Quando ci si innamora è come se si tornasse ragazzini.

di nathalia97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Trama. ***
Capitolo 2: *** Prologo. ***
Capitolo 3: *** One. ***
Capitolo 4: *** Two. ***
Capitolo 5: *** Three ***
Capitolo 6: *** Four. ***
Capitolo 7: *** Five. ***
Capitolo 8: *** Six ***
Capitolo 9: *** Seven. (First Part) ***
Capitolo 10: *** Seven. (Second Part) ***
Capitolo 11: *** Eight (First part). ***
Capitolo 12: *** Eight. (Secondo Part). ***
Capitolo 13: *** Nine. ***
Capitolo 14: *** Ten. ***
Capitolo 15: *** Eleven. ***
Capitolo 16: *** Twelve. ***
Capitolo 17: *** Thirteen. ***
Capitolo 18: *** Fourteen. ***
Capitolo 19: *** IMPORTANTE! ***
Capitolo 20: *** Fifteen. (Ultimo capitolo) ***
Capitolo 21: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Trama. ***


 
Quando ci si innamora è come se si tornasse ragazzini.


TRAMA...


Due ragazzi, si fa per dire, che visti da fuori non hanno niente in comune,
tranne una storia difficile alle spalle.
Summer e Justin, entrambi 23enne, si conosceranno in circostanze
non del tutto "appropriate".
Subito nascerà qualcosa fra loro, che non avrà un nome specifico.
si sentiranno al settimo cielo, in un primo momento, per poi sentirsi
come se stessero 10 metri sotto terra.
Quello che sembra nascere tra i due, sembrerà un sentimento d'amicizia,
ma si sa che non si può mentire al cuore.
Dopo anni e anni molti segreti verranno a gala, portandosi
con sé una tragedia dopo l'altra.
Dovranno essere forti e stare insieme per uscire vivi da quella
prigione che è la loro vita.
Insieme riusciranno ad abbattere le barriere e mostrarsi per quello
che sono realmente, senza paura di venir giudicati.
Una storia ambientata nel anno 2016 e con un finale a sorpresa.
La storia di Summer Anne Jones e di Justin Drew Bieber, potrebbe sembrare
una favola contemporanea che, dopo tante imprese da superare, riescono ad
avere un 'felice e contenti', ma questa non è una favola e,
una storia d'amore come la loro, non è destinata a durare.

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Capitolo 2
*** Prologo. ***


 
Quando ci si innamora è come se si tornasse ragazzini.

"La migliore cosa che ti può capitare nella vita
è d'incontrare qualcuno che conosca a memoria
tutti i tuoi errori, le tue mancanze, i tuoi passi falsi,
i tuoi difetti e le tue debolezze e che tuttavia
continui a pensare che tu sia completamente
incredibile così.
"

-cit.

 
PROLOGO.

 
 

Nei pressi di Toronto, in una villetta, c'era già un via vai di persone nonostante l'orologio appeso al muro del lussuoso salotto segnava appena le 10 del mattino. Tutto quel trambusto era dovuto al matrimonio più atteso del Canada, di cui era sulla bocca di tutti, di cui i media non smettevano di parlare, discutere e a provare ad indovinare più dettagli possibili. Quello sarebbe stato il matrimonio del secolo -subito dopo a quello di William e Kate ovviamente-.

Quello era il matrimonio di Summer Anne Jones e Dylan Verone.

Quest'ultimo famoso per essere il figlio di uno degli uomini più ricchi al mondo: Richard Verone. Possedeva più di 100 hotel a cinque stelle in varie parti del mondo, possedeva anche tanti casinò e, per ultimo, vari terreni che in quel momento erano in mano al figlio. Ma tutto questo sarebbe cambiato. Dylan era il suo unico figlio perciò il suo unico erede. Promise al figlio, quando aveva appena compiuto 5 anni, che quando si sarebbe sposato avrebbe avuto tutto il patrimonio del padre in mane sue e, così, tutto era pronto per quel grande giorno. Presto il suo piccolino si sarebbe sposato e sarebbe stato a fianco ad una donna che era all'altezza di prendere il cognome che accompagnava la sua famiglia da secoli ormai.
Aveva sempre visto Summer come una donna con la testa sulle spalle dalla prima volta che la vide -alla sua festa di compleanno per i suoi 19 anni. La madre era una di quelle mamme che davano più importanza ai soldi che ai propri figli e che pretendevano che loro entrassero in un certo livello della società, e lo aveva sempre detto anche Summer. Si potrebbe dire che erano accuse forti da pensare sulla propria madre, ma tutti sapevano che era effettivamente così, senza i ma e i se. Fu una delle cose di cui Richard fu attratto quando accettò l'invito a quella festa. Una madre così non poteva che far crescere una figlia totalmente l'opposto. Fu molto contento quando poté contestare quella sulla affermazione.
È sempre stato molto affascinato da come quella ragazza riusciva a parlare con disinvoltura, semplicità, a come riuscisse a rispondere alle provocazioni in modo elegante e senza volgarità, a come camminava in modo sensuale nonostante i tacchi vertiginosi, a come sapeva ridere in un modo soft. Sapeva essere simpatica, divertente e carina con tutti. Rimasse sorpreso quando vide che non le importava il lusso, il denaro, ma la semplicità e alle cose che aveva un uso pratico e non di decoro. Riusciva ad essere meravigliato e sorpreso ogni giorno da quella ragazza, come suo figlio d'altronde. Aveva sempre creduto che la ragazza perfetta per Dylan fosse solo nei suoi sogni, ma si era dovuto ricredere quando conobbe Summer. Lo vedeva felice e innamorato come non era mai stato. Non aveva paura che lei stesse con lui per i soldi, fama, perché il suo sesto senso diceva che non era così, e non si era mai sbagliato. Non aveva nemmeno paura che lei lo distraesse dal proprio lavoro, perché sapeva che lei lo avrebbe tirato giù dalle nuvole come aveva già fatto altre volte, d'altronde anche lei aveva il suo di lavoro e non ci avrebbe mai rinunciato, nonostante i soldi non le sarebbero mancati.
La madre però la pensava diversamente. Aveva provato a convincere la figlia a smettere di lavorare, dicendole che non ci sarebbe stato bisogno, ma Summer ostinava a risponderle di no. Adorava il suo lavoro. Aveva sempre voluto fare la psicologa. Mentre alla domanda 'cosa vuoi essere da grande?' tutti i bambini rispondevano che volevano essere una principessa, un'astronauta o un super eroi, lei rispondeva psicologa e non aveva mai cambiato la scelta e non se n'era mai pentita. Amava ascoltare la gente e poter aiutarle, almeno in parte. Si sentiva importante e questo la rendeva felice. In quel ambito si poteva conoscere tante persone fantastiche e lei lo sapeva bene. Non li trattava come se fossero dei semplici pazienti, ma come se fossero degli amici. Riusciva a conoscergli. A conoscere la loro paura, la loro debolezza, ma che i loro punti forti. Molto speso si metteva a piangere ascoltando le loro storie.
Aveva le lacrime facile, ma questo non era un difetto agli occhi di Dylan. Sinceramente lui pensava che i suoi difetti erano i suoi pregi. Se ne era così innamorato che non li notava, non li aveva mai notati. Credeva che l'amore a prima vista fosse cosa da film, ma si dovette rimangiare quelle parole appena la vide per la prima volta durante la festa, dove era stato trascinato da suo padre. Appena incrociò quei occhi di un marrone dorato, una scossa percorse tutta la sua schiena, seguita da una perdita di un battito del cuore quando vide quel suo sorriso perfetto per la prima volta. Sentì il bisogno di conoscerla come se fosse stata lei quella giusta per lui. E con i passare degli anni ne era sempre più convinto e non gli importava se un giorno lei non sarebbe più stata innamorata di lui, perché era certo che sarebbe riuscito a conquistarla nuovamente come ci era riuscito in passato.
Il matrimonio era due cosa per Dylan: importante e sacro. Non ci si poteva giocare con esso. Lo pensava così anche la sua futura moglie ma trovava noioso, banale e inutile dover preparare qualcosa di sfarzo. Aveva sempre desiderato qualcosa di intimo, con parenti e amici stretti, ma sua madre era di tutt'altro parere. Così Summer lasciò in mano sue la preparazione del matrimonio e del ricevimento, dove quest'ultimo si sarebbe svolto nella 'piccola' -si fa per dire- villetta della madre. Lasciando i preparativi alla donna che l'aveva cresciuta, lei sarebbe potuta stare tranquilla e svegliarsi tardi nel suo giorno libero, proprio come quella mattina.
Si era appena svegliata nel suo comodissimo e nuovissimo letto in camera sua, a Stratford. Una cittadina vicina a Toronto, ma che per lei era distante chilometri e chilometri dalla casa della madre. Sarebbe stata tutto il giorno sul divano a far nulla. Ma, nonostante avesse lascito carta bianca a sua madre, essa continuava costantemente a riempirle di chiamate e chiederle se si potevano vedersi per poter discutere dei centri tavoli, dei fiori, il colore dominante, ecc ecc. Cose di cui non si interessava affatto. Era pronta per alzarsi, anche se di contro voglia, quando la porta del bagno in camera sua si aprì. Apparve sulla soglia un uomo dai capelli castani, occhi di azzurro ghiaccio, con una leggera barba che lo rendeva sexy. Quel giorno lo era particolarmente di più perché, l'unica cosa che lo copriva, era un asciugamano sulla vita che lasciava la possibilità di vedere il suo petto perfettamente scolpito ed i muscoli sulle sue braccia possenti. Non si ricordava che lui avesse dormito a casa sua. Sinceramente non si ricordava niente della sera precedente. Era certa però, di non aver bevuto nemmeno un goccio d'alcol, eppure era come se avesse un vuoto di memoria. Ma, quando ebbe la possibilità di incontrare quegli occhi azzurri, si sentì sciogliere. L'attizzava molto vederlo dopo una doccia con ancora i capelli bagnati. Summer, non riuscendo a stargli lontano, si mise a 'quattro zampe' sul letto e si avvicinò a bordo di esso, come fece anche lui. Si ritrovarono distanti un millimetro di distanza e, quando le loro labbra si incontrarono, Summer sentì le farfalle nello stomaco, come se fosse stata la prima volta che sentiva quel sapore di menta. Dylan fece scivolare le sue mani, che erano appoggiate sulla sue spalle, fino al suo fondo schiena. Strinse forte le sue natiche, facendola stenderla sul letto con lui sopra. Fece per toglierle la t-shirt rossa di tre taglie più grande, quando il telefono di Summer cominciò a squillare. Si alzò leggermente a lesse sullo schermo Tiffany, la sua segretaria. Subito sentì il suo sesto senso in allerta. Pregò tutta se stessa per che si stesse sbagliando, ma sapeva benissimo che se Tiffany la chiamava nel suo giorno libero, doveva essere successo qualcosa di grave. Rispose subito alla chiamata con un flebile 'pronto'. "Mi scusi disturbarla dottoressa Jones," rispose la voce dall'altra parte del telefono "ma mi hanno pregato di informarla che Jazmyn Bieber è stata ricoverata questa mattina al Sants Elena Hospital per aver bevuto una enorme quantità di candeggina, probabilmente dopo una delle sue solite crisi" a quelle parole, Summer, sentì mancare il respiro ed era sicura di aver perso un battito del cuore.

 

 

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¡Hola chicas! :D
So che avrei dovuto aggiornare entro venerdì ma ho avuto dei problemi.. SORRY!! D:
Comunque eccolo qua il primo capitolo, non è un gran che ma è pur sempre il primo.. Presto apparirà il nostro super sexy uomo!

Beh adesso vi lascio, non sono riuscita a postare le foto dei personaggi, sono impedita, ma spero di farmi perdonare e di riuscirci D:

Alla settimana prossima!!
CIAOOO RAGAZZUOLE!! :3

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Capitolo 3
*** One. ***


 
Quando ci si innamora è come se si tornasse ragazzini.

"L'amore è forse un po' come la bicicletta.
Impari ad andarci, però poi prendi una buca
e cadi, ed allora hai paura a salire di nuovo,
fino a quando qualcuno non ti incoraggia e
 ti fa ricominciare di nuovo come
fosse la prima volta.
"

-cit.

 
CAPITOLO UNO.



 

Summer era arrivata alla porta 325 con il fiatone. Era corsa subito all'ospedale dopo la chiamata di Tiffany e, quando ci arrivò ed ebbe le informazioni necessarie per arrivare alla camera di Jazmyn, non aspettò un minuto di più. L'angosciava dover aspettare l'ascensore, così decise di optare per le scale. Ringraziò se stessa per aver avuto la brillante idea di mettersi le Vans quando si era cambiata. L'unica cosa che aveva bisogno in quel momento, non era sicuramente un gamba rotta. Aveva fatto 5 piani di scale, ma fu al settimo cielo quando arrivò davanti alla porta. Una volta davanti ad essa prese la maniglia fra le mani decisa ad aprire. Non bussò nemmeno. L'infermiera che le diede le informazioni disse che Jazmyn stava dormendo e non le era minimamente passato per la testa che ci potesse esserci qualcuno dentro.
Nello stesso momento in sui abbassò la maniglia dall'esterno, qualcun altro fece lo stesso dall'interno. Appena la porta si aprì, lei tolse subito la mano e rimané immobile davanti a quella persona.

Dire che era bello era un eufemismo. Indossava dei pantaloni neri, con le sneakers del medesimo colore, una camicia bianca con le maniche arrotolate che lasciava a vedere il braccio sinistro pieno di tatuaggi, ed i primi tre bottoni di essa sbottonati, lasciando la possibilità di intravedere un petto perfettamente scolpito. I capelli di un biondo scuro sparati tutti in aria, che gli dava un'aria sexy. Ma quello che la colpì di più furono i suoi occhi, di un color miele con tratti dorati. Aveva sempre viaggiato molto e visto posti incredibili, ma quei occhi erano qualcosa di inverosimile. Appena ebbe un contato visivo con loro pensò subito che non aveva mai visto niente di così bello. Era come se fosse stata rapita da quelle due palline. Era immobile, non muoveva un muscolo o meglio, non ci riusciva. In quel momento si era dimenticata di tutto: del lavoro, del matrimonio, della madre, di Dylan. Tutta la sua attenzione era concentrata sul uomo che aveva davanti e la cosa era reciproca. Lui era rimasto affascinato quando vide quella giovane donna davanti a sé. Indossava dei semplici pantaloni di un rosa pesca, delle Vans bianche ed una maglietta a righe bianche e nere che le arrivava appena sotto il sedere. I capelli lasciati sciolti e mossi che ricadevano leggeri e morbidi sulle spalle di un colore castano. Gli occhio di un marrone dorato che, a suo viso, erano i più belli che avesse mai visto. Quando incrociò il suo sguardo sentì una scossa percorrere tutto il suo corpo, dopo tanto tempo. Credeva fosse stato impossibile rivivere una sensazione simile dopo essere stato piantato all'altare dalla donna che credeva di amare.

 Erano passati due anni da quel giorno e da allora non aveva più pensato alle donne, ma solamente al suo lavoro, se così si possa definirlo. Ormai non sorrideva più, era come se fosse stato ucciso dentro, ma quando vide quella entità femminile davanti a sé, bella, dall'aria sicura... sorrise. Il suo primo e vero sorriso da quel maledetto giorno.
Quel sorriso provocò a Summer un leggero rossore sulle guancia che la fece subito distogliere lo sguardo. Era difficile farla arrossire, era quasi impossibile, eppure...
Neanche quando sua madre beccò lei nuda sotto a Dylan si vergognò, anzi, se la rise per un'intera settimana. E adesso arrivava quel uomo, con fare sexy e seducente, che con un fottutissimo e semplicissimo sorriso, la faceva imbarazzare come nessuno ci era mai riuscito in quei suoi 23 anni di vita.
Per non dimostrarsi debole rialzò il viso verso di lui e, portandosi una ciocca di capelli, che le era caduta sul volto, dietro l'orecchio, ricambiò con un flebile sorriso allungando la mano verso l'uomo. "Piacere" gli disse in un sussurro "Sono la psicologa di Jazmyn. La dottoressa Summer Jones" accennò ancora a un risolino verso di lui, che annuì leggermente afferrando la mano "Piacere." ricambiò il saluto iniziale "Sono il fratello maggiore, Justin Bieber" le si fermò il cuore a quel nome.
Jazmyn non faceva che parlarle di lui e, la frase che le diceva ogni volta prima di andare via da una seduta, le tornò in mente senza alcun preavviso: 'Quando avrai l'onore di conoscerlo, avrai il bisogno di averlo sempre con te". Aveva sempre pensato che fosse una stupidaggine, ma adesso che lo aveva davanti, faceva fatica ad immaginare di andarsene da lì, senza di lui.
Anche Justin rimase spiazzato quando scoprì chi era quella giovane donna. Gli venne, nello stesso momento di Summer, la frase che le diceva la sorella ogni volta che gli parlava della dottoressa 'Quando avrai il privilegio di conoscerla, non riuscirai mai più a chiudere gli occhi e a non vederla nella sua bellezza' . Aveva sempre pensato a Summer dopo quella frase, ogni volta. Era sicuro che se mai, l'avesse incrociata per strada, l'avrebbe riconosciuta, nonostante non l'avesse mai vista, ma non si era mai immaginato tanta bellezza in una sola persona. Per lui era qualcosa di impossibile, di irreale, di fantascienza, ma ora che l'aveva davanti si era dovuto ricredere. Si era dimenticato di tutto: dello stress del lavoro, dei ragazzi, di Jaxon, del passato, perfino di Jazmyn. In quel momento sentiva solamente una leggera paura dentro di sé. Paura di chiudere gli occhi e di non poter più vedere il buoi ma solamente la bellezza della donna che aveva davanti, come glielo ripeteva Jazzy. Non aveva timore di lei ma di se stesso, di innamorarsi di nuovo e perdere ancora. Non poteva sentirsi e farsi vedere debole o almeno non un'altra volta. Il passato era passato e pretendeva che rimanesse tale. Ma quegli occhi, quella bocca, quei capelli, quel corpo, accese qualcosa dentro di lui, non un qualcosa che era stato spento, ma un qualcosa che non era mai stato acceso. Sapeva i rischi a cui sarebbe andato in contro una volta che avrebbe deciso di voler conoscerla, ma non ci poteva fare niente. I propri sentimenti non vanno negati, gli ripeteva la madre da piccolo. Sarebbe stato capace di dare la sua propria vita per salvare Summer nonostante quella fosse la prima volta che la vedeva in vita sua. Ma non aveva scelta, doveva conoscerla.

 

 

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Hello girls :D

Ho postato subito il capitolo 2 per farmi perdonare per non aver mantenuto la promessa del primo capitolo,
odio quando non posso mantenere una promessa,
perciò, per farmi perdonare, ho pubblicato subito.

Spero vi piaccia, anche se è corto! :)

Beh, che altro dire?
goodbye :D

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Capitolo 4
*** Two. ***


 
Quando ci si innamora è come se si tornasse ragazzini.

" « Perché ti preoccupi sempre degli altri? »
« Lo faccio perché so come ci si sente
quando nessuno si preoccupa di te. »
"

-Cit.


CAPITOLO DUE.



 
"Ecco a te" Summer gli consegnò il cappuccino che aveva chiesto. Ormai erano passati due ore dal loro scambio di sguardi e da allora rimasero in stanza, dove Jazmyn era ancora sotto anestesia, a parlare, a conoscersi. Ogni tanto ridevano ed era in momenti come quelli che i  due si godevano la risata dall'altra di nascosto, come se quei suoni fossero qualcosa di magico, di unico.
In quel momento Summer stava ammirando tutta la bellezza dall'uomo che era seduto su una di quelle scomode sedie vicino al letto, mentre lei era in piedi appoggiata alla parete. Quando alzò lo sguardo verso di lei, poté vedere un qualcosa di diverso.. Nel suo sguardo poté notare la tristezza, l'angoscia, probabilmente anche la paura e la stanchezza si faceva vedere. Sotto quelle due palline si vedeva chiaramente due macchie che non avevano niente a che vedere con il suo colorito uniforme. Pensò di fare la cosa più intelligente che qualcuno in una situazione simile avrebbe fatto.
Si avvicinò a lui con cautela, quando riposizionò lo sguardo sulla sorella. Gli posò la mano sinistra sulla spalla destra, che lo fece subito girare verso di lei. Gli sorrise in modo rassicurante. "Ti vedo stanco. Credo che sia meglio che tu vada a casa, che mangi qualcosa, ti faccia una bella doccia, che dormi un po' e che poi torni da lei.." sembrava sua madre quando gli parlò e questo gli fece ritornare il suo volto nella sua mente, un volto quasi irriconoscibile, un volto quasi dimenticato.
Scosse subito la testa a quella immagine ed istintivamente annuì, non voleva discutere. Summer aveva ragione. Era stanco. La notte prima era rientrato a casa verso le 6, perché aveva avuto delle cose da fare con i ragazzi. Andò subito a letto, ma quando furono le 9, la scuola lo aveva chiamato e si dovette alzare e correre in ospedale. Non riusciva proprio a capire cosa era preso alla sorella per provare il suicidio, ma per lui adesso l'importante era che non fosse successo niente e che una dei suoi motivi di vita fosse ancora viva.
Prima di andare, diede un bacio sulla fronte Jazzy ed un'altro sulla guancia di Summer, che la fece arrossire. Un sorriso gli apparve sul viso mentre lei si malediceva mentalmente. "Sei tutta ros.." cominciò lui, ma lei lo fermò bruscamente "Zitto!" disse indicando con l'indice la porta. Una risatina gli scappò mentre usciva, provocando uno sguardo assassino da parte di Summer.
Si sorprendeva di se stesso quel giorno. Erano passati anni dall'ultima volta che aveva sorriso o riso, ma con quella donna gli sembrava tutto così semplice, naturale, spontaneo che, solo a suo pensiero, gli comparse un'espressione di gioia, di serenità, mentre guidava verso casa, senza neanche accorgersene. Si sentiva bene come non era mai stato e non sapeva se essere contento o preoccupato, perché sapeva benissimo, e aveva imparato dalle proprie esperienze, che quando tutto andava per il verso giusto arrivava qualcosa che travolgeva la tranquillità.
 
 
SUMMER POV.
 
La vedevo lì, immobile, su quel lettino bianco. Era passata mezz'ora da quando Justin se n'era andato e Jazzy non si era ancora svegliata. Era pallida e questo mi metteva i brividi.
Le accarezzai con il pollice la mano che avevo fra le miei e piano piano la vidi aprire gli occhi. Dei bellissimi occhi azzurri, aggiungerei.
Guardava stanca e spaesata in giro. Quando si girò verso di me, le sorrisi in modo amorevole e lei si tranquillizzò.
L'aiutai ad alzarsi leggermente sul letto, ma senza ricevere nessun sguardo da parte sua.. era come se non volesse che io mi trovassi lì.
"Jazmyn?" provai a chiamarla, mentre guardava fuori dalla finestra, ma niente. Aveva questa abitudine, quando faceva qualcosa e veniva scoperta o era arrabbiata: non guardava in faccia nessuno e non fiatava. "Jazmyn ti prego. Non puoi fare così ogni volta" riprovai, ma niente, così sbuffai. "Se continui a fare così me ne prendo e me ne vado e ti toccherà poi dare spiegazioni direttamente a tuo fratello" provai a minacciarla e sembrò funzionare. Si girò subito verso di me con gli occhi sgranati.
"No, ti prego. Non te ne andare. Ho bisogno di te" la sua voce uscì quasi in un sussurro e quelle parole mi fecero spuntare un leggero sorriso sulle labbra "Non me ne vado, piccola." le accarezzai i lunghi capelli biondo cenere "Mi dici che è successo?" chiesi e lei scosse la testa facendomi sospirare "Sono stati ancora i tuoi compagni di scuola, vero?" provavo ad ottenere più risposte possibile. Lei annuì. "Cosa ti hanno detto?" le domandai provando ad avere un contatto visivo che però fallì. Si girò nuovamente verso la finestra e prese un lungo respiro "M-mi hanno detto c-che sono grassa, che sembro una balena, che sono brutta, e che sono stata uno sbaglio... C-che ci sarà stato un motivo per cui i miei mi hanno abbandonata con quel drogato e assassino di mio fra-fratello" il cuore mi salì alla gola vedendola piangere. Mi alzai subito dalla sedia ed andai ad abbracciarla, ma il rumore della porta che si spalancava con violenza, andando a sbattere al muro, mi fece sobbalzare.
 
 
JUSTIN P.O.V.
 
 
Stavo bene dopo aver dormito, nonostante fosse stato solo per 15 minuti. Il mio unico pensiero era su Jazmyn. Volevo tornare al più presto all'ospedale, così mi decisi a cambiare. Optai per qualcosa di comodo. Stetti neanche due secondi davanti all'armadio. Indossai dei pantaloni della tuta blu notte, una t-shirt bianca, come il colore delle Supra. Stetti un po' di più davanti allo specchio a sistemarmi i capelli, in fondo non diventavano perfetti da soli. Avevano un non so che di Swag.
Dopo aver controllato che ero 'perfect', presi le chiavi della mia ferrari bianca e partii. Passai prima al Mc Drive a prendere da mangiare a Jazzy e Summer e poi mi diressi senza alcun'altra sosta verso l'ospedale. Erano le 15 e 30. Era passata solo mezz'ora da quando ero andato via.
Ero felice mentre camminavo per il corridoio dove si trovava la stanza di Jazzy. Se avessi avuto tempo, avrei fermato tutte le persone lì presente per salutare e chiedere la loro giornata, ma decisi di non passare per un psicopatico che aveva bisogno di cure.
Quando arrivai alla porta potevo sentire Summer parlare e pensai subito che Jazmyn si fosse svegliata. Stavo per entrare ma mi bloccai quando sentii la parola 'fratello' e misi insieme il discorso iniziale "Se continui a fare così me ne prendo e me ne vado e ti toccherà poi dare spiegazioni direttamente a tuo fratello" rabbrividii a quelle parole. Poi, dirmi che? Aspettai che qualcuno continuasse e lo fece una voce diversa, ancora da ragazzina "No, ti prego. Non te ne andare. Ho bisogno di te" le uscì come un sussurro. Aspettai ancora fuori "Non me ne vado, piccola" sentii in risposta e mi immaginai Summer che le accarezzava i capelli come lo faceva mamma. "Mi dici che è successo?" si sentì poi. Tesi bene le orecchio per poter ascoltare la risposta ma non sentii niente, anzi, Summer parlò ancora "Sono stati ancora i tuoi compagni di scuola, vero?" ancora? Perché ancora? Era già successo altre volte? Milioni di domande mi frullavano per la testa, facendo aumentare la rabbia, ma decisi di trattenermi. 
Non udii nessuna risposta da parte di Jazzy, probabilmente aveva fatto un cenno con la testa ed speravo che fosse un no, ma la domanda successiva di Summer mi fece intendere che era stato l'opposto "Cosa ti hanno detto?" pensai che forse adesso Jazmyn avrebbe ceduto e avrebbe risposto alla domanda e, più tempo passava in silenzio, più la rabbia nel mio corpo saliva "M-mi hanno detto c-che sono grassa, che sembro una balena, che sono brutta, e che sono stata uno sbaglio... C-che ci sarà stato un motivo per cui i miei mi hanno abbandonata con quel drogato e assassino di mio fra-fratello" *BOOM* fu il rumore della esplosione che avene nel mio cuore, come se mi fossi trovato in un fumetto. Non sentii più il controllo di me stesso e la calma era andata a farsi benedire.
Entrai in quella stanza provocando un gran boato per colpa della porta. Mi si aprii un buco nello stomaco quando vidi mia sorella in lacrime mentre Summer era in piedi. In quel momento pensai alle sue parole dette poco fa a Jazzy. E misi insieme i pezzi. Lei sapeva. Sapeva tutto. Probabilmente non era la prima volta che Jazmyn si faceva del male. Tutte le volte che stava zitta, non parlava, avevano un motivo. Probabilmente soffriva di bullismo a scuola ed io non ne sapevo niente mentre lei sì. Lei sapeva, ma non aveva fatto niente per fermare questa cosa.
Il mio sguardo si spostava da lei a mia sorella, in continuazione, finché non si fermò sulla donna che fino a qualche ora fa l'avrei considerata una completa sconosciuta "Tu!" mi uscì con voce ferma ed arrabbiata, mentre le puntavo il dito e mi avvicinavo e lei indietreggiava "Tu lo sapevi, non è vero? Sapevi che c'erano ragazzi che si burlavano di mia sorella, non è così?" ormai urlavo. 
Non otteni nessuna risposta, ma quel suo silenzio confermò i miei sospetti. "Lo sapevi e non hai fatto niente, giusto?" ormai era appoggiata al lettino di Jazzy e non rispondeva "Rispondi cazzo!" le urlai ancora. Mi guardò uno stante "Non potevo fare niente" disse quasi in un sussurro, mentre i miei occhi si spalancavano "Niente?" ripetei ridacchiando nervosamente "Potevi dirmelo, non credi?" le lanciai il peggior sguardo che avevo. "Se non sai, i pazienti hanno diritto al segreto professionale, io non sono autorizzata a riferire niente a nessuno se il paziente non è d'accordo" la sua espressione facciale era indecifrabile ora. Risi ancora, ma di divertente non c'era nulla "E hai preferito che venisse picchiata e offesa. Wow complimenti. Hai fatto in modo ottimo il tuo lavoro" il sarcasmo si sentiva nelle mie parole. Il suo sguardo si fece cupo quasi quanto il mio ed incrociò le braccia sul petto "E cosa avresti fatto se lo avessi saputo,eh?" mi domandò, ma non mi lasciò il tempo di rispondere che continuò e si vedeva che era incazzata. "Puntare la pistola in testa ad una decina di ragazzini non avrebbe di certo funzionato. Avresti solo confermato che sei un assassino ed un drogato!" sputò quelle parole senza pensarci, perché subito dopo aprì la bocca per lo stupore. Stava per dire qualcosa, ma ormai era troppo tardi. Quelle parole mi fecero salire il sangue al cervello e non ci vidi più dalla rabbia. Le presi i polsi con forza e la sbattei al muro talmente forte, che un urlo le uscì dalla bocca. Non dissi e feci nulla. Continuava a ripetere il mio nome ed ogni volta che lo faceva, stringevo di più le mani. Ero come entrato in un altro mondo. Non mi importava e non mi rendevo conto di quello che stavo facendo. Tornai in me solo dopo aver visto delle lacrime uscire da quelli occhi che, tre ore prima, mi avevano rapito, e dopo aver sentito quella sua frase straziante "Ti prego, lasciami! Mi stai facendo male". Sentii una stretta al cuore e mi allontanai subito da lei. La vidi cadere a terra e portarsi le gambe al petto e abbracciarle, nascondendo il viso fra esse.  Nella stanza regnava il silenzio, si sentivano solo i singhiozzi di Summer. Mi sentivo come se quei singhiozzi mi accoltellassero e sentii il bisogno di chiarire, anche se non l'avrei biasimata se non mi perdonasse.
Mi chinai verso di lei, così da poter essere alla stessa altezza. "Summer?" la chiamai provando ad avere una voce normale, ma mi uscii roca. Non rispose, così le posai una mano su un braccio ma lei, con un movimento veloce e brusco, mi scansò "Non mi toccare." la sua voce uscì ferma, decisa, ma anche malinconica, triste, spaventata. A quelle parole sentii il cuore a pezzi e la voglia di spaccare tutto saliva.
Volevo dirle qualcosa ma un'altra voce, questa volte più liscia, più da ragazzina, mi chiamò "Justin.." mi girai verso Jazmyn e notai le sue guance bagnate. Scosse la testa come se avesse capito cosa volessi fare ed il respiro mi tornò a mancare ancora. Guardai un'altra volta Summer seduta per terra, ma questa volta mi stava guardando. Quello sguardo mi distrusse del tutto.
Mi lasciai cadere a terra portandomi le mani ai capelli. Gli occhi pizzicavano ma mi trattenevo dal piangere. Restammo in silenzio per un lungo tempo, si sentiva solo i passi delle persone fuori oppure il pianto di qualche bambino. Ma poi sentii dei passi dietro di me ed alzai subito lo sguardo e non trovai Summer davanti. Girai la testa e la trovai in piedi che prendeva la sua borsa. Si avvicinò a Jazmyn e le diede un bacio fra i capelli e le sussurrò qualcosa che non potetti sentire. Non mi degnò di uno sguardo e quando credetti che non lo avrebbe fatto, prima di uscire dalla stanza, si fermò e si girò. I nostri sguardi si incrociarono per 10 secondi, lo so perché li avevo contati. Una nuova lacrima le rigò il viso e lei l'asciugò velocemente prima di girarsi e andarsene.

Dovetti stare un attimo fermo per riuscire a realizzare quello che era appena successo e quando lo feci non ci credetti. "No! No! No! No!" continuavo a ripetere a bassa voce, a me stesso, finché non mi accade un qualcosa dentro, che mi fece balzare in piedi. Sapevo bene cos'era: era il senso di colpa. Quella orribile sensazione che avevo provato a sopprimere nel tempo, insieme a tante altre. "Sei uno stronzo!" urlai a me stesso dando un pugno al muro "Un fottuto bastardo!" un'altro pugno "Una testa di cazzo!" un'altro ancora. Continuai così. Potevo sentire la voce di Jazmyn che mi chiamava e mi chiedeva di smettere, ma non le diedi retta. Continuai e continuai finché due uomini, probabilmente della sicurezza, non mi presero a forza i polsi facendomi smettere.
Quando mi tranquillizzai mi lasciarono ed io mi appoggiai al muro scivolando giù, fino a sedermi. Avevo le gambe piegate e le braccia appoggiate ad esse. Il mio sguardo perso nel vuoto. Potevo vedere delle immagini offuscate che facevano avanti e dietro e delle voci a cui non riuscivo a dare volti e non riuscivo a capire cosa si dicevano. Per me erano solo un ronzio, come quelle delle api o delle mosche. E poi, qualcosa di salato e amaro mi arrivò sulle labbra. Non mi ero accorto di star piangendo fino ad allora. Mi maledissi da solo. Era passato tanto tempo dall'ultima volta che avevo pianto, che quella sensazione era scomparsa dal mio corpo.
Non avevo mai voluto fare del male a Summer eppure l'avevo fatto e mi sentivo una merda.
"Sei una testa di cazzo, Justin. Lei è stata la prima ragazza che ti ha fatto rivivere sentimenti repressi da tanto tempo e anche dei nuovi che non avevi mai provato, e la tratti così, dopo neanche tre ore che la conosci. Complimenti amico. Se la volevi allontanare, ci sei riuscito"
Era questo che la vocina nella mia testa diceva e non potevo darle torto. Stavo piangendo per una donna e che per di più conoscevo da solo poche ore, ma aveva qualcosa di famigliare. Un qualcosa che avevo già visto e poi ci arrivai.
Il suo modo di parlare, di agire, di interagire con gli altri, ricordava mia madre. Era una donna a dir poca stupenda, ma che era dovuta scappare per colpa di mio padre.

La frase che mi disse Summer mi rimbombava in testa "Ti prego, lasciami! Mi stai facendo male". Era una coltellata al cuore ogni volta che essa si ripeteva e si ripeteva. Mamma la ripeteva sempre quando papà la picchiava. Molte volte non era ubriaco, si divertiva solo a farle del male e a sentirsi pregare di smettere. Da piccolo mamma mi chiudeva in camera per paura che lui facesse del male anche a me, ma lo faceva lo stesso, anche se non fisicamente. Stare chiuso in una stanza, appoggiato alla porta, mentre sentivi tua madre implorare, che le faceva male, era peggio di una pallottola al petto. Lui la obbligava a fare sesso e questo gli portò tre figli che non aveva mai amato, ma tanto questo non faceva né caldo né freddo a nessuno. Tutti lo odiavamo, tranne mamma. Nonostante tutto il male che lui le faceva, lei riusciva a vedere del buono in lui e lo amava, con tutta se stessa e amava anche noi, che eravamo 'il frutto del loro amore' come diceva lei. Quando compii 18 anni, lasciò la custodia di Jazmyn, allora 11enne, e Jaxon, che allora aveva 7 anni, a me. Scappò via il giorno dopo il mio compleanno, non dicendo nulla a nessuno, ma sapeva benissimo che, appena nostro padre avrebbe saputo della sua scomparsa, sarebbe andato alle sue ricerche. E così fu. Non li vidi e non li sentii mai più da quel giorno. 

Quel giorno promisi a me stesso che mi sarei preso cura dei miei due fratelli, gli unici che mi erano rimasti, e che non avrei mai toccato una ragazza, perché solo i mostri lo facevano ed era così che mi sentivo in quel momento, un mostro, come lo era mio padre. Come si dice, tale padre tale figlio, no?
 
 
 
SUMMER POV.

 
4 giorni. 4 fottutissimi giorni erano passati da quel giorno. 4 giorni che non uscivo di casa.
Avevo preferito chiedere delle ferie usando la scusa del matrimonio, anche se quello era l'ultimo dei miei pensieri. Avevo ringraziato Dio quando arrivata a casa quel giorno dall'ospedale, mia madre mi aveva detto che partiva per New York così come Dylan. Dovevano controllare se i lavori della nostra nuova casa fossero quasi finiti.
Avevamo deciso di cambiare aria una volta sposati. Appena di ritorno dalla luna di miele, dalla destinazione misteriosa, ci saremmo trasferiti a New York, in una casa costruita appositamente per noi, anche se l'idea non mi piaceva molto. Mi bastava una qualsiasi, ma a quanto pare a Richard Verone non andava a genio, infatti pagava lui tutti i lavori. Era il suo regalo di matrimonio, diceva. Uno dei tanti però.
Non sapevo quando sarebbero tornati. Probabilmente una settimana prima del grande giorno e mi andava bene così, almeno non mi vedevano nello stato in cui mi trovavo.
Quel giorno dall'ospedale uscii di corsa e, nemmeno una volta in macchina, frenai la voglia di correre ed arrivare a casa il prima possibile.
Piangevo, piangevo e piangevo, ma non ne ero a conoscenza del motivo. Sapevo che non era per il dolore o almeno non quello fisico. Forse ero solamente delusa.

Delusa da uno che conoscevi da solo tre ore?

Stupida vocina nella mia testa. Odiavo quando essa parlava e poi sì, delusa da un uomo che conoscevo da tre ore. Il punto era che non avrei mai pensato che mi avrebbe potuto fare del male ed alterarsi così tanto per una frase. Okay, ero stato una stupida a dirgli quello, ma non so neanche perché glielo dissi. Insomma, una psicologa dovrebbe sapere come comportarsi in momenti simili, no? Ma allora perché mi uscì una frase così stupida?
 

Perché lui riesce a tirare fuori tutti i tuoi lati, anche quelli tenebrosi.

"Sul serio? Da che parte stai? E poi non è vero. Io non ho mai avuti lati tenebrosi." risposi a voce alta alla vocina.
 
Invece sì, come quella volta che rubasti il succo di frutta a Ellen all'asilo.
 
"Stai togliendo la storia dal suo contesto originale. Per tua informazione, non lo avevo rubato. Lo avevo preso in prestito, infatti le ne portai un'altro il giorno successivo" mi difesi.

Solo perché la maestra ti aveva beccato. Poi ci è stato quella volta che rubasti il fa buchi alla maestra in terza elementare.

"Sì, ma solo perché mamma non mi lasciava fare i buchi alle orecchie ma la maestra mi sorprese e me lo ritirò e poi non le rubai, perché lei ci disse che lo potevamo prendere quando lo volevamo" feci una faccia soddisfatta portando le braccia incrociate sotto il seno.

Te ne rendi conto che stai trovando una scusa a tutto? Ammetti che quel uomo ha un qualcosa che ti fa arrabbiare ma anche imbarazzare.

"No, non è vero!" sbattei i piedi a terra come una bambina capricciosa.

Ammettilo. Non avere paura.

"Io... Io... Io non devo dare spiegazioni a nessuno" risposi mettendo il broncio.
Capii che stavo parlando da sola, e questo mi fece sentire una stupida, solo quando il mio cellulare, appoggiato sul tavolino davanti a me, suonò, avvisandomi di un nuovo messaggio.
Di contro voglia mi allungai leggermente davanti a me, afferrandolo.
 

From: Amore
La casa è quasi finita. Non vedo l'ora di sposarci e venirci ad abitare insieme. Ti amo tanto amore mio. Ci sentiamo domani. Baci. 
 

Era di quello che avevo bisogno. Un dolce messaggio dall'uomo con cui mi sarei sposata per farmi alzare da quello stupido divano.
Mi alzai decisa sul da farsi. Corsi in camera e mi cambiai. Indossai dei pantaloncini da tuta bianchi, una canottiera blu notte e delle semplice ciabatte. Per stare meglio, legai i capelli in una coda alta.
Successivamente riempii un secchio d'acqua, presi degli strofinacci, mi misi i guanti ed ero pronta per pulire quella casa da cima a fondo e, quando ero pronta a farlo, il campanello suonò.
Non feci caso al mio look da barbona ed andrai ad aprire.
Una volta fatto, il mondo sembrò tornare grigio come poco prima. Il dolore ai polsi sembrò tornare, anche se di esso era rimasto solo una leggera macchia violacea, quasi scomparsa. Tornò la delusione a riempire nuovamente i miei occhi, mentre essi ricadevano in quelle altre due palline dorate, come quando si erano incontrate, per la prima volta, 4 giorni prima.

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Capitolo 5
*** Three ***


 
Quando ci si innamora è come se si tornasse ragazzini.

"-Sei ancora arrabbiata?
-No.
-Sei sicura?
-Non sono mai stata arrabbiata con te.
-E com'eri?
-Ferita."

-Cit.


CAPITOLO TRE.
 

La guardava lì, davanti a lui. Era come paralizzato. Non era certo del motivo della sua presenza a casa sua, ma era certo di voler dimostrare a se stesso che non era come suo padre ed a sfatare il proverbio.
Stettero a fissarsi per un istante, ogni uno a pensare a cose diverse.
Lei non sapeva se essere spaventata oppure tranquilla. Non sapeva se doveva avere paura oppure farlo entrare come se niente fosse.
Lui, da parte sua, si scervellava per trovare le parole giuste o meglio, a pensare se esistevano parole per giustificare il suo rude comportamento. Un comportamento che, ogni volta che ci pensava, vedeva in lui suo padre. Il suo volto, i suoi occhi, le sue braccia piene di tatuaggi. In fondo sapeva di essere più simile a suo padre di quanto pensasse, ma si ostinava a crederci o meglio, non voleva. Non voleva nemmeno pensarci, ma sapeva benissimo che provarlo a non farlo gli rendeva la vita impossibile.
A quel suo pensiero rabbrividì e probabilmente lo notò anche Summer, che lo guardò preoccupata. "Justin?" lo chiamò lei, ma non rispose. La guardò meglio un istante e, notando com'era vestita, capì che era impegnata.
"Vedo che hai altro da fare, meglio se me ne vada" provò ad andarsene, forse aveva trovato la medesima scusa per non parlarle, come aveva fatto in quei ultimi 4 giorni, ma lei, con sua grande sorpresa, lo fermò per un braccio.
Nemmeno lei ne era a conoscenza del motivo del perché lo aveva fermato dal andare via. Sapeva solo che qualcosa le diceva di farlo, che non le avrebbe fatto niente, e sapeva anche che non era quella vocina irritante in testa a dirlo. Era decisa a farla cessare del tutto prima o poi, sperava più prima che poi.
"No, non ce n'è bisogno." sussurrò, quasi non si sentiva lei e sperava che nemmeno lui la sentisse. Invece lo capì e quelle parole gli provocarono qualcosa dentro. Era contento, ma allo stesso istante aveva paura.
"Vuoi una mano?" le chiese lui deducendo che stava per pulire casa. Summer come risposta scosse meccanicamente la testa "No, non dev.." fece ma lui la fermò "Insisto" disse.
Le fu spontaneo sorridere, nonostante fosse un sorriso malinconico.
Lo fece entrare in quella che sembrava più una villa che una casa, di cui ne era fiera. La aveva comprata con i suoi soldi e questo la faceva sentire indipendente.
"Dylan?" le domandò l'uomo riportandola alla realtà quando erano ormai entrati in casa.
"A New York" ricomparve il sorriso malinconico di prima.
Justin, non sapendo che fare annuì e basta.
Dopo alcuni minuti di silenzio strazianti, lei gli fece segno di aspettare un minuto e sparì dietro una porta. Quando tornò teneva in mano dei guanti, un secchio pieno d'acqua, degli stracci ed una scopa. A quella visione l'uomo spalancò gli occhi che fece scappare una leggere risata da parte di Summer. "Io pulisco il piano di sopra, mentre tu questo. A dopo" gli disse facendo l'occhiolino e sparendo di sopra.

Justin prese il necessario e cominciò a pulire con un sorriso sulle labbra, nonostante fosse la prima volta in vita sua che lo faceva. Questo però gli diede la possibilità di conoscere meglio la casa e poté notare che le pareti erano piene di quadri e fotografie, alcune di esse le trovava bellissime altre come se fossero dei veri e propri capolavori.
Si
 sentiva però un pesce fuor d'acqua in quella casa. Era simile alla sua ma aveva un qualcosa di diverso. Era calda, accogliente, si vedeva che c'era lo zampino di una donna. In confronto la sua era solo un '4 muri'.

Summer da parte sua era continuamente distratta dal pensiero dell'uomo al piano di sotto. Non era più preoccupata, era felice che si fosse offerto di aiutarla anche se, da come aveva reagito davanti alle cose che gli aveva dato, le era apparso spaesato come se fosse stata la prima volta che lo faceva e probabilmente lo era, ma non si voleva tirare indietro. 
'Il solito orgoglio maschile' si disse in mente.

Dopo un'ora e mezzo aveva finito tutto. Pulito ogni angolo di ogni stanza presente in quel piano e si sentiva soddisfatta dal proprio lavoro ma anche molto stanca.
Aveva messo tutto via quando decise di scendere giù a vedere se Bieber aveva finito e, con sua sorpresa, era tutto luccicante. 
Lo trovò seduto per terra con la schiena appoggiata al muro, sul corridoi dell'entrata. Aveva gli occhi chiusi e le era sembrato di vedere un angelo.
Si sedette di fianco a lui e rimase a fissarlo per un istante prima di parlare. "Dormi?" gli domandò. Svelto si girò verso di lei aprendo solo un'occhio ed un sorriso gli apparve sul viso guardandola. In quel momento gli sembrava di vedere una bambina che domandava ad un signore seduto su una panchina al parco con gli occhi chiusi, se stava dormendo. I suoi occhi grandi gli dava quella sensazione.
Scosse la testa "No, pensavo" si rigirò ad occhi chiusi nella stessa posizione di prima.
"A cosa?" gli domandò ancora. Ridacchiò silenziosamente ripensando alle parole di prima. Come risposta alla sua domanda, scrollò le spalle e si girò a guardarla nuovamente con un leggero sorriso sulle labbra che si spense subito quando notò i suoi polsi di un colorito ancora viola, ormai quasi svanito. Gli si congelò il sangue. Le sue mani si chiusero in due pugni, serrò la mascella e gli occhi gli si assottigliarono. Allungò le mani per afferrare i polsi ma lei, spaventa da quella sua improvvisa reazione, si ritrasse e a quel suo comportamento, gli si strinse il cuore. Con molta cautela, riprovò il gesto e questa volta lei non fece niente. Lui le accarezzò i lividi con dispiacere, per poi girarsi verso Summer e guadarla negli occhi.
"Sono stato io?" le domandò lui con tristezza nella voce, ma come risposta ottene lo spostamento del sguardo della donna verso la parete bianco-panna dietro.
"Jazmyn mi ha detto tutto ed io ho sbagliato a prendermela con te" spiegò lui sospirando "Mi dispiace, Summer" provò lui, ma non rispose comunque "So che delle semplicemente scuse non possono aggiustare quel che ho fatto, ma sono qua lo stesso" ancora silenzio.
"Ti prego Summer, parlarmi" la supplicò ma lei scosse la testa.
Quel silenzio lo stava uccidendo, letteralmente. Gli sarebbe servito anche la minima sillaba da parte sua per togliergli quel peso, ma lei non lo faceva. Restava zitta e muta a fissare la parete, quasi come se fosse stata la cosa più interessante al mondo.
"Sai," cominciò un'altra volta lui "ogni volta che quella scena, di me che stringe i tuoi polsi all'ospedale, mi torna in mente è come se qualcuno prendesse un coltello e si divertisse a coltellarmi in pieno petto e sento di meritarmi." Justin poté notare chiaramente Summer deglutire "Rivedo in me mio padre" si torturò il labbro inferiore ripensando a quel uomo "Picchiava ogni giorno mia madre ed io non potevo farci niente.. Tutte le volte che mi intromettevo mi ritrovavo con il labbro o il naso rotto. Si divertiva e questo mi metteva il disgusto.. l'ho sempre visto come un malato di mente ed un mostro ed io promisi a me stesso che non avrei mai toccato nessuna donna, eppure.. In questo momento mi sento proprio come lui, un fottuto e bastardo mos..."
"No, non dirlo!" lo interruppe lei e lui la guardò subito alzando un sopracciglio "Non dire che sei un mostro" gli spiegò.
Justin ridacchiò malinconico "Dico soltanto la verità" ribatté lui e Summer scosse prontamente la testa. "Tu dici quello che secondo te è la verità ma non lo è." Lo guardò "Fin'ora hai parlato tu ed io ti ho ascoltato, ma adesso tocca a me dirti qualcosa" gli disse "Tu mi hai ferita e fatta del male, lo ammetto, ma non ti permetto di darti del mostro.. Non puoi vivere nel passato. So tanto di te, so la tua storia - Jazmyn mi ha raccontato tutto- ma vivere cercando di allontanare tutti non va bene... Cerchi sempre una scusa. Anche due minuti fa. Mi hai chiesto scusa e subito ti sei paragonato a tuo padre per farmi capire che sei pericoloso e farmi stare lontana da te, ma sai che ti dico?" gli chiese alla fine del suo discorso che le era apparso scarso nonostante tutto.
Alla sua domanda, Justin, scosse la testa in negazione facendola continuare "Che io non me ne vado. Se avessi avuto paura di te, avrei già chiamato la polizia e soprattutto non ti avrei fatto entrare in casa mia, ma devo dire che senza di te la cucina non sarebbe così splendente" accennò un sorriso alla fine della frase, scherzando per risollevare l'atmosfera che si era fatta pesante.
Gli venne spontaneo sorridere e, alzando le spalle e facendo finta di pulirle con un gesto di mano, le rispose "Modestamente. Sono incredibile!" confermò vantandosi.
"Per chi lo fa ha fatto per la prima volta, non è male" ribatté lei.
L'uomo di fianco sgranò gli occhi "Scusa?" chiese scioccato "Quella cucina sembra nuova di zecca" affermò lui.
"Perché lo è infatti." ribatté nuovamente Summer.
"Ma quei formali non sarebbero luccicanti se non li avessi pulito IO  con viacalc" metté il broncio.
Summer alzò le mani in segno di resa "Okay okay. Tutto a te il merito." gli sorrise e lui la guardò fiero, anche se sapeva che stava scherzando ed aveva preferito stare al suo gioco. Sarebbe stato a qualsiasi gioco con lei, perché essa aveva un qualcosa che gli metteva voglia a seguirla, a parlarle, a starle vicino, ad ascoltarla, a scherzare con lei, ad abbracciarla, a sorridere e ridere con lei, a proteggerla, a soccorgliela , nonostante sapesse che ci fosse già un'altro uomo nella sua vita, lui che avrebbe dovuto fare tutto questo, con lei che gli era apparso come una delle sette meraviglie del mondo la prima volta che la conobbe, e voleva ricordare solo quella parte della giornata, perché l'altra gli sembrava che l'inferno era salito dal sotto suolo per impossessarsi di quella stanza d'ospedale ed il diavolo ad impossessarsi del suo corpo.
Sapeva che quello non era lui o almeno in una normale situazione. Quel suo lato si vedeva soltanto quando una persona superava il limite concesso, mettendo a repentaglio la sua pazienza, ed era rimasto sorpreso nello scoprire che gli era servito una stupida frase detta da Summer per farlo uscire fuori di testa. Il motivo non lo sapeva, era come se non gli fosse concesso sapere o almeno per ora.

Justin era deciso a togliersi quei pensieri della testa. Si girò verso Summer nello stesso momento in cui lo fece lei. I loro sguardi si incontrarono e lei, a visione di quelle due palline dorate che ebbe la fortuna di conoscere 4 giorni prima, le spuntò un sorriso sincero, ma anche il più semplice di tutti, sulle sue labbra rosse.
Lui si alzò di scatto allungando la mano a Summer,sorridendo come un ebete, che venne subito afferrata.
Quel contato gli provocò una scossa di miliardi di volt su tutto il corpo. Partiva dalle punte delle dita dei piedi ed arrivava all'ultimo capello. Era impressionante come quella donna era riuscita a fargli cambiare umore con un semplice e fottutissimo sorriso. Era di buon umore adesso e tutta la stanchezza che aveva in corpo prima era scomparsa.
"Hai della farina, delle uova, del latte?" le chiese vagamente incamminandosi verso la cucina.
Lei lo guardò un po' allarmata "Sì, perché?" gli domandò di rimando lei, guardandolo frugare fra i vari armadi bianchi della cucina, come se stesse a casa sua.
Scrollò le spalle "Voglio preparare dei pancake" rispose come se fosse stata la cose più comune in quel mondo, sorridendole con il più bel sorriso che lei avesse mai visto.

Summer sorrise vedendo il suo comportamento e si meravigliava molto di come si era ripreso dalla discussione di prima. Non aveva provato ad obiettare e adesso faceva finta di niente ma lei, da brava psicologa qual era, sapeva benissimo che quella era solamente una sua arma di difesa e sapeva anche che si torturava ancora mentalmente. Nonostante tutto decise di non dire e non fare niente, soltanto di sedersi sul lungo piano di lavoro fatto di marmo a fissarlo nella sua più completa bellezza, mentre maneggiava con la padella, ma con quei ciuffi ribelli di un biondo scuro -che, al contato delle luce solare, erano di un color dorato,- era quasi impossibile restare concentrati su quello che stava preparando.
Ai suoi occhi era un uomo affascinante e terribilmente sexy, ma purtroppo sul suo dito era presente già un anello, tuttavia, quando conobbe quel uomo che si trovava in quel istante nella sua cucina, dentro di lei era scattato un qualcosa. 
Era come se si fosse acceso una fiamma mai stata accesa e lei cominciava a pensare che quella vocina di poche ore prima avesse ragione. 
Lui riusciva a tirare fuori tutti i suoi lati, anche quelli più nascosti.
"Ma questo non era un buon motivo per innamorarsi, giusto?" si chiese mentalmente torturando il proprio labbro inferiore, come se quelle parole avessero un significato, come se le volessero comunicare qualcosa.
Forse che si stava innamorando di un completo e non completo conosciuto?
Perché insomma, non era sconosciuto perché le era stato parlato di lui tante volte che le sembrava di conoscerlo, ma pur sempre sconosciuto perché lo aveva conosciuto soltanto 4 giorni prima.

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Capitolo 6
*** Four. ***


ATTENTION, PLEASE.

Okay, comincio col salutarvi tutte :D

So che siete in tante a seguire la storia (vi posso vedere muahahah) ma in poche lo recensionate e, così facendo, non posso sapere cosa ne pensate, se vi piace oppure no, se pensate che sia bella come storia oppure no... Insomma, mi farebbe tanto piacere scoprire cosa vi passa per quelle vostre teste e mi renderebbe tanto, tanto, tanto, felice :3

Comuuuunque, passando a cose serie (non che le recensioni non lo siano u.u), partirò sabato, 24, e tornerò solo la settimana successiva, il 31 per essere precisi, perciò non potrò aggiornare :( 

PER QUEEESTO CHE.... ho scritto un capitolo lunghissimo e che spero vi piace.

Per adesso la storia è tranquilla e del 'lavoro' di Justin nemmeno l'ombra, ma qualcosa andrà storto anzi, tante cose andranno storte. Nuovi personaggi entreranno in scena, mentre qui sotto ne conoscerete altri.

Colpi di scena sorprenderano la storia. Purtroppo per voi ho una mentre molto maligna perciò stati attenti.

Se prima eravate tranquille, cominciate a preoccuparvi. La tranquillità non conosce la casa Bieber.

Detto ciò vi consiglio di preparare la mente per i prossimi capitoli, ma per ora vi lascio questo che è la tranquillità scritta, in un certo senso :3

 

Vi saluto augurandovi buona lettura e buone vacanze o almeno quello che ci resta .-. 


se volete chiedermi qualcosa, vi lascio il mio profilo facebook

https://www.facebook.com/nathalia.g.cristenson

 

 

 
Quando ci si innamora è come se si tornasse ragazzini.

"Tutti da lei si aspettavano la solita risposta
e lei, per non deluderli, diceva sempre: 'Io
tutto a posto, parlami di te, perché stai male?'
"

-Tumblr.



CAPITOLO QUATTRO.


 

"Dai Justin. Non puoi avere sempre quel muso. È passato due anni dall'ultima volta che ti abbiamo visto sorridere" gli disse un ragazzo di 19 anni dai capelli biondo platino ed occhi verdi, ma Justin non gli diede retta e continuò a tener d'occhio la carne sul barbecue.
"Ha ragione Brian, Justin. Sei sempre con quella faccia" intervenne l'altro ragazzo, anche lui sui 19, dai capelli biondi ed occhi azzurri.
"Non ci mettere anche tu, Tyler. Per carità." Justin rispose bruscamente.
"Non ti scaldare." intervenne un terzo, -il maggiore- dai capelli castani ed occhi verdi "Però ti prometto che, se entro questa sera non vedrò almeno un sorriso da parte tua, ti porterò da una psicologa" lo minacciò.


Mentre quel barbecue era già iniziati, dall'altra parte di quella piccola città, Summer era davanti al proprio armadio da ormai quasi un'ora. Non sapeva cosa indossare per la serata a casa di Justin. Il giorno precedente, dopo aver mangiato i suoi ottimi pancake ed aver visto uno dei più bel film di tutti i tempi, Titanic, coccolati sul divano, lui l'aveva invitata a casa sua per una serata tra amici, per festeggiare la guarigione di Jazmyn e lei accettò molto volentieri. 
E finalmente, dopo altri 10 minuti, scelse dei jeans scuri stretti, una canottiera bianca, con sopra una camicia jeans con le maniche arrotolate per tre quarti, e ai piedi dei tacchi 10 bianchi. I capelli mossi li lasciò sciolti, con solo la frangia legata in dietro. Si truccò leggermente: un filo di matita nera sotto ed un tocco di eyeliner a dare l'effetto 'occhio di gatto'. Il gloss prima di uscire ed era perfetta.
Salì sulla sua Ranger Rover bianca e partì verso casa Bieber, sorridente come non mai. 
In 10 minuti era già arrivata e stava già suonando alla porta. Da fuori si sentiva solo il ronzio della musica, ma quando Jazmyn le venne ad aprire, la musica dance si sentì più forte.
Lei e Jazzy si abbracciarono e si vedeva che quest'ultima stava molto meglio dall'ultima volta che l'aveva vista. Non era più pallida e quei suoi occhi azzurri erano tornati a brillare. Era vestita come una normale adolescente: jeans stretti, una maglia leggermente scollata e ai piedi, le inconfondibile, All Star bianche. Era bellissima, come sempre.
La fece entrare subito dopo e la accompagnò ad una porta di vetro che portava al giardino. Poté sentire la conversazione che alcuni ragazzi provavano a fare con Justin, -che era di spalle, ma che lei riconobbe lo stesso-, senza grande successo.
Sentì uno, quello che le era parso il maggiore, parlare "Non ti scaldare. Però ti prometto che, se entro questa sera non vedrò almeno un sorriso da parte tua, ti porterò da una psicologa" per lei era l'entrata perfetta.
"Se cercate una psicologa, io sono disponibile" a quella voce, Justin si girò verso la porta, come tutti gli altri presenti. Per lui era stato come rinascere dopo aver visto la morte passare davanti. La trovava a dir poca stupenda e poi lei era lì, appoggiata sullo spigolo della porta, con le braccia conserte, sorridente. Quel sorriso. Quel sorriso gli provocò un'altra volta qualcosa dentro di sé, che venne raddoppiato quando i loro sguardi si incontrarono e fu lì, in quel preciso istante, che lui capì di sentire, per la prima volta in vita sua, le così dette farfalle nello stomaco. E, al solo pensiero che era stata lei a provocarle, sorrise. Un sorriso che agli occhi di tutti era il primo dopo tantissimo tempo, ma agli occhi di lei, era solo l'ennesimo di tanti altri sorrisi da mozzafiato.
Steven, quello che agli occhi di lei era il maggiore, notò la reazione che quella giovane donna, appena entrata in casa, provocò al amico e decise di stare un po' al gioco, tanto per vedere come si sarebbe comportato Justin, ancora fermo a guardarla.
Le sorrise educatamente "E fino a che fascia di età ha i suoi pazienti?" le chiese. "Fino ai 18" rispose sorridente all'uomo. "Beh, allora credo che il nostro Bieber sia nella fascia se contiamo per mentalità. La sua arriva ai 5" scherzò lui, flirtando allo stesso tempo, sapendo che se mai avesse detto una cosa simile prima, Justin si sarebbe infuriato, invece quella volta lui fece tutt'altro. Si avvicinò a Summer dandole un bacio sulla guancia in segno di saluto ed abbracciandola da dietro, avvolgendo le sue possente braccia intorno alla sulla vita facendo intrecciare le loro mani e mettendo il mento sulla sua spalla destra, guardando l'amico Steven. "Non ci provare, amico. Lei è mia." lo minacciò scherzando e sorrise quando notò il rossore sulle guancia di Summer.
L'uomo alzò le mani in segno di resa "Dicevo soltanto" si difese prima di continuare "E poi penso che sarebbe perfetta come tua psicologa. Ha sicuramente più successo di noi a farti sorridere." erano parole scherzose, ma le pensava veramente. Quella donna era riuscita a far sorridere Justin due volte consecutive in meno di 5 minuti, mentre loro nemmeno una volta in 2 anni. Sapeva che le donne avevano 'super poteri' ma non aveva mai pensato fino a quel punto.
"A me andrebbe più che bene. E a te, piccola?" confermò Justin l'affermazione del castano e facendo arrossire ancora di più Summer, se mai fosse stato possibile, con il nomignolo che le aveva dato nella sua domanda. Lei, non sapendo che fare, si liberò dalla presa e, sotto lo sguardo vigile di tutti, si avvicinò al barbecue prendendo la 'forchettona' e girando la carne dall'altro lato "Bravo, Bieber. Fai bruciare le bistecche" lo rimproverò cambiando totalmente discorso. Successivamente si sentì stringere la vita da due grosse mani che riconobbe subito. Si girò verso di lui ed il loro sguardi si incontrarono nuovamente. Loro comunicavano così, solo guardandosi negli occhi senza proferire parola perché loro due, più di chiunque, sapevano che: 'uno sguardo vale più di mille parole'.
Un colpo di tosse li riportò alla realtà. Summer abbassò frettolosamente la testa per l'imbarazzo mentre Justin le prese la mano e, sorridendo a tutti, si avvicinò a quel gruppo di persone che non facevano altro che fissarli, come se quei due fossero la cosa più bella che avessero mai visto in vita loro.Justin la strinse a sé per i fianchi una volta fermi e si schiarì la voce prima di parlare e cominciare a presentarle la compagnia. "Allora, lui è Steven King, il simpaticone che ci provava con te" indicò il ragazzo che sorrise divertito "Nonostante abbia una ragazza" continuò punzecchiandolo "Brianna Lopez" indicò una ragazza alta dai capelli biondi ed occhi azzurri che lanciava uno sguardo assassino al suo presunto ragazzo. Summer le sorrise in segno di saluto ma non venne ricambiata. "Lui invece è Tyler Williams, il combina guai del gruppo." le presentò un ragazzo sui 20 anni, biondo ed occhi azzurri. "La ragazza di fianco è Victoria Sullivan" la indicò "La sua ragazza" precisò lei sorridendole amichevolmente. Summer annuì e Justin passò agli altri ragazzi "Loro sono Matthew Evans, Juan Diaz e Brian Long, i tre farfalloni" i tre le sorrisero maliziosamente ma lei non disse e non fece niente, però doveva ammettere che erano dei fighi da paura. Sarebbe cascata ai loro piedi se non fosse stata fidanzata. "E lui è Seth Cooper" la riportò alla realtà presentandole un ragazzo dai capelli castani ed occhi azzurri "Il romanticone" precisò poi. Una ragazza sbuffò "Solo apparenza" borbottò attirando la attenzione di tutti "E lei è la ex di Seth. Allison Ross, quella che, a quanto pare, non se ne leva dalle palle nonostante nessuno la vuole" e la guardò in modo cagnesco.
"Già, abbiamo anche una testa di cazzo nel 'club', sai?" Allison domandò a Summer riferendosi a Justin. Lei non disse e non fece niente, si limitò a sorriderle falsamente.
Quando Justin finì di presentarle tutti, li invitò a sedersi sull'immenso tavolo di legno piazzato in mezzo al giardino, vicino alla enorme piscina. Lei si sedette con Jazmyn a destra ed il posto vuoto a sinistra, in attesa dell'arrivo di Jaxon. Di fronte aveva Justin che stava servendo in tavola. "Sai, noi ancora non sappiamo come ti chiami" disse Seth alla donna. "Summer. Summer Jones" rispose sorridendo.
"Lo sapevo. Te lo avevo detto io" esclamò Victoria a Tyler, per poi rivolgersi a Summer "Sei la futura sposa di Dylan Verone, non è vero?" le domandò e lei annuì leggermente con la testa china a guardare la sua bistecca sul suo piatto. "Ho sempre voluto sapere come ti ha chiesto di sposarlo" proseguì il discorso Allison con occhi sognanti.
Summer sorrise ripensando a quel giorno "Era l'ultimo dall'anno." cominciò a spiegare lei mentre le immagini di quella sera le tornavano in testa "Eravamo tutti a casa di Luis Verone a festeggiare, con famigliari e amici. Quando mancava esattamente un minuto a mezza notte, Dylan attirò l'attenzione di tutti, si mise in ginocchio davanti a me e mi fece un brevissimo discorso e quando si sentì il campanile suonare, mi fece la fatidica domanda. I fuochi d'artifici erano in cielo e si vedevano benissimo dalla ampia finestra dietro di me e lui. Sembrava una scena da film" rispose senza mai distogliere lo sguardo dal piatto e sorridendo.
"Lo ami?" domandò la terza ragazza del gruppo, Brianna, dopo un'istante di religioso silenzio. A quella domanda tutti si fermarono a guardala in attesa della risposta. Proseguì alcuni minuti di silenzio prima che Summer alzasse la testa, ma se ne pentì subito. Incontrò quei occhi mieli che la guardava in cerca di risposta. Si sentiva il respiro mancare. Non era certa della risposta. Prima lo era e sarebbe stata capace di mettere la mano sul fuoco per provare il suo amore per Dylan, ma adesso era una storia diversa, questa volta c'era di mezzo Justin. Non sapeva spiegarsi il perché, ma sentiva qualcosa per Justin, anche se ancora non sapeva cosa.
"Credo di sì" sussurrò con insicurezza quelle tre parole.
Per un istante le era apparso di vedere la delusione da parte degli altri, ma decise di accantonare quella sua assurda idea da parte. Rimasero tutti zitti per un momento, poi Juan provò a rallegrare la situazione e, dopo vari tentativi, la situazione era ritornata stabile.
"Allora, Summer. Ho sempre sentito parlare di tua madre, ma di tuo padre mai" le disse Matthew per fare conversazione ma lei sapeva che, leggendo fra gli spazi, si riusciva a percepire la curiosità di sapere di lui. "I miei sono divorziati" rispose alzando la testa verso di lui che era seduto di fianco a Justin, accennando ad un sorriso pieno di tristezza. "Mi dispiace" le sussurrò, ma lei scosse la testa come per dire 'fa niente'.
Summer sospirò per l'argomento che era venuto fuori. Ogni volta che le chiedevano di suo padre, le veniva voglia di piangere, i susseguirsi dei fatti avvenuti in passato le tornavano in mente e lei non riusciva a trattenersi i sentimenti dentro. Raccontava la storia alla prima persona che le capitava di fronte, perché per quei pochi minuti le sembrava di togliersi un peso dal petto e si sentiva sollevata, e non tradita da colui che sarebbe dovuto essere l'uomo preferito nella vita di una donna. Ed era quello che accede dopo.
Una lacrima le rigò il viso nascosto dai suoi lunghi capelli e prese un profondo respiro prima di parlare "Il matrimonio fra i miei genitori non era vista da buon occhio dai miei nonni" disse fissando il piatto con il suo pezzo di lasagna "Mia madre era di nobel famiglia mentre mio padre un semplice meccanico" spiegò lei. "I miei si sposarono di nascosto da tutto e tutti e quando i miei nonni lo vennero a sapere, ormai non potevano fare più niente: mamma era incinta" sorrise pensando a come potessero essere stati felice in quel momento della loro vita i suoi genitori. "Erano la coppia più felice che chiunque avesse mai visto, ma quella tranquillità durò fino ai miei due anni, quando mio padre cominciò a bere molto. Spesso, quando tornava dal lavoro, era incapace di tenersi in piedi e Sarah, mia madre, riuscì a supportare quella situazione fino ai miei 5 anni anzi, 4 anni e 364 giorni" divenne triste "Era il giorno prima del mio compleanno e quella mattina mi ero svegliata di buon umore, ma tutto svanì quando mio padre tornò a casa quella sera. Sarah gli aveva preparato le valigie e messe davanti alla porta, io non capivo ma lui sì. Mi ricordo del suo sguardo mentre guardava mamma. Era come se chiedesse perdono, ma mia madre non ci cascò, perciò prese le sue valigie ed aprì la porta. Prima di uscire si girò verso di me e mi sorrise leggermente e mi sussurrò un flebile 'ti amo, principessa mia' ed uscì, chiudendosi la porta dietro" le lacrime cadevano, una dopo l'altra, come la pioggia, goccia per goccia. "Ci mise un po' a capire quel che era successo e quando accade, corsi fuori in sua ricerca ma non lo trovai. Decise di sedermi sugli scalini ad aspettarlo, ma lui non tornò mai. Restai fuori 3 giorni, mia madre se ne fregava. Stava in camera sua a piangere, perché in fondo amava mio padre e quando lui se ne andò vedeva in me lui e cominciò ad odiarmi. Faceva la finta madre premurosa, ma io sapevo bene che non le interessava di me, mi odiava e mi odia tuttora" ormai non riusciva a trattenersi e non voleva farsi vedere dagli altri piangere, si sentiva troppo in imbarazzo e debole. "Scusatemi" sussurrò prima di alzarsi e correre dentro casa. Salì le scale al piano di sopra e, controllando alcune porte, trovò il bagno. Ci entrò e si chiuse dentro. Si appoggiò alla porta e scivolò giù. Si portò le gambe al petto circondandole con le sue braccia e nascondendo la testa fra esse.
Non passarono 2 minuti che bussarono alla porta. "Occupato" rispose con voce flebile.
"Summer, ti prego. Aprimi" una voce al di là la supplicò e lei la riconobbe subito. Si alzò piano e girò la chiave. Aspettò che la persona dall'altra parte aprisse la porta. Come se quel qualcuno stesse andando in trincea, entrò dentro in bagno,  incrociando subito i loro sguardi. Summer non riuscì a trattenersi più e si fiondò  fra le braccia di Justin, singhiozzando rumorosamente. "Shh piccola. Ci sono adesso io qui con te" le disse dolcemente mentre le accarezzava i capelli ed in quel momento, le tornò in mente nuovamente suo padre. "Me lo faceva sempre quando ero piccola" sussurrò con un velo di tristezza che non riuscì a nascondere.
Justin si staccò leggermente e lentamente da lei, appoggiando le sue due grandi mani sulle sue spalle. Ebbe così la possibilità di ammirare quei occhi che a viso di tutti erano di un semplice castano ma che ai suoi, erano la sua salvezza. Prima che arrivasse lei non sorrideva e non rideva, ma quando i loro sguardi si incontrarono per la prima volta, le emozioni erano tornate a prendere i rispettivi posti. Per questo si sentì perdere un battito quando vide le lacrime di Summer ed un altro quando si alzò da tavola correndo. Si sentiva in debito con lei. In fondo era stata lei a farlo uscire da quella specie di stato 'trance' in cui si trovava.
Ormai aveva visto tante lacrime versate dalle persone che lui amava in vita sua, che non voleva vedere nemmeno quelle di Summer. Sapeva che l'aveva conosciuta pochi giorni prima, ma era già diventata importante per lui.
Non si era accorto di star fissando ancora Summer finché non le scappò una risatina  e quello lo fece sorridere leggermente. "Che c'è?" le chiese.
Lei alzò le spalle con nonchalance e sorrise "Avevi uno sguardo così serio, che però non ti si addice molto, sai?" lo provocò un po'.
"Sul serio?" chiese fingendosi scioccato portandosi una mano sul cuore "Ed io che pensavo di essere sexy" la stuzzicò lui con voce bassa e roca, mettendole le mani sui suoi fianchi.
Tenevano ancora un contato visivo "Non devi fare una faccia seria per essere sexy, lo sei già anche quando fai le facce buffe. Lo saresti anche vestito da nerd" arrossì per le sue stesse parole subito dopo, quando si rese conto di quello che aveva appena detto. Non sapeva nemmeno perché lo disse. Abbassò immediatamente la testa, ma lui, mettendole l'indice ed il medio sotto il suo mento, la fece alzare ,"Non vergognarti, sei carina quando arrossisci" le disse per poi lanciarle il sorriso più bello e dolce che aveva nel suo archivio, facendo prendere un colorito più scuro alle sue guance, se mai fosse stato possibile "Non mi aiuti molto così, sai?"gli chiese sarcastica. Justin semplicemente ridacchiò e alzò le spalle.
Ormai Summer non si sentiva triste e si era persa a fissare quei occhi di un colorito tra l'ocra, il miele e il caramello. Ogni volta che li guardava ci trovava un particolare. Così piccoli ma così grandi. Era sicura che dentro ad essi ci fosse un nuovo mondo, un nuovo universo, in cui a soli pochi era concesso l'accesso e lei sentiva di essere una di quelle poche.

 

****

 

"Ti prego, non farlo" la supplicò Justin, mentre lei buttava giù l'ennesimo bicchiere di vino in gola.
"Di far che?" chiese nonostante sapesse già la risposta ma di cui non ne era sicura.
"Di bere per provare a placare il dolore" le spiegò.
Lei scoppiò in un risata, in fondo non aveva fatto altro da quando aveva cominciato a ballare con Justin "Dolore? Dolore per mio padre?" chiese e lui annuì "Forse, ma tanto so che nemmeno una bottiglia di tequila mista a vodka riuscirebbe a fermare il dolore, ma come si dice: provar non nuoce" sorrise divertita e si girò verso gli altri che erano ancora seduti a tavola che li guardavano. Forse non stavano veramente ballando. Justin stava provando a farla ragionare, ma ormai per lei era troppo tardi.

"Avete della tequila?" chiese al gruppo che non rispose però "Va bene anche la vodka" riprovò ma senza alcun successo "Va bene, va bene" alzò le mani in alto in segno di resa, scocciata.
Si allontanò da loro e si avvicinò alla piscina. Si tolse i tacchi e la camicia jeans e quando stava per togliere anche la canottiera, qualcuno la fermò per il polso "Che stai facendo?" le chiese Justin.
"Un bagno in piscina oppure anche questo mi è vietato?" era veramente scocciata ed irritata. Odiava quando le persone le dicevano cosa doveva o non doveva fare, le faceva innervosire.
Justin, notando il suo atteggiamento, la lasciò in pace, così lei finì di svestirsi e si buttò in acqua, ma lei come faceva a sapere che la piscina era profonda? Infatti non lo sapeva e cominciò a muoversi freneticamente sull'acqua, per il semplice motivo che non sapeva nuotare. Tutti si alzarono di corsa a vedere che succedeva e nel fra tempo, Justin, si era già tolto velocemente le scarpe e si era tuffato. La prese e se la strinse a sé. Summer si aggrappò a lui cingendogli il bacino con le gambe ed il collo con le braccia, nascondendo il volto nell'incavo della sua spalla destra. Continuava a tossire per l'acqua ingerita e sembrava non smettere e a migliorare il tutto, cominciò a tremare "Dai, ti porto fuori" le disse l'uomo. "No" controbatté lei dolcemente, gli sembrava una bambina in quel momento "Voglio stare così ancora per un po'" gli spiegò. La sua lucidità era andata a farsi benedire.
"Justin" lo chiamò lei ancora nella stessa posizione dopo una decina di minuti.
"Mhmm..." borbottò lui in risposta. Non voleva rompere quel benefico silenzio che si era creato fra di loro.
Summer prese un profondo respiro "Non so cosa tu mi stia facendo" gli disse prendendolo alla sprovvista guardandolo negli occhi.
"Cosa intendi con questo, piccola?" le domandò accarezzandole la guancia sinistra inarcando  un sopracciglio ed accennando un sorriso.
Alzò le spalle in risposta " Esattamente quello che ho detto" rispose per poi continuare notando la confusione nei suoi occhi "Non so, ma quando sto con te mi sento diversa. Riesci a farmi imbarazzare anche solo guardandomi, per una poi che per metterla in imbarazzo ci vuole tanto.. In questi miei anni nessuno ci era mai riuscito poi arrivi tu e scombini tutto.. Poi riesci a tirar fuori anche il mio lato cattivo, quello da bad girl. Per farmi perdere la pazienza ci vuole più di una bomba nascosta in casa mia, eppure tante volte vorrei ucciderti, ma tante altre vorrei poter assaporare quelle rosse labbra carnose che ogni volta che le mordi oppure ci passi la lingua mi fa andare in tilt, ma non posso. Non posso pensare a te, tuttavia però lo faccio" durante il discorso Justin stette zitto in ascolto delle sue parole"Sto per sposarmi e nonostante tutto io sono abbracciata in te, con solo l'intime addosso, bagnato poi.. Ma sai qual è il punto?" gli chiese e lui scosse la testa "Il punto è che non mi importa se indosso solo l' intimo e che sono tutta bagnata e che ho quasi rischiato di annegarmi per colpa della mia incapacità sul nuoto, non mi interessa. Il problema è che sono aggrappata a te come un koala e che non mi voglio staccare, perché mi piace. Vorrei poter rimanere così per tutta la vita, ma mi sembra tutto assurdo.. Sinceramente non so neanche perché te lo stesso dicendo e questa ci riporta all'inizio del discorso. Dico cose senza pensare o meglio, le penso ma non ho intenzione di dirlo, ma quando mi tocchi, mi guardi, mi sorridi, mi provochi un qualcosa che mi fa entrare in uno stato di trance ed io apro la bocca senza rendermene conto e so che potrei sembrare pazza e che sto parlando a vanvera ma ..." il suo discorso venne interrotto dall'uomo, incollando le loro labbra in un bacio che, in un primo momento, non venne cambiato, ma che poi Summer fu più che contenta che le loro labbra si muovevano insieme e che poi le loro lingue ballassero allo stesso ritmo.

Nessuno dei due sapevano che provare, erano troppe le emozioni che invasero i loro corpi.
Justin era completamente perso in quelle morbide labbra che avevano il sapore del vino che lei aveva appena bevuto. Quando decise di baciarla non era certo che fosse la cosa giusta da fare, ma pensò di mandare a puttane i suoi pensieri e di ascoltare una volta il cuore. Così si fece coraggio ed avvicinò le labbra. Per uno istante ebbe la paura che lo prendesse a schiaffi, ma si sorprese subito dopo, notando che stava ricambiando il bacio.
Non voleva staccarsi, ma dovetti quando notò che Summer cominciò a tremare e sapeva bene che non era per il bacio. Non faceva troppo freddo, ma nemmeno troppo caldo per farsi un tuffo in piscina. Sarebbe stata capace di prendersi un brutto raffreddore e questo era l'ultima cosa di cui aveva bisogno.
Si staccò lentamente da lei e subito si sorrisero. Justin appoggiò la sua fronte su quella di Summer e le diede un piccolo bacio su quel nasino che tanto gli piaceva, prima di afferrarla meglio e riportarla a bordo piscina. Brian l'aiuto ad uscire, guardandola con rimprovero, mentre Juan l'avvolse in un asciugamano. Si era anche dimenticato della presenza dei suoi amici e rimase leggermente in imbarazzo quando uscì.
Steven gli sorrideva soddisfatto ma lui decise di non farci caso. Prese anche lui un asciugamano e, avvolgendolo intorno al corpo, strinse Summer a sé in un abbraccio nascondendole il viso nel suo petto.

"Quel bacio per cos'era?" domandò infine lei, quasi in un sussurro. Per sua fortuna non si era accorta che gli altri fossero ancora lì, se no sarebbe stata capace di scavare un buco per sotterrarsi per l'imbarazzo.
Justin ridacchiò nervoso "Non la smettevi più di parlare" le rispose, ripensando a tutti i film sdolcinati che sua sorella lo obbligava a vedere tutti i venerdì sera e si ricordò che molte delle volte, quando la protagonista non smetteva di parlare, farfugliando cose scollegati fra di loro, per farla zittire bastava che l'uomo la baciasse e, alla fatidica domanda del perché lo avesse fatto, rispondevano per farla zittire e le donne lo trovavano stranamente dolce che li ri baciavano subito dopo, ma con Summer ottene l'atteggiamento opposto.
"Potevi anche dirmi di stare zitta" borbottò prima di staccarsi della presa e dirigersi all'interno della casa.
Justin rimase un attimo confuso. Lanciò uno sguardo ai suoi amici che sorridevano, prima di correre dietro a Summer.
La trovò che salutava Jazmyn con in mano le chiavi che riconobbe come quelle della sua macchina.
"Summer?" la chiamò, ma prima che potesse dire o fare altro, lei si precipitò fuori, sbattendo la porta d'ingresso.
La rincorse subito, fermandola per un braccio prima di entrare in macchina. "Dove pensi di andare?" le domandò sarcastico con tono serio.
A Summer venne da sorridere, ma uno di quei sorrisi che esprimevano tutt'altro che felicità "A casa?!" rispose tra domanda e risposta, come se fosse la cosa più ovvia. Non era lucida e lo sapeva benissimo, ma si sentì ferita per la risposta di Justin di poco prima.

"Tu non vai da nessuna parte" ribatté Justin con voce che non accettava obiezione "Sei ubriaca che fai fatica anche a reggerti in piedi" la rimproverò "E poi, non mi perdonerei mai se ti dovesse capitare qualcosa" rabbrividì alle sue stesse parole, pensando alle cose orribili che le sarebbero potute capitare.
Summer sospirò nonostante trovasse dolce l'ultima sua frase.
"Ci tiene a me?" si chiese, sorpresa, mentalmente.

Ovvio che sì. Se non ci credi, chiedi a lui, no?

Ed ecco che ricomparve la sua solita vocina irritante, ma per un assurdo motivo decise di darle retta.
Prese un lungo respiro e si lasciò cadere a terra appoggiandosi alla macchina."E perché mai?" gli domandò prendendo coraggio e tornando al suo ultimo discorso.
Anche Justin si sedette per terra. 
Le prese entrambi le mani e le strinse nelle sue "Perché ci tengo a te" la sua voce era così dolce e melodica che sarebbe stata ore ad ascoltarlo ma decise che non era quella la situazione.
"Non mi conosci nemmeno" ribattè.
Lui strinse nelle spalle "Nemmeno tu eppure mi hai fatto quel discorsetto prima in piscina" la ricordò lui.
"So di essere stata stupida, ma non ho bisogno che me lo ricordi" rispose brusca e acida, alzandosi da terra. Lui la seguì a ruota, prendendola per i fianchi e facendola avvicinarsi a sé 
"Non sei stata stupida. Lo sono stato io che imitavo la solita frase dei film credendo fosse romantico e fosse una risposta adeguata per la situazione, ma se devo essere sincero, è che non sapevo che risponderti perché non so la risposta" ammise infine, quasi imbarazzato mentre si grattava la nuca.
Fu spontaneo a Summer sorridere vedendolo in quella bizzarra situazione.
"Perché lo fai?" domandò senza esserne resa conto all'improvviso. Il biondino inarcò un sopracciglio confuso, che lo rendeva ancora più sexy. "Ad essere così dolce con me" gli disse "So che tipo di persona sei, che giri frequenti, che lavoro fai eppure mi dai l'aria di essere dolce e non rude, tranquillo e non violento, calmo e non casinista" gli spiegò mentre si torturava il labbro inferiore.

Scrollò le spalle "Come accade a te, dico e faccio cose che normalmente non farei, ma che sembrano le cose più normali e semplici al mondo" le punte delle sue labbra si incurvarono all'insù. Le era apparso la cosa più dolce che avesse sentito e, quando stava per ribattere, tutto il vino le salì in gola e fece appena in tempo ad spostarsi da lui, che vomitò e la testa le era tornata a girare.
Justin le tenne per un attimo i capelli, poi la fece entrare in casa. Notò che tutti erano in soggiorno e facevano finta di niente, ma sapeva benissimo che si erano affacciati all'enorme finestra ad spiarli e che avevano trovato un modo per ascoltare la loro conversazione, tuttavia fece finta di non averli visti e portò Summer di sopra, in camera sua. La portò immediatamente nel bagno che aveva in essa e le tenne ancora i capelli, mentre era seduta per terra, piegata in avanti, con la testa dentro il water.
Quando vide che la smesse, si alzò e andò in camera. Tornò con in mano un suo boxer ed una sua maglia grigia, a maniche lunghe, con lo scollo a V. Li posizionò su un comodino che era presente lì ed aprì l'acqua calda della doccia. Si avvicinò a Summer e l'aiutò ad alzarsi. "Una doccia calda ti farà sentire meglio" le disse ed lei annuì semplicemente.
Le diede un bacio sulla fronte prima di uscire e dirigersi verso il bagno che avevano in corridoio. Era ancora tutto bagnato ed anche a lui una doccia calda gli avrebbe fatto bene.

 

*****

 

Justin tornò in camera con addosso solo un paio di pantaloncini da basketball mentre si asciugava i capelli con un asciugamano.
Nello stesso momento in cui entrò in camera, Summer uscì dal bagno con i vestiti puliti che le diede Justin ed anche lei teneva un asciugamano in mano mentre si asciugava i suoi di capelli.
Smisero quando notarono la presenza dell'altro.
Justin le sorrise e si avvicinò cautamente a lei posizionando le mani nel suoi fianchi e mettendo la fronte sulla sua. "Come ti senti?" le domandò premuroso.
"Male. Non sono abituata a bere" rispose e lui annuì. 
"E' meglio se dormi adesso" la portò sul suo letto, facendola sdraiare e coprendola con la coperta.
Le diede in bacio sulla guancia e fece per andarsene, ma una presa gli bloccò il braccio.
"Justin?" lo chiamò lei.
"Dimmi, piccola" rispose ritornando dov'era.
"Dove vai?" domandò sbadigliando per la stanchezza.
Lui le accarezzò i capelli "Vado a dormire sul divano, così ti lascio dormire tranquillamente" le sembrò la dolcezza fatta persona in quel momento, ma si sentiva senza forze all'improvviso e chiuse gli occhi "Non mi lasciare, Justin. Dormi con me, ti prego" lo supplicò stanca.
Lui sorrise prima di sdraiarsi dietro di lei abbracciandola, facendola coccolare sul suo petto nudo. "Buona notte, piccola" le disse prima di spegnere le luci.
"Adoro quando mi chiamo piccola" gli svelò lei con la voce impostata dal sonno "Buona notte, Justin" aggiunse quasi subito cadendo in un profondo sonno.

Non sapeva il perché, ma solo ora si era reso conto che domani mattina, molto probabilmente, Summer non si sarebbe ricordata di niente. Si sarebbe solamente svegliata con un mal di testa tremendo ed un vuoto di memoria e per lei, sarà come se non avesse mai vissuto quella serata.



Matthew Evans (Austin Butler).
     Lucas Jones (David Beckham), papà di Summer.

Brian long (Alex Pettyfer)
                Sarah McClay (Andie Macdowell),                                                                                                                                                                                                                                    mamma di Summer


Tyler Williams (Jeremy Sumpter).                                            
      Victoria Sullivan (Candice Swanepoel).

Steven King (Matthew Goode).                             Brianna Lopez (Emanuele Ghislotti)
         


Juan Diaz (Garrett Neff)                         Seth Cooper (Eugen Ivanov).
         Allison Ross (Demi Lovato).

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Capitolo 7
*** Five. ***


"Forse Peter Pan aveva ragione:
crescere non è poi così tanto bello.
"

-Cit.

 

CAPITOLO CINQUE.


 

JUSTIN P.O.V.

 


Bep Bep Bep

Girai la testa da un lato.

Bep Bep Bep 

Mugugnai.

Bep Bep Bep

"Ma che cazzo?" borbottai dopo l'ennesimo rumore fastidioso.
Mi alzai lentamente, facendo attenzione a non svegliare Summer che dormiva proprio sopra il mio braccio destro. Quando feci per spostarlo lei mugugnò qualcosa di incomprensibile e presi l'occasione di quando si mosse per togliere il braccio da sotto di lei. Controllai che stesse ancora dormire e potei contestare che era così.

Bep Bep Bep
Il rumore fastidioso tornò a ripetersi e scocciato come non mai, allungai la mano sopra il comodino vicino al letto e notai che quella fottutissima sveglia non voleva lasciarmi in pace. Mi maledissi mentalmente per non averla spenta la notte precedente, perché ora ero sicuro che non sarei più riuscito tornare a dormire nemmeno sotto sonnifero.
Fottuto me!

Mi sedetti sul letto stiracchiando e sbadigliando. Con la goda dell'occhio vidi Summer girarsi dal mio lato, ancora con gli occhi chiusi. Sembrava tanto piccola, tanto cucciola, tanto indifesa e avrei tanto voluto essere io quello che la proteggeva,che l'abbracciava, che le diceva che tutto sarebbe andato per il verso giusto, che io c'ero per lei a qualsiasi ora del giorno, ma sapevo già che la vita era ingiusta perciò non me ne feci una colpa. Le diedi un bacio sulla fronte e scesi dal letto senza fare rumore ed uscii dalla camera incamminandomi al piano di sotto, per preparare la colazione.

Dalle scale si potevano sentire delle voci provenienti dalla cucina e mi preoccupai. Ero sicuro che non fosse Jazmyn, perché di sabato si svegliava sempre a mezzo giorno, ed erano appena le nove. Poi non poteva essere Jaxon perché non lo avevo visto rientrare, perciò dedussi che era arrivato tardi a casa e per questo dormiva fino all'una... In fondo era un Bieber.
Presi una mazza da baseball che avevo nascosto sotto le scale -in caso d'emergenza- e, di soppiatto, entrai in cucina e come mi resi conto di chi fossero, abbassai la mazza appoggiandola per terra.
"Deficienti! Mi avete fatto prendere un colpo" li sgridai.
Scoppiarono a ridere ed io sorrisi per quella situazione.
"Guarda, guarda. Justin Bieber sorride" scherzò Matthew.
Come risposta ottene il mio carissimo dito medio.
Mi avvicinai al balcone di marmo dove, tutta la compagnia di ieri sera, si erano radunati.
Brianna mi passò una tazza, un cucchiaio, del latte ed i cereali. Quest'ultimi due li misi nella tazza e cominciai mangiare di gusto. Solo ora mi resi conto di quanta fame avesse.

"Pensavo ve ne foste andati ieri" cominciai un discorso, il primo che mi era venuto in mente.
Steven alzò le spalle "Abbiamo pensato di fare un pigiama party" rispose.
Annui e gli sorrisi "Capisco che voi donne abbiate bisogno di fare queste cose" decisi di sfotterlo un po'. Prima o poi avrei dovuto cominciare a recuperare gli ultimi due anni perduti di sfottimenti.
Steven rise contento del mio atteggiamento "Vedo che la sexy psicologa Summer ha fatto un ottimo lavoro" ghignò divertito verso di me, ricevendo un scappellotto da Brianna.
"Poverina. Starà malissimo appena sveglia" disse dispiaciuta Allison.
"E' questo il prezzo da pagare per aver bevuto molto" rispose acido Brian, quasi infastidito dal comportamento di Summer.
"Non dimentichiamoci che è stata colpa di Matthew se ha voluto bere" ricordò a tutti, Allison.
"Io?" chiese stupito lui per l'affermazione della ragazza.
"Se tu non le avesse chiesto del padre probabilmente non si sarebbe sentita ferita dai ricordi di quel uomo" lo rimproverò Victoria.
"Ed io che ne potevo sapere. Non ho mica una pallina di cristallo, sai?" disse ironico, agitandosi sullo sgabello.
"Ma se non ci sono notizie di qualcuno su un qualsiasi giornale, ci sarà un motivo, non credi?" continuò Victoria.
"Per quanto io stia adorando questa sceneggiata, vi ricordo che di sopra c'è ancora Summer che dorme ed anche Jazmyn e Jaxon" li ricordai, bloccandoli.
"Parlavi di me, fratellone?" mi chiese Jazzy entrando in cucina tutta pimpante, vestita, dandomi un bacio sulla guancia.
La guardai disorientato. L'orologio appeso sul muro della cucina segnavano le 9 e 45.
Ripresi a guardarla. Ormai si era già seduta e stava prendendo da mangiare "Jazmyn?" la chiamai nel silenzio più totale.
"Sì?" rispose sorridendomi.
"Ti senti poco bene, piccolina?" le domandai seriamente preoccupato.
Prima di rispondere guardò gli altri e si accorse che tutti noi la stavamo fissando preoccupati. Ci arrivò subito dopo al motivo della nostra preoccupazione scoppiando a ridere.
"Sto bene, sul serio! Sono solamente felice" spiegò lanciandoci un sorriso per rassicurarci, ma io continuavo a guardarla sbigottito.
"Cos'è che ti rende così felice da farti svegliare un quarto alle dieci, di sabato mattina poi?" chiesi spiegazioni.
Alzò le spalle con nonchalance "Tu e Summer, no?" nel suo tono si capiva che le sembrava una cosa ovvia, come se in fronte ci fosse già scritto la sua risposta con un'insegna al Neon.
Io la guardai sorpreso. Sbattei le palpebre velocemente, non capendo quello che lei volesse dirmi.
"Vi siete baciati ieri e questo vuol dire che c'è qualcosa fra di voi" tornò a parlarmi Jazzy, mentre passava della nutella su una fetta di pane, con menefreghismo.
Ancora una volta mi sentivo stordito e quel suo atteggiamento non faceva che aumentare quello che stava cominciando a provare il mio corpo.
"Lei si sta per sposare, Jazmyn" ribattei secco, sentendo una fitta al petto per le miei stesse parole.
"E allora?" chiese posando quei suoi occhioni azzurri su di me, con aria innocente.
Tornai a sbattere velocemente le palpebre, assimilando  quella sua domanda e sentendo un'improvvisa rabbia invadermi il corpo.
"E allora?" richiesi io ridacchiando stupito "Si dia il caso che lei ama qualcun altro e che sta per sposarlo" risposi serio, una serietà che non prendeva il sopravvento in me da una vita "E poi io so com'è essere lasciato all'altare e mi è rimasto ancora un briciolo di umanità da non far questo a Dylan" le lanciai un sguardo infuocato e lei, come risposta, fece un ceno della mano come per dire 'dettagli' mentre addentava la sua fetta di pane. 
"Teoricamente non lo lascerà all'altare, ma pochi giorni prima del matrimonio" alzò le spalle "e poi penso che tu abbia fatto bene a non sposarti con Ashley. Non mi piaceva anzi, la detestavo e sono quasi sicura che non ti amasse come diceva, perché se fosse stato veramente così, non ti avrebbe detto di no alla fatidica domanda e poi non sarebbe corsa fuori dalla chiesa" la risposta mi spiazzò del tutto e mi irrigidì.
Sapevo che non potevo più controllare quel essere che aveva preso possesso del mio corpo e nemmeno di tutto quello che mi sarebbe uscito dalla bocca. Jazmyn aveva toccato un argomento delicato e ogni volta che qualcuno lo faceva, andavo fuori di testa.
Restai fermo per un'attimo, stringendo i pugni e gli occhi, provando a rimandare indietro il diavolo che era in me, ma mi era stato impossibile e quando apri gli occhi, ero più che sicuro che fossero diventati scuri, tendenti al nero, e il sussulto improvviso dei presenti, me lo confermò.
Una risatina nervosa mi scappò mentre guardavo in modo cagnesco mia sorella "Non avevo capito che tu odiasi Ashely, sai?" il sarcasmo si poteva praticamente toccare nella mie parole "Non perché ti sei ubriacata e le hai vomitato sopra il vestito da sposa il giorno prima del matrimonio. Non perché hai sbagliato a scrivere l'indirizzo ai suoi parenti e anche la data. Non perché ti sei chiusa in camera mia, due giorni prima, e mi hai tagliato lo smoking. Non perché hai cambiato l'ordine della torta ed il giorno della consegna. Non perché le hai detto parole poco gradite! Sei solo una ragazzina viziata che pretende di avere tutto, ma novità del giorno, Jazmyn: Tu non comandi la mia vita e le mie relazioni, perciò non ti deve nemmeno passare per la testa di metterti in mezzo tra me e Summer! Lei si sta per sposare e devi fartene una ragione. Quel bacio probabilmente è stato solo uno sbaglio come lo sei stato tu. Probabilmente se non ti fossi comportata in quel modo con Ashely, ora sarei sposato e non mi sarei mai sentito una merda in questi ultimi anni! Perciò sì, è stata colpa tua! Tutta colpa tua!" le parole mi uscirono dalla bocca senza che avessi il tempo di pensarle. Era il primo sfogo dopo tanti anni, di cui me ne penti subito!

La mia voce era alterata, era quasi un urlo, che spaventò Jazmyn e i presenti. Quest'ultimi sussultarono ma non capivo se erano per le parole appena dette oppure per il mio improvviso cambio d'umore.
Sentii il respiro mancare ed il cuore smettere di battere quando incrocia gli occhi di Jazzy colmi di lacrime ed oscurati dalla paura e della tristezza. In quel momento mi era sembrato che lei fosse tornata bambina e correva da me piangendo perché papà era tornato. Aveva paura mentre sentiva le urla straziante di nostra madre provenire dall'altra parte della casa! Io mi sentivo così imponente e mentirei se non dicessi che avevo paura anch'io e mentirei ancora se dicessi che non mi sentivo così in quel momento. La mia piccolina stava piangendo per colpa mia e questo era la cosa peggiore che mi potesse mai capitare. Le avevo promesso che mi sarei presa cura di lei e di Jaxon, ma in quel momento mi sembrava di essere stato il peggio fratello che potesse esistere. Jazzy soffriva di bullismo ed io non me ne ero mai accorto e mi ci era voluta lei in ospedale per scoprirlo. Dire che mi sentivo uno stronzo, un bastardo, un deficiente sarebbe stato solo un eufemismo e sarebbe fin troppo gentile.

I miei occhi erano incollati sui suoi,che mi guardavano impauriti e delusi. "Scusami tanto se la odiavo perché mi teneva lontano da mio fratello," sussurrò quelle parole con risentimento, fissandomi ancora con le calde lacrime che le rigavano ancora il viso "quello che mi ha promesso che non mi avrebbe mai ferita e mai fatto versare una lacrima, che ci sarebbe sempre stato per me. Ma quel fratello scomparve anni fa, quando Ashely entrò nella sua vita, dimenticandosi delle persone a lui care e che scomparve ancora una volta quando lei se ne andò durante la cerimonia, ma che è tornato in sé  quando una donna di nome Summer Jones incontrò i suoi occhi, facendo una specie di magia che gli permise di tornare quel che era: spensierato, allegro, felice... Perciò, scusami tanto se ho rivoluto mio fratello e non il mostro che era diventato!" detto ciò corse via dandomi una spallata, che non mi fece niente.


Ero rimasto spiazzato dalle sue parole.
"Scusami tanto se ho rivoluto mio fratello e non il mostro che era diventato" mi ripetevo quella frase mentalmente, provando a trovarci un senso. 
'Ero diventato un mostro?' era questa la domanda che mi tormentava. 
Un mostro da cui era meglio scappare?  Stare lontani? Da evitare?
Vari scenari di quei ultimi due anni mi tornarono in mente. C'erano stati tanti segnali che avevo ignorato, come ad esempio quando uccisi il barista di un bar solo perché una sera non mi aveva voluto dare da bere perché, secondo lui, ero abbastanza ubriaco oppure quando massacrai di botte  un ragazzo solo perché mi era venuto addosso, senza farlo apposta! Uccidevo senza pietà, senza una giustificazione, qualsiasi persona mi capitava sotto mano. In quei momenti ero il diavolo in persona e mi si stringeva il cuore pensare che Jazmyn mi vedeva così.


E, alla fine dei miei pensieri, conclusi che, Jazmyn Bieber, aveva ragione: Ero diventato un mostro.

 

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Capitolo 8
*** Six ***


"Certo che tutto passa: tutto
quello che non è importante.
Il resto rimane.
"

-diariodiunincantevolesquilibrata

CAPITOLO SEI.

 
Campo da guerra. Campo da battaglia.

Ogni volta che sentiamo questi nomi, ci vengono in mente: guerra, paura, esplosioni, bombe, fumo, dolore, feriti, ma soprattutto morte. Già, morte. Quella cosa, se la possiamo chiamare tale, che ci porta via persone a noi care, che possono essere famigliari o amici, e che ci lasciano un vuoto che niente e nessuno potrà placare. Le persone si illudono che con il tempo il dolore scompaia e che non si tornerà mai più a piangere, ma la verità è tutt'altra ed è più dolorosa. Ogni volta che quella persona cara, che si ha perso, tornerà nella nostra mente, le lacrime usciranno senza che ce ne accorgeremo. Le cose belle e divertente ci torneranno in mente per tormentarci, perché sapiamo benissimo che quella persona non è lì con noi e l'unica cosa che ci resta è il ricordo. Un ricordo che può essere sgradevole quanto bello! Ci piangeremo addosso perché sapiamo che il suono di quella risata, come la voce, non la sentiremo mai più e di essi ci è rimasto solamente una vaga immagine.Forse, con gli anni, il dolore diminuirà, ma esso rimanerà sempre lì, in quel angolino nascosto, che la nostra mente ci porterà ogni qual volta il pensiero della persona a noi care, tornerà.



Ma, è possibile essere morto dentro?
Come se il campo da guerra fosse dentro la testa di qualcuno?

Perché era così che si sentiva Justin quel giorno. Nella sua testa si era formato un campo da battaglia. Da un lato c'era il nuovo lui, colui che era diventato in quegli ultimi anni. Dall'altra parte c'era il vecchio Justin, colui che prendeva botte su botte da suo padre e che veniva chiuso in sgabuzzino addirittura per giorni, senza cibo e acqua.Non sapeva chi voleva essere: l'uomo spietato che uccideva senza cuore oppure l'indifeso ragazzino?

Domande su domande lo tormentavano mentre restava seduto per terra, con la schiena appoggiata al muro e la testa fra le mani, ancora sotto lo sguardo dei suoi amici che non potevano far altro che guardarlo con dolore. Nessuno faceva niente per la semplice paura di farlo arrabbiare ancora di più, ma anche senza di loro, i ricordi provocò in lui dolore, rabbia.
Cominciò a dondolarsi avanti e dietro urlando "no no no", e fu da lì che capirono che i suoi demoni gli erano tornati a far visita.
D'un tratto, si alzò in piedi e sferrò un pugno al muro. Poi prese un vaso di porcellana che aveva lì vicino e lo lanciò contro la parete, frantumandolo in mille piccoli pezzi.
Summer, che stava dormendo fino al quel momento, scese al piano di sotto massaggiandosi le tempie per il forte mal di testa.
"Ma che è questo frastu.." le parole le morirono in gola vedendo lo scenario che le era capitato di fronte. Justin aveva le nocche della mano destra sanguinante per colpa dei vetri che lo tagliarono quando colpì, con i due pugni, l'enorme specchio che decorava la cucina.
Summer guardò spaventata tutti i presenti che la guardavano nel suo stesso modo.
"Ju-Justin?" lo chiamò lei balbettando. Lui, al sentir quella voce melodica, si fermò con le braccia in alto con un bicchieri di cristallo fra le mani, e si voltò verso di lei. Notando che stava tremando, probabilmente per la paura, e guardando anche quei suoi occhi colmi di terrore, tristezza e, a dirittura, curiosità, riuscì a trovare un po' di conforto e di tranquillità. Per questo, cade a terra, arreso, appoggiando la schiena sul balcone di marmo che aveva dietro, con le gambe stese in avanti e le braccia lasciate libere lungo i fianchi. Lo guardo fisso davanti a sé, oltre le spalle di Summer.
Per un istante ci fu un silenzio religioso. Nessuno osava muovere un muscolo per la paura di far qualche rumore che avrebbe potuto farlo reagire come aveva fatto prima.
Jazmyn, che intanto era uscita di casa, nel momento in cui Justin stava immagazzinando le sue parole fermo, a fissare il vuoto, entrò in casa con una marea di buste della spesa e facendo tintinnare le sue all star sul pavimento. Quando varcò la porta della cucina, si fermò di colpo. Tutti gli sguardi erano puntati su di lei, compreso quello del fratello, con un velo di stupore, mentre i suoi occhi si aggiravano da una parte all'altra della stanza esaminando tutti i dettagli. Poi il suo sguardo si fermò su Justin e capì tutto. Non era la prima volta che gli succedeva, ma le altre volte erano state diverse: non era mai stata colpa sua. Mentre ora, se suo fratello si trovava in quel stato, era soltanto per colpa sua.
Posò le buste per terra non sapendo che fare. Era indecisa se avvicinarsi oppure stare ferma come le altre volte. Di solito lui aveva bisogno di un paio d'ora per tornare in sé, a volte giorni.
Così, indecisa sul da farsi, si girò verso Summer che, come lei, era ancora sulla porta. Quest'ultima, capendo dallo sguardo insicuro della ragazza, scosse la testa e, con molta cautela e lentezza, si avvicinò a Justin, sedendosi accanto a lui, che aveva riportato lo sguardo oltre la porta.
Summer con delicatezza afferrò la sua mano destra accarezzandola con il pollice. Justin, sorpreso, si girò di scatto verso le loro mani e, vedendo che si erano intrecciate, sorrise e lei notò che finalmente le spalle si rilassarono così come ogni altro muscolo presente nel corpo.
"Justin?" lo chiamò, ottenendo lo sguardo del ragazzo che sorrideva timidamente.
Quel sorriso le apparse diverso da tutti gli altri. Un Justin timido ancora non lo aveva mai visto, così come tutti gli altri presenti in quella stanza. "Stai bene?" domandò poi provando a non farsi distrarre da quel uomo bellissimo che aveva davanti, portando in allerta tutti i suoi sensi di psicologa.
Justin annuì e sembrava che non si accorgesse degli altri presenti in quella stanza, ma aveva occhi solo per Summer. Summer restò zitta, aspettando che lui aprisse bocca per dire qualcosa e lo capì che lo stava per fare quando, guardando negli occhi, essi si scurirono e i muscoli della mano si irrigidirono, così come le spalle e la mascella serrata. Sentì percorrere un brivido lungo tutta la schiena.
Era sicura di voler sapere cosa lo tormentava? E se lei non lo avesse potuto aiutare? E se avesse fatto qualcosa di così tremendo che lei non sarebbe riuscita mai più a guadarlo in faccia? Erano più o meno queste le domande che tormentavano Summer. Domande a cui non sapeva ancora dare risposte.
"Avevo più o meno 12 anni all'epoca" la riportò alla realtà, Justin "Jeremy era tornato a casa ubriaco e, la prima cosa che fece quando entrò, fu andar a cercare mamma. Si mise a urlare da una stanza all'altra, alle sue ricerche, mentre io ero chiuso in camera mia" chiuse gli occhi e strinse le mani in due pugni a quel ricordo.

(Flashback Justin)


"Troia, dove sei?" urlò ancora papà "Nasconderti non ti salverà il culo! Esci!" senti ancora. Poi un urlo. L'ha trovata.
Mi porto le mani alle orecchie per non voler sentire le urla straziante di mia madre.
Sono appoggiato alla porta di camera mia, riesco a sentire i pugni sferrati da quel essere spregevole.
Un tocco leggero si sente sulla porta ed una vocina debole, melodica e rotta dai singhiozzi chiamarmi. 
E' Jazmyn.
La faccio entrare chiudendo la porta a chiave.
Mi appoggio al muro e la faccio stendersi per terra, appoggiandole la testa sulle mie gambe, mentre le accarezzo i lunghi capelli biondi.
La voce della mamma si sente ancora. Tra un "Basta, ti prego" e un "Perché mi fai questo" oppure un "Di là ci sono i tuoi figli" si sente il rumore di un schiaffo o di un pugno o di lei che cade a terra.

"Jazmyn, credo che sia ora di andare a letto" le dico.
"Posso dormire con te?" mi domanda guardandomi con quei suoi occhioni e facendo una faccia da cucciola ed non riesco a dirle di no. Annuisco e mi scappa una risatina timida.
La prendo in braccio e la porto sul letto.
Un urlo ci fa sobbalzare ed il piccolo Jaxon comincia a piangere dalla sua culla vicino al mio letto. Prendo anche lui in braccio e lo coccolo un po', per poi appoggiarlo al centro del letto con me sdraiato di fianco. Allungo il braccio ed attiro Jazmyn a me accarezzandole un braccio, mentre con l'altra mano gioco con i capelli di Jaxon.
"Vi prometto che un giorno tutto questo sarà finito. Papà non farà più male a nessuno e noi potremmo vivere una vita normale come tutti gli altri" sussurro, auto convicendomi che è la verità.
"Me lo prometti Justin? Mi prometti che tutto questo schifo finirà e che saremo finalmente felice?" mi chiede Jazmyn con le lacrime agli occhi.
"Piccola, non piangere! Quando papà se ne sarà andato, non permetterò mai a nessuno di farti piangere.. Tu sei la mia principessa, ricordi? Ed io il tuo principe.. Ti porterò lontano da questo posto e saremo felici.. Ci porteremo anche il piccolo Jaxon e la mamma e, come in una qualsiasi favola che si rispetti, anche noi avremo il nostro 'Felici e contenti'"


(Flashback Justin)

Già il felice e contenti che Justin non aveva ancora avuto! Che Jazmyn, Jaxon e Pattie non avevano ancora avuto!



"Mi perdoni piccola?" chiese Justin con le lacrime agli angoli degli occhi a Jazmyn "Non è colpa tua se Ashley mi ha lasciato. Anche allora è stata colpa di papà come è colpa sua se facciamo questa vita di merda, ma senza di te io non posso vivere.. Tu e tuo fratello siete l'unica cosa che mi è rimasta ed ho paura di perdere ancora voi. Non volevo dirti quelle cose. Credo che tu e Jaxon siate l'unica bella cosa che quel essere abbia mai fatto! Piccola io... io non ti farei mai del male e se mai dovesse accadere qualcosa a te e a tuo fratello, io.." le parole gli morirono in gola e, quando chiuse gli occhi, le lacrime calde gli scesero sul volo, una dopo l'altra, senza mai fermarsi.
"Ohh Justin" esclamò Jazmyn, buttandosi per terra fra le sue braccia, anche lei in lacrime. "Tu non mi perderai  mai, capito?" gli chiese prendendoli il viso fra le mani e asciugandogli le lacrime  "Anche se molte volte sei il fratello più iperprotettivo che esista e molte volte mi fai incazzare di brutto, non ti cambierei mai. Sei sempre stato con me quando papà picchiava la mamma e mi assicuravi che tutto sarebbe andato bene. Ed è così! Hai praticamente cresciuto due bambini da solo ed hai abbandonato i tuoi sogni per me e Jaxon. Forse non era questa la vita che avevo sempre immaginato, ma non m'importa. Se ho te e Jaxon con me, potrei anche essere una barbona che abita sotto un ponte! Tu e Jaxon siete la mia vita e sempre sarà così, anche se molte volte vi manderò a fanculo entrambi, vi vorrò sempre bene!" detto ciò, nascose il viso sulla spalla sinistra del fratello.

Justin, sentendo le parole della sorella, si sentì sollevato ed un'ondata di felicità lo travolte. Aveva finalmente la certezza che la sorella non lo avrebbe abbandonato come lo aveva fatto la madre e che lei sarebbe rimasta sempre e comunque.
Forse i fratelli litigano e si urlano le cose più peggiori al mondo ma, quando si viene da una famiglia disastrosa come la loro, si impara ad amare i fratelli e capire che senza di loro non si può andare da nessuna parte. Jazmyn e Jaxon sono le uniche persone gli è rimasto. Se non avesse loro, chi avrebbe?

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Capitolo 9
*** Seven. (First Part) ***


"Ci sono 168 faccine, 12 cuori di colori diversi,
tutti gli animali possibili e immaginabili, le fasi
lunari, più di 100 cibi diversi, 21 palazzi e non
c'è un cazzo di emoticion che ti faccia capire
quanto vorrei prenderti a calci in culo.
"

-ilblogdiunaragazzasquilibrata



 

CAPITOLO SETTE (Prima parte).


JUSTIN P.O.V.

 

Velocità, pericolo, adrenalina, arme, clan, polizia, carcere, fughe, nascondigli, feste, prostitute, droghe, alcool, vendetta (e giustizia)... 


Parole che descrivano perfettamente quello che era il mio stile di vita prima di incontrare Ashely! Già, colei che mi aveva abbandonato all'altare.
Mi ricordo ancora oggi, come se fosse ieri, come la conobbi.
Ero al solito bar, di venerdì sera, con i ragazzi ed una bionda appena conosciuta seduta sulle mie ginocchia. Bevevo del wisky per alleggerire la testa dopo quello che era successo quella notte.
Ero al quarto bicchierino, ormai non ero tanto lucido, quando alzai lo sguardo per chiedere al barista, dall'altra parte della stanza, di portarmi un altro po' di quel liquido che bruciava la gola ogni qual volta che la buttavo giù, che la porta principale si aprì e due figure snelle, con lunghe gambe, fianchi soliti, davanzale ben pieno e con lunghi capelli, entrarono. L'unica differenza tra le due era che una era bionda, occhi azzurri, e l'altra castana occhi verdi.

Allungai le gambe e feci cadere la troia seduta su di esse e mi alzai.
I miei occhi incontrarono quella della castana e le vide andare verso il bar. Mi avvicinai appena in tempo da vedere la ragazza degli occhi azzurri alzare l'indice per ordinare.
"Offro io, dolcezze" mi ricordo di averle detto.
Tutte e due mi sorrisero ed io ammiccai.
Mi ricordo solo di aver bevuto un'altro bicchierino di wisky e di essermi svegliato il giorno dopo sul mio letto, nudo.
Quello che successe effettivamente quella notte non mi ricordo, ma la cosa pareva ovvia visto che spoglio dei miei vestiti, il problema che sorgeva però era che ero solo, su un letto dove ero sicuro che aveva ospitato una delle due ragazze che avevo conosciuto la sera prima.
Dovettero passare due giorni prima di riveedere la biondina davanti al Madison Square Garden. Per sbaglio le ero andato contro e, come si osa dire, "è stato opera del destino".
Successivamente scoprii che ero andato a letto con la sua migliore amica ma, per mia fortuna, questo non mi negò un appuntamento.
Dopo il primo si susseguirono altri 4, prima che andassimo a letto. 
Ashely era una ragazza irascibile, non aveva paura di dire quello che pensava ma era comunque allegra, sorrideva sempre, ma era anche contraddittoria, si infastidiva facilmente, insomma... Era una ragazza complicata. Era l'esatto opposto di Summer. Non che lei non fosse complicata, in fin dei conti era una donna, ma sicuramente non perdeva la testa come faceva Ashely. Per quanto poco potessi conoscere Summer, vedevo in lei un qualcosa di diverso da tutte le altre femmine. Nel suo sguardo si riusciva a vedere ancora la bambina che era e, a volte, riuscivi a vedere anche la tristezza di una infanzia perduta. Sembrava che quegli occhi ti svelassero un segreto ogni qual volta che li guardavi, a secondo del tuo umore. Se li guardavi con tristezza riuscivi a vedere la sua storia. Se li guardavi con felicità riuscivi a vedere un luccichio che ti raccontava i suoi momenti più belli. Se li guardavi con rabbia riuscivi a vedere la sua rabbia repressa da tempo.... Ma c'era una cosa che non mi quadrava. Tramite ad essi, tempo fa, potei vedere che c'erano ancora segreti mai svelati, probabilmente per paura, timore. Sembrava una donna forte da fuori ma, ero più che sicuro, che se la conoscessi meglio, avrei trovato una ragazzina debole dentro di sé. 

 

"Allora che hai intenzione di fare?" la voce di Brian mi riportò alla realtà.
"ehh?" non riuscivo a capire di cosa stessero parlando.
Steven sbuffò, frustato "Justin, cazzo! Stai attento per la miseria! Non puoi perderti nei tuoi pensieri. Summer probabilmente è in pericolo e dobbiamo scoprire al più presto chi era quello che l'ha seguita quando è venuta qui, perciò concentrati, porca puttana!
Okay, l'ammetto. Quando Steven si incazzava faceva veramente paura, ma non mi feci intimorire. Mi fermai a pensare alle sue parole "Summer probabilmente è in pericolo".
Cazzo!
"Come se non lo sapessi" borbottai senza accorgermi. Ricevetti uno sguardo intimidatorio da parte sua, ma non ci feci molto caso.
"Cosa possiamo fare? Non sapiamo nemmeno chi sia quel tizio" disse Brian con fare ovvio.
"Grazie mille genio. Senza di te non ci saremo mai arrivati!" risposi sarcasticamente passandomi le mani sui capelli. "E' uno degli scagnozzi di Lucas. Ne sono più che sicuro" espressi la mia opinione che era più che ragionevole!
Ero quasi sicuro che centrasi con questa faccenda. Era da tempo che si voleva vendicare di me e quale scusa migliore se non ferire una persona a me cara?
Ci aveva già provato con Jazmyn e Jaxon tempo fa, ma senza successo e adesso che avevo una nuova persona a cui lui poteva fare male, non perdeva tempo.
"Che Dio mi perdoni Justin, ma se non la smetti di fantasticare, le prendi!" urlò furioso Brian, alzandosi.
"Calmati, Brian" lo ammonì Matthew "Probabilmente sta pensando a Summer e sai che quando si fissa su qualcosa non smette di pensare ad essa" continuò. A quanto pare mi conosceva bene.
Brian sbuffò, ma si sedette e non aprì più bocca.
"Ma... ma alla fine tu.. tu e lei avete parlato di quel bacio?" ed ecco che entrava in scena Tyler con le sue domande che mettevano in imbarazzo non solo me, ma lui stesso per averla fatta.
Presi un respiro ed annui lentamente soffermandomi su cosa dire. "Sì," dichiarai "ha detto che è stato uno sbaglio e che è meglio se rimaniamo amici" alzai le spalle con indifferenza, ma Steven non ci cascò.
"E a te sta bene questa cosa?" mi chiese.
Annui nuovamente "Prendo quello che mi offre" ribattei.
Brian tossì per attirare la nostra attenzione "Adesso che abbiamo chiarito che Justin e Summer sono diventati amici" disse infastidito "passiamo alla cosa veramente importante. Dobbiamo trovare un modo per scoprire chi era quel tipo e cosa voleva da Summer e se questo 'sorvegliarla' ha a che vedere con il fatto che lei e 'Testa di Cazzo' sono diventati amici" okay, potevo accettare tutto, ma questo era troppo.
"Che cazzo di problemi hai?" balzai in piedi, stringendo le mani a pugni.
"Tu sei uno dei miei problemi!" affermò alzandosi anche lui in piedi ed avvicinandosi a me in modo che i nostri nasi quasi si sfiorarono "Summer è in pericolo e tu non ti preoccupi minimamente! In questo esatto momento potrebbe essere stata rapita da quel stronzo o peggio ancora uccisa!" persi un battito di cuore a sentire quelle parole.
Brian era sempre stato il mio migliore amico. Lo conoscevo da una vita ed erano rare le volte in cui litigavamo. Abbiamo sempre avuto lo stesso temperamento, ma questo non era mai stato un problema e questo cambiamento mi sorprese. Ma adesso che ci pensavo, era strano già da un paio i settimane. Aveva sempre difeso Summer se per caso uno dei ragazzi diceva qualcosa di sbagliato su di lei. Si era arrabbiato quando si era ubriacata. Gli si illuminavano gli occhi quando si parlava di lei e adesso si comportava in questo modo, come se fosse un compito suo proteggerla.
Lo guardai negli occhi e notai la paura impossessarsi di lui ed ero convinto che non ero io che gli facevo quel effetto. C'era qualcosa che non andava ed aveva a che vedere con Summer.
Prima che parlassi si sentì il suono di uno dei cellulari delle ragazze suonare, ma non ci feci molto caso e tornai a concentrarmi su Brian.
Feci un passo indietro e così come lo fece anche lui. Mi imponi di calmarmi e di pensare lucidamente.
"Okay, dimmi che succede. Cosa ci stai nascondendo, Brian?" gli chiesi e potei notare i muscoli del braccio irrigidirsi come il resto del corpo. "i..io...ehmm...io non-
"Non provare a dirmi stronzate. Ti conosco da quando eravamo piccoli e so che stai nascondendo qualcosa" lo interrompi ed il mio cervello cominciò a lavorare come non aveva mai fatto fin'ora e giunsi ad un conclusione che mi fece venire i connoti di vomito "Ti piace Summer?" chiesi con disgusto.

Perché mi comportavo in quel modo se io e Summer eravamo solamente amici?

Brian scoppiò a ridere e tutti lo guardammo straniti. "No amico, no!" mi rassicurò "Non mi fraintendere. Summer è una bella ragazza, ma fra noi non potrebbe mai nascere niente, neanche se volessimo" spiegò.
Le sue parole mi confusero ancora di più. "Che stai cercando di dire Brian?"
Non avendo il coraggio di guardami negli occhi, abbassò lo sguardo sulle sue mani "Lei è.. miahduh.." borbottò senza farci capire niente. 
"Ehh?" chiedemmo tutti contemporaneamente.
"Lei è.. miahedhu.." ripeté.
"Cazzo Brian! Sputa il rospo, porca puttana!" urlai in presa ad un crisi nervosa.
"E' la mia sorellastra, cazzo!" urlò a sua volta, più alto di me.
Per una ventina di secondi il silenzio calò nella stanza e, anche Victoria che stava parlando ancora al telefono con chi sa chi, si zittì e non si sentì altro che i respiri di ogni uno. Ma poi, una voce proveniente da chi sa dove, chi fece sussultare.

"COSAA?!" una voce femminile chiese incredula e tutti ci girammo verso il telefono che teneva ancora accesso in mano Victoria. 

Fu allora che capimmo con chi stesse parlando.


 

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Capitolo 10
*** Seven. (Second Part) ***


 

"Impara a voltare le spalle a chi ti ha ferito,
ed impara ad abbracciare chi resta al tuo fianco.
"


-Cit.


CAPITOLO SETTE (Seconda parte).


"Sei bellissima, tesoro! Dylan piangerà quando ti vedrà."

"Oh per carità, Louis! Non è niente di che..." replicò Summer guardandosi all'enorme specchio che aveva dinanzi.
"Giusto. Prima sbaverà, poi piangerà" replicò a sua volta Louis. "È un uomo molto fortunato e lo sono anch'io per aver la possibilità di portarti all'altare" un sorriso si impossessò del suo volto, mentre su quello di Summer compare una smorfia di dolore.

Voleva bene a Louis, per carità. Le era sempre stata vicina fin da piccola e per lei è stata la figura paterna che non aveva mai potuto avere, ma  quelle sue parole la riportò alla realtà: lui non era suo padre e l'uomo che veramente lo era si trovava da qualche parte, lontana da lei, lontano da quel giorno che sarebbe dovuto essere il più bello della sua vita. Quel giorno dove il suo vero padre avrebbe dovuto prenderla a braccetto, percorrere la navata della chiesa con lei, con le lacrime agli occhi, mentre le accarezza il dorso della mano e le sussurrava cose che solo un papà potrebbe dire alla figlia durante il proprio matrimonio, oltre a farla imbarazzare dicendo, al quello che sarebbe stato il suo futuro marito, di prendersene cura di lei, se no sarebbe finita male per lui.
Summer però non poteva avere quello. Quello che aveva sempre desiderato, sognato da piccola: un padre come quelli degli altri bambini. Che la venisse a prendere a scuola, la portasse al parco, a prendere un gelato, che giocasse con lei e l'aiutasse a fare i compiti. Lei non l'aveva, anche se aveva avuto per la maggior parte dell'infanzia Louis, il marito della madre, sapeva benissimo che non era la stessa cosa. 

In fin dei conti lei non si considerava come gli altri bambini e perciò dava la colpa ad esso: il prezzo da pagare per essere diversa, era perdere il padre. 

Fin da piccola era stata costretta a fare corsi su corsi, rinunciando a non avere quasi amici, per diventare quella che era diventata ora. Aveva frequentato una scuola privata fino ai 9 anni, poi aveva seguito gli studi con un'insegnante privato. All'età di 17 anni aveva già finito le superiori e si era scritta all'università di psicologia, che aveva frequentato per 5 anni prima di potersi diplomare. All'età di 21 anni, mentre studiava ancora, lavorò presso uno studio psichiatrico come aiutante e, solamente l'anno dopo, aprì una propria attività.
In questi 23 anni aveva avuto lezioni di danza classica 3 volte alla settimana, ma anche di Hip-Hop e moderna. Aveva avuto 4 ore a settimana di lezioni di lingue. Ora sapeva parlare perfettamente l'italiano, il francese, il tedesco, lo spagnolo. Se la cavava bene anche con il cinese, anche se non era mai stata tanto portata per quella lingua. Sapeva benino anche il portoghese e questo solamente perché sua nonna la costrinse a passare 2 estate consecutive in Brasile, per imparare la lingua. Sapeva anche andare a cavallo e aveva preso svariate lezioni di scherma. Sapeva cantare e suonare tanti strumenti come il violino, il piano forte, il flauto traverso, la tromba, la chitarra sia acustica che elettrica, la batteria, il basso, i piatti ed infine il tamburo. Sì, può sembrare una cosa sovra-naturale saper suonare così tanti strumenti, ma si divertiva mentre eseguiva le varie partiture e così prese le lezioni di musica come un gioco, come una distrazione.
Oltre alle ore di lezioni suddivise per i giorni della settimana, quando si trovava a colazione, pranzo e cena le venivano insegnate o ricordate le regole del Bon ton.
Era continuamente osservata da qualcuno, pronto a correggerla se commetteva uno sbaglio e, anche se lo odia ammettere, l'unica volta in cui poteva sentire se stessa, era quella l'unica giornata che passava insieme a suo padre, ogni due mesi.
Si faceva vedere pronta alle 7 della mattina per uscire con il padre, così non dovevano spendere tempo prezioso alla loro giornata, che cominciava sempre come al solito. Per prima cosa si fermavano a fare colazione al bar vicino casa, dove lei era solita prendere della cioccolata ed una brioche alla crema, mentre il padre un semplice cappuccino. Successivamente andavano al poligono di tiro dove il padre l'insegnava a sparare, anche se lei non aveva mai capito come poteva entrarci essendo che non aveva l'età obbligatoria. Però doveva ammettere che aveva una buona mira e adesso si sentiva al sicuro sapendo di saper usare una pistola. A mezzo giorno andavano a mangiare al Mc e dopo pranzo sceglieva lei cosa fare. Amava andare a giocare a basketball anche se era una frana. Giocavano anche a pallavolo e  spesso andavano a gareggiare con i go kart o in motocross. In quelle poche ore si sentiva di essere se stessa, perché non era costretta a mantenere un certo comportamento e si poteva comportare come una della sua età, ma si sa che i sogni non durano per sempre. E così, quando tornava alla dura realtà e suo padre se ne andava, lasciandole ancora una volta quel vuoto dentro di sé, riprendeva ad odiarlo peggio di prima.

E lo odiava tutt'ora, e come se lo odiava. Per il semplice motivo che lui non si trovasse lì con lei, al posto di Louis a dirle quanto era bella con quel abito da sposa.
"Summer, guarda! Mi sposo anch'io!" una vocina delicata riportò alla realtà Summer. Lucia le stava tirando l'orlo del suo vestito per farsi notare. Indossava il suo stesso abito, ma in dimensioni estremamente ridotte. Lucia e Ryan, i due fratellini di 5 e 3 anni, avrebbero portato gli anelli, mentre la cuginetta Lara avrebbe sparso le petali di rose lungo tutto la navata.
"Sei bellissima, tesoro!" le disse alla piccola, Louis "ma devi aspettare almeno i 50 anni prima di cercare fidanzato e quando ne avrai 60 potrai sposarti" il solito padre protettivo e gelose.
"Sì sì papà. Tanto finché io ho il fidanzato e tu non lo sai, va bene" ripose di comando la piccolina, lasciando di stucco tutti.
Summer non riuscì a trattenere una risatina per il carattere della bambina. Era piccola, ma molte volte sembrava aver già capito tutto dalla vita.

"Okay no. Vicina a voi due sembro un mostro!" la voce di Jazmyn rimbombò nella stanza. Indossava un vestito corto, tra il grigio e l'azzurro, con una fascia nera sulla vita e di una sola spallina. Era adorabile. 
"Sei uno splendore!" le informò Summer.
"Rideranno di me, sicuro!" ed ecco che tornava la Jazmyn insicura del proprio corpo e delle propria bellezza.
Summer le si avvicinò e le posò una mano sulla spalla facendola girare verso lo specchio. Si mise dietro di lei e le accarezzò dolcemente i capelli. "Sei bellissima e non dubitare mai di questo! Nessuno riderà di te, lo prometto. E se lo faranno, li manderò via a calci in culo, indipendentemente se sia mia madre, mia nonna, mia suocera o Dylan, non me ne frega. Nessuno ha il diritto di giudicare gli altri per lo aspetto fisico, come tu non hai l'obbligo di sentire quello che dicono. Perciò, sorridi e fai vedere a tutti come sei forte e che sai di essere bella ragazza. Fai sbavare tutti i ragazzi con la tua camminata e farli cadere con un tuo sguardo perché, ragazza mia, lasciami dire, che vestita così, saresti capace di conquistare addirittura Leonardo DiCaprio" sentendo quelle parole Jazmyn sorrise. Un sorriso che portò allegria a tutti i presenti in quella stanza.

 

 

"Perciò è meglio se chiamo Justin, così lo avvisiamo. Va bene?" chiese Summer a Jazmyn quando ormai erano salite in macchina. Loro due davanti, mentre Lucia e Ryan seduti sui seggiolini dietro.
Digitando dei numeri sul touch che aveva sul volante della macchina, fece partire la chiamata, che suonò a vuoto. Provò a chiamare Victoria, che rispose subito al secondo squillo.
"Summer!" ripose la ragazza.
"Hei Victoria! Ho chiamato per sapere se Justin fosse lì con te. L'ho chiamato prima, ma non mi risponde!"
"Ah sì è qui. Probabilmente ha lasciato il telefono in cucina e non lo abbiamo sentito. Comunque mi dispiace, adesso non credo che possa parlare. Sta discutendo di qualcosa con i ragazzi.." rispose come se lei e Summer si conoscessero da una vita e che quello fosse un discorso più che normale.
"Okay.. Allora puoi dirglielo tu che Jazmyn rimane da me questa notte?" chiese.
"Sì sì, non ti preoccupare!" Summer era sicura di averla sentito sorridere. "Come è andata la prova abito?" chiese per cambiare discorso.
"Bene bene, anche se faticoso. Adesso siamo in macchina, a due isolati da casa, finalmente!" si sentiva stanca morta e non aveva la minima idea di come avrebbe fatto ad occuparsi dei piccoli.
"Bene so.." si fermò di colpo Victoria di parlare.
In sotto fondo si potevano sentire due voce, che Summer riuscì ad identificare come quella di Justin e l'altra, probabilmente, di Brian. Restò in ascoltò.
"No amico, no! Non mi fraintendere. Summer è una bella ragazza ma tra noi non potrebbe mai nascere niente, neanche se volessimo" sentì Brian dall'altra parte.
"Che stai cercando di dire Brian?" questa volta sentì Justin e poi dei farfugli che lei non riuscì a capire. 
Ad un certo punto udì Justin scoppiare. "Cazzo Brian! Sputa il rospo, porca puttana!"  lo capì benissimo e la riposta di Brian fu l'unica che non si sarebbe mai aspettata.

"E' la mia sorellastra, cazzo!"
 

*Bomm* colpo al cuore. Non sapeva nemmeno di avere un fratello cioè, un fratello che non fosse Ryan.
Il silenzio dall'altra parte calò e lei non riusciva a capire se la telefonata fosse caduta o se fossero tutti rimasti sconvolti quanto lei.
Anche in macchina si riusciva a sentire le mosche volare e, nonostante Summer provasse a dire una qualsiasi parola, la voce le moriva in gola. 
Il semaforo a cui si era fermato, era diventato verde, ma non diede molta importanza, nemmeno ai suoni dei clacson. Più li sentiva però, più voleva scendere dalla macchina e mandare a fanculo tutti, anche quella macchina rossa che si trovava dietro di lei da quando erano usciti dal negozio e che sembrava seguirli. Decise però di non darle molta importanza e di concentrarsi su quello che aveva appena sentito.
Quando realizzò il significato di quelle parole, la voce sembrò esserle tornata.. tuonò un "Cosa" da sembrare Zeus incazzato che lanciava fulmini e saette da tutte le parti.
 

*********

 

Al sentire quella voce, tutti i presenti in quella stanza si irrigidirono. Justin corse subito a prendere il telefono dalle mani di Victoria ma quando se lo portò all'orecchio per parlare, la linea cade. Poté benissimo però sentire un rumore simile ad uno schianto.

Preso da un'ira improvvisa, lanciò il telefono contro il muro, lanciandolo dall'altra parte della stanza, rompendolo in mille pezzi "Cazzo!" urlò rosso in faccia. "Sai dove erano per caso, Summer e Jazmyn?" chiese a Victoria. Non voleva pensarci a quel rumore. Voleva credere di esserlo immaginato e per poter costatare che fosse stato così, le doveva vedere con i propri occhi che stavano bene.

Victoria, impaurita dal Justin incazzato che aveva davanti, annuì leggermente "Erano a due isolati da casa di Summer" la voce le uscì come un sussurro.
"Che cazzo succede, Justin?" gli domandò Brian, improvvisamente preoccupato ed impaurito.
Justin, frustato da quella situazione, si prese la testa fra le mani e la scosse, per poi passare le mani sui capelli e prendere le chiavi della sua macchina "Ho un brutto presentimento" fu l'unica cosa che disse.

Una volta che tutti salirono nelle rispettive macchine, Justin partì a tutta velocità, e la scena che si trovò davanti, appena arrivato nel luogo, lo fece impaurire.
La macchina di Summer distrutta dal lato del guidatore fermo in mezzo alla strada. Si poteva sentire pianti di bambini provenire dall'interno.

Scesero tutti di corsa, scoprendo che l'unico posto vuoto era quello di Jones.
Lucia, Ryan stavano bene, anche se avevano dei piccoli graffi. Jazmyn era ancora svenuta e perdeva sangue dalla fronte. Probabilmente l'aveva sbattuta.
Steven e Matthew presero i bambini e li portarono in macchina di Steven, mentre Brian e Justin presero Jazmyn e la portarono nella macchina di quest'ultimo.

Tornarono tutti davanti alla Ranger Rover posizionata in mezzo alla strada a fissarla, non sapendo che fare. Poi, come se gli si fosse accesa una lampadina in testa, Brian si girò verso Justin con gli occhi lucidi. "L'ha presa Justin! L'ha presa!" gli riferì con la paura negli occhi.
Bieber lo guardò a sua volta confuso "Chi l'ha presa, Brian?" domandò.
"Lo stesso uomo che ci ha tenuti lontani. Lo stesso uomo che la seguiva e che probabilmente ascoltava le sue telefonate. Lo stesso uomo che non voleva che lei sapesse di avere me come fratello!" si sentì il cuore perdere un battito, il corpo mole che cade a terra. Sua sorella era stata presa da quel verme, viscido, che non si poteva nemmeno considerare uomo. "E' stato Lucas Jones!"
Justin rinunciava a crederci "E' suo padre. L'hai appena detto tu stesso che lei è tua sorellastra! Non può averla rapita" scosse fortemente la testa.
"E' pazzo, Justin! Le farà del male, lo so!" si irrigidì ancora di più a quelle parole.
 Poi dal nulla, il cellulare di qualcuno suonò avvisando che era appena arrivato un messaggio. Era quello di Brian.

"Uomo avvisato, mezzo salvato! Adesso ti toccherà subire le conseguenze, figliuolo!"



ABITO DA DAMIGELLA DI JAZMYN




ABITO DA SPOSA DI SUMMER



 

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Capitolo 11
*** Eight (First part). ***


 

"A volte succedono cose che non si
è preparata ad affrontare.
"

-Hunger Games.


CAPITOLO OTTO (Prima parte).



 

DYLAN P.O.V.


Per la decima volta sentii la stessa frase, durante il corso di quella giornata: "Qui chi parla è la dottoressa Summer Jones. In questo momento sono occupata o non posso rispondere. Lasciate un messaggio dopo il segnale acustico ed io vedrò di rispondervi al più presto. Byeeee!!! *bippp*

"Cazzo!" Imprecai sotto voce. "Lo sa! Lo sa!" Dissi alla donna seduta sul divano, davanti a me.
"No, che non sa" mi rassicurò. "I media ancora non lo sanno e perciò nemmeno Summer lo sa. Ci sarà una spiegazione per il fatto che non risponde al cellulare!"
"Sarah prova a capire, se Summer lo viene a sapere, il mio ancora non matrimonio andrà in fumo e lei non ti riconoscerà più come sua madre! Perciò, se quei cazzi di media, in qualche modo, riescono ad scoprirlo, non solo io cadrò, tu verrai con me! E non ti consiglio di essere così tranquilla perché, lo sai meglio di me, che quei coglioni del cazzo scoprono sempre tutto, se questo può influire sull'immagine di qualcuno" ormai ero in una crisi nervosa. 
Avevo fatto qualcosa di brutto, ma che dico... Avevo fatto qualcosa di ORRIBILE a Summer e mi sentivo un'emerito figlio di puttana. 

 

 

SUMMER P.O.V.

 

La musica, ad un volume altissimo, mi fece aprire gli occhi, per poi richiederli subito dopo a causa della troppa luce e, a contornare il tutto, anche per il forte mal di testa. 
Restai ferma per non so quanto tempo, finché una voce non me li fece riaprire: "Bom dia, minha princesa!" (*Buon giorno, mia principessa!) . Una lingua che ero stata costretta a studiare, accompagnata da una voce bassa ma melodica e dolce, mi accarezzarono le orecchie. 
Voglio che mi svegliano sempre così, pensai.

Un ragazzo, leggermente scuro di pelle, occhi castani e dei bellissimi occhi verdi, di una corporatura piccola ma ben definita e scolpita alla perfezione, mi si parò di fronte con un bicchiere rosso in mano, con qualche sostanza all'interno. Aveva l'aria simpatica, gentile ma i suoi occhi nascondevano qualcosa di tenebroso all'interno.
Mi guardava incuriosito come se stesse aspettando una mia reazione, ma non ne capivo il motivo. Poi una lampadina mi si acese sopra la testa..

Dov'ero?

Provai a frugare nella mente e, l'unico ricordo che riuscii a recuperare, fu una macchina che veniva verso di me e poi buio. Ricordai anche che in macchina c'erano i bambini e Jazmyn. Il panico si impossessò di me in un nano secondo.
Girai la testa freneticamente da tutte le parti in loro ricerche, ma non vidi nessuno se non il ragazzo di fronte a me. Provai ad alzarmi e, solo allora, notai di avere gambe e braccia legate con una corda, ad un sedia. Tentai a togliermele, ma più mi muovevo più essa si conficcavano nella pelle facendomi urlare dal dolore.
"Mas você si mexe, mas você se machuca, princesa" (*Più ti muovi, più ti fai male, principessa)  mi sorrise maliziosamente e mi fece l'occhiolino.
Lo guardai confusa. Perché mi stava parlando in portoghese, se eravamo in Canada?
"Não me fala que o gato comeu a tua língua!" (*Non dirmi che il gatto ti ha mangiato la lingua!) quel sorrisino di sfottimento sul suo volto mi fece solamente incazzare, facendomi pulsare ancora di più la testa.
"Cala a boca, caralho!" (*Chiudi la bocca, cazzo!) esclamai presa da una crisi nervosa che lui, giustamente, lo trovò  divertente.
"E eu que pensava que você fosse simpático" (*Ed io che pensavo fossi simpatico) borbottai più a me stessa che a a lui.
Mai giudicare un libro dalla copertina. Già!
"Idiota" borbottò anche lui a sua volta.
"Agorà pode para! Saia por favor!" (*Adesso puoi smettere! Esci per favore!) una voce ordinò al ragazzo.
Essa aveva un qualcosa di famigliare, di qualcuno che aveva già conosciuto....
Avete presente che ne nelle vignete dei fumetti, quando qualcuno tira un pugno, un calcio, quando parte un colpo di pistola o una bomba che esplode, compare l'espressione *BOOM*? Ecco, se fossi stata all'interno di uno di quel libriccini, probabilmente sarebbe stato scritto proprio sopra alla mia testa, perché era solamente quella 'parola' che poteva rappresentava cosa aveva fatto il mio cuore quando vidi l'uomo, nel suo completo nero, probabilmente firmato, - quando non poteva fare neanche un regalo alla figlia -  entrare in quella stanza. Eh già! Figlia che non aveva mai voluto o amato..  solo in quel momento lo capivo. Meglio tardi che mai, giusto??
"Wow, sei cresciuta molto dall'ultima volta!" mi tolse dai miei pensieri, avvicinandosi a me.
Lo guardai torvo, non volendo mostrargli che ero sconvolta di vederlo "Mi sorprende che ti ricordi ancora di me!" sputai aspra "Quanti anni sono passati?! Ah già, 5 che poi non fanno alcuna differenza, dato che anche prima che chiedessi il mandato per non farti avvicinare più a me quando ho compiuto 18 anni, ti facevi vedere 1 volta ogni 2 mesi! Praticamente sono cresciuta senza una padre, ma a te che ti può importare? Tanto avevi già un'altro figlio a cui dare le proprie attenzioni 24 ore su 24, mentre l'altra figlia, lasciata da sola con la madre pazza e la nonna ossessionata dalla educazione e dalle regole del bon ton, non te ne fregava niente! Lasciamola pure in pasto agli squali!" buttai fuori tutto d'una volta senza prendere aria, mentre l uomo, che non riconoscevo più come mio padre, stava in piede, davanti alla mia sedia con le mani in tasche.

Bastardo, pensai.

"Tu non dovevi sapere di Brian, mai!" sbottò dopo un paio di secondi in silenzio.

Lo fissai per un attimo.
Era cambiato dall'ultima volta che lo avevo visto oppure semplicemente lo credevo per colpa dei cambi di vestiti e di quel suo atteggiamento, ma, qualunque sia  la realtà, lui aveva qualcosa di inquietante, di tenebroso, di pericoloso, ed ero sicura che questo non giovava a mio vantaggio.
Quella frase pronunciata così fredda, senza sentimento, mi fece venire la pelle d'oca. Sembrava non avere sentimenti, sembrava essere fatto di marmo.
Mi tornò in mente tutte le sedute fatte con Jazmyn e tutte le volte che mi parlava di Justin. Usava sempre dire che era cambiato, che era come senza sentimenti, che non aveva pietà per nessuno, che sembrava di ghiaccio, che lei si sentiva a disagio ogni qual volta che vedeva il fratello in quello stato ed anch'io mi sentivo così, solo, che a differenza sua, avevo paura, perché l'uomo che avevo davanti non lo conoscevo. Non era l'uomo che avevo imparato a conoscere man mano che crescevo, anche se non era stato sempre presente. L'uomo amorevole, che mi guardava con quel falso luccichio  negli occhi, che mi faceva sentire una principessa, la più bella bambina che ci fosse... non esisteva più. Era come se quel uomo che avevo davanti a me, con le mani in tasche, aria da boss, non fosse mai stato mio padre, se si fosse comportato tale in passato.
Poi, come un lampo in ciel sereno, mi ricordai di dove mi trovavo, senza sapere né dove, né cosa ci facessi lì e il perché.
Migliaia di domande vagavano nella mia mente, ma niente!
Non trovavo un filo conduttore in tutta quella storia.
Brian, lo schianto con la macchina, il ragazzo che parlava in portoghese, io legata ad una sedia in quello che mi era apparso come un magazzino abbandonato, un uomo che non sembrava più mio padre. Era tutto slegato nella mia testa e mi frustrava  molto non sapere cosa stesse accadendo ma poi, come se ce lo avessi scritto sulla fronte, mio padre, o almeno teoricamente, diede voce alle mie domande.
"Non ho mia amato Brian e mai lo farò!" cominciò, con lo sguardo fisso nel vuoto "Per me ci siete sempre state tu e tua madre. Di quel altro ragazzino e della puttana me ne sono sempre fregato, ma sapevo che se mai tu lo avessi conosciuto, lo avresti adorato. Siete simile e, per quanto lo odio ammettere, tante caratteristiche che io adoro di te, ce le ha anche lui, però, per qualche ragione, io non riesco a considerarlo figlio mio." spiegò, anche se ci capivo ancora meno di prima.
"Perché non mi hai mai detto che avevi un altro figlio quando venivi a farmi visita?" chiesi con un filo di voce. Ormai avevo la gola secca e facevo fatica a mandare giù la saliva. 
"Perché sapevo che avresti preferito lui a me e mi avresti odio" disse senza guardarmi.
Una risatina aspra mi scappò "C'è solo un piccolo problema: avrei preferito chiunque oltre a te e ti avrei odiato come ho sempre fatto, con o senza un fratello" le parole sembrarono averli fatto effetto perché, alla velocità della luce, ricevetti un ciaffone da parte sua. 
Non gridai. Lasciai semplicemente le lacrime uscire da sole, senza neanche combattere dal trattenerle. "Non cambi la situazione, anzi. Questo è meno doloroso dal dolore che ho subito in passato! Mi hai deluso come padre che come uomo!" gli dissi in pura sincerità.
Lo vidi avvicinarsi velocemente a me e tirarmi un pugno dritto in viso. Fece cadere la sedia sulla quale ero seduta per tale forza, portandomi a sbattere la testa sul pavimento e facendomi perdere i sensi. 

Quello non era mio padre. Mio padre non mi avrebbe mai messo le mani addosso. Quello che avevo davanti era un mostro, che non si meritava una figlia, una moglie o una vita...

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Capitolo 12
*** Eight. (Secondo Part). ***


"C'è differenza tra l'abbraccio di
chi ti vuole bene e di chi ti ama.
Nel primo puoi respirare, staccarti
e tornare a casa da solo. Il secondo
ti toglie il fiato, non puoi tornare a
casa, perché ci sei già.
"

-Cit.



CAPITOLO OTTO (Seconda parte).


 

JUSTIN P.OV.
 


10 ore. 10 fottutissime ore su quel cazzo di aereo.
Destinazione? Brasile.
Entusiasmo? Zero!
Ma perché? Mi chiesi io. Perché portarla in Brasile? E poi come avevano fatto a farla salire svenuta su un aereo senza dar sospetti?? 

All'improvviso, togliendomi dai miei pensieri, ci vene annunciato di una turbolenza e pregati di allacciarci la cintura. Non me lo feci ripetere due volte, che me la allacciai, assicurandomi di averla chiusa bene. L'aero cominciò a muoversi e più si muoveva più stringevo forte il braccio del sedile a cui ero seduto.
"Cazzo!" imprecai a voce bassa ma non tanto da far sì che Brian non sentisse, dato che era seduto sul sedile di fianco al mio.
Si girò verso di me e mi guardò divertito "Paura, Bieber?" mi prese per il culo.
Gli lancia un'occhiataccia "Fottiti" borbottai. Avevo una paura tremenda di volare, se non si fosse capito.
All'inizio ridacchiò, ma poi quel ghigno sparì dal suo volto velocemente. Sospirò pesantemente ed appoggiò la testa sul sedile chiudendo gli occhi e passando le mani nei capelli, probabilmente frustrato. Capii che stava pensano a Summer, d'altronde chi era che non lo stava facendo. Stavamo andando in Brasile proprio per lei.
Stupido Lucas che ci aveva servito su un piatto d'argento la sua localizzazione. Ci era voluto un po' di tempo per riuscire a trovare la sua posizione -grazie al numero con cui aveva inviato il messaggio a Brian- ma ce l'avevamo fatta.

Stronzo, pensai.

"Sento come se fosse una​ trappola tutto questo. Non ci avrebbe mai lasciato un modo per rintracciarlo" diede vita ai suoi pensieri, Brian.
Non seppi che dire. Forse aveva ragione oppure Lucas era stato solo sbadato.
"È buffo quanto la conosca senza mai essermi avvicinato a lei" disse, sorridendo malinconicamente, riferendosi sicuramente a sua sorella "L'ho sempre vista da lontana. Spiata. Protetta. Consolata. Conosciuta. Senza che lei lo sapesse" aprì gli occhi e girò la testa verso di me "Sono sicuro che l'ho conosciuta meglio così che se avesse saputo che fosse suo fratello. Sono sicuro che non mi avrebbe mai detto con chi è stata la sua prima volta o semplicemente il suo primo bacio.... Bastardo quel bijshgd" borbottò l'ultima frase senza farsi capire.
Mi scappò una risatina che, stranamente, non lo infastidì anzi... Mi sorrise dolcemente, probabilmente pensando ancora a Summer "Avete tanto in comune. Diversi ma uguali" sentenziò.
Scossi la testa "Diversi e basta!" replicai, mordendomi il labbro inferiore. Lui invece sorrise divertito "Stesso vizio di mordersi il labbro" mi disse.
"Primo ed unico" aggiunsi io.
Mi sorrise ancora e sembrava divertirgli quella situazione "Ti ricordi che mi dicesti, tempo fa, le caratteristiche principali che deve avere la tua donna ideale?" domandò. Chiusi gli occhi e li strinsi il più possibile per ricordarlo, ma zero, nada de nada, niente di niente. Mente vuota.
"Mi dicesti che ce n'era solo una qualità che doveva avere o almeno quella che era la principale. Senza quella le altre non valevano. Con quella le altre non erano obbligate ad esserci. Erano facoltative..." tentò di farmelo ricordare, ma niente e così tornò a parlare "Tutti i santissimi giorni, dal primo giorno che ho cominciato a seguirla, Summer, appena torna dal lavoro, si prepara un bicchiere di latte con 5, non uno di più non uno di meno, biscotti e si mette seduta, a terra, a gambe incrociate, in salotto davanti alla TV mentre si guarda Spongebob" fece una pausa "non se ne perde una puntata proprio come te!" 
"Okay, scusa fratello ma credo di essermi appena innamorato di tua sorella!" gli dissi con gli occhi a cuoricini, scherzando, anche se fin'ora non avevo mai trovato qualcuna che condividesse la mia stessa passione per quella spugna gialla. Potrebbe sembrare stupido, infatti lo era, ma io l'adoro. E' il più bel cartone di tutti i tempi e guai chi dice il contrario. Fin da piccolo costringevo Jazmyn e Jaxon a guardarlo che ora si erano annoiati dal tanto vederlo.
Avrò pur 23 anni e sarò un delinquente ma la mia spugna gialla nessuno me la toglie, mi dissi.
La risata di Brian mi fece portare l'attenzione nuovamente a lui. "Giuro, sembrate due gocce d'acqua.. Ripeto, diversi ma uguali!"

Diversi ma uguali.
Diversi ma uguali.
Diversi ma uguali
Diversi ma uguali.

Diversi ma uguali.
Diversi ma uguali.
Diversi ma uguali.
Diversi ma uguali.


Okay adesso potevo dire di aver trovato un motivo più che valido per uccidere quel bastardo del mio migliore amico, per aver messo quella frase nella mia testa. Per tutto il restante del viaggio non facevo che ripetermela come un mantra. Mi bastava avere già Jazmyn che mi riempiva il cervello di stronzate su come io e Summer fossimo carini e cose del genere, ma no... giustamente Dio aveva altri programmi per me. Oltre ad avermi messo su quel coso che vola e che rischia di cadere da un momento all'altro, mi aveva messo vicino l'unica persona che pensavo non mi avrebbe fatto discorsi del genere... Ed io, da povero illuso qual ero, credevo di  essermeli risparmiati  quei tipi di discorsi perché Jazzy si trovava a casa, sana e salva... ma no.. non era andata affatto così.


"Signori e Signore, vi preghiamo di allacciarvi le cinture di sicurezza. Fra una decina di minuti atterreremo a Rio de Janeiro, Brasile! Grazie per aver scelto la Tam e buona permanenza" ci annunciò la oste.
Fuori dal finestrino si poteva già vedere il territorio brasiliano e la famosa statua del Cristo Redentor. Il caldo dell'estate si percepiva già all'interno dell'aereo ed era tutto un'altra cosa rispetto al freddo del Canada.

Potrei abituarmici, pensai.

Vidi Brian cominciare ad agitarsi ogni secondo che l'aero scendeva e mi preoccupai. Nemmeno io, che avevo paura degli aeri, mi trovavo in quello stato. "Che c'è che non va?" domandai.
Si strinse nelle spalle "Ho paura, Justin" ammise con vergogna ed, effettivamente, quella mi suonava nuova. Erano rare le volte che lui aveva paura -nonostante la sua giovane età-, ma se lui aveva paura, allora tutti noi dovevamo temere il peggio. "Ho paura che le faccia del male" confessò, riferendosi a Summer e a Lucas.
"Non le farà del male. E' sua figlia" provai a confortarlo, il che era difficile dato non lo avevo mai fatto.
Lui scosse la testa, in disaccordo con me "Hai detto bene, è sua figlia" lo guardai, alzando le sopracciglia confuso "Hanno lo stesso fottuto carattere, Justin. Summer ha la capacità di far incazzare chiunque se viene provocata e, diciamo la verità, Lucas è esperto a far incazzare le persone e sapiamo benissimo tutti e due che se lui si arrabbia, sono guai seri e, temo, che possa fare qualcosa a Summer!"
Mi venne in mente il giorno in cui conobbi Summer. Mi aveva fatto arrabbiare, io a mia volta l'avevo fatta incazzare e lei mi rispose male facendomi salire i nervi, portandomi  a fare quello che tutti sapiamo avessi fatto. Pensandoci, mi accorgo che io conoscevo 'veramente' Summer da 2 settimane neanche, eppure mi sembrava passata una vita da quel giorno in ospedale.. Mi sembrava di conoscerla da molto più tempo di quanta io la conoscessi realmente.
Scossi la testa per mandare via i ricordi di quel giorno. Non volevo ricordarlo come 'il giorno in cui feci del male a Summer' ma come 'il giorno in cui conobbi il mio angelo custode'. 


L'aereo atterrò sul suolo del tanto amato paese, che tutti adorano. Brasile gente. Uno dei posti più belli di sempre. 
Caldo 12 mesi su 12. Ragazze con grande tette e bel culo che camminavano semi nude per le strade, con fare seducente. Brasile era il paradiso per un uomo e come negarlo. Chiunque vedesse quelle meraviglie camminargli davanti, avrebbe un'attacco di erezione, di quelle brutte, soprattutto se una tipa come quella che ci era appena passato davanti mentre entravamo all'interno dell'aeroporto. Diedi un scappellotto a Matthew, per farlo smettere di sbavarle dietro "Ti serve un secchio?" lo presi per il culo. 
"Giuro! Appena troviamo Summer, andiamo al mare a fare un po' di vacanza" disse Juan, avendo l'approvazione di tutti, principalmente da parte  di Matthew e Brian.

Fortunati loro che non erano fidanzati.

"Nemmeno te lo sei" mi disse la vocina nella mia testa.

La ucciderò prima o poi. Parola di lupetto, riflettei.
In quel momento avevo altre cose di cui occuparmi però. La nostra unica priorità era quella di trovare Summer ed uccidere quella cazzo di testa che l'aveva rapita e portata in quel ben di Dio. Esso era l'unico aggettivo che riuscivo ad usare per descrivere, in quel momento, quel paese così bello, anche se ero più che sicuro che non sarebbe stato altrettanto bello per noi. Brasile aveva il suo lato scuro proprio come ce l'aveva Las Vegas. Avevo il presentimento che non sarebbe stato così facile trovare Jones e tornare a casa il più presto possibile, anzi. Basta che cadi in un'area a cui non appartieni e sei fottuto, nel vero senso della parola. Sarebbe possibile ritrovarsi morti in un nano secondo.





 

**Brasile è conosciuto per le feste, per il carnevale, le belle ragazze, le spiagge, ma anche per le favelas. Già, quel posto con case, se si possono chiamare così, una sopra le altre, con le persone che girano con una mitragliatrice in mano come se fosse normale. Lì dentro la polizia, lo Stato, non hanno nessuno potere.**

Non si poteva mai sapere cosa ci si poteva trovare girando l'angolo perciò, l'unica cosa che c'era da fare, era stare più lontano da posti come quelli, se non volevi ritrovarti con una pallottola sul petto. L'unico lato positivo, diciamo, di quel posto era che, se mai una gang sconosciuta fosse entrato in quel territorio, lì -nelle favelas- si potrebbe sapere subito dove trovarli.. perciò...

"Ragazzi..." li chiami e tutte le 6 teste si girarono verso di me "si va alle Favelas!"



 

------------------------------
 

HEY CI SONO ANCH'IO!! :)

 
Okay allora, so di essere in ritardo e di non essere stata puntuale le altre volte, ma credo che possiate capire il perché. La scuola è pesante e difficilmente riesco a trovare tempo per scrivere, ma comunque eccomi qua con il capitolo 9, la seconda parte. 
Spero che vi piaccia e che mi fatte sapere cosa ne pensate :)
Poi ho una notizia da darvi.... Settimana prossima parto per il Brasile e resterò via per un bel po'... Diciamo che vado ad aiutare Justin ed i nostri ragazzi a trovare Summer.. okay no, scherzavo xD
 Ma ero comunque seria quando ho detto che parto per il Brasile ( C: ).
Tornerò solo a fine gennaio e perciò non potrò aggiornare, anche perché mia mamma ha già avvisato me e i miei fratelli che sarà VIETATO l'uso d'internet.
Mi dispiace non aggiornare per un po' ma questo non vuol dire che non mi potete lasciare recensione con scritto cosa ne pensate ;)
 
Con questo vi saluto e vi faccio già gli auguri di natale ed anno nuovo!!

All'anno prossimo Byeeee <3 

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Capitolo 13
*** Nine. ***


LEGGERE NOTE AUTORE... VERY IMPORTANT!!






"Quando ti trovi davanti a due decisioni,
lancia in aria un moneta. Non perché farà
la scelta giusta al posto tuo, ma perché
nell'esatto momento in cui la moneta è
in aria, saprai in cosa stai sperando.
"

-Bob Marley


CAPITOLO NOVE.

 

JUSTIN P.O.V.


 

Eravamo tutti e 7 seduti su un lussuosissimo divano di pelle, posizionato in mezzo ad un enorme salotto. Tutta la stanza trasmetteva un'aria tranquilla, nonostante non si poteva dire altrettanto delle persone che ci vivevano lì.
Mia madre mi aveva sempre insegnato a non giudicare gli altri senza prima conoscerli bene.. in quel caso però era diverso: sapevo con chi avevo a che fare e non si poteva dire che era una persona molto socievole. Era lui che forniva la droga, le arme, il soldi e tutte le altre cose con cui si potevano fare soldi. Se volevi qualcosa bastava andare da lui ma, se giustamente non volevi ritrovarti morto per aver commesso un 'torto' nei suoi confronti, era meglio cercare qualcun'altro da cui comprare cose che erano illegali, non solo in  Brasile, ma anche nel resto del mondo.

Da lontana, quella semplicissima casa, poteva sembrare normale per chi la vedeva per la prima volta, ma per chi già ci era stato, -o perché era nel giro delle droghe o altro- sapeva benissimo che la famiglia che ci viveva dentro era la più crudele e senza cuore che ci fosse in circolazione..
Da fuori era una famiglia normale: una figlia 19enne, un figlio 25enne, una madre super sexy ed un padre okay. 

Erano conosciuti come la famiglia Cristenson, la più conosciuta e crudele in circolazione, al mondo.

La figlia, Julia, usava la sua bellezza per fregare gli uomini, portandoli praticamente all'inferno. Nessuno poteva negare che fosse bella, con quegli occhioni azzurri e i capelli di un biondo cenere, naturali. Con le sue lunghe gambe riusciva a far cadere chiunque ai suoi piedi, ma se le facevi un torto... Plash, morto!
Il figlio, Hyago, non era uno di molte parole, ma aveva una mira eccezionale, perciò era meglio stargli lontano. 
La madre, Maria, gestiva le vendite di ragazze.. sì, avete capito bene. Loro sequestravano le belle ragazze e poi le vendevano a qualcuno che le volevano solo per il loro corpo e poi, una volta uscite da dove le tenevano imprigionate, sparivano, e nessuna era mai riuscita a tornare. Nessuno sapeva cosa accadesse a quelle povere fanciulle..

Avevo fatto bene a lasciare Jazzy a casa, pensai.
 

Il padre, Rodrigos, era quello che si occupava maggiormente della situazione che c'era giù all'interno delle favelas e del resto del mondo.. Lui sapeva tutto di tutti perciò, se gli veniva in mente di farvi una cattiveria, sapeva come farlo, fidatevi.
L'unica cosa che ci serviva da lui, era sapere dove si trovava Summer. Se Lucas e i suoi scagnozzi si trovano effettivamente nel territorio brasiliano, Rodrigos sapeva dove trovarli e probabilmente, anzi sicuro, sapeva per quale motivo eravamo lì.

 

I rumori di alcuni tacchi provenienti da un'altra stanza ci riportò alla realtà. Nemmeno un minuto e la porta del salotto venne aperta e comparve 4 persone sulla soglia. Come dimenticare che, come questione del genere, agivano sempre insieme. 
Balzammo tutti in piedi ed aspettammo che entrassero completamente nella stanza.
"Bieber, figliuolo mio!" esclamò l'uomo appena mi vide.
"Rodrigos, piacere rivederla!" ricambiai il saluto, non con lo steso entusiasmo suo però.
"Pensavo che non saresti più tornato dopo l'ultima volta." proseguì. 
Già nemmeno io, pensai.
L'ultima volta era stato un gran casino. L'unica cosa che posso dire era che tornai a casa con quattro pallottole conficcate nel petto. Ohhh povero me!
"Qual bel vento ti porta qui, questa volta?" mi chiese poi, capendo che non gli avrei risposto alla provocazione, anche se la tentazione era tanta.
Come se non lo sapesse, risposi mentalmente alla sua domanda, contando poi fino a dieci per non perdere la pazienza e dirgli il motivo della nostra presenza.
"Siamo qui pe... -uno elegante starnuto mi interruppe- Salute!" esclamai lanciando uno sguardo alla ragazza alla destra di Rodrigos, che abbassò velocemente lo sguardo, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, per nascondere il rossore sulle sue guance.
Il padre tossì e solo all'ora mi ricordai che non avevo mai conosciuto la sua famiglia e nemmeno loro me. "Scusate la scortesia. Loro sono mia moglie Maria, mio figlio Hyago e la piccolina di casa, Julia" ce li presentò, indicando uno ad uno e soffermando su Julia quando disse 'piccolina', tanto per voler sottolineare che ella era OFF LIMITS, principalmente per me.
"Loro, invece, sono Matthew Evans, Tyler Williams, Steven King, Juan Diaz, Seth Cooper e Brian Long, ma sono sicuro che lo sappia già, come sa anche per quale assurdo motivo ci troviamo qui." li presentai a mia volta e feci intendere che non volevo più stare ai suoi giochetti e che quel discorso si era già tirato per le lunghe.
"Diretto come sempre, Bieber!" si complimentò, anche se leggermente infastidito da come gli avevo parlato. "Sapete come funziona con me. Io vi do qualcosa però in cambio voi mi date qualcosa!" ci informò, anche se un'informazione vera e propria non era.
"Dici che vuole e lo avrà " si intromise Brian. 
"Credo che un po' di bigliettoni mi possono bastare, per questa volta. In fondo è solo un'informazione nient'altro." si strinse nelle spalle, Rodrigos. "però vi avverto: Non sarà per niente facile. Ci sono uomini alla vostra stessa ricerca. Quella donna è diventata come un tesoro dei pirati che tutti vogliono... Lucas ha fatto male portare la figlia qui, ma potete ben capire che questo per lui è un vantaggio, in un certo senso. Tutti alla ricerca della stessa donna, tutti che danno informazioni false e per voi, cari ragazzi, diventa un'impressa quasi impossibile. Quella lì rappresenta tutto quello che Lucas ha di più caro e se viene presa da qualcuno, che non siate voi, beh, farà una brutta fine e Lucas questo sa.. Consiglierei anche a te Brian di stare attento durante la tua permanenza in questo territorio, anche tu sei suo figlio. Forse non amato dal padre, ma nelle tue venne scorre lo stesso sangue suo. Un sangue che per molti è l'oro liquido... perciò sta attento e appena trovate Summer scappate il più velocemente possibile. Adesso che sanno che Lucas ha una figlia, non si daranno pace finché non la troveranno e la uccideranno. " concluse l'uomo.

 

-- 3 hours after --

 

"Perché lo continui a negare... Quella lì ti stava mangiando vivo con gli occhi" ripeté Seth per la millesima volta da quando tornammo in Hotel. Si era fissato, insieme agli altri, che Julia mi aveva squadrato per tutto il tempo e, la cosa odiosa, era che quando si mettevano in testa qualcosa era quella e punto. Niente replica o ma o se. Erano fastidiosi. Peggio di Jazmyn che aveva sempre da obiettare su quello che dicevo. A quell'improvviso ricordo, provai una sensazione di malinconia verso i miei fratelli e, non badando più ai ragazzi, mi diressi verso la camera da letto, prendendo il computer e appoggiandolo sulla scrivania presente lì. 
Avevamo preso 4 camere in cui in ogni una dormivano in due ma, essendo in numero dispari, qualcuno doveva dormire da solo e, rulli di tamburi, era toccato a me. Non perché li avevo minacciato, ma per gentilezza. Dato di fatto sta che, adesso, per vendicarsi, rimarranno in camera mia, che fortunatamente era divisa in due parti, il salottino e la camera da letto con il bagno, finché non mi addormenterò ma, so anche che sarebbero capaci di restare a farmi compagnia fino a domani mattina. Per loro non era un problema.
Venni svegliato dai miei pensieri dalla voce stridula dall'altra parte dello schermo "Justiiin" urlò Jazmyn, felice di vedermi, probabilmente.
"Hey piccola" salutai di rimando.
"Com'è il Brasile? La prossima volta mi ci porti con te, vero? Sì che è vero. Lì fa caldo? Che ore sono? Dove vi trovate? Avete avuto notizia di Summer? Sapete dov'è? L'avete vista? È lì con voi? --" cominciò a farmi domande, una dopo l'altra senza nemmeno aspettare che rispondessi.
"Piccola, aspetta - la interruppe- una domanda alla volta ti prego" disse lasciandomi sfuggire una risatina.
"Sì scusa -sorrise, non era veramente dispiaciuta- è solo che è strano che tu sia lì mentre io qui -si rattristi per un nano secondo, sorridendo subito dopo- dai narrami, uomo!" la vidi incrociare le gambe sul letto dov'era seduta e risi per come mi aveva chiamato "Quest'uomo -mi indicai- ti dice che il Brasile è stupendo. Giri l'angolo e ti ritrovi gambe chilometriche, grandi tette e bei culi. Non si poteva chiedere di più" sogghignai, portando le braccia dietro la testa e dondolandomi leggermente con la sedia su cui ero seduto.
"Bleeeh! -fece un suono di disgusto- fai schifo! -si chiuse le orecchie con le dita- sei un porco. Non ti voglio più ascoltare" esclamò ed io scoppia a ridere. 
"Dai sorellina. In fondo sono un maschio e sai come sono gli ormoni. Dovresti saperlo principalmente tu che sei ancora in quella fase che sbavi dietro ogni ragazzo con un bel visino e un fisico muscoloso... principalmente per quel mio amico Riccardo, che portai a casa tre settimane fa. Gli saresti saltato addosso e chi sa cos'altro avresti fatto.. Quasi sicuro che mi ritroverei con i nipotini in giro per la casa" mentre le lo dicevo il mio fantastonico, ma sì inventiamoci le parole, discorso lei arrossì e continuava a pregarmi di stare zitto, ma era troppo bello prenderla per il culo che non lo feci.
"Basta Justin, ti prego! -piagnucolò-  e poi i bambini nascono in 9 mesi e non in tre settimane. Lo dovresti sapere!" si lamentò come una bambina di 3 anni facendomi ridacchiare ancora più forte.
"Sei una bambina, Jazzy" la presi in giro.
"Justiiin!" un'altra voce si udì dall'altra parte e l'associai subito a Jaxon, che da lì a poco comparve davanti al schermata del pc.
"Hey Bro!" ricambiai il saluto.
"Come te la passi nel paradiso degli uomini?" chiese sorridendo maliziosamente.
"Bene bene" risposi a mia volta col suo stesso sorriso
"Quando torni, fratello?" chiese facendo il finto interessato.
"Ancora non si sa.. dobbiamo prima trovare Summer" riposi  "ma sai che con me fare il lecca culo non funziona" lo rimproverai capendo il suo gioco.
Lo vidi portare una mano al cuore e fare una finta faccia offesa "Ma cosa dici, fratellone? Non sarei mai capace di fare qualcosa del genere" si difendé.
Io scossi la testa "Sì, come no! Fatto sta che sei ancora in punizione finché non torno. Niente cellulare, pc e non puoi uscire dopo le 4 del pomeriggio" glielo ricordai.
Sbuffò e se ne andò facendo un cenno velocemente con la mano a mo' di saluto. In quel momento i ragazzi entrarono in camera urlando e spintonandosi l'un l'altro.
Gli altri si buttarono sul mio letto matrimoniale, mentre quella testa di cazzo del mio migliore, non che fratello di Summer, si avvicinò a me dandomi un bacio sulla guancia. "Mi dovette 10 reais (soldi brasiliani), branco di coglioni!" alzò i pugni al cielo sorridendo come un imbecille.
Io gli diedi un pugno sul braccio e Jazzy rise attirando l'attenzione. Brian divenne subito rosso per l'imbarazzo e anche Jazzy. Si fissarono intensamente negli occhi. Non distoglievano lo sguardo ed in stanza calò il silenzio. Nessuno provava a fiatare. Tutti erano intendi a capire cosa stesse succedendo. Io soprattutto. Dopo un paio di minuti decidi di tossire forte per attirare la loro attenzione. Jazzy, dall'altra parte mi guardò ancora più imbarazzata.
 "Cos'è stato quello?" domandai senza aspettare qualche secondo di più, spostando lo sguardo da Jazmyn a Brian. 
Loro due si lanciarono un'occhiata che non mi convinse per niente. Questi stupidi giochi li facevo anch'io quando venivo beccato dal padre di una qualsiasi ragazza con qual ero, mentre facevamo qualcosa che non era proprio il massimo per un padre saperlo, diciamo. Colto da un'ira improvvisa, forse per quello che credevo fosse successo, mi alzai e presi Brian per il colletto della maglia e lo spinsi contro la parete. Jazzy, presa dallo spavento, si alzò in piede e urlò il mio nome, ma subito si strinse sulla pancia, piegandosi in due, lamentandosi dal dolore. Subito mi allarmai immediatamente e lasciai perdere Brian, avvicinandomi al monitor. "Ti senti poco bene, Jazzy?" le domandai preoccupato. Mi guardò per un paio di secondi poi guardò Brian e poi di nuovo me, senza rispondere. Mi venne in mente, ancora un'altra volta, un'unica e sola possibilità, ma sarebbe stato meglio per Brian se non fosse quella "Jazmyn, piccola, dov'è che ti fa male?" usai un tono di voce dolce, tanto per depistare le mie vere intenzioni. 
Si morse il labbro "Non riesco a camminare che mi fa male qui" e mi indicò l'interno della gamba, tanto vicina alla sua intimità. E capii che era effettivamente lì dove voleva indicare ma si vergognava troppo.
All'istante il mio umore cambiò.
"Tu!" esclamai indicando Brian, che capì subito le mie intenzioni e provò a darsele a gambe.
Corse verso la porta e scappò per il lungo corridoio. Io lo rincorsi fino alla porta dove si prendevano le scale. Presi Brian da dietro e lo bloccai al muro. Si lamentò all'impatto. "Brutto figlio di puttana!" lo girai d'impulso e gli diedi un gancio destro sul labbro, spaccandolo. "Proprio mia sorella dovevi sbattertela?!"
"Non era programmato. Lo giuro... È solamente successo" provò a difendersi.
"È la mia sorellina, cazzo!" stavo per tirargli un altro pugno, quando venni bloccato da qualcuno. Tyler.
"Justin, ti giuro, non era programmato!" riprovò nuovamente Brian.
"Non me ne fotte un cazzo. È mia sorella" scandii bene le parole per farglielo capire, provando a liberarmi dalla presa di Tyler.
"È già grande da prendere le sue decisioni, non credi?" intervenne Seth, facendomi incazzare ancora di più. 
Lo fulminai subito con lo sguardo "No, non lo è. Ha solo 16 anni e lui, tanto per sottolineare, ne ha 20. È molto più grande di lei" allungai la 'o' di 'molto' e non so per quale forza divina riusci a trattenermi dal saltarli sul collo.
"Senti, quando andai da lei per tenerla d'occhio come tu -enfatizzò quel ultimo- mi avevi chiesto, la trovai con una lametta in mano che piangeva chiusa in bagno. Subito la soccorsi, bloccandola da fare lo sbaglio più grande della sua vita. La portai giù in salotto. La feci accomodarsi sul divano. Le prepari una bella tazza di the e mi feci dire cosa non andava. E sono sicuro che se te lo chiedessi adesso, in questo esatto momento il motivo, tu, non me lo sapresti dire" me lo rinfacciò in faccia "e sai perché non lo sai? Perché non vedi tua sorella che arrivava in casa piangendo, perché non ci sei mai. Sei sempre in giro a 'lavorare'.... Sì, io e lei siamo andati a letto insieme ma almeno le ho impedito il suicidio. E sai un'altra cosa" fece una pausa "io e lei non abbiamo fatto sesso, noi abbiamo fatto l'amore!"
Al sentire quelle parole qualcosa scattò dentro di me. Era come se il diavolo che avevo in corpo e che avevo provato a nascondere per tutto il tempo, da quando conobbi Summer, tornasse a fammi compagnia e mi incitava ad uccidere quella testa di cazzo e, molto probabilmente, lo avrei fatto se Juan non mi avesse fermato. "Brutto figlio di puttana" fu l'unica cosa che mi fu permesso di fare: insultare quel coglione di merda.
"Justin, sai che ha ragione e facendo a botte non risolvi niente" provò a tranquillizzarmi Juan.
Beh, che dire?! Non è per niente bravo con le parole.
Gli tirai un cazzotto con il gomito rompendogli il sopracciglio sinistro.
"Fermi!" urlò Steven, intromettendosi anche lui "Justin, non azzardarti  a muovere un'altro muscolo" mi minacciò. Non mi mossi, quasi non respiravo.. quando si incazzava faceva più paura di me "Siamo qui per salvare Summer. Della vita sessuale di Jazmyn ci pensi dopo" si riferì a me.
Mi girai verso Brian e decisi di parlare senza mettere di mezzo Jazzy  "Sì, giusto. Siamo qui per salvare Summer, tua sorella. Io non centro niente eppure sono qui ad aiutarti, pezzo di merda. Bel ringraziamento che mi dai scopandoti la mia di sorella" okay, forse non tralasciai proprio del tutto Jazmyn. Oppps
"Non ti ho chiesto niente e poi ci sono andato a letto prima che venisse rapita".
"Se non ci fosse io qui, vi ritroveresti tutti morti" sbuffai.
"Solo perché conosci Rodrigos" sbuffò a sua volta.
"Almeno io conosco qualcuno. Tu, chi conosci?" alzai un sopracciglio.
"Nessuno. Ma avrei trovato un modo per rintracciarla" si strinse nelle spalle con finto nonchalance. 
"Sì, come no. Quando la trovavi era già in una tomba" risposi a tono.
"Okay, adesso basta!" intervenne ancora Steven, urlando questa volta e mettendosi in mezzo fra noi due  "Non voglio sentire più niente. Adesso ogni uno va nelle proprie camere e domani mattina facciamo quello per cui siamo venuti a fare! E non voglio più sentire un 'a'... Muovetevi, su..." e con il gesto di mano ci fece cenno di andar via.
Sbuffai ed andai dritto in camera dando una spallata a Brian quando gli passai di fianco.
Dissi solamente "Buona notte Jazmyn" quando tornai in camera e spensi il computer, senza aspettare la risposta.
Non ero in grado di parlarle. O almeno non in quello stato. Se solamente mi avesse detto qualcosa sarei parto all'attacco, contro di lei questa volta.
Controllai l'ora ed erano 3 della mattina e pensai bene di andar a dormire. Prima mi fece una doccia fredda e poi mi sdraiai sul letto con le braccia e le gambe aperte. Solo in boxer. Faceva un caldo bestiale. Forse fu proprio quel calore che mi fece girare la testa e ripensare alla conversazione avuta con Rodrigos appena poche ore prima.

 

- 5 hours before-

 

"...E, adesso che sanno che Lucas ha una figlia, non si daranno pace finché non la troveranno e la uccideranno. " concluse l'uomo.
Rimassi a bocca aperta mentre elaboravo quello che ci aveva appena detto. 

Chi era che voleva Summer? La MIA Summer? No okay, mia no, ma comunque la MIA AMICA Summer. Suonava meglio o forse peggio, perché questo mi ricordava che era solamente una mia amica e che non era effettivamente mia, perché ella era di Dylan. Detta così Summer passa per un oggetto, ma un oggetto prezioso, raro, fragile, bri-- okay, la smetto.

".. Non so dirvi precisamente dove si trovi perché Lucas e i suoi ragazzi si sono nascosti bene, ma so comunque chi vi può aiutare" Rodrigos era tornato a parlare ed io non mi ero neanche accorto . "Dovete andare giù alla Praça Floriano, nel centro di Rio, domani alle 8. Lì ci sarà Gustavo Olivera ad aspettarvi... Non vi preoccupate, lo riconoscerete. Lì, sarà lui a decidere cosa vuole in cambio, ma tranquilli, sa il fatto suo. Come minimo vorrà dei soldi e dopo vi dirà le informazioni da voi richiesta" sorrise alla fine.

 

 

NO POINT OF VIEW

 

Una suoneria cominciò a suonare mentre tutti erano seduti su quel salottino sporco, piccolo, brutto, di una casa sperduta nel nulla.. Anche Summer era presente ed aveva una paura tremenda di quella telefonata. Sapeva che i ragazzi erano alla sua ricerca ed aveva paura che suo padre rispondesse al telefono e subito dopo le diceva che li avevano uccisi. Forse non li conosceva bene, ma non avrebbe mai voluto che qualcuno morisse per colpa sua o meglio, per colpa di quel mostro di suo padre che l'aveva rapita per gelosia nei suoi confronti. Eh già.. a quanto pare a suo padre non andava giù l'idea che qualcun altro uomo si avvicinasse a lei, neanche se fosse stato suo fratello.. Già aveva dovuto mantenere la calma quando aveva saputo che la sua piccola si era fidanzata con Dylan e aveva dovuto invocare gli angeli dal cielo per non andare da quel uomo quando scoprì che Summer si stava per sposare. Decise di aspettare il momento giusto per combinare qualcosa per impedire quel matrimonio e questo accade quando Brian rupe la promessa che loro due si erano fatti: Summer aveva scoperto di avere un fratello... Rapendola non si sarebbe potuto sposare e ad avvicinarsi a Brian, non creando così un legame fraterno. 

Agli occhi di Summer il padre era un mostro. Era il cattivo della storia. Era il lupo in cappuccetto rosso. Era la matrigna in bianca neve. Era la strega in bella addormentata. Era la matrigna in cenerentola. Era lui il mostro nell'armadio, il mostro sotto il letto. Lui rappresentava tutto il male. Tutto il suo male. Tutto il suo dolore. Tutte le sue lacrime. Era colpa di suo padre se si trovava ora in quel posto a piangere, come fu colpa sua se 20 anni indietro si trovava sulla porta aspettando un suo ritornare a casa, che non era mai avvenuto. 

Per lei, lui era il suo mostro, il suo diavolo, il suo inferno.

Lucas rispose al cellulare senza dire niente.
"Tutto fatto... Domani i ragazzi si troveranno in piazza, come d'accordo." un uomo dall'altra parte del telefono gli riferì quello che averebbe voluto sentire.
"Bene, grazie Rodrigos. E' sempre bello fare gli affari con te" sorrise malignamente guardo verso sua figlia, sapendo che dopo domani sarebbe stato con lui per sempre.
"Anche per me.. A presto" salutò Rodrigos prima di chiudere la chiamata.
Tutto stava andando secondi i piani per Lucas. Sapeva che i ragazzi sarebbero andati alla ricerca della ragazza e che sarebbero andati da Rodrigos, l'unico che avrebbe potuto sapere dove trovare lui e gli altri e, grazie a questo, molto probabilmente anzi, sicuro, domani a questa ora i ragazzi si troveranno 10 metri sotto terra..... o almeno era quello in cui ci sperava Lucas.... il resto, era nelle mani dei ragazzi....


 












 

NOTE AUTORE:




 

Okay, partiamo del fatto che mi dispiace un botto aggiornare dopo due mesi e chiedo scusa.... ma come vi avevo avvisato, sono partita e sono tornata neanche 2 settimane fa ed in questi giorni ho dovuto recuperare tutte le lezioni perdute... una vera balla....
Comunque sono tornataaaaa!! :) no... non c'è niente da festeggiare! Fino al mese scorso ero sotto il sole d'estate, mentre qui sono sotto il freddo.... TSK! che ingiustizia *piange... voglio tornare in Brasile :'(* 


Vabbé, lasciamo stare le mie disgrazie.... Ahhh e comunque buon anno a tutte, in ritardo ma fa lo stesso u.u
comunque volevo ringraziare tutti quelli che hanno messo la storia fra le preferite/ricordate/seguite sul serio.. non potete sapere quanto vi voglio bene ragazze.....

E con questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che mi lasciate un commentino, anche piccolino, solo per farmi sapere se vi piace ;)


Alla prossima e prometto di aggiornare in tempo

Bye Bye.. Nathy 




p.s. ho deciso di cambiare la protagonista.. secondo me Lucy Hale è più adatta, ma fattemi sapere
se anche a voi va bene oppure volete che sia qualcun'altra ;)

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Capitolo 14
*** Ten. ***


"Sai perché a volte si rimane delusi?
Perché crediamo che gli altri siano
disposti a fare quello che faremmo
noi per loro.
"

-Cit.


 
CAPITOLO DIECI.




 
SUMMER P.O.V.
 
Musica.
Musica ad alto volume.
Musica che non ascoltavo di solito.
Musica rock.
Musica urlata.
Decisamente non il mio genere e pensare che me la dovevo sopportare e non provavo neanche a nascondere il mio disgustoso per quella che Peter chiamava 'musica', ma che non lo era. Mi sarebbe andata bene anche i Green Day o i Beatles o, addirittura, i Kiss, ma non i Tokio Hotel. Era una vera tortura.

"Non fare quella faccia, princesa" canzonò il bastardo.
Ormai mi era anche passata la fame e mi venne da vomitare tutti i cereali che avevo mangiato, anche se pochi. Se era vero che il buongiorno si vedeva dal mattino, allora ero più che sicura che quella sarebbe stata una giornata stancante.
Non ebbi nemmeno l'educazione di lavare la mia tazza quando la misi nel lavandino, tanto era tutta colpa di quel pazzo di mio padre se mi trovavo ora lì e, di certo, non mi sarei messo a fare le faccende domestiche.
Mi passò vagamente per la testa, l'idea che mio padre pagasse qualcuno per pulire, e subito l'immagine di un Peter vestito da cameriera, con quel classico vestito nero, con in mano quel coso per togliere la polvere, che manco il nome lo sapevo, dimostrando la mi scarsa capacità nelle pulizie, mi strappò un sorrisino, più vicino ad un ghigno derisorio, ma poi mi guardai meglio in torno e di pulito non c'era proprio niente.
"Do que você está rindo, princesa?" (*Di cosa stai ridendo, principessa?)  domandò, distogliendomi dai pensieri, quel bastardo.
Tsk! Detestavo quando parlava portoghese perché dovevo concentrarmi per capire e non era per niente facile alle 8 di mattina. "Nada!" diretta, sicura e decisa, con un sola parola,  o almeno così mi parve di essere stata, ma quel ghigno derisorio mi assicurò il contrario.
Perché, mi chiedo io? Perché mio padre mi aveva lasciata con quel cretino patentato? Stupido padre, imprecai mentalmente.
Perché non poteva essere come gli altri? Perché non mi poteva lasciar sposare un uomo o almeno avvicinarmi a qualcuno diversamente femmina.
Tsk! Uomini, chi li capirà mai, e poi dicono che siamo noi donne ad essere complicate! Cazzate! Gli uomini sono peggio delle donne con il ciclo.
 
"Tó. Coloca no olho" (Tieni. Mettilo nell'occhio)  venni riportata brutalmente alla realtà. Mi girai e vedi un sacchetto di piselli congelati davanti alla mia faccia e ci misi un secondo a capire: probabilmente avevo un occhio viola per il pugno che mi beccai da mio padre.
Rabbrividii a qual ricordo, ma non ci volevo pensare, mi faceva molto male e, poi, non mi andava di piangere davanti a quel bastardo.
"Obrigada" (*Grazie) risposi prendendo i piselli, mettendomelo nel occhio sinistro e abbassando lo sguardo imbarazzata.
"Mi dispiace tanto, Summer" alzai di scatto la testa, meravigliata da quelle parole, verso quel ragazzo. I suoi occhi verdi si fissarono sui miei."Che tu ci creda o no tuo padre ti vuole bene. È soltanto un po' impulsivo e si arrabbia facilmente." provò a giustificare il comportamento di quel mostro.
"E solo per questo lo dovrei lasciare che mi picchi?? Se mi vuole veramente bene non mi avrebbe mai rapita" ribattei sentendo gli occhi pizzicarmi e la rabbia salirmi.

Non piangere, Summer. Non devi. Sii uomo, provai ad auto-convincermi.

"Summer..." quel tono di voce dolce mi destabilizzò un attimo ma tornai subito in me, facendo un passo indietro quando lo vidi avvicinarsi e capendo cosa aveva intenzione di dire.
"No! Non dirmi che andrà tutto bene, ti prego! Non mentirmi" praticamente lo supplicai ma ormai poco mi importava di passare per una bambina. In circostanze diverse avrei chiesto un abbraccio e delle parole confortante, ma l'unica cosa di cui aveva bisogno in quel momento era della verità. Ero certa che non sarei riuscita a sopportare una bugia.
Delle mani caldi mi asciugarono le lacrime che mi erano scese senza che me ne accorgesse e fui accolta subito in un abbraccio. Mi irrigidì per quel contato fisico ma poi mi lasciai andare.
La vera me uscì dopo tantissimo tempo di prigionia. Mi sentii debole, piccola, indifesa e non più la ragazza forte e sicura di sé che camminava sempre a testa alta con un paio di tacchi ai piedi.... Io non ero forte, ero solamente diventata quella che gli altri volevano che io fossi e io, da cretina qual ero, li avevo lasciato fare finché non riuscii nemmeno io a riconoscere me stessa... Quel abbraccio portò fuori il lato di me che era stata costretta a rimanere chiusa in un parte del mio corpo ancora non identificata.
Quando smisi di fantasticare con me stessa, ricambiai l'abbraccio affondando la testa sulla spalla di Peter, sentendo il profumo che mi era famigliare... Era... E-Era Chanel n°5... Lo stesso di Dylan... 
 
Ohh il mio Dylan. (qui inizia il monologo interiore di Summer)
 
Cosa è successo fra noi? Perché mi sento così lontana da te? Perché? Non posso avere ripensamenti sul matrimonio una settimana prima, giusto? Eppure perché mi sento a disagio pensando ad un noi? Ad un futuro insieme? Ti avevo davanti ma non sentivo più il mio cuore battere all'impazzata come aveva sempre fatto. E piano piano anche l'amore che vedevo nei tuoi occhi scompariva e, quando credevo che avremo avuto un'altra possibilità, -quel giorno a casa mia prima che fossi chiamata per andare in ospedale da Jazmyn- incontrai Justin. Ti può sembrare strano ma quando lo vidi mi mancò il respiro, le gambe mi tremavano, il cuore aveva preso a battere in modo veloce e irregolare, sentivo caldo e... e sono anche arrossita. Io, che non arrossivo dalla 1 media quando beccai il mio professore di Fisica nudo sopra a quella di Religione che ci davano dentro...Eppure mi bastò un sorriso, un bellissimo fottutissimo sorriso, a farmi colorare le guance di rosso tanto comune alle ragazze, ma a me inesistente. 
Perché tu, Dylan, non mi fai questo effetto? Voglio poter toccare, mordere, assaporare ma, soprattutto, baciare...Baciare quelle labbra che tanto mi mandavano in estasi e che facevano far fare le orge fra gli elefanti, gli ippopotami, la giraffe, i coccodrilli e gli struzzi, che avevo in pancia... Già, avevo lo zoo.. Voglio combaciare le mie labbra con le tue, le stesse che mi assaporavano, che percorrevano tutto il mio corpo, che mi mordeva, leccava...Che mi faceva andare fuori di testa, letteralmente. E lo voglio per poter dimostrare che c'è ancora quella scintilla che si era creata fra noi tempo fa..O almeno spero che ci sia..Perché sento veramente che le cose stanno cambiando fra me e te e non sono sicura di volerlo. Ho paura che quello che provo per Justin, sia solo una cotta adolescenziale e che presto finisca.
Ti amo, dice la mia testa. Non ti voglio più, dice il mio cuore. Chi devo ascoltare, Dylan? Dimmi tu qu--
 
Il rumore di due padelle sbattute  una contro l'altra mi fece saltare sul posto. "Ohh, menos mal que você está ainda viva!" (*Ohh, meno male che sei ancora viva!) esclamò Peter, portandosi, con fare teatrale, una mano sul cuore. Lo guardai confusa. Ma dopo quindici secondi di collaborazione da parte miei neuroni, riuscii a capire: stavo avendo una specie di monologo interiore... Praticamente non stavo parlando fra me e me, ma fra me e un Dylan immaginario, quasi come se gli stessi scrivendo un lettera e forse lo avrei dovuto fare, ma in quel momento ero scossa e triste e credetti che anche Peter lo capì, perché mi prese sotto braccio e mi portò in salotto dove accese la Tv e mise Spongebob per poi andarsene di là, in cucina. Pensai che mi avrebbe lasciata da sola a guardare il mio cartone animato preferito, invece però mi sorprese: tornò dall'altra stanza con un piattino contente 5 biscotti sopra di esso. Si sedette di fianco a me, passando il suo braccio destro sopra la mia spalla, trascinandomi vicino a lui. Mi feci trasportare da quel momento, che osai appoggiare la testa sul suo petto, mangiando un biscotto mentre lui mi accarezzava i capelli.
In fin dei conti avevo sbagliato a giudicare subito Peter. Non era così male come pensavo... Credevo sinceramente che saremo potuti diventare amici, e poi me ne serviva uno dato che in quel momento era sola come un cane. Non mi importava neanche se Peter fosse il nemico, tanto avevo il detto della mia parte 'Tieni vicini gli amici, ma ancor di più i nemici' perciò, era apposto!
 
JUSTIN P.O.V.
 

Era tutto così strano. Volevo solamente andare in Brasile per salvare Summer, ma poi venni a sapere che la mia piccolina non era più vergine.
Non ero suo padre, ma mi sentivo tale verso nei suoi confronti, essendo che il nostro vero 'papà', se si poteva definirsi tale,  non ci fu mai stato per lei, così come neanche per Jaxon e per me. Non mi addolorava tanto di avere perso un padre ma mi addolorava che i piccoli non avessero mai avuto uno. Avrei tanto voluto che Jeremy insegnasse a giocare a Baseball  a Jaxon, a giocare a calcio, ad usare una fionda, a nuotare... Che bevesse la sua prima birra con lui e che gli parlasse delle ragazze, del sesso e delle conseguenze che questo esso poteva portare, come ad esempio diventare genitore. 

Avrei voluto che ci fosse stato anche per Jazmyn, che le facesse il solito discorso che fanno i padri alle figlie sui ragazzi: le convincevano che i maschi fossero dei vermi mangia caccole, dei coglioni e che se li baciavi ti facevano diventare incinta e, sinceramente, in quel momento avrei tanto preferito che le avesse fatto il discorsetto sulle api e il polline, almeno ora non mi starei cagando sotto per la paura che un essere umano le stesse crescendo in pancia.
Cazzo, aveva solo 16 anni, era ancora piccola e non avrei voluto trovarmi un piccolo Brian che corresse in giro per casa. Avevo studiato a scuola che era possibile rimanere incinta anche durante il primo rapporto e che non era vero che non si poteva perciò, se quella testa di cazzo coglione di merda, non aveva usato un fottuto preservativo, si sarebbe ritrovato morto, ucciso dalle mie stesse mani e l'unico modo per scoprirlo era quello di andarci a parlare.

Presi un profondo respiro, mi controllai un' ultima volta allo specchio e uscii chiudendomi la porta dietro alle spalle.
Bussai alla stanza 237 dove dormivano Juan e Brian. Dovetti aspettare un paio di minuti e bussare altre 2 volte.
Un Long in mutande mi si presentò davanti.
"Dobbiamo parlare" annunciai, entrando senza dargli il tempo di rispondere. Mi sedetti sulla poltrona che c'era lì e lui sul divano mentre aspettava che parlassi, ma non ce la facevo a stare seduto per quanto che ero nervoso. Mi alzai e cominciai a camminare avanti e dietro come un ricoglionito.
"Dimmi che lo hai usato, ti prego" era sempre meglio andare dritto al punto in questioni come quelle.
Brian mi guardò confuso alzando un sopracciglio. 
Frustato e imbarazzato scossi la testa grattandomi il collo "Dimmi che l'impacchettato bene l'amico lì sotto" provai a spiegarmi bene, senza usare termini troppo chiari. In fondo Brian era più piccolo di me, aveva solo 19 anni, quasi 20, ma lo consideravo come uno dei miei fratelli. Nonostante fosse maschio e, per principio, i maschi non fanno che parlare delle loro prestazioni a letto, io e lui non riuscivamo mai a parlare di cose così esplicite senza essere imbarazzati ed ero sicuro che non avrei mai dovuto affrontare discorsi di questo genere con lui o almeno fino a ieri...
"Justin, di cosa stai parlando?" domandò realmente confuso "impacchettare per bene l'ami-- Oh cazzo! Justin!" urlò saltando in piedi. Ecco, finalmente lo aveva capito. "Vuoi veramente sapere se ho messo il preservato al mio pene?" strabuzzai gli occhi per i termini che aveva usato. E io, da stupido, credevo che fosse un bravo ragazzo. Bah!
"Senti, lo devo sapere. Senza offesa, ma non voglio dei piccoli Brian che corrono in casa mia e poi sono troppo giovane per diventare zio!" 
Brian scoppiò a ridere ed io mi sentii confuso se non ancora più imbarazzato. "Justin, ho 19 anni, saprò che per far sesso e non rischiare di aver figli devo prendere precauzioni. Non ti devi preoccupare, non sarai zio tanto presto" sorrise ed io mi tranquillizzai "o almeno lo spero" sussurrò prima di scomparire dalla mia vista, andando verso la camera da letto. Forse non aveva solamente usato mia sorella, forse le voleva veramente bene o, ancora forse, ne era innamorato. "Brian?" urlai per chiamarlo.
"Che c'è ancora? Non sei più felice di non diventare zio?" tornò da me scazzato.
"Rispondimi sinceramente. Sei innamorato di mia sorella?" domandai fissandolo dritto negli occhi, per farli capire che non mi doveva mentire "Puoi anche dirmi di no, ma in quel caso dovrei ammazzarti per essere andato a letto con lei solo per gioco"sottolineai il concetto.
Fece l'opposto di quello che credevo avrebbe fatto, -mandarmi a fanculo o scappare- sorrise. Un sorriso sincero che rispondeva alla domanda da solo "" rispose "Sì, me ne sono fottutamente innamorato. Quella ragazza mi ha stregato come nessuna ci era mai riuscita. Justin, non le potrei mai fare del male, nemmeno se lo volessi" il lato più dolce e nascosto di me uscì e lo attirai ad un abbraccio dandogli delle pacche sulla schiena. "Sì, sarà molto meglio che tu non la faccia soffrire, se no vai a finire sotto terra!" ribadire i concetti non fa mai male.
Ci staccammo ed io feci per uscire e lui tornare a dormire, quando mi fermai e lo chiamai nuovamente.
"Hai intenzione di farmi tornare a dormire o hai deciso di tenermi sveglio ancora per molto?" Brian non era mai amichevole di prima mattina, l'avevo sempre detto io.
"La seconda. Preparati, è ora di andare da Summer!" e con un sorriso d'intesa ogni uno andò a prepararsi. Presto Summer sarebbe tornato da noi.
 
 
 
 
Si diceva che il sogno di ogni ragazza era quello di incontrare il principe azzurro, ma sapevamo tutti benissimo che non era affatto vero. Il sogno di ogni donna era quello di mangiare senza ingrassare. Mentre per gli uomini quella di andare a fighe senza pensare di mettere incinta qualcuna, ma anche qui cazzate. Era quello di trovarsi un garage proprio come quello che avevamo davanti: macchine sportive di tutti tipi parcheggiate e pronte per essere scelte. Un sogno, non c'era che dire.

"Ste-Steven, dove cazzo le hai prese?" domandai, avvicinandomi ad una Ferrari F 430 bianca. Tipo, che mi colava la bava dalla bocca?!
"Non solo tu hai degli agganci, Bieber!" mi fece l'occhiolino. "Un amico mi doveva un favore e ci ha imprestato queste auto" spiegò scrollando le spalle.
"Beh, doveva essere un favore bello grande per averti dato queste ben di Dio" costatò Tyler.
"A me non interessa che favore fosse. Voglio solo salire su quella Aston Martin DB R9 e portarla al massimo" Seth era il solito bambino, ma ammetto che anch'io morivo dalla voglia di guidare la macchina su cui avevo messo l'occhio: una Porsche Carrera GT.
"Allora cosa aspettate?! Salite su!" ci fece cenno di sbrigarci, Steven.
"Io ti amo, King" urlò Matthew prima di salire in una Maserati MC 12 nera.
"Si parte!" urlai mettendo in moto ed uscendo dal garage.
 
 
Gustavo Olivera era un uomo grasso, con uno smoking stretto, di un grigio che faceva cagare e aveva continuamente il sigaro in bocca. 
"Allora apposto, ragazzi. Questo è l'indirizzo e tutte le informazioni che dovette sapere" ci consegnò una busta arancione, che la presi io.
"Grazie, signor Olivera" lo ringraziai come mia mamma mi aveva insegnato. L'educazione prima di tutto.
"Non devi ringraziarmi, figliuolo. E' stata un piacere" sorrise. Un sorriso enigmatico che metteva i brividi e che non mi convinse  per niente.
Fu proprio quel sorriso che mi fece salire il dubbio e, per istinto, portai la mano dietro la schiena, sopra la felpa e costatai che la pistola fosse ancora lì, dove l'avevo messa prima di partire. In quel arco di secondi che mi distrassi, comparvero 10 uomini di Olivera, che ci attaccarono subito.
Non feci in tempo ad afferrare la pistola che uno degli scagnozzi di Gustavo mi tirò un pugno. Mi toccai il naso sanguinante per un attimo, ma feci comunque in tempo a vedere che, lo stesso uomo di prima, stava tornando verso di me. Lo lasciai passare schivando a destra e poi colpii forte, con il sinistro, proprio sopra il sopracciglio. Rientrai e con tutta la mia forza lo colpii con il destro, in pieno viso. Sentii il naso scricchiolare. Non fece in tempo a indietreggiare che lo colpii due volte all'occhio sinistro, il primo lo parò bene, poi però abbassò la guardia e il secondo gli arrivò dritto, senza pietà. Indietreggiò e scosse la testa. Riaprì gli occhi giusto in tempo per vedere il mio gancio che gli arrivò dritto allo stomaco. Tossì sangue e si accasciò a terra. Ne approfittai e gli tirai due calci forte, probabilmente rompendogli le costole. Cade completamente a terra privo di sensi.
Mi girai verso destra e notai che Juan era in difficoltà. Mi avvicinai. Spostai Juan e mi fermai davanti a quel bestione che stava dando di santa ragione al mio amico. 
Caricai il destro e lo feci esplodere. Dal basso verso l'alto, sul mento dell'uomo, da sotto. L'uomo saltò quasi all'indietro, preso in pieno dal colpo. Volò via che era una meraviglia.
"Grazie, amico" ammiccò verso di me, Juan.
"Non c'è di che" risposi a mia volta.

Bene o male i ragazzi se la stavano cavando, così ne approfittai per pensare all'unica persona che mi interessava davvero.
Riuscii a bloccare Gustavo appena in tempo. Lo afferrai per un braccio e gli diedi una ginocchiata dietro alle gambe facendolo cadere in ginocchio. Gli presi i capelli fra le mani e alzai la testa verso di me. Doveva vedere nei miei occhi che non stavo scherzando. E, per renderlo più esplicito, tirai fuori la pistola e gliela puntai sulla tempia sinistra.
"Adesso mi dirai quello che vogliamo sapere! Doveva cazzo si trova Lucas e i suoi ragazzi?" non seppi se fu la voce minacciosa o la pistola che aveva puntata in testa a farlo parlare. L'importante però era che avesse funzionato, qualsiasi cosa fosse.
"I-io ve l'ho- ho detto" poverino, balbettava. No, non me ne poteva fregare un cazzo "è-è sulla busta che vi-vi ho da-dato". Almeno aveva seguito l'accordo, in parte.
"Perché?" domandai "Perché volevi ucciderci?"
"Mi hanno pa-pagato per.. per far-farvi fuori" rispose, ma qualcosa non quadrava.
"E' stato Lucas?" volevo risposte. Ne avevamo bisogno.
Gustavo scosse la testa. 
"Chi allora?" dovevo sapere. 
Se non era stato Lucas chi diamine era stato?
"Allora?" domandai ancora, vedendo che l'uomo non parlava, tirandogli i capelli  più forti, per fargli capire che doveva sputare il rospo, velocemente.
"Te-te lo di-dico... ma-ma non ucci-uccidermi. Ti-ti prego!" mi pregò e provai quasi pietà, ma quel quasi non mi avrebbe fermato da fare quello che avrei fatto dopo.
Un ghigno comparì sul mio volto "Te lo prometto, ma tu rispondimi. Chi è stato?" tanto valeva giocare tutte le carte in tavola.
"Rodrigos. Rodrigos Cristenson" non aspettò un attimo a rispondermi pensando che non lo avrei ucciso "Adesso però lasciami andare. Me-me lo hai pro-promesso" nei suoi occhi vidi paura. Probabilmente aveva una famiglia, una moglie, dei figli, da cui tornare, ma non poteva prendermi per il culo e passarla liscia. Mi aveva dato l'informazione solo perché credeva che saremo morti, ma questa volta gli era andata male. Non mi dispiaceva per lui per quello  che stavo per fare, ma mi dispiaceva per la sua famiglia, però io non ci potevo fare niente. Era il corso della natura.
Scossi la testa verso di lui "Non puoi prendermi in giro e passarla liscia!" feci una finta faccia dispiaciuta che si trasformò in un ghigno divertito quando vedi i suoi occhi diventare grandi per la paura quando capì il significato di quelle parole. .
"Mi ave-avevi promesso!" sussurrò quasi in un pianto.
Mi avvicinai al suo orecchio per bisbigliare: "Ricordati: mai fare promesse con me"
Il rumore dello sparo echeggiò per tutta la stanza di quella casa, dove il signor Olivera ci aveva portato, dopo averlo incontrato in piazza. 
Il suo corpo cade in avanti e il pavento si colorò di rosso ed una sensazione di potere era tornato a scorrere nelle mie vene.


Il vecchio Justin, quello crudele, senza cuore, senza pietà, che uccideva tutti senza ripensamenti, stava tornando? 

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Capitolo 15
*** Eleven. ***


"Una perdita può essere drastica quanto un terremoto.
Dipende tutto dall'importanza della persona che perdi.
"
 
-Cit.

 


CAPITOLO UNDICI.




Erano tutti lì, intorno a quel corpo disteso per terra fra le braccia di quel ragazzo. Sembrava che il tempo si fosse fermato. Erano tutti così avvolti nel loro dolore, nei sensi di colpa, che non sentirono il suono delle sirene della polizia e delle ambulanze.
Era come se tutti fossero morti insieme.
Era bastato uno sparo, un rumore assordante, sotto quella pioggia d'estate, tipica del Brasile, per portar via quella povera anima con sé, pochi minuti prima.

 
****

Si sentiva tradita, umiliata, presa in gira. 
Si era sbagliata di nuovo. 
Sbagliare era umano, no? Ma sbagliare per tre volte sempre sullo stesso individuo però, era da cretini.
Illuderla, ecco cosa aveva fatto lui: l'aveva illusa di provare un pizzico di compassione nei suoi confronti, di essere veramente dispiaciuto per lei per quello che suo padre le aveva fatto. Si era fidata. Gli aveva parlato come quando passava ore e ore a spettegolare con la sua migliore amica, Katherine, al telefono. Si era sentita di aver trovato un nuovo amico, ma in fondo era un maschio e, come da copione, aveva solo uno scopo in quella sua mente contorta: scoparsela. Scoparsela con o senza il suo consenso e..... e così fece.
Stavano guardando la tv quando, all'improvviso, Peter, saltò in piede e le prese un braccio, trascinandola su per le scale, rischiando di farla cadere.
Summer restò imbambolata all'inizio. Non capiva quel improvviso cambio d'umore. Sapeva che il suo carattere cambiava facilmente: passava dall'essere stronzo al essere dolce, da bastardo ad avere compassione. Era un doppiogiochista, ecco cos'era.

Summer venne portata in quella che era camera sua, in quella lurida casa. C'era un armadio a sinistra, una finestra con le sbarre a destra, e un letto matrimoniale, al centro, che faceva schifo: il legno era tutto rovinato e aveva la paura che, muovendosi troppo durante la notte, mentre dormiva, come era da sua abitudine, le asse si spezzassero e che le facesse fare un bel tonfo. Per non parlare del materasso: era grigio, puzzava di pipì e c'erano macchie di muffa. Ogni volta che ci sdraiava sopra vedeva la polvere alzarsi e le veniva da vomitare, ma non poteva visto che mangiava poco, quasi niente.
La nuvola di polvere fu molto più grande del solito, dato che quella volta venne praticamente buttata su quel letto, invece di sedersi sentendosi disgustata. 
Peter, da canto suo, non era minimamente interessato se quella polvere era nociva o meno. Aveva un unico pensiero per la testa: sbattersela fino a non farla camminare per una settimana, se non di più.
Si buttò letteralmente sopra di lei, quasi volesse 'averla' così.
Jones provò ad allontanarselo ma con scarsi risultati: lui era molto più forte e grande, mentre lei era piccola e non aveva una briciola di forza nel suo corpo. Era debole, come era sempre stato.
Le labbra di Peter si avvicinarono al suo collo dove lui le lasciava alcuni baci con scie umide. Le bloccò le mani sopra la testa. Le gambe di Summer vennero bloccate dalle sue. "Non temere, princesa. Alla fine di tutto questo, non ti lamenterai nemmeno" le sussurrò con voce bassa, roca e sensuale all'orecchio, per poi morderle il lobo e scendere, continuando a baciare ogni centimetro, millimetro di viso. Scese al collo, salì piano piano fino alla mascella, poi sulla guancia destra, poi sulla tempia, la fronte, il 'collo' del naso, la guancia sinistra e, per finire, arrivò alle labbra.
Summer non fiatava. Era rigida. Aveva paura. Voleva gridare, piangere, prendere a pugni quella faccia di culo. Voleva urlargli addosso quanto era stronzo, bastardo, quanto era stato meschino ad averla presa in giro, ma non poteva: aveva la gola secca, non aveva una goccia di saliva e le sue corde vocali sembravano non esserci nemmeno. Si sentiva uno schifo. Si sentiva peggio di una spazzatura buttata nei bidoni.
Sentì i conati di vomito arrivare quando le labbra di quel verme baciò le sue.
Con quella briciola di forza che era riuscita ad acquistare, forse per la arrabbia, girò a girare la testa dall'altra parte, voleva tanto poter passare il dorso della mano sulla bocca per poter togliere quel sapore orribile e, già che c'era, lavarsela con del acido.
Vide Peter scuotere la testa, infastidito da quel suo comportamento "No, no, no! Non avresti dovuto fare, princesa" ringhiò. Il dolore arrivò prima del rumore: le aveva appena tirato uno schiaffo. Le lacrime non uscirono neanche. Non le permise di uscire.
Peter si alzò leggermente da lei, quel tanto che gli bastava per levarsi la maglietta nera con la scritta bianca: 'Please bitch, I'm fabulous'.
"Se ti comporti come una bambina, allora io tratterò come tale" aveva usato ancora una volta quella voce sexy che avrebbe fatto sciogliere chiunque, ma in situazioni come quella, metteva i brividi. Peter si avvicinò e la baciò e, questa volta però, tolse le mani dalle sue braccia e le afferrò con forza e desiderio il suo viso. Presa dallo stupore schiuse le labbra e lui ne approfittò per far entrare la lingua. Appena le due lingue entrarono in contato, Summer, si spaventò e cominciò ad agitarsi. Provò a toglierselo di dosso, adesso che aveva le braccia libere ma, proprio come prima, non ci riuscì.
Il ragazzo si allontanò dal suo viso poco dopo, con un sorrisino maligno, bastardo, malizioso, su quel visino da bambino.
Le mise le mani sui fianchi e si abbassò dedicandosi al suo collo. Le sue dita viaggiarono giù, sotto la maglia, per salire sui suoi seni, stringendoli subito dopo. Jones spalancò gli occhi per la sorpresa e si lasciò uscire un verso strozzato per il disgusto, che Peter recepì come un gemito di piacere.
Senza che Summer se ne accorgesse le aveva già tolto la maglietta e il reggiseno. Si sentì sposta perciò, con un movimento veloce, si coprì i seni con le braccia e, contro la propria volontà, le lacrime che aveva provato a trattenere, le rigarono le guance.
Peter si avvicinò frettolosamente a lei e la presa fra le sue braccia, facendo scontrare il suo petto contro il suo seno. "Shh, princesa. Non piangere" fu quelle parole che fecero traboccare il vaso: il pianto si fece sempre più forte e, anche se non andarono a fondo in quel 'rapporto' fisico, Summer si sentì uno schifo, una puttana. Si era illuda che lui si sarebbe fermato lì, ma come era di consuetudine dire: 'al peggio non c'è mai fine'.
"Non devi piangere, perché ci sono io qui con te. Ti farò godere come nessuno l'ha mai fatto" sussurrò dolcemente. Summer alzò velocemente gli occhi e incontrò i suoi verdi e ci vide un lampo di malizia. Le mano del ragazzo si posarono sulle guance di Jones. Scesero sul collo, poi sul seno, per scendere alla pancia piatta della ragazza. Arrivò ai bottoni dei suoi pantaloncini e li sbottonò. Lei si irrigidì ancora di più, se mai fosse stato possibile. Non muoveva un muscolo, quasi non respirava. Aveva lo sguardo fisso sulla parete grigia della camera, mentre le lacrime continuavano a scendere.
Sentì il gusto del ferro in bocca e, si rese conto solo allora, di aver morso troppo forte il labbro inferiore, ma poco le importava in quel momento: voleva soltanto che quel incubo finisse. Che si svegliasse a letto, in una fredda mattinata del Canada, sotto la sua coperta rosa shocking preferita, a casa sua...Invece sembrava che a quella tortura non ci fosse mai fine.
Un urlo stridulo le uscì spontaneamente dalla bocca, senza che se ne rendesse conto, quando sentì delle dita accarezzarle la sua intimità. Un altro urlo le uscì quando lui ci infilò, direttamente, tre dita dentro, facendo avanti e dietro, avanti e dietro.

Voleva morire.

"No, ti prego. Smettila!" la voce strozzata per colpa delle lacrime. Aveva finalmente ritrovato la voce. Peter però non le diede ascolto: aveva la testa gettata all'indietro con la bocca socchiusa e stava cominciando a respirare velocemente. La ragazza non si era neanche accorta che si era tolto i pantaloni e, dai boxer, si poteva notare bene, benissimo, la sua erezione.
Dopo aver fatto un verso rude, tolse la mano dall'interno dei suoi pantaloncini, infilando le tre dita in bocca, assaporando il sapore di lei. "Umm.." un verso di approvazione da parte sua, fecce sbianchire ancor di più Summer... che diventò ancor più bianca, quando vide Peter alzarsi per togliere l'unico indumento che gli era rimasto. Alla visione dell'amichetto li sotto, gli occhi della donna si spalancarono, aumentando soltanto l'ego di quel bastardo.
"Lo so" le disse soltanto, facendo intendere tante cose. 
Senza dirle niente, afferrò la sua nuca e, come da lui previsto, Summer spalancò la bocca per lo stupore, stando così al suo gioco.
Le avvicinò la bocca al suo cazzo e le lo infilò in bocca. Summer provò ad allontanarsi, ma non ci riuscì.
Con una mano, Peter, le teneva la testa facendola andare avanti e dietro, con l'altra invece, le abbassava i pantaloncini, quel tanto che bastava per scoprirle il suo didietro. Le diede una pacca fortissima su una chiappa che risuonò per tutta la stanza.
Summer non poté nemmeno urlare; non era nemmeno sicura che le sarebbe uscita la voce.
Voleva semplicemente prendere un coltello e ficcarselo nel petto: avrebbe finito velocemente quella tortura.
Per la prima volta, desiderò di vedere suo padre, che era fuori per affari. Era convinta che avrebbe fatto smettere quel bastardo che stava facendo del male alla sua piccolina che tanto amava, come diceva lui. Non le stava facendo solo del male fisico ma anche a livello mentale. 

Voleva che suo padre tornasse.

Per un istante, sembrò che Dio le avesse dato ascolto: la porta della stanza si spalancò di colpo. Gli occhi delle due persone guizzarono verso l'entrata e Summer sentì un briciolo di speranza crescerle dentro.
Peter l'allontanò di colpo, facendola sbattere la testa contro la spalliera del letto. "Cazzo!" imprecò per la botta.
"Non la toccare, figlio di puttana!" la rabbia era palpabile in quella voce. Una voce che, precedentemente, aveva avuto l'opportunità di conoscere, di ascoltare: non era suo padre, era Justin.
Alzò la testa velocemente incontrando quegli occhi nocciola, con sfumature dorate, ma che erano più scuri del solito.
Justin si sentì morire quando la guardò. Vedeva gli occhi rossi e gonfi di chi aveva e continuava a piangere. La vedeva tremare. Leggeva nei suoi occhi paura e disgusto e qualcos'altro che non riuscì ad identificare, ma di sicuro non era niente di buono, non poteva esserlo. In quella situazione non c'era niente che si avvicinasse al concetto di 'buono'.
Vedere la 'Sua Amica' -come l'aveva definita lui il giorno prima, quando si era perso nei suoi pensieri durante l'incontro con Rodrigo- semi nuda con il cazzo piccolo di quel coglione in calore in bocca, fece ribollire ancor di più il sangue nelle sue vene.
Appena aveva ucciso quel bastardo di Gustavo, si era affrettato a prendere la macchina e correre dalla Sua Summer. Se ne era fregato se gli altri lo stesse seguendo o meno, voleva soltanto arrivare in quella maledetta casa e sembrò impazzire per averci messo più di mezz'ora per trovarla, perché non aveva un fottuto gps. Ma impazzire non era niente in confronto a quello che stava per fare: non stava per impazzire, stava per andare fuori di sé.
Con tutta la furia che si era accumulata in corpo, si avvicinò alla velocità della luce a Peter e, prendendolo per il collo, lo alzò, facendolo sbattere contro il muro grigiastro. Un urlo gli uscì per l'impatto, ma non sapeva che le cose stavano solo per peggiorare per lui.
Justin, con tutta la sua forza, strinse ancora più forte il collo e vide il suo viso cambiare colore: dal suo colore naturale al rosso al viola.
"Ti diverti ad usare una donna contro la sua volontà, per i tuoi piacere, eh?" domandò retorico "Beh, anch'io ho deciso di divertirmi" detto ciò, con la mano libera, afferrò le sue palle e le strinse forte, facendo una torsione verso destra. Peter urlò e Justin si divertì veramente a stritolarle più forte "Non è divertente, eh? Così ci pensi due volte prima di violentare una donna" lo lasciò e il ragazzo cade a terra, tossendo, provando a prendere più aria possibile. Non solo i suoi polmoni ne avevano risentito, ma anche i suoi gioielli di famiglia. Bieber non ebbe pietà però: gli tirò un calcio sullo stomaco, un'altro sulle costole e, quando ormai il ragazzo era quasi sdraiato per terra, gliene tirò un'altro sulla schiena.
"Justin!" Si sentì chiamare da una voce fragile. Avrebbe continuato a prendere a calci quel figlio di puttana ma fu costretto a girarsi. Si voltò e la vide fra le braccia di Brian, anche se si vedeva che fosse a disagio: le spalle erano così rigide, che si poteva notare a distanza di miglia.
"Justin, non qui!" lo pregò il suo migliore amico, capendo subito a cosa si riferiva. Non poteva uccidere Peter o almeno non davanti a Summer. Sia lei che Justin respiravano faticosamente ma per motivi diversi: Justin aveva dovuto usare tutta la forza che aveva in corpo per far quello che aveva fatto a quel coglione, che gli arrivarono a scendere goccioline di sudore dalla sua fronte; mentre Summer era perché stava morendo dentro sé. Aveva paura, ma era una paura diversa da quella di prima: aveva paura del uomo che le aveva appena salvato la vita e lui lo notò e sentì la tristezza incombere su di lui. Non voleva che lei fosse intimorita da sé.
Ci furono secondi in cui i due continuarono a fissarsi e si poteva sentire benissimo la tensione che si era creata fra i due.
"Summer?" fu Bieber a interrompere quello straziante silenzio, che stava distruggendo tutti psicologicamente, avvicinandosi a lei.
Quando fu troppo vicino per i suoi gusti, Jones, si liberò dalle braccia di Brian, dove sembrava soffocare, e corse fuori dalla stanza, giù per le scale e fuori casa.
Aveva bisogno di prendere aria. Si sentiva stordita, confusa, debole, fragile, impaurita, per quanto odiasse ammetterlo.
Pioveva, era nuda dalla vita in su, ma poco le importava. Aveva bisogno di uscire da quella lurida casa che la stava soffocando, letteralmente.
Appena uscì da quella camera da letto il resto dei ragazzi, che stavano sulla porta, si lanciarono sguardi confusi, come Justin e Brian d'altronde. Se ne fregarono di Peter che era ancora sdraiato in un angolo, sofferente, e corsero fuori, alla ricerca della donna. La trovarono che stava a guardare il cielo. La pioggia le cadeva in pieno viso. Le gocce si mescolavano alle sue lacrime: erano un tutt'uno.
"Summer?" osò Justin, chiamandola.
Silenzio.
"Non volevo che ti fermassi, ma non volevo che tu andassi a finire dietro le sbarre per colpa mia" sorprese tutti parlando, dopo che non aveva proferito parola per una manciata di minuti, mentre fissava il cielo, riferendosi a Justin, senza girarsi però. "Avevo paura... Ho paura. Mi sento violata, tradita, presa in giro. Mi ha fatto credere di essermi amico, di potermi fidare di lui, ma poi ha sganciato la bomba" tirò su con il naso "Perché mi è successo tutto questo, Justin?" Chiese voltandosi verso di lui. Sapeva che non si riferiva solo a quello che era successo in quella camera "Perché Dio mi vuole così male? Che ho fatto? È forse una punizione per un qualcosa che non mi è concesso sapere?" il tono di voce si era alzato leggermente "Non mi meritavo tutto questo!" Urlò con tutta la voce che aveva, che le era rimasta "Non me lo meritavo" le uscì piano dalla bocca, quasi un sussurro. Stava per cadere: le gambe stavano cedendo. Avrebbe subito una bella botta se Justin non se ne fosse accorto appena in tempo: quando vide le gambe della ragazza tremare corse verso di lei e riuscì ad afferrarla poco prima che cadesse a terra, appoggiandola sulle sue ginocchi e avvolgendola in un abbraccio.
Summer nascose la testa sul petto di Justin, stringendosi alla sua maglietta.
Lui la sentiva singhiozzare e si odiò per non essere arrivato prima.
La guardò e vide che era ancora nuda e, solo allora, si accorse che era scossa da brividi. L'allontanò di poco, sotto il suo sguardo preoccupato e terrorizzata che lui se ne andasse e l'abbandonasse lì, da sola, al suo crudele destino. Si sorprese quando vide Bieber togliersi la maglia, rimanendo solo in canottiera, per metterla addosso a lei. Lo aiutò, dopo di che venne avvolta nuovamente in quella braccia, a cui stava cominciando ad affezionarsi ed aveva paura. Paura che lui se ne andasse, lasciandola con mille desideri mai soddisfati, domande senza risposte. Aveva paura, come una qualunque persona, paura di perdere una persona cara, come Justin. A quel triste pensiero scoppiò a piangere nuovamente.
"Shhh, piccola. È tutto finito" le sussurrò dolcemente, come si faceva con i bambini, per tranquillizzarli.
Lei annuì e alzò il viso verso quel 23enne che avrebbe dato la propria vita per sua.
"Justin, voglio tornare a casa". Gli sembrò una bambinetta indifesa a cui era appena morto il gatto. Aveva già capito in passato, che Summer voleva apparire forte e sicura di sé, ma la realtà era che era semplicemente fragile e debole: era dovuta crescere in fretta per poter liberarsi dalla madre psicopatica con cui si era ritrovata. Non aveva avuto la possibilità di essere bambina, come lui. Quella allegria, quella fantasia, quella voglia di giocare, non li avevano mai avuti.

Gli tornò in mente le parole di Brian: diversi ma uguali!

"Ti portiamo a casa adesso, Summer. Non ti preoccupare". Le accarezzò i capelli un'ultima volta, prima di alzarsi aiutandola a mettersi in piedi.
"Non ne sarei così tanto sicuro" e prima che qualcuno potesse capirci qualcosa, si udì uno sparo e poi il silenzio più totale, come se tutti fossero diventati sordi, all'improvviso.
Peter stava sulla porta, con l'arma ancora in mano, puntata in avanti, mentre era piegato in due e sputava sangue.

Bastò un rumore a portare via una vita. Un suono che così come venne, se ne andò velocemente, scomparendo con un'anima innocente.
Due secondi che tolsero il respiro e fece il cuore cessare di battere.
Due secondi erano bastati per far mancare il terreno sotto il loro piede.
Erano tutti lì, intorno a quel corpo disteso per terra fra le braccia di quel ragazzo. Sembrava che il tempo si fosse fermato. Erano tutti così avvolti nel loro dolore, nei sensi di colpa, che non sentirono il suono delle sirene della polizia e delle ambulanze. Era come se tutti fossero morti insieme.

Si udì un secondo sparo. Tutti si voltarono: Peter si era tolto la vita. La polizia era già lì e l'aveva visto.

Nessuno fiatava.

Tutti erano morti dentro.

 


 
NOTE AUTORE:

*rulli di tamburi* SONO TORNATAAAA!! :D
eh, sì, sono di nuovo io. Questa volta non ci ho messo un mese prima di pubblicare un nuovo capitolo... mi sento realizzata :3
Questo capitolo era già stato scritto la settimana scorsa, ma non ho avuto tempo per pubblicarlo..  ma oggi non sono andata a scuola (Ohhh che bello *-* ) così ne ho approfittato.
Spero che vi piaccia.
Ho provato a non farlo troppo dettagliato per non renderlo volgare perché la violenza sulle donne non è niente di bello e chiedo scusa se qualcuno possa vedere questo capitolo come un qualcosa di inappropriato... *Chiedo scuse in anticipo* .

 
Volevo ringraziare tutti quelli che leggono, mettono tra i preferiti/seguiti/ricordati la mia storia e anche a chi mi lascia una recensione, anche se piccola... Grazie di cuore *-*

Detto questo, vi lascio.. spero di trovare dei vostri commenti... Fatemi sapere, se vi va, chi è morto, secondo voi!



Alla prossima!! ;D
 

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Capitolo 16
*** Twelve. ***


"Cosa provi quando ti abbraccia?"
"Hai presente quando ti svegli alle 2 di notte, pensi che siano le 7 e di essere in ritardo per la scuola,
e invece hai ancora tempo per dormire?
O quando pensi che non ci sia nulla da mangiare, e nello scaffale c'è un ultimo pacchetto di patatine?
O quando il professore interroga e tu non hai studiato e non esce il tuo numero?
Ecco, sono pochi e semplici esempi. Ma sono piccoli, leggerissimi attimi, che ti sollevano.
Ti fanno sentire un attimo meglio, ti danno l'illusione che li, in quell'istante, tutto sia perfetto, tutto vada bene.
Solo che poi le 7 del mattino arrivano. Il cibo finisce. E prima o poi ti interrogano.
Ed è cosi che mi sento ogni volta che le sue braccia si allontanano dal mio corpo.
"


-Cit.




 
CAPITOLO DODICI.
 
 
 
Si dice che con il tempo tutto passa, che ogni ferita si rimargina, che tutto torna come prima, o almeno in parte. Non si può essere felice per la perdita di una persona, principalmente se quella ti è cara. Gli anni possono anche passare, ma la cicatrice rimane lì e ogni anno, quando arriverà quella precisa data, quella della perdita, i ricordi torneranno, da quelli felici a quelli brutti, ai momenti di difficoltà passati insieme... alle cazzate fatte insieme perché, anche dopo la morte, un amico rimane. Rimane nel nostro cuore, come se il suo nome fosse stato scritto con dell'inchiostro, quello che si usa per i tatuaggi, quello indelebile, incancellabile proprio come è il migliore amico.
Spesso ci si piange addosso, si dà la colpa a qualcuno, pur di non star male. Ci si tormenta, si passano le notte in bianco, si piange e tutto per un qualcuno che non c'è più, che ci ha abbandonato da un momento all'altro, senza un preavviso, che neanche lui ha avuto.

 
 
Seth era tutto per Tyler. Rappresentava la sua famiglia e adesso lui non c'era più. L'aveva abbandonato, come avevano fatto tutti gli altri. Non aveva più nessuno. Si sentiva solo e, per quanto egoista potesse sembrare, avrebbe preferito che fosse stata  Summer a morire. L'odiava. Era tutta colpa sua se il suo migliore amico era morto. Se solo non fossero andati ad aiutare gli altri alla ricerca di quella stupida lurida puttana, probabilmente lui e Seth starebbero giocando a una partita di Fifa con la play, che lui gli lo aveva regalato il natale scorso.
Si sentiva ferito, perso, distrutto, arrabbiato, stanco, a pezzi. Rivoleva il suo amico indietro. Voleva prenderlo in giro per quanto sdolcinato diventava davanti a Allison.... Cazzo! Chi le avrebbe detto che suo il fidanzato era morto? Chi avrebbe chiamato la sua famiglia e avrebbe dato la triste notizia? Principalmente alla piccola Jessica, la sorellina di 5 anni, che Seth tanto amava?
Gli sembrava di trovarsi in un incubo, di cui non riusciva ad svegliarsi. E la colpa era tutta di Summer. Gli era più facile dare la colpa a lei. Non gli importava se chiamarla 'puttana', 'troia', 'sgualdrina', la potesse ferire.
Le aveva urlato in faccia che, se Seth non era più lì con loro, era colpa sua.
Si ricordava di averle detto: “Tu! è tutta colpa tua! Se non fossimo venuti qui a salvarti, lui non sarebbe mai morto..... Dovevi morire tu! Tu lurida puttana troia!” poi era venuto a suo soccorro Justin, che la difese con denti e unghie.
 
La mente di Tyler venne pervasa dagli avvenimenti di quella giornata, uno dopo l'altro: Bieber che uccideva Gustavo; loro che correvano alla casa di Lucas, a salvare Summer; loro che la trovano con il cazzo di Peter in bocca, contro la sua volontà; Justin che lo massacrava di botte; Summer che scappava da quella camera; lei e Justin abbracciati; uno sparo: il suo migliore amico per terra; secondo sparo: Peter morto; la polizia, le ambulanze; il corpo di Seth che veniva portato via; l'interrogatorio; il loro ritorno all'albergo; lui che entrava infuriato in camera di Bieber e che se la prendeva con Summer; che le dava uno schiaffo; che le augurava la morte; che la chiamava con nomignoli orribili e osceni; lui che prendeva la macchina e partiva via, lontano il più possibile per poter respirare un po' d'aria; lui in un bar, con la terza bottiglia di birra in mano.
Non si rendeva conto che, tutto quello che accade in quella giornata, non era stato per volere di Jones e che era lei la vittima e non la colpevole... non se ne accorgeva perché pensavo solo ad una cosa: vendetta... voleva vendicare l'amico e, per farlo, avrebbe fatto qualcosa di orribile che avrebbe cambiato la vita di tutti.

 
 
SUMMER P.O.V.

 
 
Alzai gli occhi al cielo per l'ennesima volta da quando quella conversazione aveva iniziato. “No!” ridissi.
Ed io ti dico di sì. Non puoi stare qui da sola, Summer. Lo capisci?” ed ecco che Justin me lo ripeteva per la centesima volta. “Sei ancora in grave pericolo.. Hanno cercato di ucciderti anche dopo la morte di Seth, in hotel. Te lo sei dimenticata?!
 
Oddio, lo strozzo se non la finisce, pensai
 
Justin, smettila!” esclamai disperata “Io non vengo a stare da te e da Brian. Punto. Fine discussione” mi girai e me ne andai dalla mia camera da letto per dirigermi in cucina. Passarono pochi secondi prima che sentissi dei passi avvicinarsi.
Ti prego, Summer. Non voglio costringerti, ma non voglio neanche che tu stia qui. Non sei al sicuro, lo vuoi capire?” mi stava praticamente supplicando, ma avevo troppa paura. Paura che riaccadesse tutto di nuovo. Se uno era già morto, per colpa mia, perché non poteva succedere di nuovamente?
Scossi la testa.
Summer!!” si passò la mano fra i capelli, frustrato “Prova a capire. Stando qui non possiamo proteggerti” provava a farmi ragionare, con scarsi risultati.
E se io non voglio essere protetta?” la frase uscì dalla mia bocca prima che passasse per il cervello. Mi sentii subito male, perché dirlo a voce alta era tutto un'altra cosa: rendeva tutto più reale e la paura più toccabile.
Summer...
No, Justin” lo fermai in partenza “Non voglio che si ripeta quello che è successo in Brasile. Non voglio che qualcuno di voi muoia per colpa mia, per proteggere me. Io non sono il Papa o il presidente degli Stati Uniti o la Regina Elisabetta, non sono una persona famosa che deve avere 20 guardie del corpo, come gli One Direction quando escono di casa, che rischiano la propria vita per salvare la loro... Tyler ha ragione: Seth è morto per colpa mia e mi sentirei morire se vedessi per terra te o Brian con una pallottola al petto, ricoperti di sangue” quel immagine mi fece rizzare i capelli e le lacrime scendevano sul viso, come pioggia “Non voglio sapere che sei morto per me, perché non riuscirei a sopravvivere...” feci una pausa per prendere fiato “secondo me è meglio finirla qui, prima che tutto si complichi. Penso che sarebbe meglio se ogni uno prenda strade diverse” ma chi era che stava parlando?! Non ci credetti neanche io alle mie stesse parole. Era come se qualcun altro fosse entrato nel mio corpo e avesse parlato al posto mio.
 
Ero veramente io? Volevo veramente quello che, a quanto pare, avevo detto?
 
Justin, in un primo momento, non fiatò. Restò fermo a fissarmi come se stesse provando a trovare qualcosa nei miei movimenti, nel mio sguardo, che contraddicesse quello che gli avevo appena detto. Avevo paura, ancora una volta. Volevo allontanarlo ma avevo paura di riuscirci per davvero. In quel breve periodo di tempo che passai con Bieber, avevo imparato a conoscerlo, sapevo come prenderlo, anche se a volte il mio carattere impulsivo mi portava a dire o fare cazzate che lo facevano incazzare, ma io non potevo farci niente. Non volevo toglierlo della mia vita adesso che ci era entrato, ma sapevo che era la cosa più giusta. Volevo proteggerlo insieme a Brian, Jazzy, Jaxon e gli altri ragazzi. Loro mi avevano salvato la vita e adesso toccava a me salvare la loro... finché mio padre sarebbe stato libero e pronto a volermi uccidere, nessuno di loro era al sicuro. Con me in giro ci potevano solo essere guai.
Eppure, anche sapendo di dovergli stare lontano, avevo terrore che lui fosse d'accordo con me. Non volevo stare lontano da quelle braccia che mi circondavano ogni qual che ne avevo bisogno, che mi consolavano come nessuno sapeva farlo; da quegli occhi dove mi perdevo mentre li fissavo... di un colore così normale: non erano di un azzurro ghiaccio o di un verde smeraldo o di un blu notte.. erano castani, dei semplici, banalissimi occhi castani, con delle sfumature dorate e verde, che però contenevano un nuovo mondo, un nuovo universo. Quegli occhi mi mandavo fuori testa, sapevano leggermi dentro, anche se io facevo di tutto per non lasciarli fare. Quelle due palline mi trasmettevano calore, affetto e... e amore. Ero conscia che era un amore d'amicizia, al massimo un amore fraterno, in fin dei conti ero più piccola di lui ed ero la sorella del suo migliore amico ed anche la psicologa di Jazmyn.
Volevo allontanarlo dal disastro di persona che ero, ma desideravo anche che mi dicesse che non mi avrebbe abbandonato neanche per tutto l'oro al mondo e sembrò, che per una volta, qualcuno la su mi avesse sentito, perché subito dopo disse quello che la parte che più detestavo in quel momento, voleva sentirsi dire:
Cazzo, no! Te lo scordi!” okay, forse non erano le parole esatte che avrei usato anche io, ma il concetto era chiaro: non voleva lasciarmi andare. Nonostante le sue parole, mi sentivo male lo stesso e mi sentii un'egoista perché preferivo che lui mi stesse accanto, rischiando la sua vita ogni giorno per me, più tosto che lasciarlo libero.
 
Presi un lungo respiro, elaborando i miei pensieri. Stavo cercando la soluzione equa.
Chiusi gli occhi per riaprili dopo un paio di minuti, mentre prendevo dei lunghi respiri “No, Justin. Non voglio! Voglio solo che tu te ne vada e mi lasci sola.” era la decisione giusta da prendere, mi auto convinsi.
Bieber mi guardò per un istante e sembrò che stesse cercando di leggermi dentro. “No, non ti lascerò qui da sola, sapendo che ci sono persone lì fuori pronti a volerti fuori. Non voglio portarti a forza da me, ma se sarà necessario sappi che lo farò. Andrò contro tutto e tutti pur di sapere che sei al sicuro! Hai capito, Summer?” chiese avvicinandosi e prendendo il mio viso fra le mani “Contro tutto e tutti...” la intensità con cui lo ripeté  mi mise i brividi di piacere e mi venne la pelle d'oca.
 
Quel ragazzo era tutto ciò che volevo, ma che non potevo avere... non potevo neanche immaginare di volerlo e questo era un grandissimo problema, perché nella mia vita c'era già un altro uomo, con cui mi sarei sposata fra pochi giorni.
 
E Dylan? Cosa gli dico?” chiesi ancora vicina a lui. Non capii neanche come riuscii a elaborare quella domanda visto che quella vicinanza dei nostri corpi mi metteva in confusione e quel contato delle sue mani sul mio viso mi mandava in estasi: erano così calde, morbide, grandi, piacevoli...
Non sa che sei tornata dal tuo viaggio 'anti-stress improvviso' perciò non gli lo devi per forza dire che sei a Strantford, ma se proprio vuoi farlo, basta che gli dici che vuoi recuperare il tempo perduto con tuo fratello e, che modo migliore,  se non andare a stare da lui fino al matrimonio?” quel sorrisino con cui pronunciò quel lungo periodo senza neanche prendere fiato, mi fece capire che aveva capito tutto: aveva capito che avevo alzato bandiera bianca e che lui era il vincitore, ma ero troppo orgogliosa per ammetterlo: non volevo dargli quella soddisfazione, o almeno non subito. Feci lavorare il più possibile il mio cervello per cercare di trovare qualcosa che mi avrebbe potuto salvare da quella situazione.. in fondo in gioco c'era la mia dignità: non si doveva mai, e dico MAI, far vincere una battaglia ad un uomo, perché poi te lo rinfaccerebbero per tutta la vita, anche dopo la morte.
Cosa dico a mia madre però? A lei non andrà a genio che stia da mio fratello, sapendo che la causa dell'abbandono da parte di mio padre, fu per colpa di Brian e di sua madre vediamo come a rispondi a questa, Bieber. pensai lanciandoli uno sguardo di sfida.
“Semplice” alzò le spalle e sorrise ancor di più. Sapeva a che gioco stavo giocando “Le dici che ti dispiace ma che vuoi conoscere il fratello che lei ti ha negato.
Sì, ma così la farei soffrire.” come se mi importasse, mi dissi mentalmente.
So che non ti importa niente. Non inventare scuse con me, Jones!” voleva apparire serio, ma vedevo benissimo che stava cercando di non sorridere davanti ai miei scarsi tentativi di non dargliela vinta.
Feci un passo indietro, allontanandomi da lui e dalle sue mani, per riuscir a ragionare a mente lucida.
Io non mi sto inventando scuse, Bieber.” bugiarda. “E comunque la mia damigella d'onore, Katherine, arriva domani e le avevo promesso che poteva stare da me, ma se io sto da te, lei... dove starà?
Qui. Avrà la casa tutta per sé!

Eh no Bieber. Non puoi farmi quello sguardo da infarto, da “non mi freghi, piccola.”.

“Non la posso lasciare sola. Viene per me ed io l'abbandono?” uffi, mi stavo arrampicando sugli specchi, lo notai pure io.
Justin mi sorrise e fece un passo in avanti, mettendosi le mani in tasca, mentre io, a mia volta, ne facevo un indietro. “Allora vorrà dire che anche lei sarà mia ospite!” stavo seriamente pensando di prendere quel cucchiaio di legno, che avevo lì sopra al piano di lavoro della cucina, e daglielo in testa, come avrebbe fatto mia nonna, almeno ero sicura che avrei tolto quel sorriso da “sono figo solo io” che, però, di più bello al mondo non c'era: così luminoso, aperto, con denti così bianchi da far invidia alla neve, così espressivo...
 
I piccoli -Lucia e Ryan- vengono da me tutti i mercoledì, cioè dopo domani, e non posso proprio dirli di no... Ci rimarrebbero male!” era l'ultima carta che avevo da giocare.
Lui scosse la testa quasi divertito “Vorrà dire che verranno da me, anzi, da noi, perché sarà anche casa tua per i prossimi 4 giorni!” ed il sorriso di vittoria si impossessò del suo viso. Aveva vinto, nonostante io avesse cercato tutte le scuse possibili, sarei dovuta andare a stare da lui e Brian... sapevo già che mi sarei dovuta portare quella sconfitta per il resto della mia vita.
Le mie spalle si rilassarono, non avevo neppure notato che erano rigide come se fossero state delle asse di legno “Okay... vado a preparare le valigie” lo guardai un'ultima volta e vidi il suo viso illuminarsi ed una domanda mi sorse spontanea “Lo sapevi già dall'inizio che saresti riuscito a convincermi, vero?” chiesi curiosa.
No, però ci speravo!” sorrise e le mie ovaie esplosero.

'Fanculo, Bieber.
 
Perché?” ancora una volta la mia boccaccia parlava al posto mio.
Quasi non ci credetti appena vidi quello che vidi: Signore e Signori, Justin Bieber, il porta guai, il teppista, il trafficante di droghe, il 'sono più figo io', si era imbarazzato.
Si grattò il collo e ci pensò bene prima di darmi una risposta “No-non so... L'unica cosa che posso dirti è che quando ci sei tu, tutto è migliore, tutto è più bello. È come se tornassi quel ragazzino spensierato, che non vedeva sua madre, ogni sera, picchiata, che non veniva picchiato... è come se tu riuscisse con un solo sorriso, un semplice 'ciao' a togliere tutto il male che c'è in me... è come se il mostro che ho dentro si fosse legato al tuo angelo con un filo indistruttibile... come se il mio demone avesse trovato la propria casa con la tua creatura celestiale... non so perché ti voglio lì con me, ma so che starei molto meglio sapendo che stai sotto le mie ali e che sei al sicuro... è tutto più bello quando ci sei tu, Summer!” il mio cuore si fermò, lo zoo che avevo nello stomaco tornò a far il suo dovere, altro che farfalle... smisi addirittura di respirare... L'unica cosa che feci fu sorridere...
Sorrisi come una bambina che aveva appena ricevuto la barbie che tanto aveva desiderato per natale, come quando si va sulle altalene e ci si sente liberi, che quando sei là su e il terreno là giù, nessun male ti può raggiungere, nessun problema ti può sfiorare per la testa, nessun pensiero può entrare nella tua mente se non quello di essere liberi, una volta tanto liberi... Sorrisi come una adolescente che vede passare davanti a sé il ragazzo che le piace... Sorrisi come quando una madre vede suo figlio per la prima volta... Sorrisi come quando un padre sente la propria piccolina dirgli “Ti amo, papà”, oppure quando glie viene detto “Sei l'unico uomo nella mia vita e lo sarai sempre... Sarò sempre la tua bambina, papà”... Sorrisi come quando si sale su una giostra, oppure come quando si mangia lo zucchero filato.. Sorrisi come quando tuo fratello ti abbraccia e ti dice che ti vuole bene... Sorrisi come quando si ricorda i bei momenti... Sorrisi come quando sei sull'altare e il prete dice "Vi dichiaro marito e moglie. Adesso puoi baciare la sposa"... 
Sorrisi perché lui sorrise, perché avrei passato i prossimi 4 giorni a stremo contatto con lui, perché sapevo che lui c'era e che non voleva andarsene, perché non voleva abbandonarmi, perché mi voleva proteggere, perché avevo capito che avrei potuto sempre contare su di lui, ma soprattutto perché... perché, nonostante non ero pronta ad ammetterlo a me stessa, stava nascendo qualcosa dentro di me più forte di un sentimento d'amicizia, un sentimento simile... all'amore. Un amore tormentato, disgraziato, senza fondamenta, impossibile, immaginabile... eppure tutto mi sembrava più bello, più divertente, più luminoso, più positivo, con lui al mio fianco, ma il nostro amore era destinato a non durare ed io sapevo bene che avrei fatto bene ad allontanare il più in fretta possibile quel sentimento dalla mia testa, perché io amavo Dylan, il mio futuro marito con cui avrei passato il resto della vita... o almeno lo speravo.



 
Non sarebbe stato difficile concentrarmi solo su Dylan anche se stavo da Justin per i prossimi 4 giorni, vero?
 
Non sapevo però quanto mi stavo illudendo quel giorno... non sarebbe stato per niente facile.







LA VERA STORIA, INIZIA QUI......


 
 DA NON PERDERE:
Nel prossimo capitolo capiremo meglio come si sente Summer riguardo
a quello che le è successo in Brasile.
Nuovi personaggi faranno il loro "ingresso".
Vedremo un Justin Bieber diverso da quello che abbiamo visto fin'ora.
Ahh.. e ci saranno nuovi colpi di scena.

Vi aspetto!
kiss kiss :3
 

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Capitolo 17
*** Thirteen. ***


"E quando mi ha abbracciato
e ho sentito il suo cuore battere in sintonia col mio,
ho creduto di poter morire col sorriso sulle labbra
e con il suo profumo addosso.
"


-cit.
 

CAPITOLO TREDICI.



Basta avere un momento della giornata libera, che la testa comincia a viaggiare e, molto spesso di quanto si pensa, ci si mette a pensare a ricordi che vorremo dimenticare. In quel istante avevo la mente che si trovava a quel pomeriggio che era appena trascorso, con una famiglia che vedevo per la prima volta in vita mia.
 
"Adesso il tuo fratellone è con Dio, piccola" le dissi.
"Perché?" chiese con le lacrime agli angoli degli occhi, mentre provava a capire quello che le stavo dicendo.
"Perché Dio aveva bisogno di lui al suo fianco" rispose Justin al mio posto, abbassandosi di fianco a me e all'altezza della bambina.
"Io ho bisogno di lui, non Dio!" urlò, mentre le lacrime cominciavano a riempire anche i miei occhi.
"Non sei sola, tesoro" sussurrai con voce materna, facendole una carezza sulla testa. "C'è mamma e papà con te.. poi c'è Justin, Stive, Allison e ci sono anch'io" non conoscevo quella ragazzina, ma mi sentivo in colpa, perché se suo fratello era morto era solo per colpa mia e starle vicino in un momento come quello era l'unico cosa che potevo fare.
"Io voglio Bibo..." e scoppiò a piangere. Subito la prese fra le mie braccia e la cullai facendole delle carezze, sussurrando che tutto sarebbe andato bene e che le saremo sempre stato vicino.
 
Ad un tratto sentii un peso sulle mie gambe, risvegliandomi dai miei pensieri. Quando guardai in basso vidi una testa bionda sulle mie gambe, con gli occhi chiusi.
"Comodo?" chiesi a quel cretino. Come risposta annuì leggermente, godendosi il mio leggero tocco sui suoi capelli. Restammo in silenzio per una decina di minuti, finché non lo sentii parlare. "Devi smettere di pensarci, sai" aprì gli occhi e vedi quelle due palline che mi facevano tanto impazzire... rimassi comunque lucida e cercai di non farmi abbindolare da lui.  "Cosa?" finsi di non capire, anche se sapevo bene a cosa si riferiva: il fatto che mi davo la colpa per la morte di Seth.
"Non potevi farci niente" disse, il suo sguardo fisso nel mio "Lui non avrebbe mai voluto che ti sentissi così in colpa, così come la sua famiglia" mi posò una mano su una gamba, cominciando a fare movimenti circolari. 
Decisi di non commentare. "Jessica è proprio una bella bambina" sorrisi a quel pensiero, anche se averla fatta piangere non era nei miei piani, ma credo che fosse impossibile che non accadesse, visto la notizia che le avevo dato. 
Ohh povera piccola, penai.
"Già.. è uguale a suo fratello." Una adorabile risatina gli scappò. Restammo dei minuti in silenzio, a guardare le pubblicità in TV. 
Si sentivano solo i nostri respiri. Diversi pensieri popolavano la mia testa. Dopo che eravamo tornati dal Brasile -quel giorno stesso- Justin mi aveva praticamente supplicata di andar a stare da loro, almeno fino al matrimonio, insinuando che io fossi ancora in pericolo, nonostante avessi provato a fargli cambiare idea. Non ero proprio sicura che fosse mio padre a volermi morta. Avevo messo su diverse ipotesi durante il volo, ma nessuna mi convinceva seriamente. C'era un tassello del puzzle che mi mancava: mio padre non poteva rapirmi, dicendomi che amava me e mia madre, e volere allo stesso tempo la mia morte. Sì, mi aveva picchiata, ma quello non era un valido motivo per voler vedere il cadavere di sua figlia. Decisi di chiedere ad una delle persone che ero sicura avrebbe saputo rispondermi.
"Justin?" sussurrai.
"Mmmm..." mugugnò, mezzo addormentato. Era carino con gli occhi chiusi e quell'aria tranquilla che aveva sul volto, così decisi di lasciarlo dormire. Spensi la televisione e lo lasciai sulle mie gambe, mentre giocavo ancora con i suoi capelli. Credo di essermi addormentata, perché quando aprii gli occhi, mi trovavo sdraiata su un comodo letto, con le braccia -che sospettai fossero di Justin- strette alla mia vita.
Guardai l'orologio sopra il comodino: 3.48.
Sospirai, sapevo che non sarei riuscita ad addormentarmi così facilmente se mi ero svegliata a quell'ora, che a mala pena sapevo che esistesse. Decise così di andare giù e prendere un bicchiere di latte, facendo attenzione a non svegliare Justin mentre mi alzavo.
 
Dopo aver riempito il bicchiere e rimesso il cartone all'interno del frigo, mi avvicinai alla porta finestra e, con mia grande sorpresa, vidi -non molto lontano- una sagoma seduta su una panchina a dondolo, vicino alla piscina -che conoscevo bene dato i precedenti.
Con il bicchiere in mano, mi avvicinai. Seduto c'era Brian. 
Da quando avevo appreso la notizia, non ci eravamo seriamente parlati.. solo saluti dati velocemente e sguardi lanciati di nascosto. Mi avvicinai e mi sedetti vicina a lui. Nessuno proferì parola nei primi 5 minuti. Eravamo intenti tutte e due ad ammirare il giardino che, con il buio, non appariva nel suo massimo splendore, ma nonostante l'oscurità la piscina era tanto bella con i riflessi delle stelle sull'acqua. Ti dava quasi la voglia di buttarti dentro e nuotare fra loro -anche se io non lo sapevo fare-. Eravamo tutte e due persi nei propri pensieri. Nessuno sapeva che cosa l'altro voleva sentirsi dire. Io non sapevo niente di lui, neanche perché non aveva il mio stesso cognome, avendo in comune il padre.
Presi dei profondi e lunghi respiri, e così domandai: "Perché non hai il mio stesso cognome?" sembrò scosso quando parlai. Credo che non se lo aspettasse. Si girò verso di me e quegli occhi verdi mi colpirono. Erano bellissimi; sicuramente li avrà presi dalla madre, dato che quegli di mio padre erano nocciola con sfumature verdi. Scrollò semplicemente le spalle "Mia mamma non voleva che avessi qualcosa che ricordasse quel mostro perciò, appena Lucas ci abbandonò, cambiò il mio cognome a Long, cioè il suo" nonostante provava a fare il menefreghismo, si capiva che ci era rimasto male per la storia, quanto me d'altronde, e sentii il dovere di scusarmi con lui.
"Mi dispiace, Brian, per tutto. So che probabilmente starai pensando che io sono stata più fortunata di te, visto che Lucas provava più affetto verso di me, ma non è stato facile neanche per la sottoscritta... Non sapevo che lui avesse un'altra famiglia e addirittura un figlio... Se avessi saputo di avere un fratello sarei subito venuta a cercarti, come temeva lui... Ho sempre pensato che lui fosse un eroi, sai?" un tenero sorriso comparì sul mio viso a quel ricordo. Mi girai a fissarlo "Quando veniva a trovarmi era come se il resto del mondo non ci fosse. Mi portava sempre in posti che mia madre e mia nonna non mi avrebbero mai permesso di andare, come al poligono di tiro -anche se tutt'ora non capisco come mai mi lasciavano entrare se ero minorenne-, non ho mai capito questa scelta bizzarra, ma adesso comincio a mettere i pezzi insieme... Probabilmente in quel periodo, Lucas, faceva già parte di qualche gang -chiamiamola così-, e voleva che mi sapessi difendere se mai mi fosse servito. Sì, adesso so sparare ad un bersaglio ad occhi chiusi, ma di lui, mio padre, non rimane niente... Ormai non lo considero neanche sangue del mio sangue... l'unico legame che ho con lui, sei tu e, per quanto strano possa sembrare, io ti voglio vicino... sei mio fratellino e voglio poterti considerare tale" le accarezzai un braccio, mentre lui aveva lo sguardo fisso davanti e il corpo rigido.
"Sarebbe stato meglio se tu non lo avessi mai scoperto questo secreto, Summer" dichiarò provando a dimostrarsi sicuro di quello che stava dicendo, ma si capiva benissimo che c'era una lotta dentro di sé per quelle parole che gli costavano tanto e che mi confusero "Sapere che sono tuo fratello non ha che portato solo guai... se tu non lo avessi mai scoperto probabilmente Lucas non ti avrebbe mai rapita e picchiata, Peter non avrebbe mai provato a violentarti, Seth non sarebbe mai morto e Tyler non ce l'avrebbe tanto con te e tu sopratutto non ti sentiresti morta dentro..." quelle ultime parole mi colpirono in pieno ed ero sicura, anche senza vedermi, di essere sbiancata e, probabilmente, Brian lo notò perché poi continuò il suo discorso "In questi anni non sei mai stata sola Summer! Io ci sono sempre stato, lontano ma c'ero. Ti ho visto in tutti i tuoi momenti peggiori e dentro di me speravo un giorno di poterti prendere fra le mie braccia e dirti che tutto sarebbe andato bene, che io ci sarei sempre stato, come farebbe un bravo fratello... ma con il tempo sei cambiata. Hai cominciato a crescere e vedere il mondo con occhi diversi e ad affrontare le spiacevole situazione chiudendoti a guscio... Davanti agli altri sei impassibile... sì, sorridi e ridi ma se qualcuno guardasse dentro ai tuoi occhi vedrebbe che stai morendo dentro. Se ti guardassi adesso saprei che vorresti urlare, piangere, prendere a pugni qualcosa o qualcuno, ma non lo fai... Preferisci mostrati forte come hai sempre fatto in questi ultimi anni, invece di farti vedere debole dalle uniche persone che potrebbero capirti e volerti bene..."
"Se mi mostro debole oggi, in un domani mi si potrebbe rigirare contro" lo interruppe spiegando quella decisione di non umiliarmi davanti agli altri.
"Justin, Jazmyn, Jaxon, io e gli altri non lo potremo mai fare. Non potremo mai rinfacciarti di aver pianto in un momento tanto brutto, di debolezza.. Tutti crolliamo prima o poi ed è sempre un bene avere qualcuno vicino che ci dia una mano, un braccio, una gamba, un organo...insomma, qualcuno su cui possiamo contare anche se il mondo stesse per finire e tu gli chiedessi di andarti a preparare una pizza.... So che questi anni senza nessuno vicino ti ha buttato giù, ma adesso ci siamo noi. Tutti al tuo fianco per sorreggerti se mai cadrai" finalmente si girò verso di me e mi sembrò di vedere un adulto invece che un ragazzino di 19 anni. "Gli occhi sono l'anima delle persone: non mentono mai,  Summer!" sussurrò quelle  parole che non mi erano sconosciute. Le dicevo sempre ai miei pazienti.
"Cos... ??" le parole mi morirono in gola.
"Te l'ho detto: io ci sono sempre stato, anche se da lontano" ripeté.
"Sembra quasi una frase da stalker, lo sai questo?" lo spinsi leggermente, scherzando.
Fece una risatina "Hai una vita molto 'movimentata', lo sai anche tu questo?" mi derise, alludendo alle mi disavventure affrontate ultimamente. Ridacchia con lui facendomi scappare uno sbadiglio poco dopo, ricordandomi che fosse tardissimo. "Meglio se torno a  letto... Parlare con te mi ha riportato il sonno" dissi mentre mi alzavo, scompigliandogli i capelli.
"Stai dicendo che sono noioso, sorellona?" si portò una mano al cuore, con fare teatrale, fingendosi offeso.
"Sto dicendo che dopo l'intensità del nostro discorso, mi sento sfinita" spiegai "E' meglio se anche tu vai a letto, è tardissimo" lui in risposta annuì. Mi abbassai per dargli un bacino sulla guancia e per sussurrargli all'orecchio: "Ti voglio bene, Brian".
"Anch'io, Summer" rispose lui.
 
Appena mi sdrai sul letto, entrai nei mondi dei sogni che durò ben poco, visto che venni buttata letteralmente giù dal letto da una Katherine (*) pimpante come non mai, urlandomi "Svegliati! Svegliati!" per quello che mi apparve una centinai di volta, alle 7 della mattina.
La prima cosa che feci appena mi alzai dal pavimento fu prendere una cuscino e tirarglielo in faccia. "Non mi svegliare mai più così, plebea" le lanciai uno sguardo assassino.
"Plebea lo dici a tua sorella, babbana dei miei stivali!" rincarò la dose.
A quelle parole mi addolcì "Ohhhh, quanto mi sono mancati i nostri battibecchi" corsi verso di lei e, per completare la mia vendetta per avermi butta giù dal letto così presto, le saltai in abbraccio, con il risultato di farci cadere e scoppiare a ridere.
"La scena più strana che io abbia mai assistito" Justin era appoggiato alla porta con lo sguardo confuso, mentre ci guardava "Se lo avessi fatto io quello che Katherine ha fatto, molto probabilmente sarei per terra sanguinante, in questo momento" si riferì a me. Mi misi in piedi, seguita a ruota dalla mia migliore amica, e diedi un bacio sulla guancia a quel babbuino "Meglio non sfidare la fortuna, bradipo" detto ciò, mi diressi al bagno che Justin aveva in camera, e mi ci chiusi per uscirci solo dopo una rinfrescante doccia. 
 

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"Come mai sei arrivata così presto? Non dovevo venirti a prendere verso le 2?" Domandai alla mia migliore amica una volta che ci eravamo sedute in soggiorno, poco dopo pranzo. 
Scrollò le spalle "Veramente sono arrivata ieri sera ma, avendo delle questioni di cui occuparmi, non ho fatto in tempo a venir da te e poi volevo farti una sorpresa."
"E come facevi a sapere dove mi trovavo?" e che l'interrogatorio abbia inizio.
"Ho incontrato tua madre che mi ha detto che eri da un tale Bieber. Così ho cercato sul elenco telefonico il suo numero e a rispondermi fu Brian che decise di aiutarmi con la sorpresa."
"E qual era la questione di cui ti dovevi occupare?" domandai curiosa e preoccupata. Era raro che Katy mi nascondesse qualcosa. L'ultima volta che accade, risale a quando avevamo 10 anni e lei mi rubò una caramella dallo zainetto e me lo disse solo un'anno dopo perché si sentiva in colpa!
Prese un lungo respiro prima di parlare. "Pochi giorni fa incontrai Dylan a New York. Mi era apparso strano già dal primo momento che lo vidi. Sembrava avesse paura di me o meglio, che io riuscissi a scoprire quello che stava nascondendo" disse, facendomi rimanere con un'espressione confusa in viso.
Cosa mi stava nascondendo , Dylan?
"Andammo a prendere un caffè e, facendo un po' di pressione, riuscii a farlo sputare il rospo. Praticamente è andato a letto con tua madre. Mi incazzai ma comunque gli promise che non ti avrei detto niente... gli ho dato un limite di tempo per parlarti, cioè fino a ieri... Gli ho telefonato 2 giorni fa e scoprì che non ti aveva detto ancora niente, così ho anticipato il volo e sono andata direttamente a chiarire con lui su questa faccenda.. Gli ho dato ancora una possibilità: ti doveva confessare tutto entro l'ora di pranzo di oggi se no l'avrei fatto io... perciò eccomi qua" la velocità con cui parlò, mi sconvolse che ci missi un po' a rendermi conto di quello che mi aveva appena detto.
 
Tutto il mondo sembrò cadermi addosso appena Katy finì di parlare. Sembrava che tutto quello che avevo ottenuto in quegli anni scivolassero via dalle mie mani come la sabbia. Avevo perso tutte le mie sicurezze, le mie certezze.
Sembrava che questo periodo della vita fatta di disgrazie, una dopo l'altra, non volesse finire.
Le lacrime uscivano ormai da sole e non mi importava se in quel momento potevo sembrare debole, fragile. Sentivo il terreno sotto il piede mancare, così come l'aria.
"Summer?" sentii una voce chiamarmi e guardai la persona che si trovava sulla porta del salotto, guardarmi. Sul suo viso vidi per primo la compassione e successivamente la rabbia. In un nano secondo, Justin, aveva preso delle chiavi ed era uscito sbattendo la porta dietro si sé.
Ci misi poco a realizzare quello che stava succedendo. Mi alzai velocemente, seguita da Katy, presi la borsa e corsi fuori. Appena entrambe fummo dentro la macchina, Brian uscì fuori con il cellulare in mano, guardandoci stranito.
"Perché Justin mi ha appena chiesto di cercare l'indirizzo di casa di Dylan?" chiese confuso.
"Tu non farlo!" risposi senza dare ulteriori informazioni.
Improvvisamente sbiancò "Troppo tardi". Lo sentii a malapena, visto che avevo già messo in moto e stavo partendo.
Da quando ero tornata dal Brasile, avevo sentito Dylan e mia madre solo una volta. Ci saremo dovuti incontrare quel pomeriggio, ma le cose sarebbero andate diversamente.
Anche mentre guidavo non riuscivo a credere del tutto alle parole di Katherine. Sì, lei era la mia migliore amica e non mi avrebbe mai mentito su un argomento del genere, ma quando succedono situazioni del genere, cioè che ti scombussolano il tuo mondo, è difficile credere a qualsiasi cosa, finché non si ha la conferma.
 
Non parcheggia bene la macchina. Semplicemente frenai vicino al marciapiede, di fronte alla casa del mio -ex?- fidanzato, e scesi di corsa a fermare Justin che teneva Dylan per il collo, sollevandolo da terra.
"Stronzo! Come hai potuto eh? Tradirla con sua madre poi!" gli urlava in faccia, Justin.
"Per l'amor di Dio! Dirgli di metterlo giù, Summer". Mi accorsi che, vicino alla porta d'entrata della casa, c'era anche mia madre, che mi urlava di fermare Justin. Per un istante entrai in confusione: non sapevo che fare. Non volevo dare ascolta a Sarah, perché ero incazzata con lei per quello che mi aveva fatto, ma sapevo anche che se non fermavo Bieber, lui avrebbe ucciso Dylan e sarebbe finito nei guai ed io non lo volevo.
Mi avvicinai cautamente al biondo e posai una mano sul braccio. "Lascialo, Justin. Farlo per me" gli sussurrai all'orecchio. Ormai il poveretto -si fa per dire- che era sotto le sue grinfie, aveva preso un colorito viola. Bieber prese dei secondi per sé, per valutare sa situazione -credo-, ma poi alla fine aprì la mano e la sua preda cade a terra prendendo più aria possibile. Mia madre gli corse subito contro, prendendolo fra le sue braccia. Li guardai schifati e non ebbi più dubbi su quello che mi aveva raccontato Katy: Dylan mi aveva tradita con Sarah, cioè mia madre. 
Pochi istanti dopo, un sordo rumore arrivò alle nostre orecchie. Sempre più vicino, secondo dopo secondo. In lontananza si vedeva solo fumo finché non comparvero delle moto. Vidi Justin buttarmi a terra, dietro alla sua macchina, abbracciandomi e urlando di abbassarmi. Sentii alcuni boati, che dedussi fossero spari. Li sentivo beccare la fiancata dell'auto, uno dopo l'altro. Dire che ero terrorizzata era un eufemismo.
Dovremo aspettare prima di non sentir più alcun rumore. Justin si alzò, mentre io rimassi seduta, con la schiena contro la portiera. Non avevo nessuna forza, né fisicamente che psicologicamente. Probabilmente, se avessi visto di nuova Dylan fra le braccia di mia madre, sarei scoppiata. Tutto quello che era accaduto negli ultimi 10 minuti mi sembrava un incubo, di cui non riuscivo a svegliarmi. Sì, ci provavo, ma rimanevo comunque rinchiusa in quella bolla. 
"Summer?" una voce che, in quel momento non volevo sentire, mi chiamò e mi si parò di fronte, abbassandosi alla mia altezza. Senza pensarci due volte, la mia mano partì e colpii in pieno la guancia di Dylan. 
"Summer!" questa volta venni rimproverata, dalla donna che non avrei mai più voluta vedere.
Il mio corpo si riempì di rabbia, che mi diede la carica ad alzarmi dal pavimento. Istintivamente mi portai una mano al braccio sinistro, senza neanche accorgermi, e lo guardai: avevo la maglia, inizialmente bianca, ricoperta di sangue. Nonostante io e Justin ci eravamo riparati dietro all'auto, un proiettile riuscì a graffiarmi. In quel momento non mi faceva male, ero troppo preoccupata a dire quello che pensavo a quei due vermi che al dolore che, teoricamente, avrei dovuto provare.
"Nessuno di voi due ha il diritto di chiamarmi. Non sono più Summer per voi, come voi non siete più niente per me".
"Sei mia figlia e io sono tua madre.. questo non cambierà mai, che tu lo voglia o no!" neanche in una situazione del genere mia madre sapeva solo darmi ordini. Voleva che tutto andasse come voleva lei. Non questa volta però.
"Sì, forse non potrò mai cambiare il fatto che tu sia mia madre, ma posso sempre fare come ho fatto con papà.. farti restare lontana da me, dalla mia vita, dalle mie decisioni... Mi hai tradita e pretendi pure che io ti dia ascolto, ma io non voglio più sottostare alle tue regole.Per me tu sei morta!" e dopo l'ultima frase, vidi il volto di mia madre cambiare in dolore. Per un instante mi sentii in colpa, ma che scomparì subito quando mi ricordai quello che mi aveva fatto.
"Non parlare così a tua madre, Summer!" mi rimproverò Dylan, come se potesse dirmi ancora qualcosa.
"E tu, caro mio Dylan, puoi anche andare a farti fottere, perché per quel che mi importa, potresti anche venir investito da una macchina che io non piangerei sulla tua tomba" le parole erano fredde, senza alcun sentimento, era come se ad un tratto fossi diventa di ghiaccio. Poi rammentai il mio discorso con Brian e mi resi conto che aveva ragione: preferivo mostrarmi forte, determinata e, quando era necessario -come in quel caso-, a mostrarmi fredda, invece che mostrare come stavo veramente... e se lo avesse fatto in quel momento, se avessi tirato fuori quello che avevo dentro, sarei crollata e non so quando sarei riuscita a rialzarmi, quando quella fitta al petto sarebbe scomparsa, quando le lacrime avrebbero cessato di scendere, quando avrei smesso di tremare, di singhiozzare, quando avrei ripreso a mangiare, quando sarei riuscita a dormire di nuovo, a chiudere gli occhi e non sentire le parole di Katy rimbombare nelle orecchie... quando sarei ritornata quella di prima, la solita Summer.... ma di una cosa ero consapevole... sapevo che quello che avrei fatto dopo, mi avrebbe condannata -si fa per dire- a vita.
Mi avvicinai a mia madre e le tirai uno schiaffo, che stava a rappresentare tutto il dolore che avevo sopportato per tutti quegli anni. 
"Adesso che non ci sono più io di mezzo, potete benissimo tornare dentro e incularvi a vicenda... Io di voi due non ne voglio sapere più niente, mi lavo le mani" detto quello, mi girai per tornare in macchina, dove mi aspettava Katherine -che non aveva bocca da quando tutto quel casino era iniziato-, ma mi ricordai di una cosa e, rivolgendo le spalle a Sarah "Aspetto Louis con i bimbi mercoledì, da Justin" dissi entrando in auto senza degnarle di uno sguardo.
"Summer Anne Jones, non ti permetto di tornare da questo depravato!" urlò mia madre, riferendosi a Justin. Era ripartita. Non sapeva star zitta e lasciar che le cose andassero come sarebbero dovute andare. Lei doveva sempre aver l'ultima parola. "Non sai niente di lui: chi sia, che lavoro faccia.. nemmeno il suo passato".
"Adesso si giudica una persona per il proprio passato, eh mamma?!" chiesi scendendo della macchina e dirigendomi di fronte a lei "Perché se dobbiamo vederla così, ci sarebbero tante cose sul tuo, che non ti farebbero più passare come una madre premurosa che fingi di essere"parole crudele ma che andavano dette, pensai.
"Sì, ho commesso tanti errori, ma non sono mai stati accusata di omicidio" capii che mia madre aveva scelto bene le parole per darmi il colpo di grazia. Non le importava se le dicevo quelle brutte cose, l'importava soltanto di vincere, di dover sempre aver ragione. Voleva che io tornassi indietro e che le chiedessi scusa, che ritirassi tutto quello che avevo detto e fatto.. voleva averla vinta anche quella volta.. ma non sarebbe successo, nonostante quella notizia mi aveva lasciato senza parole. Senza pensare, mi girai verso Justin che era sbiancato, aveva chiuso le mani a pugno finché le nocche non diventarono bianche,  le spalle erano rigide così come tutto il corpo, e avevo lo sguardo davanti a sé, perso. Sul volto di Sarah, invece, vi era comparso quel sorrisino vittorioso che io avevo sempre odiato. "Sai quanti fascicoli ci sono su di lui, Summer? Quanti casi sono stati aperti e lui il sospettato numero uno?" proseguì mia madre. La testa cominciava a girarmi per tutte quelle domande, ma sopratutto per quel discorso assurdo. "Se è stato accusato svariate volte per omicidio, come mai non è dentro ora?" domandai. Conoscevo abbastanza bene mia mamma per sapere che lei diceva solo quello che le faceva comodo, distoglieva tutto dal contesto solo per far passare gli altri per quello che non erano... "Perché tutte le accuse sono cadute, dopo un po'" rispose, sempre con quel aria da superiore che le avevo visto addosso per tutti quei anni. "Se sono cadute vuol dire che non è uno assassino, madre" disse con disgusto l'ultima parola, ma lei comunque non demordeva e continuava con quel discorso palese. "Le persone possono essere comprate, ingenua Summer. Secondo te perché nessun politico, o gente famosa, non sono finiti dietro le sbarre? Con i soldi, cara mia, puoi comprare tutto" e giuro, su quello che ho di più caro, che l'avrei presa a pugni, soltanto per toglierle quel sorrisetto maligno e di vittoria che aveva sulla faccia, così decisi di passare ad un dialogo più formale, dato l'argomento che stavamo affrontando, e di far finta che, quello che mi aveva appena detto, non mi aveva scombussolata. "Mia amata madre, del passato del qui presente signor Bieber, non provo alcun interesse. Ti posso assicurare che, con me e la sua famiglia almeno, si comporta in modo impeccabile e che lui ha fatto molto di più di quello che tu hai fatto per me in questi miei 23 anni. Ha addirittura rischiato la vita per salvarmi e, sicuramente, se lui non avesse avuto questo 'disastroso' passato, probabilmente ora staresti piangendo sulla mia lapideero partita così bene, lo so..ma il dolore e la tristezza avevano preso il sopravento e non riuscii a nasconderlo nella voce.
La vidi diventare più pallida di com'era di solito "Piangere sulla tua lapide? Rischiato la vita per salvare la tua? Gesù Cristo, di cosa stai parlando?"
"Ti prego, non fare finta che ti interessa... In tutti quest'anni hai sempre voluto che fossi la figlia perfetta e ti importava solo di mostrarmi in bella mostra ai tuoi amici... Quando  mandasti via papà, non ti sei minimamente interessata di come mi sentissi io, quando nonna mi tirava gli schiaffi ogni volta che sbagliavo qualcosa, non ti sei mai preoccupata di chiedermi se stavo bene o di farla smettere... non ti sei presa cura di me come dovrebbe fare una madre. Non mi hai mai presa fra le tue braccia e cullata. Non mi hai mia detto che eri orgogliosa, fiera, di me. Non ti è mai importato, allora, perché vorresti iniziare d'adesso?" domandai anche se non mi aspettavo una vera risposta da parte sua, ma mi sbagliavo.
"Perché sono tua madre! Perché ho sbagliato in tutti quest'anni e me ne rendo conto solo ora. Sarei dovuta starti vicina quando ne avevi bisogno e non dovevo mostrarti agli altri come se fossi un trofeo.. Ho commesso tanti errori in questa vita, a cominciare da tuo padre. Non avrei dovuto mandarlo via nonostante mi avesse tradita, perché tu avevi bisogno di lui, come ne avevo io... e mi dispiace averti nascosto che avevi un fratello, ma il dolore era troppo grande da sopportare.. sapevo che avresti preferito lui a me e, sicuramente, anche a tuo padre... So che non ci sono scuse per quello che è successo tra me e Dylan ma ti chiedo, anzi, ti supplico di darmi.. di darci una seconda possibilitàsapevo che stava parlando con il cuore, ma anch'io, a mia volta, sapevo che non potevo cedere. Il mio cuore era stato troppe volte ferito, strappato, tagliato, fatto a mille pezzi, che ormai i cerotti che ci avevo messo sopra facevano fatica a stare attaccati e non credo che, se si rompesse di nuovo,  ci sarebbero stati altri cerotti per rimetterlo apposto. Dopo tutto il suo discorso capii tante cose, e ebbi risposte a domande che mi tormentavano da tempo... e, addirittura il dolore che provavo all'inizio, era leggermente alleggerito.
"Ne hai avuto di change in quest'anni, ma le hai sempre buttate via e ormai è troppo tardi per diventare una madre perfetta dopo tutto il dolore che mi hai fatto provare... Hai ancora due figli da crescere, non fare con loro come fai fatto con me. E tu Dylan... sì, le seconde possibilità esistono, ma vanno guadagnate e non penso proprio che possa esistere un 'noi' in futuro... Non ero più sicura di cosa provavo per te da un po' e il fatto che tu mi abbia tradita con mia madre, è stata la ciliegina sulla torta... Guardandoti adesso, vedo solamente un uomo che un tempo mi ha fatto battere forte il cuore, ma non mi ha mai fatto mancare il respiro.. Mi dispiace" ed ero veramente dispiaciuta. In 4 anni non avevo capito che quello che c'era tra me e lui era semplicemente attrazione fisica, o almeno da parte mia.
"E Justin ce la fa?" mi chiese Dylan, con gli occhi lucidi. Lo guardai confusa. "Intendo, a farti mancare il respiro?" si spiegò meglio, ma io continuavo a non capire "Si vede che c'è qualcosa fra di voi, Summer" proseguì. 
"Cos.. ??" non feci in tempo a finire che lui mi interruppe. 
"Non ripigliarmi la scusa del 'Siamo solo amici', perché si vede che non è vero... Solo il fatto che lui sia venuto fin qua quando ha scoperto quello che ti ho fatto è una dimostrazione. Forse ora, effettivamente, fra voi due non c'è niente ma non sarà sempre così... Sei scesa della macchina quando Sarah ha cominciato a parlare male di lui, l'hai difeso nonostante stessi parlando con tua madre... In quel momento mi è sembrato di esser stato catapultato dentro ad una di quelle serie TV dove gli adolescenti si ribellano ai genitori perché loro non accettano il fidanzato della figlia, ed è questa l'unica differenza che ho trovato: voi non siete fidanzati, ma per il resto, non c'ho nulla da ridire..... Vedervi lanciare sguardi di nascosto, difendervi l'un l'altra, vi fa sembrare ragazzini. Forse è vero quello che mi diceva mia nonna: quando ci si innamora è come se si tornasse ragazzini". E dette quelle parole, mi venni vicino e mi abbracciò sussurrando un "Stammi bene" per poi staccarsi. Capii che era ora di tornare a casa. 
Salutai con la mano mia madre. Lanciai uno sguardo a Justin e gli sorrisi.Venni ricambiata. Salimmo entrambi nelle rispettive macchine. Lui partì subito mentre io aspettai ancora qualche secondo.
Guardai un'ultima volta Dylan e gli sorrisi a labbra chiuse.
"E adesso?" mi chiese Katherine.
"E adesso ogni uno per la propria strada. Come si dice: quando si chiude una porta si apre un portone" risposi mettendo in moto. Un saluto con le mani veloci e partii. Dallo specchietto, riuscii comunque vedere mia madre che salutava Dylan con un bacio sulla guancia per poi salire sulla macchina con lo sguardo deluso, e vidi lui, con lo stesso sguardo guardare verso la mia direzione per poi entrare in casa... Quella fu la penultima volta che lo vidi. L'ultima? Quando mi trovavo sul lettino d'ospedale e lui che mi confessava che non aveva mai smesso di amarmi e che mi portava ancora nel suo cuore... Mi ricordò di tutte le cazzate che avevamo fatto insieme e anche quel giorno che tutto ebbe fine... sarei dovuta andare in ospedale per il taglio causato dallo sparo - mi resi conto che bruciava solo a metà strada, mentre guidavo- invece andai a casa, dove mi attendeva Justin che, dopo avermi abbracciata, mi curò la ferita e fu proprio in quel momento che capii che quella giornata non rappresentava soltanto la fine di una relazione, ma anche l'inizio ad un qualcosa di meraviglioso...  Quando rividi Dyaln Verone erano passati 5 anni.



*Inizialmente la migliore amica di Summer si chiamava Ashely, ma ho notato che si chiama così già anche l'ex di Justin, perciò ho deciso di cambiarlo in Katherine come avevo in mente all'inizio che pubblicassi la storia.



HEY!!!! SONO QUA!! 

Okay, lo so: faccio schifo!
Chiedo immensamente scusa per questo tremendo ritardo. Saranno passati quanti? 3 mesi? Oddio, non li voglio neanche contare.
Però ho delle scuse plausibile... Allora all'inizio avevo la scuola e, trovandomi alla fine dell'anno, dovevo studiare tanto per tirare su tutte le materie che avevo giù, cioè ben 5..  adesso non ho nessun debito ;D poi, finita la scuola, era cominciato il grest e, facendo l'animatrice, tornavo a casa tardi ed ero stanca morta.. quei bimbi mi faceva impazzire... Adesso però è finito e mi sono dedicata totalmente a scrivere il capitolo e credetemi che è stato come partorire.. Probabilmente fa schifo, ma almeno sono riuscita a scriverlo e postarlo....
Prima che mi dimentichi... oggi è il 24 luglio 2014! Esattamente 1 anno fa pubblicai il prologo e vorrei ringraziare tutte quelle che, durante quest'anno, hanno messo la storia fra le preferite, seguite, ricordate, quelle che leggono e basta, e quelle che commentano. Grazie di tutto, sul serio! Vi amo tutte!
Vi lascio il mio ask, se avete domande chiedete pure: ask.fm/NathaliaCristenson Ciaooo, alla prossima :3

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Capitolo 18
*** Fourteen. ***


 
Quando ci si innamora è come se si tornasse ragazzini.



"So che siamo incasinati, d' accordo? Io sono impulsivo,
irascibile e ti sento dentro come mai mi era capitato.
A volte ti comporti come se mi odiassi, un minuto dopo
hai bisogno di me.
Non faccio mai niente di giusto e non ti merito...
ma maledizione, ti amo Abby.
Ti amo più di qualsiasi cosa o persona abbia mai amato.
Quando ci sei tu non mi servono alcol, soldi, incontri
nè storie da una notte...Tutto ciò che mi serve sei tu.
Sei l'unica cosa a cui penso.
Di cui sogno. Sei tutto ciò che voglio
". 

-Travi. Il mio disatro sei tu.



CAPITOLO QUATTORDICI (Penultimo).

 
Finalmente i tasselli del puzzle si uniscono.

 
 
Sarebbe dovuta andare al ospedale, farsi curare la ferita sul braccio, disinfettarla, dare punti se necessario, ma non lo fecce. Prese la strada che portava nell'unico luogo dove desiderava essere.
Parcheggiò in mal modo l'auto e scese di corso, per poi rifugiarsi fra le braccia di Justin. Era lì il luogo dove desiderava stare per il resto della sua vita. Summer si sentiva protetta, amata e sentiva un calore che non aveva mai provato con nessun altro. Amava quelle bracci piene di tatuaggi. Dalla prima volta che lo vide, fino ad allora, erano aumentati a dismisura, che lo rendevano ancora più sexy.
A quel pensiero, arrossì.
Justin, stringendola a sé, sentì una sensazione di conforto, di rassicurazione. Sapere che era lì, lo rendeva tranquillo, felice, finché la consapevolezza di quello che era successo non gli ritornava in mente, e la paura a impossessarsi di lui: paura che Summer si chiudesse in una camera e non ne uscisse e né mangiasse mai più, stando tutto il tempo a piangere per la rottura e la disperazione di aver perso quello che, secondo lei, era l'amore della sua vita -come aveva visto nei film strappa lacrime che Jazmyn lo costringeva a guardare il venerdì sera.
Devo smettere di vederli, pensò.
Le diede un bacio sulla fronte, la strinse a sé più forte, prima di lasciarla andare.
Si ricordò della ferita e, senza dire niente, la controllò, portandola in bagno -presente in camera sua- lanciando prima uno sguardo a Brianna, facendo intendere che avrebbe avuto bisogno di lei per il taglio.
Brianna Lopez era bella quanto intelligente. Quando diceva di aver superato con il massimo dei voti il test d'ammissione alla università di medicina, così come l'esame di stato per l'abilitazione, tutti rimanevano senza parole. Lei era la contrazione alla regola: era sia sexy che genio. Non era ancora diventata medica, ma stava frequentando il primo anno di specializzazione, ed era molto brava in quel che faceva. 

Justin, aiutò Summer a sedersi sulla lavatrice che c'era presente nella stanza e, controllando un'ultima volta la ferita, le tolse la camicetta a quadri che lei indossava.
In una situazione diversa, si sarebbe fermato a guardarle il seno, ma in quella circostanza tenne lo sguardo fisso sul braccio, per non metterla in imbarazzo e passare per un maniaco. Si allontanò di pochi metri per prendere il disinfettante e del cotone. Bagnò quest'ultimo nel liquido rossastro e le tamponò il taglio. 
Summer, che fino ad a quel momento guardava con occhi incantati l'uomo, sussultò per l'improvviso bruciore che sentì e gemetti. Poco dopo entrò nella stanza Brianna. Salutò Justin con un cenno del capo e si concentrò su Jones e sulla ferita.
"Ti fa molto male?"  le chiese e come risposta ottene soltanto il movimento del capo in affermazione.
Le prese il braccio e finì di fare quello che Bieber aveva iniziato. Passò poi a bendarlo nel punto dove si trovava il taglio.
"Hai perso molto sangue, ma non è niente di grave" le disse la donna "Non morirai dissanguata, stai tranquilla" scherzò per poi proseguire "Il proiettile è passato solo di striscio e il taglio non è neanche tanto profondo. Continuerà a bruciare per un paio di giorni e perderai ancora sangue, ma puoi stare tranquilla. Quello che ti raccomando è di cambiare la benda come minimo 3 volte al giorno, mattina, pomeriggio e sera e continuare a disinfettarla. Il dolore direi che è sopportabile, perciò puoi benissimo continuare fare quello che fai normalmente.. Non corri nessun pericolo" la rassicurò con l'ultima frase, sorridendo ad entrambi. "Adesso devo tornare in ospedale, ma presto verrò a vedere com'è la ferita e se sta guarendo come dovrebbe essere" diede un abbraccio a tutte e due, per poi andarsene, facendo un saluto con la mano.
Dopo che Brianna se ne andò, in bagno calò un silenzio religioso. Nessuno dei due sapeva che dire. Justin la continuava a fissare, mentre lei teneva la testa bassa. Summer, sentendosi osservata, alzò gli occhi e incontrò quegli di Bieber, belli come sempre.
"E' meglio se ti fai una doccia e ti cambi i vestiti sporchi di sangue" le disse dirigendosi alla porta "Attenta a non bagnarti la benda, se no mi tocca metterne una nuova" detto ciò, uscì e si diresse verso l'altro bagno presente in casa, per darsi una rinfrescata anche lui. Dopotutto era stata una giornata stancante per entrambi.
Quando Justin uscì dalla doccia, la casa era particolarmente silenziosa. Scese le scale e in soggiorno non trovò nessuno. In cucina, sopra il tavolo, c'era un biglietto:
 
"Jazzy e Jaxon stanno da me questa notte. Katherine da Juan. Avete la casa libera, non fatte porcate ;)
Ci vediamo domani mattina.
 
xx Steven."
 
"Il solito" disse. Attaccò il bigliettino sul frigo e salì in camera. Summer era appena uscita dal bagno sexy come sempre. Indossava un pigiama d'inverno di paperelle, nonostante fosse estate.
"Hai freddo?" le domandò l'uomo. lei in risposta annuì. "Vieni dai" continuò lui, facendole segno di seguirlo sul enorme letto matrimoniale.
Una volta sdraiata, lei fra le braccia di lui, vicini vicini, Justin accese la TV su nickelodeon dove stavano trasmettendo Spongebob, il loro cartone preferito.
Dopo averne visti due episodi la televisione venne spenta e l'unica luce che illuminava la stanza era quella della luna, che stava alta in cielo, al di là della ampia finestra.
"Grazie, Justin, di tutto" gli disse Summer dopo una decina di minuti che stettero in silenzio. "Non so come ce l'avrei fatta senza di te. Ti sei preso cura di me quando avevo bevuto troppo quella sera del barbecue a casa tua, dove ci siamo dati il primo bacio, ricordi? Poi sei venuto fino in Brasile per salvarmi. Non mi hai lasciata neanche quando ti ho detto che secondo me dovevamo prendere strade diverse. Mi hai difeso con Dylan, dopo che avevi scoperto che mi aveva tradita con mia madre e, anche ora, ti stai prendendo cura di me. Mi tieni stretta a te per riscaldarmi, perché sono l'unica cretina in questo mondo che può aver freddo d'estate.. Sei un ragazzo d'oro e non so che farei se non ci fossi tu... Ancora grazie" detto ciò, si allontanò leggermente da lui, gli baciò la guancia, per poi tornare a coccolarsi sul suo caldo petto perfetto.
Justin stette a riflettere sulle parole. Solo allora si rese conto di quanto aveva effettivamente fatto per quella donna, che gli aveva solo fatto del bene. Stando dietro a lei, non si era cacciato nei guai.. lei, in un certo senso, l'aveva salvato o meglio, lo stava salvando. Era diventata importante, non ne poteva farne a meno. L'aveva stregato come nessuno ci era mai riuscito, neanche Ashelly gli aveva fatto quel effetto. Summer non era come tutte le altre e lo aveva capito il primo giorno che la conobbe. Quel giorno era tornato a sorridere, a ridere, a scherzare, a essere felice. Era tornato il Justin che tutti conoscevano... Se c'era lei con lui, non gli serviva niente. Gli bastava lei per stare bene e essere felice. Ma doveva fare ancora qualcosa per farglielo capire. Preso dalla adrenalina, dall'eccitazione, decise di fare quello che desiderava da troppo tempo, senza dare tempo a sé stesso per rifletterci su.
"Summer?" la chiamò, sperando che non si fosse addormentata. 
"Mhmm..." mugugnò in risposta.
"Posso fare una cosa?" domandò, e lei si girò verso di lui.
"Cosa?" era incuriosita.
"Questo!" le prese la testa fra le mani e la baciò dolcemente, come aveva sempre pensato di fare. Pensava che lei si sarebbe tirata indietro, invece lo sorprese: rispose muovendo le labbra con le sue. Man mano che andavano avanti, più il tempo passava, più volevano. L'aria diventava calda... loro cominciavano ad scaldarsi. Quel semplice contatto non bastava a nessuno dei due.
La mano di Justin scese sul fianco della donna, facendola sdraiare sotto di lui. Si staccarono e i loro sguardi si incrociarono. Non si leggeva malizia da nessuna parte, ma solo amore. Era chiaro dove volevano arrivare. Summer tremava dalla voglia di sentirlo ancora, che, aggrappandosi al collo della maglia di Justin, lo trascinò giù e le loro labbra si incontrarono nuovamente. Le dita del biondino scesero sotto la maglia, salendo fino al senno. Lo strinse forte, che scappò un gemito di piacere da entrambi. Le loro lingue si incontravano, ballavano, giocavano insieme. Era tutto un cercarsi. 
Justin, staccandosi da lei, le tolse la maglia del pigiama, buttandola da qualche parte sul pavimento, dedicandosi al collo. Lei intanto tirava i suoi morbidi capelli e godeva quella meravigliosa sensazione di piacere. 
La voleva, cavolo se la voleva. Mentre le accarezzava il seno attraverso la stoffa del reggiseno, e continuava a succhiare la pelle del collo, il pomeriggio appena trascorso gli passò davanti, come se fosse stato un film.... e la paura che lui fosse solo un rimpiazzo a Dylan per Summer, si impossesò di lui. Questa si fece più grande quando le mani di lei scesero alla lampo dei pantaloni di lui. Non voleva solamente soddisfare il suo bisogno sessuale, non voleva essere soltanto il suo 'scopa-amico', non voleva che lei andasse a letto con lui solo per distrarsi da quello che le era capito, non voleva che facesse sesso solo per sfogarsi... Insomma, non voleva fosse solo sesso, ma voleva che quello che avrebbero fatto da lì a poco fosse 'l'amore'. Per questo si fermò subito di baciarla e le tolse le mani che erano a vicinanza ravvicinata con il suo amichetto. Prima voleva essere certo che domani mattina non si sarebbero ignorati o, peggio ancora, che lei scappasse.
"Sei sicura, Summer?" il tono di voce era dolce, ma si notava un filo di paura.
"" rispose sicura.
"Non lo devi per forza fare... Posso aspettare. Non voglio passare per quello che se ne approfitta di un momento di debolezza. Non voglio che questo sia solo una scopata, non voglio che domani mattina ti svegli, prendi le tue cose e te ne vai. Se è solo sesso quello che cerchi, sbagli persona".
"E' dalla prima volta che ti ho visto, che ti desidero come non mi era mai capitato... Mi hai cambiato la vita, mi hai scombussolata. Sei entrato in me e non c'è verso di farti uscire.. Tu sei quello che voglio e che ho sempre voluto, e... solo ora me ne rendo conto". Tutto quello che disse era sincero, veniva dal profondo del suo cuore e anche lui se ne accorse. Adesso aveva le certezze che stava cercano: dopo quella notte, lei non se ne sarebbe andata. 
Le loro labbra non persero tempo. Volevano essere un tutt'uno l'una con l'altra.
In men che non si dica i loro vestiti volarono via, finendo da qualche parte della stanza. Si ritrovarono nudi sotto il lenzuolo che li copriva, a  baciarsi, a leccare, a succhiare, a accarezzarsi e a cercarsi... soprattutto cercarsi. In quel momento c'erano solo loro due e nessun altro. Il mondo sterno era come sparito e loro, per quella notte, si trovassero un altro mondo fatto di piacere e senza problemi. Quando Justin entrò in lei, delicatamente per paura di farle male, si sentirono finalmente di appartenere l'una all'altra. Era come se si fossero cercati per tutto quel tempo e solo allora fossero riusciti a incontrarsi. Summer sapeva che quel amore era tormentato e rischioso, ma se ne fregò per una volta e si lasciò andare al piacere che stava sentendo. Avere lui dentro di sé, la fece sentire speciale. Nonostante provasse un leggero dolore, si sentiva in paradiso, sentiva di poter toccare il cielo con le punta delle dita. Lo stesso valeva per Justin, che si muove esperto sul corpo della donna, come se quella non fosse la prima volta in cui si trovavano in quella situazione a dir poco unica. Muovendosi dentro di lei, raggiunse l'apice del piacere, anticipato da lei. La baciò un ultima volta, sentendosi in paradiso, per poi uscire dall'interno della sua intimità, dove avrebbe voluto stare per il resto della sua vita, e si distese sul letto, tenendola stretta a sé. Entrambi avevano il fiatone ed erano sudati ma questo li rendevano ancora più sexy. Restarono in silenzio, perché non c'erano parole per descrivere quello che era appena successo. Il silenzio era molto più significato di frase fatte. 
Dopo una decina di minuti tutte e due si addormentarono, abbracciati.
 
*****
 
La sveglia sul comodino del letto segnava le tre di notte. La luna era ancora alta in cielo e continuava a illuminare la camera da letto. Quella dolce luce fu la causa del risveglio di Summer che, una volta aperto gli occhi a fatica, non si trovò Justin di fianco a lei. Si alzò velocemente con il busto, fregandosene di coprirsi con il lenzuolo, e si guardò in giro. Niente. L'unica traccia che dimostrava che lui non c'era, era la porta semi chiusa della stanza che, d'un tratto, venne aperta con una spinta di piedi, mostrando un Justin Bieber coperto solo dai un paio di boxer, portare a letto un vassoio strapieno di cibo. "Hei, sei sveglia" le dedicò uno dei suoi sorrisi più belli, dandole un bacio a stampo, che lei approfondì. Prima che Justin si sdraiasse sul letto, appoggiò il vassoio per terra e si buttò sulla donna, arrotolandosi sul letto e mettendola sopra di sé, ammirando il suo corpo perfetto, ancora nudo. Non riusciva a trovare un solo difetto. In quel momento si sentì l'uomo più fortunato al mondo. 
Un ultimo bacio casto e poi seduti uno di fianco all'altro  a 'cenare', visto che non lo avevano fatto e stavano entrambi morendo di fame. L'atmosfera attorno a loro era tranquilla, calda, accogliente e, le uniche cose che rompevano il silenzio dell'intera casa, erano le loro risate. 
Rilassati tutti e due, abbracciati stretti, milioni di domande cominciarono a fluire nella mente di Summer e, nonostante non volesse rompere quella serenità, doveva avere risposte. Non poteva aspettare oltre. 
"Justin?" lo chiamò lei.
"Uhmmm..." mugugnò il biondino che si stava godendo la rilassante pace.
"Perché mi vogliono morta, Justin?" domandò, ricevendo uno sguardo confuso da parte di Bieber "Intendo, perché tutte quelle persone vogliono uccidermi. Ci deve essere un motivo, no?" si spiegò meglio.
Il diretto interessato si irrigidì e capì che era arrivato il momento di raccontarle tutto. Prese un lungo respiro e cominciò: "Prima di tutto devi sapere qualcune cose su tuo padre e di Rodrigos".
"Rodrigos?".
"Sì... Rodrigos Cristenson è una delle persone più imponente che ci sia.. Lui non gestisce solo la droga nello Stato del Brasile, ma gestisce ogni grama che entra o esce dai 5 contenenti. Lui è sempre a conoscenza di tutto e su tutti. Non gli sfugge niente. Per questo, quando abbiamo saputo del tuo rapimento, ci siamo rivolti a lui".
"E che centra Lucas con tutto questo?".
"Tuo padre fa parte di questo giro da anni ormai. Io e Brian abbiamo cominciato con lui, ovviamente prima che capissimo cosa aveva in mente" spiegò, prendendo una pausa facendo credere a Summer che avrebbe continuato, ma invece sperava con tutto se stesso che le bastasse quel poco che le aveva raccontato fin lì, però aveva imparato a conoscerla bene, e sapeva che la sua fame di sapere le cose era molto più grande della sua adorazione per le caramelle.
Infatti "Cioè?" lo intimò lei, poco di venti secondi di silenzio dopo.
"Tuo padre voleva il potere. Il potere che è nelle mani di Rodrigos adesso... Prendendoci con lui non ha fatto che portare casini. Oltre al fatto che è stato lui che ci ha introdotto in questo giro senza fine. Spesso, la sua adorazione verso di me e non al suo figlio, ha fatto sorgere diversi conflitti tra me e Brian.. Io ero il più grande, perciò avevo più pratica con le armi e le altre cose, e a tuo fratello non è mai andato a genio. Anche allora Lucas preferiva chiunque che non fosse stato Long. Le cose fra noi due sono migliorate quando decidemmo di non seguire le orme di tuo padre. Lui voleva andare in giro per i vari Stati, dal Canada fino al Brasile, e conquistare o allearsi con più gang possibile. Facendo così però si rischiava la morte e, anche se adesso continuò ad avere la possibilità di beccarmi una pallottola al petto ogni volta che metto piede fuori casa, volevo rimanere vivo, come minimo fino a vedere i miei nipotini chiamarmi zio".
"Allora vuoi che tua sorella abbia dei figli" gli dissi per alleggerire l'atmosfera, che si stava facendo pesante.
Justin si irrigidì "Non dicevo di Jazmyn. Esiste anche Jaxon che può portare a casa dei bellissimi nipoti" era serio e questo la inquietava.
"Lo sai vero che non la potrai proteggere per sempre? Più le starai addosso più vorrà scappare da te. Ormai è adulta e vuole poter decidere da sola. Prima o poi se ne andrà di casa, si sposerà e si creerà una famiglia... una bellissima famiglia" provò a spiegarglielo. 
Il biondino sospirò sapendo di essere dalla parte del torto pensando che sua sorella sarebbe rimasta vergine per sempre -anche se già sapeva che era andata a letto con il suo migliore amico. "Lo so, ma..." tentò di spiegarsi, ma le parole gli morirono in gola.
"Ma hai paura che posa crescere e dimenticarsi di te" la donna finì la frase al posto suo. Lui, in risposta, annuì, riflettendo su cosa dire.
"Solo, non voglio che lei soffra. Le sono già successe così tante cose che non voglio vederla piangere per colpa di un stupido ragazzo. E' la mia piccolina e, fin da quando è nata, mi sono promesso di prendermi cura di lei e di Jaxon, non importa cosa debba fare e chi devo sorpassare. Loro sono le uniche persone che mi sono rimaste" le parole gli uscirono dalla bocca senza nemmeno che lui avesse effettivamente il tempo di pensare, però sapeva che erano la pura verità, avrebbe fatto qualunque cosa per far stare i suoi fratelli in salvo, eppure... eppure una domanda sorgeva spontanea nella mente di Summer: "Allora perché mi hai supplicato di star da te fino al... al matrimonio?" oltre ad uno sguardo confuso, ricevette anche uno di compassione. Anche se il dolore non era più così grande dopo che loro due avevano fatto.. cosa? Sesso? Amore? Erano tanti i dubbi di domanda, ma era sempre quello che tormentava Jones, da quando erano tornati dal Brasile: "Perché mi vuoi con te se sai che sto mettendo in pericolo non solo te e la tua famiglia, ma anche il resto dei ragazzi e le loro rispettive ragazze? Sai che mi stanno dando la caccia -anche se non ancora capito il motivo-, eppure io sono qui e abbiamo appena fatto..." lasciò la frase in sospeso non sapendo come completarla.
"L'amore. Ecco cosa abbiamo fatto. Non è stato sesso oppure una botta via... Noi due, su questo letto, sotto queste lenzuola, abbiamo fatto l'amore più bello che chiunque possa fare" finì la frase Bieber al posto suo, aggiungendo un po' del suo facendo prendere a quelle sue guance, un leggero colorito rosa, che la rendeva ancora più sexy... ma niente batteva la faccia che faceva quando veniva. Dio, appena l'aveva vista -poco prima- era letteralmente impazzito, che anche lui raggiunse l'apice del piacere, grazie a quella fantastica espressione. Non che lei non fosse brava a letto, ma quella fu la ciliegina sulla torta. Vide l'intera scena di quello che avevano condiviso passarli davanti e pensò anche di prendere dei popcorn per godersi di più la scena, però più la veda più cominciava ad eccitarsi e a desiderare di accarezzarle e baciarla da per tutto. Scosse la testa per concentrarsi. Girandosi verso Summer, notò che lo stava fissando in modo stranito.. non capiva se era per quello che le aveva detto oppure perché guardava il vuoto senza un presunto motivo. Si rese conto che doveva finire ancora di spiegarle la storia di suo padre. Decise così di prendere un lungo respiro e di calmarsi, perché ora arrivava la parte della storia che lui aveva scoperto poco prima che lei tornasse a casa, dopo quel disastroso pomeriggio. "Se tu fossi una criminale che non vede l'ora di spararci una pallottola al petto, probabilmente ti manderei via a calci in culo, ma tu non lo sei e ormai fai parte della famiglia. Tutti noi ti adoriamo e dobbiamo sapere che stai bene, e tutti siamo disposti a proteggerti e poi i ragazzi sono pazzi di te. Pensa che, per tenerti al sicuro, sono diventati dei detective" provò a buttarla lì, per introdurre il difficile argomento.
"Come?" domandò confusa Summer.
"Allora, devi sapere che tuo padre, portandoti in Brasile ha commesso un grandissimo errore. All'inizio credevamo che ti volesse far del male, ma in realtà voleva solo tenerti lontana da questo mondo fatto di morte, droga, soldi, spari, armi...".
"Ancora non capisco..." era ancora più disorientata.
"Lucas ti aveva messo alla calcagna degli uomini che ti sorvegliavano 24 ore su 24. Non voleva che tu avesse qualcosa a che fare come me o con Brian. Non poté impedire però che Jazmyn diventasse una tua paziente e che noi due ci conoscessimo. E dopo il nostro incontro la sicurezza è stata raddoppiata e, quando per sbaglio, tu venni a sapere di tuo fratello, tuo padre dovette pensare in fretta. L'unica idea che gli era venuta era quella di portarti in posto lontano, sicuro, lontana da tutti quelli che conoscevi. L'apposta in gioco era troppo alto. Decise così di far passere il tuo come un sequestro di persona. Abbiamo subito pensato che ti volesse far del male, ucciderti, allontanarti da Brian, da Dylan e da me, facendo credere che lo faceva perché voleva essere l'unico uomo della tua vita, che era geloso -anche se in parte è vero. Non ha mai sopportato che tu stessi per sposarti o che preferissi Long a lui-" spiegò.
"Ma mi ha fatto del male..." sussurrò più a se stessa che a Justin "e poi mi ha lasciato con quel bastardo di P... Peter" rabbrividì quando quel nome le uscì dalla bocca. Bieber la strinse a sé ancora più forte, provando a farle dimenticare l'accaduto, anche se sapeva benissimo che non era possibile. Certe cose non si dimenticano, ti segnano dentro come non mai.
"Shhh..." la consolò lei "Lui ti ha picchiata probabilmente perché era in una crisi di nervi e tu l'hai fatto incazzare. E' molto impulsivo e si arrabbia facilmente e, diciamo, tu sei una di quelle che sa provocare" buttò sul scherzare, per alleggerire la situazione. "E poi non sapeva quello che Peter ti avrebbe fatto. Si fidava di lui, per questo ti lasciò con lui quando, dovette andare da Gustavo a controllare se era vero che fosse... che fosse m.." non riuscì a finire la frase. Aveva paura che lei lo giudicasse e non avrebbe avuto nulla al contrario. Sapeva che quello che aveva fatto era sbagliato e che rischiava il carcere per anni e anni. Non l'avrebbe biasimata se, alla fine del racconto, avrebbe preso le sue cose e sarebbe uscita dalla porta d'ingresso per non tornare mai più da lui, nonostante quello che avevano appena condiviso. Ma doveva farsi coraggio. Non poteva tenerla all'oscuro di tutto. Lei ci era dentro quasi quanto lui. Chiuse gli occhi, fino a farli male per poi riaprirli e finire la frase: "...che fosse morto" stette fermo ad aspettare una reazione da parte della donna che aveva stretto a sé.
Lei lo guardò e capì tutto. Non ci voleva un genio per capire che lui nascondeva qualcosa e che era legato al fatto che quel certo Gustavo era morto. Bastava fare due più due. "L'hai ucciso tu, Justin?" domandò con filo di voce perché, anche se si odiava di doverlo ammettere, la cosa le faceva paura. Cosa avrebbe fatto se le avrebbe risposto di sì? Sarebbe scappata a gambe levate, nonostante avessero appena condiviso i propri corpi? Oppure gli sarebbe rimasta vicina? Avrebbe ascoltato tutta la storia? E se c'era qualcosa di ancora più brutto, di macabro? Si chiedeva e, i secondi che passavano mentre lui rimaneva in silenzio meditando quelle sarebbe stata stato la risposta più adatta -verità o bugia? Sì o no? -, sembravano perforarle il petto. 
"" sii sentì nella pre ombra di quella notte che si presumeva dover essere perfetta. Deduzione troppo affrettata. "Quando eravamo arrivati in Brasile, io e i ragazzi, siamo andati da Rodrigos a chiedergli  di aiutarci. Ci mandò da questo Gustavo che avrebbe dovuto darci le informazione che gli avevamo fatto. Come d'accordo infatti, ce li ha dati ma pensando che sarebbe riuscito a ucciderci. Subito dopo che mi ha consegnato la busta con tutte le informazione, arrivarono degli scagnozzi e io non potei evitare di ucciderlo. O io o lui" si giustificò, sperando che lei gli credesse e, soprattutto, non lo abbandonasse come aveva fatto tutti che avevano provato ad entrare in quel suo mondo incasinato. Summer, stette in silenzio, aspettando che finisse in fretta tutta quella storia per poter poi riflettere su cosa fare o non fare. Vedendo che il biondino non andava avanti, lo incitò a farlo "Poi? Cos'è successo?" voleva solamente che continuasse, nient'altro.
Justin l'accontentò poco dopo "Prima però che gli sparassi un colpo di pistola, gli ho chiesto chi lo mandava e lui, in tutta risposta, rispose Rodrigos" e fin qui niente che non si sapeva "I ragazzi, però, scoprirono che era solo una copertura. Voleva che noi credessimo che Rodrigos ci avesse tradito e presi per il culo, anche se, in un certo senso, è stato effettivamente così" e qui arrivava la novità "Lucas, portandoti in Brasile ha corso un grandissimo rischio. Tutti lo conoscono e sanno qual è il suo piano... Quello di cui ti ho parlato prima (quello di prendere il potere a Rodrigos).. Comunque, la voce si sparse velocemente che lui avesse una figlia e che ci teneva più di qualunque cosa al mondo. Qui parte il fatto che mezzo mondo ti vuole morta. Ci sono due motivi diversi: vedetta e potere. La seconda è perché sanno che uccidendoti, tuo padre, prima di reagire, si ritroverebbe momentaneamente distrutto sia psicologicamente sia fisicamente, che sarebbe una passeggiata metterlo K.O. e prendere tutto il potere che possiede lui adesso. E devo dire che è veramente tanto. Manca poco prima che butti Rodrigos dal suo piedi stallo" cerca di farsi capire.
"E vendetta perché?" Jones interrompe Bieber a metà del suo discorso.
"Ecco, un'altra cosa che devi sapere è che, poco più di due anni fa, tuo padre derubò una banca, a Los Angeles. Non ci sarebbe nulla di male, si fa per dire, se Rodrigos non tenesse lì 1 terzo della sua ricchezza. Adesso, lui vuole vendicarsi, per questo è alla tua ricerca come gli altri".
"Okay, questo spiega tante cose, ma non una: perché mio padre vi voleva morti?".
"Uhmm... anche qui è complicato come faccenda. Tuo padre voleva proteggerti, ma non l'avrebbe mai potuto fare se non avesse fatto un accordo con Rodrigos, dopo tutto si trovava in territorio nemico. Il patto stretto fra loro consisteva nel fatto che la famiglia Cristenson avrebbe offerto protezione a te e a tutte le persone che lavoravano con tuo padre, a patto che lui mi uccidesse. Per questo aveva mando Gustavo. Si fidava di lui e credeva vivamente che ci sarebbe riuscito. Ma non fu così. Io e i ragazzi rimanemmo vivi e Rodrigos non aveva più nessun ostacolo fra lui e te. Non che ti sarebbe andata bene se lui ti avesse preso sotto le sue ali. Probabilmente ti avrebbe nascosta insieme a tutte quelle ragazze che lui rapina per poi venderle.." rabbrividì pensando che Summer sarebbe potuta essere data in mano ad un verme qualsiasi. Che l'avrebbe usata solo per scoppi puramente sessuali.
"Adesso mi è tutto più chiaro" dichiarò dopo una 'lunga' riflessione, la donna. Adesso aveva capito tutto ed era grata di avere Justin. Senza di lui sarebbe già morta. Una domanda però le apparve nella mente, come un lampo in ciel sereno "E adesso? Che si fa?" chiese all'uomo di fianco a lei. Cosa sarebbe successo d'ora in poi? Non potevano di certo rimanere in quella casa per sempre. Li avrebbe trovati, poi l'avrebbero uccisa e, successivamente gli altri, per averla difesa.
"Domani pomeriggio partiamo. So che non sarà facile... dovremo spostarci spesso e scappare. Usare falsi nomi.. so che non vorrai lasciare tutti, il tuo lavoro, i tuoi am...".
"Ci sarete anche te, Jazmyn e Jaxon?" lo interruppe lei con un'altra domanda.
"".
"Bene, non ho bisogno d'altro" detto ciò, si girò verso di lui e lo baciò, prendendolo di sorpresa. Non le importava cosa aveva fatto in passato e se aveva ucciso qualcuno, le importava solo di lui. Quello che lui fecce, fu tutto per lei. La voleva salvare e non le interessava lasciare tutti e continuare a spostarsi da un posto all'altro, quello sarebbe stato semplicissimo, di più se ci fosse stato lui sempre al suo fianco. Non avrebbe sopportato se lui l'avesse abbandonata, lasciata ad affrontare tutto quel casino da sola. Quando si rese conto che Justin era tutto per lei, che non riusciva più a guardare il suo futuro senza che ci sia lui al suo fianco, capì che, se gli sarebbe mai successo qualcosa, sarebbe crollata. Era diventato la sua vita, il suo ossigeno, la sua anima e la cosa era reciproca.
"Ti amo, Justin" gli disse ancora incollata a lui, mentre le loro labbra si muovevano insieme, quasi come se stessero ballando la salsa. Justin, sorpreso si allontanò e la guardò dritto negli occhi. Voleva esserne sicuro di quello che aveva sentito e se non gli stesse mentendo. Quello che vide fu la pura e vera verità. "Ohh Summer, tu non sai quanto ti amo anch'io" disse, approfondendo il bacio.
Neanche il tempo di prendere un respiro, che l'unico indumento che li dividevano -i boxer bianchi di Bieber, che lasciva poco spazio all'immaginazione-, sparì, insieme agli altri vestiti che giacevano a terra da prima, a dimostrare quello che era già successo e che stava per riaccadere. 
"Secondo round eh piccola?" le sussurrò con voce rocca, bassa e sexy, che mise i brividi di piacere a Summer. Inarcava la schiena e lo stringeva di più a sé, graffiandogli la schiena, sentendo un calore provenire dalla sua intimità. Lo voleva, cavolo se lo voleva. Lui non era intento a darle quella soddisfazione, non ancora almeno. Le torturava il collo, succhiandolo e baciandolo, lasciando il 'suo marchio'. "Adesso sei mia piccola e di nessun altro" ancora quella voce sexy che la fece andare a fuoco. "Prendimi Justin, ti prego" lo supplicò ma lui scosse la testa. Scese a leccarle il capezzolo destro, eccitandola ancora di più, non che lui fosse indifferente a tutto quella pelle messa a nudo per lui.. solo e soltanto per lui. 
"Justin.." riprovò Jones ancora, quando era ormai al limite della sopportazione. I suoi baci, il suo succhiare, leccare la mandavano fuori di testa. E la cosa peggiorò quando lui era sceso dai suoi seni, dando bacini, arrivò alla pancia piatta della ragazza fino alla parte più intima di una donna. Lì, lei credette di esplodere. Era una sensazione che non aveva mai provato prima. Dylan non aveva mai osato fare quei giochetti con la lingua, che Bieber le stava facendo in quel momento. E quando infilò due dita dentro credette di essere venuta, di tanto che si sentiva bagnata. Lui la baciava mentre infilò il terzo e poi il quarto dito, facendo all'inizio un movimento circolare, per poi farli quasi uscire, per poi farli rientrare più a fondo e più veloce.
"Mi stai uccidendo, Justin".
"Dì che sei mia e farò tutto quello che vorrai" sussurrò a fior di labbra.
"Sono tua e solo tua. Ma adesso ti prego, entra in me e fammi seriamente sentirmi tua e tuo mio" si sentiva la disperazione nella voce.
"Indipendentemente da quello che faccio, io sono tuo. Mi hai legato a te con un filo indistruttibile per sempre, Summer" non le lasciò il tempo di rispondere che entrò in lei, prendendola all'improvviso. Amava quella sensazione di essere in lei. Lo faceva sentire in paradiso, al settimo cielo. Non gli importava del mondo esterno, era come se il mondo si fosse fermato solo per loro.. forse era solo un'illusione, ma non gli dispiaceva che fosse così. Dentro di lei erano una cosa sola. I loro corpi si completavano come se fossero dei puzzle. Non si riusciva più a distinguere chi era chi, del tanto che si tenevano stretti, quasi come se avessero paura di dividersi, di allontanarsi, come se qualcuno sarebbe potuto arrivare da un momento all'altro e strapparli. Erano cosciente che tutto presto sarebbe cambiato, che niente sarebbe andato per il verso giusto e che loro erano ancora all'inizio di quella relazione che sarebbe potuta finire da un giorno all'altro, così come durare per sempre. Non avevano un piano per il futuro, solo fuggire, nascondersi e sopravvivere. Ma in momento, Justin decise di non darci troppo peso, ci sarebbe stato tempo a sufficienza per farlo. Voleva solo pensare che ora aveva la donna che amava sotto di sé e non ci credeva ancora. Credeva di trovarsi in un sogno, da cui non voleva più risvegliarsi.
Spingeva, usciva e rientrava, usciva e rientrava, godendo ogni volta. E la cosa era reciproca. Tutte e due si desideravano e l'attrazione fisica che c'era prima nell'aria era palpabile. Quando entrambi raggiunsero l'orgasmo, lui cadette su di lei, restandole dentro ancora per un po', assaporandosi e godendosi quella pace interiore che gli era scomparso da tanto tempo, ma con l'arrivo di quella magnifica donna era riuscito a ricredersi ed era riuscito ad amare di nuovo. Era riuscita a domare i suoi demoni e non era scappata quando scoprì che aveva ucciso qualcuno, come chiunque  avrebbe fatto al suo posto... Ma lei non era una 'qualunque', lei era la sua ancora di salvezza, il suo angelo mandato in terra per stargli al fianco e prendersi cura di lui perché, anche se era non si rendeva conto, lei gli aveva salvato da quel mostro che sarebbe potuto diventare.
 
Si dice che là fuori chi siano un'anima gemella per ogni di noi... per Justin era Summer e per Summer era Justin.
 
 
 
 
HEY, SONO QUA!!
 
 
TANTI AUGURI A ME, TANTI AUGURI A ME, TANTI AUGURI A ME!!!
 
Okay, no. Il compleanno è stato giovedì 28, ma volevo comunque festeggiare con tutti voi. Diciamo che anche quest'anno non è stato un granché. Sto ancora aspettando il mio regalo e spero di averlo presto, visto che sto per impazzire. *voglio il mio iphone :'(*
Lasciamo stare la mia triste vita e passiamo al capitolo. All'inizio doveva essere molto più lungo, così facevo un capitolo unico, ma poi ho visto la data del capitolo precedente e, vi giro, sono quasi caduta dalla sedia. Ero convinta di non aver fatto passare così tanto tempo, ma quando ho letto 24 luglio, ho pensato che mi stessero facendo uno scherzo... Insomma, sono in ritardo anche oggi e chiedo immensamente scusa.... 
Parlando di cose serie: questo è il penultimo capitolo, come presumo avete letto (ma va? -.-"), e mi dispiace sinceramente. La storia doveva essere più lunga e molto più movimentata, sarebbe dovuta arrivare la madre (che prometto ci sarà nell'epilogo), il padre e l'ex di Justin, ma con il fatto che ci metto una vita ad aggiornare e voi che che non la leggete, non trovo senso ad andare avanti. Volevo lasciarla così, non continuarla, ma poi mi sono detta che fosse stato meglio finirla, di non lasciarla in sospeso, in rispetto per quelle che la leggono da quando ho pubblicato il primo capitolo... La storia finisce con il prossimo, ma non aspettatevi che sia tranquillo, che ci sia un 'felice e contenti' alla fine della storia, perché vi dico di già che non andrà affatto così... Il finale sarà drastico e con un colpo di scena che lascerà in sospeso l'intera storia, che sarà poi ripreso nell'epilogo. Vi dico di già di non prendere conclusioni affrettate. Molto probabilmente quello che pensate che accadrà nel prossimo capitolo e nell'epilogo è esattamente l'opposto che di quello che leggerete. Ho già tutto in mente e mi sono messa all'opera. Spero di farcela per la settimana prossima... Speriamo bene...
Vabbé, è meglio se la finisco qui e non vi dico altro, prima che la boccaccia rovini il finale a sorpresa...
 
Ringrazio tutte quelle che hanno sempre seguito la storia, l'hanno messa fra le preferite, ricordate o seguite e a quelle che mi hanno lasciato, almeno una volta, una recensione e, ovviamente, a quelle che la leggono in silenzio. Un bacione e un abbraccio virtuale a tutte. Vi voglio bene.
 
P.S. e l'anno prossimo si prende la patente, bitch. ;) :* 

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Capitolo 19
*** IMPORTANTE! ***


Buongiorno, buonasera, buonanotte, a te che stai leggendo... Okay, comincio col dirvi che sono desolata, ma non sono riuscita a mantenere la promessa... Il capitolo è a metà da ormai non so quanto tempo... Ogni giorni mi riprometto di continuarlo e postarlo, ma non trovo tempo e quando lo trovo, sono così stanca che il mio cervello non riesce a elaborare niente. Non so quando riuscirò a continuare la storia, anche perché le cose non mi vanno alla grande. Credo che tutte voi, almeno una volta, abbiate avuto un periodo in cui vi sentivate morte dentro. Lo so che mi odiate, ma io più di così non riesco proprio a fare e spero che voi possiate capire. E poi, uno dei miei problemi più grandi, è che sono al terzo anno delle superiore e se non mi do da fare, ho serie possibilità di venire bocciata. Spero che riusciate a leggere, visto che sono con il telefono. Beh, oltre a questo non ho altro da dirvi, soltanto che spero che voi mi perdoniate. Bye bye Nathalia!

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Capitolo 20
*** Fifteen. (Ultimo capitolo) ***


 
Quando ci si innamora è come se si tornasse ragazzini.
 
"Uno fuma, un altro beve,
uno si droga, l'altro si innamora.
Ognuno si uccide alla sua maniera."

-cit.


CAPITOLO QUINDICI. (Ultimo)
 
Nessuno è invincibile, nemmeno i più forti.
 
 
Tutto era surrenale. Niente di quello poteva essere possibile. Era come se il tempo si fosse momentaneamente  fermato e nessuno sapesse cosa fare, cosa pensare o cosa provare. Quella scena l'avevano già vissuta, a differenza che quello a terra in una pozza di sangue non era Seth, e quello che teneva in braccio l'uomo non era Tyler. In quel momento si trovavano nel incubo di Summer, la sua paura più grande, quello che lei aveva sempre temuto potesse accadere un giorno.
 
Tutto ebbe inizio la mattina dopo la loro nottata focosa. 
Dopo che avevano fatto il quarto round e mangiato come se non lo avessero fatto una ventina di minuti prima e stessero patendo la fame da mesi e mesi, si erano addormentati abbracciati l'una all'altra, come una coppia innamorata. Erano felice. Dopo tutto quello che avevano dovuto sopportare, un po' di pace era quello che si meritavano... ma si sa che a tutto c'è una fine. Verso le sei e mezza/le sei meno un quarto, Justin venne svegliato dalle unghie della donna che gli si conficcavano nella carne del braccio, mentre si dimenava e borbottava cose che,  al viso dell'uomo, erano insensate. Al suo "Justin, aiutami. Non mi lasciare" capì che stava avendo un incubo e che doveva aiutarla.  La scosse prendendola per le spalle, sussurrando dolcemente che andava tutto bene e che lui era lì per aiutarla. La terza volta fu quella buona. Summer aprì gli occhi agitata. Aveva la fronte, così come il collo, le braccia, la schiena, tutta sudata. Il suo cuore andava ad un ritmo veloce che pensò che avrebbe avuto un infarto da un momento all'altro. Si guardava in giro terrorizzata. I suoi occhi erano stanchi e sembrava che avessero paura di chiudersi e rivivere quel incubo che, a parere di Jones, non era molto lontano dalla crude realtà. Nel sogno aveva rivisto Peter e quello che aveva dovuto subire. Soltanto che quella volta Justin non c'era. Non era lì, pronto ad entrare nella stanza e salvarla dalle mani di quel verme. Si sentiva sola e abbandonata come, secondo lei, era giusto che fosse. In qual che modo era riuscita ad uscire da quel buoi che l'aveva avvolta e tornare alla realtà, fra le braccia di Justin e le sue parole confortanti. 
Si potrebbe dire che il risveglio non poteva andare peggio di così se non fosse stato per l'entrata a sorpresa di Tyler. Era strano trovarlo lì, dopo tutto quello che aveva fatto e detto a Summer dopo la morte di Seth. Erano tutti addolorati per la perdita, ma tutti stavano provando ad andare avanti secondo i propri metodi. Quello di Tyler, partiva tutto da quella entrata ad effetto. Tutto la disgrazia che ci sarebbe stata in futuro, cominciava proprio in quel momento.
Spalancato la porta, Tyler, entrò con passo spedito all'interno della stanza, senza rendersi conto in che condizioni si trovavano i due ragazzi. "Su su, vi dovete sbrigare. I ragazzi sono tutti di sotto che aspettano solo voi" disse mentre prendeva due borsoni dalla parte superiore del armadio in camera, cominciando a riempirli di vestiti. Notando che i due non aveva proferito parola o mosso un muscolo, si girò a guardarli e non gli ci volle molto a notare che non avevano nessuna traccia di vestito in corpo. Le sue guance si arrossarono immediatamente. Il piano non stava andando come previsto. "Ehmm... Uhmm.. V-vi lascio ve-vestirvi. Ci vediamo d-di sotto" il poverino balbettò prima di uscire e lasciarli da soli nella loro profonda vergogna ed imbarazzo. 
Dopo essersi alzati, si cambiarono in fretta e scesero, mano nella mano, giù in salotto dove, come aveva detto Tyler, trovarono i ragazzi con le rispettive ragazze. A sorprenderli c'era anche Allison che non aveva dato segno di vita dopo aver saputo della morte del suo (ex) ragazzo. 
Si sedettero negli unici due posti liberi del divano color nero, lasciato appositamente per loro due. "Come mai questa riunione alle 7 della mattina? Nessuno di voi si sveglia così presto" interruppe il silenzio, Justin. 
Nessuno diceva niente. Si guardavano, lanciavano sguardi d'intesa, ma nessuno osava aprire bocca e dar loro una spiegazione. Il diretto interessato, cioè Tyler, perché era stato lui ad aver convocato quella specie di riunione, decise di prendere coraggio e di spiegare come mai erano lì, così da poter proseguire con il suo piano che nessuno, a parte Allison, n'era a conoscenza.
Schiarita la voce con un colpo di voce, di chi fumasse come un turco, prese parola "Sono stato io a convocarvi tutti qui, Justin" spiegò "Agli altri ho già spiegato tutto, adesso tocca solo a voi due" indicò i due ragazzi e prese una pausa pensando, per un nano secondo, che la vendetta era sbagliata.. Poi, l'immagine di Seth fra le sue braccia, senza vita, con gli occhi che fissavano il vuoto, inespressi, lo fece subito cambiare idea e continuare per la sua strada. "Sono venuto a sapere, da fonti sicure, che Rodrigos sbarca oggi a Toronto tra meno di un'ora. E sappiamo tutti quello che vuole. Appena l'ho saputo ho subito capito di avere sbagliato ad aver aggredito a parole e anche fisicamente Summer. Per questo sono venuto fin qui a chiederti perdono e chiedendoti di accettare le mie scuse, così da poter mettere in atto il mio piano per tenerti in vita e lontana da Rodrigos". Nessuna di quelle parole le sentiva e pensava veramente. Erano state usate solo per suscitare il buon animo di Jones e far sì che lei lo veda di buon occhio da fidarsi di lui. Infatti aveva centrato in pieno l'avversario perché, subito dopo, Summer annuì e si aprì in un grande sorriso "Ovvio che ti perdono. Tutti noi commettiamo degli errori e abbiamo bisogno di una seconda change".
E dopo che anche quella era andata, a Tyler mancava solo spiegare quello che, secondo lui, era un piano geniale e le possibilità che fallisse fosse del 0%. Era veramente sicuro di sé. Non aveva calcolato che qualcosa potesse andare storto, perché per lui era praticamente impossibile che un'idea così elaborata e complicata, studiata per giorni, potesse venir scoperto da qualcuno primo del previsto.  "La fuori ci sono 6 macchine, una per ogni due, tranne la macchina di Brian che, oltre a Jazmyn. c'è anche Katherine" cominciò a spiegare, Tyler "Il piano è quello di prendere ogni uno una strada diversa, per poi incontrarci tutti all'aeroporto. Se partiamo da qui tra meno di un'ora, dovremo arrivare là che Rodrigos è già qua alla ricerca di Jones. Ho preso i biglietti per Verona, Italia. Prima di trovarci ci metteranno un po'... Ahhh, prima che me ne dimentichi, in macchina troverete un telefono nuovo e dei documenti falsificati" concluse l'uomo.
Ecco, pensò, adesso ogni uno sarà solo per la propria strada ed io potrò finalmente avere la mia vendetta.
Nessuno chiese niente. Tyler era stato abbastanza chiaro. Tutti i presenti in casa, ovviamente, avevano già preparato le valige, solo i due giovani innamorati dovevano fare tutto.
Una volta tornati in camera, Summer guardò quel groviglio di lenzuola sopra di letto e desiderò di poter tornare a come erano a poche ore prima: aggrovigliati l'una l'altra, desiderosi della stessa cosa. L'immagine di Justin che la baciava tutta, che le sussurrava cose dolce e che entrava piano piano in lei, la fece accaldare. Le sembrava che la temperatura nella stanza si fosse alzata e sentiva già le goccioline scorrerle lungo schiena e un tremolio fra le gambe. Gesù! Justin riusciva a farle tutto quello senza nemmeno saperlo. Stava diventando malata. Sì, dalla BieberFever. Solo Dio poteva sapere cosa gli avrebbe fatto in quel momento se non avessero avuto cose più importanti da fare. Dovette pensare al film più cruente che avesse mai visto: "I 300". Cristo! Sembrava un maschio che, per far abbassare la sua erezione o per non farla proprio crescere, doveva pensare a morti, teste tagliate, sangue, spade.. Però funzionava. L'idea di lei e di Justin sul letto, uno sopra l'altra, scomparì dalla sua testa, per farla concentrare sul borsone che doveva preparare e la doccia che doveva farsi. Forse l'avrebbero dovuta farla insieme, avrebbero risparmiato acqua.
Oddio! Non sono più un adolescente in preda agli ormoni che sbava per ogni bel fusto che le passa davanti o la guarda. Devo smetterla di pensare a certe cose, pensò. 
Innervosita dal fatto che Justin non le degnava di uno sguardo, prese il cambio ed un asciugamano, ed entrò in bagno battendo la porta di sé.
Bieber era consapevole di quello che aveva appena fatto. Non rivolgendole la parola ci era rimasta male, ma lui stesso aveva paura di aprire bocca e di scagliarle addosso la sua rabbia. Era incazzato per quello che era appena successo. 
Aveva pianificato tutto: sarebbero partiti al pomeriggio, loro due più Jazmyn e Jaxon, come una vera famiglia. Si sarebbero comportati come tali per una settimana. Si sarebbero potuto comportarsi finalmente come persone normali e dare ai suoi fratelli quello che non avevano mai potuto avere: due persone innamorate che amano stare insieme (e non a picchiarsi e goderlo nel farlo). Tutti i suo piani erano andati in frantume, come un castello di sabbia che, per colpa di un soffio di vento, cade e torna ad essere della semplice sabbia. Non voleva pensare, non voleva essere lui la colpa della tristezza di Summer.
Frustato e arrabbiato, prese le sue ed entrò in bagno, sbattendo la porta dietro si sé.

Quando entrambi furono pronti, salirono in macchina. Bieber con Tyler e Summer con Allison, nonostante le proteste da parte di Justin che voleva salire in macchina con Jones, ma, a parere de Tyler, non era sicuro per nessuno dei due.
Partirono tutti per strade diverse allo scopo di non dare sospetti, nessuno però poteva sapeva del piano diabolico che c'era veramente dietro e, solamente ad una persona venne il dubbio ed era anche l'unica che non si fidava di Tyler. Fu proprio lui che decise di cambiare la strada per essere sicuro che Summer stesse bene, seguendola.

                                                     
 
Tyler portò Justin in un magazzino abbandonato, dall'altro lato della città. Lo voleva uccidere. Voleva sbarazzarsi di lui. Lo odiava. Lo odiava con tutto se stesso, perché lui era felice, perché lui aveva tutto, mentre a Tyler era rimasto solo con la solitudine. 
Una volta ritrovati soli, Williams, prese la pistola che nascondeva e la puntò contro la schiena di Justin. "Su, cammina, coglione" lo spinse. Bieber non sapeva che di dire o che fare. Era stato preso all'improvviso. Quell'era l'unica cosa che meno si sarebbe aspettato e, mentre veniva spinto dentro quell'orribile capannone abbandonato da Dio, si rendeva conto di quello che stava effettivamente succedendo: Tyler gli aveva mentito. Aveva mentito a tutti. Non si era pentito. Probabilmente Rodrigos non era nemmeno in Canada o forse Williams lavorava per lui. Allora.... "Dove diavolo è Summer? Che hai fatto? L'hai consegnata a Rodrigos? Allison è tua complice, bastardo?" chiese incazzato, mentre sentiva la pistola puntata con forza dietro di sé. 
"Summer non sarà mai più un tuo problema" rispose e fu probabilmente quella risposta che fece scattare qualcosa in Justin. Preso dalla furia, si girò velocemente, sorprendendo Tyler. La pistola scivolò a terra. Justin tirò un pugno dritto in faccia all'uomo che cade a terra con il naso sanguinante. Bieber recuperò la pistola e, con un piede schiacciato sullo stomaco dell'uomo, gliela puntò sulla tempia. "Dove cazzo è Summer? Hai solo una possibilità oppure ti sparo, figlio di puttana". Le parole erano state dette a denti serrati, che si faticava a capire quello che aveva detto.
Tyler non volle dargli ascolto e scoppiò a ridere. "Non te lo dirò mai e poi non saresti capace di premere il grilletto. Sei soltanto un vigliacco che crede di essere invincibile, ma novità del giorno Justin: tutti cadiamo, chi prima chi dopo".
"Forse, ma intento io sono ancora in piedi e non sarai di certo tu a buttarmi giù. Non ne avrai la possibilità" rispose senza nessuno sentimento, poi proseguì "Ahhh.. e sì, ne ho la capacità" il grilletto venne premuto e l'eco  dello sparo si diffuse per tutto lo spazio. Il corpo rimase fermo, esteso sul terreno, senza respiro e coperto di sangue. Negli occhi di Tyler ancora aperti, sorpresa e paura , invece in quelli di Justin, niente. Neanche un sentimento. 
Deciso ad andare a cercare Summer, prese le due braccia di Tyler e lo trascinò all'interno del capannone abbandonato.  Lo chiuse e salì in macchina. Prese il telefono del ragazzo ormai morto, e chiamò Brian, l'unico di cui sentiva di potersi veramente fidarsi.
Squillò tre volte prima che qualcuno rispondesse. "Tyler? E' successo qualcosa? Justin sta bene?" Long domandò preoccupato.
"Sono Justin. Tyler è morto. Dove sei?"
Brian sentì che Bieber aveva combinato qualcosa. Era freddo e sembrava fosse entrato nella modalità 'ghiaccio', e quando succedeva, i 4/4 delle persone che andavano contro di lui, morivano. Lui non aveva pietà verso nessuno. "Justin stai bene? Come Tyler è morto? Cos'è successo?" decise di domandare, anche se una vaga idea ce l'aveva già.
"Niente domanda. Summer è con te?"
"No. Ma comincio a pensare che tutto questo sia una trappola. Allison l'ha portata in una casa appena fuori città. Io le ho seguite, non mi fidavo di Tyler".
"Continua a seguile e no perderle di vista. Mandami un messaggio con l'indirizzo, che arrivo il prima possibile e non fare nietne finché non arrivo." sapeva che era un po' improbabile arrivare velocemente, dato la sua posizione. Ci avrebbe messo una mezz'ora buona se non di più.
 
Nel frattempo Summer si trovava in una stanza illuminata da grandi vetrate che davano sul retro della casa. 
Appena salite in macchina, Allison l'aveva bendata e legato gambe e piedi, perciò Summer non aveva la più pallida idea di dove si trovava. Sapeva soltanto che ci avevano messo più o meno 20 minuti e su autostrada. Adesso si trovava in quel salotto stile retro, con grandi divani di pelle e teste di animali appese ai muri e, davanti a lei, un uomo, dall'aspetto tutt'altro che gentile. Aveva qualcosa di tenebro, di macabro. Quei occhi neri, erano vuoti, inespressi... era come se togliessero tutti i colori presenti nel mondo. Summer, più li fissava, più si chiedeva chi potesse essere quell'uomo misterioso. Quest'ultimo fece un passo verso di lei e, vendendo che Summer non si muoveva, per paura, ne fece un'altro. Le parò a 15 cm di distanza dal viso. Avvicinò la bocca all'orecchio della ragazza, mentre essa tratteneva il respiro, e sussurrò: "Bem-vida, minha linda princesa" (#Benvenuta, mia bellissima principessa) . Il sangue di Summer gelò. Non era possibile. Un'altra volta no, rifletté, volendo già piangere. Scosse la testa pensando di trovarsi in un'incubo. La scuoteva e scuoteva ma rimaneva sempre lì. Le immagini non cambiavano, le persone nemmeno. Poi realizzò: la sua vita era un'incubo ed era impossibile svegliarsi da esso.
Jones provò a fare dei passi indietro, ma la lama fredda di un coltello puntato sotto il suo orecchio, le impedì di camminare o di dire qualcosa.
"Um passo falso e você morri. Entendeu?" (#Un passo sbagliato e muori. Capito?)  le domandò. Summer annuì solamente. Si era ritrovato in altre situazioni simili, ma non sapeva il perché le sembrava che quella volta non avrebbe avuto via di scampo.
"Sabe porque està aqui?" (#Sai perché sei qui?) chiese, ma non ottene nessuna risposta. Arrabbiato per la mancanza di rispetto, con la mano destra, quella dove non teneva il coltello, le diede un pugno nello stomaco. Summer voleva accasciarsi  a terra per il dolore, però l'uomo non le l'ho permise. La tene per il braccio e non la fece cadere. "Quando eu fazer uma pergunta, você responde, claro?" (#Quando ti faccio una domanda, tu rispondi, chiaro?) nonostante sembrasse calmo, si capiva della voce che era incazzato e chiunque in quella situazione avrebbe fatto tutto quello che gli si chiedeva, non Summer però. Lei era troppo orgogliosa ed era stufa di quelle situazione. Non aveva più la forza di lottare. Avrebbe preferito morire. Ormai le ne fregava poco di quello che quel uomo le avrebbe potuto fare. La voglia di lottare per sopravvivere, la voglia di avere alcuni minuti in più prima di morire, per poter dire addio alle persone più care, la voglia di avere più tempo per poter fare quello che si avrebbe sempre voluto fare, era scomparso. Aveva capito che, se si trovava sempre in queste situazioni, era perché il suo progetto divino era quello di morire. La consapevolezza di tutto quello era arrivato dal fatto che quella volta non c'era nessuno pronta a salvarla. Nessuno sapeva dove si trovava ed era impossibile saperlo. Il suo destino era quello: morire a causa di quel uomo. 
"Nessuno potrà aiutarti, questa volta. Il piano è ben elaborato e, se tutto è andato per il verso giusto, il tuo fidanzatino del cazzo, è morto e sepolto" sussurrò con cattiveria e odio "Ma non ti preoccupare, tu lo raggiungerai presto" il coltello si sposto dal viso e si conficcò velocemente nella pancia di Summer. L'uomo lo fece ruotare una volta, due volte e tre volte. Summer urlava dal dolore. Bruciava. Aveva paura di guardare, perché sapeva che  sanguinava. Prima che l'uomo la lasciasse cadere a terra, la avvicinò a sé e le disse a voce bassa "E comunque, è stato un piacere conoscerti, Summer. Non dimenticare di chi ti ha ridotto così: Rodrigos Cristenson" la lasciò e lei cade sul pavimento. Le diede due calci prima che la porta di ingresso venisse aperto e, il corpo di Allison, ormai senza vita, buttato come se fosse un sacco della spazzatura. Rodrigos ragionò velocemente: il coltello gli cascò vicino ai suoi piedi, prese velocemente la pistola che aveva nella tasca posteriore e sparò alla prima persona che entrò dalla porta, senza sapere nemmeno chi fosse.
Summer, che era sdraiata si girò verso l'entrata e quando vide quegli occhi color caramello con sfumature dorate che in quel momento stavano scomparendo così come il calore che essi trasmettevano ogni volta che li guardava, sentì ancora più forte che il destino di morire era il suo e non di quell'uomo per cui aveva perso la testa e aveva fatto l'amore alcune ore prima. Decise che era suo compito salvarlo, perché sapeva che lui era lì per salvare lei.
Notò, vicino al piede di Rodrigos, quel maledetto coltello. Strisciando riuscì a prenderlo e, con molta fatica e dolore, riuscì ad alzarsi tenendo una mano sulla ferita. Rodrigos era distratto. Fissava con occhi spaventati i 6 ragazzi che si trovavano all'entrata della casa, gli stessi che erano seduti sul suo divano un paio di settimane prima e adesso erano lì che gli puntavano la pistola contro. 
Probabilmente i ragazzi prima lo avrebbero torturato e poi ucciso, ma Summer aveva una idea diversa. La vendetta doveva essere servita in quel momento. Se Justin fosse morto, non se lo sarebbe mai perdonato. Fu per lui che fece quello che fece: Si avvicinò piano a lui da dietro. Pensò di prenderlo di sorpresa e di pugnalarlo alla testa, però non sarebbe stata la stessa cosa che vedere i suoi occhi pregarla di salvarlo, di avere pietà di lui. Strisciando i piedi, perché aveva poco forza, si parò davanti lui. Non gli diede il tempo di elaborare quello che stava succedendo. Summer si avvicinò e, come aveva fatto lui, gli sussurrò: "Non  dimenticare di chi ti ha ucciso: Summer Anne Jones, il tuo incubo più macabro". Senza pietà gli conficcò la lama del coltello nel centro del petto, prendendo il cuore e, come aveva fatto lui prima, lo roteò e roteò. Invece di toglierlo, lo lasciò lì. Spinse leggermente il corpo, finché non si sentì un tonfo echeggiare per tutta la stanza. 
Jones si sentiva sfinita. Sentiva che lei sue gambe stanno per cedere e, quando si stava lasciando andare, sentì delle braccia pronte a tenerle. In un primo momento pensò che fosse Justin, ma poi, guardando in faccia il ragazzo, si resse conto che era soltanto suo fratello Brian. "Adesso arrivano i soccorsi, Summer. Starai bene" provò a consolarla, notando che la sorella era sconvolta, senza capire che invece era spaventata, non per lei, ma per l'uomo che stava stesso per terra e non dava segnali di vita. 
In qualche modo, riuscì a liberarsi dal fratello e di dirigersi verso Bieber. Non le importava del dolore assurdo e dal fatto che non avesse più forze in corpo, pensava soltanto che, se entrambi dovevano morire, almeno dovevano morire insieme
Rimase accasciata vicino a Justin fino all'arrivo dell'ambulanza. Quando arrivarono controllarono il suo battito cardiaco e lei sentì benissimo "E' quasi inesistente. Potrebbe non farcela".
Non voleva che lui morisse, non voleva che lui l'abbandonasse. Se ne fregava se poteva sembrare una bambina viziata e menefreghista, ma senza di lui non sarebbe riuscita a vivere.
Justin venne messo su una barella, messo all'interno dell'ambulanza e portato di corsa all'ospedale più vicino, mentre lei, rimase lì, con lo sguardo fisso sull'ambulanza che si allontanava da lei, sempre più piccola, fino a scomparire. L'altra ambulanza che era arrivata insieme al quella appena partita, avrebbe portato anche lei all'ospedale, ma adesso poco gliene fregava, perché sapeva che era colpa sua se Justin era sospeso su un filo invisibile che gli separava dalla morte. 
Se solo non fosse entrato in quel modo. Se solo avesse prima controllato all'interno per vedere se c'era qualcuno. Se solo non avesse avuto paura di aver perso la donna che lui amava, probabilmente non avrebbe comesso quel errore che gli stava costando la vita.
 
 
 
 
 
 
Holaaa! Hallooo! Hellooo! Oiii! Ciaooo! :D
"Ciao" in tutte le lingue che conoscoo *lalalalalalalala* 
Dovete scusarmi per questi miei momenti di pazzie, ma capitemi: sto studiando tedesco, perché ho la verifica domani *piange*.
Comunque so che sono in ritardo, ma la scuola mi tiene moooooooolto impegnata :( e chiedo immensamente scusa.
Come avete potuto vedere, questo è l'ultimo capitolo e BAAM Justin rischia la vita e per scoprire se sopravvive o meno dovrete aspettare il riepilogo che è già prontoooooooooo! 
Eh sì, avete letto bene, non è frutto della vostra immaginazione. L'ho già scritto e adesso devo solo controllarlo ma, per vostro dispiacere, non mi è possibile pubblicarlo in questi giorni *mi lanciano i cavoli addosso*.
Vi spiego il motivo: oggi, non lo posso pubblicare perché, come già detto, ho la verifica di tedesco e devo studiare. Domani ho il corso di inglese e sto via dalle 4 alle 7 (se mi va bene :\ ) e devo studiare diritto e relazioni internazionali perché è sicuro che vengo interrogata in entrambe D':. Mercoledì devo studiare spagnolo, perché quella troi... mi correggo, quell'amore della mia prof., sicuramente mi interroga e non perché ce l'ha con me, ma perché mi adora e mi vuole un mondo di bene ^-^. Giovedì devo studiare per l'interrogazione di tedesco... Perciò, probabilmente lo pubblico venerdì o comunque, prima di domenica sicuro (o almeno si spera u.u).
Vabbon, non so più che altro dirvi... Ciaoooooo :D

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Capitolo 21
*** Epilogo. ***


Quando ci si innamora è come se si tornasse ragazzini.
 
 
Non importa chi sei, quanti anni hai, quante ne hai avute o quante ne avrai.
Arriva un momento in cui una sola donna è quella che conta, una sola è speciale.
​ Perché uno solo è il vero amore.
-Cercami ancora
 
"DOVETE FARE QUALCOSA, CAZZO! VI PAGO PER QUESTO! LA DOVETE SALVARE... E LEI Lì, SI DIA UNA MOSSA! ALZA QUEL CULO DA QUEL DIVANO E VADA A SALVARE LA VITA DI MIA MOGLIE, PORCA PUTTANA!" ero rimasto ormai quasi senza voce a causa delle mie urla.
"Signore, la prego di calmarsi" una giovane infermiera, venne da me cercando di tranquillizzarmi, ottenendo l'effetto opposto.
"CALMARMII?! MIA MOGLIE STA MORENDO E LEI MI DICE DI STARE CALMO?! MIA MOGLIE STA RESPIRANDO I SUOI ULTIMI RESPIRI E QUEI DOTTORI DI MERDA STANNO LI' SEDUTI A GUARDALA MORIRE ED IO DOVREI RIMANERE CALMO?!" gli occhi ormai mi bruciavano. Non volevo piangere. Non potevo piangere. Dovevo rimanere forte, per loro: i miei figli.
"Le assicuro che abbiamo fatto il possibile per salvarla, Signor Bieber, ma non sempre i miracoli accadano" si leggeva nei suoi occhi che il dispiacere. "Ascolti, queste sono le sue ultime ore con lei, perché non le passate insieme? Perché non va lì e la fa ancora felice? Sono certa che quest'anni che avete passato insieme siete stati tanto innamorati e lo siete ancora, ve lo si legge in volto... Dai, vada da lei, Signor Bieber" e con una leggera carezza sul braccio, se ne andò, lasciandomi lì, da solo, con i miei pensieri.

Guardai oltre la grande vetrata e vidi quella che, finora, era stata la mia unica ragione di vita. Era lì, imprigionata su quel lettino di ospedale. Era dimagrita a causa della malattia e con il tempo è diventata sempre più fragile e pallida. Tutto si fece più difficile e pensare che l'avrei persa mi faceva morire.
Ripensai alle parole della infermiera e capì che aveva ragione: erano le ultime ore di moglie e avrei dovuto passarle con lei, assieme ai nostri figli.
Prima di andare da Summer, passai dal bar dello ospedale, e le comprai una dozzina della sua ciambella preferita: quella con la glassa rosa e con tutti quei cosetti colorati sopra. Lei li amava, ne andava letteralmente pazza.
Presi del caffè e della cioccolata calda per i piccoli.
Quando arrivai nella stanza 258, mi ritrovai con i bambini che dormivano sul lettino abbracciati alla loro mamma, con lei che li accarezzava la testa a turno mentre cantava la loro ninna nanna preferita.
"Hey". Volevo dirle altro, ma in quel momento fu l'unica cosa che riuscì a far uscire dalla mia bocca.
"Si sono addormentati" disse con un sorriso stanco.
"TI ho portato le tue ciambelle preferite" mi forzai di sorridere e appoggiai il sacchetto sul tavolino vicino al letto.
Non sapevo che dirle. Volevo dire che non volevo che morisse, ma lei cosa ci poteva fare? Non l'aveva scelto lei di andarsene così presto.
Me ne stavo zitto con le mani in tasca a guardare il giardino fuori dalla finestra con gli occhi che mi bruciavano. Non potevo piangere.
"Justin" mi chiamò, ma non ebbi coraggio di girami. "Ti prego, guardami!" la disperazione nella voce era palpabile. Aveva paura, e chi poteva biasimarla? Anch'io ne avevo.
"Non posso vivere senza di te" come me ne uscì, non lo seppi ma così come riuscii a dirlo, le lacrime riuscirono a sfuggire al mio controllo ed a scorrere lungo le mie guance.
"Guardami, ti prego" la voce spezzata dal leggero pianto.
Mi feci coraggio e mi girai a guardala. Nonostante tutto quello che le era successo era ancora bella... Sì, non aveva il fisico di un tempo, ma quei occhi e quel sorriso erano gli stessi, forse un po' più spenti, ma riuscivano ancora a trasmettermi tutto il loro amore.
"Guardali, Justin" riferendosi ai bambini "Loro sono frutto del nostro amore, loro sono sangue del nostro sangue... e anche se a volte ci fanno uscire fuori di testa, non avrei mai potuto chiedere qualcosa di meglio... Abbiamo avuti alti e bassi io e te, e molte volte avrei voluto prendere le valigie e andarmene, ma sono sempre rimasta, nonostante il tuo essere orgoglioso, permaloso, testardo, una testa di cazzo che vuole fare tutto di testa sua... e sai perché non me ne sono mai andata? Perché se si ama una persona la si ama con i suoi pregi e difetti... Perché io ti amo, Justin Drew Bieber e non so come ringraziarti per questi bellissimi anni che abbiamo passato insieme, per avermi tratta sempre da regina, per non aver mai fatto mancare niente a me e ai nostri figli, ma soprattutto, devo ringraziarti per essermi stato accanto in quest'ultimi anni... so che non è stato facile, per nessuno, ma non mi hai mai abbandonata e adesso che sto per ..." non riuscì a finire che scoppiò in lacrime. Mi sdrai sul lettino, con Catherine in mezzo, e abbraccia Summer.
"Shhhh... Non dobbiamo pensare che morirai, abbiamo ancora tempo" sussurrai. Stemmo in silenzio ad osservare i nostri piccolini dormire.
"Ti ricordi la prima volta che ci siamo trovati in questo ospedale?" chiesi.
Erano passati più di 6 anni e d'allora ne erano successe di cose.
"Tu non sai quanto me ne hai fatte passare... Sono rimasta 2 settimane, giorno e notte, vicino al tuo lettino sperando che ti svegliassi... Non mangiavo, non riuscivo a dormire perché tutte le volte che provavo a chiudere occhi la scena di te fra le mie braccia mi tormentava. Il mio incubo si era avverato... Non potevo neanche immaginare che tu morissi per colpa mia... Quel giorno è stato uno dei più brutti della mia vita, Justin." Chiuse gli occhi e prese dei profondi respiri. "Non pensare che io non sappia come ti senti adesso... Io so, molto bene... In quelle due settimane ho seriamente rischiato di perditi e non volevo e non potevo. Tutta la mia vita aveva preso un senso con te vicino. Mi hai salvato tante di quelle volte che probabilmente sarei già morta invece che essere qui, con te, con loro" indicò i bambini.
"Ma non lo sarai ancora per molto" mi scappò senza che me rendessi conto.
"Justin" mi disse e mi prese il viso fra le mani. "Ti ricordi della tua proposta di matrimonio? Che pochi giorni prima mi avevi detto che non ti volevi sposare, avere figli e che tutte quelle stupidaggine del romanticismo erano una minchiata? Bene, ti ricordi anche quanto mi incazzai quella sera con te, che ti mandai a dormire fuori con il cane, letteralmente?"
Quel ricordo mi tornò subito in testa e risi. "Si è pure messo a piovere e dovetti mettermi all'interno della casetta del cane... Poverino, rimasse fuori tutta la notte. Non che io ero messo meglio, però almeno avevo la testa al coperto. Per colpa tua sia io che il cane ci prendemmo un bruttiamo raffreddore" glielo rinfaccia, facendole una linguaccia.
"Però ti facesti perdonare due settimane dopo, ricordi?"
"Era tutto programmato da tanto tempo... Solo che non pensavo che avresti preso così male il mio scherzo. Come potevo non volerti sposare? Eri tutto quello che avevo sempre chiesto".

 
6 anni prima

Summer pov

Justin questa me l'avrebbe pagata e cara anche. Non era possibile che tutte le volte che sto passando lo stralcio per terra lui deve passare. Si salva solo perché passa correndo esclamando un "Sto uscendo, amore. Ti amo" ed esce di casa. Ma io lo so perché va sempre così di fretta. Io lo so. Se solo si fermasse per un minuto lo prendere a bastonate in testa. Ma questa volta me l'avrebbe pagata. Stavo già pianificando come farlo e l'opzioni erano due: uno: lo lasciavo senza sesso per una settimana o due: lo lasciavo senza sesso per una settimana. Forse potrei aumentare il tempo oppure farei prima a castrarlo! Probabilmente opterò per l'ultima opzione.

Dopo essermi preparata mi arrivò un messaggio sul cellulare.

From: Quel deficiente del mio amore! <3
Scusa amore, ma arrivo in ritardo:’( Tu parti pure, ci incontriamo direttamente al cinema!
Tuo, Justin <3 :*

P.s. I biglietti li ho già presi io... Sono al tuo nome alla cassa.


"Uhmmm strano" pensai. Mi guardai in giro. Non c'era nessuno. Presi la borsa e le chiavi della macchina e andai fuori. Ancora nessuno. Salì in macchina messi in moto ed aspettai, ma nessuno uscì fuori urlandomi di aspettarlo. Dei ragazzi neanche l'ombra. Molto strano! Di solito avevo sempre qualcuno che mi girava intorno a sorvegliarmi.
Nascondendo una nota di preoccupazione, partì e me la presi comoda, fermandomi ad ogni strisce pedonali e ad ogni "Stop".
Erano passati un quarto d'ora quando arrivai al cinema di Justin non c'era l'ombra.
Presi il telefono e lo chiamai... Al terzo squillo rispose con il fiatone. "Ehi, amore!"
"Io son appena arrivata… Dove sei?" Perché mi sentivo preoccupata?
"Sono in macchina che mi sto cambiando, sono ap... Ma porca puttana! Entra maledetta scarpa!" esclamò innervosendosi.
"Quando avremo dei figli dovrai proprio cambiare il tuo linguaggio... Non voglio avere dei figli che vanno in giro dicendo "cazzo", "porca puttana" o altre cose simili".
Lo conoscevo abbastanza da sapere che si fosse irrigidito. "Summer..." mi ammonì con voce stanca.
"Sì, lo so come la pensi". Non aggiunsi altro. Aspettavo che fosse lui a dire qualcosa, a dirmi che avremo trovato un compromesso al matrimonio e ai figli. Ci speravo veramente tanto.
"Summer, ne parliamo con calma quando torniamo a casa, te lo prometto... Ma adesso vai pure dentro che io prima di 10 minuti non arrivo e non voglio saperti lì fuori ad aspettarmi con questo freddo".
Sospirai. "Ai suoi ordini". Il mio buon umore se n'era andato a farsi benedire.
"Dai piccola, non fare così, ma ne abbiamo già discusso e, dato che non hai cambiato idea, oggi ne riparleremo, ma sarà l'ultima volta". Categorico, deciso, come se fosse sicuro di quello che diceva e che gli infastidiva il fatto che io continuassi ad insistere.
"Ci vediamo dopo, Justin" dissi freddamente chiudendo la chiamata senza dargli la possibilità di rispondere e spegnendo subito il telefono. Ero incazzata e probabilmente, se non avessimo trovato un accordo, l'avrei messo a dormire fuori con il cane, di nuovo.

Quando entrai nella sala era già tutto buio. La mia poltroncina era proprio centrale e vicino al corridoio e intorno a me non c'era nessuno, letteralmente. Era come se tutti si fossero seduti lontani da me perché avevo una malattia contagiosa. Le poche persone che c'erano erano sedute in modo da richiudermi in un quadrato... C'era lo zampino di Justin? Nah, non sarebbe capace di fa... No, sarebbe capace e come di farlo. Probabilmente avrà acquistato tutti i posti a sedere attorno a me. Uscire con Justin al cinema veniva a costare più di 15$. Faceva di tutto per proteggermi, anche se otteneva l'effetto di soffocarmi.
Da quando successe quello che successe con Tyler e Alison -perché a casa nostra non si può tirare fuori l'argomento-, Justin e Brian diventarono iper-protettivi. Non potevo far niente se non avevo uno dei ragazzi attorno; per questo trovai strano non averne trovato neanche uno davanti alla mia macchina prima di partire.
Avevo parlato a Justin del fatto che mi sentivo soffocare, privata dalla mia privacy, ma lui non ne volle sapere, su questo era categorico, manco con il sesso son riuscita a convincerlo. So che era un tiro mancino chiedergli una cosa del genere proprio nel suo apice del piacere, ma dopo che avevo trovato Steve fuori dalla porta del bagno ad aspettarmi, non ce la feci più. Volevo poter uscire senza dover portarmi le guardie del corpo. Ero consapevole del perché di tutta quella protezione, ma a volte mi sembrava eccessiva. 
Dopo la sera dello sparo, Justin stette in ospedale per 3 settimane, in cui 2 rimase in coma in pericolo di vita. D'allora erano passate poco più di 6 mesi, ma ancora quel ricordo era vivo nella mia testa. Una delle mie paure più grande da quando avevo conosciuto lui e Brian era quella che uno dei due morisse per salvare me e, quando Justin si prese quella pallottola senza dar traccia di volersi svegliare, il mio mondo cominciò a cadere a pezzi. Per due settimane ebbi paura di perderlo. L'idea di vivere senza di lui mi distruggeva lentamente e arrivai a pensare seriamente di suicidarmi se lui non si fosse svegliato. E' buffo come una persona estranea possa entrare a far parte della tua vita in poco tempo e scombussolarla fino al punto di non poter più vivere senza di lei. Non sapevo come la vedeva Justin. Non sapevo se voleva una relazione, se voleva spossarsi o avere figli. Non ci diedi mai così tanto peso. Quando si svegliò la prima cosa che gli preoccupava era se io fossi sana e salva. Non gli preoccupava il fatto che fosse quasi morto, gli preoccupava che io stessi bene. In quel preciso instante, quando aprì gli occhi e si mise a cercarmi nella stanza, capì di essermi perdutamente innamorata e non c'era più via di ritorno.
Tornammo a casa la settimana dopo il suo risveglio e ci trasferimmo in un altro quartiere. La via era quasi completamente abitata dai ragazzi, fatta eccezione per le ultime due case in fondo alla strada che erano abitate da due famiglie, ogni uno con rispettivi due bambini piccoli. Erano simpatici anche se Justin non mi permetteva spesso di andargli a salutare. Un giorno ne discutemmo e lo mandai a dormire nella cuccia del gatto -il cane arrivò dopo che il gatto scappò via. Rimango ancora convinta che sia stato Jaxon ad avergli aperto la porta-. Jazmyn e Jaxon abitavano con noi, così anche Brain nonostante lui e la sorellina di Bieber stesero insieme. All'inizio lui mi sbraitò addosso perché avevo proposto a Brian di venire a vivere con noi, ma gli disse che se lui non poteva restare me ne sarei andata ad abitare altrove. Quello sembrò accendere una lampadina in testa e non disse più nulla. Quel giorno stesso mi chiese di mettermi insieme a lui e da allora non ci separammo mai più. Non dico che le sono state semplice, perché è stato esattamente l'opposto, ma insieme riuscivamo a completarci.
Mio padre non si era fatto più vedere e la cosa non mi dispiaceva. Justin ogni tanto mi informava di cosa faceva ma niente di che. Lui e i ragazzi continuarono con il loro "lavoro" di sempre, ma questa volta operavano solo nel Canada, senza andare oltre. Insomma, ero la morosa di un boss, anche se non riuscivo a capire di quale tipo... Forse boss della droga oppure delle armi. Non che la cosa mi importasse più di tanto. L'unica cosa importante era che io amavo Justin e lui amava me, anche se non voleva spossarmi o avere figli. Per citare le sue testuale parole: "Non possiamo spossarci. Già il fatto che stiamo insieme porta tanti rischi, immagina se un giorno dovessimo sposarci per non parlare dei figli. Gli metteremmo in pericolo. Per questo non voglio né sposarti o avere figli. Fine della discussione". Sì, la discussione finì, ma con lui che dormiva fuori con il cane sotto la pioggia. Nelle settimane successive ne discutemmo ancora. Volevo sposarmi e avere figli e lo volevo farlo con Justin. Il fatto che lui non la pensasse come me, anche se avendo motivazioni più che valide, mi dava la sensazione che lui non volesse un futuro con me. So che può sembrare assurdo dopo tutto quello che aveva fatto per me e quello che continuava a fare, ma il matrimonio è sinonimo di "per sempre" e il fatto che lui non lo volessi mi faceva pensare che non ci sarebbe stato un "per sempre" per noi.
 
A distrarmi da quei pensieri fu la canzoncina che di solito è presente in tutti i film, l'unica differenza era che, la musichetta che sentiva era la canzone "Thinking Out Loud" di Ed Sheeran, il mio cantante preferito.
Il video cominciò con una inquadratura su Ed per poi spostarsi sugli altri componenti che si stavano preparando. Una volta pronti, il cantante prese in mano il microfono e disse l'ultima cosa che mi sarei aspetta: "Questo è per te. Godetelo, Summer!".
Okay, quanta possibilità c'era che si stesse riferendo proprio a me? A Summer Anne Jones??
Lo schermo si scurì brevemente, sempre con il sottofondo di Sheeran, per poi aprirsi ed inquadrare l'unico uomo che avrebbe potuto fare una cosa del genere per me.
"Summer," cominciò Justin, seduto proprio nel posto dove io mi trovavo, "Al nostro primo appuntamento, ti portai proprio qua, in questo cinema… D'allora sono passati 6 mesi e ancora oggi mi domando perché ci ho messo tanto prima di chiederti di uscire, ufficialmente" una risatina uscì dalla sua bocca. "Sì, lo so che eravamo in un periodo un po' particolare: tu ti dovevi sposare con Dylan, poi il rapimento, io in coma e tutto il resto... Nonostante tutto questo continuo a pensare che abbia aspettato troppo per chiederti di uscire... Avevamo fatto altre cose prima di quella uscita, ma niente era stato poi uguale da quella sera al cinema.
“Sei entrata nella mia vita e non sei più voluta uscire. Potrebbe sembrare il contrario, ma mi hai salvato, Summer. Sei stato il mio angelo custode da quando ti ho messo gli occhi adesso. Mi sei rimasta vicina quando credevo che il mio mondo stesse andando a rottoli... Ti sei presa cura di Jazmyn, di Jaxon e anche di quel deficiente di tuo fratello, Brian… In poco tempo sei entrata a far parte della nostra famiglia allargata e vorrei che tu continuassi a far parte, perché… Perché perderti significherebbe perdere anche una parte di me… Sei diventata come un tatuaggio: indelebile… Fai parte di me e morirei se sapessi che ti potrebbe succedere qualcosa, come morirei se tu mi decessi di no… So che ti ho detto di non volerti sposare o avere figli, perché questo metterebbe a rischio tutti, soprattutto tu, ma il rischio ormai fa parte della nostra vita e se non ti chiedessi di diventare mia moglie, credo che rimpiangerei questo mio errore a vita… Voglio trattarti come una Regina… Voglio essere il tuo Re… Perciò…”
Summer Anne Jones” di fianco a me, in ginocchio e con una scatolina di velluto aperto, vestito con uno smoking nero, c’era Justin. “Vuoi sposarmi?”. Nei suoi occhi c’era un misto eccitazione e paura. Come poteva pensare che gli decessi di no dopo tutto quello che aveva fatto per me?
Mi coprii la bocca con le mani, per lo stupore. Improvvisamente sentii la gola secca… L’unica cosa che riuscii a fare fu annuire, mentre le lacrime ormai scorrevano da sole senza darmi la possibilità di fermarle.
Justin mi infilò l’anello e mi prese il viso fra le sue mani. “Ti amo così tanto, Justin” dissi prima che le nostre labbra si toccassero. “Anch’io, futura signora Bieber”. A quelle parole scoppia a ridere e un urlo di ‘Congratulazioni’ e ‘Auguri’ riempì il cinema, con tanto di palloncini rossi e coriandoli. In sala c’erano tutti i nostri amici e mi sentii arrossire da testa a piedi.
“Vieni, piccola. Ho un’altra sorpresa per te”. Prendendo una mia mano, mi trascinò fuori da cinema dove mi stava aspettando un tappeto rosso che portava direttamente a due di quelle sedie medievali a forma di trono, che erano posizionate sotto un palco. Spalancai la bocca quando mi accorsi di chi ci fosse sopra.
Justin mi guardò divertito e mi accompagnò fino alla mia sedia. Mi mise sulla testa una corona da regina e lui fece lo stesso. Si sedette vicino a me, con la corona da re in testa e intrecciò le nostre dita.
Io lo guardai sbalordita, mentre cercavo di realizzare che quello che ci stava dando di spalle fosse realmente chi credevo che fossi. “E’ Ed She…” le parole mi morirono in gola dall’emozione.
“Sembra quasi che tu sia più felice di essere qui che della mia proposta” scherzò Justin.
“Sciocchino! Tu non potresti competere con il mio Ed neanche lontanamente… Se lui mi chiedesse di scapare ora con lui, non ci penserei due volta ad acetare”.
“Grazie eh” si finse offeso.
“Non c’è di che” gli feci l’occhiolino. “Ricordarti soltanto che ho acetato di sposare te... Non ti libererai di me tanto facilmente”.
“Non chiedo di meglio” e con il bacio che segui dopo, cercò di trasmettermi tutto la sua felicità nel poter passare il resto della sua vita con me.
Non sapevamo, però, che Dio aveva progetti diversi per noi.
 
6 anni dopo
 
“Sono questi i momenti che voglio che ti ricordi… Non questi di me sempre stanca, magra e su un lettino di ospedale, Justin” mi disse.
“Ci sposammo un anno dopo la mia proposta. Catherine era appena nata ed io non potevo essere più contento di essere diventato papà… La canzone di sotto fondo era Thinking Out Loud... Solo te potevi sceglierla al posto della ‘Marcia Nuziale’” risi al ricordo.
“Me la canteresti, Justin? Per favore” chiese, accoccolandosi di più a me.
“Farei qualunque cosa tu mi chiedessi, piccola” le bacia la fronte come se fosse una bambina e, sussurrandole nell’orecchio, comincia a cantare.
“When your legs don’t work like they used to before
And I can’t sweep you off of your feet
Will your mouth still remember the taste of my love
Will your eyes still smile from your cheeks
And darling, I will be loving you till we’re seventy
And baby my heart could still fall as hard at twenty three
And I’m thinking ‘about how people fall in love in mysterious ways
Oh me I fall in love with you every single day
And I just wanna tell you I am
So honey now
Take me into your loving arms
Kiss me under the light of a thousand stars
Place your head on my beating heart
I’m thinking out loud
Maybe we found love right where we are”
Summer scoppiò a piangere.
“Non potremo invecchiare insieme, Justin... Non potrò vedere i nostri figli crescere... Perderò il primo fidanzatino di Catherine, il primo dentino caduto di Christian, il suo primo guaio… perderò tutto e perderò te… Non arriverò mai a settant’anni”
Darling, I will be loving you till we’re seventy
And baby my heart could still fall as hard at twenty three
” le ripetei le due strofe della canzone. “Tu potrai anche non esserci più, ma io continuerò ad amarti anche oltre i 70 anni, proprio con la stessa intensità di come mi innamorai quando ne avevamo 23… Sei l’unica donna che sia mai riuscita ad entrare nel mio cuore e quel posto avrà per sempre solo il tuo nome.
Baby your smile’s forever in my mind and memory” cantai ancora. “Non potrei mai dimenticarlo soprattutto quando l’altra donna della mia vita porta il tuo stesso sorriso”.
Le diedi un bacio casto ma che dietro nascondeva tante cose. Dovevo essere forte, per lei e per i due angeli che stavano dormendo abbracciati a noi.
Summer mi abbracciò ancora più stretto prima di chiudere gli occhi e lasciarsi culare nel mondo dei sogni con me che le cantavo la sua canzone preferita.
“Ti amo Justin, non scordatelo mai” furono le sue ultime parole prima di addormentarsi.
“Anch’io, piccola mia. Non puoi capire quanto”. Fu in quel momento che lasciai che le lacrime scorressero lungo la mia guancia, mentre continuavo a cantare con voce roca.
L’avevo capito, con quel ultimo bacio, con quel ultimo sguardo, con quelle ultime parole, che sarebbe stato l’ultima volta di tutto.
Continuavo a cantare mentre la stringevo sempre più forte a me. Mi stavo aggrappando a lei ancora una volta. Se l’avessi lasciata, mi sarei reso conto di averla persa realmente. Tenerla stretta a me, mi dava una speranza... una speranza inesistente, perché sapevo che lei non sarebbe più tornata indietro… Eppure la tenevo stretta a me, con la faccia nascosta fra i suoi capelli mentre gli annusavo. Avevano ancora il suo solito profumo di shampoo al cocco.
“Papà?” una voce solite, ancora da bambina, mi chiamò. Alzai la testa e mi trovai gli occhioni di Catherine. Erano identici a quelli di sua madre. “Papà” mi chiamò ancora mentre mi guardava negli occhi e realizzava quello che fosse successo. Era tanto intelligenti per una bambina di 5 anni. Non le dovetti spiegare niente. Si avvicinò a me e mi abbracciò, per poi allontanarsi e chinarsi per dare un bacio a stampo a sua madre, come erano solite a fare. “Ti amo, mamma” le disse prima che anche lei scoppiasse a piangere.
“Andrà tutto bene, bambina mia. Te lo prometto” la presi fra le mie braccia e restammo lì, abbracciati aspettando in un miracolo che non sarebbe mai accaduto.
 
60 anni dopo
 
Sul lettino d’ospedale soltanto un viso mi veniva in mente. Un viso che non avevo mai dimenticato, che continuava a tornarmi in mente, sempre. Anche ora, negli ultimi minuti della mia intera vita… 60 anni erano passati eppure nessun’altra donna era riuscita a prendere il suo posto. Era la mia anima gemella e lo sarebbe stato fino alla fine dei miei giorni, come le avevo promesso.
Presi la foto che tenevo piegato sotto il cuscino e la guardai. Sembrava passato poco tempo dal quel giorno. Lei indossava un visto bianco, stile principessa della Disney ed io ero in smoking. Stavamo ballando. Il nostro primo ballo da marito e moglie, da Signor e Signora Bieber.
Non ho mai rimpianto un solo giorno da quando l’avevo conosciuta. Avevamo vissuto al massimo quel poco tempo insieme e non c’è stato un solo giorno noioso con lei. Lei rendeva tutto più bello.. Lei migliorava ogni cosa. Senza di lei mi sarei perso lungo il cammino e non c’è stato giorno che non ho passato ringraziandola di avermi trovato e salvato. Il mio angelo custode.
 
Mi hai migliorato, mi hai dato due splendidi figli che a loro volta mi hanno dato dei stupendi nipotini… Mi hai dato gli anni più belli della mia vita. Ti ho amato con tutto me stesso e anche ora, che sono su questo lettino di ospedale, circondato dai nostri figli e dai nostri nipoti, che aspettano che io inali il mio ultimo respiro, il mio pensiero va a te, amore mio. Dopo 60 anni di lontananza, potremo ricongiungerci ed avere finalmente il nostro “E vivessero felice e contenti”. Questa volta niente e nessun potrà impedircelo.
“Ti amo, angelo mio” furono le mie ultime parole, prima di chiudere gli occhi e andare a prendere quello che è mio: il mio angelo custode, la mia regina.
 
Oh maybe we found love right where we are.
 

THE END.
 
 

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