, le scocco uno
sguardo che spero le
abbia bagnato le mutande e ricomincio, più furibonda che
mai: “E per quanto
riguarda te... mi rimangio il perdono, schifosa infame che non sei
altro. Tutta
quella lagna su come ti dispiaceva e mi
si è spezzato il cuore e bla bla bla. Palle, erano
solo palle. Sei rimasta
la stessa identica egoista insensibile del cazzo a cui non importa
nulla di
come si sentono gli altri, ma che pensa solo a se stessa. Mi fai
vomitare! E
vaffanculo, già che ci sei”.
Evito i loro sguardi, che so perfettamente essere
carichi di stupore e disprezzo per questa lunga accusa, e mi porto
verso l’uscita.
Prima di imboccarla mi fermo e scarico la frustrazione sotto forma di
un pugno
sul muro.
CRACK.
No, non è il muro che si incrina. Sono le mie nocche
che si rompono.
Non sono ancora a quel livello.
Con la testa abbassata e un principio di crisi
isterica -anzi no, altro che principio, qua siamo già
quasi all’apice-
butto fuori un’ultima badilata di rabbia: “Se uno
di voi due mi rivolge la
parola nei prossimi sei mesi... non risponderò delle
conseguenze. Fate tesoro
di quest’unico mio avvertimento”.
Poi esco, ignorandoli completamente.
Datemi qualcosa da sfasciare. |
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Al Nekohanten si parla da persone normali o si spezzano ossa ***
27 luglio 2012.
Guardo il cellulare
che reggo nella destra, seduta a
un tavolo casuale di un Nekohanten chiuso.
Sono le tre del pomeriggio.
Esattamente ventitré anni fa, mezz’ora
più mezz’ora
meno, moriva Akane Tendo. E adesso sto per affrontare Akane Tendo.
Carino quando puoi formulare frasi che appaiono degli
ossimori pur non essendolo.
Ho lasciato campo libero troppo a lungo a quella
ragazzetta irascibile. Da più di cinque mesi non ho trovato
l’ardire di
disubbidirle una sola volta, dopo quella scenata da annali che ha
piantato
nella cantina di questo stesso ristorante.
Sì, aveva detto sei. Se ne farà una ragione, io
sono
più che stufa di sottostare ulteriormente a
quest’idiozia. Anzi, ci ho messo
sin troppo tempo a decidermi.
Intimare a me di non rivolgerle la parola. Pazzesco.
Così com’è pazzesco, se ci piacciono
gli eufemismi, pensarla come una
giovinastra irrispettosa. Si dà il caso che io e Akane,
secondo logica,
dovremmo essere coetanee. Invece io ho trentanove anni e lei
ventitré. Toh, le
casualità dei numeri e delle ricorrenze.
Ma no, figurati. Perché tenere le cose semplici e
pulite? Qualcuno si diverte a mandarci la vita a donne di facili
costumi perché
sennò non è abbastanza spassoso.
Di chiunque sia la colpa di questo immenso, irrisolvibile
casino: vaffanculo. Detto con tutto il cuore.
Va bene, basta ciance.
Compongo rapidamente il suo numero.
TUTUTUTUTUTUTUTU.
Su su, rispondi. Non fare la marmocchia testarda.
TUTUTUTUTUTUTUTU.
Avanti. Avanti.
TUTUTUTUTUTUTUTU.
CLICK.
“Shan-Pu”.
“Akane”.
Niente smancerie, eh. Mi sta bene.
“Cosa vuoi? Il tempo non è...”.
“Al diavolo. La farsa è durata sin troppo. Hai
avuto
il tuo periodo per sbollire e ragionare. Adesso, se la cosa non ti crea
problemi, alza il culo e vieni qui. Ti aspetto”.
“Perché dovrei?”.
“Perché abbiamo entrambe qualcosa da farci
perdonare.
E non voglio continuare questo insensato mutismo”.
Un attimo, breve, di pausa.
“Sai che, potenzialmente, potrei venire lì con il
solo
scopo di gonfiarti di botte... vero?”.
“Certo, ma non m’interessa. Preferisco quello che
andare avanti così. Lo considererei un passo, che
è meglio”.
“Ok, Puffetta Quattrocchi. Arrivo appena posso. Per
precauzione prepara il kit del pronto soccorso”.
Riaggancio.
È fatta, Shan-Pu. Hai appena lanciato il sasso nello
stagno. Ora vediamo se il suddetto stagno si coagula in un mostro
d’acqua che
vuole farti affogare.
Sei consapevole dei rischi che questa tua spavalda
azione può portare. Hai deciso di non preoccupartene.
Ritieni giusto mettere in
chiaro almeno un paio di punti della faccenda.
Attendo fischiettando. Sono molto meno nervosa di
quanto sospettassi e a quanto pare intendevo sul serio quelle parole
sul come
per me qualunque sviluppo sia preferibile a questo stallo. Ovviamente
non ci
penso neppure a porre su un lato del tavolo cerotti e disinfettante,
uno perché
dubito arriveremo davvero a tanto, due perché nel caso non
sarò io ad avere
bisogno di cure. Ma sul serio, se possibile preferirei evitare. Non
parto con l’intenzione
di picchiarci. Ammetto di essere parecchio infastidita
dall’attuale stato di
cose, ma non vuol dire che non possa almeno tentare di aggiustare la
situazione.
Insomma, è di Akane che sto parlando.
...
...
Feh. Aveva ragione Mousse, quella volta che è venuto a
trovarmi. Così come prima del Torneo la mia vita girava
attorno a Ranma, ora di
riffa o di raffa gira attorno ad Akane. O comunque lei, o una sua
versione
extradimensionale, c’è sempre dentro per un motivo
o per l’altro. E un po’ mi
spiace per lui. Pardon.
Fatte le giuste scuse, aspetto con pazienza la sua
venuta.
Dopo un po’ arriva una serie di colpi all’ingresso.
Orpo, invece di star qui a rigirarmi i pollici avrei potuto pensarci
prima e
aprire.
Vabbè.
BAM BAM BAM BAM.
Con calma ragazzotta, con calma. Vorrai mica sfondarmi
la porta. E poi ti ho chiamata io, pensi che adesso voglia lasciarti
fuori?
Mi alzo e provvedo a farla accomodare, non senza
lanciarle un’occhiata scocciata per l’eccessiva
foga. Fa come se non esistessi
e va a sedersi.
Uff. Sarà una cosa lunga.
Mi accomodo accanto a lei. Siamo faccia a faccia.
“Poche balle, Shan-Pu. Dimmi perché sono qui e
facciamola finita”.
“Mi sembrava di essere stata abbastanza chiara, al
telefono. Inoltre non ti ho mica obbligata e se sei qui è
perché,
evidentemente, hai qualcosa da dire”.
“Oppure potrei darti una papagna sul naso e tornarmene
a casa”.
“Prego”. E con la coda dell’occhio vedo
la sua mano
destra, che penzola assieme al braccio lungo il fianco, chiudersi a
pugno.
Fai quel che devi. Sono pronta.
“Prima di pestarmi, però, vorrei ricordarti che
giorno
è oggi”.
Mi sa che l’ho presa in contropiede, almeno a
giudicare dallo sguardo stupito che mi restituisce. A quanto pare non
ha fatto
i suoi calcoli.
“Perché, che giorno è oggi?”.
“Il 27 luglio. Strano che non te ne sia accorta,
pensavo che in casa Ono si sarebbe detto qualcosa in merito”.
“Mi sto perdendo. Ti spiacerebbe essere più chiara
o
devo convincerti con le maniere forti?”.
“La violenza sarebbe di troppo. Ventitré anni fa,
precisi
esatti spaccati, era il giorno del combattimento di Akane”.
“Oh...”.
Va bene, forse sono riuscita a instradare il discorso
su dei binari più congeniali per la mia mascella. La
sensazione è corroborata
dal suo pugno che si scioglie e torna ad essere un palmo aperto.
“Non vedo perché portare a galla
l’occorrenza”
esclama, non senza una buona dose di confusione.
“In realtà non c’entra niente.
Però... non so, forse
inconsciamente ho scelto questo giorno per parlarti a proposito di
quanto è
successo con l’Artiglio”.
“Hai accennato a qualcosa che entrambe dovremmo farci
perdonare...”.
“L’ho fatto. E parlavo del tuo essere testa calda e
della mia insensibilità. Da quale preferisci che
parta?”.
C’è un minuto cronometrato di silenzio. Ho idea
stia
riflettendo sulla sua voglia di confrontarsi, il che presumibilmente
implica
prendere a calci quanto le è rimasto addosso di quella
vulcanica incazzatura.
Da parte mia reputo intelligente non aprire bocca e lasciarla decidere
in
coscienza.
Poi, finalmente, emette la propria sentenza.
“Dalla tua insensibilità, mi pareva
scontato”. E un
sorriso leggero da parte sua mi fa capire che forse non
dovrò farmi ingessare
nessun arto rotto.
“Ma dai, che risvolto clamoroso. E sia, prima io. Ti
devo chiedere scusa, Akane, perché in quel momento credo di
aver esagerato. O
meglio, a mia discolpa posso dire che il risultato probabilmente non
sarebbe
cambiato. È vero che mi sono fatta trascinare
dall’impulso del momento, ma non
ti avrei comunque lasciato usare l’Artiglio. Né in
quel momento, né fra un
anno, né fra dieci anni. Non a te”.
Sbatte la mano sul tavolo e le si gonfia la vena in
testa.
Ehi, credevo avessimo superato quella fase.
“È questo che mi ha mandato e mi manda in bestia,
Shan-Pu. Perché hai concesso a Genma la facoltà
di utilizzarlo, e quando l’ha
fatto Akira hai dimostrato estremo menefreghismo... e poi ti impunti in
questo
modo per me?”.
Se non fosse fisicamente impossibile giurerei che i
suoi capelli castani si stiano sforzando per diventare rossi, come a
voler
manifestare anche a livello visivo la rabbia. E che la cicatrice abbia
preso a
pulsare. Non bastassero gli occhi che, fossero provvisti di punte da
trapano,
mi avrebbero già fatto due crateri in testa.
“Ecco, adesso capisco perché ho scelto proprio
oggi”.
Realizzazioni estemporanee, queste sconosciute.
“E perché? Sentiamo”.
“Non ci arrivi? Guarda che non serve una laurea per
comprenderlo”.
“Se stai cercando di provocarmi il tuo è un ottimo
lavoro, cinese”.
“No ok, ritiro. Però davvero, è palese.
Io... io non
voglio perderti... una seconda volta”.
“Che... che cosa?”.
“Akane, non sei sorda. Ho detto che non voglio
perderti. Non di nuovo. Stavolta ne morirei, lo so. Forse solo dentro e
non per
forza anche fuori, ma mi succederebbe”.
Avviene quello che, fino a pochi minuti fa, ritenevo
inconcepibile. Ogni possibile sintomo d'ira evapora dal suo volto e
il suo
respiro si fa affannoso.
“Akane? Tutto bene?”.
“Non... non... io non...”.
Ehi. Va bene prendersi male, ma non così tanto.
Fa per dire qualcosa ma... no, non le esce nulla se
non respiri smozzicati.
Che sta succedendo? Niente scherzi.
La afferro per le spalle e la scuoto, sperando che mi
dia un segno di vita. Non lo fa. Si limita a fissarmi, istupidita.
O diavolo, no. Non era mia intenzione.
“Akane! Akane!”.
Niente.
Comincia a salirmi una matta preoccupazione.
Poi, per fortuna, si ridesta da sé.
“Shan... Shan-Pu...”. La sua voce è
flebile, come se
si fosse appena ripresa da uno svenimento.
“Santo cielo Akane, stai bene? Mi spiace, non
volevo....”. La mollo e le lascio spazio per respirare meglio.
“Non so che dire. Mi hai totalmente sconvolta con
quell’uscita”.
“Scusa, sul serio. Non...”.
“Io... sono stata cieca. Totalmente cieca”.
“No ehi, che blateri?”.
“La verità. Avevi ragione, è
così evidente. Non solo
la scelta, inconsapevole o meno che sia, di questo preciso giorno. Non
mi
capacito di non averlo capito da sola”.
Rimango quieta, preferisco lasciarla parlare. Ma lei
non pare d’accordo e continua a guardarmi, adesso con la
faccia di qualcuno che
deve farsi perdonare una gigantesca marachella.
“Shan-Pu, nonostante quanto mi si dice attorno io
resto sempre Akane Tendo e certi lati di me, quelli che generalmente mi
mettono
nei guai, non possono o non vogliono andarsene. Uno di questi lati
è la mia
incredibile, incontrollabile capacità di farmi travolgere
dall’onda emotiva e
di tapparmi occhi, orecchie e qualsiasi altro organo recettivo.
Altrimenti non
si spiega, non si può spiegare quanto sono stata ottusa e
crudele nei tuoi
confronti”.
“Akane, non sei stata crudele. Ottusa sì, un
pochino.
Ma non crudele”.
“Ne sei sicura? Perché io così mi sento
ora, come una
che ha appena cercato di piantarti un coltello nel petto”.
“Melodrammatica. No, sul serio. Non devi”.
Senza preavviso scoppia a piangere.
Kami del cielo, questo non era previsto. Né tantomeno
voluto. Chi ci pensava a trascinarla in un giocoso guilt
trip con tanto di giri della morte e capriole assortite?
Sto per abbracciarla quando mi anticipa.
No cretina di una Shan-Pu, evita di sentirti come una
mamma con sua figlia. A parte che significherebbe che sono rimasta
incinta a
sedici anni... no, ti prego. È un pensiero raccapricciante.
Eppure, brividi a parte, una parte di me spinge per
cercare di calmarla. La cosa meno equivoca che mi viene in mente
è di
accarezzarle i capelli. Come farebbe una mamma.
No basta no togliti questa roba dal cervello.
Dalla sua gola arrivano solo sconnessi suoni senza il
minimo senso, presumo tentativi di imbastire un discorso a cui le
lacrime e i gemiti
impediscono di concretizzarsi.
Non c’è fretta, su. Butta fuori tutto.
Mentre la lascio sfogarsi mi balena chiara una cosa:
prima ho mentito. A fin di bene, ma ho mentito. Perché, in
tutta sincerità, ho
trovato il suo modo di porsi crudele oltre che ottuso. Mi ha vomitato
addosso calunnie
gratuite così, per il puro gusto di farmi del male.
È in parte giustificata e
comunque non le porto rancore per questo, ma non penso di essermi
meritata quel
torrente di insulti e rinfacciamenti. Specie quando mi ha detto che il
mio
pentimento era fasullo... lì mi ha davvero ferita.
Io sono umana e, in quanto tale, piena di difetti. Ma
una e una sola cosa non mi si può proprio rimproverare: che
non abbia passato
settimane e settimane e settimane a darmi virtuali frustrate sulla
schiena per
espiare il mio orribile comportamento in occasione del Torneo. Me ne
sono resa
conto quasi subito, sin dalla volta in cui vennero a trovarmi Kasumi e
Nabiki.
E da quel momento, gli spiriti mi sono testimoni, avrei dato anche
entrambi i
reni per poter rimediare. Se i miei compagni... i miei amici non
fossero morti,
io avrei passato il resto della mia vita a implorare il loro perdono pur
sapendo di non
poterlo ottenere.
“Comunque non credere di essere l’unica a dover
fare
ammenda, Tendo. Per mia sfortuna la cosa è reciproca.
D’accordo che sono
partita con l’intenzione di essere la prima a scusarsi, ma
poi il tutto è
deragliato a questo. E non è giusto nei tuoi
confronti”.
Mi aspettavo di vederla alzare la testa verso di me,
ma non succede. Si limita a continuare con il suo delizioso
singhiozzare, anche
se forse si sta un poco calmando.
Inutile gettare l’esca e poi ritirare la mano,
pertanto proseguo: “Ti porgo le mie più autentiche
scuse, Akane. Non avrei
dovuto distruggere l’Artiglio di fronte ai tuoi occhi,
è stato insensibile da
parte mia. Avrei voluto dire anche immotivato
ma, se devo svuotare il sacco fino in fondo, non lo pensavo
allora e non lo
penso adesso. Ho avuto le mie ragioni per farlo, ragioni che
sicuramente tu non
condividi e immagino ritenga meschine. E forse sono io ad essere in
torto, chi
lo sa. Resta che non è stato un capriccio dettato da una
stupida vendetta senza
senso. Non mi rimangio le intenzioni, solo le azioni. Spero che questo
ti basti”.
Suonerà egocentrico e capisco il perché, ma mi
sento
proprio di dirmelo: brava, Shan-Pu. Sei stata onesta al punto giusto,
non hai
indorato la pillola a suo vantaggio e non ti sei addossata demeriti che
non credi
di avere. Era facile rischiare di cadere nell’auto
compatimento, nella fiera
della critica senza base, nell’esagerazione spinta. Non
è successo ed è una
cosa che, per quanto frivola, mi rende fiera di me stessa e
dell’equilibrio che
ritengo di aver messo in mostra. Il solo fatto di essermi tenuta dentro
parte
delle considerazioni sul suo atteggiamento verso di me... beh,
è cosa buona e
giusta.
“Sì Shan-Pu... mi... mi basta”
è la risposta, attutita
dalla stoffa che ancora è a contatto con la sua bocca.
Tiro un sospiro di sollievo, anche se solo interno.
Sono molto felice di aver evitato conseguenze spiacevoli, come ho detto
in
lungo e in largo proprio non avrei voluto.
“Adesso basta, su. Hai pianto a sufficienza e non sono
neanche sicura di meritarmi tutto questo profluvio di
disperazione” le dico poi
alzandole di peso il volto e facendo in modo che incontri il mio.
Sorrido,
voglio non dare adito a dubbi riguardo le mie buone intenzioni.
“Inoltre” riprendo senza darle il tempo di
controbattere “non sei tu quella che era arrivata minacciando
setti nasali in
fiamme e interventi chirurgici di ogni genere? Se adesso fai così
non riuscirai più a
spaventare neanche un pulcino, d’ora in avanti”.
“Non preoccuparti troppo della mia tenuta, la posso
recuperare quando e come mi pare”.
“Se lo dici tu”.
“Cretina”, con tanto di scappellotto sul braccio. E
un
sorriso, stiratissimo e stanco ma pur sempre un sorriso.
Ok, credo di poter dire con tutti i crismi
dell’ufficialità
che il peggio è passato. Ma vediamo di assicurarcene senza
errore.
“Quindi posso prendere per buono che... fra me e te le
cose si sono aggiustate?”.
Non risponde subito, forse per darmi un brivido d’incertezza.
Anche se quello sguardo molto più rilassato e calmo tradisce
la sua reale
risposta.
“Puoi”.
Solo uno sforzo consapevole mi impedisce di gettarle
le braccia al collo, vuoi perché sarebbe un poco
sconveniente e vuoi perché non
fa bene al mio orgoglio amazzone mostrarmi così melensa.
“Bene. Questo prolungato stato di cose danneggiava
troppo il mio fegato”.
“Solo perché non ti ho rivolto la parola per
cinque
mesi”.
“Hai detto poco. Ti sembra il modo di trattare una tua
senpai?”.
“Non menare il can per l’aia, Shan-Pu. Tecnicamente
non sei la mia senpai”.
“Ma fattualmente sì. Le mie rughe la dicono lunga,
bimbetta”.
“Oh dai, adesso non attaccare con la scenata della
vecchia incartapecorita che picchia la nipote irrispettosa col bastone.
Come se
poi, così vicina agli anta come sei, non avessi ancora la
pelle liscia di una
ragazzina”.
“Non mi servirebbe il bastone, nonostante tutto sono
ancora abbastanza in forma da poter usare i pugni”.
Siamo così ridicolmente carine che mi parte un embolo
di risarola isterica e dopo tipo sette secondi e mezzo lei mi segue.
Per un paio di minuti il Nekohanten non è un
ristorante, bensì il covo di due scemette.
All’improvviso smette, buttandomi addosso una manciata
di preoccupazione.
“Sono contenta di aver raggiunto una tregua con te,
però...” inizia.
“Però?”.
“Non sei l’unica persona a cui devo le mie
scuse”.
E il mio pensiero corre rapido a un certo ragazzo col
codino.
“Se tanto mi dà tanto” commento
“hai passato tutto
questo tempo tenendogli il muso...”.
“Già. E, proprio come non lo è stato
con te, non è
giusto neanche verso di lui”.
“Ti arrabbi se concordo?”.
“No. È quanto ho appena detto”.
“Scusa, la prossima volta cercherò di urtarti con
tutte le mie forze”.
“Ma sarai una deficiente da primato, tu”.
“Faccio del mio peggio. Cribbio, non sai quanto
riuscire ad essere così con te mi faccia piacere e nel
contempo mi ferisca...”.
“Ti ferisce? Perché?”.
“Perché, da brava nonnina che vive nel passato,
non
riesco a togliermi dalla testa il rimpianto per non aver saputo
superare le
differenze con l’Akane di questo mondo e per averla vista
morire con occhi
pieni di soddisfazione”.
È inutile, Shan-Pu. Non riuscirai mai a perdonarti.
Mai. Probabilmente, sotto sotto, neanche vuoi realmente farlo
perché non te ne
reputi degna.
Il suo tono conciliante mi spiazza meno di quanto mi aspettassi:
“Si matura, cara mia. E guarda, da una parte trovo sacrosanto
che tu debba
portare il peso di quanto hai fatto per tutto il resto della tua vita.
Sai
meglio di me, per esperienza diretta, che certe cose lasciano un segno
profondo
nelle persone e bisogna conviverci, volenti o nolenti.
D’altro canto, però,
penso che dovresti darti un po’ di spazio per respirare. Ti
assicuro che, se mi
fosse capitato quel che è capitato a te, non sarei stata
capace di avere una
reazione migliore... quantomeno non prima della grande onda curativa
scatenata
da Mousse. E lo stesso, ci metterei la mano sul fuoco, sarebbe valso
per la zia
di Shinichi e Rei. Siamo umani, solo umani e a volte i nostri biechi
istinti
prevaricano anche il più nobile dei propositi. Ora cambiamo
argomento, non mi
va di vederti intristita dopo che abbiamo fatto pace. Anzi, se mi
concedi di prendere
l’iniziativa...”.
Tira fuori il cellulare.
“Cosa vuoi fare?”.
“Spero non ti scocci se lo faccio venire qui, mh?”.
Mi scoccia?
No, non direttamente. Anche se...
Anche se non sarà facile per me ritrovarmelo davanti.
“Posso chiederti perché vorresti
chiamarlo?”.
“La mia geniale mente ha escogitato questo splendido
piano d’azione: gli intimo di alzare le chiappe e di
raggiungerci, cosicché io
possa discolparmi per bene con entrambi. Prendere due piccioni con una
sola
fava è così conveniente”.
“Io... io non credo sia una buona idea...”.
“Uh? Cosa vai blaterando, di grazia?”.
“Non potreste... chessò... sistemarvela in privato
fra
di voi?”.
“Shan-Pu... tu hai paura di vederlo. Te lo leggo negli
occhi”.
Mayday, mayday. La portaerei ha preso un colpo fatale
in B5 e sta colando a picco.
Sì, ho paura. E non mi sento per nulla pronta ad
avercelo davanti. Mi sembrerebbe di assistere all’arrivo di
uno spettro con i
campanacci e le catene alle caviglie.
Ridicolo, lo so. Specie considerando che ho già avuto
un’esperienza simile. E, se mi stai ascoltando, ti chiedo
scusa per il paragone
Mousse.
Ma sul serio, la sua sola presenza scatenerebbe in me
qualcosa di forte, violento e che preferirei evitare almeno per ancora
un po’
di tempo. Ad esempio temo che potrei scoppiare a piangere e cominciare
a
battergli il petto con i miei pugni, implorandolo di andare a
impiccarsi da
qualche parte se ciò potesse riportare in vita il Ranma di
questo mondo. O
magari sfogherei tutti i rimpianti e il dolore per questo crudele
scherzo del
destino, lo stesso che mi permetterebbe di parlargli nonostante sia
morto da
due decenni. Non lui chiaramente, specificare sarebbe stato complicato.
“Te lo chiedo come piacere personale, Akane. Se non
è
necessario evitamelo, per favore...”. La testa mi si abbassa
da sé.
“Shan-Pu, io non credevo che... a distanza di tutti
questi anni... tu soffrissi ancora così tanto per
lui...”.
“Non lo credevo neanch’io, almeno fino a quando non
avete fatto irruzione nella mia cucina prendendomi alla sprovvista. Nel
tuo
caso sapevo a cosa andavo incontro e hai visto comunque i risultati, ho
avuto
un mezzo crollo psico-fisico. Inoltre, senza offesa, ero innamorata
-anche se
forse sarebbe più corretto dire infatuata-
di lui e non certo di te...”.
“Tsk. Ed ecco di nuovo l’insensibilità
Tendo in
azione, sempre più stolta e schiamazzante”.
Torno a guardarla faccia a faccia: “Adesso finiscila,
davvero. È normale che non ci abbia pensato”.
“No, non è normale. Qualunque microcefalo ci
sarebbe
arrivato”.
“Devo rifilarti un ceffone per rimetterti in riga,
bimba discola? Impara a rispettare i senpai”.
“E torna fuori ‘sta fregnaccia della senpai. Non lo
sei, cara la mia MILF”.
Qua degeneriamo. Meglio mettere un freno all’isterismo
rampante: “Ok, propongo un compromesso: se smetto di usare quella brutta parola, in cambio tu la smetterai di dire che sei acuta come uno
spillone.
Ci stai?”.
“Va bene, va bene”.
“Brava così”.
Ripone il telefono nella tasca da cui era uscito e
dice che ci ha ripensato, riguardo all’idea di invitarlo qui.
Di questo la
ringrazio profondamente.
“Bene. Sembra che qui abbiamo finito, no?”.
“Direi di sì. Ho ottenuto quello che volevo senza
rimetterci
neanche un dente. Penso di potermi considerare molto
fortunata”.
“Spiritosa come un ubriaco che fa battute sconce,
guarda. Il senso dell’umorismo di Joketsuzoku è
sempre come me lo ricordavo”.
“Cosa pretendi? Si fa quel che si può. Ah, e
Akane...
grazie. Di cuore”.
“Non hai nulla per cui ringraziarmi. Anzi no, sono io
che devo ringraziarti”.
“Uh?”.
“Esattamente come la Shan-Pu del mio mondo, sotto
quella scorza di durezza amazzone c’è una persona
che vale la pena di
considerare propria amica. Ti devo chiedere scusa per il nostro
passato”.
“Oh suvvia, sono stati solo cinque mesi e...”.
“No. Intendo per tutto il
nostro passato”.
“Eh?”.
“Siamo state due testone impossibili, tu e io. E ci
siamo precluse a lungo qualcosa di bello, che avrebbe solo fatto bene
ad
entrambe. Forse per la filosofia di vita con cui sei stata cresciuta
può
sembrare banale e da deboli, ma io credo sia meglio essere amici che
nemici con
qualcuno. Come tu, in ogni dimensione che ho visitato, mi hai
ripetutamente
dimostrato”.
Oh. Se volevi portarmi a tanto così dal pianto sei
stata molto brava, Tendo. Molto, molto brava.
Mi alzo e la spingo verso l’uscita, cercando di
mascherare il mio stato emotivo con delle chiacchiere insensate.
Continuo a non
essere particolarmente entusiasta di fronte alla prospettiva di
frignare come
una mocciosa.
Davanti alla porta smetto di spintonarla. Lei ne
approfitta per un inchino e un ennesimo ringraziamento, al quale
rispondo con
piacere.
Quando fa per uscire...
“Ranma? Che... che ci fai tu qui?” chiede, stupita
di
vederselo davanti con ancora il pomello della porta in mano.
Beh, gran figata. Io riesco a convincere ‘sta cocciuta
a tenermelo lontano e lui pensa bene di agire per i fatti suoi. No, ma
bravo
eh. E grazie tante.
“R-Ranma...”.
“Shan-Pu...”.
“Okvabenevoidueavretedaparlarefatelofuoridiquiciaograzieearrivederci!”.
Ultima spinta sulla schiena di Akane per farla accomodare
fuori e velocissima chiusura. Sono bastati questi trenta secondi per
mandarmi
qualcosa di non ben definito in gola. Penso il pancreas.
Ora sono tutti cavoli tuoi, Tendo. Auguri e tanta
fortuna. |
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Fuori i fazzoletti, su ***
Osservo la porta che ci sbatte
in faccia.
Va bene cinesina, non
sei entusiasta di vedermi. Posso
capire il perché, considerato quel che so di te e del tuo
mondo.
Sai cosa?
Chissenefrega. Non è per lei che sono qui.
Bensì per
l’esemplare dai lunghi capelli castani che
in questo momento mi sta guardando inebetita.
“Ehi, tutto
bene?” chiedo. Per una pura precauzione
preferisco evitare di usare un qualunque nome, tanto siamo solo noi due
e non c’è
rischio di confondersi. Persino io, dopo aver ricevuto una breve
spiegazione
sul perché e sul percome delle cose qui, mi rendo conto che
sarebbe poco furbo.
Poi non mi preoccupo di mascherarmi o di trovarmi uno pseudonimo, ma a
quel
punto mi si chiederebbe troppo.
“Che ci fai
qui? E senza il minimo travestimento?”.
“O santo
cielo, non cominciare a farmi la paternale su
questo. Mi sono già preso il cazziatone da Shinichi mentre
uscivo e mi è
bastato”.
“Sei sempre
un testone. Va bene, facciamo così”. E finita
questa frase si dà una rapida occhiata attorno,
assicurandosi di non avere
testimoni per la cosa che vuole dire/fare/baciare/lettera/testamento, e
poi...
ZOMP.
No. Non ci credo.
È appena
saltata sul tetto del Nekohanten. Senza il
minimo sforzo, come se avesse... che ne so, come se avesse aperto una
finestra.
L’impegno è stato lo stesso.
Cosa mi sono perso?
La raggiungo. Devo
essere particolarmente buffo, dato
che mi guarda sogghignando. Stai parlando con me? Eh, stai parlando con
me?
Devi per forza star parlando con me, sono l’unico qui.
“Che
c’è, Ranma? Il gatto ti ha morso la
lingua?” mi
sfotte sorridendo. C’è da dire che, rispetto a
quando l’ho vista uscire da casa
una mezz’ora fa, il suo umore pare nettamente migliore. La
cosa mi fa piacere,
nonostante tutto.
Fa finta di
spolverarsi i pantaloni per sottolineare
una volta di più che è stata una passeggiata:
“Ti vedo stupito. Non te lo
aspettavi, vero?”.
“No, devo
proprio dire di no. Come hai fatto?”.
“Come fai
tu: sono saltata”.
“Ma
intendevo...”.
“Sì,
so cosa intendevi. E alla risposta ci puoi
arrivare, su”.
“Ma non sei
mai stata...”.
“A questo
livello? Ti ho appena smentito, mio caro
macho”.
Mi gratto la testa.
Devo ammettere che in effetti mi
ha proprio smentito e azzittito.
“Nel tuo
mondo ti sei davvero data da fare”.
“È
stato tutto merito... suo. L’ho convinto ad
addestrarmi, dopo un sacco di insistenza, e come premio ho ottenuto
queste sbalorditive
capacità. Che ok, tu sai maneggiare ad occhi chiusi ma
io...”.
“Già.
Capisco che lo consideri un grande passo avanti.
E fai bene”.
Ed eccolo, di nuovo
quel sorriso ammazza-Ranma.
Deciditi, ometto col
codino: o la smetti di darle
motivo per sfoderarlo, o impari a convivere con il mal di cuore.
“Grazie.
Sembri... inusualmente gentile, oggi”.
“Lo penso
davvero, e immagino che lo stesso valga per
lui. So che per te migliorarti nelle arti marziali è
importante quanto l’aria
che respiri... e quanto lo è lui”.
“Uh?
Perché continui a tirarlo in ballo?”.
“Perché
è parte del motivo per cui ti ho raggiunta qui
al ristorante e per il quale volevo parlarti”.
“Ah, non era
solo per fare il temerario che vuole
esporsi al mondo esterno senza timore di farsi riconoscere?”.
“Ma quanto
sei spiritosa. No, non è per quello”.
“Almeno
dimmi che ti penti di quella scemenza”.
“No. Non
m’interessa nulla, a dire il vero. Possiamo
saltare i convenevoli e arrivare al succo del discorso, per
favore?”.
“Dai, va
bene. Ti do il permesso di parlare male di
lui”.
“Parlare
male di lui? Cosa ti fa credere che lo voglia
fare?”.
“Ranma, non
prendermi in giro. In questi cinque mesi
ho percepito chiaramente, in più di un’occasione,
che tu sei geloso da morire
nei suoi confronti. Dimmi la verità, vorresti avercelo
davanti per riempirlo di
botte e rapirmi o qualche cretinata del genere”.
“Non sono un
animale! Ammetto che non lo inviterei
fuori a bere assieme come due vecchi marpioni che si conoscono da
un’eternità,
ok... ma non diventerei mai manesco. Anche perché
è facile che lui, mantenendosi
in forma come io non ho potuto fare, mi sia superiore”.
“Il grande
Ranma Saotome che ammette di essere secondo
a qualcuno. Aspetta che me la segno sul calendario, questa”.
“Non
è cosa che capita spesso, è vero. Ma ti ricordo
che sto parlando di un’altra versione di me stesso, quindi in
realtà pecco comunque
di superbia. E adesso, se per favore volessi smetterla di interrompermi
che è
già difficile così...”.
Si incupisce di botto.
Da una parte grazie perché lo
stiletto si sfila da solo dal mio petto, dall’altra... non
è mai bello vederla
così.
Avanti Saotome, sei
stato tu a mettere la questione
sul tavolo. Ora non azzardarti a tirarti indietro.
Gli ultimi cinque mesi
sono stati fra i più tormentati
e difficili della mia vita. E ho un passato a dir poco tragico alle
spalle,
quindi non penso a una frase del genere con leggerezza.
Ma è
proprio così. Non mi capitava di soffrire in
questo modo da molto tempo, probabilmente dal giorno fatale in cui sono
morte
Akane e Ukyo.
Riesci sempre ad
essere la causa del mio malessere,
adorabile maschiaccio dalla vita larga.
Mi siedo e la invito a
fare altrettanto. Accoglie ma
preferisce mettersi a un paio di metri. Temo che non voglia starmi
troppo
vicino.
Ricordo il
perché. E con me lo ricorda lo spillo che si
sta trastullando con la mia nuca.
“Coraggio
Ranma, sputa il rospo” mi esorta, badando
bene a usare un tono più neutro. Mi sa che ha capito di cosa
voglio parlarle e
stia cercando di mettere più distanza, fisica e non, fra di
noi.
Inspiro.
Non ero
così teso neanche quando mi sono costituito.
La osservo con la coda
dell’occhio, cercando malamente
di non farmi beccare. E fallendo. È troppo sveglia per non
accorgersene.
“Non ti
mangio, prometto”. Una parte di me lo
preferirebbe.
“Akane... tu
sai di cosa voglio parlare, vero?”.
“Me ne sono
fatta un’idea. Ma mi piacerebbe sentirlo
dalle tue labbra, non sia mai che l’imperatore delle arti
marziali non riesca
in un compito che si è prefissato. O sbaglio?”.
Guarda te che infame.
Te lo meriteresti uno
scappellotto, lo sai sì? Ma sì che lo sai, quel
sorrisetto malizioso la dice
lunga.
Lascio trascorrere
ancora qualche secondo, racimolando
il fiato e le parole più appropriate che posso. Poi sfido
chi devo sfidare,
qualunque cosa sia: “Akane, per me è complicato e
quindi mi scuso sin da adesso
se in certe parti risulterò sconclusionato e senza senso. Il
senso ce l’ha,
però potrei far fatica a tirarlo fuori. Ok?”.
“Ok, ok. So
bene che non sei un campione di retorica”.
“Simpaticissima”.
“Faccio del
mio peggio”.
No cazzo, non ridere.
Maledetta.
“Vedo che
con Shan-Pu è andata bene” inizio
prendendola larga.
“Molto bene.
Abbiamo parlato e ci siamo chiarite per
tante cose, anche se forse sono stata un po’ troppo buona con
lei...”.
“Uh?
Perché dici così?”.
“No,
probabilmente è solo una mia convinzione
sbagliata. Ma non riesco a togliermi dalla testa che potrei averla
perdonata un
po’ troppo facilmente...”.
“Credo che
sì, sia solo una tua convinzione sbagliata”.
Non so
perché ho detto questo. E non so come riesco a
sostenere quegli occhi iracondi senza sbrodolarmi.
“No guarda,
evita. Sono già abbastanza nervoso di mio
senza il trattamento da ti spiezzo in due.
Se potessi evitare...”.
“Insomma, si
può sapere cosa mi devi dire di così
sconvolgente? Sei in tensione sei ti sorrido, sei in tensione se mi
arrabbio,
sei in tensione solo perché esisto!”.
“È
esattamente questo il problema”.
“Cosa?”.
“La tua sola
esistenza mi mette in tensione. Ti rendi
conto o no cosa vuol dire per me averti davanti, non importa in quale
stato d’animo?
Ho vissuto gli ultimi due anni della mia vita, esclusi
questi cinque mesi,
con l’orribile consapevolezza di averti vista morta ai miei
piedi. E se stai
per controbattere dicendo che ho avuto tempo per abituarmi... mi
dispiace
doverti dare dell’illusa, ma è così.
Non puoi sperare che in così poco mi sia
passata magicamente e che adesso accetti la tua presenza con animo
sereno.
Proprio no. Akane, io sto male ad averti vicina... e non per colpa tua,
sia
chiaro. Non è in te il problema, è in me. E
nonostante ciò io vorrei...
vorrei...”.
Ecco, subentra quel
che temevo: mi inceppo. Non riesco
a proseguire.
Approfitto della pausa
obbligata per studiare la sua
reazione e... mi spavento.
Non scorgo nulla suo
volto. Non un’ombra di dubbio,
non una domanda, non un moto di qualsivoglia cosa una simile
dichiarazione
avrebbe potuto... dovuto scatenare.
Con calma, Ranma. Non
correre. Magari sta solo
riordinando le idee e cerca una risposta adeguata.
Ma più
passano gli istanti, rigorosamente immersi nel
silenzio, più mi impanico.
Dimmi qualcosa!
Qualsiasi cosa! Accetto volentieri
anche un pugno! Possibilmente non in faccia, ma mi andrebbe bene pure
lì.
Trenta secondi.
Un minuto.
Due minuti.
Non un suono dalla sua
direzione. E io muoio sempre di
più.
Non reggo.
Mi balena in testa un
proposito. È brutale e
insensibile, ma non sopporto più lo stallo. Ho perso la
voglia di farla finita,
ormai, e questo mutismo non mi consegna altro.
Fiato alle trombe,
allora.
“Akane”
riprendo “ho intenzione di chiederti cosa
vogliamo fare... io e te. Su di noi, intendo. Cosa siamo? Come dobbiamo
vederci? Come due estranei? Come due ex? Come due persone che si
odiano? Non so
più cosa pensare e il non saperlo mi distrugge un po' alla
volta. Quel che ho
vissuto mi ha portato a indurirmi e a perdere speranza nel futuro,
quindi non
fatico a dubitare delle nostre possibilità di tornare a
casa. Hai mai pensato a
questa eventualità... e a me?”.
Se non altro
dà un segno di vita. Peccato che fosse l’ultimo
che volevo: piange.
Due strisce di lacrime
che le cadono lungo le guance.
Senza strilli o altre manifestazioni rumorose. Solo tanta... non so
cosa c’è
nei suoi occhi. Ma è una cosa che mi spaventa.
“Ranma...”
riesce a mormorare, ed è evidente che il
solo pronunciare il mio nome le costa fatica.
Perché?
Perché non posso abbracciarla e consolarla come
meriterebbe? Perché mi sento incatenato da qualcosa che non
esiste, eppure è
tremendamente robusto e mi tiene ancorato dove sono?
Vorrei fare un
miliardo di cose. Scusarmi, stringerla,
tutta la solita lunghissima serie di cose che si fanno nei romanzi
rosa. Non
trovo la forza di metterne in atto una che sia una.
E muovetevi, pezzi di
cemento che avete sostituito le
mie braccia. Le sue spalle singhiozzanti non aspettano altro che un
vostro
gesto.
Muovetevi. Muovetevi.
Muovetevi!
Nulla.
Una sola altra volta
mi sono odiato così tanto.
Speravo di non dover ripetere l’esperienza.
“Ranma...”
ripete. Sto uno tale schifo che non riesco
neppure a risponderle. Se ne accorge e, asciugandosi, prende in mano la
situazione: “Ranma... perché hai portato a galla
tutto questo? Non potevamo
continuare com’eravamo prima, in quel limbo di
niente?”.
Raccolgo la mia
pochissima forza e riesco
miracolosamente a formulare qualcosa di un minimo sensato:
“Io... io non voglio
un limbo di niente... preferisco sapere che mi disprezzi, piuttosto, ma
questo...”.
“...”.
“...
questo... è molto peggio. Vedere che mi eviti,
che non mi rivolgi la parola se non strettamente
necessario...”.
“...”.
“... non
scherzo quando dico che mi distrugge un poco
alla volta. Meglio essere distrutto in un colpo solo. Le sofferenze a
fuoco
lento non fanno per me”.
Nuovamente la cappa.
Perlomeno pare avere
riacquistato una parvenza di
calma. Non piange più. È una misera consolazione,
ma vedendo come si stava
mettendo ne sono quasi soddisfatto.
Poi, a bruciapelo, una
frase che mi stordisce più di
una masso sulla testa: “Io... devo andarmene di qui...
perdonami, Ranma...”.
Si alza e fa per
fuggire.
No.
No.
No.
Non te lo posso
permettere. Abbi pazienza, proprio non
posso.
Riesco ad afferrarla
per il polso.
“Akane, non
farmi questo. Se, come spero, non mi
odi... non farmelo. Ti scongiuro”.
“Imbecille
che non sei altro. Come potrei odiarti?”.
“Non... non
mi odi?”.
“Certo che
no. Non ne ho motivo. Io non avrò una mente
acuta, ma nemmeno tu scherzi”.
“Non... non
capisco”.
“Lascia
stare. Anzi, è proprio perché non ti odio
che... che faccio fatica a sostenere questo discorso...”.
“In che
senso?”.
“Ranma,
scusami se te lo dico ma sei davvero il
massimo dell’ottusità. Come puoi non capire che
anch’io sto male nell’averti
vicino, e non per le cause che potresti immaginarti?”.
Io... io... io...
Svegliatemi. Vi prego
svegliatemi.
“Tu... tu
sei praticamente lui. Nel mio cervello le
vostre due immagini si sovrappongono quasi alla perfezione. Non riesco
a
distinguervi, oramai, e la barba non fa più la differenza.
Ma al contempo so
che tu non sei lui e il mio cuore si premura di ricordarmelo ogni santa
volta
con una fitta. È a lui che mi sono dichiarata con
tutta me stessa, non a
te...”.
“Ma se, come
tu stessa hai detto... siamo la stessa
persona...”.
“No Ranma,
non lo siete. Vi assomigliate paurosamente,
ma non lo siete”.
La lascio andare, non
vorrei stringere troppo in preda
a un impulso involontario. In compenso la imploro di non piantarmi in
asso, non
ancora. Vorrei approfondire più che possiamo.
Acconsente e la
ringrazio calorosamente. È palese che
non sia per nulla a suo agio, ma apprezzo tantissimo lo sforzo.
“Se vuoi
sederti...” offro.
“No grazie,
ho la sensazione che diventerei
ingestibile se non potessi muovermi”.
“Come
preferisci. Akane, mi dispiace metterti in difficoltà
e i kami sanno quanto non vorrei... però questo peso mi
stava soffocando e...”.
“... e hai
pensato bene che via il dente, via il
dolore”.
“Mi conosci,
sono uno dai ragionamenti elementari”.
“No Ranma,
hai fatto bene. È giusto che ci sia chiarezza
in questo nebuloso blocco che abbiamo finito col creare, specie se come
temi
rischiamo davvero di rimanere per sempre qui”.
“Ascolta,
per quello mi scuso. Ero...”.
“... solo
onesto. Soggiorno da queste parti da più
tempo di te e i miei sogni di rivedere un giorno casa sono ancora
più flebili
dei tuoi. All’inizio di questa pazza vicenda ero
completamente convinta che
prima o poi io e i miei compagni di sventura avremmo potuto rivedere i
nostri
cari. Loro ci sono riusciti. Per me, come sai, quella
possibilità non esiste
più. E se non si fossero creati l’occasione
tramite l’Artiglio, non sarebbe
esistita neanche per loro. I capricci delle divinità, o di
chiunque tiri le fila
di un simile scherzo, non paiono intenzionati a cambiare tanto a breve.
Fidati
di chi subisce questo tormento da quattro anni e mezzo e non da cinque
mesi”.
“Akane...”.
“Su, non
fare così. Sto imparando lentamente ad
accettarlo, anche se è sempre arduo afferrarne appieno il
significato. Ci
riuscirai anche tu, ne sono sicura”.
“Oh, non ne
dubito affatto. Io, al contrario tuo, non
ho nulla a cui tornare...”.
Si porta una mano alla
bocca, rendendosi conto di
quello che ha involontariamente detto. Provvedo a toglierle le castagne
dal
fuoco: “Ehi, tranquilla! So che non intendevi nulla di
strano, lo capisco”.
“È
vero, ma mi spiace di averti fatto ricordare...”.
“... quel
che è successo nel mio mondo? Non è colpa
tua. Di là mi aspetta solo un cubicolo di lerciume,
così l’ha definito una
volta il mio avvocato al processo, e una condanna a morte. Oltre al
disprezzo
di un’intera nazione che vede in me un macellaio non ancora
ventenne”.
“Ora
capisco...”.
“Cosa?”.
“Perché
ti premeva così tanto affrontare la faccenda.
Se davvero dobbiamo restare qui... non vuoi ripetere quanto hai
già vissuto.
Con l’aggravante che stavolta io non sono morta”.
“Non posso
negarlo” confermo timidamente.
“Oggi
è la giornata in cui l'universo mi urla fortissimo
nelle orecchie quanto sono stupida”.
“No, non
dire così”.
“Ma
è vero. Prima Shan-Pu che mi ha insegnato a fare
due più due, poi tu...”.
“Sei dura
con te stessa. Troppo”.
“Forse. O
forse no”.
“Lo
sei”.
“Tu continua
pure a fare l’emo, tanto la gradasseria
Saotome non ti abbandonerà mai”. Vederla
sorridere mi ripaga degli ultimi, pesantissimi minuti.
“Vogliamo
andare?” chiede, il tono decisamente più
rilassato.
“Prima di
farlo... so di starti chiedendo molto, ma...
posso avere una risposta, ti prego?”.
Per favore per favore
per favore, per una volta nella
mia vita, lasciatemi ottenere quello che voglio. Solo per stavolta.
Credo di
meritarmelo, con tutte le disgrazie che ho vissuto.
“Su quel che
siamo io e te uno per l’altra, intendi?”.
“Su
quello”.
“Ranma,
credimi se ti dico che non voglio spezzarti il
cuore. Credimi. Eppure succederà, perché so che
quanto sto per dire non ti
piacerà. Ho capito cosa vorresti da me, fin troppo bene. E
al momento non sono
pronta. Mi sentirei una traditrice verso di lui, per quanto
la
situazione sia bizzarra e volendo potrei riuscire a
giustificarmi dicendo che non
sarebbe un vero e proprio mettergli le corna. Ma mi prenderei in giro,
e
prenderei in giro te. Non te lo meriti. Se davvero non torneremo mai a
casa...
allora, in quel caso...”.
È stata
gentile a specificare che non era sua
intenzione ferirmi, perché il colpo d’ascia
l’ho sentito forte e chiaro. Anche
se non posso rimproverarla, è umano non riuscire a decidersi
così su due piedi.
E anzi, il solo fatto che abbia lasciato una porta socchiusa...
“Nel
frattempo possiamo cercare di comportarci
civilmente, non credi? Come due buoni amici”.
Nonostante i miei
deliri di vederla cascare come una
pera fra le mie braccia... questo è più di quanto
mi aspettassi realmente. In
lei c’è tanta comprensione e dolcezza verso di me,
anche se non è in grado di
darmi quello che desidero con tutto me stesso.
“Penso...
penso sia un’ottima idea. Ti ringrazio,
Akane”.
“Ti chiedo
scusa, Ranma”.
Non le rispondo, a
costo di sembrare sgarbato. Mi
verrebbe una crisi isterica se lo facessi.
In compenso allungo la
mano verso di lei, nel più
telefonato degli atti di intesa. Mi piace che le cose siano chiare e
precise.
Me la stringe.
“Amici?”.
“Amici. Per
ora”.
“Ranma!”.
“Un galeotto
avrà il diritto di sognare, almeno”.
“Certo. Ma
una sfregiata avrà il diritto di riportarlo
coi piedi per terra se dovesse essere necessario”.
“Io non ho
fatto nulla di male. Non ancora”.
“E vedi di
non farlo, perché ti assicuro che certe
cose fra me e te non cambieranno mai”.
“La solita
rozza con la mano svelta”.
“Mi piaccio
così. E piaccio anche a qualcun altro”.
Occavolo, non mettermi
in una situazione così sin da
subito. Non vale approfittarsene così biecamente. Scorretta.
Quasi a leggermi nel
pensiero mi fa una linguaccia.
Sorrido, un poco
sollevato. Quel che verrà mi farà un
male del diavolo e sarà assurdamente bello.
Con un balzo
improvviso scappa via, direzione casa
Ono. Sbraitandole dietro la inseguo. |
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Idee malsane e conversazioni che non credevi possibili ***
10 dicembre 2015.
“Otto anni. Otto lunghissimi
anni” è il fastidioso
lamento di Akane fra una sorsata e l’altra del suo
caffè. Ha preso l’abitudine
di consumarlo a colazione solo da poco tempo, un paio di mesi al
massimo. Prima
era più tradizionalista.
“Che c’è?
Hai una crisi improvvisa?” la canzono,
sempre fedele a me stesso e alla linea.
E l’intera famiglia, ovviamente
radunata attorno al
centenario tavolo del salotto, comincia a guardarmi di un male, ma di
un
male...
No, va beh. Se non ho diritto di battuta
basta dirlo.
“Comincio a capirti, Akane. Non
posso vantare una così
lunga permanenza, però non mi sto facendo mancare niente
neanch’io” commenta
Ranma, cercando di poggiarle una mano sulla spalla e venendo rimbalzato
scortesemente.
La zia non mi sembra di grande umore oggi.
Fossi in te
la lascerei nel suo brodo.
E nonostante questo noto che il viso di mia
madre,
come sempre impegnata a servire e spostare i piatti vuoti, è
lieto. Sembra...
felice per loro.
Mi sa che simili scenette le mancavano.
Ho riflettuto in merito e sono giunto a una
conclusione: pur avendo vissuto dei momenti a dir poco scioccanti, io
sono
convinto che le due Tendo superstiti abbiano accolto questa cosa come
una sorta
di benedizione.
Sia chiaro: sia mamma, sia zia Nabiki che
li guarda di
traverso con il suo solito sorriso da iena, hanno sofferto. Molto. Non
riesco
neanche a immaginare quante difficoltà possano aver avuto ad
abituarsi a tutto
questo, a un Ranma in libertà e soprattutto a una sorella
che è ripiombata
nelle loro vite pur senza lasciare la sua comoda tomba.
Però non prendiamoci in giro. Si
vede lontano un
chilometro che, una volta lasciato alle spalle un periodo di
aggiustamento,
hanno accolto la novità con sollievo. E non le posso
biasimare, penso farei lo
stesso se succedesse qualcosa a Rei e fra trent’anni mi
trovassi davanti una
sua versione da un altro mondo.
E comunque posso dire che le capisco. Si
respira aria
gagliarda a questa tavolata, fra ammiccamenti velati e vetriolo
lanciato sotto
forma di missili terra-aria-acqua-cosmo. Prima non era così,
e pur non
preferendo lo stato di cose precedente... oh, vaffanculo. È
complicato da
spiegare e io non sono nelle mie migliori
condizioni.
Proseguono allegri in frizzi, lazzi e
ingestione di
cibo. Volano insulti al sarcasmo, risposte pungenti e pure una
bacchetta da
parte di Ranma che, per sua fortuna, non se n’è
privato prima di finire la sua
scodella di riso. Posso dire di conoscerlo un po’ e la cosa
non mi meraviglia
troppo, avendo lui dimostrato un appetito sconfinato e la
capacità digestiva di
uno stormo di elefanti.
In tutto questo io dove e come mi
inserisco? Eh, bella
domanda. Io...
“Andiamo, Shinichi”
ordina seccamente papà alzandosi,
mentre provvede a baciare la sua sposa e a salutare calorosamente tutti
i
componenti del nucleo familiare.
Ecco, volevate sapere di me? Accontentati.
La mia vita è diventata lammerda.
Non sono più riuscito a entrare
in una qualunque
università, neanche nella più pidocchiosa e
malfamata dell’intero paese. Mi
dev’essere subentrato tipo un blocco psicologico o qualche
cazzata del genere,
altrimenti non me ne spiego il motivo.
Non sono cretino, porca troia. Sono solo un
pochino
sprovvisto di voglia di sbattermi. Sai che colpa grave.
Pertanto i miei, a ragione imbufaliti oltre
la soglia
di guardia, hanno ben pensato di punirmi in maniera appropriata e, sin
dal
giorno successivo all’ultima stampatura sbattuta in piena
faccia, hanno trovato
una condanna esemplare.
Obbligato a fare l’assistente di
papà nel suo studio.
Gratis.
“Oh sì, è
proprio un lavoraccio Shinichi. Invidierai
gli spazzacessi e quelli che cambiano i mutandoni ai vecchi”.
Le sento le vostre
voci ironiche, stronzi senza volto. E vi assicuro che non è
la passeggiata di
salute che potete credere.
Lavorare nell’ambulatorio del
dottor Ono è
massacrante. Date le sue indubbie doti, il signore qua ha sempre una
quantità
impressionante di clienti che entrano, ruttano, buttano le cartacce per
terra,
lasciano chili di fango sul pavimento e chi più ne ha
più ne metta.
Uccidetemi. Lo preferisco.
“Se posso
intromettermi...” dice zia Nabiki alzandosi.
Uh?
“Cosa
c’è?” chiede papà,
guardandola un po’ accigliato.
Credo non abbia apprezzato l’intervento.
“Sia chiaro che non sto cercando
di minare la tua
autorità, caro cognatino. Ma spero non ti scocci se, per
oggi, ti porto via il
carcerato per qualche ora”.
“E perché lo vorresti
fare?”.
“Ho programmato una scampagnata e
lui mi serve”.
“Dove?”.
“Non si rovinano così
le sorprese, suvvia. Non fare
l’ammazzagioie”.
Interviene mamma: “Nabiki, cosa
stai architettando?”.
“Niente di distruttivo,
sorellina. Ti pare che
rovinerei in maniera sconsiderata il mio nipote preferito?”.
“Grazie tante, zia. Grazie
tante” borbotta Rei,
comprensibilmente piccata.
“Maschio, intendevo nipote
maschio. E comunque sei invitata
anche tu. E pure voi” conclude indicando Ranma e Akane.
I due si guardano interdetti. “Tu
hai idea di che si
tratta?”. “A me lo chiedi? La sorella è
la tua, mica la mia”. “Non è davvero
mia sorella e lo sai”. “Va bene, ma è
più tua sorella che mia”. “E se mio
padre
aveva le ruote era un trolley”. “Non sapevo che
Soun fosse così pieno di
optional”. “... vai a quel paese e
restaci”. Tutto questo non se lo dicono
parlando, ma solo a smorfie.
Ora comincio a essere incuriosito. Cosa
può volere da
noi quattro?
“Va bene, Nabiki. Sputa il rospo.
E che sia una
risposta soddisfacente”. Mi dimentico sin troppo spesso che
mamma sa essere
molto, molto forte se ci si mette. Per fortuna delle mie costole non le
succede
spesso.
“Ma in questa casa non si
può far mai nulla di non
catalogato. Che noia che barba che barba che noia. Di cosa hai paura,
Kasumi?”.
“Non lo so, non sono
mefistofelica come te”.
“Mi ricordi troppo Akira, in
questo momento”.
“Scusa tanto se tengo alla
salvaguardia dei miei
figli, di nostra sorella e di Ranma. La prossima volta te li
lascerò sbranare
in pace”.
“Comunque no, non te lo dico. In
compenso posso
giurarti sulla cosa più preziosa che ho al mondo che non
intendo torcere loro
un solo capello, neanche come conseguenza involontaria”.
“Sarà meglio per te.
Altrimenti neanche essere il
megadirettore galattico della ditta per cui lavori potrà
salvare la tua
pellaccia”.
Non trattengo una risata. Mia madre e mia
zia sanno
sempre imbastire degli spettacolini spassosissimi.
“Allora è deciso:
sequestro i quattro giovincelli per
una mezza giornata e ve li riporto intonsi e lustrati, come se fossero
appena
usciti dalla concessionaria. Siamo tutti d’accordo?
Rimostranze? Rimbrotti?
Altre perdite di tempo?”.
C’è del parlottio fra
i miei genitori, ma nessuno dei
due sembra abbastanza cazzuto da volersi opporre con fermezza. E poi
credo che
le continue rassicurazioni li abbiano, nonostante tutto, messi
abbastanza con l’anima
in pace. La resa ufficiale arriva per bocca di papà, che
concede a malincuore
la propria benedizione.
Evviva. Si va a spasso con zia Nabiki.
Ci fa alzare e ci impone di uscire. Quando
poi siamo
all’esterno, appena oltre la soglia di casa, intona quello
che appare come un
discorso grave: “Molto bene, marmaglia. Vi starete chiedendo
cosa mi frulla per
la testa, no? Diciamo che ho avuto un’idea in parte
terapeutica e in parte da
pazzoide. Ma tutta questa situazione è da pazzoidi, alla fin
fine. Comunque è
presto detto: si va tutti assieme appassionatamente al
cimitero”.
...
Ma vai a cagare.
“Ehi, cos’è
‘sto scherzo di pessimo gusto?” se ne esce
Ranma, presto spalleggiato da tutti gli altri.
“Bamboccetto, abbassa la
crestina. Non vuoi neanche
sapere il perché di questa mia decisione?”.
“Ma guarda, non sono
così interessato a scoprire i
meandri di una mente psicotica”.
“Perché, hai addirittura
dei motivi? Se non ti conoscessi
giurerei che questa vuole solo essere una gigantesca presa per il
culo” mi
inserisco.
“Quand’ero
più giovane, che tu ci creda o no, persino
io ogni tanto mi concedevo qualche sfizio. Ma qui, anche se
potrà sembrarvi
assurdo, la questione è più importante di quanto
può apparire ai vostri occhi”.
“E quale sarebbe questa oh
così fondamentale causa?”.
“Akane, tu dovresti essere
proprio l’ultima ad
apostrofarmi con tanto sarcasmo. Ricordami un po’ da
quant’è che sei bloccata
qui”.
“Ma dici sul serio? Lo sai bene
da quanto...”.
“Rispondimi”.
No, ok. Posso contare sulle dita di una
mano monca le
occasioni in cui Nabiki ha mostrato tutta questa serietà.
Non le brillano gli
occhi con l’istinto omicida del pescecane che sta per
spolpare l’ennesimo
malcapitato, non ha quella parvenza da femmina fatale, non si lecca
lascivamente le labbra. Al contrario, è fredda e composta.
Sa essere una
bastarda totale anche da fredda e composta in realtà, ma
percepisco una nota
differente.
“A oggi... sono esattamente...
otto anni” risponde l’interpellata,
intimorita.
“Ecco. Otto anni. Ora, sono solo
io a considerare come
più probabile l’eventualità peggiore,
cioè che voi due non riuscirete mai a
tornare da dove venite?”.
Silenzio. Pesante.
“Come volevasi dimostrare. E
allora ho pensato che
forse sarebbe utile per voi realizzarlo definitivamente con un breve
saluto
alle vostre controparti di qui”.
Questa... è follia. Che
cos’hai in quella testa, donna
mia? Scarti radioattivi?
“Zia, scusami se mi
permetto” mi anticipa Rei “ma io
non ci vedo nulla di sensato in tutto ciò. E poi cosa
c’entriamo io e Shinichi?”.
“Strettamente nulla, è
vero. Ma volevo rendervi
partecipi, anche per una piccola lezione sul mondo difficile, la vita
intensa, la
felicità a momenti e il futuro incerto. Male di certo non vi
farà”.
Io non me la ricordavo mica così
macabra, eh.
“Ammetto” esordisce
d’improvviso Akane “che un paio di
volte ho pensato di farmi accompagnare da qualcuno a visitare il luogo
di
riposo della me stessa di qui. Ma vuoi per paura e vuoi
perché non lo ritenevo
necessario, ho sempre preferito evitare. Messo in questi termini,
però, non
nego che il tuo ragionamento abbia un suo senso. Indubbiamente lugubre
ma ce l’ha.
Forse mi serviva solo una spinta esterna per farmene rendere conto
appieno”.
“Mi fa piacere”
risponde mentre si accende una
sigaretta -catrame già di prima mattina, vai
così- “che tu abbia compreso le
mie ragioni. E per quanto riguarda il signorino ribelle con la barba,
mh?
Ancora contrario all’idea?”.
“Non... non lo so. Dopo che ti
sei spiegata... anch’io
devo concedere che se non altro non è uno dei tuoi squallidi
trucchetti per
trarne profitto”.
“In tal senso puoi stare
tranquillo, Saotome. Non devi
temere nessun tiro mancino da me. Come gli altri tre possono
confermarti io, in
questi otto anni, non ho mai attentato una sola volta al benessere di
Akane e
di chi era stato così sfortunato da condividere con lei
questo destino infame.
Aiuta anche il fatto che sono da queste parti solo per le vacanze
natalizie...
ma è il sentimento che conta. E quello è sincero,
te lo posso giurare”.
Ok. Se non si convince dopo questa non si
convince
più. Mai, e non scherzo quando dico mai, ho sentito parlare
zia Nabiki con
simile solennità.
“Confermi quanto ha detto,
Akane?”.
“Lo confermo. Non sai quanto
questa cosa mi abbia
spiazzata, ma non si è comportata in maniera equivoca una
sola volta”.
Dopo qualche attimo di tentennamento le
risponde: “E...
e va bene. Hai vinto”.
“Eccellente. Voi, nipoti adorati?
Vi aggregate?”.
Lascio che sia mia sorella a prendere per
prima la
parola, dandole anche una piccola pacca per esortarla:
“Ribadisco che una
trovata del genere è degna di uno squilibrato,
ma...”.
“Ma?”.
“Ma... una parte di me
è incuriosita. Parecchio
incuriosita. E sta cercando di farmi cedere”.
“La sostengo con tutta me stessa.
Credimi quando ti
dico che, a parte un po’ di straniamento, una passeggiata al
camposanto non è
la tragedia che si può pensare. Inoltre, non vorresti andare
a trovare il
nonno? È molto che gli fai mancare la tua presenza e non
è cortese. Nipote degenere”.
“Sì, hai
ragione...”.
“E allora approfittane. Magari tu
e Shinichi potete
dedicarvi a lui, mentre i nostri clandestini sistemano le loro
faccende”.
Insiste ancora un po’ e alla fine
le strappa un sì.
Rimango solo io. Mi affretto ad accettare,
che
preferisco tutto a un turno di sedici ore nell’ambulatorio di
papà. Anche una
roba grama come il trekking in mezzo ai morti.
Ci avviamo.
Mentre camminiamo con passo rilassato mi
accorgo che
Ranma e Akane, un paio di metri davanti a me, sembrano molto... vicini.
A
quanto pare a lei è passato il malumore di prima, visto che
non è avara di
risolini e sguardi complici con il suo bel fusto.
A me nessuno dice più nulla in
casa, non dopo quella
sfilza di bocciature che mi hanno ridotto la vita al cumulo di letame
fumante
su cui sono seduto da sin troppo tempo. Ma mi sembra di aver origliato,
non
ricordo se direttamente dalla bocca degli interessati, di un loro
strano
accordo sul fatto che si sarebbero considerati niente più
che amici. Quel che
vedo mi pare raccontarmela diversamente.
Poi boh, non è che neanche me ne
fotta qualcosa.
Diciamo solo che è... curioso.
“Tutto bene, Shinichi?”
mi chiede Rei, ridestandomi
dai miei pensieri.
“Sì sì, ero
solo distratto”.
“Sei sempre distratto,
fratellone”.
“E fatti gli affaracci tuoi una
volta tanto”.
“Ma guarda te che stronzo. Io mi
preoccupo e lui fa lo
snob di ‘stocazzo”.
So che è patetico, ma un
po’ mi manca la Rei riverente
e asservita che mi ronzava attorno anche solo qualche anno fa. Dal
giorno in
cui le abbiamo raccontato del Torneo se n’è andata
e non è ritornata più. Me la
sono voluta.
Dopo una decina di minuti abbondanti siamo
a
destinazione e zia Nabiki, com’è sua abitudine,
prende in mano la situazione: “Shinichi,
tu e tua sorella da nonno Soun. Io porto gli altri due dove devono
stare. Ci si
rivede qui all’ingresso fra una mezz’ora.
Marsch”.
Li vedo allontanarsi e osservando le loro
schiene mi
vorticano infinite domande nel cervello. A cui rispondo con infiniti vaffanculo.
Qui giace
Akane Tendo (1973-1989)
L’ultima, la
più valorosa
Ciao Akane.
Era da un po’ che meditavo di passare a porti il mio
rispetto.
Se non fossi dove sei mi staresti chiedendo chi sono,
da quale incubo esco e perché non ci torno.
Alla prima domanda ti rispondo agilissima: io sono te.
In un certo senso. Lunga storia.
Alla seconda ti rispondo: non esco da un incubo, anche
se per certi versi la mia esperienza si può considerare tale.
Alla terza ti rispondo: lo farei se potessi. Ma Shan-Pu
ha deciso per me e non credo di potermene andare, a meno di insperati
miracoli.
Accidenti, non è cosa da tutti i giorni poter guardare
una lapide su cui c’è scritto il tuo nome.
Scusami, mi sento scombussolata.
Nabiki si alterna nel fissare me e Ranma.
Eh già, c’è pure lui. Un gran casino,
vero? Non rovinerò quest’occasione
speciale con il resoconto delle nostre disavventure, ti annoierei.
Accetta solo la mia esistenza, senza fare domande. È
più pratico per entrambe.
Non... non so bene cosa dire. È dannatamente complesso
da affrontare e metabolizzare.
Sono davanti a una tomba che potrebbe essere la mia,
non lo è e in un certo senso lo è.
Devo dare atto alla tua sorella cannibale, aveva
ragione: averti di fronte ora mi fa toccare con mano la mia
realtà, cioè che
ora sono l’Akane Tendo “ufficiale”.
Tranquilla che si fa per dire. Non rubo il posto agli
eroi.
Una delle prime cose che mi hanno raccontato di te.
Come hai preso di petto la prospettiva di morire per il bene del mondo,
come
sei riuscita a tenere testa a quel mulo di Ranma e come hai affrontato
con
immenso coraggio la tua prova finale. Kasumi è stata prodiga
di particolari,
pur nella sua limitata conoscenza, e si è premurata di
spiegarmi per filo e per
segno tutto quello che era in grado di dirmi sull’ultimo
periodo che hai
trascorso su questa terra. Senza contare quel che ho sentito dalla viva voce dell'unica testimone oculare.
Ti ammiro. Hai avuto una forza d’animo e uno spirito
indomito che al momento a me mancano. Non riesco neanche ad affrontare
come si
deve la questione con Ranma. E sì, so bene che è
difficile, fra viaggi nei
mondi e situazioni al limite del film splatter, ma... vedo te e mi
sento
piccola, misera, incompleta.
E a soli sedici anni. Ricordo di aver pensato che
forse lo avrei potuto fare anch’io, ma più passano
i giorni e più realizzo che
non ci sarei mai riuscita. Troppo grande il peso di cui mi sarei dovuta
far
carico, troppa responsabilità, troppa angoscia a
rosicchiarmi e a farmi
crollare pian piano, ora dopo ora. Anche il fatto che sei stata
l’ultima e hai
retto più di quattro mesi vedendo gli altri morirti attorno,
uno dopo l’altro,
non fa che confermare quanto cuore avevi.
Se avessi potuto essere testimone del tuo calvario
io... io... io avrei finito col santificarti, o qualcosa del genere.
Non sarei
mai e poi mai rimasta indifferente. Presumo anche con i tuoi compagni,
verso i
quali non intendo mancare di rispetto perché il loro
sacrificio vale tanto
quanto il tuo, ma per te... beh, capirai da sola perché il
tuo caso avrebbe
avuto più valore ai miei occhi.
E invece sono qui a ventisei anni, dopo otto che mi
trovo in una realtà non mia, a piangermi addosso e a non
sapere cosa voler fare.
Di me e di lui.
Abbi pazienza se ti uso come valvola di sfogo.
Forse ciò che ci differenzia è che io mi ero un
po’
seduta sugli allori: avevo ottenuto la dichiarazione che tanto bramavo,
l’amicizia
di Ukyo e di tutti gli altri, una routine fatta di risate e facce
allegre. A te
tutto questo non era stato concesso e... non so, può darsi
che quell’insoddisfazione
latente ti abbia donato l’incoscienza necessaria per
prendere una simile
decisione e portarla fino alle sue estreme conseguenze.
Mi sembra quasi di sentirti, con la voce che ormai non
è più cosa mia, mentre mi rimproveri:
“Akane, santo cielo. Datti una svegliata.
È vero che sei lontana da casa tua e probabilmente non ci
potrai tornare mai
più, ma c’è di peggio nella vita.
Guarda me. Non voglio atteggiarmi da
supereroina dei fumetti ma diamine, tu ci sei ancora. Respiri. Puoi
ricostruirti. Avanzare. Concludere la tua vita guardandoti indietro e
vedere
più di sedici, brevi anni concitati. Non mi pento della mia
scelta, era
necessaria in quel momento. Ma sai benissimo, se io e te ci
assomigliamo almeno
un po’, quanto mi sia costato prenderla. Cerca di sfruttarla
al meglio delle
tue possibilità e rendimi orgogliosa di te”.
...
Mi chiedo se questo sia davvero un monologo.
In ogni caso grazie. Non credevo che una simile idea
folle potesse avere tutti questi risvolti positivi.
Non reggo più e mi inginocchio, cercando di non
disturbare la quiete del luogo sacro con le mie sciocche lacrime di
bimba
spaventata.
Qui giace
Ranma Saotome
(1973-1989)
Il primo, il
più sprezzante
Ehilà, ragazzo fortunato.
No, non ti sto prendendo in giro. So che può suonare
così, ma no. Lo dico per un semplice motivo: ti invidio.
Sono qui da quattro anni, in questo mondo straniero
dove tu e quell’altra suicida di Akane vi siete gettati di
vostra volontà nella
tazza del wc. Ebbene, neppure voi due potete sperare di competere con
quanto è
successo a me.
Va bene, va bene. Devo smetterla di prendere tutto
come una sfida da vincere, è uno dei miei peggiori difetti.
Però non lo si può
negare neanche volendo che ti è andata ancora di lusso se ti
paragoni con me.
Tu hai visto morire Akane? No, non ti è successo. E
d’accordo,
sei crepato per primo e non dev’essere stato
piacevole, capisco.
Ripeto, al confronto sei stato fortunato.
Come se non bastasse la mia unica possibilità di...
chiamamola
rivalsa per mancanza di una parola
migliore, mi è stata negata.
Inutile essere reticente con un te stesso morto,
quindi te lo posso dire: io la amo. Amo Akane Tendo qualunque siano il
suo
mondo di provenienza, la lunghezza e il colore dei suoi capelli e
l’eventuale
presenza di cicatrici sul suo volto.
Amo quel suo carattere orgoglioso, testardo,
indipendente.
Amo il fatto che non sia disposta a farsi mettere i
piedi in testa da nessuno. Nemmeno da me.
Amo il suo sorriso.
Lei lo sa. Lo sa benissimo. E guarda, con tutto quel
che è capitato ad entrambi so che sto comunque accelerando i
tempi e che ha
bisogno di lasciarlo andare e che non posso pretendere troppo.
Mi indico la testa con un dito. Qua lo so.
Poi mi indico il cuore. Qua un po’ meno.
Cerco di fare del mio meglio per sopportarlo, e anzi
la sto ringraziando silenziosamente ancora adesso per lo spiraglio che
ha lasciato
libero. Solo che fa tanto male comunque e tutto questo dolore comincia
a pesare
un po’ troppo, persino per un macho come il sottoscritto.
D’altro canto io non voglio tornare a casa. Cosa
c’è
per me là? Un metro e mezzo per un metro mezzo di puzza,
topi morti agli angoli
e un cappio desideroso di fare la mia conoscenza. Evito, grazie tante.
Qua invece, anche se non posso dire di vivere felice e
contento, ho una possibilità. Un’ipotesi. Qualcosa
a cui posso volermi
aggrappare con la forza della disperazione, per quanto fragile e
scivoloso.
Qua ho lei. Posso avere lei.
Sono stato un cretino spaziale nel non essere mai
riuscito a dire niente alla mia Akane, neanche dopo che è
stramazzata
agonizzante ai miei piedi. E poi un gioco bizzarro e senza senso mi
restituisce
la voglia di vivere. Riscopro cosa significa non tirare avanti per
inerzia, ma anzi
con rinnovata speranza nel domani. Speranza in una sua parola a me
favorevole,
in un suo gesto distensivo, in un suo bacio.
Potrei non avere mai nulla di tutto questo. Ma preferisco
una pur vaghissima opportunità al nulla assoluto, nero e
vorace che mi attende
oltre il muro.
Non mi starai capendo. Normale, è un discorso sin
troppo complicato per chiunque. Figurati per uno al mio stesso livello
d’intelligenza,
quindi parecchi metri sotto terra.
Scusa, non avrei dovuto trasformare questo
prezioso incontro in una lagna ripetitiva su come non sono corrisposto
dalla
persona per cui darei tutto. Cioè, non proprio da lei ma...
insomma, fai sì con
la testa.
Ti chiederei come ti va ma, incredibile, neppure io
arrivo a tanto.
Comunque stai pur sicuro che non intendo mollare di un
solo millimetro. Ho fiducia in me, in lei e in quello che ci lega.
Magari non
lega me e lei, ma lega comunque Akane Tendo e Ranma Saotome senza farsi
fermare
da stupide barriere dimensionali.
Va beh, non ho molto altro da dire. Quindi ti saluto e
ti prometto che prima o poi tornerò a trovarti, sempre che
tu voglia di nuovo
la mia compagnia.
E allora? Vogliamo fare notte? Io e Rei siamo qui ad
aspettare da quasi un quarto d’ora.
Ok, non ho neanche tutta ‘sta urgenza di concludere
perché significherebbe tornare alle catene di
papà, però mi scazza starmene qui
fermo a far nulla.
Ecco, finalmente si degnano di tornare. Era pure ora.
“Com’è andata?” chiedo,
fintamente interessato.
Nessuno dei due mi risponde, ma dai loro sguardi si
capisce chiaramente che zia Nabiki non diceva palle. Hanno una strana
espressione, tutti e due: Akane appare un po’ tirata ma nel
complesso sembra a
posto, anche se nei suoi occhi brilla qualcosa che non riesco a
definire; Ranma
invece è determinato, esattamente come appariva nelle poche
foto che mamma mi
ha mostrato.
Tutto commovente, gente. Ora vogliamo andarcene fuori
dai coglioni?
No, a quanto pare no. Akane mi si avvicina, un sorriso
malvagio.
SOCK.
“Adesso siamo pari, Shinichi. Ringrazia che te la sei
sfangata per tutto questo tempo”. |
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2018595
|