Ragione e legami

di Sotalia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Responsabilità ***
Capitolo 2: *** Fuga ***
Capitolo 3: *** Un esercito decimato e una lettera ***
Capitolo 4: *** Il professore e il fan dei Led Zeppelin ***
Capitolo 5: *** Il racconto del vecchio professore ***
Capitolo 6: *** La collezione è completa ***
Capitolo 7: *** Cose che si ricordano ***
Capitolo 8: *** Silenzio tutti ***
Capitolo 9: *** Morti viventi ***
Capitolo 10: *** Riscatto d'amore ***
Capitolo 11: *** La stazione ***
Capitolo 12: *** Quello che avrebbe dovuto essere e quello che sarà ***
Capitolo 13: *** Sbronzo ***
Capitolo 14: *** Punto di rottura ***
Capitolo 15: *** Emily e Susy ***



Capitolo 1
*** Responsabilità ***


1

1° capitolo

RESPONSABILITA’

 

“Non so come non abbia potuto rendermene conto...” si passa una mano fra i capelli sporchi. “Eppure ora che ci penso era così ovvio”

“Non è colpa tua”

“Non dire idiozie, ti prego. Forse non sono stato io a far iniziare questa cosa, ma l’ho favorita!” La sua voce è quasi un ringhio, un basso rintocco di campana che vibra prolungatamente. L’altra voce, invece, si assottiglia ancora di più. E’ acuta e rischia di andare in frantumi. E’ come un vetro che tintinna dopo una schicchera, e si tiene il fiato sospeso in attesa che vada in mille pezzi. “E allora siamo in due a essere colpevoli”. Di nuovo il ringhio. Stavolta però è inumidito da una lacrima. L’altra voce non è sorpresa, ha sentito quel suono strozzato fin troppe volte: “Dobbiamo dividere la responsabilità di quello che abbiamo fatto, o che non abbiamo fatto, e di quello che dobbiamo fare”

 

DAL DIARIO DI HERMIONE GRANGER

1° settembre

Il primo giorno di scuola! L’ennesimo ormai. Di nuovo alla stazione, i saluti, il treno, gli studenti che duellano per i corridoi, i prefetti secchioni che li rincorrono sputacchiando incantesimi, gli insegnanti rintanati nel loro personale vagone, senza osare affacciarsi, neanche fossero sotto assedio.

Ho imparato a conoscere questo ambiente ormai. E’ il mio.

Ecco la scuola, imponente e un po’ inquietante per i primini, rassicurante per quelli del secondo anno, ironica con quelli fino al quinto, ostica per quelli del sesto, fraterna e complice con coloro che stanno per abbandonarla.

E per me? Cosa è per me? Non so dirlo. Vivo fra due realtà che dopo tutto questo tempo ancora non so unire. Le mie sono due identità che rimarranno per sempre distinte, che ignorano l’altra quasi con dispetto. Strega figlia di dentisti... non suona granchè bene. Sembra un giochino di intelligenza. Quale parola non c’entra niente con le altre? C’è più di una risposta esatta: strega, figlia e dentisti.

Ma adesso sono qui. Cena sontuosa, come al solito. E’ tutto come è sempre stato. Eppure mi sembra, in un certo senso, di essere entrata per la prima volta qui dentro. Un po’ come quando si va in un posto che, per qualche ignota analogia, ti sembra di aver già visitato.

Immagino che sia il cambio di prospettiva. Questo incredibile cambio di punto di vista. Eppure sapevo che sarebbe andata così.

In questo momento, sono a letto. Sola in questa stanza. Grattastinchi è accucciato sul copriletto. Non c’è stato verso di convincerlo ad accontentarsi del tappeto, e io adesso mi devo adattare a sentirlo contro i piedi. Spero solo che non sia troppo sporco. Ma alla fine, chi se ne frega? Non voglio più essere una ragazzina troppo paurosa per affrontare la vita senza il filtro dei libri. Adesso mi è richiesto uno sforzo di responsabilità, e io sento di essere pronta per questo nuovo compito. Solo, che non sono sicura che sia questo ciò che desidero realmente. E’ davvero a questo che mi sono preparata in questo tempo? Fare scelte è una responsabilità che mi è venuta addosso all’improvviso, crescendo. Però l’ho capito lentamente. Cosa scegliere quindi? In base a cosa una delle mie identità dovrebbe prevalere sull’altra? In base a cosa scegliere la magia, e questa scuola, invece dei miei genitori?

....

“Mi dica dunque, dove si trova Harry Potter in questo momento?”

“Che razza di domanda è? Che cosa vuol dire?”

“Signor Weasley, il significato mi sembra chiaro: dove si trova in questo momento Harry Potter?”

“Non ho intenzione di rispondere. Chiedetemi altre cose, ma queste sono cose private”

“Signor Weasley, la comunità magica ha bisogno di sapere, capisce? Harry Potter è una personalità di spicco, ormai. Ha delle responsabilità nei confronti del mondo magico, capisce? E’ un’icona, un simbolo da cui ogni singolo mago attinge speranza quando è in difficoltà! Riveste dei doveri morali fondamentali”

“Harry non è solo una figurina che potete sballonzolarvi come vi pare! E se ha delle responsabilità è soprattutto verso sè stesso!”

“Quindi lei ritiene che la fiducia dei maghi sia mal riposta in lui? Che Potter non sia abbastanza forte per sopportare questo peso?”

“Certo che no, accidenti! Non voglio dire questo. E’ solo che non è giusto che qualsiasi vigliacco spompato che sappia tenere in mano un’accidenti di bacchetta non sappia far altro che appiccicarsi a lui! Harry ha una vita sua, cavolo! Anche lui ha i suoi problemi, non può stare appresso a quelli di tutti gli altri idioti!”

“Lei definisce la comunità magica idiota e vigliacca? E.. ehm.. può specificare quali siano i problemi che trattengono Harry Potter dall’intrattenere una normale vita pubblica?”

“Accidenti, questi sono affari suoi! Non riguardano nessun altro all’infuori di lui! Lui è responsabile di sè stesso, e tutti dovrebbero imparare a esserlo!”

“E le sue responsabilità signor Weasley? Quali sono le sue, di responsabilità?”

Ronald Weasley deglutì.

....

 

“Non te la prendere Ron, è inutile. Non possiamo farci niente”. Hermione cercava di rassicurarlo.

Da quando era lei quella forte?

Gli scostò i capelli dalla fronte. “Dovresti darti una lavata Ron. E rifarti la barba. E’ inutile lasciarsi andare così. Certo in questo modo non lo aiuti”

Da quando era a lei che toccava essere la forza di qualcun altro?

Ron si rannicchiò. Sembrava un bambino. Si sentiva un bambino. Un bambino molto, molto arrabbiato, ma impotente.

 

DALLA GAZZETTA DEL PROFETA

10 novembre

Harry Potter ha fatto perdere le sue tracce. Nessuna notizia di lui da 26 giorni a questa parte. In seguito alla sua assenza alla convocazione del 15 ottobre di quest’anno di fronte al Wizengamot, il corpo degli Auror si è messo in moto alla sua ricerca. Si era temuto infatti che le recenti minacce da parte di ignoti nei suoi confronti fossero state messe in atto, nonostante la rigida protezione magica cui il mago era sottoposto. Tuttavia, indagini presso i suoi più stretti conoscenti, lasciano intendere che ci sia qualcosa di losco in questa faccenda. Riporto qui di seguito le conversazioni avute con alcuni esponenti della sua cerchia di conoscenze intime: Ronald Weasley, Xenophilius Lovegood e figlia -i quali sono notoriamente i gestori della assai discussa rivista “Il Cavillo”-, Dolores Umbridge, il mezzogigante Rubeus Hagrid, noto per il suo controverso rapporto con Albus Silente, e ancora altri volenterosi che preferiscono rimanere ignoti. Posso cominciare con il giovane Ronald Weasley. Il giovane appartiene a un’antica famiglia, che purtroppo si è guadagnata una certa nomea in seguito a delle inquietanti testimonianze di contatti babbani. Il ragazzo ha dimostrato una certa agitazione, durante il nostro colloquio e...

Prosegue a pagina 3

a cura di Rita Skeeter

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Fuga ***


2

2° CAPITOLO

FUGA

 

Harry si appoggiò alla parete umida e livida della grotta esalando un sospiro di sollievo. Si sfilò la scarpa destra e con due dita tirò via dal piede il calzino intriso di sudore e terra. Aveva due vesciche enormi e perfettamente tondeggianti sulla pianta del piede. Una gli era appena scoppiata.

Harry era cosciente di puzzare. D’altronde, cosa poteva pretendere, considerato che non aveva occasione di lavarsi da giorni? “Gratta e netta...” borbottò puntando la bacchetta contro di sè. Sentì la pelle bruciare come se gli fosse appena stata scartavetrata. Si toccò il volto e se lo sentì rasposo sotto le dita. Quello, in effetti, non era propriamente un incantesimo adatto a un essere umano. Tuttavia, i vestiti erano tornati puliti, anche se l’odore era rimasto. Si trattava di un vago sentore di foglie marce mescolato ad un alone acidulo di sudore.

Girovagava per i boschi da giorni. Si materializzava in posti scelti a casaccio, stupendosi ogni volta della buona riuscita dell’operazione. Concentrazione... piroetta... il fiato sospeso per qualche secondo... sta per scoppiare si sta per spaccare oh no no non posso spaccarmi... la pressione... l’aria. Era sempre con un senso di vertigine che ritornava all’aperto: i polmoni potevano respirare, le membra muoversi. Era un po’ come quando cambiando le marce di una bicicletta da una troppo dura si passa a una troppo morbida, i piedi pedalano a vuoto e il mezzo ondeggia paurosamente mentre si prova un improvviso senso di vuoto sotto di sè. Poi ecco di nuovo la stabilità.

I mangiamorte. Lo avrebbero trovato anche quella volta? Lo inseguivano riuscendo a rintracciarlo nei posti più impensabili. Ancora non aveva capito come ciò potesse essere possibile.

Era cominciato tutto mentre si dirigeva alla riunione del Wizengamot... quanto tempo prima? Avrebbe dovuto parlare di fronte al Consiglio magico a proposito... di cosa? Non riesco a ricordarlo.. non riesco.. non riesco.. non ricordarlo.. non riesco a ricordarlo.. Non lo ricordava.

Colpa della stanchezza, se era così confuso. Il problema era che se non riusciva a pensare per i mangiamorte sarebbe stato molto più facile prenderlo. Doveva concentrarsi e tenere la mente il più possibile presente..

Si era fermato a comprare una brioche in un bar babbano: era ancora presto e il Ministero si trovava di lì a due passi. Nel locale aveva notato due tizi che entravano mentre lui aspettava il caffè.

“Ecco il suo caffè lungo signore”. E allora avevano attaccato.

Un ragazzo aveva gridato mentre la fidanzata veniva colpita da uno Stupeficium diretto a Harry. Josephine. Si chiamava Josephine.

Mentre Harry si lanciava dietro il bancone e urlava un Expelliarmus disperato, le sue orecchie erano piene di quel nome pronunciato con tanta angoscia. “Stupeficium!” gridò di nuovo il mangiamorte più alto. Era un uomo allampanato con un naso talmente lungo che risultava pendulo. Non vogliono uccidermi.. pensò Harry lucidamente. Non se cercano di colpirmi con uno Stupeficium...

In quel mentre il ragazzo, di fronte ai primi segni di ripresa della fidanzata, si era avventato addosso al mangiamorte più basso, tempestandolo di pugni. Era piuttosto ben messo, e nonostante fosse privo dell’aiuto della magia riuscì a stordire l’aggressore prima che potesse reagire. Mentre il mangiamorte si tamponava il naso sanguinante con una manica e sbatteva gli occhietti persi nella fronte troppo ampia, l’altro, quello alto, lanciò freddamente un incantesimo sul giovane.

L’ultima cosa che il ragazzo vide fu il sorriso della fidanzata stranamente illuminato da una luce verde. Aveva voluto fare l’eroe. Aveva voluto proteggere la sua principessa dai due orchi che se la volevano mangiare. La principessa era in salvo adesso sì, ma non aveva più il suo cavaliere e si struggeva di lacrime.

Harry, paonazzo di rabbia, si scaraventò oltre il bancone rinunciando alla sua protezione di legno lucido e plastica trasparente e aveva gridato “Avada kedavra!”. Lo spilungone stava per accasciarsi, sì, sarebbe morto.. lui aveva fatto piangere la povera Josephine. Come..? No! NO! Come era potuto accadere? Il mangiamorte non era stato colpito.. un uomo che cercava di svignarsela era morto sul marciapiede, appena fuori della porta, al posto dell’assassino dal naso pendulo. Il silenzio si fece scioccante, per Harry. Intorno a lui babbani costernati lo fissavano allibiti. Con la coda dell’occhio Harry vide un bambino, un bambino minuscolo, biondo, che si stringeva al seno della madre. “Stupeficium!”. Harry lo schivò e si gettò fuori, per la strada. Tutto si era svolto molto rapidamente e solo allora qualche passante tentava incerto di capire cosa stesse accadendo.

I mangiamorte lo inseguirono rapidamente, ma Harry si era già infilato in un vicolo. I suoi due inseguitori erano impediti dalla piccola folla che si era raccolta fuori del bar.

Harry attese, col cuore in gola. Rumori concitati provenivano dal punto della strada in cui si apriva il locale, ma nessuno sembrava correre verso di lui. In quel momento gli sovvenne un ottenebrante senso di inquietudine in cui si fece strada un’immagine: gli occhi addolorati di Josephine. Lei lo aveva guardato mentre scappava. E anche lui aveva guardato lei. Gli occhi della ragazza erano pieni odio.

Si sentì uno scalpiccio e, d’istinto, Harry girò su se stesso e sparì. Trascorse qualche istante in cui terrorizzato aspettava di ritrovarsi senza qualche parte del proprio corpo. Invece era tutto intero. Era alla Tana. Il posto più stupido per nascondersi, certo. Ma era accaduto tutto talmente in fretta che senza volerlo si era diretto nel posto in cui aveva passato le ultime settimane.

Casa.. casa? Un gratificante senso di familiarità quasi lo commosse. I soliti colori caldi, lo strano orologio che teneva sotto controllo tutti i membri della famiglia Weasley. Fuori della finestra vide uno gnomo strangolare una gallina. Sorrise. L’atmosfera accogliente che pervadeva la casa era corroborante.

Però aveva scoperto di essere in pericolo. Se rimaneva lì avrebbe trascinato tutti nella rovina.. Un pressante senso di urgenza gli fece battere il sangue nelle orecchie. Tremava, si accorse.

Si passò una mano sugli occhi. Non era lucido, non riusciva a pensare.

Corse nella camera che condivideva con Ron. Si guardò intorno solo un momento necessario ad accorgersi che dalle pareti erano spariti i poster dai colori psichedelici dell’amico.

Non ci fece granchè caso e cominciò ad afferrare qualche vestito e degli oggetti che ritenne importanti, per poi gettarli alla rinfusa in uno zaino. Mentre frugava tra la roba sparsa sul suo comodino, si tagliò un dito. Si succhiò il sangue che si gonfiava in una goccia sul polpastrello, e intanto controllò cosa fosse il colpevole. Un pezzo di vetro. Doveva essere un pezzo di specchio, perchè lo rifletteva. Lo prese e lo buttò con noncuranza nel cestino. Ignorò una dolorosa fitta nostalgica che lo prese al petto. Ne ignorava l’origine e non aveva senso, soprattutto in quel momento.

“Harry, che stai facendo?” gli chiese una voce rapida ma leggermente incrinata alle sue spalle. Una voce di donna. Gli era familiare. Si voltò di scatto. Una forma sfocata davanti ai suoi occhi, che poi si ricompose nella ben nota figura adolescente di Hermione. Che sciocco era stato a non riconoscerla immediatamente!

“Herm, scusa, devo andarmene”. Si stava sforzando di mantenere una voce ferma e autoritaria. Anche se lei non avesse voluto dargli retta, lui avrebbe agito di testa sua. Come al solito dunque.

“Andare dove, così all’improvviso?” “Non ne ho la più pallida idea, basta che sia lontano da qui!”. Hermione era sbalordita. Eppure avrebbe dovuto capirlo, conosceva la sua perpetua situazione di braccato. Harry notò che, sopracciglia aggrottate e cipiglio deciso, Hermione stava per aggiungere qualcosa. “No, Herm! Per favore, non ricominciare con questa storia di venire con me! Tu e Ron neanche avreste dovuto saperlo! Questa volta questa cosa la devo affrontare da solo, capisci?” Si voltò e ricominciò a prepararsi. Chiuse le cinghie dello zaino e si girò verso Hermione. La ragazza era molto spaventata. Non si era mossa di un passo da dove si trovava prima, e lo fissava con occhi enormi.

“Ma, Harry, quale cosa?”

“Mi stai prendendo in giro, Herm? Secondo te? Ti dice qualcosa il nome Voldemort?”

La ragazza aprì appena la bocca, poi barcollò verso il letto e si sedette. Prese la mano di Harry e con voce spezzata gli chiese guardandolo negli occhi: “Harry, di che stai parlando?”

Per un istante i due si fissarono, poi Harry si divincolò. La guardò ancora una volta e girò su sè stesso, sparendo.

Hermione si prese la testa fra le mani, poi si precipitò fuori della stanza gridando: “RON!”

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Capitolo 3
*** Un esercito decimato e una lettera ***


CAPITOLO 3

CAPITOLO 3

 

UN ESERCITO DECIMATO E UNA LETTERA

 

“Ron, non aspettiamo che te.”

Il ragazzo si girò di spalle. “Adesso arrivo”.

Hermione lo vide stringere i pugni. Richiuse la porta.

Ron aprì lentamente la mano e rimase a fissare il Deluminatore chiuso in essa. Era l’unico legame con Harry rimastogli.

Guardò fuori della finestra e vide una piazzetta squallida e vuota.

Accanto a lui un quadro parlò. “Sta zitto Phineas” gli rispose brutalmente.

Ron si alzò in piedi e gettò malamente il piccolo pseudo-accendino dentro il borsone con la sua roba.

Scese le scale e prima di entrare nella stanza dove i compagni erano riuniti incrociò Krecher.

I due si guardarono. Ron lo superò.

Lo accolse il silenzio. Intorno a lui un gruppo sparuto di persone si era raccolto intorno a un tavolo.

“Datti una mossa, piccolo roscio idiota. Ti abbiamo aspettato secoli”

“Sta zitto George”

George era invecchiato. I capelli lasciati crescere per coprire il foro in corrispondenza dell’orecchio andato perduto gli davano un’aria squallida.

Ron trascinò una sedia di plastica fino alla tavola, e vi si sedette con malagrazia. Era una di quelle larghe sedie di plastica bianca, da giardino. Non le aveva mai sopportate.

Con un paio di occhiate intorno si rese conto di chi aveva risposto all’appello di Hermione.

L’esercito di Silente era tutto lì?

Ginny, ovviamente. Così pallida e nervosa. Poi George, Percy, che aveva voluto raggiungerli a tutti i costi. Neville, Luna. Dean, con quella sua aria smarrita e i suoi nuovi occhialetti da capufficio. I soliti sfigati insomma. Ron sbuffò. Cosa volevano lì? Che c’entravano loro?

Hermione era dispiaciuta. Aveva usato quel vecchio trucchetto delle monete ed ecco tutto quello che era rimasto di quel gruppo così energico e unito. Un gruppetto di persone imbarazzate e una cartolina di Cho Chang. Saluti dalla Costa Azzurra.

Se ne stava lì, tutta immusonita con le mani in grembo.

Neville tossicchiò con un fare da vecchio professore che in quegli ultimi tempi aveva imparato a fare suo.

“Ron, Hermione, perdonatemi ma non ho ancora ben chiare le dinamiche di quanto è accaduto e quindi se per...” “Oh, non parlare come se dovessi fare bella figura con qualcuno” sbottò Ron stupidamente.

Hermione lo guardò di sbieco, poi osò prendere in mano la situazione.

“Scusatemi se vi ho fatto venire qui così in fretta. Ecco... un’idea di quello che è successo dovreste avercela no?”. La giovane donna guardò implorante intorno a sè.

“Harry è scomparso” chiarì George con tono secco.

“Allora è proprio scomparso eh? Credevo che i giornali se lo fossero inventato. Forse è andato in Alaska a fare ricerche sui mandrilli nevosi. Mi sembra che..”

“Oh, Luna, ti prego, sta zitta!”. “Ron!” lo richiamò Hermione. Perchè si comportava a qual modo?

“Il fatto è che.. vedete, già prima che se ne andasse era parecchio nervoso” continuò Hermione “Per giorni si è comportato in modo strano. Poi, quella riunione col Wizengamot.. Non so cosa è successo, ma quella stessa mattina è tornato alla Tana di corsa, ha preso uno zaino e se n’è andato. E non l’abbiamo più visto! E prima di Smaterializzarsi si è messo a dire di Voldemort, di qualcosa che doveva fare, accidenti mi è sembrato di essere tornata indietro nel tempo!”

I presenti erano come gelati. Che voleva dire Voldemort?

“Che intendi esattamente affermando che era parecchio nervoso?” domandò lentamente Neville. L’amica si stava facendo prendere dall’emozione.

Hermione prese un profondo respiro e si spiegò.

“Ti ricordi Neville, quando ti ho chiesto quel permesso di qualche giorno? Harry mi aveva mandato una lettera in cui diceva...” Ron aveva rizzato la testa, improvvisamente vigile.

“Ehi, di questa cosa non ne sapevo niente, io!”

Hermione era mortificata. “E’ perchè quando sono arrivata qui la situazione è un po’ migliorata, non pensavo che servisse allarmarti”

“E perchè cazzo ha chiamato te se viviamo insieme? C’ero io con lui!”

“I-io non lo so.. mi dispia-ace..”

“Ron, per favore..” lo riprese Neville. L’uomo si calmò. Lo sconforto disarmante dei giorni precedenti aveva lasciato il posto alla rabbia.

“Cosa c’era scritto nella lettera?”

 

“Cara Hermione,

mi dispiace interromperti mentre lavori lì a scuola.

A proposito, come vanno le lezioni?

Quel primino grifondoro ha finito di scaccolarsi e attaccare caccole sotto il banco?

E ancora gli piace lanciare gomme da masticare usate con la cerbottana?

Spero che dopo l’ultima volta i tuoi capelli non si siano rovinati, ma penso che dopo la punizione che gli hai affibbiato si sia ravveduto.

Certo che gli Schiopodi Sparacoda new generation glieli potevi risparmiare,

povero ragazzo...

In ogni caso ti scrivo per un motivo ben preciso.

Volevo evitare che in futuro tu ti arrabbiassi con me.

Anche se alla Tana va tutto bene sento che c’è qualcosa che non va.

Per prima cosa, non riesco a capire la prolungata assenza di Molly e Arthur.

E Fred ancora non è tornato dal suo viaggio in Egitto.

E non è finita, purtroppo.

Temo che la casa sia sorvegliata.

Troppo spesso noto gente sospetta qui intorno,

e la cicatrice ha tornato a farmi male.

Credo che Voldemort riesca ormai a chiudermi definitivamente fuori della sua testa.

Non ho visioni da tempo.

Una volta ero io ad aver paura di lui,

ora è lui ad avere paura di me.

In ogni caso, ti scrivo soprattutto per salutarti.

Non credo che ci rivedremo presto.

Credo di sapere cosa devo fare adesso.

E un’ultima cosa: Ron è molto nervoso ultimamente.

Ieri notte nel sonno diceva il tuo nome.

Smettetela con questi giochini infantili.

Mettetevi insieme, punto.

Saluti con tanto affetto.”

 

Ron fu l’ultimo a riprendersi.

“Hermione..” la chiamò con un filo di voce.

“Ma quali giochini... noi siamo sposati.”

“E’ Molly ad essere partita per l’Egitto”

George sollevò la testa. Gli occhi avevano uno sguardo così debole. “Papà è morto l’anno scorso, e Fred...”

“E Voldemort è morto”

 

“Mi dispiace, non posso lasciare il lavoro. Vi aiuterò come posso, ma non posso allontanarmi per così tanto tempo”. Dean si era tirato indietro. Si ficcò un cappello in testa e uscì dalla stanza con gli sguardi di tutti appuntati sulle spalle.

“Io ho molto tempo libero. Posso venirci con voi, in Alaska. Del Cavillo se ne occuperanno mio figlio e Michael”

“Grazie Luna, davvero. E potrai anche scrivere un articolo sui mandrilli nevosi, pensa”

“Hermione, Ron. Mi spiace ma mi posso allontanare dalla scuola solo per brevi periodi, lo sapete. Ultimamente ho un sacco da fare e sto ricevendo pressioni e... insomma, cose da preside. Tuttavia, se vi servisse urgentemente il mio aiuto non esitate a chiamarmi. E non ti preoccupare Hermione. Troverò qualcuno con cui sostituirti per qualche tempo. Appena potrai tornare, ti riprenderai la cattedra”

“Grazie sul serio Neville. Sei un amico”

Lunatica Lovegood, direttrice della più eccentrica rivista magica, moglie del Ministro della magia e madre, si allontanò nella notte calante. Neville Paciock, energico preside un po’ melanconico, amante dei balli da sala, la seguì. Si smaterializzarono.

Hermione chiuse la porta.

George passò un braccio intorno alle spalle di Ginny e la condusse su per la scala della casa che una volta era stata di un uomo chiamato Sirius.

In quel momento si precipitò fuori da una stanza un bimbetto di otto anni circa. Il più giovane.

“Mamma, mamma, adesso ci vieni a giocare con me?”

“No, Sirius. Mi dispiace, facciamo domani d’accordo?”

Il bambino si trascinò di nuovo nella sua camera. Prima che chiudesse la porta con forza si udì un borbottio: “Uffa, non vedo l’ora che tornano Albus, Lily e Jimmy. Loro sì che sanno come si gioca, cavoli!”

 

“COME ACCIDENTI HAI POTUTO NASCONDERMI TUTTO QUESTO?”

Il grido di Ron penetrò dritto nel cuore di Hermione.

“Harry è andato fuori di testa e tu che fai? Assecondiamolo, tanto che potrà succedere? Non avevo la più pallida idea che fosse arrivato a questo punto! NO RON, E’ SOLO UN PO’ DEPRESSO! SE SE N’E’ ANDATO E’ PERCHE’ AVEVA DEI PROBLEMI TUTTI SUOI! SAI COME E’ FATTO... NON DICE MAI NULLA A NESSUNO! Ah.. e poi ero io quello che si sentiva in colpa...”

Hermione pianse. Erano anni che non le succedeva. Era come se stesse piangendo per la prima volta.

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Capitolo 4
*** Il professore e il fan dei Led Zeppelin ***


CAPITOLO 4

CAPITOLO 4

 

IL PROFESSORE E IL FAN DEI LED ZEPPELIN

 

“Prendo questa”. Il ragazzo tese il maglione alla commessa che, con la sua cicca penzolante dalle labbra rugose e lo sguardo annoiato, battè il prezzo. “7 e 90, prego”.

Il giovane frugò nella sua borsa e tirò fuori delle monete d’oro. La signora sgranò gli occhi.

“Mi dispiace, ma non ho sterline. Questi vanno bene lo stesso?”

Le porse quattro di quelle strane monete e lei si affrettò ad annuire, arraffandole in fretta.

Quando il ragazzo fu uscito dal negozio, con il suo stravagante passo saltellante, la donna tirò fuori dal calzino grigiastro 8 sterline, e le mise nella cassa. Al loro posto piazzò le luccicanti monete d’oro, sentendo con piacere il loro contatto freddo e metallico contro la pelle molle del piede vecchio.

Il ragazzo era proprio contento del suo acquisto. Non gli piacevano quei vestiti che aveva addosso. Erano così cupi e seriosi.

Entrò in un bar e chiese dov’era il bagno. “Se vuoi pisciare qui dentro, devi comprare qualcosa” gli rispose un barista distratto. Il giovane si guardò intorno, e poi prese un pacchetto di chewing-gum. Dopo aver pagato con un paio di sterline trovate accanto a un tombino, si vide far scivolare incontro sulla superficie liscia del banco il resto, insieme a un paio di chiavi infilate in un anellino arrugginito. Il barista distratto indicò con il pollice una rampa di scale che scendeva dietro un pannello di cartone. Intanto serviva ad un ometto nervoso un caffè dall’aria molto acquosa.

Il ragazzo saltellò verso le scale e si chiuse dentro il bagno. Si guardò un attimo allo specchio e per qualche strano motivo sentì una morsa allo stomaco.

Si chinò e tirò fuori dal bustone di plastica un paio di jeans stinti e giallognoli. Se li infilò sulle gambe secche e, dopo essersi sfilato la camicia, indossò il maglione nuovo. Finalmente si sentiva a suo agio.

 

Non appena quel buffo ragazzo fu scomparso dietro il pannello, l’ometto nervoso si voltò di scatto. Il cuore batteva forte. Sentì un bruciore alla mano: il caffè bollente gli si era versato sulla pelle. Accidenti a lui, al ragazzo e alla sua pelle sensibile.

“Tutto ok, professore?”. Il barista, con il suo tono strascicato, insistette, di fronte allo sguardo perso dell’uomo.

“Lo sai, professore? Sei parecchio dimagrito”

“Lo so, e tu dovresti farti gli affaracci tuoi una buona volta”

“Eh... che acido professore. Che è successo? Lo sai, professore?” continuò. “Da undici anni una volta al mese vieni a trovarci in questa bella topaia, il secondo giovedì del mese. Sono bravo a ricordarmi tutto, vero, professore? Abbiamo sempre chiacchierato tanto. Certe chiacchierate eh, professore? Eppure ancora non ho capito che accidentaccio insegni”

“Insegno a distillare pozioni magiche ai giovani maghi inglesi”

Il barista scoppiò a ridere. “Sempre con questa storia, accidenti a te professore! Mai una volta che sei serio”

Il barista, che con la sua pelle tirata dimostrava parecchi anni di meno di quelli che si vedevano negli occhi infossati sopra le occhiaie, tese una mano e prese un muffin dalla vetrinetta dei dolci. Lo schiaffò accanto alla tazzina di caffè annacquato.

“Tieni un po’ qua. Offre la casa dei topi, Horace”

 

Il ragazzo ficcò i vestiti nella busta e si diede un’ultima occhiata allo specchio. Prese una piccola gomma dalla scatolina appena comprata e cominciò a masticarla con grandi schiocchi mascellari. Si passò una mano tra i capelli e sentì che erano cresciuti parecchio. Finalmente riusciva a coprire quella strana cicatrice sulla fronte.

Risalì le scale e rientrò nel locale ombroso. Un juke-box d’altri tempi, tempi di rock e ragazze con i capelli arancioni e i vestiti a fiori, stava a prendere polvere in un angolo. Incuriosito, il ragazzo si avvicinò e scorse con gli occhi le canzoni. Soddisfatto, infilò una monetina nella fessura apposita e partì la musica. “Black dog”, dei Led Zeppelin. Roba seria, mica no.

La batteria, la chitarra. Ogni nota un modesto orgasmo uditivo.

Il barista e gli avventori lo fissarono in modo strano. In particolare uno di essi, un ometto nervoso dall’aria sciupata. Sembrava che la pelle, forse abituata a tendersi su superfici grasse e morbide, non si fosse ancora adattata alle forme spigolose delle ossa.

Quell’uomo, con pochi capelli dorati sulla testa e occhietti penetranti e intelligenti in modo del tutto originale, lo fissava ostentatamente.

A disagio, non appena la canzone terminò, il ragazzo prese la sua busta e uscì sulla strada. Sapeva che l’uomo lo aveva seguito con lo sguardo e che attraverso il vetro continuava a osservarlo. Dopo che ebbe mosso pochi passi si sentì afferrare una spalla e fu costretto a voltarsi. Ed ecco lì l’ometto nervoso.

La forza dell’uomo era del tutto inaspettata in uno con l’aria sfaldata che aveva lui.

“Tu!” gli gridò in faccia. Quel grido non era rabbioso, testimoniava solo uno stupore vicino allo shock. La presa si rilassò.

“Non sapevo ti piacesse la musica babbana di trent’anni fa”

“Babbana?”

L’uomo parve interdetto.

“Babbana, certo. Ti risulta che i Led pasticciassero con le bacchette magiche?”

“Signore, è sicuro di star bene?”

Il professore guardò il ragazzo. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e continuò a fissarlo.

Poi tese la mano e scostò i capelli dalla fronte del giovane. I suoi gesti erano molto lenti.

Rimasero così a fissarsi.

“Cos’è, uno scherzo? Non sei mica più un ragazzino. Come ti sei conciato?”

“Ma che sta dicendo? Chi è lei?”

L’uomo strizzò gli occhi come se non ci vedesse bene, poi scoppiò in una risata piena che non si sarebbe detto potesse uscire da qual petto scassato.

“Oh, Harry! Sei ancora un giocherellone! Dai, a me puoi dirlo, che stai combinando! A momenti non ti riconoscevo sai? Dì tutto al tuo vecchio professore, Harry!”

“Mi.. mi dispiace.. Non so di cosa sta parlando. Devo andare”

Corse via, senza guardare indietro.

Lumacorno lo vide sparire in mezzo ai passanti.

I capelli lunghi, un maglione a righe dai colori psichedelici, musica rock degli anni settanta...

Cosa diavolo era preso a Harry Potter?

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Capitolo 5
*** Il racconto del vecchio professore ***


CAPITOLO 5

CAPITOLO 5

 

IL RACCONTO DEL VECCHIO PROFESSORE

 

DAL DIARIO DI HERMIONE GRANGER

18 novembre

Sono stanca morta. Mi sono appena fatta la doccia e la stanchezza si è trasformata in un subdolo invito al sonno che credo proprio accetterò. In effetti sono tre giorni che non dormo. Non so nemmeno più quanti mitomani ci hanno già segnalato di aver incontrato Harry, una volta versione licantropo, un’altra vestito da scimmia. Gli auror che lo cercano, gli amici che lo cercano, i giornalisti che lo cercano. Soprattutto quel babbuino eccitato della Skeeter non si dà pace. E non posso più nemmeno giocare la carta dell’animagus non dichiarato, considerato che ormai è dichiarato eccome.

Ron è sempre più nervoso, aggressivo e lunatico, e io non ho la più pallida idea di come prenderlo. Ieri mattina è uscito alle cinque ed è tornato bagnato fradicio per la pioggia un’ora dopo, con un sacchetto pieno di ciambelle al cioccolato. Mi ha tranquillizzata e, verso le dieci, mi ha portato la colazione a letto -caffè e ciambella- e abbiamo parlato. Sembravamo due ragazzi in luna di miele. Poi ha avuto uno slancio di tenerezza e stavamo per fare l’amore quando è entrato il piccolo Sirius chiedendo se aveva il permesso di prendere una delle ciambelle in cucina. Subito dopo Ron si è chiuso in sè stesso e mi ha risposo malissimo quando ho cercato di parlargli. Mi ha insultato e mi ha dato uno schiaffo. Non l’ho più visto fino a sera. Gli ho aperto la porta e mi è quasi caduto tra le braccia, in lacrime. Non so se dispiacermi o se vergognarmi di lui. Non partecipa alle ricerche e sempre più spesso sparisce a lungo. Invece di confortare Ginny, che sta dimostrando una forza straordinaria, sta lì a lamentarsi e ad aggredire chiunque gli passi accanto. Qualche giorno fa si è picchiato con George. Un’ora dopo giocava con Sirius, ridendo con lui che lo prendeva in giro per il viso gonfio e l’occhio nero. Ginny è furiosa.

Cosa dovrei fare? Non basta che perda giornate intere a cercare Harry, sorbendomi ogni singola stupidaggine su avvistamenti impossibil

 

Hermione alzò la testa. Le era parso che qualcuno avesse suonato alla porta. Avevano installato uno di quei buffi campanelli babbani. Era stato divertente vedere Harry e Ron che con aria ottusa cercavano di attivarlo picchiettandoci sopra con le bacchette... Ecco di nuovo quel suono trillante.

Con un sospiro la donna chiuse il diario e lo ripose sul ripiano accanto al letto. Si strinse la vestaglia intorno al corpo e scese le scale lentamente, tenendo una mano sul corrimano.

Aperta la porta, si trovò di fronte un ometto biondiccio. Le era familiare.

“Horace Lumacorno!”

Aveva un’aria così deperita. Le tracce della sua antica floridezza erano nascoste nella pelle floscia. I capelli biondo paglierino gli si spargevano sulla fronte in modo disordinato. I vestiti erano, come suo solito, dall’aspetto costoso ed eccentrico, pomposo, ma erano portati con sciatteria ed incuria, e riportavano tutti i segni dell’usura.

“Signorina Granger.. Weasley, mi scusi. Sa, l’abitudine..”

La guardò sgomento. In effetti, nonostante fosse sposata ormai da anni con Ron, non aveva mai smesso di chiamarla signorina Granger. E nonostante fossero colleghi da un po’ di tempo, ormai, ancora le dava del lei.

Hermione ricambiò lo sguardo, osservando le condizioni disastrose dell’uomo che le stava di fronte.

“Horace.. mio Dio.. entra entra...”

“Grazie, signorina.. signora Weasley”

“Oh, Horace.. perchè ancora non mi concedi l’onore di darmi del tu e di chiamarmi per nome? Mi davi più confidenza quando ero una tua studentessa”

“Lo so, lo so. E’ l’abitudine..”

“Prego, siediti lì. Posso offrirti qualcosa?”

“No, no grazie. Io...”

Hermione gli si sedette di fronte, in attesa.

“Io.. da che.. che graziose pantofole”. L’uomo arrossì.

Hermione, stupita dalla curiosa affermazione, lanciò un’occhiata di sbieco prima alle vaporose calzature che portava ai piedi, e poi al professore.

“Non capisco perchè ti senti in imbarazzo”

“In effetti, cara, del caffè non mi dispiacerebbe”. Hermione sorrise.

“Te lo preparo immediatamente”

Pochi minuti dopo la donna era già di ritorno. Portava su un vassoio una tazzina di caffè e una ciambella al cioccolato.

“Hai bisogno di rimetterti in forze” disse con semplicità in risposta allo sguardo piacevolmente confuso dell’uomo.

“Cosa ti è successo? A scuola non ti vediamo dall’anno scorso. Non voglio essere invadente, ma mi ha sconvolto vederti adesso, così..”

Il tono schietto e deciso della donna rianimò l’ometto, che sembrò ritrovare un po’ del suo vecchio vigore.

“Ah, signora.. A volte i giovani non hanno la minima idea dei sentimenti di un vecchio. E talvolta persino i vecchi dimenticano di quanto possa essere complessa, variegata e luminosa la loro anima..”

Hermione lo spinse a continuare, ritrovando finalmente il buffo e pomposo modo di fare che le era noto.

Horace Lumacorno si adagiò con aria sognante sullo schienale della poltrona, portandosi affettatamente alle labbra la tazzina. I modi cordiali e disponibili della giovane professoressa lo facevano sentire a suo agio e lo incoraggiavano ad aprirsi.

“Io ero appunto uno di quei vecchi, fino a pochi mesi fa. Così preso dalle banali venalità di questa terra tentatrice. Poi avvenne qualcosa che mi cambiò profondamente, e mi indusse a pormi delle domande sulla condotta della mia vita”

L’uomo non si sarebbe fermato finchè non avesse terminato, ed Hermione era cosciente che la cosa non sarebbe stata breve. Si chiedeva il motivo della visita, ma certo non poteva interromperlo.

“Signora, lo scorso luglio io incontrai una donna... ah che donna!”

L’attenzione di Hermione si riaccese improvvisamente.

“Una strega estremamente attraente nella sua maturità, cosa che le donava un fascino caldo ed estremamente intrigante, mi creda signorina Granger.. mi scusi, Weasley. Dicevo, conobbi questa donna: Maryrose, ah dolce nome. Costei mi onorò a lungo della sua interessante compagnia. E attraverso di lei ebbi l’opportunità di conoscere una realtà che fino ad allora mi era stata sempre estranea. Riesce a indovinare quale, signorina Granger?”

“L’amore?” propose la donna, il cui romanticismo, innato nella sua natura femminile, si era fatto prepotentemente avanti.

“Amore?” domandò seccamente il professore.

“Oh no, no, signorina Granger. Nulla di così prosaico.”

Da qualche parte dentro di sè Hermione si sentì offesa.

Lumacorno si chinò in avanti, come se stesse per rivelare un segreto importantissimo.

“Io non bevo più alcool, nè mi nutro più di carne. Ho rifiutato questi volgari piaceri in nome di una spiritualità che in me si è ribellata alla mia bassa condotta. Sono entrato a far parte di un’associazione naturalista, e sto ponderando l’idea di votarmi al buddismo” affermò con orgoglio.

Poche cose avrebbero potuto sconvolgere Hermione più di questa.

“Purtroppo eh, purtroppo..”. Per pochi minuti Hermione aveva avuto davanti l’imponente figura del Lumacorno che aveva conosciuto a sedici anni. Ora davanti a lei c’era di nuovo un ometto nervoso e sfasciato.

“Purtroppo, la dolce Maryrose, la mia guida verso più nobili lidi, mi ha abbandonato. Poco prima di settembre, è sparita senza lasciarmi nulla. Non un biglietto.. non più il suo profumo e il suo volto illuminato”

Lumacorno si asciugò una lacrima.

“Mio Dio, mi dispiace Horace..”

“Già già, anche a me..”

“E’ per questo motivo che non ti sei più fatto vedere?”

“Già già”

“Oh, Horace, non avresti dovuto scomparire a questo modo. Neville naturalmente si è rifiutato di informarci dei motivi della tua assenza, ma eravamo tutti preoccupati. Runnings e Queenday ci hanno chiesto a più riprese dove tu fossi finito”

“Ah, cari, cari ragazzi”

“Dovresti tornare, Horace. E cercare di dimenticare Maryrose”

“Sì, sì, lo credo anch’io” rispose asciugandosi gli occhi con un fazzoletto portogli dalla donna.

“Adesso è meglio che vada. Temo di averle arrecato anche troppo disturbo, signora Weasley. La ringrazio per le sue parole. Mi hanno davvero rincuorato”

L’uomo era già in piedi.

“Mi fa piacere Horace. Ma, posso chiederti esattamente per quale motivo sei venuto?”

Il professore sgranò gli occhi.

“Oh, come ho potuto dimenticarlo! Ho incontrato Harry Potter”

 

EHM… ammetto che questo capitolo è un tantino strano.. se pensate che sia ridicolo, ditemelo che lo cancello immediatamente!

In ogni caso mi fa piacere che siate arrivati a leggere fino a qui… grazie e ditemi cosa pensate di questa storia. Prometto che farò di tutto per migliorarmi!

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Capitolo 6
*** La collezione è completa ***


CAPITOLO SEI

CAPITOLO SEI

 

LA COLLEZIONE E’ COMPLETA

 

Il ragazzo si spostò una ciocca di capelli dalla fronte e seguì con gli occhi la macchina che lo aveva superato. Gli faceva male la spalla per tutto il tempo che aveva passato a fare l’autostop. La schiena contorta per aver dormito sul marciapiede, l’interno delle narici umido di raffreddore, aspettava da più di un’ora che qualcuno si fermasse per dargli un passaggio. Il suo bustone di plastica giaceva accanto ai suoi piedi, rigonfio e ingombrante. Il pensiero del contenuto del bustone era estremamente gratificante, e valeva ben la pena qualche sacrificio per raggiungere il suo obiettivo. Era ben deciso e aveva ben chiaro in testa ciò che doveva fare.

A fermarsi fu un maggiolino dalla carrozzeria di un bel giallo brillante. Dentro l’abitacolo una donna si chinò in avanti e gli sorrise. “Serve un passaggio?”

Il ragazzo rilassò finalmente il braccio e si fiondò al finestrino, trascinandosi appresso il bustone. “Devo andare a Brighton” “Ah, bhè, è lì che vado. Dai che ti ci porto” rispose allegramente la donna. “Grazie!”

Presto il ragazzo si era accomodato accanto alla donna, con il bustone tra le gambe.

“A proposito, io sono Luisa”

“Piacere, Freddie”

“Come il cantante dei Queen”

“E’ vero. Lei è italiana?”

“Dammi del tu, per favore. Ebbene sì, vengo dall’Europa mediterranea”

“Oltre al nome ho riconosciuto l’accento. Conoscevo una ragazza italiana e quindi ho saputo fare il confronto”

“Ah, davvero? E come l’hai conosciuta?”

Luisa sterzò bruscamente. Aveva imbroccato una traversa sbagliata e con un’inversione quasi a U si era riportata sulla strada giusta.

“Io..”. Freddie parve leggermente dubbioso. Non si era neanche accorto dell’azzardatissima manovra.

“A un concerto”. Tacque. Luisa non insistette.

“E dimmi, che vai a fare a Brighton?”

Una pausa un po’ troppo lunga.

“A trovare mio fratello. Io.. devo portargli una cosa”

Un sorpasso incredibilmente avventato. Da qualche parte dietro di loro un clacson suonò.

“E tu, invece?”

“Niente d’interessante. Mi ero presa una piccola vacanza nel fine-settimana e adesso torno al lavoro. Lavoro in un pub. Ehi, ti dispiace se metto un po’ di musica?”

“Dipende”. Il ragazzo accennò un sorriso.

Luisa lo guardò. Gli occhi dietro i capelli lunghi e gli occhiali erano stranamente intensi. Era vestito in modo strano. Le ricordava i giovani rockettari un po’ hippy che giravano su furgoncini colorati rollando canne.. sessant’anni prima.

“I Queen ti vanno bene? Così rimaniamo in tema”

“Mi vanno benissimo” Il sorriso si estese. Intorno alla bocca Luisa notò qualche ruga sottile, appena appena visibile. Forse aveva qualche anno in più di quelli che gli aveva attribuito a tutta prima. Era alto e robusto, e il viso era arrotondato dai capelli lunghi. In effetti, poteva avere vent’anni o quaranta. Il suo sguardo.. così triste eppure innocente. Istintivamente si sentiva fiduciosa in quel.. ragazzo?.. uomo?

“Keep yourself alive”. I Queen e la loro musica. “Tieniti in vita”. Luisa pensò che quelle parole non potevano che riferirsi all’autostoppista che aveva caricato su a Londra.

“Ti va una canna?”

Il ragazzo la guardò, stupito dalla sua schiettezza. Scoppiò a ridere. Erano secoli che non fumava.

“Dai qua”

Il maggiolino giallo, rombando su note inventate sessant’anni prima, sfrecciava verso Brighton, tirandosi appresso parecchie imprecazioni di educati inglesi indignati.

Dentro di lui un’italiana e un uomo senza età, un uomo che sembrava perso nel tempo, tiravano da un paio di canne casalinghe cantando vecchie canzoni rock.

“Passami a trovare qualche volta, al Jerry’s pub.”

“Certo Luisa, a presto. E grazie”

Non l’avrebbe vista mai più.

L’eccentrica macchina, con il suo impianto stereo e il suo motore potente, del tutto fuori posto nella vecchia carcassa di ferro tirata a lucido, si allontanò zigzagando nel traffico.

Freddie si diresse a passo sicuro verso una strada nota.

Ecco lì la casa.

Con gli occhi cercò un nome sotto il citofono. Eccolo lì. Ci passò un attimo le dita, pensieroso, poi premette con forza sul bottone.

“Pronto?”

“Cerco Robert Rolling”

“Sono io, chi parla?”

Silenzio.

“Chi è?”

“C’è qui una cosa per lei”

“Salga”

Un suono ronzante e poi la serratura che scattava.

Freddie entrò nell’ascensore e premette il numero 3.

Alla porta lo attendeva un uomo alto.

Si guardarono.

“Ecco, è per lei”

“Chi lo manda? Non c’è nessuna indicazione”

“Io.. credo che lo capirà da solo”

“Devo firmare qualcosa?”

“Niente”

Freddie si allontanò.

L’uomo lo seguì con gli occhi.

Aprì il bustone.

Un groppo in gola. Non riuscì a fermare lo strano uomo che gli aveva portato lo strano dono.

Rientrò in casa. Dalla camera di suo figlio proveniva il ritmo monotono di una qualche musica house.

Aprì una porta.

Davanti a lui c’erano file e file di vecchi cd e di vinili, conservati con reverenziale sacralità.

Prese i 4 vinili contenuti nel bustone e una piccola reliquia: un pezzo di cartone macchiato con gli autografi dei Led Zeppelin.

La collezione era completa.

“Grazie Freddie”

In qualche modo miracoloso Freddie lo udì.

Chiuse gli occhi e due, esattamente due lacrime gli scesero lungo il volto.

Era in pace, adesso.

“Tu, piccolo stronzetto!”

Un uomo lo atterrò. Un uomo con i capelli rossi.

“Ron, idiota, mollami!”

“Ah, mi riconosci eh? Ma dove cazzo eri sparito?  Che cazzo pensavi di fare? CHE CAZZO TI SEI MESSO ADDOSSO? E PUZZI DI CANNA! MA TI CREDI DI ESSERE UN RAGAZZINO?”

Un pugno.

Harry si riprese e si scrollò di dosso il Weasley dalle orecchie più rosse che avesse mai visto. I passanti si fermarono a osservare i due.

“Porca puttana, ma che fai?”

Ron gli si avventò di nuovo contro. Un altro pugno.

“Che faccio io? Ma hai idea di come sta Ginny? Sei un pezzo di merda!”

“Ron, fermati!”

Harry gli afferrò i polsi e lo bloccò con le braccia dietro la schiena. Ron gli era superiore in quanto a forza, ma lì si trattava della forma della sua faccia: se avesse lasciato fare il rosso glie l’avrebbe spappolata.

Ron si calmò.

“Va bene, va bene. Lasciami.”

“Come mi hai trovato?”

Ron lo squadrò. Alla rabbia, nei suoi occhi si mescolava un grande sollievo. L’aveva trovato, finalmente.

“Il Deluminatore”

“Capisco”

“Torna a casa con me, Harry. Dobbiamo chiarire un po’ di cose”

Harry lo fissò.

No...n-no..non ancora

“No”

Si smaterializzò.

Proprio lì, sotto gli occhi dell’amico e quelli di molti, molti babbani.

“Dannazione!”

 

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Capitolo 7
*** Cose che si ricordano ***


CAPITOLO 7

CAPITOLO 7

 

COSE CHE SI RICORDANO

 

“Tu, stronzetto, sei stato tu!”

L’uomo inginocchiato ai suoi piedi non aveva nemmeno il coraggio di piangere.

“La-la prego, no-non s-so di c-cos-sa sta parla-a..” si interruppe quando sentì la lama fredda premere contro la pelle del collo.

Il suo aguzzino passò lentamente un dito sulla lama e gli mostrò il polpastrello: fu con sgomento che Andy Connor vide che era macchiato di sangue. Il suo sangue.

“Certo che non ti ricordi. Io sì invece. Perchè non mi scorderò la tua.. faccia di merda” scandì l’uomo. Andy piagnucolò e accennò a dimenarsi, conscio che non sarebbe stato sufficiente stare fermo e annuire per liberarsi da quella situazione.

“Il topo.. il topo cerca di scappare”

Il coltello balenò. Una striscia rossa di sangue apparve sulla guancia destra di Andy.

Quella mattina Andy, come al solito, si era materializzato al Paiolo magico. Si stava dirigendo al negozio di abiti in cui aveva preso il posto di Madama McClan (abiti per tutte le occasioni..) che era morta un paio d’anni prima, pace all’anima sua.

Solo che nel retro del locale c’era ad attenderlo un uomo alto dall’aria decisamente familiare, che tuttavia non gli aveva lasciato il tempo di indagare più a fondo sulla sua identità, considerato che l’aveva stordito con un incantesimo. Al suo risveglio s’era ritrovato nelle cantine del Paiolo. O Tom era in combutta con quel pazzo, oppure, più probabilmente, era sotto l’effetto di una maledizione Imperius.

“Te la ricordi questa bambina? Eh, te.. te la ricordi pezzo di merda? Non.. non si scordano le cose belle, e lei era la cosa più bella che ti.. sia mai capitata”

L’uomo, che portava calato sulla fronte un cappuccio, gli sbattè in faccia una foto sbiadita. Andy strizzò gli occhi, che gli pizzicavano per le lacrime che premevano per uscire. Una bambina con i capelli di un colore incerto tra il biondo e il castano chiaro faceva dondolare i piedini da un’altalena. Un altro bambino, un po’ più grande, sugli undici anni, era tutto intento a giocare sul pavimento grigio di un cortile... del cortile della sua casa.. e l’uomo che spingeva l’altalena era lui, era Andy Connor. In effetti, quelli erano i suoi figli. Pochi anni dopo che la foto era stata scattata, George, il più grande, era scomparso. Si era pensato che fosse stato fatto fuori da Colui-che-non-deve-essere-nominato. La bambina, la piccola Ines, lo aveva seguito un paio di mesi dopo. In seguito.. in seguito a... Andy non si preoccupò più di reprimere il pianto.

“Ah, adesso ti ricordi eh?” continuò l’uomo, mellifluo, passandogli la lama di piatto sul volto. “E’ colpa tua se la mia sorellina è morta, stronzo.. è solo.. colpa tua!” gli sputò in faccia gridando. Andy alzò lo sguardo, e frugò con gli occhi sotto l’ombra del cappuccio. L’uomo si ritrasse un pochino.

“George?” osò chiedere.

“Non cercarmi in questo volto, o non mi riconoscerai..”.

L’uomo si sfilò il cappuccio.

Di fronte a Andy stava Harry Potter.

In un primo momento Andy sobbalzò, poi cercò il figlio nello sguardo di quell’uomo dall’apparenza così compromettente. Gemette perchè riconobbe in quegli occhi un singolo attimo della sua vita, congelato e perpetuato con odio. In quegli occhi c’era un ricordo che equivaleva alla dannazione.

“UCCIDIMI!” gridò Andy aggrappandosi ai jeans di suo figlio, senza chiedersi perchè avesse l’aspetto di Harry Potter.

“UCCIDIMI ORA!”.

“No, non diventerò un assassino”

Il pianto di Andy si fece strozzato, soffocato. Forse voleva uccidersi con le sue stesse lacrime.

Avrebbe mai ottenuto l’assoluzione per quello che aveva fatto? Sarebbe mai stato in pace? Sarebbe mai passato giorno senza che il rimorso e la consapevolezza lo imbottissero di alcool?

George si chinò. “Incestuoso bastardo. Sei stato tu a uccidere la mia sorellina, tu con le tue sporche mani.  E io, che sapevo tutto, che non ho potuto fare niente per fermare quello che stavi facendo. Io che.. ero troppo piccolo”

Andy si accasciò. Vomitò, e rimase con la sua stessa faccia immersa nel suo proprio vomito.

“Io non sarò un assassino. Ma vendicherò la mia sorellina. Da quando ti ho visto.. da quando ti ho visto fare quelle schifezze non ho più avuto pace. Per me tutto è cominciato in una cantina, e tutto finirà in una cantina. E’ il posto giusto per i ratti. E’ nelle cantine che i ratti vanno a crepare. Io ti lascio qui. Chiuderò la porta a chiave. Il mio amico Tom ha ordine di non aprirla per altre nove ore, quanti sono stati i mesi in cui è durato il martirio della mia sorellina. Puoi aspettare la scadenza delle nove ore, e uscirai di qui senza un graffio. Oddio, con uno forse sì.”

George uscì.

Andy guardò il pavimento a pochi metri da lui. Il figlio gli aveva lasciato il coltello.

 

“Ron, ma dove sei stato?”

“Ho trovato Harry”

Hermione rimase bloccata sulla porta. “Posso entrare, per favore?” chiese Ron a denti stretti. Hermione si spostò senza cambiare espressione. I suoi occhi però, saettarono alla faccia malconcia del marito.

Ron si accasciò su una poltrona, e Hermione gli si accostò tamponando il suo occhio nero con una borsa del ghiaccio. “E’ fuori di testa” esordì l’uomo.

“Era vestito in un modo tutto strano, tutto colorato. Si era fumato una canna e girava per Brighton con un’espressione stramba sulla faccia. Bhè, se era fatto, neanche poi tanto strana...”

“E’ stato lui a picchiarti?”

“Sì” rispose Ron secco, senza darle ulteriori spiegazioni.

Hermione tacque, turbata.

“Ah.. e mi ha risposto dopo dieci minuti che lo chiamavo. Eppure doveva sentirmi.. E un’altra cosa... lo avevo incontrato qualche giorno fa, no? e..”

Hermione ritrasse bruscamente la mano, e la borsa del ghiaccio cadde sul parquet con un tonfo sordo.

“Non mi avevi detto niente” lo interruppe con voce stridula.

“Hermione, quella volta lui non mi ha riconosciuto. Non volevo farti preoccupare. Tutte quelle volte che sono uscito, è perchè lo andavo a cercare con il Deluminatore...”

“Avevi detto di averlo perso!”

Ron rispose prontamente. “Lo avevo nascosto. Non volevo più vederlo perchè mi ricordava cose troppo brutte, ma non avevo il coraggio di distruggerlo. Comunque te l’ho detto, se non sapevi niente di questo è perchè non volevo farti preoccupare”

“Ah, bhè, ci sei riuscito lo stesso!” gridò Hermione. Si prese la testa fra le mani.

“Mentre eri via.. è passato qui Horace”

“Horace chi?” domandò scattoso Ron, insensatamente geloso.

Hermione sbuffò. Solitamente si compiaceva della timida e impacciata gelosia con cui Ron la dichiarava sua, ma quello proprio non era il momento.

“Lumacorno. Ha incontrato Harry qualche giorno fa in un locale babbano, e da quello che mi hai detto era vestito più o meno nello stesso modo di quando lo hai visto tu. E Horace non è riuscito a farsi riconoscere. Harry diceva persino.. di non essere lui.”

“In un altro momento non ci crederei...” borbottò Ron raccogliendo la borsa del ghiaccio.

“Ho deciso” disse Hermione improvvisamente risoluta.

“Ginny.. George!” chiamò tendendo il collo verso le scale.

“Che stai facendo?” domandò Ron allarmato.

“Hai il Deluminatore no? Sarà facile ritrovarlo. Ma sarà ancora più facile prenderlo se siamo in tanti”

“Ne parli come se fosse un pazzo ricercato” mormorò Ron, turbato.

Pochi istanti dopo entrarono nella stanza un uomo e una donna dai capelli rossi, con al seguito un bambino tutto intento a scaccolarsi.

“Sirius, ti ho visto. Sai che non lo devi fare” lo riprese Ginevra.

“Scusa mammina..” borbottò il piccolo, diventando rosso in viso quanto i capelli della madre.

“Sirius, puoi lasciare i grandi da soli?” gli si rivolse George, dopo aver dato un’occhiata all’espressione contrita ma energica di Hermione.

“So come raggiungere Harry. Ron in realtà non aveva mai perso il Deluminatore e se ne è servito nei giorni scorsi per cercarlo. La cosa si è fatta urgente. Io esco immediatamente. Voi cosa pensate di fare? Venite con me?”

Ginny era impallidita. Il fratello rivolse uno sguardo ardente a Ron, e dopo un attimo di immobilità si avventò su di lui, rovesciando la poltrona.

“Sei un emerito idiota! Quando pensavi di dirci che potevamo trovare Harry in qualsiasi momento?”

Non lo prese a pugni. Non lo picchiò. Ma lo fissò in un modo che quasi lo fece piangere di vergogna e frustrazione.

“Allora andiamo o no?”

Del tutto indifferenti alla scena le due donne si erano già messe il cappotto.

Ron accese il Deluminatore. Tutti si tenevano per mano. Un attimo dopo la stanza era vuota.

“Mamma, mamma! Mi posso preparare la cioccola..” la voce di Sirius si smorzò quando si accorse che era solo in casa. Solo-in-casa...

Nessun grande a tenerlo d’occhio. Tanta cioccolata a sua disposizione senza che nessuno potesse beccarlo a mangiare Nutella di nascosto.

Trottò tutto contento in cucina, dove mise un pentolino con il latte sul fuoco. I fornelli erano un po’ troppo in alto per lui, ma non era questo gran problema.

Si arrampicò sulla credenza e afferrò la scatolina con la polvere di cacao. Ne versò tutto il contenuto nel pentolino e mescolò lentamente il latte, aspirandone soddisfatto le volute di vapore profumate.

Gli sembrò che la cioccolata fosse pronta e afferrò il manico del pentolino. Senza presina. Con un ululato di dolore per la scottatura si gettò all’indietro e la sedia su cui si era inerpicato si rovesciò, e lui cadde con lei. Si trascinò appreso il pentolino e tutto il contenuto bollente gli si riversò addosso.

Sirius gridò. Sentì un rumore alle sue spalle ma non se ne curò, occupato a piangere di dolore com’era.

Un’ombra bianca calò su di lui.

Sta calmo.

Calmo? Come calmo? Faceva male! MALE!

Poi il dolore improvvisamente sparì.

Il bambino rimase a sospirare sul pavimento, godendosi il contatto freddo delle piastrelle.

Aprì gli occhi e vide sopra di sè una specie di fantasma.

La prima volta che aveva visto un fantasma era stato quando insieme alla mamma e al papà era andato a trovare zia Hermione e zio Neville alla scuola dove lavoravano, e dove lui sarebbe andato settembre prossimo.

“Mi hai curato tu?”

Credo di sì. Rispose lo strano fantasma. Sembrava estremamente sorpreso e lo fissava in modo strano, senza però mettergli paura.

Sirius si tirò su. In effetti quel fantasma era proprio strano. Non era una forma trasparente e impalpabile. Piuttosto sembrava un uomo nascosto da una lastra di vetro un po’ sporca e non proprio liscia.

Aveva i capelli lunghi e la faccia simpatica.

“Chi sei?” chiese il bambino in totale innocenza.

L’uomo non rispose.

“Come hai fatto a farmi passare la scottatura? I fantasmi non si possono toccare. Lo so perchè una volta ci ho provato”

Non so bene fu la risposta è come se avessi ricordato qualcosa.

“Dai, dimmi chi sei.”

L’uomo tacque e indagò sul viso del bambino. Poi sorrise.

Tu sei figlio di Ginny e Harry, vero?

“Sì!” rispose entusiasta il piccolo. “Conosci la mia mamma e il mio papà?”

Ero un loro amico. Dove sono ora?

Il bambino fece spallucce. “Papà è in viaggio, tipo. E’ partito parecchio tempo fa. Mamma è uscita da poco”

L’uomo dai capelli lunghi si sedette a fianco del bambino. Stavano tutti e due a gambe incrociate. Si guardavano.

Allora aspetterò con te che ritornino, va bene?

Sirius annuì.

Dimmi un po’, come ti chiami?

“Sirius”

L’uomo sobbalzò. L’espressione stupita lasciò il posto ad uno sguardo opaco e dolce. Strane lacrime brillanti e simili a vapore presero a scendergli giù lungo gli zigomi.

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Capitolo 8
*** Silenzio tutti ***


CAPITOLO 8

CAPITOLO 8

 

SILENZIO TUTTI.

 

Dalla “gazzetta del profeta” del 15 dicembre:

..Pare, inoltre, che sia Harry Potter il responsabile della morte del babbano Samuel Baggin avvenuta ormai due mesi fa, nei pressi del Ministero della magia. Quel giorno Potter avrebbe dovuto presentarsi di fronte al Wizengamot per un’udienza, ma non fu più visto. Testimonianze attendibili riferiscono di averlo visto gridare e gesticolare in un bar babbano, e scagliare incantesimi pericolosi e maledizioni senza perdono a destra e a manca, inveendo contro individui visibili solo a lui..  Il mistero della sua scomparsa è ancora aperto. I conoscenti intimi si rifiutano di esporre opinioni al riguardo, fomentando sospetti su implicazioni con la questione degli Elfi liberi. E’ ben noto infatti come Harry Potter non sia nuovo a contatti di questo tipo. Approfondirò l’argomento nell’articolo a pagina 5, dove presento un’intervista al leader del movimento di liberazione degli elfi domestici: Jumm, recentemente registratosi all’anagrafe magica sotto il nome di Jumm Garfield. In ogni caso, il mondo magico è in subbuglio per la prolungata assenza del noto mago, che..

Rita Skeeter

 

Dalla “gazzetta del profeta” del 17 dicembre:

E’ stato rinvenuto ieri notte un cadavere nella cantina del Paiolo magico. Il proprietario e gestore afferma di non saperne nulla. L’uomo si chiamava Andy Connor, e si è suicidato dopo aver scritto sul muro col proprio sangue la frase “Scusami Ines. Grazie George di essere tornato”. Gli esperti stanno ancora indagando sul caso. Andy lavorava...

 

Il 23 dicembre. Ore 23:00. Londra era addobbata di rosso e di verde. Con le sue luci cercava di competere con le stelle in alto sopra di lei. E ci riusciva. Le insegne dei negozi ammiccavano ai passanti imbacuccati in pellicciotti ecologici. Le vetrinette risuonavano di musichette basse, provenienti da piccole radio incastrate su alti scaffali. L’atmosfera era.. come dire? Trepidante. Nella sua frenesia la gente aspettava.

L’uomo si era infilato in un anonimo cappotto grigio scuro. Teneva le spalle strette e le mani in tasca, nel tentativo di crearsi un’illusione di calore. Camminava in mezzo a decine di altre persone cariche di pacchi. Le percepiva a stento. Aveva un’altra occasione, un’occasione per fare qualcosa che avrebbe dovuto fare molto tempo prima, se solo non gli fosse stato impedito.. Chissà se ancora avrebbe trovato il ricordo di sè, chissà se aveva ancora diritto a mescolarsi a questa vita così inconsapevole di sè stessa.

L’uomo camminava. Si fermò di fronte a un negozio di dolciumi. Era gremito di ragazzi, bambini e giovani donne che si accalcavano per accaparrarsi i pezzi più zuccherosi e sfiziosi. Anche l’uomo entrò. Uscì dal negozio con un sacchetto di carta bianco, con stampato sopra il marchio dell’esercizio. Era cambiata la direzione, e anche il nome del posto. Certo, in tutto quel tempo.. Ricominciò a camminare, tenendo stretto il sacchetto.

Era vivo. Era vivo? Aveva forse il diritto di esserlo? Una lacrima gli scivolò oltre le ciglia. La sfiorò stupito. Piangeva. Solo ai vivi è concesso piangere.

Sentiva sul cuore una pesantezza formicolante. Sentiva il cuore. Solo i vivi hanno un cuore.

Annusò l’aria e si beò del suo odore di cemento e ghiaccio.

Una pista di pattinaggio. Rumore frizzante di pattini che scivolano sul ghiaccio.

L’uomo la superò e camminò fino a un palazzo.

Cercò il nome sul citofono e pigiò il pulsante. Never. Rispose una voce di donna.

“Sei.. sei Minnie?”

“Cerchi Minnie Never?”

“Sì! SI! Cerco lei..” rispose l’uomo troppo in fretta. La donna all’altro capo del filo si mosse inquieta. Il suo uomo la attendeva in camera da letto. Il vino bianco nel suo bicchiere rischiò di traboccare. “Culetto mio, torna a letto!” si sentì chiamare. E come, se lo desiderava, di tornare a letto!

“Chi è lei?” chiese al misterioso uomo che veniva a citofonare alla casa dei suoi genitori due giorni prima di Natale. Con la coda dell’occhio vide le luci rosse che brillavano intermittenti nascoste come lucciole sull’albero in soggiorno.

“Cerco Minnie”

“Questo l’ho capito, ma lei chi è?” insistette spazientita.

“Un vecchio amico. Io.. mi chiamo Michael”

Ann ci pensò su. “Ann, ma chi è?” la interruppe un po’ bruscamente il suo uomo dal letto. Lo sentì alzarsi e venirle alle spalle. A stento trattenne un sospiro quando sentì il contatto dei loro corpi nudi quando la abbracciò.

“Vieni con me. Chi è al citofono?”

“Michael chi?” continuò imperterrita Ann, sentendo come Mark le passava delicatamente i palmi aperti lungo i fianchi nudi e tesi.

“Michael Barry”

Ma quel tizio non era morto? Sapeva che sua madre aveva un amico con quel nome, quando era giovane. Ma non era stato ucciso da Colui-che-non-deve.. accidenti.. da Voldemort?

“Michael Barry...” mormorò Ann contro la cornetta.

Spesso aveva visto le sue foto tra gli oggetti a cui sua madre teneva di più. Era stato un bel ragazzo. Eppure lei era certa che fosse morto..

“Minnie Never era mia madre. E’ morta” informò duramente quel presunto Michael.

Nessun suono, se non una sorta di ansimare angoscioso.

“Signor Barry?”

Nessun suono.

Riappese la cornetta.

“Ma Michael Barry non era quell’amico di tua madre che era morto per salvarla dai mangiamorte?”

“Sì”

Si baciarono. A lungo e profondamente, tanto che quasi potevano respirare l’uno dalla gola dell’altro.

Ann posò la fronte sul petto di Mark, intrecciando le sue dita con quelle di lui e carezzandole lentamente.

“Sarà stato il suo fantasma che è venuto a cercare quello di mia madre”

Lui le carezzò i capelli passandoci in mezzo le dita.

“Ann?”

“Sì?”

Lei lo guardò, godendo delle ombre mobili che si spostavano sul viso di lui.

“Andiamo a fare l’amore”

 

Michael si inginocchiò di fronte alla lapide. Scostò la patina di gelo che offuscava il vetro sopra la foto. Quello nella piccola foto rotonda era il volto di Minnie Never. Quel volto era quello di una donna sulla trentina. A testimoniare la sua trascorsa esistenza erano rimasti quella piccola foto rotonda e un’epigrafe intagliata superficialmente:

Silenzio tutti. Gli elfi esistono.

Una piccola foto e una frase in mezzo ad altre centinaia di piccole foto. E non c’era nessuno a guardare quelle foto se non lui. Quello non era un cimitero di uomini, ma di immagini.

Era triste: adesso che lui poteva dire di essere vivo lei era morta. Allora non era vero che di là si incontrano tutti coloro che si è persi. O forse basterebbe sapere di dover cercare. E volerlo, magari.

Posò il sacchetto con i cioccolatini sulla lastra di marmo che chiudeva la dolce Minnie sotto terra.

“Sono i tuoi preferiti. Quelli rotondi, con la crema alla noce dentro. Credevo che li avremmo mangiati insieme, ma data la situazione credo che li lascerò tutti a te. Non ho una gran fame.”

Michael tirò fuori da una tasca interna del cappotto un tascabile dalla copertina blu con una scritta rossa.

“Lo stavamo leggendo quando sono arrivati, Minnie. Mi dispiace di aver dovuto interrompere la lettura, quella volta. Poi purtroppo non ho potuto ricominciare. Eravamo arrivati a che la signorina con i capelli blu decide di regalare un bacio al signore dei cammelli, no?”

Sì, eravamo arrivati lì. Finisci di leggermi la storia, Michael. Nessuno ci disturberà la lettura stavolta.

 

Michael chiuse il libro e lo posò acanto al sacchetto. “Qui ho finito, Minnie”

Si alzò e si avviò. Si fermò in un vicolo. Semplicemente per respirare. Aveva finito.

Quattro persone si materializzarono accanto a lui. Sfoderò istintivamente la bacchetta.

“Harry!” gridò una donna dai capelli crespi, e gli si avventò contro. Un’altra donna si aggrappò al maglione dell’uomo che le era accanto.

Michael tese la mano, per fermare l’impeto di quella donna riccia.

Poco più in là, sotto la luce di un lampione, un uomo dai capelli rossi lo osservava livido.

“Aspetta un attimo”

Era giusto un attimo quello che gli rimaneva.

“Harry..” lo chiamò la donna, sul vertiginoso bilico del pianto.

“Non sono Harry, non ancora”

Michael ispirò a fondo l’aria fredda. Aprì le mani e lasciò che l’aria si facesse prendere dalle dita. Mosse piano le dita e godè della sensazione di percepire distintamente vita dentro di sè.

“Adesso” mormorò. Chiuse gli occhi e sospirò.

Grazie.

Di nulla Michael. Ora puoi andare, e io posso tornare...

“Harry!” lo chiamò Hermione stridulamente.

L’uomo rilassò le sue membra. Non represse un brivido. Aveva freddo. Voleva dire che era vivo. Sorrise.

“Sono io”

Aprì le braccia, e Hermione gli gettò le braccia al collo, tutta la collera dimenticata.

Ginny gli si avvicinò. Gli toccò il viso. Ron e George rimanevano in silenzio.

“Andiamo a casa?” chiese Ginny seria.

“Andiamo pure” rispose calmo Harry.

 

 

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Capitolo 9
*** Morti viventi ***


CAPITOLO 9

CAPITOLO 9

 

MORTI VIVENTI

 

Buio. L’unica luce permeava attraverso i vetri delle finestre: era luce che veniva dalle stelle.

Non un passo, non un respiro. Solo tic-tac, le lancette dell’orologio mandavano schiocchi distinti nel silenzio. Che fosse dovuto all’ora tarda? Che tutti stessero dormendo? No, la casa era vuota. L’unica presenza era quella del fantasma domestico che, forse invecchiato pure lui, batteva deboli colpi sui tubi, intervallati da lunghe pause di pace.

Girovagò per quella che una volta era stata casa sua.

Alcuni pensavano che anime particolarmente inquiete dopo la morte fossero legate a uno specifico luogo. In un certo senso, quel determinato luogo le avrebbe possedute. Lui non aveva mai creduto a quella roba. E ne aveva avuto conferma. Ma allora perchè si trovava lì?

Decisamente non si sentiva un fantasma. Dopotutto, lui era andato avanti. E poi aveva una decisa sensibilità del mondo esterno, e in parte riusciva anche a entrarci in contatto. Un fantasma non ne ha la possibilità. Un fantasma esiste. Punto. E se non ci sono esseri viventi a percepirlo perde lentamente nitidezza fino a scomparire. Che buffo, che sapesse quelle cose! In ogni caso era certo di non essere un fantasma. Comunque non era neppure vivo. Che accidenti ci stava a fare lì?

Chissà perchè non c’era nessuno... Andò in cucina e scrutò attraverso la luce scarsa per vedere sul magicalendario che giorno fosse. Il 24 dicembre. Magari erano tutti andati a qualche festa di Natale. Poco male. Avrebbe aspettato. Uno dei vantaggi di essere morti è quello di non avere mai fretta.

 

Con un grugnito si afferrò la gamba rigida e la sollevò, abbandonandola poi sulla robusta sedia di legno. Si grattò il grosso naso schiacciato e represse con testardaggine un smorfia di dolore. Accidentaccio a quella gamba, dopo tutti quegli anni ancora così incriccata! Ma dopotutto, l’età.. La vecchiaia era arrivata anche per lui, dopotutto.

La casa era fredda. O meglio, la stanza era fredda. L’abitazione non comprendeva altri locali oltre a quell’ambiente circolare e non molto largo. Il fuoco non bastava più a riscaldare le sue grandi ossa.

Sul tavolo i resti di una cena affrettata e decisamente poco raffinata. Un osso da cui aveva rosicchiato via tutta la carne era abbandonato sul piatto. Sprecarlo così.. ma non aveva più un cane a cui dare gli avanzi. In effetti, era solo.

Forse, se si fosse buttato sul letto... con un paio delle sue coperte patchwork addosso... l’idea era proprio invitante.

Con uno sforzo sovrumano (come la sua taglia, d’altronde) si alzò in piedi e si trascinò fino al letto. Una volta aveva provato a usare una stampella, ma si era rotta sotto il suo peso. Per l’imbarazzo, aveva rifiutato l’offerta che gliene fosse costruita una più resistente. Non poteva accettare di essersi ridotto in quello stato, lui che una volta, neanche troppo tempo prima gli pareva, acchiappava gli unicorni, cavalcava i testral e domava gli ippogrifi. Lui che era stato capace di tener testa a dei centauri! Una stampella!

Si lasciò cadere sul materasso ormai sfondato. Non si era nemmeno preoccupato di sostituirlo.

Si sentiva solo. La sua donna era in Francia, e non c’era nemmeno un cane a tenergli compagnia.

Qualcuno bussò.

Dalla gola gli uscì una specie di ringhio. Quell’imbecille di apprendista non riusciva ad entrare da solo? E poi che voleva a quell’ora?

Bussò di nuovo. Il tocco era leggero e pacato, se pacato si poteva definire quel bussare seccante.

“Chi è? Sei tu, Josh?”

Di nuovo. Bussò di nuovo. Con un tocco leggermente più affrettato. Come se chiunque fosse potesse permettersi di essere impaziente!

Hagrid, prima di raccogliere nelle braccia abbastanza forza per tirarsi su, diede un’occhiata alle finestre di Hogwarts. Tutte illuminate. Era Natale. Giù dal pendio rotolavano voci e risate. Sicuramente nella Sala grande era imbandito un pasto pantagruelico (ma dove l’aveva sentita quella parola?), e gli alberi brillavano. I fantasmi passavano attraverso i muri, divertendo i primini, e Pix faceva dispetti. Ma poco importava. Tanto lui non festeggiava da allora...

L’importuno bussò nuovamente. Da quando era invecchiato gli era diventato facile perdersi nei pensieri. Ora che non occupava più il suo tempo a rincorrere animali selvatici aveva più tempo. Per pensare, ma soprattutto per ricordare.

Si toccò la barba. Era grigia. Una volta aveva conosciuto una persona che in vecchiaia aveva una bella barba bianca, non grigia come la sua. E finchè non lo aveva visto accasciato ai piedi di una torre, quella persona, barba bianca e tutto, era stata in grado di fare molto più che acchiappare unicorni e seguire tracce nel bosco.

Appunto, ricordare...

La persona fuori della porta bussò ancora, e ancora. Poi si interruppe.

“Arrivo, arrivo!” grugnì Hagrid. Che fosse un qualche rompiscatole della scuola venuto a invitarlo alla festa?

Aprì la porta.

In un primo momento non riuscì a distinguere bene la persona che aveva davanti.

“Buon Natale, Hagrid”

Il mezzogigante fissava sbalordito il suo visitatore.

“Non vorrai lasciarmi qui fuori spero. Nelle mie condizioni non temo nè il freddo nè il buio, ma non mi sembra molto educato da parte tua”

Hagrid scoppiò a piangere.

Un sorriso si allungò sotto gli scintillanti occhiali a mezzaluna del visitatore, dentro una lunga barba setosa. Una barba bianca.

 

Il bambino, sentendo suonare alla porta, corse ad aprire. Il fantasma strano gli faceva compagnia, ma cominciava a sentire la mancanza della mamma e degli zii.

Si trovò di fronte la zia Luna. “Ciao zia Luna!”

“Ciao Sirius. La mamma è uscita vero? Mi ha chiesto se posso badare a te mentre lei è via”

“E perchè non torna lei allora?” domandò innervosito.

“Perchè ha da fare una cosa importante”

“Ok” borbottò il piccolo, e si allontanò in corridoio senza aspettare che la donna lo seguisse.

Luna chiuse la porta, poi si girò di scatto. Le era sembrato di sentire delle voci.

Non aveva perso la vacuità sognante che la caratterizzava, ma da quando era madre, per quanto riguardava i bambini, era attentissima.

Che fosse entrato qualcuno in casa?

Il bambino chiacchierava vivace e allegro, non sembrava avere paura. Gli rispose la voce di un uomo. Una voce familiare. Luna si avvicinò alla porta della cucina e la spalancò, per poi paralizzarsi alla vista del fantasma. Cioè, non che somigliasse più di tanto a un fantasma... Ma sì! Aveva sentito parlare di quelle bizzarre creature, ma non le aveva mai viste. I ritornanti. Non erano pericolosi, per fortuna, per quel che ne sapeva lei. Si trattava di creature indefinite particolarmente sensibili, che a volte potevano assumere la forma di morti. C’era naturalmente ancora il dubbio se i ritornanti fossero una forma di possessione, o di incarnazione del ricordo, o..

“Luna Lovegood!” l’uomo interruppe le sue riflessioni.

“Proprio io”

“Vi conoscete?” chiese il bambino, entusiasta. Quel tizio gli era proprio simpatico, e aveva avuto paura che la zia si arrabbiasse con lui perchè aveva parlato con uno sconosciuto...

Poi la donna ricordò nettamente. Certo, che conosceva quell’uomo.

Il bambino le salterellò incontro, sotto lo sguardo intenerito dell’uomo.

“Zia, si chiama come me! Che forza, eh?”

 

Le prese la mano con la consueta delicatezza. Lei gliela strinse di rimando. Lui le toccò i capelli, tagliati in un caschetto morbido che le sfiorava appena le spalle. Sotto il suo tocco quei capelli che profumavano a volte di mandorla, a volte di fragole, a volte di latte e miele, virarono verso una tonalità leggera di rosso. Lei passò le dita sui lineamenti dell’uomo. Le tremò la mano, a contatto con la barba appena accennata. E quello sguardo fisso su di lei, quei capelli un po’ lunghi, dal colore controverso...

“Siamo qui” riuscì a mormorare lui, la voce spezzata per il terrore di infrangere una qualche muta regola. Lei gli posò un bacio vicino alla bocca, le labbra di lui tremarono.

“Guarda, lui è là”

L’uomo seguì con lo sguardo la direzione in cui indicava la donna, e vide un giovane uomo seduto su una panchina. Aveva accanto una donna, e mentre le parlava giocherellava con i suoi capelli. Il giovane tirò fuori una bacchetta e fece apparire dal nulla una serie di scintille che per un istante si inseguirono sull’acqua del lago, per poi sollevarsi in cielo e ricadere sulla coppia nella forma di decine di petali. I due si scambiarono un lento bacio, mentre i petali coprivano le loro spalle e i loro capelli.

L’uomo e la donna si guardarono, inteneriti, in disparte. L’uomo asciugò delle lacrime dagli occhi di lei. Erano così scintillanti..

La donna sorrise. Indicò il cielo notturno. Tra tante stelle spiccava la forma perfettamente tondeggiante della luna, bianca e.. piena.

Fu il turno dell’uomo, di piangere.

“Non potevo guardare una luna piena da quando ero bambino”

“Adesso la puoi guardare, e puoi farlo insieme a me”

L’uomo la strinse ancora di più a sè, senza essere capace di distogliere lo sguardo da quella forma che si stagliava luminosa.

“E può farlo anche Teddy”

“Sì” sussurrò la donna, che gli posò la fronte sul petto.

L’uomo per la prima volta si accorse di quanto una luna piena potesse essere.. bella.

 

Le veela parlottavano tra loro, intervallando a tratti le chiacchiere a risatine dolci. Erano così belle... I loro capelli argentei sembravano fluttuare intorno ai loro visi ovali, le loro mani così delicate.. Si decise. “Buonasera ragazze..” si avvicinò loro tentando di irretirle con voce suadente. Le donne lo videro. Gridarono e fuggirono, spaventate.

“Ma chi cavolo era quello?” si domandarono quando si fermarono lontano, ansanti.

Intanto il ragazzo era rimasto impalato di fronte al bar. Si diede una manata sulla fronte. “Stupido Stan! Stupido Stan!” si rimproverò.

Stan Picchetto si allontanò. Poco dopo davanti a lui si fermò un enorme autobus viola. Il Nottetempo. Una strega tarchiata salì i gradini mobili. Un bigliettaio attaccò la solita tiritera. Era un ragazzo normale. Capelli neri, sguardo annoiato. Eppure gli stava antipatico. Come si permetteva? Aveva preso il posto di Stan Picchetto. Aveva preso il suo posto! Stan si allontanò calciando un sasso. 

 

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Capitolo 10
*** Riscatto d'amore ***


CAPITOLO 10

CAPITOLO 10

 

RISCATTO D’AMORE

 

Ron non gli staccò mai gli occhi di dosso. Persino durante la materializzazione al numero 12 di Grimmauld Place Harry aveva l’impressione di avere lo sguardo dell’amico appuntato addosso. Quando si ritrovarono sugli scalini della casa Harry si avvide che in quegli occhi all’apatia era mescolato un imbarazzo inquieto. Hermione suonò il campanello. Luna doveva essere lì, dato che le aveva inviato un gufo. Harry guardò Ginny. Smaniava di abbracciarla, ma qualcosa nello sguardo che gli lanciò George lo trattenne. La donna si teneva stretta al fratello più grande, che la teneva vicina a sè con un braccio intorno alle spalle. In pochi secondi la porta si aprì. Luna aveva un sorriso strano a contrarle le labbra chiare. Era sporca di farina e aveva una macchia scura sul grembiule.

“Bentornati. Ciao Harry”

“Ciao Luna”. L’uomo si accorse con sgomento che la voce gli usciva a stento dalla gola. Da quando era tornato in sè era rimasto avvolto in un leggero ma piacevole stordimento. Tracce di sentimento gli veleggiavano intorno lasciategli in eredità da Michael Barry. E ovviamente, gli rimaneva il ricordo dei momenti che Michael, innamorato di una donna morta, aveva vissuto in lui. Ricordava anche Freddie Rolling, George Connor e altri, tutti gli altri. Erano ricordi che a suo tempo avrebbe rimosso. Non erano suoi e poi.. facevano troppo male.

Però in quel momento la vacuità che per qualche tempo lo intontiva dopo che tornava in sè, stava lentamente svanendo. E al suo posto il cuore si andava gonfiando di ansia. Ginny.. povera Ginny...

“Zia, è tornata mamma?”

Sirius si era fiondato nel corridoio e infilandosi nello spazio tra lo stipite e le gambe di Luna era riuscito ad uscire sugli scalini.

“Mamma, papà!”

Harry si inginocchiò e lo abbracciò. Erano due mesi che non vedeva il suo piccolo. L’unico suo figlio che ancora poteva dire profondamente suo. L’unico che ancora non appartenesse agli amici, all’amore e al mondo. Non lo aveva mai abbandonato, anche se forse il bambino lo aveva creduto..

 

Qualcuno aveva suonato alla porta. Che seccatura, avrebbe dovuto nascondersi. Chiunque fosse si sarebbe senz’altro stupito della presenza di un uomo morto più di vent’anni prima.

Visitatori rompiballe. Luna andò ad aprire. Quando Sirius senior riconobbe le voci all’esterno, dal corridoio, pensò che se avesse avuto un cuore gli si sarebbe spezzato in due. Se un fantasma avesse avuto un cuore... perchè a quanto pareva lui era una specie di fantasma.

Hermione.. Harry.

Il piccolo Sirius junior era già corso incontro ai nuovi arrivati, ma lui non aveva il coraggio di presentarglisi davanti con una scadente entrata a effetto. Non aveva ancora recuperato la forza per restaurare la sua personalità energica e ironica. Avrebbe aspettato che fossero loro a venire incontro a lui.

 

“Lo sai papà? Io e zia Luna abbiamo preparato una bellissima torta al cioccolato! Adesso sta in forno, ma fra poco la tiriamo fuori, ok? E poi la mangiamo tutti insieme!”

“Certo Sirius”

Harry, che teneva in braccio il bambino, gli asciugò una macchiolina di cioccolata all’angolo della bocca e una sulla fronte.

Lui e Sirius camminavano davanti agli altri. Dietro di loro Luna, che si comportava in modo stranamente trepidante, e affianco a lei Hermione. Ginny ancora si aggrappava a George. Era molto pallida. Infine, dietro di loro, Ron si trascinava a una certa distanza con un’espressione da moccioso capriccioso.

“Papà, c’è una sorpresa per te!” gli sussurrò esultante Sirius all’orecchio quando Harry stava per abbassare la maniglia della cucina. “Un’altra oltre alla torta?”

“Harry..” Luna gli aveva posato una mano sulla spalla. Lui si voltò. “Entra da solo”

Gli altri guardarono la donna, che sorrise svampita, ma dolce. “Che cosa c’è Luna?”

Harry improvvisamente si sentiva recalcitrante ad entrare. Luna era troppo seria perchè la cosa fosse normale. Che cosa lo aspettava nella sua cucina?

“Luna, che c’è in cucina?”

La donna scosse la testa. “E’ meglio se Harry entra da solo, secondo me. Fidatevi, no?”

Il gruppetto la osservava in silenzio. Ron fece per entrare lui, impaziente e nervoso, ma Harry lo trattenne e lui si scrollò della sua presa ritraendosi poi in un angolo. Ginny lo guardò con astio. Hermione lo guardò dispiaciuta. George non lo guardò proprio.

“Va bene, adesso entro. Ma se è uno dei tuoi scherzi Sirius..” si rivolse con tono ammonitore al bambino, e quello scrollò convinto la testa, negando.

Harry abbassò la maniglia e spinse la porta contro il muro.

Si aspettava qualcosa come un secchio d’acqua in testa. Non ricevette nessuna doccia fredda a sorpresa, non nel senso letterale del termine, almeno.

Richiuse la porta dietro di sè, tagliando gli altri fuori da quel momento.

Tutte le persone che aveva ospitato dentro di sè in qualche modo erano tornate a contatto con la vita per riscattarsi con la stessa. Adesso era il suo turno. Il suo. Il turno di Harry Potter... e di Sirius Black.

 

L’uomo era seduto presso il tavolo, ad attenderlo. Aveva il suo solito sorriso storto un po’ amareggiato.

Cos’era? Una produzione della sua immaginazione? Un fantasma?

Appoggiandosi al muro, Harry, annaspante, si avvicinò a quella forma dai contorni vaghi. Somigliava a un ricordo di quelli che Silente faceva apparire dal pensatoio senza doverci necessariamente entrare dentro.

Harry aveva paura che al toccare quell’immagine, essa si sarebbe liquefatta, o magari dispersa in cristalli d’aria.

Il simulacro di Sirius non parlava. Sorrideva il suo sorriso, e basta. Forse non poteva, forse non riusciva a parlare. Proprio come Harry.

L’uomo si staccò dalla parete e si passò inconsciamente una mano sulla fronte, dove ancora portava il segno di quando tutto era cominciato.

Si avvicinò alla forma seduta in casa sua, a quella specie di fantasma anomalo che aveva avuto l’arroganza di presentarsi a lui per cospargergli mente e cuore di un dolore che aveva fatto di tutto per allontanare da sè. Il dolore per la scomparsa di Sirius. Il dolore per la delusione di quando aveva scoperto che lo specchio non lo avrebbe riportato da lui. Il dolore per non avergli mai dimostrato davvero quanto lo amava. Il dolore per non essersi mai reso conto di quanto lo amasse. Poche erano le persone che in vita sua aveva amato in modo così struggente: Ron e Hermione erano stati i primi. Poi erano venuti Hagrid e Silente e i Weasley. C’era Ginny, c’erano i suoi figli. E soprattutto c’era quell’uomo, comparso con terrore e andatosene per un atto d’amore. Sirius. Sirius, che lo aveva incontrato mentre era divorato dal desiderio di vendetta, e che era morto riscattando tutto quell’odio con un atto di amore supremo. Il sacrificio.

Harry gli era di fronte.

Sirius gli prese la mano.

Riconobbe quella mano ruvida e solida.

Harry lo fissò.

“Sei tu”

Le gambe non lo ressero più. Harry gridò. Non per l’urto con il pavimento. Quello era un grido catartico. Gridava fuori tutto il dolore. Il dolore non lo avrebbe mai più tormentato.

Fuori in corridoio qualcuno picchiava sulla porta. Poi il silenzio, e le voci che si alzavano e qualcuno che scoppiava a piangere.

Harry e Sirius non udirono nulla di tutto questo. Erano troppo occupati a piangere loro stessi per loro stessi, per preoccuparsi delle lacrime degli altri.

Harry aveva poggiato la fronte sulle gambe di Sirius. Sirius gli aveva posato le mani sulla testa. Piangevano. Si donavano a vicenda le loro lacrime.

 

“Mamma, mamma! Papà sta piangendo!”. Sirius junior era spaventato. Ginny, che non aveva conosciuto davvero quell’uomo che suo marito aveva tanto amato, sentiva che non era a lei che apparteneva quel momento. Si chinò e abbracciò suo figlio. Poi, rialzatasi, lo prese per mano e fece un cenno a George e Luna. I quattro si avviarono su per le scale, lasciando intimità alle persone che si erano ritrovate oltre la morte.

Ron e Hermione si abbracciavano, aspettando il momento di entrare. Hermione piangeva. Ron tremava.

“Forse dovremmo andarcene anche noi” mormorò Hermione, che dopo lo shock iniziale seguito alle spiegazioni confuse e fantasiose di Luna stava cominciando a sentirsi una specie di guardona. “Io voglio vederlo. Voglio vedere se è vero” “Dopo. Lo vedremo dopo”. Si allontanarono anche loro. Ma sul pianerottolo sopra le scale Ron si fermò. “Cosa c’è?” domandò sua moglie, allarmata dagli occhi sgranati dell’uomo. Ron si precipitò in camera e afferrò Ginny e George e, tenendo ancora stretta Hermione, si smaterializzò. Alla Tana.

“Oh, eccoli qua. Chi non muore si rivede eh? Ma anche chi muore, a quanto pare..” li accolse una voce nel buio.

 

Harry e Sirius stavano ancora nella cucina. Senza muoversi. Stupendosi del contatto che riuscivano a scambiarsi. Quello non era il simulacro di Sirius, era Sirius. Quello era proprio Harry, il frutto del suo sacrificio. Sirius aveva dato la vita per Harry. Sirius aveva dato la vita a Harry.

Harry, a stento rendendosene conto, mormorò contro la persona che lo aveva fatto nascere per la seconda volta:

“Papà...”

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Capitolo 11
*** La stazione ***


CAPITOLO 11

CAPITOLO 11

 

LA STAZIONE

 

“Eccola”

“E così è per questa che è successo tutto?”

“Non solo. La sua parte l’ha fatta anche la cicatrice”

“La solita vecchia storia?”

“Più o meno..”

“Dai, posso sentire anche io? Non sono mica stupido!”

“No, Sirius, vai a giocare di là. Non ci vorrà molto”

Ginny passò una mano sulla testa del bambino, che se ne andò brontolando.

Sirius senior sedeva accanto a Harry.

Ron ancora non era uscito dal bagno. Hermione era andata a controllare come stesse.

George, un’espressione tra il radioso e il nauseato, rimaneva in piedi, vicino al fratello. Vicino a Fred.

Quando Ron, precipitatosi su per le scale, li aveva trascinati con sè alla Tana, loro non avevano capito.

 

“Ma che cazzo fai? Non ti sembra di esserti già comportato abbastanza da coglione?” “E lasciami, George, aspetta!” “Cosa sei venuto a fare qui, Ronald?” gli aveva chiesto Ginny, con un tono impressionantemente simile a quello della madre.

“Voglio controllare una cosa”

L’uomo aveva acceso la luce. Le finestre si illuminarono. Dopo settimane che rimanevano al buio.

“Oh, vedo che è arrivata gente!” Una voce dal salotto. Ron si era paralizzato sulla porta. George lo aveva spinto da una parte, ed era rimasto impalato al suo posto, con la costernazione a contrargli il viso.

“Ciao fratello” qualcuno disse con voce commossa. Che fosse stato Gorge o Fred aveva poca importanza.

 

“Bhè, non sono sicuro che sia accaduto proprio in questo modo, ma sono quasi certo di sì.”

“Che ne dici di raccontarci tutto dall’inizio?”

“Posso provarci” rispose Harry tra l’esitante e il beffardo.

 

E c’era stato l’abbraccio. Un abbraccio che fece loro vibrare l’aria all’intorno. Io sono qui, tu sei qui, noi siamo qui.

 

“Ma forse dovremmo aspettare che Ron e Hermione tornino dal bagno”

“Siamo qui, parla pure”

Ron aveva il volto arrossato e bagnato. Sul volto di Hermione si vedevano le tracce di un trucco sciupato, di una matita che le aveva tracciato lunghe ditate nere dagli occhi fino al mento. Aveva provato a sistemarsi il viso alla bell’e meglio, ma erano delle tracce cancellabili solo con molta pazienza. Per la pazienza c’è bisogno di tempo, e loro di tempo non ne avevano. O forse non ne volevano avere.

 

“E così voi sareste i miei genitori”

“Lo siamo, Ted”

Il giovane si passò una mano fra i capelli. Tossicchiò rocamente.

“Capirete che mi risulta un po’ difficile credere che per davvero due persone morte da quando ero piccolo siano tornate in una forma non meglio definita. Quindi l’unica spiegazione è che sono diventato completamente matto. E chi glielo dice adesso, a Victoire..”

 

Harry si alzò in piedi. Era molto irrequieto. Come avrebbero reagito?

“Verso ottobre cominciai ad avere delle piccole crisi. Nel senso che soffrivo di improvvisi buchi nella memoria a lungo termine, e mi confondevo, non so bene come spiegarlo. Hermione mi è stata molto vicina. Avevamo paura che fossi posseduto”

 

Tonks gli posò una mano sulla spalla, esitando giusto un attimo prima di toccarlo, per timore di essere respinta. Ted guardò quella mano come se fosse qualcosa di spaventoso, ma dentro di sè, in profondità, avvertiva il calore di una dolcezza che gli era sempre stata negata. Stupido dire che l’amore di due genitori adottivi può compensare quello di madre e padre. Si era sempre sentito inferiore, tagliato fuori, inadeguato, quando per caso entrava in una stanza e vedeva Harry che abbracciava stretto Albus e James e Lily. Poi naturalmente l’uomo accoglieva anche lui tra le sue braccia, ma la stretta, del tutto inconsciamente, si allentava un po’.

“Credi quello che senti vero. Non so come provati che noi siamo reali, ma, Ted, siamo i tuoi genitori. Siamo coloro a cui sei stato tolto troppo presto. Tu..”

La voce le si strozzò stridulamente. Mentre tremava, Lupin la strinse a sè.

Poi l’uomo parlò al figlio con voce ferma, senza farsi impaurire dalle sue stesse lacrime. Tanto tempo prima aveva fatto la scelta di essere coraggioso, e continuava a esserlo.

“Forse siamo stati egoisti, Ted. Ma quando siamo andati a combattere, quella notte, abbiamo fatto la scelta di darti un ideale al nostro posto. Se fossimo rimasti ti avremmo preparato da mangiare tutti i giorni, saremmo stati con te il tuo primo giorno di scuola..”

Ted si prese la testa fra le mani. “..ti avremmo rimproverato se fossi tornato tardi la sera, ti avremmo portato a vedere lo zoo e avremmo giocato tutti insieme a quiddich. Ma così, ti abbiamo permesso di avere rispetto per noi. Ti abbiamo dato la prova del nostro amore col nostro sacrificio. Ti abbiamo dato l’opportunità di capire ciò che è giusto. A te la scelta. Puoi scegliere se accettarci oppure se continuare la tua strada senza che noi interferiamo con i tuoi sentimenti”

Ted tese le mani e strinse quelle di sua madre, con la testa china. Lei, dal canto suo, si gettò su di lui stringendolo forte al petto.

 

“Poi, quando mi sono fermato in quel bar babbano ho avuto un’altra crisi. Ho avuto delle allucinazioni in cui ero convinto di essere inseguito dai mangiamorte. Sono scappato. E’ durato per giorni. Non avete idea di quanto sia stato terribile. Dopo un po’ ho cominciato a confondere passato e presente. Credevo di dover ancora distruggere gli horcrux. Ho scritto una lettera a Hermione. Solo dopo mi sono reso conto di quanto quelle parole vi potessero suonare assurde. Poi è successo. Sono stato posseduto davvero. E io.. ero d’accordo”

Ron si precipitò nuovamente in bagno.

 

“Hagrid, perchè mi hai fatta venire qui? C’è una festa alla scuola, e in effetti non capisco perchè ti ostini a non venire”

“Professoressa, forza, deve dare un’occhiata”

La McGranitt, leggermente irritata, ancora col cappellino a punta in bilico sui capelli legati, oltrepassò la soglia della capanna di Hagrid.

“Buonasera professoressa”

Il cappellino cadde.

 

“Scusami, Harry, spiegati meglio” lo interruppe Ginny, ignorando l’isterismo del fratello.

“Stavo nascosto, poi mi sono ritrovato... Vi ho mai raccontato quello che è successo quando sono morto?”

“Come, quando sei morto?”

Harry non aveva mai detto loro niente. Loro non avevano mai saputo quello che era successo quella lontana notte nella Foresta proibita.

Cercò lui stesso di richiamare gli eventi alla memoria.

 

Rivoli di freddo gli avevano gelato la pelle. Voleva urlare alla notte, voleva che Ginny sapesse che era lì, che sapesse dove stava andando. Voleva essere fermato, portato indietro a casa... Ma era a casa. Hogwarts era la prima e la migliore casa che avesse conosciuto....

Mi apro alla chiusura.... Aveva premuto il metallo contro le labbra e aveva sussurrato: “Sto per morire”....

“Ci sei quasi” gli aveva detto James. “Sei molto vicino. Noi siamo... fieri di te” “Fa male?” “Morire?”....

“Resterete con me?” “Fino alla fine” gli aveva risposto James....

Un fuoco ardeva al cento della radura.... Voldemort, che era in piedi, a capo chino, la Bacchetta di Sambuco davanti a sè....

“Credevo che sarebbe venuto” aveva detto Voldemort con la sua voce acuta e chiara, lo sguardo fisso sulle fiamme danzanti. “Mi aspettavo che venisse” Nessuno aveva fiatato... Si era tolto il mantello dell’invisibilità e lo aveva infilato sotto la veste insieme alla bacchetta. Non voleva essere tentato di combattere. “A quanto pare... mi sbagliavo” aveva concluso Voldemort. “No”....

Poi qualcuno aveva urlato “HARRY! NO!”....

Voldemort aveva alzato la bacchetta....

Un lampo di luce verde.... La stazione di King’s Cross.

 

I presenti lo fissavano in silenzio, agghiacciati in posizioni di orripilato stupore e, forse, delusione. Delusione per il fatto che Harry non avesse mai voluto condividere con loro la sua avventura più grande. Non lo aveva fatto nell’atto, come non lo aveva fatto nel ricordo.

“Ecco, io..” Harry continuò, a disagio. Si era aspettato che qualcuno facesse delle osservazioni su quanto era accaduto. Invece lo intimoriva di più il silenzio di quelle persone che con lui avevano condiviso la loro stessa vita.

Ron era tornato dal bagno, e ascoltava da dietro la porta.

“Io mi ritrovai di nuovo alla stazione, ma stavolta non dovevo partire. Era come se dovessi venire a prendere delle persone. C’era molta gente. Alcuni li conoscevo, altri no. Però tutti erano simili nel fatto che erano stati uccisi da Voldemort”

 

 

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Capitolo 12
*** Quello che avrebbe dovuto essere e quello che sarà ***


CAPITOLO 12

CAPITOLO 12

 

QULLO CHE SAREBBE DOVUTO ESSERE E QUELLO CHE SARA’

 

Si scoprì a non voler ascoltare oltre. E a che sarebbe servito, dopotutto? Erano passati due mesi e mezzo da quando Harry era scomparso nel nulla. Due mesi e mezzo di ricerche, paura, calunnie messe a tacere, discussioni, giornalisti invadenti, tentazioni, dubbi, rattoppamenti. Ed erano passati quarant’anni, o quasi, da quando con il naso sporco si era seduto nello stesso scompartimento di un bambino solo, tutto trepidante nel conoscere un mito. Harry aveva la sua stessa età. Ed era famoso. Era l’incarnazione di tanti desideri sempre preclusi. Un bambino rispettato e onorato persino dai grandi. Cos’era a differenziarlo da lui? Era stata un’occasione. Ma un’occasione sarebbe capitata anche a lui, e lui l’avrebbe colta, e lui sarebbe stato rispettato da tutti. Anche dai grandi.

Presto alla semplice ammirazione era subentrato un timido sentimento di amicizia. Ma era stato in breve tempo che il loro legame era stato contaminato dall’invidia, ultimo residuo di quell’antica ammirazione che l’aveva portato ad avvicinarsi al celebre Harry Potter. E se anche l’affetto permaneva, gli era risultata sempre più difficile l’accettazione di quella presenza accanto a sè. Il suo affetto sarebbe sopravvissuto a qualunque cosa, ne era certo, ma anche l’insofferenza. E forse le due cose un giorno avrebbero portato all’annullamento di uno di loro due.

Harry era sempre stato lì, inconsciamente superbo, inconsciamente dedito solo a sè stesso. Veniva da chiedersi se i loro sentimenti fossero mai stati davvero puri, e non dettati dall’egoismo. Era sempre stato lui, Ron, a tornare da Harry. Non era mai accaduto il contrario. Mai che Harry avesse accettato di non essere l’unico protagonista di sè stesso. A muovere Harry erano sempre stati soprattutto rabbia, vendetta, una lealtà dettata più da egoismo e senso del possesso che da vera dedizione. Aveva mai visto Harry compiere un atto d’amore, di affetto, di amicizia? La cosa più dolce che gli avesse mai fatto era stata accettare le sue scuse, una vaga espressione di trionfo sul volto. Gli unici momenti in cui il cuore di Harry si era aperto era stato quando qualcuno stava per scomparire. Sirius. Ma quando si era trattato di un semplice sforzo di umiltà, quando si era trattato di accettare la parità di qualcun altro, mai. No si era mai fatto avanti.

A che erano serviti tutti i loro sforzi se Harry in quel momento se ne stava lì, a pretendere nella sua tranquillità la ragione, il rispetto? In base a cosa pretendeva che lo perdonassero immediatamente? Forse non si rendeva conto che avevano pensato che gli fosse successo qualcosa? Che avevano avuto paura per lui? Che avevano avuto paura che fosse diventato pazzo? Che si fossero dovuti affannare per, salvando le apparenze, salvare la sua posizione e fare in modo che nessuno interferisse con le ricerche? Non si rendeva conto che avevano dovuto spiegare a un bambinetto di dieci anni perchè il papà se n’era andato senza salutare?

Ma dopotutto, a Harry cosa importava? Da sempre da dietro le quinte tutti loro si sacrificavano per lui, e eccettuati gesti eclatanti e melodrammatici Harry non aveva fatto mai mostra di apprezzarlo. Nemmeno di rendersene conto, per Dio.

Ron si allontanò dalla porta da cui aveva origliato.

Harry continuava a parlare.

Gli altri ascoltavano, in silenzio.

 

Harry, ora sei qui, davanti a me. Dove eri andato? Perchè mi hai lasciato qui sola con un bambino a cui dare spiegazioni quando ero io ad aspettarmi spiegazioni da te? Non un cenno, niente, in due mesi, che ci abbia permesso di sapere se stavi bene, se eri vivo. Non mi hai detto nulla. A me. Non hai detto nulla a Ginevra Weasley. A tua moglie.

Come se l’avessi mai fatto... Come sempre, mi hai tagliata fuori. Ho sempre partecipato solo del tuo mondo più superficiale, nonostante tutti i miei tentativi di andare a fondo, di conoscere la tua intimità. Non me lo hai mai permesso. Quando stavi male l’unico conforto che mi hai dato l’opportunità di darti è stato il silenzio. La mia vicinanza silenziosa. A volte avevo paura di farti delle confidenze, temendo che ti aspettassi che come te mi tenessi tutto dentro. Ma io ti amo. Io ti amo! Credevo che l’amore sarebbe stato uno scambio, un sostenersi reciproco, ma forse è stata un’idea troppo ingenua, troppo banale.

Per averti ho aspettato tanto, sapendo che tuttavia eri così vicino, magari nella stanza accanto a parlare con Hermione e Ron. E io da sola, cercando di catturare qualche parola, cogliendo solo risate. Le vostre. Quanto ho aspettato e quanto ho sofferto prima di potervi unire le mie. Ma con me non sei mai entrato in confidenza come con loro. Io avevo i tuoi baci, loro il tuo cuore e la tua mente. Quando sei partito a cercare gli horcrux io ho aspettato, come nei vecchi film le donne aspettavano ansiose e passive che il loro uomo tornasse dalla guerra. Ma ti rendi conto? Ti rendi conto? Loro erano con te, e io ho passato ogni mio singolo giorno cercando disperatamente di sentire qualche notizia su di te alla radio. Ma sentivo solo il tuo nome, invocato da tante voci. Tante voci, ho sentito, sì, ma non la tua. Loro erano con te. Mi hai detto di volermi proteggere. Davvero? Magari nemmeno te ne sei reso conto, ma volermi proteggere è stata la cosa più egoista che tu abbia mai fatto. O forse pensavi che nella fine, nel momento più importante della tua vita, io fossi di troppo. Non so... So che mi ami, a tuo modo. Ma so anche che dopo tutti questi anni, nascosta dietro il mio sorriso e la mia sicurezza, continuo a sentirmi a disagio quando vi vedo tutti e tre insieme.

 

Riecco i tuoi capelli neri neri, leggermente ondulati, ciò che resta della vecchia zazzera indomabile. I tuoi occhi verdi. Quella piccola ruga sotto gli occhi, il tuo modo di aprire le labbra quando parli. I tuoi occhi vigili eppure estraniati, in un modo di cui ho letto tante volte ma che finora ho visto solo in te. Perchè te ne sei andato? Perchè ci hai tolto tutto questo? Per due mesi sei stato lontano, e già temevo di stare scordando il tuo volto, già temevo che rivedendoti non avrei saputo seguire i tuoi gesti e le tue espressioni come fanno gli amici: in quel modo come se si ascoltasse una musica familiare su cui l’orecchio sa focalizzarsi. Solo gli amici sanno sintonizzarsi sui movimenti della testa e sulla voce come su una stazione della radio. Io e Ron siamo i tuoi amici, Harry. Eppure avevo paura di non riuscirci più. Perchè stavi svanendo così presto? Non avevi il diritto di strapparti a noi in modo così arrogante. Ti stavi dando a qualcun altro? E con quale diritto? Tu non hai il diritto di disporre di te stesso, Harry. Solo una persona completamente sola è completamente libera. Ad un certo punto della propria vita non abbiamo più il diritto di essere gli unici padroni di noi stessi, anche se possiamo scegliere chi lo sarà con noi. Io ho scelto Ron, ho scelto Ginny, tutti loro, e ho scelto anche te. E ho sempre creduto che tu avessi scelto me.

Non hai la minima idea di quanto sia stato difficile. Credevo di dimenticarti. Ma tu ricordati una cosa: se lo avessi fatto sarebbe stato unicamente perchè lo avevi scelto tu. E ormai temo che sia troppo tardi. Temo che, indipendente da me e da te, presto ti dimenticherò, presto non saprò sintonizzarmi più bene su di te. E io non ascolto la radio se il suono è distorto. Ma questa non è più una cosa che dipende da te, nè da me.

 

“Zio Ron, dove vai?”

L’uomo dai capelli rossi si arrestò sull’ultimo gradino delle scale osservano sgomento quel bambinetto davanti a lui. Era così piccolo, troppo per la sua età. Era un po’ figlio di tutti loro. L’ultimo bambino.

Lo superò e afferrò il suo cappotto. Si schiacciò un cappello marrone sui capelli di quel colore notevole, colore tuttavia negli ultimi anni un po’ sbiadito.

“Esco, ciao Sirius.”

Prima di muoversi lo guardò ancora. Chissà perchè quel ragazzino era tanto in grado di metterlo in soggezione. In quello sguardo ingenuo c’era una vitalità vivida che incantava chiunque. Se lo guardavi dritto negli occhi non potevi fare a meno di provare un certo turbamento.

“Ciao” ripeté.

Aprì la porta.

La richiuse e Sirius lo vide allontanarsi dalla finestra appannata per l’umidità.

Per un attimo i rumori della strada si erano riversati in casa.

 

“E’ così che è successo tutto. In verità è molto semplice. Delle persone che sono state uccise da Voldemort alcune hanno avuto la possibilità di tornare alla vita per un certo tempo attraverso di me. Credo che fosse dovuto all’azione della pietra della resurrezione combinata alla mia cicatrice, che istituiva un legame tra me e Voldemort. La cicatrice ha svolto da catalizzatore e la forte influenza che la pietra aveva su di me ha fatto in modo che avvenisse il passaggio”

George si staccò dal muro. “E come mai alcuni, come Sirius e Fred, sono tornati così e non possedendoti?”

“Sai, è sempre stato un mio recondito desiderio possederti, ragazzo mio” se ne uscì Fred, chinando la testa in uno spiritoso occhiolino allusivo in direzione di Harry.

Harry sorrise, sollevato.

“Questo non lo so”. Scrollò le spalle.

“Bene” lo interruppe secca Ginny. “Hai finito? E’ tutto qui quello che hai da dirci?”

Harry sollevò lo sguardo sulla moglie. Il pallore che aveva dato un aspetto inconsueto al viso della donna aveva lasciato spazio a un vago rossore acceso, decisamente più tipico di lei, energico. Era bello vederla così ardente. Eppure qualcosa non andava.

“Sì, ho finito. Mi dispiace non potervi dire di più. Fidatevi di me. Abbiate pazienza, come siete riusciti a fare fin’ora”

 

Non poterci dire di più. Fidarsi. Come abbiamo fatto fin’ora. Ma che ne sa lui di quello che abbiamo fatto fin’ora? Che ne sa di quello che abbiamo passato? Delle litigate con un Ron sempre più instabile e frustrato? Dell’incapacità di gestire la nostra vita e la scomparsa di un amico? Che ne sa della paura? Che ne sa della responsabilità?

Ginny e Hermione si guardarono fugacemente. Avevano la netta sensazione di aver pensato esattamente la stessa cosa.

“Non puoi dirci di più.. E che vuol dire avere pazienza? Vuoi dire che ancora non è finita questa storia?” gli chiese brusca Ginny. George e Fred la guardarono preoccupati.

“No. C’è ancora gente”

“Ah, ma certo!”esclamò Ginny, finalmente manifestamente furente. Si liberò dalla stretta di George sul polso.

“C’è sempre posto in te per della gente che nemmeno sai chi è.. E per noi, Harry, il posto per noi dov’è?”

Ma perchè Ginny non capiva? Era il suo dovere. Era la sua coscienza che lo legava a Voldemort, molto più che la sua cicatrice. Doveva riscattarsi delle persone che per colpa sua e per lui erano morte. Ma tutto questo lo pensò. Non lo disse.

“Devi assumerti delle responsabilità, Harry!”

“E’ proprio per questo che devo farlo! Mi sono assunto una responsabilità seguendo la mia coscienza di Bambino-che-è-sopravvissuto!”

“E la tua coscienza di marito? Di amico? Di padre?”

“Voi potevate fare a meno di me per un po’ di tempo!”

“E hai ragione, perchè in tutto questo tempo abbiamo dovuto imparare per forza a fare a meno di te!”

“Io vi ho sempre protetto!”

“Già, come può fare un auror! Ma eri tanto compreso nel tuo ruolo di paladino della giustizia che non hai mai pensato alle responsabilità emotive nei nostri confronti!”

“Ma hai idea di tutto quello che ho passato? Ho sempre tenuto tutto dentro, per non caricarvi di qualcosa di terribilmente grande!”

Ginny uscì dalla porta, in silenzio. Dopo un’occhiata imbarazzata Fred e George la seguirono. Hermione esitò. Era affranta. Non osava alzare lo sguardo. Le lacrime le rendevano lucido il mento. Se ne andò.

Harry era rimasto con Sirius. Solo con Sirius.

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Sbronzo ***


CAPITOLO 13

CAPITOLO 13

 

SBRONZO

 

Burrobirre. Quante ne avevano bevute insieme. Eccone una lì, davanti a lui.

A portargliela non era stata madama Rosmerta. Era stata sua figlia Melinda. Rosmerta si era sposata. Aveva avuto due figli. Il fratello di Melinda, Michael, si era trasferito in Italia. Il marito di Rosmerta l’aveva abbandonata per la figlia della padrona di Mielandia. Anni dopo Rosmerta era morta in un incidente d’auto. Fine della storia. Tutto finito, stop. Era morta, la gestione del locale era passata alla figlia e piano piano il suo volto stava venendo dimenticato. La gente finisce così. Nella morte e nella vita.

Un sorso di Burrobirra. Giù, giù per la gola. Un lungo sorso, sì, un sorso lungo.

E un altro. La Burrobirra è finita. Meglio passare a qualcosa di più forte. Le guance sono più calde, e anche il petto. E’ piacevole.

Melinda porta via i bicchieri, uno dopo l’altro. Ron si sente sempre più caldo. E’ bello sentirsi caldi, contro tutto il freddo che c’è fuori.

Fuori è Natale. Fuori si festeggia il Natale. Strano, anche dentro. Ma lui non festeggia. E’ anticonformista lui. Il pensiero di sè stesso anticonformista è buffo. Lo fa ridere. E si sente sempre più caldo e più... formicolante, come se avesse tante bollicine che scoppiano come pop-corn all’altezza del petto. Anche questo pensiero è buffo e lo fa ridere.

In parte si rende conto di essere ubriaco. Ma lo irritano tanto gli sguardi degli altri avventori, piuttosto pochini in verità, che non lo ammette neanche di fronte a sè stesso. Però dopo qualche altro sorso il pensiero di essere ubriaco la notte di Natale con Harry mezzo matto a casa e lui al Tre manici di scopa con la figlia di una Rosmerta morta e sepolta, lo diverte tanto che non si trattiene dal ridere. E dopo qualche altro sorso ancora, il fatto di essere ubriaco lo rende quasi orgoglioso, e gli viene voglia di andarlo a dire in giro.

 

Ron uscì dal locale. Qualcun altro si alzò e lo seguì. Una donna.

Ron se ne andava per una Hogsmeade praticamente deserta. Non si curava della neve che gli si scioglieva sui capelli bagnandoglieli e scendendo in rivoletti gelidi dentro il colletto.

Poi vide qualcuno seduto sul marciapiedi con l’aria decisamente frastornata. Era Stan Picchetto. Buffo, pensava fosse morto.. Ma sì che era morto! Ma tanto ormai in giro i morti viventi non erano più una novità, quindi... Rise.

“Ciao Stan” lo salutò Ron. Gli si sedette accanto, senza far caso al fatto di essersi seduto dentro una pozza d’acqua. Il giovane bigliettaio morto lo guardò sbalordito. “Tu non scappi? Non vedi come sono strano?” “Lo vedo, lo vedo” rispose blando Ron. “Ma non sei il primo che incontro, ridotto in questo stato” scosse la testa con aria saputa. “E poi sono ubriaco. Al massimo mi fai ridere” aggiunse. E infatti rise.

“E come sai chi sono?” “Lavoravi sul Nottetempo. Mica ti ricorderai tutti i tuoi clienti”

“Ah” commentò Stan Picchetto. “Adesso c’è un altro tizio al mio posto. Non è proprio capace, sai?” “Può darsi, ragazzo. Non prendo il Nottetempo da un sacco di tempo” si interruppe e poi riprese con voce alterata. “E’ la prima volta chiamo qualcuno ragazzo. Devo proprio essere invecchiato” Rise. Si sentiva molto divertente, quella sera. Lui, Ron Weasley, vecchio. Buffo. Decisamente buffo.

“Ma chi altro hai visto come me? Mi sono ritrovato così e non so che cosa fare”

“Eh, ragazzo, ci ho visto un paio di persh.. psh... pershone”

Non riusciva a districare bene i suoni. Proprio come un ubriaco. Ma lui era ubriaco. Ah ah!

Melinda proprio non aveva polso. Rosmerta lo avrebbe cacciato dal suo bar molto prima che si riducesse in quello stato. Lei sì che era una gran fica, con l’età e tutto. Ogni volta che andava al tre manici gli veniva una voglia di strizzarle quelle...

“Puoi dirmi dove hai visto queste altre persone?” lo interruppe Stan ansioso.

Ron lo guardò irritato.

“Primo: non provare mai più a inter..rompere le mie fantashie erotiche, sono stato ciaro?” gli ordinò minaccioso. Stan annuì, senza capire a cosa si riferisse ma intimorito da quell’omone dai capelli rossi. “Shecondo, non te lo posso dire. Sono questioni.. personali. Quindi, arrangiati” Si alzò dal marciapiedi, e barcollò un po’ prima di recuperare l’equilibrio. La voglia di ridere gli era un po’ passata. Ora gli veniva voglia di vomitare.

“Serve aiuto, signori?” si udì pronunciare da una voce femminile secca e vivace.

Una donna bionda si fece avanti. Portava gli occhiali, e l’elaborata acconciatura era alquanto sgualcita dal maltempo. Aveva una piccola borsetta squamata, e al suo fianco volavano un taccuino alato e una penna dall’aria inutilmente costosa.

“Io mi sa di conoscerti” biascicò Ron strizzando gli occhi.

“Ne sono certa, signor Weasley. Sono molto lieta di rivederla. Buon Natale. Come sta?” avanzò la donna con la mano tesa. La sua voce era molto carina, pensò Ron.

“Sto bene, a parte che mi viene da vomitare e non ci vedo bene. Mi sa che è colpa della neve” “Ne sono sicura signor Weasley. Ma non mi ha riconosciuta? Sono la sua vecchia amica Rita” “Rita Skeeter?” precisò Ron sollevando la testa e alzando a toni acuti e alti la sua voce. “Precisamente. Davvero, sono felice di rivederla. Mi piacerebbe fare una chiacchierata con lei e il suo amico qui presente” “Ma certo” “Che ne dice di andarci a mettere in un posto più comodo? Pensavo al Paiolo magico”

Ron annuì. Passò un braccio intorno alle spalle di Rita Skeeter e si avviò con aria baldanzosa. Facendo spallucce, Stan Picchetto, sconsolato, li seguì ingenuamente.

 

Entrati al Paiolo la donna li condusse in una stanza appartata, con gli occhi di Tom, il padrone, puntati addosso. Ma quell’uomo non cambiava mai? In tutti quegli anni era rimasto identico. Strano che non fosse ancora morto.

“Quindi, signor Weasley, che ha fatto questi ultimi tempi?” “Niente di speciale, e lei?”

Rita si tolse la giacca. Sotto era vestita un po’ troppo leggera per quella stagione. Non c’erano sedie, e Ron si era seduto sul letto spazioso. Rita si sedette accanto a lui. Stan girovagava per la stanza inquieto.

“Oh, io mi sono concentrata molto nel mio lavoro. Non è semplice sa? Ma che maleducata sono, non le ho offerto da bere” “E già, dovrebbe offrirmi qualcosa. Ho proprio voglia di bere qualcosa”

Rita, tutta un sorriso, si alzò e prese una bottiglia squadrata dal mini-bar. Ne versò il contenuto in due bicchieri. Ron se lo scolò senza gustarlo minimamente. La giornalista era disgustata da quell’uomo, ma niente traspariva all’esterno.

“Ma, signor Weasley..” “Mi ami pure Ron” Rita sbattè gli occhi affettatamente. “Mi scusi?” L’uomo fece un evidente sforzo per pronunciare chiaramente quelle parole. “Mi chiami pure Ron” “Ah, capisco” rispose acidamente la donna.

“Allora, Ron, come mai tutto solo la notte di Natale?”

“Eh, è una lunga storia. Non so mica se posso raccontargliela, sa”

“Ma come non si fida di me? Ci sono stati contrasti in passato, ma non sono più la donna in carriera di una volta. Sono una signora assennata, adesso”

Ron la guardò. A lungo. Uno sguardo liquido, da ubriaco. Poi sorrise. Diede una pacca familiare sulla gamba della Skeeter, che la ritrasse appena.

“Ma sì che mi fido. E poi oggi è Natale”

“Allora, mi racconta?”

Stan notò che la penna si era rizzata sul taccuino. Fece per avvertire Ron, ma uno sguardo fulmineo della donna bastò a zittirlo.

Ron annuì. “Vede, è che Harry era scomparso, no? Lo sa anche lei. Noi non sapevamo dove era andato, perchè poi aveva spedito una lettera a Herm e non si capiva niente perchè sembrava tutto matto, no? Poi lo abbiamo ritrovato ed era posseduto dai morti, capisce? Però non è che va bene che uno prende e sparisce così per i morti di Voldemort e poi pretende che gli amici sono tutti contenti ad aspettarlo”

La Skeeter si raddrizzò gli occhiali e posò una mano inanellata su una di Ron. Gli sorrise suadente. “Me ne parli, Ron..”

 

“Ci mancava mio fratello”. Ginny era decisamente spazientita. Harry si era rinchiuso nella stanza dove una volta Sirius teneva l’ippogrifo Fierobecco, lui solo con il padrino, e non permetteva a nessuno di entrare. Hermione aveva avuto una mezza crisi isterica perchè credeva che Ron se ne fosse andato per colpa di un litigio che aveva avuto con lei nel bagno. Si rifiutava di spiegare di cosa avessero parlato. Fred e George facevano comunella e tagliavano tutti fuori dal loro mondo gemellare, senza preoccuparsi di cosa stava accadendo. Ed era rimasta Ginny, a prendersi cura di Sirius junior che, ovviamente inconsapevole del crollo intorno a lui, insisteva per giocare a memory. E Ron era scomparso. Che cercasse di emulare Harry?

Un gufo picchiettò sulla finestra, battendo le ali impaziente.

Ginny andò ad aprire, e lo pagò quando vide che si trattava della consegna quotidiana della Gazzetta del profeta. Appena guardò la prima pagina inspirò bruscamente e si lasciò sfuggire un’imprecazione. Sirius la riprese: “Mamma! Non si dicono le parolacce!”

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Capitolo 14
*** Punto di rottura ***


CAPITOLO 14

CAPITOLO 14

 

PUNTO DI ROTTURA

 

Ridevano. Erano dietro la porta, che ridevano. Due uomini. Per assurdo, avevano la stessa età. Ci era voluta la morte per renderli davvero uguali. Forse in quel modo Sirius era riuscito davvero ad avere James. Ma Harry era cambiato molto negli ultimi anni. No davvero, non poteva somigliare a James. Si sentì toccare la vita. Hermione chinò la testa e vide Sirius junior accanto a sè che la guardava tutto trafelato. Stupidamente si preoccupò se il bambino aveva capito che stava origliando alla porta. “Zia, mamma ti vuole di là. In cameretta mia”

Hermione annuì. Il bambino le fece strada fino alla sua stanza tenendola per mano. Iniziava a rendersi conto che qualcosa decisamente non andava. Rimase fuori della porta, ed Hermione la richiuse dietro di sè senza curarsene.

Ginny era accasciata accanto alla finestra, rossa in viso e livida di rabbia. Erano emozioni molto forti.Troppo forti.

“Herm, vieni un po’ qui”

L’amica le si sedette accanto. Era ancora stordita dalla crisi isterica di poco prima, e Ginny, rendendosene conto, si irritò ulteriormente. Irrazionalmente, certo, ma comunque la sua irritazione aumentò. “Guarda qua” le gettò in grembo il giornale.

Un articolo di Rita Skeeter, in prima pagina. Un’intervista, per la precisione. Una foto di Ron, evidentemente ubriaco, spalla a spalla con il fantasma di Stan Picchetto. E tante, tante volte il nome di Harry Potter.

Hermione lesse, mentre accanto a lei Ginny scivolava ad occhi chiusi lungo la parete.

“Ecco come ha festeggiato il Natale, l’idiota” commentò Ginny. “Ci ha messo nella merda. Harry sicuramente sarà indiziato per l’assassinio del babbano e di quell’altro tizio, quel Connor. E dovremo rendere conto della sua posizione presso il Ministero, e del suo ruolo nella guerra contro Voldemort. E della sua scomparsa. E dei morti viventi. E dei suoi rapporti con Voldemort. E forse anche dei Doni della morte. Fantastico vero?”

Ginny si voltò verso Hermione. La donna era pallida. Troppo pallida. Hermione non era mai stata forte come lei. Non era mai stata capace di convertire tutti i sentimenti negativi in rabbia, rendendole possibile sfogarsi. Hermione aveva sempre avuto un’emotività estremamente volubile e suscettibile. Ecco perchè stava per avere un’altra crisi isterica. In quegli ultimi anni era diventata sempre più debole.  Come l’amore intenso per Ron l’aveva tenuta in pedi, allo stesso modo non aveva fatto che infliggerle nuovi colpi.

Ginny le si inginocchiò davanti, tentando di calmarla.

 

Si risvegliò in un vicolo puzzolente di vomito. Il suo vomito. L’unica cosa che gli era ben chiara era quella strana sensazione allo stomaco, come di un fagotto bagnato e stropicciato. Non sapeva come fosse finito lì. Non ricordava nulla. Chiese all’orologio che giorno fosse e quello cinguettò 25 dicembre, Ron. Buon Natale. 25 dicembre? E come mai non ricordava niente della vigilia? Si era ubriacato insieme a Harry? E perchè mai avrebbe dovuto abbandonarlo lì? Ah, no. Harry era sparito. Ah, no. Harry era tornato. L’ultima cosa che si ricordava della sera prima era Melinda con dell’idromele in mano e un’espressione contrita sulla faccia. Ah, no, ricordava anche dei pensieri indecenti su Rosmerta e poi, Stan Picchetto. Bhè, no, Stan Picchetto se lo doveva essere sognato. Ah, no. Non se l’era sognato. C’era lì sul giornale accanto a lui una foto con loro due abbracciati insieme...

Rendendosi improvvisamente conto di cosa ciò volesse dire Ron si rizzò in piedi. Ebbe un capogiro e dovette appoggiarsi al muretto muffito alle sue spalle. Esaminò il giornale. Era la copia di quello stesso giorno. Lo stomaco si torse ancora di più nel leggere l’intervista che Rita Skeeter gli aveva fatto. Un foglietto cadde nell’umido della stradina. Ron lo raccolse.

Tante grazie.

c’era scritto. E sotto, una firma svolazzante e affettata:

Rita Skeeter

 

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L’intervista

Come mai, signor Ronald Weasley, si trova ubriaco per le strade di Hogsmeade?

Perchè, eh, sa, è buffo, perchè mi sono incazzato col mio migliore amico: Harry Potter. E poi ci si è messa pure mia moglie e ci ho litigato. E quindi sono uscito. Ma non volevo ubriacarmi. Mi ci sono trovato, ecco.

 

Cosa l’ha portata all’alterco con Harry Potter e sua moglie Hermione Granger?

E’ che Harry era scomparso, vede? Io lo cercavo col deluminatore, questo qui vede? Me lo ha passato Silente quando è morto. Infatti lui sapeva che mi sarebbe servito. Perchè infatti quando me ne sono andato con questo ho potuto tornare. Era proprio intelligente Silente. Aveva previsto proprio tutto. Infatti aveva deciso lui di essere ucciso da Piton, non è stata colpa di Piton. E quindi, sì, sì, ora ci arrivo. Io l’ho cercato, col deluminatore, che serve ad arrivare alle persone, no? E l’ho trovato ma era strano, e anche se era lui, nel suo corpo c’era un altro. Tipo un fricchettone. E poi quando siamo andati tutti insieme a cercarlo di nuovo era così ma con un altro. Quando siamo tornati a casa Harry ci ha detto che sia per la pietra della resurrezione sia per la cicatrice i maghi e i babbani uccisi per colpa di Voldemort se volevano potevano possederlo per tornare in vita per un po’.

 

Come hanno funzionato questa pietra e la cicatrice? Ce lo sa spiegare?

Sì. Praticamente la cicatrice, che sempre ha messo un legame tra Harry e Voldemort perchè gliel’ha fatta lui quando ha cercato di ucciderlo che Harry aveva un anno, ha attirato quelli che erano morti per colpa di Voldemort. Poi con la pietra della resurrezione Harry li ha riportati in vita attraverso il suo corpo invece che al solito modo con la pietra della resurrezione, che sennò i morti li fa tipo ombre.

 

La pietra della resurrezione non sarà mica uno dei doni della morte?

Proprio così! Ammazza, li conosce? Harry aveva pure gli altri due, ma la bacchetta non ce l’ha più perchè la data tipo a Silente, mi pare, ma non sono sicuro perchè mi pare che ha fatto così ma non mi sono mai fatto spiegare proprio bene. Nella tomba, mi pare. Nella tomba di Silente. Il mantello dell’invisibilità ce l’ha ancora, da quando ha undici anni che glielo ha portato Silente. E pure la pietra. Con la pietra infatti credo che riesce a parlare con la mamma e il papà morti, anche se non ce l’ha mai detto.

 

Ma, esattamente, che genere di legame istituisce la cicatrice tra Harry Potter e Colui-che-non-deve-essere-nominato?

Non si è mai capito. Anzi, no che dico! Harry era uno degli Horcrux di Voldemort. Quindi aveva un pezzetto di anima di Voldemort dentro, ecco perchè sentiva le voci e sapeva sempre tutto di lui, ma non era posseduto eh? Ecco perchè quella volta nella Foresta Proibita si è fatto ammazzare. Così Voldemort ammazzava pure il pezzetto di anima.

 

Harry Potter è stato ucciso? E’ questo il motivo della sua scomparsa?

(Weasley ride) Ma no, che non è questo! E’ successo ai tempi della battaglia di Hogwarts, quando Harry ha ucciso Voldemort! Non lo sa? Quando avevamo diciassette anni!

Ma capisco il suo stupore -dovrebbe vedere la sua faccia (ride ancora), signora-. Neanche io lo sapevo prima di oggi pomeriggio! Non ce lo aveva mai detto.

 

Harry Potter è resuscitato? Mi sembra un po’ improbabile!

Invece è successo, guardi un po’. (L’intervistato ride in modo incontenibile e siamo costretti a interrompere momentaneamente la seduta) Grazie per l’acqua. Comunque, dicevo, Harry ci ha spiegato che con la pietra della resurrezione ha chiamato i suoi genitori e lo hanno accompagnato da Voldemort. Poi Voldemort lo ha ucciso e Harry si è ritrovato alla stazione di King’s cross. Ma non era la vera stazione era solo nella sua testa. Tipo anticamera dell’aldilà. E lì ci ha incontrato Silente, che era già morto, ecco perchè, ci ha parlato, e ha capito tutto. Poi è tornato in vita e ha ucciso Voldemort. Non è possibile però è così, che ci vuole fare?

 

E per tutto questo tempo Harry Potter ha ospitato nel suo corpo dei defunti? Per questo motivo è scomparso?

Proprio così.

 

Vuole raccontarmi qualcos’altro che l’ha turbata, signor Weasley?

No, sì. Mio fratello e Sirius Black e anche Stan Picchetto sono tornati così. E non si sa come. Adesso Fred e Sirius stanno a casa di Harry. Harry era tanto contento quando ha visto Sirius. Era il suo padrino sa? Si volevano molto bene.

 

Signori lettori, spero di aver fornito un resoconto esauriente della situazione, e limiterò i miei commenti per riguardo alla vostra intelligenza, che senz’altro salterà da sola alle conclusioni opportune. Harry Potter è stato in giovane età posseduto dall’anima di Voi-sapete-chi. Sappiamo fino a che punto l’influenza del noto mago si sia spinta? Inoltre, in tempi recenti, dopo aver mostrato svariati segni di instabilità, come sono riuscita a dedurre da una serie di farfugliamenti confusi del signor Ronald Weasley, si è prestato alla possessione di defunti maghi e babbani. Che siano attribuibili a lui i due omicidi di ignota attribuzione, ma sicuramente riconducibili alla stessa bacchetta, di cui molto si è parlato negli ultimi giorni? A voi il giudizio finale.

 

---

 

Ginny bussò. Le voci si interruppero. Aprì al porta. “Bisogna fare qualcosa” disse a Harry sbattendogli bruscamente il giornale sulle gambe. Aveva quel tono di voce calmo che lo inquietava tanto.

Harry lesse. “Hermione dov’è?” “George se ne sta prendendo cura. Si è sentita male.”

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Capitolo 15
*** Emily e Susy ***


CAPITOLO 15

CAPITOLO 15

 

EMILY E SUSY

 

Ron si alzò, malfermo sulle gambe. I vestiti gli si appiccicavano addosso, impiastrati com’erano di fango, pioggia, rifiuti e vomito. Ron si disgustò da solo, osservando le sue condizioni in un pezzo di specchio per terra. Poi successe. Appiccò il fuoco a delle cartacce. Si affrettò a spegnerle calpestandole, sforzandosi di non perdere l’equilibrio. Dannati postumi. E quel mal di testa fischiante.. che non gli permetteva di riflettere con completa lucidità.

A volte succedeva. Ecco perchè i maghi alcolizzati o tossicodipendenti venivano forzatamente isolati dalla comunità, magica o babbana che fosse: perdevano il controllo dei propri poteri. Quello era solo l’inizio. Se non avesse cominciato a darsi una regolata, da allora in poi, si sarebbe seriamente cacciato nei guai. Non voleva certo finire in quei centri di disintossicazione troppo bianchi e con quel sentore di vomito indelebile dalla facciata. Gli tremarono le mani. No, per quel giorno la bacchetta sarebbe rimasta al sicuro in tasca. Si chinò per raccoglierla da un mucchietto di immondizia in cui era caduta, ma appena la strinse tra le dita, decine di scintille colorate caddero a pioggia per tutta la lunghezza del vicolo.

“Che bello! Fallo ancora!”

Ron gelò. Qualcuno lo aveva visto. Strizzò gli occhi per snebbiare la vista. Una bambina e una giovane donna forse ancora adolescente lo fissavano dall’imboccatura sulla strada principale. Quella era Londra. E quelli erano babbani.

La bambina era entusiasta. Sorrideva speranzosa che l’uomo ripetesse lo spettacolino. La ragazza era atterrita e stringeva forte contro di sè la bambina. Fissava quello strano uomo dai capelli rossi, la bocca serrata e gli occhi spalancati. In un altro momento Ron non si sarebbe fatto molti problemi a far dimenticare alle due ciò che avevano visto con un incantesimo. Ma era troppo pericoloso. Non aveva il controllo della sua magia, e poteva accadere qualunque cosa. Non sapeva che fare. Fece qualche passo in avanti, e la ragazza indietreggiò. Improvvisamente, agli occhi di Ron, il mondo ondeggiò paurosamente, e cadde. Si accasciò contro il muro. Le due babbane lo osservavano, la ragazza inquieta ma non più spaventata, la bambina decisamente meno entusiasmata.

Poi la ragazza parlò: “Hai delle armi?”

Ron scosse la testa, ancora stordito. Non gli era mai successo di subire un’umiliazione del genere, ma nemmeno se ne rendeva pienamente conto. In quel momento più che vergognarsi era dominato dal pensiero di essere stato visto compiere una magia. Se qualcuno lo avesse scoperto, o sarebbe stato denunciato, o internato da qualche parte. Scosse la testa e alzò le mani, per quanto gli fu possibile, per dimostrare di essere inoffensivo. La ragazza sussurrò qualcosa alla bambina e gli si avvicinò. Tastò circospetta quel corpo lurido, in cerca della dimostrazione di una menzogna. Non trovò niente di pericoloso. Si pulì i palmi delle mani sui jeans. “Mi chiamo Emily” gli disse con un sorriso rassicurante. Ron notò il tono condiscendente, come si usa con chi non può capire. Non ne fu infastidito. Era troppo confuso.

“Sono Ronald”. Continuava a tenere le mani alzate. La ragazza non glielo fece presente. Era pur sempre un uomo piuttosto nerboruto.

“Bene Ronald. Mi sembra che tu abbia bisogno di aiuto, o mi sbaglio?”

Ron ragionò. Se rimaneva con quelle due finchè non si fosse ripreso, avrebbe potuto averle a portata di bacchetta non appena si fosse presentata l’occasione di incantarle.

Emily dovette notare qualcosa nel suo sguardo, perchè il suo viso si indurì. Ron scoppiò a piangere. La ragazza lo aiutò a sostenersi, e insieme si avviarono per le strade babbane di Londra, sotto gli sguardi scandalizzati di decine di babbani.

Ron non si accorse che la bambina aveva raccolto la Gazzetta del profeta da terra, nè che osservava affascinata la foto mobile di lui e Stan Picchetto ubriachi.

Emily condusse Ron fino ad un palazzo giallo e basso, con l’insegna della caritas che spiccava sulla facciata. Gli indicò i bagni e gli diede il necessario per ripulirsi e cambiarsi. Abiti babbani, da babbani poveri. Ron riemerse dal bagno finalmente senza più emanare odore acido. Era pulito, anche se il malessere dei postumi non lo abbandonava ancora. In ogni caso aveva riconquistato la limpidezza mentale, anche se per quel giorno non sarebbe stato dotato di particolare estro.

Emily gli diede un caffè e gli offrì da mangiare, ricevendo un diniego in risposta, come ovviamente si aspettava. Alcuni volontari si aggiravano per la mensa, preparandosi per il pranzo. Arrivò anche uno sparuto gruppetto di scout che si distribuì ridacchiando tra le varie postazioni. La caritas avrebbe aperto alle 12 e 30. avevano ancora un’oretta di tempo.

“Si sente meglio Ronald?” chiese gentilmente Emily. Accanto a lei teneva piegati un grembiule e dei guanti, e poi una cuffietta trasparente.

“Sto meglio, sì” annuì l’uomo, tenendo per sè il mal di testa che stava per fargli implodere gli occhi e la forte tentazione di strapparsi lo stomaco febbricitante con le sue stesse mani.

“Sono una volontaria della caritas, come avrà intuito. Se non le dispiace le chiederò i suoi dati e le farò qualche domanda, per poterle poi dare assistenza. In caso lei si rifiutasse, sono costretta a salutarla”

Il cuore di Ron cominciò a battere più forte.

Le labbra di Emily, con il loro sorriso angelico, erano fermamente rivolte nella sua direzione. La ragazza aveva sottili capelli neri che le arrivavano poco sotto le spalle, e occhi di un colore poco definito tra il grigio e il verde, con le punte esterne rivolte verso il basso. Aveva un colorito pallido che spiccava contro il colore scuro dei capelli, disordinati intorno al viso piccolo.

“Emily, posso anche parlarle di me, ma non ho documenti per dimostrare quel che dico”

Il sorriso non venne turbato, ma qualcosa nella posa delle mani giunte fece intuire a Ron che la situazione non piaceva affatto alla ragazza.

“Vedremo quel che possiamo fare, intanto lei cerchi di parlare in tutta sincerità”

Ron si sentì molto adulto. Una morsa gli prese il cuore al pensiero di dover mentire a quella giovane dall’aspetto tanto ingenuo e buono.

“Sono Ronald Connor, irlandese. Sono venuto qui da alcuni amici quando ho perso il lavoro. Li sto cercando da due settimane, sono stato derubato del mio bagaglio e mi sono rimasti pochi spiccioli”

“Per ora sapere questo è sufficiente. Il fatto che lei non possa provare di avere il permesso di soggiorno è un bel problema, ma vedremo quel che possiamo fare. Rintracciare i suoi amici in ogni caso è la prima cosa da fare. Anzi, la seconda”

Gli occhi pastello della giovane brillarono. “E la prima cosa quale sarebbe?”

“Venga con me” Si alzò e gli tese la mano diafana. Ron la guardò un attimo, troppo stordito per stupirsi davvero e la seguì.

Si ritrovarono in una stanza con molti letti. Il dormitorio. La stanza aveva un’atmosfera plumbea e neutra. Dalle finestre si avvistava il colore delle strade.

“Può spiegarmi questo?” La ragazza sfilò dai pantaloni un giornale arrotolato. La gazzetta del profeta. “Non credo” “E quindi nemmeno quel che è avvenuto in quel vicolo. Cos’era, l’avanguardia dei fuochi d’artificio? Poteva tenerseli per qualche altro giorno fino a capodanno..” “Nemmeno” confermò Ron. Era terrorizzato.

“Ho preso questa dai suoi abiti. Cos’è?”

Emily aveva in mano la bacchetta magica di Ron. In quel momento sopraggiunse la bambina. Si aggrappò ad Emily scrutando un po’ Ron un po’ il pezzo di legno che la giovane donna sventolava impaziente. “So che ha usato questa per quel giochetto di prima. Ma la prego di non giocare con me, signor Weasley”

Emily carezzò la testa bruna e appuntita della bambina al suo fianco. “Susy, saluta il signore” “Ciao signore” borbottò la piccola. Poteva avere undici anni, ma si comportava come se ne avesse un po’ di meno. Aveva un’espressione straordinariamente smarrita e vaga.

“Signorina Emily, la prego”

“La prego cosa? Comprenderà che la cosa ha sconvolto me e mia figlia”

Ron strabuzzò gli occhi. “Sua figlia? Ma quanti anni ha Emily?” “Io ne ho venticinque, e mia figlia dieci. Ma questa non è una questione che la riguarda. Adesso le farò una domanda che le potrà anche sembrare folle. Lei è un mago o qualcosa del genere?” chiese in tono improvvisamente avido, ma anche straordinariamente infantile.

Che altra scelta poteva avere? “Lo sono. E adesso che ha intenzione di fare?” Ron era improvvisamente stanco. Emily gli lanciò la bacchetta. “Ci faccia vedere quel che sa fare, Ronald Weasley” Ron la prese d’istinto, pentendosene immediatamente dopo. Vino bianco cominciò a sgorgare dalla punta della bacchetta. Possibile che ancora non si fosse ripreso? Possibile che fosse arrivato a un punto in cui era necessaria la riabilitazione? Di solito a quell’ora era già in grado di trasfigurare piccoli animali.

Provò a fermare la perdita. La fermò, ma in compenso fece diventare le pareti arancioni, e poi verdi, e poi viola e poi... fece cadere la bacchetta a terra, troppo spaventato. Emily aggrottò le sopracciglia. “Che cos’era tutto questo? Sta cercando di ingannarci, forse?”

“No” rispose Ron fremendo. Era sul punto di scoppiare a piangere. Come un bambino. Come il bambino che non era più. I bambini non si ubriacano il venerdì sera. I bambini non fanno sesso con delle sconosciute. I bambini non insultano la moglie. I bambini non amano con disperazione.

“Io.. per ora non sono in grado di usarla.”

Emily lo guardò dritto in faccia. Ron non osò farlo a sua volta. Quella ragazza lo intimidiva. Lo metteva dritto di fronte alla sua vergogna.

“Allora portami da qualcuno che può”

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